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NUTRI X
STUDIES IN LATE ANTIQUE MEDIEVAL AND RENAISSANCE THOUGHT STUDI SUL PENSIERO TARDOANTICO MEDIEVALE E UMANISTICO
Directed by Giulio d’Onofrio
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Ubi in eam deduxi oculos intuitumque defixi respicio nutricem meam cuius ab adulescentia laribus obversatus fueram Philosophiam BOETHIUS Consolatio Philosophiae, I, 3
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© 2008 Brepols Publishers n.v.,Turnhout, Belgium
The publication of this volume has been assisted by a grant from MIUR (Italy) within the «Progetto di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale» (PRIN/COFIN) 2003 Paradigms of Scientific-Philosophical Knowledge and Religious Thought in the Middle Ages, Research Unit of the Università degli Studi di Salerno.
All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise, without prior permission of the publisher.
The logo of the Nutrix series is taken from Ms. New York, Pierpont Morgan Library, M. 302 (Ramsey Psalter), f. 2v. Photographic credit: The Pierpont Morgan Library, New York.
D/2008/0095/64 ISBN 978-2-503-52547-1 Printed in the E.U. on acid-free paper
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Luigi Catalani
I Porretani Una scuola di pensiero tra alto e basso Medioevo
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Gilberto di Poitiers e i Porretani Ms. Valenciennes, Bibliothèque municipale 197 (189), f. 4v. Photographic credit: Bibliothèque municipale de Valenciennes, cliché François Leclercq.
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alla mia famiglia
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INDICE DEL VOLUME
INTRODUZIONE
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PARTE PRIMA
LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI CAPITOLO I IL PROBLEMA STORIOGRAFICO CAPITOLO II LE TESTIMONIANZE
1. 2. 3. 4. 5.
L’insegnamento: gli allievi di Gilberto La tradizione manoscritta: la diffusione delle opere di Gilberto Le miniature: le immagini dei discepoli di Gilberto Il processo: i sostenitori di Gilberto La fama: Gilberto e i Porretani nel giudizio dei contemporanei CAPITOLO III LE OPERE E GLI AUTORI
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47 47 54 60 64 76
89 89
1. Le opere di scuola 1.1. Opere teologiche, p. 89 • 1.2. Opere logiche, p. 96
2. Gli eredi di Gilberto
102
2.1. Alano di Lilla, p. 103 • 2.2. Simone di Tournai, p. 109 • 2.3. Guglielmo da Lucca,p.113 • 2.4.Nicola di Amiens,p.117 • 2.5.Raul Ardente,p. 118 • 2.6. Altre opere, p. 120
3. I difensori di Gilberto
123
3.1.Il Liber de vera philosophia e Ademaro di San Rufo,p.125 • 3.2.Ugo di Honau, Pietro di Vienna, Ugo Eteriano, p. 132 • 3.3. Il Dialogus Ratii et Everardi, p. 147 • 3.4. Altri testimoni, p. 152
4. Cronologia degli autori e delle opere
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INDICE DEL VOLUME
PARTE SECONDA
PERCORSI DOTTRINALI CAPITOLO IV IL FONDAMENTO ONTOLOGICO
1. 2. 3. 4. 5.
La composizione dell’essere Il formalismo ontologico Il pluralismo ontologico La teoria della conformitas La teoria della partecipatio extrinseca
CAPITOLO V IL LABORATORIO LOGICO-GRAMMATICALE
1. 2. 3. 4.
La tradizione e il contesto Il contributo di Gilberto I Porretani e il dibattito nelle scuole del secolo XII Linee di logica e grammatica porretana: un ‘realismo progressista’
CAPITOLO VI SCIENZA E CONOSCENZA
1. Il modello epistemologico boeziano 2. La lettura di Gilberto 3. Epistemologia e teologia nei Porretani
159 159 166 172 178 187
193 193 198 206 211
227 227 232 240
3.1.Dal sensibile all’intelligibile:il Tractatus «Invisibilia Dei»,p.240 • 3.2.La conoscenza del vero nel Commento ai Nomi divini di Guglielmo da Lucca, p.243 • 3.3.Potenze dell’anima e sapere teologico in Alano di Lilla,p.246 • 3.4.Verità e conoscenza nel Dialogus Ratii et Everardi, p. 252
CAPITOLO VII LE FORME DEL SAPERE TEOLOGICO
1. Il modello porretano 2. Sententiae, quaestiones, summae: prove di teologia sistematica 3. Teologia assiomatica
CAPITOLO VIII IL DISCORSO TEOLOGICO
255 255 257 269
287 1. Gilberto di Poitiers:la translatio nominum a naturalibus ad theologica 287 295 2. Prime precisazioni terminologiche
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INDICE DEL VOLUME
3. Le regole del discorso teologico in Alano di Lilla 4. Variazioni sul tema: da Simone di Tournai al Dialogus Ratii et Everardi
305 317
CONCLUSIONE
325
BIBLIOGRAFIA
329
INDICE DEI NOMI
363
INDICE BIBLICO
381
INDICE DEI MANOSCRITTI
383
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INTRODUZIONE
Un fitto intreccio di esigenze storiografiche, motivazioni speculative e scelte metodologiche è alla base di questo studio monografico sui Porretani, protagonisti di una fase importante, e ancora poco conosciuta, della storia del pensiero occidentale. Il primo stimolo alla ricerca è derivato dalla mancanza, nell’attuale panorama di studi, di un’opera in grado di offrire uno sguardo d’insieme su questo movimento filosofico e teologico del dodicesimo secolo. Non a caso, il lavoro prende le mosse da un’analisi della percezione dell’esistenza, dei componenti e del valore della cosiddetta ‘scuola porretana’ da parte degli storici della filosofia e della teologia: l’indagine ne dimostra la perdurante problematicità, relativa alla collocazione dei Porretani, alla loro coerenza dottrinale, alla definizione della loro identità collettiva, al loro ruolo nella storia del pensiero. Problematica è la stessa categoria storiografica ‘scuola porretana’, cui è preferibile la dizione ‘Porretani’, capace di mettere in luce insieme la pluralità delle personalità coinvolte e il comune richiamo all’insegnamento di Gilberto di Poitiers. Si può parlare di ‘scuola porretana’ a patto di saper distinguere, all’interno di essa, gli allievi dai seguaci, i simpatizzanti dagli eredi. La storia del movimento porretano è, infatti, l’espressione di una diversità di esiti speculativi che traggono origine da un approccio comune alle questioni filosofiche e teologiche. L’esposizione delle tappe più importanti di questa storia è l’obiettivo del Capitolo secondo, dedicato alla ricognizione di testimonianze dirette e indirette della tradizione porretana nelle fonti coeve al caposcuola. Esso è composto da quattro sezioni,
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I PORRETANI
corrispondenti a quattro livelli di ricerca ordinati in base alla loro successione temporale e al loro progressivo grado di approfondimento analitico. Nella prima sezione si analizza la carriera magistrale di Gilberto allo scopo di individuare i nomi dei suoi allievi, ossia di coloro che ascoltarono direttamente le sue lezioni di logica e teologia. Nella seconda sezione si esamina la tradizione manoscritta delle opere di Gilberto, che da un lato testimonia la diffusione delle sue teorie, dall’altro trasmette alcune suggestive rappresentazioni miniate della scuola porretana. Nella terza sezione sono descritti i personaggi che, per motivi politici e dottrinali, difesero il vescovo di Poitiers dalle accuse rivoltegli durante le sessioni conciliari di Parigi (1147) e Reims (1148). Nella quarta sezione si riportano infine i diversificati giudizi su Gilberto e sui Porretani espressi dai contemporanei all’indomani della sua vicenda processuale: tanto le critiche dei teologi avversari di Gilberto, quanto gli elogi dei suoi ammiratori attestano, infatti, il perdurante interesse nei confronti dell’eredità dottrinale del vescovo di Poitiers. La storia della tradizione porretana è dunque una storia stratificata, tra le cui maglie possono distinguersi i quattro livelli appena indicati; all’interno di essi è possibile riconoscere una tipologia di ‘Porretano’ differente: lo studente del maestro Gilberto, il divulgatore dello scrittore Gilberto, il sostenitore dell’accusato Gilberto, l’ammiratore del vescovo Gilberto. Oltre questa già complessa fenomenologia della ‘scuola porretana’, occorre tener conto della seconda fase della storia, in cui i Porretani conquistano una legittimità, una riconoscibilità e un’autonomia di pensiero, che va oltre i confini tracciati dallo stesso maestro. Per questa ragione ho creduto opportuno studiare i Porretani lasciando, per così dire, sullo sfondo il caposcuola, che in questo studio è citato con frequenza, ma soltanto in funzione dei suoi successori, della sua eredità, degli sviluppi del suo pensiero. Il Capitolo terzo offre le informazioni essenziali (attribuzione, datazione, tradizione manoscritta, ambiente, sintesi del contenuto) relative alle opere riconducibili, in gradi e toni diversi, all’insegnamento di Gilberto. Anche in questo caso, sono state effettuate alcune distinzioni all’interno della ‘scuola porretana’, sulla base del diverso relazionarsi dei vari esponenti della scuola nei confronti del maestro. Un primo gruppo è individuato nella pro-
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INTRODUZIONE
duzione (logica e teologica) che può definirsi ‘di scuola’ in senso stretto: essa è composta da opere non a caso diffuse in forma anonima, influenzate in maniera diretta dall’insegnamento di Gilberto. Un secondo gruppo è dato dall’insieme degli scritti di coloro che raccolsero l’eredità di Gilberto, procedendo a una rielaborazione originale delle sue tesi, sulla base di nuove fonti e nuovi strumenti filosofici. Pur non essendo suoi discepoli diretti, questi pensatori rappresentano l’esito speculativamente più valido dell’influenza di Gilberto nella seconda metà del secolo. Un ultimo gruppo è individuato nei tenaci difensori dell’ortodossia gilbertina, attivi alla fine del secolo in ambienti spesso molto distanti da quelli del maestro. Questo capitolo intende dunque, nel suo insieme, offrire una fisionomia più precisa dei Porretani e delle loro opere, presentati in base a un doppio criterio, cronologico e razionale, che consente di offrire un panorama completo e articolato di un movimento di pensiero che non resta confinato entro il territorio francese, ma si diffonde anche in Germania, in Italia e a Bisanzio. Una cronologia finale elenca gli eventi principali relativi alla scuola porretana. Sulla base di questi tre livelli di ricerca (la critica, la storia, le fonti) si sviluppa la Parte seconda del lavoro, che intende verificare la consistenza dottrinale della scuola, individuando alcuni percorsi speculativi e metodologici peculiari. Il Capitolo iniziale di questa Parte, il quarto, indaga il fondamento ontologico della dottrina porretana, che si articola in alcune idee specifiche quali la distinzione dell’essere concreto, il primato della forma, il pluralismo ontologico, la teoria della conformitas e la teoria della partecipatio extrinseca. Il Capitolo successivo è dedicato all’analisi delle teorie logico-grammaticali – ricavabili da fonti dirette e indirette – sostenute dai Porretani: alle opere provenienti dalla secta dei logici porretani va aggiunto il contributo di quei teologi che si soffermano su determinati aspetti logico-grammaticali della formulazione e dell’interpretazione del dogma. Il Capitolo seguente, il sesto, presenta gli esiti diversificati cui è condotta la dottrina epistemologica boeziano-gilbertina da parte dei suoi successori, che la precisano e la rielaborano in forme e articolazioni differenti: l’analisi coinvolge temi quali la gerarchia delle facoltà dell’anima, la classificazione delle scienze speculative e delle loro metodologie, la definizione dei parametri della cono-
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I PORRETANI
scenza. Il Capitolo settimo si sofferma sul contributo dato dalla scuola porretana all’opera di pianificazione e organizzazione della materia teologica: i Porretani, infatti, sperimentano tutti i principali generi di letteratura teologica del dodicesimo secolo, dalle Sententiae alle Summae, dalle quaestiones all’assiomatica, con risultati assolutamente originali. L’ottavo ed ultimo Capitolo si concentra sul tema che caratterizza in maniera più profonda l’approccio speculativo dei Porretani, vale a dire la definizione dei parametri del discorso teologico, sulla base della mutazione del valore semantico dei termini nel trasferimento dal mondo naturale alla realtà divina (translatio nominum a naturalibus ad theologica): si tratta di un nodo concettuale di fondamentale importanza per comprendere la relazione tra la sfera logico-semantica e la sfera teologica. Questo libro riprende e rielabora i contenuti della mia tesi di dottorato in «Filosofia, scienze e cultura dell’età tardo-antica, medievale e umanistica», discussa presso l’Università di Salerno. Desidero esprimere la mia gratitudine nei confronti di coloro i quali hanno seguito e sostenuto questo lavoro a partire dall’iniziale stesura della tesi di dottorato fino a questo prestigioso esito editoriale. Ringrazio innanzitutto Paolo Lucentini, mio primo maestro, che ha incoraggiato fin dall’inizio le mie ricerche sui Porretani, e Giulio d’Onofrio, che ha fatto di me uno studioso, dimostrandomi grande fiducia in ogni occasione, compresa questa che si è rivelata la più impegnativa. Un grazie a tutti i colleghi del corso di dottorato di ricerca in «Filosofia, scienze e cultura dell’età tardo-antica, medievale e umanistica», laboratorio vero di confronto di idee, e in particolare ad Armando Bisogno, Pierfrancesco De Feo, Ernesto Mainoldi, Massimiliano Lenzi e Christophe Erismann. Particolarmente prezioso è stato il confronto con Luisa Valente, che è stata prodiga di stimoli e di osservazioni puntuali. Altrettanto utili sono state le indicazioni generosamente offertemi da Leonardo Sileo,Valeria Sorge, Luca Bianchi,Alessandro Ghisalberti e Gianfranco Fioravanti nel corso di incontri seminariali e conversazioni. Infine un grazie di cuore alla mia famiglia, per tutto, a Rocco, che aveva previsto questo libro prima del suo concepimento, e ad Anna, che per prima l’avrebbe letto.
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PARTE PRIMA
LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
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CAPITOLO PRIMO
IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
Il giudizio negativo di Bernardo di Clairvaux su Gilberto di Poitiers e i suoi seguaci ha influenzato la percezione della scuola porretana ben oltre la fine dell’età medievale1. Una leggera inversione di tendenza è stata impressa dalla stampa (prima nel 1515, poi nel 1569) dei Gesta Friderici di Ottone di Frisinga, autore favorevole al vescovo di Poitiers, seguita da quella dei Commentaria agli Opuscula sacra boeziani dello stesso Gilberto (nel 1570 a Basilea), che però conoscono una diffusione piuttosto limitata. Nel 1598 il teologo spagnolo Gabriel Vásquez spezzava una lancia a favore del maestro, facendo notare che Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Alessandro di Hales ed altri insigni teologi avevano 1 Preferisco la denominazione toponimica «Gilberto di Poitiers» ai tre nomi trasmessi dalla tradizione e analizzati da F. PELSTER, Gilbert de la Porrée, Gilbertus Porretanus oder Gilbert Porreta?, in «Scholastik», 19-24 (1944-1949), pp. 401-403. È una scelta di tipo prevalentemente formale poiché intende uniformare il nome di Gilberto a quello di tante altre figure medievali, che vengono identificate per via del forte legame che le lega ad una città, che in questo caso è molto probabilmente il luogo che ha dato i natali a Gilberto, di sicuro la sede del suo arcivescovato. In ogni caso mi pare del tutto legittima la scelta di Pelster che opta per la forma «Porreta», seguito da H. C. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta. Sa vie, son œuvre, sa pensée, Leuven 1966, pp. 10-12. Il soprannome «Porreta» è infatti testimoniato da alcune fonti coeve, così come l’aggettivo «Porretanus» che tuttavia pare riferirsi principalmente ai suoi allievi e solo per estensione anche al maestro, mentre la forma «Porreae» con il corrispondente alto-francese «de la Porrée» (tradotto a volte in italiano con «della Porretta») è posteriore e dunque meno attendibile. La tradizione è concorde invece nell’utilizzo del termine «Porretani» per fare riferimento agli allievi di Gilberto: lo accolgo dunque senza esitazione, ma con l’intenzione di precisarlo e analizzarlo nelle sue diverse sfumature.
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
mal compreso la sua dottrina trinitaria2. Nei secoli successivi, gli storici restano, tuttavia, perlopiù ostili nei confronti della scuola speculativa che fa capo a Gilberto. La voce a lui dedicata nell’Histoire littéraire de la France si chiude con un giudizio significativo che coinvolge anche i suoi allievi: del vescovo, infatti, si mettono in luce da un lato l’erudizione e l’acutezza dell’analisi teologica, dall’altro la mancanza di metodo e una certa artificiosità che emerge in particolare dagli esercizi sofistici di scuola3. Un’altra fonte medievale favorevole a Gilberto, l’Historia pontificalis di Giovanni di Salisbury, è stampata nella sua interezza solo nel 1868 e contribuisce a consolidare un maggiore equilibrio nei giudizi degli studiosi. Intanto, mentre il testo dei commenti di Gilberto apparso nel volume 64 della Patrologia latina, unitamente agli opuscoli di Boezio, presenta un’edizione migliore rispetto a quello stampato a Basilea, le opere dei Porretani restano, a parte poche eccezioni, ancora sconosciute. Come ha sottolineato Nikolaus M. Häring, l’insigne studioso tedesco cui si deve l’edizione di numerose opere di Gilberto e della sua scuola oltre ad una ricca serie di studi sull’argomento, i primi sforzi seri di studiare direttamente i testi del maestro di Poitiers, senza affidarsi ai giudizi dei suoi accusatori, sono stati compiuti dagli storici della filosofia e non dai teologi4. Barthélemy Hauréau riconosce in Gilberto «le plus éminent logicien qu’ait possédé l’école réaliste au XIIe siècle, le plus profond, le plus exercé, le plus avancé (…) des métaphysiciens de l’une et de l’autre école»5, ma non si sofferma sul rapporto tra il vescovo e la sua scuola, come fa invece Auguste Berthaud, l’autore della prima monografia dedicata a Gilberto. Il giudizio positivo espresso da Berthaud sulla filosofia di Gilberto, infatti, non si estende ai Porretani, che sono accusati piuttosto di perseverare ostinatamente nel2 Cfr. le informazioni bibliografiche raccolte da N. M. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers,Toronto 1966, in partic. pp. 6-9. 3 Cfr. Histoire littéraire de la France, XII, Paris 1750, pp. 466-476, in partic. p. 476: «Le défaut de méthode qui regne dans la plupart de ces productions, et l’affectation que l’on y remarque de ramener tout aux opinions sophistiquées de l’école, sans parler de la sécheresse du style, les ont fait presque entièrement tomber dans l’oubli». 4 Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit., p. 9. 5 B. HAURÉAU, Histoire de la philosophie scolastique, I, Paris 1872, [pp. 447-478], p. 470.
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I. IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
la difesa e diffusione delle tesi del maestro censurate a Reims, anzi di radicalizzarle, ragion per cui Gilberto, che si sottomise al giudizio conciliare, «demeure complètement étranger à la conduite des Porrétains»6. L’esistenza stessa di una scuola che porta il suo nome, tuttavia, è considerata da Berthaud una prova della celebrità e del successo di Gilberto7.Alexandre Clerval tende a collegare agli anni dell’insegnamento di Gilberto a Chartres i suoi numerosi allievi, tra cui Rotoldo di Beaumont († 1183), che testimonia a suo favore durante il processo, Giordano Fantasma, Giovanni Beleth, Nicola di Amiens, Ivo di Chartres, Guillelmus Corborensis (che gli dedica un’Explicatio quorumdam vocabulorum graecorum), Stefano di Alinerra, Ugo di la Rochefoucauld8. Nella sua ampia sintesi della storia filosofica medievale, Maurice De Wulf definisce Gilberto di Poitiers «una delle figure più spiccate del secolo XII per le relazioni con i maestri più rinomati, per le alte funzioni esercitate, per le dottrine filosofiche e teologiche (…), un avversario risoluto del realismo esagerato (…), un insigne teologo»9. La scuola di Gilberto è inserita nel paragrafo dedicato agli autori di Summae e Sententiae, accanto alle scuole di Abelardo e di Ugo di San Vittore: sono citati l’autore delle Sententiae divinitatis, Raul Ardente e l’autore del Liber de diversitate naturae et personae10. Separatamente sono trat6
Cfr. A. BERTHAUD, Gilbert de la Porrée, évêque de Poitiers, et sa philosophie (1070-1154), Poitiers 1892 (repr., Frankfurt a. Main 1985), p. 304. Cfr. inoltre pp. 303-304: «Gilbert avait accepté respectueusement la décision du pape. Mais il avait des partisans qui ne se soumirent pas aussi facilement. On les appelait: les Porrétains.Admirateurs de la philosophie de Gilbert, ils avaient voulu, comme lui, introduire dans la théologie le langage de la philosophie. Mais, comme il arrive presque toujours, ils avaient exagéré la doctrine du maître. Ils vivaient de la renommée de Gilbert de la Porrée. (…) Par conséquent, s’ils s’obstinèrent dans leur erreurs, il [Gilbert] ne fut aucunement responsable de leur obstination». 7 Cfr. ibid., p. 304: «Nous croyons même qu’il nous sera permis de dire que la secte des Porrétains est une preuve manifeste de la célébrité de Gilbert de la Porrée. Car, seuls, les hommes célèbres ont pu faire école parmi leurs contemporains». 8 Cfr. A. CLERVAL, Les écoles de Chartres au Moyen Âge du Ve au XVIe siècle, Paris 1895, pp. 185-188. 9 M. DE WULF, Histoire de la philosophie médiévale, 2 voll., Bruxelles - Paris 1900 (Louvain - Paris 19346), I, pp. 211-215; tr. it., 3 voll., I, Firenze 1944 (195419572), pp. 204-207. 10 Cfr. ibid., p. 249; tr. it., pp. 239-240: «L’esistenza di una scuola di Gilberto Porretano è provata dalle Sententiae divinitatis (tra il 1141 e il 1148) che riproducono gli errori caratteristici di Gilberto, colpiti dal sinodo di Reims nel 1148, mentre si ispirano anche molto alla Summa Sententiarum.Tra i discepoli di Gilber-
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
tati Alano di Lilla, che non è ricondotto a nessun indirizzo filosofico particolare, Simone di Tournai, le cui Disputationes «mostrano certi rapporti dottrinali colla scuola del Porretano e colla teologia del Lombardo», e Nicola di Amiens, il cui De arte catholicae fidei ha il medesimo scopo apologetico delle Regulae caelestis iuris di Alano11. Nel 1909, Bernhard Geyer pubblica il testo delle Sententiae divinitatis, un’opera anonima ricondotta esplicitamente alla scuola di Gilberto12. Il primo studioso che mostra un interesse specifico verso la scuola porretana è Martin Grabmann, che dedica un ampio capitolo della sua Storia del metodo scolastico a Gilberto di Poitiers, Giovanni di Salisbury e Alano di Lilla, riuniti per via del loro rilevante contributo allo sviluppo del metodo scolastico, ma ricondotti nell’alveo della scuola di Chartres e non della tradizione porretana13. Grabmann, che tra l’altro pubblica per la prima volta l’importante prologo al commento gilbertino agli Opuscula (assente nel Migne e copiato dal cod. lat. 18094, ff. 1r-2r della Bibliothèque Nationale de France14), si sofferma sulla fama e sull’influenza esercitata da Gilberto, «uno dei pochi pensatori della prima Scolastica le cui opere abbiano continuato a vivere ed abbiano trovato dei commentatori ancora nella Seconda Scolastica», rilevando che la sua personalità e la sua importanza «in campo scientifico, nell’opinione e nella valutazione dei suoi contemporanei ci appaiono in luce ben diversa che nel giudizio dato dai moderni stoto Porretano (Porrectani) si incontra Radulfus Ardens, autore di omelie, di un Liber epistolarum e soprattutto di uno Speculum universale. Questa grande opera, redatta tra il 1179 e il 1215, comincia con una classificazione delle scienze, tenta una sintesi dei dati teologici, si occupa della trasposizione della terminologia filosofica nelle materie teologiche e costituisce nello stesso tempo una notevole esposizione della morale». 11 Cfr. ibid., pp. 227-230 e 253-255; tr. it., pp. 219-222 e 243-245. 12 Cfr. B. GEYER, Die Sententiae divinitatis. Ein Sentenzen-buch der Gilbertischen Schule, Münster 1909 (repr., ivi 1967). 13 M. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode, 2 voll., Freiburg 1909-11 (rist. an. Graz 1961), II, pp. 407-476; tr. it., 2 voll., Firenze 1980, II, pp. 485-562. 14 Il testo contenuto in questo manoscritto è migliore di quello contenuto nel ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,Vat. lat. 560, pubblicato anni prima da H. USENER, Gislebert de la Porrée, in «Jahrbücher für Protestantische Theologie», 5 (1875), pp. 183-192, poi in ID., Kleine Schriften, 4, Leipzig 1913, pp. 154-162.
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I. IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
rici della Scolastica»15. Grabmann raccoglie inoltre diverse testimonianze della fama di cui Gilberto godette nella sua epoca e in quella successiva: innanzitutto le sincere prove di stima dedicategli da autorevoli scrittori contemporanei come Ottone di Frisinga e Giovanni di Salisbury, che trasmettono l’immagine di «un maestro erudito e stimolante, che affrontava di preferenza questioni difficili risultando perciò spesso oscuro e di ardua comprensione». In secondo luogo, la vasta diffusione delle sue opere nella tradizione codicologica, a partire già dal dodicesimo secolo; infine, i numerosi discepoli che sostengono e difendono con forza sia la fama di scienziato conquistata dal loro maestro, che la sua fedeltà alla Chiesa romana16. Grabmann descrive una splendida rappresentazione grafica della scuola di Gilberto contenuta nel ms. 197 della Biblioteca di Valenciennes (riprodotta a colori nelle pagine iniziali del presente volume), poi cita le opere riconducibili alla scuola: l’anonima Defensio orthodoxae fidei Gilberti Porretae contenuta nel ms.Vat. lat. 561 (che la storiografia successiva ha attribuito ad Ademaro di San Rufo), il Liber de vera philosophia, le Sententiae divinitatis. Lo storico tedesco analizza, infine, il metodo teologico delle Regulae caelestis iuris di Alano di Lilla («un tentativo di topica teologica» in cui confluiscono le indicazioni di Boezio, Gilberto e Aristotele) e dell’Ars fidei catholicae, assegnata definitivamente a Nicola di Amiens. Nel 1912 Raymond M. Martin pubblica un articolo sulla teoria del peccato originale in Gilberto e la sua scuola. L’analisi si limita al commento gilbertino alle lettere di Paolo, alle Sententiae divinitatis e ad un commento porretano alla medesima glossa paolina di Gilberto, attribuito a Nicola di Amiens17. Gli ultimi due testi gli appaiono, in realtà, influenzati più da Abelardo che da Gilberto18. Nella voce dedicata a Gilberto da Félix Vernet nel 15
GRABMANN, ibid., II, pp. 408-409; tr. it., pp. 486-487. Cfr. ibid., p. 430; tr. it., p. 510: «Gilberto de la Porrée va ricordato nella storia della Scolastica e del suo metodo non solo come autore di opere filosoficoteologiche, ma anche come caposcuola, come maestro autorevolissimo di discepoli che lo veneravano. Finora non si è prestata alla sua scuola l’attenzione che essa merita. Nello studiare il materiale scolastico manoscritto ci si imbatte più spesso di quanto si potrebbe pensare in testimonianze della scuola di Gilberto». 17 R. M. MARTIN, Le péché originel d’après Gilbert de la Porrée († 1154) et son école, in «Revue d’histoire ecclésiastique», 13 (1912), pp. 674-691. 18 Cfr. ibid., p. 691: «Le point de vue abélardien domine: la conception hété16
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Dictionnaire de théologie catholique, ampio spazio è dedicato all’influenza del suo insegnamento19. Vernet è attento a separare i seguaci di Gilberto accusati da Bernardo di perseverare negli errori del maestro, dai quattro discepoli raffigurati nella già ricordata immagine del ms. 197 della Biblioteca di Valenciennes, una delle numerose testimonianze dell’esistenza di una «petite église» fedele a Gilberto, alla sua memoria e alle sue dottrine. Étienne Gilson inserisce Gilberto nel capitolo dedicato alla Scuola di Chartres, cita tra i suoi discepoli, «così numerosi che s’è presa l’abitudine di parlarne come di una famiglia dottrinale distinta, quella dei Porretani», Raul Ardente, Giovanni Beleth e Nicola di Amiens, e individua nel porretanesimo la «famiglia dottrinale [che] ha favorito la diffusione di quella forma di platonismo che si può chiamare il realismo delle essenze»20. Un capitolo a parte è dedicato ad Alano di Lilla e Nicola di Amiens per via del comune utilizzo del metodo assiomatico in teologia21; nessun riferimento invece a opere e autori della prima e dell’ultima scuola porretana. Nel 1932 Joseph Warichez pubblica il testo delle Disputationes di Simone di Tournai, un testimone importante, e ancora poco studiato, della tradizione speculativa porretana nella seconda metà del dodicesimo secolo22. In un articolo per altro molto critico nei confronti di Gilberto, André Hayen pone una questione importante, relativa al rapporto tra le vicende giudiziarie di Gilberto e la diffusione delle sue idee: come spiegare l’influenza persistente ed estesa esercitata da Gilberto sul pensiero del dodicesimo secolo, nonostante la condanna subita a Reims? I discepoli accertati di Gilberto sono, in effetti, numerosi e non di rado di notevole spessore speculativo: Hayen cita Giovanni di Salisbury, Ottone di Frirodoxe du péché originel introduite par Abélard, a passé tout entière dans la théorie des disciples de Gilbert. Il s’en suit que, pour la question du péché originel, il faut rattacher l’auteur des Sententiae divinitatis, aussi bien que Nicolas d’Amiens, non pas à l’école de Gilbert de la Porrée, mais à celle de Pierre Abélard». L’attribuzione delle Sententiae divinitatis ad Abelardo o alla sua scuola risale a Gualtiero di San Vittore: cfr. infra, cap. 3, alla nota 14. 19 F. VERNET, s. v. Gilbert de la Porrée, in Dictionnaire de théologie catholique,VI, Paris 1920, coll. 1350-1358. 20 É. GILSON, La philosophie au moyen âge, Paris 1922 (19522), pp. 267-268; tr. it., Firenze 1973, p. 324. 21 Cfr. ibid., pp. 309-318; tr. it., pp. 372-383. 22 J. WARICHEZ, Les Disputationes de Simon de Tournai. Texte inédit, Louvain 1932 (Spicilegium Sacrum Lovaniense, 12).
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singa, Raul Ardente, Giovanni Beleth, Ivo di Chartres, Giordano Fantasma, Nicola di Amiens, Stefano di Alinerra, Ugo di la Rochefoucauld, Pietro di Vienna,Ademaro di San Rufo, il Cardinale Laborans, Alano di Lilla, gli anonimi autori del Liber de diversitate naturae et personae, delle Sententiae Divinitatis, di due commentari paolini, e poi molti membri della curia romana e altri ancora.Tuttavia, nota Hayen, non tutti questi allievi fanno onore al maestro: il disaccordo tra i discepoli e Gilberto emerge in maniera piuttosto chiara non soltanto da testimoni esterni (Giovanni di Cornovaglia, Gerhoh di Reichersberg), ma anche dallo stesso Gilberto, che a Reims critica due dei suoi allievi, accusandoli di aver travisato completamente il suo pensiero. Quando le decisioni conciliari del 1215 pongono fine alla «querelle porrétaine», i discepoli di Gilberto hanno già preso le distanze dalla teologia trinitaria del maestro, cedendo di fronte alle accuse di Bernardo, Goffredo di Auxerre, Gualtiero di San Vittore oppure, conclude Hayen, scoraggiati dall’oscurità del pensiero del maestro23. In un celebre saggio del 1937, Marie-Humbert Vicaire, sulla scorta delle indagini di Artur Landgraf, distingue tre tipi di Porretani: i discepoli di Gilberto come Raul Ardente, Nicola di Amiens e Ivo di Chartres; i membri del ristretto e combattivo gruppo di difensori delle tesi gilbertine (la «piccola scuola»); i maestri e teologi che, pur non essendo veri e propri allievi di Gilberto, manifestano una parentela assai stretta con il suo pensiero (Alano, Simone, Maestro Martino, oltre a Nicola di Amiens e Raul Ardente). Questi ultimi sono definiti i «veri porretani», caratterizzati da alcune caratteristiche peculiari24. Émile Bréhier sintetizza in un unico capitolo la dottrina di Gilberto di Poitiers e di Alano di Lilla, giustificando il legame soprattutto con ragio23
Cfr. A. HAYEN, Le concile de Reims et l’erreur théologique de Gilbert de la Porrée, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 10-11 (19351936), pp. 29-102, in partic. pp. 29-37. 24 Cfr. M.-H. VICAIRE, Les porretains et l’avicennisme avant 1215, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques», 11 (1937), pp. 449-482, in partic. p. 450: «Nous ramènerions à trois chefs l’héritage commun (et diversement partagé) de ces vrais porrétains: 1° Un souci de méthodologie théologique remarquable et, sur ce point, des conceptions souvent identiques. 2° Une culture philosophique et théologique étendue et analogue: essentiellement fondée sur Boèce, ultérieurement sur Denys, Jean de Damas, Érigène, en même temps que sur Aristote. 3° Des thèses et surtout des complexes de thèses théologiques; notamment le De Unitate dont nous allons parler».
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ni di ordine metodologico: nelle sue Regulae caelestis iuris, Alano «si sforzò di realizzare in maniera completa il progetto di Gilberto Porretano, di determinare cioè le norme peculiari della teologia, movendo dal principio derivato dagli Analitici secondi ‘ogni scienza si basa su proprie norme’ (…). Un grandissimo numero di regole (8-53) sono consacrate al problema centrale dell’epoca, quello dei rapporti delle regole teologiche con quelle della dialettica e della grammatica»25. Brevi cenni sono dedicati a Nicola di Amiens e Simone di Tournai, il quale pare ispirarsi sia a Gilberto che ad Alano. Joseph de Ghellinck riunisce insieme le scuole di Chartres e di Poitiers, poiché condividono il platonismo filosofico di fondo e la lettura attenta del De Trinitate boeziano26. A Gilberto è assegnato un posto di primo piano nella storia della teologia del dodicesimo secolo, anche sulla base degli attestati di stima ricevuti dai suoi contemporanei e successori27. De Ghellinck si sofferma inoltre sui testi provenienti dalla sua scuola, accomunati dalla polemica nei confronti di Pietro Lombardo: le Sententiae divinitatis, il Liber de diversitate naturae et personae, il Liber de vera philosophia28. Un discorso a parte viene fatto per autori come Simone di Tournai, Nicola di Amiens e Alano di Lilla che, pur non appartenendo strettamente alla scuola porretana, mostrano legami dottrinali e metodologici con la scuola di Gilberto.Traendo spunto dall’influenza profonda esercitata da Gilberto, de Ghellinck individua i membri del «groupe ténace de partisans combatifs, en France et 25 Cfr. É. BRÉHIER, La philosophie au moyen âge, Paris 1937 (19492), pp. 174188, in partic. p. 179; tr. it.Torino 1952 (1980), pp. 190-205, in partic. p. 196. 26 Cfr. J. DE GHELLINCK, L’essor de la littérature latine au XIIe siècle, Bruxelles - Paris 1946, pp. 60-70. 27 Cfr. ibid., p. 68: «Le renom même de son enseignement, la faveur qui l’entoure chez les gents d’étude, le retentissement de ses écrits et la célébrité de beaucoup de ses élèves, même des membres de la cour romaine, qui prennent parti pour lui, lui garantissent una place en vue dans l’histoire théologique de ce siècle. Son nom, avec des extraits de ses œuvres, figure à côté de celui d’Aristote, de Boèce, de Platon, dans le titre des recueils d’Auctoritates, si chers aux derniers siècles du moyen âge et aux premiers imprimés incunables». 28 Cfr. ibid., pp. 69-70: «De l’école fondée par le maître porrétaine, on conserve quelques écrits dont plusieurs n’ont été découverts ou identifiés qu’à l’aube du XXe siècle. (…) Avant tout de genre polémique, ces œuvres sont évidemment bourrées de textes patristiques dirigés contre l’enseignement trinitaire de Pierre Lombard, qu’elles poursuivent avec véhémence sous l’inspiration de leur réalisme exagéré».
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ailleurs, qui peut s’appeler son école»: un gruppo ampio e variegato, che va dall’autore delle Sententiae divinitatis a Raul Ardente, e caratterizzato da un notevole sincretismo dottrinale29. L’opera del già ricordato Artur Landgraf ha segnato in modo profondo l’evoluzione degli studi sulla scuola porretana. Il suo volume introduttivo alla storia della letteratura teologica della prima Scolastica raccoglie e unifica i risultati dei numerosi lavori pubblicati precedentemente30. Landgraf ordina in maniera sistematica le opere riconducibili alla scuola porretana, distinguendole in tre generi: le opere che manifestano un «porretanismo puro» 29 Cfr. ID., Le mouvement théologique du XIIe siècle, Bruges - Bruxelles - Paris 1948, pp. 175-180, in partic. p. 179: «L’école porrétaine et ses disciples à nuances diverses, accentuent leurs tendances en les poussant parfois à l’extrême. On ne peut pas les isoler des autres groupes de la philosophie ou de la théologie contemporaine. La place des Porrétains, groupe compact, intelligent et décidé, à terminologie axiomatique conquerante, s’éclaire par toute l’ambiance de la fin du XIIe siècle, où divers mouvements en germe depuis une ou deux générations, se juxtaposent et se renforcent mutuellement, dans un syncrétisme d’ordre littéraire et doctrinal, qu’on n’a pas assez remarqué jusqu’ici: réveil de l’évangélisme, poussée de Joachim de Flore et de ses disciples, pénétration grandissante de la théologie grecque, par des voies souvent énigmatiques, platonismes chartrain et autres, emprise de la spéculation néoplatonicienne et aristotélicienne, grâce aux traductions de l’arabe et du grec. La réaction de l’augustinisme, à propos de la Trinité au concile de 1215, s’explique par ces rétroactes où le porrétanisme a une grande part». 30 A. LANDGRAF, Einführung in die Geschichte der theologischen Literatur der Frühscholastik, Regensburg 1948, sulla scuola di Gilberto pp. 79-92; ed. francese con aggiunte a c. di A. M. Landry, Introduction à l’histoire de la litérature théologique de la scholastique naissante, Montréal - Paris 1973, pp. 105-129. Cfr. anche gli studi precedenti: ID., Untersuchungen zu den Eigenlehren Gilberts de la Porrée, in «Zeitschrift für katholische Theologie», 54 (1930), pp. 180-213; Mitteilungen zur Schule Gilberts, in «Collectanea Franciscana», 3 (1933), pp. 182-208; Neue Funde zur Porretanerschule, in «Collectanea Franciscana», 6 (1936), pp. 353-365; Zur Methode der biblischen Textkritik im 12 Jahrundert, in «Biblica», 10 (1929), pp. 445-474; Studien zur Erkenntniss des Übernatürischen in Frühscholastik, in «Scholastik», 4 (1929), pp. 137, 189-220, 352-389; Die Gnadenoekonomie des Alten Bundes nach Lehre der Frühscholastik, in «Zeitschrift für katholische Theologie», 57 (1933), pp. 215-253; Die Abhängigkeit der Sünde von Gott nach Lehre der Frühscholastik, in «Scholastik», 10 (1935), pp. 161-192, 369-394, 508-540 (in partic. pp. 177-192, 369-379); Der Kult des menschlischen Natur Christi nach der Lehre der Frühscholastik, in «Scholastik», 12 (1937), pp. 361-377, 498-518. In questi scritti lo studioso ha mostrato quanto significativo sia stato il ruolo dei Porretani nell’elaborazione di una serie di teorie divenute patrimonio della dottrina teologica: la distinzione tra peccatum, reatus e poena, a proposito del peccato originale, quella tra virtù naturali e virtù soprannaturali, i termini opus operatum e opus operans, la distinzione tra latria e dulia, le teorie della non necessità dei sacramenti per l’umana salvezza e della negazione della grazia all’uomo prima della caduta.
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(un commento a san Paolo, le Sententiae divinitatis, il Liber de diversitate naturae et personae di Ugo di Honau e due raccolte di Quaestiones); le opere che esprimono un «porretanismo moderato» (gli scritti di Simone di Tournai, Raul Ardente,Alano di Lilla e Nicola di Amiens, quelli del Cardinale Laborans e la Summa quaestionum theologiae di Maestro Martino) e le opere che hanno solo dei punti in comune con il porretanesimo (la Summa de sacramentis e la Summa de officiis di Guy d’Orchelles, gli scritti di papa Innocenzo III, di Guglielmo di Saint-Thierry, la Summa del codice 109 della Stiftsbibliothek di Zwettl – che Landgraf è il primo a presentare con il nome di Summa Zwettlensis31 –, la Summa Decretorum di Uguccione da Pisa, il Tractatus de peccato originali del manoscritto Paris, Bibliothèque Nationale, Mazar. lat. 1708, ff. 253r-256r). Landgraf elenca poi i nomi di coloro che possono considerarsi porretani in campo filosofico (Giovanni di Salisbury, Ottone di Frisinga, Pietro di Vienna) e in quello della teologia mistica (Gioacchino da Fiore). Un posto a parte è assegnato, infine, alla cosiddetta piccola scuola porretana (comprendente l’anonimo Liber de vera philosophia, il De Trinitate di Ademaro di San Rufo, le opere di Ugo di Honau, il Liber de ignorantia, il Liber de differentia naturae et personae di Ugo Eteriano, la Summa del ms. Vat., Ross. lat. 212, il trattato teologico del ms. Lat. 2802, ff. 78r113v, della Biblioteca Nazionale di Parigi). Sulla scorta di questa visione d’insieme dell’intera tradizione speculativa cha fa capo a Gilberto, Landgraf esprime un giudizio complessivo sulle caratteristiche dottrinali della scuola porretana32. 31
Cfr. infra, cap. 3, § 1.1, in corrispondenza delle note 18 e seqq. Cfr. LANDGRAF, Einfürung cit., p. 91; ed. fr. cit., p. 128: «L’École porrétaine, généralement parlant, peut se caractériser par la présence chez ses membres de certaines conceptions déterminées. Ce n’est qu’exceptionnellement que l’on y travaille sur les textes mêmes de Gilbert. On trouve des exemples de cette manière de procéder uniquement pour son Commentaire sur saint Paul. On ne peut affirmer cependant que chacun des auteurs qui appartiennent à cette École professe toutes les doctrines porrétaines. C’est pour cette raison que nous avons distingué l’École porrétaine au sens large et au sens étroit. Dès à présent on peut se rendre compte que, sur de nombreux points, les gilbertiens ou les porrétains ont imprimé leur marque à la théologie des XIIe et XIIIe siècles; bien plus, qu’une série de leurs doctrines sont devenues possession durable de notre théologie. Leur influence fut déterminante également pour la formation de la terminologie théologique. Des expressions telles que opus operans et opus operatum, ou potestas excellentiae, en usage dans la théologie de l’efficacité des sacraments, semblent avoir été frappées par eux. Leur importance est due aussi au rôle d’intermédiai32
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Per ciò che concerne la storiografia italiana, il primo significativo sforzo di sintesi è stato proposto nel 1950 da Ermenegildo Bertola in uno studio dedicato espressamente alla scuola di Gilberto33. Bertola rileva giustamente che prima del Concilio Lateranense del 1215, la scuola del Lombardo non era né l’unica esistente in campo teologico, né quella che godeva di un seguito superiore alle altre, dato il notevole successo riscosso dalle scuole di Abelardo e di Gilberto di Poitiers. La scuola porretana, fa notare lo stesso Bertola, non comprende infatti solo gli allievi che hanno modo di ascoltare direttamente le lezioni di Gilberto, ma anche, e soprattutto, quel «complesso dei pensatori, filosofi o teologi, che pur non essendo stati direttamente o materialmente allievi di quel maestro, han subìto però fortemente l’influsso di un comune complesso di dottrine, così da sentirsi legati da vincoli ideali ad una comune origine»34. Tra gli allievi «nel senso letterale, oltreché spirituale, della parola» sono compresi Giordano Fantasma, Giovanni Beleth, Ivo di Chartres, Nicola di Amiens, Stefano di Alinerra, Giovanni di Salisbury, Rotoldo di Beaumont, Ottone di Frisinga35. Accanto a questi «ormai abbiamo l’attestares qu’ils jouèrent par rapport aux idées de Boèce qu’ils adoptèrent en partie et développèrent. C’est aussi grâce à eux que l’influence du pseudo-Denys semble s’être répandue. Ils ont été précédé toutefois par Hervé de Bourg-Dieu. Enfin ce sont Gilbert et surtout Alain de Lille qui ont tenté, les premiers, d’utiliser, pour la construction systématique de la théologie, la technique axiomatique du De hebdomadibus de Boéce, créée par les mathématiciens». 33 E. BERTOLA, La scuola di Gilberto de la Porrée, in «Sophia», 18 (1950), pp. 6777 (poi in Saggi e studi di filosofia medievale, Padova 1951, pp. 19-34); cfr. in partic. p. 67: «Anche oggi, nonostante i numerosi studi e le profonde ricerche di alcuni studiosi come il Lottin, il de Ghellinck, il Geyer, il Vicaire e specialmente il Landgraf, non è certamente facile scrivere la storia della scuola porretana. Oltre alle difficoltà derivate dal fatto che i testi porretani giacciono quasi tutti ancora inediti nelle varie biblioteche d’Europa, è certo che le nuove ricerche, che indubbiamente saranno fatte, non soltanto illumineranno meglio i punti oscuri, ma varranno forse a modificare apprezzamenti e giudizi». 34 Ibidem. 35 A questi Bertola aggiunge: Raul Ardente, Ugo di La Rochefoucauld, Pietro di Vienna, Ademaro di San Rufo, Alano di Lilla, Simone di Tournai, il cardinale Laborans; gli anonimi autori delle Sententiae divinitatis, del Liber de diversitate naturae et personae, dei Commentarii a san Paolo scoperti da Landgraf (Paris, mss. Nat. lat. 686 e Arsenal 1116), delle Glosse marginali di un Commento alle Sentenze del Lombardo (Paris, ms. Nat. lat. 164112, sec. XIII), forse quello del Liber de unitate et uno, poi ancora del Liber de vera philosophia, della Summa di Bamberg attribuita a Stefano Langton, del Tractatus sul peccato originale attribuito a Prepositino di Cremona, infine l’autore di un commento all’Epistola ai Romani.
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zione di una vera scuola porretana nel senso sopradetto, la quale continuò per tutto il secolo XII e l’inizio del secolo XIII: scuola composta di seguaci di Gilberto, difensori del suo complesso di dottrine filosofiche e teologiche allora contemporaneamente diffuse e contrastate»36. Se, dunque, «nessun dubbio sta sulla esistenza di una scuola porretana o gilbertina, sia sull’influsso o importanza di essa alla fine del secolo XII nel complesso delle discussioni teologiche», tuttavia «non basta la citazione di un nome o l’esposizione che uno scrittore faccia delle dottrine gilbertiane, perché egli venga considerato della sua scuola. Né d’altra parte si deve credere che i seguaci di Gilberto siano stati dei semplici compilatori o glossatori dell’opera sua. I Porretani, come del resto i seguaci di altre scuole e di altri grandi maestri dell’epoca, approfondivano il pensiero del Maestro e perciò stesso tentavano nuove soluzioni, che a volte si allontanavano da quella del fondatore per accostarsi ad altre di altre correnti (…). Le scuole del secolo XII non devono essere considerate quali dei compartimenti stagni: in esse si trovano numerose forme di reciproca osmosi molto interessanti»37. Bertola fa poi il punto sulle caratteristiche dottrinali dei Porretani, che egli colloca in una posizione mediana «rispetto a quelle che possono essere considerate come l’ala destra e l’ala sinistra della speculazione del dodicesimo secolo, cioè quella agostiniana di Pietro Lombardo e quella dialettica di Abelardo»38. 36 BERTOLA, ibid., p. 69. Bertola fa rientrare in questo gruppo maestro Martino, Guido di Orchelles, l’autore della Disputatio altera contro Abelardo attribuita a Guglielmo di Saint-Thierry (PL 180, 283A-328D), l’autore della Summa Zwettlensis. 37 Ibid., p. 70. 38 Cfr. ibid., pp. 71-72: «Né Gilberto, né i suoi allievi seguirono soltanto la tradizione agostiniana; da loro Agostino è corretto con Boezio e con l’ispirazione aristotelica ed umanistica. Una caratteristica della scuola porretana è proprio l’opposizione al tradizionalismo teologico (…) che giustifica e spiega i rapporti che si sono potuti trovare con altre correnti antitradizionalistiche ed antilombardiane, quali l’Avicennismo latino ed il Gioachinismo. (…) È nel complesso delle dottrine che si rivela l’indirizzo medio della scuola porretana (…). Un aspetto originale è dato dalla estensione della cultura filosofica e dalla particolare tradizione patristica alla quale i Porretani fanno capo. I grandi ispiratori cioè sono: Agostino e Boezio in prima, poi lo pseudo-Ambrogio, Gerolamo e, nel campo più specificamente filosofico, Aristotele (…) La scuola porretana è pure caratterizzata da una metodologia teologica, anzi da una particolare metodologia, già notata dal Vicaire e dal Martin, e specialmente da Chenu (…). Infine il più importante aspetto dei seguaci di questa scuola è di avere in comune un complesso
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In conclusione, per Bertola risulta chiara «l’importanza e la ricchezza di contenuto dottrinale della scuola porretana, il cui influsso si fece sentire fino agli inizi del tredicesimo secolo. Il Concilio del 1215 ne farà diminuire di molto l’importanza e la farà più tardi anche scomparire dalla scena storica. Ma alcuni importanti risultati e soluzioni da essa raggiunti rimarranno patrimonio perenne della storia della filosofia e della teologia»39. A proposito di Gilberto, Aimé Forest, Fernand van Steenberghen e Maurice de Gandillac evidenziano come l’influenza che egli esercitò fu molto vasta, ma vivacissime furono pure le critiche che gli vennero mosse40. In poche note i tre storici riassumono i risultati delle ricerche di Fournier,Vicaire e altri intorno ai «dissidenti» Porretani41. Un intero paragrafo è dedicato invece alle Sententiae divinitatis e alla presunta relazione con l’opera del madi tesi decisamente originali. Queste tesi, che noi troviamo come eredità di problemi non soltanto, ma come tracce o tentativi di soluzione si richiamano ai tre principali aspetti della complessa dottrina del vescovo di Poitiers: il suo particolare realismo o dottrina del conformismo nella famosa questione degli universali; il problema dell’unità, come giustamente si vuole chiamare il complesso dei problemi che riguardano le tre divine persone; ed infine la sua dottrina morale con particolare riguardo al problema del peccato originale». 39 Ibid., p. 77. 40 Cfr. A. FOREST - F. VAN STEENBERGHEN - M. DE GANDILLAC, Le mouvement doctrinal du IXe au XIVe siècle (Histoire de l’Église depuis les origines jusqu’à nos jours, XIII), Paris 1951, p. 81; tr. it.,Torino 1965, p. 115. 41 Cfr. ibid., pp. 163-164; tr. it., pp. 229-230: «La dottrina teologica di Gilberto Porretano esercitò nel secolo XII larga influenza. Nel Concilio di Reims essa venne vivamente criticata. (…) Tuttavia un gruppo di discepoli rimase fedele al pensiero ch’egli aveva elaborato. (…) È difficile conoscere il numero esatto dei discepoli componenti il gruppo dei dissidenti, sembra però che si debbano citare Giordano di Fantasma, Ivo che fu vescovo di Chartres, e Giovanni Beleth. Le Sententiae divinitatis sono la prova più interessante di questa influenza esercitata anche diffusamente. Essa, infatti, è palese in Giovanni di Salisbury, Ottone di Frisinga, Nicola d’Amiens, Raoul Ardente, il maestro Martino, Simone di Tourmai e Alano di Lilla. Un trattato anonimo, il Liber de vera philosophia, è certamente anch’esso di ispirazione porretana, e l’attribuzione che di esso viene fatta a Gioacchino da Fiore è impossibile, per quanto vi si ritrovino applicati i principi di Gilberto Porretano. La distinzione delle tre età dell’umanità, la creazione, l’incarnazione e l’avvento dello Spirito Santo, può infatti considerarsi una trasposizione della dottrina di Gilberto in una filosofia della storia. L’influenza gilbertiana può ancora rintracciarsi nell’ambiente in cui si elaborano, verso la fine del secolo, parecchie dottrine convergenti sulla processione delle cose dal seno dell’unità divina. Queste idee, espresse nel De unitate di Domenico Gundisalvi e nell’anonimo De causis primis et secundis, dipendono certamente in parte dall’avicennismo, ma sono altresì in rapporto con dottrine teologiche. È cosa naturale cercare in questo complesso dottrinale il ricordo di Gilberto Porretano».
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gister Simone.Vengono poi sottolineati i progressi fatti segnare dagli esponenti più speculativi della scuola porretana, definiti «progressisti» di fronte ai «conservatori» della scuola di Pietro Lombardo42. Nello stesso anno Michael E.Williams apre il suo studio dedicato alla dottrina trinitaria di Gilberto con una considerazione sull’importanza della sua scuola nella storia del pensiero del dodicesimo secolo e sull’interesse riscosso dalla scuola nella storiografia della prima metà del secolo43.Tra i più importanti discepoli, egli cita Ottone di Frisinga, Simone di Tournai, l’autore delle Sententiae Divinitatis e alcuni commentatori delle lettere paoline44. Nel 1953, dopo uno studio introduttivo pubblicato pochi anni prima, Polémon Glorieux offre l’edizione della Summa «Quoniam homines», attribuendola definitivamente ad Alano di Lilla45. Da questo momento in poi, la conoscenza della scuola porretana nel suo complesso compie notevoli passi in avanti grazie alla pubblicazione di opere fino ad allora inedite, sulla cui base le interpretazioni storiografiche segnano un significativo salto di qualità. Su entrambi i versanti di ricerca (le edizioni e gli studi critici), il più importante contributo alla conoscenza dei Porretani è 42 Cfr. ibid., p. 190; tr. it., p. 265: «I porretani non esitano a incorporare alcune teorie di Aristotele nell’esposizione della teologia dogmatica e morale, mentre Simone di Tournai e Alano citano il Filosofo e si valgono della sua dottrina, riuscendo così a dare ai loro scritti un carattere molto più tecnico e più speculativo di quello delle opere contemporanee. Ma in queste produzioni non si può ancora parlare di vere sintesi dottrinali».Tra i progressisti seguaci di Gilberto sono compresi Simone di Tournai, Filippo il Cancelliere, Guglielmo di Auxerre e Guglielmo di Alvernia, mentre tra i conservatori lombardiani rientrano Pietro di Poitiers, Stefano Langton, Roberto di Courçon, Pietro di Capua, Prepositino di Cremona e Tommaso Gallo. 43 Cfr. M. E.WILLIAMS, The teaching of Gilbert Porreta on the Trinity as found in his commentaries on Boethius, Roma 1951 (Analecta Gregoriana, 56), p. VII: «Considering the importance of the school of Gilbert Porreta in the history of the thought of the twelfth century, it is surprising that comparatively little has been written on the teaching of Gilbert himself. Many scholars, such as Landgraf, have devoted much research to the followers of Gilbert. (…) We are not concerned with what he is reputed to have said at the Council, much less with the opinions of any of his followers». 44 Cfr. ibid., p. 3. 45 Cfr. P. GLORIEUX, L’auteur de la Somme «Quoniam homines», in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 17 (1950), pp. 29-45; ID., La Somme «Quoniam homines» d’Alain de Lille, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 20 (1953), pp. 113-364.
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stato offerto da Nikolaus M. Häring, il cui primo studio su Gilberto risale al 195146. La bibliografia completa dei suoi lavori comprende decine di edizioni e articoli dedicati a Gilberto, alla sua scuola, alla relazione tra i Porretani e i maestri contemporanei47.A lui si deve, tra l’altro, l’edizione critica dei Commentaria di Gilberto48. Limitandosi ai contributi più importanti, vanno ricordate le edizioni del Dialogus Ratii et Everardi49, delle opere di Ugo Eteriano50 e Ugo di Honau51, del De Trinitate di Ademaro di San Rufo52, del Tractatus «Invisibilia Dei»53, di due opere di Simone di Tournai54, della Summa Zwettlensis (il cui autore Häring propone di identificare con Pietro di Vienna)55, delle Sententiae magistri Gi46 N. M. HÄRING, The case of Gilbert de la Porrée Bishop of Poitiers (1142-1154), in «Mediaeval Studies», 13 (1951), pp. 1-40. 47 L’elenco completo delle sue pubblicazioni è in W. H. PRINCIPE, Nikolaus M. Häring, ibid., 44 (1982), [pp. VII-XVI], pp. X-XVI. 48 Cfr. N. M. HÄRING, The Commentary of Gilbert of Poitiers on Boethius’ De Hebdomadibus, in «Traditio», 9 (1953), pp. 177-211; ID., The Commentary of Gilbert, Bishop of Poitiers, on Boethius’ Contra Eutychen et Nestorium, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 21 (1954), pp. 241-357; ID., The Commentaries of Gilbert, Bishop of Poitiers, on the Two Boethian Opuscula Sacra on the Holy Trinity,Toronto 1955, pp. 23-98. I commenti sono stati poi riuniti in un unico volume: ID.,The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit. (alla nota 2); cfr. in partic. p. 4: «Gilbert of Poitiers is too great and important a scholar to be a shrugged off as an obscurantist. In fact, his equal is not found in Latin theology from St.Augustine to the most celebrated theologians of the thirteenth century». 49 ID., A Latin Dialogue on the Doctrine of Gilbert of Poitiers, in «Mediaeval Studies», 15 (1953), pp. 243-289; ID., The Cistercian Everard of Ypres and his Appraisal in the Conflict between St. Bernard and Gilbert of Poitiers, ibid., 17 (1955), pp. 143172. 50 ID., The Liber de Differentia naturae et personae by Hugh Etherian and the Letters addressed to him by Peter of Vienna and Hugh of Honau, ibid., 24 (1962), pp. 134. 51 ID., The Liber de Diversitate naturae et personae by Hugh of Honau, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 29 (1962), pp. 103-216; ID., The Liber de homoysion et homoeysion by Hugh of Honau (I-II), ibid., 34 (1967), pp. 129-253; 35 (1968), pp. 211-295. 52 ID., The Tractatus de Trinitate by Adhemar of Saint-Ruf (Valence), ibid., 31 (1964), pp. 111-206. 53 ID., The Treatise «Invisibilia Dei» in MS Arras, Bibl. mun. 981 (399), in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 40 (1973), pp. 104-146. 54 ID., Two Redactions of a Commentary on a Gallican Creed by Simon of Tournai, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 41 (1974), pp. 39112; ID., Simon of Tournai’s Commentary on the so-called Athanasian Creed, ibid., 43 (1976), pp. 135-199. 55 ID., Die Zwettler Summe. Einleitung und Text, Münster 1977 (BGPTMA, NF 15). Cfr. infra, cap. 3, § 1.1, in corrispondenza delle note 18 e seqq.
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sleberti56, delle Regulae caelestis iuris di Alano di Lilla57. Tra i saggi più significativi su aspetti specifici della dottrina di Gilberto e dei Porretani, si segnalano gli articoli sulla cristologia58, sulla teologia trinitaria59, sulle fonti greche60, sulla collezione patristica di Ademaro61, sul Concilio di Reims62, sulla tradizione manoscritta delle opere di Gilberto63. Nella voce dedicata a Gilberto nella Theologische Realenzyklopädie, pubblicata postuma, lo studioso tedesco cita i seguenti nomi di teologi e maestri porretani: Giovanni Beleth, Ivo di Chartres, il cronista Guglielmo arcivescovo di Tiro (1175-86), Everardo di Ypres, il Cardinale Laborans, Giordano Fantasma, Ademaro di San Rufo, Ugo di Honau, Pietro di Vienna, Raul Ardente, Simone di Tournai e Alano di Lilla64. Grazie al meritevole lavoro di Häring, le cui ricerche sviluppatesi nell’arco di circa trent’anni hanno toccato pressoché tutti i rami della tradizione gilbertina, oggi si dispone di una notevole quantità di testi e di studi che ancora devono essere valutati e approfonditi quanto meritano e che continuano a rappresentare la base per ogni studio serio sui Porretani. Nel suo bel saggio dedicato a Gilberto, Suitberg Gammersbach ha dedicato notevole spazio agli interlocutori del vescovo, 56
ID., Die Sententie Magistri Gisleberti Pictavensis Episcopi, I, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 45 (1978), pp. 83-180; Die Sententie Magistri Gisleberti Pictavensis Episcopi, II: Die Version der florentiner Handschrift, ibid., 46 (1979), pp. 45-105. 57 ID., Magister Alanus de Insulis, Regulae caelestis iuris, ibid., 48 (1981), pp. 97-226. 58 ID., Sprachlogische und philosophische Voraussetzungen zum Verständnis der Christologie Gilbertus von Poitiers, in «Scholastik», 32 (1957), pp. 373-398. 59 ID., Petrus Lombardus und die Sprachlogik in der Trinitäslehre der Porretanerschule, in Miscellanea Lombardiana, a c. del Pontificio Ateneo Salesiano di Torino, Novara 1957, pp. 113-127. 60 Cfr. ID., The Porretans and the Greek Fathers, in «Mediaeval Studies», 24 (1962), pp. 181-209. 61 Cfr. ID., Die Vätersammlung des Adhemar von Saint-Ruf in Valence, in «Scholastik», 38 (1963), pp. 402-420; ID., In search of Adhemar’s Patristic Collection, in «Mediaeval Studies», 28 (1966), pp. 336-346. 62 Cfr. ID., Das sogennante Glaubensbekenntnis der Reimser Konsistoriums von 1148, in «Scholastik», 40 (1965), pp. 55-90; ID., Notes on the Council and the Consistory of Rheims (1148), in «Mediaeval Studies», 28 (1966), pp. 39-59. 63 Cfr. ID., Handschriftliches zu den Werken Gilberts, Bischof von Poitiers (11421154), in «Revue d’histoire des textes», 8 (1978), pp. 133-194. 64 Cfr. ID., s. v. Gilbert Porreta, in Theologische Realenzyklopädie, XIII, Berlin New York 1984, pp. 266-268.
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contrapponendo gli avversari di Gilberto (Bernardo di Clairvaux, Goffredo di Auxerre,Clarembaldo di Arras,Gualtiero di SanVittore e Gerhoh di Reichersberg) ai suoi seguaci (Giovanni di Salisbury, Ottone di Frisinga, l’autore del Liber de vera philosophia, Ademaro di San Rufo,Everardo diYpres,gli autori degli encomiastici necrologi del vescovo)65. Lo studioso propone una distinzione tra l’atteggiamento benevolo ma moderato espresso da alcuni ammiratori di Gilberto,come Giovanni di Salisbury e Ottone di Frisinga,e l’entusiasmo viscerale e poco obiettivo espresso dai «Porretani radicali», come Ugo di Honau,Ademaro di San Rufo, l’autore del Dialogus Ratii et Everardi e l’autore del Liber de vera philosophia66. Lo studio è apprezzabile per l’interesse verso gli ambienti porretani e per l’intento di leggere la vicenda di Gilberto attraverso gli occhi e le parole dei testimoni dell’epoca e dei suoi seguaci. Nella monumentale opera di Odon Lottin sulle dottrine psicologiche e morali del dodicesimo e del tredicesimo secolo, sono confluiti alcuni studi dedicati a opere della scuola porretana67. Lottin, inoltre, riprendendo alcune indicazioni di Martin, definisce le linee essenziali della posizione dei Porretani sul peccato originale, passando in rassegna Gilberto, le Sententiae divinitatis, un breve anonimo Tractatus, Simone di Tournai, Alano di Lilla, Raul Ardente e Nicola di Amiens68. Una tappa decisiva nel processo di comprensione dei testimoni della tradizione porretana è rappresentata dallo studio ‘panoramico’ di Antoine Dondaine sulla cosiddetta «piccola scuola» por65 Cfr. S. GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse im Urteil der Zeitgenossen, Köln - Gratz 1959, in partic. pp. 43-66. 66 Cfr. ibid., pp. 130-131: «Der Gilbertenthusiasmus der Porretaner erwuchs aus zwei Wurzeln. Die eine Wurzel war die Wirkmacht der einzigartigen wissenschaftlichen Individualität Gilberts mit ihren eigenwilligen, theologisch so aufrüttelnden Ideen; die andere war der Kampf der nicht allzu großen, aber fest geschlossenen und geistig äußerst lebendigen Gruppe der radikalen Porretaner um ihre Selbstbehauptung gegen die ‘Konservativen’ wie auch gegen andere ‘scholastische’ Strömungen wie etwa des Petrus Lombardus oder Abaelards». 67 O. LOTTIN, Psycologie et morale aux XIIe et XIIIe siècles, 6 voll., Louvain Gembloux 1942-1960, in part. Un traité de l’école porrétaine attribué faussement à Prévostin de Crémone,VI, pp. 19-26; Un traité sur les vertus, les vices et les dons restitué à Alain de Lille,VI, pp. 27-92; La ‘Summa’ attribuée a Etienne Langton,VI, pp. 125136. 68 Cfr. O. LOTTIN, Les théories du péché originel au XIIe siècle. I. La réaction abélardienne et porrétaine, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 12 (1940), pp. 78-103.
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retana, definizione proposta molti anni prima da Paul Fournier e ripresa poi da diversi studiosi69. Lo studio di Dondaine, che passa in rassegna il Liber de vera philosophia, il Liber de ignorantia, le opere di Ademaro di San Rufo, Ugo di Honau, Ugo Eteriano e due opere anonime, costituisce ancora oggi un punto di riferimento per la conoscenza di questo gruppo di tenaci difensori delle dottrine teologiche di Gilberto70. Nessun cenno alla scuola porretana, invece, nell’opera di David Knowles, che tuttavia fa cenno alla fama di Gilberto, considerato il maestro «che, dopo Abelardo, può essere reputato il pensatore più acuto del secolo»71. Con alcuni brevi ma incisivi articoli, Marie-Dominique Chenu ha studiato i rapporti tra Gilberto e i suoi seguaci fin dagli anni ’30 del secolo scorso72. Ma è nell’opera dedicata alla teologia del secolo XII, pubblicata nel 1966, che lo storico e teologo domenicano fa spesso riferimento ai Porretani, inserendoli, pur senza una presentazione sistematica, in molti dei filoni speculativi più significativi del secolo, dall’elaborazione del metodo teologico alla ripresa della tradizione dionisiano-eriugeniana, dal progresso delle analisi grammaticali e semantiche all’approfondi69 A. DONDAINE, Écrits de la ‘Petite École’ porretaine, Montréal - Paris 1962; P. FOURNIER, Un adversaire inconnu de saint Bernard et de Pierre Lombard, in «Bibliothèque de l’École des Chartes», 47 (1886), pp. 394-417, poi in ID., Études sur Joachim de Flore et ses doctrines, Paris 1909, pp. 51-78. 70 Cfr. anche A. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 27 (1952), pp. 67-134; ID., Hugues Éthérien et le concile de Constantinople de 1166, in «Historisches Jahrbuch», 77 (1958), pp. 473-483. 71 Cfr. D. KNOWLES, The Evolution of Medieval Thought, London 1962, p. 133; tr. it., Bologna 1984, pp. 179-180: Gilberto «costituisce nella sua persona il tipico esemplare di intellettuale che si ritrova in ogni tempo: uno che agli occhi dei contemporanei pareva per la sua eccellenza da annoverare tra i grandissimi e perciò nulli secundus, ma su cui i posteri hanno poi steso un velo di oblio, sia perché gli mancò la genialità, sia perché gli fece difetto una personalità di spiccate qualità umane. Così scadde a figura generica, a personaggio di cui si interessano soltanto specialisti e storici. (…) Come avversario di san Bernardo allude a lui, chiamandolo ‘avversario oscuro’, un famoso sonetto di Matthew Arnold (…)». Cfr. anche ibid., p. 223; tr. it., p. 302: «È sicuramente vero che per oltre un sessantennio dopo la morte di Gilberto Porretano non ci fu nell’Europa occidentale alcun pensatore o alcun teologo di prima grandezza». 72 M.-D. CHENU, Une opinion inconnue de l’école de Gilbert de la Porrée, in «Revue d’histoire ecclésiastique», 26 (1930), pp. 347-352; ID., Un essai de métode théologique au XIIe siècle, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques», 19 (1935), pp. 258-267; ID., Une théologie axiomatique au XIIe siècle. Alain de Lille, in «Cîteaux in de Nederlanden», 9 (1958), pp. 137-142.
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mento dell’epistemologia boeziana73. Grazie all’opera di Chenu, è aumentata la considerazione del ruolo svolto dai Porretani nell’ambito della produzione filosofica e teologica del dodicesimo secolo. Tra gli obiettivi dell’opera di Hubert C. van Elswijk, autore di una monografia su Gilberto di Poitiers che conserva ancora oggi il suo valore, non v’è purtroppo quello di analizzare la sua scuola74. Un breve cenno lo fa Robert Javelet all’inizio del suo ampio studio sulle idee di immagine e somiglianza nel dodicesimo secolo, in cui, volendo stilare un quadro orientativo delle scuole del dodicesimo secolo, cita le scuole di Laon, di Abelardo, di San Vittore, di Chartres, di Parigi e di Bologna: a queste si aggiungono i Porretani, in riferimento ai quali, tuttavia, lo studioso non parla esplicitamente di «scuola»75. Da notare, inoltre, che Maestro Martino e Raul Ardente sono inseriti nella scuola di Parigi, nella linea di Pietro Lombardo, mentre Ugo Eteriano è inserito tra i non meglio definiti polemisti. In linea con la tradizione storiografica precedente, Cesare Vasoli, autore di diversi studi su Alano di Lilla, nel proprio manuale di storia della filosofia medievale colloca Gilberto all’interno della Scuola di Chartres, riservando poche parole ai suoi discepoli76. Nello studio di Giuseppe Angelini su Prepositino di Cremona, i Porretani costituiscono un riferimento costante, un passaggio ob73
Cfr. ID., La théologie au douzième siècle, Paris 1966; tr. it., Milano 1983. ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (alla nota 1). 75 Cfr. R. JAVELET, Image et ressemblance au XIIe siècle de Saint Anselme à Alain de Lille, 2 voll., Chambery - Paris 1967, I, pp. XVI-XVII: «Il [Gilbert] prolonge, à sa façon, l’école de Chartres. Parmi les Porrétains, citons l’auteur des Sententiae divinitatis, Jean de Salisbury et Pierre de Blois, écrivains humanistes. Simon de Tournai, élève d’Odon d’Ourscamp, sympathise avec les idées d’Abélard et de Gilbert, mais il introduit Aristote dans la théologie. Alain de Lille est un porrétain original; il eut comme élève Nicolas d’Amiens». 76 Cfr. C. VASOLI, La filosofia medievale, Milano 1968, p. 128: «Nonostante le accuse e le polemiche i temi centrali della sua speculazione, derivati per originale elaborazione da Boezio, Dionigi e lo Scoto Eriugena si ritroveranno in scrittori del XII secolo; sì da formare una vera e propria scuola teologica che, sull’inizio del XIII, s’incontrerà poi facilmente con gli esiti platonici dell’avicennismo latino (Liber de diversitate naturae et personae; Sententiae divinitatis, ecc.)». Cfr. anche p. 247: «Non è strano che l’assimilazione delle nuove tematiche arabe si compisse con particolare facilità proprio in quegli ambienti filosofico-teologici, come la scuola di Gilberto de la Porrée, dove il platonismo aveva assunto un’impronta rigorosamente sistematica e consequenziale». 74 VAN
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bligato per chiarire la posizione dottrinale del teologo lombardo, appartenente alla tradizione teologica opposta77. David Luscombe, autore di uno splendido libro sulla scuola di Abelardo, ha definito il gruppo dei discepoli di Gilberto «a strong force in the twelfth century», al cui interno spiccano le figure di Giovanni di Salisbury, Ottone di Frisinga, Alano di Lilla, Nicola di Amiens, Raul Ardente, Giovanni Beleth. Lo studioso non manca di far notare i casi di commistione con la tradizione dialettica abelardiana e una certa predisposizione all’incontro con la filosofia avicenniana78. Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, ancora in un manuale, inserisce Gilberto nel capitolo dedicato alle scuole di Chartres e di San Vittore, ma riconosce che la personalità e l’influenza di Gilberto «si allargano al di là della scuola chartriana». Giovanni di Salisbury,Alano di Lilla e Nicola di Amiens sono collocati nel capitolo successivo, mentre la scuola di Gilberto è fatta rientrare nell’ambito generale del platonismo del dodicesimo secolo79. Nell’ultimo quarto del secolo scorso l’attenzione degli specialisti si è concentrata perlopiù sulle dottrine logiche e linguistiche dei Porretani e su alcuni aspetti originali della loro teologia. L’interesse verso la logica porretana è inaugurato da uno studio pubblicato nel 1976 da Lauge Olaf Nielsen, che ricava un nucleo di teorie logico-semantiche dalle opere teologiche di Gilberto e dei suoi seguaci (l’Expositio Symboli Athanasii «Quicumque vult», opera pseudo-gilbertina così come il Tractatus de Trinitate o «Quod Patris et Filii», le Sententiae divinitatis, il Dialogus Ratii et Everardi, il Tractatus de Trinitate di Ademaro di San Rufo)80. Nel 1982 Nielsen pubblica un ampio saggio sulla teologia e la filosofia del seco77 Cfr. G. ANGELINI, L’ortodossia e la grammatica. Analisi di struttura e deduzione storica della Teologia Trinitaria di Prepositino, Roma 1972, in partic. pp. 83-94. 78 Cfr. D. E. LUSCOMBE, s. v. Gilbert of Poitiers, in The Encyclopedia of Philosophy, III, New York - London 1967 (19722), pp. 329-331. 79 Cfr. M. T. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, Filosofia della natura e fede: le scuole di Chartres e di S.Vittore, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra, 11 voll., Milano 1976,V, pp. 244-247 e 259-271, in partic. p. 244: «I suoi allievi – un’unità ben caratterizzata, i cosiddetti Porretani – rappresentarono uno dei filoni più notevoli del platonismo dell’epoca – quello di origine prevalentemente boeziana – che più tardi si fonderà con quello avicenniano». 80 Cfr. L. O. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language of Gilberto Porreta and His Followers, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge grec et latin», 17 (1976), pp. 40-69.
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I. IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
lo XII, al cui interno, in realtà, è possibile riconoscere due filoni di ricerca complementari ma distinti: la prima parte è, infatti, una monografia completa su Gilberto, mentre la seconda è un’esposizione esauriente delle dottrine cristologiche nel periodo 1130118081.Tra gli autori presi in considerazione compaiono Ugo di San Vittore, Pietro Abelardo e la sua scuola, Pietro Lombardo e la sua scuola, mentre manca un esame della dottrina della scuola porretana, assenza piuttosto sorprendente in un’opera dedicata a Gilberto e al periodo immediatamente successivo alla sua scomparsa, al cui interno trovano invece spazio la scuola abelardiana, distinta in una scuola precedente il 1140 e una successiva a questa data (rappresentata dall’Ysagoge in Theologiam e dall’opera di Rolando Bandinelli) e la scuola lombardiana. Un contributo importante allo studio sull’ambiente porretano proviene dagli atti del settimo simposio europeo di storia della logica e della semantica medievali, svoltosi a Poitiers nel 1985, dedicato a Gilberto di Poitiers e ai suoi contemporanei82. Una delle tre sezioni del volume contiene interessanti contributi su alcuni aspetti logico-semantici delle dottrine di Gilberto (de Rijk, Gauvin, Jolivet, Knuuttila, Haas) e dei Porretani (Schweiss, Colish, Lewry). Spunti importanti sono presenti anche nelle altre due sezioni, l’una dedicata alle scuole logiche del dodicesimo secolo, l’altra ai rapporti tra grammatica, logica e teologia (con un interessante articolo, tra gli altri, di Alain de Libera su Alano di Lilla). Il volume non solo inquadra per la prima volta l’opera di Gilberto e dei suoi contemporanei all’interno dell’evoluzione storica della logica modernorum, ma offre notevoli spunti di riflessione sui collegamenti tra logica, ontologia e teologia. Negli ultimi vent’anni, la conoscenza delle dottrine logiche dei Porretani è notevolmente aumentata grazie alla pubblicazione di alcune opere anonime di ambiente porretano nei «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin»: nel 1983 Sten Ebbesen, 81
ID., Theology and Philosophy in the Twelfth Century.A Study of Gilbert Porreta’s thinking and the Theological Expositions of the Doctrine of the Incarnation during the period 1130-1180, Leiden 1982. La prima parte corrisponde alle pp. 23-189, mentre la seconda alle pp. 191-361. 82 Gilbert de Poitiers et ses contemporaines.Aux origines de la logica modernorum, Actes du septieme symposium européen d’histoire de la logique et de la sémantique médiévales (Poitiers 17-22 Juin 1985), éd. par J. Jolivet - A. de Libera, Napoli 1987.
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Karin Margareta Fredborg e Lauge Olaf Nielsen hanno presentato l’edizione del Compendium logicae porretanum, corredato da uno studio di Christopher J. Martin83; nel 1988 la Fredborg e Corneille H. Kneepkens hanno pubblicato delle glosse porretane a Prisciano, a cui danno il titolo di Glosulae porretanae super Priscianum minorem84; nel 2001, infine, Sten Ebbesen ha edito un ampio frammento di un commento porretano alle Categorie aristoteliche85. In una breve ma completa nota sui Porretani, John Marenbon ha proposto una classificazione piuttosto articolata dei seguaci di Gilberto, a suo parere influenzati più dalle sue dottrine teologiche che dalla sua tecnica argomentativa o dalla sua analisi concettuale. Nella produzione dei Porretani Marenbon distingue: i testi prodotti dalla piccola scuola porretana; un insieme di opere pseudo-gilbertine; gli scritti di teologi quali Simone di Tournai e Raul Ardente, che mostrano chiaramente il loro debito nei confronti di Gilberto; il commento ai Nomi divini di Guglielmo da Lucca (pubblicato pochi anni prima da Ferruccio Gastaldelli86) e l’anonimo Liber de causis primis et secundis (De intelligentiis), in cui confluiscono la dottrina porretana e la metafisica neoplatonica (pseudo-Dionigi, Giovanni Scoto, Avicenna); le Regulae caelestis iuris di Alano di Lilla e la Summa Zwettlensis, che approfondiscono lo statuto scientifico della teologia messo a punto da Gilberto; infine due opere esemplari dell’approccio porretano alle questioni di logica (il Compendium logicae porretanum) e di teologia (il Dialogus Ratii et Everardi, definito «the most intelligent development of Porretanism»)87. 83 S. EBBESEN - K. M. FREDBORG - L. O. NIELSEN, Compendium logicae porretanum ex codice Oxoniensi Collegii Corporis Christi 250: a Manual of Porretan doctrine by a Pupil of Gilbert’s, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin», 46 (1983), pp. III-XVII, 1-113; Addenda e Corrigenda, ibid., 47 (1984), pp. 142-143 e 57 (1988), pp. 175-176; Ch. J. MARTIN, The Compendium logicae porretanum: a Survey of Philosophical Logic from the School of Gilbert of Poitiers, ibid., pp. XVIII-XLVI. 84 Cfr. K. M. FREDBORG - C. H. KNEEPKENS, Grammatica porretana, ibid., 57 (1988), pp. 11-67. 85 S. EBBESEN, A Porretanean Commentary on Aristotle’s Categories, ibid., 72 (2001), pp. 35-88. 86 WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam Dionisii que est De divinis nominibus, introduzione e testo critico di F. Gastaldelli, Firenze 1983. 87 Cfr. J. MARENBON, A Note on the Porretani, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy, a c. di P. Dronke, Cambridge 1988, pp. 353-357.
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I. IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
Alla fine degli anni ’80, Marcia L. Colish ha offerto una nuova valutazione dei Porretani alla luce della produzione di coloro che lei stessa ha definito «early Porretans»88 e del valore complessivo della «early Porretan Theology»89, categoria entro la quale fa rientrare le Sententiae magistri Gisleberti, le Sententiae divinitatis e il Tractatus «Invisibilia Dei». Pur essendo state scritte quando Gilberto è ancora in vita, queste opere dimostrano – secondo la Colish – un maggiore spirito critico sia rispetto ai Porretani dell’ultimo quarto del secolo, difensori dell’ortodossia del maestro, sia nei confronti di quei Porretani che furono interessati esclusivamente alla sua teoria logico-linguistica90. In particolare, gli anonimi autori di queste opere hanno messo in discussione alcuni termini e alcuni principi semantici applicati alla teologia, schierandosi contro la formula Deus non est divinitas ed evitando l’uso dei termini subsistentia e subsistens, lasciando tuttavia insoluti altri problemi91. 88 Cfr. M. L. COLISH, Gilbert, the early Porretans, and Peter Lombard: Semantics and Theology, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (alla nota 82), pp. 229-250. 89 Cfr. EAD., Early Porretan Theology, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 56 (1989), pp. 58-79. 90 Cfr. EAD., Gilbert, the early Porretans cit., p. 239: «The Porretans interested primarily in Gilbert’s theology must be treated separately from those concerned only with his logic and linguistic theory. Aside from expanding on the semantic function of abstract nouns, an acknowledged weak point in Gilbert’s thought, the latter group were remarkably faithful to his ideas. Until quite recently, the fidelity of the theological Porretans was also unquestioned. Indeed, they have been characterized as shrill, defensive adherants of the letter of Gilbert’s teaching, who sought only to bolster it with patristic citations.The thinkers so labelled worked in the last twenty years of the twelfth century and they lived in diverse places. On the other hand, adaptation of Gilbert’s views and a willingness to respond to his critics is more typical of the theological Porretans living in the 1140s who worked in the Paris region.A consideration of the earliest Porretans shows that a movement away from Gilbert’s formulae began to take place almost immediately». Cfr. EAD., Early Porretan Theology cit., pp. 58-59: «The received picture of the Porretan school to date places Gilbert’s chief disciples in the last quarter of the twelfth century. Some picked up on his logic and semantics, seeking to rectify some of its deficencies, but largely viewed their task as the repetition and promotion of the master’s ideas. Others followed Gilbert in applying his vocabulary to the doctrine of God, which had been attacked at the Council of Rheims in 1148.With unswerving fidelity and an increasingly shrill and defensive tone, they bolstered Gilbert’s formulae with an ever-lenghthening dossier of patristic citations, in the effort to prove his orthodoxy.This standard view of the twelfth-century Porretans has remained in place, even in rather recent scholarship, despite Häring’s publication during the 1970s of several Porretan texts dating to the middle of the century that make possible a reappraisal of that school». 91 Cfr. EAD., Gilbert, the early Porretans cit., p. 244: «While in some respects
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Ai primi Porretani la Colish attribuisce il merito di aver favorito l’inserimento della teologia cristologica e trinitaria di Gilberto nelle scuole parigine proprio grazie alle precisazioni e alle correzioni apportate alle idee del maestro: spetterebbe di conseguenza a loro, non agli «intransigenti e miopi» Porretani di fine secolo, il titolo di veri eredi di Gilberto92. Dal canto suo, Loris Sturlese riserva ai Porretani un posto di rilievo nella storia della filosofia tedesca medievale sulla base di alcuni elementi quali la circolazione delle opere di Gilberto e di quelle della sua scuola, la polemica tra Gerhoh di Reichersberg e Pietro di Vienna, infine il contributo di Ottone di Frisinga e Ugo di Honau93. Nella sua ricostruzione della storia del pensiero medievale, Alain de Libera dedica qualche pagina a Gilberto e alla scuola porretana, il cui principale e ultimo rappresentante è individuato in Alano di Lilla. Gilberto è considerato «il più risoluto ed il più speculativo di tutti i discepoli che Boezio abbia mai avuto», mentre l’opera di Alano rappresenta «la suprema testimonianza della tradizione boeziana della filosofia greca, l’ultimo prodotto dell’aetas boetiana»94. In una delle più recenti sintesi a più mani del pensiero filosofico medievale, i riferimenti a esponenti della scuola porretana (Raul Ardente, Alano di Lilla, Ugo Eteriano, Ugo di Honau, Pietro di Vienna) non sono raccolti in un unico these early Porretans succeed in disembarrassing Gilbert’s theology of Gilbert’s terminology, they scarcely replace it with a language devoid of confusion». 92 Cfr. EAD., Early Porretan Theology cit., p. 78: «It was they who helped to salvage and to make more accessible much of the substance of Gilbert’s Christology and Trinitarian theology. In so doing, they charted the course followed by other theologians more representative of the mid-century consensus, enabling them to incorporate Gilbert’s ideas into the teaching of the Paris schools. In this sense, it is not in spite of their criticism of Gilbert but because of it that his earliest disciples emerge as greater promoters of his legacy than his more intransigent and myopic defenders at the end of the century.When the general history of twelfthcentury theology comes to be rewritten, these early Porretans will have to be given a more prominent place, not only within the Porretan movement itself but in the wider development of mainstream Paris theology». 93 Cfr. L. STURLESE, Storia della filosofia tedesca nel medioevo, dagli inizi alla fine del XII secolo, Firenze 1990, p. 115: «Per una singolare, ma forse nemmeno troppo strana circostanza, fu proprio al nome e alle dottrine di Gilberto Porreta che si ispirò il primo piccolo, combattivo gruppo di pensatori che cercò di imprimere una ‘svolta scolastica’ alla teologia in Germania, lanciando i nuovi problemi e i nuovi metodi maturati nelle scuole di Parigi». 94 Cfr. A. DE LIBERA, La philosophie médiévale, Paris 1993, pp. 327-331; tr. it. Storia della filosofia medioevale, Milano 1995, pp. 307-311.
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I. IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
discorso, ma dispersi in contesti speculativi differenti, a dimostrazione che l’eclettismo di alcuni dei seguaci di Gilberto spesso prevale, agli occhi degli specialisti, sulla loro appartenenza a una radice speculativa comune95. Il Lexikon des Mittelalters contiene una voce dedicata alla scuola porretana: Franz Courth vi elenca i vari esponenti, distinguendo una prima e una seconda generazione e mettendo in evidenza il loro contributo teologico e linguistico96. Nel suo bel libro sull’inedito Commento di Gilberto ai Salmi,Theresa Gross-Diaz formula un giudizio lusinghiero sulla scuola porretana97. La Storia della teologia nel Medioevo, pubblicata sotto la direzione di Giulio d’Onofrio, contiene numerosi riferimenti al metodo teologico dei Porretani. Lo stesso d’Onofrio colloca l’opera di Gilberto di Poitiers, Alano di Lilla e Nicola di Amiens nel panorama speculativo dell’«età boeziana» della teologia, soffermandosi, in particolare, sul contributo di questi autori alla definizione scientifica e assiomatica dei contenuti della fede98. In un altro capitolo dell’opera, Riccardo Quinto assegna ai Porretani un ruolo preciso nell’ambito delle relazioni tra arti del trivium e teologia, soffermandosi sulla «piccola scuola» porretana, da cui proviene «il contributo più stimolante alla speculazione teologica nell’ultimo terzo del secolo XII»99. 95 Cfr. Storia della filosofia 2. Il Medioevo, a c. di P. Rossi e C. A.Viano, Roma Bari 1994. 96 Cfr. F. COURTH, s. v. Porretaner, Schüler, in Lexikon des Mittelalters,VII, München 1995, coll. 106-107. Ecco le note finali: «Zu den namentl. bekannten P. kommen eine Reihe bemerkenswerter Schr. mit offener Verfasserfrage, die Gilberts Einfluß zeigen (Landgraf). Inhaltl. Besonderheiten ihrer Theol. sind Sensibilität für Sprachphilos. und Beschäftigung mit Boethius (Komm.e von Adhemar v. St-Ruf, Hugo v. Honau, Simon v.Tournai, Alanus ab Insulis). Kennzeichnend sind ferner Bezug auf die Väter, Interesse für die Gottes- und Trinitätslehre, Besonderheiten im Sakramenten- und Gnadenverständnis. Mit ihrer Vielfalt der Themenstellung und der Kraft ihrer Analyse gehören die P. zu den prägenden Theologen des 12. Jh.». 97 Cfr. TH. GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary of Gilbert of Poitiers. From «Lectio divina» to the Lecture Room, Leiden - New York - Köln 1996, p. XIII: «Gilbert’s students, the porretani (…) remained a vital and productive element in the schools». 98 Cfr. G. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia, in Storia della Teologia nel Medioevo, II: La grande fioritura, direzione di G. d’Onofrio, Casale Monferrato 1996, pp. 283-391. Cfr. anche ID., Storia della teologia, II: Età medievale, Casale Monferrato 2003, pp. 223-225. 99 Cfr. R. QUINTO, Trivium e teologia: l’organizzazione scolastica nella seconda
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Di notevole importanza è il contributo recato negli ultimi anni da Mechthild Dreyer, cui si deve l’edizione critica dell’Ars fidei catholicae di Nicola di Amiens100, uno degli esiti più maturi della tradizione porretana, e un prezioso volume sull’adozione del metodo apodittico da parte dei teologi del dodicesimo secolo, in cui ampio spazio è riservato ai Porretani Alano di Lilla e Nicola di Amiens101. Nello stilare la voce Porretaner all’interno del Lexikon für Theologie und Kirche, la Dreyer sottolinea, da un lato, la loro elaborazione della tradizione boeziana, mediata dai commenti gilbertini, a livello teologico, gnoseologico e semantico, dall’altro, l’originale apporto dato nel campo logico e nell’assiomatizzazione della teologia102. Logica, semantica e teologia si intersecano nei lavori di Luisa Valente, che negli ultimi anni ha approfondito la conoscenza del panorama speculativo della seconda metà del dodicesimo secolo, mettendo spesso a confronto le teorie dei seguaci di Pietro Lombardo (Pietro di Poitiers, Prepositino da Cremona, Stefano Langton) con le idee dei Porretani, in relazione ad alcuni temi decisivi, come l’improprietà del discorso teologico103. Riveste un metà del secolo dodicesimo e i maestri della sacra pagina, in Storia della Teologia nel Medioevo, II: La grande fioritura cit., pp. 435-468. 100 Cfr. M. DREYER, Nikolaus von Amiens: Ars fidei catholicae – Ein Beispielwerk axiomatischer Methode, Münster 1993. 101 Cfr. EAD., More mathematicorum. Rezeption und Transformation der antiken Gestalten wissenschaftlichen Wissens im 12. Jahrhundert, Münster 1996 (ripreso e sintetizzato in EAD., Razionalità scientifica e teologia nei secoli XI e XII, Milano 2001). 102 Cfr. EAD., s. v. Porretaner, in Lexikon für Theologie und Kirche,VIII, Freiburg - Basel - Rom - Wien 1999, coll. 429-430. 103 Cfr. L.VALENTE, Langage et théologie dans la seconde moitié du XIIe siècle, in Geschichte der Sprachtheorie, 3. Sprachtheorien in Spätantike und Mittelalter, ed. S. Ebbesen, Tübingen 1995, pp. 33-54; EAD., Iustus et misericors. L’usage théologique des notions de consignificatio et connotatio dans la seconde moitié du XIIe siècle, in Vestigia, Imagines, Verba. Semiotics and Logic in Medieval Theological Textes (XIIth-XIVth Century),Acts of the 11th European Symposium on Medieval Logic and Semantics (S. Marino, 24-27 May 1994), a c. di C. Marmo,Turnhout 1997, pp. 37-59; EAD., Cum non sit intelligibilis, nec ergo significabilis. Modi significandi, intelligendi ed essendi nella teologia del XII secolo, in «Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale», 11 (2000), pp. 133-194; EAD.,Virtus significationis, violentia usus. Porretan Views on Theological Hermeneutics, in Medieval Theories on Assertive and non-Assertive Language, Acts of the 14th European Symposium on Medieval Logic and Semantics, Rome, June 11-15, 2002, cur.A. Maierù - L.Valente, Firenze 2004, pp. 163-184; EAD., Alain de Lille et Prévostin de Crémone sur l’equivocité du langage théologique, in Alain de Lille, le docteur universel, Actes du XIe Colloque international de la Société Internationale pour l’Étude de la Philosophie Médiéva-
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I. IL PROBLEMA STORIOGRAFICO
interesse specifico per gli studiosi della scuola porretana il suo contributo sulla tradizione della formula quidquid est in Deo, Deus est, citata e commentata da molti Porretani104. In sede di valutazione complessiva del lavoro critico compiuto dagli studiosi intorno ai Porretani, non possono essere trascurati i notevoli passi in avanti compiuti negli ultimi decenni, sia sul versante della scoperta e della messa a disposizione di numerose fonti inedite, sia su quello dell’approfondimento storico e speculativo di questa scuola di pensiero. Non può tuttavia sfuggire l’assenza di un quadro riepilogativo di quest’imponente messe di autori e di materiali, e l’esigenza di una chiave interpretativa in grado di tenere insieme, senza attenuare le differenze, un numero così cospicuo di pensatori. È proprio in virtù del lavoro già svolto e qui rapidamente riassunto, che si rende possibile e insieme necessario il progetto di fornire un contributo in grado di fare il punto su questa tradizione filosofica e teologica.
le, Paris, 23-25 octobre 2003, éd. par J.-L. Solère, A. Vasiliu, A. Galonnier, Turnhout 2005, pp. 369-400; EAD., Logique et théologie. Les écoles parisiennes entre 1150 et 1220, Paris, in corso di stampa; EAD., Talia sunt subiecta qualia praedicata permittunt. Le principe de l’approche contextuelle et sa genèse dans la théologie du XIIe siècle, in La tradition médiévale des Catégories (XIIe-XVe siècles), éd. par J. Biard - I. Rosier-Catach, Leuven 2007, pp. 289-312. 104 Cfr. EAD., Alla ricerca dell’autorità perduta: Quidquid est in Deo, Deus est, in «Medioevo», 25 (1999-2000), pp. 713-738.
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CAPITOLO SECONDO
LE TESTIMONIANZE
1. L’insegnamento: gli allievi di Gilberto Nato con ogni probabilità a Poitiers intorno al 1076, Gilberto trascorse gran parte della sua vita nelle scuole1. La sua formazione e la sua carriera magistrale sono legate, in particolare, agli ambienti di Laon, Chartres e Parigi. Le fonti sulla cui base è possibile ricostruire le tappe principali del suo percorso formativo e del suo insegnamento sono il Planctus Laurentii, un epitaffio composto da un diacono della cattedrale di Poitiers2, e i Gesta Friderici imperatoris di Ottone di Frisinga, il quale indica i maestri di Gilberto in Ilario (un maestro attivo a Poitiers tra il 1105 e il 1121), Bernardo di Chartres,Anselmo e Raul di Laon3. Dopo un primo periodo di formazione a Poitiers presso Ilario, Gilberto si trasferì a Chartres per studiare presso il celebre Bernardo e acquisire una solida conoscenza in tutte le arti liberali, eccetto l’astronomia4. 1 BERTHAUD, Gilbert de la Porrée cit. (cap. 1, alla nota 6), fin dal titolo della sua monografia indica come data di nascita il 1070, mentre VERNET, s. v. Gilbert de la Porrée cit. (cap. 1, alla nota 19) indica il 1076 ca. 2 Cfr. N. M. HÄRING, Epitaphs and Necrologies on Bishop Gilbert II of Poitiers, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 36 (1969), pp. 57-87 (contiene l’edizione e la traduzione inglese dell’epitaffio). 3 Cfr. OTTO FRISINGENSIS, Gesta Friderici I Imperatoris, I, 52, edd. G.Waitz - B. de Simson, in MGH, Scriptores, 46, Hannover - Leipzig 1912, p. 74,23-31; sulla testimonianza di Ottone cfr. N. M. HÄRING, Zur Geschichte der Schulen von Poitiers im 12. Jahrundert, in «Archiv für Kulturgeschichte», 47 (1965), pp. 23-47. 4 Il particolare è fornito da un altro epitaffio, contenuto nel ms. Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 1117, f. 394r, riportato integralmente da VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), p. 14: «Logicus, ethicus hic, theologicus at-
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Passò poi a studiare il metodo della lectio divina a Laon, dove fu allievo di Anselmo e di Raul: il commento ai Salmi, completato prima della morte di Anselmo (1117) costituisce il rilevante contributo di Gilberto all’evoluzione della glossa biblica, in cui quella scuola era particolarmente versata5. Il tempo e il luogo dell’inizio della carriera magistrale di Gilberto non sono chiari. La vulgata storiografica secondo cui egli lasciò Laon per insegnare a Poitiers intorno al 1117 non si basa su informazioni di prima mano, bensì su una testimonianza piuttosto problematica rappresentata da una lettera inclusa in una collezione di epistole del canonista Ivo vescovo di Chartres († 1116) e di alcuni suoi contemporanei6. La lettera è scritta da un certo G. che dall’Aquitania si rivolge a un magister B. per chiedere di essere assunto come maestro a Chartres. Le puntualizzazioni di Southern e di Häring hanno messo in discussione la presunta corrispondenza tra G. e Gilberto di Poitiers7. Il ritorno a Poitiers come maestro resta dunque un’ipotesi priva di riscontri testuali. Gilberto potrebbe non aver interrotto i rapporti con la scuola di Laon, collaborando con Raul († 1137 ca.), avviando lì la propria carriera magistrale e dedicandosi alla composizione del commento alle lettere paoline, completato intorno al 11308. Un documento datato 1124 attesta la presenza di Gilberto a Chartres come canonico della cattedrale di Notre-Dame: il suo nome segue immediatamente quello del cancelliere Bernardo, che Gilque sophista / Solaque de septem cui defuit astronomia / Artibus, ac diva precelsus philosophia». 5 La consistenza dottrinale della scuola di Laon è stata messa in discussione da V. I. J. FLINT, The «School of Laon»: A reconsideration, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 43 (1976), pp. 89-110. Cfr. la replica di M. L. COLISH, Another Look at the School of Laon, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 53 (1986), pp. 7-22. 6 Cfr. L. MERLET, Lettres d’Yves de Chartres et d’autres personagges de son temps, Paris 1855, p. 461. L’attribuzione a Gilberto, avanzata da CLERVAL, Les écoles de Chartres cit. (cap. 1, alla nota 8), p. 164, è stata successivamente smentita da VERNET, s. v. Gilbert de la Porrée cit. (cap. 1, alla nota 19), col. 1351. 7 Cfr. R.W. SOUTHERN, Humanism and the School of Chartres, in ID., Medieval Humanism and Other Studies, New York 1970, pp. 61-85, in partic. pp. 70-71; HÄRING, Zur Geschichte der Schulen von Poitiers cit. (alla nota 3), p. 25, nota 9. 8 È l’ipotesi avanzata da GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary cit. (cap. 1, alla nota 97), p. 9.
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II. LE TESTIMONIANZE
berto sostituisce nel 1126 fino al 1137, anno dell’ultima attestazione di Gilberto in quella veste9. Tuttavia, che Gilberto abbia insegnato a Chartres non è cosa certa. Southern ha posto l’accento sulla difficoltà di identificare i suoi discepoli in questo periodo10. La problematica relazione tra Gilberto e la scuola di Chartres fa parte delle questioni dibattute intorno all’identità stessa della scuola. L’idea di una scuola di Chartres intesa non soltanto come istituzione ma anche come rappresentativa di una proposta intellettuale uniforme e compatta è stata sostenuta da Clerval e Poole11, messa in discussione a più riprese da Southern12, difesa da Dronke e Häring13. Per ciò che riguarda Gilberto, tre indicazioni lasciano presupporre, senza tuttavia provarla, una sua attività magistrale a Chartres. La prima è implicita: l’insegnamento sarebbe una delle atti9 L’attestazione è contenuta nel cartulario dell’abbazia del Santo Padre di Chartres: cfr. GROSS-DIAZ, ibidem. 10 Cfr. SOUTHERN, Humanism and the School of Chartres cit., p. 67: «It is true that Gilbert became a canon of Chartres by 1124 and chancellor in 1126. He may have taught there, but there is a striking absence of pupils who can be shown to have studied under him during those years. His teaching career still needs to be elucidated, but for the moment the only certainty attaches to his teaching in Paris in 1141, and there is some evidence that his influence radiated from this centre». Southern ha poi rettificato le sue parole sulla base della testimonianza proveniente dal Dialogus Ratii et Everardi, che tuttavia, come vedremo, non sembra decisiva: cfr. ID., The Schools of Paris and the School of Chartres, in Renaissance and Renewal in the Twelfh Century, ed. by R. L. Benson - G. Constable - C. D. Lanham, Oxford 1982 (repr.Toronto - Buffalo - London 1991), pp. 113-137, in partic. pp. 124-127. 11 Cfr. CLERVAL, Les écoles de Chartres cit.; R. L. POOLE, The Masters of the Schools at Paris and Chartres in John of Salisbury’s Time, in «English Historical Review», 35 (1920), pp. 321-342, poi in ID., Studies in Chronology and History, 1934, pp. 223-247. Cfr. anche E. GARIN, Studi sul platonismo medievale, Firenze 1958, in partic. pp. 15-87;T. GREGORY, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres, Firenze 1955; ID., Platonismo medievale, Roma 1958, in partic. pp. 53-150; R. KLIBANSKY, The School of Chartres, in Twelfth-Century Europe and the Foundations of Modern Society, ed. by M. Clagett - G. Post - R. Reynolds, Madison 1961 (19662), pp. 3-14; É. JEAUNEAU, Lectio philosophorum. Recherches sur l’école de Chartres,Amsterdam 1973. 12 Cfr. SOUTHERN, Humanism and the School of Chartres cit.; ID., Platonism, Scholastic Method and the School of Chartres, Reading 1979; ID., The Schools of Paris and the School of Chartres cit. 13 Cfr. P. DRONKE, New Approaches to the School of Chartres, in «Anuario de Estudios Medievales», 6 (1969), pp. 117-140; N. M. HÄRING, Paris and Chartres Revisited, in Essays in Honour of Anton Charles Pegis, ed. J. R. O’Donnell,Toronto 1974, pp. 268-329. Cfr. inoltre M. LEMOINE, Intorno a Chartres. Naturalismo platonico nella tradizione cristiana del XII secolo, Milano 1998.
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
vità del cancelliere della scuola. Questa teoria, sostenuta con forza da Clerval, è stata criticata da Southern, secondo cui il solo fatto che un uomo celebre come Gilberto abbia ricoperto la carica di cancelliere della cattedrale non implica che egli abbia insegnato nella scuola14. A parziale sostegno di questa ipotesi, la GrossDiaz ha notato che sono soltanto cinque i documenti attestanti l’attività di cancelliere di Gilberto nell’arco di dodici anni, il che fa intendere che la carica non imponeva una presenza costante a Chartres15. Le altre due indicazioni fanno riferimento agli unici due potenziali allievi di Gilberto a Chartres. Il primo è Giovanni di Salisbury († 1180), il suo più celebre studente, che lascia intuire di aver conosciuto Gilberto a Chartres, prima di ascoltare per breve tempo le sue lezioni di logica e teologia a Parigi16. In realtà, si può solo congetturare che Giovanni abbia conosciuto per la prima volta Gilberto a Chartres, dove di sicuro incontrò Guglielmo di Conches. L’altra testimonianza è ancora più problematica: proviene dal Dialogus Ratii et Everardi, opera scritta negli anni ’90 da un sostenitore delle tesi di Gilberto, peraltro rispettoso dell’autorità di Bernardo. Ratius, personaggio evidentemente fittizio, dichiara di aver ascoltato con sommo piacere le lezioni di Gilberto prima a Chartres, assieme ad altri tre studenti, e poi a Parigi in un uditorio molto più folto e di aver composto per lui un breve epitaffio17. Everardo, l’altro protagonista del dialogo, sarebbe il vero no14
Cfr. SOUTHERN, Humanism and the School of Chartres cit., p. 67. Cfr. GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary cit., p. 12. 16 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Metalogicon, I, 5, edd. J. B. Hall - K. S. B. Keats-Rohan, Turnhout 1991 (CCCM 98), p. 20,2-10: «Solebat magister Gilebertus, tunc quidem cancellarius Carnotensis et postmodum venerabilis episcopus Pictavorum, temporis eius nescio ridens aut dolens insaniam, cum eos videbat ad studia, que predicta sunt, evolare, eis artem pistoriam polliceri; quoniam illa est, ut aiebat, in gente sua que sola accipere consuevit omnes aliis operibus aut artificio destitutos; ars enim facillime exercetur et subsidaria est aliarum, presertim apud eos qui panem potius quam artificium querunt». Cfr. DRONKE, New Approaches cit., pp. 122-123. 17 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring, cit. (cap. 1, alla nota 48), pp. 251252: «E[VERARDUS] Audivi quia auditor [Gilleberti] fuisti. – R[ATIUS] Fui equidem. Unde et gaudeo et semper gaudebo.Ad quem audiendum mater mea, cujus nomen Ratio Atheniensis, consilio Sophiae, meae sororis, me in Franciam misit. Cui Carnoti quartus in lectionem, Parisius in aula episcopi fere tercentesimus assedi. Et ipsi episcopo Pictavis adhaesi usque ad ipsius obitum, qui me docente Graecam noverat linguam, ego quoque ipso Latinam. Cui sepulto superscripsi 15
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II. LE TESTIMONIANZE
me dell’autore, che Häring ha identificato – anche grazie al supporto delle due lettere che accompagnano l’opera nel ms. Cambrai, Bibl. mun. 259 (sec. XIII) – nel canonista Everardo di Ypres, autore di una Summula decretalium quaestionum, studente di arti liberali e forse di diritto a Parigi prima di ritirarsi a Clairvaux18. Tuttavia, attribuire a Everardo di Ypres il curriculum studiorum di Ratius appare un’operazione non corroborata dal testo. È inoltre abbastanza difficile, per quanto non impossibile, che un uomo ancora attivo alla fine del secolo abbia potuto seguire le lezioni di Gilberto prima del 1137, ossia più di cinquanta anni prima. Il Dialogus testimonia due cose reali e non prive di valore: l’interesse primario dell’autore a difendere le tesi di Gilberto quarant’anni dopo la sua morte e l’esistenza di una communis opinio secondo cui Gilberto aveva insegnato prima a Chartres e poi a Parigi. Resta dunque valido quanto sostenuto da Southern fin dal principio, ossia che non si conosce il nome di un solo allievo di Gilberto a Chartres: i dubbi sulla sua reale attività di insegnamento nella scuola di cui fu cancelliere sono alimentati dalla circostanza che la biblioteca della scuola non contiene alcuna copia delle opere di Gilberto19. Non ci sono dubbi, invece, sulla presenza di Gilberto come hoc breve epitaphium: ‘Irriguum fontem siccat aquosa dies. / In mense enim aquarii, quod terrae gesserat, / terrae reddidit, quod caeli caelo’». DRONKE, New Approaches cit., p. 120 crede che l’epitaffio si limiti al primo pentametro (Irriguum … dies) mentre le parole successive sarebbero una puntualizzazione dell’autore relativamente alle parole aquosa dies. Questa lettura scioglierebbe il problema posto da Häring, che notò che l’epitaffio indica una data sbagliata per la morte di Gilberto poiché il vescovo morì nel mese di novembre e non durante il tempo dell’acquario («in mense aquarii»: gennaio o febbraio). 18 GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary cit., pp. 17-18, non è convinta di questa identificazione, accettata da Southern e Dronke: «One might admit that it is just possible that ‘Everard’ is the name of the genuine author of the work as well as of one of its dramatis personae; possible that this Everard hailed from Ypres, though all we know from the Dialogus is that he was not particularly fond of France; possible even that a second-string canonist might be able to give a lucid and technically correct defense of some of Gilbert’s more difficult theological and philosophical doctrines, and would be inspired to do so in a highly imaginative, histrionic fashion. For the record, I am not comfortable accepting the identity which Häring has ferreted out for the author of this lively and unusual work. Be that as it may, the real damage arises not from the alleged identity of the dialogue’s fictional Everard with the factual Everard of Ypres, but from the attempts to draw biographical data from the second respondant in the Dialogus». 19 Cfr. ibid., p. 19.
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
maestro a Parigi20. Il testimone più importante è ancora Giovanni di Salisbury, che segue i corsi di logica e teologia di Gilberto a Parigi e forse a Mont Sant-Geneviève nel 1141, pochi mesi prima dell’elezione del maestro a vescovo di Poitiers21. Giovanni definisce Magister Gilbertus il più grande studioso del suo tempo in ragione del suo genio speculativo e del suo studio ininterrotto tanto dei testi teologici e patristici quanto dei testi profani. Secondo quanto si legge nell’Historia pontificalis, Gilberto non eguagliava le competenze scritturali di Bernardo, mentre lo superava nelle seculares litterae e nella conoscenza dei testi patristici22. Giovanni fornisce anche qualche indicazione relativa al metodo didattico di Gilberto, ostico ma coerente, basato su una visione organica del sapere al cui interno ciascuna scienza, dotata di un metodo peculiare, si pone al servizio della ricerca teologica23. L’autore del Dialogus Ratii et Everardi indica anche il luogo dell’insegnamento: l’aula episcopi, gremita di quasi trecento studenti.Anche l’anonimo autore della Metamorphosis Goliae, poema composto nel 1142-43, inserisce Gilberto tra i maestri parigini24. Lo stesso fa l’ignoto compilatore di un catalogo di maestri (fine sec. XII), che non fa cenno invece a un suo incarico magistrale a Chartres25. Una serie di glosse a Prisciano composte in ambiente 20 Cfr. SOUTHERN, The Schools of Paris and the School of Chartres cit. (alla nota 10), p. 126: «How, in detail, Gilbert divided his time must remain unknown to us, but Paris seems to have been the main center of his teaching and influence». 21 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Metalogicon, II, 10, edd. Hall - Keats-Rohan cit., pp. 70,2-73,96. 22 Cfr. ID., Historia pontificalis, 12, ed. M. Chibnall, John of Salisbury’s Memoirs of the Papal Court, Edinburgh 1956, p. 27: «Seculares vero litteras minus noverat, in quibus, ut creditur, episcopum nemo nostri temporis precedebat. Uterque ingenio perspicax et scripturis investigandis deditus, sed abbas negociis expediendis exercitatior et efficatior. Et licet episcopus bibliothece superficiem non sic haberet ad manum, doctorum tamen verba, Hylarii dico, Ieronimi,Augustini, et similium, sicut opinio communis est, familiarius noverat». 23 Cfr. ibidem: «Doctrina eius novis obscurior sed provectis compendiosior et solidior videbatur. Utebatur, prout res exigebat, omnium adminiculo disciplinarum, in singulis quippe sciens auxiliis mutuis universa constare. (...) Proprietates figurasque sermonum et in theologia tam philosophorum et oratorum quam poetarum declarabat exemplis». Cfr. inoltre OTTO FRISINGENSIS, Gesta Friderici, I, 48 e seqq., edd.Waitz - de Simson cit. (alla nota 3), pp. 68 e seqq. 24 Il testo del poema è in R. B. C. HUYGENS, Mitteilungen aus Handschriften, in «Studi Medievali», Ser. 3a, 3 (1962), pp. 747-772. 25 Cfr. N. M. HÄRING, Two catalogues of Medieval Authors, in «Franciscan Stu-
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parigino nell’ultimo quarto del dodicesimo secolo descrive Gilberto come un maestro capace di tenere a bada una classe indisciplinata26. L’autore della glossa Promisimus, proveniente dallo stesso ambiente, racconta un simpatico aneddoto su Gilberto, interrotto durante una lezione di grammatica27. Alcuni studiosi hanno, infine, collegato i nomi ‘Porreta’ e ‘Porretani’ alla rue des Poirées che nella Parigi dell’epoca collegava rue de St. Jacques a rue de la Harpe: non sarebbe un’eccezione, visto il caso di Adamo di Balsham e dei suoi allievi chiamati Parvipontani. L’antico nome della strada era vicus porretarum o vicus ad porretas: essendo collocata nei pressi dei luoghi citati da Giovanni di Salisbury e dall’autore della glossa Promisimus, probabilmente gli allievi di Gilberto soggiornarono e studiarono presso una sede collocata in questa via28. Nel 1141-42 Gilberto è eletto vescovo di Poitiers, sua città natale, e abbandona l’insegnamento. Dalle fonti attualmente disponibili risulta, dunque, che a dispetto del numero di anni trascorsi a Chartres (dodici) e a Parigi (cinque), la fama di Magister Gilbertus fu da subito ricondotta all’attività svolta a Parigi, dove si sa che insegnò logica e teologia dinanzi a numerosi studenti che dies», 26 (1966), pp. 195-211, in partic. p. 207: «Gillebertus cognomento Porrata primum scolasticus Parisiensis post Pictavensis episcopus»; p. 210: «Gillebertus cognomento Porrata ex magistro theologice scole Parisius, Pictavensis episcopus». 26 Cfr. R.W. HUNT, Studies on Priscian in the Twelfth Century II, in «Mediaeval and Renaissance Studies», 11 (1950), [pp. 1-56], pp. 16-18. 27 Cfr. Glossa Promisimus, ed. R.W. Hunt, in ID., Studies on Priscian II cit., pp. 41-42: «Alibi dicit Priscianus adiectiva debere fixis preponi, quod Magister commendat, hac probans ratione: Indigniora et minus firma rem inchoant, digniora et firmiora terminare debent, sicut et in literis consonantes semper precedunt vel frequentius, et sequuntur vocales, quibus innituntur, ut ‘sto’, similiter et in nominibus, ‘Albus homo est Sortes’. Et hoc est secundum Priscianum, qui adiectiva substantivis iudicat preponenda. Inde contigit quod cum Magister Gar[nerus] G[ramati]cus et Magister Albricus et multi alii intrassent scolas Magistri Gil[leberti] Porrete, et Magister Gar[nerus] dixisset ad Magistrum:‘Magister Gilleberte Por[rete], responde’, indigne tulit dominus.‘Garcio, nescias quod adiectiva debent fixis preponi? Debuisses ergo dixisse Por[rete] Gilleberte. Quia male dixisti, lues’. Fecitque eum optime verberari. Sed nota quod cum Magister noster legeret ante tractatum casus epistolam Prisciani ad Iulianum, scilicet Breviter me iussisti Iuliane etc., dixit substantiva debere preponi adiectivus, sicut prius preiacet materia ac postea advenit forma». Alle pp. 40-56 dello studio di Hunt sono editi sotto il titolo di Appendices degli estratti della Glossa. 28 Cfr. PELSTER, Gilbert de la Porrée cit. (cap. 1, alla nota 1); HÄRING, Paris and Chartres Revisited cit. (alla nota 13), p. 103, nota 35.
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ne lodarono la preparazione e il metodo d’insegnamento. Resta il fatto che le fonti letterarie ci trasmettono il nome di un solo allievo di Gilberto, Giovanni di Salisbury: per conoscere i nomi di altri discepoli occorre proseguire la ricerca da un altro punto di vista.
2. La tradizione manoscritta: la diffusione delle opere di Gilberto L’analisi dei codici contenenti le opere di Gilberto e della loro presenza nelle biblioteche europee fornisce due contributi specifici alla nostra ricerca: da un lato, consente di valutare la diffusione e quindi il successo delle opere del vescovo, dall’altro, permette di conoscere i nomi di alcuni discepoli raffigurati insieme al maestro in alcune suggestive miniature. Gli studiosi concordano nel sottolineare la notevole diffusione degli scritti del vescovo – tutti anteriori al Concilio di Reims – già a partire dal secolo XII29. Il nome di Gilberto è riportato nei cataloghi più antichi delle biblioteche risalenti al secolo XII, come quelle del Bec, di San Pietro a Salisburgo, di Durham. Tre sono le opere autentiche di Gilberto: un commento ai Salmi, un commento alle lettere paoline e i commenti agli Opuscula sacra I, II, III e V di Boezio. A queste opere va aggiunta una 29 Cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit. (cap. 1, alla nota 13), II, p. 409; tr. it., II, p. 487: «Già il numero dei manoscritti delle sue opere può farci capire che egli godette di grande fama nella Scolastica sia contemporanea sia posteriore»; ibid., p. 414; tr. it., p. 492: «Che Gilberto de la Porrée sia stato veramente un grande e famoso teologo del XII secolo (…) appare anche dalla vasta diffusione delle sue opere nei manoscritti». Sulla diffusione delle opere porretane nelle biblioteche del secolo XII, cfr. DE GHELLINCK, Le mouvement théologique cit. (cap. 1, alla nota 29), p. 109; J. STUART BEDDIE, Libraries in the twelfth century: their catalogues and contents, in The Anniversary Essays in Mediaeval History, by Students of Charles Homer Haskins, ed. by C. H. Taylor - J. L. LaMonte, Boston 1929, [pp. 1-35], pp. 3, 5 e 9.Tra i manoscritti offerti all’abbazia del Bec da Filippo di Harcourt, vescovo di Bayeux († 1163) vi è una versione del De Trinitate boeziano con il commento di Gilberto. La tradizione manoscritta delle opere di Gilberto è stata studiata a fondo da Häring: cfr. HÄRING, Handschriftliches zu den Werken Gilberts cit. (cap. 1, alla nota 63). Cfr. inoltre VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), pp. 40-73; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), pp. 40-46. Sui codici della scuola di Gilberto conservati nelle biblioteche di Austria e Baviera, cfr. infine P. CLASSEN, Zur Geschichte der Frühscholastik in Österreich und Bayern, in «Mitteilungen des Instituts für Oesterreichische Geschichtsforschung», 67 (1959), pp. 249-277, in partic. pp. 259-270.
