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Italian Pages 154 Year 1975
Autore di due classici della psicologia contemporanea - La struttura del comportamento (1942) e Fenomenologia della percezione (1945) :__ MAURICE MERLEAU-PONTY è senz'altro iL più importante degli psicologi eurepei di orientamento fenomenologico, di quegli psicologi che, pur non rifiutando gli apporti della scienza psicologica sperimentale, li elaborano in maniera originale rispetto alla tradizione epistemologica e metodologica del positivismo scientifico, e soprattutto li inseriscono ecletticamente nella prospettiva « comprensiva », globalistica e intuizionistica della fenomenologia. Questi recenti e brevi scritti, di cui presentiamo la seconda edizione italiana sono accessibili per la loro chiarezza anche al profano, pur rivestendo un grande interesse per il lettore specializzato, a causa della densità concettuale che li caratterizza, e dei continui riferimenti interdisciplinari.
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Il rapporto io-altro non cessa di 'occupare le menti di pensatori e scienziati di tutti gli orientamenti 1• Questo di MERLEAU-PONTY è un originale tentativo di risolvere il problema, partendo dalla situazione empirica dello sviluppo della coscienza dell'alterità nel bambino, di cui l'Autore esamina numerose significative modalità espressive, in particolare quella, interessantissima, del comportamento di f,rorite, alla propria immagine speculare nei primi anni di vita. Prolungandosi nel contesto adulto del rapporto io-altro, l'esame dell'autore investe la relazione patologica della gelosia, e le osservazioni acute non possono lasciare indifferenti quanti di noi sono vittime di questo morbo infantile.
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L'introduzione di PAOLO FILIASI CARCANO, oltre a costituire una puntuale presentazione alle lezioni di MERLEAU· PONTY, ha valore di per sé come contributo alla chiarificazione epistemologica e metodologica dei complessi rapporti intercorrenti fra Filosofia e Scienza fa generale e fra Fenomenologia e Psicologia in particolare. 1 Cfr. in particolare tra le opere da noi edite: M. J. CHOMBART DE LAUWE, I segreti dell'infanzia e la società nella letteratura, nelle comunicazioni di massa, nella ricerca teorica (Un monde autre: l'enfance. De ses représentations à son mythe).
M. MERLEAU-PONTY
IL BAMBINO E GLI ALTRI Introduzione di PAOLO ·FIL1ASI CARCANO
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ARMANDO
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ARMANDO
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EDITORE
ROMA
Titolo originale
Les relations avec autrui chez l'enfant
Centre de documentation Universitaire, Parigi Traduzione di
GIANFRANCO GoETA
·© 1968 Editore Armando Armando Via della Gensola, 60-61 - Roma Seconda edizione riveduta 1971 Prima ristampa 1975
INDICE
INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA DI PAOLO F1LIASI CARCANO
L'insegnamento di Merleau-Ponty alla Sorbonne. Le "interpretazioni negative" nel campo della psicologia infantile e l'esigenza fenomenologica della comprensione. La comprensione generalizzante della scienza e il problema dell'individuo. La concezione oggettivistica della conoscenza e il rapporto fra soggetto e oggetto. Metafisica evoluzionistica e relativismo culturale. Il problema del metodo scientifico e l'istanza fenomenologica nella psicologia. Formazione della personalità e relazioni del bambino con gli altri secondo Merleau-Ponty. Conclusione
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INTRODUZIONE DELL'AUTORE
Le relazioni del bambino con l'altro nella psicologia infantile. Funzioni cognitive ed affettività. Percezione ed ambiente. Linguaggio ed ambiente
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PERCEZIONE DELL'ALTRO DALLA NASCITA ALLA CRISI DEL TERZO ANNO
CAPITOLO PRIMO:
La questione teorica
Il problema della percezione dell'altro nella psicologia classica. L'impostazione moderna del problema della per· cezione dell'altro '
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Costruzione di uno schema corporeo e abbozzo di percezione dell'altro dalla nascita ai sei mesi
CAPITOLO SECONDO:
Forma e sviluppo. Il corpo proprio dalla nascita a sei mesi. L'altro dalla nascita a sei mesi
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Dopo i sei mesi: la coscienza del corpQ proprio e l'immagine speculare
CAPITOLO TERZO:
Il sistema sincretico io-altro (dopo i sei mesi) (A. L'immagine speculare. - B. La sociabilità sincretica). La "crisi del terzo anno"
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INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA
L'insegnamento di Merleau-Ponty alla Sorbonne
Quando, nell'autunno 1949 Maurice Merleau-Ponty è stato chiamato a insegnare psicologia dell'infanzia e pedagogia alla Sorbonne, questo semplice fatto non ha rappresentato soltanto un normale episodio della vita universitaria parigina ma un evento denso di significato per la storia culturale del nostro temp9. Che un filosofo come Merleau-Ponty (maturatosi in gran parte nello studio della fenomenologia di Husserl) venisse chiamato a un insegnamento psicologico, stava in realtà a significare - probabilmente oltre le intenzioni esplicite di coloro che hanno contribuito alla decisione e in un certo contrasto con la stessa piega filosofica caratterizzante la formazione è la mentalità del nuovo professore - un ulteriore passo di quell'inarrestabile processo di riavvicinamento e identificazione fra scienza e filosofia che è stato descritto con tanto acume da noi in Italia da Ugo Spirito e che contrassegna così fortemente la logica interna del pensiero contemporaneo. Ma non si tratta di un semplice momento di riavvicinamento formale perché si tratta di una chiara indicazione contenutistica relativa al modo in cui la progressiva identificazione fra scienza e filosofia non solo tende, ma in un certo senso è costretta ad operarsi. L'interesse, cioè, dei filosofi per la psicologia infantile non è occasionale, ma rivela delle ragioni intrinseche, che proprio nei corsi di MerleauPonty vengono chiaramente in luce, inserendosi in un com9
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plesi,o di altre motivazioni che insieme concorrono a definire e ad inquadrare il corso della riflessione nel contesto della crisi culturale odierna. Sotto il profilo psicologico la crisi del nostro tempo può considerarsi come una crisi di quell' "uomo bianco, adulto, civilizzato", che costituisce il tacito presupposto e l'indiscusso modello del nostro modo di pensare e di vivere. Questo tipo di uonio, assunto a criterio normativo per lo ;tudio delle nostre attività e come base delle valutazioni, era emerso già con sufficiente chiarezza nella Grecia classica, ma si è andato poi sempre più consolidando e arricchendo nei successivi secoli di sviluppo della civiltà occidentale fino ai n?stri giorni. Questo discorso è certamente sommario ed è il frutto di deliberate astrazioni, ma esso è tuttavia sufficiente a chiarire come si sia costituita - nel corso evolutivo della civiltà occidentale - una certa "mentalit~ di base", contrassegnata da un complesso organizzato di atteggiamenti psicologici e di abitudini mentali, caratterizzanti la presa di coscienza del mondo e di noi stessi e condizionanti pertanto i nostri rapporti con la natura e con gli altri. Questa "mentalità di base" (che è un termine più antropologico per indicare il nostro "apparecchio psichico") si è formata gradualmente per opera di successive ~elezioni e limitazioni, indispensabili ai fini della sua stessa determinazione e strutturazione; ed essa costituisce una specie di organo da cui dipendono il nostro più o meno felice adattamento all'ambiente naturale e sociale e la forma specifica del nostro comportamento in risposta agli stimoli e alle informazioni. Ma.,:sorge allora il quesito se proprio queste selezioni e limitazioni, che sono state funzionali in date circostanze storiche, non si rivelino controproducenti in altri momenti, e non si trasformino, irrigidendosi, in una fonte di sofferenze e di contraddizioni per gli uomini che ere~ 10
Introduzione all'edizione italiana
ditano un patrimonio culturale non più adeguato al mutare dei tempi. Qualsiasi altra riflessione possa farsi in proposito, è innegabile che noi viviamo oggi in una crisi culturale di questo genere, profondamente dilacerati da conflitti e dissonanze interne, prima ancora di essere frustrati o alienati per la forza delle circostanze esterne. Ed è qui che la diagnosi filosofica e quella psicologica del nostro malessere coincidono. Relativismo storicistico ed esistenzialismo, il sentirsi prigionieri in una "gabbia di acciaio" (per riprendere la famosa immagine di Max Weber) e d'altro lato il sentirsi sradicati e in preda all'angoscia nel vuoto culturale prodotto dal crollo delle tradizioni, tutto ciò corrisponde puntualmente alla crisi inevitabile di quel modello di "uomo bianco, adulto, civilizzato", che aveva costituito l'oggetto della psicologia del secolo XIX, ma' che era stato poi sempre più relativizzato e problematizzato dalle correnti psicologiche, psicoanalitiche e sociologiche del nostro secolo. La tendenza "verso il concreto", lo sviluppo di correnti intuizionistiche ed empiristiche, e lo stesso ere. sc{!nte interesse per il linguaggio, denotano in fondo un comune senso di stanchezza e diffidenza verso un mondo di prodotti e sedimentazioni culturali, di formulazioni concettuali e linguistiche, che hanno perso ogni più diretto contatto con la vita. Certamente, noi viviamo nell'orizzonte sicurizzante di una cultura, che categorizza per noi l'ambiente rendendolo familiare ed idoneo all'esplicarsi delle nostre attività e volizioni; il che è quanto dire che noi viviamo in un mondo umano: ma questo mondo umano può diventare rigido, convenzionale e sclerotizzato, e può sorgere un momento in cui non siamo più capaci di sentire con convinzione i suoi valori, di decifrare i suoi simboli, di convertire in esperienza vissuta (in "evidenza") i suoi enunciati. E avvertiamo il bisogno di esplorare e descrivere altri mondi, di risvegliare 11
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altre energie psichiche, forse represse o sopite sotto la pesante coltre delle abitudini mentali e dei pregiudizi sociali. Gli stessi problemi filosofici possono apparire problemi mal posti, pseudo-problemi, dovuti a dicotomie artificiali, ad arbitrarie formulazioni concettuali, o a deviazioni ed estrapolazioni dell'uso normale del linguaggio ordinario. La fenome11ologia husserliana è stato forse il movimento filos6fico che ha espresso con maggiore profondità la totalità di questi motivi, ma in una maniera sovraccarica, oscura e confusa che ha dato luogo alle più svariate interpretazioni, divergenze e polemiche. In realtà, queste esigenze hanno trovato assai più chiara espressione nel neopo~itivismo e nella filosofia analitica da un lato, e nello straordinario sviluppo delle scienze umane dall'altro. Proprio nel momento in cui la fenomenologia di Husserl si cimentava con gli ardui proplemi metodologici collegati al positivismo ottecentesco o suscitati dal relativismo storicistico, le scienze umane (e prima fra queste la psicologia) stavano rompendo gli argini che le tenevano prigioniere dei vecchi schemi e ancorate alla concezione ormai consacrata dell' "uomo bianco, adulto, civilizzato". I grandi motivi ispiratort deila prima fenomenologia husserliana, la critica dei pregiudizi, la riabilitazione dell'intuizione, l'esigenza descrittiva e l'espiorazione delle possibilità coscienziali, il metodo delle variazioni immaginative, erano attuati di fatto nelle ricerche, nelle esplorazioni e nelle descrizioni operate da,lla psicologia dell'infanzia, dalla psicoanalisi, dalla psicopatologia dalla sociologia e dalla antropoogia culturale, che da varie parti problematizzavano e relativizzavano quelle selezioni e limitazioni caratterizzanti la "mentalità di base" propria della "civiltà occidentale". E quand'anche, in una seconda fase, la fenomenologia husserliana ha tematizzato il "mondo della vita" e ha richiamato la nostra attenzione sulle 12
Introduzione all'edizione italiana
ìmportanti nozioni del precategoriale e dell'antepredicativo, non si vede dove in realtà tali riflessioni e ricerche possano trovare luogo più adatto per una loro sistematica e feconda esplicitazione che nel campo della psicologia infantile, della psicoanalisi e della psicopatologia, che tutte egualmente si sforzano di scoprire e descrivere livelli, manifestazioni e forme diverse del nostro psichismo, vincendo le resistenze che si oppongono alla loro presa di coscienza.