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lettera all’abate Matteo di San Florenzo30. Tutti e tre i commenti hanno avuto un’ampia diffusione, a testimonianza di un interesse reale verso il metodo e l’insegnamento di Gilberto. I due commenti biblici sono conosciuti anche con il nome di Media glossatura, intermedia tra la Glossa ordinaria di Anselmo di Laon e la Magna glossatura, come viene definita quella composta da Pietro Lombardo31. Il Commentarius in Psalmos fu terminato a ridosso del 1117, anno della morte di Anselmo di Laon, sulle cui glosse esso si fonda. L’opera è ancora inedita e solo uno studio recente di Theresa Gross-Diaz ha permesso di apprezzarne il valore e l’importanza dal punto di vista storico e teologico32. Il commento gilbertino presenta almeno due caratteristiche formali peculiari: la presenza di una serie di simboli marginali che indicano il contenuto tematico di alcuni Salmi, e una disposizione della pagina in cui il testo commentato (in questo caso dei Salmi, ma accade anche per le lettere paoline e gli opuscoli boeziani) è affiancato al commento33. L’ultima indagine ha contato ben cinquantuno copie risalenti al solo dodicesimo secolo, prova tangibile del positivo riscontro di un’opera che non fu avvertita come un semplice ampliamento della Glossa ordinaria34. Inedito è anche il Commentarius in Epistulas Sancti Pauli, portato a termine intorno al 113035. Il testo fu criticato negli anni 30 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Epistola ad Matthaeum abbatem Sancti Florentii, PL 188, 1255A-1258B. 31 Cfr. LANDGRAF, Einfürung cit. (cap. 1, alla nota 30), p. 81; ed. fr., p. 108. 32 GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary cit. (cap. 1, alla nota 97); cfr. in partic. p. XIV: «Gilbert’s Psalms commentary, completed shortly before 1117, displays an awareness of historical and literary context, a thematic unity, and a confidence in conceiving and carrying out a specific program of exposition, unequalled among his predecessors, and among the greatest of his generation». Sul commento cfr. inoltre: M. FONTANA, Il commento ai Salmi di Gilberto della Porrée, in «Logos», 13 (1930), pp. 283-301; H. C. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta als glossator van het Psalterium, in Jubileumbundel voor Prof. Mag. Dr. G. P. Kreling O.P., Nijmegen 1953, pp. 282-303; A. PAGLIARI, Il presunto commentario ai Salmi di S. Lorenzo Giustiniani opera di Gilberto Porretano, in «Aevum», 36 (1962), pp. 414-429. 33 Cfr. GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary cit., p. 26. 34 Per la lista dei codici, cfr. F. STEGMÜLLER, Repertorium biblicum medii aevi, II, Madrid 1950, n. 2511; HÄRING, Handschriftliches zu den Werken cit. (cap. 1, alla nota 63); GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary cit., pp. 160-180. 35 Per l’elenco dei manoscritti, cfr. STEGMÜLLER, Repertorium biblicum medii aevi cit., II, n. 2528. Cfr. inoltre V. MIANO, Il commento alle lettere di S. Paolo di Gilber-
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successivi da Gerhoh di Reichersberg, ma il suo successo è testimoniato da alcuni successivi commenti anonimi alle epistole paoline che ne dipendono in modo evidente: un Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios – contenuto nel ms. Paris, Bibl. de l’Arsenal 1116, ff. 57v-79v, ed edito da Landgraf, che lo data nei primi decenni della seconda metà del dodicesimo secolo – il cui autore segue Gilberto sulla questione dell’efficacia del battesimo, del merito, della transustanziazione ma non sulla teologia trinitaria; un primo Commentarius Porretanus in Corpus Paolinum, contenuto nel ms. Paris, Bibl. Nat., lat. 686, che secondo lo stesso Landgraf «représente le porrétanisme dans sa pureté»; infine un secondo Commentarius Porretanus in Corpus Paolinum contenuto nel ms. Boulogne-sur-mer, Bibl. mun., lat. 24, ff. 136v-210v36.Anche gli ultimi due testi sono inediti. I numerosi codici dei commenti a Boezio dimostrano quanto poco la censura papale abbia inciso sulla diffusione dell’opera. La prima edizione a stampa (Basilea 1570), ristampata nella Patrologia latina nel 1847, era basata su un solo manoscritto, con ogni probabilità il ms.Troyes, Bibl. mun. 1841 proveniente dalla biblioteca di Clairvaux37. La prima edizione di Nikolaus Häring dei commenti ai primi due opuscoli si basava su venticinque manoscritti38. Nel 1959 Classen ha portato alla luce sei codici provenienti dall’area austriaca39. La nuova edizione integrale dei quatto Porretano, in Scholastica ratione historico-critica instauranda,Acta Congressus scolastici internationalis Romae a.s. MCML celebrati, Roma 1951, pp. 169-199; M. SIMON, La glose de l’épître aux Romains de Gilbert de la Porrée, in «Revue d’histoire ecclésiastique», 52 (1957), pp. 51-81 (trascrizioni dal ms. London, Br. Mus.,Add. 11853, ff. 3r-50r). HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), p. 53, nota 1, dà un giudizio severo sulle Glosse di Gilberto, considerate opere di gioventù senza grande valore: «les gloses sur saint Paul et sur les Psaumes n’apportent aucune précision à cette œuvre théologique [son commentaire de Boëce] qui les complète, au contraire, et les explicite». 36 Cfr. Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios, ed. A. Landgraf, Città del Vaticano 1945. Cfr. inoltre HAYEN, Le Concile de Reims cit., p. 37; LANDGRAF, Einfürung cit. (cap. 1, alla nota 30), pp. 81-82; ed. fr., p. 112; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), p. 161, nota 230. 37 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Commentarius in Boethii Opuscola sacra, Basileae 1570, Ex officina Henricpetrina, pp. 1119-1273; PL 64, 1247A-1354D (con il testo degli Opuscula sacra). 38 Cfr. HÄRING, The Commentaries of Gilbert Bishop of Poitiers on the Two Boethian Opuscula Sacra on the Holy Trinity cit. (cap. 1, alla nota 48). 39 Cfr. CLASSEN, Zur Geschichte der Frühscholastik cit. (alla nota 29), p. 260.
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tro commenti gilbertini, sempre a cura dello stesso Häring40, è condotta sulla collazione di ben trentanove codici, di cui diciannove risalgono al secolo XII, dodici al secolo XIII, tre si collocano al confine tra i due secoli, mentre cinque sono più tardi. Trenta codici sono completi, cinque contengono un frammento dell’opera, quattro sono incompleti.Tutti contengono la versione originale del testo, che, in seguito alla censura conciliare, non subì alcuna correzione né da parte di Gilberto né da parte del papa: il vescovo si limitò a scrivere un secondo prologo. Sono rari i manoscritti che indicano esplicitamente Gilberto come autore dei commenti. In molti codici il commento è accompagnato dal testo dell’opusculum boeziano corrispondente. Nonostante la grande uniformità dei codici e la conseguente difficoltà a ricostruire uno stemma, è possibile individuare alcuni gruppi di manoscritti in relazione alla loro provenienza. In questo modo è possibile abbozzare una prima mappa della diffusione delle idee di Gilberto: ciascuna copia, infatti, testimonia la volontà di trasmettere l’opera e spesso, non sempre, l’adesione al suo contenuto. L’editore ha individuato: un gruppo-Sorbona di cui fanno parte almeno dodici codici provenienti dalla Francia, dall’Irlanda, dall’Inghilterra, dalla Spagna e dall’Italia; un gruppo-Clairvaux composto da sei codici, un gruppo-Basel composto da sei codici, un gruppo di codici austriaci piccolo (tre mss.) ma significativo in relazione alla presenza di discepoli di Gilberto tra Austria e Germania, infine il gruppo-Bologna (tre codici). Alcuni manoscritti sfuggono al tentativo di includerli in uno di questi gruppi41. Alcuni codici meritano poi un’attenzione particolare. Il ms. Paris, Bibl. Nat., lat. 16371, appartenente alla famiglia-Sorbona, conserva le opere di Gilberto insieme a quelle di Bernardo di Clairvaux, il suo grande avversario. Il ms. Klosterneuburg, Stiftsbibl. 345, della famiglia-Basel, è stato definito da Classen «ein höchst interessantes Dokument des Gilbert-Studiums in Österreich»42. Questo ma40
Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit. (cap. 1, alla nota 2), pp. 51-364. 41 Cfr. ibid., p. 36: «These groupings are facts that can be established by a study of variants. They do not allow a distinction between an original and corrected version of the commentary.The reasons for the family formations are at present unknown and obscure.They may one day become more apparent once we have learned more about the scriptoria of the twelfth century». 42 Cfr. CLASSEN, ibid., p. 265.
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noscritto, unitamente ai codici München, Bayerische Staatsbibl., Clm. 18478 (proveniente da Tegernsee), e Clm. 15824 (da Salisburgo), appartenenti alla medesima famiglia austriaca, riportano delle note a margine del testo in cui Gilberto è a volte attaccato e censurato, a volte difeso e lodato: i punti controversi («caute legendum est…») sono l’uso dell’ablativo quo al posto del nominativo quod, del termine singularitas, della formula solitaria ac singularis essentia43. Piuttosto controversa è l’attribuzione a Gilberto di alcuni testi, in cui è riconoscibile un’impronta teoretica porretana: tra queste opere vanno segnalate in particolare un’Expositio Symboli Athanasii («Quicumque vult»)44, un Sermo de Natale Domini45, un trattato De Trinitate («Quod Patris et Filii»)46, un commento ai primi versi del vangelo di Giovanni47, il De discretione animae, spiritus et mentis generalmente attribuito ad Acardo di San Vittore48. 43 Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit., p. 42: «This marginal battle field shows that at least in the monastic communities of Austria Gilbert’s teaching was carefully examined.And some marginal notes confirm the fact that even in the far-away regions of Austria Gilbert was not without friends». 44 Expositio Symboli Athanasii (Quicumque vult), ed. N. M. Häring, in ID., A Commentary on the Pseudo-Athanasian Creed by Gilbert of Poitiers, in «Mediaeval Studies», 27 (1965), pp. 23-53. 45 Sermo de Natale Domini, ed. N. M. Häring, in ID., A Christmas Sermon by Gilbert of Poitiers, in «Mediaeval Studies», 23 (1961), pp. 126-135. 46 De Trinitate (Quod Patris et Filii), ed. N. M. Häring, in ID., A Treatise on the Trinity by Gilbert of Poitiers, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 39 (1972), pp. 14-50. L’editore attribuisce la paternità dello scritto a Gilberto, ma tale ipotesi è messa in discussione da NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), p. 46, il quale, notando anche la presenza di temi provenienti dalla scuola di Abelardo, conclude: «Although N. M. Häring stoutly defends the acceptance of the tract as Gilbert’s, doubt must be expressed; we choose to consider it as a work that belongs to the Porretan school and hardly to the better part of it». Cfr. anche ID., On the doctrine of Logic and Language cit. (cap. 1, alla nota 79), pp. 40-69. J. WARICHEZ, infine, ha attribuito questo trattato a Simone di Tournai: cfr. Intr. a SIMON TORNACENSIS, Disputationes cit. (cap. 1, alla nota 22), p. XXXIV. 47 Ed. in E. RATHBONE, Note super Iohannem secundum magistrum Gilb[ertum], in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 18 (1951), pp. 205210. 48 Tractatus magistri A. de discretione animae, spiritus et mentis, ed. G. Morin, in ID., Un traité inédit d’Achard de Saint-Victor, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters. Studien und Texte Martin Grabmann zur Vollendung des 60. Lebensjahres von Freunden und Schülern gewidmet, Hrsg. A. Lang - J. Lechner - M. Schmaus, Münster 1935 (BGPTMA, Supplementband III, 2 voll.), I, Münster 1935, pp. 251-262. L’edizione si basa sul ms. Paris, Bibl. Mazarine, 1002, ff. 242v-247r.
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Nel commento al credo pseudo-atanasiano sono riscontrabili le caratteristiche dottrine trinitarie e cristologiche di Gilberto49. Lo stile, più semplice e chiaro di quello dei commenti a Boezio, farebbe pensare a un’opera giovanile.Tra le fonti spicca il nome di Teodoreto, un autore greco sconosciuto ai più ma citato dal maestro a Reims. D’altro canto, nonostante lo stesso codice (il ms. Klosterneuburg, Stiftsbibliothek 815, ff. 145r-149r) riporti l’incipit «Expositio magistri Gisleberti in Quicumque vult», è probabile che l’opera appartenga all’entourage di Gilberto e non a Gilberto stesso50. Il Sermo Magistri Gisleberti de Natale Domini, contenuto nel ms. Valenciennes, Bibl. mun., 197 (189), ff. 87v-88v, subito dopo una copia dei commenti a Boezio, è infarcito di citazioni letterali dal commento di Gilberto al Contra Eutychen et Nestorium51. L’attribuzione a Gilberto appare verosimile per motivi contenutistici e stilistici. L’editore, convinto assertore di questa tesi, colloca il testo tra il 1140 e il 1153. Il breve Tractatus de Trinitate che inizia con le parole «Quod Patris et Filii» è conservato anonimo nei mss.Arras, Bibl. mun., 952, ff. 38r-40r e Berlin, Staatsbibl., Phillipps 1997, ff. 113v-116v, che contengono anche i commenti ai testi biblici di Simone di Tournai52. Nell’opera si riscontrano somiglianze dottrinali e terminologiche con i testi di Gilberto, specie in relazione a questioni di ordine logico e semantico. In particolare, l’autore condivide il 49 Cfr. HÄRING, A Commentary on the Pseudo-Athanasian Creed cit. (alla nota 44), p. 23: «However, these doctrines are generally not proposed as the author’s own but rather as those of a certain group of scholars». 50 Häring accetta l’attribuzione dell’opera a Gilberto proposta dal codice, mentre NIELSEN, Theology and Philosophy cit., p. 44, lo attribuisce a un suo allievo immediato. Cfr. COLISH, Early Porretan Theology cit. (cap. 1, nota 89), p. 60: «The author preserves most of Gilbert’s reasoning and terminology but objects to his phrase Deus non est divinitas». 51 Cfr. HÄRING, A Christmas Sermon cit. (alla nota 45), p. 127: «But the sermon is more than a compilation of texts, and the objections one might raise against its authenticity fade before the simple fact that the sermon is explicitly attributed to magister Gislebertus by the very scribe who copied it, not by a later hand». 52 Cfr. HÄRING, A Treatise on the Trinity cit. (alla nota 46), p. 34: «Considering that the tract is a reply to Gilbert’s critics, it was probably written between 1148 and 1150. The anonymous tract was presumably in Simon of Tournai’s possession, for in both known manuscripts it was copied with works by Simon. He probably knew its author».
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principio gilbertino in base al quale una persona (che è un id quod) non può essere predicata di qualcosa: «de persona vero aliquid dici potest sed ipsa de nullo dicitur»53. Il breve frammento contenente il commento ai primi quattordici versi del vangelo di Giovanni è contenuto nel ms. London, Lambeth Pal. Libr., 360, f. 32r. L’autore è probabilmente un seguace di Gilberto e non Gilberto stesso54, a cui un’unica fonte attribuisce un commento al vangelo di Giovanni, che non è stato finora ritrovato55. Häring ha assegnato infine a Gilberto anche il De discretione animae, spiritus et mentis, opera tradizionalmente attribuita ad Acardo di San Vittore, il cui nome appare anche in uno dei codici che lo conservano (ms. Cambridge, Corpus Christi College, 451, ff. 131r-134r)56. Nonostante la posizione dello studioso tedesco sia rimasta minoritaria, è interessante notare le somiglianze concettuali e terminologiche tra questo testo e i Commentaria gilbertini, specie intorno a questioni di ordine gnoseologico e psicologico57.
3. Le miniature: le immagini dei discepoli di Gilberto La tradizione manoscritta dei commenti di Gilberto contiene alcune preziose rappresentazioni grafiche della sua scuola che consentono l’identificazione di alcuni discepoli.Al f. 5r del ms. Paris, Bibl. Mazarine, 656 (1116) Gilberto è rappresentato mentre è in-
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Cfr. ibid., p. 39. Cfr. NIELSEN, Theology and Philosophy cit., p. 43: «While it is quite obvious that the author was familiar with the characteristic Porretan terms and views, the style and method of annotating are not the ones generally to be found in the work of Gilbert». 55 La fonte è riportata in RATHBONE, Note super Iohannem cit. (alla nota 47), p. 205. 56 Cfr. N. M. HÄRING, Gilbert of Poitiers,Author of De discretione animae, spiritus et mentis commonly attributed to Achard of Saint-Victor, in «Mediaeval Studies», 22 (1960), pp. 148-191 (testo alle pp. 174-191: questa nuova edizione si basa essenzialmente sul ms. Cambridge, University Library, 1773, ff. 112vb-118va, che riporta il trattato in forma anonima). Chatillon concorda con Morin, autore della prima edizione, circa l’attribuzione ad Acardo: cfr. J. CHATILLON, Achard de SaintVictor, Sermons inédits, Paris 1970 (Textes philosophiques du Moyen Âge, 17). 57 Cfr. Gilbert of Poitiers,Author of De discretione animae cit., pp. 169-172. 54
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tento a leggere un libro aperto retto da un assistente. Il ms. Basel, Univ. Bibl., O II 24 (sec. XII) è corredato da miniature pregevoli, di cui due rappresentano Gilberto cinto da un’aureola. Martin Grabmann lo ha definito un monumento in gloria di Gilberto58. Il vescovo, seduto sul trono in abito pontificale, ha appena scritto la prima parola («Libros») del suo commento al De Trinitate: il libro è posto su un leggio retto da uno dei due discepoli dai lunghi capelli raffigurati. In alto a destra c’è la colomba dello Spirito Santo, fonte d’ispirazione dell’anziano e dotto teologo59. La più bella e famosa rappresentazione dell’insegnamento di Gilberto è contenuta nel ms.Valenciennes, Bibl. mun., 197 (189), risalente ai secoli XII-XIII, che ha attirato l’attenzione di numerosi studiosi60. Il commento di Gilberto è definito «aquilino stilo scriptus». Al f. 4v fa mostra di sé una ricca miniatura divisa in due parti: in quella superiore è raffigurato il vescovo Gilberto assiso in trono con mitra e pastorale e con un rotolo di pergamena in ciascuna mano. Al di sopra dell’immagine si legge «Magister Gillebertus Pictavensis episcopus altiora theologice philosophie secreta diligentibus attentis et pulsantibus reserans discipulis quatuor quorum nomina subscripta sunt quia digni sunt memoria». Nella parte inferiore della miniatura appaiono tre scolari seduti, ognuno con un libro in mano. Al di sotto della raffigurazione sono riportati i loro nomi: «Iordanus Fantasma, Ivo Carnotensis decanus, Iohannes Beleth». Sotto i nomi si legge: «Hi tres et ille quartus intensiore studio attenti mentis acie perspicacissimi et sola veritatis specie tracti sub pictavensi episcopo digni viguerunt discipuli quorum anime requiescant in pace». La figura del quarto discepolo citato si trova al f. 5r, accompagnata da questa descrizione: «Nicholaus qui pro dignitate sua archanis pictavensis episcopi sentenciis, ut digni intromittantur ad eas, lucem plene expositio58 Cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, p. 415; tr. it., II, p. 494. 59 Cfr. ibid., p. 410; tr. it., p. 488: «Tutta l’immagine testimonia della grande venerazione di cui era oggetto la personalità ascetica e teologica di Gilberto». 60 Cfr. É. MARTÈNE - U. DURAND, Voyage littéraire de deux religieux Bénédictins de la Congrégation de Saint Maur, 2 voll., II, Paris 1724, p. 99. Cfr. inoltre CLERVAL, Les écoles de Chartres cit., p. 185; H. DENIFLE, Die abendländischen Schriftausleger bis Luther über Iustitia Dei (Röm 1, 17) und Iustificatio, Mainz 1905, pp. 344-345; GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, p. 415; tr. it., II, pp. 511-513.
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nis infudit». A questo quarto discepolo è stato, dunque, riservato un posto privilegiato rispetto agli altri tre, in quanto ha chiarito in un commento i ragionamenti oscuri del maestro61. Veniamo così a conoscere i nomi di altri quattro discepoli di Gilberto, ciascuno dotato di abilità letterarie diverse. Il primo dei discepoli citati è il poeta Giordano Fantasma († 1174 ca.), autore di una breve opera poetica con risvolti interessanti dal punto di vista storico e filosofico62. Rimandano ai commenti di Gilberto alcune scelte terminologiche di questo carme: il riferimento ai secreta della teologia («loqui de celestibus nescio secretis», v. 11) e alle notiones trinitarie («notiones singule trium personarum», v. 14), l’uso del termine unitas preferito al termine unio («una est substantia tribus in personis: / unitatis regula plus quam unionis», vv. 17-18). Il secondo discepolo è il maestro Ivo di Chartres († 1165 ca.) – da non confondere naturalmente con il canonista omonimo morto qualche decennio prima – che nel 1148 fu tra i sostenitori di Gilberto a Reims63. Ivo è citato anche nella Metamorphosis Goliae 64 ed è definito Gisleberti discipulus in una nota della Cronaca di Roberto di Auxerre († 1212)65. Non conosciamo il suo luogo di nascita; la sua qualifica di magister rimanda a un’attività d’insegnamento, che può considerarsi contemporanea a quella di Pietro Lombardo e Roberto di Melun. Uno scritto intitolato Psalterium glosatum secundum magistrum Ivonem, caratterizzato da una divisione in libri poco usuale, è l’unica opera riconducibile 61 Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit., p. 30: «It will be noted that the inscriptions reflect a certain esprit de corps and the terminology used by Gilbert in his introduction to the De Hebdomadibus». 62 Cfr. N. M. HÄRING, Ein Lehrgedicht des Gilbertschülers Jordanus Fantasma, in Sapientiae Doctrina. Mélanges de théologie et de litterature médiévales offerts à Dom Hildebrand Bascour O.S.B., Leuven 1980 (= «Recherches de théologie ancienne et médiévale», n. spéc., 1), pp. 91-109. Il testo del Rhythmus, la cui presenza è attestata in 32 codici, è alle pp. 104-109. 63 Cfr. B. SMALLEY, Master Ivo of Chartres, in «English Historical Review», 50 (1935), pp. 680-686. 64 Cfr. supra, p. 52 e nota 24. 65 Cfr. ROBERTUS AUTISSIODORENSIS, Chronica, ed. O. Holder Egger, in MGH, Scriptores, 26, Hannover 1882, [pp. 219-287], p. 237: «Inter magistros Franciae opinatissimi habeatur (sic) Petrus Lombardus Odo Suessionensis Ivo Carnotensis quondam Gisleberti discipulus»; citato in SMALLEY, Master Ivo of Chartres cit., p. 681. Cfr. GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse cit. (cap. 1, alla nota 65), in partic. pp. 43-66 e 128-130.
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con molta probabilità al nostro Ivo di Chartres, che lo avrebbe composto intorno al 115066. Questa glossa deve aver conosciuto una certa diffusione negli anni ’50 e ’60, tuttavia Magister Ivo continua a essere citato anche alla fine del dodicesimo secolo e all’inizio del tredicesimo: il suo nome appare in due opere di Pietro Cantore e nella Summa di Prepositino di Cremona, cancelliere dell’università di Parigi († 1210)67. Il terzo discepolo raffigurato nella miniatura del codice di Valenciennes è il liturgista Giovanni Beleth († 1162) autore di una Summa de ecclesiasticis officiis (o Rationale divinorum officiorum) in cui si rifà più volte all’autorità del maestro, citato con le varianti Gislabertus, Gislebertus, Gillibertus, Giselbertus68. L’identificazione del quarto discepolo, chiamato semplicemente Nicola, ha generato numerose discussioni. Denifle lo identificò con Nicola di Amiens, mentre Grabmann credette di trovare l’expositio di questo Nicola nella Defensio orthodoxae fidei Gilberti Porretae contenuta nel ms. Città del Vaticano, Bibl.Ap.Vat., Vat. lat. 561, che tuttavia Pelster ha poi attribuito definitivamente ad Ademaro di San Rufo. È dunque più verosimile l’ipotesi iniziale di Denifle: Nicola di Amiens è l’autore dell’Ars fidei catholicae, dedicata a papa Clemente III (1187-1191), e di un Liber annalium sive chronicorum contenuto nel ms. Città del Vaticano, Bibl.Ap. Vat., Reg. lat. 454 (secolo XIII), che continua la Chronica di Sigeberto di Gembloux e la estende fino all’anno 120469. È lo stesso 66 Una copia completa dell’opera è contenuta nel ms. Paris, Bibl. Nat., lat. 2480 (Expositio Ivonis Carnotensis, sec. XII), mentre i mss. Paris, Bibl. Nat., lat. 12002 (Ivo super Psalterium, sec. XII) e 14404 (Pars secunda Glo. Psalterii Magistri Ivonis, sec. XII) contengono copie incomplete. L’autore del commento non cita né la Glosa ordinaria, né la Media Glosatura di Gilberto, né la Maior Glosatura di Pietro Lombardo. Cfr. SMALLEY, Master Ivo of Chartres cit., p. 683: «He [Ivo] is fond of Boethius, yet he shows no trace of the classical learning associated with Chartres». 67 Cfr. SMALLEY, Master Ivo of Chartres cit., pp. 684-685. 68 Cfr. IOHANNES BELETH, Summa de ecclesiasticis officiis (o Rationale divinorum officiorum), PL 202, coll. 13A-166C, ed. H. Douteil, 2 voll., Turnhout 1976 (CCCM 41-41A). Cfr. in partic. i capp. LIV, CXXX, CXLII. 69 Sull’autore della Defensio orthodoxae fidei, cfr. F. PELSTER, Die anonyme Verteidigungsschrift der Lehre Gilberts von Poitiers im Cod.Vat. lat. 561 und ihr Verfasser Canonicus Adhemar von Saint-Ruf in Valence (um 1180), in Studia mediaevalia in honorem R. J. Martin, O. P., Bruges 1948, pp. 113-146; HÄRING, The Tractatus de Trinitate of Adhemar of Saint-Ruf cit. (cap. 1, nota 52). Su Nicola di Amiens, cfr. M.-TH. D’ALVERNY, Alain de Lille.Textes inédits avec une introduction sur sa vie et ses
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Nicola a citare, nella prefazione della sua Cronaca, la sua opera precedente: «(…) sicut in libro de Arte catholicae fidei plenius disputavi»70.
4. Il processo: i sostenitori di Gilberto L’analisi delle testimonianze relative alle vicende processuali di Gilberto a Parigi e a Reims consente di delineare i contorni di quel gruppo di sostenitori e simpatizzanti del vescovo che hanno influito con la loro presenza attiva durante le varie fasi del dibattito sull’esito del procedimento71. Il processo fu ispirato dalla denuncia di due arcidiaconi della cattedrale di Poitiers, Calone e Arnaldo detto «Qui non ridet», che contestarono al vescovo alcune tesi riguardanti la Trinità pronunciate durante un sermone72. Per ricostruire gli avvenimenti del 1147-48 risultano di grande utilità le testimonianze lasciate da tre intellettuali dell’epoca, œuvres, Paris 1965, in partic. pp. 68-69, 320-322 (con l’edizione della prefazione della Cronaca). 70 NICOLAUS AMBIANENSIS, Liber Cronicorum, incipit, ed. M.-TH. d’Alverny, in EAD., Alain de Lille. Texte inédits cit., p. 321. Sulla base di questo riferimento la Dreyer ha identificato l’autore dell’Ars: cfr. DREYER, Nikolaus von Amiens cit. (cap. 1, alla nota 100). 71 Sul processo contro Gilberto, cfr. HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23); HÄRING, The case of Gilbert de la Porrèe cit. (cap. 1, alla nota 46); F. PELSTER, Petrus Lombardus und die Verhandlung über die Streitfrage des Gilbertus Porreta in Paris (1147) und Reims (1148), in Miscellanea Lombardiana cit. (cap. 1, alla nota 59), pp. 65-73; E. BERTOLA, San Bernardo e la teologia speculativa, Padova 1959, in partic. pp. 82-84, 117-123; GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse cit. (cap. 1, alla nota 65), in partic. pp. 67-108; HÄRING, Das sogennante Glaubensbekenntnis cit. (cap. 1, alla nota 62); M. L. COLKER, The Trial of Gilbert of Poitiers, 1148. A previously Unknown Record, in «Mediaeval Studies», 27 (1965), pp. 152-183; VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), pp. 77-124 e 318364; HÄRING, Notes on the Council cit. (cap. 1, alla nota 62); ID., Die spanischen Teilnehmer am Konzil von Reims im März 1148, in «Mediaeval Studies», 32 (1970), pp. 159-171; ID., San Bernardo e Gilberto vescovo di Poitiers, in Studi su san Bernardo di Chiaravalle nell’ottavo centenario della canonizzazione, Certosa di Firenze, 6-9 novembre 1974, Roma 1975, pp. 75-91; L. CIONI, Il concilio di Reims nelle fonti contemporanee, in «Aevum», 53 (1979), pp. 273-300; B. MAIOLI, Gilberto Porretano. Dalla grammatica speculativa alla metafisica del concreto, Roma 1979, in partic. pp. XVI-XXVI; G. R. EVANS, Godescalc of St. Martin and the Trial of Gilbert of Poitiers, in «Analecta Praemonstratensia», 57 (1981), pp. 196-209; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), pp. 33-39. 72 Cfr. N. M. HÄRING, Bischof Gilbert II. von Poitiers (1142-1154) und seine Erzdiakone, in «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters», 21 (1965), pp. 150-171.
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interessati in modo diverso alla vicenda: Goffredo di Auxerre, segretario e biografo di Bernardo di Clairvaux, Ottone di Frisinga e Giovanni di Salisbury. Goffredo, nato ad Auxerre tra il 1115 e il 1120, ascoltò le lezioni di Abelardo a Parigi e divenne segretario di Bernardo nel 1145. Si occupò del caso di Gilberto a più riprese, precisamente in quattro scritti raccolti e pubblicati insieme da Häring in ragione del loro comune obiettivo polemico73. Il primo documento è una breve Scriptura databile intorno al 1152-54, che non fornisce indicazioni relative al dibattito, ma raccoglie semplicemente la documentazione contro Gilberto, senza l’aggiunta di osservazioni personali74. Più interessante è il quinto capitolo del terzo libro 73
Cfr. N. M. HÄRING, The Writings against Gilbert of Poitiers by Geoffrey of Auxerre, in «Analecta Cisterciensia», 22 (1966), pp. 3-83. Su Goffredo di Auxerre e la sua polemica contro Gilberto, cfr.WILLIAMS, The teaching of Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 43), in partic. pp. 82-104; J. LECLERCQ, Les écrits de Geoffrey d’Auxerre, in «Revue Bénédictine», 62 (1952), pp. 274-291, poi in ID., Recueil d’études sur Saint Bernard et ses écrits, 5 voll., I, Roma 1962, pp. 27-46; GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse cit. (cap. 1, alla nota 65), pp. 44-47, 109112; A. H. BREDERO, Études sur la Vita Prima de Saint Bernard, Roma 1962; F. GASTALDELLI, Ricerche su Goffredo di Auxerre, Roma 1970. 74 Cfr. HÄRING, The Writings against Gilbert cit., p. 18. Il testo, contenuto nei mss. Città del Vaticano, Bibl.Ap.Vat., Reg. lat. 278 (sec. XII), ff. 72r-73r e Oxford, Corpus christi Coll. 137 (sec. XII), ff. 97v-100v, è stato edito da J. LECLERCQ, Textes sur Saint Bernard et Gilbert de la Porrée, in «Mediaeval Studies», 14 (1952), [pp. 107-128], pp. 108-109, e poi riproposto con il titolo Error(es) Gilleberti Pictavensis episcopi da HÄRING, ibid., pp. 31-35. LECLERCQ, ibid., pp. 109-110, ha segnalato anche il ms. Laon, Bibl. Mun., 176 (sec. XII), f. 45r, proveniente dall’abbazia cisterciense di Vauclair, diocesi di Laon, in cui ciascuna delle proposizioni incriminate di Gilberto è seguita dall’articolo corrispondente della professione di fede ideata da Bernardo, a cui sono attribuiti gli articoli, come se il dibattito fosse ridotto al confronto tra i due avversari. COLKER, The Trial of Gilbert of Poitiers cit., ha portato alla luce il ms.Trinity College Dublin 303 (C.3.21, sec. XII), che ai ff. 96r100r contiene la lista delle tesi incriminate di Gilberto, la professione di fede che gli fu imposta e soprattutto una documentazione di trentuno fonti patristiche presumibilmente utilizzate da Gilberto a Reims; e il ms. München, Staatsbibl., Clm. 15824 (sec. XII), che al f. 63r, dopo i commenti gilbertini agli Opuscula boeziani, riporta un memorandum sul procedimento contro il vescovo. In particolare, la collezione patristica contenuta nel codice dublinese potrebbe essere la compilazione di un «early defender of Gilbert, rather like the patristic florilegium assembled on behalf of Gilbert by Adhemar of St. Ruf» (ibid., p. 162). Poiché la maggior parte delle citazioni patristiche riportate nel manoscritto dublinese non compare nella collezione di Ademaro, lo studioso ha ipotizzato che «Adhemar, in compiling a florilegium of passages in defense of Gilbert’s ideas, would have examined Gilbert’s own passages readied for the trial, would have rejected certain of the extracts, and would have made numerous additions». In ogni caso,
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della Vita prima sancti Bernardi, opera composta nel 1154 e revisionata nel 1163: il testo si apre con un ritratto poco benevolo di Gilberto, «in sacris litteris plurimum exercitatus sed sublimiora se etiam ipse scrutatus ad insipientiam sibi», chiamato in giudizio e poi condannato grazie soprattutto allo zelo di Bernardo, intransigente difensore della fede e censore delle pericolose dottrine del vescovo di Poitiers75. Goffredo fa un richiamo esplicito ai discepoli di Gilberto, destinatari dell’incerta dottrina insegnata dal maestro76. Posteriore al 1157, anno in cui Goffredo divenne abate di Igny, è il Libellus contra capitula Gisleberti Episcopi Pictavensis77, citato da Giovanni di Salisbury ed esplicitamente rivolto contro il vescovo di Poitiers che – scrive Goffredo – poteva contare su diversi sostenitori78. Goffredo riconosce, dunque, l’esistenza di un nutrito gruppo di simpatizzanti di Gilberto, in grado di incidere sull’andamento del dibattito, ma sottolinea che, nella maggioranza dei casi, il loro appoggio era diretto alla persona del vescovo e non alla sua dottrina79. Solo l’intervento decisivo di Bernardo condusse alla condanna dell’opera di Gilberto, di cui papa Eugenio III proibì la lettura e la trascrizione finché l’Ecclesia Romana non ne avesse curata un’edizione corretta. Il Libellus riporta le conclude Colker, «whether the quotations of the Dublin document are those used by Gilbert himself at the trial in Reims – and this seems a strong possibility – or are a compilation by an early sympathiser, the collection is highly valuable for the history of the Porretan movement» (ibid., p. 163). 75 Cfr. GAUFRIDUS AUTISSIDORENSIS, Sancti Bernardi Vita Prima, III, 5, 15, PL 185, 312A, ed. in HÄRING, The Writings against Gilbert cit. (alla nota 73), p. 30. 76 Cfr. ibidem: «Siquidem de sancte Trinitatis unitate et divinitatis simplicitate non simpliciter sentiens nec fideliter scribens discipulis suis panes proponebat absconditos, furtivas propinabat aquas nec facile quid saperet immo quantum desiperet personis authenticis fatebatur». 77 Cfr. ID., Libellus contra capitula Gisleberti episcopi Pictavensis, PL 185, 595C618B, ed. in HÄRING, The Writings against Gilbert cit., pp. 36-69. 78 Cfr. ibid., PL 185, 596D-597A, ed. Häring cit., p. 37: «Sed et ipse paratis sibi patrociniis factus videtur audacior ut ex hoc dedignaretur amplius diffiteri quod tanto tempore docuisset. Itaque quicquid semel et secundo coram tanto iudice et testibus tantis negaverat impudenti temeritate professus, hoc tamen addere cautus fuit paratum se ecclesiastico sensui postponere suum nec contumaciter in eo persistere quod dixisset». 79 Cfr. ibid., I, 11, PL 185, 597A, p. 37: «Quod ibi quoque etsi pauci admodum pro doctrina illa starent sed plurimi pro persona satagentes excusare et extenuare etiam que non probabant»; III, 10, PL 185, 605A, p. 49: «Inter catholicos profitenti non defuere fautores (…)».
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quattro tesi contestate a Gilberto: esse riguardano la differenza reale tra Dio e la sua essenza e tra Dio e i suoi attributi, la differenza reale tra l’essenza divina e le persone divine, l’eternità delle persone ma non delle relazioni, la non incarnazione della natura divina. L’Epistola ad Albinum Cardinalem, vescovo di Albano e vicario papale, interessato ad avere un resoconto sulle vicende legate a Gilberto e Abelardo, fu scritta da Goffredo molti anni dopo, intorno al 1191-92, ed è ricca di nuovi particolari80. Durante il dibattito di Parigi, Gilberto negò di aver mai pensato o scritto «quod divinitas non esset Deus, quod forma vel essentia esset in Deo que non esset Deus» e chiamò a testimoniare due suoi discepoli: Rotoldo vescovo di Evreux e poi di Rouen e Ivo di Chartres, che allora insegnava a Parigi81. Il papa, non convinto della difesa di Gilberto, rimandò la questione al Concilio di Reims dell’anno successivo, non prima di aver affidato l’analisi del libellum di Gilberto a un certo Gotescalco, poi sostituito da Bernardo.Tra i vescovi francesi intervenuti al Concilio, o meglio al concistoro, come lo stesso Goffredo segnala, solo uno fece inizialmente resistenza prima di dare il proprio sostegno all’azione di Bernardo: Goffredo di Loroux, arcivescovo di Bordeaux e metropolita della chiesa di Poitiers. Goffredo precisa i contorni del partito favorevole a Gilberto, identificandolo con i cardinali più autorevoli: non potendo negare la presenza di questo partito, Goffredo li accusa di scarsa intelligenza82. I sostenitori del vescovo accusarono i componenti dello schieramento avverso, comprendente lo stesso Goffredo, di recare a sostegno delle proprie tesi testimonianze stralciate e non le opere intere recate dai chierici di Gilberto: la grave lacuna fu presto colmata83. Per evitare 80 Cfr. ID., Epistola ad Albinum Cardinalem et Episcopum Albanensem, PL 185, 587B-596B, ed. in HÄRING, The Writings against Gilbert cit., pp. 69-81. L’epistola conferma l’esistenza di una scuola porretana molti anni dopo la morte di Gilberto. 81 Cfr. ibid., II, 7-9, p. 71. 82 Cfr. ibid.,VI, 30, p. 75: «Nec deerant qui pro eo se opponerent licet parum intelligentes». 83 Cfr. ibid., IV, 18, p. 73: «Ingredientibus vero nobis consistorium prima die, cum magnorum voluminum corpora per clericos suos Pictaviensis fecisset afferri et nos paucas auctoritates in sola scedula haberemus, occasione accepta, calumniabantur fautores illius hominis quod decurtata testimonia proferremus, cum
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che i cardinali, simpatizzanti di Gilberto, lasciassero in sospeso il giudizio su di lui, «quia iudicium sibi solis videbantur reservasse quos noverant fere omnes errantis potius quam erroris fautores», i vescovi francesi riuniti da Bernardo stilarono «non sine multa deliberatione» una professione di fede, esplicitamente contraria alle quattro tesi incriminate del vescovo, da sottoporre al papa84. Essi non temevano, dunque, che i cardinali approvassero le tesi dottrinali di Gilberto, bensì che spingessero affinché il Concilio si chiudesse con un nulla di fatto85. Il papa sancì la perfetta consonanza tra il documento e la dottrina della Chiesa e sottolineò che se alcuni sostenevano la persona di Gilberto, non per questo ne approvavano la dottrina86. Figura di spicco all’interno della corte imperiale degli Staufer, Ottone di Frisinga (1111/1116-1158), studiò a Parigi e forse anche a Chartres presso Gilberto, aderì nel 1133 all’ordine cisterciense e compose due opere storiografiche: l’Historia de duabus civitatibus (nota anche come Chronica) tra il 1143 e il 1146 e i Gesta Friderici I Imperatoris, prosecuzione dell’Historia, tra il 1156 e il 115887. Nei capitoli 49-61 del primo libro dei Gesta, dedicati alille codices integros exhiberet ubi posset intelligi quemadmodum verbis propositis precedentia vel sequentia adhererent»; ibid.,VI, 29, p. 74: «Sequenti die codices tantos attulimus ad disputationem ut obstupescerent fautores episcopi et a nobis audirent quia ‘Ecce scedulas non habemus’». 84 Cfr. HÄRING, Notes on the Council cit. (cap. 1, alla nota 62), pp. 58-59: «The so-called creed of Rheims was proposed and formulated when it became evident that the attack on Gilbert had collapsed». 85 Cfr. GAUFRIDUS AUTISSIDORENSIS, ibid.,VII, 37, p. 75: «Nec tamen verebantur ne contrarium aliquid iudicarent. Sed credebant non nullos eorum ad hoc tendere ut sine aliqua diffinitione concilium solveretur». 86 Cfr. ibid.,VIII, 41, p. 76: «Quibus sine cunctatione dominus Papa respondit. Et universis, qui miserant eos, renuntiare precepit quod ad eadem confessione eorum in nullo prorsus Romana ecclesia dissentiret. Et si stare visi fuerant aliqui pro persona sed non stabant aliquatenus pro doctrina». Cfr. HÄRING, Notes on the Council cit., p. 50: «At this juncture of the events, the person on trial was no longer Gilbert but Pope Eugene III who was faced with both the determined group led by St. Bernard and an equally determined curia». 87 Cfr. OTTO FRISINGENSIS, Historia de duabus civitatibus, in MGH, Scriptores, 45, Hannover - Leipzig 1912, poi hrsg. von A. Hofmeister - W. Lammers, Darmstadt 1961 (Ausgewählte Quellen zur Deutschen Geschichte des Mittelalters, 16); ID., Gesta Friderici, edd. Waitz - de Simson cit. (alla nota 3). Su Ottone, cfr. J. SCHMIDLIN, Die Philosophie Ottos von Freising, in «Philosophische Jahrbuch», 18 (1905), pp. 312-323 e 407-423; ID., Bischof Otto von Freising als Theologe, in «Der Katholik», 85 (1905), pp. 81-112 e 161-182; P. BREZZI, Ottone di Frisinga, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo.Archivio Muratoriano»,
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la ricostruzione minuziosa del dibattito teorico svoltosi nel 1147 (anno della denuncia da parte dei due arcidiaconi Arnaldo e Calone) e nel 1148 tra Gilberto e i suoi accusatori, Ottone, che non fu testimone oculare della vicenda, dimostra una conoscenza dei fatti e delle dottrine desunta da fonti molto vicine ai protagonisti (probabilmente da cardinali intervenuti al processo di Reims). Dietro il resoconto di Ottone è possibile intravedere la volontà di difendere il maestro dagli attacchi di Gerhoh di Reichersberg, preoccupato della diffusione delle idee porretane in Germania88. Ottone parteggia apertamente per Gilberto, di cui loda la raffinata capacità di analisi, e offre un pungente ritratto di Bernardo, il principale esponente del suo ordine, malconsigliato dai detrattori del vescovo di Poitiers. La figura di Gilberto, dotto ma umile, guadagna dal confronto, più che naturale, con Abelardo, il cui ingegno, sottolinea Ottone, si accompagnava all’arroganza e alla mancanza di rispetto nei confronti di venerabili maestri. Il racconto del dibattito di Parigi, durante il quale Gilberto ha buon gioco a difendersi dalle contraddittorie accuse dei suoi avversari, è interrotto da una lunga digressione di carattere filosofico, in cui vengono enucleate le tesi fondamentali del pensiero di Gilberto e che funge da introduzione al resoconto del Concilio di Reims, inaugurato il 21 marzo 114889. In realtà, precisa Ottone, il caso di Gilberto fu discusso solo dopo la chiusura ufficiale del Concilio, all’interno di un concistoro convocato non più nella cattedrale, bensì nel palazzo arcivescovile90.Al termine del pri54 (1939), pp. 129-328; L. GRILL, Bildung und Wissenschaft im Leben Bischof Ottos von Freising, in «Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis», 14 (1958), pp. 281-333; Otto von Freising – Gedenkgabe zu seinem 800.Todesjahr, hrsg. von J. A. Fischer, Freising 1958; GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse cit. (cap. 1, alla nota 65), pp. 58-61 e 131-136; STURLESE, Storia della filosofia tedesca nel medioevo cit. (cap. 1, alla nota 93), pp. 134-146. 88 Cfr. GRILL, Bildung und Wissenschaft cit., pp. 322-323. Sulle testimonianze dell’ostilità di Gerhoh verso Gilberto e la sua scuola, cfr. infra, nota 119. 89 Cfr. OTTO FRISINGENSIS, Gesta Friderici, I, 55, edd.Waitz - de Simson cit., pp. 77-80. Sulla relazione dottrinale tra Ottone e Gilberto, cfr. SCHMIDLIN, Die Philosophie Ottos von Freising cit. (alla nota 87); WILLIAMS, The teaching of Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 43), pp. 112-123; e cfr. ibid., p. 124: «Otto’s attitude in dealing with Gilbert’s doctrine is similar to the way in which he makes use of Gilbert’s ideas and incorporates them into his own philosophy. Very often he expresses Gilbert’s thought more succintly than it is found in the commentaries». 90 Cfr. HÄRING, Notes on the Council cit., p. 45: «If the council lasted eleven days, it came to an end on 1 April 1148. Most participants must have been quite
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mo giorno di dibattito, Gilberto radunò «amicos suos ex cardinalibus, quos habuit non paucos», per preparare un testo da esporre il giorno successivo. I cardinali sostenitori di Gilberto, dunque, non solo simpatizzavano con il vescovo, ma diedero il proprio contributo all’elaborazione di un documento che rispecchiasse l’ortodossia della sua dottrina trinitaria91. Ma la difesa di Gilberto fu messa in crisi dall’iniziativa di Bernardo, che radunò quanti erano contrari alla posizione del vescovo e li fece convergere su una dichiarazione di fede basata sul rispetto assoluto della semplicità di Dio, che Ottone riporta integralmente92. La curia romana reagì all’intervento di Bernardo rivolgendosi al papa, rivendicando la sua dignità di cardine della Chiesa universale93. I cardinali ottennero che il documento approntato da Bernardo non fosse considerato documento ufficiale del concistoro. Non solo: la loro vigorosa tumultuatio ebbe anche l’effetto di cancellare gli ultimi tre dei quattro capitula imputati a Gilberto. Ottone non parla, come Goffredo, di una condanna finale della dottrina del vescovo, tuttavia l’esito del processo resta incerto94. In ogni anxious to depart. But Eugene told a number of attendants to stay behind in order to bring the investigation into Gilbert’s teaching to a final conclusion. (…) In other words, they were not interested enough in the trial to stay a day longer than the council required». 91 Cfr. OTTONE FRISINGENSIS, Gesta Friderici, I, 58, edd.Waitz - de Simson cit., pp. 82-84. 92 Cfr. ibid., I, 58-59, pp. 84-85. 93 Cfr. ibid., I, 60, pp. 85-86. Cfr. G. ALBERIGO, Cardinalato e collegialità. Studi sull’ecclesiologia tra l’XI e il XIV secolo, Firenze 1969 (Testi e ricerche di Scienze religiose, 5), p. 62: la protesta dei cardinali dimostra che era «ormai così profonda l’evoluzione ecclesiologica intervenuta da consentire che si denunciasse come sconsiderata novità l’iniziativa di un’assemblea nazionale di giudicare l’ortodossia delle dottrine di uno dei propri membri. Appare cioè acquisita la devoluzione di una competenza riconosciuta durante un millennio alle assemblee sinodali e trasferita ormai al papa in unione con il collegio cardinalizio. I cardinali rivendicano tale competenza, il principale interessato – il vescovo di Poitiers – se ne fa scudo, Eugenio III la riconosce, i cronisti la sanzionano». 94 Cfr. CIONI, Il concilio di Reims cit. (alla nota 71), p. 287: «Forse la sfumatura di dubbio risponde a una esigenza di oggettività e ad uno scrupolo di ortodossia, molto avvertite da Ottone il quale, come narra Rahewino, il continuatore della sua opera, in punto di morte chiese che fossero corretti i passi dei Gesta riguardanti Gilberto nei punti non conformi alle decisioni ecclesiastiche del concilio». La Cioni ha anche avanzato l’ipotesi di una dipendenza dell’Epistola ad Albinum di Goffredo dai Gesta di Ottone; cfr. ibid., p. 299: «Si può sostenere che alcuni particolari assenti nella Vita Prima e nel Libellus siano stati suggeriti a Goffredo dalla conoscenza dei Gesta: innanzitutto l’annotazione circa il favore di alcuni
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caso, né Gilberto né i suoi seguaci corressero i commenti a Boezio95. Ottone non è soltanto l’autore di un preciso ed equilibrato resoconto delle vicende conciliari di Gilberto, ma anche un suo fedele discepolo per quanto riguarda alcune posizioni filosofiche96. Che lo storico non fosse estraneo alla storia del pensiero filosofico lo dimostra bene il quinto capitolo dei Gesta Friderici, in cui egli fonda la sua personale teoria della caducità dell’uomo sulla base della distinzione metafisica dell’ente in genuinum e nativum (corrispondente alla distinzione platonica tra ciò che è ingenerato e ciò che è generato). Le deduzioni di Ottone echeggiano chiaramente le posizioni di Gilberto e conducono alla conclusione per cui nell’ambito dei nativa, l’uomo contiene il più alto grado di composizione: al composto tra id quod est e quo est, che caratterizza tutti i generati (distinzione boeziano-porretana), si aggiunge infatti una serie di forme essenziali (altra dottrina porretana) e una molteplicità di forme accidentali caratterizzate da reciproca opposizione e da un continuo fluire. Da qui l’estrema caducità della costituzione umana97. Egli dimostra di subire il fascino dei Greci almeno tanto quanto i suoi contemporanei porretani e dà sfoggio delle sue conoscenze della logica nova di Aristotele.
cardinali per Gilberto, già palese durante il processo; in secondo luogo quella riguardante il metodo di preparazione e l’ingresso al processo delle due parti: Gilberto e i suoi con i testi interi, gli oppositori con poche schede; ma soprattutto la risposta di Bernardo a una domanda di Gilberto, riportata addirittura in termini identici a quelli del vescovo di Frisinga:‘Scribatur … stilo ferreo in ungue adamantino…’; ed infine il tenore del discorso che i designati del conciliabolo tennero al papa». 95 Cfr. OTTONE FRISINGENSIS, ibid., I, 57, pp. 81-82: «Unde adhuc a probatioribus eiusdem episcopi auditoribus tenetur, ne ratio ibi discernat in intelligendo, sed tantum in dicendo». HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), p. 94 commenta: «Les élèves de Gilbert se contentèrent d’interpréter le texte de leur maître au moyen de distinctions scolastiques»; d’altronde, cfr. ibid., p. 95, nota 1: «l’enseignement oral du maître fut peut-être plus hardi que ses œuvres écrites». 96 Nelle digressioni occasionate da qualche episodio storico, Ottone riporta fedelmente le teorie di Gilberto sulle forme native, sulla somiglianza dell’essenza specifica e su altre nozioni metafisiche (cfr. i testi messi a confronto da SCHMIDLIN, Die Philosophie Ottos von Freising cit. [alla nota 87], pp. 321 e seqq.). 97 STURLESE, Storia della filosofia tedesca cit. (cap. 1, alla nota 93), p. 138, definisce questa dottrina «teoria della parabola vitale».
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Testimone oculare del Concilio di Reims, al seguito del papa, è Giovanni di Salisbury, che se ne occupa nella sua Historia pontificalis, completata nel 116498. Giovanni conferma il racconto di Ottone secondo cui il caso di Gilberto fu discusso dopo la chiusura del Concilio. Mentre Ottone e Goffredo seguono nella propria esposizione un ordine cronologico, distinguendo le diverse sedute della discussione, Giovanni, più letterato che storico, inserisce la vicenda in un discorso di più ampio respiro, scandito da alcuni temi particolari e non dalle varie fasi del dibattito. Il resoconto è basato sul confronto tra il litteratissimus Gilberto e l’eloquentissimus Bernardo99. Giovanni precisa che assieme al commento di Gilberto al De Trinitate erano stati incriminati anche alcuni scritti dei suoi discepoli, per motivi legati sia al contenuto che al linguaggio100. Egli prende le distanze dal partito di Bernardo, al cui interno trovano posto Sigieri di San Dionigi, i due arcidiaconi di Poitiers, Pietro Lombardo101 e Roberto di Melun 98 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Historia pontificalis, 8, ed. Chibnall cit. (alla nota 22), pp. 15-19. Su Giovanni di Salisbury, cfr. C. C. WEBB, John of Salisbury, London 1932; M. DAL PRA, Giovanni di Salisbury, Milano 1951;WILLIAMS,The teaching of Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 43), pp. 104-112; GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse cit. (cap. 1, alla nota 65), pp. 56-58 e 136-139; H. LIEBESCHUTZ, Medieval humanism in the life and writings of John of Salisbury, London 1950, poi Nendeln 1968. 99 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Historia pontificalis, 8, ed. Chibnall cit., p. 15: «Evocatus apparebat in curia vir etate nostra litteratissimus magister Gislebertus episcopus Pictavorum, responsurus clarissime opinionis et eloquentissimo viro abbati Clarevallensi, super quibusdam questionibus que anteriori anno Parisius mote quidem sed in hoc tempus dilate fuerant». 100 Cfr. ibidem: «Nam et in commento eiusdem episcopi super Boetium de Trinitate et in scriptis discipulorum inveniebantur plura digna ut sapientibus videbatur reprehensione, vel quia non consonabant regulis, vel quia ex novitate verborum absona videbantur». 101 Sulla posizione di Pietro Lombardo nei confronti di Gilberto e delle sue idee, cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit., p. 5: «In addition to the writings of St. Bernard and Geoffrey’s Vita, Peter Lombard’s polemics did considerable harm to Gilbert’s reputation despite the fact that Peter Lombard does not mention Gilbert by name. But it is worth noting that the Lombard who was present at Gilbert’s trial says nothing about the idea that the divinitas is a form». E cfr. D. E. LUSCOMBE, The School of Peter Abelard:The Influence of Abelard’s Thought in the Early Scholastic Period, Cambridge 1969, p. 262: «For all his apparent self-effacement, it is becoming increasingly recognized that Peter Lombard engaged fully in the disputes of his time, particularly concerning the teachings of Gilbert. (…) The commentary [sulle lettere paoline, in PL 191, 1297A-1696C e PL 192, 9A-520A] was filled with biblical and patristic illustrations and references and the occasional disagreement was registered with the tea-
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(† 1167)102, ma crede nella buona fede dei due avversari, separati dal metodo ma uniti nell’adesione alla verità superiore. Il discorso di Bernardo, che nel racconto di Giovanni – qui discorde dagli altri testimoni – è posto all’inizio e non alla fine del dibattito, provocò una serie di discussioni: in particolare, Roberto di Bosco, arcidiacono di Châlons-sur-Marne, suggerì maggiore prudenza in relazione ad una questione, l’identità tra deus e divinitas, su cui insigni maestri come Anselmo e Raul di Laon e Gilberto l’Universale, non si erano espressi con assoluta certezza103. L’iniziativa di ching of Gilbert, later bishop of Poitiers». E ancora, cfr. ibid., pp. 264-265: «The Lombard dissociated himself from Abelard’s condemned or controversial teachings but he did not attack them, perhaps because their day was over. On the other hand where the Porretans were involved the Lombard was far from being silent and vigorously showed his mettle.These veritatis adversarii deny the controvertibility of the proposition ‘three persons are one God’ [cfr. Sententiae, 1, 4, 2]. Against them the Lombard interrupts the regular progress of his exposition and shows his capacity to pursue advanced and tough reasoning. (…) The porretans aroused Peter’s wrath: ‘haereticorum improbitas instinctu diabolicae fraudulentiae excitata’ [cfr. Sententiae, 1, 11, 1, cfr. anche 1, 34, 1]». E ibid., pp. 270-271: «The theory by which Christ is analysed as if he were a composition, is usually known as the subsistence theory. Its clearest advocates were the Porretans, who seem to have been motivated by a concern to guard against the danger, present in the assumptus theory, of confusing the natures in Christ (cfr. JOHANNES CORNUBIENSIS [† 1179 ca.], Eulogium ad Alexandrum Papam tertium, ed. N. M. Häring, in ID., The Eulogium ad Alexandrum Papam tertium of John of Cornwall, in «Mediaeval Studies», 13 [1951], pp. 253-300, in partic. p. 263). (…) When Abelard’s disciples showed their unwillingness to acknowledge a communication of natures or other kinds of change or development than an increase or decrease of substances, they resembled the Porretans, but they did not themselves arrive at an elaboration of the subsistence theory and it is this that the Lombard considered (cfr. Sententiae, 3, 7, 2)». PELSTER, Petrus Lombardus cit. (alla nota 71), p. 72, crede che Pietro Lombardo nelle sue Sentenze abbia come obiettivo polemico gli allievi di Gilberto piuttosto che Gilberto stesso. COLISH, Gilbert, the early Porretans cit. (cap. 1, alla nota 88), p. 230, non scorge nelle Sentenze di Pietro Lombardo un esplicito, ostile rifiuto delle idee di Gilberto e non crede che il Lombardo abbia svolto un ruolo significativo nel processo contro Gilberto: «The Lombard’s reaction to Gilbert was as much positive as negative. Although sharply critical of some of Gilbert’s ideas, he agreed with Gilbert on other points, and incorporate them into his own Trinitarian and Christological doctrine». Cfr. ibid., pp. 244 e seqq. 102 Cfr. LUSCOMBE, ibidem: «Robert had played, in concert with Peter Lombard, a leading role against Gilbert of Poitiers at Paris in 1147 (Robert’s name does not appear in the list of participiants in the council of Rheims published by Leclercq and Pelster». Cfr. ibid., p. 287: «Robert’s diatribe [contro Bernardo di Clairvaux] suggests that he did not act against Gilbert in order to please Bernard». 103 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Historia pontificalis, 8, ed. Chibnall cit., pp. 18-19.
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Bernardo suscitò la reazione dei cardinali che, memori della condanna di Abelardo, si schierarono decisamente dalla parte di Gilberto104. Le motivazioni della presa di posizione da parte della curia romana sono di ordine politico più che dottrinale: i cardinali temevano che Bernardo influenzasse il giudizio della Chiesa gallicana e di quella inglese affinché Gilberto non fosse assolto105. Confortato dal sostegno dei cardinali, Gilberto rispose con rigorosa chiarezza alle domande dei suoi interlocutori, suscitando il giudizio ammirato dei suoi sostenitori e dello stesso Giovanni106. Durante il secondo giorno del dibattito, il papa chiese a Gilberto di chiarire alcune affermazioni contenute in uno scritto, da cui Enrico Pisano trasse il primo capo d’accusa, suscitando la reazione del vescovo che affermò di voler essere giudicato sulla base dei propri eventuali errori, non di quelli altrui107. Gilberto, dunque, rivendicò la paternità intellettuale delle sue opere che 104 Cfr. ibid., 9, pp. 19-20: «Quod cum ad cardinalium audientiam pervenisset supra modum indignati sunt adversus abbatem et illos qui prece eius convenerant; condixerunt ergo fovere causam domini Pictaviensis, dicentes quod abbas arte simili magistrum Petrum aggressus erat; sed ille sedis apostolice non habuerat copiam, que consuevit machinationes huiusmodi reprobare et de manu potentioris eruere pauperem». HÄRING, The Writings against Gilbert cit. (alla nota 73), p. 8, elenca i nomi di diciannove cardinali presenti al concistoro, secondo la testimonianza di Giovanni tutti a sostegno di Gilberto: il cardinale-vescovo Imaro di Tuscolo; i cardinali-preti Ariberto di Sant’Anastasia, Bernardo di San Clemente, maestro Ubaldo di SS. Giovanni e Paolo, Guido di San Lorenzo in Damaso, Guido di San Lorenzo in Lucina, Giulio di San Marcello, Gilberto di San Marco, maestro Guido di San Pastore (Santa Pudenziana), Ubaldo di Santa Prassede, Giordano di Santa Susanna; i cardinali-diaconi Giovanni Paparo di Sant’Adriano, Gregorio di Sant’Angelo, cancelliere Guido di SS. Cosma e Damiano, Oddone di San Giorgio in Velabro, Giacinto di Santa Maria in Cosmedin (futuro papa Celestino III), Guido di Santa Maria in Porticu, Giovanni di Santa Maria Nuova, Ottaviano di San Nicola in Carcere. 105 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Historia pontificalis, 9, ed. Chibnall cit., p. 20: «Suspicabantur enim aut se suspicari simulabant quod abbas in partem suam allicere, et post se trahere vellet Gallicanam et Anglicanam ecclesiam, contra quarum subscriptiones salubriter nichil diffinire posset apostolica sedes, in eo presertim loco et tempore constituta, nec magistrum Gislebertum posset sine seditione absolvere condemnantibus illis». 106 Cfr. ibid., 10, p. 21: «Non memini tamen quempiam gloriatum ibi se legisse quod ille non legerat.Tandem a curia digressi sunt cardinalibus plerisque dicentibus de episcopo, quod numquam locutus est homo». 107 Cfr. ibidem: «Altera die, cum dominus papa sederet in consistorio, iterato in propria persona super iam dictis capitulis convenit episcopum, et cuidam subdiacono curie, Henrico scilicet Pisano, precepit ut quaternum legeret, in quo tociens dicti episcopi contineri dicebantur errores».
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costituivano la base del suo insegnamento pubblico, mentre rinnegò con forza il testo su cui si basava l’accusa, che ricondusse a due suoi discepoli, due ‘teste calde’, senza citarli per nome, ma limitandosi a dire che uno di loro si era fermato in Francia, mentre l’altro si era trasferito in Anglia. Pur considerando quello dei due allievi eretici un caso isolato nella sua radicalità, Gilberto riconobbe che non erano pochi i discepoli che lo ascoltavano durante le lezioni senza comprenderlo e mettevano per iscritto teorie che non corrispondevano al suo pensiero108. L’intervento dei cardinali a sostegno di Gilberto indusse il papa a ordinare sì la distruzione del libro, ma dichiarando (sia in latino che in volgare, per essere compreso anche dai sostenitori laici del vescovo) che non si trattava di un atto contro Gilberto poiché era stata accertata la distanza tra il suo pensiero e questa controversa fonte indiretta109. Secondo la testimonianza di Giovanni di Salisbury, dunque, il suo maestro non godeva soltanto dell’importante sostegno politico dei cardinali, bensì anche delle simpatie di alcuni laici che non conoscevano la lingua latina. Gli uni e gli altri appoggiarono Gilberto anche nella sua richiesta di poter correggere personalmente i punti problematici del suo commento al De Trinitate110. Il pa108 Cfr. ibid., 10, pp. 22-23: «Quo audito excanduit episcopus dicens domino pape,‘Videte, pater, qualiter me tractetis, cum in infamiam meam in sacro consistorio vestro alieni recitantur errores. Fateor me plures habuisse discipulos, qui me quidem omnes audierunt, sed quidam minus intellexerunt: quod opinati sunt scripserunt de corde suo, non de spiritu meo. Inter hos fuerunt duo pre ceteris insignes ex nota singularitatis, cerebrosus quidam qui adhuc moratur in Francia, et alius non minus cerebrosus qui transivit in Angliam. Illos et conformes eorum super hoc libello et similibus potentis rectius convenire. Quid a me vultis amplius? Ego libellum istum cum auctore suo et omnes hereses que in eo scripte sunt anathematizo vobiscum, ut quisquis ille est cum aliis hereticis in die Domini morte damnetur eterna, nisi penituerit et ad catholicam redierit fidem’». 109 Cfr. ibid., p. 23: «Sed quia multitudo laicorum aderat, ipse apostolicus ad excusationem episcopi Gallica utens lingua dixit hoc non factum esse in iniuriam eius, quia liber illius non fuerat, quoniam ipse catholicus in omnibus inventus est et apostolice doctrine consentiens, utpote qui has et omnes alias hereses cum ecclesia Romana condempnat». 110 Cfr. ibid., 11, p. 23: «Tunc dominus papa conversus ad episcopum convenit eum super quibusdam articulis qui in commento eius super Boetium de Trinitate dicuntur contineri, iubens ut liber ille traderetur ei corrigendus. Dixit etiam se rasurum si quid ibi radendum fuerit et immutaturum quod noverit immutandum. Cui episcopus: ‘Absit, domine, ut hunc laborem omni iure mihi debitum subeat alius. Iustum enim est, si ego peccavi scribendo, idem puniar in radendo,
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pa, tuttavia, fece riferimento al documento ideato da Bernardo e redatto, secondo Giovanni, da Goffredo, come schema su cui correggere gli errori contenuti nell’opera di Gilberto. In base al racconto di Giovanni, il vescovo non fu costretto ad abiurare le sue teorie ma fu sostanzialmente assolto (absolutus) e il simbolo di Bernardo venne promulgato quindici giorni dopo la fine del Concilio: il livoroso Goffredo è l’unico a riportarlo nel Libellus, da cui lo stesso Giovanni lo ricopia.
5. La fama: Gilberto e i Porretani nel giudizio dei contemporanei L’ostilità di Bernardo e Goffredo ha influenzato molti dei giudizi su Gilberto e sui Porretani espressi successivamente111. È interessante notare come il giudizio sui Porretani sia, nel bene e nel male, separato fin dall’inizio da quello sul maestro: essi sono dapprima accusati di ripetere pervicacemente gli errori di Gilberto, poi sono indicati, con maggiore distacco critico, come i rappresentanti di posizioni dottrinali precise e distinte. Bernardo di Clairvaux si occupò due volte del caso di Gilberto nei suoi scritti. Nel Sermone LXXX sul Cantico dei Cantici egli si lamenta del fatto che, nonostante la proibizione papale, l’opera incriminata di Gilberto continui a essere copiata e studiata112. Bernardo et erit mihi penitentie pars, si errores meos ipse delevero: vos potius prescribite quid eradi oporteat, et ego mandatum vestrum adimplebo’. Cardinales et alii probaverunt responsum eius, clamantes undique nichil ulterius exigendum». 111 Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit., p. 5: «Next to the Bible few books were more widely read and studied in those days than Lombard’s Sentences and the works of Saint Bernard.And if we consider that Cistercian monasteries dotted the map of Europe in ever increasing numbers, the conclusion is obvious that despite his acquittal by the former Cistercian, Pope Eugene III,the tide kept running higher and higher against the bishop of Poitiers». 112 Cfr. BERNARDUS CLARAEVALLENSIS, Sermo 80 super Cantica Canticorum, IV, 9, PL 183, [1166B-1171A], 1170D, edd. J. Leclercq - C. H.Talbot - H. M. Rochais, Sancti Bernardi Opera, II, Roma 1958, [pp. 281-283] p. 283,4-10: «Sed haec minime iam contra ipsum [Gilbertum] loquimur, quippe qui in eodem conventu sententiae episcoporum humiliter acquiescens, tam haec quam caetera digna reprehensione inventa, proprio ore damnavit, sed propter eos qui adhuc librum illum, contra apostolicum utique promulgatum ibidem interdictum, trascribere et lectitare feruntur, contentio suis [vel contentiosus] persistentes sequi episcopum in quo ipse non stetit, et erroris quam corretionis magistrum habere malentes».
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spostò, dunque, l’obiettivo della sua critica, apprezzando l’umile condiscendenza del maestro e condannando la pervicacia dei suoi seguaci. Quest’atteggiamento sarà condiviso da numerosi storici e teologi dei secoli successivi, che, come Berthaud, tenderanno a separare la posizione legittima di Gilberto da quella, ingiustificabile, dei suoi allievi. In un esemplare del De consideratione (11521153) copiato a Clairvaux pochi anni dopo la morte dell’abate, una mano contemporanea scrive le parole «contra errorem Gilleberti» a margine di un passo in cui Bernardo contesta la distinzione tra deitas e Deus113. Ulteriori testimonianze dello scarso effetto prodotto dalla censura papale provengono da Goffredo di Auxerre114 e da un altro teologo critico nei confronti di Gilberto, Clarembaldo di Arras (1115 ca.-1187 ca.), che in una lettera all’amico Oddone scrive che numerosi monaci (claustrales) si lamentavano presso di lui delle difficoltà incontrate nella lettura delle glosse di Gilberto al De Trinitate115. Clarembaldo dedicò all’error episcopi Pictaviensis una gran parte del suo commento al De Trinitate, in cui afferma che l’opera di Gilberto era stata esplicitamente condannata e la sua lettura proibita nelle scuole dei secolari e dei monaci116. In realtà, 113 Il passo in questione è: BERNARDUS CLARAEVALLENSIS, De consideratione,V, 7-8, PL 182, [727A-808A], 797A-801A, edd. J. Leclercq - C. H.Talbot - H. M. Rochais, Sancti Bernardi Opera, III, Roma 1963, pp. 479-481. Cfr. LECLERCQ, Textes sur Saint Bernard cit. (alla nota 74), p. 10: «Lisait-on, à Clairvaux, les œuvres de Gilbert? Il subsiste un exemplaire de son commentaire de Boèce parmi les manuscrits de Clairvaux [ms.Troyes 1841]: il est du XIIe siècle, et il n’est pas exclu qu’il ait servi à saint Bernard». Cfr. anche J. C. DIDIER, Un scrupule identique de Saint Bernard à l’égard d’Abélard et de Gilbert de la Porrée, in Mélanges Saint Bernard, Dijon 1953, pp. 95-100. 114 Cfr. GAUFRIDUS AUTISSIODORENSIS, Libellus contra capitula Gisleberti cit. (alla nota 77), PL 185, 597B, ed. Häring cit., p. 38: «Porro volumen illud (...) lectitari de cetero aut transcribi sub excommunicationis pena summus pontifex apostolica auctoritate prohibuit nisi forte romana ecclesia purgatum illud ederet et correctum. Quod quidem nec factum audivimus nec speramus aliquando faciendum». ID., Epistola ad Albinum 8, PL 185, 592B, ed. Häring cit., p. 76: «Ibidem dominus Papa auctoritate apostolica de assensu totius ecclesie que convenerat capitula ipsa dampnavit districte precipiens ne eundem librum legere vel transcribere etiam sic reprobatum quis auderet nisi prius romana ecclesia correxisset». 115 Cfr. CLAREMBALDUS ATREBATENSIS, Epistola ad Odonem, 2, ed. in N. M. HÄRING, Life and works of Clarembald of Arras:A Twelfth-Century Master of the School of Chartres,Toronto 1965, [pp. 63-65], p. 63. 116 Cfr. CLAREMBALDUS ATREBATENSIS, Tractatus super librum Boetii De Trinitate, ed. in N. M. HÄRING, Life and works of Clarembald of Arras cit., pp. 65-186, in partic.
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neppure Bernardo ha parlato di una condanna solenne delle teorie di Gilberto. Anche un altro monaco cisterciense, Elinando di Froidmont († 1229 ca.), esagerò la portata della condanna di Gilberto, ma il suo Chronicon, dipendente dalla Vita prima di Goffredo, consente di conoscere il nome e l’opinione di un ardente discepolo di Gilberto, maestro Stefano di Alinerra – chierico al servizio del conte Enrico I di Champagne – secondo cui la condanna aveva colpito soltanto una caricatura (somnium) della teoria porretana117. Un commentatore anonimo di Boezio, poi, giudicò con equilibrio l’esito del Concilio ma accusò gli ignominiosi discepoli dell’ortodosso Gilberto di dare un senso causale all’ablativo Deus est a deitate118. Si schierarono esplicitamente contro Gilp.145:«Ecce quam aperte errori Episcopi Pictavensis obviat quoniam nulla numero differre possunt quae accidentium dissimilitudo non variet. Et item si Deus a Deo nulla re differt,cum Pater sit Deus,nulla re a Filio Deo,nulla re a Spiritu sancto Deo differt. Itemque Filius et Spiritus sanctus cum sint Deus, nulla re a Patre Deo differunt. Ergo nec numero tres personae inter se differunt. Quoniam vero in Concilio Remensi sub Eugenio Papa super aliis erroribus liber eius reprehensus dampnatusque tam scolarium lectionibus quam claustralium ademptus est, et hic error eius utpote haeresibus eius aliis nullo modo perferendis ibi connumeratus non est, commodum mihi visum est verba quibus hunc ipsum locum pertransire voluit in medium revocare, ne quis temere vel invidiose aut denique mendaciter tantae famae virum carpere me dicere queat». Clarembaldo confuta con rispettosa fermezza la dottrina di Gilberto della distinzione di sostanza e sussistenza e la sua applicazione a Dio, adotta alcune definizioni gilbertine riguardanti la teoria delle forme native ed il realismo degli universali,ne rigetta molte altre. 117 Cfr. HELINANDUS FRIGIDI MONTIS, Chronicon, 48 (ad ann. 1148), PL 212, [771C-1082C], 1038BC: «Quorum [scil. Petri Abaelardi et Gisleberti Porretae quidam discipuli nimium zelantes] unus magister Stephanus cognomento de Alinerra dixit mihi, seipsum interfuisse illi Remensi concilio, et Bernardum nostrum nihil adversus Gislebertum suum praevaluisse, (…) quosdam vero episcopos et abbates Galliae privata gratia Bernardi nostri somnium illius sententiae praetulisse, et papam Eugenium ad eius damnationem induxisse». Stefano era un canonico presso la cattedrale di Beauvais «exercitatissimus in omni genere facetiarum utriusque linguae Latinae et Gallicae»: morì un anno dopo aver detto a Elinando che Bernardo non era riuscito a far condannare Gilberto. Elinando collegò la sua morte a questa diffamazione. J. R. WILLIAMS, The Quest for the author of the Moralium Dogma philosophorum, 1931-1956, in «Speculum», 32 (1957), [pp. 736-747], p. 740, nota 40, ha proposto di identificare questo Stefano con il grammatico citato come Stephanus Beluacensis o Stephanus Remensis in HUNT, Studies on Priscian in the Twelfth-Century II cit. (alla nota 26), p. 49. 118 L’opera è stata pubblicata tra le opere di Beda: Commentarius in librum Boeti (sic) De Trinitate, PL 95, 393C e 403D: «Fuerunt enim quidam ignominiosi, quorum nomina jam aures Catholicorum offendunt, qui ex parte subjecti non concederent unum Deum tres esse personas, hoc argumento seipsos confundentes vel illudentes: Nihil est id cujus est; sed divina essentia est trium personarum,
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berto Gerhoh di Reichersberg (1093-1169)119, Gualtiero di San Vittore120, Giovanni di Cornovaglia († 1200 ca.)121. Al di là delle critiche rivolte alla sua dottrina teologica, Gilberto ricevette numerose attestazioni di stima dai suoi contemporanei, che ne ammiravano la grande cultura filosofica, la familiarità con i testi dei Padri della Chiesa, la devota religiosità: Roberto di quare non sunt tres personae. (…) Omnes enim hae constructiones: Deus est a deitate, et tres personae sunt unius essentiae, unius naturae, et caeterae hujusmodi, sunt intransitivae, sicut in Rhemensi concilio sancitum est, ut hoc quaesivit archiepiscopus ab illo qui dux est illorum, qui hujusmodi constructiones fortassis esse transitivas sentiebant». La citazione è riportata da HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), p. 42, nota 6; cfr. anche ibid., p. 51. 119 Le opere di Gerhoh di Reichersberg sono in PL 193-194. I testi che conservano tracce della polemica contro Gilberto e i Porretani sono principalmente quattro. GERHOHUS REICHERSBERGENSIS, De ordine donorum Sancti Spiritus, ed. E. Sackur, in MGH, Scriptores, 3, Hannover 1897, pp. 273-283, composto negli anni 1141-43. ID., Epistola XXIII, indirizzata a papa Adriano IV, PL 193, 586D-604D (cfr. ibid., 587B, le seguenti parole indirizzate contro i Porretani: «Ad huius pestiferae doctrinae sensum confirmandum putant se habere patronos magnos Hilarium et Augustinum»). ID., Liber de novitatibus huius temporis, composto negli anni 1155-56, ed. Sackur, ibid., pp. 288-306, quindi ed. in N. M. Häring, Letter to Pope Hadrian about the novelties of the day,Toronto 1974: cfr. in partic. il cap. 20, ed. Sackur, p. 301: «Fumant scholae plures in Francia et aliis terris permaxime a duabus caudis ticionum fumigantium videlicet Petri Abaiolardi et episcopi Gilliberti». ID., Liber de gloria et honore Filii hominis, PL 194, [1073A-1160C], 1080B: «Cum plures audierimus auctoritate magistri Gisleberti hoc asserentes, ipsius verba apponamus (…)». Gerhoh accusò Gilberto di adozionismo (cfr. la quarta tesi incriminata a Reims). Cfr. D. VAN DEN EYNDE, L’œuvre littéraire de Géroch de Reichersberg, Roma 1957. Nikolaus M. Häring ha inoltre attribuito a Gerhoh di Reichersberg due brevi trattati antiporretani (rivolti probabilmente contro Pietro di Vienna), intitolati Tractatus de eo quod persona sit in persona e Tractatus contra eum qui dixit quod divinitas non sit Deus, contenuti nel ms. Zwettl, Stiftsbibl. 240, rispettivamente ai ff. 125r-129v e 129v-135r: cfr. ID., Two Austrian Tractates against the doctrine of Gilbert of Poitiers, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 40 (1965), pp. 127-167 (testo alle pp. 142-167). 120 Cfr. GUALTERUS DE SANCTO VICTORE, Contra quatuor labyrinthos Franciae, IV, 56; ed. P. Glorieux, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 19 (1952), pp. 195-334, in partic. p. 332. I quattro pensatori contorti ed eretici, a cui si deve lo smarrimento della scienza teologica in Francia, sono Abelardo, Lombardo, Gilberto e Pietro di Poitiers, colpevoli di aver percorso una falsa strada in materia trinitaria e cristologica a causa del loro eccessivo entusiasmo per Aristotele. Gualtiero condanna Gilberto sulla base non dei suoi scritti, ma dei capitula e del giudizio di Bernardo. 121 Cfr. JOHANNES CORNUBIENSIS, Eulogium ad Alexandrum Papam tertium cit. (cap. 2, alla nota 101), ed. Häring, p. 263. Il teologo congiunge in un unico anatema Lombardo,Abelardo e Gilberto e denuncia il disaccordo tra i Porretani intorno alla dottrina del maestro. Giovanni sottolinea il disaccordo tra Gilberto e la sua scuola in materia cristologica.
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Torigny, abate benedettino di Mont St. Michel († 1186), lo indica come «vir religiosus et multiplicis doctrine qui psalmos et epistolas Pauli luculenter exposuit»122, Arno di Reichersberg († 1175) lo definisce magnus et nominatus magister123, mentre il cronista Magnus di Reichersberg spende parole di elogio nei confronti dei seguaci di Gilberto124. Anche tra gli avversari di Gilberto vi era chi riconosceva l’erudizione e la fama del vescovo: Goffredo di Auxerre lo definisce homo tantarum litterarum e in sacris litteris plurimum exercitatus,Clarembaldo di Arras si riferisce a lui come a un tam clarum doctorem … tantae famae virum125. Una menzione meritano infine gli epitaffi di tono encomiastico composti alla morte del vescovo (1154),tra cui l’elogio del decano di Poitiers Laurentius126.In questi elogi, l’ammirazione per il vescovo si accompagna alla stima per il maestro di teologia127. 122 Cfr. ROBERTUS DE TORIGNIACO (sive DE MONTE), Chronica, ad ann. 1154, ed. L. C. Bethmann, in MGH, Scriptores, 6, Hannover 1844, [pp. 475-535], p. 504. Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit., p. 12: «No twelfth-century scholar has been extolled with such lavish praise». 123 Cfr. ARNO REICHERSBERGENSIS, Apologeticus contra Folmarum [1163-65], ed. C. Weichert, Leipzig 1888, 11; E. BUYTAERT, The Apologeticus of Arno von Reichersberg, in «Franciscan Studies», 11 (1951), pp. 1-48. 124 Cfr. MAGNUS REICHERSPERGENSIS, Chronica collecta a Magno presbytero, ed. W. Wattenbach, in MGH, Scriptores, 17, Hannover 1861, [pp. 476-534], p. 496: «Fuerunt enim et adhuc supersunt non pauci numero nec parvae aestimationis homines sed viri valde litterati qui dicunt et dixerunt hominem a verbo assumptum nec in sapientia nec in potentia nec in gloria nec in ullo bono, Deo Patri assumenti equari sive identari posse, ac proinde nec latriam ei sed duliam deberi, meliorem tamen speciem duliae ipsi concedentes. Sed nec proprie ipsum Deum dici concedunt, sed tropice eum Deum dici fatentur». Cfr. H. FICHTENAU, Magister Petrus von Wien, in «Mitteilungen des Instituts für Oesterreichische Geschichtsforschung», 63 (1955), [pp. 283-297], p. 292. 125 Cfr. CLAREMBALDUS ATREBATENSIS, Tractatus super librum Boetii De Trinitate, introd., 11, ed. Häring cit. (alla nota 116), p. 69; III, 36, ibid., p. 145. Cfr. HÄRING, ibid., pp. 38-45. 126 Cfr. HÄRING, Epitaphs and Necrologies cit. (cap. 2, alla nota 2); N. M. HÄRING, Texts concerning Gilbert of Poitiers, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 37 (1971), pp. 169-203. 127 Cfr. Planctus Laurentii decani Pictavensis, ed. in HÄRING, Epitaphs and Necrologies cit., p. 70: «Ille audiens Apostolum suum dicentem: Gratia Dei sum id quod sum et gratia eius in me vacua non fuit, ne forte in vacuum Dei gratiam recepisset, collatam sibi divini muneris gratiam cunctis communicabilem faciens, noluit eam propriis usibus reservare. Unde et meruit eminere magisterii merito supra omnes doctores in tempore suo et obtinuit nomen grande super nomen magnorum qui sunt in terra». Cfr. De commendatione magistri Gisleberti Porree excerpta de manu Rolligeri, ed. in J. LECLERCQ, L’éloge funèbre de Gilbert de la Porrée, in «Archi-
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II. LE TESTIMONIANZE
I versi De Porrectanis del Fons philosophiae di Goffredo di San Vittore rappresentano una significativa testimonianza dell’esistenza di una scuola di Gilberto, i cui rappresentanti sono inseriti tra i moderni philosophi128. Alcuni personaggi parlano di Gilebertini (o Gillibertini) in luogo di Porretani per riportare alcune tesi teologiche non prive di uno specifico retroterra logico.Tra questi, Pietro Cantore († 1197), che nella Summa de sacramentis et animae consiliis riporta la loro teoria del peccato originale129. Nella maggior parte dei casi, in effetti, ai Porretani sono contestate tesi squisitamente teologiche. Con intento dichiaratamente polemico l’autore anonimo delle Quaestiones contenute nel ms. Paris, Bibl. Mazarine, 1708, ff. 232r-253r, e ivi erroneamente attribuite a Prepositino di Cremona, contrappone l’autorità di Agostino a una tesi teologica dei Porretani sullo Spirito Santo130. ves d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 27 (1952), [pp. 183-185], p. 184: «Non philosophus tantum sed ex ipsius ore fons philosophie omnino manare crederetur. Liberalibus autem artibus ipsius animus adeo fuit informatus ut ab auditoribus suis simul cum artium auctoribus auctor et ipse putaretur. (…) Tanta vero in divina et humana pagina fuit plenitudine scientie repletus, ut ad magisterii honorem provectus super omnes nostris in temporibus in hac officii dignitate floreret (…)». Cfr. WILLIAMS, The teaching of Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 43), p. 2: «We have an account of his death in 1154, in the chronicle of Robert du Mont, and it is evident that he died full of esteem and his personal character was in no way damaged by the doings of the Council at Reims». 128 Cfr. GODEFRIDUS DE SANCTO VICTORE, Fons philosophiae, ed. P. MichaudQuantin, Bruxelles - Louvain - Lille 1956, p. 44,257-264. 129 Cfr. PETRUS CANTOR, Summa de sacramentis et animae consiliis, ed. J.-A. Dugauquier, 3 voll., Louvain - Lille 1954-1967 (Analecta Mediaevalia Namurcensia, 4, 7, 11, 16 e 21), III.2b, pp. 552-553: «Si dicatur quod modo, cum sit tantum pena, est a diabolo; ergo aliquod bonum est a diabolo, quia omnis pena, saltem in eo quod pena, bona est et iusta est, quia solebant Gilebertini dicere quod originale peccatum in rei veritate non est peccatum, sed quedam obnoxietas sive conditio privandi visione Dei. Iudicatur tamen peccatum quia idem facit quod peccatum, privat scilicet a visione Dei. Sicut etiam idem facit delictum militis quod servitas servi, quia uterque privatur a mensa Domini sui, sed miles propter peccatum, servus non propter peccatum aliquod, sed propter conditionem». Il passo è citato in Y. IWAKUMA - S. EBBESEN, Logico-Theological Schools from the Second Half of the 12th Century: A List of Sources, in «Vivarium», 30 (1992), [pp. 173-210], p. 186: all’interno di questo ricco repertorio di testi latini che citano esplicitamente le scuole logiche e teologiche del secolo XII, frequenti sono le attestazioni dei Porretani, che in parte riportiamo nelle pagine successive. 130 Cfr. G. LACOMBE, La vie et les œuvres de Prévostin, in Prepositini Cancelarii Parisiensis (1206-1210) Opera Omnia, I, Le Saulchoir 1927, p. 55: «Augustinus contra Porretanos: Spiritus Sanctus aliquo est procedens et eo est Spiritus Sanc-
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Una fonte molto ricca di riferimenti ai Porretani è la Summa «Colligite fragmenta» scritta fra il 1194 e il 1200 da un certo Magister Hubertus: l’opera, conservata nel manoscritto München, Bayerische Staatsbibl., Clm. 28799 e studiata da Richard Heinzmann131, accusa spesso i seguaci di Gilberto di sostenere tesi teologiche errate. Quest’opera conferma indirettamente la commistione tra logica e teologia nel processo di elaborazione della dottrina porretana. Con un distinguo importante: il settarismo riscontrabile nel confronto tra le scuole di logica non si riflette in ambito teologico, poiché i maestri di teologia non hanno la medesima volontà e consapevolezza di appartenere a una scuola nel senso rigido del termine132.È una differenza da tener presente quando si includono nello stesso gruppo maestri delle arti e maestri di teologia, discepoli diretti ed eredi più o meno fedeli al proprio modello dottrinale. Uberto, che menziona i Porretani a proposito del valore teologico del termine ‘persona’133, è tra coloro che contestano l’applicazione tus et eodem est Deus». Sulle Quaestiones, cfr. O. LOTTIN, Un traité de l’école porrétaine attribué faussement à Prévostin de Crémone, in ID., Psycologie et morale cit. (cap. 1, alla nota 67),VI, Gembloux 1960, pp. 19-26. 131 R. HEINZMANN, Die Summe «Colligite fragmenta» des Magister Hubertus (Clm 28799): Ein Beitrag zur theologischen Systembildung in der Scholastik, München 1974 (Veröffentlichungen des Grabmann-Institutes zur Erforschung der Mittelalterlichen Theologie und Philosophie, N. F. 24): lo studio contiene l’elenco delle questioni discusse nella Summa. 132 È il punto cruciale messo a fuoco da S. EBBESEN, What must one have an opinion about, in «Vivarium», 30, I (1992), pp. 62-79, in partic. p. 79: «Did the school distinctions carry over from the arts to theology? Perhaps only in the sense that outsiders could reasonably label as Porretan or Nominalist such theological theses as were (characteristically) held by adherents of one or the other creed in logic. Perhaps not in the sense that any theological master advertised himself as Porretan or Nominalist. It might be all right to belong to a secta in logic, but though Alain of Lille dared write Regulae Caelestis Iuris, wouldn’t a list of positiones nostrae in theology look like setting up a haeresis?». 133 Cfr. HUBERTUS, Summa «Colligite fragmenta», ms. München, Clm. 28799, f. 5rb-vb, in IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools cit. (alla nota 129), p. 187: «Circa articulos eiusdem et diversi haec primo proponitur quaestio:utrum idem sit Deo esse essentiam quod esse personam.Quod probatur (…).Contra (…).Solutio. Super ha‹n›c quaestionem triplex fuit opinio. Quidam enim, ut magister Petrus Longobardus et sequaces eius, dixerunt hoc nomen ‘personam’ esse essentiale; quidam, ut magister Robertus, personale; quidam vero, ut Porretani mixtim, i.e. partim personale et partim essentiale. Primi dixerunt (…). Secundi dicunt (…).Tertii dicunt hoc nomen ‘personam’ significare essentiam et nihilominus significare personalem distinctionem.Et hoc secundum nominis etymologiam.Dicitur enim persona quasi per se una vel unum et unum faciat in essentiam et in distinctionem personarum, ut sit sensus: isti sunt personae, i.e. sunt distincti et unum; Pater per se
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II. LE TESTIMONIANZE
teologica (distinzione deus/divinitas) della teoria semantico-grammaticale del duplice significato del nome e della distinzione tra nominativo e ablativo (deus est deitate deus)134.Uberto riporta anche l’opinione dei Porretani circa il rapporto tra la trinità delle persone e l’unità dell’essenza divina135. Ai Porretani è inoltre attribuita la tesi secondo cui i nomi pater e filius significano le persone pro substantia, le proprietà pro qualitate136. Una critica frequente nei confronti dei Porretani, ripresa dalla Summa «Colligite fragmenta», concerne la dottrina della distinzione della paternità dal Padre137. est persona, i.e. per se distinctus et unum. Cum ergo dicit in plurali ‘isti sunt personae’,potius hoc nomen ‘persona’redundat in consignificationem quam in principalem significationem. Concedunt ergo quod hoc nomen ‘persona’ essentiale secundum principalem significationem et personale secundum consignificationem». 134 Cfr. ibid., f. 13va, pp. 187-188: «Et sumitur haec solutio ex auctoritate Prisciani dicentis quod omne nomen significat substantiam et qualitatem, sed aliud pro substantia, aliud pro qualitate, utputa hoc nomen ‘albus’ pro substantia significat subiectum albedinis,pro qualitate albedinem(?) ut ei concretam;et hoc nomen ‘homo’ pro substantia hominem, pro qualitate humanitatem; hoc etiam nomen ‘albedo’,ut placet Porretanis,pro substantia significat ipsam albedinem,pro qualitate albendi effectum qui forte ‘albities’ ficto nomine potest vocari. Et ipsi huic regulae nimis pertinaciter inhaerentes in tantum extenderunt eam, ut dicerent hoc nomen ‘deus’ aliud pro substantia et aliud pro qualitate significare, statuentes differentiam inter Deum et deitatem sicut inter hominem et humanitatem. Quod falsum est (…)». E cfr. ibid., f. 154va-b, p. 189: «Circa formarum causam quaeritur de virtute quo ipsa sit virtus an se ipsa vel alio, et si alio quo. (…) Solutio. Hoc videntur concedere Porretani, adeo stricte ut etiam in trinitate voluerint illud servare, scil. cum dicitur ‘deus est deitate deus’ aliud notet ablativus et aliud nominativus, unde etiam dixerunt deitatem non esse Deum, quod est erroneum». 135 Cfr. ibid., ff. 42va-43rb, p. 188: «Secundo queritur de numeralibus, scil. an pluralitas personarum sit dicenda pluralitas et an numerus et an sit ibi ternarius. Quod probatur multiplici auctoritate. (…) Vel sic contra Porretanos, qui dicunt ternarium adesse Deo et non inesse. (…) Contra. (…) Solutio.Tres fuerunt hic opiniones. Quidam enim negant his vocabulis ‘duo’‘tres’‘plures’ et huiusmodi significari pluralitatem. (…) Secundi et tertii dixerunt his nominibus pluralitatem significari et huiusmodi, sed differenter, quia secundi, i.e. Porretani, dixerunt ternarium sui generis significari,illumque adesse et non inesse personis,nec esse illas tres personas,similiter et in aliis. Tertii vero (…).Ultimam vero opinionem quia potior et probabilior videtur. (…) Videtur tamen et supradictae opiniones posse salvari. Quod enim magister Petrus dixit [scil.prima opinio] (…).Similiter Porretani – qui dixerunt huiusmodi vocabulis numerum non significari, qui quidem adest personis et non inest nec est deus – non multum a vero exorbitasse videntur». 136 Cfr.ibid.,f.56vb,p.189:«Dicunt enim quidam haec nomina,scil.‘pater’et ‘filius’, significare personas cum proprietate; quidam vero proprietates et appellare personas;alii,ut Porretani,quasi idem dicunt sed distinctius,dicentes quod haec nomina ‘pater’et ‘filius’pro substantia significant personas,pro qualitate proprietates». 137 Cfr. ibid., f. 59va-b, p. 189: «Item circa eundem articulum potest quaeri an paternitatem esse Patrem sit articulus fidei. Quod videtur posse probari, quia uni-
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Uberto riporta anche alcune teorie porretane di teologia morale, tra cui quelle intorno all’importanza dei meriti per la conquista della vita eterna138,alla distinzione tra caritas finalis e caritas ferialis139, ai temi della grazia140,delle virtù141,della carità142. versalis ecclesia hoc dogmatizat, quia etsi aliqui dissentia‹n›tur ut Porretani, nihilominus est universalis ‹…› hoc concedere, et ita er‹r›ant Porretani. Solutio. Forte prima falsa, quia praeter Porretanos multi dixerunt non esse proprietates in personis, et ita negaverunt paternitatem esse Patrem. (…) Si vero quaeritur quod illorum maius peccatum sit, scil. an negare paternitatem esse Patrem si ipsa est Pater, an asserere ipsam esse Patrem si ipsa non est Pater, potest responderi (…). Item una sola est paternitas Patris, quia dicere quod plures absurdum esset; sed de ea Porretanus negat ipsam esse Patrem, et alii concedunt ipsam esse Patrem. (…) Solutio. (…) Oppositio. (…) Non enim de eadem paternitate vel proprietate loquuntur, sed Porretanus de paternitate quae est tantum respectus, et alii de paternitate persona, nec tamen minus est una sola paternitas Patris». 138 Cfr. ibid., f. 33ra-b, p. 188: «Sequitur videre circa praedicatum actionis, i.e. circa praedestinationis effectum: utrum scil. sola praedestinatio sit causa vitae aeternae an etiam merita. Quod sola haberetur ex auctoritate (…). Contra. Dicit auctoritas (…). Solutio. Propter haec et alia dixerunt Porretani merita nostra non esse causam sed viam vitae aeternae, et quod non propter merita nec ex meritis sed propter merita datur nobis vita aeterna. Potest tamen (…)». 139 Cfr. ibid., f. 106va, p. 189: «Item posito quod vir ex longo tempore sanctissimus libidinis furore labatur in fornicationem, numquid dicetur quod iste praeponat amorem iniquitatis vel meretricis dilectioni Dei. (…) Solutio. Ad hoc distinguebant Porretani inter caritatem finalem et ferialem, eam dicentes finalem quae non extinguitur per huiusmodi subitaneas passiones, puta furorem libidinis vel irae, et negantes illa esse mortalia, i.e. morte digna. Latet enim, ut aiunt, in radice caritatis quamv‹i›s non extenditur ad fructum exteriorem. Ferialem eam dicunt quae temporalis est radicem non habens et tempore temptationis deficit. Et ita secundum eos caritas est simul cum his quae mortalia iudicantur. Si autem eis opponatur auctoritas, dicunt quod illa dicta sunt mortalia (...)». 140 Cfr. ibid., f. 152va, p. 189: «Porretanorum est opinio quod nulla gratia virtus infundatur puero; aliorum vero omnium quod eadem prima gratia quae datur adulto datur et puero». 141 Cfr. ibid., ff. 156va-157ra, pp. 190-191: «Solutio. Duae sunt hic opiniones; una specialis Porretanorum, et alia generalis omnium aliorum. Porretani bene concedunt virtutes naturales esse etiam in puero nondum baptizato, dicentes eas esse quaedam naturalia dona. Et dicunt quod de naturali virtute fit politica et de politica fit catholica. Quod ut plenius intelligatur, notandum quod virtus tripliciter dicitur: naturalis, politica, et catholica. Virtus naturalis est vis quaedam naturalis rebus a natura et cum natura simul insita, et dicitur virtus quasi viribus nitens, et est vere naturalis; politica virtus est habitus mentis bene const(itutae) etc; catholica virtus est gratia quam operatur deus in homine sine homine, qua nemo potest male uti. (…) Sic qualitercumque potest intelligi opinio Porretanorum, et ex quo sensu dixerint quod nemo potest amittere caritatem, ratione scil. radicis et non trunci vel ramorum.Aliorum sententia generalis est quod nulla virtus est naturalis nisi forte dicatur naturalis, i.e. naturae consentanea. Istae opiniones subtiliter perscrutanti in nullo vel in modico sibi contradicunt (…)». 142 Cfr. ibid., f. 181ra, p. 191: «Porretani dicunt quod caritas potest esse cum
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II. LE TESTIMONIANZE
Anche nel tredicesimo secolo vengono richiamate e discusse, spesso in modo critico, numerose tesi dei Porretani, prevalentemente teologiche:Tommaso d’Aquino discute la tesi dei Porretani sul predicato ‘bonum’143 e critica la distinzione porretana tra le proprietà personali e le persone144. Guglielmo di Auxerre conte-
mortali, et quod David habuerit caritatem cum adulterio et homicidio; sed hoc dicunt ratione stipitis, quoniam habuit eam in radice, non in foliis». 143 Cfr. THOMAS AQUINAS, Quaestiones disputatae de veritate, q. 21, a. 4, ed. A. Dondaine, in Opera Omnia iussu Leonis XIII P. M. edita, t. XXII, v. III/1, Roma 1973, p. 602,180-193: «Et hanc opinionem aliquo modo porretani secuti sunt: dicebant enim quod de creatura praedicamus bonum simpliciter, ut cum dicitur homo est bonus, et bonum aliquo addito, ut cum dicimus Socrates est bonus homo. Dicebant igitur quod creatura dicitur bona simpliciter non aliqua bonitate inhaerente sed bonitate prima, quasi ipsa bonitas absoluta et communis esset bonitas divina; sed cum dicitur creatura bonum hoc vel illud, denominatur a bonitate creata quia particulares bonitates creatae sunt sicut et ideae particulares secundum Platonem. Sed haec opinio a Philosopho improbatur multipliciter (…)». 144 Cfr. ID., Scriptum super Sententias magistri Petri Lombardi, I, d. 33, q. 1, a. 2, ed L.Vivès, Opera Omnia,VII, Paris 1873, p. 399a: «Porretani enim dixerunt quod proprietates sunt in personis ut assistentes, et non sunt ipsae personae. Sed hoc non potest esse, quia (…)». Cfr. ID., Compendium theologiae, I, 67, in Opera Omnia cit. (alla nota 143), t. XLII, Roma 1979, p. 102,1-3: «Non autem dici potest quod proprietates praedictae non sint in personis sed exterius ad eas se habeant, ut Porretani dixerunt». La medesima posizione era stata sostenuta pochi decenni prima da Uberto e Pietro di Capua († 1242 ca.). Cfr. HUBERTUS, Summa «Colligite fragmenta», f. 54ra, pp. 188-189: «Quidam vero, ut Porretani, dixerunt personarum proprietates non esse personas, multas et quasi sine numero in trinitate fingentes proprietates, nam (non ms.) distinguunt tria formarum seu proprietatum genera, dicentes quod formarum aliae sunt subsistentiae, aliae insistentiae, aliae assistentiae; subsistentiae sunt proprietates praedicamenti substantiales quibus res subsistunt, ut animalitas et lapiditas et huiusmodi; insistentiae sunt formae duorum praedicamentorum, scil. quantitates et qualitates, quae ita subiecto insunt quod secundum se afficiunt, disponunt et immutant; assistentiae dicuntur aliorum omnium praedicamentorum formae, quae quidem assunt subiectis et non insunt sed quodammodo extrinsecus, sed quodammodo secundum Boethium affixae esse videntur, nec sunt veri nominis proprietas. Et iuxta hunc modum in theologicis quasi duplex genus assignant, subsistentiam scil. i.e. essentiam, et assistentiam ut (vel ms.) paternitatem et alias proprietates –, negantes proprietates esse personas, et forte concederent paternitatem aeternam et temporalem univoce dici». PETRUS DE CAPUA, Summa, ms. München, Clm. 14508, f. 14va: «Quidam dicunt, ut Porretani, quod huiusmodi proprietates in personis quidem sunt, sed non sunt ipsae personae; sed sunt proprietates personarum quasi adiacentes ipsis personis, in essentia vero nec ipsae sunt nec sunt ipsa essentia». Quest’ultimo passo è citato in IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools cit. (alla nota 129), p. 194. Tommaso era scarsamente informato sull’insegnamento di Gilberto: cfr.A. LANDGRAF, Porretanisches Gut beim hl.Thomas von Aquin, in «Acta Pontificiae Academiae Romanae Sancti Thomae Aquinatis», 6 (1940), pp. 214-225.
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
sta ai seguaci di Gilberto l’introduzione di un numero pressoché infinito di proprietà nella Trinità divina145 e contesta la posizione dei Porretani sulle relationes in Dio146. Alberto Magno ritorna sulle tesi teologiche di Gilberto messe in discussione a Reims147. 145 Cfr. GUILLELMUS ALTISSIODORENSIS, Summa aurea, I, 7, 1, ed. J. Ribaillier, 4 voll., Paris - Rome 1980-1987 (Spicilegium Bonaventurianum, 16-19), I, p. 110: «Circa primum capitulum notandum est quod de notionibus multae sunt opiniones. Dicunt enim Porretani quod multo plures sunt notiones quam quinque et quod notiones non sunt personae. Alii dicunt (…)». Per un precedente di questa posizione, cfr. HUBERTUS, Summa «Colligite fragmenta», f. 51rb, p. 188: «Porretani enim quasi infinitas in trinitate introducunt proprietates, quas dicunt adesse et non inesse, et ideo alia proprietate dicunt illas personas (scil. Pater et Filius) esse principium Spiritus sancti». 146 Cfr. GUILLELMUS ALTISSIODORENSIS, Summa aurea, I, 5, 2, ed. Ribaillier cit., I, p. 70: «Ad hoc dicunt Porretani quod ‘hoc nomen Dominus significat quandam relationem quae est dominium quo Dominus est Dominus, et illa relatio non est divinae essentiae, sed assistit ei et incipit assistere in tempore et ex tempore, scilicet quando incipit habere servum. Eodem modo hoc nomen creator significat quandam relationem qua Deus est creator, et illa relatio incepit assistere divinae essentiae, quando creaturae inceperunt oriri ab ea’». Cfr. anche THOMAS AQUINAS, Scriptum super Sententias, I, dist. 26, q. 2, art. 1, ed.Vivès cit.,VII, p. 328ab: «Quidam dixerunt, ut Porretani, quod relationes in divinis sunt tantum assistentes. Quidam vero dixerunt (…) et hoc attendentes quidam philosophi dixerunt, quod relatio non est aliquod unum genus entium, nec est aliquid in rerum natura; sed est tantum quidam respectus respersus in omnibus entibus, et quod relationes sunt de intentionibus secundis quae non habent esse nisi in anima. Cui etiam Porretanorum opinio consentire videtur. Sed hoc falsum est: quia (…)». Cfr. ID., Quaestiones disputatae de potentia, q. 7, a. 8, ed. P. Mandonnet, Quaestiones disputatae, 3 voll., II, Paris 1925 (2a ed.), p. 273 [edd. P. Bazzi et al., Quaestiones disputatae, 2 voll., II,Torino - Roma 1953 (9a ed.), p. 62va]: «(…) Unde et Porretani dixerunt, relationes non esse inhaerentes, sed assistentes, quod aliqualiter verum est, ut posterius ostendetur»; ibid., q. 8, a. 2, pp. 288-289 [p. 67ra]: «(…) Unde et Porretani dixerunt, relationes non esse inhaerentes, sed assistentes, quod aliqualiter verum est, ut posterius ostendetur»; ibid., q. 8, a. 2, p. 67ra: «Unde etiam quidam theologi, scilicet Porretani, huiusmodi opinionem usque ad divinam relationem extenderunt, dicentes, relationes non esse in personis, sed eis quasi assistere. Et quia essentia divina est in personis, sequebatur quod relationes non sunt essentia divina; et quia omne accidens inhaeret, sequebatur quod non essent accidentia. Et secundum hoc solvebant verbum Augustini inductum, quod scilicet relationes non praedicantur de Deo secundum substantiam, nec secundum accidens. Sed ad hanc opinionem sequitur quod relatio non sit res aliqua, sed solum secundum rationem: omnis enim res vel est substantia vel accidens. Unde etiam quidam antiqui posuerunt relationes esse de secundis intellectis, ut Commentator dicit XI Metaph. Et ideo oportet hoc etiam Porretanos dicere, quod relationes divinae non sunt nisi secundum rationem. Et sic sequetur quod distinctio personarum non erit realis; quod est haereticum». 147 Cfr. ALBERTUS MAGNUS, Commentaria super Sententias, I, d. 5, a. 4, ed. A. Borgnet, Opera omnia, XXV, Paris 1893, p. 480b: «Sed contra: (...) 3. Item, In Littera vult quod Pater essentia sit, et sapientia sapiens sit, quasi essentia et sapientia
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II. LE TESTIMONIANZE
Everardo di Bethune († 1212 ca.) riporta l’opinione dei Porretani sulla legge biblica148. Alberto Magno e Tommaso citano i Porretani a proposito della relazione tra suffragi e pene149. Una glossa marginale di un commento alle Sententiae del tredicesimo secolo (ms. Paris, Bibl. Nat., lat. 164112) riporta l’opinio Porretanoformaliter se habeant ad Patrem: quae Porretanus dixit, quod reprehensum fuit, quia sic notatur in Deo compositio. (…) Ad aliud dicendum, quod non notatur in talibus nisi causa formalis in nomine, et non in re. Porretanus autem posuit in re ipsa». Ibid., I, dist. 26, art. 10, ed. Borgnet, XXVI, Paris 1893, p. 20ab: «Item objicitur fortius: aut Porretanus ponit relationem suam aliquid esse ens in divinis, aut nihil. Si aliquid: tunc oportet (…). Solutio. Dicendum, quod opinio Porretanorum et falsa et haeretica est, et ab Alexandro Papa in concilio Remensi condemnata. Unde dicimus (…)». Ibid., I, dist. 33, art. 5, p. 147b, 150a: «Utrum relationes divinae sunt assistentes, sicut dixit Gilbertus Porretanus? Quia vero iste error dicitur fuisse Gilberti Porretani, quem tamen, sicut dicit sanctus Bernardus, in concilio Remensi retractavit et damnavit, consiliis Episcoporum humiliter acquiescens: ideo diligentius considerandae sunt istae rationes. (…) Hoc considerantes quidam modernorum, dicunt tam peritum virum non errasse: et inducunt rationes quibus probant quod licet diversa opinari in divinis. Sed quia haeresis haec ab ore auctoris sui in concilio Remensi damnata: ideo contra objicitur sic: (…)». 148 Cfr. EBERHARDUS BETHUNIENSIS, Antihaeresis contra Valdenses, ed. in M. DE LA BIGNE, Maxima bibliotheca veterum patrum et antiquorum scriptorum ecclesiasticorum, XXIV, Lugduni 1677, Jean e Jacques Anisson, col. 1529b: «Lex enim ab Evangelio, alia quidem est, sed non aliud. Zacharias enim mutus, fuit non aliud a se loquente.Velum templi scissum, fuit non aliud a se integro. Monumenta clausa, fuerunt non aliud a se apertis. Eodem penitus modo, lex ab Evangelio differt. Evangelium enim nihil aliud est, quam apertio legis, quae erat obscura. Ne simus Nominales in hoc, sed potius Porretani. Quod enim Patriarchae et Prophetae laborantes in lege seminarunt; illud idem Apostoli et Doctores in Evangelio desudantes messuerunt, quibus dictum est: Colligite fragmenta, ne pereant» (cfr. IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools, p. 196). 149 Cfr. ALBERTUS MAGNUS, Commentaria super Sententias, IV, d. 46, a. 2, ed. Borgnet cit., XXX, Paris 1894, p. 630b: «Alii dicunt, ut Porretani, quod haec diminutio geometrica est, ut tollatur pars eiusdem propositionis per secundum suffragium, et non semper eiusdem quantitatis: ut si primum suffragium tollit poenae centesimam, secundum suffragium aequale primo, tollit centesimam residui, et tertiam centesimam illius residui: ei sic manet semper poena, eo quod est divisibilis in infinitum» (cfr. IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools, p. 205). Cfr. THOMAS AQUINAS, Scriptum super Sententias, IV, d. 45, q. 2, a. 2, ed.Vivès cit., XI, Paris 1874, p. 371a: «Et ideo Porretani alium modum invenerunt, dicentes, quod hoc modo proceditur in diminutione poenarum per suffragia, sicut proceditur in divisione linearum, quae cum sint finitae, tamen in infinitum dividi possunt, et nunquam per divisionem consumuntur, dum fit subtractio non secundum eamdem quantitatem, sed secundum eamdem proportionem; velut si primo auferatur pars quarta totius, et secundo quarta illius quartae, et iterum quarta illius quartae, et sic deinceps in infinitum. Et similiter dicunt, quod per primum suffragium diminuitur aliquota pars poenae, et per secundum pars aliqua remanentis secundum eamdem proportionem. Sed iste modus multipliciter defectivus invenitur. Primo quia (…)».
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
rum a proposito della condizione dell’uomo prima del peccato150. D’altro canto, la fama di Gilberto come commentatore di riferimento degli opuscoli boeziani si protrasse anche dopo la scomparsa del movimento composto dagli aperti sostenitori del vescovo di Poitiers: alcuni tra i più importanti maestri della Scolastica lo considerano una vera e propria autorità151.
150
Cfr. BERTOLA, La scuola di Gilberto cit. (cap. 1, alla nota 33), p. 69. Cfr. HÄRING, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit. (cap. 1, alla nota 2), p. 6, nota 27. 151
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CAPITOLO TERZO
LE OPERE E GLI AUTORI
1. Le opere di scuola 1.1. Opere teologiche La prima significativa testimonianza di scuola porretana è un’opera che, nella sua forma di reportatio, rappresenta l’anello di congiunzione tra l’insegnamento di Gilberto e l’attività dei suoi discepoli: alcuni rari manoscritti hanno trasmesso infatti il corso di teologia sistematica messo a punto dal maestro e sviluppato grazie al contributo di alcuni suoi allievi. Le ultime lezioni di teologia di Gilberto, tenute a Parigi nel 1141 o 1142, sono contenute in due diverse reportationes, entrambe mutile, con il titolo Sententiae magistri Gisleberti Pictavensis episcopi, redatte da due autori diversi subito dopo la fine dell’insegnamento parigino del teologo, eletto vescovo a Poitiers nell’anno 11421. I due manoscritti (Firenze, Bibl. medic. Laur., Plut. XXIX, 39, ff. 41r-60v e Tortosa, 218, ff. 1r-32v, risalenti entrambi al tredicesimo secolo) trattano la stessa materia ma con differenze stilistiche e linguistiche tali da
1 Cfr. MARENBON, A Note on the Porretani cit. (cap. 1, alla nota 87), pp. 353354: «There has been little opportunity for scholars to question Häring’s attribution of the Sentences to Gilbert. Doubtless they reflect Gilbert’s views and perhaps derive in part from his teaching – although on occasion Gilbert is mentioned as just one authority among others; but they are almost certainly not an independent work written or dictated by Gilbert himself». Cfr. COLISH, Early Porretan Theology cit. (cap. 1, alla nota 89), p. 67: «These early Porretan sentence collections enable us to reconstruct Gilbert’s theology on a number of points that did not come under fire at Rheims».
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
indurre l’editore a pubblicare entrambe le reportationes, anche se la versione di Tortosa è la più completa2. A parte la possibilità di stabilire un rapporto con il contenuto di una lettera inviata da Gilberto, già vescovo di Poitiers, all’abate Matteo3, la diffusione dell’opera è testimoniata da un passo del Liber de diversitate naturae et personae di Ugo di Honau, molto simile all’esordio delle Sententiae. Tra le fonti, oltre naturalmente al più volte citato Magister Guillabertus, vengono esplicitamente menzionati Ilario (De Trinitate), Cipriano, Ambrogio, Agostino, Girolamo, Anastasio, Crisostomo, lo pseudo-Dionigi, Boezio, Beda, Alcuino, Magister Simon4, Magister Hugo (probabilmente di San Vittore), Magister P. (Abelardo?), Magister R. (Rolando Bandinelli, papa Alessandro III), Magister R. P. (Roberto Pullo). Il valore storico-letterario dell’opera va apprezzato in rapporto agli altri scritti di area porretana, tra i quali spicca per il grande spazio dedicato ai sacramenti. La materia teologica è sviluppata nell’arco di quattordici libri piuttosto disomogenei: particolare attenzione è rivolta al tema del linguaggio teologico e ai sacramenti. L’autonoma riflessione degli autori delle reportationes emerge dall’atteggiamento a volte critico nei confronti di autorità patristiche5, di teologi contemporanei come Abelardo6 e lo stesso Gil2
Cfr. HÄRING, Die Sententie Magistri Gisleberti cit. (cap. 1, alla nota 56). Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Epistola ad Matthaeum cit. (cap. 2, alla nota 30). Cfr. HÄRING, Die Sententie Magistri Gisleberti cit., p. 87: «Wenn wir uns nun die Frage stellen, welche der zwei Fassungen der Dicta den Vorzug verdient, so scheint es, daß der Tortosa-Text der Formulierung Gilberts näher kommt als der Florentiner Text. Das ergibt sich aus einem Vergleich von drei Fragen, die in den dicta besprochen und in der gleichen Reichenfolge mit Gilberts Brief an den Abt. Matthäus von Saint-Florent (Saumur), in der Diözese Poitiers, aus einer Handschrift von Grandmont veröffentlicht worden sind. Im Brief beantwortet Gilbert zunächst die Frage des Abtes bezüglich eines Fehlers, den man bei der Feier der hl. Messe durch eine Wiederholung der Konsekrationsworte korrigierte». 4 A questo maestro – da non confondersi con Simone di Tournai – e alla sua scuola è attribuito un trattato De sacramentis: cfr. H. WEISWEILER, Maître Simon et son groupe De sacramentis, Louvain 1937 (Spicilegium Sacrum Lovaniense, 17). 5 Come nel caso della critica della pratica della triplice immersione nel battesimo. 6 Cfr. M. L. COLISH, Peter Lombard, 2 voll., Leiden - New York - Köln 1994, I, pp. 54-55: «As with most theologians in this period, they object to Abelard’s claim that God cannot do better or different than He does. In criticizing it, the Porretans astutely note that a basic flaw in Abelard’s argument is his treatment of God’s nature as if it could be compassed by a logical analysis of possibility, necessity, and 3
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
berto, su alcune tesi della dottrina dei sacramenti e sull’uso dei termini nel campo della speculazione trinitaria e cristologica7. Il più delle volte, tuttavia, gli autori non approfondiscono i riferimenti alle auctoritates, né precisano o giustificano razionalmente le proprie posizioni in campo semantico e teologico8. Un’altra testimonianza è offerta dai mss. Clm. 16063 e Clm. 18918 (fol. 81r-108r) conservati nella Hof- und Staatsbibliothek di Monaco, contenenti un’opera, anch’essa anonima, redatta da un discepolo di Gilberto presumibilmente poco tempo prima del Concilio di Reims, le cosiddette Sententiae divinitatis9. L’autore mostra un eclettismo e una disinvoltura nelle citazioni delle autorità anche superiori rispetto agli autori delle Sententiae magistri Gisleberti: nomina molto di rado le fonti a sostegno delle sue posizioni, comprese quelle più recenti, rendendo problematica l’opera di ricostruzione del suo pensiero10. La raccolta è composta da sei libri, l’ultimo dei quali è dedicato alla trattazione della natura divina e della Trinità, solitamente posta al principio. Le indagini sulle fonti utilizzate dall’ignoto autore, pur ostacolate dal contingency, even though Abelard himself insists that, since logic is a formal art, it cannot take us beyond logic to ontology.The Porretans’ awareness of the technical features of Abelard’s logic and the nature of its claims thus enable them to hoist Abelard on his own petard, and not merely to argue that his position is unaccettable because it is not congruent with God as He is believed to be». 7 Cfr. COLISH, Early Porretan Theology cit. (cap. 1, alla nota 89), p. 74: «While their interest in taking a stand on the teachings of other contemporary schools and masters sets much of the agenda of the early Porretan sentence collectors and accounts for much of the substantive theology they profess, it is their desire to support, criticize, and reformulate the views of Gilbert himself that gives them their most distinct visibility in mid-twelfth-century theology». 8 Cfr. COLISH, Peter Lombard cit., I, p. 55: «In the vast majority of cases, they simply state their own position without offering any particular rationale for it, even when the issue is a debated one. On the occasions when they feel a need to bolster their positions with authorities, whether biblical, patristic, or contemporary, their approach is simply to cite the authority by name, without quoting or paraphrasing his text or considering why he takes the stand he takes, and without indicating very sistematically the countervailing opinions and why they are objectionable. Despite the fact that they themselves clearly had mastered the necessary techniques, as pedagogues the Porretans are not very concerned with passing their methodology of theological reasoning on to their students». 9 Cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit. (cap. 1, alla nota 12). Cfr. H. DENIFLE, Walter von St.Viktor und die Sententiae divinitatis, in «Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters», 1 (1885), pp. 404-417. 10 Cfr. COLISH, Peter Lombard cit., I, p. 56.
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
fatto che egli non cita con frequenza e chiarezza i maestri del suo tempo, hanno evidenziato alcuni riferimenti espliciti a Magister Hugo (di San Vittore)11 e, fatto più sorprendente per un allievo di Gilberto, a Bernardo di Clairvaux12. Va segnalato inoltre che quest’opera è inclusa tra gli obiettivi polemici del Contra quatuor labyrinthos Franciae di Gualtiero di San Vittore († post 1179)13, il quale la attribuisce ad Abelardo: in effetti l’autore anonimo si avvicina all’opera del maestro palatino per quanto riguarda il metodo teologico, ma se ne discosta intorno ad alcuni punti dottrinali14. L’editore ha dimostrato che le Sententiae sono in un rapporto di completa dipendenza da Gilberto di Poitiers per quanto riguarda i problemi trinitario e cristologico.Vi si trovano anche citazioni dai Commentaria di Gilberto riportate alla lettera, nonché echi del suo linguaggio15. Geyer si è spinto ad affermare che 11
Cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit., pp. 56-58. Per questo motivo l’editore dell’opera tende a collocare l’opera a ridosso del Concilio di Reims (1148), in cui il contrasto tra Bernardo e Gilberto giunse alla luce con tutta la sua evidenza, e non dopo questo evento: cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit., pp. 53-54. F. PELSTER, Literaturgeschichtliche Beiträge zu Robert von Melun, in «Zeitschrift für katholische Theologie», 53 (1929), [pp. 564578], p. 575, ha suggerito gli anni 1145-50. Infine, per COLISH, Gilbert, the early Porretans cit. (cap. 1, alla nota 88) p. 240, l’opera è stata composta «shortly after 1148». 13 Cfr. P. GLORIEUX, Le Contra quatuor labyrinthos Franciae de Gauthier de Saint-Victor, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 19 (1952), pp. 187-335. 14 Preoccupato per il diffondersi delle eresie cristologiche, imputabile anche ad un uso errato della dialettica, Gualtiero rivolse la sua opera contro Abelardo, Gilberto, Pietro di Poitiers e Pietro Lombardo, colpevoli di incentivare l’applicazione del metodo della dialettica in teologia.Abelardo e Gilberto sono dunque accomunati da quest’accusa di ordine morale e intellettuale. Risulta perciò comprensibile l’attribuzione ad Abelardo delle Sententiae divinitatis da parte di Gualtiero, che tuttavia non presenta questa come una sua propria personale convinzione, bensì come un’adesione ad una posizione già nota: cfr. GUALTERUS DE SANCTO VICTORE, Contra quatuor labyrinthos Franciae, II, 1, ed. Glorieux cit. (cap. 2, alla nota 120), p. 219,8-17. Ringrazio Pierfrancesco De Feo per avermi chiarito questo punto. Cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit., pp. 54-56. Cfr. M. L. COLISH, Systematic theology and theological renewal in the twelfth century, in «Journal of Medieval and Renaissance Studies», 18.2 (1988), [pp. 135-156], p. 149: «While borrowing heavily from Hugh and Abelard, his main goal, outside of providing a theological curriculum of sorts, is to show that Gilbert’s ideas are compatible with the theological mainstream». 15 Cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit., pp. 15-20. Tuttavia, secondo COLISH, Gilbert, the early Porretans cit., p. 240, «there are several noteworthy points 12
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
sarebbe questa la raccolta di sentenze distrutta al Sinodo di Reims per ordine di Eugenio III: lo dimostrerebbero la consonanza tra le dottrine discusse al Concilio e quelle contenute nell’opera e i due soli testimoni superstiti16. In realtà, dei quattro punti d’accusa rivolti contro Gilberto a Reims, soltanto il quarto («quod divina natura non sit incarnata», espresso con le parole «quod non sola persona assumpsit immo natura») è analizzato dall’autore delle Sententiae divinitatis, mentre gli altri tre sono semplicemente accennati, sempre in accordo con la dottrina del maestro17. Un altro specchio fedele dell’insegnamento orale di Gilberto lo si ritrova in una Summa trasmessa in due codici: il ms. Admont, Stiftsbibl. 593, ff. 9r-55v, che la riporta come anonima, e il ms. Zwettl, Stiftsbibl. 109, ff. 3r-81v, che invece la tramanda sotto il nome Sententiae magistri Petri Pictaviensis: poiché l’edizione dell’opera è stata condotta sulla base di questo secondo testimone, il più completo, essa è comunemente denominata Summa Zwettlensis18. L’editore dell’opera ha proposto l’identificazione del Petrus Pictaviensis indicato nel titolo (che non può essere il Pietro di Poitiers at which the author backs off from Gilbert’s language». WEISWEILER, Maître Simon et son groupe cit. (alla nota 4), pp. XLVI-LXIII, ha mostrato come l’opera si basi su un apografo inesatto del Tractatus de sacramentis (1145-60) di Maestro Simone, da cui riprende la formula settenaria dei sacramenti. B. GEYER, Neues und Altes zu den Sententiae divinitatis, in Mélanges J. de Ghellinck, 2 voll., II, Gembloux 1951, pp. 617-630, ha approvato questa soluzione. 16 Cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit., pp. 48-53. LANDGRAF, Untersuchungen zu den Eigenlehren Gilberts cit. (cap. 1, alla nota 30), ha ipotizzato che l’opera bruciata fosse quella contenuta nel ms. lat. 686 della Biblioteca Nazionale di Parigi. 17 HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), p. 48, ha segnalato la relazione tra le Sententiae divinitatis e la Summa sententiarum relativamente alla que-stione delle persone e delle proprietà. La Summa non contiene alcun riferimento al Concilio di Reims e alle tesi di Gilberto ivi discusse. Hayen ha inoltre posto in luce (p. 63, nota 3) la gerarchia delle conoscenze esposta nel Prologo delle Sententiae (pp. 6*,18-7*,11) e l’importante affermazione «divinitas est Deus et non aliud a Deo, actu rationis, sed non forma loquendi, ratione fidei, non ratione humanae philosophiae» (pp. 68*,28-69*,2). 18 Cfr. HÄRING, Die Zwettler Summe cit. (cap. 1, alla nota 55). L’editore (ibid., p. 1) definisce l’opera «das beste bis jetzt bekannte systematische Werk der Porretanerschule und in spekulativer Hinsicht ohne Zweifel das bedeutendste theologische Sentenzenwerk des 12. Jahrunderts». Cfr. ibid., p. 20: «Die Summa geht in vielen Dingen und Einzelheiten über das hinaus, was in Gilberts Boethius-Kommentaren niedergelegt ist. Sie stützt sich aller Wahrscheinlichkeit nach auf Gilberts Vorlesungen».
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
autore dei Quinque libri sententiarum) con Pietro di Vienna († 1183), in base alla circolazione esclusivamente tedesca dell’opera e soprattutto alla notevole somiglianza tra il contenuto della Summa e le idee di questo teologo porretano, protagonista della diffusione delle teorie di Gilberto in area germanica19. Le relazioni di Pietro di Vienna con il convento benedettino di Zwettl sono testimoniate dal fatto che la sua morte è ricordata nella Continuatio Zwetlensis altera degli annali locali20; inoltre, si deve probabilmente a lui la presenza nella biblioteca di Zwettl di un codice con uno scritto di Ugo Eteriano21. Se l’identificazione è corretta, saremmo di fronte a un documento dell’attività di Pietro precedente al suo trasferimento a Vienna, poiché dal testo della Summa risulta chiaramente che l’opera è stata composta in Francia, dove Pietro operò non oltre il 115022. La raffinata analisi logico-semantica suggerirebbe, tuttavia, una datazione più tarda23. L’opera è ripartita in tre libri, dedicati alla Trinità, all’incarnazione e ai sacramenti: da una rapida analisi del contenuto emerge con chiarezza il fedele orientamento gilbertino dell’autore24.Vi sono forti somiglianze tra quest’opera e le Regulae caele19
Cfr. infra, pp. 132 e seqq. Cfr. Continuatio Zwetlensis altera, in MGH, Scriptores, IX, Hannover 1851, p. 542. 21 Cfr. HÄRING, Die Zwettler Summe cit., p. 8. 22 Cfr. Summa Zwettlensis, IV, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 55), pp. 204-205: «Sacerdos namque qui a pontifice Parisiensi fuerit dampnatus si forte Aurelianum migraverit et sue condempnationis rumor illus usque pervenerit, tunc primum Aureliani vitabitur cum ab Aurelianensi episcopo fuerit interdictus.Alioquin contra vetitum peccare non videntur.Aurelianenses dum pontificis eorum seu metropolitani sive Romani pontificis interdictum ad ipsos non procedit. Quocumque enim alio modo quod a Parisiensi actum est noverint Aurelianenses, eorum minime provocat obedienciam qui profecto Parisiensi nequaquam obnoxii tenentur ut inobedientes sint dum ipsius obedire negociis minime tenentur. Quis enim mandati cuiuspiam transgressor est cui quidem obedire non tenetur? In quo quidem nemo putet depositi vel quocumque modo officio privati sacerdotis licenciam consistere fungendi officio quo est canonice privatus dum audit quoniam licet Aurelianensi parrochiano audire Missam excommunicati plebani Parisiensis». Cfr. HÄRING,Die Zwettler Summe cit.,p.9:«Die These,daß Petrus von Wien derVerfasser der Zwettler Summe ist, kann sicher nicht evident gennant werden. Sie ist jedoch im Rahmen der geschichtlich erfaßbaren Gegebenheiten die beste Erklärung». 23 Cfr. VALENTE, Cum non sit intelligibilis cit. (cap. 1, alla nota 103), p. 151, nota 59. 24 Cfr. HÄRING, Die Zwettler Summe cit., pp. 13-20. Cfr. ibid., p. 2: «Die The20
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stis iuris di Alano di Lilla, sia dal punto di vista dottrinale, sia per quanto riguarda l’esposizione assiomatica della materia trattata. Il trattato, di solito designato con il titolo di «Invisibilia Dei» – dalla citazione paolina con cui inizia: «Invisibilia Dei per ea que facta sunt intellecta conspiciuntur» (Rm 1, 20) – è contenuto, mutilo, in un unico testimone, il ms.Arras, Bibl. mun., 981 (399), che raccoglie, tra l’altro, l’anonimo commento sul Quicumque attribuito a Simone di Tournai e una copia incompleta del commento dello stesso Simone sul Credo degli apostoli, contenuto in versione completa nel ms. Arras, Bibl. mun., 952 (721)25. La data di composizione dell’opera dovrebbe aggirarsi intorno al 1150: lo attestano l’età del manoscritto e la trattazione, nei capitoli finali del trattato, di problematiche trinitarie che non furono discusse pubblicamente prima degli anni 1147-48. Per quanto riguarda le fonti, sorprende che Ilario non sia mai citato, mentre Agostino è citato una sola volta (come summus doctor). Lo pseudo-Dionigi è citato due volte come beatus e rappresenta il testimone-chiave per la dottrina della complementarietà delle due teologie affermativa e negativa.Tuttavia, è Boezio l’autorità predominante nell’opera. Il trattato è da attribuire a un discepolo di Gilberto: apprezziamo, infatti, le accurate analisi logico-grammaticali tipiche del maestro. Numerosi sono i punti di contatto con altri membri della scuola del vescovo di Poitiers come Everardo di Ypres,Alano di Lilla e Simone di Tournai (al quale si potrebbe attribuire lo scritto26): la loro terminologia rimanda a una fonte comune che non si limita ai commentari di Gilberto a Boezio, ma comprende, tra l’altro, la Gerarchia celeste dello pseudo-Dionigi, da cui tutti questi autori traggono spunto per esprimere la loro predilezione per la teologia negativa. Da sottolineare anche altri parallelismi con Alaologie des Petrus ist eindeutig die der Porretanerschule, was vor allem in der Trinitätslehre und der Christologie unverneinbar ist. Die Sakramentenlehre verrät den gleichen Hintergrund und ein solches Interesse an kanonistischen Problemen, daß man annehmen darf, der Verfasser habe auch das kanonische Recht studiert». Cfr. STURLESE, Storia della filosofia tedesca nel medioevo cit. (cap. 1, alla nota 93), p. 124: confrontata con gli enormi dossiers patristici di Ugo di Honau «colpisce nella Summa (…) soprattutto la secchezza dell’analisi, condotta senza alcun uso delle auctoritates della tradizione.Anche la Scrittura è addotta raramente, salvo che nell’esposizione della dottrina dei sacramenti». 25 Cfr. HÄRING, The Treatise «Invisibilia Dei» cit. (cap. 1, alla nota 53). 26 È l’ipotesi avanzata da Luisa VALENTE, Cum non sit intelligibilis cit., p. 156, nota 75.
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no di Lilla, che parla della mentalis archa di Dio laddove il nostro autore parla di archa exemplaris, o che esprime l’idea, condivisa dal nostro autore, che le idee divine siano divine praecognitiones. Le regole della predicazione («predicari est aliquid alicui inesse demonstrari») sono simili a quelle espresse da Everardo, mentre la distinzione tra nomina concretiva e nomina abstractiva è presente anche in Simone di Tournai. Inoltre, alcune definizioni della natura di Dio rimandano a definizioni simili offerte da Alano e Simone27. L’opera può essere divisa in sezioni tematiche in base al contenuto ed alle numerose interruzioni del testo. L’ordine degli argomenti è il seguente: la conoscenza umana di Dio, la nominabilità divina, il metodo teologico pseudo-dionisiano, riflessioni metafisiche e logico-grammaticali, la funzione della scienza teologica, il trasferimento dei termini dalle creature a Dio, il dogma trinitario.Assieme alle Sententiae magistri Petri Pictaviensis, quest’anonimo trattato si presenta come la più interessante tra le opere appartenenti alla prima scuola porretana. Il suo valore risiede soprattutto nel confronto critico con il maestro Gilberto, del quale condivide alcune tesi e altre ne rigetta28, nella dottrina della conoscenza di Dio, nell’esposizione delle regole logico-grammaticali che sono alla base del discorso teologico e nell’utilizzo di fonti patristiche estranee al maestro, come nel caso della tradizione dionisiana. 1.2. Opere logiche L’opera che gli editori hanno intitolato Compendium logicae porretanum29 occupa i ff. 18ra-24r del ms. Oxford, Corpus Christi Col27 Cfr. HÄRING, The Treatise «Invisibilia Dei» cit., pp. 115-116: «The parallels clearly point to a written or oral source common to these authors. It seems legitimate to conclude that this source was Gilbert of Poitiers whom Everard of Ypres followed from Chartres to Paris and from Paris to Poitiers where he remained until Gilbert’s death». 28 COLISH, Early Porretan Theology cit. (cap. 1, alla nota 89), p. 67, sottolinea come l’innegabile rapporto di dipendenza verso Gilberto sia, nondimeno, «coupled with the author’s desire to jettison confusing Gilbertian terminology, to abandon Gilbertian positions that are hard to defend, and to find less controversial ways of carrying forward some of the essentials of the Gilbertian project, in the teeth of criticism». 29 Cfr. EBBESEN - FREDBORG - NIELSEN, Compendium logicae porretanum
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lege, 250, conservato presso la Bodleian Library30. L’esemplare sembra appartenere al dodicesimo secolo o, al massimo, al principio del tredicesimo. Il medesimo scriba ha copiato un commento al credo pseudo-atanasiano di Simone di Tournai (ff. 24v-28r). La mano dello scriba indica il 1200 ca. come la data più tarda della composizione. I testi compresi nel medesimo manoscritto fanno pensare alla seconda metà del dodicesimo secolo. L’autore distingue spesso tra «noi», «la nostra dottrina» e coloro che aderiscono a dottrine alternative a quella di Gilberto, di cui il Compendium riporta alcune idee, tratte soprattutto dal Commento al De Trinitate. I riferimenti diretti a Gilberto, definito magister e summus noster philosophus31, sono presentati dagli editori in un elenco comparato, da cui emerge, in particolare, la corrispondenza tra la struttura del cap. III, §§ 1-26 del Compendium e l’impianto del De Trinitate di Gilberto32. L’autore si presenta come uno dei più ortodossi e intrepidi seguaci di Gilberto, mentre fa intendere che alcuni di loro, spaventati dalle critiche ricevute dagli avversari, abbiano mitigato o abbandonato la dottrina del maestro, almeno in pubblico33. Secondo Ebbesen, questi passaggi suggeriscono che il Compendium sia stato scritto dopo la morte di Gilberto, «when his pupils still felt that they formed a group, but when rifts in the group had appeared, some claiming to be more cit. (cap. 1, alla nota 83). Cfr. inoltre MARTIN, The Compendium logicae porretanum cit. (cap. 1, alla nota 83). 30 Per il contenuto del codice, cfr. C. H. KNEEPKENS, The Quaestiones grammaticales of the MS Oxford, Corpus Christi College 250: an edition of the first collection, in «Vivarium», 21 (1983), [pp. 1-34], pp. 1-3. 31 Cfr. EBBESEN, Compendium logicae porretanum cit., p. VI: «probably – though perhaps not necessarily – implying personal acquaintance with the bishop». 32 Cfr. ibid., pp. V-VI. 33 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 3, edd. Ebbesen - Fredborg Nielsen cit., p. 34,49-56: «Inde est quod ille summus noster ait philosophus (…). Cui veritati, cum consentiat posteritas, confiteri non permittit indiscreta garrulitas; asserit indoctus, immo iurat nostram opinionem seminare abusionem». Nota EBBESEN, ibid., p. VI: «The context is such that ‘posteritas’ could mean ‘people later than Peter the Apostle’, but in all likelihood it means ‘people later than Gilbert’, and more specifically ‘some of his pupils’ ». Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 6, p. 36,6-12: «Noster philosophus (…) dixit (…) Quem quidam suorum adhuc secuntur imitatores rationis; sed quosdam usus utpote trepidos et detractio hanc veritatem tacere cogit, at a coscientia veritatis certitudinem non excludit».
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orthodox Gilbertians than others»34. Il personaggio più giovane tra quelli citati è magister Ivo, noto allievo di Gilberto, forse ancora in vita al tempo della composizione dell’opera, che gli editori collocano in un arco di tempo che va dal 1155 al 117035. L’opera è stata composta con molta probabilità a Parigi o nelle immediate vicinanze, si colloca al centro del confronto tra sette filosofiche avverse (i Nominales, i Montani, i Coppausi, questi ultimi citati solo in questo testo) ed è animata da un forte sentimento di ‘school-identity’, simile a quello testimoniato dall’autore della Secta Meludina, un’opera prodotta dalla scuola di Roberto di Melun († 1167) intorno al 1160, che ha molti punti in comune con il Compendium36. Tre delle quattro sezioni di cui è composta l’opera trattano della natura delle proposizioni; una lunga sezione è dedicata ad una serie di importanti concetti discussi nei Commentaria di Gilberto, le cui idee appaiono rimosse dal loro contesto teologico. Tuttavia, anche nei capitoli di argomento più strettamente tecnico (I, II, IV), influenzati dagli scritti logici boeziani, il contenuto non è esclusivamente logico, ma anche metafisico. Inoltre, pur essendo minimi i riferimenti espliciti a Dio, molti passaggi presuppongono questioni teologiche discusse da Gilberto. Nonostante l’assenza di alcuni termini caratteristici dell’ontologia porretana, come dividuum e conformitas, il Compendium presuppone la rela34
EBBESEN, Compendium logicae porretanum cit., p. VII. Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 7-8, p. 37,29-32: «Inde etiam noster philosophus ait Socratem adhuc esse animam et corpus sed non hominem, sicut prius fuit corpus quam homo. Sed hanc nudam magister Ivo obduxit veritatem concedendo Socratem desinere esse nec tamen aliquid quod magis est logicum quam theologicum». Sul maestro Ivo di Chartes cfr. supra, pp. 62-63. Cfr. EBBESEN, ibid., p. VII: «We know that a Porretan treatise could be written as late as the 1190s – this is the date of Everardus of Ypres’ Dialogus. But few of Gilbert’s pupils will have survived to write treatises that late. It is more probable that the Compendium was written within some twenty-five years after Gilbert’s activity as a teacher.To our mind, then, the likeliest date is 1155/1170». 36 Cfr. ibid., p. IX: «Though different in doctrine (…) they both tell about a time and an environmemt in which being a good dialectician meant: to be able to defend the theses of one’s school, and where theological problems played an important role in determining what the schools had non-theological theses about». La Secta Meludina è conservata anonima nel ms. London, British Library, Royal II D 30, ff. 95r-102v: le tesi principali sono riportate da L. M. DE RIJK, Logica Modernorum II. A Contribution to the History of Early Terminist logic, 2 voll., Assen 1967, I, pp. 283-284. 35
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zione tra sfera ontologica e sfera semantica, come nell’analisi della polisemia del termine substantia37. Un commento acefalo e frammentario al ‘Prisciano minore’, che gli editori – come già abbiamo ricordato – hanno identificato con il titolo di Glosulae porretanae super Priscianum minorem, è parzialmente conservato nel ms. Oxford, Bodl. Libr., Canon. Misc. 281, ff. 73v-83v, posto tra un’anonima e inedita glossa super Priscianum minorem che inizia con le parole «Licet multi in arte» e un trattato logico sulle obligationes edito da de Rijk nel 197538. La stessa mano ha scritto le prime due opere, che tuttavia differiscono notevolmente per quanto riguarda il contenuto. Queste anonime glosse costituiscono un’importante fonte per la nostra conoscenza della grammatica e della metafisica porretana, poiché presentano le teorie semantiche e sintattiche dei Porretani in maniera diretta, senza il pregiudizio dei loro antagonisti. Esse testimoniano, assieme ai Commenti di Gilberto, al Compendium logicae porretanum e al Dialogus di Everardo, l’esistenza di una specifica dottrina grammaticale porretana, attestata anche da altre fonti grammaticali39. Gli editori attribuiscono questo testo all’ambiente porretano sulla base, in primo luogo, della corrispondenza tra una precisa polemica nei confronti dei Porretani da parte dell’anonimo autore della glossa Promisimus40 e una teoria espressa nelle prime battute delle Glosulae41, che sottolinea la duplice signifi37 Cfr. J. JOLIVET, Platonisme et sémantique, de Bernard de Chartres aux Porrétains, in Vestigia, Imagines,Verba cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 9-18. 38 Cfr. FREDBORG - KNEEPKENS, Grammatica porretana cit. (cap. 1, alla nota 84). Cfr. C. H. KNEEPKENS, «Mulier quae damnavit, salvavit».A Note on the Early Development of the Relatio Simplex, in «Vivarium», 14 (1976), [pp. 1-25], in partic. pp. 13-15; L. M. DE RIJK, Some thirteenth century Tracts on the Game of Obligation, in «Vivarium», 13 (1975), pp. 22-54. 39 Cfr. HUNT, Studies on Priscian in the Twelfth Century, II cit. (cap. 2, alla nota 26). 40 Cfr. Glossa Promisimus, ed. Hunt, ibid. (e cfr. supra, cap. 2, alla nota 27), p. 51: «Nota quod hic manifeste est Priscianus contra Por‹retanos›, qui dicunt nomen in apposito nullius esse persone. Dicunt enim quod cum nomen significat substantiam cum qualitate, inde quod significat substantiam est alicuius persone, sed non inde quod qualitatem. Unde in supposito ubi supponit rem de qua agitur est alicuius persone; in apposito vero ubi tantum qualitatem apponit non est alicuius persone. Cum enim dicitur ‘ego sum albus’, ibi albus tantum qualitatem apponit». 41 Cfr. Glosulae porretanae super Priscianum minorem, ed. in FREDBORG - KNEEPKENS, Grammatica porretana cit., p. 21: «Socrates sum homo. Hoc autem nomen ho-
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cazione del nome, per cui il punto focale nel soggetto è costituito dalla sostanza, mentre nel predicato dalla qualità; in secondo luogo, della presenza della teoria – espressa, pur se con meno chiarezza ed evidenza, nel Compendium logicae porretanum e nel Dialogus Ratii et Everardi – secondo cui sum, es, est significano in modo equivoco e necessitano di un nome nella posizione del predicato che determini semanticamente ciascuna forma verbale42. D’altro canto, una tipica caratteristica della semantica porretana è la distinzione di diversi significata del nome, che non significa substantia cum qualitate, bensì substantia et qualitate, senza che questo renda equivoco il nome. Quest’ultimo, dunque, non indica soltanto la res subiecta, ma anche la sua particolare proprietà o qualità, che rappresenta la vera causa dell’imposizione del nome. La distinzione porretana di tre diversi significati di actio nel verbo (actio verbi = effectus proprietatis in subiecto, actio = actio genere, actio = transitio) è presente sia nel Compendium che nelle Glosule, così come l’idea che le categorie aristoteliche possano essere traslate dalla scienza naturale all’etica e alla logica. È recente l’edizione, a cura di Sten Ebbesen, di un Commentarium in Categorias Aristotelis che l’editore attribuisce a un anonimo porretano43. L’opera, frammentaria, è contenuta nei ff. 74r-79r del ms. 7094A della Bibliothèque Nationale de France, che conserva numerose opere anonime di stampo teologico-grammaticale44. A proposito della ratio edendi, Ebbesen sottolinea la difficoltà di lettura di quest’opera, che pare essere stata copiata ed edita nello stesso momento, per cui permane un certo margine di incertezza intorno ad alcuni passaggi particolarmente difficoltosi45. Il commento è definito «indisputably Porretanean» dall’editore, che lo fa risalire al periodo compreso tra il 1150 e il 1175. mo positum post verbum non obtinet locum illum, ut determinet personam verbi, sed ut appropriet substantiam verbi (…) non dico, ut quidam, nomen illo loco significare substantiam que persona dicitur, sed concedo ibi positum non ut significet personas, sed qualitatem». 42 Cfr. FREDBORG - KNEEPKENS, ibid., p. 15. 43 Cfr. EBBESEN, A Porretanean Commentary cit. (cap. 1, alla nota 85). 44 Per l’elenco di queste opere, cfr. EBBESEN, ibid., p. 40. Cfr. ibidem: «A copy of a Porretanean Categories commentary is most likely to have been executed in France, and both the scribe’s orthography and the manuscript’s provenance from Limoges are consistent with this assumption». 45 Cfr. ibid., p. 43.
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La terminologia e la dottrina sono «distinctively Porretanean», in forza di alcuni passaggi paralleli nel Dialogus di Everardo, nel Compendium logicae porretanum e, un po’ meno evidenti, nelle Glosulae porretanae super Priscianum minorem e nei Commentaria gilbertini a Boezio.Vi sono, inoltre, tre riferimenti espliciti a «magister Gilibertus», due dei quali di non facile interpretazione, che lascerebbero intendere che l’autore ascoltò Gilberto commentare le Categorie oppure lesse delle sue glosse all’opera aristotelica46. Dal gruppo delle opere logiche porretane va infine definitivamente escluso, dopo le raffinate e convincenti analisi condotte da Lorenzo Minio-Paluello47, l’anonimo Liber sex principiorum48, opera attribuita tradizionalmente ad Aristotele (forse perché trasmessa nel mezzo di opere dello Stagirita) e poi, sulla base di un’ipotesi del maestro domenicano Rolando da Cremona († 1259)49 accettata acriticamente da Alberto Magno50, a Gilberto di Poitiers51. Quest’ultima attribuzione divenne incontestata 46 Cfr. ibid., p. 37: «It would not be surprising if Gilbert had taught the Categories at some point of his career, but so far we have had no evidence that he actually did so». 47 Cfr. L. MINIO-PALUELLO, Magister Sex Principiorum, in «Studi Medievali», Ser. 3a, 6, I (1965), pp. 123-151. Cfr. inoltre O. LEWRY, The Liber sex principiorum, a Supposedly Porretanean Work:A Study in Ascription, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 251-278. 48 Cfr. Liber de sex principiis, in PL 188, 1257C-1270C; Liber sex principiorum, edd. L. Minio-Paluello - B. G. Dod, in Aristoteles latinus, I/6-7, Categoriarum supplementa, Bruges - Paris 1966, pp. 33-59; cfr. anche l’edizione precedente: Liber de sex principiis Gilberto Porretano ascriptus, ed.A. Heysse, Münster 1929 (Opuscula et textus, Series scholastica, 7), recognivit D. Van den Eynde, Münster 1953. 49 ROLANDUS CREMONENSIS, Quaestiones super quattuor libros Sententiarum (Summa Magistri Rolandi), ms. Paris, Mazar. 795, f. 97v (riportato in MINIOPALUELLO, Magister Sex Principiorum cit., p. 126): «In libro de sex principiis dicitur quod forma est simplici et invariabili essentia consistens. (…) Ad illud quod dicit quod forma est simplici et invariabili essentia consistens, dicimus quod istud non est verum de omnibus formis, neque dicimus Aristotelem dixisse illud verbum, sed Porretanum». 50 Cfr. ALBERTUS MAGNUS, Liber de sex principiis, ed.A. Borgnet, in Opera Omnia, I, Paris 1890, [pp. 305-372], p. 305; poi ed. B. Sulzbacher (sotto il titolo Liber sex principiorum),Wien 1955, p. 48: «(…) in hoc libro sequemur Gilbertum Porretanum, qui ea quae de sex principiis dicuntur invenit et composuit ad faciliorem intellectum eorum quae in libro Praedicamentorum succincte dicta esse videbantur». 51 Vanno inoltre segnalati gli estemporanei tentativi di attribuzione dell’opera ad Alano, Boezio, al-Farabi, tutti assai poco fortunati: MINIO-PALUELLO, Magister Sex Principiorum cit., pp. 126-133.
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dall’ultimo quarto del secolo XV fino all’età moderna e alle recenti riconsiderazioni della questione. Si tratta di un ampliamento e di un completamento delle categorie di Aristotele, in quanto sottopone ad indagine più approfondita i sei ultimi predicati (chiamati formae adiacentes o accidenti che presuppongono la sostanza in relazione con altre sostanze: actio, passio, ubi, quando, situs, habere, mentre un capitolo preliminare studia la forma) che Aristotele aveva sacrificato rispetto ai primi quattro predicamenti (sostanza, quantità, qualità, relazione), chiamati dall’autore dell’opera formae inhaerentes. Il Liber dal 1252 rientra nel piano di studi e nei regolamenti dell’università parigina. Sulla base di un esame assai approfondito dell’ampia tradizione manoscritta del testo (l’edizione contenuta nell’Aristoteles latinus si basa su un centinaio di manoscritti), Minio-Paluello si è pronunciato nettamente contro l’attribuzione dell’opera a Gilberto, adducendo ragioni di ordine stilistico e contenutistico. Nessuna delle teorie-cardine presentate dall’autore del Liber trova infatti riscontro nelle opere di Gilberto: maggiori, secondo Minio-Paluello, sono le somiglianze lessicali e filosofiche con l’Ars fidei catholicae di Nicola di Amiens52 e con le opere logiche di Abelardo. Relativamente al rapporto con l’opera di Nicola, lo studioso ha sì messo in luce i parallelismi circa la definizione di ‘forma’ e la differenza tra ‘forma’ e ‘composito’, ma ha anche rilevato differenze dottrinali non trascurabili53.
2. Gli eredi di Gilberto L’eredità dell’insegnamento e della dottrina di Gilberto fu raccolta nella seconda metà del secolo XII da numerosi maestri e teologi che possono considerarsi Porretani in senso ampio in quanto pur non intrattenendo, nella maggior parte dei casi, un contatto diretto con il vescovo di Poitiers, ne recepirono le principali istanze speculative, che andarono rielaborando alla luce delle nuove fonti e dei nuovi strumenti disponibili. Il più importante di questi maestri è certamente Alano di Lilla, ma possono essere 52 53
Per cui vedi infra, p. 117. Cfr. MINIO-PALUELLO, Magister Sex Principiorum cit., pp. 143-145.
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compresi in questa famiglia allargata dei Porretani altri teologi di rilievo come Simone di Tournai, Nicola di Amiens, Guglielmo da Lucca, Raul Ardente. 2.1.Alano di Lilla Gli interessi culturali di Alano furono così ampi, e la sua opera intellettuale così influente, che i posteri lo designarono «Doctor universalis». A questo suo eclettismo, inteso come capacità di passare con disinvoltura da un genere letterario all’altro, corrispondeva un carattere poco incline alla celebrità e per nulla attratto dal prestigio delle cariche ecclesiastiche. Forse a ciò è dovuta la scarsità di informazioni che ci sono giunte sulla sua vita. Nato a Lilla intorno al 1128,Alano ricevette molto probabilmente la sua prima formazione a Chartres, dove forse ebbe modo di seguire le lezioni di «magister Gillebertus»,che egli cita due volte nella Summa «Quoniam homines»54. La sua attività a Parigi tra il 1160 e il 1180 è testimoniata sia da un riferimento alla Senna contenuto nella Summa e nelle Regulae caelestis iuris (Regulae theologicae)55, sia dall’interdipendenza con Simone di Tournai,la cui presenza è attestata a Parigi tra il 1174 e il 118056.Tra il 1180 e il 1190,Alano si recò 54 Cfr. D’ALVERNY, Alain de Lille cit. (cap. 2, alla nota 69), pp. 20-21: «Il [Alain] a difficilement pu être l’élève de Gilbert, évêque de Poitiers depuis 1142, quoique les dates approximatives que l’on assigne à la naissance d’Alain soient purement conjecturales. (…) Ce désir de vieillir Alain provient sans doute de la difficulté ressentie par les historiens de la théologie, qui voudraient donner à ce ‘porretanus’ la possibilité d’avoir suivi les cours du maître. Le problème se pose pour la plupart des autres Porretani, car l’école a fleuri jusqu’à la fin du XIIe siècle. Il est fort possible que Gilbert, à l’exemple de saint Anselme, ait continué à enseigner la théologie à Poitiers, sous forme de collations à ses clercs, auxquels pouvaient s’adjoindre des auditeurs. Les étudiants avides de savoir n’hesitaient pas à voyager pour entendre un maître renommé». Cfr. GLORIEUX, La Somme «Quoniam homines» cit. (cap. 1, alla nota 45), p. 162. Cfr. inoltre M. LEMOINE, Alain de Lille et l’école de Chartres, in Alain de Lille, le docteur universel cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 47-58; F. HUDRY, Mais qui était donc Alain de Lille?, ibid., pp. 107-124. 55 ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», 10a, ed. in GLORIEUX, ibid., p. 148; ID., Regulae caelestis iuris, C, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 57), p. 205. 56 Sulla base delle ricerche della d’Alverny,Alano e Simone, entrambi studenti di Gilberto, vissero e insegnarono a Parigi presso Mont Sainte-Geneviève (dove alcuni studiosi hanno invece creduto di poter localizzare la scuola di Alberico e dei cosiddetti Montani). Cfr. D’ALVERNY, Alain de Lille.Textes inédits cit., pp. 19-20: «L’interdépendance d’une partie des écrits théologiques d’Alain avec ceux de son contemporain et presque compatriote Simon de Tournai, dont la
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probabilmente in Linguadoca, dove imperversava la sanguinosa crociata contro gli Albigesi, prima di tornare, si suppone, a Parigi. Entrò infine nell’ordine cisterciense negli ultimi anni della sua vita, intorno al 119557. Morì nell’abbazia di Cîteaux nel 1203. La produzione teologica e poetica di Alano è molto vasta58. présence est attestée à Paris entre 1174 et 1180 par des documents et qui a dû y enseigner pendant una longue période, porte à croire qu’ils ont dû y résider et y professer tous les deux dans la seconde moitié du XIIe siècle, sans doute sur la Montagne Sainte-Geneviève». G. R. EVANS, Alan of Lille.The frontiers of theology in the late twelfth century, Cambridge 1983, pp. 5-10, ha invece avanzato l’ipotesi che Simone abbia insegnato presso la scuola cattedrale di Notre Dame. Resta il fatto che, nell’articolato panorama intellettuale che vedeva protagonisti i maestri delle scuole parigine, Simone di Tournai è colui con il quale Alano pare condividere più di una teoria sul terreno del metodo e della dottrina teologica. Cfr. O. LOTTIN, Alain de Lille, une des sources des Disputationes de Simon de Tournai, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 17 (1950), pp. 175-186; poi in ID., Psycologie et morale cit. (cap. 1, alla nota 67),VI, Gembloux 1960, pp. 93-106. 57 Cfr. J. M. TROUT, The monastic vocation of Alan of Lille, in «Analecta Cisterciensia», 30 (1974), pp. 46-53. 58 Il volume 210 della Patrologia Latina contiene le seguenti opere: Elucidatio in Cantica canticorum, Summa de arte praedicatoria, Sermones octo, Sermones alii, Liber Sententiarum, Dicta mirabilia seu memorabilia, De sex alis cherubim, Liber poenitentialis, De fide catholica contra haereticos libri IV, Liber de planctu naturae, Anticlaudianus, Rhythmus de Incarnatione Christi, Doctrinale minus alias liber parabolarum, Regulae caelestis iuris (o Regulae theologicae),Liber in distinctionibus dictionum theologicalium sive Summa «Quot modis» (o Distinctiones). Cfr. inoltre: De virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti, ed. O. Lottin in «Mediaeval Studies», 12 (1950), pp. 20-56, poi in LOTTIN, Psychologie et morale,VI, pp. 27-92; Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit.; Anticlaudianus, ed. M. R. Bossuat, in Alain de Lille.Anticlaudianus, texte critique avec une introduction et des notes, Paris 1955; tr. ingl. di J. J. Sheridan,Toronto 1973; Liber Poenitentialis, ed. in J. LONGÈRE, Alain de Lille. Liber poenitentialis, t. II, La tradition longue.Textes inédit et annoté, Louvain - Lille 1965 (cfr. anche J. LONGÈRE, Alain de Lille. Liber poenitentialis. Les traditions moyenne et courte, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge» 40 [1965], pp. 169-242); Expositio super symbolum apostolicum et nicenum, ed. N. M. Häring, A commentary on the apostles’ creed by Alan of Lille; A commentary on the Creed of the Mass by Alan of Lille, in «Analecta Cisterciensia», 30 (1974), pp. 7-45, 281-303; De planctu naturae, ed. N. M. Häring, in «Studi Medievali», Ser. 3a, 19, 2 (1978), pp. 797-879, tr. ingl. J. J. Sheridan,Toronto 1980; Regulae caelestis iuris (Regulae theologicae), ed. Häring cit.; Summa de arte praedicatoria (o Ars praedicandi), tr. ingl. di G. R. Evans, Kalamazoo 1981. Cfr. infine F. HUDRY, Prologus Alani de Planctu Naturae, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 55 (1988), pp. 169-185; G. M. DREVES - C. BLUME, Ein Jahrtausend Lateinischen Hymnendichtung, I, Leipzig 1909, p. 288 (contiene l’ed. dell’inno De miseria mundi, o De natura hominis fluxa); M.-TH. D’ALVERNY, Alain de Lille et la theologia, in L’homme dévant Dieu. Mélanges offerts au père Henri de Lubac, 3 voll., II, Paris 1964, pp. 111-128 (contiene l’edizione del Rhytmus de incarnatione et de septem artibus); EAD., Alain de Lille. Textes inédits cit., contiene le seguenti opere: Expositio prosae de angelis, Hierarchia Alani, Sermones (Sermo in dominica palmarum, Sermo in die sancti Michaelis, Sermo de trinitate, Sermo in natali sancti Augusti-
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L’influenza di Gilberto, specie del suo metodo teologico, si avverte soprattutto nelle opere dotate di maggiore spessore speculativo, quali la Summa e le Regulae caelestis iuris, composte tra il 1160 e il 118059. L’edizione della Summa è stata condotta sulla base dei due testimoni dell’opera, entrambi anonimi e incompleti60: il ms. londinese British Mus., Royal 9. E. XII (ff. 168r-210r), che contiene anche opere di Simone di Tournai e altre dello stesso Alano, e il ms. di Klosterneuburg, Stiftsbibl. 322 (ff. 77r-84r) che s’interrompe bruscamente dopo poche pagine. La Summa, segnalata per la prima volta da Martin Grabmann61, studiata parzialmente da Joseph Marie Parent62 e da Odon Lottin63, è stata definitivamente attribuita ad Alano da Palemon Glorieux, curatore dell’edizione dell’opera64, sulla base di evidenti somiglianze con le altre openi), Epistola magistri Alani quod non est celebrandum bis in die, Sermo de sphaera intelligibili; N. M. HÄRING, A commentary on the Our Father by Alan of Lille, in «Analecta Cisterciensia», 31 (1975), pp. 149-177; J. LONGÈRE, Œuvres oratoires de maîtres parisiens au XIIe siècle, 2 voll., II, Paris 1975, pp. 345-346; N. M. HÄRING, The Poem Vix nodosum by Alan of Lille, in «Medioevo», 3 (1977), pp. 165-185. Si rimanda inoltre alla tavola delle opere in Alain de Lille, le docteur universel cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. XII-XIII. Si segnalano infine le seguenti traduzioni italiane: Liber parabolarum (una raccolta di aforismi), a c. di O. Limone, Lecce 1993; Le sei ali dei cherubini, a c. di E. Mainoldi, Torino 2000; Sulle tracce di Dio, a c. di M. Rossini, Brescia 2001 (contiene la traduzione delle Regulae caelestis iuris, I-LIII, e del Sermo de sphaera intelligibili); Le regole del diritto celeste, a c. di C. Chiurco, Palermo 2002. Per quanto riguarda il Sermo de sphaera intelligibili,trasmesso come anonimo dall’unico codice superstite (ms. Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 3572, 272v-273r), la circostanza che esso tratti lo stesso specifico tema della settima regula theologica, costituisce la prova più significativa della sua attribuzione ad Alano. 59 Per la nozione di ‘teologia’ in Alano, cfr. D’ALVERNY, Alain de Lille et la theologia cit. (alla nota 58). Cfr. inoltre G. R. EVANS, Alan of Lille cit. (alla nota 55); EAD., Alan of Lille and the threshold of theology, in «Analecta Cisterciensia», 36 (1980), pp. 129-147. 60 ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit. (testo alle pp. 119-359). 61 Cfr. M. GRABMANN, Ein neuaufgefundenes Bruchstück der Apologia Abaelards, München 1930, p. 28. 62 Cfr. J. M. PARENT, Un nouveau témoin de la théologie dionysienne au XIIe siecle, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters cit. (cap. 2, alla nota 48), I, pp. 289-309. Parent collocò l’opera nella seconda metà del dodicesimo secolo, notò notevoli rassomiglianze letterarie e dottrinali con gli scritti teologici di Alano (pur senza attribuirla esplicitamente a lui) e mise in luce l’ispirazione dionisiano-eriugeniana della trattazione di temi quali l’inconoscibilità divina, i limiti della teologia positiva, la superiorità del metodo negativo. 63 Cfr. LOTTIN, Les théories du peché originel cit. (cap. 1, alla nota 68), pp. 90 e seqq.; ID., Psycologie et morale cit. (cap. 1, alla nota 67), I, pp. 44-46. 64 Cfr. GLORIEUX, L’auteur de la Somme cit. (cap. 1, alla nota 45).
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re di Alano dal punto di vista dottrinale (temi come la semplicità divina, l’incomprensibilità di Dio65, l’analisi dei nomi divini sono comuni alle Regulae, mentre altre idee, tra cui quelle inerenti al problema della terminologia teologica, ritornano regolarmente in altre sue opere66), stilistico-formale (la presenza di espressioni, formule, termini tecnici assolutamente tipici del maestro di Lilla, come regula, quale indicatore di una precisa scelta metodologica67) e della scelta delle fonti (Agostino, Ilario, Girolamo, Dionigi, Boezio, ma anche Ermete Trismegisto, Calcidio, Platone, Giovanni Scoto Eriugena, Porfirio)68. Problematica è la questione della datazione della Summa e della sua relazione con le Regulae. Parent69 e Lottin70 hanno cercato di mostrare la dipendenza della Summa sia dalle Regulae che dalle Disputationes e dalle Institutiones di Simone di Tournai. Glorieux ha collocato inizialmente la Summa «dans la dernière partie, le dernier tiers du XIIe siècle»71, per poi retrodatarla «entre 1155 et 1165, très probablement vers 1160»72 sulla base di un nuovo studio di Lottin, che aveva cercato di mostrare come le Disputationes e le Institutiones di Simone di Tournai, databili 1160-65, dipendano dalla Summa di Alano per quanto riguarda le questioni relative al peccato originale, mentre le Regulae rappresenterebbero un’elaborazione molto più tarda, successiva al 119473. Cesare Vasoli ha collocato la Summa tra il 1160 e il 1165 e le Regulae, ap65
Cfr.V. LICCARO, Conoscenza e inconoscibilità di Dio nel pensiero di Alano di Lilla, in «Medioevo», 2 (1976), pp. 1-20. 66 Cfr. GLORIEUX, L’auteur de la Somme cit., pp. 33-39. 67 Cfr. ibid., pp. 39-43. 68 Cfr. ibid., p. 39. ID., La Somme «Quoniam homines» cit., p. 113, parla delle «affinités platoniciennes, dionysiennes, érigéniennes qui la rattachent partiellement à l’école de Chartres, à l’école porrétaine aussi». Per quanto riguarda Ermete Trismegisto, cfr. P. LUCENTINI, L’Asclepius ermetico nel secolo XII, in From Athens to Chartres. Neoplatonism and Medieval Thought. Studies in honour of Edouard Jeauneau, a c. di H. J.Westra, Leiden - New York - Köln 1992, pp. 397-420, quindi in ID., Platonismo, ermetismo, eresia nel medioevo, Louvain-La-Neuve 2007, pp. 71-105. 69 Cfr. PARENT, Un nouveau témoin cit., pp. 291-292, 302. 70 Cfr. LOTTIN, Les théories du peché originel cit., pp. 97-98. 71 GLORIEUX, L’auteur de la Somme cit., p. 45. 72 GLORIEUX, La Somme «Quoniam homines» cit., p. 116. 73 Cfr. LOTTIN, Alain de Lille, une des sources cit. (alla nota 56). Su questo tema cfr. anche P. DELHAYE, Le péché dans la théologie d’Alain de Lille, in «Sciences Ecclésiastiques», 17 (1965), pp. 7-27; M. ALIOTTA, La teologia del peccato in Alano di Lilla, Palermo 1986.
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
parentemente meno mature e sviluppate, prima del 1160 o comunque poco dopo questa data74. Gillian R. Evans considera le due opere sostanzialmente coeve75. Lauge Olaf Nielsen ha notato le incongruenze della tesi secondo cui Alano avrebbe esercitato un’influenza su Simone, anche perché è difficile trovare opere del primo composte prima degli anni di attività del secondo76. Infine, Françoise Hudry, sulla base di nuove ricerche condotte sulla vita di Alano, ha suggerito una datazione delle Regulae molto tarda, intorno agli anni 1192-9477. Resta, in ogni caso, l’impressione della stretta concordanza tematica tra la Summa e le Regulae, che fa supporre che le due elaborazioni appartengano allo stesso arco di anni78. L’impianto sistematico della Summa è strutturato in tre sezioni: solo la prima, consacrata a Dio e alla Trinità79, ci è giunta interamente nei due manoscritti superstiti, mentre la seconda, dedicata alla creazione, ci è giunta in parte, e della terza, concernente la restaurazione dell’uomo, non abbiamo alcuna traccia80. Questo arti74 Cfr. C.VASOLI, Studi recenti su Alano di Lilla, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo.Archivio muratoriano», 72 (1960), pp. 35-89. 75 Cfr. EVANS, Alan of Lille.The frontiers of theology cit. (alla nota 56), pp. 15-16. 76 Cfr. NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), p. 343: «It is also very surprising that Häring, who otherwise supports the thesis that Quoniam homines influenced Simon’s Comm. Ps.-Ath., though without submitting any analysis or closer reasoning, should maintain that Simon’s Comm. Apost. I, which is the earliest known work by Simon, is dependent on both Alain’s Regulae and Contra hereticos and on the Summa Quoniam homines, of which at any rate the first two works mentioned were written about twenty years later than Simon’s commentary». 77 Cfr. F. HUDRY, Introduction à ALAIN DE LILLE, Règles de théologie, suivi de Sermon sur la sphère intelligible, Introduction, traduction et notes par F. Hudry, Paris 1995. 78 Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit. (cap. 1, alla nota 98), pp. 358-359: «Non a caso è possibile stabilire parallelismi molto significativi dal punto di vista del contenuto tra la dottrina esposta nelle Regulae e quella che lo stesso Alano ha affidato, più o meno negli stessi anni, alla Summa ‘Quoniam homines’, una trattazione sistematica, discorsiva e ordinata, della riflessione razionale sulla fede: come se, parallelamente alla produzione di un trattato espositivo della dottrina cristiana, egli abbia voluto proporne anche una rielaborazione costruita ad arte secondo un procedimento di enucleazione concettuale disciplinato da una applicazione rigorosa dei formalismi tecnici della dialettica ai principi peculiari del sapere teologico, che sono poi gli enunciati della fede». 79 Cfr. C.VASOLI, La teologia apothetica di Alano di Lilla, in «Rivista critica di storia della filosofia», 16 (1961), pp. 153-188 e 278-314. 80 GLORIEUX, La Somme «Quoniam homines» cit., p. 115, ha avanzato l’ipotesi
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colato piano dell’opera, presentato nel Prologo81, viene sostanzialmente rispettato lungo il corso del testo; tuttavia, la presenza di alcune ripetizioni e di qualche lacuna fa pensare ad una redazione, legittimamente imperfetta, di un corso di lezioni più o meno lungo, ed oggetto di continua elaborazione da parte del maestro82. Alle ricche argomentazioni della Summa corrisponde il rigore assiomatico delle Regulae caelestis iuris, l’opera teologica più celebre di Alano, debitrice del De Trinitate e del De hebdomadibus boeziani e dei relativi commenti di Gilberto83. L’opera è composta da 134 regole (tante sono nei manoscritti più completi e nell’edizione critica di Häring, dieci in più che nell’edizione riportata nel volume 220 della Patrologia latina84): le prime centoquindici sono dedicate esclusivamente alla teologia,le successive dieci alla filosofia naturale, ma con regole comuni alla teologia, le ultime nove esclusivamente all’ambito della filosofia naturale. Le regole teologiche trattano, nell’ordine, Dio e la Trinità, questioni di teologia morale, la cristologia e i sacramenti. Nelle intenzioni dell’autore ogni regola, espressione di un tipo di conoscenza superiore, deve essere il naturale sviluppo della precedente e rimandare logicache il trattato De virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti sia un ampio frammento della parte mancante dell’opera. 81 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», prol., ed. Glorieux cit., p. 120: «Nos ergo rerum ordini tractatus ordinem conformantes, primo ad creatorem, secundo ad creature creationem, tertio ad eiusdem recreationem styli vertamus officium». 82 Cfr. GLORIEUX, La Somme «Quoniam homines» cit., p. 117: «La construction de la Somme Quoniam homines n’est pas sans quelques faiblesses. Le plan assez précis dans les débuts de chaque partie se relache à mesure que l’on progresse, et bien des problèmes se suivent alors sans lien très logique.Assez souvent aussi des questions incidentes se voient aborder au risque de couper ou du moins d’alourdir la suite de la démonstration». E cfr. D’ALVERNY, Alain de Lille. Textes inédits cit. (cap. 2, alla nota 69), p. 61: «Il s’agit, nous semble-t-il, d’une collection de notes de cours, assez hativement rédigées; elles correspondent à un enseignement qui s’est peut-être étalé sur de longues années». 83 ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, ed. Häring cit. (il testo è alle pp. 121-226). Cfr. CHENU, Un essai cit. (cap. 1, alla nota 72); ID., Une théologie axiomatique cit. (ibidem); J. CHATILLON, La méthode théologique d’Alain de Lille, in Alain de Lille, Gauthier de Châtillon, Jakemart Giélée et leur temps,Actes du Colloque de Lille (oct. 1978), éd. par H. Roussel - F. Suard, Lille 1980, pp. 47-60 (poi in ID., D’Isidore de Séville à Saint Thomas d’Aquin, Études d’histoire et de théologie, London 1985); J. JOLIVET, Remarques sur les Regulae theologicae d’Alain de Lille, ibid., pp. 83-99 (poi in ID., Philosophie médiévale arabe et latine, Paris 1995, pp. 279-294). 84 Cfr. la lista dei 69 codici censiti da Häring in Regulae caelestis iuris cit., pp. 104-116.
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mente alla seguente. La spiegazione di ogni regola è affidata ad un succinto commento, che ha l’obiettivo di giustificare la successione degli assiomi, man mano che l’esposizione si allarga ad abbracciare la vastità della materia teologica85. Quest’originale assiomatizzazione della teologia è ottenuta anche grazie ad una precisa opzione in campo dialettico, che all’argomentazione deduttiva e sillogistica preferisce la stringata enunciazione di concetti rigorosamente legati fra loro86. Come avremo modo di vedere, le Regulae rappresentano uno degli esiti speculativi più significativi della scuola porretana, a livello epistemologico, teologico e formale87.
2.2. Simone di Tournai Simone di Tournai, definito da Martin Grabmann «la maggiore personalità nel campo del pensiero e dell’attività scientifici fra gli
85 Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 357: «Antinomie sapientemente giocate, ipotesi introdotte con precisione terminologica per essere subito accolte o eliminate, riduzioni all’assurdo, dimostrazioni per via di esclusione, definizioni e divisioni di concetti, e così via, consentono l’amplificarsi del rigoroso iniziale sistema di concatenazioni concettuali in un’esplicazione di più ampio respiro del contenuto delle varie formule, sotto il cui ventaglio è però sempre possibile ricostruire il collegamento concettuale che permette al discorso enunciativo di procedere, in pratica, senza interruzioni». 86 Cfr. ibid., p. 358: «Alano non ricorre nel suo argomentare a quelle norme con cui la dialettica fissa il procedimento del discorso dimostrativo-deduttivo, ossia delle concatenazioni di proposizioni e del sillogismo, quanto, piuttosto, degli insegnamenti elementari e formali della dottrina relativa alla determinazione della vis significativa dei singoli termini logici, come la composizione del significato dei nomi, la divisione, la definizione, le forme di predicazione, i predicabili, le categorie, i tópoi, le convergenze di norme grammaticali e valenze logiche, le variazioni sul predicato ‘essere’, la translatio dei significati». 87 Cfr. DE LIBERA, La philosophie médiévale cit. (cap. 1, alla nota 94), p. 354; tr. it., p. 332: «Le massime di Alano hanno fornito un arsenale di assiomi ai teologi del Tardo Medioevo ed hanno contribuito, più di ogni altra cosa, alla trasformazione dell’antica scienza sacra (sacra pagina) in un’autentica ‘scienza teologica’ operata all’inizio del XIII secolo. Attraverso l’utilizzazione massiccia dell’ontologia aristotelico-boeziana, attraverso la generalizzazione dell’impiego della logica e della grammatica in teologia, attraverso l’approfondimento della riflessione sulla ‘traslazione’ (traslatio) del linguaggio categoriale in divinis iniziata da Giovanni Scoto Eriugena, Alano di Lilla ha affermato la specificità del pensiero medievale di lingua latina prima dell’arrivo delle fonti arabe (Avicenna, Averroè). La sua opera è la suprema testimonianza della tradizione boeziana della filosofia greca, l’ultimo prodotto dell’aetas boetiana».
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autori parigini di Summae dei primi anni del XIII secolo»88, è un teologo di primo piano: compose nel corso degli anni ’60 due versioni dell’Expositio super symbolum «Credo in Deum Patrem»89 e l’Expositio super symbolum «Quicumque vult»90, completò la Summa theologica (o Institutiones in sacram paginam)91 nel periodo 11651170 e le Disputationes (Quaestiones quodlibetales)92 nel lustro successivo93.A fronte di una notevole carenza di notizie biografiche, disponiamo di una produzione intellettuale molto significativa, che comprende opere tutte di sicura attribuzione, poiché spesso l’autore cita sé stesso all’interno delle sue opere. Simone ricevette la sua prima educazione nella sua città natale, studiò intorno alla metà del secolo a Parigi, dove fu probabilmente allievo e poi collaboratore di Oddone di Soissons († 1170 ca.), infine esercitò le funzioni di Magister a Parigi negli anni ’70-’80.Tra le fonti più significative utilizzate da questo «partisan du porrétanisme mitigé»94 vanno segnalati l’Aristotele logico, naturale (Fisica) e morale (De anima),Agostino, Boezio (Opuscula sacra), lo pseudo-Dionigi, Giovanni Scoto95, Anselmo d’Aosta, Gilberto di Poitiers96, 88
GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit. (cap. 1, alla nota 13), II, p. 535; tr. it., II, p. 631. 89 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Expositio super symbolum «Credo in Deum Patrem» (ed. prima et secunda), ed. in N. M. HÄRING, Two Redactions of a Commentary cit. (cap. 1, alla nota 54), testo alle pp. 44-112. 90 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Expositio super symbolum «Quicumque vult», ed. N. M. HÄRING, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 43 (1977), pp. 135-199. 91 Inedita: estratti in M. SCHMAUS, Die Texte der Trinitätslehre in den Sentenzen des Simon von Tournai, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 4 (1932), pp. 58-72, 187-198 e 294-307, e in C. MARMO, Simon of Tournai’s Institutiones in sacram paginam, An Edition of His Introduction about Signification, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge grec et latin», 67 (1997), pp. 93-103. Cfr. M. SCHMAUS, Die Trinitätslehre des Simon von Tournai, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 3 (1931), pp. 373-396. 92 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Disputationes, ed. Warichez cit. (cap. 1, alla nota 22). 93 Cfr. NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), p. 311. 94 La definizione è di D. VAN DEN EYNDE, Deux sources de la Somme theologique de Simon de Tournai, in «Antonianum», 24 (1949), pp. 19-42. WARICHEZ, Les Disputationes de Simon de Tournai cit., pp. XIV e XXV, parla di ‘simpatie porretane’. 95 Cfr. H.-F. DONDAINE, Cinq citations de Jean Scot chez Simon de Tournai, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 17 (1950), pp. 303-311. 96 Cfr. N. M. HÄRING, Simon of Tournai and Gilbert of Poitiers, in «Medieval Studies», 27 (1965), pp. 325-330.
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Pietro Lombardo,Alano di Lilla97. Simone copia alcuni passi tratti dai commenti gilbertini a Boezio e alle lettere paoline, senza tuttavia citare il nome di quello che si può soltanto supporre sia stato il suo maestro diretto98. Notevoli sono le somiglianze con altri esponenti della scuola porretana, come Alano di Lilla, Raul Ardente e Maestro Martino, il quale dipende direttamente da Simone99. Pur non nascondendo le sue simpatie per Gilberto, Simone evita solitamente di prendere posizione in modo netto su alcune questioni particolarmente spinose, come l’identità delle proprietà personali con l’essenza divina. Häring ha mostrato che il commento al simbolo «Credo in Deum Patrem» è stato redatto due volte: la prima versione è contenuta nei mss. Bruges, Bibl. de la Ville, 74 (ff. 86v-95v) e 147 (ff. 174v-190r), mentre la seconda è trasmessa dai mss. Arras, Bibl. mun., 952 (ff. 32r-38r) e 981 (ff. 13r-19v)100. All’interno, alcune proposizioni richiamano passaggi testuali di Alano di Lilla, senza che possano definirsi con certezza i rapporti di dipendenza dell’uno nei confronti dell’altro. L’expositio è condotta sulla base di un solido retroterra filosofico ed epistemologico evidente fin dall’esordio, in cui Simone riflette sulla differenza tra la scienza e la fede e sui diversi tipi di scienza101. Anche l’esordio del commen97
Cfr. LOTTIN, Alain de Lille, une des sources cit. (alla nota 56); cfr. inoltre J. N. GARVIN, Peter of Poitiers and Simon of Tournai on the Trinity, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 16 (1949), pp. 314-316 (vers. riveduta e ampliata nell’ed. delle Sententiae di Pietro di Poitiers, a c. di Garvin et al., Notre Dame, Indiana 1950, pp. XXXVI-XLIII). 98 Piuttosto ottimista si mostra al riguardo HARING, Simon of Tournai and Gilbert of Poitiers cit., p. 330. 99 Cfr. WARICHEZ, Les Disputationes de Simon de Tournai cit., p. XXXVII: «Au moment où Simon enseignait à Paris, Raoul Ardent en faisait autant à Poitiers et Alain de Lille à Montpellier. Certaines théories communes sur la Trinité, la christologie, la justification ou la grâce sembleraient indiquer qu’ils ont connu l’enseignement l’un de l’autre, indépendamment de certains adages qui devaient être alors monnaie courante»; ibid., pp. XXXIX-XL: «En résumé, Simon de Tournai forme avec Raoul Ardent,Alain de Lille et Maître Martin un courant plutôt aristotélicien et porrétain, en opposition avec un courant parallèle, plutôt augustinien et lombardien, issu d’Hugues de Saint-Victor avec Pierre Lombard et représenté par Pierre de Poitiers à la fin du XIIe siècle». 100 Cfr. N. M. HÄRING, Zwei Redaktionen des Kommentars zum Apostolischen Glaubensbekenntnis von Simon von Tournai, in «Mediaeval Studies», 35 (1973), pp. 333-338. 101 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Expositio super symbolum «Credo in Deum Patrem», ed. Häring cit. (alla nota 89), p. 45: «Notandum quod non dixit opinor vel
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
to al simbolo pseudo-atanasiano, trasmesso in sei codici102, contiene alcune interessanti riflessioni sulla relazione tra conoscenza naturale e conoscenza soprannaturale, chiarita mediante la distinzione tra la causa unica superior divina, inaccessibile da parte dell’uomo, e la causa inferior naturale, che ad essa rimanda. La Summa theologica – conservata nei mss. Paris, Bibl. Nat., lat. 3144 A (incompleto) e 14886; Paris,Arsen., 519; Oxford, Merton Coll., 132; London, Brit. Mus., lat. 9 E XII – occupa un posto rilevante all’interno del processo di pianificazione e razionalizzazione della materia teologica svolto in ambiente porretano, in forza dell’analisi della concezione aristotelica della scienza e della sua applicazione alle questioni teologiche. L’opera si apre con l’analisi dell’etimologia della parola theologia, intesa come sermo de deo vel de divinis: prima di esporre la propria dottrina sulla natura divina, Simone si concentra sulla maniera in cui la teologia può esprimersi intorno ad essa, sulla possibilità di fondare un corretto discorso teologico. L’esposizione della materia teologica è ramificata in una serie di questioni particolari, dalle quali emerge l’acutezza logica dell’autore, particolarmente attento alla costruzione formale della sua opera. Le Disputationes – conservate in quattro manoscritti103 – contengono la trasposizione di 102 esercitazioni scolastiche tenute al di fuori del consueto corso teologico, al cui interno vengono affrontate ben 371 questioni teologiche.Tra le molteplici questioni affrontate, ritorna il tema privilegiato del rapporto tra fede e scienza, con importanti implicazioni epistemologiche: Simone afferma che la scienza permette di avere una conoscenza certa di ciò che può essere veduto, mentre la fede è la speranza di conoscere ciò che non può essere veduto104. Le Disputationes sono l’escio sed credo quia aliud est scire, aliud opinari, aliud credere. Scientia multiplex est. Est enim quaedam scientia quae surgit ex sensu secundum quod dicitur video vel tango i.e. sensu percipio. Secunda quae surgit ex imaginatione qua bos scit reverti ad stabulum, avis ad nidum. Tercia quae surgit ex memoria. Unde dicitur aliquid istorum scio i.e. memoriter teneo». 102 L’elenco dei manoscritti è in HÄRING, Simon of Tournai’s Commentary cit. (cap. 1, alla nota 54), pp. 135-141. 103 Descritti da WARICHEZ, Les Disputationes de Simon de Tournai cit., pp. LIIILVI. 104 Sia Simone che Alano si soffermano sul rapporto tra ratio faciens fidem e fides faciens rationem, uno dei temi più citati dagli scolastici delle prime gene-
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spressione di una limpida ortodossia, manifestata dal rispetto assoluto delle auctoritates, e di una notevole abilità dialettica, basata sulla distinzione tra la filosofia e la teologia. Questo duplice aspetto emerge dal trattamento discreto delle autorità, raramente esplicitate, in modo da mantenere un margine di interpretazione personale cui Simone dimostra di tenere particolarmente. 2.3. Guglielmo da Lucca Nel 1983 Ferruccio Gastaldelli ha pubblicato il commento al De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi di Guglielmo da Lucca († 1178), al quale aveva dedicato negli anni precedenti alcuni studi relativi allo stile, al contenuto e alla fonte manoscritta105. L’opera, collocata dall’editore tra il 1169 e il 1177, è contenuta nel ms. 1003 della Bibliothèque municipale di Troyes, proveniente dall’abbazia di Clairvaux, e faceva parte di un corpus di testi e commenti dionisiani raccolto tra la fine del dodicesimo e l’inizio del tredicesimo secolo106. Il testo trasmesso è costituito dal primo libro e da una parte del secondo, che commentano appena il primo e parte del secondo dei tredici capitoli del De divinis nominibus: la trascrizione si arresta, infatti, alla fine del f. 61r. Il commento, aperto da due prologhi in cui si concentrano le riflessioni più personali dell’autore, si presenta per il resto come un testo continuo, intervallato dalle citazioni del De divinis nominibus, facilmente riconoscibili nel manoscritto poiché sottolineate107. razioni. Cfr. M.-D. CHENU, La théologie comme science au XIIIe siècle, Paris 1969, pp. 35-36; G. D’ONOFRIO, Alano di Lilla e la teologia, in Alain de Lille, le docteur universel cit. (cap. 1, alla nota 103), [pp. 289-337], pp. 320-321. 105 Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam, ed. Gastaldelli cit. (cap. 1, alla nota 86); F. GASTALDELLI, Linguaggio e stile in Guglielmo di Lucca, in «Salesianum», 41 (1979), pp. 441-488; poi in ID., Scritti di letteratura filologia e teologia medievali, Spoleto 2000, pp. 269 e seqq. Guglielmo chiama il De divinis nominibus «la terza gerarchia» poiché nel Corpus areopagiticum l’opera segue il De coelesti hierarchia e il De ecclesiastica hierarchia; va segnalato che nel prologo l’autore dichiara di aver commentato già quest’ultima opera, tuttavia questo commento non è stato ritrovato. 106 Su questo codice, cfr. F. GASTALDELLI, Il manoscritto Troyes 1003 e il commento di Guglielmo da Lucca al De divinis nominibus. Analisi del testo e saggi di critica testuale, in «Salesianum», 41 (1979), pp. 37-72; quindi in ID., Scritti di letteratura cit., pp. 233-268. 107 Cfr. ID., Introduzione a WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam cit., p. CXVI.
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Notevole è il lavoro di anonimi lettori o glossatori sul testo: possono distinguersi fino a cinque mani differenti che intervengono con annotazioni o glosse al testo, correzioni del testo, titoli marginali, elenchi di quaestiones presenti su due schede inserite nel codice. Nel commento si riscontrano entrambe le traduzioni carolinge del De divinis nominibus: prima quella di Giovanni Scoto e, da un certo momento in poi, quella di Ilduino, forse preferita per la maggiore correttezza grammaticale108. Guglielmo riordina spesso il testo dionisiano in una dispositio più consona all’uso latino: tale ricostruzione, tuttavia, non è esente da errori ed equivoci, a causa degli errori della traduzione e degli accidenti della trasmissione manoscritta.Tuttavia essi incidono relativamente poco, in quanto l’obiettivo di Guglielmo non è tanto l’esegesi letterale, quanto l’interpretazione teologica del testo. Il commento di Guglielmo (dedicato a tale Davide monaco di Lorsch) non ha lasciato tracce a Bologna, la città in cui fu composto, poiché l’ambiente teologico bolognese era orientato in massima parte verso la scuola di Pietro Lombardo, mentre l’opera di Guglielmo tende a interpretare la teologia dionisiana con alcune indicazioni metodologiche boeziano-gilbertine. Essa ha subìto evidentemente la sorte di altri scritti porretani, penalizzati dall’esito del IV Concilio Lateranense (1215), che sancì il definitivo trionfo della scuola lombardiana109. L’opera riscosse invece un’interessata accoglienza a Clairvaux, dove si trovavano alla fine del secolo XII sia il cisterciense Garnerio di Rochefort, interessato all’interpretazione di alcuni concetti dionisiani, che Everardo di Ypres, anch’egli monaco dell’ordine di Bernardo, ma appassionato conoscitore e difensore della dottrina di Gilberto: sulla base della consonanza della teologia di Guglielmo (teorizzata e praticata da Guglielmo come scienza fondata su regole proprie, dunque sul modello della teologia gilbertina) con quella espressa nel Dialogus, si può avanzare l’ipotesi che Everardo abbia letto il testo 108
Cfr. ID., La traduzione del De divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi nel commento inedito di Guglielmo da Lucca († 1178), in «Salesianum», 39 (1977), pp. 185-278; ora in ID., Scritti di letteratura cit., pp. 177-231. 109 Cfr. DONDAINE, Écrits cit. (cap. 1, alla nota 69), p. 9: «La censure portée en 1215 par le IVe concile du Latran contre Joachim de Flore, plutôt contre son libelle De unitate seu essentia Trinitatis, puisque le décret faisait un bel éloge de sa personne, est le dernier fait saillant de la querelle porrétaine. Le conflit se terminait par un échec retentissant des disciples de Gilbert de la Porrée».
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del maestro toscano, o addirittura che siano opera sua le glosse che costellano il ms.Troyes 1003110. Due distinti documenti bolognesi permettono di fissare le due fasi della vita di Guglielmo: la nascita e la condizione di canonico a Lucca e l’insegnamento della teologia e la morte a Bologna. Nella sua città natale, Guglielmo si formò presso la scuola cattedrale, presso cui ricevette una formazione particolarmente solida nella grammatica e nella dialettica, partecipando ai nuovi sviluppi della dottrina del nome, funzionale all’analisi dei nomi divini. Forse Guglielmo fu anche maestro presso la stessa scuola: Gastaldelli crede, infatti, di potergli attribuire il trattato di dialettica del codice lucchese 614, che porta il titolo Summa dialetice artis (attribuito dall’editore al suo omonimo successore morto nel 11941195)111, che ha i tratti tipici della compilazione scolastica, ben diversa dal maturo commentario teologico su Dionigi. D’altro canto, nel Commento Guglielmo dimostra non solo una solida cultura dialettica, ma anche un’attitudine da professore di logica: egli individua nel disegno del De divinis nominibus un ordine che rispetta la logica aristotelica. Lo stesso Gastaldelli ritiene inoltre che Ottone, vescovo di Lucca negli anni 1138-46, sia l’autore della celebre Summa sententiarum (datata 1138-41), e abbia avuto come allievi sia Guglielmo che Pietro Lombardo112. L’influsso della Summa, in effetti, si estese non solo al Lombardo, ma anche alla scuola di Abelardo e di Gilberto. Sulla base della dimostrata dipendenza testuale delle 110
Cfr. ID., Introduzione cit., p. XII. Cfr. GUILIELMUS DE ROFREDO, Summa dialetice artis, a c. di L. Pozzi, Padova, 1975; GASTALDELLI, Linguaggio e stile cit., in partic. pp. 482-488; ID., Note sul codice 614 della Biblioteca Capitolare di Lucca e sulle edizioni del De arithmetica compendiose tractata e della Summa dialetice artis, in «Salesianum», 39 (1977), pp. 693-702. 112 L’opera, sotto il nome di Ugo di San Vittore, è in PL 176, 41C-174A. Cfr. F. GASTALDELLI, La Summa sententiarum di Ottone da Lucca. Conclusione di un dibattito secolare, in «Salesianum», 42 (1980), pp. 537-546. In realtà, ipotesi di attribuzione alternative, come quelle avanzate da LUSCOMBE, The School of Peter Abelard cit. (cap. 2, alla nota 101), in partic. pp. 198-223, e da COLISH, Peter Lombard cit. (alla nota 6), I, in partic. pp. 15-24 conservano la loro verosimiglianza. Il primo ha proposto l’attribuzione ad un allievo di Ugo di San Vittore, che non disdegnava integrare le teorie del maestro con alcune idee abelardiane; la seconda crede che l’opera sia stata pubblicata a Parigi, dove Pietro Lombardo la conobbe ed utilizzò, e non in Italia. 111
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Sententiae magistri Gisleberti dalla Summa sententiarum113, lo studioso ha suggerito di interpretare il dono di un codice del De Trinitate di Ilario di Poitiers, da parte di Gilberto alla chiesa cattedrale di Lucca come lo scioglimento di un tacito debito con il maestro lucchese, un omaggio alla sua saggezza teologica, forse anche un invito a leggere Ilario114. Mancano testimonianze di una presenza di Guglielmo alla scuola di Ottone, e scarse sono le tracce della Summa sententiarum nel commento al De divinis nominibus. Guglielmo può definirsi «teologo porretano» poiché riprende alcuni dei filoni teoretici peculiari della scuola gilbertina: l’utilizzo delle regulae, l’impostazione epistemologica, la stretta connessione fra la teologia e la grammatica115. D’altro canto, Guglielmo si distingue da Abelardo e da Pietro Lombardo sia per la concezione della teologia che per il suo metodo.Tra le fonti del Commento, un posto privilegiato è occupato da Boezio, autentico maestro e ispiratore («sanctus», «beatus», «magnus philosophus», «sophorum maximus»), di cui Guglielmo conosce e cita la Consolatio, gli opuscoli teologici, i commenti ad Aristotele, Porfirio e Cicerone; tra i filosofi antichi conosce Aristotele (De interpretatione, Categoriae, Topica, Sophistici Elenchi), Platone, Cicerone, Plotino (via Macrobio), Prisciano; tra gli autori cristiani sono citati, di solito indirettamente,Agostino, Giovanni Damasceno, Gregorio di Nazianzo, Massimo il Confessore, Ilario, Girolamo, Gregorio Magno, Cassiodoro; tra gli autori medievali è ampiamente citato soltanto Giovanni Scoto, mentre in forma anonima sono riportate sia le opinioni di Abelardo (puntualmente ribattute), che quelle di Gilberto.Anche l’analisi delle fonti, dunque, confermerebbe, secondo Gastaldelli, l’appartenenza di Guglielmo alla tradizione speculativa di Gilberto, considerata in senso ampio116. 113
Cfr. GASTALDELLI, Introduzione al Comentum cit., pp. XXXIV-XXXVII. Cfr. ibid., p. XXXVII. 115 Cfr. ibid., pp. LXIII-LXXXIV. 116 Ibid., p. LXV. GASTALDELLI, ibid., p. LXVI, cita anche il caso del pisano Ugo Eteriano, definito «un porretano anomalo», che potrebbe aver stimolato gli orientamenti porretani di Guglielmo o il suo interesse per lo pseudo-Dionigi: un manoscritto delle opere dionisiane è registrato, infatti, nei più antichi cataloghi della biblioteca della cattedrale di Lucca. Cfr. inoltre É. JEAUNEAU, Le commentaire de Guillaume de Lucques sur les «Nom divins», in Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter, Internationales Kolloquium in Sofia vom 8. bis 11. April 1999, cur. A. Speer G. Kapriev - T. Boiadjiev,Turnhout 2000, pp. 177-195: pur approvando l’inseri114
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2.4. Nicola di Amiens Dedicata a Clemente III (1187-91), l’Ars fidei catholicae117 di Nicola di Amiens († post 1203) presenta le stesse caratteristiche dell’opera apologetica di Alano, al quale fu inizialmente attribuita. È un breve trattato concepito sul modello degli Elementi di Euclide, in cui l’autore, partendo da definizioni (descriptiones: da quella di causa a quella di sostanza, materia, forma ecc.), postulati (petitiones: proposizioni che, come le massime filosofiche, non possono venir dimostrate con altre proposizioni) ed assiomi (communes conceptiones: proposizioni tanto evidenti da essere comprese senza sforzi di elaborazione razionale), deduce una serie rigidamente logica di theoremata teologici che vanno dall’esistenza di Dio alla creazione, dal libero arbitrio alla caduta e redenzione, dai sacramenti alla resurrezione dei morti. In effetti, la necessità di difendere la dottrina contro quegli eretici (Valdesi e Albigesi in Occidente e Musulmani in Oriente) che non ammettevano le autorità della Sacra Scrittura imponeva ai teologi cristiani la ricerca di prove razionali degli articoli di fede articolate attraverso stringenti argomenti dialettici. Accanto al modello della scienza dialettica, nella seconda metà del secolo XII s’impose un modello alternativo, quello apodittico della scienza matematica, già applicato alla teologia da Boezio nel De hebdomadibus. Questo metodo ebbe una fortuna assai limitata, ma gli esempi di Alano e Nicola dimostrano che l’ambiente porretano fu quello maggiormente inmento di Guglielmo nell’ambito dei Porretani, Jeauneau non manca di sottolineare i punti in cui il teologo toscano si svincola dalla dottrina di Gilberto, ad esempio quando afferma che «Nichil est in Deo nisi Deus». Questo il giudizio finale sull’opera (ibid, p. 195): «Force est de constater que son commentaire est verbeux et superficiel. Guillaume était mal outillé pour aborder la pensée de l’Aréopagite. Avec une naïveté touchante, il retrouve, ou croit retrouver chez Denys les thèses qui lui étaient chères et qu’il avait apprises en sa jeunesse au sein de l’École porrétaine. Or, pour comprendre Denys, pour le commenter avec fruit, il lui eût fallu précisément oublier ce qui’il avait appris à l’école. Ou plutôt, il lui eût fallu reprendre le chemin de l’école, mais d’une autre école. Curieusement, c’est là le conseil que, dans un contexte différent il est vrai, Gilbert de la Porrée donnait à Bernard de Clairvaux». 117 NICOLAUS AMBIANENSIS, Ars fidei catholicae, ed. De Visch riprodotta in PL 210 (tra le opere di Alano di Lilla), 595A-618B; ed. crit. in DREYER, Nikolaus von Amiens cit. (cap. 1, alla nota 100): testo alle pp. 76-106. Cfr. P. GLORIEUX, L’auteur de l’Ars fidei catholicae, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 23 (1956), pp. 118-122.
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teressato a quest’approccio scientifico alle verità di fede, anzi: il metodo assiomatico, nella linea speculativa che unisce Boezio a Gilberto, fino a questi Porretani della maturità, si configura come uno dei contributi più significativi offerti da questa scuola di pensiero118. 2.5. Raul Ardente Non si dispone ancora di un’edizione della Summa de virtutibus et vitiis (Speculum universale) di Raul (o Radulfo) Ardente († 11991200), opera composta dopo il 1193, contenuta nei mss. Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 3229 e Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 3240119. Maestro Raul, soprannominato Ardente per la sua infiammata eloquenza, fu seguace e forse allievo di Gilberto, di cui segue solo in parte la dottrina120. È autore di oltre 200 omelie sulle Lettere e sui Vangeli dell’anno liturgico che, oltre ad essere rilevanti per la storia della predicazione e del dogma, testimoniano non soltanto le sue vastissime conoscenze in materia di Sacra Scrittura, di scritti patristici (soprattutto di Agostino e Gregorio Magno), di diritto canonico, poesia e filosofia, ma anche una spiccata attitudine logica che gli consente di ripartire gli argomenti in modo razionale121. 118
Sul metodo assiomatico cfr. infra, pp. 269 e sqq. Su Raul Ardente, cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit. (cap. 1, alla nota 13), I, pp. 246-257; tr. it., I, pp. 295-307 (colloca lo Speculum universale alla fine dell’undicesimo secolo); B. GEYER, Radulphus Ardens und das Speculum universale, in «Theologische Quartalschrift», 93 (1911), pp. 63-89 (ricolloca l’autore nella seconda metà del dodicesimo secolo); P. MICHAUDQUANTIN, Die Psychologie bei Radulfus Ardens, einem Theologen des ausgehenden 12. Jahrhunderts, in «Münchener theologische Zeitschrift», 9 (1958), pp. 81-96; J. GRÜNDEL, Das Speculum Universale des Radulfus Ardens, München 1961 (contiene la trascrizione dei titoli dei capitoli dell’opera); ID., L’œuvre encyclopédique de Raoul Ardent: le Speculum Universale, in La pensée encyclopédique au Moyen Âge, éd. M. de Gandillac et al., Neuchatel 1966 (Cahiers d’Histoire Mondiale, 9/3), pp. 87-104; ID., Die Lehre des Radulfus Ardens von den Verstandestugenden auf dem Hintergrund seiner Seelenlehre, München 1976. 120 Cfr. GRÜNDEL, L’œuvre encyclopédique de Raoul Ardent cit., p. 554: «Raoul est lui-même disciple de Gilbert de la Porrée et compte parmi les réprésentants de l’école dite porrétaine, théologiens qui, au XIIe siècle, se distinguèrent par le caractère moderne et autoritaire de leur doctrine. Cette influence se décèle surtout dans les exposés dogmatiques. Mais, dans ses développements moraux, Raoul ne subit aucune influence». 121 Le omelie sono in PL 155, 1301D-1626B, 1665-2118D. Sull’influenza di 119
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Lo Speculum è una vera e propria enciclopedia della fede cristiana suddivisa in quattordici libri, nei quali le esposizioni dogmatiche s’inscrivono in una cornice morale. L’opera è rilevante per la sua attitudine sistematica, per la metodologia scientifica e per la riflessione sul discorso teologico: il panorama, pressoché completo, della materia teologica e filosofica è basato su un presupposto di carattere scientifico-metodologico. La scienza, definita «perceptio mentis infinita infinite comprehendens», è suddivisa in theorica, ethica, logica e mechanica122. Ciascuna disciplina ha un aspetto teorico o speculativo e un aspetto pratico. Raul riprende dal De Trinitate boeziano sia la divisione della scienza teorica o speculativa in fisica, matematica e teologia, sia le definizioni dei rispettivi metodi e oggetti123. Le scienze profane, considerate un dono di Dio, sono collocate all’interno del piano teologico-morale. La scienza rappresenta così il quadruplice rimedio alle conseguenze del peccato originale: riscatto morale e conoscenza scientifica coincidono124. Il testo è corredato da numerose tavole Gilberto nelle omelie, cfr.A. LANDGRAF, Der Porretanismus der Homilien des Radulfus Ardens, in «Zeitschrift für katholische Theologie», 64 (1940), pp. 132-148. 122 Cfr. RADULFUS ARDENS, Speculum universale, ms.Vat. lat. 1175, f. 1r, cit. in GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., I, p. 252, n. 4; tr. it., I, p. 302: «Scientia est vera perceptio mentis infinita finite comprehendens. Dicitur quippe scientia collective. Unde et ars nuncupatur ea videlicet ratione, quum infinitatis confusionem sub certorum locorum et regularum artat et concludit brevitate. Scientia vero sive ars quadrifariam recipit partitionem. Dividitur siquidem in theoricam, ethicam, logicam et mechanicam. Porro theorica est scientia que invisibiles rerum naturas et causas spiritualiter speculatur. Unde theorica id est speculativa nuncupatur. Ethica vero est scientia, que in moribus nos conformat et componit. Unde et ethica dicitur id est moralis. Logica est eloquendi ratiocinandique scientia. Unde et logica dicitur id est sermocinalis sive ratiocinativa. Logos enim grece sermo sive ratio dicitur latine. Mechanica autem est scientia ministrandi ea que sunt necessaria corporee fragilitati (…). Itaque theorica inquirit de re, an sit, quid, quanta, qualis sit, a quo et cur sit. Ethica, quid iustum sit. Logica, quid verum sit, Mechanica ad necessitatis suffragationem». 123 Ulteriori ripartizioni interne caratterizzano ciascuna disciplina: l’articolata classificazione è rappresentata al f. 2v sotto forma di un albero, nelle cui ramificazioni sono raffigurate le singole discipline (cfr. ibid., p. 303). 124 Cfr. RADULFUS ARDENS, Speculum universale, ms.Vat. lat. 1175, f. 1r, cit. in GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., I, pp. 252-253, n. 4; tr. it., I, p. 302: «Has igitur quattuor artes pius et misericors Deus provide nobis contulit, ut essent nobis tamquam quattuor humane fragilitatis molestias sive calamitates. (…) Theorica nimirum medetur igorantie, ethica iniustitie, logica ineloquentie, mechanica miserie. Theorica intellectum illuminat, ethica voluntatem iustificat, logica linguam disertam reddit, mechanica humanam miseriam fulcit».
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riassuntive (arbores) da cui emerge con chiarezza la connessione tra le varie discipline. 2.6.Altre opere Altre opere scritte tra la metà e la fine del dodicesimo secolo possono farsi rientrare in un’area di influenza piuttosto marcata, seppur non esclusiva, della dottrina porretana. Una di queste è la Summa quaestionum theologiae di Maestro Martino, conservata in cinque manoscritti: Cambridge, St. John’s College, 57, ff. 9r-146r; Paris, Bibl. Nat., lat. 14526, ff. 61r -144v, Paris, Bibl. Nat., lat. 14556, ff. 267r-364v; Toulouse, lat. 209, ff. 1r-235r;Troyes, lat. 789; Klosterneuburg, 299. Non si possiedono notizie precise sulla personalità del suo autore125. Si può desumere che egli abbia insegnato a Parigi intorno al 1200. L’opera, che Van den Eynde colloca intorno al 1195, è una compilatio di passi tratti da altre opere, da cui emerge un certo eclettismo dottrinale, con una prevalenza della dottrina porretana126.Tra le fonti del Magister, si incontrano Agostino, Ilario di Poitiers, Origene, Gregorio Magno, Giovanni Damasceno, Boezio e Aristotele. Nonostante nel Prologo l’autore condanni l’uso esasperato della dialettica nel campo teologico, la Summa risente dell’influsso della disputationis disciplina nel corso delle varie dimostrazioni teologiche e del confronto tra le autorità patristiche127. La struttura dell’opera appare modellata sulle Summae di Pietro di Poitiers e Prepositino di Cremona, ma Maestro Martino denuncia un debito dottrinale significativo nei confronti di Simone di 125 Cfr. GRABMANN, ibid., pp. 524-530; tr. it., pp. 619-626; LANDGRAF, Einfürung cit. (cap. 1, alla nota 30), p. 89; ed. fr., pp. 123-124; R. HEINZMANN, Die Compilatio quaestionum theologiae secundum Magistrum Martinum, Ismaning 1964; D. VAN DEN EYNDE, Notices sur quelques Magistri du XIIe siècle, in «Antonianum», 29 (1954), pp. 136-141. 126 Cfr. LANDGRAF, Einfürung cit., p. 89; ed. fr., p. 124: «La Summa questionum n’est pas uniquement un représentant du porrétanisme. Nous y trouvons aussi des textes empruntés à Pierre de Poitiers, Udo, l’École d’Odon d’Ourscamp, ainsi que Simon de Tournai. Maître Martin cite Simon de Tournai, mais non Prévostin, ni Étienne Langton. Il semble donc qu’il faille le placer à la fin du XIIe siècle». 127 Il testo del Prologo è in GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, pp. 525-526, n. 1; tr. it., II, pp. 620-621.
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Tournai e Alano di Lilla, dai quali riproduce alcuni passi pressoché alla lettera128. Inedita è anche l’anonima Summa «Breves dies hominis sunt», che ingloba materiali databili a periodi differenti, ma il cui nucleo essenziale pare essersi costituito tra il 1170 e il 1180. È contenuta nei seguenti mss.: Bamberg, Staatsbibl., Patr. 136 (tutto il codice; il testo è suddiviso in 341 capp.); Oxford, Bodl. Libr., Laud. Misc. 80, ff. 117r-200r (testo completo ma parzialmente diverso dal precedente); Cambrai, Bibl. Munic., 402 (378), ff. 98r-117r (frammento); Paris, Bibl. Nat., lat. 3237, ff. 89r-96r (frammento); Escorial, Bibl. del Real Munasterio, G. IV. 14, ff. 112r-115r (frammento). Il codice di Bamberg è l’unico ad indicare come autore dell’opera Stefano di Langton († 1228): quest’attribuzione, non confermata dagli altri codici, è stata smentita dalla storiografia più recente sulla base del carattere compilatorio del testo conservato a Bamberg e dalla completa assenza di menzione della Summa nei primi cataloghi delle opere di Stefano129. L’opera manifesta una marcata ispirazione gilbertina e una tendenza assiomatica130. Sono presenti caratteristici temi porretani: la distinzione tra natura rei e res naturae in Dio e nelle creature, un notevole sforzo di chiarificazione dei termini usati da Gilberto per designare le nozioni trinitarie, secondo la loro accezione greca e latina, l’inserzione di ampliamenti di carattere liturgico nella sezione finale dedicata ai sacramenti. Gilberto è inoltre citato e lodato in maniera esplicita: «Magnus ille Gilbertus, magnus ille Pictaviensis»131. L’autore della Summa risente anche, come la gran parte dei suoi contempora128 Cfr. DONDAINE, Cinq citations de Jean Scot cit. (alla nota 97), in partic. pp. 304-305. 129 Sulla questione dell’attribuzione della Summa, cfr. O. LOTTIN, La Summa attribuée a Étienne Langton, in ID., Psycologie et morale au XIIe et XIIIe siècle cit.,VI, pp. 125-136; R. QUINTO, Doctor Nominatissimus. Stefano Langton († 1228) e la tradizione delle sue opere, Münster 1994 (BGPTMA, NF 39), in partic. pp. 43-53. 130 Cfr. LOTTIN, La Summa attribuée cit., p. 130: «L’auteur de la Summa nous paraît appartenir, par sa finesse philosophique supérieure à celle d’Étienne Langton, au cercle des théologiens qui, avec Simon de Tournai,Alain de Lille, ont subi fortement l’empreinte de Gilbert de la Porrée pour constituer le groupe des Porretani». Cfr. anche D. VAN DEN EYNDE, Précisions chronologiques de quelques ouvrages théologiques du XIIe siècle, in «Antonianum», 26 (1951), [pp. 223-246], in partic. pp. 243-246; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), pp. 282-283. 131 Cfr. LOTTIN, La Summa attribuée cit., pp. 126-127.
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nei, dell’influenza del Liber sententiarum di Pietro Lombardo, rispetto al quale accentua maggiormente l’aspetto dialettico. Gründel e Lottin hanno separato l’ultima parte della Summa (Summa canonica o De iniungendis penitentiis: un’ampia digressione sul sacramento della penitenza, che può essere accostata ai contenuti del Liber poenitentialis di Alano di Lilla e ad una parte dello Speculum universale di Raul Ardente) dal resto dell’opera (Summa theologica). Gründel ha inoltre evidenziato la dipendenza della Summa dal Poenitentiale di Bartolomeo di Exeter, che farebbe propendere per un’origine inglese dell’opera132. Anche gli opuscoli del teologo toscano designato nell’unico codice che li conserva come «cardinale Laborans» († 1190 ca.) paiono risentire dell’influenza della scuola di Gilberto. Sono opere scritte in un lasso di tempo piuttosto ampio: il De iustitia et iusto (1154-60), il De vera libertate (1144-61), il Contra Sabellianos (1180-90) e il De relativa praedicatione personae in divinis (11801190)133. L’autore studiò a Francoforte, insegnò a Parigi, divenne canonico a Capua prima del 1160, diacono a S. Maria in Porticu nel 1173 e Cardinale a S. Maria in Trastevere nel 1180. Nel 1182 portò a termine una Compilatio decretorum, frutto di un lavoro ventennale, in cui risistemò il Decretum di Graziano in un ordine più logico134. Un ultimo testo che merita di essere preso in considerazione quale testimone dell’influenza indiretta di Gilberto è il Liber de causis primis et secundis et de fluxu qui consequitur eas (circolante come Liber Avicennae in primis et secundis substantiis et de fluxu entis, o De intelligentiis), risalente alla fine del dodicesimo o all’inizio del tredicesimo secolo135. È uno dei testimoni più importanti, assie132 Per una ricostruzione dettagliata, cfr. QUINTO, Doctor Nominatissimus cit., in partic. pp. 45-53. 133 L’edizione delle opere teologiche, conservate nel ms. C 110 dell’Archivio del Capitolo di San Pietro della Biblioteca Vaticana, è in LABORANTIS CARDINALIS Opuscula, a c. di A. Landgraf, Bonn 1932 (Florilegium Patristicum, 32). 134 Cfr. J. M. BUCKLEY, Laborans, in New Catholic Encyclopedia, San Francisco Toronto - Londra 1967; 2a ed., Detroit - Washington 2003,VIII, pp. 265-266. La Compilatio decretorum è conservata nello stesso codice. 135 Il testo del Liber è in R. DE VAUX, Notes et textes sur l’avicennisme latin aux confins des XIIe-XIIIe siècles, Paris 1934, pp. 88-140. Cfr. M.-TH. D’ALVERNY, Une ren-
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me al De anima attribuito a Gundisalvi, della fase iniziale dell’avicennismo latino136. L’opera risente naturalmente dell’influenza di Avicenna, ma anche di Agostino, dello pseudo-Dionigi e di Gregorio di Nissa, conosciuti attraverso le traduzioni e i commenti di Giovanni Scoto. L’intreccio tra analisi filosofica e riflessione teologica appare indissolubile137. L’opera è stata accostata alla tradizione porretana da Marie-Humbert Vicaire, che, basandosi su alcuni paralleli con opere di Porretani maturi come Simone di Tournai138, ha inserito il Liber de causis primis et secundis all’interno di quella tradizione de unitate (la teoria delle processioni dall’unità divina), cui hanno dato un contributo importante l’avicennismo, il neoplatonismo e la stessa scuola di Gilberto. Nell’opera s’incontrano, dunque, la nozione logica di unitas di ascendenza boeziano-porretana e la concezione quasi mistica di unitas di stampo avicennista. L’autore del Liber è portato a vedere nelle cose delle emanazioni provenienti dall’unità divina e a riconoscere la denominazione estrinseca delle cose a partire dal loro principio.Tipicamente gilbertina è l’idea del termine esse usato denominativamente139.
3. I difensori di Gilberto Nel 1962 Antoine Dondaine aprì la sua conferenza presso l’Institut d’Études Médiévales Albert-le-Grand dell’Università di Montréal, dedicata alle opere di quella che egli definì la «piccola scuola» porretana, ricordando l’esito del IV Concilio Lateranense (1215), durante il quale Innocenzo III consacrò l’opera teolocontre symbolique de Jean Scot Érigène et d’Avicenne. Notes sur le «De causis primis et secundis et fluxu qui consequitur eas», in The mind of Eriugena, edd. J. O’Meara - L. Bieler, Dublin 1973, pp. 170-181. 136 Cfr. DRONKE, New Approaches cit. (cap. 2, alla nota 13), p. 127: «It seems clear that some links were made between the ideas of Gilbert and those of Avicenna, as Avicenna’s works reached northern Europe in translations – yet the precise beginnings and the extent of these links remain obscure». 137 Cfr. DE VAUX, Notes et textes cit., p. 72: «Il semblerait qu’ici l’auteur élimine de ses matériaux ce qui serait spécifiquement chrétien, ou plus exactement peutêtre, ce qui apparaîtrait comme une intrusion de la théologie dans le domaine rationnel où il a l’intention de se maintenir». 138 Cfr.VICAIRE, Les porretains et l’avicennisme cit. (cap. 1, alla nota 24), pp. 471472. 139 Cfr. ibid., pp. 460-461.
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gica di Pietro Lombardo, oggetto frequente di critiche da parte dei discepoli di Gilberto, impegnati nel difendere il proprio maestro dalle accuse che gli erano state rivolte a Reims140. Ma la querelle porretana, fece notare Dondaine, non fu un semplice episodio della storia dottrinale della seconda metà del secolo XII. Per verificare se i difensori del vescovo di Poitiers avessero ricoperto effettivamente un ruolo importante nell’opera di recupero dei Padri, specie dei Padri greci, Dondaine si dedicò ad un nuovo approfondimento del dossier porretano. Non tutti i Porretani facevano un uso continuo delle autorità patristiche, bensì coloro che Paul Fournier aveva riunito sotto l’etichetta di «petite école», un gruppo di discepoli particolarmente tenaci, attivi negli ultimi decenni del secolo XII141. Una piccola scuola, commenta Dondaine, ma coerente, combattiva, risoluta e compatta, nonostante la dispersione geografica dei suoi componenti. Dondaine individuò alcune caratteristiche comuni agli scritti della piccola scuola: l’abbondanza delle citazioni patristiche latine e greche142, la reiterata accusa di arianesimo e soprattutto di sabellianesimo rivolta agli avversari (rimprovero presente già in Gilberto), la critica alle formule che Bernardo aveva preteso che Gilberto sottoscrivesse a Reims (in particolare la prima «Deus est deitas» e la quarta «quidquid est in Deo, Deus est»), l’uso dell’ablativo per esprimere la relazione tra Dio e l’essenza divina («deitas qua Deus est»), il frequente richiamo all’autorevolezza di Gilberto e infine l’utilizzo 140
Cfr. supra, nota 106. Cfr. DONDAINE, Écrits cit. (cap. 1, alla nota 69), p. 12. Il riferimento è a FOURNIER, Un adversaire inconnu cit. (cap. 1, alla nota 69), in partic. p. 396. I «Porretani dei manuali e dei repertori» sarebbero quelli indicati da HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), pp. 34-35: «Les disciples du Porrétain furent nombreux, et plusieurs d’entre eux furent éminents. À côté de Jean de Salisbury que nous venons de citer, il faut ranger sans doute Othon de Freisingen et sûrement Raoul Ardent, Jean Beleth, Yves de Chartres, Jordan Fantasme, Nicolas d’Amiens, Étienne d’Alinerra, Hugues de la Rochefoucauld, proposé au siège de Bordeaux, Pierre, adversaire par ailleurs inconnu de Gerhoh de Reichersberg, le chanoine A. de Saint-Ruf, les auteurs anonymes du Liber de diversitate nature et persone, des Sententiae Divinitatis, de deux commentaires de saint Paul (…), peut-être celui du Liber de unitate et uno, plusieurs membres de la Cour romaine, etc.». A questi, Dondaine aggiunge Everardo d’Ypres, i cui testi nel frattempo erano stati scoperti ed editi da Jean Leclercq e Nikolaus M. Häring. Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit. (cap. 1, alla nota 70), p. 90: «Nous sommes persuadés que le nombre des Porrétains intégristes fut des plus limité: il s’agit bien d’un petit cercle fermé». 142 Cfr. ID., Écrits cit., p. 63. 141
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dei suoi metodi dialettici, come la translatio vocabulorum a facultate naturali ad theologica143. Dondaine ha prima diviso i testi secondo un criterio geografico in tre gruppi: quelli provenienti dal sud della Francia (il De vera philosophia e il suo parallelo contenuto nel ms. Città del Vaticano, Bibl.Apost.Vat., Rossianus 212, le opere di Ademaro di San Rufo, le Introductiones breves ad fidem sanctae Trinitatis, il frammento della Brevis controversia de unitate sanctae Trinitatis), quelli di provenienza germanica (le opere di Ugo di Honau, le lettere indirizzate dallo stesso Ugo e da Pietro di Vienna a Ugo Eteriano), quelli provenienti da Costantinopoli (le opere di Ugo Eteriano); poi ne ha evidenziato i collegamenti reciproci. Non solo gli ultimi due gruppi sono intimamente legati tra loro, ma anche i primi due:Ademaro inviò infatti una copia della sua Collatio in Germania, probabilmente a Ugo di Honau. Il cerchio si chiude se si pensa che molte delle note a margine del De vera philosophia sono tratte dal De sancto et immortali Deo di Ugo Eteriano. Questi triplici collegamenti danno corpo al piccolo gruppo dei Porretani intransigenti della fine del secolo144. 3.1. Il Liber de vera philosophia e Ademaro di San Rufo Il Liber de vera philosophia, conservato anonimo nel ms. Grenoble, Bibl. mun. 1085, ff. 3r-110r (proveniente dalla Grande Certosa) e ancora inedito145, fu scoperto da Paul Fournier146 che, dopo averlo inizialmente attribuito a Gioacchino da Fiore147, lo inserì tra le 143 Ma quest’ultima caratteristica, nota Dondaine, è comune ai Porretani «de toutes nuances». 144 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 62. Secondo Riccardo QUINTO, Trivium e teologia cit. (cap. 1, alla nota 99), p. 462, questi elementi mostrano come lo sviluppo del pensiero filosofico e teologico non fosse legato ad un solo centro intellettuale: l’insegnamento di Gilberto, nonostante l’esito del Concilio di Reims, rifiorì in centri tra loro molto distanti, da Parigi alla Francia meridionale, dall’Italia centro-settentrionale alla Germania. 145 Il Liber, trascritto verso la fine del secolo XII, è arricchito da numerosi rinvii ai testi delle raccolte teologiche citate e da due serie di note, appartenenti l’una allo stesso copista dell’opera, l’altra a una mano diversa, ma contemporanea. 146 Cfr. FOURNIER, Un adversaire inconnu cit.; GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, pp. 434-437; tr. it., II, pp. 515-518; DONDAINE, Écrits cit., pp. 20-25. 147 Le analogie riscontrate tra il Liber e gli scritti di Gioacchino da Fiore in-
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testimonianze dell’attività e dell’ostinazione dei partigiani del vescovo di Poitiers, datandolo tra il 1180 e il 1190148. L’autore, presumibilmente un alto prelato, probabilmente un abate o un priore149, conosce molto bene sia la letteratura profana che quella religiosa e possiede anche preziose nozioni di patristica greca, acquisite forse durante alcuni viaggi in Oriente: sono citati infatti Atanasio, Crisostomo, Didimo, Gregorio Magno, Girolamo, Ilario,Ambrogio, Leone Magno, Fulgenzio, Boezio, Cassiodoro, Beda, encicliche papali, decreti conciliari150. Malgrado la sua erudizione e la sua conoscenza del greco, egli si dimostra diffidente verso la scienza umana151. Non a caso, nel prologo afferma con chiarezza che scopo del suo lavoro è insegnare la vera fede, ormai dappertutto dimenticata e ricorda come lo scopo della vera philosophia sia la conoscenza di Dio. L’opera è composta da dodici sezioni che trattano, senza un vero ordine sistematico, temi trinitari e cristologici e si rivolgono polemicamente contro Greci, Ebrei, Manichei, Ariani, Sabelliani e anche contro i teologi «moderni», suoi contemporanei, accusati di essere in errore e di avere male interpretato le sentenze dei
dussero Fournier a vedere in Gioacchino «le disciple, sinon de Gilbert de la Porrée lui-même, au moins de ses élèves. (…) C’est ainsi que toute la postérité mystique de Joachim de Flore, les Spirituels et les Fraticelles du XIIIe siècle et du XIVe (…) descendent, par l’intermédiaire de l’abbé de Flore, d’un théologien fort peu mystique, Gilbert de la Porrée». La tesi dell’influenza di Gilberto su Gioacchino è stata più volte messa in discussione: cfr., ad es., M. W. BLOOMFIELD, Joachim of Flora: A Critical Survey of His Canon,Teachings, Sources, Biography and Influence, in «Traditio», 13 (1957), pp. 249-311. 148 Cfr. FOURNIER, Études cit., p. 53: «La petite église des disciples de Gilbert de la Porrée devait survuvre à son chef comme à saint Bernard; elle existait encore à la fin du XIIe siècle et n’avait point cessé de lutter pour esquiver les condamnations doctrinales dont elle avait été frappée et pour renvoyer à ses adversaires l’accusation d’hérésie». 149 È l’ipotesi suggerita da Fournier. P. MANDONNET («Bulletin critique», II série, 7 [1901], pp. 70 e seqq.) ritiene invece che l’opera provenga dagli ambienti del clero secolare, dove si nutrivano forti simpatie per Gilberto. 150 Le citazioni di Atanasio da parte di Gilberto e dei Porretani sono in realtà tratte dal Contra Arianos, Sabellianos, Photinianos Dialogus di Vigilio di Tapso (PL 62, 155A-238A), di cui Atanasio è un protagonista (cfr. COLKER, The Trial of Gilbert of Poitiers cit. [cap. 2, alla nota 74], p. 175). 151 Cfr. Liber de vera philosophia, ms. Grenoble, Bibl. mun. 1085, f. 8v (cit. in FOURNIER, Études cit., pp. 57-58): «Sapientia huius mundi stultitia est apud Dominum; item prudentia carnis mors est, quia naturas rerum sequitur, et nihil putat Deum posse praeter quod in naturis rerum videt».
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Padri152. L’autore del Liber accusa indistintamente Guglielmo di Conches, Pietro Abelardo, Bernardo di Clairvaux, l’autore della Summa sententiarum e Pietro Lombardo di rinnovare l’eresia sabelliana, che egli vede incarnata nella formula «quicquid est in Deo Deus est», sostenuta a Reims dagli avversari di Gilberto e contestata con forza dall’autore del Liber. Nel corso dell’opera, questi si rivela un accanito sostenitore delle teorie di Gilberto (peraltro mai citato esplicitamente), a partire da un resoconto del Sinodo decisamente favorevole al maestro153. Fournier ha elencato una serie di idee comuni al Liber e a Gilberto, basate sulla fondamentale distinzione, di origine boeziana, tra la persona (quod est) e la natura (quo est): da qui la distinzione tra la natura e le relazioni tra le persone, quella tra le persone divine e la natura divina, l’inapplicabilità della parola «Trinità» alla natura divina, la dottrina degli attributi divini154, la definizione di Cristo come unione di due quo est, ossia della natura divina e di quella umana, che insieme informano la persona di Cristo. I moderni sabelliani 152
L’elenco delle sezioni è in FOURNIER, Études cit., pp. 59-60. Cfr. Liber de vera philosophia, ms. Grenoble, Bibl. mun. 1085, f. 90v (cit. ibid., pp. 62-63): «Super verbo quippe isto, contra quemdam episcopum qui hoc verbum non concedebat, mota fuit aliquando quaestio in Remensi concilio coram papa Eugenio; cui iudicio eiusdem domini papae in eodem concilio Dominus tantam sapientiam contulerat quantam nulli contulerat temporibis illis; de qua post multos dies inter solos episcopos sufficienter disputatum est; sed prorsus nihil inde diffinitum est; quia omnino sine iudicio, prudenti tamen consilio, dimissa est in dubio. Hoc enim verbum tunc manutenebat bonis clericis, ut dicebatur, semper invidiosus, quidam sub quo fuerat monachus papa tertius Eugenius et alii quamplures tum favore istorum, tum invidia episcopi et suorum, tum quia non erant in hac doctrina diu exercitati, sicut saepe contigit, ut in confessione Berengarii patet coram Nicolao papa in Romano concilio, et in Boetio de Trinitate, quarta quaestione. Qui cum viderent episcopum non solum rationibus irrefragabilibus, sed etiam expressis auctoritatibus per omnia viriliter resistentem, auctoritates tam multas non ausi sunt dampnare, ne sic ipsi se ipsos manifeste probarent haereticos; si autem et quod dixerant ipsi huc usque contra eum dampnaret, quod vix aliquis facit, similiter se ipsos evidentissime ostenderent haereticos fuisse; quapropter medium iter utrumque tenentes, nihil prorsus inde diffiniendo utramque partem prorsus reliquerunt intactam, rogantes episcopum ut infirmis mentibus profunda Dei profunde non praedicaret, sed condescendens humilibus prout oportere videret sapientiam suam ut proficeret sapienter temperaret. Si enim dominus papa et concilium super hoc aliquid decrevissent, sicut alia eorum decreta scribuntur sic scriberetur et istud et sub poena observandum praeciperetur». 154 Secondo cui proprietà quali la bontà, la grandezza, la giustizia, non si riferiscono a Dio ma alla natura divina. 153
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sono inoltre accusati di non saper interpretare i testi dei Padri, poiché ignorano le distinzioni necessarie e i modi del linguaggio e intendono in senso proprio parole che hanno un senso figurato, come le similitudini e gli equivoci155. L’autore del Liber trae dai Commenti di Gilberto non solo numerose idee, ma anche interi passaggi testuali. È inoltre significativo il fatto che l’autore mostri la sua preferenza per la teologia dei greci piuttosto che per quella agostiniana: lo si può dedurre dal numero delle citazioni (da Atanasio, Crisostomo, Gregorio di Nazianzo,Teodoreto, Giovanni Damasceno) e dalle soluzioni di alcune questioni, specie quelle legate al dogma trinitario156. L’autore del Liber de vera philosophia non si limita a combattere le dottrine dei più importanti maestri dell’epoca (escluso Gilberto): la dodicesima sezione è costituita, infatti, da una raccolta di testi patristici in dodici parti, frutto della consultazione della Collatio di un certo Magister A. dictus Sancti Ruphi canonicus, presentato come un uomo venerabile per età e saggezza che, tra il 1148 (Sinodo di Reims) e il 1179 (Concilio Lateranense III), andò alla ricerca nelle biblioteche conventuali di Francia, Spagna, Italia e Grecia di una fonte patristica che contenesse la proposizione «quidquid est in Deo Deus est» o una frase di analogo significato157. Egli era infatti convinto, al pari dell’autore del Liber, che quella proposizione rappresentasse la causa e l’origine del Sabellianesimo158. Il risultato 155
Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 22. Cfr. FOURNIER, Études cit., pp. 90-91. 157 Cfr. Liber de vera philosophia, ms. Grenoble, Bibl. mun. 1085, f. 90v (cit. in FOURNIER, Études cit., pp. 74-75): «Fuit temporibus nostris quidam magister A. dictus Sancti Ruphi canonicus, homo magnus aetate sed multo maior sapientia et religione et dignitate, qui a concilio Remensi a papa Eugenio celebrato, ex quo caeperunt huiusmodi novitates crebrescere, usque ad concilium fere Romanum ab Alexandro papa celebratum non cessavit studiosissime cum omni diligentia inquirere per infinitas ecclesias et monasteria Galliarum et Hispaniarum et Italiae et etiam Graeciae, universos sapientes interrogando, et legendo et relegendo innumerabilia volumina quaecumque de sancta Trinitate vel eius unitate dicebantur aliqui intimare, utrum scilicet verbum istud: ‘Quicquid est in Deo Deus est’, esset alicubi ab aliquo sancto scriptum vel aliud aliquod verbum unde istud posset perpendi.Videbatur enim sibi istud verbum esse causa et origo fere omnium novitatum ex quibus videbatur haeresis Sabelliana procul dubio resuscitari». 158 VALENTE, Alla ricerca dell’autorità perduta cit. (cap. 1, alla nota 104), ha seguito le tracce della formula «Quidquid est in Deo Deus est» nelle opere dei Porretani, traendone le seguenti conclusioni: «I diversi approcci al principio ‘Quidquid est in Deo, Deus est’ mostrano chiaramente come l’esigenza di mettere d’accor156
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delle trentennali ricerche fu negativo, tuttavia il maestro, che la storiografia recente ha identificato con Ademaro, sacrista di San Rufo nel 1158, raccolse in una collectio composta di 24 distinctiones il frutto delle sue letture patristiche in merito alla Trinità, all’Incarnazione e all’eucarestia. Fece poi ricopiare più volte la raccolta, facendone anche pervenire una copia al papa Alessandro III, una alla chiesa di Maguelonne, una all’abbazia di Psalmodi, una in Germania, una a Valence e una all’anonimo autore del De vera philosophia, che scrive di averla lasciata a Gerusalemme per cui può presentare solo un riassunto del contenuto delle 24 distinctiones della Collectio159. L’intento di Ademaro era evidentemente quello di rendere ragione delle opinioni di Gilberto, scagionandole dalle censure subite a Reims. La Collatio non è stata ancora ritrovata, ma è possibile ricostruirne la struttura160. do autorità e ragione nel XII secolo abbia avuto negli scritti porretani più che in altri la funzione di stimolo per la produzione di pensiero critico. Nelle opere porretane più antiche, lo sforzo di raggiungere questo accordo ha prodotto pensiero logico-semantico (…) in particolare nel senso di una distinzione dei piani, quello del linguaggio e quello della realtà. Nelle opere porretane più tarde, tale sforzo si manifesta piuttosto in una presa di posizione critica di fronte alla tradizione: non è sufficiente che un testo sia tramandato come autorità perché esso debba essere accettato acriticamente come autentico. La critica degli ultimi Porretani non sembra aver avuto un grande seguito (…)». Cfr. anche HAYEN, Le Concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), p. 52, nota 4. 159 Cfr. Liber de vera philosophia, ms. Grenoble, Bibl. mun. 1085, f. 90v (cit. in FOURNIER, Études cit., p. 75): «Quarum in volumine compositionem vocavit Collectionem, quam distinxit per XXIIII distinctiones. Qua per multas transcripta, unam dedit Romae Eugenio praedicto papae qui eam suscepit cum multa gratiarum actione, et eam didicit ab ipso praedicto A. tamquam discipulus sine omni pudore: alium quoque librum eiusdem collectionis dedit Magalone; alium Psalmodiensi abbatiae; alium misit Alemanniae; alium dedit Valentiae, ecclesiae Sancti Ruphi, cum alio tractatu de Trinitate; alium et mihi quem Jerosolimis reliqui». I titoli delle distinctiones della Collectio sono riportati da FOURNIER, ibid., pp. 76-77. 160 HÄRING, Die Vätersammlung cit. (cap. 1, alla nota 61), ha pubblicato una lista delle autorità citate nel Liber, contandone ben 185. Lo stesso Häring ha inoltre individuato nei mss. 240, ff. 70v-124v e 295, ff. 1r-71r, un’abbreviazione, composta da 311 citazioni, della compilazione originale (cfr. ID., Eine zwettler Abkürzung der Vätersammlung Adhemars von Saint-Ruf (Valence), in «Scholastik», 41 [1966], pp. 30-53) e pubblicato una compilazione di origine porretana di dodici testi patristici sul dogma trinitario, contenuta nel ms. Paris, Arsenal 1117B, ff. 394v-395v, in calce ai commentari di Gilberto e a un epitaffio a lui dedicato (cfr. ID., In search of Adhemar’s Patristic Collection cit. [cap. 1, alla nota 61]). Mentre non è in grado di accertare la relazione tra quest’ultima compilazione e la Collatio di Ademaro, Häring non ha dubbi sul fatto che quest’ultima sia stata utilizzata dall’autore della compilazione scritta intorno al 1200, contenuta nel ms. Dublin,
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
Di Ademaro si sa ben poco: probabilmente nacque all’inizio del secolo, dato che l’autore del Liber de vera philosophia lo definisce «homo magnus aetate» e parla di lui al passato. Il fatto che ebbe la possibilità di visitare così tante biblioteche in vari paesi d’Europa fa supporre che egli ricoprisse un’elevata posizione nel suo ordine. Häring ha avanzato l’ipotesi che il suo entusiasmo per Gilberto fosse basato su un contatto diretto avvenuto a Chartres, a Parigi o a Poitiers, dove studiò nello stesso periodo un altro canonico regolare, Ugo di Honau161. Dal Liber de vera philosophia apprendiamo anche che Ademaro allegò alla copia della Collectio inviata alla chiesa di Valence un suo Tractatus de Trinitate162. L’opera, trasmessa con il titolo Defensio orthodoxae fidei Gilberti Porretae praesertim ex auctoritatibus patrum et Boetii libro de Trinitate contexta dal ms.Vat. lat. 561, ff. 171r-282r (fine dodicesimo secolo), è stata portata alla luce da Hermann Usener163, attribuita a Nicola di Amiens da Martin Grabmann164, riconosciuta come opera di Ademaro e analizzata da Franz Pelster165 e poi edita da Nikolaus Häring166. La prima parte del codice (ff. 2r-170v) contiene una versione dei commentari di Gilberto a Boezio. Pelster identificò l’autore del De Trinitate sulla baTrin. Coll. 303 ed edita da COLKER, The Trial of Gilbert of Poitiers cit. (cap. 2, alla nota 74), pp. 171-180. Molti dei trentuno testi contenuti nella compilazione del manoscritto dublinese si ritrovano infatti nell’abbreviazione conservata a Zwettl. Cfr. HÄRING, In search of Adhemar’s Patristic Collection cit., p. 346: «The Dublin compilation is derived not from some patristic collection put together by Gilbert but from the collection made by Adhemar. Since historical records show that Gilbert did not believe in patristic excerpts, Adhemar’s idea of compiling a patristic collection was not exactly in keeping with his master’s method of using books rather than pieces culled from various sources and deprived of their context. However, it must be granted that originally Adhemar did not plan such a compilation. It was, as we have seen, a by-product of his search for a certain theological principle in the writings of the Fathers.The traces of the collection testify to the importance attributed to it by scholars attached to Gilbert». 161 Cfr. ID., The Tractatus de Trinitate by Adhemar cit. (cap. 1, alla nota 52), in partic. p. 117. 162 Cfr. supra, nota 159. 163 Cfr. USENER, Gislebert de la Porrée cit. (cap. 1, alla nota 14). 164 Cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, pp. 432438; tr. it., II, pp. 543-550. 165 Cfr. PELSTER, Die anonyme Vertidigungschrift cit. (cap. 2, alla nota 69). 166 Cfr. HÄRING, The Tractatus de Trinitate by Adhemar cit. (il testo è alle pp. 119-206).
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
se delle numerose notule a margine che rimandano con precisione ai titoli delle distinctiones della Collatio perduta, riportati nel Liber de vera philosophia e pubblicati da Fournier167. Il titolo Tractatus de Trinitate è riportato dall’autore del Liber ma non è contenuto nel manoscritto. Ademaro presenta l’opera come un commento al De Trinitate boeziano, il cui testo è riportato interamente nel margine interno del testo. Il trattato inizia con la denuncia degli errori opposti di Ario e di Sabellio, prosegue con la presentazione in parallelo di citazioni dei Padri e dell’opera boeziana: il procedimento dimostrativo procede uniformemente mettendo in evidenza ogni singola sentenza boeziana, cui viene offerto il sostegno delle fonti patristiche latine (Agostino, Ilario, Girolamo, Ambrogio) e greche (Atanasio, Didimo, Gregorio di Nazianzo, Origene, pseudo-Dionigi, Sofrone,Teodoreto)168.Assieme a Boezio, l’autore non manca di lodare il maestro Gilberto169. Antoine Dondaine fu anche il primo a segnalare uno «scritto porretano» contenuto nel ms. Città del Vaticano, Bibl.Apost.Vat., Rossianus 212, ff. 96r-151r, che consiste in un trattato dedicato alla Trinità, all’Incarnazione e all’eucarestia. Lo studioso ha ipotizzato che si tratti di un antecedente, una fonte del Liber de vera philosophia. I titoli delle dieci distinzioni in cui è suddivisa la ma167 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 33: «Nous sommes tenté d’attribuer à Adhémar lui-même ces notules marginales du codex 561. Si l’induction est légitime, elle tendrait à faire voir dans ce manuscrit un exemplaire d’auteur, peut-être la transcription en clair de l’original». 168 Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit. (cap. 1, alla nota 60), p. 194 riporta diversi casi in cui Ademaro, che non conosceva la lingua greca, fa riferimento ad opere spurie. 169 Cfr. ADHEMARUS DE SANCTO RUFO, Tractatus de Trinitate, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 52), pp. 125-126: «Hunc autem Boetii tractatum ad praedicamentorum notitiam, ad philosophicam naturalium considerationem, ad theologicorum intelligentiam multum perutilem sed horum inexpertis et ignorantibus ista valde difficilem, magister Gislebertus piae recordationis Pictavensium episcopus, inquantum materiae difficultas permittebat, diligenter exposuit. Quia vero in theologicorum expositione suis propriis utendo verbis ex sanctorum auctoritatibus loquutus est nec auctoritates ipsas quarum testimoniis quae scribebat firmaret interposuit, quidam penitus quae scripserat ignorantes, sine artium veritate logici, sine philosophiae notitia philosophi, sine fide Catholici, ex invidia tabescentes, ex superbia praesumentes, in commentum quod super hoc opus fecerat detractionis venenum effuderunt excelsis clamoribus tonantes magistrum Gislebertum scripsisse contra fidem. Quod in Remensi Concilio ubi ex sanctorum auctoritatibus se et scriptum suum viriliter defendit falsissimum esse apparuit».
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
teria teologica richiamano, infatti, i titoli del Liber e denunciano una chiara matrice porretana170. Il contenuto è simile ma più breve e disposto in una maniera differente. Il testo è inoltre privo di riferimenti polemici nei confronti di maestri contemporanei e non contiene alcuna allusione alla Collatio di Ademaro. Le due opere utilizzano le stesse fonti patristiche, comprese quelle orientali, e sono seguite da due raccolte di sentenze dei Padri che sembrano riassumere un medesimo florilegio. Nel codice Rossianus, esse sono collocate ai ff. 134v-151r, mentre nel Liber si trovano ai ff. 102v-109v, ben differenziate dalle distinctiones della Collatio di Ademaro, con cui condividono tuttavia la scelta delle fonti e dei tre oggetti principali. 3.2. Ugo di Honau, Pietro di Vienna, Ugo Eteriano In un capitolo della sua Storia della filosofia tedesca nel medioevo, Loris Sturlese ha delineato i contorni del movimento dei Porretani tedeschi, capeggiato da Pietro di Vienna († 1183)171 e Ugo di Honau († 1190, membro della cappella imperiale degli Staufer, diacono del Sacro Palazzo sotto l’imperatore Federico Barbarossa)172, membri di quel primo piccolo ma combattivo gruppo di teologi che introdusse in Germania l’uso raffinato e sistematico della dialettica, l’interesse per le fonti patristiche greche e per le questioni di teologia trinitaria, tutte cose assorbite presso Gilberto in Francia173. Ugo e Pietro erano consapevoli di costituire una vera e propria avanguardia: attraverso le loro opere la filosofia di Gilberto si esprimeva per la prima volta con voce propria in terra tedesca,do170 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 34.A questo trattato, Häring ha dato il nome di Summa Porretana: cfr. ID., In search of Adhemar’s Patristic Collection cit., in partic. pp. 337-338. 171 Cfr. FICHTENAU, Magister Petrus von Wien cit. (cap. 2, alla nota 124); VAN DEN EYNDE, Notices sur quelques Magistri cit. (alla nota 125), pp. 130-132. 172 Cfr. G. MICHIELS, s. v. Ugo di Honau, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, XXV, Paris 1995, coll. 237-238. 173 Tra i membri del gruppo dei Porretani tedeschi, STURLESE, Storia della filosofia tedesca cit. (cap. 1, alla nota 93), p. 115, cita i vescovi Eberardo di Bamberg, Anselmo di Havelberg e Ottone di Frisinga, il suo segretario Rahewino di Frisinga, l’abate Adamo di Ebrach, il cancelliere imperiale Rainaldo di Dassel come i componenti di quel circolo di intellettuali, dignitari ecclesiastici e uomini politici istruiti nelle scuole di Francia, in cui si mossero e trovarono consenso Ugo di Honau e Pietro di Vienna.