Le « interpretazioni negative » nel campo della psicologia infantile e l'esigenza fenomenologica della comprensione
Queste brevi considerazioni spiegano il grande interesse dei corsi di Merleau-Ponty alla Sorbonne. Questi corsi sono di carattere elementare, e sono stati raccolti dagli studenti e, benché approvati, mai sistematicamente rielaborati dall'autore; essi sono stati pubblicati prima sotto forma di dispense dal "Centre de documentation universitaire", e poi pubblicati nel « Bulletin de Psychologie », che ha poi raccolto e ripubblicato sette di questi corsi in un numero speciale del 1964 (tome VIII, 3-6, n. 236). Benché, questi corsi, così come ci è dato leggerli, siano pieni di errori di stampa e di ripetizioni, e abbiano forse poco da dire allo psicologo specialista, essi sono tuttavia ammirevoli - a nostro avviso - per la limpidità e la freschezza, e per la chiarezza che li distingue dalle altre opere pubblicate, spesso oscure e difficili, e impiantate quasi unicamente sulla critica e sulla polemica con altri indirizzi di pensiero. Il fatto di rivolgersi direttamente agli studenti col desiderio di e5sere capito, e di essere scevro dalle inevitabili preoccupazioni e abitudini accademiche presenti nella composizione delle opere maggiori, ha reso queste dispense facili e traspa13
Il bambino e gli altri
renti, ma per questo stesso motivo assai interessanti e significative da un punto di vista metodologico. Che cosa la filosofia può dare alla psicologia? In che cosa la formazione filosofica, e più specificatamente fenomenologica, di Merleau-Ponty condiziona e feconda la sua trattazione psicologica? Siffatte questioni presentano forse un maggiore interesse per il filosofo che per lo psicologo, ma esse meritano comunque di essere discusse per la viva luce che proiettano sulla evoluzione del pensiero contemporaneo. Per quanto, come osservavo, Merleau-Ponty sia sempre vissuto nelle polemiche (e sia stato questo, in un certo senso, il suo destino culturale), e per quanto le polemiche siano tutt'altro che ,assenti anche in questi corsi, tuttavia esse sono assai meno vive (e vorrei aggiungere, fastidiose) in queste dispense, che sono dominate invece da un profondo senso interdisciplinare, per qul:lnto concerne l'unità delle scienze umane, e soprattutto dal fondamentale riconoscimento di una "spontanea convergenza" fra la psicologia e la fenomenologia. Parlando di Husserl, di Scheler e di Heidegger, Merleau-Ponty dice espressamente: « Bi!ì,pgna ora vedere come deliberatamente, o senza averlo cercato, la psicologia da trent'anni a questa parte si orienta nella teoria e nella pratica verso ricerche di questo genere » ( «'Bulletin », cit., pp. 142, 152). Per chi conosca le innumerevoli discussioni che ci sono state sui rapporti fra psicologia e fenomenologia, una sill'!,ile dichiarazione è importante e meritava di essere citata. :M:a questa tesi riguarda non la sola psicologia, ma tutte le scienze umane nel loro indissolubile nesso, ed è questa prospettiva metodologica unitaria che va come prima cosa messa in luce. · La psicologia dell'infanzia è una parte della psicologia: è questo un truismo, ma anche un truismo pericoloso e in-
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Introduzione all'edizione italiana
gannevole. Se la psicologia a cui si allude è quella dell' "uomo bianco, adulto, civilizzato" (e, sottinteso, normale), allora l'apertura di questa psicologia verso l'infanzia non è sufficiente, ma va allargata e integrata - appunto in una prospettiva unitaria - verso lo studio del malato e del primitivo: psicopatologia e antropologia culturale sono, da questo punto di vista, sullo stesso piede con la psicologia dell'infanzia, comunque si possano precisare questi rapporti, o meglio comunque si debbano poi interpretare le analogie fra il bambino (che non ha ancora completato il suo sviluppo psichico), il malato (che si è arrestato o è regredito a una fase precedente dello sviluppo già raggiunto), e il primitivo (che si è sviluppato in un ambiente culturale tecnicamente assai meno progredito e in ogni caso essenzialmente diverso dal nostro). Merleau-Ponty mette spesso in guardia contro troppo facili interpretazioni evoluzionistiche di queste analogie, come vedremo anche in seguito, ma l'essenziale in ogni caso è che egli tenga presente l'intero orizzonte costituito dall'insieme di queste discipline, e scorga la sostanziale identità del loro problema metodologico. « In psicologia dell'infanzia, come in psicopatologia, in psicologia dei primitivi e in psicologia della donna, l'oggetto da conoscere è in una situazione così differente da quella dell'osservatore che è difficile coglierlo com'esso è. Quando noi consideriamo un bambino, è difficile sottrarre dal suo comportamento ciò che dipende dalla nostra presenza di adulto » (p. 109). Prescindendo dalla singolare aggiunta della psicologia femminile, su cui l'autore torna più volte nei suoi corsi (a proposito della distinzione fra maschile e femminile), questo brano è molto significativo, perché pone con grande chiarezza il problema dell'oggetto da conoscere e dei nuovi rapporti con la nostra personalità maschile adulta: ed è a que15
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sto punto che possiamo cominciare ad intendere le esigenze metodologiche proprie (anche se non esclusive) della fenomenologia e la loro importanza per il rinnovamento della psicologia. La prima cosa, a questo riguardo, è il rispetto dell'oggetto, l'esigenza descrittiva-comprensiva, che è adombrata nel celebre motto husserliano "alle cose stesse" (zu den Sachen11 selbst) e· che si contrappone alla esigenza della spiegazione scientifica di tipo riduzionistico. In realtà noi ci avviciniamo agli oggetti da comprendere non veramente liberi da pregiudizi, ma .avendo già in mente un modello precostituito dell'oggetto da conoscere, modello che fornisce il termine; di rif erirp.ento per le nostre interpretaziòni e i nostri giudizi. Noi, in fondo, partiamo sempre dal tacito presupposto dell'uomo normale "bianco, adulto, civilizzato", anche quando si tratta di studiare dei malati, dei bambini e dei primitivi (degli "altri" rispetto al nostro termine di riferimento): così facendo, partendo da questo tacito presupposto concernente i rapporti fra l'osservatore e l'oggetto da osservare, noi non siamo più in grado di comprendere e di descriv~e positivamente i singoli casi, ma solo negativamente o per sottrazione (p. 109). « Esempio dell'afasia: essa fu all'inizio caratterizzata mediante la scomparsa di certi contenuti di condotta, di certe immagini verbali. Ora, in realtà, vi è nell'afasia cambiamento nella struttura interna del linguaggio; il fenomeno che si produce è molto più profondo, più centrale: vi è caduta del comportamento da un certo livello complesso a un livello più semplice e rudimentale. Questo non appariva prima perché la medicina poneva all'organismo malato le questioni -che corrispondono alle attività del normale; essa. non poteva pertanto definire la malattia che per sottrazione di contenuti e non poteva comprenderla» (p. 109). 16
Introduzione all'edizione italiana
Altro esempio, concernente le note ricerche di Luquet sul disegno infantile: « Esse descrivono il disegno infantile confrontandolo (par rapport) col disegno dell'adulto, vale a dire col disegno in prospettiva. Esse caratterizzano dunque i procedimenti del disegno infantile in maniera negativa. Il bambino non rappresenta ciò che egli vede, ma ciò che egli sa. Ora Luquet ha costruito ciò che il bambino vede in base a ciò che lui stesso, Luquet, si figura che il bambino dovrebbe vedere. Ma il disegno in prospettiva è una conquista della nostra storia e non un dato della nostra percezione. Vi sono varie "prospettive" possibili. Al contrario, se si affronta il problema della percezione del bambino in maniera positiva, la prospettiva dell'adulto ci appare allora come un caso particolare di un procedimento di espressione» (p. 115). Non entro in merito a una questione così delicata, ma da un punto di vista metodologico è assai interessante notare questo carattere di negatività attribuito dal MerleauPonty alle interpretazioni del Luquet. « Il rapporto disegno-oggetto non è messo in questione dal Luquet. Il disegno è definito in base a ciò che è il disegno dell'adulto: il disegno infantile è un disegno d'adulto mancato. Le spiegazioni che dà Luquet sulle "imperfezioni del disegno infantile" sono tutte negative: inattenzione, incapacità sintetica. Ora il disegno che fa il bambino è veramente un disegno mancato, non sarebbe piuttosto un'altra cosa? » (p. 130). « Questa interpret1:!zione negativa postula che il "disegno vero" potrebbe essere già dato al bambino, se costui facesse abbastanza attenzione. Il bambino non guarda come dovrebbe guardare. L'oggetto è permanente, esso è dunque lo stesso per il bambino e per l'adulto e tutto pronto per essere percepito dal bambino se egli volesse guardarlo » (p. 131). « Il diseg·no del bambino è sempre definito 17
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negativamente, tutte le sue particolarità considerate altret, tante mancanze... La difficoltà viene dal fatto che Luquet studia il disegnb nella sola prospettiva del "realismo visuale" al quale il bambino deve arrivare, che egli giudica tutto in rapporto a un avvenire ideale... Non prendendo il dise-. gno infantile come esso si presenta, ma giudicandolo in rapport9 all'avv(;)nire adulto, la sua descrizione è necessariamente' negativa, già nei termini scelti (fortuit, raté) » (p. 189190). Luquet ricorre, per spiegare questo mancato raggiungimento del realismo visuale da parte del bambino, a un diIetto. di attenzione, ma proprio a questo proposito emerge il contrasto fra. la psicologia classica e la psic6logia contemporanea. « Una serie di percezioni essendo data, la psicologia classica postula che le percezioni le più articolate esistono già nella visione confusa, solo che esse non sono sempre rischia' rate dall'attenzione .. In realtà bisogna ammettere che nell'attenzione non si tratta mai di un'illuminazione (éclairage) differente dalle stesse percezioni, ma di un cambiamento di struffura · del campo percettivo... La descrizione negativa di Luquet è fondata su questo postulato che è precisamente in questione: e cioè che la percezione corrisponde di diritto rigorosamente al mondo .esterno dell'adulto e che per conseguenza il bambino deve per principio. percepire nello stesso modo di noi» (p. 190). Ritorneremo .su questo punto fondamentale (per chiarire il passaggio da "negativo" a "positivo"), ma intanto vorrei osservare che questa critica di Merleau-Ponty ha una portata generale, ed è estesa anche al Piaget: « Nella sua analisi, Piaget dichiara che egli non persegue uno studio del pensiero infantile per se stesso, ma che .