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ve subì una radicale teologizzazione, focalizzandosi in particolare su temi trinitari e cristologici (a partire dalla questione capitale della distinzione tra natura e persona)174. Inoltre – nota Sturlese – i principali Porretani tedeschi sono tutti insediati o collegati alla cappella di corte degli Staufer, centro nevralgico del potere politico, particolarmente incline – come notò per primo Classen – alle nuove idee provenienti dalla Francia. Nella parabola dei Porretani tedeschi, dei quali Ottone di Frisinga rappresenta una sorta di precursore, possono distinguersi due fasi, legate a due ambienti diversi: la polemica con Gerhoh di Reichersberg e la presa di contatto con l’ambiente bizantino175. 174
Cfr. CLASSEN, Zur Geschichte der Frühscholastik cit. (cap. 2, alla nota 29). Cfr. STURLESE, Storia della filosofia tedesca cit., pp. 121-122: «Certo è che la forte presenza in questo ambiente di grandi dignitari ecclesiastici inclini più alla discussione teologico-dogmatica che al dialogo filosofico – e furono questi i veri interlocutori dei ‘Porretani’ –, ebbe a condizionare gli interessi e le strategie di questi ultimi. Così si spiega, probabilmente, il carattere marcatamente teologico che Pietro ed Ugo diedero alla loro ricerca. Il loro maestro Gilberto di Poitiers era bensì un teologo, ma non si deve dimenticare che le sue tesi trinitarie che avevano suscitato tanto scandalo, sino a portarlo in giudizio davanti al sinodo di Reims, erano la conseguenza di riflessioni di natura squisitamente filosofica, e cioè derivavano dall’approfondimento in senso realista e platonico della distinzione aristotelico-boeziana fra sostanza prima (res naturae, persona) e sostanza seconda (ousia, substantia) e sul carattere fondativo che la seconda ha rispetto alla prima». 175 Tuttavia le due fasi e i due eventi, secondo l’acuta interpretazione di Sturlese, sono tra loro collegati: i tentativi fatti negli anni ’70 del secolo a Costantinopoli da Pietro e Ugo per conquistare alla causa porretana il dotto Ugo Eteriano, possono considerarsi l’ideale prolungamento della polemica teologica scatenata da Gerhoh vent’anni prima, sia per l’affinità dei temi trattati (trinitari e cristologici), sia perché è molto probabile che le loro dottrine suscitassero resistenze anche dopo la morte di Gerhoh (1169), specie negli ambienti monastici conservatori tedeschi. I tentativi di Pietro e Ugo appaiono quindi a STURLESE (Storia della filosofia tedesca cit., p. 124) non soltanto il frutto di «curiosità intellettuale, ma anche, e forse soprattutto, lo sviluppo di una strategia di difesa delle discusse teorie del vescovo Gilberto Porretano». Ciò che può sorprendere, argomenta Sturlese, è, da una parte, che Pietro e Ugo abbiano cercato alleati a Costantinopoli, piuttosto che entrare in contatto con l’influente corrente di pensiero che in Francia si richiamava a Gilberto e intendeva apertamente proseguirne l’opera, dall’altra, che l’immagine corrente della cultura tedesca nel dodicesimo secolo come isolata roccaforte della conservazione venga messa in discussione dalla presenza di due teologi informati, impegnati e decisi sostenitori di dottrine così moderne e avanzate come quelle di Gilberto. Un’altra importante testimonianza dei contatti tra l’Occidente latino e la frontiera dell’Oriente greco, in cui giocò un ruolo di primo piano la corte imperiale tedesca, è rappresentata dall’Anticimenon, opera composta dal vescovo Anselmo di Havelberg, anch’egli ammiratore dei «sapientissimi Greci», intorno al 1150: cfr. ibid., pp. 124-133.
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Il primo dei documenti che autorizzano a parlare di una scuola porretana in Germania è una lettera inviata da Gerhoh di Reichersberg a Pietro di Vienna nel 1154176: una vera e propria invettiva di risposta ad una missiva (perduta) di Pietro, che avrebbe usato argomenti dottrinali porretani a proposito delle due nature in Cristo. Nel 1155 Pietro scrive al vescovo di Frisinga attaccando la posizione di Gerhoh a proposito dell’umanità e divinità del Cristo risorto177.Venuto a conoscenza di questa seconda lettera, Gerhoh risponde accusando Pietro, che era noto come uno «discipulorum magistri Gilberti», di non saper distinguere neppure le categorie aristoteliche178. Molti anni dopo, intorno al 1171, Pietro affida al maestro Ugo di Honau, membro della cappella imperiale, diretto a Bisanzio per compiere una missione diplomatica affidatagli dall’imperatore Federico I, una lettera commendatizia per Ugo Eteriano (nato tra il 1110 e il 1120 e morto prima del 7 dicembre 1182), un dotto e influente teologo pisano residente, assieme al fratello più giovane Leone Toscano, interprete, nella capitale dell’impero d’Oriente in qualità di consigliere culturale del Basileus Manuele I Comneno († 1180)179. Nella missiva Pietro accenna alle trattative 176 Testo in GERHOHUS REICHERSBERGENSIS, Opera inedita, 2 voll., I: Tractatus et libelli cura et studio PP. Damiani ac Odulphi van den Eynde et P. Angelini Rijmersdael. Accedunt Gerhohi epistolae tres quas vel primo vel integras edidit Petrus Classen, Roma 1955, pp. 357-366. Cfr. anche l’importante lettera al dotto vescovo Eberardo di Bamberg: H. WEISWEILER, Drei unveröffentlichte Briefe aus dem christologischen Streit Gerhohs von Reichersberg, in «Scholastik», 13 (1938), pp. 22-48. Cfr. infine i riferimenti contenuti nella fondamentale biografia di P. CLASSEN, Gerhoch von Reichersberg,Wiesbaden 1960. 177 Il testo della lettera, incompleto, è in H.WEISWEILER, Das wiederaufgefundene Gutachten des Magister Petrus über die Verherrlichung des Gottessohnes gegen Gerhoh von Reichersberg, in «Scholastik», 13 (1938), pp. 225-246, in partic. pp. 231246. 178 Cfr. GERHOHUS REICHERSBERGENSIS, Epistola cit. (cap. 2, alla nota 119), 604B. 179 Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit. (cap. 1, alla nota 70); M. V. ANASTOS, Some aspects of Byzantine influence on Latin thought, in Twelfth-Century Europe cit. (cap. 2, alla nota 11), pp. 140-149. La data del 7 dicembre 1182 è quella di una lettera con cui papa Lucio III annuncia a Leone Toscano la morte del fratello, che lui stesso aveva elevato pochi mesi prima dal laicato al cardinalato. Il testo della lettera è in A. M. BANDINI, Catalogus codicum latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, IV, Firenze 1772, coll. 632-633; poi in G. MÜLLER, Documenti sulle relazioni delle città toscane coll’Oriente cristiano e coi Turchi, Firenze 1879, pp. 24-25.
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in corso per la riunificazione delle due Chiese e chiede all’Eteriano, con cui era già entrato in contatto180, testi e informazioni sul pensiero dei Padri greci intorno alla differenza tra natura e persona, accludendo una breve dichiarazione sul modo in cui, a suo parere, e in piena sintonia con la dottrina porretana, in Dio debbano coincidere res naturae (espressa dal termine Deus) e natura rei (espressa dal termine deitas).Allo stesso argomento sono dedicate altre due lettere (datate rispettivamente 1173-76 e 1177-78) che Ugo di Honau, non riuscendo ad ottenere un colloquio con l’Eteriano, gli indirizzò personalmente181. La prima delle due lettere, in particolare, testimonia il filo-ellenismo culturale dello scrivente – che non sorprende in un allievo di Gilberto, la cui curiosità per i Padri greci l’aveva condotto sino ai rari testi di Teodoreto e di Sofronio182 – e si caratterizza per le dieci questioni teologiche poste all’Eteriano, che rispecchiano gli interessi preminenti della scuola dei Porretani tedeschi183. Solo nel 1179, in occasione di una nuova legazione a Bisanzio successiva al Concilio, Ugo di Honau si vide consegnare dall’Eteriano non solo l’opuscolo De differentia naturae et personae, ma anche il trattato De sancto et immortali Deo184. 180 Cfr. la ricostruzione degli eventi in HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., pp. 197-200. 181 Le tre lettere, raccolte nel ms. 188 della Bibl. mun. di Colmar, ff. 33v-35v (dove sono significativamente seguite dal commento boeziano alle Categorie), sono state edite da DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., pp. 128-132 e poi da HÄRING, The Liber de differentia cit. (cap. 1, alla nota 50), pp. 16-21. Cfr. ibid., pp. 15-16: «It has been known for some time that the Canons Regular displayed a special interest in Gilbert’s cause.This is here confirmed by the fact that the library of Marbach Abbey procured a copy of Hugh Etherian’s compilation and the correspondence between one of their confrères, Hugh of Honau, and the famous Pisan in Constantinople». 182 Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit. 183 Le dieci questioni sono elencate in STURLESE, Storia della filosofia tedesca cit., p. 119, che commenta: «è il tipico labirinto terminologico e concettuale della scuola porretana, nel quale Ugo, come Pietro di Vienna, si muove con evidente soddisfazione non disgiunta, come pare, da una certa agevole facilità». 184 Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., p. 199: «One reason for this gratifyng turn of events was, no doubt, the end of the schism in 1177». Secondo H. BAYER, Fingiert häretische Brief- und Propaganda-literatur der Stauferzeit. Der Briefwechsel zwischen Hugo von Honau, Peter von Wien und Hugo Etherianus – «Metamorphosis Goliae» – Epistula Adelmanns an Berengar – Briefe Thomas Beckets an Konrad von Wittelsbach – «Raptor mei pilei», in «Sacris Erudiri», 36 (1996), pp. 161232, le lettere di Ugo di Honau e Pietro di Vienna a Ugo Eteriano non sarebbero
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
È lo stesso Ugo di Honau a informarci della formazione dialettica e teologica ricevuta da Ugo Eteriano in Italia e in Francia: fu allievo, forse assieme a Giovanni di Salisbury, del maestro di dialettica Alberico di Parigi (da non confondersi con Alberico di Reims) e di maestri di teologia estranei alla corrente porretana185. Ugo Eteriano decise poi di dedicarsi alla traduzione dei testi dei Padri greci per verificare quanto aveva appreso dalle fonti latine186. La data e il motivo della partenza di Ugo e Leone alla volta dell’Oriente restano sconosciuti, ma con ogni probabilità essi partirono già con una buona conoscenza della lingua greca. La prima testimonianza della loro presenza alla corte bizantina risale al 1166 – anno in cui Manuele Comneno sostiene l’interpretazione latina delle parole di Cristo «Pater maior me est» (Jo 14, 28) giovandosi del trattato di Ugo intitolato De minoritate ac aequalitate Filii hominis ad Deum Patrem187 –, ma ci sono motivi per autentiche e il Liber de differentia naturae et personae, attribuito a Ugo Eteriano, sarebbe un falso cataro, una replica parodica al Liber de diversitate naturae et personae di Ugo di Honau. 185 Cfr. HÄRING, The Liber de differentia cit. (cap. 1, alla nota 50), p. 10: «However, at a later date, most likely in the late seventies of his century, Hugh Etherian changed his mind in favour of Gilbert when he was urged to translate into Latin certain texts in which Greek Fathers advocated such a distinction [between nature and person in God]». 186 Cfr. HUGO HONAUGIENSIS, Liber de Diversitate naturae et personae, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 51), in partic. pp. 121-122. 187 L’opera, accompagnata da una lettera di Ugo a Pietro di Vienna, è stata ritrovata da Dondaine nel ms. 92 della Biblioteca Provincial di Tarragona, ff. 176r-188r. La lettera (datata 1166-67) è stata pubblicata, insieme all’ultima pagina del primo libro del De minoritate, da DONDAINE, Hugues Éthérien et le concile de Constantinople cit. (cap. 1, alla nota 70), in partic. pp. 480-483. Secondo la ricostruzione di CLASSEN, Gerhoch von Reichersberg cit. (alla nota 176), p. 302, nel maggio del 1166 Pietro di Vienna si recò a Costantinopoli e chiese a Ugo Eteriano informazioni riguardanti l’esito del sinodo appena concluso, senza ricevere un’immediata risposta. La controversia sulla minoritas del Figlio di Dio nei confronti del Padre, prima di dividere i teologi greci, tanto da spingere Manuele Comneno a convocare un sinodo nel 1166, aveva fatto discutere i teologi latini. Tra questi Gerhoh di Reichersberg, che, già in polemica con Pietro di Vienna, entrò in possesso di una copia del De minoritate giudicandolo assai severamente in quanto scritto «secundum humanam philosophiam et secundum elementa mundi contra Christi sive assumpti in Deum hominis divinam gloriam»: cfr. P. CLASSEN, Das Konzil von Konstantinopel 1166 und die Lateiner, in «Byzantinische Zeitschrift», 48 (1955), pp. 339-369, in partic. p. 346. Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., p. 124: «Nous retrouvons donc ici un point de contact possible entre Hugues et les Porrétains». Cfr. HÄRING, The Liber de differentia cit., p. 12: «One reason why the Emperor Manuel took such an active interest in theol-
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credere che il loro arrivo risalga almeno a dieci prima188. Ugo abbandonò Costantinopoli dopo la morte del basileus, avvenuta il 24 settembre 1980, forse in seguito alla carneficina dei latini compiuta da Andronico I nella primavera del 1182189. Morì nello stesso anno, probabilmente a Velletri, dove era stato eletto cardinale di Sant’Angelo. Il De differentia naturae et personae, composto nel 1179 o poco prima, è una sorta di cornucopia di detti dei Padri greci dedicata espressamente ai due ispiratori Pietro e Ugo, entrambi convinti che nelle fonti greche potessero trovarsi conferme delle tesi espresse da Gilberto a Reims. Il Libellus fu scoperto da Antoine Dondaine all’interno del codice contenente le missive di Ugo e Pietro all’Eteriano (ms. Colmar, Bibl. mun. 188, ff. 36r-44v)190 e fu edito da Häring nel 1962191. L’autore, pur evitando prudentemente di entrare nella querelle dibattuta tra i maestri latini, mostra di aderire alla causa porretana attraverso la scelta dei passi, in cui è affermata con chiarezza la distinzione tra natura e persona, senza che essa venga mitigata da un richiamo alla semplicità divina192. Ugo fa notare che i Greci non designano le tre persone divine come res naturae, né chiamano la divinità una natura rei: essi temono, infatti, che l’uso della terminologia filosofica possa condurre a conclusioni teologiche errate193. Segue una serie di auctoogy was to remove if possible the troublesome doctrinal divergencies between East and West. His broader object was a political union». 188 Cfr. DONDAINE, ibid., p. 81. 189 Cfr. HÄRING, ibid., p. 14. 190 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 47. Cfr. supra, nota 178. 191 Cfr. HUGO ETHERIANUS, Liber de differentia, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 50): testo alle pp. 21-34. La prefazione era stata edita già da DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., pp. 133-134. Häring ha individuato un frammento della prefazione nel ms. Basel, Univ. Lib. O II 24, f. 13r. 192 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 48: «Car la distinction réelle des notions que nous concevons de la réalité divine ne correspond pas à une distinction réelle, objective de cette réalité; la transposition en Dieu de ces notions ne leur conserve un sens vrai que si elle est épurée des divisions qu’elle impliquerait au plan de l’être divin. Or c’était précisément le danger du porrétanisme de passer du plan conceptuel à celui de l’inaccessible réalité divine sans les réserves nécessaires». 193 Cfr. HUGO ETHERIANUS, Liber de differentia, ed. Häring cit., p. 23: «Vestra propositio, qua secundum artium methodon a natura differre ostenditis personas, satis probabilitatis habet. Nam deitas incognita et incomprehensibilis natura est. Et eiusmodi naturae ab orthodoxis tres personae esse censentur. Quae quidem personae coniunctim vere dicuntur una deitas unaque natura. Et ideo, ut plerique
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ritates sul rapporto tra natura e persona, tra cui alcune praticamente ignote ai teologi occidentali: sono infatti citati il Viae Dux del santo Anastasio (Sinaita, morto nei primi anni dell’ottavo secolo), Gregorio di Nissa, San Cirillo, San Basilio,Teodoro Abucara, Leonzio bizantino, Giovanni Damasceno, il Codex di Giustiniano194. Purtroppo è quasi impossibile distinguere le traduzioni effettuate e riportate da Ugo dalle sue considerazioni personali: si ha l’impressione che Ugo non abbia avuto il tempo di organizzare il suo materiale in un ordine più logico e razionale e in una forma più intelligibile. Il De sancto et immortali Deo, meglio conosciuto con il titolo De processione Spiritus Sancti contra Graecos, trasmesso da un gran numero di manoscritti, più volte edito e poi ripreso in PL 202, 227-396, con il titolo De haeresibus quas Graeci in Latinos devolvunt (titolo che spetta però piuttosto ad un anonimo opuscolo greco, il Tractatus contra Francos, che Ugo ha soltanto tradotto in latino195), fu portato a termine nel 1175-76196. In quest’opera, di cui l’autore ha composto anche un’edizione greca andata perduta197, Ugo difende, anche in questo caso su richiesta di Manuele Comneno, la dottrina della Chiesa romana sulla processione dello Spirito Santo. Scritto in uno stile piuttosto oscuro e secondo un ordine poco razionale, il testo conserva un notevole valore storico: Ugo è il primo a discutere con i greci servendosi della loro lingua e delle loro fonti filosofiche e patristiche, conosciute senza asserunt, quod per omnia ea quae in Patre deitas ea in Filio eaque in sancto Spiritu sine ullo termino sineque ulla penitus existit mutatione. Verumtamen tres personas ‘rem naturae’ sive deitatem ‘naturam rei’ Graecia, formidando prioris cum posteriori intelligentiam naturalium consecutionem, pronuntiare fugitat. Cumque dicitur Deus ‘deitas’ seu deitas ‘Deus’, ad naturam tantum dicti referunt conceptionem». 194 Cfr. HÄRING, ibid., p. 8: «Hugh came to the conclusion that we violate both the Imperial Constitution and all the other auctoritates if we affirm that person is nature or that nature is person.Thus Hugh Etherian sides with Gilbert and his school against those who maintaned that, in thinking of God, reason must not distinguish between nature and person». 195 Cfr. DONDAINE, ibid., pp. 98, 114-116. 196 Con una lettera del 6 novembre 1177, Alessandro III ringraziò Ugo Eteriano della copia che gli aveva inviato. 197 Cfr. DONDAINE, ibid., pp. 102-103: «Composé à la demande de Manuel, il était naturel que l’ouvrage lui fût offert dans sa propre langue. (…) C’était la première fois au moyen âge qu’un théologien latin acceptait la discussion écrite avec les Grecs dans leur propre langue».
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intermediazioni linguistiche e collocate nel loro contesto198. Questa conoscenza diretta delle fonti (significativo il caso dello pseudo-Dionigi) dava alla sua argomentazione un’autorità alla quale né i suoi avversari greci, né tantomeno i suoi ammiratori latini poterono sottrarsi.Anche in quest’opera Ugo affronta alcuni dei problemi sollevati dagli allievi di Gilberto utilizzando un linguaggio tipicamente porretano che probabilmente provocò le attenzioni ricevute da parte dell’inquisizione e la sua inclusione nell’indice dei libri proibiti nel 1607199. Il De sancto et immortali Deo è accompagnato, nei manoscritti più antichi200, da un com198 Per l’uso di fonti patristiche greche nel De sancto et immortali Deo, cfr. R. LECHAT, La patristique grecque chez un théologien latin du XIIe siècle, Hugues Éthérien, in Mélanges d’histoire offerts à Charles Moeller a l’occasion de son jubilé de 50 années de professorat a l’Université de Louvain 1863-1913, par l’Association des anciens membres du Séminaire historique de l’Université de Louvain, Louvain 1914, pp. 487507. Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 51: «Pour nous, Hugues est moins original par la liste des auteurs qu’il utilise que par la manière dont il a accès auprès d’eux. (…) Ce en quoi Hugues Éthérien est original, c’est qu’il traduit lui-même les textes qu’il cite: c’était un avantage inestimable d’avoir accès direct aux sources, dans leur langue d’origine». 199 Cfr. O. LOTTIN, in «Bulletin de théologie ancienne et médiévale», 7 (195457), p. 97, n. 457: «L’intérêt doctrinal des écrits de Hugues Éthérien n’est pas tant dans sa réfutation des erreurs des Grecs que dans le fait qu’un disciple de Gilbert de la Porrée du XIIe siècle compte Hugues parmi les membres de l’école porrétaine». Cfr. DONDAINE, Écrits cit., pp. 49-51: «Le De sancto et immortali Deo (…) doit être nommé ici moins à cause de ses saveurs porrétaines indéniables que du rôle d’autorité que lui a fait jouer la petite école. Il est indéniable, disons-nous, que les écrits de Hugues Ethérien trahissent une saveur porrétaine; cela est si vrai que dans les temps modernes le De sancto et immortali Deo fut inscrit au catalogue des livres prohibés. (…) Hugues écrit comme un disciple de Gilbert. (…) L’annotateur de l’Index a relevé le danger. (…) Quoi qu’il en soit, la petite école accueillit le De sancto et immortali Deo avec ferveur, et c’est sans aucun doute à son zèle qu’est due l’importante tradition manuscrite ancienne qui l’a transmis». Cfr. ID., Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., p. 125: «Hugues eut la malchance que son œuvre ait été revendiquée par les Porrétains: fait qui paraît avoir étrangement limité sa diffusion». QUINTO, Trivium e teologia cit. (cap. 1, alla nota 99), p. 455 definisce Ugo Eteriano «esponente di rilievo della scuola porretana»: il suo De sancto et immortali Deo «ritorna al punto nodale della dottrina trinitaria porretana, negando che le proprietà personali siano la stessa cosa delle persone, in termini che possono essere interpretati in modo da preludere alla distinzione ‘di ragione’ tra le proprietà e le persone (o che possono offrire ad un interprete meno benevolo l’occasione per accusare Ugo di introdurre illegittimamente la pluralità nell’unità della Trinità)». 200 Si tratta di quattro testimoni del dodicesimo secolo: Firenze, Bibl. Laurenziana, S. Croce, plut. XXIII dext. 3, ff. 1r-110v; Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 2948, ff. 1r-101v;Troyes, Bibliothèque Publique 844 (Clairvaux H. 75), ff. 1r-111r; Biblioteca Apostolica Vaticana,Vat. lat. 821, ff. 1r-150v.
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mento dell’opera sotto forma di glossa (Compendiosa expositio in libro De Spiritu Sancto magistri Hugonis), che Dondaine tende ad attribuire allo stesso Ugo e ad inserire nel gruppo delle opere della piccola scuola porretana201. Ugo Eteriano è anche autore di un De anima, dedicato al clero pisano che gliene aveva fatto richiesta202, di un Adversus Patherenos203 e soprattutto di un’Epistola ad Alexis, sotto-diacono della Chiesa romana, che ha per oggetto la differenza tra natura e persona in Dio204. Alexis, che probabilmente aveva conosciuto Ugo a Parigi, gli aveva chiesto chiarificazioni sul mistero dell’unità e della trinità divina. La risposta di Ugo, sorretta da numerose citazioni tratte dal De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno,da Gregorio di Nazianzo e da San Basilio (tutti tradotti o ritradotti personalmente), è un documento di alto valore teologico, che Dondaine non ha esitato a definire «la pièce la plus importante du dossier porrétain»205: essa si colloca in un clima teoretico innegabilmente porretano, ma il suo approccio dialettico e teologico va oltre le forzature settarie degli esponenti della piccola scuola. Lo dimostrano il richiamo ai limiti del sapere umano dinanzi al mistero dell’unità e trinità divina, e la distinzione tra nozioni astratte (come divinitas) e nozioni concrete (come persona), grazie alla quale egli giudica 201 Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., p. 106: «L’apport de la Compendiosa expositio est loin d’être négligeable; il comporte des éléments où la pensée se précise, s’appuie sur de nouveux arguments, sur de nouvelles autorités». Dondaine riporta due esempi molto interessanti: nel primo, l’autore dell’Expositio si sofferma sulla natura negativa dei concetti applicati a Dio, nel secondo insiste sulla distinzione porretana tra persona, proprietas e Deus: «Si proprietas persona esset, proprietas Deus esset. Non est autem Deus proprietas. Ergo neque persona proprietas. Si nulla persona est proprietas, nulla proprietas est persona». Cfr. ID. Écrits, p. 48: «La dialectique est porrétaine et l’Expositio pet être jointe à notre dossier». 202 In PL 202, 167A-226A. 203 Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., pp. 106-114. 204 La lettera è contenuta nel ms. 92 della Biblioteca Provincial de Tarragona, ff. 188r-190r, uno dei testimoni più importanti per quanto riguarda l’attività di Ugo Eteriano. Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et le concile de Constantinople cit., p. 476: «Cette pièce est un document de plus à ajouter à ceux déjà nombreux qui prouvent l’intérêt exceptionnel que la crise porrétaine donna aux monuments patristiques grecs». 205 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 54: «Sous les dehors d’une simple lettre nous trouvons ici un document de haute qualité et malgré son étendue somme toute brève (peut-être cinq pages imprimées) nous le tenons pour la pièce la plus importante du dossier porrétain».
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scorretti gli enunciati – come «divinitas est Pater» – che attribuiscono predicati concreti a soggetti astratti, «quia modus significandi differens est», senza per questo negare, sul piano della realtà, l’identità tra l’essere di Dio e le sue proprietà206. Ritornato in patria, Ugo di Honau racconta di aver mostrato con orgoglio le due opere ricevute dall’Eteriano (il De differentia naturae et personae e il trattato De sancto et immortali Deo) a Pietro di Pavia († 1182), cardinale vescovo di Tusculum e legato papale, che restò sorpreso dalla conoscenza dei Padri greci da parte di Gilberto207. Ugo fu stimolato a scrivere due opere (il De homoysion et homoeysion e il Liber de diversitate naturae et personae) di argomento analogo a quelle del suo omonimo pisano: esse sono contenute, assieme ad una terza (l’anonimo Liber de ignorantia), nel ms. Cambridge, University Library, Ii. 4.27. Nel Liber de homoysion et homoeysion (ff. 2r-129v), attribuito dal Catalogue of the University Library of Cambridge ad Anselmo di Havelberg e terminato prima del 1181208, Ugo si mostra più sensibile ai problemi e alle opinioni dei filosofi, ma sempre in un ambito problematico strettamente connesso con la teologia, cui l’opuscolo è in ultima analisi finalizzato. Egli prende spunto dal De synodis, l’opera in cui Ilario aveva giustificato dinanzi ai latini l’uso dei termini greci homoysion et homoeysion, per discuterne il 206 Cfr. ibid., p. 55: «Comme un authentique porrétain, Hugues met en garde Alexis contre l’erreur d’Arius, divisant la nature, et contre celle de Sabellius, confondant les personnes.Toutefois, quand il définit le contenu des notions que nous appliquons à Dieu, il précise la distinction nécessaire entre celles signifiées par des noms abstraits et celles signifiées par des noms concrets, par conséquent conditionnées les unes et les autres par notre mode de connaître». 207 Cfr. HUGO HONAUGIENSIS, Liber de Diversitate naturae et personae, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 51), pp. 121-122: «Cumque reversus in Germaniam ad Fredericum victoriosissimum Romani Imperii principem Petro venerabili, Tusculano episcopo, tunc ibidem legatione Sedis Apostolicae fungenti, apportatum libellorum meorum thesaurum demonstrassem ipseque sanctissimas illorum sententias diligenter ruminasset, admiratus plane fuit tantam in Gisilberto Pictaviensi episcopo sapientiam quod, cum Graecorum volumina tamquam linguae eorum ignarus numquam legisset, in illorum tamen intellectu tam scriptis quam dictis totus fuisset. Statimque illos transcribi iussit. Latebat tamen eum quod beati Theodoreti et Sophronii scripta in Latinum translata saepe revolvisset cum aliorum libris sive Graecorum sive Latinorum, et maxime Athanasii et Hilarii, quorum suffragiis in Concilio Remensi coram Papa Eugenio contra suorum aemulorum oblocutiones usus fuit cum gloria». 208 Il testo è in HÄRING, The Liber de homoysion cit. (cap. 1, alla nota 51).
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significato naturale e traslato in teologia209. Il trattato è diviso in quattro parti («distinctiones») dedicate rispettivamente alla chiarificazione dei termini substantia e affini (dist. I), unitas (dist. II), similitudo, aequalitas (dist. III) e consubstantialitas (dist. IV). Il metodo è quello della raccolta antologica di testi patristici (con un uso frequente e significativo degli scritti di Ilario), discussi e commentati con l’obiettivo di mostrare il loro sostanziale accordo al di là di alcune differenze terminologiche210. L’ampia trattazione è attenta all’uso filosofico dei termini, illustrato con citazioni da Calcidio, Platone, Galeno, Aristotele (del quale è citata anche la nuova traduzione della Fisica)211. L’assenza di alcune fonti (Basilio, Anastasio Sinaita) nel De homoysion induce a pensare che la composizione di quest’opera sia precedente a quella del De diversitate, che cita queste fonti ricavandole dal De differentia di Ugo Eteriano212. Gilberto, «praeceptor noster», è citato all’inizio della seconda parte, a proposito della discussione dei significati di unitas: Ugo riporta la sua teoria delle proprietà come unità che si compongono nella sostanza prima213. Inconfutabilmente porretane sono poi affermazioni come «divinitas qua Deus est et ex qua sive in qua sive per quam Deus subsistit»214, e «primum tibi demonstratum est sanctos ablativis aliquando uti absque praepositionibus»215. 209
DONDAINE, ibid., p. 43, commenta: «C’est de bonne méthode porrétaine». Cfr. HÄRING, ibid., p. 130. 211 Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., p. 201. 212 Cfr. HÄRING, The Liber de diversitate cit., p. 115. 213 HUGO HONAUGIENSIS, Liber de homoysion, II, 2, 4, ed. Häring cit., p. 184: «Haec enim sola est quae proprie et principaliter unitatis nomen optinuit et a se diversas in subiecto proprietates sequi voluit. Secundum hanc unitatem in naturalibus saepe unum est multa et nunquam multa unum. In theologicis vero multa sunt unum et nequaquam unum multa. Cum enim, ut dictum est, unitas de qua loquimur comes sit omnium a se diversorum praedicamentorum, teste praeceptore nostro Giselberto Pictaviensi episcopo, quot sunt in Petro proprietates tot secundum illas in eo sunt unitates. Et ideo ipse, qui numero unus est, multa est i.e. multis proprietatibus est ut unus homo, unus risibilis, unus rationalis et in hunc modum». Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., pp. 196-197: «Hugh calls Gilbert his praeceptor which I take to mean that he studied under Gilbert in France. Hence we may conjecture that during his student years he met Master Peter of Vienna and Adhemar of St. Ruf. Everard of Ypres gives a vivid account of how fast news and gossip travelled in his days. Hence it is quite likely that Hugh of Honau knew about Peter of Vienna’s transfer to Austria (1153/4). He resolved to meet Master Peter on his way to Costantinople». 214 HUGO HONAUGIENSIS, Liber de homoysion, I, 19, ed. Häring cit., p. 153. 215 Ibid., I, 19, 2, p. 154. 210
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Sul Liber de diversitate naturae et personae (ff. 130r-177v), trasmesso anonimo e mutilo alla fine, si soffermò per primo Charles Homer Haskins, che nel 1924 ne pubblicò il primo capitolo216, da cui si deduce che l’autore è un «devoto sostenitore di Gilberto»217. Se ne interessò poi Joseph de Ghellinck che concordò nel definire l’autore un deciso sostenitore di Gilberto, affascinato dal suo alto valore intellettuale e morale, intento a legittimare il suo insegnamento attraverso il richiamo alle opere dei Padri greci218. Particolare interesse desta la parte relativa alle definizioni dei concetti di persona e hypostasis, interpretati come proprietà personali: pur non presentando una storia esaustiva dei termini, si fa apprezzare per l’inserimento di nuove fonti, in particolare greche, a sostegno della dottrina porretana219. Antoine Dondaine fu in grado di attribuire con certezza l’opera a Ugo di Honau sulla base della corrispondenza tra le informazioni contenute nella prefazione del testo e quelle che si ricavano dallo scambio epistolare intercorso con Ugo Eteriano, che dedica il suo De differentia naturae et personae ai «carissimi amici Ugo e Pietro (di Vienna)»220. Nel 1962 Häring pubblicò ciò che resta del De diversitate, ossia un frammento, lungo ma probabilmente inferiore a un terzo dell’opera completa221: l’autore si proponeva infatti di trattare prima dei nomi assegnati alla Trinità delle persone e all’unità dell’essenza, poi del mistero della Trinità,infine delle due nature unite nella persona del Cristo; solo la prima sezione, peraltro incompleta, è conservata dal codice 216 Cfr. C. H. HASKINS, Studies in the history of mediaeval science, Cambridge (Mass.) 1924, pp. 210-213. 217 Ibid., p. 213. 218 J. DE GHELLINCK, L’histoire de persona et d’hypostasis dans un écrit anonyme porrétain du XIIe siècle, in «Revue néo-scolastique de philosophie», 36 (1934), pp. 111-127. Tra le teorie che l’autore condivide con Gilberto, lo studioso cita la translatio dei termini a facultate naturali ad theologica. 219 Cfr. HUGO HONAUGIENSIS, Liber de Diversitate naturae et personae, XIIIXVIII, ed. Häring cit., pp. 138-148. Cfr. DE GHELLINCK, ibid., pp. 124-127. 220 Cfr. HUGO ETHERIANUS, Liber de differentia, ed. Häring cit., p. 21: «Karissimis amicis Hugoni atque Petro, theologiae optimis interpretibus, Hugo Aetherianus». Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., pp. 89-90. 221 Cfr. HÄRING, The Liber de diversitate cit., ed. del testo alle pp. 120-216. STURLESE, Storia della filosofia tedesca cit., p. 122, ha notato che l’editore non si è accorto che i fogli del manoscritto sono rilegati in disordine; il testo va così ricomposto: dalle parole «in ea sint» (p. 150,9) si passa a «et ut res» (p. 198,21) fino a «existit» (p. 216,5), quindi si deve ritornare a «dici tantum» (p. 150,9) e proseguire fino a «Hilarius doceat si» (p. 198,21), dove il testo si interrompe.
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di Cambridge222. L’opera, completata tra il 1180 e il 1182, si muove nell’ambito delle opinioni dei Padri e della verità della Rivelazione,ma concede notevole spazio all’interpretazione e alle considerazioni del compilatore, che mostra di avere una conoscenza particolarmente ampia dei Padri greci.Abbiamo dunque a che fare con un trattato di deciso taglio teologico, condotto con ampio uso dei materiali raccolti dall’Eteriano e con il metodo del dossier di auctoritates messo in voga dalla scolastica francese. L’ammirazione per Gilberto «in omni philosophia perspicacissimus, in theologia catholice fidei peritissimus»223, ma mai menzionato nel testo, si evince da alcuni passaggi (cap. 1, § 8, capp. 10 e 30), in cui si sostiene l’applicabilità del termine genus alla natura divina. Accogliendo le indicazioni di Dondaine224, Häring ha creduto di poter attribuire con una certa probabilità a Ugo di Honau anche il terzo testo contenuto nel manoscritto cantabrigense, il breve Liber de ignorantia (ff. 178r-188r), basandosi sulla raffinatezza stilistica, l’interesse verso il pensiero greco e la devozione nei confronti di Federico Barbarossa225. L’opera, che prende le mosse dalla definizione di termini quali scientia,intellectus,intelligentia226,è divisa in diciassette capitoli, i cui titoli sono elencati nell’incipit dell’opera227, e si sviluppa a partire dalla definizione del sapere, dei suoi oggetti, dell’ignoranza e delle sue specie (volontaria,involontaria,colpevole, giustificabile). La distinzione tra ignoranza colpevole e ignoranza giustificabile serve all’autore per accusare coloro che non sanno ciò che dovrebbero sapere e per scagionare coloro che ignorano ciò che non sono tenuti a conoscere228. La fonte principale è rappresentata dal De natura hominis di Nemesio, che l’autore del Liber
222
Cfr. DONDAINE, Écrits cit., pp. 40-41. HUGO HONAUGIENSIS, Liber de diversitate, ed. Häring cit., p. 169. 224 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., pp. 45-46. 225 Il testo del Liber è edito in N. M. HÄRING, Hugh of Honau and the Liber de Ignorantia, in «Mediaeval Studies», 25 (1963), pp. 209-230. 226 Cfr. in partic. il cap.V «Quae differentia sit inter intellectum et intelligentiam», ed. Häring cit., p. 216. 227 Cfr. HÄRING, ibid., p. 211: «In view of this exceptional endeavour to present the reader with an outline of the works, one may rightly be inclined to conclude that the three treatises date back to the same author». 228 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 45, suggerisce di identificare i primi nei discepoli di Pietro Lombardo e i secondi nei membri della piccola scuola porre223
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attribuisce a Gregorio di Nissa e di cui cita due traduzioni latine229; altre fonti sono Aristotele (Analitici secondi) e Boezio. L’editore ha riconosciuto nel Liber de ignorantia, che colloca negli anni ’80, presumibilmente dopo le altre due opere di Ugo,la terminologia tipica della scuola di Gilberto230.Curioso l’exemplum riferito a Simone di Tournai che perde completamente la memoria231. Con la morte di Pietro di Vienna (1183) e la contemporanea scomparsa dalla scena del suo amico Ugo, cala il sipario sulle attività dei Porretani tedeschi, che cessano di far parlare di loro e di produrre scritti di un qualche rilievo232. In definitiva, il ritorno ai Padri da parte dei Porretani di area germanica non si configurò, secondo Dondaine, nei termini di un arricchimento delle fonti attraverso nuove traduzioni: soltanto il De diversitate naturae et personae di Ugo di Honau beneficiò del materiale originale fornitogli da Ugo Eteriano233, mentre sortana. Di contro HÄRING, Hugh of Honau cit., p. 210 crede che si tratti di una semplice chiarificazione terminologica con implicazioni di ordine morale. 229 Cfr. HÄRING, ibid., p. 211: «Hugh admits that there were two translations of the de Natura hominis. He does not say that he used both of them. First he used Burgundio’s translation and improved it with the help of Alfano’s text. Later he followed Alfano’s translation rather than Burgundio’s». 230 Cfr. ibid., p. 212: «It may finally be noted that the terminology found in the Liber de ignorantia points to the school of Gilbert of Poitiers. Since Hugh of Honau was a pupil and ardent admirer of Gilbert we may note points of contact in his distinction between genuinum and nativum (II, 8) and in his marked preference for the otherwise rare use of adminiculum (III, 9 and IV, 10)». 231 Cfr. Liber de ignorantia, IX, 26-27, ed. Häring cit., p. 219: «Contingit enim plerumque aliquos inopinato casu, sive infirmos sive sanos existentes, adeo infatuari ut cum in omni scientia peritissimi eloquentia facundissimi fuerint in tantam ignorantiam cadant ut nec caracteres litterarum cognoscant nec litteratos intelligant nec aliquam scientiam retineant et interdum aliqui omnino obmutescant. In qua miseria lacrimabili dicitur nuper evanuisse omnis scientia cuiusdam viri doctissimi, Simonis Tornacensis. Haec autem ignorantia evitabilis est sed vel ex toto vel ex parte invincibilis. Quae ex incuria negligentiae est, alia est ex vitio perversae voluntatis, alia ex errore humanae fragilitatis». Non è un caso isolato: lo stesso exemplum lo si ritrova anche riferito ad Alano: cfr. l’anonimo De religionum origine, 24, ed. in É. MARTÈNE - U. DURAND, Veterum scriptorum amplissima collectio, VI, Paris 1729, [coll. 11-94], col. 52AB. 232 Venne così a mancare una ‘voce’ teologica significativa e particolarmente incline al confronto con l’Oriente: cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., p. 209. 233 Cfr. DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan cit., p. 68: «Hugues de Honau (…) disciple obstiné de Gilbert de la Porrée, compte Hugues Étherien parmi les membres de la ‘petite école’ des porrétains intégristes de la fin du XIIe siècle.
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prende l’assenza quasi totale di riferimenti alla recente traduzione del De fide orthodoxa. Il loro contributo è consistito, piuttosto, nel recupero di fonti patristiche da molto tempo disponibili in Occidente ma pressoché dimenticate. Un ruolo particolarmente importante ebbe la Collatio perduta di Ademaro, anche se – nota Dondaine – Gilberto mostra di aver avuto accesso alla maggior parte delle autorità che Ademaro raccolse nel De Trinitate e nella Collatio234. A questo proposito, conservano il loro valore le puntualizzazioni contenute nello studio di Häring, coevo alla conferenza di Dondaine, dedicato all’utilizzo dei Padri greci da parte di Gilberto e della sua scuola235. Ilario e Teodoreto furono le principali autorità patristiche invocate da Gilberto a proposito della questione della distinzione tra natura e persona in Dio. Esistono testimonianze indirette (Ottone di Frisinga, Goffredo di Auxerre, Ugo di Honau) sull’utilizzo da parte di Gilberto di due fonti greche. La prima di queste due opere è una lunga lettera di Sofronio, Patriarca di Gerusalemme (634-638) a Sergio, Patriarca di Costantinopoli († 638), trasmessa negli atti latini del sesto Concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681)236. La seconda è un’opera di Teodoreto di Cirro (393 ca.-458?), o meglio una versione latina di un trattato sulla Trinità a lui attribuito, contenuta in una collezione conciliare, la cosiddetta Collectio Sangermanensis del Concilio di Calcedonia237. Entrambe le fonti furono poi utilizzate ampiamente da Ademaro di San Rufo e da Ugo di Honau, il quale racconta lo stupore di Pietro di Pavia, il legato papale cui mostrò le fonti greche, appena ricevute da Ugo Eteriano, a sostegno delle tesi gilbertine238. Per quanto riguarda l’influenza delle fonti greche, e segnatamente delle due fonti citate, sulla dottrina trinitaria di Gilberto e della sua scuola, un certo effetto lo ebbe la tesi di Teodoreto secondo cui la distinzione di natura e persona in Dio è qualcosa di (…) Justifiée ou non, la relation posée nous invite à considérer le rôle revendiqué par l’école porrétaine dans l’apport de nouveaux textes patristiques grecs en Occident». 234 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., pp. 64-65. 235 Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit. 236 Cfr. SOPHRONIUS HIEROSOLYMITANUS, Epistola Synodica ad Sergium Patriarcham Constantinopolitanum, PG 87 (t. 3) [3147-3200], 3155BC. 237 Collectio Sangermanensis, ed.W. De Gruyter, Berlin - Leipzig 1936. 238 Cfr. supra, nota 207.
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più di una semplice distinzione mentale: Ottone di Frisinga tende a sfumare la presa di posizione in questo senso da parte di Gilberto, mentre l’autore delle Sententiae divinitatis pare prenderla più sul serio239. In linea di massima, i Porretani non si fecero intimorire dall’esito del Concilio di Reims: sostenuti dal nuovo prologo, poco accomodante nei confronti dei suoi accusatori, che Gilberto pose all’esordio dei suoi discussi Commentaria, essi s’impegnarono tenacemente, come si è visto, nel tentativo di mostrare la consonanza delle tesi di Gilberto con le fonti patristiche greche e latine. La difesa dell’ortodossia del maestro non espresse, dunque, soltanto la volontà tenace e orgogliosa di un drappello di allievi totalmente devoti alla causa, ma anche la fedeltà a un rigoroso metodo di ricerca volto a sviluppare pensiero critico sulla base delle auctoritates latine e greche. 3.3. Il Dialogus Ratii et Everardi L’anonimo Dialogus Ratii et Everardi, conservato nel ms. Cambrai, Bibliothèque municipale 259, ff. 229v-240v, fu scoperto e descritto da Jean Leclercq che ne pubblicò alcuni estratti, accompagnati da una lista di numerose note a margine che hanno la funzione di un indice ma che, secondo Häring, che ha realizzato l’edizione integrale del testo, non appartengono all’opera originale240. L’editore ha attribuito il dialogo a Everardo vescovo di Ypres, autore di una Summula decretalium quaestionum, basandosi sulla coincidenza delle pur scarse notizie biografiche ricavabili dalle due opere, sulla significativa preparazione nel campo del diritto canonico da parte dell’autore del Dialogus, infine sui rimandi tra il contenuto del Dialogus e quello di due lettere trasmesse nello stesso codice, una scritta da Everardo, l’altra a lui indirizzata241. Si tratta di una delle 239
Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., p. 189. Cfr. LECLERCQ, Textes sur Saint Bernard cit. (cap. 2, alla nota 74), in partic. pp. 116-127; HÄRING, A Latin Dialogue cit. (cap. 1, alla nota 49), testo alle pp. 245289. 241 La Summula è attribuita a «Everardus natione Yprensis, professione monachus Clarevallensis» dal ms. Reims 689, ff. 1v-74v. Cfr. S. KUTTNER, Repertorium der Kanonistik 1140-1234, I: Prodromus corporis glossarum, Città del Vaticano 1937, p. 187. E cfr. HÄRING, The Cistercian Everard cit. (cap. 1, alla nota 49), pp. 143-162. Sul contenuto delle due lettere, cfr. infra, pp. 151 e sq. K. SCHWEISS, Logik und Theologie im Dialogus Ratii et Everardi, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines 240
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
opere più significative prodotte nel circolo dei fedeli allievi di Gilberto, testimonianza preziosa dell’interesse che la dottrina del vescovo di Poitiers continuava a suscitare quarant’anni dopo la sua morte:l’autore cita alcuni passi dei Commenti gilbertini a Boezio, commenta alcuni passaggi particolarmente complessi, sviluppa alcuni spunti in maniera originale, mostrando una preferenza per l’analisi logico-grammaticale242. Il testo riporta il dialogo tra un greco di nome Ratius (sostenitore delle tesi porretane) e un cisterciense di nome Everardo (difensore di Bernardo) sulla possibilità e sui limiti dell’utilizzazione della logica in teologia trinitaria. Anche qui l’intento è rendere ragione delle opinioni di Gilberto scagionandole dalle censure subite a Reims: Ratius risulta infatti quasi sempre vincitore nel confronto teologico243. Ratius si presenta come originario di Atene, inviato dalla madre Sophia in Francia a studiare sotto Gilberto a Chartres:egli avrebbe seguito il maestro a Poitiers, gli avrebbe insegnato il greco e avrebbe composto un epitaffio alla sua morte244. Ma tutte queste indicazioni appaiono il frutto della fantasia dell’autore, che intende mettere a confronto i modelli di due diversi ambienti speculativi: Ratius rappresenta la cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 219-228, non si pronuncia a proposito dell’attribuzione. 242 HÄRING, A Latin Dialogue cit., p. 243, la considera la migliore analisi della dottrina di Gilberto scoperta finora. Altrettanto lusinghiero il giudizio di MARENBON, A Note on the Porretani cit. (cap. 1, alla nota 87), p. 357: «Everard’s is probably the most intelligent development of Porretanism; and also one of the latest texts so directly and thoroughly concerned with Gilbert’s teaching». 243 Convinto sostenitore delle teorie porretane, l’autore avrebbe escogitato questo curioso sdoppiamento. Cfr. HÄRING, A Latin Dialogue cit., p. 244: «The author of the Dialogue was an ardent Porretanus, yet prudent enough to examine the conflict between St. Bernard and the learned Bishop of Poitiers by introducing a Cistercian monk to defend St. Bernard’s cause and a Greek admirer of Gilbert to represent the opponent». Cfr. anche ID., The Cistercian Everard cit., p. 147: «Everard was an ardent and capable follower of Gilbert of Poitiers.The fact that he entered the monastic community which revered St. Bernard as its founder did not change his adherence and loyalty to ‘Gilbert’s cause’. He tells us through Ratius that he had followed Gilbert until the end of the Bishop’s life.At Chartres he was one of four students who attended Gilbert’s classes. In ‘the Bishop’s Hall’ at Paris he was one of an audience of three hundred. He went to Gilbert to Poitiers (1142), but mentions here only that Gilbert taught him Latin and that in returns Ratius instructed Gilbert in Greek». 244 Cfr. HÄRING, A Latin Dialogue cit., p. 244: «This assumption is somehow weakened by the fact that his epitaph gives the wrong month for Gilbert’s death, since he died in November (1154) and not during the time of the aquarius (January or February)».
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
ragione logico-filosofica, Everardo la tradizione monastica e speculativa245. Everardo nacque a Ypres, nelle Fiandre, nel primo quarto del dodicesimo secolo. La sua formazione parigina comprese sia le arti liberali che la teologia. Egli conosce così bene la personalità di Gilberto da permettersi di sottolinearne la superbia accanto all’inettitudine dei suoi contemporanei e all’indolente vanagloria dei suoi allievi246. Everardo studiò anche legge e medicina (cita Galeno e Graziano), risentendo dell’influenza dell’insegnamento di Stefano di Tournai e Sicardo di Cremona. Entrò nell’ordine cisterciense in una data compresa tra il 1185 e il 1191. Probabilmente ebbe anche le doti del predicatore e del letterato: il suo stile poetico si fa apprezzare non solo nel breve epitaffio dedicato a Gilberto di Poitiers, ma soprattutto nella cornice teatrale del Dialogus all’interno della quale inserisce le sue sottili argomentazioni filosofiche e teologiche. Mise a frutto le sue conoscenze di diritto canonico quando entrò a far parte dell’entourage del cardinale Giacinto Bobo (o Boboni) Orsini che divenne papa Celestino III nel 1191247. Compose il Dialogus in tarda età, probabilmente nei 245
Cfr. LECLERCQ, Textes sur Saint Bernard cit., p. 114. Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit., pp. 251-252: «R. Subit mihi memoria illius summi viri et acutissimi philosophi Gilleberti, jocunda quidem, sed in hoc nimis superbi, quia humanam plus justo contempsit laudem et gloriam. Inde est quod nolens condescendere capacitati plurium tam in legendo quam in scribendo minus studiosos ita submovit,‘ut’ sibi videretur ‘contumeliam’ divinae scripturae vel etiam humanae philosophiae ‘irrogare’, qui ‘talibus hominum monstris non agnoscenda haec potius quam proculcanda projecit’ indignosque eos judicavit vel ad ea audienda vel legenda, qui vel ‘callidi livore’ vel ‘ignavi segnitie’ intellectu capere ea nequirent. (…) Cujus scripta omnia et subtiliter ab eo excogitata, quia mundum fere totum propter ipsius segnitiem tum propter livoris calliditatem eis indignum judicavit, in bibliotheca mea ipsius fuisti. – E.Audivi quia auditor fuisti. – R. Fui equidem. Unde et gaudeo et semper gaudebo. Ad quem audiendum mater mea, cujus nomen Ratio Atheniensis, consilio Sophiae, meae sororis, me in Franciam misit. Cui Carnoti quartus in lectionem, Parisius in aula episcopi fere tercentesimus assedi. Et ipsi episcopo Pictavis adhaesi usque ad ipsius obitum, qui me docente Graecam noverat linguam, ego quoque ipso Latinam». Le parole virgolettate e parafrasate all’interno di questo brano sono attinte a ANICIUS MANLIUS SEVERINUS BOETHIUS, Opuscula theologica, I, De sancta Trinitate, prol., ed. C. Moreschini (BOETHIUS, Consolatione Philosophiae, Opuscula theologica), München - Leipzig 2000, p. 166,11-15. 247 Häring attribuisce a Everardo anche la Summula decretalium quaestionum che il ms. Reims 689, ff. 1r-74r, pone sotto il nome di Everardus natione Yprensis, professione monachus Clarevallensis, sed liberalium studio artium et disciplina scholari 246
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
primi anni ’90. La raffinata forma letteraria del dialogo rimanda alle opere poetiche di Bernardo Silvestre ed Alano di Lilla. È assai probabile che entrambi i protagonisti del dialogo siano fittizi: il greco, tra l’altro, cita gli autori greci sulla base delle traduzioni latine (lo pseudo-Dionigi nella versione di Ilduino e di Giovanni Scoto)248, conosce la Logica vetus e gli Elenchi sofistici di Aristotele, il solo Timeo di Platone, cita numerosi poeti latini della classicità. Boezio è molto citato sulla scorta del commento del summus philosophus Gilberto, l’unico teologo contemporaneo menzionato (ma sembra che l’autore conosca le Regulae caelestis iuris di Alano). Prisciano, infine, costituisce il punto di partenza dell’originale approfondimento delle premesse logico-grammaticali della dottrina trinitaria di Gilberto249. Everardo-Ratius non sempre riesce ad armonizzare il suo doppio ruolo di cisterciense e porretano: gli errori di Bernardo, alla base delle sue accuse rivolte a Gilberto, sono per lui giustificabili in base al fatto che i due rivali parlavano due lingue diverse, poiché la conoscenza della teologia pratica è cosa diversa dalla conoscenza delle arti e delle tecniche della teologia speculativa250. Gli unici colpevoli sarebbero coloro che hanno riportato all’abate di Clairvaux le teorie distorte del maestro251. Il Dialogus è incastonato nel manoscritto tra altri due scritti aliarum facultatum Parisiensis. D’altro canto, anche il Dialogus contiene precisi riferimenti a questioni di diritto canonico. 248 Cfr. HÄRING, The Porretans and the Greek Fathers cit., p. 192: «His knowledge of Greek Fathers is second-hand and very limited». 249 Cfr. HÄRING, A Latin Dialogue cit., pp. 278-282. 250 Cfr. la stessa diagnosi in JOHANNES SARISBERIENSIS, Historia pontificalis, 12, ed. Chibnall cit. (cap. 2, alla nota 22), p. 27: «Erant tamen ambo optime litterati at admodum eloquentes sed dissimilibus studiis». 251 Cfr. LECLERCQ, Textes sur Saint Bernard cit., pp. 111-114: «Après le concile de Reims, pendant plusieurs générations, saint Bernard et Gilbert continuaient de s’opposer dans l’esprit de leurs admirateurs respectifs. Le porrétanisme gardait des adeptes fervents. Mais surtout Bernard et Gilbert symbolisaient deux attitudes intellectuelles qui n’avaient pas cessé de se distinguer au cours de tout le moyen âge et qui, devenues davantage conscientes, risquaient parfois de se trouver en conflit. (…) Ou le cloître, ou Paris: tel est le vrai dilemme. En discutant de Bernard et de Gilbert, ce sont deux institutions, deux états de vie dans l’Eglise, deux conceptions du rôle de l’intelligence dans la vie chrétienne, que mettent en question les personnages du dialogue». Cfr. anche S. GAMMERSBACH, Dialog des Ratius und Everardus. Eine neuentdeckte Quelle aus dem 12. Jh. zur Persönlichkeit des Bernhard von Clairvaux und des Gilbert von Poitiers, in «Wissenschaft und Weisheit», 19 (1956), pp. 137-141.
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
correlati alla persona di Everardo: una sua lettera a papa Urbano III (1185-1187) su questioni trinitarie e cristologiche (ms. Cambrai, Bibl. mun., 259, ff. 228r-229v) e una lettera indirizzata da un altro cisterciense (frater B.) allo stesso Everardo, in cui sono sottoposti a critica entrambi gli scritti everardiani (stesso ms., ff. 240v241v)252. Nella prima lettera, Everardo spiega e difende le dottrine porretane in ambito cristologico e trinitario, senza nominare Gilberto, di cui pure riporta numerosi passi citati anche nell’opera principale. Sono affrontate in particolare tre questioni: l’homo assumptus, le due nature e l’unica persona in Cristo, le proprietà personali253. È sorprendente che un cisterciense spinga affinché il papa parteggi per la dottrina porretana («paternitas non est Deus»), così come è altrettanto strano che il tema principale della sua argomentazione sia copiato alla lettera dal commento al De Trinitate di Gilberto (il cui nome tuttavia non è riportato)254. Egli fu spinto a trattare quest’argomento così delicato sia dal rapporto che lo legava al papa, sia dall’ampio consenso di cui godeva ancora la dottrina di Gilberto255. Everardo s’inserisce dunque nella tradizione della scuola porretana testimoniata dal Liber de homoysion et homoeysion, dal Liber de diversitate naturae et personae, dal Liber de vera philosophia256. È difficile stabilire l’autenticità della lettera indirizzata a Everardo: l’autore sente la necessità di sottoporre a ul252 Le due lettere – intitolate rispettivamente Epistola Everardi de quibusdam articulis fidei: de homime assumpto, de duabus naturis et una persona Christi, et de proprietatibus charactericis ad Urbanum papam III e Doctori quondam egregio nunc autem Dei gratia humili Christi discipulo E(verardo) suo fratri carissimo frater B. – sono edite in HÄRING, The Cistercian Everard of Ypres cit., pp. 162-172. 253 EVERHARDUS YPRENSIS, Epistola de quibusdam articulis fidei, ed. Häring cit., pp. 162-168. 254 Cfr. HÄRING, A Latin Dialogue cit., pp. 243-244: «It may be accidental that both the letter to Urban and the Dialogue contain two identical texts from St. Isidore and St. Basil respectively, but the fact that the conclusions drawn from both the letter to Urban and the Dialogue agree almost verbatim proves again that the Cistercian Everardus and the Greek Ratius are one and the same person». 255 Tale interesse è testimoniato dalla richiesta inoltrata intorno al 1189 dal cardinale Albino, vescovo di Albano e vicario papale, a Goffredo di Auxerre affinché mandasse un resoconto del Concilio di Reims, cui il segretario di Bernardo aveva assistito personalmente. Cfr. GAUFRIDUS AUTISSIDORENSIS, Epistola ad Albinum, ed. Häring cit. (cap. 2, alla nota 80). 256 Il Dialogus si fa preferire a queste opere per l’esaustività dell’analisi e per il modo in cui Everardo esplicita le premesse grammaticali, logiche e filosofiche delle dottrine teologiche di Gilberto: cfr. HÄRING, A Latin Dialogue cit., pp. 244245; ID., Petrus Lombardus und die Sprachlogik cit. (cap. 1, alla nota 59).
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
teriore chiarificazione alcune affermazioni del Dialogus, e avanza alcuni suggerimenti sul metodo da utilizzare per distinguere le persone divine. Egli ha letto la lettera indirizzata a Urbano e, come l’autore del Dialogus, lascia la porta aperta a ulteriori repliche e spiegazioni257. 3.4.Altri testimoni Nel suo studio del 1962, Antoine Dondaine segnalò due opere contenute nel ms.Paris,Bibl.Nat.,lat.2802.Il primo testo «d’origine porrétaine», contenuto ai ff. 78r-108v, è intitolato Introductiones breves ad fidem sanctae Trinitatis pro rudibus instruendis e dovrebbe risalire agli inizi del secolo XIII. L’esposizione delle dottrine teologiche è qui suddivisa in tre parti: 1) de Deo et Trinitate, 2) de Verbo incarnato, 3) de corpore Christi in sacramento. Sui margini del codice si leggono numerosi riferimenti a passi delle opere dei Padri a sostegno delle asserzioni del trattato:il procedimento è frequente nelle opere della piccola scuola, ma in questo caso l’autore si è limitato a segnalare i nomi e le opere, senza riportare ciascun testo. Le fonti rivelano la tendenza intellettuale dell’autore: Atanasio, Cirillo, Eusebio d’Emesa,Sofronio,Teodoreto,Didimo258. Al f. 109r inizia il trattato intitolato Brevis controversia modernorum Latinorum de unitate sanctae Trinitatis che, fin dal prologo, s’inserisce nel pieno della controversia porretana sull’unità della santa Trinità, con un riferimento esplicito all’eresia sabelliana, condensata nella formula «quod eadem res numero est Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus». Ma il copista ha cessato di copiare il trattato dopo poche righe. Difficile conoscerne il motivo: Dondaine ha cercato di dare una spiegazione ipotizzando che si tratti dell’esordio del De unitate seu essentia Trinitatis di Gioacchino da Fiore, condannato dal IV Concilio Lateranense nel 1215, la cui esistenza è attestata nel catalogo della biblioteca di Urbano VI,datato 1369.Il copista avrebbe colto dunque l’eterodossia latente dell’opera259. 257 Cfr.HÄRING,The Cistercian Everard ofYpres cit.,p.143:«However,the style of the second letter might very well be presented in support of the view that it is a product of the same highly imaginative writer who assumed the name Everard». 258 Cfr. DONDAINE, Écrits cit., p. 57. 259 Cfr. ibidem: «[La] découverte [du libelle perdu] comblerait sans aucun doute la plus grosse lacune du dossier porrétain».
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
4. Cronologia degli autori e delle opere 1076 ca.
Gilberto nasce a Poitiers
1117 ca.
Gilberto termina il Commento ai Salmi
1124
Prima attestazione di Gilberto come canonico a Notre-Dame di Chartres
1126
Prima attestazione di Gilberto come cancelliere della scuola di Chartres
1130 ca.
Gilberto termina il Commento alle lettere di San Paolo
1137
Ultima attestazione di Gilberto come cancelliere della scuola di Chartres
1137-42
Gilberto è maestro a Parigi, tra gli allievi c’è Giovanni di Salisbury
1141-42
Composizione delle anonime Sententiae magistri Gisleberti
1141-42
Gilberto è eletto vescovo di Poitiers
1141-48
Composizione delle anonime Sententiae divinitatis
1147
Concilio di Parigi
21 marzo 1148 Apertura del Concilio di Reims 1148
Concistoro di Reims
1150 (ante)
Pietro di Vienna (?) compone la Summa Zwettlensis
1150 ca.
Composizione dell’anonimo Tractatus «Invisibilia Dei»
1152-54
Goffredo di Auxerre raccoglie in una Scriptura la documentazione d’accusa contro Gilberto
1154
Muore Gilberto di Poitiers
1154
Goffredo di Auxerre compone la Vita prima sancti Bernardi, revisionata nel 1163
1154
Pietro di Vienna scrive una lettera a Gerhoh di Reichersberg, perduta
1155
Pietro di Vienna scrive una lettera al vescovo di Frisinga
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
1156-58
Ottone di Frisinga compone i Gesta Friderici I imperatoris
1157 (post)
Goffredo di Auxerre compone il Libellus contra capitula Gisleberti
1158
Muore Ottone di Frisinga
1155-70
Composizione dell’anonimo Compendium logicae porretanum
incertum
Composizione delle anonime Glosulae porretanae super Priscianum minorem
1150-75
Composizione dell’anonimo Commentarium in Categorias Aristotelis
1160-70?
Composizione del Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios
1162
Muore Giovanni Beleth, allievo di Gilberto
1164
Giovanni di Salisbury completa la sua Historia pontificalis
1164 (o 1174) Muore Giordano Fantasma, allievo di Gilberto 1165
Muore Ivo di Chartres, allievo di Gilberto
1169
Muore Gerhoh di Reichersberg, avversario di Gilberto e dei Porretani
1160-80
Probabile soggiorno a Parigi di Alano di Lilla e Simone di Tournai (?)
1160-80
Alano compone la Summa «Quoniam homines» e le Regulae caelestis iuris
1165-70
Simone di Tournai compone la Summa theologica (Institutiones in sacram paginam)
1170-75
Simone di Tournai scrive le Disputationes (Quaestiones quodlibetales)
1169-77
Guglielmo da Lucca scrive il Commento al De divinis nominibus
1170-80
Composizione dell’anonima Summa «Breves dies hominis sunt»
1171
Pietro di Vienna scrive una lettera a Ugo Eteriano
1173-76
Ugo di Honau scrive una lettera a Ugo Eteriano
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III. LE OPERE E GLI AUTORI
1175-76
Ugo Eteriano scrive il De sancto et immortali Deo
incertum
Ugo Eteriano scrive una lettera ad Alexis
1177-78
Ugo di Honau scrive una lettera a Ugo Eteriano
1178
Muore Guglielmo da Lucca
1178-79
Ugo Eteriano scrive il De differentia naturae et personae
ante 1179
Ademaro di San Rufo redige una Collatio auctoritatum, perduta
ante 1179
Ademaro di San Rufo scrive il Tractatus de Trinitate
1179
III
ante 1180
Composizione dell’anonima Summa porretana
1180
Muore Giovanni di Salisbury
1180-90
Composizione dell’anonimo Liber de vera philosophia
ante 1181
Ugo di Honau scrive il De homoysion et homoeysion
1180-82
Ugo di Honau scrive il Liber de diversitate naturae et personae
1182
Muore Ugo Eteriano
1182-90
Composizione del Liber de ignorantia
1183
Muore Pietro di Vienna
1187-91
Nicola di Amiens compone l’Ars fidei catholicae
1190
Muore Ugo di Honau
1190 ca.
Muore il cardinale Laborans
1191-92
Goffredo di Auxerre scrive l’Epistola ad Albinum Cardinalem
1191-98
Everardo di Ypres, cisterciense porretano, scrive il Dialogus Ratii et Everardi
1195 ca.
Maestro Martino compone la Summa quaestionum theologiae
Concilio Lateranense
1199-1200 (?) Muore Raul Ardente, autore dello Speculum universale 1201
Muore Simone di Tournai
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PARTE I. LA CRITICA, LA STORIA, LE FONTI
1202
Muore Alano di Lilla
post 1203
Muore Nicola di Amiens
1215
IV
inizio sec. XIII
Composizione delle anonime Introductiones breves ad fidem sanctae Trinitatis
Concilio Lateranense
inizio sec. XIII? Composizione della Brevis controversia de unitate sanctae Trinitatis
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PARTE SECONDA
PERCORSI DOTTRINALI
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CAPITOLO QUARTO
IL FONDAMENTO ONTOLOGICO
1. La composizione dell’essere Le teorie metafisiche elaborate da Gilberto e riprese, con diversità di accenti e sfumature, dai suoi allievi e successori, nascono all’interno di un contesto cristiano, rispondono a precise esigenze di fede, forniscono gli strumenti per risolvere le più delicate questioni teologiche. Il caso più evidente, ma certo non l’unico, è rappresentato dalla distinzione tipicamente gilbertina tra le due componenti principali dell’essere: il quod est, inteso come l’individuo nella sua concretezza, e il quo est, inteso invece come il suo principio formale immanente. L’applicazione in divinis di tale distinzione condusse Gilberto di fronte al Concilio di Reims, con l’accusa di voler dissolvere la semplicissima unità di Dio in una distinzione reale tra un quod est divino (deus) e un quo est divino (divinitas)1. 1 Il dibattito storiografico intorno alla natura di questa distinzione in divinis è ampio e articolato e si inserisce sulla scia delle due fazioni che si erano confrontate prima, durante e dopo il Concilio: HAYEN, Le concile de Reims cit. (cap. 1, alla nota 23), pp. 53-64, 85-86, sostiene una tesi radicalmente realista, per cui quella di Gilberto non può considerarsi una distinzione di pura ragione; HÄRING, The case of Gilbert de la Porrée cit. (cap. 1, alla nota 46), pp. 13, 18, 40, propende invece per una tesi più equilibrata, sottolineando il fondamento ontologico della distinzione in naturalibus, ma anche il valore logico-concettuale del suo trasferimento in teologia; WILLIAMS, The teaching of Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 43), pp. 40-41, non sa discernere con chiarezza tra il valore reale e quello astratto delle numerose distinzioni gilbertine; VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), pp. 319-364, opta per un parallelismo tra le distinzioni logiche e quelle ontologiche che si sostengono reciprocamente e di cui occorre tener
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PARTE II. PERCORSI DOTTRINALI
Preso nel suo insieme, e tenendo a parte le sue implicazioni teologiche, il corpus delle teorie gilbertine intorno all’essere, per quanto non sistematico, presenta un suo valore filosofico autonomo e di spicco: la dottrina ontologica elaborata da Gilberto di Poitiers è infatti una delle più originali del Medioevo e probabilmente la più rilevante del secolo XII2. Essa fa tesoro della tradizione filosofica chartriana ma l’arricchisce mediante l’integrazione fruttuosa tra la metafisica boeziana e alcune tesi aristoteliche che assegnano all’individualità una precisa dignità ontologica3. La filosofia di Gilberto, non omologabile al canone della tradizione naturalistica chartriana, lo è ancor meno in relazione a questo specifico settore di indagine: il vescovo di Poitiers condivide con gli altri maestri chartriani (Teodorico di Chartres, Guglielmo di Conches, Clarembaldo di Arras) la visione tipicamente platonica, che si traduce in alcune tesi fondamentali, quali la riduzione dell’esse alla forma, il primato metafisico della forma stessa, l’esemplarismo ontologico, la teoria della partecipazione delle forme archetipe. Quest’attitudine mentale, comune a tanti pensatori altomedievali, è tuttavia mitigata, e in qualche modo alterata, dall’adesione a tesi che potremmo definire ‘moderne’, la cui diffusione nell’occidente mediolatino è dovuta principalmente a Pietro Abelardo, ma anche allo stesso Gilberto, che fu tra i primi a riconoscere l’irriducibile singolarità, individualità, concretezza, autonomia ontologica di ciascuna realtà intramondana4. La metafisica di Gilberto Porretano si configura essenzialmente come ontologia, ossia come indagine volta ad approfondire la struttura della realtà concreta e, in particolare, il rapporto – di diconto in egual misura per valutare il pensiero di Gilberto; su questa linea si pone infine anche MAIOLI, Gilberto Porretano cit. (cap. 2, alla nota 71), pp. 8, 75, 274276, secondo il quale la distinzione tra concreto ed astratto è reale in naturalibus mentre, trasferita in Dio, esprime soltanto una necessità funzionale al nostro imperfetto parlare intorno a Dio. 2 Sulla metafisica e l’ontologia di Gilberto, cfr. R. J. WESTLEY, A Philosophy of the Concreted and the Concrete.The Constitution of Creatures According to Gilbert de la Porrée, in «The Modern Schoolman», 37 (1959-1960), pp. 257-286; S. VANNI ROVIGHI, La filosofia di Gilberto Porretano, in Miscellanea del Centro di Studi medievali dell’Università Cattolica di Milano, Milano 1956, pp. 29-43 e 55-62; MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 179 e seqq.; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), pp. 47-86. 3 Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. XI. 4 Cfr. ibid., p. 182.
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IV. IL FONDAMENTO ONTOLOGICO
stinzione ma anche di inscindibile unità – tra l’esse e l’id quod est (nel linguaggio di Gilberto, che elabora la metafisica boeziana del De hebdomadibus, la subsistentia e il subsistens), laddove l’esse o quo est è ciò per il cui mezzo ogni singola res o id quod est è nel modo in cui effettivamente è5: Esse vero et id quod est nec eiusdem generis nec eiusdem sunt rationis. Et iccirco coniunctio compositio esse non potest. Quodam tamen rationali habitu interveniente unum quiddam est sive simplex sive compositum – quod ita mens concipit ut in eo id, quod est, et esse vel quod ei adest, genere et ratione6 esse diversa cum assensione percipiat.Videt enim in illo uno et ipsum esse quo id quod est sit: et etiam id quod est quod illo esse sit.Videt et quaedam alia quae proprietatis ratione assunt quidem ipsi esse, insunt vero vel extrinsecus affiguntur ei quod est. In hoc igitur uno id, quod est, habet esse quo est, et ea quae ipsum esse quoquo modo sequuntur. Ipsum quoque esse et ea, quae ipsum sequuntur, habent id quod est de quo vere dicantur. Que nisi diversa essent, habere haberique non possent. Nichil enim omnino vel esse in se vel habere se potest nec aliquo modo sibi coniungi. Diversa igitur inter se sunt quae sibi invicem coniunguntur. Sed si omni genere omnique ratione – etsi in uno coniunguntur – minime tamen vel in eo commisceri vel illud componere possunt7.
Le due componenti della realtà, sostanzialmente differenti, costi5 La subsistentia indica ciò che non necessita degli accidenti per essere, mentre la substantia è ciò che fornisce agli accidenti il subiectum di cui hanno bisogno per essere. Cfr. L. M. DE RIJK, Semantics and Methaphysics in Gilbert of Poitiers. A Chapter of twelfth century Platonism (1), in «Vivarium», 26 (1988), [pp. 73-112], p. 75: «In point of fact, the phrase id quod est is meant to render the Greek to on and actually paraphrases the Latin participle ens». Sulla dottrina boeziana dell’essere, cfr. L. OBERTELLO, Severino Boezio, Genova 1974, pp. 619-656. 6 Cfr. L. M. DE RIJK, Semantics and Methaphysics in Gilbert of Poitiers.A Chapter of Twelfth Century Platonism (2),in «Vivarium»,27 (1989),[pp.1-35],p.26,nota 23:«In contexts such as ours the term ‘ratio’, as opposed to ‘genus’ seems to refer indiscriminately to an object’s mode of being and the special aspect under which we attend to the object. So ‘genus’ seems to refer (more or less objectively) to a kind (or ‘category’) of being in the outside world, whereas ‘ratio’ may refer to any mode of being whatsoever,inasmuch as it is conceptually singled out by human thought». 7 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, ed. Häring, The Commentaries on Boethius by Gilbert of Poitiers cit. (cap. 1, nota 47), pp. 293,57-294,75. I commenti boeziani di Gilberto saranno in seguito citati sempre secondo questa edizione.Il testo delle citazioni latine è stato generalmente normalizzato.
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tuiscono nel loro insieme l’unità del concreto: per Gilberto, che qui si discosta da Boezio8, l’unione (coniunctio) tra questi due elementi non si configura come una compositio,poiché tra essi non vi è somiglianza né di natura né di ragione, e neanche come una mescolanza, bensì come un rapporto di stretta e mutua relazione tra due entità eterogenee ma legate indissolubilmente dall’opera creatrice di Dio9.La ragione profonda di questo rapporto tanto fondamentale quanto particolare sta dunque al di là della loro intrinseca relazione: è grazie all’opera divina che la subsistentia penetra nel subsistens. L’intrinseca complementarietà, la reciproca appartenenza,tra l’esse e l’id quod est si basa proprio sulla loro eterogeneità:non vi è conformità tra le due entità, ma entrambe sono necessarie per definire nell’insieme la struttura del concreto: «esse et id quod est sine se esse non possunt»10. 8 Sul ‘salto di qualità’ operato su questo punto da Gilberto nei confronti del suo indiscusso maestro, cfr.A. DE LIBERA, La querelle des universaux de Platon à la fin du Moyen Âge, Paris 1996, p. 170; tr. it., Firenze 1999, p. 175: «Nella scuola di Gilberto di Poitiers l’ontologia ‘boeziana’ della composizione pervenne al suo pieno sviluppo.Tutta l’ontologia della scuola porretana è scaturita infatti da una lettura speculativa della teoria boeziana della sussistenza e da un tentativo di sutura del testo delle Categorie fatto con l’ausilio di un platonismo riformato in base a una nuova interpretazione della partecipazione». 9 Nei corpi naturali sono rinvenibili, infatti, diversi modi coniungendi. Il modo più debole è l’appositio: due cose stanno insieme senza che questo comporti alcun effetto su di esse. Una reale unità si ha invece con la compositio (coniunctio sine commixtione), come quella tra corpo e anima all’interno dell’uomo, e ancor più con la commixtio, in cui le qualità dei due singoli componenti si perdono e si fondono in qualcosa d’altro. Quest’ultimo modo, che Gilberto definisce anche per compositionem confusio, è caratteristico delle forme accidentali, non dei loro sostrati: cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, pp. 290,82-83: «Diligenter attende quod his verbis breviter et obscure significatum est: diversos scilicet esse coniungendi quaelibet modos»; p. 292,13: «Omne quod est, aut simplex aut compositum est»; p. 292,20-26: «Unde manifestum est unum esse aliquid in quo diversa sibi invicem coniuncta dicuntur. Cui uni sunt esse omnes speciales et hae, ex quibus speciales constant, subsistentiae illorum quae in ipso sibi invicem coniunguntur: et praeter has illae etiam quae in eodem creantur ex habitu coniunctorum: ut homini, qui ex corpore et spiritu sibi coniunctis unus est, sunt esse omnes corporis atque spiritus subsistentiae et aliae quaedam quae in ipso ex eorum fiunt concursu»; p. 292,33-36: «Haec enim spiritus corporisque coniunctio compositio est, non commixtio. Non enim omnis compositio commixtio est: sicut non omnis coniunctio est compositio. Omnis vero commixtio compositio est. Unum enim aliquid in sese mixta componunt». Su questi aspetti insieme terminologici e ontologici, cfr. DE RIJK, Semantics and Methaphysics (2) cit., pp. 21-34. 10 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 278,8-9.
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Il subsistens (id quod est) è il singolo ente preso nella sua concreta individualità, nel suo essere costituito di forma e di materia, sostrato della sussistenza e delle connesse proprietà accidentali; la subsistentia è l’esse del subsistens, il principio in forza del quale il sussistente è ed è ciò che è, l’intermediario tra il subsistens e le proprietà accidentali11. Gilberto esprime questa distinzione ontologica fondamentale in termini di vera e propria eterogeneità: «esse namque et id, quod est, nullo prorsus conveniunt genere»12. Ma ciò non deve far credere ad una reale separazione: soltanto l’operazione astrattiva dell’intelletto (mens) è in grado di considerare separatim la forma dalla materia, la sussistenza dal sussistente: «Quia namque et esse et id, quod est, cuiusdam consortii ratione sine se esse non possunt – ut corporalitas et corpus»13. La sussistenza occupa dunque un posto di primaria importanza nella struttura della realtà concreta, in quanto non riceve l’essere, bensì è l’essere, la ‘sostanza’ dell’id quod est; il subsistens, a sua volta, è soggetto di ogni possibile predicazione ed è in una posizione ‘privilegiata’ rispetto alle proprietà accidentali, che completano la realtà dell’essere concreto. Tra subsistens e subsistentia non vi è conformità: il primo è singolare, individuo, irripetibile, impartecipabile; la seconda è anch’essa singolare, ma ‘dividua’, partecipabile e ripetibile14. Alla base di questa teoria gilbertina c’è il secondo dei nove assiomi del De hebdomadibus boeziano («diversum est esse et id quod est»), la prima delle tre regulae dedicate all’analisi della composizione metafisica dell’ente finito, che Gilberto interpreta tanto in chiave teologica, quanto in chiave metafisica15. In Boezio 11
Gilberto approva la distinzione ontologica di Aristotele tra la categoria della sostanza e le altre nove, ma ritiene che solo a due di queste (qualità e quantità) debba riconoscersi la capacità di adesse (in opposizione all’inesse della sostanza): le altre sette categorie sono semplicemente accessorie («extrinsecus affixa»). Cfr. DE RIJK, Semantics and Methaphysics (1) cit., pp. 101-103. 12 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 92,90-91. 13 ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, pp. 278,8279,10. 14 Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 274. 15 Cfr. ANICIUS MANLIUS SEVERINUS BOETHIUS (in seguito: BOETHIUS), Opuscula theologica, III, Quomodo substantiae in eo quod sint bonae sint cum non sint substantialia bona (De hebdomadibus), ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), pp. 187,26-188,34: «II. Diversum est esse et id quod est; ipsum vero esse nondum est,
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l’id quod est è l’individuo nella sua realtà concreta, mentre l’esse è ciò per cui questa realtà è ed è ciò che è: la sua struttura formale e sostanziale. Il maestro di Poitiers ritiene legittima una doppia lettura di questa regola, una da un punto di vista teologico (secundum theologicos), l’altra da un’ottica filosofico-naturale (secundum alios philosophos). In teologia l’esse indica in senso forte l’essenza divina, vale a dire il principio dell’essere delle cose create. In ragione di ciò, l’essere può essere predicato delle realtà mondane solo in modo riflesso, «per una certa denominazione estrinseca», derivata dall’essenza del principio primo16. Diverso è il senso che i filosofi assegnano all’essere: essi concordano nell’affermare che l’esse di una cosa, il principio per cui essa è ed è ciò che è, non trascende la cosa stessa ma è in essa contenuto.Tuttavia le posizioni sono piuttosto diversificate: alcuni tendono a sovrapporre l’esse e l’esse aliquid; altri, sostenuti dallo stesso Gilberto, distinguono in modo netto la sussistenza e il sussistente determinato17. In questo caso l’opposizione non è tra l’esse-Essere divino e l’id quod est-ente creato, bensì tra l’esse-sussistenza del subsistens e l’id quod estsussistente18. Gilberto applica questo doppio livello d’interpretazione nell’analisi di tutti gli assiomi individuati da Boezio, escluso il settiat vero quod est, accepta essendi forma, est atque consistit. III. Quod est participare aliquo potest, sed ipsum esse nullo modo aliquo participat. Fit enim participatio cum aliquid iam est; est autem aliquid, cum esse susceperit. IV. Id quod est habere aliquid praeterquam quod ipsum est potest; ipsum vero esse nihil aliud praeter se habet admixtum». 16 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, p. 193,54-58: «Nam in theologica, divina essentia – quam de Deo predicamus cum dicimus ‘Deus est’ – omnium creatorum dicitur esse. Cum enim dicimus ‘corpus est’ vel ‘homo est’ vel huiusmodi, theologici hoc esse dictum intelligunt quadam extrinseca denominatione ab essentia sui principii». 17 Cfr. ibid., pp. 193,66-194,73: «Illorum vero philosophorum, quibus suae facultatis genera sunt sola illa quae ex principio esse coeperunt, alii quaelibet illa orationum suarum themata i.e. materias, de quibus loquuntur, eodem quo dicunt esse dicunt etiam esse aliquid. Unde etiam hoc verbum ‘est’ dicunt de omnibus aequivoce praedicari. Alii vero dividuunt. Et ea quae subsistunt dicunt esse subsistentiis et esse aliquid his quae subsistentias comitantur: intervallaribus scilicet mensuris et qualitatibus». 18 Cfr. ibid., p. 194,90-92: «Ait ergo: DIVERSUM EST ESSE, idest subsistentia quae est in subsistente, ET ID QUOD EST, idest subsistens in quo est subsistentia: ut corporalitas et corpus, humanitas et homo».
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mo che, riferendosi soltanto a Dio, può essere letto esclusivamente in chiave teologica. Tuttavia egli sceglie di commentarli dal punto di vista dei filosofi naturales, coerentemente con la linea boeziana19. Questo duplice piano di lettura non emerge dal testo boeziano: la giustificazione della lettura teologica serve a Gilberto per distinguere nettamente il livello dell’esse che fa ‘semplicemente’ essere una cosa,dal livello dell’esse per cui essa è una certa cosa determinata (aliquid est). Il primo significato intende evidenziare, teologicamente, il rapporto tra il Creatore e le creature, mentre il secondo si riferisce alla struttura metafisica del concreto: la sussistenza, infatti, fa essere non in senso proprio ed originario, bensì per una estrinseca partecipazione all’essere divino. Mentre in Boezio manca la considerazione teologica, nei suoi commentatori medievali,come Remigio di Auxerre e Teodorico di Chartres,è assente la lettura naturale: solo la speculazione di Gilberto riesce dunque a far coesistere i due livelli di lettura, ossia la visione religiosa della realtà, ancorata all’essere divino, e la rivalutazione dell’essere del mondo, della struttura ontologica delle creature20. Questa rinnovata ‘fondazione ontologica della teologia’ rappresenta un riferimento più o meno esplicito per i seguaci di Gilberto, che si muovono in prevalenza su un piano squisitamente teologico, ma con un uso consapevole dei concetti metafisici. Così l’anonimo autore del Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios, glossando il commento di Gilberto alla lettera paolina, si sofferma sulla distinzione tra l’esse theologicum e l’esse philosophorum, quest’ultimo identificato con l’esse Aristotelis: 19 Cfr. ibid., p. 194,84-89: «Sic ergo et secundum theologicos et secundum alios philosophos recte potest dici: diversum est esse et id quod est. Sed et hanc regulam et ceteras quae secuntur, praeter septimam, tam usu theologicorum quam aliorum philosophorum hoc loco accipi debere sequentia nos docebunt. Nos tamen omnes, praeter illam septimam, ut significantius demonstrentur, in naturalibus exemplabimus». MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 196, precisa: «In sede di lettura filosofica dell’assioma, mentre in Boezio la distinzione-diversità tra esse e id quod est è il segno della non semplicità e della natura composita del finito rispetto alla perfetta identità in Dio (come recita la settima regula), per Gilberto è l’espressione della struttura ontologica del finito, ma non della sua non semplicità. (…) Inoltre Gilberto, diversamente da Boezio, radicalizza la distinzione tra esse e id quod est in una vera eterogeneità». 20 Cfr. VANNI ROVIGHI, La filosofia di Gilberto Porretano cit., p. 61.
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gli uomini di fede intendono per essere soltanto la prima forma di tutte le cose, mentre Aristotele intende per essere la sussistenza o le forme accidentali21. Nel suo Commento al De divinis nominibus, Guglielmo da Lucca fa spesso riferimento ai due princìpi costitutivi della realtà teorizzati da Boezio e ripresi da Gilberto. Il principio formale è definito infatti id quo est, aliquo est ma anche subsistentia, mentre il soggetto individuale è chiamato id quod est, aliquid est o subsistens: mentre nell’uomo, come in ogni realtà sussistente, questi due elementi concorrono alla formazione della natura creata, in Dio le due parti coincidono in un’identità ontologica assoluta22.
2. Il formalismo ontologico Gilberto accoglie e rielabora anche un altro caposaldo della metafisica boeziana, quello secondo cui «omne esse ex forma est», come si legge nel De Trinitate23. Egli condivide il formalismo on21 Cfr. Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios, ed. Landgraf cit. (cap. 2, alla nota 36), p. 20: «Propterea attende, quoniam esse theologicum aliud est et aliter dicitur quam esse philosophorum, quam esse Aristotelis. Nam, cum esse appelletur prima forma omnium, scilicet divina usia, et secundi generis forma sicut subsistentia, et tertii generis forma sicut quaelibet natura accidentalis, esse Aristotelis in diversitate subsistentiae et accidentalis formae solum consistit. In esse namque Aristotelis non intelligitur nisi, ut ita dicam, esse hominem vel esse lapidem vel esse lignum vel esse aliquid quacumque alia secundae (sic, ma dovrebbe essere tertiae) rationis forma ut esse album. Ut cum dicitur: Plato est, ex eo intellectu fit, ex quo ista: Plato est homo, hoc tamen excepto, quoniam nota speciali subsistentiae apposita exclusa est aequivocationis dubietas. Quod enim per notam substantiae sive essendi prius confuse intelligebatur, per appositionem notae secundi generis formae secundo determinatur. Unde certior est quis de esse Platonis significatione huius notae homo quam huius est. Convenienter igitur ad quid est Plato? respondetur: homo, specialiori significatione certificando esse Platonis quaerenti. In esse vero theologico sola divina usia intelligitur nec confuse. Quare non est necessarium quod esse Dei specialiori significatione certificetur quam huius notae est». 22 Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam, ed. Gastaldelli cit. (cap. 1, alla nota 86), p. 8: «Unitas enim spiritus vel unus spiritus aliquando dicitur secundum substantiam ut Pater et Filius et Spiritus almus est unus Spiritus, aliquando secundum participationem ut homo adhaerens Deo sit unus Spiritus cum eo, id est fit particeps beatitudinis unius quam habet unus Spiritus, qui vere unus est et quod est et quo ipse est. Non enim est aliud ipse et quod habet ipse, sicut homo aliud est quod est homo et aliud quo ipse est homo. (…) Deus vero unus est, et unus Deus est, et est sua unitas qua unus est et sua divinitas vel dealitas qua Deus est, id est, est hoc ipsum quod est». 23 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate,
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tologico insito in questa formula, ma non rinuncia a proporre anche in questo caso una duplice lettura, teologica e naturale. In theologicis il primato dell’esse e della forma va letto in termini di ‘dipendenza ontologica’ tra la pura forma divina e le creature che da tale forma ricevono il proprio esse24. In questo senso il nome ‘forma’ spetta propriamente solo a Dio che è la forma prima senza commistione con la materia, per identità alle idee archetipe (le sincerae substantiae) e per partecipazione alle subsistentiae (le forme degli esseri concreti) e alle proprietà accidentali dei corpi25. Gilberto interpreta la formula boeziana in naturalibus per soffermarsi sullo strettissimo nesso ontologico tra esse e forma, che è alla base della struttura metafisica del reale26. La forma divina e le forme 1, p. 89,10-15: «Quod unumquodque subsistentium aliquid est, est ex propria forma quae inest materiae. Sed quod eorundem vel quorumlibet aliorum unumquodque – non dico naturali vel etiam mathematica speculatione ‘est aliquid’ sed theologica dico simpliciter – est, ex forma quae non est in materia est quia revera divina substantia est forma sine materia». 24 Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 235-236: «L’esistenza di ogni ente non trova il suo ultimo fondamento nella propria forma ma in Dio, ed è naturale che il teologo sottolinei questa dipendenza ontologica degli esseri dall’Essere primo». Cfr. inoltre VANNI ROVIGHI, La filosofia di Gilberto Porretano cit., pp. 58-59: «Gilberto approfondisce il discorso di Boezio in quanto sottolinea la dipendenza delle cose da Dio nell’essere, in quanto vede la subsistentia, l’esse in senso naturale e boeziano, fondato sull’esse in senso teologico. (…) Gilberto accentua rispetto a Boezio la visione teologica, in quanto vede nella subsistentia creata una partecipazione all’esse divino». 25 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, pp. 99,11-100,28: «Et quare forma, quae est sine materia, non modo non sit sed nec denominatione cogniminetur ‘materia’ ostendit dicens: neque enim esset vero nomine forma sed potius imago. Recte utique. Ex his enim formis quae sunt praeter materiam i.e. ex sinceris substantiis: igne scilicet et aere et aqua et terra – non utique his quae in yle mutuam habent concretionem sed quae sunt ex silva et intelligibili specie quae sunt ideae sensilium – istae formae quae sunt in materia et ei, quod est esse materiae, advenientes corpus efficiunt quadam exempli ab esemplari suo conformativa deductione venerunt. Ac per hoc illae sincerae ideae i.e. exemplares et vero nomine ‘formae’ vocantur. Nam ceteras quae in corporibus sunt vocantes ‘formas’ hoc nomine abutimur dum non ideae sed idearum sint icones i.e. imagines. Quod utique nomen eis melius convenit. Assimilantur enim non quidem plena in tota sui substantia aut in parte suae substantiae semiplena substantiali similitudine, qua aeternis temporalia nullatenus possunt conferri, sed quadam extra substantiam imitatione his formis quae non sunt in materia constitutae: sinceris scilicet, sicut dictum est, substantiis et aeternis ideis». Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit. (cap. 1, alla nota 98), p. 339. 26 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., p. 88,76-79: «Quod non omnino a naturalium ratione diversum est. NAMQUE et in naturalibus OMNE subsistentium
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esemplari trascendenti (così come la materia primordiale) non sono intaccate dal mutamento in ragione della loro assoluta semplicità e astrazione, mentre le forme sostanziali e accidentali incorporate nella materia possono dirsi immutabili solo se astratte dalla materia in cui sono immerse27. Questa serie di precisazioni del Porretano sull’essenza divina, sul primato della forma e sull’identificazione di questa con l’esse dei sussistenti, si rivelano necessarie per penetrare meglio il senso dell’unità ontologica del finito ed il valore dell’atto creativo che gli dà vita. La diversità numerica delle singole realtà va attribuita all’irripetibilità della tota forma substantiae,della species,della collecta proprietas, ossia dell’insieme di tutte le rispettive proprietà formali (formae essendi: generales, speciales, differentiales): l’esse di un singolo ente concreto appartiene soltanto a quell’ente28.La divina causa creatrice fa
idest de quocumque subsistente dicitur ‘est’, formae, quam in se habet, partecipatione dicitur». DE RIJK, Semantics and Methaphysics (1) cit., p. 75, nota che mentre nel commento al Contra Eutychen Gilberto utilizza il termine forma esclusivamente nel senso di forma incarnata, nel commento al De Trinitate, lo usa invece per indicare le forme trascendenti, mentre le forme immanenti sono definite icones o imagines. 27 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., p. 83,33-41: «His ita divisis addendum est quod primaria materia i.e. yle et primariae formae i.e. usia Opificis et sensilium ideae eo quod simplices sunt et abstractae – non enim vel illa formis vel istae materiis debent quod sunt – omni motu carent. Quae vero inabstracta a se invicem atque concreta sunt i.e. sensilia moventur. Formae vero sensilium quamvis inabstractae ideoque motum habentes, si tamen abstractim attendantur, hac vere abstractorum imitatione sine motu esse dicuntur. Non enim tantum sicuti sunt verum etiam aliter quam sint, res aliquae saepe verae concipiuntur». 28 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 274,7595: «Unde Platonis ex omnibus, quae illi conveniunt, collecta proprietas nulli neque actu neque natura conformis est: nec Plato per illam. Albedo vero ipsius et quaecumque pars proprietatis eius aut natura et actu aut saltem natura intelligitur esse conformis. Ideoque nulla pars proprietatis cuiuslibet creaturae naturaliter est individua quamvis ratione singularitatis ‘individua’ saepe vocetur. Illa vero cuiuslibet proprietas, quae naturali dissimilitudine ab omnibus – quae actu vel potestate fuerunt vel sunt vel futura sunt – differt, non modo ‘singularis’ aut ‘particularis’ sed etiam ‘individua’ vere et vocatur et est. Nam ‘individua’ dicuntur huiusmodi quoniam unumquodque eorum ex talibus consistit proprietatibus quarum omnium cogitatione facta collectio nunquam in alio quolibet alterutrius numero particularium naturali conformitate eadem erit. Hac igitur ratione Platonis tota forma – nulli neque actu neque natura conformis – vere est individua. Omnis vero pars eius singularis quidem est: non autem vere individua quoniam multis est saltem natura conformis. Itaque anima eius, cuius tota forma pars est formae Platonis, non vero nomine dicitur ‘individua’. Ideoque quamvis ipsa sit rationalis naturae substantia, nequaquam tamen potest esse persona». ESSE EX FORMA EST
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sì che la molteplicità delle forme immanenti confluiscano in un’unica forma, che non può dirsi semplice in quanto è composta da una serie di subsistentiae (generales,differentiales ed una specialis),cui si aggiungono le forme accidentali (le quantità e le qualità)29.La collezione di tutte le forme sostanziali (forma totius) è indicata da Gilberto anche con il termine natura,che nel suo linguaggio conserva una certa polisemia: nel suo senso più ampio esso indica tutte le cose che sono («res omnes quae sunt»), in un senso più ristretto fa riferimento alla generalissima subsistentia partecipata da ogni sussistente, infine un terzo tipo di natura è quello delle differenze e dei generi subalterni che costituiscono la species30.In definitiva,la natura per Gilberto è sempre l’elemento costitutivo di qualche cosa che è venuto a nascere (nascor): i corpi naturali sono definiti nativa poiché devono il loro essere alla loro natura inerente e si distinguono dai genuina,principi increati e forme trascendenti. Gilberto utilizza il termine forma per indicare anche i quattro elementi naturali (fuoco, aria, acqua e terra) poiché essi non sono materia priva di forma ma materia prima informata da una specie intelligibile31. Con il termine ‘materia’ Gilberto indica tanto la materia prima quanto la materia formata dei corpi32. Nel primo caso, il vescovo di Poitiers fa naturalmente riferimento al commento di Calcidio al Timeo, senza però sforzarsi di concilia-
29 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 90,42-50: «Cuiuslibet enim subsistentis tota forma substantiae non simplex est atque illorum, quae toti ipsi vel singulis eius partibus adsunt accidentium, multo numerosior est multitudo. Quae tamen omnia de subsistente dicuntur ut de aliquo homine tota forma substantiae qua ipse est perfectus homo: et omne genus omnisque differentia ex quibus est ipsa composita, ut corporalitas et animatio et huiusmodi aliae; et denique omnia quae vel toti illi formae adsunt – ut humanitati risibilitas – vel aliquibus partibus eius – ut color, qui corporalitati, et scientia quae adest rationalitati – et huiusmodi alia infinita». 30 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, pp. 208,31-209,63; Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, pp. 259,75-262,63. 31 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, pp. 81,94-82,100: «Quatuor quoque sincerae substantiae i.e. ignis, aer, aqua, terra – non quidem quae in silva mutuam concretionem habere predicta sunt sed quae ex silva et intelligibili specie sunt e quibus demum hae materiae sensiles igneae aereae aquatiles terreae deductae sunt: corporum scilicet, quae nutriculae omnia continentis suscipit sinus, exemplaria – eorundem corporum ‘ideae’ Grecae, Latinae vero ‘formae’ cognominatae sunt». 32 Su quest’aspetto problematico, cfr. J. JOLIVET, La question de la matière chez Gilbert de la Porrée, in From Athens to Chartres cit. (cap. 3, alla nota 68), pp. 247-257.
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re le tesi platoniche con la concezione cristiana della creazione: la materia primordiale è il sostrato originario di tutte le cose, il ricettacolo informe e indeterminato di tutte le forme, coprincipio della formazione del mondo insieme a Dio e alle Idee33. Più interessanti e originali sono le note relative alla materia formata o materia corporum: «materiarum alia informis et ideo simplex ut yle, alia formata et ideo non simplex ut corpora»34. Mentre la semplice materia primordiale «è ma non è qualcosa», in quanto materia di tutte le sussistenze e di tutte le proprietà accidentali dei corpi, la materia formata «non è ma è qualcosa», in quanto materia di tutte le proprietà sostanziali ed accidentali che seguono la prima sussistenza, ossia la corporalitas. Di conseguenza, la materia primordiale è comune in quanto in essa accade ogni processo fisico e cosmico, senza che ciò modifichi il suo carattere di unicità, mentre la materia formata (a partire dai quattro elementi primi) non è né una né identica, poiché ogni realtà fisica possiede la sua propria corporeità35. La particolare unità ontologica derivante dalla creatio, dai vari livelli di partecipatio e dalla concretio (che caratterizza e definisce in modo completo la struttura del concreto), fa sì che ogni realtà finita sia dotata della sua individuale, autonoma, unica consistenza ontologica, appunto in forza del proprio esse (subsistentia), dell’originaria molteplicità delle forme: mentre Boezio aveva ricondotto ogni rapporto d’identità/diversità all’identità/diversità di genere, specie o numero, Gilberto sostiene che è la pluralità e sin33 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 261,33-35: «Nam secundum philosophos yle quae silva dicitur – primordialis scilicet materia – omnium quidem secundum illos formarum receptaculum est. Nichil vero ipsa informat». Cfr. É. GILSON, Notes sur le noms de la matière chez Gilbert de la Porrée, in «Revue du Moyen Âge latin», 2 (1946), pp. 173176. 34 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 82, 8-9. 35 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 335,2837: «Nichil enim vere et suo nomine materia vocatur nisi yle – quae est sed non aliquid est – et corpus – quod non est sed aliquid est. Illa itaque omnium corporum et eorum, quae sunt in corporibus, est materia: haec vero omnium quae primam ac perpetuam subsistentiam eius in ipsa secuntur. Sed quod haec materia communis et eadem omnium corporum dicitur, non est intelligendum ipsius singularitate sed una potius diversarum numero substantiarum conformitate ut, quod auctor dicit communis et eadem, intelligatur communitate substantialis similitudinis eadem». Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 240-246.
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golarità delle sussistenze a determinare la pluralità e la sostanziale diversità degli enti sussistenti. L’individualità, la singolarità delle subsistentiae era stata sostenuta, con validi argomenti sia logico-semantici che teologici, anche da Abelardo. È questa la tesi che destava scalpore nella scuola di Chartres: ad ogni individuo corrisponde una diversa natura, e tale unicità non è dovuta alle proprietà accidentali, bensì alla propria forma sostanziale36. L’ontologia del Tractatus «Invisibilia Dei» prende anch’essa avvio dall’analisi delle sostanze composte, propedeutica ad una migliore comprensione delle sostanze semplici37. Dei due generi di realtà naturali (res subiectae e formae), l’autore si sofferma con particolare attenzione sulle cause formali, sulla distinzione tra forme sostanziali e forme accidentali: le prime conferiscono l’essere alle cose, le seconde svolgono un ruolo diverso, accessorio, ma pur sempre importante ai fini della composizione finale della sostanza38. Sintetizzando, l’autore afferma che «res subiectae subsunt, substantiales proprietates insunt, accidentales assunt»39. Anche per Guglielmo da Lucca, il principio formale di ogni creatura è ciò che fa esistere e determina il soggetto nella sua individualità, ma non possiede i caratteri di perfezione, integrità e pienezza che solo la forma divina possiede40. Il primato della for36 In ogni caso l’individuo è tale anche per l’apporto degli accidenti, dunque per l’insieme delle sue proprietà, per la totalità della sua struttura ontologica. 37 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 53), p. 126: «Quoniam simplicia melius ex consideratione compositorum intelliguntur ut illa quae de simplicitate primae formae dicta sunt clarius reluceant, ad creatas formas considerandas veniamus librumque sapientiae scriptum intus et foris diligentius legamus quatinus per scripturam foris apparentem venire valeamus ad scribam intus residentem». 38 Cfr. ibidem: «Rerum itaque naturalium duo esse genera tam ratio quam auctoritas predicat: unum rerum subiectarum, alterum formarum. Res subiectae sunt ut corpora et spiritus quae solummodo subiecta sunt. Quicquid namque subiectum est, corpus est vel spiritus. In quibus rebus subiectis sunt formae quae ipsarum subiectarum rerum causae et naturae sunt. Quarum duplex genus est. Harum enim aliae sunt substantiales, aliae accidentales. Illae formae substantiales sunt quae rebus subiectis, in quibus sunt, esse conferunt et sine quibus res subiectae esse non possunt. Esse namque earum sunt. Nichil autem potest sine illo esse quod est eius esse. (…) Accidentales vero proprietates sunt quae in rebus subiectis sunt sine quibus res subiectae esse possunt. Eis enim esse non conferunt. Si enim eis esse conferrent, illis discendentibus istae perirent». 39 Ibid., p. 127. 40 Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam cit., ed. Gastal-
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ma in relazione alla natura divina si traduce per Guglielmo nella preminenza dell’esse della tradizione biblica, che per il teologo rappresenta l’attributo più autorevole di Dio. La differenza metafisica serve a un tempo a evidenziare la semplicità e l’unicità di Dio e a sottolineare le caratteristiche del suo essere e della sua natura perfettissima nella sua integra pienezza41. L’oggetto proprio della teologia è dunque l’essere di Dio, la divinitas, la forma divina che può distinguersi da Dio (Deus) da un punto di vista meramente logico, non ontologico42.
3. Il pluralismo ontologico Gilberto integra la teoria del primato ontologico della forma con la teoria aristotelica della singolarità e pluralità ontologica delle forme sostanziali intrinseche di ogni sussistente: ogni sussistente è individuo in forza del suo singolare e distinto principio formale e non delle sue proprietà accidentali43, che ne determinano piutdelli cit., p. 186: «Divinitas autem et in tota divinitas est, quia nichil in ea excogitari potest nisi divinitas, et perfectissima est sine tempore, et integra est essentiva singularitate, et plena de se ipsa identitate. Sed humanitas non est tota humanitas. Multa quidem sunt in humanitate, quae non sunt humanitas. Nam ibi est genus et differentia, nullum quorum est humanitas». 41 Cfr. ibid., p. 185: «Perfectissima laudatur, quia non alii debet quod est. Non enim ab extero, non aliunde est. Integra laudatur, quia est id nimirum quod est, et etiam quo ipsum esse est. Plena laudatur, quia est hoc ipsum esse. In suo perfecto nulli debet et idcirco est perfectissima, in suo integro est id quod est, in suo pleno est hoc ipsum esse.Vel divinitas laudatur tota divinitate ab eloquiis. Et quid sit tota divinitate laudari ipsam divinitatem, quamdam per dieresin patefacit. Id est: laudatur perfectissima integra et plena». 42 GASTALDELLI, Introduzione al Comentum cit., pp. LXXVI-LXXVII, interpreta l’insistenza di Guglielmo nel ribadire l’identità di deus e di divinitas come un tentativo di correggere Gilberto o togliere ogni ambiguità alla propria teologia. 43 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 77,83-86: «Hanc autem in naturalibus numeralem non modo subsistentium verum etiam subsistentiarum diversitatem eorum, quae adsunt subsistentiis illis in eisdem subsistentibus, accidentium dissimilitudo non quidem facit sed probat». Differente la posizione di Ademaro di San Rufo: cfr. ADHEMARUS DE SANCTO RUFO, Tractatus de Trinitate, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 52), p. 153: «Licet Socrates, Plato, Cicero unum et idem sint umquam speciei ratione a se invicem differant, suis tamen propriis et individuis qualitatibus quae ex accidentibus colliguntur in tantum a se invicem differunt quod per eas dissimiles fiunt nec umquam secundum eas ad aliquam unitatem possunt revocari et sic per accidentium varietatem a similitudine et ab unitate speciei in dissimilitudinis multitudinem dividuntur omnino numero i.e. in numerando discreti quos secundum
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tosto la sua condizione attuale (status)44. Egli affronta la questione dell’individualità da un’ottica schiettamente metafisica, inserendosi coerentemente nella scia aperta dal De Trinitate boeziano45. Anche in questo caso, non ci troviamo di fronte ad un’esposizione sistematica del problema, bensì ad una serie di affermazioni e di osservazioni che, prese nel loro insieme, configurano una posizione teorica precisa e originale. Particolarmente accurate sono le puntualizzazioni terminologiche avanzate da Gilberto intorno ai termini ‘singolare’, ‘individuale’ e ‘personale’, esplicitati nelle loro peculiarità semantiche con notevole precisione e raffinatezza d’analisi46. Le differenze tra i vari termini non sono meramente concettuali: in relazione alla capacità di fare riferimento alle sostanze, l’estensione della personalità è, infatti, più ristretta rispetto all’individualità, che a sua volta è più limitata della singolarità. Gilberto oppone al modello realista, basato sull’unicità della sostanza e sull’individualità degli accidenti, il principio secondo cui ciascuna realtà concreta possiede la sua propria natura singolare, numericamente distinta dalla natura di ogni altra cosa. Egli si
hanc accidentium dissimilitudinem vel dividendo vel colligendo numeramus. (…) Dicimus hanc eandem humanitatum pluralitatem per accidentia fieri». 44 Lo status indica la condizione transitoria di una realtà e si distingue sia dalla natura sia dagli accidenti. Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, pp. 357,19-358,24: «Superius dictum fuisse recordor quod cuiuslibet subsistentis aliud est natura, aliud status: et quod natura sit id quo ipsum subsistens est aliquid. Cetera vero, quae de ipso extrinsecus illi affixa dicuntur, eiusdem ‘status’ vocantur eo quod nunc sic nunc vero aliter retinens ea, quibus est aliquid, et maxime perpetuas subsistentias, divina voluntate statuatur». 45 Cfr. VANNI ROVIGHI, La filosofia di Gilberto Porretano cit., pp. 49-54; J. J. E. GRACIA, Introduction to the Problem of Individuation in the Early Middle Ages, München-Wien 1984; J. JOLIVET, Trois variations médiévales sur l’universel et l’individu: Roscelin, Abélard, Gilbert de la Porrée, in «Revue de métaphysique et de morale», 1 (1992) [= Les universaux], pp. 111-155; MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 315-364. Per una rapida disamina del problema dell’individualità in Boezio, cfr. J. J. E. GRACIA, The Legacy of the Early Middle Ages, in Individuation in Scholasticism.The later Middle Ages and the Counter-Reformation 1150-1650, edited by J. J. E. Gracia,Albany (NY), 1994, pp. 21-25 [21-38]. 46 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, pp. 143,53-144,57: «Proprietas alia ratione ‘singularis’, alia ‘individua’, alia ‘personalis’ vocatur. Quamvis enim quicquid est individuum, est singulare – et quicquid est persona, est singulare et individuum – non tamen omne singulare est individuum. Nec omne singulare vel individuum est persona».
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differenzia in questo modo da alcune delle teorie più diffuse del tempo: da un lato, la teoria della materia come principio di individuazione, dall’altro, la teoria sostenuta dagli chartriani, che individua nelle proprietà accidentali la causa della pluralità e varietà degli individui47. La diversità e molteplicità dei sussistenti dipende dalla diversità e molteplicità delle sussistenze, che a sua volta non deriva dalla materia, ma dalla diversità dell’esse. Per questo, la ratio propria della speculazione naturale è la ratio differentiae, che tiene conto della pluralità e individualità dell’esse proprio di ogni sussistenza. Il mondo è dunque abitato da una serie di realtà individuali, ognuna delle quali è dotata di una sua propria autonomia e identità, dovute alla singolarità delle proprietà che la compongono: la causa della singolarità di ogni id quod est è la singolarità dei rispettivi quo est, delle rispettive forme. Per Gilberto ogni cosa che è è singolare, ma non ogni cosa singolare è individuale48. I singolari possono infatti essere dividua o individua: i primi in quanto simili tra loro per la loro proprietà totale, i secondi in forza della dissomiglianza di una parte della loro proprietà totale49. Posta la consistenza ontologica dell’individualità, Gilberto si sofferma sul concetto di diversità – declinato in opposizione al concetto di identità – in relazione al genere, alla specie e al numero50. La distinzione numerica è perciò una specificazione della diversità, non una sua mera riproposizione. La fonte della diversità numerica dei sussistenti, così come della loro somiglianza, è la singolarità delle sussistenze, non la varietà degli accidenti, che ne costituisce piuttosto la prova51. L’individualità, che sta alla dissomiglianza come la ‘divi47
Cfr. ibid., 2, p. 58,42-47: «Est enim proprium naturalium quod ‘Sicut numero diversorum proprietates diversae sunt ita quoque subsistentiae numero sunt diversae’ et quod ‘una singularis subsistentia non nisi unum numero faciat subsistentem’ ut Platonis et Ciceronis non solum accidentales proprietates verum etiam substantiales, quibus ipsi sunt verbi gratia vel diversa corpora vel diversi homines, diversae sunt». 48 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 270,6870. Cfr. Summa Zwettlensis, III, 26, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 55), p. 102: «Talia enim aliqua similitudine eorum quae verae sunt substantiae individuae dicuntur individua quoniam sunt singularia». 49 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., p. 270,70-80. 50 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1 pp. 74,24-75,40. 51 Cfr. GRACIA, Introduction to the Problem of Individuation cit., p. 173: «Singularity, therefore, is ultimately the principle of numerical diversity for Gilbert.This
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dualità’ sta alla somiglianza, è una caratteristica dell’id quod est e dell’insieme delle sue proprietà formali, poiché non se ne dà uno identico all’altro. Le proprietà parziali non sono invece individuali poiché si ritrovano in più sussistenti simili. La concezione gilbertina dell’individualità si differenzia dunque da quella che può definirsi la «teoria standard dell’individualità»52, accettata dalla quasi totalità dei suoi contemporanei. La distinzione tra singolarità, diversità e individualità e l’approfondimento metafisico di quest’ultimo concetto rappresentano un’evoluzione originale della teoria boeziana e la più importante elaborazione concettuale del tempo assieme a quella di Abelardo. Largamente influenzati dalla duplice impostazione del problema da parte di Boezio, i pensatori altomedievali svilupparono la discussione tanto sul versante logico quanto su quello teologico, privilegiando tuttavia, coerentemente con l’impostazione del De Trinitate boeziano, la componente metafisica. Gilberto e Abelardo introdussero elementi di novità rilevanti: il primo, continuando a privilegiare l’aspetto metafisico del problema ma inserendo, come si è visto, una serie di precisazioni e distinzioni; il secondo, spostando l’accento sul versante logico della questione. La teoria dell’unità e singolarità del sussistente si concilia con quella della pluriformità dell’essere: l’esse pluriforme del sussistente è composto dall’insieme di tutte le sussistenze che, sulla base di un vincolo partecipativo rigorosamente gerarchico, concorrono a formare la «tota forma substantiae», una totalità che è una, singularis e individua per ciascun sussistente: «sicut simplex ita et compositum suae proprietatis singularitate est unum»53. La forma (o proprietà) totale di Gilberto include anche le caratteristiche means that the principle of numerical sameness and the principle of numerical diversity are the same». 52 La definizione è di Gracia: cfr. ID., The Legacy of the Early Middle Ages cit., p. 26: «It had four main aspects: the conception of individuality as difference or distinction, the restriction of the extension of ‘individual’ to Aristotelian primary substances, the lack of distinction between the problem of individuation and the problem concerned with the discernibility of individuals, and finally, most important of all, the identification of the principle of individuation either (1) with one or more accidents (usually place) of a substance or (2) with the collection of all features (including nonaccidental ones) belonging to the substance». 53 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 301,88-89.
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accidentali e dunque è necessariamente individuale in quanto non dissimile da quella di ogni altra realtà. L’ontologia del Compendium logicae porretanum prende le mosse dai diversi significati della parola substantia e dalla distinzione tra la substantia subiecta e la substantia subiecti54. Secondo l’autore del Compendium, il principio di individuazione non è costituito dalla materia bensì dal soggetto sussistente, che rappresenta il referente privilegiato di ogni predicazione55. La realtà si divide in due generi di cose, i singoli sussistenti e le rispettive singole sussistenze56.Tuttavia i sussistenti sono detti singolari in un modo diverso («non eadem ratione […] non eadem dicendi causa») dalle sussistenze57. Successivamente è chiaramente formulato il principio del pluralismo ontologico: Cum enim sua albedine Socrates sit albus, quis dicet albedine eiusdem Platonem esse album, cum sint diversa alba? Inde est quod tot albedines sunt quot alba. Eodem modo humanitate sua Socrates est homo et est aliquis homo et est alius homo 54 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 1, edd. Ebbesen - Fredborg Nielsen cit., pp. 31,56-32,74: «Hoc nomen ‘substantia’ plures habet acceptiones quarum quasdam greci suis distingunt nominibus.‘Substantia’ enim dicitur res a substando accidentibus intellecta ut yle a Platone ‘silva’ vel ‘receptaculum’ dicta, cui grecus indi[ci]t nomen ‘ypostasi‹s›’. Secunda acceptio huius nominis ‘substantia’ est subsistentia a subsistendo dicta, quod est proprietatis quia ypostasi‹m› sistit sub certo genere rerum et dicitur ‘ysiosys’. Tertia est acceptio cum dicitur ‘Substantia est compactum ex materia et forma’, quod dicitur ‘ysia’. † Quartum in naturalibus † (…) Ut autem praetermittam acceptiones huius nominis ‘substantia’ quas habet in grammatica, sicut distinguimus inter substantiam subiectam et substantiam subiecti, ita distinguimus inter formam substantiae et substantiam formae quartam notando huius nominis ‘substantia’ acceptionem». Anche per Gilberto il termine substantia è utilizzato in maniera equivoca per indicare tanto il subsistens, quanto la subsistentia: cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 116,35-45. 55 Cfr. MARTIN, The Compendium logicae porretanum cit. (cap. 1, alla nota 83), p. XXXVIII. 56 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 13, p. 39,2-5: «Ad quod sciendum est duo genera esse rerum, unum subsistentium et aliud subsistentiarum, omne autem subiectum subsistens [subiectum] dicitur, omnis vero forma subsistentia appellatur.At genus subsistentium esse suum contrahit a genere subsistentiarum». 57 Cfr. ibid., III, 13, pp. 39,15-40,20: «Cum itaque omnis forma sit singularis et omnis forma et sola praedicabile et econverso, omne praedicabile est singulare et convertitur – non enim eadem ratione subiectum formae dicitur singulare qua forma subiecti singulare dicitur: hoc enim ut cui inest singularitas id est unitas, illa vero ut quam comitatur singularitas id est unitas, ut in sequentibus apparebit».
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quam Plato; nemo enim dicit humanitate Socratis Platonem esse hominem. Quot ergo homines, tot humanitates. At sic et eadem ratione de quodlibet substantiali et accidentali collige. Cum ergo sola proprietas sit id quod inest et nulla forma quae est in uno est in alio, ita nichil quod sit in uno est in alio58.
Tanti uomini, quante umanità: alla pluralità degli individui sussistenti corrisponde la pluralità delle sussistenze. Il principio del particolarismo ontologico, in base al quale «nihil quod sit in uno est in alio» sarà sottoscritto anche da Alano di Lilla59. L’autore del Compendium approva la teoria gilbertina secondo cui ogni realtà individuale è singolare ma non viceversa: mentre la singolarità di ciascuna sussistenza presuppone la conformità con altre forme singole, l’individualità della realtà concreta esclude ogni rapporto di somiglianza e di compartecipazione60. La forma di ogni singola realtà sussistente è la collezione dell’insieme delle proprietà sostanziali e accidentali di un unico e medesimo soggetto61. Interessante è anche il riferimento alla proprietà personale degli individui, un’espressione tipicamente gilbertina, definita «individua natura rationalis substantiae»62. 58
Ibid., III, 15, p. 41,63-70. Il corsivo è mio. Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit. (cap. 1, alla nota 44), p. 172: «Non enim dicitur communis aliqua proprietas quia communicetur pluribus; nichil enim quod sit in uno est in alio; quicquid enim in singulari est, singulare est». Per la citazione completa del passo cfr. infra, alla nota 90. 60 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, pp. 143,52-144,57: «Quod ut facilius possit intelligi, illa quae superius huic loco distinguenda reservavimus distinguamus: scilicet quod alicuius proprietas alia ratione singularis, alia individua, alia personalis vocatur. Quamvis enim quicquid est individuum, est singulare – et quicquid est persona, est singulare et individuum – non tamen omne singulare est individuum. Nec omne singulare vel individuum est persona». Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 28, p. 48,94-99: «Ratio quare dicatur omne individuum esse singulare, sed non e converso. Notandum quod singulare dicitur res discreta numero, sed quod paria sunt unum et ens et aliquod singulare et aliquid. Dicitur etiam singulare ab uno solo participabile secundum quod omne singulare est proprietas et e converso, et secundum hoc predictum est:‘omne predicabile est singulare’». 61 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 28, p. 49,7-10: «Est itaque individuum forma collecta ex plenitudine substantialum et accidentalium proprietatum unius et eiusdem subiecti, quia nichil secundum plenitudinem suarum proprietatem alii vel alii‹s› conformari potest». 62 Cfr. ibid., III, 28, p. 49,16-20: «Item, individuorum alia est personalis proprietas, alia non. Personalis proprietas est individua natura rationalis substantiae etc.Videtur itaque tota forma animae Platonis esse personalis proprietas, et ita in59
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Anche l’autore del Tractatus «Invisibilia Dei» formula una definizione dell’individuum (e della persona) a partire dalla molteplicità delle forme. Né le proprietà sostanziali né le proprietà accidentali sono individuali, poiché ciascuna di esse è partecipabile anche da altre sostanze: individuale è soltanto la composizione di tutte le predette forme, l’insieme unico ed esclusivo delle proprietà, sostanziali e accidentali, di ciascun sussistente63. Il concetto-chiave per la definizione della realtà individuale è perciò la dissomiglianza: l’individuo è la forma composta di tutte le forme che lo caratterizzano in modo tale da renderlo inconfondibile rispetto agli altri64.
4. La teoria della conformitas La celebre quaestio relativa allo status degli universali, innescata nel Medioevo dal commento di Boezio all’Isagoge di Porfirio, fu al centro del dibattito filosofico e teologico tra gli esponenti delle ‘scuole’ (o ‘sette’, come le ha definite Alain de Libera, riprendendo un’espressione di Goffredo di San Vittore) del secolo XII65. È in
dividuum; quod falsum est. Nulla enim pars proprietatis ali‹cui›us creaturae naturaliter est individuum». Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 272,28-33. 63 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit., p. 131: «Plures proprietates sunt in Petro quarum participatione subsistat.Alia namque est illa qua est corpus ut corporalitas, alia illa qua est animal ut animalitas, alia illa qua est homo ut humanitas. Quae formae ad substantialem statum Petri pertinent. Cum enim quaeritur quid sit Petrus quoniam per quid de substantiali statu quaeritur solent haec responderi: Petrus est homo corpus animal. Praeter autem has proprietates quae substantiales sunt et ad substantialem statum rei pertinent aliae formae sunt quae ad accidentalem statum rei pertinent ut albedo nigredo. De quo accidentali statu cum quaeritur, redduntur vocabula quae huiusmodi formas significant.Verbi gratia: qualis est Petrus cum quaeritur, respondetur: albus, niger. Harum vero omnium formarum tam substantialium quam accidentalium quae in Petro sunt nulla est individua. Et quia nulla earum est individua, nichil secundum aliquam earum est persona. Illam namque formam quae confert ut aliquid secundum eam dicatur persona oportet talem esse ut quod illa participat secundum eam nulli sit idem vel simile. Unde clare relucet quod nulla praemissarum formarum individua vel personalis est». 64 Cfr. Ibid., p. 132: «Similitudo namque est collatio rerum proprietatibus similium effectuum participantium (...) Est itaque individuum quaedam forma ex omnibus formis tam substantialibus quam accidentalibus compacta quae sunt in Petro quae ita facit Petrum aliis esse dissimilem ut nulli patiatur esse similem». 65 Cfr. DE LIBERA, La querelle des universaux cit. (alla nota 8), in partic. pp. 132148; tr. it., pp. 135-151.
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questo secolo che fanno la loro comparsa i termini Nominales e Reales, che non corrispondono sic et simpliciter alle due categorie dei nominalisti e dei realisti. Questi due termini s’intrecciano, infatti, con i nomi delle sectae del tempo: le teorie di Abelardo sarebbero all’origine delle posizioni sostenute dai Nominales, mentre apparterrebbero alla schiera dei Reales i seguaci di Alberico del Monte (Albricani o Montani), di Roberto di Melun (Robertini o Melidunenses), Adamo di Balsham (Parvipontani o Adamitae) e infine di Gilberto Porretano (Gilebertini o Porretani)66. Così come le ha ricostruite de Libera, sulla scorta delle fonti inventariate da Iwakuma ed Ebbesen67, le tesi dei Nominales sugli universali sarebbero le seguenti: 1) «gli universali, generi e specie, sono nomi», 2) «nulla è al di fuori del particolare», 3) «nella predicazione un termine è predicato di un termine, e non una cosa di una cosa». Dal canto loro, i Reales, anche e soprattutto in reazione alle tesi sostenute dai Nominales, sostengono che 1) «i generi sono cose», 2) «c’è qualcosa al di fuori del particolare», 3) «nella predicazione una cosa è predicata di una cosa, non un termine di un termine», 4) «niente segue dall’impossibile». «Il dibattito tra Nominales e Reales non era pertanto rivolto alla questione ‘bruta’ di sapere se la predicazione si svolge tra cose o parole, ma se è predicabile il termine stesso oppure il suo significato»68.Al problema degli universali si accompagna quello legato al rapporto tra il tutto e le parti, a partire dagli argomenti mereologici di Roscellino che sono alla base del vocalismo, secondo cui tutto è solo una parola e nessuna cosa è composta da parti.Abelardo criticò a fondo la posizione dei Reales, nelle varie esplicitazioni teoretiche succedutesi negli anni: la teoria dell’essenza materiale (sostenuta inizialmente da Guglielmo di Champeaux), la teoria dell’indifferenza (seconda teoria sostenuta da Guglielmo dopo le critiche dell’allievo di Pallet), la teoria della collezione (che Giovanni di Salisbury fa risalire a Joscellino di Soissons). Abelardo rivendica la singolarità della cosa e l’universalità della parola, o meglio di al66 Cfr. ibid., p. 136; tr. it., p. 139: «L’appartenenza a una ‘setta’ (secta) è definita dall’adesione a una ‘credenza’ – una ‘professione’ (professio), come una ‘professione di fede’ – costituita da un certo numero di teoremi (positiones) riguardanti la Logica vetus». 67 IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools cit. (cap. 2, alla nota 129). 68 DE LIBERA, La querelle des universaux cit., p. 140; tr. it., p. 143.
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cune parole, in grado di significare più cose, ed elabora un’originale teoria ontologica dello status in cui convergono gli individui. Negli stessi anni, i Melidunenses elaborano un’altra versione della teoria dello status, muovendo dalla distinzione tra il problema degli universali in generale e quello dei generi e delle specie69. Il realismo dei Porretani non è una nuova versione tra le tante del realismo predominante nel dodicesimo secolo, quanto piuttosto una nuova posizione teoretica, valida tanto sul piano logico quanto su quello teologico, a partire da alcune delle più luminose indicazioni del neoplatonismo cristiano: Boezio, naturalmente, ma anche lo pseudo-Dionigi70. La questione degli universali viene affrontata da Gilberto sulla scorta di tre teorie metafisiche: 1) il pluralismo ontologico radicale, determinato dalla pluralità delle sussistenze, insieme alla concreta individualità di ogni realtà finita; 2) la conformità (similitudo) reale delle subsistentiae appartenenti allo stesso genere o specie, collegata alla pluriformità dell’esse dei sussistenti ed alla te69
Cfr. ibid., pp. 158-167; tr. it, pp. 162-171. Cfr. inoltre per una visione d’insieme, M. DE WULF, Le problème des universaux dans son évolution historique du IXe au XIIIe siècle, in «Archiv für die Geschichte der Philosophie», 1896; B. MAIOLI, Gli universali. Alle origini del problema, Roma 1973; ID., Gli universali. Storia antologica del problema da Socrate al XII secolo, Roma 1974; Das Universalien-Probleme, a c. di W. Stegmüller, Darmstadt 1978, l’intero fascicolo n. 30 (1992) di «Vivarium», interamente dedicato al nominalismo nel dodicesimo secolo. In particolare, sulla posizione di Abelardo, che segna una vera svolta nella storia del problema, cfr. J. BOLER, Abailard and the Problem of the Universals, in «Journal of the History of Philosophy», 1 (1963), pp. 37-51; R. PADELLARO, Abelardo e il problema degli universali, Roma 1966; M. M. TWEEDALE, Abailard on Universals, Amsterdam - New York Oxford 1967; Abélard, Le «Dialogue». La philosophie de la logique,Actes du colloque de Neuchâtel (16-17 novembre 1979), éd. M. de Gandillac et al., Genève - Lausanne - Neuchâtel 1981 (Cahiers de la Revue de Théologie et de Philosophie, 6); J. JOLIVET, Non-rèalisme et platonisme chez Abélard. Essai d’interprétation, in Abélard en son temps, Actes du Colloque international organisé à l’occasion du 9e centenaire de la naissance de Pierre Abélard (14-15 mai 1979), éd. J. Jolivet, Paris 1981, pp. 175-195; Ch. WÉNIN, La signification des universaux chez Abélard, in «Revue philosophique de Louvain», 80 (1982), pp. 414-448; L. M. DE RIJK, Martin M.Tweedale on Abailard. Some Criticism of a Fascinating Venture, in «Vivarium», 24 (1986), pp. 85-127; M. M. TWEEDALE, Reply to Prof. De Rijk, ibid., 25 (1987), pp. 3-22. Cfr. infine D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., pp. 294-322 (ampia bibliografia alle pp. 379-383), in cui si fa il punto sul problema attraverso una serie di riferimenti a documenti storici, testuali e alle interpretazioni più recenti. 70 Cfr. DE LIBERA, ibid., p. 168; tr. it., p. 172: «Il realismo porretano non è però un prodotto di sintesi: è invece, con il non-realismo di Abelardo, la sola alternativa d’insieme all’aristotelismo esitante dei Reales».
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si della compositio; 3) la teoria dell’astrazione, tramite cui l’intelletto può cogliere questa similitudine sostanziale fra le sussistenze71. Opponendosi ad ogni forma di realismo estremo, Gilberto assegna agli universali uno spessore logico-linguistico-concettuale, derivato dal processo astrattivo di comparazione, di raffronto: reale è la conformitas delle sussistenze e dei sussistenti corrispondenti. Distinguendosi tanto dal nominalismo quanto dal realismo esagerato, la posizione del maestro di Poitiers può definirsi genericamente ‘realismo moderato’72: essa suscitò qualche perplessità nello stesso Giovanni di Salisbury, che collocò il maestro tra i realisti, caratterizzandolo per il ruolo assegnato alle forme nativae: in fondo anche Gilberto, nell’ottica del filosofo anglosassone, aveva cercato di determinare la consistenza ontologica degli universali, contravvenendo al concettualismo aristotelico, scevro da ogni realismo73. Tale rilievo critico non deve tuttavia far dimenticare l’originalità della soluzione gilbertina rispetto a quella in voga nella scuola di Chartres, sostenuta in modo univoco da Bernardo, Teodorico e Clarembaldo di Arras, per i quali è inammissibile concepire pluralitatem in formis74. Gli universali sono entità logico-concettuali ricavate per astrazione dall’analisi delle realtà concrete, sono nomi appellativi che esprimono un’unione, una collectio fondata sulla conformitas reale delle sussistenze e degli individui corrispondenti. In senso proprio soltanto le sussistenze possono essere predicate e dirsi universali in quanto realtà ‘dividue’, realmente somiglianti e quindi partecipabili in altri. Gilberto esplicita la sua teoria a parti71
Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit. (cap. 2, alla nota 71), pp. 341-364. Sulla questione del realismo di Gilberto, cfr. A. FOREST, Le realisme de Gilbert de la Porrèe dans les commentaire du De hebdomadibus, in «Revue néoscolastique de philosophie», 1934, pp. 101-110; ID., Gilbert de la Porrèe et les écoles du XIIe siècle, in «Revue des cours et conferences», 85/2 (1934), pp. 410-420 e 640651, in cui l’autore confronta la posizione personale del Porretano con la più tradizionale teoria realista degli altri maestri chartriani. 73 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Metalogicon, II, 17, edd. Hall - Keats-Rohan cit. (cap. 2, alla nota 16), p. 83,84-91: «Porro alius ut Aristotilem exprimat, cum Gilleberto episcopo Pictavensi, universalitatem formis nativis attribuit, et in earum conformitate laborat. Est autem forma nativa, originalis exemplum, et quae non in mente Dei consistit, sed rebus creatis inhaeret. Haec Graeco eloquio dicitur idos, habens se ad ideam ut exemplum ad exemplar. Sensibilis quidem in re sensibili, sed mente concipitur insensibilis. Singularis quoque in singulis, sed in omnibus universalis». 74 Cfr. l’equilibrato giudizio conclusivo di MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 358. 72
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re dalla distinzione boeziana tra sostanze universali e sostanze particolari, che egli interpreta a livello logico-concettuale e non a livello fisico-naturale: Sed attende quod, cum superius subsistentes tantum et solis naturalibus, nunc et subsistentes et subsistentias rationalibus atque topicis differentiis dividit et ait: RURSUS SUBSTANTIARUM ALIAE SUNT UNIVERSALES substantialis formae similitudine: ALIAE sunt PARTICULARES i.e. individuae plenarum proprietatum dissimilitudine. Quae vero sunt universales quaeve particulares, descriptionibus et exemplis demonstrat dicens: UNIVERSALES SUNT QUAE plures secundum se totas inter se suis effectibus similes de pluribus SINGULIS subsistentibus inter se vere similibus PRAEDICANTUR: UT HOMO ANIMAL LAPIS LIGNUM CETERAQUE HUIUSMODI QUAE quantum ad subsistentias, quae horum sunt qualitates, VEL GENERA SUNT ut animal lapis lignum VEL SPECIES ut homo75.
Gli universali non appartengono dunque all’ordine della realtà naturale, tuttavia mantengono una connessione ontologica con il mondo fisico, che è composto da sostanze individuali e dalle forme corrispondenti, considerabili separatamente soltanto a livello mentale ma realmente somiglianti tra loro: questa oggettiva conformità, questa unione di genere o di specie, tra le sussistenze numericamente distinte delle individualità concrete, giustifica e legittima l’estensione semantica dei predicabili universali. Gilberto chiarisce che all’unione logico-concettuale degli universali non corrisponde un’unità ontologica di identità di essenza, ma una pluralità di sussistenze e sussistenti distinti: unum et idem si dice in modi diversi76. La dottrina di Gilberto di Poitiers è la testimonianza del fatto che, nonostante le efficaci critiche mosse da Abelardo al realismo, possono convivere una posizione realista intorno agli universali e una rigorosa teoria dell’individualità77. Gilberto è in effetti assai vicino alla posizione di Abelardo riguardo la concezione delle differenze individuali e il rifiuto di ammettere che gli accidenti rappresentino il principio di individuazione 75 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 269,34-45. 76 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, pp. 75,42-78,19. 77 Cfr. JOLIVET, Trois variations médiévales cit., pp. 141-155.
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delle cose78. Per Gilberto il problema non si risolve confinando gli universali nella sfera linguistica: il rapporto tra i termini universali e le realtà individue è garantito dalla diversità numerica delle sussistenze. L’utilizzo simultaneo dei concetti di unione e conformità consente di spiegare l’identità specifica tra due realtà distinte. Uno dei primi approfondimenti della teoria porretana degli universali è opera dell’autore del Compendium logicae porretanum, che precisa la connessione tra il subsistens e la subsistentia (termini che preferisce alla coppia id quod est – quo est) per esplicitare la propria posizione anti-realista. La relazione tra i due elementi suddetti è duplice, dato che la realtà sussistente partecipa nelle sue forme e le forme hanno un effetto nel soggetto: Ratio quare dicatur omne universale esse plura singularia. Duo sunt genera rerum: unum quod est eorum que subsunt, secundum quod est eorum que insunt. Sicut ergo omne, quod subest, causam existendi assumit ab eo, quod ei inest, eodem modo omne quod inest causam existendi assumit ab eo, quod est suus effectus. Nulla enim forma est in subsistere ociosa. Sicut aliquid est quale a participatione qualitatis, sic omnis qualitas est quia efficit quale. Itaque duo sunt quibus res subiectae et earum forma habent esse, scilicet participatio et effectus79.
Il peso ontologico stricto sensu degli universali è nullo, tuttavia il loro valore semantico risiede nella capacità di riferirsi ad una pluralità di individui concreti e delle rispettive forme o proprietà singolari, riuniti in una collectio in virtù di una reale somiglianza80. Il 78 JOLIVET, ibid., pp. 148-149, sottolinea come Gilberto, pur partendo, come Abelardo, da una teoria dell’individuo irriducibile e separato, faccia interagire l’ontologia dell’individuale con un accentuato realismo, per cui l’individuazione dell’universale consiste nella percezione intellettuale della conformità tra singolarità non individuali. 79 Compendium logicae porretanum, III, 29, edd. Ebbesen - Fredborg - Nielsen cit., pp. 49,33-50,40. 80 Cfr. ibid., III, 29, p. 50,49-52: «Sicut enim homines colliguntur in unum populum quia eodem iure vivunt, et milites sub uno duce militantes exercitus, sic singularia sunt unum universale ratione suorum effectum simul collecta». Cfr. JOLIVET, Trois variations médiévales cit., p. 152: «Les inévitables métaphores de l’ontologie doivent être lues dans leur contexte: celui d’un réalisme pour le moins estompé auquel aboutit tout naturellement la philosophie de Gilbert en tant qu’elle est une doctrine de l’individuel; réalisme, si on peut encore dire ainsi, ou
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genere non è una cosa universale ipostatizzata e partecipata da più individui, ma una collezione di individui uniti da una somiglianza reale: l’autore del Compendium sottolinea che il genus non è una res che si spartisce in più individui, ma un universale che è causa della loro unione, del loro comune riferirsi ad una medesima natura81. Le nozioni di conformità e di causalità, che l’Occidente latino conosce attraverso le traduzioni del Corpus Areopagiticum, sono dunque i concetti attorno ai quali i Porretani elaborano la loro teoria degli universali82. Per l’autore del Tractatus «Invisibilia Dei» ogni res e ogni elemento presente in una res è singolare: non esiste una res universale. Ad ogni universale corrisponde una pluralità di cose83. L’universale non può perciò essere una realtà concreta, bensì la collectio di realtà singolari le cui proprietà hanno effetti simili84. La realtà pourquoi pas forme de nominalisme, qui désamorce l’efficace de la forme sans aller jusqu’à la lui retirer au risque de se supprimer soi-même puisqu’aussi bien il en tire argument pour se fonder». 81 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 33, pp. 53,58-54,65: «Cum autem auctoritas asserat genus dividi, generis divisio nichil aliud est quam rerum participatione generis unitarum discretio, quae fit vel speciei participatione vel differentiae. Non autem dicitur generis divisio quia genus dividatur, sed quia res unitae in genere dividuntur, id est inter se discernuntur. Ideo autem dicitur generis divisio, quia genus uniens res subiectas causa est quare res subiectae velint discerni – nam unitorum assignanda est discretio». 82 Cfr. DE LIBERA, La querelle des universaux cit., p. 173; tr. it., p. 178: «L’originalità di Dionigi, sfruttata a fondo dalla scuola porretana, consiste però nell’associare una nozione causale dell’universale con l’idea di una struttura formale propria di ciascuna cosa. (…) La causa della conformità tra cose unite in una collezione è dunque l’universale che contiene in unità quello che la pluralità sviluppa e realizza in conformità». 83 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit., pp. 128-129: «Sciendum est quod omnis res est singularis. Nulla res est universalis. Sicut enim Petrus singulariter est unus homo, singulariter unum animal, sic singulariter est una essentia qua ipse est homo, singulariter est una essentia qua ipse est animal. (...) Si autem omne quod est in singulari est singulare, ergo nichil quod insit est universale. Sed omne quod inest, est singulare. (...) Apparet itaque quod omnis res quae subest et quae inest et quae adest est singularis. Nulla ergo res est universalis. (...) Dicendum est itaque quod nullum universale est unum sed plura». 84 Cfr. ibid., pp. 129-130: «In his rebus quae subiectae sunt diversas esse proprietates superius dictum est. Quarum quaedam habent similes effectus, quaedam dissimiles. Illae proprietates similes habent effectus quae assimilant subiecta in quibus sunt ut illae essentiae quibus aliqua sunt homines. (...) Proprietates itaque similium effectuum in unum universale colliguntur. (...) Quae vero dissimiliter operantur, in unum universale non congregantur. (...) Collectio itaque singularium similes effectus habentium sunt unum universale».
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di tale collectio è intellettuale ed è espressa da un predicabile (genere, specie ecc.)85. Anche da questo trattato, dunque, emerge l’impostazione speculativa tipicamente porretana, diversamente sfumata all’interno delle varie opere di scuola, che sul corpo teorico tipicamente platonico del formalismo ontologico innesta il riconoscimento aristotelico della singolarità delle sostanze86. Anche le regole XXVI e XXVII della Summa Zwettlensis sono dedicate al concetto di conformità e alla relazione con l’identità e la somiglianza: ogni identità di natura o di genere consiste in una conformità, e la conformità delle nature singolari è la piena somiglianza che fa sì che due individui siano detti naturalmente somiglianti in virtù delle umanità singolari che li conformano l’uno all’altro87. Le stesse parole si ritrovano nelle regulae theologicae CXXIX e CXXX, in cui Alano di Lilla mette a confronto la conformitas propria di due individui somiglianti con l’uniformitas divina e la consustanzialità del Padre e del Figlio88. Nella Summa «Quoniam homines» il concetto di unione, differente da quello di unità, si chiarifica in relazione alle nozioni di conformità e di somiglianza, con cui compone un plesso ontologico originale, frutto
85 Cfr. JOLIVET, Trois variations médiévales cit., p. 153: «L’auteur des Invisibilia Dei n’est réaliste que dans la mesure où il affirme l’efficace de la forme; comme Gilbert et déjà Boèce il pose que ‘il n’y a pas d’être des simples’ puisque être c’est être quelque chose et que la corporéité, l’humanité, la blancheur, ne sont pas dans ce cas: ce qui est quelque chose l’est par un esse qui vient d’un autre et qui luimême n’est pas; telle est la pure doctrine des Hebdomades». 86 Cfr. ibid., pp. 153-154. 87 Summa Zwettlensis, I, 18, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 55), p. 33: «Item idemptitas naturae vel generis in conformitate consistit. Conformitas autem naturarum singularium est plena similitudo qualiter Socrates et Plato dicuntur naturaliter similes singularibus suis humanitatibus eos similiter conformantibus». 88 ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, CXXIX-CXXX, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 57), p. 224: «Idemptitas naturae vel generis in conformitate consistit. Verbi causa ideo dicitur Plato esse idem quod est Socrates natura vel genere quia eiusdem naturae est conformitate. Hoc nomen enim conformitas pluralitatem insinuat. Unde non adtenditur in naturae singularitate sed in naturarum similitudine. Conformitas est singularium naturarum plena similitudo. Ut Socrates et Plato dicuntur naturaliter conformes suis singularibus humanitatibus eos similiter conformantibus. Patris autem et Filii et Spiritus sancti nulla est conformitas sed, ut ita loquar, uniformitas. Non enim similitudo eorum adtenditur secundum singulares naturas sed secundum unam et simplicem trium essentiam. Dicitur enim Filius consubstantialis Patri, non ut ‘con’ notet substantiae diversitatem sed substantiae unitatem ut sit sensus: Filius est consubstantialis Patri i.e. unisubstantialis».
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dell’elaborazione della metafisica boeziano-gilbertina da un lato e dionisiano-eriugeniana dall’altro89. La forma della somiglianza è alla base dell’unione tra realtà individuali accomunate dalla medesima proprietà dividua, mentre la forma della dissomiglianza è lo status individuale e indivisibile che rende un soggetto diverso dall’altro sulla base dell’insieme delle proprietà sostanziali e accidentali di ciascuno90. L’autore del Dialogus Ratii et Everardi insiste particolarmente sul realismo delle forme, che nell’opera convive con la concezione della pluralità delle realtà individuali e una posizione moderatamente realista intorno agli universali: Audisti superius me dixisse omnia genera et species in primo contineri praedicamento. Sed in aliis praedicamentis inveniri generalissima et specialissima. Unde eadem forma habet et specialem et generalem effectum ut albedo facit album (et iste effectus ejus est specialis, immo specialissimus), eadem facit coloratum (et iste generalis), facit quale (et iste generalissimus). Igitur omnes albedines sunt hoc universale album, omnes al89 Cfr. A. DE LIBERA, Logique et théologie dans la Summa Quoniam homines d’Alain de Lille, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 437-469, in partic. p. 453. Cfr. anche J. KÖHLER, Ut Plato est individuum. Die Theologischen Regeln des Alain de Lille über das Problem des Individualität, in Individuum und Individualität im Mittelalter, hrsg. v. J.A.Aertsen und A. Speer, Berlin - New York 1996, pp. 22-36; C. ERISMANN, Alain de Lille, la métaphysique érigénienne et la pluralité des formes, in Alain de Lille, le docteur universel cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 19-46. 90 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit. (cap. 1, alla nota 45), pp. 172-173: «Attestante Ilario, alia est forma similitudinis, alia dissimilitudinis. Forma similitudinis dicitur illa proprietas quae informatione subiecti suum subiectum reddit consimile alii, ut albedo suum subiectum reddit simile aliis albis; similiter nigredo. Eadem dicitur communis, quasi suum subiectum cum alio uniens. Non enim dicitur communis aliqua proprietas quia communicetur pluribus; nichil enim quod sit in uno est in alio; quicquid enim in singulari est, singulare est. Sed quia secundum eam unitur subiectum subiecto, eadem dicitur dividua, quia secundum eam attenditur unio quae dividitur in plura et plurium est.Vel ideo dicitur dividua quia quamvis cum quibusdam uniat, id est cum albis, tamen a quibusdam dividit, id est a nigris. Forma vero dissimilitudinis dicitur illa quae suum subiectum reddit dissimile omni alii, ut individualis status Socratis vel Platonis qui attenditur ex concursu accidentalium et substantialium rei. Considera enim in Sorte omnia substantialia et accidentalia sua, invenies in eo quemdam individualem statum qui ficto vocabulo potest nuncupari socrateitas; in quo differt ab omni alia re. Socrates enim in eo quod est Socrates, differt ab omni re. Talis proprietas dicitur forma individua, ut ponatur augmentative, quasi valde dividens subiectum ab aliis. Ipsum vero subiectum dicitur individuum, quasi valde divisum».
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bedines et alii colores hoc universale coloratum, omnes albedines et aliae qualitates hoc universale quale91.
Come testimonia anche quest’ultimo passo, il carattere ‘moderato’ del realismo porretano non rappresenta una semplice attenuazione della teoria ‘chartriana’, che riconosce senza tentennamenti la consistenza ontologica dell’universale e considera gli individui una variazione accidentale dell’identica natura comune, bensì è il risultato di una rielaborazione critica del formalismo ontologico di matrice platonico-boeziana, mediante l’acquisizione – nei seguaci di Gilberto particolarmente accentuata – di elementi aristotelici, che trovano espressione nelle dottrine della pluralità delle forme e della conformità degli individui. Alla luce di questo sviluppo teorico, l’universale tradizionalmente inteso perde progressivamente il suo elemento di trascendenza ma conserva intatto – anzi lo giustifica e lo valorizza – il suo valore logico-semantico, colto a partire dall’astrazione intellettuale.
5. La teoria della partecipatio extrinseca La teoria dell’essere di Gilberto non si limita all’analisi della relazione, intrinseca alla singola realtà, tra la subsistentia e il subsistens, ma coinvolge anche il rapporto tra le creature e il loro artefice. È attraverso il concetto di partecipazione che il vescovo di Poitiers congiunge l’analisi della struttura ontologica del finito alla considerazione dell’Essere divino e affronta il tema della creazione. Dio è essentia (ousìa) principio semplicissimo dell’essere, in cui l’esse e l’id quod est coincidono92. Dio è veramente ciò che è, è l’Essere in senso proprio ed originario, laddove l’esse si predica dell’ente finito «per una partecipazione estrinseca» (quadam extrinse91
Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 48), p. 255. Cfr. JOvariations médiévales cit., p. 151: «Il est loisible de lire dans ce passage la constitution de l’universel à partir des conformités de certains accidents si l’on s’en tient à cet exemple, et de certaines subsistances si on l’étend. Mais plus importants sont l’emploi du verbe être qui unit les blancheurs à l’universel blanc et la dérivation de toute la série ascendante des universaux à partir de l’accident le plus spécifique et donc le plus proche des singuliers». 92 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 90,28-29: «Unde etiam usus loquendi est ut de Deo dicatur non modo Deus est verum etiam Deus est ipsa essentia». LIVET, Trois
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ca participatione) in quanto trasmesso da Dio a tutte le creature composte93. Gilberto riprende la teoria della partecipazione da Boezio, e la completa con un’interpretazione teologica che tende ad evidenziare il rapporto tra l’esse divino e l’esse delle cose create. Egli prende in considerazione i due livelli partecipativi esposti nel De hebdomadibus: la partecipazione principale dell’id quod est al suo esse (forma essendi) e la partecipazione successiva del subsistens alle varie proprietà accidentali. Ogni realtà concreta è in virtù di una certa natura formale ed è qualcosa in virtù di un’altra natura: questi due livelli di partecipazione chiamano dunque in causa una natura primaria (generalissima subsistentia), inferiore soltanto alla causa primordiale divina, e una natura secondaria che è costituita dagli accidenti, che rappresentano in senso proprio l’esse per participationem94. Boezio aveva anche affermato più volte che l’esse o forma essendi di ogni cosa creata deve la sua origine alla trascendente for93 Cfr. ibid., pp. 87,63-88,75: «Essentia vero, quae principium est, omnia creata preacedit: illis omnibus, ut esse dicantur, impertiens et a nullo alio, ut ipsa sit, sumens. Ideoque vero nomine forma neque imago est. Et cum de ea quis loquens dicit essentia est, sic debet intelligi: Essentia est illa res quae est ipsum esse i.e. quae non ab alio hanc mutuat dictionem et ex qua est esse i.e. quae ceteris omnibus eandem quadam extrinseca participatione communicat. Non enim de quolibet suae essentiae proprietate dicitur ‘est’. Sed ab eo, qui non aliena sed sua essentia proprie est, ad illud quod creata ab ipso forma aliquid est et ad ipsam creatam formam et denique ad omnia quae de ipsis vere dicuntur – quoniam ex eo tanquam ex principio sunt – dictio ista transsumitur ut de unoquoque divinae formae participatione recte dicatur ‘est’». 94 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, pp. 208,64-209,81: «Ad quod dicimus quod participatio, sicut et in his quae praemissae sunt regulis significatum est, pluribus dicitur modis. Cum enim subsistens in se aliquid – ut naturam qua sit vel aliquid sit – habet, dicitur quod ipsum ea natura participat. Natura vero quae, quoniam inest subsistenti, dicitur ab eo participari, alia ita prima est ut nullam prae se, quam sequatur, nisi primordialem habeat causam: ut ea, quae omni subsistenti inest, generalissima subsistentia.Alia huius primae quodam modo comes est et, post causam primordialem, illam quoque ita causam habet ut ad potentiam eius ipsa pertineat et proprietate, qua sine ea esse non possit, adhaereat. Tales sunt omnes differentiae illae quaecumque vel huic generalissimo proxime cum ipso quaedam contractioris similitudinis constituunt genera – quae a logicis sub naturali, quae ab ipsis est, subsistentium appellatione ‘subalterna’ vocantur – vel subalternis similiter adhaerentes quamlibet sub ipsis subsistentiam specialem componunt. Hae omnes non modo habitu illo quo inhaerent subsistenti verum etiam illo, quo generibus eius praedicta potestate atque proprietate adhaerent, dicuntur haberi.Ac per hoc duplici ratione participantur».
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ma divina: Gilberto prende spunto da questa tesi per dare luogo ad un vero e proprio terzo livello partecipativo, estrinseco alla struttura dell’essere concreto95. Esso si basa sulla distinzione tra esse in senso teologico ed esse in senso filosofico-naturale e sta ad indicare che ogni realtà concreta è ed è ciò che è non solo grazie alla sua forma sostanziale ed alle determinazioni accidentali, ma anche in forza del rapporto con l’esse del Creatore. Questo apporto teoretico personale permette a Gilberto di chiarire meglio il significato della distinzione tra l’esse simpliciter e l’esse aliquid. Non si tratta di distinguere, ha osservato Maioli, tra due diversi tipi di essere, bensì di «sottolineare il diverso ruolo dell’atto creativo fondativo dell’Essere divino dalla funzione strutturante della forma essendi partecipata»96. È una differenza qualitativa importante, che, teologicamente, fa sì che l’esser tale (esse aliquid) si fondi sull’essere fondamentalmente (simpliciter esse), che è dato dalla partecipazione estrinseca all’esse divino97. L’esse aliquid implica la concretezza, la corporeità e la singolarità, indica un modo di essere determinato e limitato, che appartiene alle realtà singole e individuali: non può quindi riferirsi né alla sostanza divina né alla materia primordiale. La controparte dell’aliquid è il nichil: i due concetti sono accomunati dal fatto che entrambi connotano un ‘qualcosa’, a prescindere dal fatto che ciò esista o meno; la qualitas nominis è la medesima nei due casi, mentre la substantia nominis, il riferimento alla realtà concreta, muta98. 95
Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit. (cap. 2, alla nota 71), p. 215. Ibid., p. 231. 97 Cfr. ibid., pp. 231-232: «La teoria porretana della ‘partecipazione estrinseca’ non va letta nel senso che Dio prima partecipi l’esse e poi partecipi la forma essendi propria del sussistente e le altre forme sostanziali e accidentali come ulteriori determinazioni dell’esse simpliciter del sussistente. Gilberto resta qui fedele a Boezio e anche per lui vale il principio, sia in theologicis sia in naturalibus, che omne esse ex forma est». 98 In realtà anche il modus significandi qualitatem muta, poiché il termine nichil indica una realtà fittizia spogliata di ogni qualità efficiente: cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, pp. 249,2-8: «Nam, sicut praedictum est, illa etiam, quae non sunt, intellectu capi possunt. Quoniam etiam hoc ipsum nomen infinitum ‘nichil’ pro substantia significat aliquid sed non naturam.‘Pro substantia’ dicimus quoniam pro qualitate significat et quod est natura et quod non est natura. Significat enim eandem qualitatem quam hoc nomen infinitum ‘aliquid’. Cuius sine dubio qualitas est et quae est et quae non est». E cfr. ibid., p. 250,21-31: «In modo etiam significandi qualitatem eandem haec nomina differunt. Nam ‘aliquid’ unam alicuius eorum, quae sunt vel finguntur, 96
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Nella metafisica gilbertina la nozione ontologica di concretio va dunque analizzata insieme al concetto cristiano di creatio: il risultato dell’azione divina si esplica attraverso il processo che vede le forme partecipate calarsi nella materia: «omnia naturalia non modo creata sed etiam concreta sunt»99. Poiché Dio ha creato il mondo sulla base delle forme esemplari, la generazione delle cose avviene sulla base di una collezione di forme (subsistentiae)100. Tutte le realtà, a qualsiasi genere appartengano, vengono ad essere in forza della generatio101. La concezione teologica della creazione come creatio ex nihilo, affermata con particolare chiarezza da Gilberto nel Commento ai Salmi102, convive con la concezione cosmologica della creazione come formazione del mondo, come «ingressus in substantiam»103 del creato ad opera di Dio, delle Idee archetipiche e della materia primordiale104. La creazione in quequalitatem veram vel fictam dictionali significatione suae similiter verae vel fictae substantiae confert.‘Nichil’ vero ab ea, quae non est vera sed est ficta substantia, quamlibet veram fictamquae removet qualitatem. Quod enim ‘nichil’ dicitur, nulla neque verae neque fictae efficientiae qualitate affici significatur. Nullum enim fictum id, quod fingitur, est. Iccirco recte hoc infinito abnegativo, quod est ‘nichil’, etiam ficta qualitas ab eiusdem nominis abesse substantia significatur». Cfr. J. GAUVIN, Les sens de nichil chez Gilbert de la Porrée, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 173-181. 99 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, p. 199,19-20. Cfr. anche ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, pp. 84,54-56: «Creatio namque subsistentiam inesse facit ut cui inest ab ea aliquid sit. Concretio vero eidem subsistentiae naturas posterioris rationis accomodat ut, cui cum illa insunt, simplex non sit». 100 Sull’esemplarismo di Gilberto, cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 247268. 101 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, pp. 255,74-256,78: «Generatio namque est ingressus in substantiam. Ideoque quicquid per creationem incipit alicuius generis esse, id recte dicitur ‘generari’. Quod utique omnibus temporalibus atque perpetuis convenit. Haec enim omnia non semper fuerunt. Ideoque quicquid secundum quodlibet genus sunt, per generationem hoc esse coeperunt». 102 Cfr. GROSS-DIAZ, The Psalms Commentary of Gilbert of Poitiers cit. (cap. 1, alla nota 97). 103 Espressione che Gilberto ricava dal commento boeziano alle Categorie: cfr. BOETHIUS, In Categorias Aristotelis Commentarium, IV, PL 64, [159A-294C], 290A; per il passo di Gilberto cfr. supra, nota 101. 104 Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 211. Sulla differenza tra creatio e generatio,cfr.Compendium logicae porretanum,III,3,edd.Ebbesen - Fredborg - Nielsen cit., p. 33,22-31: «Ad hoc notandum quoniam aliud est creatio, aliud generatio, aliud factura.Creatio est rei plasmatio ex non preiacente materia,ut animae:ibi enim est creatio quasi concretio;fit enim tam materia quam forma ex nichilo et in crean-
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sto senso filosofico è assimilata da Gilberto alla generazione, in cui il sussistente viene all’essere grazie all’opera dell’artefice divino che immette la subsistentia in ciascuna realtà concreta105. Dio è il fondamento teologico e ontologico di tutte le cose, è la vera e unica causa, il vero essere e il vero principio di tutte le creature106. Mentre la creatio segna l’atto primo nella costituzione ontologica del mondo finito, la concretio è l’atto di sintesi di una materia e di una forma nativa, con l’apporto delle proprietà accidentali107. Perfettamente funzionale alla risoluzione delle più importanti questioni teologiche, la metafisica gilbertina nel suo complesso costituisce il fondamento teorico su cui i Porretani innestano le analisi successive, che non prescindono, nei loro tratti salienti, dal riconoscimento del nesso essenziale tra la forma e la molteplicità, ossia della corrispondenza tra la varietà delle sussistenze e la pluralità dei sussistenti: il primato della forma nella composizione dell’essere s’integra in modo originale e fruttuoso al pluralismo ontologico, alla valorizzazione di ogni singola realtà individuale.
do eorum adunatio.At generatio est ingressus in substantiam, id est in substantiale esse,ut aqua quae fiebat vinum ingrediebatur substantiale esse vini.Factura vero est alicuius rei artificiosa immutatio status aut figurae, ut si de aere fiat statua vel de laico litteratus.Cum itaque in mundi creatione creata ex nichilo fueri‹n›t quattuor elementa,quasi omnium elevamenta,quia erant omnium corporum sufficiens materia,in eis omnia corpora fuerunt creata». 105 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, p. 195,0-7: «AT VERO id QUOD EST, ACCEPTA in se FORMA ESSENDI i.e. ea, quam abstractim intellectus concipit, subsistentia – quae acceptio dicitur ‘generatio’ – EST ATQUE materiae, quae Graecae ‘yle’ dicitur, formaeque huius, quae Graecae ‘usyosis’ vocatur, concursu – opifice illa forma, quae nominatur ‘usya’, iuxta exemplar illius, quae dicitur ‘ydea’, ycon – hoc est illius exemplaris exemplum et imago – CONSISTIT: ut corpus eo quod ut esse corporalitatem habet est corpus et homo eo quod humanitatem». La fonte di questo ed altri temi cosmologici in Gilberto è naturalmente il Timeo platonico nella versione di Calcidio: cfr. CALCIDIUS, Timaeus a Calcidio translatus commentarioque instructus, ed. J. H. Waszink, Londra 1962 (Corpus Platonicum Medii Aevi, 4). Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 282. 106 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, p. 284,70-90. 107 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 1, p. 84,54-56: «Creatio namque subsistentiam inesse facit ut, cui inest, ab ea aliquid sit. Concretio vero eidem subsistentiae naturas posterioris rationis accomodat ut, cui cum illa insunt, simplex non sit».
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CAPITOLO QUINTO
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1. La tradizione e il contesto Racconta Giovanni di Salisbury che Gilberto di Poitiers, negli anni della sua formazione filosofica a Chartres, acquisì dal magister Bernardo († 1124 ca.) una precisa metodologia di lavoro, basata sull’approfondimento delle arti sermocinali, che sarebbe stata poi recepita e sviluppata dai suoi allievi. Il metodo pedagogico di Bernardo non si limitava alla glossa dei manuali di Prisciano, Donato e Marziano Capella, bensì puntava a sviluppare negli allievi una capacità ermeneutica fondata su un sicuro e affidabile bagaglio di conoscenze e su un esercizio costante1. Al contrario del suo maestro, grammaticus opulentissimus secondo le parole di Giovanni, Gilberto non è un grammatico ‘puro’, quanto piuttosto un grammatico e un logico applicato alla teologia, o meglio un teologo sostenitore della necessità dell’utilizzo delle leggi grammaticali e delle distinzioni logiche all’interno di ogni enunciato di fede2. In questo senso, egli si colloca nel solco di una consolidata 1
Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Metalogicon, I, 24, edd. Hall - Keats-Rohan cit. (cap. 2, alla nota 16), pp. 51-55,1-135. Sull’argomento, cfr. POOLE, The Masters of the School cit. (cap. 2, alla nota 11); LIEBESCHUTZ, Mediaeval humanism cit. (cap. 2, alla nota 98). 2 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, ibid., I, 5, p. 20,10-16: «Sed et alii viri amatores litterarum utpote magister Theodoricus artium studiosissimus investigator, itidem Willelmus de Conchis grammaticus post Bernardum Carnotensem opulentissimus, et Peripateticus Palatinus qui logicae opinionem praeripuit omnibus coaetaneis suis, adeo ut solus Aristotilis crederetur usus colloquio, se omnes opposuerunt errori, sed nec universi insanientibus resistere potuerunt».
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tradizione che rimonta al De doctrina christiana di Agostino e che ai tempi di Gilberto è ben rappresentata dall’Eptateuchon di Teodorico di Chartres, dal Didascalicon di Ugo di San Vittore e dal Metalogicon di Giovanni di Salisbury. Già a partire dalla seconda metà dell’undicesimo secolo, i testi della cosiddetta logica vetus erano stati sottoposti ad un’accurata analisi, al fine di un’utilizzazione sistematica in divinis del sapere logico-grammaticale, che, intorno alla metà del dodicesimo secolo, poteva annoverare anche i trattati della logica nova3. Il Metalogicon di Giovanni di Salisbury († 1180) fornisce una serie di informazioni particolarmente preziose, in quanto frutto di esperienza diretta, per valutare la presenza della logica nelle scuole della prima metà del secolo. Strenuo difensore dello studio di questa disciplina, specie per la sua peculiare capacità di fungere da strumento e criterio per le altre scienze, Giovanni è testimone di una sua progressiva specializzazione e della formazione, attorno ad alcuni maestri, di novae sectae filosofiche, protagoniste di controversie vivaci e sottili, da lui per altro giudicate piuttosto sterili4. Questo intensificarsi degli esercizi logico-filosofici, oltre a definire i contorni dottrinali delle varie scuole, spinse a verificare in modo più puntuale il valore di proposizioni logiche universalmente valide, stimolando un confronto culturale che ebbe i suoi benefici influssi anche sul piano della riflessione teologica5.
3 Cfr. R.W. HUNT, Studies on Priscian in the eleventh and twelfth centuries I. Petrus Helias and his predecessors, in «Mediaeval and Renaissance Studies», 1-2 (1941-43), pp. 194-231; ID., Studies on Priscian in the twelfth century II cit. (cap. 2, alla nota 26). Cfr. anche ID., The history of grammar in the middle ages. Collected papers,Amsterdam 1980. Hunt ha mostrato come già in alcune glosse inedite della fine del secolo XI la grammatica elementare fosse approfondita con analisi logico-speculative. 4 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, ibid., I, 3, pp. 15-17,1-83. 5 Cfr. K. JACOBI, Logic: the later twelfth century, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 87), pp. 227-251. Jacobi ricava dalle indicazioni contenute nel Metalogicon le principali questioni dibattute a quel tempo, dal problema degli universali alla teoria delle consequentiae, alla dottrina delle fallaciae recuperata dal ritorno in circolazione degli Elenchi sofistici. Sulle fallaciae, cfr. L. M. DE RIJK, Logica Modernorum I. A Contribution to the History of Early Terminist logic,Assen 1962, passim; ID., Logica Modernorum II cit. (cap. 3, alla nota 36), I, pp. 491-512; S. EBBESEN, Commentators and commentaries on Aristotle’s Sophistici elenchi. A study of post-Aristotelian ancient and medieval writings on fallacies, 3 voll., Leiden 1981 (Corpus Latinum Commentariorum in Aristotelem Graecorum VII/1-3).
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Gilberto e i suoi immediati seguaci operano, dunque, nell’ambito degli studi logici, in una situazione di frontiera: vivono e contribuiscono direttamente al passaggio da una grammatica ancora finalizzata alla classificazione e regolamentazione della natura formale della parola a una grammatica fortemente influenzata dalla logica e dunque impegnata nell’analisi delle parole inserite nel contesto proposizionale, ove la correlazione tra le due artes sermocinales rappresenta l’elemento nuovo di una più matura coscienza epistemologica, sollecitata da un’attenta lettura dei commentari boeziani6. Nel secolo XII giunge infatti a maturazione un processo lento ma ininterrotto, che rimonta ai primi secoli altomedievali, in cui lo studio della grammatica, pur basandosi sui manuali di Donato e Prisciano, si alimenta di riflessioni originali e speculativamente significative7. L’interferenza della dialettica nei confronti della grammatica, dal punto di vista dei contenuti, del metodo e a volte anche della terminologia, favorì l’evoluzione filosofica e scientifica della prima arte del trivium8: il peso delle autorità, limitate ad alcune opere di Donato e Prisciano, diminuì progressivamente a favore di speculazioni dialettiche e analisi linguistiche originali9. Lo sviluppo della dottrina e della terminologia grammaticale nel dodicesimo secolo è segnato dall’opera di quelle che con Ka-
6 Sulla grammatica speculativa, cfr. M. GRABMANN, Die geschichtliche Entwicklung der mittelalterlichen Sprachphilosophie und Sprachlogik. Ein Überblick, in Mélanges J. de Ghellinck cit. (cap. 3, alla nota 15), II, pp. 421-433; K. M. FREDBORG, Speculative grammar, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy cit., pp. 177-195. Sulla logica boeziana, cfr. OBERTELLO, Severino Boezio cit. (cap. 4, alla nota 5), pp. 589-618.Va notato per inciso che categorie e classificazioni invalse nella letteratura specialistica come ‘grammatica speculativa’ o ‘logica filosofica’ hanno un mero valore strumentale, essendo state partorite dalla storiografia degli ultimi decenni per spiegare l’evoluzione delle due arti sermocinali, che per i medievali continuano ad essere, semplicemente, la grammatica e la logica. 7 Cfr. G. THUROT, Notices et extraits de divers manuscrits latins pour servir à l’histoire des doctrines grammaticales au Moyen Âge, in «Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque Impériale et autres bibliothèques, publiés par l’Institut Impérial de France», 22, Paris 1868 (repr. Frankfurt a. Main 1964); DE RIJK, Logica Modernorum II cit., I, pp. 95-125. 8 Cfr. DE RIJK, ibid., p. 100. 9 Di Donato si studiava la grammatica breve (Donatus minor) e il terzo libro della sua Ars maior (il Barbarismus); di Prisciano il volumen maius (= Institutiones grammaticae I-XVI) e il volumen minus (= Inst. gramm. XVII-XVIII), a volte sostituito dal Liber de accidentibus a lui ascritto. Cfr. DE RIJK, ibid., p. 119.
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ren Margareta Fredborg possiamo definire «scuole di pensiero», a partire da quella rappresentata dalle cosiddette Glosulae in Priscianum, un anonimo commento alle Institutiones grammaticae (capp. I-XVI), di cui l’ampia tradizione manoscritta ha trasmesso diverse versioni, la prima delle quali dovrebbe risalire alla seconda metà del secolo precedente,mentre un’altra è sicuramente opera di Guglielmo di Champeaux10. Un’altra scuola fa capo a Guglielmo di Conches († 1154 ca.), che commenta a più riprese il manuale di Prisciano e insegna grammatica a Chartres dal 1120 ca. fino alla morte11. Egli pone in primo piano la questione delle causae inventionis di ciascun termine, un aspetto della teoria grammaticale trascurato da tutti i suoi predecessori e dallo stesso Prisciano12. Il suo commento corregge e migliora il testo delle Glosulae e influenza in maniera decisiva la celebre Summa super Priscianum dell’allievo Pietro Elia († 1140 ca.), a lungo considerato erroneamente l’iniziatore di questo processo13.A lui si deve, in realtà, l’opera di rior10 Cfr. M. F. GIBSON, The early scholastic Glosulae to Priscian, Institutiones grammaticae: the text and its influences, in «Studi Medievali», Ser. 3a, 20 (1979), pp. 235-254. Irène Rosier-Catach ha avviato già da diversi anni un gruppo di lavoro sulle Glosulae, testimone prezioso delle interazioni tra grammatica, logica, filosofia e teologia in un periodo di trasformazione delle stesse modalità di produzione del sapere: tra i numerosi contributi, cfr. I. ROSIER-CATACH, The Glosulae in Priscianum and its tradition, in Papers in memory of Vivien Law, ed. by N. McLelland - A. Linn, Münster 2004, p. 81-99; EAD., Priscien, Boèce, les Glosulae in Priscianum, Abélard: les enjeux des discussions autour de la notion de consignification, in «Histoire Epistémologie Langage», 25/II (2003), pp. 55-84. 11 Cfr. É. JEAUNEAU, Deux rédactions des gloses de Guillaume de Conches sur Priscien, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 27 (1960), pp. 212247. 12 La causa inventionis è un concetto grammaticale basato sulla necessità di individuare la natura inventionis, la ragion d’essere del termine e del suo significato, in un’ottica ancora prevalentemente rivolta all’analisi del valore semantico del singolo nome piuttosto che alla sua interpretazione nel contesto sintattico della proposizione in cui è inserito. Per Guglielmo di Conches ciascuna parte del discorso possiede una particolare causa inventionis. 13 Su Pietro Elia, cfr. The Summa of Petrus Helias on Priscianus Minor, ed. J. E. Tolson, introd. di M. Gibson, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin», 27-28 (1978); L. REILLY, Petrus Helias’ Summa super Priscianum I-III: an edition and study,Ann Arbor, Michigan 1978; K. M. FREDBORG, The dependence of Petrus Helias’ Summa super Priscianum on William of Conches’ Glose super Priscianum, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin», 11 (1973), pp. 1-57. Un approccio filosofico alla grammatica lo si riscontra anche nel De Grammatica di Ugo di San Vittore: cfr. J. LECLERCQ, Le De Grammatica de Hugues de St. Victor, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 14 (194345), pp. 263-322.
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dino degli studi grammaticali e una più consapevole distinzione epistemologica tra le due arti sermocinali che tendevano a sovrapporsi e a confondersi. Occorreva precisare e chiarire quella differenza tra analisi grammaticale e analisi logico-filosofica di cui Boezio aveva già posto le basi commentando il De interpretatione14 e che Abelardo,da alcuni considerato l’iniziatore della grammatica speculativa15, andava sviluppando ai fini della costruzione di un discorso valido in quanto conforme alla realtà esterna. Pietro Elia accoglie le indicazioni di Guglielmo e dei suoi predecessori e, pur non offrendo un contributo significativo dal punto di vista dell’elaborazione di nuove teorie, distingue l’uso grammaticale dall’uso logico di alcuni termini comuni alle due arti come substantia, accidens, qualitas, ecc., precisando così le forme e i modi dell’apporto, ormai consolidato, del metodo dialettico alla grammatica16. L’intento di puntualizzare la diversità di metodo e di prospettiva delle due discipline rientra in una prospettiva finalmente sistematica: Pietro è il primo a scrivere una Summa super Priscianum dopo le numerose e anonime Glosulae dei decenni precedenti17. Un’altra scuola è quella derivata dall’insegnamento teologico e dialettico di Gilberto di Poitiers, che non manca di avere effetti anche sulla grammatica: lo testimoniano opere edite di recente, quali un compendio di dottrine logiche, un ampio frammento di un commento a Prisciano e un commento alle Categorie. Come si può notare, il manuale di Prisciano rappresenta il punto di riferimento essenziale per tutte le scuole di grammatica della prima metà del secolo, che sul testo delle Institutiones innestano riflessioni particolarmente interessanti18. Le indagini tipiche di 14
Cfr. BOETHIUS, In Aristotelis Periermeneias (vel De interpretatione), editio secunda, ed. C. Meiser, Leipzig 1880, p. 32,17-22: «Vox enim, quae nihil designat, ut est garalus, licet eam grammatici figuram vocis intuentes nomen esse contendant, tamen eam nomen philosophia non putabit, nisi sit posita ut designare animi aliquam conceptionem eoque modo rerum aliquid possit». 15 Cfr. J. JOLIVET, Arts du langage et Théologie chez Abélard, Paris 1969 (19822), in part. p. 61, n. 227. 16 Cfr. FREDBORG, Speculative grammar cit. (alla nota 6), p. 179. 17 Per uno sguardo d’insieme sull’intreccio tra logica e filosofia nell’alto Medioevo, cfr. i vari contributi raccolti in J. MARENBON, Aristotelian Logic, Platonism, and the Context of Early Medieval Philosophy in the West,Aldershot 2000 (Collected Studies Series, 696). 18 Sul valore specifico delle ‘scuole’ come chiavi di accesso privilegiate per la comprensione del panorama culturale dell’epoca, cfr. FREDBORG, Speculative gram-
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questo periodo (il rapporto vox-intellectus-res, il rapporto tra modi significandi e modi intelligendi, la distinzione tra appellatio e significatio, la tipologia dei nomi) rappresentano le diverse articolazioni di una medesima prospettiva, insieme logica e grammaticale, che funge da base per lo sviluppo, di lì a poco, della cosiddetta logica terministica19.
2. Il contributo di Gilberto Caduta definitivamente l’attribuzione a Gilberto del celebre Liber sex principiorum20, non si dispone di opere di stampo logicofilosofico da cui ricavare la dottrina del vescovo di Poitiers in questo ambito del sapere. Tuttavia, nei suoi commentari, si riscontrano numerose indicazioni relative alla definizione di un metodo ermeneutico applicabile ai testi profani (Boezio) e ai testi sacri, che testimoniano il valore propedeutico riconosciuto alle arti sermocinali21. L’analisi logico-grammaticale è da Gilberto piegata alle esigenze della chiarificazione razionale della parola dell’uomo e della parola di Dio. Il suo principale interesse speculativo è rivolto alla relazione tra la sfera logico-grammaticale e la sfera ontologico-metafisica, tra i segni linguistici e i vari livelli dell’essere: tale interazione è analizzata sulla base di un’impostazione teoretica che non è né rigidamente realista – come nel pensiero di quanti confidano nell’automatica riproduzione linguistica della natura delle cose –, né arbitrariamente nominalista – per cui il discorso sarebbe il frutto di un’invenzione linguistica mar cit., p. 180: «The schools of linguistic thought represented by the Glosulae and William of Champeaux, and those of William of Conches, Ralph of Beauvais, Robert of Paris, Robert Blund, and the Porretans, might ultimately not be the only schools worth studying. In the present state of research, however, these are of the greatest intrinsic interest and, significantly, coincide with some of the major philosophical schools of the century. I here take schools of thought in a wide sense, allowing for some internal dissent.The schools of Peter Abelard and Thierry of Chartres are not represented, though we may assume that both authors wrote on grammar». 19 Cfr. DE RIJK, Logica Modernorum cit.; JACOBI, Logic: the later twelfth century cit. 20 Cfr. supra, cap. 3, pp. 101-102. 21 Sulla logica di Gilberto, cfr. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), pp. 127-152; NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit. (cap. 1, alla nota 80); MAIOLI, Gilberto Porretano cit. (cap. 2, alla nota 71), pp. 19 e seqq., pp. 37
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senza presa sulla realtà –, bensì insieme naturale e convenzionale. Gilberto recepisce la tesi platonica del Timeo, trasmessa da Boezio e da Calcidio, di un nesso necessario tra il linguaggio e il mondo, ma, come Abelardo, è consapevole del ruolo di mediazione operato dal soggetto nel processo di significazione della realtà22. La peculiarità dell’approccio di Gilberto consiste nello stringente parallelismo tra l’analisi delle componenti ontologiche (quod estquo est, subsistens-subsistentia), cui pare spetti una sorta di primato nella speculazione complessiva del vescovo di Poitiers, e lo studio delle distinzioni logico-grammaticali: tuttavia non si tratta di una corrispondenza automatica, quanto piuttosto di una tensione alla conoscenza che deve fare i conti con la radicale inadeguatezza del sermo a esprimere l’intellectus e dell’intellectus a esprimere la res23. È compito del filosofo attrezzarsi dal punto di vista logico-grammaticale, in modo da definire i canoni di un discorso scientificamente fondato, che consenta di procedere con maggiore fiducia verso il raggiungimento della verità, in un processo inesauribile eppure necessario. «Res intellectu concipitur sermone significatur»: con questa definizione Gilberto si ricollega alla tradizione aristotelico-boeziana che aveva teorizzato la relazione tra il sermo, l’intellectus e la res24. Nel suo secondo commento al De interpretatione, Boezio aveva insistito, da un lato, sulla funzione comunicativa dei segni linguistici, dotati della capacità di significare concetti che a loro volta rappresentano realtà extra-mentali, dall’altro, sulla conven-
e seqq.; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), pp. 103-114; Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82); D. P. HENRY, Porretan Mereological Scandals, in Historia philosophiae medii aevi, a c. di B. Mojsisch O. Pluta, Amsterdam - Philadelphia 1991, pp. 349-362; C. H. KNEEPKENS, Grammar and Semantics in the Twelfth Century. Petrus Helias and Gilbert de la Porrée on the Substantive Verb, in The Winged Chariot. Collected Essays on Plato and Platonism in Honour of L. M. de Rijk, cur. M. Kardaun - J. Spruyt, Leiden - New York - Köln 2000, pp. 237-275. 22 Cfr. CHENU, Grammaire et théologie, in La théologie au douzième siècle cit. (cap. 1, alla nota 73), pp. 366-385; tr. it., pp. 103-122. 23 NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit., p. 44, nota 28, è dell’opinione che la grammatica di Gilberto si sia sviluppata a partire dalla sua metafisica e non viceversa. Nielsen ha presente WESTLEY, A Philosophy of the Concreted cit. (cap. 4, alla nota 2). Cfr. anche MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 64-65. 24 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 3, p. 67,55-56.
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zionalità del linguaggio e sul carattere sermocinale della logica. Questo modello semantico, ripreso senza emendamenti significativi nei secoli successivi, si dimostrò funzionale al consolidarsi del cosiddetto ‘platonismo grammaticale’ (realismo logico e naturalismo semantico), sostenuto da coloro che credevano nella piena corrispondenza tra il discorso e la realtà, e via via precisato e rielaborato nel corso del dodicesimo secolo25. Fu Abelardo a modificare questo paradigma semantico. Il maestro palatino sancì l’autonomia dell’ordine logico dall’ordine ontologico, accentuando la convenzionalità della funzione semantica, il diverso valore della significatio intellectuum e della significatio rerum, la distinzione tra significatio e appellatio26. Gilberto accoglie il modello semantico boeziano, secondo cui la vox indica in primo luogo l’intellectus e in secondo luogo la res, ma mostra maggiore consapevolezza dei limiti dell’estensione semantica della parola, incapace di esprimere l’ampiezza del concetto mentale e, di rimando, la ricchezza della realtà concreta. In altri termini, i modi significandi non sono adeguati ai modi intelligendi, che a loro volta non corrispondono all’insieme dei caratteri dei modi essendi27. Questa presa d’atto è alla base del processo 25 Sul platonismo grammaticale, cfr. J. JOLIVET, Quelques cas de «platonisme grammatical» du VIIe au XIIe siècle, in Mélanges offerts à René Crozet à l’occasion de son soixante-dixième anniversaire, éd. P. Gallais - Y.-J. Riou, 2 voll., I, Poitiers 1966, pp. 93-99; M.-D. CHENU, Un cas de platonisme grammatical au XIIe siècle, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques», 51 (1967), pp. 666-668. 26 Per un’analisi dell’innovativa lectio filosofica di Abelardo, basata su un approccio diverso ai problemi del significato e della predicazione e sul presupposto del rapporto stringente tra senso grammaticale e senso logico delle proposizioni, cfr. JOLIVET, Arts du langage cit. (alla nota 15), passim; ID., Aspects de la pensée médiévale. Abélard, doctrines du langage, Paris 1987; C. J. MEWS, Aspects of the Evolution of Peter Abaelard’s Thought on Signification and Predication, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 15-41; M.T. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, La logica di Abelardo, Firenze 1964. 27 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 3, p. 67,56-58: «Sed neque sermonis nota, quidquid res est, potest ostendere neque intelligentiae actus in omnia, quaecumque sunt eiusdem rei, offendere ideoque nec omnia conceptus tenere». Particolarmente fertile in ambiente porretano si rivela il concetto di modus significandi, per cui un termine, oltre il suo significato lessicale, ha una varietà di riflessi semantici, grammaticali e naturalmente teologici; incidono, in questo come in altri casi, le molteplici tradizioni speculative cui i Porretani fanno riferimento: Agostino, Boezio, lo pseudo-Dionigi, Giovanni Scoto. Cfr. I. ROSIER, Res significata et modus significandi. Les implications d’une distinction médiévale, in Geschichte der Sprachtheorie 3. Sprachtheorien
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ermeneutico condotto sugli opuscula boeziani. La ricerca della verità a partire dall’interpretazione di un testo deve tener conto della povertà del linguaggio, limitato rispetto alla complessità dell’essere, e deve rinunciare all’idea di una piena comprensione della realtà: su questi nuovi presupposti, il platonismo grammaticale è radicalmente messo in crisi. Negando l’esistenza di forme comuni universali, Gilberto deve negare anche l’esistenza di una base ontologica della significazione28. Poiché la ridotta capacità significativa della parola nei confronti del concetto impone all’interprete di individuare di volta in volta le rationes dell’attribuzione di un predicato al soggetto, il sensus auctoris diventa un criterio importante per valutare l’esatto significato di un nome, per determinare se una proposizione è naturale o logica: Citra conceptum etiam remanet sermo. Non enim tantum rei significatione vox prodit quantum intelligentia concipit. Similiter et scripturae significatio ad auctoris sui conceptum se habet. Unde manifestum est quod, qui audit vel legit, oratoris quidem seu scriptoris conceptum ex his, quae significatio prodit, perpendit. Sed de re non nisi ex eiusdem oratoris seu scriptoris sensu recte decernit29.
L’origine convenzionale del linguaggio, definito da Gilberto «compositus et fabricatus sermo», ridimensiona ma non elimina in Spätantike und Mittelalter cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 135-168; VALENTE, Cum non sit intelligibilis cit. (cap. 1, alla nota 103). 28 Cfr. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit., p. 46. Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit. (cap. 1, alla nota 45), p. 140: «Item sciendum tria esse: rem, intellectum, sermonem. Intellectus propter rem celebratur, sermo vero propter intellectum instituitur. Sed cum haec tria sint, rei natura in se amplior est et diffusior quam intelligentia; plus enim est in re quam possit capi motu intelligentiae, ita quod citra rem remanet intellectus. Intellectus vero amplior et diffusior quam sermo; plus enim intellectu percipimus quam explicare possumus». 29 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 3, p. 68,59-64. Nielsen, che vede nella costante attenzione di Gilberto verso il contesto della proposizione un’anticipazione della distinzione tra suppositio indeterminata e suppositio determinata, individua in un passaggio delle Sententiae divinitatis, ed. Geyer cit. (cap. 1, alla nota 12), p. 170*,12-16, un caso di applicazione teologica del principio del sensus auctoris e delle rationes praedicandi: «Quaedam naturalia nomina sunt, quae, si absolute proferantur, non melius de una persona quam de aliis personis intelliguntur, ut potentia, sapientia, benignitas, amor, caritas. Si vero, cum adiunctione proferantur, significantius cadunt in unam quam in aliam personam» (f. 118va). Cfr. NIELSEN, ibid., p. 68, nota 177.
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la relazione con la natura della cosa significata: il linguaggio, infatti, non duplica ma imita, con efficacia variabile, la realtà. La vis semantica di ciascun termine, derivante dall’impositio o inventio originaria, è influenzata anche dall’usus loquendi: la vicissitudo lucutionum subisce l’incidenza dell’uso concreto del linguaggio, che ne condiziona l’evoluzione e ne determina le modifiche30. Uno dei compiti dell’interprete sarà, quindi, quello di distinguere, in particolare, l’usus philosophorum, l’usus theologicorum e l’usus auctoritatis ecclesiasticae di termini fondamentali quali fides, ypostasis, persona, substantia, ecc. Secondo Gilberto, ciascuna scienza, compresa la teologia, deve possedere un proprio vocabolario, che, pur attingendo all’unica fonte disponibile, rappresentata dal linguaggio ordinario (la cotidiana omnium hominum locutio), deve modellarsi sulla base delle proprie esigenze specifiche, attraverso l’utilizzo di procedimenti quali la translatio, la transsumptio, la contractio e la commutatio, che consentono di differenziare i termini condivisi da più discipline31. Il criticismo logico-grammaticale di Gilberto, in contrasto con il rigido e piuttosto ingenuo naturalismo semantico caratteristico della scuola di Chartres, si pone l’obiettivo ambizioso, ma necessario sulla base della rinnovata prospettiva, di definire i criteri per l’individuazione di parole il più possibile adeguate alla realtà: «ubi cognatos rebus de quibus loquimur non possumus habere sermones»32. Il dibattito sulla natura dei nomi, intesi come specifici elementi del discorso, prendeva corpo intorno alla classica definizio30 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 4, p. 132,6-13: «Cui nomini scilicet ‘nunc’ quod hoc quo dictum est aeternitatis unius de Deo temporum multorum de temporalibus sensu dicitur si loquendo de temporalibus adicias ‘semper’, facies hac propositione eius quod est ‘nunc’ illarum morarum, quas sub hoc nomine locutionum vicissitudo commutat, omnium decedentium et succedentium motu quasi cursum quendam iugem sine intermissione indefessumque sine terminatione ac per hoc perpetuum quadam aeternitatis imitatione». 31 Cfr. ibid., 4, p. 115,2-6: «Hic commemorandum est quod, cum facultates secundum genera rerum de quibus in ipsis agitur diversae sint i.e. naturalis, mathematica, theologica, civilis, rationalis, una tamen est, scilicet naturalis, quae in humanae locutionis usu promptior est et in transferendorum sermonum proportionibus prior». 32 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum secundum De Trinitate, 1, p. 170,87-88 (passaggio citato per esteso infra, cap. 8, nota 10).
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ne di Prisciano, secondo cui «proprium est nominis substantiam et qualitatem significare»33. La caratteristica del nome, secondo tutti i grammatici dell’alto Medioevo, è la sua capacità di significare la realtà concreta insieme con la sua proprietà formale, laddove i pronomi, un’altra delle partes orationis, significano la sola sostanza. Il doppio livello semantico del nome è dato dall’aggiunta della funzione connotativa (significatio) del nome, che indica la sua forma (qualitas nominis), alla mera funzione denominativa34. Particolare attenzione suscitò il problema della funzione dei denominativi o paronimi (termini derivati da altri termini), che Boezio aveva risolto alla luce del principio extra-grammaticale della partecipazione e che Anselmo aveva analizzato nel suo De grammatico. Bernardo di Chartres, secondo la testimonianza di Giovanni di Salisbury, distinse nei paronimi una significazione primaria, identica a quella dei nomi, e una consignificazione diversa, variabile in base ai modi significandi, individuando così un fondamento semantico unico e immutabile per ogni nome35. Lo stesso Giovanni di Salisbury, poi, approfondendo gli insegnamenti del maestro, distinse il significato dei nomi astratti dal significato dei nomi concreti (i paronimi): i modi significandi, ridotti da Bernardo a variazioni estrinseche e accessorie, sono ricondotti al contesto del discorso in cui sono inseriti36. Gilberto parla esplicitamente di due significati diversi: «omne vero nomen diversa significat, substantiam videlicet et qualitatem», ove, ha notato giustamente van Elswijk, l’et ha valore disgiuntivo e non più congiuntivo37. L’interprete è chiamato a scegliere di volta in volta l’uno o l’altro significato ricavandolo dal
33
Cfr. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), pp. 136 e seqq. Sulla relazione tra l’appellatio e la significatio, cfr.A. MAIERÙ, Terminologia logica della tarda scolastica, Roma 1972, in partic. pp. 47-85. 35 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, Metalogicon, III, 2, edd. Hall - Keats-Rohan cit. (cap. 2, alla nota 16), p. 106,28-29: «Idem principaliter significant denominativa et ea a quibus denominantur, sed consignificatione diversa». Sull’uso teologico delle nozioni di consignificatio e connotatio nella seconda metà del dodicesimo secolo, cfr. VALENTE, Iustus et misericors cit. (cap. 1, alla nota 103). 36 Cfr. JOHANNES SARISBERIENSIS, ibid., pp. 123-127. Cfr. J. JOLIVET, Vues médiévales sur les paronymes, in «Revue internationale de Philosophie», 113 (1975), pp. 222-242. 37 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 4, p. 297,57-58. Cfr. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit., p. 142. 34
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rapporto predicativo con le altre parti del discorso. L’importanza del contesto proposizionale emerge dalla distinzione tra ratio significandi e ratio propositi, teoria ripresa da numerosi esponenti della scuola porretana: Quod vero tertio repetitur hoc nomen, quod est ‘Deus’, cum et Pater nuncupatur ‘Deus’ et Filius nuncupatur ‘Deus’ et Spiritus Sanctus nuncupatur ‘Deus’, sicut nominis, ratione significandi, sic et rei illius, ex qua horum quisque dicitur ‘Deus’, ratione propositi, repetitio fit38.
La distinzione grammaticale tra substantia e qualitas nominis corrisponde a livello logico alla distinzione tra soggetto e predicato, entrambe rimandano alla distinzione ontologica tra subsistens e subsistentia: in tutti e tre i casi, il privilegio spetta sempre alla forma. Il primato della forma, dal punto di vista grammaticale, si traduce nel primato della qualitas nominis rispetto alla substantia e della significatio rispetto all’appellatio39. Con la sua teoria della doppia significazione dei nomi, Gilberto anticipa l’impostazione logico-semantica della teoria della suppositio. I commentatori più recenti del manuale di Prisciano avevano coniato il termine nominatum per riferirsi all’oggetto nominato da un nome o da un aggettivo e distinguerlo dal significatum: su questa base, analizzarono i vari tipi di nomi, ricavandone modelli classificatori diversi40. Dal canto suo,Gilberto distingue i nomi propri (nomina propria) dai nomi comuni (nomina appellativa), la cui appellatio è naturaliter communis, basandosi sulla differenza ontologica tra dividua e individua, laddove questi ultimi rispecchiano una similitudo per natura41. Pur essendo ontologicamente equivalenti, i nomi concreti appellano i soggetti significandone la forma, mentre i nomi astratti si38 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 3, p. 103,45-49. Cfr. anche ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 3, p. 296,31-33: «Illud enim lectoris vigilantia debet attendere, acceptis dictionum significationibus, quibus significatorum propositi conveniat ratio et de quibus interpres id quod dictum est intelligendum explanet». 39 Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 67-68. 40 Il significato di un termine non è co-estensivo al nominatum: cfr. FREDBORG, Speculative grammar cit. (alla nota 6), pp. 183-185. 41 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 3, p. 273,64-67: «Ideoque ipsorum formae multae similiter natura et actu et fuerunt et sunt et erunt, a quibus hoc plena inter se conformitate vere dividuum nomen hominibus ipsis inditum est».
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gnificano la qualità formale astratta dal soggetto. La significatio, che caratterizza i nomi appellativi è dunque il risultato dell’astrazione, il metodo peculiare della scienza matematica che trasferisce il risultato della propria attività conoscitiva alla scientia naturalis42. I praedicamenta sono intesi da Gilberto, in linea con la tradizione aristotelico-boeziana, come i termini significativi che predicano le proprietà formali dei soggetti; le dieci categorie sono i nomina generalissima di tutte le proprietà sostanziali e accidentali delle cose: la loro significatio rimanda sempre alla qualitas nominis della res considerata. Sulla base logica della struttura fissa soggetto-predicato, Gilberto espone una teoria della predicazione particolarmente dettagliata43. Alla molteplicità dei modi significandi corrisponde la varietà dei modi o rationes praedicandi: «praedicandi modus est multiplex»44. Ne deriva una prima distinzione fondamentale tra la classificazione dei predicati secundum genera ipsorum (la tavola delle dieci categorie) e la divisione dei predicati secundum praedicationum differentiam, ossia in base ai diversi tipi di predicazione.Altre distinzioni importanti sono quella tra predicazione sostanziale e predicazione accidentale, basata sulla natura della forma predicata in relazione alla natura del soggetto corrispondente, quella tra predicazione secundum rem (propria dei predicati appartenenti alle prime tre categorie) e predicazione extrinseca (relativa ai predicati appartenenti alle restanti sette, che esprimono determinazioni estrinseche al soggetto già determinato), infine quella tra predicazione assoluta (secundum se), relativa (ad aliud) e strettamente relativa (propria dei predicati appartenenti alla sola categoria della relazione)45. Ulteriori distinzioni operate da Gilberto sono tra connexio praedicativa consequens (quando i termini che fungono da predicato e da soggetto designano forme o proprietà appartenenti allo stesso ordine di sussistenze) e connexio praedicativa accidentalis (quando appartengono a ordini di sussisten42 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 2, p. 84,74-76: «Neque enim rationalis speculatio perfecte id quod est esse aliquid capit nisi disciplinalis quoque id unde illud est quid sit firmiter teneat». 43 Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 83 e seqq. 44 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum secundum De Trinitate, 1, p. 164,25. 45 Sulla sottile differenza tra la distinzione tra predicazione secundum rem e extrinseca e la distinzione tra predicazione sostanziale e accidentale, cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., pp. 90, 94-95.
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ze diversi) e tra praedicatio naturalis (enunciati in cui il predicato esprime forme o proprietà naturali del soggetto) e praedicatio a disserendi ratione (enunciati in cui il predicato esprime proprietà puramente logiche).
3. I Porretani e il dibattito nelle scuole del secolo XII La reciproca interferenza tra grammatica e logica si intensifica nella seconda metà del secolo, come attestano i sempre più frequenti riferimenti alla constructio sintattica, che può ritenersi il contributo più significativo offerto dalla grammatica medievale, ma anche quello che De Rijk ha definito «contextual approach», vale a dire l’attenzione crescente verso il contesto proposizionale in cui è inserito il termine: frutti di questa interazione sono da un lato quella che abitualmente si definisce la grammatica speculativa, dall’altro la logica dei termini considerati come elementi funzionali nel contesto verbale, modernamente intesa come la logica terministica46.Per Abelardo la positio constructionis è uno dei tre criteri per giudicare il significato di un termine: gli altri due sono la significatio e l’impositio vocis, alla quale egli accorda la sua preferenza. La generazione successiva di grammatici, riconducibile alla scuola di Rodolfo di Beauvais, accentua il valore del contesto sintattico e giudica il valore e la forza delle parole in base alla funzione ricoperta all’interno della frase piuttosto che all’imposizione del singolo nome47. È la prova che, mentre nella prima metà del secolo la grammatica contribuisce allo sviluppo della dottrina logica, nella seconda metà del secolo avviene il processo inverso. Il grammaticus purus ha lasciato il posto al grammaticus mixtus, che affronta le questioni grammaticali con gli strumenti speculativi provenienti dalla dialettica, allargando di conseguenza il campo delle proprie competenze e delle proprie analisi e recuperando l’unità
46
Cfr. DE RIJK, Logica Modernorum II cit., I, pp. 113-117. Cfr. anche L. MICentury Logic, Roma 1956; L. M. DE RIJK, Some new evidence on twelfth century logic. Alberic and the school of Mont-Ste-Geneviève (Montani), in «Vivarium», 4 (1966), pp. 1-57. 47 Hunt ha analizzato in questa prospettiva tre glosse anonime a Prisciano prodotte dalla scuola di Rodolfo di Beauvais, tra cui la glossa Promisimus (una reportatio) e la glossa Tria sunt: cfr. ID., Studies on Priscian in the twelfth century cit., passim. NIO-PALUELLO, Twelfth
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del sapere filosofico. Dal canto suo, la logica terminista elabora un nuovo significato di suppositio, che, rispetto alla significatio, trae il significato del termine basandosi sul particolare contesto proposizionale in cui di volta in volta è inserito48. Nel periodo compreso tra l’acquisizione dei testi della logica nova e gli ulteriori sviluppi della logica modernorum, i logici e i grammatici della seconda metà del dodicesimo secolo, pur non distaccandosi completamente dalla tradizione altomedievale, elaborano un nuovo approccio di tipo interdisciplinare che accresce il grado di maturità epistemologica e filosofica delle loro opere49. È all’interno di questo vivace laboratorio logico-grammaticale che operano le diverse scuole (sectae) – tra cui quella porretana – caratterizzate ognuna da una propria dottrina (professio), da un corpus teorico piuttosto articolato, composto da una serie di tesi (positiones) specifiche, sostenute con particolare determinazione in quanto stimolate da un continuo confronto dialettico. Fonti dirette e indirette attestano l’esistenza di dottrine e opere logiche facenti capo a scuole differenti: i Parvipontani, i Montani, i Melidunensi e i Porretani. I Parvipontani (o Adamiti) sono gli allievi di Adamo di Balsham († ante 1159), che insegna al Petit-Pont. I Montani sono i discepoli di Alberico di Parigi (o Alberico del Monte), precettore di Giovanni di Salisbury. I Meludinensi, tra cui l’autore della Secta Meludina, sono gli allievi dell’inglese Roberto di Melun50. L’origine di queste scuole, in cui vengono sviluppati i nuovi metodi d’insegnamento della lo-
48 Sulla teoria della suppositio, cfr. DE RIJK, Logica Modernorum II cit., passim; J. PINBORG, Logik und Semantik im Mittelalter. Ein Überblick, Stuttgart, 1972, pp. 4379; L. M. DE RIJK, The origins of the theory of the properties of terms, in The Cambridge History of Later Medieval Philosophy. From the Rediscovery of Aristotle to the Disintegration of Scholasticism (1100-1600), Cambridge 1982, a c. di N. Kretzmann,A. Kenny, J. Pinborg, pp. 161-173 (tr. it. La logica nel medioevo, Milano 1999, pp. 71-84); S. EBBESEN, Early supposition theory (12th-13th Cent.), in «Histoire Epistemologie Langage»,3 (1981),pp.35-48;C.H.KNEEPKENS,Suppositio and supponere in 12th century Grammar, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 325351; MAIERÙ, Terminologia logica della tarda scolastica cit. (alla nota 34). 49 Cfr. le conclusioni ricavate da DE RIJK, Logica Modernorum II cit., I, p. 125. 50 Per un panorama dello stato delle ricerche e delle edizioni, cfr. gli indici delle riviste «Vivarium», «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin», della serie «Artistarium», dei volumi contenenti gli Atti dei Symposia Europei sulla logica e la semantica medievale.
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gica criticati con forza da Giovanni di Salisbury, risale ai primi decenni del secolo51. Tuttavia, la differenza tra l’approccio speculativo dei grandi maestri che animarono il panorama culturale della prima metà del secolo e l’atteggiamento dei membri delle scuole derivate dal loro insegnamento è notevole. Laddove i primi avevano imposto uno stile, un corpus dottrinale peculiare e personale (emblematico il caso di Gilberto), i nuovi maestri delle arti, per giunta tutti anonimi, preferiscono concentrarsi su questioni isolate relative alla semantica o alla logica e non credono di dover integrare i propri esercizi in un contesto teoretico più ampio. Inoltre, le polemiche reciproche tra le varie scuole riguardavano le diverse soluzioni proposte per i singoli problemi, non tanto il metodo di ricerca e l’impostazione formale delle opere che risultano essere uguali per tutti52. Lo sviluppo delle scuole ha, dunque, vari effetti: quello di sfumare le differenze metodologiche e d’insegnamento che avevano caratterizzato i rispettivi maestri, quello di creare un terreno logico-linguistico comune sulla cui base poter confrontare le differenti posizioni dottrinali, infine quello di formare dei veri e propri professionisti della logica, la cui progressiva tendenza a specializzarsi preannuncia la nuova dimensione scolastica di una disciplina che nel volgere di pochi decenni andrà definitivamente perdendo il suo carattere di fons scientiae53. Come ha mostrato Sten Ebbesen, le varie sectae si distinguono in linea di principio per il modo in cui affrontano e risolvono le principali questioni poste dai testi della logica vetus54. Le discussioni intorno ai singolari e agli universali, all’equivocità dei nomi, alle categorie, alla predicazione sono originate dalla diversa interpretazione dell’Isagoge e delle Categorie. Le tesi di ogni singola scuola possono essere valutate sia come approfondimenti della posizione del maestro, sia come risposte alle sollecitazioni prove51 Per una valutazione dell’importanza del Metalogicon come fonte diretta della proliferazione delle nuove scuole e delle loro produzioni logico-filosofiche, cfr. JACOBI, Logic: the later twelfth century cit. (alla nota 5), p. 234. 52 Cfr. ibid., p. 235. 53 Almeno nel senso che questa formula assume nei secoli dell’alto Medioevo, per connotare la dialettica quale ars artis e disciplina disciplinarum; cfr. G. D’ONOFRIO, Fons scientiae. La dialettica nell’Occidente tardo-antico, Napoli 1984. 54 Cfr. EBBESEN, What must one have an opinion about cit. (cap. 2, alla nota 132), p. 77.
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nienti da un’altra scuola55. Spesso accade che due sectae concordino su alcuni punti e si distinguano su altri56. Per quanto concerne la questione degli universali, un testimone esterno alle dispute tra queste scuole quale Goffredo di San Vittore racconta nel suo Fons philosophiae che ai cosiddetti Nominales si oppongono ben quattro partiti di Reales: Porretani,Albricani (gli allievi di Alberico di Parigi, che insegnò, come Abelardo e Roberto di Melun, presso il Mont-Sainte-Geneviève), Robertini e Parvipontani57. I Reales, dunque, non costituiscono una scuola vera e propria quanto l’insieme delle sectae che convergono su un certo numero di tesi da opporre ai Nominales (genus est res contro genus est nomen). Altre tesi sono stimolate dalla lettura delle opere logiche e teologiche di Boezio: il Compendium logicae porretanum dipende dal De topicis differentiis per quanto riguarda la trattazione delle in55 Lo stesso EBBESEN, ibid., p. 78, nota, ad esempio, come molte delle tesi contenute nel Compendium siano riconoscibili nelle opere di Gilberto, in cui però spesso non sono espresse con la medesima chiarezza. A dimostrazione del fatto che l’origine di questo dibattito rimonta ai primi decenni del secolo, ma gli sviluppi successivi rappresentano un reale progresso in termini di formulazione e definizione teorica. 56 Cfr. ibid., p. 64. 57 Cfr. GODEFRIDUS DE SANCTO VICTORE, Fons philosophiae, ed. MichaudQuantin cit. (cap. 2, alla nota 128), pp. 43-44, vv. 257-264: «De modernis philosophis / et primum de nominalibus et realibus / Addunt hic se socios quidam nominales, / Nomine, non numine, talium sodales; / Alii vicinius assunt quos reales / Ipsa nuncupavit res, quod sunt vere tales. / Nam si pro reatibus variis errorum / Poterat realium nomen dici horum, / Tamen excusabilis error est eorum; / Menti contradicere mos est insanorum. / Namque mens vel cogitet nomen esse genus, / Solus hoc crediderit mentis alienus, / Cum sit tot generibus rerum mundus plenus / Cuius genus nomen est semper sit egenus. / Ceterum realium sunt quamplures sectae, / Quas reales dixeris a reatu recte, / Quia veri tramitem non eunt directe / Nec fluenta gratiae hauriunt perfectae. / Ex his quidam temperant Porri condimenta, / Quorum genus creditur generis contenta; / Decem rerum triplicant hii praedicamenta, / Evertuntur veterum per hoc fundamenta. / Aliter sed pariter errat Albricanus, / Cuius Sortes aeger sit, sed non manet sanus; / Sed quia velociter transit homo vanus, / Etiam dum moritur maneat insanus. / Haerent saxi vertice turbae robertinae, / Saxeae duritiae vel adamantinae, / Quos nec rigat pluvia neque ros doctrinae; / Vetant amnis aditum scopulorum minae. / Isti falsum litigant nihil sequi vere, / Quamvis tamen ipsimet post hoc abiere, / Qui de solo nomine fingunt mille fere: / Igitur pro nihilo licet hos censere. / Quidam [scil. Parvipontani] pontem manibus suis extruxerunt / Et per aquas facilem transitum fecerunt / In quo sibi singuli domos statuerunt, / Unde pontis incolae nomen acceperunt». Il fatto che i Porretani triplicassero le categorie trova conferma in alcuni passi del Compendium logicae porretanum: cfr. EBBESEN, Compendium logicae porretanum cit. (cap. 1, alla nota 83), p. XIII.
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ferenze e dell’argumentum/argumentatio, ma risente anche dell’influsso dei commenti di Gilberto agli opuscoli teologici boeziani. Altre vivaci discussioni si accendono intorno al tema del tutto e delle parti (mereologia), probabilmente suscitate dalla lettura di alcuni passi di Boezio, ma anche dalle polemiche su questo tema tra Abelardo e Roscellino58: l’autore del Compendium non solo difende le innovative tesi di Gilberto (contestate da Clarembaldo di Arras), ma riporta anche le posizioni delle varie scuole sul tema59. Tutte le scuole, eccetto i Melidunensi, concordano nel ritenere che un intero collettivo (es. populus) è molte cose (plura). I Porretani sottolineano che solo dell’intero è predicabile la sostanza, mentre le parti non possono essere considerate qualcosa di sostanziale: per cui il tutto è sempre qualcosa di diverso dalle sue parti, mentre le parti non sono sostanze distinte dal tutto60.Altrettanto dibattuta è la questione degli enuntiabilia e del loro valore veritativo. Piuttosto problematico è stabilire l’incidenza delle opere logiche aristoteliche di recente acquisizione (Logica nova) sulla scelta delle problematiche discusse nelle scuole: l’autore del Compendium sembra, comunque, avere familiarità sia con i Topici che con gli Elenchi sofistici61.
58 Cfr. G. D’ONOFRIO, Anselmo e i teologi «moderni», in Cur Deus homo. Atti del Congresso Anselmiano Internazionale, Roma, 21-23 maggio 1198, a c. di P. Gilbert, H. Kohlenberger, E. Salmann, Roma 1999, [pp. 87-146], pp. 106-112. 59 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 12, edd. Ebbesen - Fredborg - Nielsen cit. (cap. 1, alla nota 82), p. 39,93-98: «At cum fere ab omnibus totum disgregativum dicatur plura, et totum contiguum dicatur esse plura; quod tamen a Montanis negatur ac ‹a› raris ‹conceditur› nisi a Nominalibus at Coppausis [non meglio identificati], qui de omni fere toto concedunt quod sit suae partes. Sed haec positio non ab omnibus nostrae doctrinae professoribus recipitur, a quibus ratio veritatis non investigatur». Cfr. HENRY, Porretan Mereological Scandals cit. (alla nota 21). 60 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 9-11, pp. 37,39-38,70, in partic. p. 38,67-70: «Cum cuilibet toti [aliquod] aliquid sit substantiale quod nulli suae parti cumque substantialium est efficere aliud, omne totum est aliud a sua parte ac nulla aliud a suo toto, quoniam nulla habet aliquod substantiale quod non totum suum habeat». 61 Cfr. EBBESEN, What must one have an opinion about cit., p. 75.
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4. Linee di logica e grammatica porretana: un ‘realismo progressista’ Oltre questi criteri e problemi comuni di identificazione delle diverse teorie logico-grammaticali, la scuola porretana presenta delle peculiarità che rendono piuttosto difficoltoso ricostruire una comune linea di pensiero: un cospicuo numero di opere riconducibili a diversi livelli alla matrice gilbertina, una notevole fluidità dottrinale che pure sgorga dalla medesima ispirazione, una varietà di contesti ambientali e di approcci a queste tematiche, difficilmente uniformabili e interpretabili con un’unica chiave di lettura. Tuttavia, tale linea può essere tratteggiata a patto di rintracciarla nelle opere più diverse: da quelle espressamente dedicate a tali questioni ad opere teologiche, dalle semisconosciute ed anonime opere di scuola alle opere dei maestri porretani della generazione più tarda. Se ne ricavano spunti, riflessioni, a volte tematizzazioni e problematizzazioni, che consentono di determinare con un certo grado di approssimazione lo specifico porretano: un punto di equilibrio, piuttosto coerente e convincente, tra il realismo della tradizione logico-grammaticale altomedievale e il nuovo approccio di stampo aristotelico. La più importante testimonianza diretta dell’esistenza e dell’insegnamento della dottrina logica porretana è offerta dal Compendium logicae porretanum. Lo scopo dell’opera è esplicitato all’inizio dallo stesso autore62. Il Compendium, così come l’Ars Meliduna, è composto da quattro libri dedicati rispettivamente ai termini, al loro significato, alle proposizioni e al loro significato. Muta semplicemente l’ordine dei libri, oltre che naturalmente il contenuto dottrinale. La notevole somiglianza formale tra le due opere testimonia la condivisione da parte delle scuole dell’epoca di una griglia generale di problemi logico-semantici su cui ciascuna era chiamata a esprimere la propria idea63. Ogni scuola mostra poi 62
Cfr. Compendium logicae porretanum, I, p. 1,2-11: «‹Quo›niam nostrae integritas doctrinae in duobus consistit, in perceptione significantium et inquisitione significatorum; significantium vero alia sunt termini, alia propositiones; significatorum alia sunt significata terminorum, alia propositionum; de his compendiose ac diligenter dicere temptemus. Dicendorum hic erit ordo: primo de terminis, secundo de propositionibus, tertio de significatis terminorum, quarto de significatis propositionum». 63 Sull’Ars Meliduna, composta tra il 1154 e il 1180, cfr. DE RIJK, Logica Mo-
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particolare interesse verso alcuni temi: laddove i Melidunensi tendono a collegare strettamente problemi logici e questioni grammaticali, i Porretani istituiscono una forte relazione tra la sfera logico-semantica e quella ontologica. Il contenuto dei libri o capitoli del Compendium può essere così riassunto: – cap. I: vox, dictio, nomen, termini complessi, verbi; – cap. II: proposizioni categoriche, proposizioni ipotetiche (in generale, congiuntive, disgiuntive, condizionali)64; – cap. III: sostanza e forme, le parti e l’intero, le categorie, tempo e spazio, individuali singolari e universali, argomenti; – cap. IV: i significati (dicta) delle proposizioni categoriche, congiuntive, disgiuntive, condizionali65. Ciascun capitolo inizia con l’esposizione di una serie di tesi (positiones), che non appaiono dotate di auto-evidenza, per cui ognuna è esplicitata e giustificata (ratio quare dicatur) in maniera puntuale, senza le digressioni che caratterizzano invece l’Ars Meliduna. Nonostante l’autore presenti le tesi (complessivamente 116) come il contributo precipuo della scuola a cui egli sente di appartenere, ci sono ragioni per credere che la collocazione dell’elenco delle tesi al principio di ogni capitolo non appartenga alla stesura originale. È molto interessante notare che gli interlocutori dell’autore del Compendium, il quale utilizza la prima persona plurale, non sono tanto gli esponenti di altre scuole, bensì alcuni rappresentanti della stessa scuola porretana, rei di interpretare erroneamente l’insegnamento del maestro. Egli sostiene, infatti, la tesi secondo cui «solus spiritus est rationalis» a fronte della tesi contraria («omnis homo est corpus et spiritus») sostenuta da altri membri della scuola («secundum quosdam nostrum»)66. È la testidernorum II cit., I, pp. 264-390. Sul livello dell’analisi condotta dall’anonimo autore, e più in generale sul nuovo panorama logico-scolastico della seconda metà del secolo, cfr. il lusinghiero giudizio di JACOBI, Logic: the later twelfth century cit., p. 245. Cfr. inoltre J. BIARD, Sémantique et ontologie dans l’Ars Meliduna, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 121-143; H. A. G. BRAAKHUIS, Problèmes Sémantiques dans l’Ars Meliduna, ibid., pp. 107-120. 64 Cfr. S. EBBESEN, Porretaneans on Propositions, in Medieval Theories on Assertive and non-Assertive Language cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 129-139. 65 Cfr. ID., Compendium logicae porretanum cit., p. IV. 66 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 5-6, p. 36,92-12. In realtà, come nota EBBESEN, What must one have an opinion about cit., p. 73, è la tesi contestata ad
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monianza di una dialettica interna agli stessi Porretani, divisi in correnti, ognuna delle quali si considera l’erede legittima della dottrina del maestro: non è l’unico caso in cui si esplicita un dissenso all’interno di una scuola, poiché anche l’autore dell’Ars Meliduna riporta i contrasti interni alla propria corrente. Alcune tesi appaiono piuttosto accattivanti, capaci di attrarre gli studenti contesi dalle varie scuole: «omne nomen significat duo» (I.8); «omne nomen aequivocum una sui prolatione unum solum significat» (I.10). Alcune delle tesi sostenute nel primo libro tendono a ricomporre le distinzioni grammaticali tra nome e verbo (I.5: «eadem dictio est nomen et verbum»), tra participio e nome, tra forma attiva e passiva (I.21: «omne activum et suum passivum idem significant quomodo etiam participium et suum nomen verbale»). Le tesi III.9-12, riguardanti questioni mereologiche, sanciscono la differenza tra il tutto e le sue parti («quicquid est substantiale parti et toti et omne totum aliud a sua parte, sed nulla pars aliud a suo toto») e la corrispondenza tra predicabile e singolare («quicquid est praedicabile est singulare et e converso»)67. La prova del fatto che l’autore del Compendium si muova su un duplice livello di analisi, semantico e ontologico, si ha nei capitoli successivi, dedicati al problema degli universali, risolto alla luce della distinzione porretana tra unione e unità: «omne universale est plura singularia»68. Le tesi III.20-23 esplicitano la teoria porretana del tempo, fondandola su alcune riflessioni di Gilberto riprese anche all’interno della Summa «Breves dies hominis sunt»: il tempo (mora) è qualcosa che adiacet alla cosa, così come l’eternità adiacet a Dio69. Per spiegare che il tempo non è simplex ma compositum (III.20), l’autore presenta le varie accezioni del termine tempus, distingue tra tempus quantitas e tempus quando e conclude definendo il tempo «iunctura essere in linea con la posizione del maestro: cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 2, pp. 94,39-97,46. 67 Cfr. Compendium logicae porretanum, III, 9-12, pp. 37,39-39,100. 68 Ibid., p. 31. Cfr. DE LIBERA, La querelle des universaux cit. (cap. 4, alla nota 8), pp. 141-142; tr. it., pp. 144-145. 69 Cfr. Summa «Breves dies hominis sunt», ms. Bamberg, Staatsbibl., Patr. 136, 3va: «Hic breviter est quorundam opinio annotanda dicentium aeternitatem esse moram quae adiacet Deo» (citato in EBBESEN, What must one have an opinion about cit., p. 71). Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 4, pp. 127,51-129,28.
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praeteriti et futuri inte‹r›sti‹ti›um faciens, quare aliquid eius tangit praesens quod non futurum et e converso»70. Accanto all’influenza degli opuscoli teologici boeziani,si avverte la lettura del cap.6 delle Categorie, specie laddove si discute dell’unità e della molteplicità del tempo (cfr.III.21:«unum solum tempus est et plurium quodlibet est tempus»;III.22:«nichil est tempus in quo aliquid sit»). L’autore del Compendium appare particolarmente interessato alle questioni legate alle categorie: Gilberto e i suoi allievi non hanno modo di leggere il commento di Porfirio alle Categorie, ma leggono Boezio, che trasmette il nucleo dell’interpretazione di Porfirio, oltre naturalmente all’opera stessa di Aristotele. La sesta tesi del I libro recita: «solus terminus ad naturalem facultatem pertinens est praedicamentum»71. La terza tesi del II libro si basa sull’assunto che «non omni praedicativa aliquid praedicari» e offre esempi di proposizioni in cui nulla è predicato72. La diciannovesima tesi del III libro afferma che «non omne praedicabile est substantiale vel accidentale»73. I quattro capitoli sono seguiti da un’appendice sui tre tipi di praedicabilia (naturale, morale e razionale) corredata da una serie di tavole esplicative e riassuntive74. Nel complesso, la teoria delle categorie qui proposta appare precisa e originale. Muovendo dalla distinzione tra praedicamentum e praedicatum, l’autore individua le caratteristiche precise che un termine deve possedere per definirsi una categoria: le parole che consentono di descrivere e distinguere gli oggetti esterni compongono il vocabolario della conoscenza naturale, a cui l’autore del Compendium affianca altri due vocabolari o livelli del linguaggio. Uno è quello etico (moralis facultas) e l’altro è quello logico (rationalis facultas): nessuno di essi è dotato dello schema di classificazione che Aristotele ha applicato al linguaggio naturale75.Vi sono parole (‘specie’,‘opposto’) che possono essere usate in tutte e tre le sfere del discorso. La trattazione delle categorie aristoteliche è dunque accompagnata dalla descrizione dei loro paralleli in 70
Compendium logicae porretanum, III, 20, p. 45,93-94. Ibid., I, p. 1,19-20; cfr. anche ibid., I, 6, pp. 4,8-5,32. 72 Ibid., II, p. 12,7-10; II, 3, pp. 14,97-16,35. 73 Ibid., III, p. 30,26; III, 19, pp. 43,31-44,73. Cfr. anche ibid., III, p. 31,37-51. 74 Gli editori l’hanno intitolata Appendix de tribus generibus praedicabilium et praedicamentorum. Cfr. ibid., pp. 73-93. 75 Cfr. JACOBI, Logic: the later twelfth century cit., p. 247. 71
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campo etico e in campo logico: nel complesso l’autore porretano mostra di saper affrontare con padronanza alcune delle questioni logico-semantiche trasmesse dalla tradizione aristotelico-porfiriano-boeziana76. Il frammento delle Glosulae porretanae a Prisciano di cui disponiamo77, oltre ad avere un valore intrinseco per lo specifico contributo che reca alla conoscenza della scuola porretana, mostra l’influenza profonda delle recenti teorie in campo dialettico e semantico sullo sviluppo della grammatica78. La forza (vis) significativa di ogni singolo termine è stata soppiantata dalla funzione (officium) sintattica dello stesso termine inserito nel contesto proposizionale. Quest’evoluzione è testimoniata dall’ultima sezione del testo, che presenta una divisione tripartita dei verbi (substantivi, vocativi, adiectivi) in base ai tre tipi di realtà a cui si accostano (substantiae, propriae qualitates, accidentia)79. Si tratta di un tema tipi-
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Cfr. EBBESEN, Compendium logicae porretanum cit., pp. XIV-XV. Cfr. supra, cap. 1, nota 83, e cap. 3, nota 37. 78 Significative a questo proposito le parole di EBBESEN, What must one have an opinion about cit., p. 76: «Neither in- nor outsiders seem to have thought specifically grammatical theses were an important part of what distinguished a Porretan from the rest of mankind». 79 Cfr. Glosulae porretanae super Priscianum minorem, edd. Fredborg - Kneepkens cit. (cap. 1, alla nota 84), pp. 62-63: «Omne igitur verbum, ut saepe diximus, repertum est propter apponendam suam substantiam suae personae. Sunt autem tria genera eorum quae apponuntur. Cum enim proprietates tantum possint apponi, earum aliae sunt substantiae subiectorum, ut genera, species, differentiae. Aliae sunt propriae qualitates eorum, scilicet individua. Aliae sunt accidentia. Unde, propter triplex genus appositorum inventa sunt tria genera apponentium verborum. Est enim inventum hoc verbum sum, es, est propter apponendas substantias subiectorum. Unde ex officio apponendi eas dictum est substantivum. (…) Propter apponendum vero proprias qualitates inventa sunt verba vocativa, scilicet vocor et nominor et similia, quae ex officio apponendi propria nomina, quibus fit vocatio, dicta sunt verba vocativa; et sunt ita reperta, ut significent qualitates omnium propriorum nominum aequivoce. Et inde propria nomina eis adiunguntur, ut per hoc determinetur cuiusmodi propriam qualitatem hic praetendunt vel ibi. (…) Propter apponendum utcumque accidentia inventa sunt cetera verba, quae ex officio apponendi accidentia dicuntur accidentalia verba vel adiectiva, ut legit, currit et similia. Quia tamen sunt multa accidentia ad ‹quae› significanda non sunt reperta verba adiectiva, sicut longitudo, crispitudo et similia, transsumptum est verbum substantivum ad hoc apponendum,ut,sicut proprie dicitur ‘Socrates est homo’,ita – licet praeter proprietatem – ‘Socrates est longus vel crispus’. Et inde etiam propter similitudinem transsumptum est ad apponendum quaelibet alia, in quo usu, li77
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co (anche se non esclusivo) dei Porretani80. L’autore distingue il nome che indica il soggetto della frase e il nome che indica la persona cui la frase fa riferimento81. Inoltre, il nome significa una sostanza se è posto prima del verbo sostantivo, mentre significa soltanto la qualità se è posto dopo il verbo82. In relazione alla ratio construendi del verbo, l’autore distingue la costruzione personale (con il soggetto) dalla costruzione sostantiva (con un nome o un aggettivo nella posizione del predicato): quest’ultima costruzione non era stata riconosciuta da Prisciano83. L’ultimo testimone diretto, almeno fra quelli editi, della logica porretana è il frammentario commento alle Categorie pubblicato da Ebbesen nel 200184. L’editore invita a valutare il ruolo della riflessione autonoma sui testi dell’Ars Vetus nel più vasto processo di elaborazione dottrinale portato avanti da ciascuna delle ‘sette’ filosofiche del dodicesimo secolo, anche se, nel caso dei Porretani, l’influenza dei Commenti di Gilberto resta predominante85. Il cet sit praeter officium, tamen retinuit nomen quod habet ex officio, ut ubique dicatur substantivum et substantive construi ad nomen sequens». 80 Cfr. Compendium logicae porretanum, I, 23, pp. 10,10-11,38; Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 48), p. 253. 81 Cfr. Glosulae porretanae super Priscianum minorem, edd. Fredborg - Kneepkens cit., p. 33: «Omne nomen significat substantiam et qualitatem, idest de quo agitur et quod ei per nomen attribuitur. Id enim de quo agitur, substantia dicitur nominis eo quod per nomen substat appositioni, quae in logica praedicatio appellatur. Sed idem quod dicitur substantia, quia substat appositioni, idem, dico, vocatur etiam persona eo quod substat toti locutioni». Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit., p. 254. Cfr. FREDBORG, Speculative grammar cit., p. 190: «Whether the Porretan school (but not Gilbert himself) in fact coined the terminology of suppositum-appositum is not known; but they worked out the implications to an extent which their contemporaries found original». 82 Cfr. Glosulae porretanae super Priscianum minorem, edd. Fredborg - Kneepkens cit., pp. 50-51: «Duplex est enim significatio nominum et secundum duplicem significationem est duplex positio eorum in constructione. Propter significandam enim personam subiectam ponitur ante verbum ad reddendam personam ei et propter significandam qualitatem ponitur nomen post verbum ad reddendam qualitatem personae verbi. Positum ergo nomen post verbum non retinet vim [non] significandi personam, sed tantum apponendi qualitatem subiecto. Unde nec positum post verbum dicendum est alicuius personae, cum nec ibi habeat vim significandi personam». 83 Cfr. ibid., pp. 21-23 e 48-51; Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit., pp. 253-254. 84 Cfr. EBBESEN, A Porretanean Commentary cit. (cap. 1, alla nota 85). 85 EBBESEN, What must one have an opinion about cit., pp. 71-72, suggerisce la
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commento copre Categorie 5.2b4-7.6b15, ossia la gran parte del capitolo sulla sostanza, l’intero capitolo sulla quantità e l’inizio del capitolo sulla relazione. Particolarmente interessante la lunga digressione sulla verità che prende spunto da Categorie 5.4a21 seqq. e che, posta accanto alle riflessioni sullo stesso tema contenute nel Compendium logicae porretanum e nel Dialogus Ratii et Everardi, indica il fondamento della teoria porretana nella definizione della verità come «ratio naturae» o «ratio substantiae rei»86. Riferimenti a teorie logico-grammaticali, non sempre in continuità con la posizione del maestro, si ritrovano in alcune anonime opere teologiche di scuola gilbertina. Un esempio è fornito dalla teoria dell’appellatio nominis: mentre Gilberto si affida ai criteri del sensus auctoris e della ratio praedicandi per determinare il duplice significato del nome, nell’anonimo commento di scuola al simbolo pseudo-atanasiano, la substantia nominis è ricondotta all’inventio originaria, mentre la qualitas nominis è ridotta a un accidente87. In un’altra opera pseudo-gilbertina, il Tractatus de Trinitate («Quod Patris et Filii»)88, è esposta la teoria, tipica dei Porretani
convergenza degli opuscoli teologici di Boezio e di altre fonti, tra cui il sesto capitolo delle Categorie aristoteliche, nello sviluppo della teoria porretana del tempo. 86 Cfr. Commentarium in Categorias Aristotelis, ed. Ebbesen cit. (cap. 1, alla nota 85), p. 63: «Veritas est naturae ratio, qua dicitur verus aer, vera aqua, vera scientia; quae haec substantiae veritas perpenditur. Haec descriptio secundum Augustinum data est.Alibi tamen dicitur ‘veritas est ratio tam naturae quam nati’. Quod similiter posset hic dici, sed ibi dicitur plenius, hic vero proprius. (…) Habet namque haec veritas esse ex concretis, i.e. ex eo quod subest et ex eo quod inest. (…) Et est notandum quod quemadmodum diversa genera horum, i.e. corporeitatis et eius quod corpus est, ita diversae sunt veritates. (…) Omnis namque veritas ex compositione habet esse»; Compendium logicae porretanum, IV, 1, pp. 63,54-64,73: «Veritas est ratio substantiae rei, ut ait Hilarius. (…) Ergo sicut verae formae sunt, sic et earum compositiones sunt.(…) Cum veritas et falsitas sint opposita ut privatio et habitus, et omnis veritas sit habitus (id est compositio)»; Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit., pp. 284-285: «Est ergo veritas ratio substantiae rei, ut ostensum est, i.e. compositio formae ad subiectum, et non tantum substantialis sed accidentalis. Sed tamen principaliter substantialis, secundario accidentalis». Cfr. EBBESEN, A Porretanean Commentary cit., p. 38. 87 Cfr. Expositio Symboli Athanasii (Quicumque vult), ed. Häring cit. (cap. 2, alla nota 44), p. 37: «Illud enim, quod nomen significat pro substantia, proprietas nominis est, quandoquidem nomen habeat significare substantiam ex inventione, qualitatem vero ex accidenti». Cfr. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit. (cap. 1, alla nota 80), p. 50. 88 Cfr. supra, cap. 2, alla nota 46.
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ma non di Gilberto, dell’identificazione delle proprietates nominum con le res significatae ed è ripresa la formula gilbertina ratio propositi 89.Assolutamente fedele a Gilberto è l’esposizione della predicazione matematica, così come la relazione tra res, intellectus e sermo 90. Anche nelle Sententiae divinitatis sono presenti i tre aspetti della impositio nominis, vale a dire l’oggetto a cui è dato il nome, ciò da cui il nome è dato e la ragione per cui è dato91. L’autore sintetizza alcune teorie gilbertine sulle praedicationes consequentes e inconsequentes e sulle rationes praedicandi 92. Nel Tractatus «Invisibilia Dei», vengono esposte e argomentate alcune tesi rivendicate come proprie dai Porretani nel Compendium logicae porretanum, ad esempio che nulla è universale e la tesi ‘nominalista’ secondo cui albus alba album sono unum nomen93. La quarta parte del trattato si concentra su alcuni temi metafisici e logico-grammaticali tipicamente gilbertini: non mancano però i motivi critici verso il maestro. L’autore distingue, con Gilberto, il principio formale dell’essere composto dalla sua struttura concreta, ma non accoglie la coppia di termini gilbertina subsistentiasubsistens, ritenuta evidentemente non molto adeguata. Sulla linea del maestro è invece l’affermazione secondo cui ogni soggetto è singolare, mentre universali sono il genus, la species, la differentia, il proprium, l’accidens. L’autore distingue inoltre la predicazione di un nome astratto per se dalla sua predicazione per aliud 94. L’attenzione del porretano si rivolge quindi ad altri aspetti della teoria logico-grammaticale, cioè all’analisi dei componenti della frase (soggetto e predicato) e di quei casi in cui il nome non può essere predicato a causa della natura particolare (non composta) della res. Altre indicazioni vengono date riguardo il trasferimento alla 89 Cfr. De Trinitate (Quod Patris et Filii), ed. Häring cit. (cap. 2, alla nota 46), pp. 38, 49. 90 Cfr. ibid., p. 47: «Haec igitur omnia longe supra metas naturae excellentius sunt quam intelligentur. Sed et excellentius intelliguntur quam verba humana quantumlibet exquisita fateantur siquidem citra res est intellectus, citra intellectum est sermo». 91 Cfr. Sententiae Divinitatis, ed. Geyer cit. (cap. 1, alla nota 12), p. 55*,12-20. 92 Cfr. ibid., pp. 98*,14-99*,23; 74*,25-75*,10. 93 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit., p. 129. Cfr. VALENTE, Cum non sit intelligibilis cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 156-161. 94 Anch’essa è ripresa da Gilberto: cfr. COLISH, Early Porretan Theology cit. (cap. 1, alla nota 89), p. 65.
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causa di nomi riguardanti l’effetto, ma anche riguardo l’importanza gnoseologica della predicazione di una certa proprietà (bianchezza) ad un dato soggetto (uomo) e sulle regole della predicazione degli altri universali, quali genus, species, differentia, accidens. Poiché il linguaggio segue lo schema della nostra conoscenza, che distingue la proprietà dal soggetto a cui si riferisce, le parole seguono questa differenziazione e si distinguono in nomi concretiva (bianco) e nomi abstractiva (bianchezza); questi due nomi indicano la stessa qualità ma in maniera differente: «nam concretiva significant proprietatem in adiacentia, abstractiva vero in essentia»95. L’autore mette in guardia dal pericolo di considerare paralleli i procedimenti della natura e quelli dell’intelletto: quest’ultimo separa ciò che nella realtà è unito. Accanto alle tre fonti dirette delle teorie sostenute dai maestri porretani delle arti, e alla luce di esse, occore dare uno sguardo ai numerosi riferimenti indiretti contenuti in svariate opere provenienti da contesti ambientali e dottrinali diversi se non avversi a quello porretano. Ci serviremo del repertorio messo a punto recentemente da Yukio Iwakuma e Sten Ebbesen, i quali hanno raccolto e ordinato cronologicamente tutte le fonti a loro conoscenza in cui ricorre il nome di una o più scuole logico-teologiche attive nella seconda metà del secolo96. L’autore anonimo di un commento a Prisciano scoperto dalla Fredborg, databile intorno al 1170/80 e contenuto nel ms. Leiden, Bibl. der Rijksuniversiteit, B.P.G. 154, ff. 41ra-123va, mostra di essere al corrente delle teorie porretane97. Una fonte ben più ricca e significativa è rappresentata dall’anonima glossa a Prisciano che inizia con le parole «Promisimus nos», una reportatio prodotta nell’ultimo quarto del dodicesimo secolo probabilmente a Parigi e portata alla luce da Richard Hunt mezzo secolo fa. Al suo interno sono citati numerosi mae95 96
Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit., p. 137. Cfr. IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools cit. (cap. 2, alla nota
129). 97 Cfr. FREDBORG, Speculative grammar cit., p. 180; IWAKUMA - EBBESEN, Logico-Theological Schools cit., p. 179 (f. 59va): «Dato enim hoc nomen ‘homo’ significare qualitatem, sic contra (?). (…) Item accidet secundum hoc quodlibet substantivum (?) nomen esse denominative sumptum ab aliqua proprietate. Socrates enim a Socratitate denominatur et sic de aliis, quae mentiuntur Porretani».
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stri dell’epoca, tra cui anche Gilberto di Poitiers, descritto mentre risponde in modo brusco ma significativo a un magister Garnerus che l’aveva interrotto durante una lezione98. La glossa riporta anche alcune tesi logico-grammaticali attribuite esplicitamente ai Porretani, inseriti pienamente nei dibattiti che vedevano confrontarsi e scontrarsi le scuole dell’epoca. I Porretani sostengono che «nomen in apposito nullius est personae» e utilizzano il suffisso -ius del genitivo come criterio per individuare i pronomi e distinguerli dagli aggettivi99. Sono infatti citati anche gli allievi di 98
Cfr. Glossa Promisimus, ms. Oxford, Bodleian Library, Laud. lat. 67 (seconda metà sec. XII), [ff. 20r-88v] f. 48ra, ed. HUNT, Studies on Priscian in the twelfth century II cit., p. 42: «(…) Et hoc est secundum Priscianum, qui adiectiva substantivis iudicat praeponenda. Inde contingit quod cum Magister Gar[nerus] G[ramati]cus et Magister Albricus et multi alii intrassent scolas Magistri Gil[leberti] Porretae, et Magister Gar[nerus] dixisset ad Magistrum:‘Magister Gilleberte Po[rete], responde’, indigne tulit dominus. ‘Garcio, nescis quod adiectiva debent fixis preponi? Debuisses ergo dixisse Por[rete] Gilleberte. Quia male dixisti, lues’. Fecitque eum optime verberari. Sed nota quod cum Magister noster legeret ante tractatum casus epistolam Prisciani ad Iulianum, scilicet Breviter me iussisti Iuliane etc., dixit substantiva debere praeponi adiectivis, sicut prius praeiacet materia ac postea advenit forma». Hunt ha ipotizzato che il maestro di cui la glossa riporta le opinioni provenga dalla scuola dei Parvipontani, l’unica delle scuole dell’epoca non citata nel documento (ibid., p. 18). Cfr. anche ibid., f. 77ra, p. 52: «Humani Ioves id est dii. Nota quod quandocumque proprium vel recipit adiectivum, ut ‘Aliquis Socrates’, vel in plurali ponitur, ut ‘Aiaces’, non in propria significatione retinentur. Debet enim significare unum aliquid, quare pluralitatem refugit. Ubi autem non est pluralitas, ibi non est partitio. Ut enim dicit Porretanus: aliquis et quidam partitivum est, unde semper vult aliquid excerpere de pluralitate. Ubi autem non est pluralitas, nec locum habet. Quare non concedunt ‘Aliquis fenix’, nec etiam ad proprium per ‘qui’ potest fieri relatio quia et ipsum partitivum est. Ideoque dicimus quod ‘Nullam puto Phillida nosti’ quod ‘Phillida’ non retinetur in propria significatione». 99 Cfr. Glossa Promisimus, ms. cit., f. 74vb, ed. HUNT, Studies on Priscian in the twelfth century II cit., pp. 51-52: «Possunt complecti omnes personas id est applicari per evocationem ad dictionem cuiuslibet personae, et inde supponit exempla in omni casu. Nota quod hic manifeste est Priscianus contra Por[retanos], qui dicunt nomen in apposito nullius esse personae. Dicunt enim quod cum nomen significat substantiam cum qualitate, inde quod significat substantiam est alicuius personae, sed non inde quod qualitatem. Unde in supposito ubi supponit rem de qua agitur est alicuius personae. Cum enim dicitur ‘Ego sum albus’, ibi ‘albus’ tantum qualitatem apponit. Nos dicimus quod ibi significat substantiam, id est pertinet ad substantiam suppositi. Porre[ta]ni dicunt quod non significat substantiam, i.e. in substantia non clauditur eius intellectus, nec substantiam facit intelligi. Argumenta M[agistri] propria sunt haec: cum dico ‘Ego sum Socrates’ ibi ‘Socrates’ tantum significat qualitatem. Est substantivum vel adiectivum, ergo adiectivum. Item proprium est nominis significare substantiam cum qualitate, sed ‘Socrates’ ibi non significat substantiam cum qualitate, ergo variatur, vel ergo non ponitur
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Alberico di Parigi (Albricani), di Pietro Elia (Helistae), i membri delle scuole di Melun (Melidunenses) e di Mont-Sainte-Geneviève (Montani). Come si è detto, gli scritti logici non sono l’unica fonte per la conoscenza della riflessione linguistica sviluppatasi nelle scuole medievali. Il discorso vale in particolar modo per i Porretani, che hanno elaborato le proprie teorie logiche anche all’interno delle loro opere teologiche. L’interscambio tra scuola logica e scuola teologica è particolarmente intenso nei Porretani più maturi, come Alano di Lilla che, se da un lato applica alcuni procedimenti logici messi a punto intorno alla seconda metà del secolo, dall’altro sviluppa alcuni concetti che saranno portati a maturazione dai logici moderni100. In particolare, l’esposizione assiomatica della main vi nominis. Item Priscianus dicit quod ibi evocatur de tertia ad primam, et proprie est tertiae personae, ergo ibi est primae. Item cum dicitur ‘Istud est album’, per ‘album’ quale quid significatur et non ex institutione, ergo et cum dicitur ‘Ego sum homo’,‘homo’ significat quale quid, cum illud significet ex institutione. Item Por[retani] et clerici Magistri Pe[tri] He[liae] dicunt omnes quod cum dicitur ‘Ego Socrates sum homo’,‘ego’ significat ibi substantiam circa quam Socrates determinat qualitatem, sed cum sit proprie nomen, videtur quod ibi significet substantiam cum qualitate, cum in propria ibi retineatur significatione». In realtà, questa testimonianza indiretta contraddice la posizione di Gilberto, secondo cui non è mai predicata una forma universale: cfr. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit., p. 46: «If nullius personae is intended to mean that the predicate stands for a form which is not confined to the esse of the subject but for a universal form, and not just meant to refer to the fact that the predicate is not standing for the subsistens, we have to realize that just as it is impossible to trust contemporary sources for Gilbert’s theological doctrines unless they can be verified in Gilbert’s own writings such is also the case as far as his grammar and logic are concerned». Cfr. anche Glossa Promisimus, ms. cit., f. 74vb, ed. HUNT, Studies on Priscian in the twelfth century II cit., f. 75rb, p. 52: «Nota quod Porre[ta]ni dicunt habentia genetivum in –ius esse pronomina, et sic probant: Ista ‘unus’‘solus’ et similia declinantur declinatione pronominum et non declinatione nisi sua, ergo ipsa sunt pronomina. Instantia. Iste loquitur Anglice, et non loquitur nisi sua lingua, ergo est Anglicus»; f. 75vb, p. 52: «Unde quidam Donatus quem secuntur Porre[ta]ni». Sulle instantiae, cfr. S. EBBESEN - Y. IWAKUMA, Instantiae and 12th century ‘Schools’, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin», 44 (1983), pp. 81-85. 100 Cfr. EVANS, Alan of Lille.The frontiers of theology cit. (cap. 3, alla nota 56), pp. 5-10 e 25-41; J. ZIOLKOWSKY, Alan of Lille’s Grammar of Sex.The Meaning of Grammar to a Twelfth-Century Intellectual, Cambridge (Mass.) 1985; DE LIBERA, Logique et Théologie cit. (cap. 4, alla nota 89). I Porretani (l’autore della Summa Zwettlensis, Simone di Tournai,Alano di Lilla) hanno approfondito, inoltre, in un contesto di teologia trinitaria il principio-cardine della suppositio e del ‘contextual approach’, tipico della logica terminista, incarnato nella formula «talia sunt subiecta qualia
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teria teologica nelle Regulae caelestis iuris sottintende una precisa competenza logica,grammaticale e semantica.Sia le Regulae che la Summa sono sostenute da una riflessione profonda e matura sul significato dei nomi, sulle forme di predicazione, sulla translatio delle categorie. Ogni problema viene affrontato all’interno di quello che de Libera ha definito il «complesso teologico porretano-boeziano», che implica una serie di distinzioni logico-semantiche fondamentali, ossia quelle tra categorie intrinseche e categorie estrinseche, tra predicazione sostanziale e predicazione relazionale e tra proprietà e improprietà dei termini101. Non solo: la dottrina di Alano secondo cui un nome concreto esprime in modo improprio la forma ex quo datum est appare un contributo personale del maestro di Lilla allo sviluppo della semantica porretana in una direzione piuttosto diversa da quella indicata dal maestro e ripresa dal Dialogus Ratii et Everardi.Anche il concetto di suppositio è specificato da Alano in un senso che risulta più vicino a quello messo a punto dai logici moderni che da Gilberto102. Alano segue fedelmente Gilberto per quanto riguarda la teoria del nomen appellativum, basandosi sulla nozione di conformitas, riletta alla luce della dottrina pseudo-dionisiana103. Interessanti spunti logico-semantici possono trarsi anche dalle opere di Simone di Tournai e dal Dialogus Ratii et Everardi. La prima distinzione della Summa di Simone offre, ad esempio, indicazioni generali sulla costruzione del discorso e sul meccanismo del significato, allo scopo di definire la specificità del testo sacro104. praedicata permittunt», di ascendenza boeziana: cfr. VALENTE,Talia sunt subiecta qualia praedicata permittunt cit. (cap. 1, alla nota 103). Ringrazio Luisa Valente per avermi fornito il testo del suo articolo prima della sua pubblicazione. 101 Cfr. DE LIBERA, ibid., p. 445: «Il est, cependant, clair que de Gilbert à Alain la théorie sémantique a évolué (ou régressé?) du strict terrain de la signification à celui, plus complexe, d’une signification intégrant le geste inaugural de la datio nominis». 102 Cfr. ibid., pp. 446-448. 103 È merito di de Libera aver messo in luce, sulla base dell’analisi delle nozioni di similitudo e conformitas, l’origine dionisiana della semantica porretana, che va di pari passo con l’ontologia a formare quel blocco dottrinale boeziano-porretano cui Alano dà il suo personale contributo oltreché il suo convinto sostegno: cfr. ibid., pp. 449-453. 104 Cfr. C. MARMO, Inferential Signs and Simon of Tournai’s General Theory of Signification, in Vestigia, Imagines,Verba cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 61-82; ID., Simon of Tournai’s Institutiones in sacram paginam cit. (cap. 3, alla nota 91).