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Introduzione all'edizione italiana
egli procede a una messa in contrasto (mise en contraste) di questo pensiero con le concezioni adulte, esse stesse identificate con quelle dello scienziato. Egli prende come criterio del pensiero 'adulto le "verità del senso comune" e certi principi della fisica classica che l'insegnamento ha volgarizzato ... Noi dovremmo chiederci se questo postulato esplicito non costringa Piaget a caratterizzare in una maniera tutta negativa il pensiero infantile» (p. 199). Queste riserve non mirano certo a sminuire la grande importanza delle ricerche sperimentali del Piaget, e ci sarebbe inoltre da chiedersi fino a che punto siano giuste, ma esse sono interessanti comunque per la luce che proiettano sul problema generale della comprensione dell'alterità, rapprenon solo dai bambini, ma anche dai cosiddetti primisentata . tivi e dai malati mentali. Introducendo il termine "struttura" Merleau-Ponty dice espressamente: « La coscienza infantile si differenzia da quella dell'adulto non solo per il suo contenuto ma per la sua organizzazione. Il bambino non è, come si pensava in altri tempi, un "adulto in miniatura", con una coscienza simile a quella dell'adulto ma incompleta, imperfetta. Questa idea è puramente negativa. Il bambino possiede un altro equilibrio, bisogna trattare la coscienza infantile come un fenomeno positivo » (p. 171). E questa netta esigenza metodologica, di chiara ispirazione fenomenologica, non deve essere limitata alla sola psicologia infantile, ma dev'essere estesa anche allo studio della coscienza primitiva e della coscienza patologica (morbide), le quali non vanno interpretate e giudicate esclusivamente in base al loro rapporto con noi, ma in se stesse, nella loro originaria specificità, come espressioni pienamente significative di diversi rapporti col mondo (p. 171). ,
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La concezione generalizzante della scienza e il problema dell'individuo
Giunti a questo punto c'è da chiedersi il perché di tante "interpretazioni negative", presenti - anche se in misura sempre più limitata - nelle varie scienze umane. Una i;isposta, quasi ovvia, è che queste interpretazioni negative costituiscdho, in f~ndo, delle "misure di difesa" (dei "meccanismi di difesa") della nostra cultura, della nostra "mentalità di base", di fronte alla minaccia rappresentata dal relativismo. Noi giudichiamo gli altri secondo certi criteri socialmente stabiliti per non essere giudicati noi stessi, per non essere: messi in questione, e poter conservare così la nostra autostima e la nostra sicurezza: e questa preoccupazione costante di mantenere intatta l'immagine che ci siamo fatta di noi stessi, e di non rischiare di comprometterla nel confronto con gli altri, è certo tra· le motivazioni più diffuse dei nostri giudizi e delle nostre interpretazioni. Ma ora, da un punto di vista metodologico, è più importante per noi renderci conto di come siano proprio la concezione tradizionale della ,.scienza, gli ideali di oggettività, universalità e causalità, certe dicotomie e antitesi codificate e istituzionalizzate nel linguaggio, a orientare la ricerca in un certo modo, e per converso· a compromettere una più adeguata comprensione dell'alterità nel campo delle scienze umane. La polemica della fenomenologia contro l'atteggiamento naturalistico oggettivante e generalizzante non ha in fondo altra ragion d'essere; ma, anche se oggi la situazione nel campo della psicologia è ben diversa da come si presentava agli inizi del secolo, e tale polemica è diventata perciò in gran parte anacronistica e ingiustificata, può essere tuttavia ugualmente istruttivo enuclearne i motivi e le esigenze di fondo. La concezione tradizionale della scienza, derivante da 20
Introduzione all'edizione italiana
Aristotele, si è in gran parte protratta fino a tutto il positivismo, arrivando fino a noi; e ciò non per semplice forza d'inerzia, ma perché essa ha costituito un modello funzionale e valido, capace d'inglobare le successive trasformazioni e scoperte scientifiche. Ciò che la caratterizza sono in primo luogo i suoi ideali di oggettività e di generalità, e l'importanza centrale attribuita alla causalità. L'oggettività della conoscenza (questo requisito fondamentale della conoscenza scientifica) presuppone l'oggettività ontologica, cioè una struttura essenziale, razionale e conoscibile, dell'oggetto da conoscere: da questo punto di vista, squisitamente realistico, la scienza si distingue dall'opinione proprio in quanto riesce a dominare o a imbrigliare ogni relativismo e prospettivismo. La generalità della conoscenza scientifica è un altro aspetto di questa impostazione epistemologica, la quale tende a vedere nel particolare il generale, nel caso singolo la concretizzazione di una forma, l'esemplificazione di un modello o l'applicazione di una legge: l'interesse per l'individuale è quindi secondario, quello che conta è la sua conformità o meno a una norma ontologica e concettuale. La casualità è il grande strumento per articolare questa rete razionale e quella trama di rapporti in base a cui casi singolari vengono sussunti sotto leggi generali. Questa epistemologia, impastatasi in gran parte con l'uso del linguaggio e col complesso delle nostre abitudini mentali, ha costituito indubbiamente uno dei massimi cardini della cultura occidentale; senza l'educazione intellettuale ereditata dall'antichità, anche se spesso in lotta con essa, non ci sarebbe stata nemmeno la scienza moderna; d'altro lato, nel corso della filosofia moderna si sono andate sempre più evidenziando le gravi difficoltà connesse con l'assunzione di rigide dicotomie e classificazioni concettuali, costituenti in gran parte l'ossatura del patrimonio culturale tradizionale. 21
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Queste osservazioni, sia pure eccessivamente schematiche, erano tuttavia indispensabili per enucleare con esattezza il difficile problema metodologico delle scienze· umane, che mirano da una parte alla forma della scientificità e d'altra parte alla comprensione dell'individuo. MerleauPonty è estremamente sensibile a questo problema, che resta sempre nello sfondo dei suoi corsi. « :Si pensa ·comunemente che vi è scienza quando la psi. cologia arriva a certe regolarità. La regolarità, la frequenza sono i criteri di una ricerca scientifica. Questo pregiudizio ha come conseguenza di abbandonare alla letteratura, intesa in un senso peggiorativo, ogni fatto ·individuale» (p. 116). Se,nonché è,proprio questo pregiudizio del ·generale che va messo in questione; esso porta, fra l'altro, all'esclusione dei casi patologici: « Questo modo di pensare è un modo prescientifico, che divide i malati e gli uomini sani. Si dice comunemente: "è una situazione eccezionale" e "l'eccezione confernia la regola"; ora questa è una contraddizione, perché al contrario essa la invalida. Di fatto questi "slogans" mostrano il nostro pregiudizio a pensare che non vi è scienza che del generale » (p. 117). Ora, è proprio questo pregiudizio che va rovesciato: « La · ricerca delle leggi non basta a caratterizzare la scienza, se queste leggi sono intese nel senso di generalità astratta ... Non c'è verità che nel momento in cui s'è raggiunto il centro della personalità » (p. 117). Lungi quindi dal dire che l'individuo non può essere conosciuto scientificamente, bisogna ribattere che è una cattiva scienza quella che non permette di comprendere l'individuo. E' solo la persistenza di vecchie abitudini intellettuali (come la rigida contrapposizione fra scienza e storia) che può far apparire questa tesi paradossale; ma questo è un 22
Introduzione all'edizione italiana
punto fondamentale perché riguarda il concetto stesso della scienza, gli ideali e i compiti che noi possiamo assegnare alla scienza, e l'uso che facciamo di questa parola. Ed è molto significativo, a mio avviso, che Merleau-Ponty si ispiri a questo proposito al famoso saggio di Kurt Lewin sul "metodo aristotelico e metodo galileiano in psicologia", che ha il merito di dimostrare in qual senso l'esigenza della comprensione in psicologia abbia un preciso carattere scientifico e presenti delle ànalogie col metodo galileiano. « Quali sono i principi di questo pensiero "galileiano"? In primo luogo l'omogeneizzazione del campo di ricerche. Il mondo fisico per Galileo è omogeneo: ciò che avviene nelle stelle, alla superficie del mare, quando una pietra cade, tutte queste cose invece di costituire dei fenomeni disgiunti nello spazio sopralunare o sublunare, sono degli aspetti di una stessa serie. Invece di pensare per classe biso· gna pensare per serie » (p. 117). « Non bisogna sacrificare la diversità dei fatti, ma comprenderla: i fatti normali e patologici, dell'uomo e della donna, dell'adulto e del bambino devono essere considerati - non come identici - ma come facenti parte della stessa serie» (p.117). « Bisogna omogeneizzare nel senso della varietà delle risposte a una situazione. Bisogna considerare che c'è un universo della psicologia di · cui fanno parte il malato, il primitivo, l'uomo, la donna, etc. Le leggi psicologiche non saranno mai delle sequenze di fatti che si ritrovano ovunque. La psicologia scientifica esisterà quando sarà in condizione di comprendere le diverse vite (dei primitivi, adulti, bambini...) come dei sistemi paralleli rispondenti allo stesso problema con dei mezzi differenti, con delle logiche parallele » (p. 118). In questo modo è possibile reintegrare anche le nozioni di valore e significato: « Ciò che è scientifico non è di eliminare qualità, valore
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Il bambino e gli altri
o significato, è di considerare i fatti in un contesto, ogni condotta in psicologia è una risposta orientata su una situazione » (p. 118). Le nozioni di campo, di contesto, di situazione (così profondaménte valorizzate nella psicologia topologica di Lewin) costituiscono la vera alternativa alla concezione generalizzante della scienza e rappresentano pertanto, al di là della polemilj!a sterile;· il vero luogo d'incontro, e quindi di "convergenza", fra fenomenologia e psicologia; ed è per questo che l'interesse dimostrato da Merleau-Ponty per Lewin è così significativo. La psicologia topologica, se non vuole ovviamente eliminare, tende a controbilanciare la statistica, a superare la unilateralità e l'estrinsecità di un, approccio esclusi vilmente statistico; definendo il "campo", essa permette di comprendere bene l'individualità della risposta; e in questo consiste l'analogia col metodo galileiano che « concepisce la dinamica del fenomeno come legata alla situazione» (p. 119). 'La specificità dell'individuo consiste proprio nel modo in cui egli s~ruttura il campo nel quale si esplica la sua condotta; da qtiesto punto di vista non basta chiedersi come l'individuo è fatto dal mondo, ma bisogna anche chiedersi' chè cosa egli fa del mondo, come cioè egli configura e interpreta l'ambiente in cui vive, come risponde agli stimoli a cui è esposto e organizza i suoi rapporti con gli altri; ed è solo così che si può avere una comprensione autonoma, positiva, che non si esaurisca nella inserzione in una media statistica o nel confronto con un modello estrinseco. La concezione oggettivistica della conoscenza e il rapporto fra soggetto e oggetto
Ma vi sono altri presupposti che, per quanto metodologicamente operanti e utili nella costituzione della scienza 24
Introduzione all'edizione italiana
naturale moderna, non si lasciano estendere al campo delle scienze umane, ove diventano uno dei maggiori ostacoli alla comprensione: fra questi presupposti: fra loro strettamente connessi, bisogna ricordare l'ideale di un rigido oggettivismo, la separazione fra soggettività e oggettività, e l'eliminazione del ruolo mediatore del corpo. Se si mira a una conoscenza della natura oggettiva (cosa certamente possibile, entro ampi limiti e fino all'avvento della fisica contempora11ea), allora è ovvio che si cerchi di eliminare tutte le tracce soggettivistiche e gli influssi dovuti alla mediazione corporea: il metodo consisterà nel selezionare certe informazioni e nell'elaborarle concettualmente, in modo da poter programmare ed eseguire degli esperimenti che confermino la teoria. Ma se invece si mira alla comprensione della personalità, un simile atteggiamento metodologico non può portare che ad una impasse, perché dell'altro non sono oggettivisticamente conoscibili che le reazioni agli stimoli, i comportamenti esterni e le cause neurofisiologiche che determinano questi comportamenti; la vita intima del soggetto rimane inattingibile, a meno di non affidarsi a un'intuizione di tipo bergsoniano, incapace tuttavia (per la mancanza del concetto di struttura) di costituire una valida alternativa o integrazione della psicologia scientifica (pp. 153-154, 163165). E sono ben note, del resto, (perché hanno riempito -secoli di storia) le insuperabili antinomie e le infinite polemiche che sono scaturite dalla rigida contrapposizione fra soggettivo e oggettivo, che pure ha rappresentato - per altri aspetti - un valido caposaldo della metodologia scientifica. Il tacito presupposto che sostiene l'ideale oggettivistico della conoscenza è la cosidetta ipotesi di costanza dell'oggetto (pp. 131, 190, 206); Merleau-Ponty lo spiega chiaramente riferendosi alle interpretazioni del disegno infantile dovute a Luquet.