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Simone distingue tre tipi diversi di significato delle parole: la fabula, l’argumentum e l’historia, quello più frequentemente utilizzato nella Bibbia. Ogni parola può, inoltre, esprimere il senso di una cosa «vel ex sensu quem faciunt verba (…) vel ex sensu ex quo fiunt verba», può cioè significare la cosa in modo proprio (letterale) o improprio (figurativo). Il discorso sarà nel primo caso analogico, nel secondo metonimico. Al significato delle parole si aggiunge il significato delle cose, distinto a sua volta in significatio pro re, significatio in re e significatio ex re, basata sulla sostituzione di un oggetto con un altro. Sono queste le basi di uno schema generale del significato che Simone elabora sulla base di fonti diverse (tra cui Gilberto e Alano), senza limitare la propria analisi al discorso teologico, bensì estendendolo a ogni tipo di discorso, in un’ottica più ampia di quella della varietà semantica dei singoli termini105. Anche nel Dialogus Ratii et Everardi ampio spazio è dedicato alle radici logico-grammaticali della questione teologica dibattuta tra i due protagonisti dell’opera: emblematico a questo proposito lo scambio di battute innescato dalla dichiarazione programmatica di Ratius, che prelude a quella che può considerarsi la più significativa testimonianza della dottrina logico-semantica prodotta dall’ultima generazione di Porretani106. Entrando nel vivo della discussione, il discorso sull’impositio nominum si allarga ad analizzare le fonti, le ragioni e referenti del nome («nomen alii et ex alio et propter aliud impositum est») e si sviluppa a partire dalla formula di Prisciano secondo cui «proprium est nominis significare substantiam cum qualitate»107. Per l’autore del Dialogus, l’appellare non è più inteso come l’atto di attribuire un nome a un oggetto quanto, in un senso più tecnico, quello di fare riferimento a esso, a prescindere dal tempo108. Egli insiste sulla distinzione tra il nomen concretivum e il nomen mathematicum: il primo significa
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Cfr. lo schema complessivo in MARMO, Inferential Signs cit., p. 75. Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit., p. 252: «R. Sciendum solutionem hujus quaestionis accubare prae foribus grammaticae et logicae. – E. Quid est quod dicis? Quaestio theologica solvitur grammaticae et logicae doctrina? – R. (…) Ne mireris, si quaestio dicti solvatur facultatibus dicendi». Cfr. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit., p. 40. 107 Cfr. ibid., ed. Häring cit., p. 253. 108 Cfr. ibid., pp. 253-254. 106
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insieme una sostanza e la sua forma, mentre il secondo significa una forma astratta ed è per questo da considerarsi il nome principale, laddove il nomen concretivum è un paronimo e, in termini grammaticali, significa pro qualitate ciò che il nomen mathematicum significa pro substantia109. Vi è una stretta relazione tra il livello ontologico e il livello semantico della riflessione: alla pluralità degli individui sussistenti, significati dai paronimi, corrisponde la pluralità delle sussistenze, significate dai nomi concreti corrispondenti (tante umanità quanti uomini). In questo modo è accentuata, rispetto alla posizione del maestro, la capacità di tenere insieme un’ontologia della sostanza individuale e un realismo delle forme110. L’efficacia ontologica della forma significata pro qualitate dal nomen mathematicum (in termini di metafisica del concreto il suo quo est) è la sua stessa realtà formale111. L’autore del Dialogus si discosta da Gilberto sia quando afferma che un nome significat proprie il soggetto-materia, improprie la forma112, sia quando afferma l’equivocità del verbo esse (dottrina
109 Cfr. ibid, p. 254: «Nominum itaque aliud concretivum, aliud mathematicum. Concretivum: quod concrete significat substantiam et substantiae formam ut ‘album’ et ‘homo’. Album enim significat rem, quae alba est, et albedinem rei. Unde Priscianus: Album dicitur ab albedine. Mathematicum est quasi abstractivum quia significat formam quasi a subjecto abstractam ut ‘albedo’. (…) Item attendendum: quod nomen sumptum, i.e., concretivum, significat pro qualitate, idem principale significat pro substantia. Ut ‘homo’ humanitatem significat pro qualitate quam hoc nomen ‘humanitas’ significat pro substantia». Cfr. JOLIVET, Trois variations médiévales cit. (cap. 4, alla nota 45), p. 149. 110 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, p. 254: «Itaque nomen abstractivum, i.e., mathematicum significat formas proprie, i.e., appellat, prout intelliguntur abstractae a subjecto. Sed pro qualitate significat effectum earum, ut cum dicitur ‘albedo est color’, i.e., albedo facit coloratum». Cfr. JOLIVET, ibid., p. 150. 111 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, p. 257: «Qui effectus ‘genus generis’ dicitur quadam similitudine, quia sicut esse cujuslibet rei ‘genus’ ejus appellatur, (sicut cum dicitur cujus generis res sit, i.e., cujus subsistentiae) ita, inquam, effectus formae cujuslibet ‘genus’ ejus dicitur, quia ipsa non habet aliud esse nisi effectum suum, quia forma non ex alterius formae habitu sed ex suo effectu esse sortitur». 112 Cfr. ibid., p. 254: «Attende, quod nomen quandoquidem significat id cui impositum et hoc proprie, ut ‘homo est animal’; quandoquidem id ex quo impositum est, et hoc improprie, ut de eo fiat sermo, ut ‘homo est species’». Cfr. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit., p. 51: «This deviation from Gilbert is part of Everard’s more extensive attempt to correct Gilbert’s view of the relationship between the concrete and the mathematical name».
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del verbum substantivum)113.Appare un po’ forzata anche l’affermazione secondo cui «cum sententia magistri fuerit, quod idem significarent [nomina concreta et mathematica]»114: l’equivalenza presupposta da Gilberto è, infatti, ontologica ma non semantica. Assolutamente estranea alla dottrina di Gilberto (e non soltanto) è poi la distinzione tra substantia e qualitas nominis nei nomi astratti115. Questa teoria inficia anche la spiegazione della predicazione matematica116. Nel dialogo, Ratius riprende la formula di Prisciano e identifica le proprietà dei nomi con le cose da esse significate117. Questa sezione del dialogo si chiude con una serie di precisazioni da cui emerge con chiarezza il moderato realismo degli universali di Ratius e, dunque, del suo autore: Audisti superius me dixisse omnia genera et species in primo contineri praedicamento. Sed in aliis praedicamentis inveniri generalissima et specialissima. Unde eadem forma habet et specialem et generalem effectum ut albedo facit album (et iste effectus ejus est specialis, immo specialissimus), eadem facit coloratum (et iste generalis), facit quale (et iste generalissimus). Igitur omnes albedines sunt hoc universale album, omnes albedines et alii colores hoc universale coloratum, omnes albedines et aliae qualitates hoc universale quale118.
113 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, p. 253. Gilberto si era soffermato con attenzione sulla persistente equivocità dei termini esse e esse aliquid presso i teologi e i filosofi: da un punto di vista teologico, questi termini spettano propriamente a Dio e solo quadam extrinseca denominatione alle creature. Sul piano filosofico, la situazione è un po’ più intricata: alcuni sostengono che il verbo ‘essere’ sia predicato equivocamente di tutte le cose, mentre altri credono che tale verbo sia prerogativa soltanto delle prime tre categorie aristoteliche. Il maestro parteggia per questo secondo gruppo di filosofi. Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum de bonorum ebdomade, 1, pp. 193,51-194,85. 114 Dialogus Ratii et Everardi, p. 255. 115 Cfr. ibid., pp. 254-255. Cfr. NIELSEN, ibid., p. 69. 116 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, p. 257. 117 Cfr. ibid., p. 261: «Nominum proprietates sunt res eis significatae. Unde proprium est nominum significare substantiam et qualitatem». 118 Ibid., p. 255. Cfr. JOLIVET, Trois variations médiévales cit., p. 151: «Il est loisible de lire dans ce passage la constitution de l’universel à partir des conformités de certains accidents si l’on s’en tient à cet exemple, et de certaines subsistances si on l’étend. Mais plus importants sont l’emploi du verbe être qui unit les blancheurs à l’universel blanc et la dérivation de toute la série ascendante des universaux à partir de l’accident le plus spécifique et donc le plus proche des singuliers».
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Anche la distinzione gilbertina tra ratio significati e ratio propositi è ripresa in ambito teologico sia da Simone che dall’autore del Dialogus119. In sede di valutazione complessiva del contributo dei Porretani all’evoluzione degli studi logico-grammaticali, occorre evidenziare la quantità e l’eterogeneità dei materiali, i quali, pur non componendo un corpus dottrinale rigido e ben definito, si caratterizzano, nel contesto fluido e dinamico della metà del dodicesimo secolo, per la capacità di coagularsi attorno ad alcuni presupposti teoretici avanzati da Gilberto e sviluppati dai suoi seguaci: lo stretto legame tra analisi logico-grammaticale e analisi ontologica, l’approfondimento del ruolo del sermo in rapporto alla res e all’intellectus, la rielaborazione critica del modello semantico boeziano, l’analisi dei molteplici risvolti del nomen, la teoria della doppia significazione dei termini,le sottili distinzioni dei vari modi significandi e praedicandi, la messa a punto di un’ermeneutica matura e consapevole delle diverse rationes del discorso, infine l’anticipazione di teorie che saranno sviluppate nei decenni successivi quali la suppositio e la logica proposizionale. L’insieme di queste linee dottrinali può considerarsi l’espressione di un ‘realismo progressista’, intendendo con questa formula un’attitudine logico-filosofica ancorata alla migliore tradizione del platonismo altomedievale,ma ben predisposta ad accogliere gli stimoli provenienti dall’impostazione alternativa, rappresentata dalla logica aristotelica.
119 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Disputationes, ed.Warichez cit. (cap. 1, alla nota 22), p. 140: «‘Deus est homo’, nomine Dei agitur de persona composita Christi, ratione propositi, non significati» (v. anche p. 141); ID., Institutiones de sacram paginam, ed. Schmaus cit., p. 71: «(…) ‘Homo est Simon’. Hic quoque agitur de eodem nomine hominis ratione propositi, non significati, quamvis ‘homo’ non determinate significet Simonem, ut ubi (…)»; Dialogus Ratii et Everardi, p. 270: «Cum igitur hoc nomen ‘Deus’ ibi positum confuse significet et ita ibi indefinite personam subiciat, sed determinate et finite ratione propositi, licet non proponendi, ideo (…)».
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CAPITOLO SESTO
SCIENZA E CONOSCENZA
1. Il modello epistemologico boeziano Gli Opuscula sacra boeziani rappresentarono per i maestri del secolo XII uno straordinario stimolo a chiarire, anche nel confronto/ scontro reciproco, le proprie posizioni speculative, in particolare riguardo lo statuto epistemologico delle scienze e le metodologie peculiari di ciascuna disciplina, compresa la teologia. Gilberto di Poitiers, prima e meglio di altri, ha colto la potenzialità dei testi boeziani in vista di una maturazione delle scienze filosofica e teologica, che doveva passare attraverso quella ridefinizione del linguaggio teologico che costituisce forse il più saliente contributo offerto dai Porretani alla tradizione speculativa medievale. La lettura gilbertina di Boezio fu molto influente sull’elaborazione teologica del tempo,tanto è vero che molte interpretazioni successive possono leggersi come adesioni, correzioni o contrapposizioni a quella porretana. Anche su questo versante speculativo, occorre valutare con attenzione il modo in cui l’eredità della riflessione di Gilberto è stata raccolta da parte dei suoi seguaci: la coerenza dottrinale della scuola porretana va messa alla prova anche sul piano epistemologico, ossia in riferimento al nodo teorico in cui confluiscono le teorie relative al processo conoscitivo, la distinzione delle varie facoltà dell’anima e la classificazione delle scienze speculative. Poiché Gilberto muove dal testo di Boezio, è necessario partire dall’impostazione dell’intellettuale romano, in particolare dal principio secondo cui nel sistema organico del sapere filosofico
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confluiscono molteplici saperi particolari e competenze specifiche, per cui le scienze, si legge già nel Prologo del De arithmetica, sono da considerarsi forme di comprensione diverse della realtà, percorsi conoscitivi distinti ma non autonomi, in quanto convergenti tutti verso la sapientia intesa come il possesso della verità1. Nella prima edizione del commento all’Isagoge di Porfirio, Boezio approfondisce la questione prendendo le mosse dalla divisione di origine aristotelica tra filosofia pratica e filosofia teoretica, ma utilizzando allo stesso tempo lo schema platonico nel momento in cui divide la filosofia speculativa sulla base dei tre tipi di oggetti considerati: gli intellettibili, gli intellegibili e i naturali2. L’autore spiega di aver coniato la parola intellectibile per tradurre il greco nohtovn, riferito all’oggetto di conoscenza più elevato, ossia l’essere divino nella sua immutabilità e nella sua eternità3. Gli intellegibili, intermediari tra l’oggetto sommo e gli oggetti inferiori, sono gli intelletti celesti, le intelligenze più pure e perfette e le anime umane4. La terza species theoretica ha invece per oggetto gli esseri naturali, perciò può definirsi physiologia5. 1
Cfr. BOETHIUS, De arithmetica (De institutione arithmetica), Prologus (vel Praefatio), edd. H. Oosthout - J. Schilling,Turnhout 1999, p. 4,18-36. 2 Cfr. ID., In Isagogen Porphyrii, ed. prima, ed. S. Brandt,Wien - Leipzig 1906 (CSEL, 48), p. 8,1-10: «Est enim philosophia genus, species vero duae, una quae theoretica dicitur, altera quae practica, id est speculativa et activa. Erunt enim et tot speculativae philosophiae species, quot sunt res in quibus iustae speculatio considerationis habetur, quotque actuum diversitates, tot species varietatesque virtutum. Est igitur theoretices, id est contemplativae vel speculativae, triplex diversitas atque ipsa pars philosophiae in tres species dividitur. Est enim una theoretices pars de intellectibilibus, alia de intellegibilibus, alia de naturalibus». 3 Cfr. ibid., p. 8,10-19: «Nohtav, inquam, quoniam Latino sermone numquam dictum repperi, intellectibilia egomet mea verbi compositione vocavi. Est enim intellectibile quod unum atque idem per se in propria semper divinitate consistens nullis umquam sensibus, sed sola tantum mente intellectuque capitur. Quae res ad speculationem Dei atque ad animi incorporalitatem considerationemque verae philosophiae indagatione componitur: quam partem Graeci qeologivan nominant». 4 Cfr. ibid., pp. 8,18-9,6: «Secunda vero est pars intellegibilis, quae primam intellectibilem cogitatione atque intellegentia comprehendit.Quae est omnium caelestium supernae divinitatis operum et quicquid sub lunari globo beatiore animo atque puriore substantia valet et postremo humanarum animarum.Quae omnia cum prioris illius intellectibilis substantiae fuissent,corporum tactu ab intellectibilibus ad intellegibilia degenerarunt, ut non magis ipsa intellegantur quam intellegant et intellegentiae puritate tunc beatiora sint,quotiens sese intellectibilibus applicarint». 5 Cfr. ibid., p. 9,6-8: «Tertia theoretices species est quae circa corpora atque eorum scientiam cognitionemque versatur: quae est physiologia, quae naturas corporum passionesque declarat».
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VI. SCIENZA E CONOSCENZA
Pur trattandosi di una divisio philosophiae basata su criteri oggettivi, o meglio ontologici, ossia calibrata sulla distribuzione gerarchica dei gradi dell’essere, essa contiene anche riferimenti alle tre facoltà conoscitive interessate: l’intellectus o mens intuisce gli intellettibili, la cogitatio o intellegentia conosce gli intellegibili, mentre una non meglio precisata scientia o cognitio descrive le proprietà dei corpi6. I termini intellectibile e intellegibilis conservano tuttavia un margine di ambiguità, in quanto sembrano designare sia due diverse azioni conoscitive dell’anima, sia due diverse modalità dell’essere conosciuto. Nell’Introductio ad syllogismos categoricos, Boezio da un lato conferma che la medesima realtà è analizzata da discipline diverse che danno luogo a differenti rappresentazioni della realtà, dall’altro precisa che ogni disciplina è dotata di una propria ratio o metodologia, vale a dire di un peculiare ma non esaustivo approccio razionale all’essere reale delle cose7. Mentre nel primo commento all’Isagoge Boezio utilizza uno schema di derivazione platonica, nel secondo capitolo del De Trinitate, egli propone una nuova tripartizione della filosofia specu6 È qui già presente, dunque, l’adesione da parte di Boezio alla dottrina della conoscenza di stampo neoplatonico – ripresa e sviluppata nelle opere della maturità – basata sulla corrispondenza tra i tre livelli dell’essere e delle scienze teoretiche e la gerarchizzazione tripartita delle facoltà conoscitive dell’anima umana in sensibilità (ai[sqhsi"), ragione discorsiva e argomentativa (diavnoia) e intelletto (nou`"): cfr. G. D’ONOFRIO, La scala ricamata. La philosophiae divisio di Severino Boezio tra essere e conoscere, in La Divisione della Filosofia e le sue Ragioni. Lettura di testi medievali (VI-XIII secolo), Atti del Settimo Convegno della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (S.I.S.P.M.) (Assisi, 14-15 novembre 1997), a c. di G. d’Onofrio, Cava dei Tirreni 2001 (Schola Salernitana. Studi e Testi, 5), pp. 11-63. Cfr. infra, p. 271, nota 51. Una linea di ricerca certamente foriera di risultati dovrebbe indagare il ruolo svolto dai Porretani nel passaggio epocale, avvenuto alla fine del dodicesimo secolo, tra l’impostazione ‘fenomenologica’ che deriva da questa concezione della conoscenza neoplatonica (per cui il conoscere è il risultato di un’appropriazione dell’oggetto da parte del soggetto mediante le diverse facoltà) e la tradizione aristotelico-araba (per cui, all’opposto, veritas est adaequatio rei et intellectus): cfr. D’ONOFRIO, Storia della teologia. II. Età medievale cit. (cap. 1, alla nota 98), pp. 318-322. 7 Cfr. BOETHIUS, Introductio ad syllogismos categoricos, PL 64, [761C-794B], 762CD: «Non enim una atque eadem diversarum ratio disciplinarum, cum sit diversissimis disciplinis una atque eadem substantia materies. Aliter enim de qualibet orationis parte grammatico, aliter dialectico disserendum est, nec eodem modo lineam vel superficiem mathematicus ac physicus tractant. Quo fit ut altera alteram non impediat disciplina, sed multorum consideratione coniuncta fiat vera naturae atque ex omnibus explicata cognitio».
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lativa ispirandosi a un passaggio della Metafisica di Aristotele (VI, 1, 1025b-1026a) e proseguendo una consolidata tradizione neoplatonica. In questo caso, egli assume come discriminante il diverso rapporto delle forme oggetto di conoscenza con la materia e approfondisce le differenze metodologiche delle varie scienze. La filosofia teoretica comprende la naturalis, che indaga le cose mutevoli e non separate dalla materia, la mathematica, che analizza le realtà immutabili e non separate, mediante un atto di astrazione puramente mentale, la theologica, che indaga la realtà divina immutabile e separata, realmente trascendente: Nam cum tres sint speculativae partes, naturalis, in motu inabstracta ajnupexaivreto~ (considerat enim corporum formas cum materia, quae a corporibus actu separari non possunt, quae corpora in motu sunt ut cum terra deorsum ignis sursum fertur, habetque motum forma materiae coniuncta), mathematica, sine motu inabstracta (haec enim formas corporum speculatur sine materia ac per hoc sine motu, quae formae cum in materia sint, ab his separari non possunt), theologica, sine motu abstracta atque separabilis (nam dei substantia et materia et motu caret)8.
Ognuna delle tre discipline è caratterizzata da un procedimento scientifico peculiare: in fisica occorre procedere rationaliter, in matematica disciplinaliter, in teologia intellectualiter 9. La terminologia utilizzata da Boezio per definire le tre metodologie è evidentemente modellata sulla tripartizione delle facoltà conoscitive: nella fisica opera la ratio intesa come attitudine mentale che rintraccia nei dati sensibili la prima fonte della propria attività conoscitiva; nella matematica opera la stessa ratio nel momento in cui, astraendo le forme conosciute dagli enti sensibili a cui appartengono, 8
ID., Opuscula theologica, I, De sancta Trinitate, 2, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), pp. 168,68-169,78. 9 Cfr. ibid., p. 169,78-83: «In naturalibus igitur rationabiliter, in mathematicis disciplinaliter, in divinis intellectualiter versari oportebit neque diduci ad imaginationes, sed potius ipsam inspicere formam quae vere forma neque imago est et quae esse ipsum est et ex qua esse est. Omne namque esse ex forma est». Per quanto riguarda il significato preciso da assegnare al termine disciplinaliter, va ricordato che nei Topica ciceroniani disciplina vel demonstratio è il nome della logica apodittica, che conduce a dimostrazioni necessarie a partire da premesse certe: cfr. D’ONOFRIO, La scala ricamata cit., pp. 57-58.
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giunge a un livello che può definirsi di dimostrazione scientifica; nella teologia, infine, opera un’attività mentale specifica, l’intellectus, che permette di svincolarsi totalmente dalla realtà sensibile, mista di materia e forma, per contemplare la forma pura dell’essere trascendente. Mentre la tripartizione delle scienze speculative è impostata, come si è visto, sulla tripartizione ontologica della realtà, la distinzione tra i vari gradi di conoscenza della realtà è finalmente resa esplicita nella Consolatio Philosophiae sulla base del presupposto che ciò che si conosce viene compreso non secondo la sua essenza, bensì secondo la facoltà di colui che conosce (secundum facultatem cognoscentium). Il medesimo oggetto è compreso in modo diverso (aliter) da ognuna delle potenze conoscitive, definite all’interno di una precisa visione gerarchica: il sensus ne coglie la realtà materiale, l’imaginatio ne fissa la figura, la ratio la valuta in una dimensione universale, mentre l’occhio dell’intelligenza (oculus intellegentiae) con il puro acume della mente (pura mentis acie, uno ictu mentis) conosce la pura forma dell’essere. La capacità conoscitiva (vis) superiore comprende al suo interno anche quelle inferiori. Nell’atto conoscitivo, dunque, ciascuna potenza mette in opera le sue proprie capacità piuttosto che adeguarsi alle proprietà dell’oggetto conosciuto10. 10 Cfr. BOETHIUS, Consolatio Philosophiae,V, pr. 4, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 245), pp. 149,70-151,116: «Cuius erroris causa est, quod omnia, quae quisque novit, ex ipsorum tantum vi atque natura cognosci aestimat, quae sciuntur. Quod totum contra est; omne enim, quod cognoscitur, non secundum sui vim, sed secundum cognoscentium potius comprehenditur facultatem. (…) Ipsum quoque hominem aliter sensus, aliter imaginatio, aliter ratio, aliter intellegentia contuetur. Sensus enim figuram in subiecta materia constitutam, imaginatio vero solam sine materia iudicat figuram. Ratio vero hanc quoque transcendit speciemque ipsam, quae singularibus inest, universali consideratione perpendit. Intellegentiae vero celsior oculus exsistit; supergressa namque universitatis ambitum ipsam illam simplicem formam pura mentis acie contuetur. In quo illud maxime considerandum est: nam superior comprehendendi vis amplectitur inferiorem, inferior vero ad superiorem nullo modo consurgit. Neque enim sensus aliquid extra materiam valet vel universales species imaginatio contuetur vel ratio capit simplicem formam, sed intellegentia quasi desuper spectans concepta forma, quae subsunt, etiam cuncta diiudicat, sed eo modo, quo formam ipsam, quae nulli alii nota esse poterat, comprehendit. (…) Videsne igitur, ut in cognoscendo cuncta sua potius facultate quam eorum, quae cognoscuntur, utantur? Neque id iniuria; nam cum omne iudicium iudicantis actus exsistat, necesse est, ut suam quisque operam non ex aliena, sed ex propria potestate perficiat». Cfr. G. D’ONOFRIO,Vera philosophia. Studies in Late
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Boezio precisa poi che ad esseri diversi corrispondono tipi differenti di conoscenza (multiplices cognitiones): gli esseri viventi incapaci di movimento possiedono solo il sensus, gli animali più evoluti sono dotati anche dell’imaginatio, gli uomini sono caratterizzati dalla ratio, mentre l’intellegentia è una prerogativa della natura divina («ratio vero humani tantum generis est sicut intellegentia sola divini»). Boezio, dunque, distingue chiaramente la ratio humana dalla intellegentia divina e sostiene la necessità che la prima si sottometta alla seconda: pur non possedendo la capacità di valutazione della mente divina (divinae mentis iudicium), la ragione umana deve cercare di elevarsi, per quanto è possibile, al vertice della suprema intellegentia, per vedere le cose con la certezza e la precisione proprie del supremo grado di conoscenza riservato all’essere divino11.
2. La lettura di Gilberto Se la prospettiva gnoseologica della Consolatio suscitò profondo interesse nel secolo XII fra i commentatori dell’opera boeziana – si pensi ad esempio al commento di Guglielmo di Conches12 – fu Antique, Early Medieval and Renaissance Christian Thought,Turnhout 2007 (Nutrix, 1), pp. 104-124. 11 Cfr. BOETHIUS, ibid.,V, pr. 5, pp. 152,10-154,54: «Hac itaque ratione multiplices cognitiones diversis ac differentibus cessere substantiis. Sensus enim solus cunctis aliis cognitionibus destitutus immobilibus animantibus cessit, quales sunt conchae maris quaeque alia saxis haerentia nutriuntur; imaginatio vero mobilibus belvis, quibus iam inesse fugiendi appetendive aliquis videtur affectus. Ratio vero humani tantum generis est sicut intellegentia sola divini; quo fit, ut ea notitia ceteris praestet, quae suapte natura non modo proprium, sed ceterarum quoque notitiarum subiecta cognoscit. Quid igitur, si ratiocinationi sensus imaginatioque refragentur nihil esse illud universale dicentes, quod sese intueri ratio putet? (…) Simile est, quod humana ratio divinam intellegentiam futura, nisi ut ipsa cognoscit, non putat intueri. (…) Si igitur, uti rationis participes sumus, ita divinae iudicium mentis habere possemus, sicut imaginationem sensumque rationi cedere oportere iudicavimus, sic divinae sese menti humanam summittere rationem iustissimum censeremus. Quare in illius summae intellegentiae cacumen, si possumus, erigamur; illic enim ratio videbit, quod in se non potest intueri, id autem est, quoniam modo etiam, quae certos exitus non habent, certa tamen videat ac definita praenotio neque id sit opinio, sed summae potius scientiae nullis terminis inclusa simplicitas». 12 Cfr. GUILLELMUS DE CONCHIS, Commentarius in Boethii Philosophiae Consolationem, ed. L. Nauta, Guillelmi de Conchis Glosae super Boetium, Turnhout 1999 (CCCM, 158).
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soprattutto il secondo capitolo del De Trinitate ad accendere una nuova coscienza epistemologica nei maestri dell’epoca. È proprio a Gilberto che spetta il merito di aver saputo recuperare in pieno il senso della tripartizione boeziana delle scienze speculative, con tutte le sue implicazioni teoretiche e metodologiche13. Accogliendo l’invito di Boezio a considerare la soggettività come imprescindibile chiave d’accesso all’analisi dei processi cognitivi, Gilberto distingue l’aspetto soggettivo dell’attività conoscitiva, relativo alle facoltà dell’anima, dall’aspetto oggettivo, che rimanda alla gerarchia dei gradi dell’essere14. Dal punto di vista oggettivo, egli separa la conoscenza di «ciò che è» dalla conoscenza di «ciò che non è»,approfondendo il senso della prima definizione della natura offerta da Boezio nel Contra Eutychen et Nestorium: «natura est earum rerum quae, cum sint, quoquo modo intellectu capi possunt». Le costruzioni fantasiose dell’opinio, indifferente all’essere o al non essere dell’oggetto considerato, non rientrano quindi tra le forme della conoscenza veritativa,i cui concetti fanno riferimento esclusivamente all’ordine reale della natura15. La conoscenza della realtà esistente varia, a sua volta, in relazione alla natura considera13
Sulla dottrina gnoseologica ed epistemologica di Gilberto, cfr. VANNI ROfilosofia di Gilberto Porretano cit. (cap. 4, alla nota 2), pp. 44-49; MAIOLI, Gilberto Porretano cit. (cap. 2, alla nota 71), pp. 15-176; M. HAAS, Die Wissenschaftsklassifikation des Gilbert von Poitiers, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), pp. 279-295; K. JACOBI, Natürliches Sprechen-TheoriespracheTheologische Rede. Die Wissenschaftslehre des Gilbert von Poitiers (ca. 1085-1154), in «Zeitschrift für philosophische Forschung», 49 (1995), pp. 511-528; J. JOLIVET, Le jeu des sciences théorétiques selon Gilbert de Poitiers, in Knowledge and the Sciences in Medieval Philosophy. Proceedings of the Eighth International Congress of Medieval Philosophy (SIEPM), a c. di S. Knuuttila - R.Työrinoja - S. Ebbesen, 3 voll., Helsinki 1990, II, pp. 71-88. 14 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 2, p. 83,40-43: «Non enim tantum sicuti sunt verum etiam aliter quam sint, res aliquae saepe vere concipiuntur. Propter quod etiam ipsa animi speculatio dividitur et vel ex his quae inspicit vel ex modo inspiciendi cognominatur». 15 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 1, pp. 244,58-245,75: «NATURA EST EARUM RERUM i.e. hae res sunt naturae QUAE, CUM SINT, QUOQUO MODO INTELLECTU CAPI POSSUNT. Hac igitur diffinitione quae res sint naturae non tamen eas esse naturas monstratum est. Non enim hoc est eas esse naturas: intellectu scilicet capi posse. Quoniam vero ‘res’ multiplex nomen est, quas hac diffinitione contineri vult intelligi, aperit dicens: IN HAC IGITUR DIFFINITIONE DIFFINIUNTUR ET ACCIDENTIA ET SUBSTANTIAE: non quoniam, sicut dictum est, haec posse intellectu capi sit haec esse naturas sed quoniam haec sunt quae intellectu capi possunt. Unde supponit: HAEC ENIM OMNIA i.e. accidentia et subVIGHI, La
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ta: Gilberto distingue, infatti, la conoscenza dei nativa (le realtà naturali) dalla conoscenza dei genuina (i principi immutabili dell’essere),meno affidabile e adeguata16. Gilberto, che condivide con Boezio la visione organica e unitaria del sapere e la persuasione che le singole discipline si sostengano e si chiariscano a vicenda, distingue le scientiae theoricae o speculativae in scienze logiche o razionali, scienze morali o etiche e scienze fisiche o naturali in senso largo, equivalenti alle scienze speculative propriamente dette indicate con gli stessi nomi usati nel De Trinitate: ossia la naturalis, la mathematica e la theologica: Scientiae multorum sunt generum. Aliae namque sunt theoricae i.e. speculativae: ut illae quibus intuemur an sint et quid sint et qualia sint et cur sint singula creata. Aliae vero sunt practicae i.e. activae: ut illae quibus post inspectionem scimus operari ut medici, magi et huiusmodi alii. Ut autem de practicis taceamus, speculativae ex his quae per ipsas inspicimus contrahunt appellationem. Et vocantur aliae quidem phisicae i.e. naturales, aliae vero ethicae i.e. morales, aliae autem logicae i.e. rationales. Et – ut item morales atque rationales praetereamus – illarum, quae uno nomine ‘naturales’ dicuntur quae etiam usu maiore ‘speculativae’ vocantur, tres partes sunt: una quae universali omnium nomine specialiter dicitur ‘naturalis’, alia quae ‘mathematica’, tertia quae ‘theologica’. Has describit per motum atque separationem et eorum contraria, binas in singularum notionibus differentias ponens17.
stantiae tam subsistentes – in quibus accidentia sunt – quam subsistentiae – quibus adsunt – INTELLECTU CAPI POSSUNT. Deinde cur adiecerit ‘quoquo modo’ et ‘quae cum sint’ explanat dicens: ADDITUM VERO EST ‘QUOQUO MODO’ etc. Sciendum quod animi motus quandoque in id quod est, quandoque vero in id quod non est offendit. Et ita vel quod est vel quod non est concipit. Sed eius, quod non est, quicumque conceptus ‘opinio’ dicitur: ut bicorporis centauri vel tricorporis chimerae conceptus». Cfr. anche ibid., p. 247,41-42: «Et sic quidem illa quae non sunt, opinione; quae vero sunt, imaginatione vel intellectu concipiuntur». 16 Cfr. ibid., pp. 246,17-247,23: «Et nativa quidem eorum quibus aliquid sunt: ficta vero eorum, quibus aliquid esse finguntur, amminiculis concipiuntur. Genuina vero quae sunt nativorum principia – Deus scilicet et primordialis materia – longe aliter. Non enim sunt aliquid huiusmodi subsistentiis vel quantitatibus vel qualitatibus quibus vel nativa vere sunt aliquid vel, quae neque sunt aliquid neque sunt, tamquam aliquid sint finguntur». 17 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 2, pp. 79,43-80,56. 18 Cfr. ibid., p. 67,39-44.
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In base alla diversa natura degli oggetti conosciuti, Gilberto definisce exteriores gli oggetti della fisica, interiores quelli della matematica, intimi, ossia segreti, quelli della teologia18. La fisica, o scienza naturalis, indaga le realtà finite, nativae, prese nella loro concretezza materiale e nella loro mutevolezza. La matematica (speculatio disciplinalis) si basa sul processo astrattivo che permette di cogliere la determinazione formale dell’oggetto, prescindendo dalla materia, dalla concrezione e dal mutamento19. Il grado più alto della conoscenza è costituito dalla scientia theologica, intesa come conoscenza intellettuale dei genuina distinta dalla conoscenza di fede20. Dal punto di vista metodologico, Gilberto sottolinea la peculiarità delle diverse rationes, dei diversi procedimenti scientifici propri di ciascuna disciplina, distinguendo tra le rationes communes a tutto il campo delle scienze e le rationes propriae ad ognuna di esse21. Gilberto approva l’impostazione metodologica boeziana e insiste sulla differenza qualitativa del metodo teologico, dovuta
19 Cfr. J. MARENBON, Gilbert of Poitiers and the Porretans on Mathematics in the Division of the Sciences, in Scientia und Disciplina. Wissenstheorie und Wissenschaftspraxis im 12. Und 13. Jahrhundert, cur. R. Berndt - M. Lutz-Bachmann R. M.W. Stammberger, adiuv.A. Fidora - A. Niederberger, Berlin 2002, pp. 37-57. 20 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., p. 85,97-8: «Tertia vero speculatio quae omnia nativa transcendens in ipso eorum quolibet principio – scilicet vel Opifice, quo auctore sunt, vel idea, a qua tanquam exemplari deducta sunt, vel yle in qua locata sunt – figit intuitum, per excellentiam ‘intellectualis’ vocatur. Quod enim simplex sine motu et semper est, verius percipitur quam – vel rationali opinioni immo opinabili ratione – quae non semper et in motu sunt, sensilia scilicet, percipi possunt, vel disciplinali eorumdem formae inabstractae – ideoque in motu – separatim atque sine motu possunt attendi.Ab ipsius autem rei, quae percipitur, natura THEOLOGICA et a proprietate SINE MOTU ABSTRACTA ATQUE SEPARABILIS cognominatur. Recte utique». 21 Cfr. ibid., Prologus secundus, p. 57,1-11: «Omnium, quae rebus percipiendis suppeditant, rationum aliae communes sunt multorum generum, aliae propriae aliquorum. (…) Hanc autem rationum omnium communitatem vel proprietatem non nescit quisquis rerum diligens inquisitor, non eas transeunter aspexit, sed mentis acie fixa notatas et eiusdem iudicio comprehensas primum apud se servandas memoriae tradidit». Cfr. anche ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 4, p. 294,88-93: «Sed haec omnia non nisi de rebus creatis intelligi volumus. In theologicis enim aliqua quidem similiter, aliqua vero aliter esse sequentia nos docebunt. Non enim omnia neque nulla, quae in naturalibus aut mathematicis intelliguntur, in theologicis accipienda sentimus: ideoque subtilissimae atque exercitatissimae philosophiae esse communes utrisque et proprias singulorum rationes notare».
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alla radicale diversità del proprio oggetto, e sulla necessità di fondare scientificamente il sapere teologico22. La peculiarità del metodo teologico consiste nella capacità di cogliere intuitivamente i principi indimostrabili della realtà mediante l’utilizzo dell’intelletto noetico, che considera il proprio oggetto prescindendo totalmente dal riferimento alla realtà creata. La scienza teologica, pur ponendosi al vertice della sapienza in relazione al suo oggetto, possiede un livello di certezza conoscitiva, ossia di adeguatezza al proprio contenuto, inferiore rispetto a quello raggiungibile dalla meno elevata ma più fedele conoscenza dei nativa. Nel prologo al commento al De hebdomadibus, Gilberto scandisce le tappe del percorso ascensionale verso la sapienza secondo una rationum via che, rispettosa dell’autonomia di tutti i gradi del sapere, li colloca secondo un preciso ordine gerarchico che va dalla conoscenza diffusa delle discipline naturali alla conoscenza delle forme astratte, riservata a una minoranza di individui, fino alla conoscenza elitaria delle rationes teologiche23. 22
Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 2, pp. 86,16-87,45: «Et haec quidem est ex rerum quae percipiuntur diversitate speculationum diversitas. Quamvis IGITUR rerum speculationibus subiectarum aliquae sint rationes communes, plurimas tamen proprias esse necesse est.Ac per hoc IN NATURALIBUS quae sicut sunt percipi debent, scilicet concreta et inabstracta, OPORTEBIT philosophum VERSARI RATIONALITER ut – scilicet posito nomine quo et id quod est et id quo est significatur – ea vi mentis qua concreta reri debet diligenter attendat quid proprie sibi vel quod est vel quo est concretionis consortio exigat et quid ceterarum speculationum locis communicet. IN MATHEMATICIS vero ubi inabstracta aliter quam sint i.e. abstractim attenduntur, oportebit eum versari DISCIPLINALITER ut – scilicet cum ea quae, nisi subsistentibus insint, omnino nichil sunt, separatim ab eis conceperit – sic eorum propria ad disciplinam faciendam attendat ut communes sibi cum ceteris speculationibus rationes ad ipsa minime contrahat. In naturalibus enim dicitur homo ‘species generis’ i.e. animalis aut corporis. In mathematicis vero non generis sed ‘individuorum’ tantum dicitur genus de specie praedicari. Mathematicae vero abstractionis proprietate non genus sed generis genus de ea, quae non generis sed individuorum tantum species est, vere et consequenter praedicari conceditur. IN DIVINIS quoque non modo disciplina verum etiam re ipsa abstracta sunt INTELLECTUALITER versari oportebit id est ex propriis theologicorum rationibus illa concipere et non ex naturaliter concretorum aut disciplinaliter abstractorum proprietatibus iudicare. Quod autem hoc ita velit intelligi, aperit cum subiungit: NEQUE oportebit DIDUCI AD aliqua creata, quae vere existentium sunt IMAGINATIONES, SED POTIUS IPSAM ex suis rationibus INSPICERE singularem ac simplicem FORMAM». 23 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, Prologus, p. 184,23-42: «Alios vero ad ipsam quadam quae vocatur ‘rationum via’ dirigunt. Non tamen ad eam aeque omnes admittunt. Plures enim – communibus et quae omnibus notae sunt rationibus tamquam publica via currentes – ad imaginem
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La conoscenza della realtà esistente non varia solo in base al genere dell’oggetto considerato, ma anche in relazione al modo in cui lo si apprende24. Le varie facoltà conoscitive rappresentano per Gilberto le varie fasi della formazione di un concetto valido: non è possibile, quindi, attribuire a ciascuna facoltà un oggetto specifico. Alla classica distinzione quadripartita della Consolatio egli preferisce quella tripartita esposta dallo stesso Boezio nei suoi trattati e commentari, in cui la ratio non figura come una facoltà distinta e autonoma dall’intellectus25. La sensibilitas è la facoltà dell’anima che percepisce attraverso il corpo26. I sensi incontrano iniziali difficoltà nel percepire i contorni delle cose: man mano progrediscono giungendo ad una più distinta e chiara percezione delle realtà concrete. Una rappresentazione più nitida dell’oggetto si ha tramite l’imaginatio, la cui obiettività percettiva è maggiore rispetto a quella della percezione sensoriale, ma non ancora completamente valida. Questa particolare facoltà intermedia, che ha per oggetto sia i dati sensibili sia le affezioni interne, è definita da Gilberto anche praesaga perpensio o sine assensione perceptio27. eius, quae in naturalium concretionibus quodam modo adumbratur, adducunt. Multos vero his naturalium speculis assuetos ad ea, quae a concretionibus altior disciplina – quae Grece dicitur ‘mathesis’ – abstrahit, vocant ut ibi rerum naturam et proprietatem ac per hoc sapientiae speciem, quae in huiusmodi magis resultat, purius comprehendant. Paucos vero quos intensiore studio vident attentos et mentis acie perspicaciores nec tam laudis proprie levitate subvehi quam veritatis ipsius specie trahi – vere dignos quibus sapientiae dignitas exaratus – in quoddam quasi diversorium extra publicam rationalium viam et theoremata sive axiomata, hoc est speculationes sive dignitates, disciplinalium ducunt ubi quodam quasi sinu secreti sapientiae ipsius quandam prae ceteris dignitatem illis ostendunt. Hanc igitur illi pauci ea vi mentis, que ‘intellectus’ vocatur, diu multumque in omni rerum genere – videlicet et in naturalibus et in mathematicis et maxime in theologicis – intuentes mirantur eius rationes ab aliorum rationibus esse diversas (…)». 24 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 1, p. 245,7677: «Eius vero, quod est, conceptus secundum rei, quae concipitur, genus modosque concipiendi dividitur». 25 Cfr. per es. BOETHIUS, In Aristotelis Periermeneias (vel De interpretatione), editio secunda, I, 1, ed. Meiser cit. (cap. 5, alla nota 14), pp. 28,27-29,2. Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 125. 26 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 1, p. 252,74-78: «In sentiendis vero corporibus – seu visu seu auditu seu gustu seu aliis huiusmodi sensibus – etsi anime sensibilitas ista propria sit, quia tamen his sensibus nonnisi corpora nec nisi corporeis instrumentis possunt sentiri, a corpore dicitur anima habere, quod sentit». 27 Cfr. ibid., p. 246,5-9: «Sed quoniam est eius quod est – cuius tamen verita-
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L’assenso, attraverso cui l’intelletto giudica e valuta con esattezza il valore veritativo della realtà conosciuta, si ha solo grazie ad un integer et perfectus intellectus, che permette al soggetto di focalizzare con precisione la natura formale della cosa e derivarne un concetto esatto: ogni conoscenza che superi l’ambito della sensorialità e dell’imaginatio è apprensione della forma o proprietas della cosa28. In relazione ai diversi modi di adeguazione al reale, le facoltà conoscitive vanno dunque dalla sensibilitas all’imaginatio e dall’intellectus imperfectus dei genuina all’integer et perfectus intellectus dei nativa. L’astrazione mentale opera in modalità e gradi diversi (Gilberto usa infatti vari termini: separatio, divisio, selectio, segregatio, remotio), non solo a livello della matematica, ma anche della fisica e della teologia. Essa segna il passaggio dalla conoscenza confusa e priva di assenso dell’imaginatio alla conoscenza fondata e distinta dell’intellectus, vale a dire alla conoscenza realmente scientifica. L’intellectus, che opera già a livello della fisica (primo stadio del cammino scientifico), nel momento in cui valuta e distingue i dati concreti raccolti dal sensus e dell’imaginatio (per questo, la sua attività si chiama anche ratio da reri, giudicare), svolge un’attività astrattiva più profonda a livello della disciplinalis speculatio, ove l’atto cognitivo si focalizza sulle proprietà formali dell’oggetto, ossia sul suo quo est29.A livello della teologia il processo astrattivo si radicalizza e prende il nome di remotio: tale forma di apprensione consente una pur imperfetta conoscenza di Dio attraverso la negazione di tutto ciò che conviene alle realtà finite30.Tramite quetem nondum tenet assensio – per quandam nominis translationem vocatur ‘imaginatio’. Imago namque res est, non tamen veritas, illius cuius imago est. Ideoque rei perceptio sine veritatis ipsius assensione recte dicitur ‘imaginatio’». 28 Cfr. ibid., p. 246,10-13: «Si vero id, quod intra rerum similitudinem aut multitudinem primo perpendit deinde percepit, ab ipsis similibus aut aliter multis delegerit et fixa mentis acie ipsius proprietate notata perceptioni assenserit, ‘intellectus’ vocatur». 29 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 2, p. 83,44-47: «Cum enim nativa sicut sunt, idest concreta et inabstracta considerat (animi speculatio), ex sua quidem propria potestate, qua humano animo datum est ex sensuum atque imaginationum praeeuntibus amminiculis reri sensilia, ‘ratio’ dicitur». Sulla polisemia del termine ratio, cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit., p. 125. 30 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 1, pp. 248,74-249,88: «DEUS nativorum omnium Opifex ET primordialis MATERIA quae Graecae dicitur yle, Latine silva, in qua ab Opifice universa creata
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sto procedimento, l’intelletto è in grado di separare dalla propria analisi ogni determinazione finita e materiale e concentrarsi sull’assoluta semplicità dei genuina, che sono realmente separati dalla realtà concreta. Dio è intelligibile in relazione alla sua esistenza ma la sua natura resta incomprensibile31. L’interpretazione degli opuscoli boeziani offerta da Gilberto di Poitiers costituì un punto di riferimento sia per coloro che vollero opporle una lettura diversa, sia per quanti ne difesero l’impostazione generale, magari correggendone o chiarificandone alcuni aspetti. Letture del modello epistemologico boeziano alternative a quella di Gilberto furono proposte da Teodorico di Chartres e da Clarembaldo di Arras, che integrarono in modo originale le indicazioni provenienti dalle opere logiche, filosofiche e teologiche di Boezio. Laddove Gilberto perviene a una precisa e rigorosa diversificazione qualitativa delle impostazioni e degli esiti conoscitivi, Teodorico e Clarembaldo presentano una concezione gerarchica della conoscenza, modellata sull’unitarietà platonica del sapere, in cui ogni operazione dell’anima umana ha la funzione di avvicinare l’anima a Dio32. Le scienze non costituiscono, come per Gilberto,approcci conoscitivi qualitativamente diversi,bensì tappe di avvicinamento all’unità del vero, nelle quali opera un’unica intelligentia33. Per Teodorico come per Clarembaldo nell’attività dicunt philosophi NON POSSUNT INTELLIGI INTEGRO PERFECTOQUE hoc est integritate perfecto et perfectione integro INTELLECTU. Integer et perfectus est intellectus qui rem non sola ceterorum remotione sed etiam rei ipsius aliqua proprietate cum assensione concipit. Qualiter Deus et, quae dicta est, primordialis materia non possunt intelligi. Quamvis enim horum conceptionem constituat et figat mentis assensio, non tamen hoc aliquibus eorum sibi notis proprietatibus facit sed sola illorum, quae ceteris rebus conveniunt, remotione. Unde supponit: SED ALIQUO. Quasi: Deus et materia integro perfectoque intellectu intelligi non possunt. SED TAMEN ALIQUO MODO videlicet CETERARUM omnium RERUM i.e. ceteris convenientum PRIVATIONE CAPIUNTUR hoc est cum mentis assensione percipiuntur». Gilberto tuttavia non identifica conoscenza per remotionem e conoscenza di fede, poiché l’oggetto della prima (i principi dell’essere) è più vasto dell’oggetto specifico della seconda (Dio): cfr. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit., p. 224. 31 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., 1, p. 247,37-38: «Nam intelligibilis quidem est: non vero comprehensibilis». 32 Cfr. THEODORICUS CARNOTENSIS, Commentarius super Boethii librum De Trinitate, II, 6-7, ed. N. M. Häring,Toronto 1971, p. 70,63-81. 33 Cfr. ibid., II, 9-14, pp. 71,93-72,51. Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit. (cap. 1, alla nota 98), pp. 333-334.
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conoscitiva dell’uomo non operano tre facoltà autonome, ognuna delle quali è dotata di una propria metodologia, bensì «tre diverse condizioni di un’unica attività del pensiero, che si differenziano in relazione all’articolarsi della realtà conosciuta in successive gradualità ontologiche»34. La stessa intellectibilitas non è una facoltà conoscitiva distinta, bensì un’attività conoscitiva che è posta al vertice della quadriga psicologica della Consolatio, in corrispondenza con quella che nel De Trinitate Boezio definisce intelligentia. L’avverbio intellectualiter, che caratterizza il sapere teologico, non descrive tanto una determinata metodologia da perseguire, quanto piuttosto il superamento, per via negativa, delle tecniche conoscitive inferiori35.
3. Epistemologia e teologia nei Porretani 3.1. Dal sensibile all’intelligibile: il Tractatus «Invisibilia Dei» L’elaborazione di una dottrina epistemologica ‘di scuola’ da parte dei Porretani è un processo lungo e non molto lineare: i vari maestri si concentrano su aspetti diversi del problema e si ricollegano alla dottrina gilbertina in modo assai personale, a volte anche critico. Eppure fin dai primi testimoni può essere riconosciuto un approccio comune, vale a dire uno sforzo, più o meno avanzato, in direzione della definizione, chiarificazione e specificazione degli ambiti del sapere, accompagnato dall’esigenza di collocare la teologia in un contesto scientifico che la vede in un certo senso come prima inter pares. Dal punto di vista storico, è indubbio che questo lavoro teorico si presenti come un progresso, poiché raggiunge i suoi risultati più significativi con l’ultima generazione di Porretani, nelle cui opere l’eredità gilbertina è più distante ma, forse proprio per questo, meglio messa a fuoco. Le teorie epistemologiche di Gilberto dovevano apparire fin troppo avanzate agli occhi dei suoi primi discepoli, dato che uno di questi, l’autore dell’anonimo Tractatus «Invisibilia Dei», pur utilizzando le analisi logico-grammaticali tipiche del maestro e la terminologia tipica dei Porretani, si mostra notevolmente più 34 Ibid., p. 334. Cfr. THEODORICUS CARNOTENSIS, Commentarius super Boethii librum De Trinitate, ed. Häring cit., II, 15-16, pp. 72,52-73,72. 35 Cfr. D’ONOFRIO, ibid., p. 336.
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prudente e tradizionalista per quanto concerne la dottrina gnoseologica. Ciò che è possibile riscontrare già in questo trattato è il ricongiungimento di due tradizioni speculative fondamentali: se l’autorità predominante dell’opera è senza dubbio Boezio, tuttavia il richiamo esplicito alla teologia negativa pseuso-dionisiana fa sì che le distinzioni gilbertine rientrino in una dialettica tra mondo sensibile e mondo intelligibile, che può ritenersi la piattaforma teorica su cui si svilupperanno le successive, più sofisticate, divisioni del sapere. Riprendendo esplicitamente la tripartizione boeziana delle scienze teoretiche e dei rispettivi metodi, l’autore accentua l’aspetto soggettivo dell’atto cognitivo nel momento in cui invita a riconoscere il modus percipiendi di ciascuna delle tre partes speculativae: il metodo della fisica consiste nel percepire la proprietà nel soggetto in cui si trova, il metodo matematico (o disciplinalis) consiste nel percepire tale proprietà astratta dal soggetto, infine il metodo teologico (o intellectualis) permette di accedere alla natura trascendente di Dio36. La Consolatio è il punto di partenza per quanto concerne le facoltà dell’anima: l’anonimo autore del Tractatus, infatti, definisce il mondo un libro scritto dalla sapienza divina affinché l’uomo possa leggerlo con il supporto dei quattro strumenti conoscitivi (vires animae) di cui è dotato: sensus, imaginatio, ratio, intellectus. Il compito dei sensi è percepire la forma dell’oggetto (figuram rei) così come si dà nella sua presenza, mentre l’immaginazione procede a partire dai sensi ma percepisce e trattiene la forma in assenza dell’oggetto: queste due facoltà appartengono non soltanto agli uomini, ma a tutti gli esseri animali. Sono invece peculiari dell’uomo la ragione, che basandosi sui due procedimenti inferiori li supera magna dignitate, in quanto defini36 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 53), p. 137: «(…) Vero de Trinitate docet Boetius qualiter in his partibus speculativis versandum sit ita dicens: ‘In naturalibus rationaliter, in mathematicis disciplinaliter, in divinis vero intellectualiter versari oportet’ philosophum. Ille percipiendi modus est phisicus i.e. naturalis qui proprietatem cum subiecto percipit, albedinem scilicet, cum re in qua est. Ille vero est mathematicus i.e. disciplinalis qui proprietatem sine subiecto attendit, albedinem scilicet sine subiecto in quo est. Ille autem est theologicus i.e. intellectualis qui omnia tam causata quam causas transcendens ad incausatam et causatricem causam, scilicet Deum, ascendit in quo nullum essentiarum numerum, nullam multitudinem accidentium reperit». La citazione è da BOETHIUS, Opuscula theologica, I, De sancta Trinitate, 2, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), p. 169,77-80.
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sce, unisce e separa gli oggetti della conoscenza, e l’intelletto, che esamina e descrive gli oggetti e le loro nature in due modi: attraverso asserzioni semplici o comparative37. L’intelletto percepisce non solo le cose naturali ma anche le realtà invisibili.Tale percezione inizia dalla ragione umana e consente di risalire, ad esempio, dalla percezione del movimento dei corpi alla conoscenza del creatore, origine del movimento38. Diversamente da quanto si osserva nella descrizione boeziana, non sembra esserci, per questo anonimo porretano, soluzione di continuità tra l’attività della ratio e quella dell’intellectus. Il leitmotiv dell’opera consiste nel principio epistemologico fondamentale dell’agostinismo altomedievale, di matrice paolina, in base al quale le cose elevate sono conosciute a partire dalle cose più basse,le cose ignote per mezzo delle cose conosciute, gli intelligibili sulla base delle cose sensibili («prima igitur per secunda, ignota per nota, intelligibilia per sensibilia capiuntur»39). La conoscenza del sensibile permette di accedere alla conoscenza delle forme e, attraverso questa, alla comprensione della causa prima, che ha creato il mondo intessendolo con la scrittura extrinseca delle cose visibili e quella intrinseca delle cose invisibili40. La ragione per la quale la causa prima è compresa a partire dai 37 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», pp. 116-117: «Quia ergo in hoc libro i.e. in hoc visibili mundo sapientia plura proposuit homini legenda, plura legendi contulit ei instrumenta. Ei namque dedit has quatuor vires: sensum ymaginationem rationem intellectum. (…) Sensus itaque est vis quaedam animae quae videt audit olfacit gustat tangit. Huius est officium percipere figuram rei in subiecta i.e. in praesenti materia i.e. rem percipere praesentem. (…) Imaginatio est quaedam vis animae quae percipit figuram rei absentis et habet initium a sensu. (…) Has igitur duas vires, sensum scilicet et imaginationem, communes cum bestiis habemus. (…) Tertia potentia animae est ratio quae duas praemissas magna dignitate excedit quae de rebus quas percipit tripliciter iudicat: diffiniendo colligendo dividendo. (…) Habet vero principium haec virtus a sensu et imaginatione. (…) Quarta vis animae est intellectus qui rursus se extendens circa res rerumque naturas duobus modis versatur: simpliciter et collative. (…) Collative quatuor modis: duobus circa res et duobus circa rerum naturas». 38 Cfr. ibid., pp. 117-118: «Non tantum vero haec vis intellectus naturalia percipit sed etiam invisibilia. Habetque principium a ratione. Dum enim considerat homo illa corpora moveri quae ex se non habent moveri, quia naturaliter gravia sunt, aliud esse quod movetur et aliud quo movetur evidenter agnoscit. Et ita ratione ducente pervenit ad notitiam invisibilium et ita ad cognitionem creatoris». 39 Ibid., p. 118. 40 Cfr. ibidem: «Per res enim visibiles venitur ad visibiles formas et per visibiles formas ad intelligibiles causas. Prima igitur omnium causarum causa, causa
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suoi effetti è la stessa per la quale l’imaginatio, la ratio e l’intellectus dipendono dal sensus, che è la base per giungere all’intelligenza delle realtà invisibili41. L’autore istituisce, dunque, un preciso parallelismo tra la gerarchia dell’essere (composta dalle cose sensibili, dalle forme visibili e dalle cause intelligibili) e la gradazione delle potenze dell’anima, e sottolinea l’importanza della conoscenza della realtà fisica come prima chiave d’accesso all’ordine della realtà superiore: Primo enim res percipitur sensu, deinde imaginatione, deinde ratione, deinde intellectu. Si itaque talia nobis proponentur quae sensu non perciperentur, ad invisibilium intelligentiam animus noster non duceretur. Deus autem non est res talis quae possit percipi sensu. Unde nonnisi mediante corporali imagine potest ad nostram cognitionem venire. Dum itaque nobis nostra proponit, facilius sua nobis ostendit42.
In ogni caso, né il senso né l’intelletto possono cogliere l’assoluta semplicità di Dio43. 3.2. La conoscenza del vero nel Commento ai Nomi Divini di Guglielmo da Lucca La tradizione boeziana e la tradizione pseudo-dionisiana confluiscono anche nel Commento ai Nomi Divini di Guglielmo da Lucca. Come l’autore del Tractatus «Invisibilia Dei», anche Guglielmo non cita mai esplicitamente Gilberto e ne corregge il quadro epistemologico, offrendo una personale elaborazione delle tesi di causalissima ceterarum genitrix causarum, Deus videlicet, sicut dictum est, librum quendam i.e. hunc sensibilem mundum composuit in quo duplicem scripturam contexuit: scripturam extrinsecam et intrinsecam. ‘Erat’ namque ‘liber scriptus intus et foris’ (Ez 2, 9). Scriptura extrinseca est in visibilibus, intrinseca in invisibilibus ut per visibilia veniretur ad invisibilia». 41 Cfr. ibid., p. 120: «Prima igitur causa intelligitur per sua posteriora i.e. per sua opera. Quod evidens demonstrat ratio. Humana namque anima quatuor in se habet vires i.e. sensum imaginationem rationem intellectum quibus viribus percipit quicquid ad cognitionem venit. Harum autem quatuor virium tres posteriores percipiendi occasionem sumunt a prima». 42 Ibidem. 43 Cfr. ibid., pp. 142-143: «Evidens declarat ratio quod Deus nec sensum nec intellectum in se admittit. (…) Igitur nec sensu nec intellectu potest comprehendi Deus. Eius namque simplicitatis cuius est Deus nulla creatura est».
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Boezio, la cui tripartizione delle scienze speculative è da lui ricondotta ad una bipartizione mediante la confluenza della filosofia naturale e della matematica nella logica, scienza della forma creata che si oppone alla teologia, scienza della forma increata. Guglielmo non considera, dunque, rilevante la differenza metodologica tra la fisica e la matematica in quanto entrambe le disciplinae (o facultates) fanno riferimento al medesimo tipo di realtà. La teologia considera la forma senza materia e senza moto, mentre la logica considera la materia con la forma e perciò in moto44. Guglielmo delinea i contorni dei due tipi di filosofi che egli crede di poter ricavare dalla lettura comparata dei testi boeziani: il teologico e il logico. Il primo ha per oggetto l’intellettibile, il secondo l’intelligibile45. I due filosofi, pur frequentando luoghi speculativi diversi, il teologo la forma increata, il logico quella creata, si basano uno strumento (artificium) comune, che è la filosofia, intesa come la via d’accesso alla verità delle cose vere e immutabili. Diverso è lo scopo dei due ‘artefici’, poiché il teologo mira alla comprensione contemplativa della natura divina, ossia la forma pura, mentre il logico deve prima astrarre con la ragione la forma dalla materia e poi considerarla in se stessa: Uterque igitur opifex, et theologicus et logicus, loci speculativi habent alitatem et alibi, ille in forma increata, iste in forma creata, sed in artificio non multum dissident. Eorum nempe artificium secundum philosophiae diffinitionem com44
Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam, ed. Gastaldelli cit. (cap. 1, alla nota 86), pp. 207-208: «Hic sciendum est quod alia atque alia est philosophia, ideoque aliter atque aliter, et alibi atque alibi philosophum versari oportere. Unde cum philosophia sit amor sapientiae, alii hunc amorem habent verum et tranquillum, persuabilibem atque modestum, ut hi qui veram sectantur philosophiam, et dicuntur theologici; considerant enim formam, quae Deus est, sine materia ac per hoc sine motu. Et quia non habent motum nisi in aeternum et unicum principium, silentiosum amorem possident, qui est cultus iustitiae. Amant enim iustitiam, quae est constans et perpetua voluntas Dei, sine tumultu. Talis igitur philosophia, quae est logicorum. Haec igitur, licet sit vera et comprehensio veritatis earum rerum quae verae sunt, quia tamen considerat materiam cum forma, quae forma semper est in motu, quia numquam otiosa est in suo subiecto, tranquilla non est sed clamosa. Clamat enim materia, ut a sua forma formetur; respondet forma, ut a sua materia non deseratur, ne deformetur». 45 Cfr. ibid., p. 208: «Philosophus itaque theologus est alibi, id est alterius est speculationis, quia formae divinae, quae speculatio dicitur intellectibilis; et logicus est alibi, id est alterius speculationis, quia formae in materi‹a› coniunctae, quae speculatio dicitur intelligibilis».
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muniter currit. Quod sane artificium est comprehensio veritatis earum rerum quae verae sunt, quaeque sui inmutabilem substantiam sortiuntur.Attamen hi duo opifices in fine omnino dispares sunt. Theologus enim intendit divinam naturam, quae Deus est, et contemplatione comprehendere et comprehensione contemplari, id est semper abstractam formam contemplatu abstrahere et contemplari abstrahendo; logicus vero formam materiae inabstractam abstractam comprehendere et comprehensibilitate abstrahere46.
Guglielmo oppone alla scienza del vero del filosofo (teologo e logico) la scienza del non-esistente del «sofista», accusato di avere come oggetto non la verità ma l’opinione, e di non possedere un proprio metodo scientifico47. Per quanto riguarda le facoltà dell’anima, Guglielmo segue fedelmente la classificazione della Consolatio apportando lievi correzioni. L’anima opera attraverso varie virtutes: conosce i corpi per mezzo della sensibilità, ricorda grazie alla facoltà immaginativa, astrae le forme dalle sostanze corporee per opera della ragione, la facoltà peculiare della logica, si volge infine alla contemplazione delle idee eterne e della natura divina grazie all’intelletto48. L’oggetto della teologia, scienza speculativa per eccellenza, richiede, dunque, uno sforzo intellettuale che proceda oltre il pensiero razionale (post speculationem). In un altro passo, Guglielmo, dopo aver precisato che le quattro facoltà dell’anima non ne intaccano la fondamentale semplicità, pare duplicare la facoltà razionale in due 46
Ibidem. Cfr. ibidem: «Tertius autem opifex, qui ex his duobus suum artificium aucupatur, sophista est. Qui semper incertis vagabundus sedibus agmineque verborum inundans, resistentiae deceptivi sermonis ingaudet. Est enim copiosus ab apparente sapientia et non existente. Idcirco longe alibi a prioribus opificibus suam sedem, si quam tamen habet, constituit. Cum enim theologus domicilium habeat in eo quod est intellectibile, logicus vero de intelligibili disserat, et sit uterque veritate subnixus, sophista longe alibi, id est posuit suam stationem in opinabili solo, ut in solo et puro et nudo intellectu vocitabili garritu philosophiam nescibili scientia concitet». Il termine «sofista» è qui probabilmente usato non come riferimento storico-filosofico, ma come riferimento biblico (Sir 37, 23: «qui sophistice loquitur odibilis est»). 48 Cfr. ibid., p. 8: «Nam cum anima multas habeat virtutes quibus operatur, ut sensibilitatem in corporibus, imaginativam vel phantasticam in memorialibus, super has nobiliorem habet rationalem sive logicam in contemplationibus, et nobilissimam quam post speculationem exercet intellectibilem in intellectibilibus, quam supernis divinisque substantiis accomodat». 47
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potenze distinte, una atta a comprendere le nature create, l’altra atta a contemplare le sostanze spirituali, fermo restando il primato della vis intellectualis che permette di accedere alla forma divina49. 3.3. Potenze dell’anima e sapere teologico in Alano di Lilla L’elaborazione teorica più matura nata in ambiente porretano intorno alle questioni gnoseologiche ed epistemologiche la si deve ad Alano di Lilla, il quale in più occasioni mostra di saper comporre in un quadro unitario ancorché articolato le tesi boeziane riprese da Gilberto e gli stimoli provenienti dalle nuove scuole. Nella descrizione delle potenze dell’anima, Alano alterna il modello quadripartito boeziano con quello più ampio (sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia) contenuto nell’opuscolo pseudoagostiniano De spiritu et anima – un’opera compilativa della fine del secolo, attribuita ad Alchero di Clairvaux, che ebbe un’ampia diffusione tra i maestri del tempo –, come testimoniano due voci delle Distinctiones (ratio e intellectus) e un passo del De fide catholica50. L’attività razionale, scrive Alano nelle Regulae caelestis iuris, è ciò per cui l’uomo diventa uomo. Nella sua condizione naturale (thesis), l’uomo si serve della ratio intesa come capacità etica di di49
Cfr. ibid., p. 13: «Anima enim simplex est, quia caret partibus, nisi forte dicatur figurate partes habere, id est habere vires sive potentias. Habet enim vires operandi sive potentias, sensibilitatem vel animalitatem in corporibus, imaginationem in formarum seu figurarum recordationibus vel presentationibus, rationalem vim sive logicam in coniunctionibus nativorum et naturarum ‹et in coniunctionibus complexionum et argumentorum›; et si ad superiora recursitet, habet rationalem vim in speculationibus spiritualibus; habet etiam vim intellectualem cum supernis divinisque substantiis in intellectibus». Cfr. anche p. 23: «Extendit enim Dominus intelligibilem et fidelem animum de visibilibus ad invisibilia, et quasi aliquid plicatum et in rugas contractum a sensibilibus ad scientiam mentis, ab hac ad rationem, de ratione ad intellectum, de hoc ad contemplationem devolvit. Indeque super angelos omnemque creaturam extendens, ad ipsum, quantum fas est, eternum trahit invisendum contemplandumque principium». 50 Cfr. De spiritu et anima, 11, PL 40, [779D-832A], 787AB: «Ratio est ea vis animae, quae rerum corporearum naturas, formas, differentias, propria et accidentia percipit. (…) Intellectus ea vis animae est, quae invisibilia percipit, sicut angelos, daemones, animae et omnem spiritum creatum. Intelligentia ea vis est, quae immediate supponitur Deo: cernit siquidem ipsum summum verum et vere incommutabilem. Sic igitur anima sensu percipit corpora, imaginatione corporum similitudines, ratione corporum naturas, intellectu spiritum creatum, intelligentia spiritum increatum.Et quidquid sensus percipit,imaginatio repraesentat,cogitatio format, ingenium investigat, ratio judicat, memoria servat, intellectus separat, in-
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scernere il bene dal male51 e come capacità conoscitiva di comprendere le proprietà formali degli oggetti considerati52.Tuttavia l’uomo ha la capacità di uscire dallo stato razionale (extasis), dirigendosi verso il basso cedendo ai vizi (extasis inferior: hyphotesis) oppure verso l’alto contemplando le realtà celesti (extasis superior: apotheosis): Sed aliquando excedit homo istum statum vel descendendo in vitia vel ascendendo in caelestium contemplationem. Et talis excessus dicitur extasis sive metamorphosis quia per huiusmodi excessum excedit statum propriae mentis vel formam. Excessus autem superior dicitur apotheosis quasi deificatio quod fit quando homo ad divinorum contemplationem rapitur. Et hoc fit mediante illa potentia animae quae dicitur intellectualitas qua comprehendimus divina. Secundum quam potentiam homo fit homo-deus sicut mediante illa potentia animae, quae dicitur intellectus, comprehendit invisibilia per quam comprehensionem homo fit homo-spiritus sicut per speculationem rationis homo fit homo-homo. Inferior vero extasis est quae et ypothesis, quando homo a statu humanae naturae demittitur degenerando in vitia. Et hoc fit per sensualitatem per quam homo fit homo-pecus53.
La degenerazione è imputabile alla sensualitas, per la quale l’uomo diventa bestia. L’ascensione è invece resa possibile dalle capacità delle due facoltà superiori alla ratio: l’intellectus e l’intellectualitas (a volte intelligentia). Attraverso l’intellectus l’anima conosce le realtà invisibili e l’uomo diventa spirito54. Grazie all’intellectualitas, inve-
telligentia comprehendit, et ad meditationem sive contemplationem adducit». Cfr. ALANUS AB INSULIS, De fide catholica, 1, 28, PL 210, [305A-430A], 330C: «Praeterea, ad spiritum incorporeum propter subtilitatem et perspicacitatem pertinent quinque potentiae ut, sensus, imaginatio, ratio, intellectus et intelligentia. In spiritu vero bruti non habent locum nisi duae potentiae, quae circa corporalia versantur». 51 Cfr. ID., Regulae caelestis iuris, IC, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 57), p. 204: «Nota quod aliud est thesis humanae naturae, aliud apotheosis, aliud ypothesis.Thesis dicitur proprius status hominis quem servare dicitur quando ratione utitur ad considerandum quid bonum, quid malum, quid agendum, quid cavendum». 52 Cfr. ID., Liber in distinctionibus theologicalium, PL 210, [685A-1012D], 922A: «Ratio est potentia animae, quae anima comprehendit inhaerentia proprietatis in subiecto, secundum quam considerat, quid res, quanta res, qualis res». 53 ID., Regulae caelestis iuris, IC, pp. 204-205. 54 Cfr. ID., Liber in distinctionibus dictionum theologicalium, PL 210, 819C: «Intellectus potentia animae qua comprehendit invisibilia».
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ce, l’uomo si eleva alla visione della divinità fino a diventare dio55. La distinzione tra l’intellectus, assimilato alla ragione, e l’intelligentia è presente anche nel De virtutibus: l’intellectus è l’occhio della ragione ed è un dono naturale, mentre l’intelligentia, dono dello Spirito Santo, è l’occhio della mente intellettuale attraverso il quale l’uomo conosce le realtà divine e le forme eterne56. Nella Summa «Quoniam homines», in cui anche l’extasis inferior è distinta in due specie (la sensualità e l’ostinazione alla malizia)57, Alano incastona la distinzione delle potenze dell’anima all’interno della divisione del sapere teologico, componendo un quadro epistemologico complesso che riflette la pretesa, di stampo eriugeniano, di abbracciare tutta la trama del reale. La ratio è la facoltà peculiare della philosophia naturalis, che ha per oggetto le realtà 55 Sul tema della deificatio in Alano, cfr. EVANS, Alan of Lille and the threshold of theology cit. (cap. 3, alla nota 59). 56 Cfr. ALANUS AB INSULIS, De virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti, 3, 1, ed. Lottin cit. (cap. 3, alla nota 58), p. 86: «Sextum [donum] est spiritus intelligentiae. Est autem differentia inter intelligentiam et intellectum. Intelligentia est donum Spiritus sancti quod dicitur spiritus intelligentiae; intellectus vero sive ratio donum est naturale. Illud tamen donum Spiritus sancti appellavit Isaias intellectum dicens: spiritus sapientiae et intellectus, quia intelligentia est intellectualis mentis oculus: propter hunc oculum qui dicitur ratio vel intellectus dicitur homo ad imaginem Dei conditus. Iste oculus in homine per peccatum obnubilatur et quibusdam ignorantiae nebulis obfuscatur, sed spiritus intelligentiae astringit huiusmodi limpitudinem reformando Dei imaginem in homine. Itaque intelligentia est cognitio divinorum ad contemplationem, aeternorum, oculum illuminans rationis». 57 Cfr. ID., Summa «Quoniam homines», 2, ed. Glorieux cit. (cap. 1, alla nota 45), p. 121: «Animae enim variae sunt potentiae; una quae dicitur thesis, scilicet ratio, secundum quam potentiam homo in suo statu consideratur, nec suum statum egreditur quia ea humana et terrena considerat; alia est quae extasis nuncupatur, cuius speculatione homo extra se constituitur. Extaseos autem duae sunt species: una inferior qua homo infra se est, alia superior qua rapitur supra se. Sed superioris duae sunt species: una quae dicitur intellectus, qua homo considerat spiritualia, id est angelos et animas; secundum quam homo fit spiritus, et ita supra se fit. Alia est quae intelligentia dicitur, qua homo trinitatem intuetur; secundum quam homo fit homo deus, quia per hanc speculationem quodammodo deificatur. Unde et illa speculatio apotheosis, quasi divina censetur. (…) Inferioris vero extaseos duae sunt species: una quae dicitur sensualitas, secundum quam per luxuriam, gulositatem et cetera carnalia vitia homo degenerat in adulterinos mores; et haec dicitur metamorfosis, quasi transmutatio, a ‘meta’ quod est ‘trans’ et ‘morfos’ quod est mutatio; secundum quam philosophi dixerunt quosdam mutatos in lupos et porcos, alios in leones. (…) Alia species extaseos dicitur obstinatio in malitiam, quae maxime fit per contemptum et superbiam; per praedicta homo fit pecus, quia bestialibus indulget; per reliqua fit homo diabolus; in hoc enim homo maxime imitatur diabolum quia se reddit in malitia obstinatum».
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terrene58. La distinzione tra theologia subcaelestis o ypothetica e theologia supercaelestis o apothetica è chiaramente derivata dalla distinzione tra intellectus e intelligentia59. La distinzione tra i due tipi di teologia è riproposta e commentata nelle pagine iniziali dell’Expositio prosae de angelis: la theologia subcaelestis studia le realtà spirituali (gli angeli e l’anima), mentre la theologia supercaelestis è la contemplazione dell’unitrinità divina60. Per quanto riguarda, infine, la distinzione dell’extasis inferior, dalla sensualitas deriva l’amore per le cose terrene, chiamata da Alano philogea, mentre dall’obstinatio in malitiam deriva la vanità (philolobia)61. In un’opera pastorale (nella forma più che nel contenuto) quale il Sermo in die Epiphaniae, Alano pone in relazione le tre facoltà (ratio, intellectus, intelligentia) con la mirra, l’incenso e l’oro, i tre doni provenienti dall’Oriente che simboleggiano le chiavi d’accesso rispettivamente alla conoscenza della storia mutevole, all’intuizione delle forme, alla contemplazione della realtà divina62. Nel De virtutibus, 58 Cfr. ibidem: «Ex thesi vero nascitur naturalis philosophia quae circa terrena vertitur». 59 Cfr. ibidem: «Theologia in duas distinguitur species: supercaelestem et subcaelestem, sive apotheticam et ypotheticam, ut testatur Johannes Scotus super Hierarchiam. Istae autem duae species originem habent ex duabus potentiis animae. (…) Ex intellectu, subcaelestis sive ypothetica theologia, quae circa spirituales creaturas intenditur; unde ypothetica, ab ‘ypo’ quod est ‘sub’, et ‘thesis’ quod est positio, nuncupatur; quia de his quae divinae auctoritati subposita sunt, in ea agitur. Ex intelligentia vero, supercaelestis sive apothetica oritur qua divina considerantur; unde supercaelestis sive apothetica, quasi super posita appellatur». Cfr. VASOLI, La teologia apothetica di Alano di Lilla cit. (cap. 3, alla nota 79); D’ONOFRIO, Alano di Lilla e la teologia cit. (cap. 3, alla nota 104). 60 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Expositio prosae de angelis, ed. d’Alverny in EAD., Alain de Lille.Textes inédits cit. (cap. 2, alla nota 69), p. 195: «Apothetica est illa species theologiae quae de unitate Trinitatis et trinitate Unitatis speculationem pollicetur. Unde et apothetica quasi superpositiva dicitur, quia in ea de supercaelestibus agitur. Ypothetica vero dicitur illa theologiae species quae caelestium spirituum vel civium spondet doctrinam. Unde et ypothetica quasi subpositiva dicitur, quia creati spiritus speculationem prosequitur». 61 Cfr. ID., Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit., pp. 121-122: «Ex hac [sensualitas] surgit scientia quae dicitur philogea, quasi amatrix terrenorum, a ‘philos’ quod est amor, et ‘ge’ quod est terra, qua utuntur homines carnales indulgentes terrenorum amori. (…) Et ex hac [obstinatio in malitiam] surgit philolobia, quae est amor propriae excellentiae; et dicitur a ‘philos’ quod est amor, et ‘lobos’ quod est iactantia». 62 Cfr. ID., Sermo in die Epiphaniae, ed. d’Alverny in EAD., Alain de Lille. Textes inédits cit., pp. 242-243: «Tres isti reges tria munera offerentes significant tres animae potentiales vires, quae eleganter dicuntur reges, quia animam regunt, et ad viam regalem dirigunt. Haec sunt ratio, intellectus et intelligentia; haec ab Oriente
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opera di teologia morale più che di teologia speculativa, Alano presenta una distinzione più ampia della teologia, divisa in theologia rationalis e theologia moralis: la prima annuncia la scienza celeste, la seconda considera i comportamenti umani63. In un altro sermone, infine, il celebre Sermo de sphaera intelligibili, Alano àncora la sua riflessione sulla gerarchia delle facoltà dell’anima alla rappresentazione cosmica del reale. Alle quattro sfere dell’essere (sensibilis, imaginabilis, rationalis, intelligibilis) collega dapprima i quattro gradi di realtà (mundus sensibilis, primordialis materia, mundana anima, divinae essentiae immensitas), poi i quattro gradi della conoscenza umana, ciascuno modellato sul proprio oggetto di analisi. Il sensus indaga le rappresentazioni del mondo sensibile, la fantasia imaginationis trattiene le immagini della materia informe, la ratio ha per oggetto i concetti e l’anima del mondo, mentre l’intellectualitas contempla le idee e l’immensità dell’essenza divina. La dimensione cosmico-ontologica è, dunque, strettamente legata a quella gnoseologica e si organizza nella medesima struttura quadripartita. Le facoltà attraverso le quali si acquisisce una graduale conoscenza delle sfere dell’essere, sono le quattro ruote della quadriga dell’anima: salendo su di essa, l’auriga-filosofo procede, guidato dalla ricerca della verità, verso la coperegrinant,quia a caelesti Oriente,id est a Deo,in animae dotes transmigrant.Per myrram quae cadaveribus mortuorum apponitur, historia figuratur, quia ipsa circa res caducas et transitorias vertitur;et sicut myrram in se nullam habet dulcedinem, sic historia animae nullam offert delectationem; hanc offert ratio, quia circa historalia eius versatur consideratio. Per thus quod myrram parit fragrantiam figuratur tropologia vel moralitas, quae circa mores et hominum informationes vertitur, haec mirabilem animae offert suavitatem odorem; hanc offert intellectus, quia circa formas eius versatur intuitus. Per aurum significatur anagoge, id est caelestium consideratio, quia, sicut aurum inter metalla praerogativam retinet. Unde anagoge quasi sursum ductiva. Hanc offert superior animae potentia, id est intelligentia, quae sola contemplatur divina». 63 Cfr. ID., De virtutibus, Prologus, ed. Lottin cit., pp. 45-46: «Theologiae duae sunt species: una rationalis quae caelestium scientiam pollicetur; alia moralis quae circa mores sive informationes hominum vertitur. Theologia autem rationalis duo habet praedicamenta; praedicamentum in quid et praedicamentum ad aliquid. Omnes autem termini qui de Deo praedicant divinam usiam pertinent ad praedicamentum theologicum substantiae; omnes illi termini qui de Deo praedicant relationem ad theologicum praedicamentum relationis. (…) A simili moralis theologus duo habet praedicamenta: praedicamentum virtutis et praedicamentum vitii. Longe tamen diversa speculatione speculatur ista et illa; haec ad usum, illa vero ad fugam. Omnis enim scientiae integritas in duobus consistit; in eis quae impediant et eis quae expediunt proposito».
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noscenza delle cose eterne64. Oppure, secondo un’altra immagine suggestiva, sono i quattro gradini della scala della conoscenza attraverso cui l’anima si innalza dal mondo sensibile alla stanza più interna delle idee eterne65. Mentre nella Summa e nelle Regulae,Alano accentua il carattere soggettivo dell’atto cognitivo e mostra come le facoltà conoscitive, derivanti dai diversi stati dell’animo, diano vita a un’articolata divisione del sapere e presiedano all’attività estatico-contemplati64
L’immagine della quadriga è ripresa anche nel De planctu naturae. Cfr. ID., Sermo de sphaera intelligibili, ed. d’Alverny in EAD., Alain de Lille. Textes inédits cit., pp. 297, 299-303: «Deus est sphaera intelligibilis cuius centrum ubique, circumferentia nusquam. (…) Sed notandum quod sphaerarum alia sensilis, alia imaginabilis, alia rationalis, alia intelligibilis. (…) Mundus iste sensilis, quia circulari motu circumducitur, et sensus indagini obnoxius esse tenetur, recte sphaera sensilis nuncupatur. Primordialis vero materia, quae orbiculari formarum reciprocatione circumfertur, et imaginationis fantasia concipitur, merito sphaera imaginabilis esse censetur. Mundana vero anima, quae indefessa rationis orbiculatione volvitur, et eiusdem investigatione comprehenditur, iure sphaera rationabilis perhibetur. Divinae vero essentiae immensitas, cuius numine rerum universitas movetur, quae etiam excellentiori intellectualitatis indagine consideratur, consequenter sphaera intelligibilis esse dicitur. Harum sphaerarum prima est formalis, secunda deformis, tertia conformis, quarta informis; prima mobilis, secunda immobilis, tertia instabilis, quarta stabilis. In his autem sphaeris quasi in quibusdam palatiis variae rerum species suas collocant mansiones. In prima habitant ychones, in secunda ychonie, in tertia ychonae, in quarta ydeae. (…) Quatuor vero potentiae animae ancillantur, quibus quasi quibusdam gradibus ad predictarum sphaerarum contubernia patet accessus, scilicet sensus, imaginatio, ratio, intellectualitas. Hae sunt quatuor rotae, ex quibus quadriga humanae animae fabricatur, qua ascendens nobilis auriga philosophus recte aurigationis ductu ad aeterna deducitur. Harum rotarum duae sunt antecedariae: sensus, imaginatio, quae circa caducorum inferiora umbratiliter volitant, nec ad solium aeternorum aspirant. Per sensum vero, quasi primum huius scalae gradum anima humana mundum ingreditur, in quo, quasi in quodam libro, sensus, inquisitione subiectorum, lituras, id est corruptibilium maculas, quasi quasdam litteras speculatur, et haec est prima scala in qua humana anima exercitatur. Per imaginationem vero, quasi per secundum huius scalae gradum, humana anima in habitaculum primordialis materiae defertur, ubi formas quasi de damno suae informitatis lacrimantes, subsidia subiecti melioris postulantes, imaginabiliter intuetur. Ibi videt deformari formarum conformitatem, denobilitari earum nobilitatem. Per rationem vero quasi per tertium huius scalae gradum, anima humana ad mundanae animae regiam ascendit, ubi vivificum fomitem, indefessum fontem, perpetuum solem, id est mundanam animam aspicit, quae mundanae machinae tenebras luce suae vegetationis illuminat, et quasi quodam oculo interiori clarificat. Per intellectualitatem quasi per quartum huius scalae gradum ad penitiorem ydearum thalamum humana anima aurigatur, ubi aeterna rerum exemplaria in suae aeternitatis flore virentia contemplatur. His quatuor praetaxatis potentiis humana anima regitur, et nisi per istarum viarum orbitam ab orbita veritatis exorbitaverit, ad superna dirigitur. Per sensum et ymaginationem fit anima homo; per rationem fit anima humana spi65
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va dell’individuo, nel Sermo de sphaera intelligibili egli costruisce le relazioni che legano la scala conoscitiva dell’uomo-microcosmo alla gerarchia ontologica dell’ordine cosmico. Le riflessioni di Alano sul tema della conoscenza si muovono, dunque, su più livelli e rappresentano bene il modo in cui lo schema epistemologico boeziano fu accolto e rielaborato all’interno dell’ambiente porretano, ove le suggestioni apofatiche pseudo-dionisiane si innestarono sulle analisi logico-grammaticali di Gilberto. 3.4.Verità e conoscenza nel Dialogus Ratii et Everardi Anche il Dialogus Ratii et Everardi testimonia lo sforzo condotto dai Porretani volto all’elaborazione di un’epistemologia coerente con i diversi livelli della conoscenza umana: Ratius cita esplicitamente la tripartizione boeziana delle scienze speculative, letta in chiave gilbertina66. Da Boezio l’anonimo autore ricava anche l’importante impostazione metodologica che prevede l’applicazione di diversae rationes in relazione alle varie facoltà67. L’autore del Dialogus specifica quattro tipi di verità, uno per ciascuno dei quattro campi del sapere: etica, logica, matematica e teologica68. ritus; per intellectualitatem fit anima humana Deus. Per sensum et imaginationem est circa se; per rationem apud se; per intellectualitatem supra se. Per sensum et imaginationem indulget anima virtutibus politicis, per rationem physicis, per intellectualitatem exemplaribus sive noeticis». 66 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit., p. 255: «Cum sint tres species speculativae: naturalis, matematica et theologica – Naturalis in motu inabstracta: nostra enim corpora sicut omnia alia creata moventur sex speciebus motuum, scilicet generatione, corruptione, augmento, diminutione, alteratione, secundum locum mutatione. Sed a corpore abstrahi non possunt formae. Mathematica sine motu inabstracta. Haec enim formas speculatur sine materia ac per hoc sine motu. Quae quia immutabilem sui sortiuntur existentiam, mathematicae consideratae, vocantur ‘essentiae’. Quae formae, cum in materia sint, ab ea separari non possunt.Theologica est sine motu abstracta atque separabilis». L’intero brano è attinto, con qualche lieve modifica, a BOETHIUS, Opuscula theologica, I, De sancta trinitate, 2, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), pp. 166,68-167,78. 67 Cfr. ibid., p. 258: «Unde Boethius, volens construere singularitatem divinae essentiae et pluralitatem personarum, id ostendit diversis diversarum facultatum rationibus: theologicis divinitatis simplicitatem, naturalibus numerabilem personarum diversitatem». 68 Cfr. ibid., p. 286: «Est igitur veritas alia ethica, alia logica, alia mathematica, alia theologica. Ethica qua homo dicitur verax veritate virtutis; logica qua quis verus homo dicitur veritate naturae; mathematica qua dicitur compositio formae ad subjectum vera vel scientia vera; theologica qua Deus dicitur verus».
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In un discorso che programmaticamente parte da considerazioni di stampo linguistico per approdare a questioni squisitamente teologiche, risulta particolarmente funzionale il passaggio relativo alle due facoltà conoscitive più elevate, la ratio e l’intellectus, peculiare della teologia69. La varietà di teorie intorno ai problemi legati alla conoscenza, riscontrata all’interno della scuola, pur non lasciandosi ridurre ad un’unica categoria interpretativa, testimonia lo sforzo comune da parte degli allievi di Gilberto di approfondire le teorie del maestro, attualizzando la tradizione boeziana e arricchendola di riflessioni diverse: le antiche suggestioni pseudo-dionisiane e i ‘nuovi’ stimoli aristotelici70.
69
Cfr. ibid., p. 283: «Item, subtiliter disquiratur verbum Boethii contra haereticos, Nestorium scilicet et Eutychen, disputantis.Ait enim, sicut praemissum est, in theologicis intellectualiter versari oportebit. Actionis duae sunt species, ratio et intellectus, ut idem nomen sit generale et speciale. Intellectus vero deseruit theologiae, per quem divinas et incorporeas substantias contemplatur. Physicae vero deseruit ratio, per quam ex sensibilibus formis praecognitis insensibiles formas et occultas percipimus. Unde dictum est: in naturalibus rationaliter, in theologicis intellectualiter, in mathematicis disciplinaliter versari oportet. (…) Intellectus tamen pro ratione et ratio pro intellectu ponitur, quia nec sensibus nec imaginationibus praeeuntibus excitatur ibi intellectus ad aliquid concipiendum sicut in naturali speculatione ostensum est. Nec propter disciplinam constituendam cogitatur conformativa speculatione abstractio, sed intellectualiter, i.e., veritate intelligendi percipiuntur ea quae vere abstracta sunt ab his, quorum sunt, ut ideae et divina essentia». 70 Con alcuni adattamenti e differenze formali, questo sesto capitolo ripropone il testo del mio saggio Modelli di conoscenza tra Gilberto di Poitiers e Alano di Lille, apparso in Alain de Lille, le docteur universel cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 217245.
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CAPITOLO SETTIMO
LE FORME DEL SAPERE TEOLOGICO
1. Il modello porretano I Porretani trasmettono alla teologia scolastica del tredicesimo secolo anche una serie di modelli di teologia sistematica, funzionali all’opera di pianificazione didattica del complesso del sapere messa a punto dai primi maestri dell’Università di Parigi1. Se, da un lato, è opportuno indicare il carattere diversificato dei contributi provenienti dai Porretani, da un punto di vista più generale si può parlare di un’idea di teologia sistematica comune ai seguaci di Gilberto di Poitiers. In questo senso, Leonardo Sileo ha parlato di un «modello porretano» da porre in confronto con altri tre modelli di riferimento, finalizzati alla sistematizzazione teologica del sapere, elaborati e applicati con successo nel secolo XII ed ereditati dall’istituzione universitaria2: il tradizionale modello elaborato a San Vittore fonda unicamente sull’esegesi biblica la riflessione sui contenuti della fede e l’acquisizione di ogni forma particolare di sapere; il modello elaborato nelle scuole parigine separa lo studio dell’esegesi biblica dallo studio della dottrina, modulato prima in sententiae e poi in quaestiones; il modello rap1 Su quanto segue, cfr. L. SILEO, Università e teologia, in Storia della Teologia nel Medioevo, II: La grande fioritura cit. (cap. 1, alla nota 98), pp. 471-550, in partic. 483488. 2 Cfr.ibid.,p.483:«Tutti questi diversi modelli,una volta affermati,concorrono, fin dall’inizio del secolo XIII,a rafforzare,contro ogni altra indicazione,la persuasione dell’esistenza e della conseguente necessità di definizione dell’ideale complessivo di una sapienza teologica intesa come compiuta disciplina scientifica».
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presentato dalle Sententiae di Pietro Lombardo, il più fortunato in quanto frutto di un compromesso tra le diverse impostazioni elaborate nella prima metà del dodicesimo secolo. Accanto a questi tre modelli, ai quali è per certi versi intrecciato, si può appunto individuare un modello porretano, che distingue l’esegesi biblica dalla sistematica teologica, alla cui formazione danno un contributo fondamentale gli strumenti della logica e della grammatica. La particolare metodologia messa a punto dai Porretani consiste in «un’operazione eminentemente speculativa con la quale si fa entrare la teologia nell’universo razionale» mediante i principi formali ricavati dal modello aristotelico-boeziano: in modi e forme diversi, i Porretani trasformano la teologia nella massima scienza teoretica, in cui i dati della fede sono inseriti all’interno di una scienza astratta ossia artificiale, particolarmente adatta ai rinnovati contesti scolastici3. I Porretani non hanno come punto di riferimento un’opera sistematica del loro caposcuola, paragonabile al De sacramentis christianae fidei di Ugo di San Vittore o al Liber sententiarum di Pietro Lombardo. Gilberto non ha trasmesso ai suoi successori un modello di impianto formale, una griglia generale in cui poter inserire tutti i contenuti della fede (i suoi Commentaria mancano anzi proprio di un ordinamento, di una visione d’insieme complessiva e organizzata, che ne avrebbe facilitato la comprensione): piuttosto egli ha consegnato loro una metodologia articolata in una serie di leggi formali che operano a livello epistemologico, linguistico, semantico4. Questa eredità di Gilberto si moltiplica in una serie di teologie formali diverse per l’impostazione e per il grado di approfondimento delle istanze speculative provenienti 3
Cfr. ibid., pp. 484-486. Cfr. MAIOLI, Gilberto Porretano cit. (cap. 2, alla nota 71), p. 179: «Il suo programma teologico si caratterizza in modo originale nell’intento di dotare la teologia, attraverso lo sfruttamento costante degli strumenti logico-grammaticali che gli offriva il rinnovato studio delle arti sermocinali, di una struttura metodologica che la ponesse legittimamente al vertice della gerarchia delle scienze: di qui l’interesse epistemologico. Ma, al di là della esigenza metodologica, è operante nel Porretano la naturale avvertenza della necessità di un apparato di rationes e di regulae, sia propriae che communes, ancorate – stante la loro funzione di esplicitazioni e motivazioni razionali del dato di fede – in una solida fondazione ontologica.Nel Porretano la riflessione metafisica nasce all’interno di una preoccupazione teologica; ma è condotta in una chiara consapevolezza del valore e dei limiti della sua specifica funzione». 4
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dal maestro di Poitiers. Nell’attuazione di tale metodologia, si possono distinguere fondamentalmente quattro tipi di letteratura teologica diversi, tutti finalizzati (anche) alla prassi didattica: le sententiae, le quaestiones, le summae e le regulae, il cui sviluppo coincide con la costruzione di una tecnica sempre più raffinata e rigorosa, che trova il suo esito più maturo nell’elaborazione di una teologia scientifica in forma assiomatica. Metodo e sistema sono le due chiavi di volta dell’analisi dei vari generi teologici sperimentati dai Porretani – in un quadro il cui sviluppo appartiene a tutto il secolo – e dei diversi gradi di razionalità scientifica che essi applicano alla materia teologica5.
2. Sententiae, quaestiones, summae: prove di teologia sistematica I primi esperimenti di teologia sistematica compiuti nel dodicesimo secolo risalgono alla scuola di Laon, frequentata, in base al racconto di Ottone di Frisinga, anche da Gilberto di Poitiers6. Le opere riconducibili a questa scuola, come è noto, tendono a raccogliere, senza analizzarle o confrontarle, un ampio numero di autorità bibliche e patristiche, da cui derivano una serie di sententiae, ossia affermazioni perfettamente coerenti con le autorità. La novità rappresentata da questi testi, rispetto alla tradizione dei com5
I Porretani hanno praticato in modo diffuso anche un altro genere letterario, il commento ai testi liturgici: cfr. HÄRING, A Commentary on the Pseudo-Athanasian Creed cit. (cap. 2, alla nota 44); ID., Two Redactions of a Commentary cit. (cap. 1, alla nota 54); ID., Simon of Tournai’s Commentary cit. (cap. 1, alla nota 54); ID., A commentary on the apostles’ creed by Alan of Lille; A commentary on the Creed of the Mass by Alan of Lille cit. (cap. 3, alla nota 58); ID., A poem by Alan of Lille on the Pseudo-Athanasian Creed, in «Revue d’histoire des textes», 4 (1974), pp. 225-238; ID., A commentary on the Our Father by Alan of Lille cit. (cap. 3, alla nota 58). 6 Sull’impostazione sistematica del pensiero teologico nel dodicesimo secolo, cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit. (cap. 1, alla nota 13); H. CLOES, La systématisation théologique pendant la première moitié du XIIe siècle, in «Ephemerides Theologicae Lovanienses», 34 (1958), pp. 277-329; COLISH, Systematic theology cit. (cap. 3, alla nota 14); EAD., From the Sentence Collection to the Sentence Commentary and the Summa: Parisian Scholastic Theology, 1130-1215, in Manuels, programmes de cours et techniques d’enseignement dans les universités médiévales, Actes du Colloque intern. de Louvain-la-Neuve (9-11 sep. 1993), éd. J. Hamesse, Louvain-la-Neuve 1994, pp. 9-29; EAD., Peter Lombard cit. (cap. 3, alla nota 6), I, pp. 52-57; G. D’ONOFRIO, Gli studi teologici e il progresso culturale dell’Occidente, in Storia della Teologia nel Medioevo, II: La grande fioritura cit. (cap. 1, alla nota 98), [pp. 9-51], in partic. pp. 18-39.
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menti biblici altomedievali, consiste nella loro veste formale, che appare ora più ampia, aperta alla trattazione di qualsivoglia argomento teologico e adatta all’organizzazione didattica del sapere. L’elaborazione delle raccolte di sententiae, come genere formale e didattico autonomo, permette ai maestri della prima metà del secolo di fissare i cardini dello studio della dottrina cristiana, organizzandolo razionalmente secondo un piano logico unitario, che suddivide la materia teologica nei suoi contenuti essenziali. Anche in questo caso, il contributo di Abelardo è certamente rilevante: uno dei primi esemplari di raccolte di tale genere, le Sententiae Parisienses (1139/41 ca.)7, segue la tripartizione della teologia di Abelardo: la fides, il sacramentum, la caritas. Un altro esempio è fornito dall’Ysagoge in theologiam (1148 ca.)8, che inizia dalla trattazione dell’uomo, prosegue con la redenzione e i sacramenti e si conclude con l’analisi della natura divina, secondo un programmatico processo ascensionale. Le sententiae rappresentano insomma il primo serio tentativo di ordinare tematicamente l’insieme delle problematiche teologiche e di esporle in maniera logica e razionale9. Ciascun genere letterario è portatore di un principio formale generale che lo fonda, lo guida e lo legittima: il riordino tematico della materia teologica è, infatti, un’operazione artificiale, frutto della capacità astrattiva e speculativa del suo autore10. La prima struttura formale messa a punto nel dodicesimo secolo è opera di 7 L’edizione dell’opera è in A. LANDGRAF, Écrits théologiques de l’école d’Abélard, Louvain 1934, pp. 3-60. Cfr. LUSCOMBE, The School of Peter Abelard cit. (cap. 2, alla nota 101), pp. 164-168. 8 L’edizione dell’opera è in LANDGRAF, Écrits théologiques de l’école d’Abélard cit., pp. 63-285; cfr. LUSCOMBE, The School of Peter Abelard cit., pp. 236-244; ID., The Authorship of the Ysagoge in theologiam, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 35 (1969), pp. 7-16; NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), pp. 231-234; M. EVANS, The Ysagoge in theologiam and the Commentaires attributed to Bernard Silvestris, in «The Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 54 (1991), pp. 1-42. 9 Cfr. D’ONOFRIO, Gli studi teologici cit., p. 23: «Si viene progressivamente elaborando un piano connettivo delle nozioni raccolte e discusse dai vari compilatori, che consente di passare da una ormai superata considerazione del sistema della fede come riporto enciclopedico, informativo e disarticolato di dati, ad una concezione innovativa, come organizzazione tematica e consequenziale delle conoscenze teologiche». 10 Cfr. CLOES, La systématisation théologique cit., p. 277; COLISH, Systematic theology cit., p. 138.
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VII. LE FORME DEL SAPERE TEOLOGICO
Ugo di San Vittore, ereditaria della scuola di Laon, che riflette il piano biblico della salvezza, articolato nelle due parti del De sacramentis: opus conditionis e opus restaurationis.Teologia biblica, metodo prevalentemente allegorico, ordine storico: sono queste le caratteristiche principali dell’opera del vittorino, il primo modello compiuto di teologia dogmatica fondato sull’uso massiccio delle autorità patristiche. Il modello vittorino trova immediatamente numerosi estimatori, tra cui l’autore della Summa sententiarum, ispirata nel contempo anche alla proposta abelardiana che, rifiutando il criterio storico-biblico, pianifica la materia teologica dividendola in base ai suoi contenuti principali. La novità e l’originalità della Summa sententiarum risiedono proprio nella sintesi di queste diverse strutture teologiche, articolata in sette trattati riguardanti la Trinità e la cristologia, la creazione degli angeli e dell’uomo, il peccato originale, i precetti e i sacramenti11. Sulla scorta di questi importanti precedenti, anche i Porretani si cimentarono nel genere letterario delle sententiae. Notevoli sono i punti di contatto tra la Summa sententiarum e il primo testimone porretano in questo ambito, le anonime Sententiae magistri Gisleberti. Anche dalle Sententiae di scuola gilbertina, in effetti, emerge la medesima integrazione dei piani, che dà luogo ad un ordine espositivo leggermente diverso: Trinità e cristologia, incarnazione e sacramenti, peccato originale e attuale, creazione degli angeli e dell’uomo12. Numerose sono le coincidenze, anche 11
L’opera,tramandata da almeno 120 codici,è pubblicata due volte nella Patrologia Latina:nel vol.171,1067A-1150B,tra le opere di Ildeberto di Lavardin (interrotta al cap. 41), e nel vol. 176, 41C-174A, tra le opere di Ugo di San Vittore (versione completa). Sulla complessa e dibattuta questione dell’attribuzione, cfr. F. GILLMANN, Bischof Otto von Lucca, Verfasser der Summa sententiarum?, in «Der Katholik», 97 (1917), pp. 214-216; M. CHOSSAT, La Somme des Sentences. Œuvre de Hugues de Mortagne vers 1155, Louvain - Paris 1923; H. WEISWEILER, La Summa sententiarum, source de Pierre Lombard, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 6 (1934), pp. 143-183; L. OTT, Vivianus von Prémontré der früheste Zeuge für die Benutzung der Summa Sententiarum, in «Scholastik», 14 (1939), pp. 80-90; R. BARON, Note sur l’énigmatique Summa sententiarum, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 25 (1958), pp. 26-42; O. LOTTIN, À propos des sources de la Summa sententiarum, ibid., pp. 42-43; LUSCOMBE, The School of Peter Abelard cit., pp. 198-213; GASTALDELLI, La Summa sententiarum di Ottone da Lucca. Conclusione di un dibattito secolare cit. (cap. 3, alla nota 112); ID., Introduzione al Comentum cit. (cap. 1, alla nota 85), pp. XXVII-XLIV; NIELSEN, Theology and Philosophy cit., pp. 229230;QUINTO,Trivium e teologia cit.(cap.1,alla nota 99),pp.458-460. 12 Su quanto segue, cfr. HÄRING, Die Sententie Magistri Gisleberti cit. (cap. 1,
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letterali, tra le due raccolte.Al di là dei prestiti testuali, la notevole somiglianza strutturale è riscontrabile nella concatenazione delle prove, elaborate a partire dalle citazioni patristiche, su cui si fonda la dimostrazione teologica. La Summa sententiarum si fa preferire per la completezza dei riferimenti alle auctoritates. La coincidenza di struttura, che non esclude a volte la diversità della soluzione, è tanto più sorprendente se si pensa che nelle Sententiae porretane non è mai nominata la Summa sententiarum o il suo autore, mentre è citato, tra gli altri, Magister Hugo, senza che ciò conduca a prestiti impliciti o espliciti da qualche sua opera. Le Sententiae magistri Gisleberti rappresenterebbero, dunque, un incrocio particolarmente interessante tra le istanze più tradizionaliste, di cui è portatrice la Summa sententiarum, e quelle più speculative e razionali del magistero gilbertino, con la prevalenza delle prime sulle seconde13. Esse presentano in quattordici libri la materia trattata nelle lezioni di teologia del maestro, ma non mancano aggiunte e correzioni personali dei due allievi autori delle reportationes. La sistemazione non è immune da incoerenze e stranezze: nel primo libro è trattata la questione del linguaggio teologico, nel secondo e nel terzo si applicano le tesi sostenute nel libro precedente in campo trinitario e cristologico. Grande spazio (libri IV-XI) è dedicato ai sacramenti (escluso l’ordine sacro), mentre gli ultimi tre libri contengono due anomale sezioni liturgiche dedicate all’Avvento (libro XII) e alla Quaresima (libro XIV), fra le quali è inserita l’esposizione della creazione (libro XIII). Mancano riferimenti alla redenzione, a temi etici e cosmologici. L’autore delle Sententiae divinitatis ha forse una più precisa consapevolezza della necessità di compendiare i contenuti della fede in una sintesi unitaria14.Tuttavia, il prologo dell’opera non fornisce alcuna indicazione riguardo l’ordine da seguire e privialla nota 56), pp. 90-104; GASTALDELLI, Introduzione al Comentum cit., pp. XXXIIIXXXVII. 13 Secondo GASTALDELLI, ibid., p. XXXIII, le Sententiae magistri Gisleberti rappresentano la theologia iuxta fidem, laddove i commentari a Boezio costituiscono la theologia iuxta rationem. 14 Cfr. Sententiae divinitatis, ed. Geyer cit. (cap. 1, alla nota 12), p. 7*,26-30: «Ut igitur verum aeternitatis, celsitudinem theologiae, peroptantes utiliter valeant inconculcare, hoc illis compendium, authentico sanctorum colloquio roboratum,
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legia il tema della relazione tra la teologia e le arti profane15. In mancanza di un unico principio ispiratore, l’autore segue a volta il principio logico, a volte il principio storico-biblico16. La struttura sistematica della raccolta, divisa in sei trattati (De creatione mundi, De creatione primi hominis et de libero arbitrio, De peccato originali, De sacramento incarnationis, De sacramentis, De divinitate et trinitate) si attiene fedelmente, se si esclude l’ultimo trattato, allo schema di suddivisione delle Sentenze uscite dalle scuole di Guglielmo di Champeaux e di Anselmo di Laon17. È molto strana, in effetti, la collocazione del trattato sulla natura divina e la Trinità alla fine dell’opera18. Numerose e notevoli sono le trattazioni omesse: soteriologia, angelologia, morale, escatologia, tra le altre. Poco sviluppate sono le riflessioni intorno al significato di termini applicati in teologia come persona, natura, essenza, sostanza, sussistenza, sussistente. Il tentativo di inserire nel quadro storico-biblico una serie di dottrine teologico-morali fa sì che le Sententiae divinitatis testimonino, meglio delle Sententiae Magistri Gisleberti, l’evoluzione di questo specifico genere di letteratura teologica in senso apologetico-dottrinale. Porretani e abelardiani, infatti, producono testimonianze patristiche selezionate ad hoc per sostenere le posizioni teologiche dei rispettivi maestri, messe in discussione in ambiente scolastico ed ecclesiastico. In queste opere, dunque, l’ordinamento razionale del sapere teologico, in cui si intersecano l’ordine storico-biblico e il criterio tematico-razionale, è in un certo senso piegato alle esigenze di difesa e di giustificazione del pensiero di Gilberto. In ogni caso, il modello di pianificazione della materia teologica fuit utile coaptare, maligni apostatae currus cupientes conterere, ut oppositos irregressibiliter possimus ascendere». 15 Cfr. GEYER, Die Sententiae divinitatis cit., pp. 6-10. 16 Cfr. CLOES, La systématisation théologique cit. (alla nota 6), p. 287. 17 Cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, p. 438; tr. it., II, p. 519. 18 Cfr. CLOES, La systématisation théologique cit., p. 302: «L’auteur des Sententiae divinitatis n’échappe pas à l’influence du classement historico-biblique. Creatio, lapsus, reparatio, tel est le cadre d’une tranche importante de l’œuvre. Mais il s’agit d’un cadre, somme toute assez extérieur, pour présenter des developpements où, comme nous l’avons dit, l’élaboration systématique prévaut sur l’ordre biblique. Par contre, en inaugurant son œuvre par l’exposé de la création pour aboutir en finale au De divinitate et Trinitate, l’auteur se distingue nettement de ses prédécesseurs».
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proposto da questi primi autori porretani non raccoglie un consenso significativo, a causa delle incoerenze e delle omissioni che lo caratterizzano: un successo ben maggiore lo registrò il modello rappresentato dal De sacramentis christianae fidei di Ugo di San Vittore19. Un esito formale in qualche modo legato al genere delle sententiae è quello delle quaestiones, anch’esso elaborato inizialmente a Parigi, dove probabilmente operò Simone di Tournai intorno agli anni 1160-80. In effetti, già nelle sententiae è possibile distinguere il livello neutro dell’esposizione sistematica dal livello problematico delle quaestiones, discusse sulla base del confronto di auctoritates e della ricerca delle rationes della fede. La quaestio si era imposta, fin dalla metà del secolo, specie sotto l’impulso di Abelardo, come l’esercizio didattico più efficace e razionale per lo studio della dottrina. Il Sic et non abelardiano presenta una selezione ragionata delle autorità patristiche, che pone quasi naturalmente una serie di quaestiones, di problematicità su cui il teologo è chiamato a misurare le proprie capacità speculative e interpretative.Anche Gilberto, dopo aver definito all’inizio del suo commento al De Trinitate gli opuscoli boeziani «libri quaestionum»,mostra di avere una precisa coscienza epistemologica della quaestio, intesa come problema di interpretazione di un argomento teologico20. Per risolvere la contrapposizione tra due proposizioni che si professano entrambe vere, occorre verificare la correttezza degli argomenti (rationes) addotti a sostegno di ciascuna, distinguendo tra rationes communes, rationes propriae e rationes translatae, per poi applicare quelle adatte alla soluzione della quaestio specifica e dedurre da esse la soluzione
19 Cfr. COLISH, Peter Lombard cit. (cap. 3, alla nota 6), I, p. 57; EAD., Systematic theology cit., pp. 148-149. 20 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, Boecii Prologus, p. 63,17-25: «Hic commemorandum est quod ex affirmatione et eius contradictoria negatione quaestio constat. Non tamen omnis contradictio quaestio est. Cum enim altera contradictionis pars esse vera, altera vero nulla prorsus habere veritatis argumenta videtur – ut:‘omnis homo est corporeus, non omnis homo est corporeus’, itemque:‘nullus homo est lapis, quidam homo est lapis’ – aut cum neutra pars veritatis et falsitatis argumenta potest habere – ut:‘astria paria sunt, astria paria non sunt’ – tunc contradictio non est quaestio. Cuius vero utraque pars argumenta veritatis habere videtur, quaestio est».
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del problema21. La consapevolezza della problematicità della materia teologica giunge a maturazione nell’opera di Simone di Tournai. Sono autori di Quaestiones anche Roberto di Melun, Prepositino di Cremona, Oddone di Ourscamp, Stefano Langton22. Le Disputationes di Simone hanno un’impostazione esegetica e si articolano in ben 371 questioni teologiche di vario argomento, a partire da quelle inerenti il rapporto tra fede e scienza. Grabmann vi ha riconosciuto «il primo esplicito modello del genere tipicamente scolastico dei Quodlibeta»23. Nonostante gli argomenti delle quaestiones spazino con disinvoltura dalla filosofia alla teologia, Simone tende a raggruppare le questioni inerenti un medesimo settore d’indagine. La tecnica formale dell’opera è quella che sarà sperimentata con successo nel tredicesimo secolo e prevede, in primo luogo, l’enunciazione dei punti in questione collegati tra di loro, poi l’analisi dei quaesita (attraverso la presentazione delle obiezioni alla soluzione dell’autore e la successiva esposizione degli argomenti a favore della tesi contraria), infine la breve ed esauriente solutio. Le Disputationes esprimono bene il bisogno di chiarificazione razionale della fede avvertito con crescente urgenza a partire dalla metà del dodicesimo secolo. Simone recepisce questa forma di insegnamento dialettico da Oddone di Soissons e la sviluppa rendendola autonoma e aumentando lo
21 Secondo GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, pp. 424-430; tr. it., II, pp. 504-510, si deve a Gilberto, che interpreta l’espressione usata da Boezio all’inizio del proemio al De Trinitate («investigatam diutissime quaestionem») la prima formulazione di una vera e propria teoria della quaestio. 22 Cfr. ROBERTUS MELUDENSIS, Quaestiones de divina pagina; Quaestiones de epistulis Pauli, ed. R. Martin, in Œuvres de Robert de Melun, rispettivamente I, Louvain 1932, e II, ivi 1938; ODO ABBAS URSI CAMPI, Quaestiones, in J.-B. PITRA, Analecta novissima Spicilegii Solesmensis, 2 voll., II, Paris 1888, pp. 1-187; STEPHANUS LANGTON, Quaestiones theologicae, ed. parziale e commento in R. QUINTO, Die Quaestiones des Stephan Langton über die Gottesfurcht, in «Cahiers de l’Institut du Moyen Âge grec et latin», 62 (1992), pp. 77-165. Su questi testi cfr. S. EBBESEN L. B. MORTENSEN, A partial Edition of Stephen Langton’s Summa and Quaestiones with Parallels from Andrew Sunesen’s Hexaemeron, ibid., 49 (1985), pp. 25-224; L. ANTL, An Introduction to the Quaestiones theologicae of Stephen Langton, in «Franciscan Studies», 12 (1952), pp. 151-175; R. QUINTO, Doctor Nominatissimus cit. (cap. 3, alla nota 129). Le Quaestiones di Prepositino sono ancora inedite. 23 GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, p. 544; tr. it., II, p. 641.
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spazio riservato agli studenti24. Le Disputationes sono, infatti, il risultato delle discussioni tra il maestro e i suoi discepoli. Mentre il genere letterario delle sententiae si consolida e il suo metodo caratteristico del confronto delle auctoritates offre i suoi risultati più significativi nelle Sententiae pubblicate dopo il 1150 dall’inglese Roberto di Melun († 1167)25, nelle fortunatissime Sententiae di Pietro Lombardo (1154/58)26 e nei Sententiarum libri quinque del suo discepolo Pietro di Poitiers (1130 ca.-1205)27, un’espressione più matura e organizzata della ricerca di una sistematica divina, la summa, tende a prenderne il posto. In realtà, essa rappresenta l’evoluzione del genere precedente, tanto è vero che uno dei modelli delle summae è costituito dall’opera del Lombardo, ben prima che essa venga consacrata come testo base dell’insegnamento universitario della teologia al IV Concilio Lateranense (1215). L’impianto del Liber sententiarum, forse ispirato al De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, è un approfondimento dello schema vittorino e si articola in quattro parti dedicate rispettivamente a Dio in sé e creatore, al creato, alla condizione umana secondo l’ordine storico biblico, alla cristologia. Il piano organizzativo delle prime summae, apparse poco dopo la metà del secolo in ambiente parigino, è piuttosto simile a quello delle sententiae coeve, caratterizzandosi tuttavia per un più meditato andamento dialettico, che consente di passare da un tema all’altro con maggiore sicurezza e linearità. Inoltre le summae si dif-
24 Cfr. WARICHEZ, Les Disputationes de Simon de Tournai cit. (cap. 1, alla nota 22), p. XLIV: «Chez Odon de Soissons, qui ensegnait à Paris vers 1164, la Dispute se rattache ancore à la leçon et se trouve provoquée par un passage du texte expliqué par le maître. Chez Simon de Tournai, la Dispute brise ses derniers liens avec la leçon et forme un grand exercise scolaire, prenant la place d’une leçon magistrale, qui occuperait une partie plus ou moins considérable de la matinée. Nous tenons déjà ainsi le type de la quaestio disputata, appelée à un si grand avenir dans le moyen âge». 25 ROBERTUS MELUDENSIS, Sententiae, ed. R. Martin, in Œuvres de Robert de Melun, III/1-2, Louvain 1947-1952 (Spicilegium Sacrum Lovaniense 21, 25). 26 PETRUS LOMBARDUS, Sententiae in IV libris distinctae, ed. I. Brady, 2 voll., Grottaferrata 1971-1981. 27 PETRUS PICTAVIENSIS, Sententiarum libri quinque, PL 211, [783A-1280D], 789-1280; ed. P. S. Moore, in ID., The Works of Peter of Poitiers Master in Theology and Chancellor of Paris (1193-1205), Notre-Dame (Ind.) 1936, pp. 28-36; nuova ed. dei libri I e II a c. di P. S. Moore - M. Dulang - J. N. Garvin, ivi 1943 e 1950.
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ferenziano dai modelli enciclopedici altomedievali, in cui veniva inglobata qualsiasi forma di sapere, specializzandosi in diversi campi di indagine, da quello giuridico a quello teologico. È inoltre possibile distinguere le summae di tipo esegetico e omiletico, in cui il discorso resta ancorato ad alcune auctoritates particolarmente significative, da quelle più propriamente teologiche, in cui è sviluppata l’intera trama del sapere teologico. Allo sviluppo di questo genere di letteratura teologica hanno dato un contributo importante personalità quali Prepositino di Cremona († 1210 ca.), autore di una Summa «Qui producit ventos» di ispirazione lombardiana28, di un’inedita Summa super Psalterium e di una Summa (o Tractatus) de officiis29; e Pietro Cantore († 1197), autore di una Summa de sacramentis et animae consiliis30, di una Summa de vitiis et virtutibus (o Verbum abbreviatum)31 e della Summa «Abel», un dizionario di termini biblici, teologici e filosofici32. Numerosi e diversificati sono gli esemplari di summa riconducibili all’ambiente porretano. La produzione di opere di impostazione sommatica da parte di Alano di Lilla è particolarmente rilevante: egli sperimenta, in pratica, diverse forme di summa in relazione al particolare obiettivo che si pone di volta in volta. Nella Summa «Quoniam homines» prevalgono decisamente il procedimento dimostrativo e il metodo speculativo, fermo restando il carattere sistematico che emerge dall’impianto stesso dell’opera, progettata in tre sezioni, dedicate rispettivamente al creatore, alla creazione e alla restaurazione. L’opera, in realtà, si interrompe al quinto capitolo della seconda parte: secondo Glo28
Edizioni solo parziali: libro primo ed. G. Angelini, in ID., L’ortodossia e la grammatica cit. (cap. 1, alla nota 76), pp. 191-303; libro quarto ed. D. E. Pirarczyk, in ID., Praepositini cancellarii de sacramentis et de novissimis, Roma 1964. 29 PREPOSITINUS CREMONENSIS, Summa de officiis, ed. J.A. Corbett, Notre-Dame - London 1969. Cfr. G. LACOMBE, s. v. Prévostin, in Dictionnaire de Théologie catholique, XIII, Paris 1936, coll. 163-169; ID., La vie et les œuvres de Prévostin cit. (cap. 2, alla nota 130); J. LONGÈRE, s. v. Prévostin de Crémone, in Dictionnaire de spiritualité, XII, Paris 1986, coll. 2185-2193. 30 PETRUS CANTOR, Summa de sacramentis et animae consiliis, ed. Dugauquier cit. (cap. 2, alla nota 129). 31 ID., Summa de vitiis et virtutibus, PL 205, 21A-370A. 32 Edita parzialmente in J.-B. PITRA, Spicilegium Solesmense, 4 voll., III, Paris 1855, pp. 1-308 e in ID., Analecta sacra Spicilegio Solesmensi parata, 8 voll., II, Paris 1884, pp. 6-154, 585-623.