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I postulati che troviamo alla base di questa interpretazione sono stati criticati dalla teoria della forma. Noi possiamo enunciarli così: per uno stesso oggetto, la percezione che ne risulta dovrebbe essere in linea di principio la stessa. Le Variazioni fra la percezione del bambino e quella dell'adulto non sono attribuibili che a delle differenze di attenzione. Questo concetto di attenzione è costruito per rendere c9nto delle differenze di percezione fra il bambino e l'adulto, per rendere conto dello scarto fra l'oggetto come io dovrei percepirlo e l'oggetto come io lo vedo di fatto. Questa nozione di attenzione sembra solidale con l'ipotesi di costanza dell'oggetto. Se vi si rinunzia la nozione d'atten; zione cambia senso... La teoria della forma ha messo in _ rilievo l'esistenza di una strutturazione propria agli indivi- · dui della categoria adulti o bambini, e, se si respinge l'ipotesi della costanza dell'oggetto, l'attenzione si trova ridotta a un nome astratto per designare i cambiamenti di strutturazione che intervengono nella nostra percezione. Non ~i tratta di un'attenzione che illumini più o meno un campo immutabile, ma di un potere di ristrutturazione (restructure), di fare apparire delle componenti del paesaggio che non esistevano ".fenomenalmente [ cioè, per il soggetto]. Non vi è dunque maggiore illuminazione di dettagli preesistenti, ma trasformaziçme dell'oggetto» (p. 131; cfr. p. 190). Arriviamo con ciò al punto chiave per la "neutralizzazione delle antinomie" (anima-corpo, esterno-interno, mentalismo-materialismo) (p. 155) che hanno pesantemente gravato su tutto il pensiero moderno, e in particolare sullo sviluppò della psicologia, nella quale maggiormente esplodeva la contraddizione fra l'ideale oggettivistico del metodo scientifico e la natura inevitabilmente soggettiva dell'oggetto da conoscere. Proprio mettendosi da un punto di vista comportamen«
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tistico e studiando le reazioni dell'organismo agli stimoli dell'ambiente, non si tarda a dover riconoscere che la varietà delle risposte riflette una diversa percezione (interpretazione e valutazione soggettiva) dell'ambiente. E' stato il grande merito di Koffka di aver messo chiaramente in luce la distinzione fra ambiente geografico e ambiente di comportamento: « La nozione di ambiente geografico definisce l'insieme delle realtà effettive nelle quali l'individuo si muove, la nozione di ambiente di comportamento, l'insieme delle realtà nelle quali egli crede di muoversi: questa distinzione è vaida in tutti i casi, qualunque cosa si pensi della coscienza » (p. 155). « Bisogna distinguere parallelamente fra risposta geografica e comportamento. Siano messi tre topi in un labirinto, ed escano tutti e tre daL labirinto: le loro risposte geografiche sono identiche. Ma una descrizione, o un'analisi di questi tre comportamenti, permette di distinguere fra un comportamento di eccitazione per l'uno, di ricerca di nutrimento per l'altro, di pura esplorazione per il terzo » (p. 156). Si fa strada, come si vede, l'esigenza descrittiva propria della fenomenologia: « Risulta da ciò che precede che noi dobbiamo ammettere l'originalità descrittiva del comportamento e della condotta, relativamente alle loro infrastrutture "geografiche" » (p. 157); « noi non siamo più in presenza di una psicologia oggettivista, ma di una psicologia che esamina il contenuto del comportamento per coglierne il senso » (p. 158). Noi non viviamo (nel senso pieno della parola) in un ambiente geografico, indifferente, ma in un mondo percepito, in un mondo fenomenico . (phénoménal), e « la fenomenologia è dunque (Koffka usa il termine) lo studio siste-
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matico di questa esperienza vissuta, descrizione ingenua e quanto più piena è possibile dell'esperienza diretta » (p. 158).
La stessa istanza fenomenologica si trova negli studi di Goldstein sull'afasia: « Goldstein distinse dei gesti· che, a prima vista, sono sovrapponibili (cfr. malati del cervello per i quali i movimenti di pressiohe sono possibili, ma le condotte di designazione impossibili). Ciò che è decisivo, non sono gli elementi di cui si compone il comportamento, è il senso interno della condotta: l'intenzionalità del "mostrare" si deve distinguere da qu~lla del "prendere". Si deve poter prendere in considerazione una differenza di valore o di -livello nel comportamento» (pp. 158-159). « Il problema che si pone allora consiste nel distinguere i rapporti fra il mondo geografico e il campo del comportamento», e si comprende dopo questa « rivoluzione (bouleversement) delle nozioni metodologiche abituali » che questi rapporti non possono essere esplorati o esauriti sotto forma di "casualità", la quale viene a dissimulare e a svuotate di senso la concreta "attività" con cui l'org~nis'mo reagisce al suo ambiente (pp. 155, 159). In questo modo si. viene a superare la grande alternativa esistente fra empirismo oggettivista e introspezionismo soggettivista (pp. 154, 161-163). Da un lato l'introspezionismo tende bensì a salvaguardare l'esperienza soggettiva, basandosi sull'idea di un accesso immediato allo psichismo individuale; ma questa nozione è inaccettabile « perché la conoscenza che noi abbiamo di noi stessi (de soi par soi) è indiretta; essa è una costruzione. Non ci si può fidare di una impressione immediata; mi occorre decifrare la mia condotta, come io decifro quella dell'altro>> (p. 161). D'altro lato il behaviorismo si limita a considerare il comporta-
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mento dal punto di vista esterno, esplicantesi nello spazio fisico, come effetto (risposta) osservabile riconducibile a cause (stimoli) osservabili, trascurando però ogni significato che il comportamento può avere per il soggetto che lo compie. Senonché, come conclude Merleau-Ponty: « Non vi è psicologia al livello dell'immediatamente vissuto, ma neanche al livello del mondo geografico: lo psichico è fra i due» (p. 163). La difficoltà metodologica della psicologia (ciò che l'espone alla alternativa) dipende dal fatto che essa vuole applicare un metodo inadatto a un soggetto che sfugge al metodo; in simili circostanze, o si fa violenza al metodo, o si fa violenza al soggetto. La via d'uscita dal dilemma (chiaramente indicata dall'autore) consiste nel riconsiderare l'oggetto specifico della psicologia, che non può essere né il soggetto chiuso in se stesso, né il comportamento esplican,tesi nello spazio fisico, ma qualcosa che sta "fra i due", cioè il comportamento vissuto, pieno di significato, esplicantesi nel mondo fenomenico. E' il campo "fenomenico", in quanto legato alla personalità, e da non confondersi .con la "durata" bergsoniana (p. 163), che diventa il nuovo obbietto della descrizione: e sono i concetti di struttura e motivazione, al posto del concetto di causalità, che conferiscono alla descrizione un carattere scientifico (p. 164). Come scrive in un altro punto Merleau-Ponty, « si può fare un cattivo uso della nozione di oggettività» (p. 114), ed è proprio l'ideale oggettivistico della conoscenza che impedisce di comprendere a pieno la distinzione fra "ambiente geografico" e "ambiente fenomenico", e quindi di descrivere adeguatamente l'esperienza vissuta del soggetto quale si esplica in un mondo non propriamente oggettivo, ma oggettivato, tramite un processo di elaborazione soggettiva dei dati ambientali (pp. 162-164). 29
Il bambino e gli altri
Ma vi è ancora un altro punto importante da sottolineare, per comprendere quella "neutralizzazione delle antinomie" di cui parla l'autore, ed esso riguarda il concetto del "corpo"; è, in effetto, nell'esperienza vissuta del proprio corpo, e nella reciproca implicazione fra percezione e motricità (p. 175), che si attua quella mediazione fra soggettivo e oggettivo di cui si è parlato finora. Ora, in generale, « i fisie>logi affrbntano i loro oggetti già con certi presupposti di ciò che deve essere il corpo. Se si vuole studiarlo scientificamente, si è costretti a concepirlo come un caso particolare della materia. E se lo si considera come una massa di materia in funzionamento, [allora] una quantità di attributi o di predicati saranno svalorizzati e respinti come non scientifici. Tutto ciò che nello spettacolo del comporta0 mento evoca delle differenze di qualità o di significato, ogni descrizione del comportamento che tenga conto dei diffe, renti livelli di significato, tutto 'ciò è una descrizione ingenua, perché non si riferisce in ultima analisi a diverse com· binazioni di elementi symplici. I pregiudi:z:i meccanicisti vogliono, in effetto, che l'oggettività sia confusa con l'analisi in elementi..,semplici » (p. 165). Com'è noto, l'autore ha criticato a lungo - nelle altre sue opere - questo atteggiamento oggettivistico nei confronti del proprio corpo, che forse è il principale obbietto sul quale gravano, per una quantità di ragioni, i presupposti tradizionali; e si può anche dire, a questo proposito, che il recupero fenomenologico dell'esperienza del "corpo proprio" abbia costituito uno dei motivi centrali della sua riflessione e il contributo principale apportato al rinnovamento del pensiero contemporaneo. Qui non è il caso di diffondersi sul1'argomento, che andava comunque richiamato per la sua importanza nel contesto delle precedenti osservazioni. 30
Introduzione all'edizione italiana
Metafisica evoluzionistica e relativismo culturale
Dobbiamo considerare ancora un altro presupposto che impedisce la piena e libera espansione di una psicologia d'ispirazione fenomenologica: e si tratta .di un presupposto più difficile a discernere, perché riguarda proprio quegli psicologi che più hanno fatto per ampliare i nostri orizzonti e per indurci all'aperto riconoscimento della varietà delle forme di esperienza e al loto studio sistematico. Si tratta del sottile influsso esercitato dalla metafisica evoluzionistica (e ciò non solo nella psicologia, ma anche nella etnologia e nella psicopatologia); perché essa, se da un lato ha servito da stimolo al riconoscimento della relatività, ha d'altro lato ugualmente contribuito a inquadrare e a imbrigliare questa relatività secondo un decorso evolutivo fisso, avente come termine di sbocco e di riferimento obbligato proprio quell'immagine dell' "uomo bianco, adulto, civilizzato" che lo evoluzionismo stesso (per il suo aspetto storicistico) aveva tanto contribuito a relativizzare. La critica del Merleau-Ponty si rivolge soprattutto al Piaget, e alla sua teoria degli stadi evolutivi, con un'insistenza che non si spiega se non in virtù dell'importanza stessa dell'opera del Piaget; tale critica, comunque, non si comprende a fondo fino a che non si avvicina a quella (sia pure appena abbozzata) rivolta per analoghimotivi a Lévy-Bruhl, a Jackson e a Head (p. 173). La grossa questione riguarda la nozione di sviluppo filogenetico, e quindi l'interpretazione dei rapporti fra bambino e malato, e fra bambino e primitivo, alla luce di tale nozione (pp. 172-174); bambini, malati, primitivi, sono proprio gli "altri" che si tratta di comprendere e che (come abbiamo visto) non si possono adeguatamente, positivamente comprendere, fino a che ci si limiti a confrontarli col paradigma precostituito dell'uomo normale "bianco, adulto, civilizzato". 31
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Senonché non è solo questo paradigma (legato a una concezione essenzialista e intemporale dell'uomo) a creare un ostacolo alla comprensione: è anche la teoria dell'evoluzione, per quapto ciò possa a prima vista stupire, e ciò per la ragione semplicissima che essa tende a interpretare l'evolu- . zione in senso deterministico e a porre quel paradigma a termine fisso (predeterminato) di quell'evoluzione medesima. La :piena e autonoma comprensione dell'alterità (rappresentata dai bambini, dai primitivi, dai malati) viene in questo modo compromessa dalla imposizione di questo. schema evoluzionistico, che interpreta in maniera naturalistica e deterministica la successione delle varie fasi di sviluppo. Da questo pUnto di vista, l'adulto è quello che ha cdmpiuto interamente il percorso e che è arrivato in porto, il bambino si trova ancora in cammino con la prospettiva di arrivare, il malato o si è arrestato o è regredito nel suo sviluppo individuale, il primitivo ha una strada più breve da percorrere perché la cultura in cui vive è meno sviluppata. Questa visione è affascinante a prima vista, per la _sua coerenza metodologica, e in gran parte inoppugnabile; essa però, proprio nel suo sforzo metodologico di ricondurre naturalisticamente la varietà all'unità dello sviluppo filogenetico (interpretando le variazioni unicamente in base a un più o meno della scala evolutiva), minimizza l'importanza dei fattori storici e culturali, e impedisce un più adeguato riconoscimento della diversità. In realtà (se ci si sottrae al fascino dell'evoluzionismo) si comprende come sia possibile un altro punto di vista: « Il bambino e il primitivo si rassomiglierebbero semplicemente perché il bambino lascia meglio vedere un certo fondo comune a tutta l'umanità, a partire dal quale si realizzano le diverse selezioni culturali. Presso il bambino si ritrovano in abbozzo tutte le formazioni possibili. Nello stes-