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rieux il trattato De virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti non sia altro che un ampio frammento della parte mancante dell’opera33. Per quanto incompleta, la Summa rende bene l’idea dell’organizzazione del testo progettata da Alano. Preceduto da un prologo contenente cosiderazioni programmatiche, il primo libro è dedicato alla theologia apothetica sive supercaelestis e si divide in due parti, dedicate ripettivamente all’unità dell’essenza divina e alla pluralità delle persone34. Del secondo libro, dedicato alla theologia ypothetica sive subcaelestis, ci sono pervenuti cinque capitoli che trattano degli angeli, della creazione dell’uomo, del peccato originale e delle implicazioni teologiche e morali. Il De fide catholica contra haereticos, databile intorno agli anni 1185-95, è una presentazione complessiva della fede con chiaro intento apologetico: per combattere gli errori filosofici e teologici degli avversari della fede (Catari,Valdesi, Ebrei e Musulmani), l’autore fa ricorso sia a citazioni patristiche che ad argomenti razionali35. L’apologia, particolarmente decisa nei confronti dell’eresia catara, assume, specie verso Ebrei e Musulmani, i contorni di un confronto argomentato più sobrio. L’impostazione omiletica è predominante nella Summa de arte praedicatoria (o Ars praedicandi), cui possono essere accostati i numerosi sermoni scritti da Alano36. Infine, la cosiddetta Summa 33 Cfr. supra, p. 108, nota 80. Cfr. VASOLI, La teologia apothetica cit. (cap. 3, alla nota 79); ID., Temi e motivi della riflessione morale di Alano di Lilla nella Summa «Quoniam homines» e nel Tractatus de Virtutibus, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. Archivio muratoriano», 73 (1961), pp. 219-277; GLORIEUX, La Somme cit. (cap. 1, alla nota 44), p. 115. 34 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit. (cap. 1, alla nota 45), pp. 120-121: «Nos ergo rerum ordini tractatus ordinem conformantes, primo ad creatorem, secundo ad creaturae creationem, tertio ad eiusdem recreationem styli vertamus officium; et ita nostri operis integritas trina librorum distinctione complebitur. Primo ergo de divinae essentiae unitate tum rationum tum auctoritatum firmamenta in medium afferentes in his nostrae orationis ponamus exordium». 35 ALANUS AB INSULIS, De fide catholica contra haereticos, PL 210, 305A-430A.Alcuni capitoli dell’opera sono stati editi da J. LONGÈRE, Théologie et pastorale de la pénitence chez Alain de Lille, in «Cîteaux», 30 (1979), pp. 125-188. Cfr. C. VASOLI, Il Contra haereticos di Alano di Lilla, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo.Archivio muratoriano», 75 (1963), pp. 123-172; N. M. HÄRING, Alan of Lille De fide catholica or Contra haereticos, in «Analecta Cisterciensia», 32 (1976), pp. 216-237 (la lista dei 35 codici è alle pp. 229-237). 36 ALANUS AB INSULIS, Summa de arte praedicatoria, PL 210, 109C-198A; ID., Sermones, ed. d’Alverny, in EAD., Alain de Lille.Textes inédits cit. (cap. 2, alla no-
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«Quot modis» è in realtà un esemplare significativo di un altro genere teologico caratteristico del secolo, ossia le Distinctiones, dizionari di termini teologici e filosofici dove la principale preoccupazione linguistico-semantica non impedisce di dare spazio ad alcuni interessanti spunti speculativi37. Nell’inedita Summa theologica di Simone di Tournai, composta intorno agli anni 1165-70, l’esposizione della materia teologica è particolarmente accurata, suddivisa da ripartizioni nette e da collegamenti chiari38. Dopo alcune precisazioni terminologiche, l’opera prosegue con le analisi della natura divina (de Deo) e della Trinità, articolate mediante precise ripartizioni tematiche. La parte de divinis si apre con la trattazione degli angeli, prosegue con la creazione, la caduta dell’uomo e il peccato originale, da cui sgorgano numerose questioni particolari. Successivamente, Simone tratta delle virtù, dell’incarnazione, del decalogo, dei sacramenti, sui quali si sofferma in maniera estesa. Il passaggio dalla spiegazione del decalogo alla trattazione dei sacramenti è l’occasione per ricapitolare la struttura complessiva della Summa 39. Lo Speculum universale (o Summa de virtutibus et vitiis), composto
ta 69), pp. 109-155: contiene l’edizione del Sermo in dominica palmarum, del Sermo in die sancti Michaelis, del Sermo de trinitate e del Sermo in natali sancti Augustini. Alcuni capitoli della Summa relativi alla penitenza sono stati editi da LONGÈRE, Théologie et pastorale cit. Cfr. C. BARBERA, La teologia del sacramento della penitenza in Alano di Lilla, in «Studia Patavina», 81 (1961), pp. 442-499; A. BARTOLA, La tecnica della predicazione in due sermoni di Alano di Lilla, in «Studi Medievali», 27 (1986), pp. 609-636; J. LONGÈRE, L’Écriture sainte dans les Sermones varii d’Alain de Lille, in Alain de Lille, le docteur universel cit. (cap. 1, alla nota 103), pp. 443-454. 37 ALANUS AB INSULIS, Liber in distinctionibus dictionum theologicalium sive Summa «Quot modis», PL 210, 685A-1012D. Cfr. C. VASOLI, Dio, uomo, natura in un dizionario teologico del XII secolo, in «Rivista critica di storia della filosofia», 2 (1968), pp. 371-390; G. R. EVANS, Alan of Lille’s Distinctiones and the problem of theological language, in «Sacris Erudiri», 24 (1980), pp. 67-86. 38 Cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, p. 541; tr. it., II, pp. 638-639. E cfr. D’ONOFRIO, Gli studi teologici cit. (alla nota 6), p. 38. 39 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Summa theologica, ms. Paris, Bibl. Nat., lat. 14886, f. 53v, cit. in GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, p. 540; tr. it., II, p. 638: «Hactenus prout nobis inspiratum est prosecuti sumus primo de sermone theologico, secundo de Deo et de divina natura, tertio de rebus divinis, quae sunt ipse Deus, i. de personis, quarto de rebus divinis, quae sunt a Deo: de spirituali angelo, quinto de corporali ut terra et caelo, sexto de composito ex anima et corpore vel homine, septimo de Christo incarnato pro homine lapso relevando, octavo superest de sacramentis Christi, per quae fit reformatio hominis».
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da Raul Ardente negli ultimi anni del secolo XII, è un’esposizione sistematica, in quattordici libri (come si evince dal piano dell’opera, anche se soltanto tredici ne sono pervenuti), della dottrina cristiana, caratterizzata da un’attenzione particolare per le tematiche ascetico-morali40. Il I libro si apre con la discussione di una vera e propria metodologia scientifica e con un’analisi del concetto di scienza e delle sue partizioni; prosegue poi con l’esposizione dei concetti fondamentali dell’etica (il bene morale, la virtù, il peccato). Il II libro è dedicato a Cristo e alla redenzione, il III libro alle tentazioni della carne, il IV libro ai cosiddetti tre amici dell’uomo (lo spiritus, il bonus angelus e il vir iustus), il V libro si sofferma sui pensieri umani in quanto fonti di virtù o di peccato. Il VI libro (mancante) era dedicato alla preghiera. Il trattato De Deo uno et trino, che di solito apre questo genere di opere, è contenuto invece nel VII libro, mentre il libro VIII espone la dottrina riguardante l’incarnazione, i sacramenti, l’escatologia e i dieci comandamenti. Il IX libro analizza tre virtù cardinali: prudentia, sapientia e scientia, con un interessante riferimento alle forme della conoscenza divina, il X libro le altre virtù (in particolare la iustitia), il libro XI si sofferma sulla caritas, mentre i libri XII, XIII e XIV si concentrano su argomenti ascetico-morali. Nel testo, che si chiude con un accurato indice per materia (tabula), si trovano spesso tabelle e figure ad illustrazione dei concetti espressi. Lo Speculum testimonia dunque uno sforzo «teso a raggiungere una visione panoramica di tutto il campo della teologia, e, soprattutto nell’ordinamento, nella disposizione e nella suddivisione delle singole parti, tradisce un innegabile talento per la sistematica»41. L’attitudine logica e ordinatrice emerge anche dalla definizione dei vari argomenti secondo una metodologia che, come vedremo, è peculiare di molti maestri porretani42. 40 Oltre alla bibliografia citata nel cap. 3, alla nota 119, cfr. D. SCHIOPPETTO, Dal laboratorio delle arti: la nuova organizzazione del sapere e il pensiero teologico, in Storia della Teologia nel Medioevo, II: La grande fioritura cit. (cap. 1, alla nota 98), [pp. 209-281], pp. 242-244. 41 GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., I, p. 251; tr. it., I, p. 300. 42 Cfr. GRÜNDEL, L’œuvre encyclopédique de Raoul Ardent cit. (cap. 3, alla nota 119), p. 557: «En ce qui concerne la méthode même de Raoul, disons qu’il aborde très souvent ses développements par une définition sous forme de regula, à partir de laquelle, selon une démarche éducative, il traite le sujet qui lui corre-
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Tra le esposizioni sommatiche collegabili alla scuola porretana vanno incluse anche il Rationale divinorum officiorum (o Summa de ecclesiasticis officis) di Giovanni Beleth († 1162), che ha carattere spiccatamente liturgico con interessanti riferimenti alla simbologia43, l’inedita Summa quaestionum theologiae scritta da Maestro Martino alla fine del secolo e l’anonima e inedita Summa «Breves dies hominis sunt» (1170-80 ca.). La struttura della Summa di Maestro Martino è piuttosto tradizionale e riflette l’articolazione della materia teologica alla fine del dodicesimo secolo: la prima parte è dedicata a Dio e alla Trinità, e contiene interessanti precisazioni terminologiche relative al modus praedicandi in teologia, ad alcuni attributi di Dio e ai vocaboli più significativi (usia, ypostasis, persona). La seconda parte è dedicata alla creazione, al peccato e alle virtù, mentre le ultime sezioni si soffermano sull’incarnazione, sui sacramenti e sull’escatologia. La tecnica formale dell’opera appare matura ed equilibrata: i capitoli sono composti da una serie di questioni collegate fra loro; oppositiones e solutiones danno corpo a una disputatio vivace e complessa, orientata verso la dimostrazione razionale della fede44. La Summa «Breves dies hominis sunt», al cui interno Riccardo Quinto ha distinto ben 341 capitoli, privilegia, in linea con la tradizione porretana, due sezioni in particolare: i sacramenti e i termini trinitari45.
3. Teologia assiomatica Il rapporto tra forma letteraria e metodologia teologica è decisivo nel caso della produzione di opere teologiche in forma assiomatica46. Il contributo dato dalla scuola di Gilberto,sotto l’impulso de-
spond. (…) Dans le même esprit que son maître Gilbert de la Porrée, il pense qu’une méthode qui connaît son but et veut le poursuivre efficacement n’a de valeur que si elle s’efforce de ramasser en brefs loci ou regulae l’abondance inordonnée de la matière que l’on ne peut saisir dans son ensemble». 43 IOHANNES BELETH, Summa de ecclesiasticis officiis, ed. Douteil cit. (cap. 2, alla nota 68). 44 Cfr. GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit., II, pp. 526-529; tr. it., II, pp. 622-625. 45 Cfr. LOTTIN, La Summa attribuée a Étienne Langton cit. (cap. 3, alla nota 129); QUINTO, Doctor Nominatissimus cit., pp. 43-53. 46 Sull’argomento cfr. il fondamentale lavoro di DREYER, More mathemati-
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cisivo del maestro, a questo innovativo (ma oltre il dodicesimo secolo poco fortunato) genere di letteratura teologica è superiore a quello offerto dalle altre realtà scolastiche dell’epoca: l’esigenza di fondare scientificamente il discorso sulla fede su principi fondamentali dotati di indiscutibile valore e legati da un ordine logico rigoroso, può considerarsi una caratteristica peculiare dei Porretani. Gilberto applica con particolare cura analitica il modello boeziano del De hebdomadibus, in cui l’inviduazione di nove formule assiomatiche sul rapporto tra il concreto e l’astratto è propedeutica alla soluzione della questione della bontà delle cose create: dalle proposizioni principali deve potersi dedurre tutto quanto segue47. La novità è rappresentata dall’introduzione del rigoroso metodo deduttivo, tipico della geometria, in ambito teologico, il che implica un notevole sforzo di astrazione in vista della costruzione della scienza teologica sulla base solida di affermazioni assiomatiche evidenti in sé, che non necessitano quindi di essere provate, formulate sul calco delle proposizioni immediate di cui parla Aristotele negli Analitici Secondi (I, 2, 71b-72b)48.Assumendo questo metodo, che assume le sue premesse (siano esse derivanti da autorità, da dati sperimentali o da argomenti topici) come principi di inferenza diretta e non mediata (sillogistica), Gilberto disegna nei suoi commenti agli opuscoli boeziani i contorni di un progetto assiomatico che è ripreso e perfezionato dai suoi seguaci più dotati speculativamente49. corum cit. (cap. 1, alla nota 101). Cfr. anche D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit. (cap. 1, alla nota 98), pp. 348-363, e la bibliografia ibid., alle pp. 387-389. 47 Cfr. BOETHIUS, Opuscula theologica, III, Quomodo substantiae…, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), p. 187,14-16: «Ut igitur in mathematica fieri solet ceterisque etiam disciplinis, praeposui terminos regulasque quibus cuncta quae sequuntur efficiam». Cfr. K. JACOBI, Philosophische und theologische Weisheit. Gilbert von Poitiers’ Interpretation der «Regeln» des Boethius («De hebdomadibus») in Scientia und Disciplina cit. (cap. 6, alla nota 19), pp. 71-78. 48 Va notato che nel metodo assiomatico non manca una conseguenza argomentativa successiva all’assunzione della premessa, anzi: l’anima del procedimento assiomatico consiste proprio nell’argomentare a partire da premesse note, per via di esplicazione del contenuto delle premesse. Si tratta, quindi, pur sempre di una forma di deduzione, distinta dall’inferenza sillogistica per via della mancanza di passaggi attraverso termini medi. Ringrazio Giulio d’Onofrio per avermi chiarito questo punto. 49 Cfr. D’ONOFRIO,ibid.,p.350:«Gilberto è il primo che abbia percepito nell’opuscolo la rappresentazione di un procedimento mentale diverso dalla consueta articolazione dialettica del discorso argomentativo:ed è infatti,tra i commentatori,
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Il punto di partenza della nuova proposta di metodologia teologica è il riconoscimento del carattere di immediata intelligibilità di cui sono dotate le formule assiomatiche autoevidenti e universalmente valide («communes conceptiones animi») poste da Boezio all’inizio del suo terzo trattato teologico50. Tali verità sono colte dall’intuizione noetica e non dalla razionalità discorsiva, che si pone a un grado inferiore nella scala delle facoltà umane51. Gilberto fa esplicito riferimento a quei rarissimi ricercatori della verità che colgono in maniera diretta e intuitiva le manifestazioni assolute del vero, che i greci chiamano theorémata per la loro immediata contemplabilità, axiómata per la loro superiore dil’unico che si sia preoccupato di segnalare nel testo,nei momenti opportuni,la presenza delle regole che scandiscono il comporsi del pensiero boeziano». Cfr. inoltre CHENU, Un essai cit. (cap. 1, alla nota 72); G. R. EVANS, More geometrico.The place of the axiomatic method in the twelfth century commentaries on Boethius’ Opuscula sacra, in «Archives internationales d’histoire des sciences», 27 (1977), pp. 207-221; C. VASOLI, Tentativi di teologie «assiomatiche» nel tardo XII secolo, in L’Europa dei secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura,Atti della X settimana internazionale di studi medievali (La Mendola,25-29 agosto 1986),Milano 1989,pp.101-122. 50 Cfr. BOETHIUS, ibid., p. 187,17-25: «Communis animi conceptio est enuntiatio quam quisque probat auditam. Harum duplex modus est. Nam una ita communis est, ut omnium sit hominum, veluti si hanc proponas: ‘si duobus aequalibus aequalia auferas, quae relinquantur aequalia esse’, nullus id intellegens neget.Alia vero est doctorum tantum, quae tamen ex talibus communibus animi conceptionibus venit, ut est:‘quae incorporalia sunt, in loco non esse’, et cetera; quae non vulgus sed docti comprobant». Cfr. G. R. EVANS, Communis animi conceptio.The self-evident statement, in «Archivum Latinitatis Medii Aevii (Bulletin du Cange)», 41 (1977-78), pp. 123-136. 51 Cfr. supra, l’intero Capitolo sesto. La differenza qualitativa tra la conoscenza discorsiva della ratio e la conoscenza intuitiva e superiore dell’intellectus è un carattere saliente della gnoseologia neoplatonico-cristiana assunta in maniera più o meno esplicita da tutti i pensatori altomedievali: è merito in particolare di Giulio d’Onofrio aver messo in evidenza la presenza del modello tripartito della gnoseologia platonica (sensus, ratio, intellectus) nelle teorie della conoscenza altomedievali (e non solo). Cfr. ID., La scala ricamata cit. (cap. 6, alla nota 6); ID., L’anima dei platonici. Per una storia del paradigma gnoseologico platonico-cristiano fra Rinascimento, tarda-Antichità e alto Medioevo, in Ratio et superstitio. Essays in Honor of Graziella Federici Vescovini, ed. by G. Marchetti - O. Rignani - V. Sorge, LouvainLa-Neuve, 2003 (Textes et études du Moyen Âge, 24), pp. 421-482; ID., Le fatiche di Eva. Il senso interno tra aisthesis e dianoia secondo Giovanni Scoto Eriugena, in Corpo e anima, sensi interni e intelletto dai secoli XIII-XIV ai post-cartesiani e spinoziani,Atti del Convegno Internazionale (Firenze, 18-20 settembre 2003), a c. di G. Federici Vescovini - V. Sorge - C.Vinti, Turnhout 2005 (Textes et études du Moyen Âge, 30), pp. 21-53; ID., «In cubiculum mentis». L’«intellectus» anselmiano e la gnoseologia platonica altomedievale, in Rationality from Saint Augustine to Saint Anselm, Proceeding of the International Anselm Conference, Piliscsaba (Hungary), 20-23 June 2002, ed. by C.Viola - J. Kormos, Piliscsaba 2005, pp. 61-88.
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gnità, o ancora aenigmata, emblémata o parádoxa per la profondità dei loro contenuti fuori dall’ordinario, infine ebdomades, ossia intuizioni noetiche universalmente valide: Paucos vero quos intensiore studio vident attentos et mentis acie perspicaciores nec tam laudis proprie levitate subvehi quam veritatis ipsius specie trahi – vere dignos quibus sapientiae dignitas exaratus – in quoddam quasi diversorium extra publicam rationalium viam et theoremata sive axiomata, hoc est speculationes sive dignitates, disciplinalium ducunt ubi quodam quasi sinu secreti sapientiae ipsius quandam prae ceteris dignitatem illis ostendunt. (…) Haec igitur sunt sapientiae in qualibet facultate sed maxime in theologica paucis nota secreta, quorum quia gloria dignitatis summorum etiam philosophorum trahit ammirationem, ab ipsis paradoxa vocantur.Et quia praestant quaestiones quando translatis dictionibus proponuntur, emblemata vel aenigmata, hoc est propositiones, dicuntur. Quoniam vero haec altior intelligentia percipit, per excellentiam ebdomades, hoc est conceptiones, nominantur: utique longe diverse ab illis conceptionibus quae entimemata appellantur. Est enim quoddam argumentationis genus quo ante conclusionem logos cum logo i.e. sermo cum sermone, assumptio scilicet cum propositione, coniungitur. Ideoque tota illa oratio sillogismus i.e. collocutio dicitur52.
Queste formule dettano, secondo l’interpretazione di Gilberto, le condizioni generali della conoscenza del vero, le regole propedeutiche a ogni forma di sapere scientifico53. La necessità forma52 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, Prologus, pp. 184,32-185,57. Particolarmente curiosa la storia altomedievale del nome ebdomades, che viene fatto derivare dal termine greco «ebdo» (che dovrebbe significare «concipio»), secondo un’errata etimologia introdotta da Remigio di Auxerre nel suo commento agli opuscoli boeziani: cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 351, nota 196. 53 Cfr. ibid., p. 350: «Esse coincidono dunque con i tópoi elencati da Cicerone, ossia con i loci più generali del pensiero: sono l’espressione di regulae assolutamente formali della conoscenza, aventi valenza universale e dunque estendibili a tutto ciò che può rientrare sotto le condizioni logiche in esse formulate». Diversa fu la lettura di Teodorico di Chartres e Clarembaldo di Arras, che non ricavarono dal De hebdomadibus gli spunti per elaborare una proposta epistemologica e metodologica organica quanto quella gilbertina, mostrandosi in ogni caso fedeli alla tradizionale articolazione dialettica del discorso argomentativo: cfr. DREYER, Razionalità scientifica e teologia cit. (cap. 1, alla nota 101), pp. 102-107;W. JANSEN, Der Kommentar des Clarenbaldus von Arras zu Boethius De Trinitate, Breslau 1926 (Breslauer Studien zur historischen Theologie, 8); P. DRONKE, Thierry of Chartres,
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le e l’immediatezza intuitiva delle communes conceptiones poste alla base di ciascuna disciplina scientifica, sono particolarmente evidenti nel caso degli assiomi teologici, che devono riflettere la superiorità del loro speciale oggetto, pura forma e assoluta verità54. Gilberto concorda quindi con Boezio nel ritenere che il sapere teologico debba essere sostenuto dalla medesima esigenza di razionalità delle altre discipline, e apre a un uso del metodo apodittico in teologia che è particolarmente diffuso nella sua scuola55. Inoltre, il De hebdomadibus non è l’unica fonte per l’assimilazione del metodo deduttivo a disposizione dei maestri del dodicesimo secolo: all’opuscolo boeziano vanno aggiunti altri testi tradotti proprio in questi anni come gli Elementa di Euclide, il Liber de causis e l’Elementatio physica di Proclo. Un testo che può collocarsi a metà tra le raccolte di sententiae e le esposizioni deduttive è costituito dalla Summa Zwettlensis, presentata, come si è detto, dal codice che la tramanda in forma completa, con il titolo di Sententiae magistri Petri Pictaviensis 56. D’altro in A History of Twelfth-Century Western Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 87), pp. 358385; A. SPEER, Die entdeckte Natur. Untersuchungen zu Begründungsversuchen einer scientia naturalis im 12. Jahrhundert, Leiden 1995 (Studien und Texte zur Geistesgeschichte des Mittelalters, 45). 54 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, 1, pp. 189,67-190,76: «Prima quam ponit regula omnium quae secuntur immo omnium, cuiuscumque facultatis sint, generalium sententiarum – quas etiam hoc loco conceptiones vocat – est locus. Ut enim de positivis grammaticae facultatis regulis taceamus, certum est quod et qui vocantur communes loci rethorum et maxime propositiones dialecticorum et theoremata geometrarum et axiomata musicorum et generales sententiae ethicorum seu philosophorum continentur universalitate huius regulae qua dicitur: COMMUNIS ANIMI CONCEPTIO EST ENUNTIATIO QUAM QUISQUE PROBAT AUDITAM». 55 La posizione di Gilberto non è un mero calco della teoria boeziana: cfr. DREYER, Razionalità scientifica e teologia cit., pp. 100-101: «L’interpretazione che Gilberto dà del De hebdomadibus mostra che egli, al contrario di Boezio, nella questione dell’applicazione del metodo scientifico alla soluzione delle quaestiones sostiene una sorta di monismo metodologico. Non è solo il quadrivium a trattare la propria materia recependo un procedimento matematico: tutte le discipline lo fanno.Allo stesso tempo, però, Gilberto caratterizza la teologia rispetto a tutte le altre discipline riconoscendo al suo procedimento argomentativo, in forza del suo stesso oggetto, un rigore e, quindi, una necessità nei risultati, che è invece negata a tutte le altre discipline. Infine, l’applicazione del metodo geometrico nell’ambito della quaestio mostra che per Gilberto gli asserti di fede possono essere solo risultato di un procedimento apodittico». 56 Cfr. supra, pp. 93-95.
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canto, le sententiae non sono altro che proposizioni preliminari fondamentali degne di essere collocate al principio di un’esposizione sistematica del contenuto della teologia. Il salto di qualità consiste nel passaggio dall’individuazione di alcune formule ricavate dal confronto delle auctoritates al loro costituirsi come assiomi dotati di evidenza immediata, da cui può coerentemente scaturire il successivo processo argomentativo. L’autore della Summa (probabilmente Pietro di Vienna) individua, in effetti, una serie di proposizioni da porsi all’origine logica del discorso teologico, ma non ne deduce una concatenazione rigorosa di regole, come avviene invece nelle più mature teologie apodittiche di Alano di Lilla e Nicola di Amiens. L’opera è divisa in tre libri che trattano, secondo il modello porretano, rispettivamente della Trinità, dell’incarnazione e dei sacramenti. Le teorie esposte nella Summa richiamano quelle contenute nelle opere di Alano57: nelle prime pagine dell’opera, tra l’altro, l’autore presenta una serie di 34 regole molto vicine a quelle contenute nella parte finale delle Regulae caelestis iuris del maestro di Lilla58. Il termine regula ricorre spesso anche nel Commento ai Nomi divini di Guglielmo da Lucca59. Come per Gilberto, e diversamente da Alano di Lilla e Nicola di Amiens, l’applicazione in divinis del metodo assiomatico-deduttivo non consiste per Guglielmo in un’esposizione formalmente rigorosa dei contenuti della fede, legati da vincoli logici stringenti, quanto in una dichiarazione di metodo che non esclude la presenza di altri approcci speculativi. Guglielmo, come Gilberto, è inoltre legato al contenuto del testo da commentare: ed è proprio dall’opera dionisiana, così come da testi aristotelici e boeziani, che egli deduce una serie di regulae, il cui utilizzo è giustificato esplicitamente con parole assai simili a quelle di Gilberto e di Alano60. La teologia, come ogni al57
Cfr.HÄRING,Die Zwettler Summe. Einleitung cit.(cap.1,alla nota 55),pp.9-10. Cfr. Summa Zwettlensis, ed. Häring cit., pp. 30-33. Cfr. HÄRING, ibid., p. 10: «Der Unterschied zwischen Petrus und Alanus besteht darin, daß die Erläuterungen bei Alanus viel ausführlicher sind». 59 Su quanto segue, cfr. GASTALDELLI, Introduzione al Comentum cit. (cap. 1, alla nota 86), pp. LXVII-LXXI. 60 Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam, ed. Gastaldelli cit., p. 202: «Sed quae sunt inconversibiles notiones divinorum eloquiorum? Ad quod dicimus, quod omnes regulae sive edomades aut secretiores animi conceptiones, notiones dicuntur. Veluti sunt haec: ‘divina omnia toti divinitati assunt’, et ‘tres 58
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tra disciplina, deve avere le sue regole, ossia le sue norme metodologiche: tra queste, occupano un posto esclusivo quelle che riguardano direttamente la natura divina, e che Guglielmo indica anche con il termine notiones61. Guglielmo è particolarmente attento a salvaguardare la peculiarità di ciascun gruppo di regole, per cui non si possono trasferire in teologia le regole delle altre discipline: con un ragionamento tipicamente porretano, egli pone la rigorosa distinzione delle rispettive metodologie a garanzia della correttezza scientifisunt entes, una simplici ac singulari essentia’. Et cum dicitur Pater Deus est, Filius Deus, Spiritus Sanctus Deus est, concluditur: ergo Pater et Filius et Spiritus Sanctus unus Deus est et non plures. Istiusque conclusionis addunt theologi notionem sive maximam, quae talis est apud Boetium in Trinitate. Inquit sanctus Boetius: ‘Huius coniunctionis ratio est rei indifferentia’. Quamobrem intuendum quod animorum sacrae conceptiones, quae sunt secreti fida custodia, in grammatica regulae, in dialectica maximae propositiones, in rethorica flores, in aritmethica geometria musica et astronomia the[ore]mata problemata anxiomata, et in theologia secretiori quodam oraculo notiones nuncupantur. In quo tamen animadvertendum, quod notio aequivocans est. Dicitur enim notio in Boetio super Topica Marci Tulii ex multis individuis seu ex multis speciebus similitudinis collecta subsistentia seu substantiae forma, ut hoc ipsum homo et hoc ipsum animal et huiusmodi. Dicitur quodque notio ipsae personales proprietates sive relationes ypostaseos, id est personarum, in sancta Trinitate, ut paternitas et filiolitas et principium, quam notionem sive relationem Iohannes Damascenus, quem papa Eugenius in latinum de graeco fecit transferri, vocat ‘caract[er]istica’; id est distinguentia personas. Dicitur quoque notio qu[i]libet divinita[tis] secretioris conceptus, divinioris ingenii regula, ut est ‘individua sunt opera Trinitatis’». I corsivi, in questa e nelle seguenti citazioni, sono miei. La prima citazione boeziana in questo testo è da BOETHIUS, Opuscula theologica, I, De sancta Trinitate, 4, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), p. 167,42-43; la seconda rinvia invece in modo parafrastico a ID., In Topica Ciceronis commentaria, III, PL 64, [1039D-1174A], 1106C e seqq. 61 Il termine notio probabilmente non deriva dallo pseudo-Dionigi, come suppone Gastaldelli (Introduzione al Comentum cit., p. LXVIII, nota 242), bensì, come si evince dal testo citato alla nota precedente, potrebbe essere di origine dialettico-ciceroniana: nei Topica di Cicerone, e poi nel De definitionibus di Mario Vittorino, la notio è una forma di conoscenza innata che fornisce i dati informativi di base su una certa realtà: una sorta di ‘definizione’ generica ma esauriente, una descriptio pronta a sviluppare attraverso articolate argomentazioni il proprio sintetico contenuto; cfr. M.TULLIUS CICERO, Topica, 7, 31, ed. G. Friedrich, Opera rhetorica, I/2, Leipzig 1891, p. 431,29-31; MARIUS VICTORINUS, De definitionibus liber, ed.T. Stangl, in ID., Tulliana et Mario Victoriniana, München 1888, [pp. 17-48], p. 17,18-19. Giovanni Scoto, traducendo Dionigi, lo utilizza per alludere ad una capacità esaustiva della funzione semantica dei nomi divini. Cfr. G. D’ONOFRIO, Notio fidei. La concordia di filosofia e religione. Lettura di «Fides et ratio», IV, 36-48, in «Aquinas», 44.1 (2001), pp. 47-78; ID., Fons scientiae cit. (cap. 5, alla nota 53), pp. 88 e 189.
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ca del discorso teologico62. L’eresia consiste proprio nel trattare la teologia con le regole della filosofia naturale, con la conseguente negazione, in primo luogo, del dogma trinitario: Ait enim: ET
NULLUM IN DIVINIS ELOQUIIS
CONVERSIBILIBUS
peritorum et
IN-
NOTIONIBUS A‹T›TRITORUM AESTIMO AD
HAEC CONTRADICERE. Palam est qui sint in divinis eloquiis periti. Nam illi in divinis eloquiis aestimantur esse periti, qui nec unita divinitatis disiungunt neque discreta confondunt. Illi vero attriti in ‹in›conversibilibus notionibus divinitatis putantur, qui regulas sive maximas propositiones aut edomades theologiae, quae secundum usum theologorum theologicae disputantium notiones dicuntur, non extra proprium theologicae facultatis genus alicuius erroris impulsu in aliam facultatem vel alterius facultatis in theologiam singulares rationes deducunt, sed unicuique sua propria servant. Nam haeretici notiones sive regulas naturalium in theologiam deducentes putaverunt, quod sicut in naturalibus est, quod una singularis subsistentia nonnisi unum singulariter facit subsistentem, sic et in theologia63.
L’utilizzo teologico dei principi logico-filosofici,laddove necessario e utile all’esplicazione delle verità di fede, deve sempre tener conto dei limiti ad esso intrinseci, dovuti alla sostanziale inadeguatezza dei parametri del pensiero umano alla natura divina64. 62 Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam, ed. Gastaldelli cit., p. 202: «Cum igitur habeamus quae sint notiones, quare dicit eas inconversibiles, eas dumtaxat quae divinitati conveniunt? Quod multis modis determinari potest. Quod inde eas appellaverit inconversibiles, quia per se sunt notae et indemonstrabiles, tantaeque generositatis existant, quod in solam theologiae facultatem sua singulari praerogativa respiciant, nec ad alias se facultates seu opificia possint aliquatenus vertere, cum soli excellentissime divinitati deserviant, vel ob id dicuntur inconversibiles, quia necessaria quadam suae institutionis natura, non creaturam sed Creatorem inspiciunt, id est necessariae sunt, et unam singularem Dei contemplantur essentiam sine conversione contemplationis». 63 Ibid., p. 201. Il corsivo è mio, il maiuscoletto indica le parole di Dionigi. Da notare che Guglielmo è, forse con Alano, uno dei primi testimoni dell’evidenziazione della differenza epistemologica tra filosofia e teologia. 64 Cfr. ibid., p. 182: «Si quis autem naturas investiget et in divina substantia naturalium vim explorare conetur, quamvis hoc nostrarum ‹a› via naturarum valde sit devium, poterit tamen vel aliqua assertione divinae substantiae totalitatis partialitatem vel in dicendo etsi non in essendo cogitare, ut divina substantia sit totum, cuius sint tres ypostases Pater et Filius et Spiritus ‹Sanctus› velut partes». Significativo l’uso di totum/partes in dicendo ma non in essendo per spiegare la Trinità: fu Roscellino, nella polemica con Abelardo, a sostenere una scissione di piani tra il discor-
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Anche il caso inverso dell’applicazione di regole teologiche alla filosofia naturale è problematico. Come si diceva, Guglielmo non pone l’insieme delle norme della scienza divina al principio dell’opera, bensì le enuncia quando il testo ne offre l’occasione.Prendendo spunto dalla teoria della partecipazione, Guglielmo afferma che la relazione tra la sussistenza divina e le sussistenze create non si configura come identità né come alterità assoluta: questa regola teologica («nulla fore diversa quae idem non sint») perde tuttavia il suo valore se riferita ai rapporti tra le creature65.Altre regole ricavate dal testo dionisiano riguardano, come naturale, i nomi divini, ma anche l’unità divina come fonte di ogni altra unità («generali regula profitetur (…) unitas unifica omnis unitatis»)66, il tema della somiglianza («ex his verbis Dyonisii habemus talem regulam: nullus sibi dissimilis alium assimilare potest»)67, il tendere delle cose verso Dio, affermato sia da Dionigi («regulam praestuit theologicam, quod omnia Deum desiderant et ita accessionem habent ad optimam causam») che da Boezio («omne quod est, ad bonum tendit et intelligit desiderando»)68. Guglielmo, in definitiva, pur non elaborando una teologia assiomatica vera e propria, riafferma la necessità che anche la teologia abbia le sue regole, dedotte dalle opere di Dionigi e Boezio ed esplicitate in alcuni passaggi nodali del suo Commento al De divinis nominibus. so e il pensiero e un uso ambiguo delle parole del linguaggio comune per parlare di realtà in sé indicibili, attirandosi le accuse di triteismo da parte di Anselmo d’Aosta. Cfr. supra, cap. 5, nota 58 e testo corrispondente. 65 Cfr. ibid., pp. 76-77: «Dicit enim quod subsistentia bonitatis Dei est esse omnium quae sunt. (…) Sed cum omne esse subiecti sit subsistentia, ut humanitas est subsistentia hominis, corporalitas subsistentia corporis et sic de aliis, in quo differt Dei subsistentia ab istis subsistentiis? Ad quod dicendum quod, cum Dei subsistentia et materia et motu careat, istae vero sint in materia et in motu, multum differunt hae a Dei subsistentia, sed Dei subsistentia ab istis differre non potest, quia nullum accidens ei convenit, non tamen, si non differt ab istis et est aliquid, idcirco est idem cum istis. Regula theologorum est, nulla fore diversa quae idem non sint. Si quis vero in naturalibus hanc velit praesumere, ut sola ea differant quae conveniant, non est verum, quia iam nulla differrent genere, et falsum esset quod dicit philosophus in Topicis suis, quia ‘quot modis idem, tot modis diversum praedicamus’ et ‘idem’ dicitur tribus modis, genere et specie et numero. (…) Haec idcirco diximus, ut ostenderemus creaturam differre a creatore, sed non creatorem a creatura, non tamen creatorem idem esse quod creatura vel in aliquo cum creatura congruere». 66 Ibid., p. 15. 67 Ibid., p. 210. 68 Ibid., pp. 82-83.
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La teologia assiomatica, intesa come metodologia e come presentazione formale della scienza de divinis, raggiunge un grado di formulazione e di maturazione assai più maturo per opera di Alano di Lilla, che nelle Regulae caelestis iuris condensa in una rigorosa concatenazione di assiomi la stessa materia teologica sviscerata negli stessi anni con un ampio respiro argomentativo nella Summa «Quoniam homines»69. Delle 134 regole di cui è composta, le prime centoquindici sono dedicate esclusivamente alla teologia, le successive dieci alla filosofia naturale, ma con regole comuni alla teologia, le ultime nove al puro ambito della filosofia naturale, tanto da potersi considerare come prodromi di una scienza metafisica stricto sensu ancora di là da venire70. La prima sezione si suddivide a sua volta in tre parti: la prima consacrata a Dio e alla Trinità (regole I-LXVII), la seconda dedicata alle maggiori questioni di teologia morale (regole LXVIII-XCIX), la terza alla cristologia ed ai sacramenti (regole C-CXV)71. Ciascuna regola appare, specie nelle prime pagine, come il naturale sviluppo delle precedenti e sostiene la costruzione di una vera e propria assiomatica teologica, in cui ogni regola è accompagnata da una breve spiegazione che giustifica la successione delle asserzioni72. Quando l’esposizione si allarga ad abbracciare la vastità della materia teologica, il rigore matematico della concatenazione è progressivamente sostituito da un’argomentazione più discorsiva ed esplicativa che 69 Cfr. CHENU, Un essai cit.; ID., Une théologie axiomatique cit. (cap. 1, alla nota 72); CHATILLON, La méthode théologique cit. (cap. 3, alla nota 83); JOLIVET, Remarques sur les Regulae theologicae cit. (ibidem). 70 Cfr. G. D’ONOFRIO, Quando la metafisica non c’era. Vera philosophia nell’Occidente latino ‘pre-aristotelico’, in Metaphysica – sapientia – scientia divina. Soggetto e statuto della filosofia prima nel Medioevo, Atti del Convegno della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (Bari, 9-12 giugno 2004), a c. di P. Porro, Turnhout - Bari 2005 [= «Quaestio», 5/2005], pp. 103-144. 71 Cfr. JOLIVET, Remarques sur les Regulae theologicae cit., p. 93: «Il ne paraît pas incongru de rapprocher le plan des Regulae du principe de classement des thèmes théologiques propre à l’école d’Abelard: fides, caritas, sacramentum. A la fides correspondent les maximes 1 à 67 (Dieu, la Trinité); à la caritas, les maximes 68 à 108 (le bien, l’action, la charité, l’Incarnation); au sacramentum, les maximes 109 à 115». 72 Cfr. ibid., p. 89: «La spécificité épistémologique des Regulae consiste en trois points: la reconnaissance du fait que toute science suppose des principes qui lui soient propres; l’analyse critique de ces principes (très courte); un effort pour dégager les principes de la théologie, les énoncer dans un ordre systématique et les expliciter».
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tuttavia non inficia il collegamento concettuale che sostiene l’impalcatura dell’opera. Ogni scienza, esordisce Alano, si appoggia su alcune regole come suoi propri fondamenti: la dialettica ha le sue massime, la retorica i suoi loci communes, l’etica le sue sententiae generales, la fisica i suoi aforismi, l’aritmetica i porismata, la musica gli axiomata, la geometria i theoremata, l’astronomia le sue excellentiae. Tutte le scienze, dunque, a parte la grammatica, che ha regole di origine convenzionale, si basano su un insieme di norme che ne determinano funzioni e limiti73. Anche la scienza teologica ha le sue regole, speciali come il suo oggetto, intrinsecamente necessarie74: la loro superiore dignità emerge dai nomi con cui sono state designate, parádoxa ed aenigmata per il loro valore trascendente, emblémata per la luminosità del vero che emanano, enthymémata, hebdomades per l’inattaccabile certezza che le contraddistingue:
73 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 57), pp. 121-122: «Omnis scientia suis nititur regulis velut propriis fundamentis et, ut de grammatica taceamus quae tota est in hominum beneplacitis et voluntate et de eius regulis quae sunt in sola hominum positione, ceterae scientiae proprias habent regulas quibus nituntur et quasi quibusdam certis terminis clauduntur: ut dialectica habet quas maximas vocant, rhetorica locos communes, ethica sententias generales, physica afforismos, arithmetica porismata i.e. regulas subtiles quae speculanti quodam modo in premium cedunt propter subtilem earum intelligentiam. (…) Sunt et anxiomata musicorum quae sunt regulae artis musicae quae dicuntur anxiomata quasi conponderationes quia secundum eas musica vocum conponderationes i.e. consonantias speculatur. (…) Theoremata vero geometrarum sunt regulae quae theoremata i.e. speculationes appellantur. (…) Suas etiam maximas habet astronomia quas excellentias vocant propter sui dignitatem et intelligentiae subtilitatem». 74 Cfr. G. R. EVANS, The borrowed meaning: Grammar, Logic and the problem of theological language in XIIth-Century Schools, in «Downside Review», 324 (1978), [pp. 165-175], p. 170: «From the first it is made clear that language used of God obeys special rules, but that these rules may be formulated in the conventional technical terms of grammar or rhetoric or dialectic. In Alan’s view we can do more than say that theological language does not obey the ordinary rules of language; we can make a useful attempt to explain the adapted rules of grammar and dialectic which theological language obeys». Giulio d’Onofrio ha mostrato che la nozione di fundamenta sui cui Boezio fonda metodologicamente il suo quarto opuscolo (il De fide catholica) equivale proprio alla nozione di principi primi (dedotti dalla fede): cfr. ID., Boezio filosofo, in Boèce, ou la chaîne des savoirs, Actes du colloque international de la Fondation Singer-Polignac (Paris, 8-12 1999), éd. par A. Galonnier, Louvain - Paris - Dudley (MA) 2003 (Philosophes Médiévaux, 44), pp. 381-419, ripreso nel secondo capitolo del libro Vera philosophia cit. (cap. 6, alla nota 10).
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Supercaelestis vero scientia i.e. theologia suis non fraudatur maximis. Habet enim regulas digniores sui obscuritate et subtilitate ceteris praeminentes. Et cum ceterarum regularum tota necessitas nutet, quia in consuetudine sola est consistens penes consuetum naturae decursum, necessitas theologicarum maximarum absoluta est et irrefragabilis quia de his fidem faciunt quae actu vel natura mutari non possunt. Unde propter inmutabilem sui necessitatem et gloriosam sui subtilitatem a philosophis paradoxa dicuntur quasi recte gloriose propter sui obscuritatem; aenigmata propter internum intelligentiae splendorem dicuntur; emblemata quia puriore mentis acumine comprehenduntur; entimemata quasi intus in mente latentia ab en quod est intus et time vel timos quod est mens; propter sui auctoritatem ebdomades i.e. dignitates dicuntur75.
Ne deriva che la comprensione di queste massime teologiche sarà possibile solo ai sapienti, vale a dire a coloro che hanno una profonda esperienza della speculazione teologica e sono in grado di elevarsi ai misteri ineffabili della verità divina76. La metodologia e la terminologia rimandano indiscutibilmente alle indicazioni fornite da Gilberto: segue, a conferma della consapevolezza 75 ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, p. 122. Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 359: «Apparentemente contro quanto Gilberto affermava esplicitamente, esse [le regulae] sono per Alano anche enthymémata: con questo termine, però, ricollegandosi anche in questo alla tradizione altomedievale, egli intende esprimere non un tipo di argomentazione, ma una conoscenza enucleativo-concettuale di tipo immediato, che avviene «per contrarium» (cioè per negazione diretta del significato espresso da un termine-concetto). In esse sono infatti formulate verità che possono essere colte soltanto dalla parte più elevata dell’animo, la stessa che nella Summa egli chiama extasis, l’intelligenza superiore che trasporta l’uomo al di là dei limiti della razionalità, guidandolo ad intuire l’accecante luce dell’unità divina, che la ragione e la logica non sono in grado di esprimere se non ricorrendo alla sottrazione di determinazioni significanti che è propria della via teologica negativa». 76 Cfr. HUDRY, Alain de Lille. Règles de théologie cit. (cap. 3, alla nota 76), quarta di copertina: «L’intention d’Alain de Lille n’est cependant pas tant de hausser la théologie au rang des autres sciences que d’en marquer au contraire la spécificité irréductible à leur égard. Il faut enseigner la théologie selon les méthodes du temps, mais avec une conscience très vive de la grandeur unique de son objet. Il y a donc lieu de préciser les transpositions nécessaires au passage de l’ordre naturel à l’ordre divin. Dans cet effort d’adaptation, les Règles sont destinées à préciser en termes rationnels les données de la foi, à fixer les conditions du langage traitant de ces données et à marquer la cohérence logique de l’ensemble de la Révélation».
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dell’inserimento in una precisa tradizione teologica, un riferimento esplicito a Boezio, al suo De hebdomadibus e alla definizione della communis animi conceptio77. L’affermazione dell’immutabile unità divina («monas est qua quaelibet res est una») è posta al principio dell’enucleazione concettuale delle verità di fede: a partire da questo primo, indubitabile assioma si dipana la serie di regole che trattano temi diversi, tra cui la predicazione teologica, temi di teologia morale (le virtù, il peccato, i concetti di bene78 e di merito, la libertà e la grazia, i principi etici), l’incarnazione e i sacramenti. Le regole CXVI-CXXV, infine, come detto, hanno valore sia in campo naturale che in campo teologico, a parte il CXVII assioma, valido solo in naturalibus. Notevoli sono le somiglianze tra il sistematico impianto assiomatico delle Regulae di Alano e il Liber XXIV philosophorum, il suggestivo ed enigmatico testo che si diffonde nell’Occidente latino a partire dalla seconda metà del dodicesimo secolo79. La maggior parte dei manoscritti lo attribuisce a Ermete Trismegisto, ma in alcuni compare, senza che ciò sorprenda molto, il nome dello stesso Alano. Molti studiosi hanno, in effetti, creduto di poter collocare l’opera nella seconda metà del dodicesimo secolo, magari in ambienti influenzati dalla dottrina porretana80. No77 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, p. 123: «Unde Boetius librum inscripsit De ebdomadibus quasi de subtilissimis theologorum propositionibus. Istae propositiones quanto intelligentiam habent altiorem tanto magis peritum exigunt auditorem. Unde non sunt rudibus proponendae et introducendis qui solis sensuum dediti sunt speculis sed illis, qui ductu purioris mentis ad ineffabilia conscendunt et puriori oculo philosophiae secreta perspiciunt. Hae enim propositiones in peritiori sinu theologiae absconduntur et solis sapientibus colloquuntur.Tractaturi igitur de theologicis maximis, a fonte et quasi a sinu omnium maximarum i.e. a generalissima maximarum tractatus sumamus initium. Communis animi conceptio est enuntiatio quam quisque intelligens probat auditam». 78 Particolarmente significativa è la LXVIII regola, in cui Alano si richiama alla teoria sulla bontà degli enti presente nel De hebdomadibus boeziano: cfr. ALIOTTA, La teologia del peccato cit. (cap. 3, alla nota 73), pp. 73-76. 79 Liber XXIV philosophorum, ed. C. BAEUMKER, Das pseudo-hermetische Buch der vierundzwanzig Meister. Ein Beitrag zur Geschichte der Neupytagoreismus und Neuplatonismus im Mittelalter, in Abhandlungen aus dem Gebiete der Philosophie und ihrer Geschichte. Eine Festgabe zum 70. Geburtstag Georg Freiherrn von Hertling, Freiburg im Br., 1913, pp. 17-40; ripr. in ID., Studien und Charakteristiken zur Geschichte der Philosophie, insbesondere des Mittelalters, Münster, 1928, pp. 194-214. Cfr. Liber viginti quattuor philosophorum, ed. F. Hudry,Turnhout 1997 (CCCM, 143A); Il libro dei ventiquattro filosofi, a c. di P. Lucentini, Milano 1999. 80 Cfr. BAEUMKER, Das pseudo-hermetische Buch cit., pp. 21-25; M.-TH. D’AL-
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tevoli sono infatti le somiglianze linguistiche e speculative con i testi redatti in quest’epoca nell’Occidente latino, sulla scorta soprattutto di suggestioni neoplatoniche veicolate dallo pseudoDionigi Areopagita e da Giovanni Scoto, fonti, queste, particolarmente care ad Alano. In ogni caso, la questione non è ancora definitivamente risolta81. Il Liber raccoglie le sintetiche definitiones di Dio enunciate da ventiquattro sapienti riuniti in simposio. Ciascuna definizione mira a racchiudere in un concetto l’intuizione noetica della realtà divina ed è seguita da una breve chiarificazione della genesi interna di ciascuna. Raramente le varie formule definitorie appaiono in diretto collegamento l’una con l’altra, come avviene nella rigorosa concatenazione delle Regulae caelestis iuris: esse derivano piuttosto da una serie di principi formali che sono stati accostati sia ai tópoi ciceroniani che alle definitiones elencate da Mario Vittorino nel trattato sulle forme della definizione logica82. Per limitarci a due soli esempi, la prima sentenza del Liber, «Deus est monas monadem gignens, in se unum reflectens ardorem», è trasmessa alla cultura medievale successiva spesso attraverso l’esegesi di Alano, che la riprende nella terza delle sue regulae per esprimere le relazioni tra le persone della Trinità83. E la celeberrima seconda sentenza «Deus est sphaera infinita cuius VERNY, Un témoin muet des luttes doctrinales au XIIIe siècle, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 17 (1949), pp. 223-248; CHENU, Une théologie axiomatique cit. Françoise Hudry ha invece proposto di considerarlo un prodotto di età tardo-antica, debitore di testi classici perduti, in primis il De philosophia di Aristotele. 81 Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 356: «Quello che rimane certo è comunque, se non l’appartenenza, almeno il collegamento storico del Liber al contesto in cui circolano le altre opere assiomatiche del tardo dodicesimo secolo, quale ulteriore testimonianza, accanto ad esse, di un tentativo di fondare la teologia, più che sulla deduzione razionale, sull’esplicazione articolata delle formule di partenza, siano esse di origine noetica o dogmatica, su cui si fonda la conoscenza umana del divino». 82 Cfr. ibid., p. 354. 83 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, III, p. 128: «Dictum est enim quod ideo dicitur Deus monas quia gignit de se Deum, de se etiam producit Spiritum sanctum sicut unitas de se gignit unitatem. Monas igitur gignit monadem i.e. Pater Filium. Necessarium et hoc fuit ut, si monas gigneret, monadem gigneret. A simplici enim nichil gigni potest per decisionem sicut fit in naturali generatione. Oportuit ergo ut aut nichil gigneretur a simplici aut simplex a simplici. (…) Et quia a Patre et Filio procedit Spiritus sanctus, bene sequitur: Et in se suum reflectit ardorem. Spiritus sanctus dicitur ardor, amor, osculum, connexio Patris et Filii quia Pater specialiter convenit cum Filio inspirando Spiritum sanctum et
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centrum est ubique, circumferentia nusquam» appare anch’essa per la prima volta nelle opere di Alano, nei confronti delle quali il Liber denuncia una notevole affinità letteraria e stilistica84. Non a caso ad Alano di Lilla è attribuita, da numerosi testimoni manoscritti, anche l’Ars fidei catholicae dedicata a Clemente III († 1191), in realtà opera di Nicola di Amiens85. Le Regulae caelestis iuris, alle quali l’Ars è dunque accostata già dai contemporanei, non raggiungono la compiutezza formale di questo breve trattato, concepito sul modello degli Elementi di Euclide, che può definirsi «un capolavoro di teologia deduttiva»86. L’esposizione in modum artis della teologia prevede l’individuazione di alcuni principi primi ad essa peculiari, posti all’inizio di ciascun libro, e distinti in definizioni, postulati e assiomi87. Le definizioni (descriptiones) indicano il senso preciso dei termini fondamentali di cui si serve l’ars: causa, sostanza, materia, forma ecc. Le petitiones, pur non essendo dotate di immediata autoevidenza, sono proposizioni indimostrabili che vanno necessariamente accettate per poter comprendere il successivo sviluppo dimostrativo: sono tre postulati e riguardano la nozione di causalità. Infine gli assiomi (communes conceptiones), affermazioni a cui l’intelletto umano riconosce quia in donis Spiritus sancti, quae dantur a Patre et Filio, signatur eorum ad nos dilectio». 84 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, VII, p. 131: «O magna inter sphaeram corporalem et intelligibilem differentia. In sphaera corporali centrum propter sui parvitatem vix alicubi esse perpenditur. Circumferentia vero in pluribus locis esse conprehenditur. Intelligibili vero sphaera centrum ubique, circumferentia nusquam»; ID., Sermo de sphaera intelligibili, ed. d’Alverny cit. (cap. 3, alla nota 57), pp. 297-306. Sull’immagine della sfera, cfr. K. HARRIS, The infinite sphere: comments on the history of a metaphor, in «Journal of the history of philosophy», 13/1 (1975), pp. 5-15; D. MAHNKE, Unendliche Sphäre und Allmittelpunkt. Beiträge zur Genealogie der mathematischen Mystik, Halle 1937; rist. Stuttgart - Bad Cannstatt 1966. La collocazione del Liber poco dopo la metà del dodicesimo secolo è sostenuta e argomentata da Paolo Lucentini nell’introduzione a Il libro dei ventiquattro filosofi cit., pp. 11-46. 85 Cfr. GLORIEUX, L’auteur de l’Ars fidei catholicae cit. (cap. 3, alla nota 117); DREYER, Nikolaus von Amiens cit. (cap. 1, alla nota 100), pp. 28-38. 86 Cfr. M. DREYER, «... rationibus... malitiam impugnare». Zur Theologiekonzeption des Nikolaus von Amiens, in Scientia und Disciplina cit. (cap. 6, alla nota 19), pp. 223-234. 87 Cfr. NICOLAUS AMBIANENSIS, Ars fidei catholicae, prologus, ed. Dreyer cit. (cap. 1, alla nota 100), p. 77: «Nempe hanc editionem artem fidei catholicae merito appellavi. In modum enim artis composita diffinitiones, divisiones continet et propositiones artificioso processu propositum comprobantes».
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immediatamente valore veritativo88. Da questi principi Nicola deduce coerentemente la successione delle proposizioni (propositiones sive theoremata), seguita da una spiegazione (probatio) essenziale e rispettosa della successione logica dei vari passaggi89. La concatenazione delle verità di fede è strutturata in cinque brevi libri riguardanti l’esistenza di Dio (libro I), il mondo, la creazione degli angeli e dell’uomo, il libero arbitrio (libro II), la caduta e la redenzione (libro III), la Chiesa e i sacramenti (libro IV), la resurrezione dei morti (libroV).La suddivisione tematica dell’Ars richiama l’articolazione delle summae e delle sententiae dell’epoca, che dall’affermazione dell’unica causa divina deduce la molteplicità dell’essere e la storia cristiana del mondo dalla creazione alla restaurazione. Il programmatico intento apologetico dell’opera trova dunque forma in un’esposizione sintetica e completa dei contenuti della fede, la cui giustificazione razionale poggia sullo stesso impianto formale dell’opera, sull’acquisizione del rigore logico del metodo matematico-deduttivo, applicato in teologia con una sistematicità rimasta ineguagliata. L’opera nasce come risposta alle eresie del tempo, come opposizione razionale ai nemici della fede cristiana: la ragione, spiega Nicola nel Prologus, può riuscire lì dove l’autorità non riesce ad avere l’effetto desiderato.Queste motivazioni razionali, ricorda però l’autore, non sono da sole sufficienti per la piena e completa comprensione delle verità di fede90. 88 Cfr. ibidem: «Descriptiones autem appositae sunt hac de causa, ut appareat in quo sensu accomodis huic arti vocabulis sit utendum.Tres autem petitiones sic dicuntur, quia cum per alia probari non possint tamquam maximae licet non adeo evidentes, vere tamen ad probationem sequentium illas mihi peto concedi. Communes autem animi conceptiones sequuntur sic dictae, quia adeo sunt evidentes quod eas auditas statim concipit animus esse veras. Hae quoque sunt ad probationem sequentium introductae». 89 Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 362: «Rispetto al modello ‘enucleativo’ dei concetti teologici esemplato nelle Regulae di Alano e nel Liber XXIV philosophorum, Nicola ritrova dunque l’esplicita e rigorosa concatenazione formale di principi e teoremi del modello geometrico; e la applica ai temi della fede, di cui egli condensa la formulazione dogmatica in enunciati assiomatici, esprimendosi intenzionalmente in un linguaggio poveramente tecnico, senza artifici retorici e senza alcuna citazione di autorità». 90 Va infine ricordato che l’Ars è congiunta nei manoscritti ad un’appendice autonoma, che inizia con le parole Potentia est vis: in essa l’autore, probabilmente lo stesso Nicola, sperimenta una forma di letteratura teologica a metà strada tra il metodo assiomatico e il dizionario alfabetico: cfr. DREYER, Nikolaus von Amiens cit., pp. 106-120.
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Pur nella sua multiformità, la teologia porretana appare ispirarsi a precisi criteri non solo di organizzazione sistematica del sapere sacro, ma anche, e in special modo, a principi di metodo, mutuati dal modello aristotelico-boeziano e progressivamente condotti alle più rigorose e coerenti conseguenze gnoseologiche. Dalle prime sintesi degli allievi diretti di Gilberto, alle opere dei maestri porretani della generazione successiva, emerge l’idea di consolidare la dottrina del maestro attraverso una serie di precisazioni linguistiche ed epistemologiche, incastonate in un quadro complessivo sempre più organico e completo. Ma è nei testimoni della breve ma significativa esperienza della letteratura assiomatica che l’indole scientifica dei Porretani porta a compimento il progetto, inaugurato dal commento gilbertino al De hebdomadibus, di una teologia consapevole delle sue rationes peculiari e fondata tanto su solide basi terminologiche quanto sull’approfondimento della forma di conoscenza più elevata e immediata, l’intuizione intellettuale, che più di ogni altra fornisce al teologo dati di fede certi ed affidabili.
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CAPITOLO OTTAVO
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1. Gilberto di Poitiers: la translatio nominum a naturalibus ad theologica Le originali riflessioni di Gilberto intorno alla costruzione di un discorso teologico maturo e consapevole della propria funzione scaturiscono da ragioni profonde, che lo stesso maestro espone nel prologus primus del suo commento al De Trinitate1. Egli loda gli sforzi compiuti da Boezio, nei suoi oscuri e profondi trattati teologici, per trovare una terminologia adatta a parlare di Dio, per elaborare un adeguato discorso sul divino2. Boezio ha fatto tesoro della tradizione degli antichi pensatori cristiani che, prima di lui, hanno cercato di raffigurare tramite analogie, metafore ed altri strumenti linguistici ciò che l’intelligenza umana è in grado di cogliere del sermo con cui l’oggetto della conoscenza teologica si offre, restando incomprensibile, alla contemplazione umana3. Gilberto s’inscrive nel medesimo filone teoretico, apportando un contributo rilevante, che spicca per il suo carattere innovativo nel pur ricco panorama del dodicesimo secolo. 1 Per una presentazione complessiva del problema del discorso teologico, cfr. COLISH, Peter Lombard cit. (cap. 3, alla nota 6), I, pp. 91-154. 2 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, Prologus primus, p. 53,8-12: «Deus enim, de quo his agitur libris, magnitudine interminabilis, contemplatione incomprehensibilis, sermone inexplicabilis recte intelligitur ac laudabiliter praedicatur. Cuius tamen quaedam archana antiqui videntes, ipso inspirante, intellexerunt et tam rerum quam verborum figurationibus variis sui temporis rudibus insinuaverunt». 3 Cfr. D’ONOFRIO,L’«età boeziana» della teologia cit.(cap.1,alla nota 98),p.325.
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Al pari di Abelardo, l’altro grande maestro del tempo che ha dedicato particolare attenzione al rapporto tra la teologia e il linguaggio, Gilberto critica l’ingenua persuasione di una comoda e spontanea corrispondenza tra la sfera del linguaggio, quella del pensiero e quella della realtà4. Sulla base della distinzione tra un usus philosophorum e un usus theologicorum dei termini, egli intende regolamentare il passaggio di un nome da un ambito ad un altro, al fine di costruire un vocabolario teologico corretto e fondato. Il vescovo di Poitiers distingue la qualitas nominis dalla substantia nominis, e riconosce il primato alla prima, ossia alla qualità ‘formale’ del nome (il praedicamentum o praedicatum), che necessariamente deve cristallizzarsi in un ‘soggetto’: la definizione di questo doppio livello significativo delle parole, corrispondente alla differenza tra l’id quod est e l’id quo est,è uno dei punti fermi della semantica porretana5. Il principio metodologico secondo cui il nostro modus praedicandi è identico in naturalibus ed in theologicis, mentre il senso del predicato cambia radicalmente in teologia, è alla base della trattazione gilbertina dei nomi divini. Il criterio ultimo per valutare il senso ed il valore dei predicati resta la natura del soggetto di cui sono predicati:ciò significa che,in teologia,il discorso deve essere giudicato alla luce dell’essenza divina. Parlare di Dio si configura come un’esperienza fuori dall’ordinario, in un certo senso paradossale, poiché la trascendenza del mistero divino impone una serie di correzioni, di eccezioni alle regole stabilite nel discorso comune. Una non trascurabile variazione di senso – spiega Gilberto nel prologo del commento al De hebdomadibus – si riscontra già nel trasferimento di parole tratte dal linguaggio ordinario al campo delle scienze naturali; ben più sensibile è la torsione semantica che i termini subiscono nel passaggio dal piano linguistico delle scienze naturali a quello, qualitativamente diverso, del sapere teologico6. Il metodo che consen-
4 Cfr. gli studi di JEAN JOLIVET raccolti nel suo volume, Aspects de la pensée médiévale cit. (cap. 5, alla nota 26). 5 Cfr. L. M. DE RIJK, Gilbert de Poitiers, ses vues sémantiques et métaphysiques, in Gilbert de Poitiers et ses contemporaines cit. (cap. 1, alla nota 82), [pp. 147-171], p. 161. 6 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade, Prologus, p. 184,41-45: «Eius rationes ab aliorum rationibus esse diversas nec, quibus explicari possint, cognatos esse sermones et, si quando proportione ratio-
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VIII. IL DISCORSO TEOLOGICO
te di elevarsi al vertice della sapienza, usando l’unico linguaggio disponibile, è quello della proportio (corrispondente latino del termine greco ajnalogiva, che Gilberto non usa), concetto strettamente collegato a quello della partecipatio extrinseca. È necessario disciplinare le proposizioni intorno al divino, verificarle sulla base delle rationes theologicae, portarne alla luce il valore proporzionale anziché assoluto, ossia la capacità di significare il divino a partire dall’utilizzo delle rationes naturales7. Il metodo della proportio consente di stabilire una relazione tra due entità ontologicamente differenti ma legate da un rapporto di partecipazione-imitazione: poiché la distinzione tra l’essere del mondo dei genuina e l’essere del mondo dei nativa non si configura come una totale alterità, allo stesso modo, dal punto di vista linguistico, l’uomo non è rassegnato al silenzio e all’incomunicabilità nel suo rapporto con il divino poiché può immaginare gli attributi divini a partire dalle migliori qualità espresse dall’uomo8. Particolarmente attento a distinguere i vari livelli della realtà e dell’argomentazione, Gilberto mette in guardia dai pericoli derivanti dalla confusione dei diversi piani del discorso, ma allo stesso tempo confida nell’efficacia del trasferimento di parole dal piano naturale a quello teologico, purché sottoposto ad una serie di norme metodologiche ed epistemologiche che consenta di salvaguardare la trascendenza del mistero9. L’assenza di un linguaggio peculiare della teologia deve in ogni caso indurre ad un utilizzo cauto e ponderato di nomi e concetti provenienti dalla sfera del sapere naturale10. Gilberto si serve della proportio communis per nis alicuius ad eam ab aliis contingat immo necesse sit verba transsumi, inextricabiles admodum quaestiones praestare». 7 Cfr. ANGELINI, L’ortodossia e la grammatica cit. (cap. 1, alla nota 77), p. 71. 8 Ciò che caratterizza il metodo teologico di Gilberto è l’intento di qualificare la distanza tra il Creatore e le creature, e su di essa fondare la possibilità di parlare di Dio: cfr. NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), p. 136. 9 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium, 4, p. 294,88-96: «In theologicis enim aliqua quidem similiter aliqua vero aliter esse sequentia nos docebunt. Non enim omnia neque nulla, quae in naturalibus aut mathematicis intelliguntur, in theologicis accipienda sentimus: ideoque subtilissimae atque exercitatissimae philosophiae esse communes utrisque et proprias singulorum rationes notare. Et haec quidem propter imperitos, qui diversarum facultatum rationes aut communicant proprias aut appropriant communes, tetigimus». 10 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum secundum De Trinitate, 1, p. 170,87-91:
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confermare il dato di fede col supporto delle rationes naturales: «…rationibus, quas vel theologiae majestas sibi proprias vindicat vel humanae philosophiae ad ipsam qualiscumque proportio communis admittit»11. La distinzione tra i principi propri della teologia e le rationes prese in prestito da altri campi del sapere ha un significato epistemologico assai rilevante: l’alterazione del significato degli strumenti conoscitivi reca con sé la modifica sostanziale dei termini che li esprimono12. L’esatta determinazione della proportio, ossia dei modi e dei limiti della transsumptio «a naturalibus ad alias facultates ex aliqua rationis proportione nominum»13, è un’operazione complessa ma necessaria nell’ambito del processo di chiarificazione dei dogmi, a partire da quello trinitario: ignorare questo passaggio, pretendere di piegare il discorso teologico alle regole valide in campo naturale ha condotto Ario e Sabellio ad elaborare eresie opposte ma accomunate dal medesimo errore epistemologico e linguistico, parlare di Dio iuxta naturalium rationem14. Ciascun nome attribuito alla natura divina perde, dunque, il suo significato originario e ne assume uno diverso: seguendo le indicazioni provenienti da Boezio, Gilberto svolge una serrata analisi critica circa il linguaggio della fede, che lo accomuna ad Abelardo. Ma laddove il Maestro Palatino si concentra sull’appa-
«Nec mirum si in theologicis – ubi cognatos rebus de quibus loquimur non possumus habere sermones sed ad illa significanda illos, qui sunt ceterarum facultatum, ex aliqua rationis proportione transsumimus – multis nominibus et diversis modis idem significamus cum in naturalibus, ubi non tanta est inopia nominum, idem saepe significant: ut ‘corpus corporale corporeum’ idem sed diverso modo significant: item ‘animal animale’ et ‘homo humanum’ et huiusmodi plurima». 11 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, Prologus primus, p. 53,15-17. 12 Cfr. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 1), pp. 263-264. 13 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 4, p. 120,62-63. 14 Cfr. ID., Expositio in Boethii librum secundum De Trinitate, 1, p. 156,38-44: «Nos qui ex horum [naturalium] aliqua proportione theologica cogitamus nulla imaginatione ab his, quae theologicorum sunt propria, debemus diduci ut scilicet – quoniam naturalium nomina ad theologica transferentes dicimus Patrem ad Filium et Filium ad Patrem et Spiritum sanctum ad utrumque et utrumque ad Spiritum sanctum referri – putemus eos aliquibus illorum, quibus sunt ad se invicem, alteros». Per un’ampia analisi della dottrina trinitaria di Gilberto, cfr. WILLIAMS, The teaching of Gilbert Porreta cit. (cap. 1, alla nota 43). Cfr. inoltre D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 330.
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rente discordanza dei testi patristici per denunciare l’insufficienza del linguaggio ordinario a esprimere l’ineffabile natura divina, il vescovo di Poitiers fa un passo in avanti, puntando alla definizione di una serie di regole del discorso teologico, precise ed uniformi, cui fare riferimento in relazione ai diversi modi di parlare di Dio: At cum QUIS VERTERIT haec praedicamenta IN DIVINAM PRAEDICATIONEM cum scilicet de Deo praedicari dicentur sive substantiae sive qualitates etc., CUNCTA QUAE PRAEDICARI POSSUNT MUTANTUR. Id est: quamvis quod de Deo praedicatur nominetur ‘substantia’ vel ‘qualitas’ vel ‘quantitas’ vel aliquo naturalium nomine appelletur, non tamen est quod dicitur. Sed aliqua rationis proportione ita nominatur15.
Gilberto quindi spiega il motivo per cui la predicazione teologica è un tipo di predicazione differente rispetto alla normale predicazione delle categorie in campo naturale16. «Proprie vel transsumptione»: con quest’espressione il maestro indica lo scarto tra le due dimensioni di significato: se l’oggetto della predicazione appartiene al mondo dei nativa, ciascun predicato gli sarà assegnato in senso proprio; se invece l’oggetto appartiene alla dimensione dei genuina, ogni predicato gli sarà attribuito in forza di una proportionalis transsumptio17. 15 GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 4, p. 119,26-31. Cfr. ANGELINI, L’ortodossia e la grammatica cit., pp. 65-68. 16 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., 4, pp. 115,26-116,34: «Recte omnium genera naturalium praedicamentorum enumerat et, quae et ex quo sensu vel de subsistentibus vel de Deo dicantur, divisione declarat. Ait ergo: traduntur a philosophis, maxime ab Aristarcho et Aristotile, praedicamenta numero suorum generum decem omnino. Praeter quae scilicet in nulla facultate aliquid praedicatur et quae de rebus omnibus universaliter id est nullo de quo aliquid dici conveniat excepto, vel proprie vel transsumptione aliqua praedicantur. Et quae illa sint, supponit». I corsivi, in questa nota e nella seguente, sono miei. 17 Cfr. ibid., p. 120,66-69: «Dicimus nominatum substantia Deum, qualitate iustum, quantitate maximum cum tamen nihil horum rationis aut generis proprietate sed tantum proportionali transsumptione dicamus». La proportionalis transsumptio va tenuta ben distinta dalla denominativa transsumptio: la prima indica, in Gilberto come in Abelardo, il passaggio di termini dal discorso naturale a quello teologico; con la seconda, invece, Gilberto designa il fenomeno per cui termini come bonus che hanno, dal punto di vista del teologo, il loro significato più proprio nel discorso su Dio, sono usati nel discorso naturale sulla base della relazione causa-effetto che lega il creatore alla creatura. Ringrazio Luisa Valente per avermi chiarito questo punto.
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Un altro principio metodologico posto da Gilberto è il seguente: «quae de Deo praedicantur, non sunt quod nominantur». Mentre il modus praedicandi resta immutato a qualsiasi livello del discorso, il senso dei predicati muta in divinis, a causa dell’assoluta trascendenza di Dio18. Le proposizioni «Dio è», «Dio è buono», «Dio è eterno» si equivalgono, poiché la semplicissima natura divina non può essere scomposta e divisa in una molteplicità di attributi: ogni predicato, riferito a Dio, è comprensivo di tutte le sue qualità, mentre riferito alle creature, esprime sempre un aspetto parziale19. Il discorso su Dio procede divisive soltanto a causa dei limiti insiti nel linguaggio umano, che non può riuscire ad esprimere l’assoluta semplicità di Dio: quando dunque ci riferiamo a Dio, pur parlando in modo parziale e ricorrendo a predicazioni che restano radicalmente inadeguate alla natura divina, in realtà non omettiamo nulla del nostro oggetto di conoscenza, in quanto esprimiamo sempre l’unica e identica essenza divina20. Se l’essenza divina è semplice, la molteplicità dei nomi con cui ci riferiamo ad essa non corrisponde ad una molteplicità reale della forma, ma ha uno scopo per così dire ‘pedagogico’21. La teologia è costretta a prendere in prestito il vocabolario naturale per parlare di Dio22.Tuttavia, l’autonomia della scienza teo18
Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, ibid., pp. 147,65-148,67: «Sic igitur theologica cum naturalibus in parte rationis illius id est personalitatis, a cuius plenitude naturalibus hoc nomen inditum est, convenire intelliguntur et in parte differre». 19 Cfr. ibid., p. 122,16-24: «Nam haec praedicamenta talia sunt ut et his de quibus praedicantur insint et ut etiam illud ipsum, in quo sunt, faciant esse quod dicitur.In ceteris quidem,quae non sunt Deus,divise id est ut praedicatio multa,quibus est is de quo loquimur,ita parciatur ut,unum praedicando,alia plurima quae de ipso praedicari possunt relinquat. In Deo vero coniuncte atque copulate. Hoc est: ut quaelibet praedicatio sive qua substantiam sive qua qualitatem sive qua quantitatem dicimus praedicatam nichil,quo sit is de quo loquimur,praedicandum dimittat». 20 Cfr. ibid., p. 123,42-47: «Ille vero de quo dicitur ‘est Deus’, est perfecte hoc ipsum quod dicitur esse: scilicet Deus. Id est: nichil prorsus, quo ipse sit, de ipso adhuc dicendum relinquit. Ipse enim nichil aliud est prorsus nisi id solum singulare et simplex quod ipse est. Nichil scilicet quo ipse sit habet nisi singularem simplicemque essentiam. Ea namque et est et Deus est». E ancora cfr. ibid., p. 124,68-72: «Nam vere, ut novis loquar verbis, alter homo, alter est iustus. Id est: aliud est id quo est homo aliud id quo est iustus. Cum vero dicitur ‘Deus est iustus’ toto eo quo ipse est dicitur esse iustus. Nec aliquid prorsus quo ipse sit dictio haec dimittit. Nam Deus idem ipsum est quod est iustum id est eodem quo est Deus est iustus». 21 Cfr. NIELSEN, Theology and Philosophy cit., p. 133. 22 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum De bonorum ebdoma-
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logica fa sì che essa stessa giudichi del senso e del valore dei predicati attribuiti al proprio oggetto: spesso Gilberto evidenzia che il criterio per stabilire il significato dei nomi divini non è la natura delle cose create su cui sono modellati, bensì la natura delle cose divine cui si riferiscono23. Una volta precisata questa serie di regole, Gilberto valuta la correttezza dell’utilizzo teologico di alcuni termini, a cominciare da substantia, cui egli preferisce il nome essentia in quanto più adatto ad esprimere la semplicità della natura divina24. I predicati di qualità e di quantità sono impropriamente attribuiti a Dio, in quanto essi perdono nella predicazione teologica l’originaria funzione di indicare una caratteristica specifica del proprio oggetto, sfumando ogni differenza semantica nell’indistinta unità del vero.Ancor meno propriamente possono predicarsi di Dio le categorie estrinseche come lo spazio e il tempo: affermare che «Dio è sempre», equivale a significare che Dio è «fuori del tempo», «oltre il tempo»25. Un’analoga torsione semantica subiscono i predide, 1, p. 200,28-30: «Deus vero omnino simplex. Nam etsi – quoniam non habemus illi cognatos, quibus de ipso loquamur, sermones – a naturalibus ad ipsum verba transsumimus». Cfr. la pseudo-gilbertina Expositio in Symboli Athanasii «Quicumque vult», ed. Häring cit. (cap. 2, alla nota 56), p. 40: «Sed nota verba esse humana et sensum theologicum et hac non veri nominis collatione animum ad intelligendum essentiae identitatem utcumque promoveri. Non enim habemus verba rebus cognata nec satis digna ad loquendum de Deo. Inde est quod sicut eum comprehendere non possumus sic nec effari possumus». 23 Cfr. VAN ELSWIJK, Gilbert Porreta cit., p. 268. 24 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 4, p. 119,36-40: «NAM quae vocatur eius SUBSTANTIA, IN ILLO quidem, de quo praedicatur, est sed NON in eo VERE EST SUBSTANTIA i.e. non ea rationis veritate qua dicitur ‘substantia’ quodlibet illud esse quo subsistens est aliquid, est substantia quod in eo est. Sed aliqua rationis proportione vocatur ‘substantia’». E ancora, ibid., p. 120,53-59: «Id vero, quo Deus est quod est, non modo in se simplex est sed etiam ab his, quae adesse subsistentiis solent, ita solitarium ut praeter id unum proprietate singulare, dissimilitudine individuum, quo est, aliud aliquid quo esse intelligatur prorsus non habeat. Ideoque nec ipsum nec qui eo Deus est, subiectionis ratione aliquibus substat. Quapropter nequaquam rationis proprietate vocatur ‘substantia’. Sed quoniam eo Deus proprie est, recte nominatur ‘essentia’». 25 Cfr. ibid., p. 129,8-21: «AT DE DEO NON ITA dicitur ‘semper est’. Intelligitur quidem collatio atque collectio sed differt. Nam in ceteris, quae dicuntur semper esse, tempora temporibus conferuntur. In hoc vero aeternitas temporibus. Deus enim est quod est, non mora temporis sed aeternitatis. (…) Excedit etiam omnia tempora haec aeternitatis Dei ad illa facta collatio. Dicitur enim Deus semper esse non modo quia fuit omni praeterito, est omni praesenti, erit omni futuro, verum etiam ante et post omnia tempora vel et actu et natura vel saltem natura temporalium».
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cati di relazione e nomi particolarmente significativi come persona: la reciproca distinzione sussistente tra le persone divine non può considerarsi alla stregua delle distinzioni personali riscontrabili in physica26. La particolarissima distinzione tra le persone divine è istituita da predicati relativi (paternitas, filiatio, connexio) che mutano anch’essi senso e valore quando sono impiegati in theologicis27. Ogni termine riferito alla Trinità non corrisponde quindi ad una forma reale insita in Dio, ma riflette i limiti della conoscenza umana e al tempo stesso la capacità di elaborare sulla base di questi limiti un linguaggio teologico quanto più possibile vicino all’idea dell’essenza divina che Dio stesso ci svela. La teoria del trasferimento dei termini dall’ambito naturale a quello divino, che i censori di Gilberto hanno interpretato come un’astuta giustificazione dell’errore», è in realtà dettata nelle sue intenzioni più profonde dall’esigenza di enunciare con il linguaggio più corretto possibile le proprietà di Dio, distinguendo quelle relative alla sua semplicissima essenza da quelle personali, evitando in questo modo il rischio di una frammentazione della sostanza di Dio28. L’altra considerazione riguarda il valore della teoria della translatio analogica in riferimento alla celebre distinzione di Gilberto tra Deus e divinitas (deitas). L’affermazione contestata a Reims «Deus est Deus deitate» riflette l’intenzione di Gilberto d’introdurre, necessariamente, in Dio la distinzione tra un id quod est ed un quo est, corrispondenti alla ‘sostanza’ divina in quanto ‘sussistente’ ed alla ragione formale che la fa essere tale. Occorre recuperare, magari tramite le considerazioni di Chenu, l’aspetto squisitamente logico-grammaticale della questione29: se è lecito
26 È dunque lecito ammettere la distinzione (di tipo razionale-dianoetico) delle tre persone divine come valida soltanto in theologia: cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 331. 27 Cfr. GILBERTUS PICTAVIENSIS, Expositio in Boethii librum primum De Trinitate, 6, p. 152,23-28: «Unde et secundum personalitatis rationem quae, proprietatum secuta differentiam, de unoquoque illorum non relative sed per se praedicatur, minime illa est indifferentia ut et unusquisque per se et tres simul sint una persona. Pater namque quoniam Deus est, creaturarum omnium auctor et principium est. Similiter et Filius et Spiritus sanctus». 28 Cfr. D’ONOFRIO, L’«età boeziana della teologia» cit., p. 332. 29 Cfr. CHENU, Grammaire et Théologie cit. (cap. 5, alla nota 22), pp. 105-106; tr. it., p. 118.
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affermare che «Dio è», allora si deve poter dire anche che «Dio non può essere che per la sua essenza», in questo caso per la ‘deità’, e non per qualcos’altro, visto che predichiamo di Dio l’essere divino. Nell’esse semplice e assoluto della realtà divina non c’è spazio per la composizione di substantia cum qualitate, che è invece un modus significandi esclusivamente umano, proprio del nostro approccio categoriale e composito alla realtà esterna30.
2. Prime precisazioni terminologiche Fin dalle opere risalenti agli anni 1140-50, i Porretani accolgono le indicazioni essenziali offerte da Gilberto intorno alla costituzione di un adeguato discorso teologico, in particolare la necessità di individuare alcuni criteri che regolamentino la translatio dei vocaboli dal campo delle scienze naturali alla scienza di Dio31. È quanto fanno, con apprezzabili risultati, gli autori delle Sententiae magistri Gisleberti, delle Sententiae divinitatis, del Tractatus «Invisibilia Dei» e della Summa Zwettlensis, fornendo numerosi esempi di predicazione teologica e non risparmiando per altro anche talune correzioni critiche al comune maestro32. L’autore delle Sententiae magistri Gisleberti, redatte prima del Concilio di Reims, non si limita a riprendere alcune osservazioni fatte dal maestro a proposito della definizione di un nuovo vocabolario teologico, ma cerca di migliorarne le teorie mediante una
30
Cfr. ibid., p. 108; tr. it., p. 121. La prospettiva suggerita da D’ONOFRIO, L’«età boeziana» della teologia cit., p. 332, è ancora più ampia: «L’accettazione o il rifiuto della transsumptio dei termini ‘a naturalibus ad theologica’ sono destinati a diventare dopo Gilberto i connotati della demarcazione fondamentale creatasi tra la posizione dei teologi più tradizionalisti, soprattutto di formazione monastica, che condannano ogni eccesso di logicismo in nome di una sapienza teologica fondata esclusivamente sul lascito dottrinario dei Padri e concepita come un intimo ascolto del discorso della fede, e quella degli autori che, con precise aspirazioni speculative, si mettono in cerca di una precisazione dell’ambito di indagine e dell’apparato strumentale della teologia per farla essere un veritiero discorso sulla fede». 32 Cfr. COLISH, Peter Lombard cit., I, pp. 140-141: «While Gilbert’s modern defenders have vindicated his orthodoxy, it is certainly the case that he left a tangled legacy to his successors.The fact that this was so gave Gilbert’s disciples pause, and inspired his earliest pupils, those working within Gilbert’s own lifetime, to reassess the utility of his semantics as applied to theology». 31
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serie di accorgimenti linguistici. È una preoccupazione comune a numerosi allievi di Gilberto quella di correggere le imprecisioni terminologiche del maestro e di precisare la sua posizione, difendendola dagli attacchi che essa continuò a suscitare. L’allievo di Gilberto individua nella veritas rerum e nella congruentia verborum le condizioni fondamentali per la trattazione dei contenuti della fede33. La scelta di un lessico più tradizionale di quello utilizzato dal maestro è confermata laddove la correttezza dei termini è posta in relazione con la congruenza dei vocaboli agli oggetti di riferimento: è preferibile quindi usare espressioni conformi alle realtà significate (cognati sermones rebus)34. Vanno evitati, invece, termini inadeguati, invenzioni moderne (novitates sermonum) prive dell’autenticità e della convenienza di cui sono dotate le parole scelte dalla tradizione cristiana (ex aliqua auctoritate sanctorum). È significativo, in questo senso, che l’allievo non utilizzi i termini tipicamente gilbertini subsistens/subsistentia e deus/divinitas. Egli accoglie, tuttavia, dal maestro la teoria della translatio terminorum a naturalibus ad theologica e la relativa applicazione35. L’analisi dei vocaboli applicabili a Dio si apre con il termine substantia e le sue varie accezioni semantiche, sia in naturalibus che in teologia. Substantia può essere riferito sia ad ognuna delle persone trinitarie che alla loro essenza comune. L’autore non concorda con i teologi latini, che considerano sinonimi i termini ‘sostanza’, ‘ipostasi’ e ‘persona’, ma con i teologi greci, che equiparano la sostanza alla 33 Cfr. Sententie magistri Gisleberti Pictavensis episcopi I, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 56), p. 108: «Omnibus secreta theologiae tractare volentibus duo sunt necessaria: veritas rerum et congruentia verborum; alterum quorum si desit, facit haereticum, alterum scismaticum. Congruentia verborum si desit, facit scismaticum; veritas rerum ‹si desit› facit haereticum. Non enim debemus iudicare aliquem esse haereticum secundum prolacionem sententiae vel scripturae sed secundum intelligentiam». Le citazioni sono estratte dalla prima reportatio, quella di Tortosa, poiché è la più completa. 34 Cfr. ibidem: «Congruitatem verborum tria comitantur: quod verba sint honesta. Nisi enim honeste de Deo dicamus, quicquid dixerimus erramus quia de re honesta oportet loqui honeste. Oportet enim sermones esse cognatos rebus de quibus loquimur, ut ait Plato. Quia si dicamus: Deus est ubique, ergo in caputio vel huiusmodi, nichil valet». 35 Cfr. ibid., p. 109: «Diximus secreta theologiae circa duo constare: circa unitatem substantiae et Trinitatem personarum. Modo dicendum est de his duobus vocabulis de usya et de substantia. Sed antequam dicamus de his duobus vocabulis, sciendum est quod omnia nomina quibus de Deo loquimur a naturalibus ad loquendum de Deo transferuntur».
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ousia36. Le precisazioni sull’uso teologico del termine ‘sostanza’ consentono all’allievo di Gilberto di evitare gli imbarazzi linguistici del maestro, provocati dal trasferimento dei concetti di astratto e concreto alla natura divina. L’essenza della Trinità divina è una,«sed quamvis sit una et eadem,tamen multis nominibus vocatur»37. Non c’è contraddizione tra la molteplicità di nomi con cui si può indicare la divinità e l’unità sostanziale che la caratterizza. L’uso di nomi multivoca come «pietas», «bonitas», «iustitia» è legittimo se si tiene presente che essi non intaccano la perfetta semplicità di Dio, che può definirsi «simplex quia in eo non est multiplicitas naturarum nec partium quia una et eadem est natura»38. Segue un’articolata classificazione dei predicati divini, che l’autore sviluppa a partire dalla distinzione tra nomi essenziali («bonitas», «sapientia») e nomi non essenziali («creator», «refugium»), all’interno dei quali sono distinti i nomi relativi («pater», «filius») e quelli non relativi («iustitia», «dilectio»); un’ulteriore sottodistinzione è tra i nomi che indicano relazione riguardo alle persone, quelli che indicano relazione riguardo alle creature e quelli (come «principium») che la denotano in entrambi i modi. I nomi essenziali di Dio non ammettono la pluralità, mentre il termine persona può essere predicato al plurale per aiutare a comprendere il dogma trinitario39.Tra i nomi divini essenziali si 36 Cfr. ibid., p. 110: «Modo dicamus de substantia. Substantia est aequivoca. Aliter enim dicitur in theologia, aliter in naturalibus. In naturalibus tribus modis: res subiecta vel substantialis forma i.e. genus et species vel ille habitus qui est inter substantiam et proprietatem. In theologia duobus modis. Aliquando ponitur pro persona, aliquando pro essentia trium personarum. Quod substantia ponitur pro persona, Ilarius dicit: Pater et Filius et Spiritus sanctus sunt tres substantiae i.e. tres ipostases i.e. tres personae, quod pie potest dici et pie potest taceri, quia quod Graeci dicunt usiam, nos dicimus essentiam. Quod illi dicunt ipostasim, nos dicimus personam». 37 Ibidem. 38 Ibid., pp. 110-111. 39 Cfr. ibid., pp. 112-113: «Modo dicendum est quod eorum vocabulorum quae dicuntur de Deo, alia dicuntur secundum essentiam, alia non. Eorum quae dicuntur non secundum essentiam, alia dicuntur relative, alia non. Quae dicuntur relative, alia dicuntur respectu personarum, alia respectu creaturarum. Secundum essentiam ut bonitas, sapientia: non secundum essentiam ut creator, refugium. Relative ut pater, filius. Non relative ut iustitia, dilectio. Respectu creaturarum creator, refugium. Respectu personarum ut pater, filius. (…) Quamvis autem illa quae dicuntur de Deo secundum essentiam non accipiant pluralitatem, tamen adiuncta his quae recipiunt pluralitatem pluraliter proferuntur. Unde tres personae dicuntur coeternae, iustae, piae. Quemadmodum illa que dicuntur secundum
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distinguono, inoltre, quelli che sono detti de personis ab essentia («bonus», «iustus», «potens ab essentia») e quelli che sono detti semplicemente secundum essentiam («bonitas», «divinitas»), che indicano l’unica essenza comune alla tre persone.Tra i primi, alcuni sono detti in designatione unius personae tantum (indicano cioè i reciproci rapporti tra le persone trinitarie), altri in designatione trium («creator», «omnipotens»). Il nome «voluntas», dotato di un ampio spettro semantico, è trattato insieme ai nomi «potentia» e «scientia», che rimandano ai concetti di provvidenza e predestinazione40. Un’altra classificazione dei termini naturali applicati alla natura divina separa quelli predicati di Dio secundum effectum, per cui Dio è detto «postulare quia facit nos postulare», quelli applicati secundum intellectum contrarii, per cui Dio è detto «indurare aliquem quia subtracta gratia non mollit, non impartiendo malitiam sed subtrahendo gratiam» e quelli predicati secundum partem vel affinitatem significationis, per cui Dio può esser detto anche «penitens, crapulatus, furibundus, iratus»41. In definitiva, la riflessione sulle potenzialità e sulle caratteristiche del sermo theologicus da parte dell’anonimo redattore delle Sententiae appare piuttosto matura ed elaborata: le indicazioni metodologiche dell’esordio sono supportate, infatti, da un’analisi attenta a distinguere le varie tipologie degli attributi divini, nell’intento di precisare e migliorare la terminologia teologica, specialmente trinitaria, di Gilberto. Anche l’autore delle Sententiae divinitatis muove alcune critiche nei confronti di Gilberto e della sua terminologia teologica, in particolare della contestata formula Deus non est divinitas42.Tuttavia, la correzione di alcune affermazioni pericolose è inserita all’interno di un più ampio progetto di difesa dell’onestà teologica del maestro. L’ultimo capitolo dell’opera, dedicato all’uni-trinità essentiam non recipiunt pluralitatem ita et accomodata eis non recipiunt pluralitatem sicut gubernator, dominus, creator, cum sint accomodata Deo, non recipiunt pluralitatem. Non enim sunt tres creatores vel tres gubernatores». 40 Cfr. ibid., pp. 117-118. 41 Cfr. ibid., pp. 118-119. 42 Cfr. Sententiae divinitatis, ed. Geyer cit. (cap. 1, alla nota 12), pp. 68*,2769*,2: «Nonne divinitas est Deus et non aliud a Deo? Respondeo, quod divinitas est Deus et non aliud a Deo, actu rationis, sed non forma loquendi, ratione fidei, non ratione humanae philosophiae».
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divina, contiene alcune riflessioni sul linguaggio teologico, prive di sistematicità ma non di interesse. Nella sezione dedicata all’unità divina, l’autore si sofferma, in particolare, sul significato della frase «Deus est ubique», e quindi sulla funzionalità teologica della categoria del luogo. Una cosa può dirsi in un luogo nel senso che sta in un dato luogo e non in un altro ed è delimitata materialmente da quel luogo, oppure nel senso che sta in un luogo preciso ma non è circoscritta da esso, o ancora nel senso che non è circoscritta da un certo luogo, né è compresa realmente in esso, come avviene appunto per Dio, che è dovunque pur non essendo in un dato luogo43. Nella sezione dedicata alla Trinità sono trattate dapprima le proprietà divine, poi le persone divine, infine i predicati trinitari. Il nome ‘Dio’ si riferisce sia alle persone che alla sostanza («ad utrumque se habet, scilicet ad personam et ad substantiam»44). Il termine ‘persona’, in relazione all’ambito in cui è utilizzato (grammatica, retorica, fisica, teologia), può essere inteso in quattro modi distinti («quadrifariam recipit divisionem»). Emerge, dunque, la precisa consapevolezza dei rischi insiti nella confusione tra le varie discipline, in particolare tra la filosofia natuale e la teologia45. L’analisi del valore semantico di alcuni nomi divini prende le mosse da una distinzione fondamentale: quella tra i nomi «quae dicuntur ad se, et substantiam praedicant» (omnipotens, principium) ed i nomi «quae solas personas distinguunt» (pater, filius). I nomi naturali si possono distinguere tra quelli che predica43 Cfr. ibid., pp. 157*,27-158*,10: «Corporalis res omnis ita est in loco, quod localis et localiter; localis, quia interpositione sui facit distantiam loci; localiter, quia loco circumscribitur secundum dimensionem sui, ut ante et retro, sursum et deorsum, dextrorsum et sinistrorsum. Nam maioribus partibus maiora occupat loca, minoribus minora. Sed spiritus creatus ita est in loco, quod localis et non localiter. Localis, quia ita in uno loco, quod non in alio; sed non localiter, quia interpositione sui non facit distantiam loci. Spiritus vero increatus ita est in loco, quod non localis nec localiter; localis non, quia a loco non continetur; localiter non est, quia non circumscribitur, sed in loco esse dicitur, quia in omni loco est». 44 Ibid., p. 160*,24-25. 45 Cfr. ibid., p. 164*,9-16: «Vel possumus dicere, quod praedicta definitio sane admitti potest ad theologiam, ut dicamus: Persona est rationalis individuae naturae substantia. Quae definitio bene convenit personae Patris. Nam persona Patris est rationalis substantia individuae naturae, id est nulli unita. Sed gravis emergit oppositio: Si Pater rationalis substantia, et Filius et Spiritus sanctus; ergo sunt tres rationales substantiae. Sed non sequitur. In naturalibus vera esset talis argumentatio, sed in theologicis fallit».
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no la sostanza (bonus, magnus, omnipotens) e quelli che predicano la relazione (principium, dominus, creator, operator, refugium).Tra i nomi che predicano la sostanza, poi, «alia praedicant substantiam absolute, ut bonus, sapiens, alia in respectu dicuntur, ut trinus»46. Altri esempi riguardano i limiti teologici dell’attributo aeternus («quod carens principio et fine Deus est») e del numero tres («nec numerus cadit in Deum, quia super omnem numerum est»). I nomi che indicano la relazione hanno la caratteristica di significare qualcosa di estrinseco all’oggetto in questione, nel caso specifico al Dio trinitario, e vanno distinti dai nomi personali, intrinseci alla natura considerata47. Un’ultima osservazione è dedicata a quei nomi naturali, come potenza, sapienza, bontà, amore, carità, «quae si absolute proferantur, non melius de una persona quam de aliis personis intelliguntur». Ciò vuol dire che principium è l’attributo tradizionale del Padre, sapientia quello del Figlio, benignitas dello Spirito Santo, ma ognuna delle tre persone non è che caratterizzata nominalmente dal rispettivo attributo: «non enim natura appropriata est, sed dictio, id est non magis appropriat Patri potentia quam Filio vel Spiritui sancto»48. L’analisi dei nomi divini contenuta nelle Sententiae divinitatis manca di organicità, trascura di trattare alcuni attributi fondamentali della tradizione cristiana come sostanza, essenza, volontà, e soprattutto è priva di indicazioni metodologiche riguardo le norme che devono regolamentare la translatio terminorum a naturalibus ad theologica. Ne risulta una riflessione piuttosto estemporanea e priva di una base programmatica ed epistemologica su cui fondare il discorso teologico, se si eccettua la consapevolezza, ereditata da Gilberto, della torsione semantica subita dalle argomentazioni naturali in teologia. 46
Cfr. ibid., p. 167*,12-13. Cfr. ibid., p. 168*,16-22: «Sicut cum dico: Pater est bonus, Filius est bonus, Spiritus sanctus est bonus, non tamen tres boni, sed unus bonus, ita hoc nomen creator vel principium de unaquaque persona dicitur, non tamen tria principia vel tres creatores, sed unus.Vel ideo, quod istorum nominum auctoritas in Deo consistit; significant scilicet, ut diximus, relationes, quae non intrinsecus rem attinent, sed ad extrinseca exeunt». E cfr. ibid., p. 169*,20-23: «Personalia nomina sunt addicta personalibus proprietatibus et significant relationes, quae non exeunt ad exteriora, sed remanent intrinsecus». 48 Ibid., p. 170*,22-24. 47
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Il Tractatus «Invisibilia Dei» è, tra le opere appartenenti alla prima scuola porretana, quella che offre il contributo più innovativo al processo di elaborazione del vocabolario teologico, grazie al richiamo alla tradizione teologica pseudo-dionisiana49. Dopo aver mostrato auctoritate et ratione come l’invisibile si manifesti attraverso il visibile, l’autore invita ad ascendere tota mentis consideratione alla semplicità della natura divina, a cui i nomi che indicano il principio si addicono meglio che alle forme create50. L’autore esplicita quindi il metodo del discorso teologico, a partire dall’attributo della semplicità divina e con il sostegno di numerose fonti patristiche, tra cui spicca lo pseudo-Dionigi51. Le rationes dicendi che sono alla base della nominabilità degli esseri composti, non possono valere in riferimento alla natura divina, che non può essere descritta in termini positivi: è preferibile parlare di Dio indicando ciò che non è, piuttosto che andare alla ricerca di attributi positivi che non possono aumentare la conoscenza umana di Dio («cum de Deo negative loquimur, melius loquimur quia facilius intelligimur»52). Il discorso teologico deve procedere, dunque, per negazioni anziché per affermazioni, in quanto il metodo apofatico si riferisce al Creatore in maniera più corretta, conservando la distanza tra i predicati umani e la natura divina53. L’ade49
Sulla convergenza tra pensiero dionisiano e tradizione boeziana, cfr. M.-D. CHENU, Les platonismes au XIIe siècle, in La théologie au douzième siècle cit. (cap. 1, alla nota 73), [pp. 108-141], pp. 129-135; tr. it., [pp. 123-159], pp. 146-152. Cfr. inoltre ANGELINI, L’ortodossia e la grammatica cit., p. 142. 50 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 53), p. 123: «Nomina principium significantia vere et proprie et principaliter Deo conveniunt, secundario autem formis creatis». 51 Cfr. ibid., p. 124: «Igitur quia vere Deus simplex et inconplexus est, conplexi de inconplexo sermones proprie fieri non possunt. Dicendi namque rationes in eo non sunt. De conpositis rebus proprie loqui possumus quia rationes dicendi in eis invenimus. De simplicibus vero non. Simplicia quidem vere sunt sed non vere esse dicuntur. Conposita vero vere esse dicuntur sed non vere sunt. Ideo quia quid sit Deus scire non possumus, quid autem non sit scire debemus, de illo negative melius quam affirmative loquimur. Sicut ergo nesciendo melius scitur sic negando melius ipsum confitemur. Unde beatus Dyonisius dicit: Omnis negatio de Deo vera est i.e. propria et omnis affirmatio inconpacta i.e. impropria». 52 Ibid., p. 125. Gilberto scorgeva invece negli attributi negativi gli stessi limiti riscontrati negli attributi positivi: cfr. NIELSEN, Theology and Philosophy cit. (cap. 1, alla nota 81), p. 161. 53 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», p. 125: «Suae quoque divinitatis excellentiam negando melius demonstramus et honoramus illam per hoc ostendentes ita ab
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sione, da parte dell’autore del Tractatus, alla teologia negativa di matrice pseudo-dionisiana consente al teologo porretano di raffinare l’analisi semantica di Gilberto: ogni variazione rispetto alla posizione del maestro è comunque tesa a salvaguardarne la correttezza teologica54. L’autore riserva al tema del trasferimento dei termini dalle creature a Dio una parte importante del suo trattato55. Quando si trasferiscono le parole dalle scienze naturali alla scienza divina, il loro significato non va inteso più in senso letterale ma analogico, proporzionale56. Dio è detto ‘immutabile’ in quanto non può essere mosso né può mutare in alcun modo: l’autore enumera ben sei tipi di moto o mutazione e di ognuno di essi chiarisce l’alterità radicale con la natura divina. Dio è poi detto ‘immortale’ in un senso diverso rispetto all’anima umana: «nam Deus est inmortalis natura et actu (…), anima vero inmortalis est actu, non natura»57. Lo stesso ‘essere’ è predicato in senso autentico solo di Dio, in quanto le creature non ‘sono’ in maniera necessaria e potrebbero anche non essere58. Dio, inoltre, non può essere definito un aliquid, in quanto solo gli esseri composti possono essere considehumano corde remotam et supra rationem dicendi positam quod inde fari nequeamus. Quia vero Deus non causatum sed causa est, affirmatio quae de illo fit inpropria est quia per illam nichil ei copulamus. Quod utique fieret si propria esset. Cum enim dico: Deus est bonus, bonitatem illi non copulo. Unde manifestum est quia inpropria est locutio. (…) Praedicari est aliquid alicui inesse demonstrari. Deo vero qui simplex est nichil inest vel adest. Nichil ergo ei inesse demonstrari potest. Nulla ergo praedicatio de Deo conpacta est i.e. propria sed omnis incompacta i.e. inpropria. Quia ergo nichil Deo attribui potest, melius negative dico: Deus non est, quam affirmative: Deus est. Deus quidem vere est sed non vere esse dicitur. Nam cum dico: Deus est, videor ei essentiam attribuere et eum alterius participatione esse ostendere. Quod fieri non potest». 54 Cfr. COLISH, Early Porretan Theology cit. (cap. 1, alla nota 89), p. 66. 55 Cfr. Tractatus «Invisibilia Dei», pp. 138 e seqq. 56 Cfr. ibid., p. 125: «Ad illum vero intellectum demonstrandum quem de prima causa i.e. de creatore habemus, si tamen de eo aliquid intelligimus, vocabula a creaturis sumimus et ad ipsum transferimus. Sed sub illis sensibus, quos in creaturis habent de creatore, ea non proferimus. Cum enim locutiones humanae in Deum translatae fuerint, ut Boetius dicit,‘cuncta mutantur quae praedicari possunt’». La citazione è da BOETHIUS, Opuscula theologica, I, De sancta Trinitate, 4, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), p. 173,182. 57 Tractatus «Invisibilia Dei», p. 139. 58 Cfr. ibidem: «Quoniam ergo Deus necessario est, de illo vere dici potest: Deus est. Quia vero cetera quae creata sunt necessario non sunt, immo possibile est ea non esse, de illis dici potest quia non sunt».
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rati tali: la ragione fondamentale della radicale incapacità umana di conoscere l’essenza divina consiste nell’assoluta semplicità di Dio, ben diversa dalla semplicità dell’anima umana59. Pur nella sua incompletezza, il trattato presenta, dunque, una riflessione nuova sui temi legati al discorso teologico. L’autore mostra, rispetto ai suoi immediati predecessori porretani, di essere meno legato ai problemi terminologici connessi alla teoria trinitaria e collega il discorso della translatio nominum al tema più generale della conoscenza degli invisibilia Dei. L’opera rappresenta, inoltre, la prima testimonianza dell’ingresso nella scuola porretana della tradizione pseudo-dionisiana, che incide profondamente sull’elaborazione del sermo theologicus da parte dei maestri della seconda metà del secolo. Nel Commento ai nomi divini di Guglielmo da Lucca sono perfettamente saldate la tradizione logico-filosofica porretana e la teologia pseudo-dionisiana60. L’analisi della natura e delle strutture del linguaggio teologico, condotta sulla scorta del testo dionisiano, muove dalla considerazione delle modifiche subite dagli strumenti grammaticali, quando essi sono trasferiti in teologia.Anche Guglielmo si pone il problema dell’adattamento del linguaggio ordinario e filosofico all’oggetto della teologia, e s’interroga sulla legittimità della translatio dei nomi e dei predicamenti della realtà creata in divinis. Ogni attributo predicato di Dio si riferisce all’unica essenza e non a un aspetto limitato: la natura divina non soggiace alle ordinarie leggi di significazione, in quanto in Dio non si distinguomo la substantia e la qualitas, ossia i due elementi costitutivi del nome secondo la definizione di Prisciano61. Per Gu59 Cfr. ibid., pp. 141-143: «Igitur quoniam (…) Deus prorsus est simplex et sine compage partium ut corpus, sine concretione formarum ut spiritus, nec alicui inest ut forma nec aliquid ei inest ut materiae. Circa eum et virtus intelligendi et facultas dicendi succumbit. Si autem circa Deum deficit virtus intelligendi, manifestum est quia circa eum locum non habet facultas dicendi. Nam plus intellectus extendit se in concipiendo quam sermo humanus parere possit in explicando. Multa enim intelligimus quae dicere minime valemus. Evidens declarat ratio quod Deus nec sensum nec intellectum in se admittit. (…) Eius namque simplicitatis cuius est Deus nulla creatura est». 60 Cfr. GASTALDELLI, Introduzione al Comentum cit. (cap. 1, alla nota 86), pp. LXXVII-LXXXIV. 61 Cfr. WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam ierarchiam, ed. Gastaldelli cit. (ibidem), p. 188: «Vel inde absolutum nuncupatur, quia cum aliquid de Deo di-
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glielmo, infatti, il criterio in base al quale va giudicato il valore dei predicati è la natura dell’oggetto: «non enim sermoni res, sed rei est sermo subiectus»62. Emerge in tutta la sua radicalità il paradosso di un ente, quello divino, di cui si predica una molteplicità di nomi e che conserva, tuttavia, un fondo di assoluta innominabilità e trascendenza63. L’ambiguità del linguaggio che deve esprimere realtà diverse e tra loro incommensurabili emerge in particolare nel caso del verbo ‘essere’, attribuito in senso univoco a Dio e in senso equivoco alle cose create64. Nella translatio dei nomi dall’ambito naturale a quello divino, la predicazione «secundum aliquid» della filosofia naturale cede il posto alla predicazione «secundum divinam et perfectam rationem»65. La grammatica puntualizza di volta in volta la differenza del linguaggio teologico rispetto a quello ordinario e filosofico: da qui l’analisi di attributi divini come optimum, bonum, divinus e il suo comparativo dicitur, nonnisi Deus est quod praedicatur. Quicquid enim de Deo dicitur, Deus est. Denominatio ergo divinitatis ab omni lege predicamentalis inherentiae absoluta monstratur, quia cum omne praedicatum magis sit a suo subiecto diversum quam asinus a lapide, hoc praedicamentum divinae nominationis absolvitur, quia hoc ipsum est de quo veraciter praedicatur. Numquam enim praedicatum cum suo subiecto in aliquo genere congruit, sed divinitatis praedicamentum est hoc ipsum Dei genus de quo praedicatur. Et ideo absolutum dicitur». 62 Ibid., p. 5. 63 Cfr. ibid., p. 18: «Quomodo occulta divinitas innominabilitas asciscit vocabulum, cum multis nominibus polleat? Sed excellentius appellari non potuit. Non enim inveniri potest nomen substantivum, quod singulari et incommunicabili Dei natura de Deo dicatur, nisi forte sit hoc nomen.‘Deus’ enim nomen multis commune est in caelo et in terra. ‘On’ vero, quod latine dicitur est vel esse, multis quoque communicabile est.‘Omnipotens’ vero quasi vox complexa est et non proprium nomen divinitatis.‘Creator’ vero sive Factor magis secundum relationem quam secundum substantiam vel per se dici videtur. Per singula igitur currens, non est reperiri nomen quod digne, substantive, incommunicabiliter et incomplexe Deo conveniat, unde recte appellatur ‘innominabilitas’». 64 Cfr. ibid., p. 86: «Cum enim haec vocabuli nota, quae est ‘sum’, eis rebus quae sunt inopia fortasse vel usu dicendi tribuitur, extra suae significationis singularem metam vagatur, quia rebus creatis per translationem praesumptae aequivocationis inditur. (…) Cum igitur sancta divinitas apud Exodum dicit ‘Ego sum ON’, non aequivoce sed propter maiestatem singularis adiunctionis, ex qua illic mutilatur aequivocum, univoce dixit, quia se esse et secundum substantiam formae et secundum formam substantiae professus est». 65 Cfr. ibid., p. 205: «Cum igitur habeas in naturalibus quid sit praedicari vel dici secundum aliquid, hoc ipsum et in theologicam rationem, id est ad dealitatem transtulit sanctus Dionisius, ostendens omnes divinas nominationes secundum divinam et perfectam rationem, quae dealitas seu deitas est, toti divinitati adesse».
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vinius, universalis, simplex e così via. Il discorso di Guglielmo segue fedelmente l’ordine dei nomi divini commentati da Dionigi, ma vi aggiunge spunti logici e grammaticali nuovi e un’impostazione speculativa per molti versi vicina a quella di Gilberto.
3. Le regole del discorso teologico in Alano di Lilla L’intento di precisare e stabilizzare il vocabolario teologico del tempo, di dissipare i rischi di equivoco più frequenti, di puntualizzare il senso delle espressioni bibliche più ambigue, è presente in gran parte della produzione teologica di Alano di Lilla, dalla Summa «Quoniam homines» alle Regulae caelestis iuris, dal De fide catholica alle Distinctiones66. Nel Prologo della Summa,Alano definisce un compito fondamentale per il teologo quello di conoscere le caratteristiche semantiche delle parole che usa: egli deve infatti saper scegliere il significato più appropriato per ogni contesto in cui vengono adoperate67. La scarsa conoscenza delle potenzialità dei termini conduce ad errori, paralogismi, vizi formali del ragionamento, distorsioni della dottrina cristiana fino ad esiti ereticali. Un principio fondamentale è la distinzione tra il piano della realtà naturale e quello della natura divina: «cum enim termini a naturalibus ad theologica transferuntur, novas significationes admirantur et anti66
Cfr. VASOLI, La teologia apothetica cit. (cap. 3, alla nota 79), p. 179: «Pochi pensatori hanno avuto, come il maestro di Lilla, una consapevolezza così chiara e precisa della necessità di fissare regole rigorose del linguaggio teologico e, al tempo stesso, della radicale inadeguatezza di una scienza costretta a servirsi sempre di un discorso ‘improprio’ e di termini ‘translati’ da un campo linguistico del tutto diverso». Cfr. inoltre ID.,Ars grammatica e translatio teologica in alcuni testi di Alano di Lilla, in Arts libéraux et philosophie au Moyen Âge, Actes du quatrième congrès international de philosophie médiévale, éd. H. I. Marrou et al., Montréal 1967, pp. 805-813; EVANS, Alan of Lille’s Distinctiones cit. (cap. 7, alla nota 37). 67 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», ed. Glorieux cit. (cap. 1, alla nota 45), p. 119: «Et quia, ut aristotelica tuba proclamat, qui virtutis nominum sunt ignari, cito paralogizantur, dum illi in theologicorum scientia deficiunt, diversas erroris imposturas conficiunt, ignorantes quod sicut res divinae natura praeeminentes miraculosae sunt, ita et eas nomina non naturaliter sed miraculose significant. Unde summus testatur Hilarius: Sermo naturae succumbit, et rem ut est verba non explicant». Cfr. ARISTOTELES, De sophisticis elenchis, I, 165a, transl. Boethii, ed. B. G. Dod, Leiden - Bruxelles 1975 (AL,VI,1/3), p. 6,11-13; HILARIUS PICTAVIENSIS, De Trinitate, II, PL 10, [25C-472A], 56.
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quas exposcere videntur»68. Le parole, dotate di un determinato significato nell’uso ordinario, ne acquistano uno totalmente nuovo nel campo della scienza teologica: il trasferimento non è neutro, bensì necessita di un’attenta analisi da parte del teologo, chiamato a spiegare i misteri della fede attraverso l’uso accorto del vocabolario ‘naturale’69. La scienza teologica, per indagare i contenuti della fede, deve stabilire regole e criteri della costruzione del suo discorso, avvalendosi delle arti sermocinali ma piegandole alle sue esigenze particolari70. Nel primo libro della Summa trova spazio un’analisi sistematica dei nomi divini, svolta sulla base congiunta delle auctoritates cristiane e pagane e delle rationes umane, e inaugurata dall’esame dell’unità dell’essenza divina71. Dio non è solo uno, ma è l’unità in sé, la monade immutabile e sempre identica a sé stessa. L’intelletto umano, abituato a distinguere e separare, per intuire la semplicità dell’unità divina è costretto a immaginarsi qualcosa di completamente estraneo alle realtà fisiche. Il metodo di conoscenza più adeguato è, quindi, quello di sottrarre attributi positivi all’entità divina, sottraendolo alle leggi ordinarie di significazione. La teologia negativa pseudo-dionisiana, che incide in maniera profonda nella teologia dell’autore del Tractatus «Invisibilia Dei» e di Guglielmo da Lucca, ispira alcuni dei passaggi teoretici più importanti di Alano72. Dio è ingenerato (in quanto la generatio altro non è che l’adventus formae ad materiam, e tale distinzione non può sussistere in Dio), incorruttibile, immortale (in quanto la morte è il recessus for68
Cfr. ibidem. Sul rapporto tra la teologia e le regole delle artes in Alano, cfr. EVANS, Alan of Lille and the threshold of theology cit. (cap. 3, alla nota 59). 70 Sul contributo della grammatica e della logica alla costruzione della teologia di Alano, cfr. CHATILLON, La méthode théologique d’Alain de Lille cit. (cap. 3, alla nota 82); DE LIBERA, Logique et théologie cit. (cap. 4, alla nota 89). 71 Cfr. ALANUS AB INSULIS, ibid., p. 122: «De qua hoc ordine agendum est: primo, probando unitatem essentiae rationibus variis; secundo auctoritatibus variis gentilium philosophorum; tertio utendo auctoritatibus sanctorum patrum, tam veteris quam novi testamenti, hoc modo». 72 Cfr. ibid., p. 123: «Quia ergo universalis rerum causa omnimodam habet in se simplicitatem et ita in se nullam retinet formam, nec mensura intellectus concipi potest. Itaque immensus, incomprehensibilis, investigabilis, inintelligibilis intelligitur esse Deus; et hoc solum de Deo scire fatemur ut nichil de eo scire confiteamur». Cfr. LICCARO, Conoscenza e inconoscibilità di Dio cit. (cap. 3, alla nota 65). 69
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mae a materia), immutabile, eterno, infinito, causa efficiente di ogni cosa73.Autorità pagane (Platone, Macrobio, Ermete Trismegisto) e cristiane (Agostino, pseudo-Dionigi, San Giovanni) sono citate a sostegno della tesi dell’unità e incomprensibilità divina. Sgombrato il campo dalle tesi di Aristotele e Platone, degli epicurei e dei manichei, che in maniere diverse sembrano contrastare l’assioma-base dell’unità divina, Alano si sofferma sull’attributo della semplicità, che non consente di distinguere Dio dalla divinità74. Con il sostegno di Boezio, Agostino, Isidoro e Ilario, Alano riafferma il carattere incomposito dell’essenza divina, all’interno della quale non si può distinguere un quod est e un quo est. L’intelletto umano non può accedere a un’adeguata comprensione dell’unico e semplicissimo principio primo, in quanto è privato dei suoi abituali termini di riferimento e delle sue usuali categorie concettuali75. Sulla scia della tradizione teologica negativa («Deus non potest capi intellectu nisi per remotionem»), Alano non ha difficoltà a passare dal problema della conoscibilità di Dio alla questione della sua nominabilità76. Il maestro di Lilla si inserisce nella scia di Platone («oportet nos habere sermones cognatos rebus de quibus loquimur, sed ullus sermo cognatus est divinae naturae, ergo nullus sermo proprie potest explicare divinam naturam»), di Ermete Trismegisto, di Dionigi («cum de Deo loquimur, potius quid non sit quam quid sit significamus; quasi dicat: nullo nomine quid Deus sit, proprie possumus designare»), di Agostino e di Ilario, ed afferma con chiarezza il primato degli attributi divini negativi sui nomi positivi, i quali implicano sempre una composizione tra sog73
Cfr. ALANUS AB INSULIS, ibid., pp. 123-124. Cfr. ibid., p. 134: «Si omnimoda simplicitas in Deo est, non est aliud Deus, aliud deitas, sed ipse Deus est deitas. Si enim deitas esset in Deo et aliud quod Deus, ibi esset compositio et ita non plena simplicitas». 75 Cfr. ibid., p. 137: «Nihil enim intelligibile est nisi quod in eo genere concipiendi intelligitur quo animus rem aminiculo suae proprietatis percipit, et perceptioni secundum veritatem quam in compositione considerat, assentit; et existentia quidem aminiculis earum proprietatum quibus sunt ficta, non quibus aliquid esse fingitur,concipi possint.Deus vero nullis proprietatibus subiectus esse potest;unde et si magnus, non tamen quantitate, et si iustus non tamen qualitate, et si durat non tamen tempore». 76 Cfr. ibid., p. 139: «Sicut probatum est Deum esse incomprehensibilem, ita evidens est ipsum esse innominabilem. Ullum enim nomen proprie convenit Deo». 74
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getto e predicato77.Alano recepisce da Gilberto la riduzione della corrispondenza tra la realtà, l’intelletto e il linguaggio e la radicalizza applicata alla realtà divina78. Poiché, tra l’altro, ogni nome è assegnato dall’uomo a partire dal suo intellectus, e l’uomo può avere intellectus solo delle forme, nessun nome può essere propriamente assegnato a Dio che è privo di forma79. Alano intende stabilire le regole di una corretta trasposizione di senso e di valore semantico dei termini naturali in divinis sulla base di una precisa indicazione programmatica80. Un attributo nato per indicare le qualità delle realtà naturali (‘buono’,‘giusto’, ecc.), trasferito in Dio indicherà non più la qualità in sé, ma la fonte di ogni qualità, la causa originaria della giustizia, della bontà, ecc.81. I nomi divini, secondo la fondamentale indicazione dello pseudo-Dionigi, esprimono dunque i molteplici effetti del77 Cfr. ibid., p. 140: «Idem ignoramus superessentialem Dei et invisibilem et ineffabilem infinitatem. Igitur negationes in divinis verae, affirmationes vero incompactae. Convenienter affirmationes theologicae dicuntur incompactae, id est incompositae, quia non significant compositionem praedicati ad subiectum quam tamen videntur significare. Cum enim dicitur Deus est iustus non significatur inhaerentia iustitiae in Deo, sed potius idemptitas. Deus enim ita dicitur iustus quod est ipsa iustitia. Negationes vero verae sunt; nam si attendas negationis proprietatem, vere et proprie removetur iustitia a Deo, ut cum dicitur Deus non est iustus». 78 Cfr. ibidem: «Ergo cum divina essentia incomprehensibilis et investigabilis sit, citra vero intellectum remanet sermo, divina essentia nullo nomine proprie designatur». 79 Cfr. ibid., pp. 140-141: «Item, cum Deus omni careat forma, est enim causa sine causa, quia causa causalissima, et forma sine forma quia forma formalissima; omne autem nomen ex forma datum sit, liquet nullum nomen Deo proprie convenire». 80 Cfr. ibid., p. 141: «Item dictiones ideo inventae sunt ad significandum naturalia; postea ad theologiam translatae. Itaque secundum primam institutionem naturalia designant, secundum vero translationem divina significant. Itaque naturalibus proprie, divinis vero inproprie conveniunt. Auctoritates vero nomina transtulerunt a naturalibus ad theologica. Cum enim viderunt Deum totius bonitatis causam, totius originem iustitiae, totius misericordiae fontem, huiusmodi nomina: bonus, iustus, misericors Deo per causam assignaverunt». 81 Cfr. EVANS, Alan of Lille.The frontiers of theology cit. (cap. 3, alla nota 56), p. 33: «Alan sees the nova significatio as the ‘theological’ one and the antiqua significatio as the ‘natural’ one. (…) Only when it is applied to God is a term used ‘properly’, in the ‘theological’ sense of the word. This is a principle on which Alan builds a very great deal, here and elsewhere in his writings. (…) That is not to say that the rules of these and the other arts have no force. Theological language breaks the rules by transcending them, by setting an altogether higher standard of ‘propriety’, and in this way it turns them into new, higher rules».