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so senso in cui Freud parla del polimorfismo sessuale del bambino, si potrebbe dire, secondo Lévy-Strauss, che il bambino è socialmente "polimorfo". Alcune di queste formazioni sono inibite nel seguito, mentre nel primitivo possono stabilizzarsi. Questo significa semplicemente che vi è una pluralità di possibilità p1es~c tutti i bambini, civilizzati o primitivi. Delle culture differenti inibiscono o scelgono diversamente. Questa tesi di un polimorfismo infantile noi non possiamo stabilirla qui. La citiamo solamenie per far vedere che l'ipotesi della ricapitolazione [secondo cui "l'ontogenesi è una filogenesi abbreviata"] è lungi dall'essere la sola che rende conto delle somiglianze fra il bambino e il primitivo» (pp. 173-174). Questa tesi del polimorfismo infantile ricorre frequentemente nei corsi di Merleau-Ponty: « Non bisogna concepire il bambino né come un "altro'' assoluto né come "lo stesso di noi", ma come polimorfo (Freud diceva: il bambino è un perverso polimorfo, virtualmente omosessuale etc.). Lévy-Strauss propone di generaliz. zare questa nozione e di ammettere che il bambino è polimorfo dal punto di vista culturale: non c'è ancora una mentalità infantile, ma un polimorfismo infantile. Il bambino non è ancora integrato nella nostra cultura, può presentare delle condotte che ricordano certe condotte patologiche o "primitive". L'apparente somiglianza fra la mentalità patologica e primitiva e la mentalità infantile proviene dal fatto che il bambino non è ancora preso nella formazione culturale che sarà la sua » (p. 111 ). Si precisa così la distinzione fra natura e cultura (p. 111), evitando di confondere fra loro caratteristiche e differenze naturali e culturali (alle quali compete in ogni caso un diverso grado di necessità); e al tempo stesso si rivendica l' "attività d'adattamento" contro una concezione passiva e 33
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deterministica dell'àpprendimento rappresentata soprattutto dalla riflessologia (p. 174), riprendendo così la critica della causalità a cui abbiamo già accennato. In fondo, la prospettiva evoluzionistica rientra ancora nei quadri di una epistemologia generalizzante, e (accentuando il determinismo naturalistico) impedisce di riconoscere e comprendere più a fondo l'attività in base a cui ogni singolo individuo struttura il suo mondo (fénomenico), si adatta e percepisce il suo ambiente, e cerca di risolvere i suoi problemi. In altri termini, una psicologia di tipo oggettivistico si limita a analizzare come l'organismo (considerato nell'ambiente geografico) si matura e apprende a reagire agli stimoli, passando attraverso varie fasi predeterminate di sviluppo del comportamento; mentre invece una psicologia di tipo fenomenologico tende a considerare l'individuo nell'ambiente fenomenico che egli si è costituito, e in questo ambiente (al posto delle reazioni agli stimoli elementari) essa considera soprattutto il modo in cui egli cerca di risolvere i vari problemi che (comuni a tutti in un senso generalissimo) si configurano per ciascuno in un senso particolare; e in tal modo si può pervenire a un riconoscimento molto più adeguato delle singole personal'ità, e quindi a una maggiore comprensione, resa possibile dall'abbandono dell'abitudine a interpretare e a giudicare gli altri unicamente sulla base di schemi prefissati.
Il problema del metodo scientifico e l'istanza fenomenologica nella psicologia
Abbiamo terminato così la sommaria analisi dei tre principali presupposti che hanno gravato sulla psicologia, impedendole di svilupparsi in maniera conforme alla sua più intima vocazione, e cioè la comprensione della personalità. 34
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Di questi tre presupposti, il primo è costituito dalla concezione generalizzante della scienza, che ostacola una più adeguata considerazione dell'individualità; il secondo è rappresentato dalla concezione dell'oggettività (sia per quanto concerne la conoscenza che il reale da conoscere), che ha inviluppato lo studio della soggettività in una rete di difficoltà e antinomie; il terzo è dato dalla metafisica evoluzionistica e dalla sua maniera rigida d'interpretare lo sviluppo evol11tivo, che hanno portato a sottovalutare l'importanza dei fattori culturali. e il ruolo delle iniziative individuali. Questi tre presupposti hanno cioè agito, congruentemente fra loro, in modo tale da compromettere un più adeguato riconoscimento della individualità, soggettività e storicità, che sono tre aspetti fondamentali della vita psichica, e quindi dell'oggetto primario della psicologia. Ma bisogna rendersi esattamente conto di come ciò sia avvenuto: in realtà questi tre presupposti hanno offerto alla psicologia, nel secolo scorso, dei validi criteri metodologici, che le hanno consentito (quand'essa ancora oscillava fra il senso comune e la filosofia speculativa) di svilupparsi nella forma della scientificità, e di configurarsi a sua volta come scienza sperimentale; questo però non è stato possibile che attraverso una riduzione e coartazione del suo oggetto, e ne è risultata - si potrebbe dire - una scientificità deformata a causa della deformazione inevitabilmente subìta dal suo oggetto, nello sforzo che si è compiuto per applicare ad esso un metodo inadatto. Da ciò risult~no anche le innumerevoli polemiche fra psicologia e filosofia, e fra le varie correnti psicologiche che si combattevano fra loro in nome di un rigoroso metodologismo o della fedeltà all'oggetto specifico della psicologia. Le dispense di Merleau-Ponty, malgrado la loro asistematicità, illustrano con grande chiarezza questa situazione, e il 35
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corso dal titolo Le scienze dell'uomo e la fenomenologia affronta direttamente questo argomento. L'autore riconosce apertamente, come abbiamo già visto, la convergenza spon; tanea fra psicologia e fenomenologia (pp. 142, 152), convergenza che è emersa solo negli ultimi decenni, sostituendosi alla rigida contrapposizione che dominava agli inizi del secolo. Allora « c'è stata un'opposizione categorica fra psicologia e fi. losofia, opposizione che non esclude una certa complicità. Un rapporto singolare legava queste due discipline, perché si trovavano in presenza fra loro una maniera astratta di concepire la filosofia - che escludeva la psicologia - e una maniera scientista di concepire la psicologia - che escludeva la filosofia » (p. 152). Una filosofia che si autodefiniva proprio in funzione polemica contro la scienza non ~ra certo la più adatta per comprendere il processo interno di autocritica, maturazione e trasformazione della scienza, processo che era in atto in tutti i settori, e che assumeva una particolare importanza per la metodologia delle scienze umane. Al limite, si potrebbe dire che la· fenomenologia difendeva l'oggetto contro il metodo, ed auspicava il rispetto dell'oggetto, adombrato nel motto di Husserl "alle cose stesse" e coincidente con l'esigenza della comprensione. Ma non si deve sottovalutare il rischio, chiaramente visto da Merleau-Ponty, che per difendere l'oggetto (e cioè l'originalità della vita psichica) e liberarlo dalle strettoie del metodo scientifico, si ricada nelle banalità del senso comune o nelle verbosità della filosofia. Per questo l'autore sottolinea tahto il ruolo metodologico assunto dalla psicologia della forma, l'importanza della nozione di struttura e il significato della distinzione tra ambiente geografico e ambiente vissuto (phénoménal), dovuta a Koffka e a Lewin. 36
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Ma Merleau-Ponty è eg1i stesso più un rappresentante della polemica o della convergenza? Come le sue grandi opere La struttura del comportamento e Fenomenologia della percezione, anche queste dispense sono attraversate e oberate da polemiche e critiche, sia pure col dichiarato intento di liberare la psicologia dalle dicotomie e alternative che hanno generato quelle polemiche. Per mio conto, non posso nascondere un senso di fastidio e stanchezza verso uno stile che non solo ricalca la prevenzione idealistica contro la scienza, ma che riporta continuamente indietro ai temi e ai termini della lotta condotta dal criticismo e dalla fenomenologia contro il naturalismo e lo psicologismo. Oggi la situazione è ben diversa, anche se probabilmente proprio per merito di quelle polemiche che ci appaiono ora così antiquate. Ma Merleau-Ponty, qualunque cosa abbia potuto dire o fare a favore della convergenza, continua a tener viva la polemica e si stenta a capire perché. Quale contributo reale, effettivo, dà egli alla psicologia, in nome e dal pulpito della fenomenologia, che una psicologia più matura e consapevole non possa darsi da sé? Si spiega perfettamente la reazione di Piaget, nella sua vivace opera Sagesse et illusions de la philosophie, contro una psicologia filosofica o fenomenologica che in ultima analisi è solo una psicologia di seconda mano. Qualunque cosa i fenomenologi abbiano avuto da insegnare agli psicologi, la lezione è stata imparata, anche senza parlare del grande influsso ereditato dalla psicoanalisi, che ha sostenuto anch'essa una polemica metodologica di primaria importanza contro l'oggettivismo. Quando poi, in particolare, Merleau-Ponty critica l'evoluzionismo, sostituendo al suo posto il polimorfismo infantile, c'è da chiedersi se egli (allo scopo di garantire la possibilità di un maggior numero e libertà di sviluppi, arresti, regressi e configurazioni della vita psichica) non crei una fallace antitesi, mascheran37
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do la problematica di una evoluzione la quale, anche se può assumere diverse forme nelle diverse culture e nei vari individui, presenta comunque delle caratteristiche comuni e pregne di significato, in quanto implicanti i più gravi interrogativi sull'avvenire della specie umana. Il relativismo culturale, giustamente rivendicato e brillantemente difeso dall'autore, non sopprime questi interrogativi, che (concernendo il significato ultimo che può attribuirsi sia alla ontogenesi, sia alla filogenesi) non hanno nulla a che vedere con l'esigenza di una maggiore comprensione e di un più aperto riconoscimento delle diversità individuali e culturali. Ma se, malgrado tutto, la polemica di Merleau-Ponty è cosl tenace, e forse anche ingiustificata (nella crociata fe. nomenologica che egli sembra condurre contro ogni residuo di naturalismo e di scientismo), la ragione è che essa è alimentata da una aspirazione morale che, pur essendo ormai pienamente incorporata nelle scienze umane, non trova sempre in esse un'adeguata espressione. Che il rispetto dell'oggetto possa diventare il fulcro di una nuova metodologia scientifica, che esso possa o debba trasformarsi in rispetto della persona (o che i due rispetti, in definitiva, non· siano che une," solo), tutto ciò potrà anche largamente concedersi; ma il tema del rispetto, che si incardina all'esigenza della comprensione individuale e sospende ogni giudizio definitivo, è pieno di sottigliezze che non sempre risultano a prima vista. Se è giusto sostenere col Piaget che una psicologia fenomenologica da sola ha ben poco da dire, che (come accurata descrizione della esperienza vissuta, reale o possibile) essa rappresenta soltanto un aspetto della questione, e che va pertanto necessariamente inquadrata nel più vasto contesto della cosiddetta psicologia scientifica, si può anche replicare, d'altro lato, che le nozioni di osservazione e di esperienza richiedono in psicologia particolari cautele. Dopo lo 38
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sviluppo della fisica atomica, sapniamo tutti quanto a una certa scala l'osservatore possa influenzare l'oggetto da osservare, e la cosa è ancora più ovvia in psicologia, soprattutto quando si cerca di penetrare nell'intimo di personalità chPsi chiudono e alterano appena si accorgono di essere guardate. E' per questo che l'atteggiamento dell'osservatore dev'essere - in questi casi - particolarmente cauto, e forse questa vigile preoccupazione sulle precauzioni da prendere è ciò che caratterizza nel modo migliore la posizione di MerleauPonty e la segreta molla morale della sua prevenzione nei confronti della metodologia oggettivistica. Questa preoccupazione (ispirata all'esigenza della comprensione) si manifesta soprattutto nel campo della psicologia infantile, nella quale noi « descriviamo non già una natura del bambino, ma un rapporto del bambino con l'adulto » (p. 109). Il modo d'essere del bambino, che noi vogliamo descrivere, non può essere isolato od astratto dal modo in cui noi stessi consideriamo il bambino e dal complesso dei fattori culturali (di cui gli adulti sono portatori) che plasmano e modellano la vita infantile. L'ipotesi del polimorfismo infantile (sostituita alla concezione deterministica degli stadi evolutivi) ci rende molto più consapevoli dell'importanza dei nostri influssi, e quindi della nostra responsabilità dal punto di vista pedagogico. Una psicologia infantile, nel senso pieno della parola, « è veramente nata il giorno in cui ci si è accorti che la relazione del bambino con l'ambiente non era solo quella permessa dallo stato o dal grado del suo sviluppo fisiologico» (p. 114), ma dipendeva da una quantità di altri fattori culturali e sociali, contribuenti anch'essi a strutturare l'ambiente psicologico in cui ìl bambino vive; e quando inoltre si è abbandonato il razionalismo dogmatico, che contrappone rigidamente mentalitfi
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adulta e mentalità infantile, assumendo la prima come esclusivo termine di riferimento della seconda. « Il razionalismo dogmatico lavora contro il progresso del sap~re e della psicologia, al tempo stesso che contro l'umanesimo. Il solo atteggiamento scientifico in psicologia infantile è quello che tende ad ottenere, mediante l'esplorazione esatta dei fenomeni infantili e dei fenomeni adulti, un resoconto fedele' dei rapporti fra bambino ed adulto, così come essi si stabiliscono effettivamente nella ricerca psicologica stessa. Solo l'analisi della situazione infantile e della situazione adulta può fondare la possibilità della ricerca psicologica. La vera oggettività consiste, non già a trattare dall'alto l'esperienza infantile e a convertirla iri un sistema di concetti 'impenetrabili per noi, ma a scrutare i rapporti concreti del bambino e dell'adulto, in modo da mettere in evidenza ciò che permette ad essi di comunicare fra loro. Il sapere effettivo è agli antipodi del razionalismo dogmatico » (p. 202). Solo tenendo conto di oiò è possibile comprendere esattamente la relazione fra pedagogia e psicologia, alla cui analisi l'autore ha dedicato un corso, dal titolo Il bambino visto dall'adulto, in cui, sulla base di opportune considerazioni psicoanalitiche e antropologico-culturali, illustra la tesi per cui il bambino non è visto propriamente com'è (nella sua presunta oggettività), ma è (cioè si plasma, si modella) così com'è visto, nei vari contesti familiari e storici (pp. · 260261 ). Formazione della personalità e relazioni del bambino con gli altri secondo Merleau-Ponty
Dopo queste premesse, possiamo comprendere ed apprezzare meglio il corso sulle Relazioni del bambino con gli
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altri, che qui segue nella traduzione italiana. Il primo accorgimento metodologico da prendere nella psicologia infantile è di non proiettare all'indietro nell'infanzia dicotomie e distinzioni che si sono formate e si sono poi sempre più accentuate e irrigidite nel corso dello svHuppo, incorporandosi nella struttura del linguaggio adulto; e al tempo stesso, di non ricorrere troppo semplicisticamente alla nozione di causalità (come determinazione a senso unico) per stabilire relazioni o influssi fra i vari settori discriminati. La causalità, concepita in senso stretto e unidirezionale, è un mezzo inadeguato per rìsolvere un problema mal posto: l'essenziale è trovare e descrivere l'unità dinamica della vita psichica, la sua intima dialettica, i rapporti e condizionamenti reciproci, e in fondo- - al posto di superare le antitesi che si sono cristallizzate nell'età adulta - di enucleare il processo in base a cui esse si sono generate. « Tutto ciò converge verso l'idea seguente: quelle che la psicologia accademica e classica chiama funzioni conoscitive, intelligenza, percezione, immaginazione, etc., quando le si esamini da vicino, ci rimandano a un'attività preliminare alla conoscenza propriamente detta, ad una funzione d'organizzazione dell'esperienza che impone a certi insiemi la configurazione e il tipo di equilibrio possibili nelle condizioni corporee e sociali che sono proprie del bambino » (pp. 54-55) 1 • Già la psicologia generale dell'età adulta ha messo in luce da parecchio tempo le strette interconnessioni esistenti fra percezione e affettività, come si vede nei tests proiettivi e nelle ricerche della Frenkel-Brunswick, sopra L'intolleranza dell'ambiguità come variabile della personalità sul piano emotivo e sul piano percettivo, ampiamente citate da Mer1 D'ora innanzi la paginazione si riferisce alla traduzione italiana contenuta nel presente volume.
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leau-Ponty per illustrare i rapporti fra percezione e ambiente (p. 56); e ben si comprende come queste relazioni siano ben più strette nell'infanzia, e come sarebbe pertanto sviante proporsi la ricerca di un rapporto di subordinazione fra le varie funzioni. L'importante, in effetto, « non è di collegare le funzioni intellettive alla relazione sociale del soggetto come se ne dipendessero in maniera univoca, tha di mettere in evidenza il profondo rapporto dei due ordini di fenomeni che fanno parte di un unico progetto globale dell'individuo, progetto globale nel quale egli stabilisce sia le sue relazioni con dei campi percettivi neutri, che vengono proposti alla sua esperienza, sia le sue relazioni col suo ambiente umano e sociale » (p. 69) .. Anche nello studio dei rapporti fra acquisizione del lin~uaggio e ambiente affettivo, « non cerchiamo affatto una relazione causale. Cerchiamo di dimostrare la connessione dei due fenomeni, e non di ridurre l'uno all'altro, come fanno tradizionalmente gli psicologi empiristi ed intellettualisti » (p. 77). Dopo aver ribadito questo atteggiamento metodologico (di chiara ispirazione fenomenologica), l'autore passa ad affrontare"'n problema della percezione dell'altro, che è l'argomento specifico del corso, ma che è un problema insolubile nel quadro dei presupposti della psicologia accademica classica (pp. 81-82). « Il problema può essere risolto, invece, a condizione che si rinunci a certi pregiudizi classici. Bisogna abbandonare il pregiudizio fondamentale secondo il quale la psiche non è accessibile che a ciascun individuo nella sua solitudine, secondo il quale la mia psiche sarebbe ciò che è accessibile solo a me stesso, ciò che non può essere visto dall'esterno. La mia "psiche" non è una serie di "stati di coscienza" rigorosamente chiusi su se stessi ed impenetrabili
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a ciascun "altro". La mia coscienza è radicalmente rivolta verso il mondo, verso le cose, è, soprattutto, rapporto col mondo. La coscienza altrui è anche essa, prima di tutto, un certo modo di comportarsi di fronte al mondo. E' allora nella condotta dell'altro, nella sua maniera di trattare il mondo, che io posso trovarlo» (pp. 86-87). « Ma ciò presuppone non solo una riforma della nozione di psiche (ormai sostituita da quella di comportamento), ma anche dell'idea che ci facciamo del nostro corpo. Se il mio corpo deve poter riprendere, a sua volta, i comportamenti che mi vengono rappresentati, bisogna che mi sia dato non più come uno insieme di sensazioni rigidamente private, ma attraverso ciò che si chiama "schema posturale" o "schema corporeo" » (pp. 87-88.) « Divenire consapevoli di avere un corpo e divenire consapevoli del fatto che il corpo dell'altro è animato da un'altra psiche sono due operazioni non solo logicamente simmetriche, ma costitutive di uno stesso sistema. In entrambi i casi, si tratta di prendere coscienza di ciò che si potrebbe chiamare l'essere-incarnati. Accorgermi, da una parte, che ho un corpo visibile dall'esterno e che per l'altro sono soltanto un manichino che gesticola in un punto dello spazio, e, d'altra parte, accorgermi che l'altro ha una psiche, e che cioè quel corpo che vedo laggiù, come un manichino che gesticola in un punto dello spazio, è animato da un'altra psiche, sono due momenti di un'unica totalità, il che non significa che il bambino non possa sviluppare in modo privilegiato l'esperienza di uno solo degli aspetti di questo fenomeno totale; ma significa che ogni progresso nella presa di coscienza di uno solo di tali aspetti crea uno squilibrio nell'insieme ed è il fermento dialettico che porterà ad ulteriori progressi nella presa di coscienza degli altri aspetti costitutivi del sistema » (pp. 93-94 ). Ho citato a lungo questi brani, non solo per la loro 43
Il bambino e gli altri
pregnanza, ma anche per il particolare interesse che essi rivestono soprattutto per il filosofo, che sa scorgervi i chiari accenti di una polemica anticartesiana gravida di significato per tuttq il pensiero contemporaneo. Ma a parte ciò, quello che merita particolare attenzione è il filo conduttore in base a cui Merleau-Ponty analizza lo sviluppo psicologico infantile: questo sviluppo, partendo da una fase di precomunicazione:' o indifferenziazione iniziale, procede nel senso della oggettivazione del proprio corpo, della costituzione dell'altro, di una crescente segregazione e distinzione degli individui, che sono altrettanti aspetti e fasi di un'unico processo di differenziazione (pp. 90-91): e il punto chiave di questo sviluppo è la distinzione fra immagine e realtà , e l'acquisizione della coscienza simbolica. « La percezione dell'altro diventa comprensibile se si suppone che la psicogenesi ha inizio da un livello in cui il bimbo ignora se stesso e l'altro· in quanto distinti... Il progresso di esperienza nel bambino fa sì che egli si accorga che il suo corpo era chiuso su di lui, e in particolare l'immagine visiva che egli acquisisce del suo corpo (in particolare con l'aiuto dello specchio) gli rivela l'isolamento dei soggetti,"1'uno di fronte all'altro, un'isolamento dapprima insospettato. L'oggettivazione del corpo proprio fa scoprire al bambino· la sua diversità, la sua "insularità" e, correlativamente, quella dell'altro » (p. 90). L'acquisizione della coscienza del corpo proprio, cioè, si accompagna a una serie di fenomeni concomitanti, che sono altri aspetti di un unico processo di costituzione della personaHtà e di ristrutturazione dell'esperienza originaria del neonato; in questa ristrutturazione il punto chiave, come abbiamo accennato, è la progressiva distinzione fra immagine e ,-ealtà, che comporta una « funzione derealizzante » (pp. 119-120), simultanea al costituirsi di una spazialità ogget44
Introduzione all'edizione italiana
tiva. In questo processo, una tappa importante (studiata da Wallon e soprattutto, dal punto di vista psicoanalitico, da Lacan) è rappresentata dalla « acquisizione dell'immagine visiva del corpo proprio, in particolare grazie all'uso dello specchio» (p. 102), in base a cui il bambino (oltre ad apprendere, da un punto di vista conoscitivo, la distinzione che passa fra immagine visiva ed esperienza vissuta e concreta del proprio corpo), impara ancora « che può esserci uno spettacolo di se stesso. Fino a quel momento non si è mai visto, o si è appena intravisto con la coda dell'occhio guardando le parti del suo corpo che riesce a vedere. Attraverso le immagini dello specchio egli è in grado di diventare spettatore di se stesso. Con l'acquisizione dell'immagine speculare il bambino si accorge di essere visibile sia per sè che per gli altri » (p. i 18). « La propria immagine, nello stesso momento in cui rende possibile la conoscenza di sè, rende anche possibile una specie di alienazione: io non sono più quello che mi sentivo essere immediatamente, io sono quell'immagine di me stesso che lo specchio mi presenta. Io vengo "captato", per usare il termine di Lacan, da parte della, mia immagine spaziale. Di colpo, abbandono la realtà del mio io vissuto, per riferirmi costantemente a questo io ideale, fittizio o immaginario, di cui l'immagine speculare costituisce il primo abbozzo. In questo senso vengo strappato a me stesso, e l'immagine dello specchio mi prepara ad un'altra alienazione ancor più grave, che sarà l'alienazione da parte dell'altro » (p. 119). Queste ultime osservazioni (che sono interessanti anche perché mostrano quanto un fenomeno importante ma familiare possa essere coperto e nascosto dalla sua stessa familiarità) permettono di comprendere meglio la cosiddetta « crisi del terzo anno» (p. 142). « E' verso i tre anni che si osserva nel bambino la deli45
Il bambino e gli altri
berata decisione di fare tutto da solo. W allon segnala anche il mutamento di reazione del bambino di fronte allo sguardo altrui. In genere. fino ai tre anni. tranne i casi patologici, lo sguardo altrui incoraggia o aiuta il bambino. A partire da tre anni subentra tutta una serie di reazioni molto diverse, che fanno pensare a certe reazioni patologiche. Lo sguardo degli altri diviene imbarazzante per lui e tutto si svolge come se, quando lo si osserva, lo si distogliesse dal compito che deve eseguire, spostando la sua attenzione su una rappresentazione di se stesso nell'atto di eseguire questo compito » (p. 143); « se il bambino di tre anni è inibito dallo sguardo dell'altro, è perché ormai non è più soltanto ciò che è ai pro_pri occhi, ma si sente anche essere come gli altri lo vedono », egli diventa, cioè, « un ego agli occhi degli altri» (p. 144). Ciò comporta una serie di reazioni, e una « trasformazione, una ristrutturazione totale del .bambino» (p. 145); introduce, accanto a una maggiore oggettività conoscitiva, una insicurezza, una preoccupazione costante, per il modo in cui gli altri ci vedono e possono giudicare le nostre azioni. Questa insicurezza, in fondo, è implicita in tutta la coscienza simbolica, in cui il segno annunzia la cosa, ma non è la cosa, e la cosa può sempre rivelarsi diversa da come si annunzia nel segno. Tutti i grandi problemi dell'esistenza umana sono contenuti, sia pure per brevi e puntuali allusioni, nel giro di queste considerazioni; e sono assai stimolanti le ultime pagine di Merleau-Ponty, in cui - dopo aver così acutamente descritto l'instaurarsi della separazione e della solitudine nell'esperienza infantile - egli passa a parlare dell'amore, che può farsi consistere, in certa misura, nel « privarsi della propria libertà di giudizio. Fare esperienza dell'altro non ci lascia tranquilli ed è proprio per questo che può essere sempre occasione di dubbio. L'atteggiamento 4F.