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l’opera creatrice divina. Il verbo esse appare ad Alano il termine meno improprio per indicare l’immutabile e semplicissima essenza divina, nonostante l’essere predicato delle realtà naturali sia ben diverso dall’essere predicato di Dio82. Per utilizzare correttamente il vocabolario naturale in ambito teologico, dal piano abituale della denominatio (che prevede la distinzione tra un soggetto quod denominatur e una qualità a quo denominatur), occorre passare al livello della transnominatio, ossia di una totale reinterpretazione semantica degli strumenti linguistici consueti83. L’equivocità dei termini riferiti a Dio e alle creature è provocata, in perfetto accordo con la dottrina di Gilberto, dalla mutazione semantica dei vocaboli, che vengono ‘transnominati’ in teologia: «aliam significationem habent vocabula in divinis, aliam in philosophicis»84. La proposizione «Dio è migliore di un’altra cosa» è mal posta, in quanto stabilisce un confronto inadeguato tra due realtà incommensurabili. Il bonum può essere predicato di Dio e delle creature in quattro modi, nessuno dei quali si basa su una reale corrispondenza tra i due ordini di realtà85. Alano procede quindi a una classificazione dei nomi divini. 82 Cfr. ALANUS AB INSULIS, ibid., p. 143: «Quod legitur in Exodo: ego sum qui sum, et si quaesierint, etc. non est dictum ratione significandi sed ratione significati, non proprietate dicendi sed proprietate essendi. Deus enim proprie est quia immutabiliter est. Quia ergo Deus proprie est et minus inproprie haec dictio ‘est’ de Deo quam alia dicitur, ei specialiter ascribitur». Cfr. ROSIER, Res significata et modus significandi cit. (cap. 5, alla nota 27), p. 143: «Alain, grâce à cette distinction importante, va contre la majorité des théologiens de son époque, qui affirment sans réserves que esse est dit proprie de Dieu et translative de la créature, ce qui est l’inverse du schéma habituel»; VALENTE, Langage et théologie cit. (cap. 1, alla nota 103), p. 44: «La position d’Alain de Lille est ici beaucoup plus cohérente que celle de Pierre le Chantre et des autres théologiens qui affirment que le verbe ‘être’ se dit proprement de Dieu.Alain distingue clairement le niveau ontologique du niveau linguistique, et garde la distinction même dans le cas du verbe ‘être’, qui pour les autres auteurs constitue au contraire une exception, théoriquement non justifiée, à l’impropriété du langage théologique». 83 Cfr. ALANUS AB INSULIS, ibidem: «In naturalibus enim ubi denominationes fiunt, aliud est quod denominatur, aliud a quo denominatur; verbi causa, aliud est album quod denominatur ab albedine, aliud albedo a qua fit denominatio. In Deo vero non habet locum denominatio quia Deus est ipsa deitas. Cum ergo Johannes Damascenus transnominationem removet a divinis, non translationem sed denominationem intelligere voluit; transnominative enim pro denominative dixit.Transnominatio locum habet in divinis sed non denominatio». Cfr. CHENU, Grammaire et Théologie cit. (cap. 5, alla nota 22), pp. 103-104; tr. it., pp. 118-122. 84 ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», pp. 144-145. 85 Cfr. ibid., p. 148.
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I nomi detti per causam indicano la sostanza divina, i nomi detti per similitudinem e per consequentiam predicano una relazione, mentre i nomi detti per negationem non predicano nulla. Tra i nomi detti per causam si distinguono quelli principalia o astratti (‘misericordia’, ‘pietà’, ‘giustizia’) e quelli sumpta o concreti (‘pio’, ‘giusto’,‘forte’): i primi sono predicati di Dio meno impropriamente dei secondi, fermo restando il valore esclusivamente analogico di ogni tipo di nome86. Segue la definizione delle possibilità di applicazione delle categorie alla natura divina, un’operazione consueta a partire da Boezio e divulgata da Gilberto. Le dieci categorie aristoteliche si riducono a due sole in ambito teologico, vale a dire la sostanza (comprendente la qualità e la quantità) e la relazione (comprendente gli altri sei predicamenti)87. Tra i nomi sostanziali vi sono quelli che predicano l’essenza divina in maniera assoluta (‘dio’, ‘giusto’,‘buono’) e quelli che predicano la medesima essenza ma in base al rapporto di partecipazione con le creature (‘creatore’, ‘principio’, ‘autore’). I nomi sostanziali comprendono anche quelli che predicano di Dio una qualità o una quantità: qualificare Dio non significa altro che predicarne l’unica e immutabile essenza, senza poter aggiungere altro che non sia già espresso nella predicazione della sua sostanza. Le restanti sette categorie vengono ricondotte a quella della relazione poiché predicano qualcosa di mutevole, di estrinseco al soggetto. Queste note vengono raccolte in un’unica regola che vale come principio generale della translatio nominum in divinis: Haec ergo in theologicis generalis constituatur regula quod omnia nomina tam mathematica quam concretiva pertinen86
Cfr. ibid., p. 149: «Ut ex omnibus praedictis pateat quod ullum nomen proprie conveniat Deo, sciendum quod nominum quae Deo atribuuntur alia dicuntur de Deo per causam, ut hoc nomen iustus, sanctus, pius, quia talium est causa; alia per similitudinem, ut hoc nomen splendor, imago. Alia dicuntur per consequentiam ut nomina antecedentium attribuantur consequentibus; unde Deus dicitur irasci, id est punire, quia ex ira sequitur punitio; penitere, id est opus mutare. Alia per negationem ut, quamvis sit forma affirmationis, tamen intellectus sit negationes; ut cum dicitur Deus indurare cor Pharaonis, non quia induret sed quia non emollit». 87 Cfr. ibid., p. 150: «Nominum vero quae de Deo dicuntur, alia dicuntur secundum substantiam, alia secundum relationem. Duo enim tantum praedicamenta in theologicis assignantur; praedicamentum substantiae et praedicamentum relationis, sive praedicamentum quid et praedicamentum ad quid».
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tia ad praedicamentum substantiae, qualitatis et quantitatis ad divina translata, divinam essentiam praedicant, et omnia in divinis constituunt praedicamentum in quid. Termini vero aliorum praedicamentorum ad theologiam translati, quasdam relationes sive collationes praedicant de Deo88.
Nessuna categoria relativa può riferirsi direttamente a Dio, ma solo al rapporto tra esso e il mondo. Alano si sofferma in modo più diffuso sulle categorie del luogo e del tempo. L’immensità di Dio impedisce di localizzarlo: esso è quindi ‘dovunque’, ‘in ogni cosa’, in quanto è la causa efficiente di ogni cosa89.Anche la categoria temporale deve essere traslata, in quanto sia il tempus-quantitas che il tempus-quando non possono essere predicati univocamente di Dio e degli enti finiti90. Come il termine ubi, spiega Alano, applicato a Dio ne predica l’immensità, così il termine tempus ne indica l’eternità. L’analisi di Alano prosegue con la trattazione della pluralità delle Persone divine, e quindi dei nomi divini personali, incentrata sui due termini fondamentali per la comprensione della materia trinitaria: persona e trinitas. Alano mostra la concordanza tra i termini greci usia, usiosis, ypostasis, prosopa e i corrispettivi latini 88 Ibid., p. 151. Sulla tradizione del termine translatio, in particolare sulla trasformazione della mutatio boeziana in translatio, operata da Giovanni Scoto e messa a frutto dai Porretani, cfr. DE LIBERA, Logique et théologie cit., pp. 439-443. Cfr. anche ROSIER, Res significata et modus significandi cit., in part. pp. 141-144; VALENTE, Langage et théologie cit., in partic. pp. 37-39. 89 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», p. 154: «Cum igitur termini pertinentes ad praedicamentum ubi de Deo praedicant relationem quamdam creatoris ad creaturas praedicant; itaque praedicamentum ubi ad theologica translatum reducitur ad praedicamentum ad aliquid. Cum ergo dicitur Deus est alicubi, vel Deus est ubique, intelligitur esse in rebus tamquam efficiens causa in suis effectibus». 90 Cfr. ibid., p. 161: «Similiter dicendum videtur quod nec tempus quantitas de Deo praedicatur.Tempus enim est mora et motus mutabilium rerum. Sed ulla mutabilitas, ullus motus est in Deo; nam ‘stabilis manens dat cuncta moveri’. Ergo de Deo non praedicatur. Item tempus cum mundo incepit esse. Sed nichil de Deo praedicatur secundum divinam naturam quod ab aeterno non praedicaretur de Deo. Ergo tempus de Deo non praedicatur. Item tempus est quantitas. Sed de Deo ulla quantitas praedicatur, nam Deus est sine quantitate quantus, sine qualitate qualis. Ergo tempus de Deo non praedicatur». La citazione evidenziata tra apici è da BOETHIUS, Consolatio Philosophiae, III, n. IX, v. 3, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 245), p. 79. Per un’analisi dettagliata della distinzione, tipicamente porretana, tra tempus-quantitas e tempus-quando, cfr. DE LIBERA, Logique et Théologie cit., in partic. pp. 458-469.
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essentia, subsistentia, substantia, persona, per i quali resta valida la regola della translatio, secondo cui essi cambiano il loro significato se trasferiti dal piano naturale a quello divino91.Alano ritorna sul significato del termine deitas, approvando l’uso all’ablativo del nome, usato per indicare non una delle Persone trinitarie, ma solo l’essere comune ad esse: «Deus deitate est Deus»92. Alano presenta poi una nuova classificazione di termini teologici, divisi in cinque specie: essenziali, coessenziali, insieme personali ed essenziali, personali e compersonali93.Ampio spazio è dedicato alla trattazione dei nomi personali (distinti tra quelli che si riferiscono alle persone divine nomine et significatione e quelli che vi si riferiscono nomine tantum), sulla base di un raffinato e lucido utilizzo delle varie espressioni della categoria della relatio. Tra i nomi personali che si applicano alle Persone nomine et non re vi sono attributi fondamentali come potentia, sapientia, bonitas, i quali, ricorda Alano, si riferiscono alle rispettive Persone solo nomi91 Sulla trasposizione in divinis di questi stessi termini, Alano si sofferma abbondantemente anche nel Liber in distinctionibus dictionum theologicalium, il repertorio alfabetico in cui svolge una dettagliata analisi dei vari sensi (letterali e simbolici) dei vocaboli usati nella Scrittura («dignum duximus theologicorum verborum significationes distinguere, metaphorarum rationes assignare, occultas troporum positiones in lucem reducere»). Cfr. il Prologus alter dell’opera, PL 210, 687B: «Quoniam iuxta aristotelicae auctoritatis praeconium, qui virtute nominum sunt ignari cito paralogizantur, in sacram paginam periculosum est theologicorum nominum ignorare virtutes, ubi periculosius aliquid quaeritur, ubi difficilius invenitur, ubi non habemus sermones de quibus loquimur, ubi rem ut est sermo non loquitur, ubi vocabula a propriis significatibus peregrinantur et novos admirari videntur». Cfr. M.-D. CHENU, Le vocabulaire théologique, in La théologie au douzième siècle cit. (cap. 1, alla nota 73), pp. 366-385; tr. it., pp. 411-432; VASOLI, Dio, uomo e natura cit. 92 ALANUS AB INSULIS, Summa «Quoniam homines», p. 194. 93 Cfr. ibid., pp. 198-199: «Nominum autem theologicorum alia sunt essentialia, quae ita essentiam praedicant quod nullam distinctionem compraedicant, ut hoc nomen Deus, deitas, essentia, natura, usia, substantia, iustus, pius, fortis et similia. Alia cohessentialia, quae significant relationes addictas divinae usiae, ut haec nomina dominus, principium, origo, causa. Sicut enim naturalibus proprietatibus relationes addictae sunt ut albedini, similitudo, ita divinae usiae relationes theologicae addictae sunt secundum quas Deus principium, causa, origo, dominus creaturarum dicitur. Alia partim personalia, partim essentialia, quae scilicet praedicant principaliter usiam, compraedicant autem personarum distinctiones, ut haec nomina persona, trinitas. Alia personalia, quae vel personalem proprietatem praedicant, ut haec nomina: Pater, Filius, Spiritus Sanctus; vel appellant, ut haec nomina paternitas, filiatio, processio. Alia compersonalia, quae significant relationes addictas personalibus proprietatibus, ut haec nomina: distinctus, differens, alius». I corsivi sono miei.
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nalmente e non di fatto (non vi è cioè un’appropriazione personale della res indicata da questi tre termini), dato che esiste un’unica potenza, sapienza e bontà divina94. Riaffermata la fondamentale unità della natura divina, attraverso l’esame dei nomi unitas ed equalitas, Alano conclude la sua sistematica analisi dei nomi divini, che occupa gran parte del primo libro della Summa. Con un argomentazione più stringata ma altrettanto completa, tale analisi ritorna nell’esposizione assiomatica delle Regulae caelestis iuris. Già nel commento alla prima regula («Monas est qua quaelibet res est una») Alano attribuisce a Dio i predicati dell’unità, della semplicità, dell’immutabilità, mentre nega che i concetti ed i nomi di pluralità, numero, diversità possano attribuirsi a Dio in maniera essenziale95. Poiché Dio è ciò da cui ogni essere ricava il suo essere, ne deriva che ogni attributo che si predica di Dio non fa che indicarne l’unica e medesima essenza96. Il concetto è bene espresso dalla regola X («omnis praedicatio de creatione facta copulata est atque coniuncta»): la predicazione procede divisive solo in riferimento alle creature, a cui si possono assegnare molteplici attributi, ognuno dotato di una precisa qualificazione97. A partire dalla regola XVIII, Alano espone le leggi del discorso teologico e riafferma la superiorità degli attributi negativi: «om94 Cfr. ibid., p. 226: «Quamvis enim una sit potentia trium personarum, una sapientia, una bonitas, tamen nomen potentiae appropriatur Patri et non res nominis; similiter nomen sapientiae Filio, nomen bonitatis Spiritui Sancto». Cfr. VASOLI, La teologia apothetica cit. (cap. 3, alla nota 79), p. 302: «Il cauto atteggiamento di Alano riduce così la predicazione particolare dei nomi alle persone ad un puro problema di analogia linguistica, al di fuori di qualsiasi conseguenza ‘attribuzionistica’». 95 Cfr. ALANUS AB INSULIS, Regulae caelestis iuris, I, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 57), pp. 124-125. 96 Cfr. ibid., VIII, pp. 132-133: «Deus cui quidlibet quod est est omne esse quod est i.e. Deus est illud de quo, quocumque termino aliquid praedicetur, idem omnibus aliis terminis de eo praedicatur. (…) Quicumque terminus in naturalibus praedicat inhaerentiam, de Deo dictus praedicat essentiam. Unius et eiusdem causae effectus sunt diversi diversis nominibus significati cum dicitur: Deus est fortis, est pius, prudens». Cfr. ibid., 12, pp. 134-135: «In propositione enim theologica non ostenditur quid cui insit sed quid quid sit. Cum enim dicitur: Deus est bonus, non ostenditur quid Deus sit per insistentiam sed potius quid sit per essentiam. Unde nulla propositio theologica de inesse est vel de contingenti sed de puro esse vel de necessario». 97 Cfr. ibid., X, pp. 133-134.
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nes affirmationes de Deo dictae incompactae, negationes verae»98. Funzionali a questa tesi sono le distinzioni tra veritas essendi e proprietas dicendi e tra il sensus quem faciunt verba e il sensus ex quo fiunt verba: la negazione esprime un rispetto maggiore nei confronti delle regole del discorso99. Conservano un loro valore anche le predicazioni positive, in quanto espressione della causalità universale divina. Oltre a questa, numerose sono le considerazioni parallele a precisi luoghi della Summa, tra cui la discussione della frase «Deus est» (regola XX) e la classificazione delle modalità di predicazione divina (regola XXI): «Omne nomen Deo conveniens convenit ei vel causative vel similitudinarie vel adiunctive vel negative»100. La regola XXII è dedicata esplicitamente alla theologica praedicatio ed alla diversa applicazione delle prime tre categorie e delle restanti sette al discorso teologico101. Le categorie teologiche si riducono quindi a due: il praedicamentum qui e il praedicamentum ad aliquid102. Nel commento alla regola XXVI, Alano precisa il tipo di translatio che si compie nel trasferimento di termini dal piano naturale a quello teologico. In naturalibus esisto98
Ibid., XVIII, p. 136. Cfr. ibid., XVIII, p. 137: «Negationes vero de Deo dictae propriae et verae, secundum quas removetur a Deo quod ei per inhaerentiam non convenit. Unde Dionysius attendens quid de Deo dicatur per causam, potius attendens sensum ex quo fiunt verba quam sensum quem faciunt verba, potius considerans quid ex quo dicatur quam quid de quo dicit: Deus est iustus, pius, fortis. Item potius considerans quid Deo non conveniat per proprietatem quam quid de Deo dicatur per causam dicit: Deus non est pius, fortis, misericors, potius removens proprietatem dicendi quam veritatem essendi». Luisa Valente ha dimostrato l’importanza di questa ed altre distinzioni nell’ermeneutica teologica porretana: cfr. VALENTE, Virtus significationis, violentia usus cit. (cap. 1, alla nota 103). 100 Cfr. ibid., XXI, p. 138: «Cum enim nullum nomen proprie Deo conveniat, oportet nomen, dictum de ipso, hoc vel illo modo dici quia etiam in naturalibus omne nomen, quod transumitur a sua propria significatione, aliquo predictorum modorum transumitur». 101 Cfr. ibid., XXII, p. 139: «Omnes enim termini trium naturalium praedicamentorum, substantiae videlicet vel qualitatis vel quantitatis, de Deo dicti de ipso praedicant divinam substantiam et eis ostenditur Deus esse quid. Terminis vero ceterorum praedicamentorum ostenditur Deus esse aliquid». 102 Cfr. ibid., XXIII, p. 140: «Quicumque ergo terminus significans substantiam vel substantiae circumstantiam et hoc substantivo modo de tribus personis dicitur singillatim et in singulari numero etc. Verbi gratia hoc nomen ‘deus’ significat substantiam et modo substantivo. Quare de tribus potest dici singillatim et in singulari numero ut dicatur: Pater est Deus, Filius est Deus, Spiritus sanctus est Deus. Et in summa et in singulari numero ut: Pater et Filius et Spiritus sanctus sunt Deus». 99
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no tre tipi di translatio: del nome e della cosa («linea est longa»), della cosa ma non del nome («seges est laeta»), del nome ma non della cosa («monachus est albus»). Questo terzo tipo è quello che si usa in divinis: In divinis autem fit translatio nominis et non rei. Cum enim dicitur:Deus est iustus,hoc nomen iustus transfertur a sua propria significatione ad hoc ut conveniat Deo sed res nominis non attribuitur Deo sed potius ipsa iustitia divina Deo attribuitur, non illa a qua datum est hoc nomen iustus.Aliud enim praedicatur cum dicitur:Deus est iustus,aliud compraedicatur. Praedicatur enim divina iustitia. Compraedicatur effectus iustitiae in nobis. Ut cum dicitur Deus est iustus et fortis intelligitur idemptitas praedicati sed diversitas compraedicati103.
Gli assiomi successivi regolamentano la funzionalità teologica di nomi o pronomi determinativi e partitivi: dispute sottili, come notava Marie-Dominique Chenu, ma rivelatrici di una profonda conoscenza della grammatica speculativa da parte dei teologi più avveduti come Alano104. I termini astratti (deitas, divinitas, natura, usia, substantia) si applicano in maniera meno impropria all’essenza divina rispetto ai nomi concreti (deus, iustus, misericors), in quanto ne preservano meglio la semplicità. Una nuova classificazione dei nomi divini appare nella regola XXXII: «Omne nomen quod de Deo dicitur aut est essentiale aut coessentiale aut personale aut conpersonale aut partim personale aut partim essentiale»105. Ai nomi essenziali, che corrispondono ai nomi astratti (nomina mathematica), si aggiungono i nomi coessenziali, che possono indicare una relazione eterna (‘principium’, ‘dominus’) o temporale (‘creator’,‘auctor’,‘factor’), i nomi personali, che si riferiscono alle proprietà personali (‘paternitas’, ‘filiatio’,‘processio’) magari indicando una determinata persona (‘pater’, ‘filius’, ‘spiritus sanctus’, ‘gignens’, ‘genitus’, ‘procedens’), e i nomi in parte personali, in parte essenziali, come ‘persona’ o ‘tri103 Ibid., XXVI, p. 142. Cfr. EVANS, The borrowed meaning cit. (cap. 7, alla nota 74), p. 171. Sulla compraedicatio come contenuto semantico addizionale, cfr. ROSIER, Res significata et modus significandi cit., in partic. pp. 144-146. 104 Cfr. M.-D. CHENU, Orientale lumen, in La théologie au douzième siècle cit. [pp. 289-308], p. 302; tr. it., [pp. 325-347], p. 339. 105 ALANUS AB INSULIS, ibid., XXXII, p. 146. Cfr. il testo parallelo dalla Summa «Quoniam homines» cit. supra, alla nota 93.
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nitas’. La regola XXXIV sintetizza le caratteristiche peculiari di un discorso teologico corretto: esso deve essere fedele all’ortodossia cristiana, composto da termini tradizionali e conosciuti, comprensibile da tutti, dotato di razionalità e adeguato al suo oggetto106.Alano definisce poi le norme per la corretta applicazione in divinis dei nomi sostantivi, degli aggettivi, dei nomi positivi, comparativi e superlativi dei pronomi dimostrativi, relativi e possessivi, dei verbi, degli avverbi (di luogo, di tempo e di similitudine) e dei pronomi, in pratica di ogni parte del discorso, in modo da definire i gradi di una vera e propria «gerarchia dell’improprietà»107. La forma verbale «est» resta l’espressione più adatta ad indicare l’essenza divina108. In riferimento ai nomi divini trinitari, Alano ricorda che ve ne sono alcuni che si riferiscono solo a Dio, altri alle tre persone, altri a nessuna di esse, altri ancora sia all’intera Trinità che alle singole persone, altri infine ad una sola persona e non alle altre (regole XLVIII-LIII). Un’analisi particolarmente attenta è riservata al nome Pater, di cui vengono enumerati diversi modi di utilizzo in teologia: esso può infatti riferirsi alla persona, alla proprietà personale, alla relazione tra il Padre ed il Figlio, alla relazione tra il Padre e le creature dal punto di vista della creazione, alla relazione tra il Padre e l’uomo dal punto di vista della recreatio109. La trattazione dei nomi divini contenuta nelle Regulae caelestis iuris corrisponde, in pratica, all’analisi svolta nella Summa: muta il contesto formale dell’opera, che dà un tono ancora più definitorio alle incisive affermazioni di Alano. Nella formula «In hac Verbi copula / stupet omnis regula», che Alano, nel Rhythmus de incarnatione et de septem artibus, fa risuonare ritmicamente in conclusione di ogni
106 Cfr. ibid., XXXIV, p. 148: «Omnis sermo theologicus debet esse katholicus, generalis, usitatus, ab intellectu non dissonus, rei de qua loquimur consonus. Catholicus, inquam, debet esse quia, si contrarius est fidei catholicae, admitti non debet ut si tres essentiae vel tres dii esse dicantur. Usitatus etiam quia profanas verborum novitates devitat ecclesia. Generalis ut ab omnibus intelligentibus recipiatur ut Christum esse aliquid secundum quod homo. Ut etiam intellectu sit perceptibilis. Debet enim verborum involucra cavere katholicus. Ut etiam rei de qua loquimur sit consonus. Debet enim theologus habere sermones cognatos rebus de quibus loquitur». 107 L’efficace espressione è di Luisa VALENTE, Langage et théologie cit., p. 44. 108 Cfr. ALANUS AB INSULIS, ibid., XXXIX, p. 151. 109 Cfr. ibid., L, pp. 156-157.
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gruppo di versi su ciascuna delle sette arti liberali, è sintetizzata l’idea, presente in tutta la sua opera, dell’alterità del discorso teologico e della necessità di adattare le norme del discorso profano alla sfera divina110.
4. Variazioni sul tema: da Simone di Tournai al Dialogus Ratii et Everardi Il rigoroso modello di Alano influenza altri teologi suoi contemporanei, a partire da Simone di Tournai111, che testimoniano l’attualità del tema della predicazione teologica tra i maestri porretani della seconda metà del secolo. Essi non modificano sostanzialmente le teorie elaborate da Gilberto e messe a punto da Alano, ma testimoniano una notevole vivacità intellettuale, continuando ad approfondire l’argomento in contesti letterari diversi (la disputatio, la quaestio, l’assiomatica). Nella sua Summa theologica, Simone s’interroga sullo statuto epistemologico del sermo de Deo, a partire dall’analisi etimologica della parola ‘teologia’. Prima ancora di esporre la dottrina sui contenuti della fede (Parola di Dio), egli si concentra sulle modalità e sulle caratteristiche del discorso su Dio, sulla necessità di elaborare una corretta terminologia teologica, approfondendo in particolare le varie forme di significatio112. Gli attributi essenziali di Dio (l’unità, la semplicità, l’immutabilità, l’unicità) sono trattati separatamente da quelli trinitari. Il discorso sulla nominabilità di Dio rimanda, come in Alano, alle due vie teologiche pseudo-dionisiane affermativa e negativa. Simone ritorna anche sull’applica110 Il testo è in D’ALVERNY, Alain de Lille et la theologia cit. (cap. 3, alla nota 58), pp. 126-128. 111 In realtà la questione dei debiti intellettuali tra Alano e Simone è un problema ancora aperto: è probabile che in alcuni casi vi sia stata una reciproca influenza tra i due maestri. I pochi elementi biografici a disposizione non consentono di dare una risposta risolutiva in un senso o nell’altro. 112 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Summa theologica, ms. Paris, Bibl. Nat., lat. 14886, f. 1r, cit. in GRABMANN, Die Geschichte der scholastichen Methode cit. (cap. 1, alla nota 13), II, p. 538; tr. it., II, p. 635: «De interpretatione huius nominis theologiae. Sicut in orthographia legitur, d littera media est inter th aspiratum et t leve et o ponitur pro u, unde ubi Graeci dicunt theos nos dicimus deus, logos interpretatur sermo. Unde theologia quasi deologia i‹d est› sermo de Deo vel de divinis. Prius de sermone, qui est de Deo, vel de divinis prosequamur, secundo de Deo vel de divinis, de quibus est sermo».
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zione delle categorie aristoteliche alla natura divina, cui si addicono soltanto i predicamenti di sostanza e relazione. Tra le 102 disputationes, contenenti ben 371 quaestiones, alcune affrontano alcuni aspetti relativi al problema del linguaggio teologico. La terza questione della disputatio LXXVI intende rispondere alla domanda utrum omne nomen improprie dicatur de Deo. Simone si richiama all’autorità di Boezio sull’improprietà di ogni nome riferito a Dio e spiega che, nonostante nessun nome possa essergli assegnato in modo proprio, Dio può essere definito bonus, iustus in quanto è la causa della bontà e della giustizia. Non può invece essere chiamato caecus o claudus (nomina privationum) poiché Dio non è causa di privazioni. Ai nomi concreti, come appunto ‘buono’ o ‘giusto’, vanno preferiti i nomi astratti come ‘bontà’ o ‘giustizia’, che non rimandano a un essere composto. Simone può quindi concludere: «quia substantia improprie dicitur de Deo, sed usya proprie collative, id est minus improprie, facta comparatione ad concretiva»113. La questione successiva analizza l’attribuzione di forme verbali alla natura divina: ogni verbo trasferito a Dio cadit a consignificatione, perde i suoi connotati temporali adeguandosi all’immutabilità e all’eternità divina114. Nella disputatio LXXIX, Simone sottolinea che i predicati qualitativi («qualis», «talis») riferiti a Dio non predicano altro che la medesima sostanza divina. Nella disputatio LXXXIII è posto in questione il rapporto tra i nomi essenziali e i nomi personali: Simone afferma che i nomi ‘giusto’, ‘buono’, ‘potente’ sono detti delle tre persone divine secondo la sostanza ma non nell’insieme, dato che non si può affermare che vi sono tre onnipotenti115. In un passo della disputatio XCI, sulla base di una citazione pseudo-dionisiana sull’innominabilità divina, Simone analizza la transsumptio tropometonomiae dei termini dal mondo terreno a Dio116. Infine, alla domanda «cum omne ens vel inhaerens imper113 Cfr. SIMON TORNACENSIS, Disputationes, LXXVI, ed.Warichez cit. (cap. 1, alla nota 22), p. 222. Cfr. ibidem: «Deus vero est prorsus simplex absque compage partium et concretione formarum. Ergo, cum nulla forma sit in eo, non est intelligibilis. Omnis enim intellectus est ex forma uniente vel discernente. Cum ergo non sit intelligibilis, nec ergo significabilis». 114 Cfr. ibid., LXXVII, pp. 223 e seqq. 115 Cfr. ibid., LXXXIII, pp. 240-243. 116 Cfr. ibid., XCI, p. 262: «Cum ergo humana inventio creaturis indidit nomina, Creatori nulla. Sed cum homini necessarium fuit de summa causa quoquo-
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tiat Deo suum nomen, an omne suum nomen», Simone risponde confermando che i nomina privationis non possono essere trasferiti a Dio, mentre i nomina positionis sì, seppure con la dovuta cautela: «quaedam tacentur ad tollendum suspiciones haeresum»117. Alcune delle formule assiomatiche contenute nell’Ars catholicae fidei di Nicola di Amiens riguardano il tema del discorso teologico. Dall’affermazione di Dio come causa prima vengono dedotte le qualità divine, quali l’immutabilità, l’eternità, l’immensità, l’incomprensibilità, l’ineffabilità e l’innominabilità (regole XIVXVI)118. La regola XVIII è dedicata ai predicati dell’ubiquità, dell’eternità e dell’onnipotenza, mentre la regola successiva definisce il valore della transumptio di alcuni nomi detti di Dio per causalità o per similitudine119. Nicola afferma, infine, nella regola XXIX, che tutti i nomi predicati dell’essenza divina devono essere riferiti sia al Padre, che al Figlio, che allo Spirito Santo120. L’applicazione della terminologia filosofico-naturale alla teologia trova spazio anche nell’enciclopedica sintesi teologica di Raul Ardente. Il quattordicesimo capitolo del secondo libro dello Speculum universale è dedicato alle modalità e alla legittimità del trasferimento dei termini dal mondo naturale al piano divino. La posizione di Raul si discosta per certi versi da quella degli altri Porretani: egli non sembra porsi, infatti, il problema della torsione
modo loqui, mutata sunt nomina et transsumpta ab effectu ad causam, ut nomine creaturae censeatur per causam Creator, nec nomine unius tantum, sed nominibus omnium creaturarum tam entium quam inhaerentium; ne si nomine unius et non alterius, censeretur causa unius et non alterius videretur. Censetur ergo Deus per causam nominibus omnium». 117 Ibid., XCI, p. 263. 118 Cfr. NICOLAUS AMBIANENSIS, Ars fidei catholicae, XVI, ed. Dreyer cit. (cap. 1, alla nota 100), p. 83,7-10: «Item Deus, qui omnimodam formam subterfugit, intellectui pervius esse non potest, cum intellectus non nisi adminiculo formae rem comprehendat, sicut apparet ex descriptione intellectus. Ergo Deus humano intellectu capi non potest». 119 Cfr. ibid., XVIII, p. 84: «Quod in rerum creatione et dispositione commendabilia contemplamur, per effectum et causam attribuimus creatori. Unde quia potenter et bene potentia et bona creata sunt, creatorem potentem et bonum dicimus esse. Et quia in rerum dispositione caritas, humilitas, iustitia, misericordia, sapientia et huiusmodi perpenduntur, ipsum pium, humilem, iustum, misericordem dicimus et sapientem. Porro notis etiam similitudinibus dicitur fons, lux, oriens, lumen, vita, videns, currens aliisque ex omni linguarum genere vocabulis ad eius magnitudinem praedicandam transumptis». 120 Cfr. ibid., XXIX, p. 87.
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semantica dei termini utilizzati per descrivere la realtà divina121. Soffermandosi sulle condizioni di adattamento dei termini naturali a Dio, Raul individua nella similitudo il criterio regolatore della translatio. La distinzione tra similitudo assoluta e similitudo collativa (o proportio) è funzionale alla separazione tra l’uso naturale dei termini e il loro uso traslato in teologia: la proportio è la chiave ermeneutica per comprendere questo tipo di transsumptio. Resta tuttavia l’impressione di un atteggiamento meno problematico rispetto a quello espresso dai precedenti maestri porretani. Tra le caratteristiche comuni ai teologi della cosiddetta piccola scuola porretana, Dondaine cita l’esplicito richiamo alla dottrina, elaborata da Gilberto, della translatio vocabulorum a facultate naturali ad theologica122. L’interesse verso questo ambito speculativo è testimoniato, in effetti, da numerosi Porretani della fine del secolo, tra cui Ugo Eteriano e Ugo di Honau. Nel Liber de differentia naturae et personae, Ugo Eteriano si sofferma sulla possibilità di utilizzare le nozioni naturali di natura e persona in teologia123. Inoltre, nella lettera rivolta ad Alexis, diacono della Chiesa romana, il teologo pisano ritorna sulla definizione dei termini applicati a Dio e fa una precisa distinzione tra le nozioni astratte (divinitas) e le nozioni concrete (persona), concludendo che enunciati come «divinitas est Pater» sono scorretti «quia modus significandi differens est». 121
Cfr. RADULFUS ARDENS, Speculum universale, 14, cit. in GRÜNDEL, L’œuvre encyclopédique de Raoul Ardent cit. (cap. 3, alla nota 119), p. 557: «Qua necessitate quave ratione nomina sunt translata a naturali facultate ad theologiam? In naturali facultate per cognitionem rerum pervenitur ad cognitionem vocabulorum. In theologia vero, quoniam res incognitae sunt, si haberent quoque propria sibique cognata vocabula, tam res quam vocabula forent nobis incognita (...): oportuit igitur a naturali facultate nota vocabula transferri ad theologiam, ut per nota vocabula proficeremus qualitercumque ad rei incognitae cognitionem». Cfr. SCHIOPPETTO, Dal laboratorio delle arti cit. (cap. 7, alla nota 40), p. 243. 122 Cfr. DONDAINE, Écrits cit. (cap. 1, alla nota 69), p. 19. 123 Cfr. ibid., p. 48: «Les textes choisis qu’il propose pouvaient facilement s’interpreter dans un sens porrétain, parce qu’ils affirment clairement la distinction de la nature et de la personne; ils ne sont pas assez corrigés par la négation de toute division en Dieu, par l’affirmation corrélative de l’absolue simplicité divine. Car la distinction réelle des notions que nous concevons de la réalité divine ne correspond pas à une distinction réelle, objective de cette réalité; la transposition en Dieu de ces notions ne leur conserve un sens vrai que si elle est épurée des divisions qu’elle impliquerait au plan de l’etre divin. Or c’était précisément le danger du porrétanisme de passer du plan conceptuel à celui de l’inaccessible réalité divine sans les réserves nécessaires».
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Mentre nel Liber de diversitate naturae et personae Ugo di Honau definisce il significato dei termini persona, natura, sostanza, essenza, in funzione della loro utilizzazione teologica, nel Liber De homoysion et homoeysion, nato da una precisa esigenza ermeneutica, l’analisi si concentra sul senso da attribuire ai due termini greci del titolo, considerati prima in naturalibus e quindi nella loro trasposizione in theologicis. Il trattato è diviso in quattro distinzioni: la prima tratta del termine ‘sostanza’ e dei vocaboli connessi ‘essenza’, ‘esistenza’,‘sussistenza’,‘persona’; la seconda esamina le varie specie di unità (con un riferimento diretto a Gilberto); la terza studia le diverse similitudini ed uguaglianze; l’ultima si sofferma sulla consustanzialità e sui termini homoysion e homoeysion. Il contributo più significativo, tra le opere porretane di fine secolo, al tema del discorso teologico proviene dal Dialogus Ratii et Everardi, i cui protagonisti discutono sulla possibilità e sul senso dell’impiego della logica nella teologia trinitaria. Ratius avvia il confronto sul tema della translatio terminorum a naturalibus ad theologica a partire dalla definizione di alcuni principi grammaticali come la distinzione tra nomi astratti e nomi concreti e tra soggetto individuale e forma universale. Queste norme, argomenta Ratius, conservano parte della loro validità quando sono applicate a Dio. Mentre la proposizione Deus est verus è adeguata, in quanto significa che Dio è vero in ragione della forma astratta della verità, la proposizione Deus est veritas lo è molto meno, in quanto lascerebbe intendere che il soggetto-Dio è un effetto causato dalla verità. Per questo motivo, prosegue Ratius, Gilberto ha voluto correggere Boezio, inserendo «i.e. verus» dopo la sentenza Deus est veritas124. La frase Deus est veritas è giusta secondo le regole dell’elocutio, mentre non è corretta rispetto alle regole della locutio, che accetta come veridica solo la frase Deus est verus.
124 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, ed. Häring cit. (cap. 1, alla nota 48), p. 279: «Igitur locutio vera est, cum dicitur ‘Deus est verus’, sed falsa cum dicitur ‘Deus est veritas’. Sed elocutio vera est, cum dicitur ‘Deus est veritas’. Causa igitur consequentis praedicationis ostendendae corrigendo et improprietatem praedicandi ad proprietatem reducendo exponit magister sic auctoritatem Boethii hanc: ‘Deus est veritas, i.e. verus’. Sed quod Deus esse verus dicitur, causa haec est quod veritatis virtutem humanis inserit mentibus, sicut ‘iustus’ dicitur quia iustum facit hominem iustificando».
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Il trasferimento analogico dei termini è condotto sulla base della duplice via teologica, affermativa e negativa, che l’autore riprende esplicitamente dallo pseudo-Dionigi125. Introducendo la questione della translatio in relazione alla contestata affermazione gilbertina «Deus non est deitas», Ratius si richiama all’autorità di Agostino e a quella di Boezio, quindi si sofferma sull’applicabilità delle categorie naturali alla natura divina e sulla differenza che sussiste tra le tre categorie sostanziali e le restanti sette126. Ratius spiega il senso del metodo della translatio e chiarisce il rapporto tra teoria della significatio e discorso teologico127. In definitiva, 125 Cfr. ibid., pp. 262-263: «Cum dicitur ‘Deus est Deus’, ‘Deus est iustus’, ‘Deus est magnus’, his propositionibus secundum rei veritatem non ostenditur vere componi aliqua forma Deo, scilicet vel deitas vel iustitia vel magnitudo, cum nulla istarum insit ei. Ergo praemissae affirmationes incompactae sunt, i.e., componentes sunt formam ad subiectum, ut aliud sit ibi suppositum, aliud appositum, quod componatur supposito mediante verbo substantivo. Itaque negationes verae. Verius, immo veracissime secundum proprietatem dicendi, sed non existendi, ‘Deus non est Deus, Deus non est iustus, non est magnus’, dicitur. Eodem modo ‘Deus non est deitas, non est iustitia, non est magnitudo’ et ita ‘Deus non est essentia’, igitur multo minus ‘sua essentia’». 126 Cfr. ibid., p. 259: «Si scires transferre alias quod alicubi dictum est, tibi quaestionis solutio constaret principalis illius, scilicet qua quaerebas, quare a magistro Gilleberto assertum sit ‘Deus non est deitas’. (…) In naturalibus sunt X praedicamenta ‘quae si quis ad divinam verterit praedicationem cuncta mutantur’. Translatio enim fit vocabulorum a naturali facultate ad theologiam. Igitur, secundum Augustinum et Boethium, ea quae sunt de praedicamento substantiae vel qualitatis vel quantitatis, relata ad divinam praedicationem, divinam praedicant essentiam. (…) Unde his terminis ‘Deus, magnus, iustus’ idem de Deo praedicatur, ut cum dicitur ‘Deus est magnus’,‘Deus est iustus’,‘Deus est Deus’, divina essentia his tribus propositionibus praedicatur. Primorum igitur trium praedicamentorum praedicamenta dicta de Deo sic praedicantur de eo ut aliquid eum esse demonstrent. Cetera vero VII praedicamentorum praedicamenta dicta de Deo, ut ait Boethius, sic praedicantur de eo, non ut eum ‘aliquid esse demonstrent’, sed ut ei ‘aliquid extrinsecus quodammodo affigant’». La citazione è da BOETHIUS, Opuscula theologica, I, De sancta Trinitate, 4, ed. Moreschini cit. (cap. 3, alla nota 246), p. 177,272-274. Lo stesso argomento ritorna anche nella lettera dello stesso Everardo al papa Urbano III: Epistola Everardi de Quibusdam Articulis Fidei: de Homine Assumpto, de Duabus Naturis et Una Persona Christi, et de Proprietatibus Charactericis ad Urbanum Papam III, riportata da HÄRING, The Cistercian Everard of Ypres cit. (cap. 1, alla nota 49), p. 164. 127 Cfr. Dialogus Ratii et Everardi, p. 267: «Nec sunt, ut vero Deo conveniant, appellativa.Ad hoc notandum, quod a naturali facultate sunt translata nomina ad theologiam. In qua translatione ipsum nomen cadit a forma a qua est impositum. Igitur cum dicitur ‘Petrus est iustus’, ‘Deus est iustus’, ‘iustus’, hoc nomen, aliud in prima propositione significat, aliud in secunda. In prima enim significat iustitiam creatam attribui Petro; in secunda significat iustitiam creatricem Petrum iustificantem dici de Deo. Notandum autem quod translatio nominum fit ad
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VIII. IL DISCORSO TEOLOGICO
nessun nome può attribuirsi a Dio in senso proprio128. Si tratta dell’ennesima puntualizzazione da parte dei Porretani sull’inadeguatezza del linguaggio quotidiano ad enunciare le proprietà divine e, al tempo stesso, sulla necessità di elaborare un linguaggio teologico appropriato, basato sull’applicazione del metodo della translatio.
Deum vel causaliter vel imaginarie vel adiunctive vel negative. Causaliter ut ‘iustus’ quia iustificat; similitudinarie ut Filius ‘splendor’; adiunctive ut ‘irasci’ propter poenam quae irae consequens solet esse; negative ‘ut Deus induravit cor Pharaonis’, non impertiendo malitiam, sed subtrahendo gratiam. Igitur in divinis translatio nominis fit tantum. Sed retinet illum modum significandi quem habuit in naturalibus». 128 Cfr. ibid., p. 280. Sui presupposti logico-grammaticali di Everardo, inserito nella corrente porretana, cfr. NIELSEN, On the Doctrine of Logic and Language cit. (cap. 1, alla nota 80). Sull’influenza della dottrina logica in campo teologico, cfr. SCHWEISS, Logik und Theologie cit. (cap. 3, alla nota 241).
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CONCLUSIONE
Sulla base di quanto emerso dalla diversificata analisi dottrinale proposta, si può provare a sintetizzare la peculiarità del contributo dei Porretani alla storia del pensiero medievale. Essi hanno svolto un ruolo rilevante nel processo di elaborazione scientifica della teologia, maturando una posizione autonoma e ben riconoscibile già agli occhi dei testimoni diretti. Le principali idee sviluppate da questa scuola di pensiero, dalle teorie ontologiche a quelle logiche, dall’elaborazione di un’epistemologia coerente con i diversi livelli della conoscenza umana, alla rigorosa pianificazione della materia teologica, fino alla definizione di un sermo theologicus maturo e consapevole, esprimono la medesima esigenza, ossia quella di precisare e definire il contributo che la filosofia, nei suoi vari aspetti linguistici, gnoseologici e semantici, può offire alla scienza divina. Gilberto di Poitiers è stato per i suoi allievi maestro di metodo logico e teologico. I Porretani hanno condiviso la sua attitudine speculativa, più che la sua dottrina. Le loro opere non possono definirsi opere ‘di scuola’, nel senso di mere imitazioni, ripetizioni o riformulazioni di un corpus dottrinale assunto acriticamente come un dogma speculativo intangibile.Al contrario, uno dei motivi per cui questa scuola di pensiero è finora sfuggita a trattazioni unitarie è da ricercarsi nella notevole ricchezza di contributi personali che la contraddistingue. Questa ricerca dovrebbe aver dimostrato quanto riduttiva rischia di essere l’esposizione della dottrina dei Porretani se la si limita alle reazioni al concistoro di Reims o ad alcune chiarifica-
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zioni dottrinali che ad esso rimandano. La stessa discussione intorno alla formula Deus non est divinitas non esaurisce la questione porretana, piuttosto rappresenta uno dei nodi concettuali – certo tra i più significativi – funzionali a un progetto più ampio: l’esposizione razionale dei contenuti della fede sulla base di una coscienza critica nuova, che si manifesta su diversi livelli speculativi. Appare evidente che, come per le altre scuole di pensiero del tempo, non si può parlare dei Porretani senza parlare di Gilberto: tuttavia, per cogliere in prospettiva il valore storico-filosofico dei primi, la figura del secondo va mantenuta, come si diceva all’inizio di questo volume, sullo sfondo. La valutazione del grado di fedeltà di ciascun allievo al suo maestro, l’analisi della corrispondenza tra le teorie dei Porretani e i paradigmi teorici di Gilberto, non possono da sole restituire un’immagine esauriente di un movimento dottrinale così complesso e sfaccettato. In ciascuno dei percorsi individuati, il vescovo di Poitiers inaugura uno sviluppo teorico, fornisce le indicazioni metodologiche di base, suggerisce gli strumenti logico-filosofici più adatti. I Porretani raccolgono questa serie di stimoli, approfondiscono idee, termini e concetti, accettano in pratica la sfida per una teologia che deve fare i conti con le esigenze della razionalità per autocostituirsi come scienza. È importante, inoltre, non perdere di vista le relazioni intrattenute dai Porretani con i maestri contemporanei: il loro non è uno sforzo solitario ed esclusivo, in quanto essi operano a stretto contatto con le altre scuole logiche e teologiche del tempo.Alcune loro teorie, anzi, nascono come reazione alle idee di un’altra scuola. In ogni caso, è certamente peculiare dei Porretani l’elevata coscienza della problematicità della riflessione teologica, in tutti i suoi aspetti linguistici, formali, epistemologici. Nessun’altra scuola del dodicesimo secolo può annoverare al suo interno personaggi di così elevata statura speculativa: Alano di Lilla può dirsi l’allievo più importante di Gilberto perché ha saputo mettere a frutto meglio di altri l’eredità speculativa del maestro. Lo spirito critico dei Porretani è accompagnato dal rispetto assoluto delle auctoritates patristiche, che non si manifesta in uno sterile corredo di citazioni ma in un costante e maturo riferimento ai risvolti teoretici delle fonti cristiane. Se la ventennale ricerca di Ademaro di San Rufo è emblematica del sostegno teologi-
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CONCLUSIONE
co che Gilberto ha ricevuto da alcuni suoi seguaci, i frequenti rimandi allo pseudo-Dionigi, da parte di molti Porretani, e lo sguardo particolarmente attento verso la tradizione patristica greca, sono elementi significativi da un punto di vista filosofico e non soltanto storico. Questa scuola di pensiero rappresenta, allora, l’esito migliore dell’«età boeziana» e dell’«età pseudo-dionisiana», in quanto elabora in modo esemplare le molteplici istanze provenienti da queste due autorità. L’auspicio è che sulla base di un rinnovato sguardo d’insieme sui Porretani, che questo libro ha cercato di offrire, d’ora in avanti si possa apprezzare meglio il loro ruolo nell’epoca di passaggio tra l’alto e il basso Medioevo, e al contempo si possa incrementare la loro conoscenza attraverso l’edizione dei testi ancora inediti e lo sviluppo di ulteriori linee di ricerca.
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Soggetto e statuto della filosofia prima nel Medioevo,Atti del Convegno della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (Bari, 9-12 giugno 2004), a c. di P. Porro,Turnhout - Bari 2005 [= «Quaestio», 5/2005], pp. 103-144. — Vera philosophia. Studies in Late Antique, Early Medieval and Renaissance Christian Thought,Turnhout 2008 (Nutrix, 1). L.VALENTE, Talia sunt subiecta qualia praedicata permittunt. Le principe de l’approche contextuelle et sa genèse dans la théologie du XIIe siècle, in La tradition médiévale des Catégories (XIIe-XVe siècles), éd. par J. Biard - I. Rosier-Catach, Leuven 2007, pp. 289-312. — Logique et théologie. Les écoles parisiennes entre 1150 et 1220, Paris 2008.
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INDICE DEI NOMI
I riferimenti numerici sono alle pagine del testo. Una lettera n dopo il numero di pagina rinvia ad una nota presente in quella pagina. I numeri in corsivo indicano una trattazione ampia e articolata del lemma corrispondente.Tra parentesi vengono collocate eventuali varianti formali dei nomi propri e, per gli autori, i corrispondenti nomi in lingua latina. Abelardo, Pietro (Abaelardus, Petrus) 23, 23n, 24n, 30, 30n, 35n, 36, 37n, 65, 67, 69, 74, 74n, 78n, 79n, 90, 90n, 91n, 92, 92n, 102, 115n, 116, 127, 160, 171, 175, 179, 180n, 182, 183n, 193n, 197, 198n, 199, 200, 200n, 206, 209, 210, 258, 259, 262, 276n, 288, 290, 291n, 354; Sic et non 262; Abelardiani, scuola di Abelardo 21, 29, 37, 38, 39, 58n, 73n, 115, 261, 278n Acardo di San Vittore (Acardus de Sancto Victore) 58, 60 Adam Parvipontanus, vide Adamo di Balsham Adamiti, vide Adamo di Balsham Adamo di Balsham (Adam Parvipontanus Balsamiensis) 53, 179, 207, 209, 209n, 220n; Parvipontani, Adamiti 53, 179, 207, 209, 209n, 220n Adamo di Ebrach (Adam Everacensis) 132n
Ademaro di San Rufo (Adhemarus de Sancto Rufo) 23n, 25, 28, 29n, 33, 34, 35, 36, 38, 43n, 63, 65n, 124n, 125, 128-132, 128n, 129n, 131n, 142n, 146, 155, 172n, 326, 329; Collatio (Collectio) 125, 128-132, 129n, 130n, 146, 155; Defensio orthodoxae fidei Gilberti Porretae (Tractatus De Trinitate) 23, 28, 33, 38, 63, 63n, 130, 131, 131n, 146, 155, 172n, 329 Adriano IV, papa (Nicholas Breakspear) 79n Aertsen, J.A. 186n, 359 Agostino d’Ippona (Aurelius Augustinus, Augustinus Hipponensis), Agostinismo 30n, 33n, 52n, 79n, 81, 81n, 86n, 90, 95, 106, 110, 111n, 116, 118, 120, 123, 128, 131, 194, 200n, 217n, 242, 246, 307, 322, 322n; De doctrina christiana 194 Alfarabi, vide al-Farabi
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Alano di Lilla (Alanus ab Insulis, sive de Insulis) 22, 23, 24, 25, 26, 28, 29n, 31n, 32, 32n, 34, 35, 37, 37n, 38, 39, 40, 42, 43, 43n, 44, 82n, 95, 96, 101n, 102, 103109, 103n, 104n, 105n, 108n, 109n, 111, 111n, 112n, 117, 117n, 121, 121n, 122, 145n, 150, 154, 156, 177, 177n, 185, 185n, 186n, 201n, 221, 221n, 222, 222n, 223, 246-252, 247n, 248n, 249n, 250n, 265, 266, 266n, 267n, 274, 274n, 276n, 278, 279, 279n, 280n, 281, 281n, 282, 282n, 283n, 284n, 305-317, 305n, 306n, 307n, 308n, 309n, 310n, 311n, 312n, 313n, 314n, 315n, 316n, 317n, 326, 329-330, 334; Opera omnia 104n-105n; Anticlaudianus 329; De fide catholica contra haereticos 107n, 246, 247n, 266, 266n, 305; De planctu naturae 251, 329; De virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti 108n, 248, 248n, 249, 250n, 266, 329; Expositio prosae de angelis 249, 249n; Expositio super symbolum apostolicum et nicenum 104n, 329; Liber in Distinctionibus theologicalium (Summa «Quot modis») 246, 247n, 267n, 305, 312n, 329; Liber poenitentialis 122, 329; Liber sententiarum 104n, 329; Regulae caelestis iuris (Regulae theologicae) 22, 23, 26, 34, 40, 82n, 94, 95, 103, 103n, 105, 106, 107, 107n, 108, 108n, 109, 150, 154, 185, 185n, 222, 246, 247n, 251, 274, 278, 278n, 279n, 280n, 281, 281n, 282, 282n, 283n, 284n, 305, 313, 313n, 314n, 315n, 316, 329; Rhythmus de incarnatione et de septem artibus 316; Sermones 266n, 267n; Sermo de sphaera intelligibili 250, 251n, 252, 283n, 330; Sermo in die Epiphaniae
249, 249n; Summa de arte praedicatoria (Ars praedicandi) 266, 266n, 330; Summa «Quoniam homines» 32, 103, 103n, 105, 105n, 106, 107, 107n, 108, 108n, 154, 177n, 185, 186n, 201n, 222, 248, 248n, 249n, 251, 265, 266, 266n, 278, 280n, 305, 305n, 306, 306n, 307n, 308n, 309n, 310n, 311n, 312n, 313, 313n, 314, 315n, 316, 316n, 330 Alberico di Parigi (sive del Monte; Albericus Parisiensis) 53n, 98, 103n, 136, 179, 207, 209, 209n, 210n, 220n, 221;Albricani, Montani 98, 103n, 179, 206n, 207, 209, 210n, 221 Alberico di Reims (Albericus Remensis) 136 Alberigo, G. 70n, 349 Alberto Magno (di Colonia;Albertus Magnus) 86, 86n, 87, 87n, 101, 101n, 330; Commentaria super Sententias 86n, 87n, 330; Liber de sex principiis 101n, 330 Albigesi 104, 117 Albino, vescovo di Albano 67, 151n Albricani, vide Alberico di Parigi Alchero di Clairvaux (Alcherus Clarevallensis) 246 Alcuino di York (Alcuinus Eboracensis) 90 Alessandro III, papa (Rolando Bandinelli) 39, 87n, 90, 128n, 129, 138n Alessandro di Hales (Alexander Halensis) 19 Alexis (sotto-diacono della Chiesa romana) 140, 141n, 155, 320 Alfano di Salerno (Alphanus Salernitanus)145n Aliotta, M. 106n, 281n, 356 Ambrogio di Milano (Ambrosius Mediolanensis) 90, 126, 131 Ambrogio (pseudo) 30n Anastasio Sinaita (Anastasius Sinaita) 90, 138, 142; Viae Dux 138
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Anastos, M.V. 134n, 353 Andronico I Comneno, imperatore bizantino 137 Angelini, G. 37, 38n, 265n, 289n, 291n, 301n, 350 Anselmo d’Aosta (del Bec, di Canterbury; Anselmus Cantuariensis) 110, 203, 277n; De grammatico 203 Anselmo di Havelberg (Anselmus Havelbergensis) 132n, 133n, 141; Anticimenon 133n Anselmo di Laon (Anselmus Laudunensis) 47, 48, 55, 73, 261; Glossa ordinaria 55, 63n Antl, L. 263n, 343 Ariberto di Sant’Anastasia 74n Ario, arianesimo 124, 126, 131, 141n, 290 Aristarco (Aristarco di Samo?) (Aristarcus) 291n Aristotele di Stagira (Aristoteles), aristotelismo 23, 25n, 26n, 30n, 32n, 37n, 71, 79n, 101, 102, 109n, 110, 111n, 112, 115, 116, 120, 133n, 134, 142, 145, 150, 160, 163n, 165, 166, 166n, 172, 175n, 180n, 181, 181n, 185, 187, 193n, 197, 199, 205, 210, 211, 214, 215, 217n, 226, 228, 229n, 230, 253, 256, 270, 274, 277n, 282n, 285, 291n, 305n, 307, 310, 312n, 318, 330; Analytica posteriora 26, 145, 270; Categoriae 101, 101n, 102n, 116, 135n, 162n, 190n, 208, 214, 216, 217, 217n; De anima 110; De interpretatione 116; De sophisticis elenchis 116, 150, 194n, 210, 305n, 330; Metaphysica 230; Physica 110, 142, 197; Topica 116, 210, 277n Arnaldo (Arnaldus «Qui non ridet»), arcidiacono della cattedrale di Poitiers 64, 69, 72 Arno di Reichersberg (Arno Reichersbergensis) 80, 80n, 330;
Apologeticus contra Folmarum 80n, 330 Arnold, M. 36n Ars Meliduna 211, 211n, 212, 213 Atanasio di Alessandria (Athanasius Alexandrinus) 126, 126n, 128, 131, 141n, 152 Atanasio (pseudo) 59 Averroè (Averroës, Ibn Rushd) 109n Avicenna (Ibn Sina), avicennismo 30n, 31n, 37n, 38, 38n, 40, 109n, 123, 123n Baeumker, C. 281n, 334 Bandini,A. M. 134n, 337 Barbera, C. 267n, 346 Baron, R. 259n, 345 Bartola,A. 267n, 356 Bartolomeo di Exeter (Bartholomaeus Exoniensis) 122; Poenitentiale 122 Basilio di Cesarea (Basilius Caesariensis) 136, 138, 140, 142, 151n Bazzi, P. 86n, 336 Bayer, H. 135n, 358-359 Beda il Venerabile (Beda Venerabilis) 78n, 90, 126, 331 Benson, R. L. 49n, 355 Berengario di Tours (Berengarius Turonensis) 127n Bernardo di Chartres (Bernardus Carnotensis) 47, 48, 181, 193, 193n, 203 Bernardo di Clairvaux (Bernardus Claraevallensis) 19, 24, 25, 35, 36n, 50, 52, 57, 65, 65n, 66, 67, 68, 68n, 69, 70, 71n, 72, 72n, 73, 73n, 74, 76, 76n, 77, 77n, 78, 78n, 79n, 87n, 92, 92n, 114, 117n, 124, 126n, 127, 148, 148n, 150, 150n, 151n, 330; De consideratione 77, 77n, 330; Sermo LXXX 76, 76n, 330 Bernardo di San Clemente 74n Bernardo Silvestre (Bernardus Silvestris) 150
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Berndt, R. 235n, 360 Berthaud, A. 20, 21, 21n, 47n, 77, 337 Bertola, E. 29, 29n, 30, 30n, 31, 64n, 88n, 342, 346 Bethmann, L. C. 80n, 335 Bianchi, L. 16 Biard, J. 45n, 212n, 362 Bieler, L. 123n, 350 Bisogno,A. 16 Bloomfield, M.W. 126n, 344 Blume, C. 104n Boezio (Anicius Manlius Severinus Boethius) 15, 19, 20, 23, 25n, 26, 26n, 29n, 30n, 37, 37n, 38n, 42, 43, 43n, 44, 54, 54n, 56, 57, 59, 63n, 71, 77n, 78, 85n, 88, 90, 95, 98, 101n, 106, 108, 109n, 110, 114, 116, 117, 118, 119, 120, 123, 126, 127, 127n, 130, 131, 131n, 133n, 135n, 145, 149n, 150, 160, 161, 162, 162n, 163, 163n, 164, 165, 165n, 166, 167, 167n, 170, 173, 175, 178, 180, 182, 185n, 186, 187, 188, 189n, 190n, 197, 197n, 198, 199, 200, 200n, 201, 203, 205, 209, 210, 214, 215, 217n, 222, 222n, 227-232, 228n, 229n, 230n, 231n, 232n, 233, 234, 235, 237, 237n, 239, 240, 241, 241n, 242, 243, 244, 245, 246, 252, 252n, 253, 253n, 256, 263n, 270, 270n, 271, 271n, 272n, 273, 273n, 274, 275n, 277, 279n, 281, 281n, 285, 287, 290, 301n, 302n, 305n, 307, 310, 311n, 318, 321, 321n, 322, 322n, 327, 330; Consolatio Philosophiae 116, 231, 231n, 232, 232n, 237, 240, 241, 311n, 330; Contra Eutychen et Nestorium 233, 253n; De arithmetica 228, 228n, 330; De fide catholica 279n; De topicis differentiis 209; De Trinitate 26, 54n, 108, 119, 127n, 130, 149n, 166, 173, 175, 229, 230n, 233, 234,
240, 241n, 252n, 263n, 275n, 302n, 322n; In Categorias Aristotelis 135n, 190n, 330; In Aristotelis Periermeneias (vel De interpretatione) editio secunda 197n, 199, 237n, 330; In Isagogen Porphyrii editio prima 178, 228, 228n, 229, 330; In Topica Ciceronis 275n, 330; Introductio ad syllogismos categoricos 229, 229n, 330; Opuscula sacra (Opuscula theologica; gener.) 19, 22, 56n, 110, 116, 149n, 201, 210, 214, 217n, 227, 239, 262, 272n, 330, 332; Quomodo substantiae (sive De hebdomadibus) 29n, 108, 117, 161, 163, 163n, 185n, 188, 270, 270n, 271n, 272n, 273, 273n, 281, 281n Boler, J. 180n, 347 Bonaventura da Bagnoregio (Bonaventura de Balneoregio) 19 Borgnet,A. 86n, 87n, 101n, 330 Bossuat, M. R. 104n, 329 Boiadjiev,T. 116n, 360 Braakhuis, H.A. G. 212n Brady, I. 264n, 334 Brandt, S. 228n, 330 Bredero,A. H. 65n, 346 Bréhier, É. 25, 26n, 340 Brevis controversia modernorum Latinorum de unitate sanctae Trinitatis 28, 125, 152, 156 Brezzi, P. 68n, 341 Buckley, J. M. 122n, 360 Burgundione da Pisa (Burgundio Pisanus) 145n Buytaert, E. 80n, 342 Calcidio (Chalcidius) 106, 142, 169, 191n, 199, 330; Commentarius in Timaeum 169, 330 Calone, arcidiacono della cattedrale di Poitiers 64, 69, 72 Cassiodoro (Cassiodorus Senator) 116, 126 Catari 136n, 266
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Celestino III, papa (Giacinto Bobo sive Boboni Orsini) 74n, 149 Chatillon, J. 60n, 108n, 278n, 306n, 350, 353-354 Chenu, M.-D. 30n, 36, 36n, 37, 37n, 108n, 113n, 199n, 200n, 271n, 278n, 282n, 294, 294n, 295n, 301n, 309n, 312n, 315, 315n, 339-340, 345, 348-349 Chibnall, M. 52n, 72n, 73n, 74n, 150n, 333 Chiurco, C. 105n, 329 Chossat, M. 259n, 338 Cicerone (Marcus Tullius Cicero) 116, 230n, 272n, 275n, 282, 330; Topica 275n, 330 Cioni, L. 64n, 70n, 353 Cipriano di Cartagine (Cyprianus Carthaginensis) 90 Cirillo di Alessandria (Cyrillus Alexandrinus) 138, 152 Clagett, M. 49n, 346, 353 Clarembaldo di Arras (Clarembaldus Atrebatensis) 35, 77, 77n, 78n, 80, 160, 181, 210, 239, 272n, 330-331; Tractatus super librum Boetii De Trinitate 77, 77n, 80n, 330-331; Epistola ad Odonem 77, 77n Classen, P. 54n, 56, 56n, 57, 57n, 133, 133n, 134n, 136n, 344, 346 Clemente III, papa (Paolo Scolari) 63, 117, 283 Clerval, A. 21, 21n, 48n, 49, 49n, 50, 61n, 337 Cloes, H. 257n, 258n, 261n, 345 Colish, M. L. 39, 41, 41n, 42, 42n, 48n, 59n, 73n, 89n, 90n, 91n, 92n, 96n, 115n, 218n, 257n, 258n, 262n, 287n, 295n, 302n, 356-358 Colker, M. L. 64n, 65n, 66n, 126n, 130n, 347 Collectio Sangermanensis 146, 146n, 331 Commentarium in Categorias Aristotelis 40, 100-101, 154, 216-217, 217n, 331
Commentarius in Epistolam ad Romanos 29n Commentarius in librum Boeti De Trinitate 78, 78n, 331 Commentarius Porretanus in Corpus Paolinum (I) 23, 56, 28, 29n, 93n Commentarius Porretanus in Corpus Paolinum (II) 56 Commentarius Porretanus in primam epistolam ad Corinthios 28, 29n, 56, 56n, 154, 165, 166n, 331 Compendium logicae porretanum 40, 96-99, 96n, 97n, 98n, 99, 100, 101, 154, 176, 176n, 177, 177n, 183, 183n, 184, 184n, 190n, 209-214, 209n, 210n, 211n, 212n, 213n, 214n, 216n, 217, 217n, 218, 331 Constable, G. 49n, 355 Continuatio Zwetlensis altera 94, 94n, 331 Coppausi 98, 210n Corbett, J.A. 265n, 335 Corpus iuris civilis, vide Giustiniano Courth, F. 43, 43n, 358 d’Alverny M.-Th. 63n, 64n, 103n, 104n, 105n, 108n, 122n, 249n, 251n, 266n, 281n, 282n, 283n, 317n, 330, 342, 347, 350 d’Onofrio, G. 16, 43, 43n, 107n, 109n, 113n, 167n, 180n, 208n, 210n, 229n, 230n, 231n, 239n, 240n, 249n, 257n, 258n, 267n, 270n, 271n, 272n, 275n, 278n, 279n, 280n, 282n, 284n, 287n, 290n, 294n, 295n, 356, 359-362 Dal Pra, M. 38n, 72n, 343, 352 Davide (monaco) di Lorsch 114 De causis primis et secundis 31n, 331 De commendatione magistri Gisleberti Porree excerpta de manu Rolligeri 80n, 331 De discretione animae, spiritus et mentis 58, 58n, 60, 336 De religionum origine 145n, 331 De Feo, P. 16, 92n
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de Gandillac, M. 31, 31n, 118n, 180n, 343, 348, 354 de Ghellinck, J. 26, 26n, 27n, 29n, 54n, 143, 143n, 339-341 De Gruyter,W. 146n, 331 de la Bigne, M. 87n, 331 de Libera,A. 39, 39n, 42, 42n, 109n, 162n, 178, 178n, 179, 179n, 180n, 184n, 186n, 213n, 221n, 222, 222n, 306n, 311n, 356, 358-359 de Rijk, L. M. 39, 98n, 99, 99n, 161n, 162n, 163n, 168n, 180n, 194n, 198n, 206, 206n, 207n, 211n, 288n, 346, 348-349, 351, 354-357 de Simson, B. 47n, 52n, 68n, 69n, 70n, 334 De spiritu et anima 246, 246n, 331 de Vaux, R. 122n, 123n, 331, 340 De Visch, C. 117n, 334 De Wulf, M. 21, 21n, 180n, 337 Delhaye, P. 106n, 347 Denifle, H. 61n, 63, 91n, 337-338 Dialogus Ratii et Everardi 33, 35, 38, 40, 49n, 50, 50n, 51, 51n, 52, 98n, 99, 100, 101, 114, 147152, 149n, 150n, 151n, 155, 186, 187n, 216n, 217, 217n, 222, 223, 223n, 224, 224n, 225n, 226, 226n, 252-253, 252n, 253n, 317, 321, 321n, 322n, 323n, 331; vide Everardo di Ypres Didimo il Cieco (di Alessandria) 126, 131, 152 Didier, J. C. 77n, 343 Dionigi Areopagita (Dionysius Areopagita, pseudo) 25n, 29n, 36, 37n, 40, 90, 95, 96, 105n, 106, 106n, 110, 113-116, 116n, 117n, 123, 131, 139, 150, 180, 184n, 186, 200n, 222, 222n, 241, 243, 252, 253, 274, 275n, 276n, 277, 282, 301, 301n, 302, 303, 304n, 305, 306, 307, 308, 314n, 317, 318, 322, 327; Corpus Areopagiticum 184, De coelesti
hierarchia 95, 113n; De ecclesiastica hierarchia 95, 113n; De divinis nominibus 40, 113-116, 113n Dod, B. G. 101n, 305n, 330, 333 Domenico Gundisalvi (Dominicus Gundissalinus) 31n; De unitate 31n, 123 Domenico Gundisalvi (pseudo) De anima 123 Donato, Elio (Donatus Grammaticus) 193, 195, 221n Dondaine, A. 35, 36, 36n, 85n, 114n, 123, 124, 124n, 125, 125n, 128n, 131, 131n, 132n, 134n, 135n, 136n, 137, 137n, 138n, 139n, 140, 140n, 141n, 142n, 143, 143n, 144, 144n, 145, 145n, 146, 146n, 152, 152n, 320, 320n, 336, 343, 345346 Dondaine, H.-F. 110n, 121n, 342 Douteil, H. 63n, 269n, 333 Dreves, G. M. 104n Dreyer, M. 44, 44n, 64n, 117n, 269n, 272n, 273n, 283n, 284n, 319n, 334, 358-360 Dronke, P. 40n, 49, 49n, 50n, 51n, 123n, 272n, 349, 356 Dugauquier, J.-A. 81n, 334 Dulang, M. 264n, 335, 337 Durand, U. 61n, 145n, 331, 337 Ebbesen, S. 39, 40, 40n, 44n, 81n, 82n, 85n, 87n, 96n, 97, 97n, 98n, 100, 100n, 176n, 179, 179n, 183n, 190n, 194n, 207n, 208, 208n, 209n, 210n, 210n, 212n, 213n, 215n, 216, 216n, 217n, 219, 219n, 221n, 233n, 263n, 331, 354-358, 360-361 Eberardo (Eberhard) di Bamberg 132n, 134n Elia, Pietro, vide Pietro Elia Elinando di Froidmont (Helinandus Frigidi Montis) 78, 78n, 333; Chronicon 78, 78n, 333 Enrico I conte di Champagne 78
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Enrico Pisano 74, 74n Epicurei, epicureismo 307 Erismann, C. 16, 186n Ermete Trismegisto (Hermes Trismegistus), ermetismo 106, 106n, 281, 307 Erveo di Bourg-Dieu (Hervaeus Burgidolensis) 29n Euclide 117, 273, 283; Elementa 117, 273, 283 Eugenio III, papa (Bernardo Paganelli) 66, 67, 68, 68n, 70, 70n, 71n, 72, 74n, 75, 75n, 76, 76n, 78n, 93, 127n, 128n, 129n, 141n, 275n Eusebio d’Emesa (Eusebius Emesenus) 152 Evans, G. R. 64n, 104n, 105n, 107, 107n, 221n, 248n, 258n, 267n, 271n, 279n, 305n, 306n, 308n, 315n, 330, 352-355 Evans, M. 258n, 357 Everardo di Bethune (Eberhardus Bethuniensis) 87, 87n, 331; Antihaeresis contra Valdenses 87n, 331 Everardo di Ypres (Everhardus Yprensis) 34, 35, 51, 51n, 95, 96, 96n, 98n, 99, 101, 114, 115, 124n, 142n, 147-152, 147n, 148n, 149n, 151n, 152n, 155, 224n, 322n, 323n, 331; Epistolae 147, 151n, 152, 322n; Summula decretalium quaestionum 51, 147, 147n, 149n; vide: Dialogus Ratii et Everardi al-Farabi (Alfarabi;Alfarabius)101n Federici Vescovini, G. 271n, 361 Federico I Barbarossa, imperatore 134, 141n, 144 Fichtenau, H. 80n, 132n, 344 Fidora,A. 235n, 360 Filippo di Harcourt, vescovo di Bayeux 54n Filippo il Cancelliere (Philippus Cancellarius Parisiensis) 32n
Fioravanti, G. 16 Fischer, J.A. 69n, 345 Flint,V. I. J. 48n, 351 Fontana, M. 55n, 339 Forest,A. 31, 31n, 181n, 340, 343 Fournier, P. 31, 36, 36n, 124, 124n, 125, 125n, 126n, 127, 127n, 128n, 129n, 131, 337 Fredborg, K. M. 40, 40n, 96n, 97n, 99n, 100n, 176n, 183n, 190n, 195, 196, 196n, 197n, 204n, 210n, 215n, 216n, 219, 219n, 331-332, 350, 355-356 Friedrich, G. 275n, 330 Fulgenzio (Fabius Claudius Gordianus Fulgentius) 126 Fumagalli Beonio Brocchieri, M.T. 38, 38n, 200n, 347, 352 Galeno (Claudius Aelius Galenus) 142, 149 Gallais, P. 200n, 349 Galonnier,A. 45n, 279n, 361 Gammersbach, S. 34, 35n, 62n, 64n, 65n, 69n, 72n, 150n, 344, 346 Garin, E. 49n, 345 Garnerio di Rochefort (Garnerius de Rupeforti) 114 Garnero, vide Maestro Garnero Garvin, J. N. 111n, 264n, 335, 342 Gastaldelli, F. 40, 40n, 65n, 113n, 114n, 115n, 116, 116n, 166n, 171n, 172n, 244n, 259n, 260n, 274n, 275n, 276n, 303n, 336, 350, 352-354 Gauvin, J. 39, 190n Gerhoh di Reichersberg (Gerhohus Reichersbergensis) 25, 35, 42, 56, 69, 69n, 79, 79n, 124n, 133, 133n, 134, 134n, 136n, 153, 154, 332; De ordine donorum Sancti Spiritus 79n, 332; Epistola XXIII 79n, 134n, 332; Liber de gloria et honore Filii hominis 79n, 332; Liber de novitatibus huius temporis 79n, 332
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Geyer, B. 22, 22n, 29n, 91n, 92, 92n, 93n, 201n, 218n, 260n, 261n, 298n, 335, 338, 343 Ghisalberti,A. 16 Giacinto Bobo (o Boboni) Orsini, vide Celestino III Giacinto di Santa Maria in Cosmedin, vide Celestino III Gibson, M. F. 196n, 353 Gilbert, P. 210n, 359 Gilberto di Poitiers (Gilbertus Porreta sive Pictaviensis) passim; Commentaria in Boethii Opuscula sacra 19, 22, 33, 54, 56, 56n, 57, 60, 65n, 71, 77n, 92, 93n, 95, 98, 99, 101, 108, 111, 128, 130, 147, 148, 150, 161n, 195, 198, 210, 216, 256, 260n, 270, 332; Commentarius in Epistulas Sancti Pauli 23, 28n, 48, 54, 55, 111, 153, 165; Commentarius in Psalmos 43, 48, 54, 55, 63n, 153, 190; Epistola ad Matthaeum abbatem Sancti Florentii 55, 55n, 90, 90n, 332; Expositio in Boethii librum contra Eutychen et Nestorium 59, 161n, 162n, 163n, 168n, 169n, 170n, 173n, 174n, 175n, 178n, 182n, 189n, 190n, 191n, 203n, 204n, 233n, 234n, 235n, 237n, 238n, 239n, 289n; Expositio in Boethii librum De bonorum ebdomade 62n, 164n, 165n, 169n, 188n, 190n, 191n, 225n, 236, 236n, 272n, 273n, 285, 288, 288n, 292n, 293n; Expositio in Boethii librum primum De Trinitate 72, 72n, 75, 75n, 77, 97, 151, 163n, 166n, 167n, 168n, 169n, 170n, 172n, 173n, 174n, 176n, 177n, 182n, 187n, 188n, 190n, 191n, 199n, 200n, 201n, 202n, 204n, 205n, 213n, 233n, 234n, 235n, 236n, 238n, 262, 262n, 287, 290n, 291n, 292n, 293n, 294n; Expositio in Boethii librum secundum De Trinitate 202n, 205n, 289n, 290n
Gilberto di Poitiers (pseudo) Expositio Symboli Athanasii «Quicumque vult» 38, 58, 58n, 217, 217n, 293n, 332; Notae super Iohannem secundum magistrum Gilb[ertum] 58, 58n, 332; Sermo de Natale Domini 58, 58n, 59, 332; De Trinitate «Quod Patris et Filii» 38, 58, 58n, 59, 217, 218n, 332 Gilberto di San Marco 74n Gilberto l’Universale (Gilbertus Universalis) 73 Gillmann, F. 259n, 338 Gilson, É. 24, 24n, 170n, 338, 341 Gioacchino da Fiore (Ioachim Florensis) 27n, 28, 30n, 31n, 114n, 125, 125n, 126n, 152; De unitate seu essentia Trinitatis 114n, 152 Giordano Fantasma (Iordanus Fantasma) 21, 25, 29, 31n, 34, 61, 62, 124n, 154; Rhythmus 62, 62n Giordano di Santa Susanna 74n Giovanni Beleth (Iohannes Beleth) 21, 24, 25, 29, 31n, 34, 38, 61, 63, 63n, 124n, 154, 269, 269n, 333; Summa de ecclesiasticis officiis (Rationale divinorum officiorum) 63, 63n, 269, 269n, 333 Giovanni Crisostomo (Iohannes Chrysostomus) 90, 126, 128 Giovanni Damasceno (Iohannes Damascenus) 116, 120, 128, 138, 140, 264, 275n, 309n; De fide orthodoxa 140, 146, 264 Giovanni di Cornovaglia (Johannes Cornubiensis) 25, 73n, 79, 79n, 333; Eulogium ad Alexandrum Papam tertium 73n, 79n, 333 Giovanni di Salisbury (Johannes Sarisberiensis) 20, 22, 23, 24, 28, 29, 31n, 35, 37n, 38, 50, 50n, 52, 52n, 54, 65, 66, 72-76, 72n, 73n, 74n, 124n, 136, 150n, 153, 154, 155, 179, 181, 181n, 193, 193n, 194, 194n, 203, 203n, 207, 208, 333; Historia pontificalis 20, 52, 52n, 53, 72,
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INDICE DEI NOMI
72n, 73n, 74n, 75n, 150n, 154, 333; Metalogicon 50n, 52n, 181n, 193n, 194, 194n, 203n, 208n, 333 Giovanni di Santa Maria Nuova 74n Giovanni Paparo di Sant’Adriano 74n Giovanni Scoto Eriugena (Iohannes Scotus Eriugena) 25n, 36, 37n, 40, 105n, 106, 106n, 109n, 110, 114, 116, 123, 150, 186, 200n, 248, 249n, 275n, 282, 311n; Expositiones super Hierarchiam caelestem 249n Girolamo di Stridone (Hieronymus Stridonius) 30n, 52n, 90, 106, 116, 126, 131 Giuliano (Iulianus), destinatario di una lettera di Prisciano 53n, 220n Giulio di San Marcello 74n Giustiniano I, imperatore 138; Codex 138 Glorieux, P. 32, 32n, 79n, 92n, 103n, 104n, 105, 105n, 106, 106n, 107n, 108n, 117n, 177n, 186n, 201n, 248n, 249n, 265, 266n, 283n, 305n, 330, 332, 342-344 Glossa Promisimus 53, 53n, 99, 99n, 206n, 219, 220n, 221n, 332 Glossa super Priscianum minorem 99 Glossa Tria sunt 206n Glosulae in Priscianum 196, 198n Glosulae porretanae super Priscianum minorem 40, 99-100, 99n, 101, 154, 215-216, 215n, 216n, 332 Goffredo di Auxerre (Gaufridus Autissidorensis) 25, 35, 65-68, 65n, 66n, 67n, 68n, 70, 70n, 72, 72n, 76, 77, 77n, 78, 80, 146, 151n, 153, 154, 155, 331-332; Epistola ad Albinum Cardinalem 67, 67n, 68n, 70n, 77n, 151n, 155, 331; Libellus contra capitula Gisleberti Episcopi Pictavensis 66, 66n, 70n, 76, 77n, 154, 331;
Scriptura (Error[es] Gilleberti Pictavensis episcopi) 65, 65n, 153, 332; Sancti Bernardi Vita prima 66, 66n, 70n, 72n, 78, 153, 332 Goffredo di Loroux, arcivescovo di Bordeaux 67 Goffredo di San Vittore (Godefridus de Sancto Victore) 81, 178, 209, 209n, 332; Fons philosophiae 81, 81n, 209, 209n, 332 Gotescalco di Monte Sant’Elegio (Godescalcus de Monte Sancti Elegii) 67 Grabmann, M. 22, 22n, 23, 23n, 54n, 61, 61n, 63, 105, 105n, 109, 110n, 118n, 119n, 120n, 125n, 257n, 261n, 263, 263n, 267n, 268n, 269n, 317n, 338339, 343 Gracia, J. J. E. 173n, 174n, 175n, 355, 358 Graziano di Bologna (Gratianus Bononiensis) 122, 130, 130n, 149; Decretum 122 Gregorio di Nazianzo (Gregorius Nazianzenus) 116, 128, 131, 140 Gregorio di Nissa (Gregorius Nyssenus) 123, 138, 145 Gregorio di Sant’Angelo 74n Gregorio I Magno, papa (Gregorius Magnus) 116, 118, 120, 126 Gregory,T. 49n, 344-345 Grill, L. 69n, 345 Gross-Diaz,Th. 43, 43n, 48n, 49n, 50, 50n, 51n, 55, 55n, 190n, 359 Gründel, J. 118n, 122, 268n, 320n, 346, 348, 352 Gualtiero di San Vittore (Gualterus sive Galterius de Sancto Victore) 24, 25, 35, 79, 79n, 92, 92n, 332; Contra quatuor labyrinthos Franciae 79n, 92, 92n, 332 Guglielmo di Alvernia (Guillelmus de Alvernia) 32n
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I PORRETANI
Guglielmo di Auxerre (Guillelmus Altissiodorensis) 32n, 85, 86n, 333; Summa aurea 86n, 333 Guglielmo da Lucca (Wilhelmus Lucensis) 40, 40n, 103, 113116, 113n, 117n, 154, 155, 166, 166n, 171, 171n, 172, 172n, 243-246, 244n, 245n, 246n, 274, 274n, 275, 276n, 277, 277n, 303, 303n, 304n, 305, 306, 336; Comentum in tertiam ierarchiam (Commento al De divinis nominibus) 40, 113-116, 113n, 154, 166, 166n, 171n, 172n, 243-246, 244n, 245n, 246n, 274, 274n, 276n, 277, 277n, 303, 303n, 304n, 336 Guglielmo di Champeaux (Guillelmus de Campellis) 179, 196, 198n, 261 Guglielmo di Conches (Guillelmus de Conchis) 50, 127, 160, 193n, 196, 196n, 197, 198n, 232, 232n, 332-333; Commentarius in Boethii Philosophiae Consolationem 232, 232n, 332-333 Guglielmo di Corbeil (?), vide Guillelmus Corborensis Guglielmo di Rofredo (Guilielmus de Rofredo) 115n, 333; Summa dialetice artis 115, 115n, 333 Guglielmo di Saint-Thierry (Guillelmus a Sancto Theodorico) 28, 30n Guglielmo di Saint-Thierry (pseudo) Disputatio altera 30n Guglielmo di Tiro (Guillelmus Tyrensis) 34 Guido di San Pastore (sive di Santa Pudenziana) 74n Guido di Santa Maria in Porticu 74n Guido di SS. Cosma e Damiano 74n Guido di Orchelles (Guido de Orchellis) 28, 30n; Summa de sacramentis 28; Summa de officiis 28
Guido di San Lorenzo in Damaso 74n Guido di San Lorenzo in Lucina 74n Guillelmus Corborensis (Guglielmo di Corbeil?) 21; Explicatio quorumdam vocabulorum greaecorum 21 Gundisalvi, vide Domenico Gundisalvi Haas, M. 39, 233n Hall, J. B. 50n, 52n, 181n, 193n, 203n, 333 Hamesse, J. 257n, 358 Häring, N. M. 20, 20n, 33, 33n, 34, 41n, 47n, 48, 48n, 49, 49n, 50n, 51, 51n, 52n, 53n, 54n, 55n, 56, 56n, 57, 57n, 58n, 59n, 60, 60n, 62n,63n,64n,65,65n,66n,67n, 68n, 69n, 72n, 73n, 74n, 76n, 77n, 79n, 80n, 88n, 89n, 90n, 93n, 94n, 95n, 96n, 103n, 104n, 105n, 107n, 108, 108n, 110n, 111, 111n, 112n, 124n, 129n, 130, 130n, 131n, 132n, 135n, 136n, 137, 137n, 138n, 141n, 142n, 143, 143n, 144, 144n, 145n, 146, 146n, 147, 147n, 148n, 149n, 150n, 151n, 152n, 159n, 161n, 171n, 172n, 174n, 178n, 184n, 185n, 187n, 216n, 217n, 218n, 219n, 223n, 239n, 240n, 241n, 247n, 252n, 257n, 259n, 266n, 274n, 279n, 293n, 296n, 301n, 313n, 321n, 322n, 329, 331-333, 335-336, 343355 Harris, K. 283n, 351 Haskins, C. H. 54n, 143, 143n, 338 Hauréau, B. 20, 20n, 337 Hayen, A. 24, 25, 25n, 56n, 64n, 71n, 79n, 93n, 124n, 129n, 159n, 340 Heinzmann, R. 82, 82n, 120n, 347, 351 Henry, D. P. 199n, 210n, 357 Heysse,A. 101n, 333
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INDICE DEI NOMI
Histoire littéraire de la France 20, 20n, 337 Hofmeister,A. 68n, 334 Holder Egger, O. 62n, 335 Hudry, F. 103n, 104n, 107, 107n, 280n, 281n, 282n, 329-330, 334, 356 Hunt, R. W. 53n, 78n, 99n, 194n, 206n, 219, 220n, 221n, 332, 341-342, 354 Huygens, R. B. C. 52n, 347 Ilario di Poitiers (Hilarius Pictaviensis) 52n, 79n, 90, 95, 106, 116, 120, 126, 131, 141, 141n, 142, 146, 186n, 297n, 305n, 307, 333; De synodis 141; De Trinitate 90, 116, 305n, 333 Ilario, maestro a Poitiers 47 Ildeberto di Lavardin (Hildebertus Lavardinensis) 259n Ilduino di Saint-Denys (Hilduinus Sancti Dionysii) 114, 150 Imaro di Tuscolo 74n Innocenzo III, papa (Lotario di Segni) 28, 123 Introductiones breves ad fidem sanctae Trinitatis 28, 125, 152, 156 Isidoro di Siviglia (Isidorus Hispalensis) 151n, 307 Ivo, vescovo di Chartres 31n, 48 Ivo di Chartres (Ivo Carnotensis), discepolo di Gilberto di Poitiers 21, 25, 29, 34, 61, 62-63, 62n, 63n, 67, 98, 98n, 124n, 154; Psalterium glosatum secundum magistrum Ivonem 62, 63, 63n Iwakuma, Y. 81n, 82n, 85n, 87n, 179, 179n, 219, 219n, 221n, 355, 357 Jacobi, K. 194n, 198n, 208n, 212n, 214n, 233n, 270n, 358, 360 Jansen,W. 272n, 338 Javelet, R. 37, 37n, 349 Jeauneau, É. 49n, 116n, 117n, 196n, 346, 351, 359-360
Jolivet, J. 39, 39n, 99n, 108n, 169n, 173n, 180n, 182n, 183n, 185n, 187n, 197n, 200n, 203n, 224n, 225n, 233n, 278n, 288n, 349351, 354, 356-357, 359 Joscellino di Soissons (Goslenus sive Goscelinus Suessionensis) 179 Kapriev, G. 116n, 360 Kardaun, M. 199n, 360 Keats-Rohan, K. S. B. 50n, 52n, 181n, 193n, 203n, 333 Kenny,A. 207n, 355 Klibansky, R. 49n, 346 Kneepkens, C. H. 40, 40n, 97n, 99n, 100n, 199n, 207n, 215n, 216n, 332, 352, 355-356, 360 Knowles, D. 36, 36n, 347 Knuuttila, S. 39, 233n, 357 Kohlenberger, H. 210n, 359 Köhler, J. 186n, 359 Kormos, J. 271n, 361 Kretzmann, N. 207n, 355 Kuttner, S. 147n, 340 Laborans, Cardinale (Laborans Cardinalis) 25, 28, 29n, 34, 122, 122n, 155, 333; De iustitia et iusto 122; De vera libertate 122; Contra Sabellianos 122; De relativa praedicatione personae in divinis 122; Compilatio decretorum 122, 122n Lacombe, G. 81n, 265n, 339-340 Lammers,W. 68n, 334 LaMonte, J. L. 54n, 339 Landgraf, A. 25, 27, 27n, 28n, 29n, 32n, 43n, 55n, 56, 56n, 85n, 93n, 119n, 120n, 122n, 166n, 258n, 331, 333, 335, 339-342 Landry,A. M. 27n, 342 Lang,A. 58n, 340 Lanham, C. D. 49n, 355 Laurenzio sive Lorenzo di Poitiers (Laurentius Pictavensis) 80; Planctus Laurentii decani Pictavensis 47, 80n
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I PORRETANI
Lechat, R. 139n, 338 Lechner, J. 58n, 340 Leclercq, J. 65n, 73n, 76n, 77n, 80n, 124n, 147, 147n, 149n, 150n, 196n, 330-331, 341, 343 Lemoine, M. 49n, 103n, 359 Lenzi, M. 16 Leone I Magno, papa (Leo Magnus) 126 Leone Toscano (Leo Toscanus) 134, 134n, 136 Leonzio Bizantino (Leontius Byzantinus) 138 Lewry, O. 39, 101n Liber de causis 273 Liber de causis primis et secundis (De intelligentiis) 40, 122-123, 122n Liber de ignorantia 28, 36, 141, 144, 145, 145n, 155, 333 Liber de unitate et uno 29n, 124n Liber de vera philosophia 23, 26, 28, 29n, 31n, 35, 36, 125-132, 125n, 126n, 127n, 128n, 129n, 151, 155 Liber sex principiorum (Liber de sex principiis) 101-102, 101n, 198, 333-334 Liber XXIV philosophorum 281, 281n, 282n, 283, 283n, 284n, 334 Liccaro,V. 106n, 306n, 352 Liebeschutz, H. 72n, 193n, 342, 349 Limone, O. 105n Linn,A. 196n, 361 Longère, J. 104n, 105n, 265n, 266n, 267n, 329, 348, 351, 353, 356 Lottin, O. 29n, 35, 35n, 82n, 104n, 105, 105n, 106, 106n, 111n, 121n, 122, 139n, 248n, 250n, 259n, 269n, 329, 341-342, 344345 Lucentini, P. 16, 106n, 281n, 283n, 334, 357 Lucio III, papa (Ubaldo Allucingoli) 134n Luscombe, D. E. 38, 38n, 72n, 73n, 115n, 258n, 259n, 349-350
Lutz-Bachmann, M. 235n, 360 Macrobio (Ambrosius Theodosius Macrobius) 116, 307 Maestro Garnero (Magister Garnerus),grammatico 53n,220,220n Maestro Martino (Magister Martinus) 25, 28, 30n, 31n, 37, 111, 111n, 120-121, 120n, 155, 269; Summa quaestionum theologiae 28, 120, 120n, 155, 269 Maestro Simone (Magister Simon) 31, 32, 90, 93n; De sacramentis 90n, 93n Maestro Uberto (Magister Hubertus) 82-84, 82n, 83n, 84n, 85n, 86n; Summa «Colligite fragmenta» 82-84, 82n, 83n, 84n, 85n, 86n Magnus di Reichersberg (Magnus Reicherspergensis) 80, 80n, 334; Chronica collecta a Magno presbytero 80n, 334 Mahnke, D. 283n, 341 Maierù, A. 44n, 203n, 207n, 350, 361 Mainoldi, E. 16, 105n Maioli, B. 64n, 160n, 163n, 165n, 167n, 170n, 173n, 180n, 181n, 189, 189n, 190n, 198n, 199n, 204n, 205n, 233n, 237n, 238n, 256n, 351, 353 Mandonnet, P. 86n, 126n, 336-337 Manichei, manicheismo 126, 307 Manuele I Comneno, imperatore bizantino 134, 136, 136n, 137, 138, 138n Marchetti, G. 271n, 361 Marenbon, J. 40, 40n, 89n, 148n, 197n, 235n, 356, 360 Mario Vittorino (Caius Marius Victorinus Afer) 275n, 282, 334; De definitionibus 275n, 334 Marmo, C. 44n, 110n, 222n, 223n, 359 Marrou, H. I. 305n, 349 Martène, É. 61n, 145n, 331, 337
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INDICE DEI NOMI
Martin, Ch. J. 40, 40n, 97n, 176n, 355 Martin, R. M. 23, 23n, 30n, 35, 263n, 264n, 335, 338 Marziano Capella (Martianus Capella) 193 Martino, vide Maestro Martino Massimo il Confessore (Maximus Confessor) 116 Matteo di San Florenzo (Matthaeus Sancti Florentii) 55, 90, 90n McLelland, N. 196n, 361 Meiser, C. 197n, 237n, 330 Melidunensi, vide Roberto di Melun Merlet, L. 48n, 337 Metamorphosis Goliae 52, 62 Mews, C. 200n Miano,V. 55n, 343 Michaud-Quantin, P. 81n, 118n, 209n, 332, 345 Michiels, G. 132n, 358 Minio-Paluello, L. 101, 101n, 102, 102n, 206n, 333, 344, 348 Mojsisch, B. 199n, 357 Montani, vide Alberico di Parigi Moore, P. S. 264n, 335 Moreschini, C. 149n, 163n, 230n, 231n, 241n, 252n, 270n, 275n, 302n, 311n, 322n, 330 Morin, G. 58n, 60n, 336, 340 Mortensen, L. B. 263n, 355-356 Müller, G. 134n, 337 Nauta, L. 232n, 333 Nemesio di Emesa (Nemesius) 144; De natura hominis 144, 145n Neoplatonismo 40, 123, 180, 229n, 230, 271n, 282 Niccolò I, papa 127n Nicola di Amiens (Nicolaus Ambianensis) 21, 22, 23, 24, 24n, 25, 26, 28, 29, 31n, 35, 37n, 38, 43, 44, 61, 63, 63n, 64, 64n, 102, 103, 117-118, 117n, 124n, 130, 155, 156, 274, 283-284, 283n,
284n, 319, 319n, 334; De arte catholicae fidei (Ars fidei catholicae) 22, 23, 44, 63, 64, 64n, 102, 117n, 155, 283-284, 283n, 284n, 319, 319n, 334; Liber annalium sive chronicorum 63, 64, 64n Niederberger,A. 235n, 360 Nielsen, L. O. 38, 38n, 39n, 40, 40n, 54n, 56n, 58n, 59n, 60n, 64n, 96n, 97n, 107, 107n, 110n, 121n, 160n, 176n, 183n, 190n, 198n, 199n, 201n, 210n, 217n, 221n, 223n, 224n, 225n, 258n, 259n, 289n, 292n, 301n, 323n, 331, 352, 355 Nominales, nominalismo 82n, 87n, 98, 179, 180n, 181, 184n, 198, 209, 209n, 210n, 218 O’Donnell, J. R. 49n, 351 O’Meara, J. 123n, 350 Obertello, L. 161n, 351 Oddone, destinatario di una lettera di Clarembaldo 77 Oddone di Ourscamp (Odo Abbas Ursi Campi) 37n, 120n, 263, 334; Quaestiones 263n, 334 Oddone di San Giorgio in Velabro 74n Oddone di Soissons (Odo Suessionensis) 62n, 110, 263, 264n Oosthout, H. 228n, 330 Origene (Origenes Alexandrinus) 120, 131 Ott, L. 259n, 341 Ottaviano di San Nicola in Carcere 74n Ottone di Frisinga (Otto Frisingensis) 19, 23, 24, 25, 28, 29, 31n, 32, 35, 38, 42, 47, 47n, 52n, 65, 68-71, 68n, 69n, 70n, 71n, 72, 124n, 132n, 133, 146, 147, 154, 257, 334; Gesta Friderici I Imperatoris 19, 47, 47n, 52n, 68, 68n, 69n, 70n, 71, 71n, 154, 334; Historia de duabus civitatibus (Chronica), 68, 68n, 334
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I PORRETANI
Ottone, vescovo di Lucca (Otto Lucensis) 115, 116 Padellaro, R. 180n, 349 Pagliari,A. 55n, 347 Parent, J. M. 105, 105n, 106, 106n, 340 Parvipontani, vide Adamo di Balsham Pelster, F. 19n, 53n, 63, 63n, 64n, 73n, 92n, 130, 130n, 339, 342, 345 Pietro di Blois (Petrus Blesensis) 37n Pietro Cantore (Petrus Cantor) 63, 81, 265, 265n, 309n, 334; Summa «Abel» 265, 334; Summa de sacramentis et animae consiliis 81, 81n, 265, 265n, 334; Summa de vitiis et virtutibus (Verbum abbreviatum) 265, 265n, 334 Pietro di Capua (Petrus de Capua) 32n, 85n; Summa 85n Pietro di Pavia (Petrus Ticinensis) 141, 146 Pietro di Poitiers (Petrus Pictaviensis) 32n, 44, 79n, 92n, 93, 111n, 120, 120n, 264, 264n, 335, 342; Sententiarum libri quinque (De theologicis sententiis) 94, 120, 264, 264n, 335 Pietro di Vienna (Petrus Wiennensis) 25, 28, 29n, 33, 34, 42, 79n, 94, 94n, 124n, 125, 132, 132n, 133n, 134, 135n, 136n, 137, 142n, 143, 143n, 145, 153, 154, 155, 274, 274n, 335 Pietro Elia (Petrus Helias sive Helia) 196, 196n, 197, 221, 221n; Summa super Priscianum 196, 197 Pietro Lombardo (Petrus Lombardus) 22, 26, 26n, 29n, 30, 30n, 32, 35n, 39, 44, 55, 62, 62n, 63n, 72, 72n, 73n, 76n, 79n, 82n, 83n, 92n, 111, 111n, 114, 115, 115n, 116, 122, 124, 127,
256, 264, 264n, 334; Magna sive Maior glossatura (Commentarius in Epistulas Pauli, Commentarius in Psalmos) 55, 63n, 72n; Liber sententiarum (Sententiae) 29n, 73n, 76n, 122, 256, 264, 264n, 334; Scuola di Pietro Lombardo, lombardiani 29, 32n, 37, 39, 111n, 114, 144n, 265 Pinborg, J. 207n, 350, 355 Pirarczyk, D. E. 265n, 347 Pitra, J.-B. 263n, 265n, 334 Platone (Plato), platonismo 24, 26, 26n, 27n, 37n, 38, 38n, 71, 85n, 106, 106n, 116, 133n, 142, 150, 160, 162n, 170, 176, 176n, 185, 187, 191n, 199, 200, 200n, 201, 226, 228, 229, 239, 271n, 296n, 307; Timeo 150, 169, 191n, 199 Plotino (di Licopoli) (Plotinus) 116 Pluta, O. 199n, 357 Poole, R. L. 49, 49n, 193n, 338 Porfirio di Tiro (Porphyrius Tyrius) 106, 116, 178, 214, 215, 228; Isagoge 178, 208, 228 Porretani passim Porro, P. 278n, 362 Post, G. 49n, 353 Pozzi, L. 115n, 333 Prepositino di Cremona (Praepositinus Cremonensis) 29n, 32n, 37, 38, 44, 63, 81, 81n, 120, 263, 263n, 265, 265n, 335, 339; Quaestiones 263n; Summa theologiae («Qui producit ventos») 63, 120, 120n, 265; Summa (Tractatus) de officiis 265, 265n, 335; Summa super Psalterium 265 Prepositino di Cremona (pseudo), Quaestiones 81, 81n, 82n; Tractatus de peccato originali 28, 29n, 35 Principe,W. H. 33n, 355 Prisciano di Cesarea (Priscianus Caesariensis) 40, 52, 53n, 83n, 99, 116, 150, 193, 195, 196, 197, 203, 204, 206n, 215, 216, 219, 220n, 221n, 223, 224n,
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INDICE DEI NOMI
225, 303; Institutiones grammaticae 196, 197 Proclo di Atene (Proclus Philosophus sive Atheniensis) 273; Elementatio physica 273 Quinto, R. 43, 43n, 121n, 122n, 125n, 139n, 259n, 263n, 269, 269n, 336, 357-358 Rahewino di Frisinga (Rahewinus Frisingensis) 70n, 132n Rainaldo di Dassel (Rainaldus de Dassel sive Coloniensis) 132n Rathbone, E. 58n, 60n, 332 Raul (Radulfo) Ardente (Radulfus Ardens) 21, 22n, 24, 25, 27, 28, 29n, 31n, 34, 35, 37, 38, 40, 42, 103, 111, 111n, 118-120, 118n, 119n, 122, 124n, 155, 268, 268n, 319, 320, 320n, 335; Liber epistolarum 22n; Homiliae 22n, 118, 119n, 335; Speculum universale (Summa de virtutibus et vitiis) 22n, 118, 118n, 119, 119n, 122, 155, 267, 319, 320n Raul (Radulfo) di Laon (Radulfus Laudunensis) 47, 48, 73 Reales, realismo 21, 24, 31n, 78n, 179, 180, 180n, 181, 182, 183, 183n, 186, 187, 198, 200, 209, 211, 224, 225, 226 Reilly, L. 196n, 353 Remigio di Auxerre (Remigius Autissiodorensis) 165, 272n Reynolds, R. 49n, 353 Ribaillier, J. 86n, 333 Rignani, O. 271n, 361 Riou,Y.-J. 200n, 349 Robert, G. 338 Robert Blund 198n Roberto d’Auxerre (Robertus Autissiodorensis) 62, 62n, 335; Chronica 62, 62n, 335 Roberto di Bosco 73 Roberto di Courçon (Robertus de Cursone, de Curceto) 32n
Roberto di Melun (Robertus Meludensis) 62, 72, 73n, 82n, 179, 207, 209, 209n, 210, 263, 263n, 264, 264n, 335; Quaestiones de divina pagina 263n, 335; Quaestiones de epistulis Pauli 263n, 335; Sententiae 264, 264n, 335; Scuola di Roberto di Melun, Robertini, Melidunensi 98, 179, 180, 198n, 207n, 209, 210, 212, 221 Roberto di Parigi (Robertus Parisiensis) 198n Roberto di Torigny (Robertus de Torigniaco sive de Monte) 79, 79n, 80, 335; Chronica 80n, 81n, 335 Roberto Pullo (Robertus Pullus) 90 Rochais, H. M. 76n, 77n, 330 Rodolfo di Beauvais (Radulphus Beluacensis) 198n, 206, 206n Rolando Bandinelli, vide Alessandro III, papa Rolando da Cremona (Rolandus Cremonensis) 101, 101n; Quaestiones super quattuor libros Sententiarum 101n Roscellino di Compiègne (Roscelinus Compendiensis) 179, 210, 276n Rosier-Catach, I. 45n, 196n, 200n, 309n, 311n, 315n, 358, 361-362 Rossi, P. 43n, 358 Rossini, M. 105n, 329 Rotoldo di Beaumont 21, 29 Rotoldo, vescovo di Evreux e di Rouen (Rotoldus Ebroicensis) 67 Roussel, H. 108n, 353 Sabellio (Sabellius), sabellianesimo 124, 126, 127, 128, 128n, 131, 141n, 152, 290 Sackur, E. 79n, 332 Salmann, E. 210n Schilling, J. 228n, 330
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I PORRETANI
Schioppetto, D. 268n, 320n Schmaus, M. 58n, 110n, 226n, 339340 Schmidlin, J. 68n, 69n, 71n, 338 Schweiss, K. 39, 147n, 323n Secta Meludina 98, 98n, 207 Sententiae divinitatis 21, 21n, 22, 23, 24n, 25, 26, 27, 28, 29n, 31, 31n, 32, 35, 37n, 38, 41, 91-93, 92n, 93n, 124n, 147, 153, 201n, 218, 218n, 260, 260n, 261, 261n, 295, 298, 298n, 299n, 300, 300n, 335 Sententiae magistri Gisleberti 33, 34, 41, 89-91, 89n, 90n, 96, 116, 153, 259, 260, 260n, 261, 295, 296n, 297n, 298, 298n, 335 Sententiae magistri Petri Pictaviensis, vide Summa Zwettlensis Sententiae Parisienses 258, 335 Sergio I, patriarca di Costantinopoli (Sergius Constantinopolitanus) 146 Sheridan, J. J. 104n Sicardo di Cremona (Sicardus Cremonensis) 149 Sigeberto di Gembloux (Sigebertus Gemblacensis) 63; Chronica 63 Sigieri di San Dionigi 72 Sileo, L. 16, 255, 255n, 256n Simon, M. 56n, 345 Simone, vide Maestro Simone Simone di Tournai (Simon Tornacensis) 22, 24, 25, 26, 28, 29n, 31n, 32, 32n, 33, 34, 35, 37n, 40, 43n, 58n, 59, 59n, 90n, 95, 96, 97, 103, 103n, 104n, 105, 106, 107, 107n, 109-113, 110n, 111n, 112n, 120, 120n, 121, 121n, 123, 145, 145n, 154, 155, 221n, 222, 223, 226, 226n, 262, 263, 264n, 267, 267n, 317, 317n, 318, 318n, 319, 319n, 335; Expositio super Symbolum «Credo in Deum Patrem» 95, 107n, 110, 110n, 111, 111n, 335; Expositio super Symbolum
«Quicumque vult» 95, 97, 107n, 110, 110n, 111, 112, 335; Disputationes (Quaestiones quodlibetales) 22, 24, 58n, 106, 110, 110n, 112, 154, 226n, 263, 264, 318n, 319n, 335; Institutiones in sacram paginam (Summa theologica) 106, 110, 112, 222, 267, 267n, 317, 317n Smalley, B. 62n, 63n, 340 Sofronio, patriarca di Gerusalemme (Sophronius Hierosolymitanus) 131, 135, 141n, 146, 146n, 152, 335; Epistola Synodica ad Sergium Patriarcham Constantinopolitanum 146, 146n, 335 Solère, J.-L. 45n, 361 Sorge,V. 16, 271n, 361 Southern, R. W. 48, 48n, 49, 49n, 50, 50n, 51, 51n, 52n, 350, 353, 355 Speer, A. 116n, 186n, 273n, 358360 Spruyt, J. 199n, 360 Stammberger, R. M.W. 235n, 360 Stangl,T. 275n, 334 Stefano di Beauvais (Stephanus Beluacensis) 78n Stefano di Alinerra (Stephanus de Alinerra) 21, 25, 29, 78, 78n, 124n Stefano Langton (Stephanus Langton) 29n, 32n, 44, 120n, 121, 121n,263,263n,335-336;Quaestiones theologicae 263n,335-336 Stefano di Reims (Stephanus Remensis), vide Stefano di Beauvais Stefano di Tournai (Stephanus Tornacensis) 149 Stegmüller,W. 180n, 352 Stegmüller, F. 55n, 342 Stuart Beddie, J. 54n, 339 Sturlese, L. 42, 42n, 69n, 71n, 95n, 132, 132n, 133, 133n, 135n, 143n, 357 Suard, F. 108n, 353 Sulzbacher, B. 101n, 330
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INDICE DEI NOMI
Summa «Breves dies hominis sunt» 29n, 121, 121n, 122, 154, 213, 213n, 269 Summa porretana 28, 131, 132n, 155 Summa sententiarum 21n, 93n, 115, 116, 127, 259, 260, 336 Summa Zwettlensis (Sententiae magistri Petri Pictaviensis) 28, 30n, 33, 40, 93-95, 94n, 95n, 153, 174n, 185, 185n, 273, 274n, 295, 336 Talbot, C. H. 76n, 77n, 330 Taylor, C. H. 54n, 339 Teodoreto di Cirro (sive Ciro; Theodoretus Cyrensis) 59, 128, 131, 135, 141n, 146, 152 Teodorico di Chartres (Theodoricus Carnotensis) 160, 165, 181, 193n, 194, 198n, 239, 239n, 240n, 272n, 336; Commentarius super Boethii librum De Trinitate 239n, 240n, 336; Eptateuchon 194 Teodoro Abucara (Theodorus Abucara) 138 Thurot, G. 195n, 337 Tolson, J. E. 196n, 353 Tommaso d’Aquino (Thomas Aquinas) 19, 85, 85n, 87, 87n, 336; Compendium theologiae 85n, 336; Quaestiones disputatae 86n; Quaestiones disputatae de potentia 86n, 336; Quaestiones disputatae de veritate 85n, 336; Scriptum super Sententias magistri Petri Lombardi 85n, 86n, 87n, 336 Tommaso Gallo (Thomas Gallus) 32n Tractatus contra eum qui dixit quod divinitas non sit Deus 79n, 336 Tractatus contra Francos (De haeresibus quas Graeci in Latinos devolvunt) 138 Tractatus de eo quod persona sit in persona 79n, 336 Tractatus de peccato originali 28
Tractatus «Invisibilia Dei» 33, 41, 9596, 153, 171, 171n, 178, 178n, 184, 184n, 185n, 218, 218n, 219n, 240-243, 241n, 242n, 243n, 295, 301, 301n, 302, 302n, 303n, 306, 336 Trout, J. M. 104n, 351 Tweedale, M. M. 180n, 349, 356 Työrinoja, R. 233n, 357 Ubaldo di Santa Prassede 74n Ubaldo di SS. Giovanni e Paolo 74n Uberto, vide Maestro Uberto Udo (Magister Udo) 120n Ugo di Honau (Hugo Honaugiensis) 28, 33, 34, 35, 36, 42, 43n, 90, 95n, 125, 132, 132n, 133n, 134-137, 135n, 136n, 141-146, 141n, 142n, 143n, 144n, 145n, 154, 155, 320, 321, 333; Liber De homoysion et homoeysion 141, 142, 142n, 151, 155, 321, 333; Liber de diversitate naturae et personae 21, 25, 26, 28, 29n, 90, 124n, 130, 136n, 141, 141n, 142, 143, 143n, 144n, 145, 151, 155, 321, 333 Ugo di la Rochefoucauld 21, 25, 29n, 37n, 124n Ugo di San Vittore (Hugo de Sancto Victore) 21, 39, 90, 92, 92n, 111n, 115n, 194, 196n, 256, 259, 259n, 260, 262, 336; De grammatica 196n; De sacramentis christianae fidei 256, 259, 262; Didascalicon 194 Ugo Eteriano (Hugo Etherianus) 28, 33, 36, 37, 42, 94, 116n, 125, 133n, 134-145, 135n, 136n, 137n, 138n, 139n, 140n, 141n, 143n, 145n, 154, 155, 320, 333; Adversus Patherenos 140; Compendiosa expositio in libro De Spiritu Sancto 140, 140n; De anima 140; De minoritate ac aequalitate Filii hominis ad Deum Patrem
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I PORRETANI
136, 136n; De sancto et immortali Deo (De processione Spiritus Sancti contra Graecos) 125, 135, 138, 139, 139n, 141, 155; Epistola ad Alexis 140, 155, 320; Liber de differentia naturare et personae 28, 135, 136n, 137, 137n, 141, 142, 143, 143n, 155, 320, 333 Uguccione da Pisa (Huguccio sive Hugo Pisanus) 28; Summa decretorum 28 Urbano III, papa (Uberto Crivelli) 151, 151n, 322n Urbano VI, papa (Bartolomeo Prignano) 152 Usener, H. 22n, 130, 130n, 337 Valdo (Valdus) Pietro e Valdesi 117, 266 Valente, L. 16, 44, 44n, 45n, 94n, 95n, 128n, 201n, 203n, 218n, 222n, 291n, 309n, 311n, 314n, 316n, 358-362 Van den Eynde, D. 79n, 101n, 110n, 120, 120n, 121n, 132n, 333, 342-345 van Elswijk, H. C. 19n, 37, 37n, 47n, 54n, 55n, 64n, 159n, 198n, 203, 203n, 239n, 290n, 293n, 344, 349 van Steenberghen, F. 31, 31n, 343 Vanni Rovighi, S. 160n, 165n, 167n, 173n, 233n, 344 Vasiliu,A. 45n, 361
Vasoli, C. 37, 37n, 106, 107n, 249n, 266n, 267n, 271n, 305n, 312n, 313n, 346-347, 349, 357 Vásquez, G. 19 Vernet, F. 23, 24, 24n, 47n, 48n, 338 Viano, C.A. 43n, 358 Vicaire, M.-H. 25, 25n, 29n, 30n, 31, 123, 123n, 341 Vigilio di Tapso (Vigilius Tapsensis) 126n, 336; Contra Arianos, Sabellianos, Photinianos Dialogus 126n, 336 Vinti, C. 271n, 361 Viola, C. 271n, 361 Vivès, L. 85n, 86n, 87n, 336 Ysagoge in Theologiam 39, 258 Waitz, G. 47n, 52n, 68n, 69n, 70n, 334 Warichez, J. 24, 24n, 58n, 110n, 111n, 112n, 226n, 264n, 318n, 339 Waszink, J. H. 191n, 330 Wattenbach,W. 80n, 334 Webb, C. C. 72n, 339 Weichert, C. 80n, 330 Weisweiler, H. 90n, 93n, 134n, 259n, 340-341 Wénin, Ch. 180n, 355 Westley, R. J. 160n, 199n, 346 Westra, H. J. 106n, 357 Williams, J. R. 78n, 345 Williams, M. E. 32, 32n, 65n, 69n, 72n, 81n, 159n, 290n, 343 Ziolkowsky, J. 221n, 356
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INDICE BIBLICO
Libri o autori biblici Bibbia sive Sacra Scrittura 48, 52, 55, 59, 72n, 87, 91n, 95n, 117, 118, 172, 223, 245n, 255-259, 261, 264, 265, 305, 312 Giovanni 58, 60, 307 Isaia 248n
Paolo 23, 25, 32, 48, 54, 55, 56, 72n, 80, 95, 111, 153, 19, 242; Epistola ad Corinthios, prima 56, 154, 165; Epistola ad Romanos 29n Salmi 43, 48, 54, 55, 80, 190 Zaccaria 87n
Citazioni scritturali Ex 3, 14 Ez 2, 9 Sir (Ecli) 37, 23 Jo 6, 11 Rm 1, 20
304n, 309n 243n 245n 87n 95
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INDICE DEI MANOSCRITTI
ADMONT Stiftsbibliothek 593
93
ARRAS Bibliothèque municipale 952 (721) 59, 95, 111 981 (399) 95, 111 BAMBERG Staatsbibliothek Patr.136
213n, 121
BASEL Univ. Bibl. O II 24
61, 137n
BERLIN Staatsbibliothek Phillips 1997
59
BOULOGNE-SUR-MER Bibliothèque municipale lat. 24 56 BRUGES Bibliothèque de la Ville 74 111 147 111 CAMBRAI Bibliothèque municipale 259 51, 147, 151 402 (378) 121
CAMBRIDGE Corpus Christi College 451 60 St. John’s College 57 120 University Library 1773 60 Ii.4.27 141, 143, 144 CITTÀ DEL VATICANO Biblioteca Apostolica Vaticana Archivio del Capitolo di San Pietro C 110 122n Reg. lat. 278 65n Reg. lat. 454 63 Rossianus lat. 212 28, 125, 131, 132 Vat. lat. 560 22n Vat. lat. 561 23, 63, 130, 131n Vat. lat. 821 139n Vat. lat.1175 119n COLMAR Bibliothèque municipale 188 135, 137 DUBLIN Trinity College 303
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I PORRETANI
Clm. 18478 Clm.14508 Clm. 16063 Clm. 18918 Clm. 28799
ESCORIAL Biblioteca del Real Monasterio G.IV.14 121 FIRENZE Biblioteca Laurenziana Plut. XXIX, 39 89 S.Croce, Plut. XXIII dext. 3 139n GRENOBLE Bibliothèque municipale 1085 125, 126n, 127n, 128n, 129n KLOSTERNEUBURG Stiftsbibliothek 299 322 345 815
120 105 57 59
LAON Bibliothèque municipale 176 65n LEIDEN Bibliotheek der Rijksuniversiteit, B.P.G.154 219 LONDON British Library Royal II D 30 98n British Museum Add.11853 56n lat.9 E XII 112 Royal 9.E.XII 105 Lambeth Palace Library 360 60 LUCCA Biblioteca Capitolare 614
115
MÜNCHEN Bayerische Staatsbibliothek Clm. 15824 58, 65n
OXFORD Bodleian Library Canon. Misc. 281 Corpus Christi College 137 Corpus Christi College 250 Laud. lat. 67 Laud. Misc. 80 Merton College 132
58 85n 91 91 82, 82n
99 65n 96, 97 220n, 221n 121 112
PARIS Bibliothèque de l’Arsenal 519 112 1116 29n, 56 1117 47n 1117B 129n Bibliothèque Mazarine 656 (1116) 60 795 101n 1002 58 1708 81 Bibliothèque Nationale lat. 686 29n, 56, 93n lat. 2480 63n lat. 2802 28, 152 lat. 2948 139n lat. 3144 A 112 lat. 3229 118 lat. 3237 121 lat. 3240 118 lat. 3572 105n 7094A 100 lat. 12002 63n lat. 14404 63n lat. 14526 120 lat. 14556 120 lat. 14886 267n, 317n, 112 lat. 16371 57
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INDICE DEI MANOSCRITTI
lat. 18094 lat. 164112
22 29n, 87
REIMS Bibliothèque Municipale 689 147n, 149n TARRAGONA Biblioteca Provincial 92
136n, 140n
TORTOSA Biblioteca de la Catedral 218 89 TOULOUSE Bibliothèque municipale 209 120
TROYES Bibliothèque municipale 789 120 844 (Clairvaux H.75) 139n 1003 113, 115 1841 56, 77n VALENCIENNES Bibliothèque municipale 197 (189) 5, 23, 24, 59, 61, 63 ZWETTL Stiftsbibliothek 109 240 295
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28, 93 79n, 129n 129n
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NUTRI X
STUDIES IN LATE ANTIQUE MEDIEVAL AND RENAISSANCE THOUGHT STUDI SUL PENSIERO TARDOANTICO MEDIEVALE E UMANISTICO
Nutrix is a series directed by Giulio d’Onofrio which aims at deepening critical knowledge of the history of philosophical, theological and scientific thought in the Late Ancient, Medieval, and Humanistic ages. Its scope embraces studies, monographs, editions and translations of texts with commentary, collections of articles (anthologies of collective or personal works, acts of conferences, etc.) on themes and problems connected with speculation in Europe and the Mediterranean – Latin, Greek, Arabic and Hebrew – during the chronological sweep between the works of the Council of Nicea (325) and those of the Council of Trent (1545-1563). La collana Nutrix, diretta da Giulio d’Onofrio, ha lo scopo di approfondire la conoscenza critica della storia del pensiero filosofico, teologico e scientifico nell’età tardoantica, medievale e umanistica. È concepita per abbracciare saggi, monografie, edizioni e traduzioni di testi con commento, raccolte di articoli (antologie di studi personali o collettivi, atti di convegni, etc.) su argomenti e problemi collegati alla speculazione in area europea e nel bacino del Mediterraneo, con riferimento alle culture latina, greca, araba ed ebraica, nell’arco temporale che va dal Concilio di Nicea (325) a quello di Trento (1545-1563).
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TITLES IN SERIES TITOLI DELLA COLLANA
1. Giulio d’Onofrio, Vera philosophia. Studies in Late Antique, Early Medieval and Renaissance Christian Thought (English text by John Gavin) 2. Luigi Catalani, I Porretani. Una scuola di pensiero tra alto e basso Medioevo 3.Armando Bisogno, Il metodo carolingio. Identità culturale e dibattito teologico nel secolo nono 4. The Medieval Paradigm, Papers of the Congress (Rome, LUMSA, 31 oct. - 3 nov. 2005), ed. G. d’Onofrio
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