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non patologico o normale consiste nel dar credito al di là di quanto non possa essere provato, nel passare oltre ai dubbi che si potrebbero avere sulla verità dei sentimenti attraverso la generosità della prassi per una azione che si prova nel suo farsi » (p. 147).
Conclusione
Queste dispense di Merleau-Ponty contengono - come si vede - una vera miniera di suggestioni e di idee, e suscitano una quantità di nuovi problemi, che potrebbero a buon diritto incentrarsi intorno al rapporto fra la psicologia dell'« uomo bianco, adulto, civilizzato» e la psicologia infantile; ci sembrano inoltre sufficientemente chiarite e ribadite, al di là delle polemiche superflue, le ragioni della convergenza spontanea fra psicologia e fenomenologia. Ma senza soffermarci su questi argomenti, per quanto importanti essi siano, una unica cosa vogliamo ancora osservare a guisa di conclusione. Quando la prima volta abbiamo letto il titolo di questo corso: Il bambino e gli altri, ci è venuta immediatamente in mente la frase di Sartre: « l'inferno sono gli altri »; e sorge allora la questione di fondo se non si possa fare qualcosa per evitare che gli altri diventino un inferno. Questo problema è stato certamente presente alla mente di Merleau-Ponty, soprattutto quando egli si riferisce all'esperienza dello specchio e alla crisi del terzo anno, in cui la problematica esistenziale emerge in tutta la sua importanza. I rapporti fra Merleau-Ponty e Sartre, come è noto, sono stati sempre assai complessi, e il modo in cui il nostro autore ha sviluppato la « fenomenologia della percezione», con la riabilitazione del corpo proprio, può considerarsi sostanzialmente una critica dei residui cartesiani
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Il bambino e gli altri
ancora presenti nel pensiero sartriano e della contrapposizione tra « essere e nulla»; in queste dispense riemerge stranamente, soprattutto attraverso le interpretazioni psicoanalitiche di Lacan, l'importanza della tematica sartriana dello sguardo, e ci sarebbe pertanto da chiedersi quali siano più esattamente i rapporti fra questi due aspetti del pensiero di Merleau-Ponty (che corrispondono, più in generale, a due:i ~iversi ·aspetti dell'esperienza umana e, probabilmente, a due distinte fasi del processo evolòtivo). Comunque sia di questo problema, quello che risulta innegabilmente da tutte le dispense, e in particolare dalle pagine finali di questo corso, è l'intensa preoccupazione morale ed umana profondamente congiunta con l'esigenza metodologica propria della fenomenologia. Il progresso scientifico della psicologia, nel senso integrale auspicato dal Merleau-Ponty, è un progresso nella comprensione, implica pertanto un sempre più aperto riconoscimento , dell'alterità in tutte le sue forme. Le singole persone umane sono organismi psichici complessi e delicati, i quali - oltre che dai fattori fisiologici - sono largamente condizionati da fattori familiari e culturali, ed estremamente sensibili all'influsso delle parole e degli '''sguardi, che soprattutto nel periodo infantile esercitano una funzione primaria per la formazione della personalità. Ma. l'analisi psicologica di questi processi è importante anche da un punto di vista pratico, in quanto aumentando la nostra consapevolezza, può aiutarci · a prevenire quell'irrigidimento reciproco e quel muro di diffidenza che rendono così difficile la riuscita della comunicazione umana. PAOLO FILI~SI CARCANO
Ordinario all'Università di Roma
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INTRODUZIONE DELL'AUTORE
LE RELAZIONI DEL BAMBINO CON L'ALTRO NELLA PSICOLOGIA INFANTILE -1,
Funzioni cognitive ed affettività
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Vorrei indicare, a titolo d'introduzione, il posto occupato nell'insieme della psicologia infantile dall'argomento che intendiamo trattare. Si può vedere subito quale rapporto esiste tra questo argomento e quello trattato nelle lezi..:mi dello scorso anno. L'anno scorso, abbiamo cercato di studiare alcuni aspetti dei rapporti del bambino con la natura: per esempio, la percezione del bambino, cioè la conoscenza che egli ha dei fatti naturali dell'ambiente esterno; la rappresentazione che egli dà dei fatti, per esempio nei disegni; l'uso che la sua immaginazione fa delle esperienze percettive; l'organizzazione di queste esperienze percettive attraverso rapporti di causalità; e, infine, ciò che talvolta è stato definito come la rappresentazione del mondo nel bambino, cioè l'insieme delle; idee, se vi sono idee, che permettono al bambino di avere una visione del mondo. Con questo ultimo paragrafo, arriviamo al problema dell'intelligenza infantile e vedete che, quantunque le questio1:i * I titoli e sottotitoli contrassegnati con asterisco sono editoriali. Editoriali o del traduttore sono anche tutte le note che seguono.
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Il bambino e gli altri
che affrontavamo l'anno scorso fossero svariate, avevano t~tte un punto in comune: non si trattava, almeno non prevalentemente, dei rapp"Orti del bambino con gli altri esseri viventi, ma piut!osto dei rapporti del bambino con la natura. Quest'anno, invece, trattandosi delle relazioni del bambino con l'altro, parleremo dei suoi rapporti con i genitori, con i fratelli, con le sorelle, con gli altri bambini e, se ne avremo:; il tempo, anche con l'ambiente scolastico, con la classe sociale alla quale egli appartiene, e, più in generale, con la cultura e la civiltà di cui fa parte. E' molto probabile che, per quest'anno, non potremo trattare questi ultimi problemi che ci porter,ebbero troppo lontano; i rapporti con i genitori, i fratelli, le sorelle e gli altri ess~ri umani ci terranno sufficientemente occupati. Potrà sembrarvi che il problema che tratteremo questo anno sia più specifico di quello che abbiamo trattato l'anno scorso. Potrà sembrarvi che l'anno scorso si sia studiato la « infrastruttura » della conoscenza infantile, l'insieme dei procedimenti attraverso i quali il bambino sente, percepisce, conosce, mentre quest'anno ci interessiamo di un settore ridotto di questa percezione e di questa conoscenza: la percezione "degli altri e la conoscenza degli altri. Potreste pensare, insomma, che l'anno scorso ci siamo occupati della psicologia delta conoscenza infantile, mentre quest'anno ci occupiamo della affettività, un tema più limitato. Ma il rapporto tra questi due ordini di problemi non è questo. Non credo affatto che le relazioni con l'altro siano un problema secondario, più limitato, più strettamente legato all'affettività, rispetto al proble.ma di cui ci siamo occupati l'anno scorso. Gli stessi risultati del nostro studio dell'anno scorso ci dissuadono dal considerare il problema delle relazioni con l'altro come un problema subordinato. 52
Introduzione dell'autore
Quando abbiamo parlato della percezione del bambino o quando abbiamo parlato dei rapporti di causalità come vengono afferrati dal bambino, ciò che ci ha colpiti, in effetti, è che la percezione infantile non consiste affatto in un semplice riflettersi, nel fanciullo, dei fenomeni esterni, in una semplice scelta di dati che deriverebbero dall'esercizio dei sensi. Ci è parso che, nel bambino, si tratt&sse di un vero e proprio immettere in una forma ( Gestaltung) la sua esperienza. Per esempio, abbiamo visto con Michotte che quei rapporti di causalità che tradizionalmente vengono collegati all'esercizio dell'intelligenza, nel bambino sono ancorati alla percezione stessa che quest'ultimo ha degli avvenimenti esterni e che la percezione·. infantile non è il semplice riflesso o il risultato di una scelta: è un'operazione più profonda, attraverso la quale il fanciullo organizza l'esperienza esterna, un'operazione che non è, dunque, propriamente logica o predicativa. Quando abbiamo parlato dell'immaginazione del fanciullo, ci è apparso, inoltre, che ciò che viene chiamata immagine, nel bambino, non è per nulla assimilabile ad una specie di copia degradata, indebolita delle percezioni anteriori. La cosiddetta immaginazione· è una condotta emotiva, e, di conseguenza, anche qui ci troviamo, per così dire, al di sotto del rapporto tra oggetto conosciuto e soggetto che conosce; abbiamo a che fare con l'operazione primordiale attraverso la quale il bambino organizza l'immaginario come organizza il percepito. Quando abbiamo esaminato il disegno nel bambino, uno degli appunti che abbiamo fatto al famoso libro di Luquet 1 era proprio questo: il disegno del bambino viene considerato in quest'opera come il disegno di un adulto mancato e lo sviluppo del bambino attraverso la serie dei disegni corri1 L'A. si riferisce a G. H. LUOUET, Le dessin enfantin, trad. it. in queste edizioni, Il disegno infantile, 1969, pp. 240.
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spondenti alle diverse età appare come una serie di fallimenti nel tentativo di rappresentare il mondo come viene rappresentato dall'adulto, per lo meno dall'adulto occidentale bianco e « civilizzato », cioè secondo le leggi della prospettiva geometrica classica. Noi abbiamo cercato di dimostrare che, al contrario, i procedimenti espressivi del bambino non possono essere interpretati come semplici fallimenti sul cammino del « realismo visivo », ma che attestano nel bambino un rapporto con il sensibile molto diverso da quello che si esprime nella proiezione prospettica del disegno di stile classico. Ci è sembrato, infine, secondo alcune indicazioni di Wallon, che forse non sia opportuno porre la questione di una rappresentazione del mondo nel bambino. Perché si possa parlare di una rappresentazione del mondo, bisognerebbe che il fanciullo totalizzasse veramente la sua esperienza entro concezioni generali. Qra, come· rileva il W allon, tutro un settore di questa esperienza è lacunoso per il bambino; si tratta di ciò che W alldn chiama le « ultni-cose », cioè degli enti di cui il bambino non ha un'esperienza prossima, che si trovano ,.,all'orizzonte della sua percezione, come il sole, la luna ecc. Questi enti rimangono per lui in uno stato di indeterminazione relativa, egli non ne ha una concezione nel vero senso 'della parola. Per quanto riguarda gli oggetti vicini il bambino ne ha una rappresentazione spesso assai simile a quella dell'adulto (Huang). I concetti di animismo, d'artificialismo, usati in una maniera un po' azzardata, sono modi adulti per esprimere il disagio del bambino di fronte alle 1zione reattiva si amplia in quello di carattere (cfr. V. SMIR· NOFF, La psicoanalisi infantile, in queste edizioni).
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Introduzione dell'autore
non v1 e una forza psicologica o una vera convinzione: in primo luogo, quando questi soggetti analizzano, descrivono i genitori, si limitano, sempre, a tratti esteriori molto poco essenziali come se temessero, addentrandosi in un'analisi più dettagliata, di dover riconoscere delle imperfezioni nei loro famigliari. In secondo luogo ogni volta che, invece di interrogare apertamente i soggetti con una domanda (per es.: cosa pensate dei vo3tri genitori?), si cerca di coglierli in contropiede, cioè di ottenere da essi delle reazioni di cui non percepiscono immediatamente il senso, sono generalmente negativi verso i genitori. Si chiede loro, per esempio, di stendere una lista di persone che porterebbero con sé se dovessero vivere in un'isola deserta per parecchi anni. E' assai significativo osservare che molti di loro, che tengono soprattutto alla famiglia, omettono abbastanza regolarmente di indicare i genitori tra le persone che condurrebbero con sé. In terzo luogo, quando vengono sottoposti al T .A.T. 1, si nota che la loro descrizione dei genitori insiste sempre sugli aspetti coercitivi e punitivi; in maniera che questi differenti indici, aggiunti ai risultati dell'esperienza clinica, permettono di stabilire che la loro affermazione totale sul valore della famiglia rappresenta piuttosto una maschera dietro la quale si nasconde un'aggressività abbastanza viva contro i genitori. Dato che l'aggressività contro le figure dei genitori è troppo pressante ed angosciosa, i soggetti hanno sovrapposto a questa aggressività un fenomeno reattivo ed evitano sistematicamente di togliersi la maschera, donde il rifiuto di ammettere qualsiasi ombra nel quadro che essi fanno dei genitori, perché, se cominciassero a mettervi ombre, ve ne metterebbero troppe. In generale, non solo riguardo ai loro famigliari, ma anche riguardo a tutti i problemi, morali e sociali, questi 1
T.A.T.: Thematic Apperception Test.
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Il bambino e gli altri
soggetti procedono a forza di dicotomie; dicotomia dell'autorità e dell'obbedienza: bisogna che il bambino obbedisca assolutamente, altrimenti il principio dell'autorità viene messo in causa, e così il dilemma tra pulizia e sporcizia, (le manie délla pulizia che conoscete bene e che fanno sì che certe donne siano letteralmente fanatiche per la cura della casa; benché talvolta questa passione le metta in croce, esse sono fa1:1aticamente attaccate alla lucentezza delle superfici verniciate, ecc.). Tutto ciò trova la sua origine nella « rigi~ dità » del bambino. Dicotomia tra bene e male, tra virtù e vizio, dicotomia, infine, tra mascolinità e femminilità. Ognuna di queste differenze, ·che beninteso nessuno contesta, è da lui considerata come una differenza assoluta fondata sulla natura, che esclude ogni fenomeno di transizione, ogni sfumatura, ogni passaggio. L'autrice pensa che i soggetti abbiano contratto questo atteggiamento nei loro rapporti iniziali con la famiglia, dato che questi rapporti sono anche i loro primi rapporti con i valori e con il mondo. I genitori sono i mediatori attraverso i quali es~i comunicano con il mondo. Queste famiglie sono generalmente autoritarie, sori.o quelle dove s: cerca di « ammaestrare » il bambino, famiglie « frustranti » nelle quali il bambino si sente come in pericolo. La rigidità psicologica può riscontrarsi episodicamente in tutti i soggetti, ma è solo nel caso di un ambiente particolarmente autoritario ch'essa diviene un comportamento costante di cui il bambino non può liberarsi. In un'atmosfera autoritaria siffatta, il bambino sdoppia l'oggetto parentale: c'è da una parte l'immagine preferita dei genitori che egli ammette volentieri, e dall'altro lato _l'immagine dei genitori con la quale egli è in lotta. Queste ·11~e immagini, della « madre buona» e della « madre cattiva'», come dice Melanie Klein, invece di .essere riunite nel bambino e di riferirsi alla stessa persona, sono l'una in primo piano e l'altra completamente 60
Introduzione dell'autore
dissimulata a se stesso da parte del bambino: egli riconosce in maniera esplicita, quando gli vengono poste delle domande, solo l'immagine favorevole ed è questo, secondo l'autrice, che indica l'ambivalenza. Essa consiste nell'avere per lo stesso oggetto, per la stessa persona, due immagini alternative senza nessuno sforzo per riunirle e per rendersi conto che in realtà esse si riferiscono allo stesso oggetto e alla stessa persona. Melanie Klein ·stabilisce una profonda distinzione tra l'ambivalenza così concepita e l'ambiguità. Al contrario dell'ambivalenza, l'ambiguità è un fenomeno adulto, un fenomeno di maturità, che non ha nulla di patologico: consiste nell'ammettere che una stessa persona buona, generosa, può essere urtante, imperfetta. L'ambiguità è l'ambivalenza che si affronta, che si osa guardare; e ciò che manca ai soggetti rigidi è proprio qu~ta capacità di guardare in faccia le contraddizioni nelle quali si trovano in relazione agli altri esseri. Le famiglie in cui si trovano questi bambini sono, abbiamo detto, delle famiglie autoritarie e sono anche, e qui tocchiamo l'aspetto sociale del fenomeno, delle famiglie socialmente marginali. Anche nella società francese esiste un marginalismo sociale: il nuovo ricco è marginale nel senso che si colloca in una categoria nella quale non si sente profondamente inserito; la stessa cosa vale per il nuovo povero. Negli Stati Uniti questo fenomeno assume un rilievo molto maggiore a causa delle minoranze nazionali. Legato a delle condizioni sociali, il fenomeno di « ng1dità » ha delle conseguenze sociali. Non accorgendosi del suo atteggiamento sdoppiato, rifiutando persino di riconoscere in se stesso l'immagine dei « genitori cattivi », il bambino « rigido » tenderebbe a proiettare fuori di sé quella sua parte che rifiuta. Egli proietterebbe all'esterno l'aggressività che egli respinge attraverso un processo di esternalizzazione molto 61
Il bambino e gli altri
evidente in alcuni casi. Nelle leggende che circolano non soltanto negli Stati Uniti, ma anche nell'Africa francese e in molti altri luoghi sulla sessualità dei negri, si esprime in buona parte, secondo gli osservatori più attendibili, un meccanismo -di questo genere; cioè i soggetti proiettano sul negro, considerato come il rappresentante d'una sensualità naturale, più violenta e più forte, qualche parte di sé che essi rifr1:1tano. Lo stesso meccanismo entra in funzione nei riguardi degli ebrei: la costruzione del personaggio dell'ebreo viene attuata spesso attraverso una bipartizione di questo genere. L'antisemita proietta sull'ebreo, come altri sul negro, e ciò vale anche per altre minoranze, una parte di sé stesso che egli rifiuta è di cui si vergogna; questa minoranza appare tanto più detestabile in quanto incarna comportamenti di cui il soggetto porta in se stesso i germi, che non vuole riconoscere per suoi. E' un meccanismo analogo a quello che Simone De Beauvoir ha analizzato nel fenomeno della « lotta dei sessi ». Il fatto si constata all'età di 10 anni nelle classi scolastiche dove i ragazzi e le ragazze vengono educati insieme. Se si interrogano i ragazzi e le ragazze sulle ragioni di questa dicotomizzazione (perché di questo si tratta), si è indotti ad ammettere qualcosa di questo genere: ognuno attribuisce all'altro le caratteristiche della sua umanità che rifiuta. Per ~sempio, gli uomini che, in virtù di certi miti radicati ed anche per certe inclinazioni della loro costituzione fisiologica, non vogliono essere deboli, sensibili, ma si vogliono tutti d'un pezzo, decisi, energici, proiettano appunto sulle donne i tratti della loro personalità che non accettano, e le donne, complici di questa finzione, a loro volta proiettano sugli uomini i tratti della loro personalità che non vogliono o che non hanno potuto assumere fino ad oggi. Vi è così una specie di reciproca denigrazione che è nello stesso tempo la base del patto concluso fra i due sessi. Le stesse
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Introduzione dell'autore
donne che dichiarano di detestare gli uomini, ammettono anche che, ciononostante, è loro compito prendere le decisioni, pagare le tasse, portare il bagaglio alla stazione e prendere i posti. In realtà, è inutile dirlo, anche gli uomini sono frivoli, hanno le stesse debolezze, con manifestazioni analoghe, e le donne, all'occasione, sono altrettanto decise e capaci di condurre un affare o di fare un mestiere. Quasi per un tacito accordo, si detestano e, nello stesso tempo, sono complici. Così continuano a vivere fianco a fianco, in un amore che è odio, in un odio che è amore. Ora ci resta da vedere come il tipo di personalità e di relazioni interpersonali che si designano col termine di « rigidità psicologica » si esprima sino nelle funzioni anonime della percezione esterna. Veniamo ora all'esperimento attraverso il quale si è cercato di mettere in evidenza il rapporto tra la rigidità psicologica, come modo di reazione con se stessi e agli altri, e la percezione. L'indagine aveva come oggetto 1.500 scolari dagli 11 · ai 16 anni ed in particolare 120 di loro, che erano particolarmente « rigidi ». Questi soggetti mostravano pregiudizi sociali e razziali molto forti, pregiudizi che, come ricorderete da ciò che abbiamo detto, attestano una specie di scissione interiore tra ciò che ammettono e riconoscono in se stessi e ciò che non ammettono e riconoscono; ciò che non vogliono vedere in se stessi viene allora proiettato su dei soggetti esterni, che hanno la funzione di un capro espiatorio; mentre, invece, il soggetto appare ai suoi stessi occhi immune dai difetti che trova nei gruppi esterni. Gli autori dell'indagine hanno messo a punto un certo numero di domande volte a svelare la rigidità psicologica. Ecco, a titolo indicativo, un esempio di queste domande. Si chiede ai soggetti di giudicare la frase seguente: « Gli uomini 63
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si possono dividere in due categorie: i deboli e i forti ». O, ancora: « I professori dovrebbero dire agli alunni ciò che devono fare invece di cercare di sapere ciò che gli alunni desiderano». Questa frase serve da test per le tendenze autoritarie di questi soggetti. Oppure: « Le ragazze dovrebbero imparare solo ciò che riguarda la casa». O, ancora (questo vale per gli Stati Uniti): « Si dovrebbero scacciare i profughi e dare :,il loro lavoro ai veterani ». Infine: