L’incastellamento nei Monti Lucretili: Dinamiche insediative e paesaggio rurale tra alto e basso medioevo 9781407357508, 9781407357515

Il volume analizza l’origine, l’evoluzione e la fine dei castelli medievali nell’area dei Monti Lucretili, distretto ter

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Italian Pages [261] Year 2021

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Title Page
Copyright
Di relativo interesse
Indice
Lista delle figure
Elenco delle tabelle
Abbreviazioni
Prefazione
Introduzione
1. Il fenomeno dell’incastellamento in Italia: genesi e sviluppi di un dibattito in corso
1.1. Storia degli studi dei castelli medievali
1.1.1. Dal Romanticismo agli inizi del XX secolo: per una storia del diritto italiano
1.1.2. Il Novecento fino agli anni Settanta: storia sociale ed economica dell’Italia
1.2. Pierre Toubert e la (ri)nascita di un filone storiografico
1.2.1. Les structures du Latium médiéval: alla scoperta di un tema storiografico visto dalle fonti
1.2.2. L’origine del modello toubertiano: ripercussioni storiografiche nella medievistica italiana
1.3. Riccardo Francovich e il cosiddetto “modello toscano”
1.3.1. L’inconsapevole nascita di un modello continuista: per una critica alle teorie toubertiane
1.3.2. Sulle orme di Francovich
1.4. Una visione intermedia: l’analisi di Wickham
1.4.1. Le differenze regionali e micro-regionali: l’importanza del contesto
1.4.2. L’incastellamento secondo Wickham
1.5. Conclusioni sul dibattito e nuove prospettive
2. Il paesaggio dei Monti Lucretili: inquadramento geografico e prime forme insediative
2.1. Lineamenti orografici e idrografici dei Monti Lucretili
2.2. Geomorfologia dei Monti Lucretili
2.3. L’uomo e l’ambiente: i luoghi delle attività economiche
2.4. Le prime forme di antropizzazione nei Monti Lucretili
2.4.1. Dai preistorici insediamenti montani all’età del Bronzo
2.4.2. I “castellieri” protostorici: un modello per i castelli medievali
2.5. Il popolamento dei Monti Lucretili in epoca romana
2.5.1. I vici, i pagi e le ville nei Lucretili
2.6. La Campagna Romana prima dell’incastellamento: dalla tarda antichità all’alto medioevo
2.6.1. La proprietà fondiaria nella Campagna Romana altomedievale
3. Il paesaggio rurale del Lazio medievale. Per una storia dell’incastellamento nei Monti Lucretili
3.1. Storia degli studi degli insediamenti fortificati nel territorio laziale: modelli e prime analisi
3.1.1. Agli albori delle ricerche sui castelli del Lazio: i repertori
3.1.2. Storia degli studi dei castelli dei Monti Lucretili
3.2. Il fenomeno castrense nel Lazio
3.2.1. Ricognizioni di superficie e scavi archeologici nei territori dei castelli del Lazio
3.3. L’incastellamento nei Monti Lucretili: premesse e sviluppi del popolamento rurale di un’area campione
3.3.1. La geografia ecclesiastica nel medioevo: le nuove fondazioni cultuali nella Campagna Romana
3.3.2. I castelli dei Monti Lucretili
3.3.3. La proprietà rurale: storia della nascita dei possedimenti ecclesiastici e signorili nei Lucretili
3.3.4. La famiglia Orsini nel territorio Lucretile: dalla nascita di un lignaggio al suo tramonto
4. Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti
4.1. Le fonti scritte
4.1.1. Le fonti documentarie (edite)
4.1.2. Le fonti d’archivio (inedite)
4.1.2.1. Le liste del Sale e del Focatico
4.2. Fonti cartografiche e catastali
4.2.1. La mappa di Monteflavio dal fondo Orsini Family Paper
4.3. Le fonti fotografiche: le foto aeree
4.4. Le fonti archeologiche
4.4.1. L’estetica del castello: gli elementi architettonici degli insediamenti fortificati
4.4.2. Il dato ceramico
5. La materia dei castelli: l’analisi delle tecniche edilizie
5.1. I materiali da costruzione nell’area dei Lucretili
5.1.1. La classificazione degli elementi lapidei della Sabina
5.1.2. Le malte
5.2. Gli elementi decorativi ed accessori
5.3. Le tecniche edilizie nei castelli dei Lucretili: analisi delle murature
5.3.1. Tipologia delle cortine murarie
5.4. I tipi murari dei castelli dei Monti Lucretili: catalogo delle tecniche edilizie
5.4.1. Gruppo ML1 - Murature con paramento irregolare senza corsi orizzontali (X-XII secolo)
5.4.2. Gruppo ML2 - Murature con paramento a filari con corsi sub-orizzontali e orizzontali (XII-inizi XIII secolo)
5.4.3. Gruppo ML3 - Murature con paramento a blocchetti a filari orizzontali (XIII-XIV secolo)
5.4.4. Gruppo ML4 - Murature con paramento a filari di laterizi di reimpiego (XIII-XIV secolo)
6. Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili
6.1. Analisi dei castelli abbandonati
6.1.1. Castel del Lago
6.1.2. Castiglione
6.1.3. Fistula
6.1.4. Macla
6.1.5. Marcellino
6.1.6. Montefalco
6.1.7. Monteverde
6.1.8. Petra Demone
6.1.9. Poggio Runci
6.1.10. Saccomuro
6.1.11. Santa Croce
6.1.12. Saracinesco
6.1.13. Spogna
6.1.14. Turrita
6.1.15. Vallebona
6.2. Analisi dei castelli con continuità insediativa
6.2.1. Civitella di Licenza
6.2.2. Licenza
6.2.3. Montorio Romano
6.2.4. Moricone
6.2.5. Nerola
6.2.6. Orvinio
6.2.7. Palombara Sabina
6.2.8. Percile
6.2.9. Roccagiovine
6.2.10. S. Polo dei Cavalieri
6.2.11. Scandriglia
7. I castelli dei Monti Lucretili: evoluzione e tendenze del fenomeno dell’incastellamento in un’area campione
7.1. Nuovi ritrovamenti nei Lucretili: i castelli di Macla e Fistula
7.2. Monti Lucretili Landscape project: primi risultati delle ricognizioni nel territorio del castello di Montefalco in Sabina
7.3. La nascita dei castelli nei Monti Lucretili: un problema di datazione
7.3.1. Geografia del popolamento pre-castrense (VIII-X secolo)
7.3.2. I primi castelli nel panorama rurale: cesura o continuità?
7.3.3. Castelli di fondazione monastica o signorile: un’iniziativa laica in un patrimonio ecclesiastico
7.3.4. All’origine della nascita dei castelli: circostanze e cause del cambiamento
7.3.5. Le prime fasi edilizie dei castelli sulla base dei resti archeologici (XI-XII secolo)
7.4. Lo sviluppo dei castelli nel periodo delle baronie (XIII-XV secolo)
7.4.1. Dinamiche insediative e controllo del territorio delle famiglie baronali nei Lucretili
7.5. Agricoltura e spazi agrari dei castelli: alcune ipotesi sulle coltivazioni dei Lucretili
7.6. Viabilità, transumanza e commercio della neve: infrastrutture e attività economiche nei Monti Lucretili nel medioevo
7.7. L’epilogo dei castelli dei Monti Lucretili
7.7.1. Gli abbandoni selettivi
7.7.2. I periodi dell’abbandono: all’origine della fine di un sistema insediativo
7.7.3. Popolamento e territorio dei castelli
7.8. L’evidenza archeologica: per una tipologia dei castelli dei Monti Lucretili
7.8.1. Tipologie architettoniche dei castelli
7.9. Sintesi conclusiva
Appendice 1. Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli abbandonati
Appendice 2. Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli a continuità di vita
Bibliografia
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L’incastellamento nei Monti Lucretili: Dinamiche insediative e paesaggio rurale tra alto e basso medioevo
 9781407357508, 9781407357515

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Dinamiche insediative e paesaggio rurale tra alto e basso medioevo M A RT I N A B E R N A R D I

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 2 7

2021

L’incastellamento nei Monti Lucretili Dinamiche insediative e paesaggio rurale tra alto e basso medioevo M A RT I N A B E R N A R D I Prefazione di Andrea Augenti e Riccardo Santangeli Valenzani

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 2 7

2021

Published in 2021 by BAR Publishing, Oxford BAR International Series 3027 L’incastellamento nei Monti Lucretili isbn  

978 1 4073 5750 8 paperback isbn   978 1 4073 5751 5 e-format doi  https://doi.org/10.30861/9781407357508

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il castello di Montefalco in Sabina (foto V. Lattanzi).

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a Carlo, ai miei genitori, all’Archeologia

Indice Lista delle figure................................................................................................................................................................. xi Elenco delle tabelle............................................................................................................................................................ xv Abbreviazioni.................................................................................................................................................................. xvii Prefazione......................................................................................................................................................................... xix Introduzione........................................................................................................................................................................ 1 1. Il fenomeno dell’incastellamento in Italia: genesi e sviluppi di un dibattito in corso........................................... 5 1.1. Storia degli studi dei castelli medievali ................................................................................................................. 6 1.1.1. Dal Romanticismo agli inizi del XX secolo: per una storia del diritto italiano.............................................. 6 1.1.2. Il Novecento fino agli anni Settanta: storia sociale ed economica dell’Italia................................................. 7 1.2. Pierre Toubert e la (ri)nascita di un filone storiografico......................................................................................... 7 1.2.1. Les structures du Latium médiéval: alla scoperta di un tema storiografico visto dalle fonti.......................... 8 1.2.2. L’origine del modello toubertiano: ripercussioni storiografiche nella medievistica italiana.......................... 9 1.3. Riccardo Francovich e il cosiddetto “modello toscano”...................................................................................... 10 1.3.1. L’inconsapevole nascita di un modello continuista: per una critica alle teorie toubertiane......................... 10 1.3.2. Sulle orme di Francovich.............................................................................................................................. 11 1.4. Una visione intermedia: l’analisi di Wickham..................................................................................................... 13 1.4.1. Le differenze regionali e micro-regionali: l’importanza del contesto.......................................................... 13 1.4.2. L’incastellamento secondo Wickham........................................................................................................... 14 1.5. Conclusioni sul dibattito e nuove prospettive...................................................................................................... 14 2. Il paesaggio dei Monti Lucretili: inquadramento geografico e prime forme insediative.................................... 17 2.1. Lineamenti orografici e idrografici dei Monti Lucretili....................................................................................... 19 2.2. Geomorfologia dei Monti Lucretili...................................................................................................................... 21 2.3. L’uomo e l’ambiente: i luoghi delle attività economiche..................................................................................... 21 2.4. Le prime forme di antropizzazione nei Monti Lucretili....................................................................................... 22 2.4.1. Dai preistorici insediamenti montani all’età del Bronzo.............................................................................. 23 2.4.2. I “castellieri” protostorici: un modello per i castelli medievali................................................................... 24 2.5. Il popolamento dei Monti Lucretili in epoca romana........................................................................................... 25 2.5.1. I vici, i pagi e le ville nei Lucretili................................................................................................................ 25 2.6. La Campagna Romana prima dell’incastellamento: dalla tarda antichità all’alto medioevo............................... 27 2.6.1. La proprietà fondiaria nella Campagna Romana altomedievale................................................................... 29 3. Il paesaggio rurale del Lazio medievale. Per una storia dell’incastellamento nei Monti Lucretili.................... 33 3.1. Storia degli studi degli insediamenti fortificati nel territorio laziale: modelli e prime analisi............................. 34 3.1.1. Agli albori delle ricerche sui castelli del Lazio: i repertori.......................................................................... 34 3.1.2. Storia degli studi dei castelli dei Monti Lucretili......................................................................................... 36 3.2. Il fenomeno castrense nel Lazio........................................................................................................................... 37 3.2.1. Ricognizioni di superficie e scavi archeologici nei territori dei castelli del Lazio....................................... 38 3.3. L’incastellamento nei Monti Lucretili: premesse e sviluppi del popolamento rurale di un’area campione......... 40 3.3.1. La geografia ecclesiastica nel medioevo: le nuove fondazioni cultuali nella Campagna Romana.............. 41 3.3.2. I castelli dei Monti Lucretili......................................................................................................................... 42 3.3.3. La proprietà rurale: storia della nascita dei possedimenti ecclesiastici e signorili nei Lucretili.................. 42 3.3.4. La famiglia Orsini nel territorio Lucretile: dalla nascita di un lignaggio al suo tramonto .......................... 44 4. Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti ............................................................................................. 47 4.1. Le fonti scritte....................................................................................................................................................... 49 4.1.1. Le fonti documentarie (edite)....................................................................................................................... 49 4.1.2. Le fonti d’archivio (inedite).......................................................................................................................... 50 vii

L’incastellamento nei Monti Lucretili 4.2. Fonti cartografiche e catastali............................................................................................................................... 53 4.2.1. La mappa di Monteflavio dal fondo Orsini Family Paper........................................................................... 54 4.3. Le fonti fotografiche: le foto aeree....................................................................................................................... 57 4.4. Le fonti archeologiche.......................................................................................................................................... 57 4.4.1. L’estetica del castello: gli elementi architettonici degli insediamenti fortificati.......................................... 58 4.4.2. Il dato ceramico............................................................................................................................................ 64 5. La materia dei castelli: l’analisi delle tecniche edilizie.......................................................................................... 67 5.1. I materiali da costruzione nell’area dei Lucretili.................................................................................................. 68 5.1.1. La classificazione degli elementi lapidei della Sabina................................................................................. 69 5.1.2. Le malte........................................................................................................................................................ 71 5.2. Gli elementi decorativi ed accessori .................................................................................................................... 73 5.3. Le tecniche edilizie nei castelli dei Lucretili: analisi delle murature................................................................... 77 5.3.1. Tipologia delle cortine murarie .................................................................................................................... 78 5.4. I tipi murari dei castelli dei Monti Lucretili: catalogo delle tecniche edilizie...................................................... 82 5.4.1. Gruppo ML1 - Murature con paramento irregolare senza corsi orizzontali (X-XII secolo)........................ 85 5.4.2. Gruppo ML2 - Murature con paramento a filari con corsi sub-orizzontali e orizzontali (XII-inizi XIII secolo)............................................................................................................................................. 88 5.4.3. Gruppo ML3 - Murature con paramento a blocchetti a filari orizzontali (XIII-XIV secolo)....................... 91 5.4.4. Gruppo ML4 - Murature con paramento a filari di laterizi di reimpiego (XIII-XIV secolo)....................... 95 6. Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili............................................................. 97 6.1. Analisi dei castelli abbandonati............................................................................................................................ 99 6.1.1. Castel del Lago............................................................................................................................................. 99 6.1.2. Castiglione.................................................................................................................................................. 103 6.1.3. Fistula......................................................................................................................................................... 110 6.1.4. Macla.......................................................................................................................................................... 113 6.1.5. Marcellino................................................................................................................................................... 117 6.1.6. Montefalco.................................................................................................................................................. 119 6.1.7. Monteverde................................................................................................................................................. 125 6.1.8. Petra Demone.............................................................................................................................................. 129 6.1.9. Poggio Runci.............................................................................................................................................. 132 6.1.10. Saccomuro................................................................................................................................................ 136 6.1.11. Santa Croce............................................................................................................................................... 140 6.1.12. Saracinesco............................................................................................................................................... 142 6.1.13. Spogna...................................................................................................................................................... 146 6.1.14. Turrita....................................................................................................................................................... 151 6.1.15. Vallebona.................................................................................................................................................. 155 6.2. Analisi dei castelli con continuità insediativa.................................................................................................... 159 6.2.1. Civitella di Licenza..................................................................................................................................... 159 6.2.2. Licenza........................................................................................................................................................ 161 6.2.3. Montorio Romano....................................................................................................................................... 163 6.2.4. Moricone..................................................................................................................................................... 165 6.2.5. Nerola......................................................................................................................................................... 167 6.2.6. Orvinio........................................................................................................................................................ 169 6.2.7. Palombara Sabina....................................................................................................................................... 171 6.2.8. Percile......................................................................................................................................................... 173 6.2.9. Roccagiovine.............................................................................................................................................. 175 6.2.10. S. Polo dei Cavalieri................................................................................................................................. 177 6.2.11. Scandriglia................................................................................................................................................ 179 7. I castelli dei Monti Lucretili: evoluzione e tendenze del fenomeno dell’incastellamento in un’area campione.................................................................................................................................................... 183 7.1. Nuovi ritrovamenti nei Lucretili: i castelli di Macla e Fistula........................................................................... 185 7.2. Monti Lucretili Landscape project: primi risultati delle ricognizioni nel territorio del castello di Montefalco in Sabina ................................................................................................................................................ 187 7.3. La nascita dei castelli nei Monti Lucretili: un problema di datazione ............................................................... 190 7.3.1. Geografia del popolamento pre-castrense (VIII-X secolo)......................................................................... 190 viii

Indice 7.3.2. I primi castelli nel panorama rurale: cesura o continuità?.......................................................................... 192 7.3.3. Castelli di fondazione monastica o signorile: un’iniziativa laica in un patrimonio ecclesiastico.............. 194 7.3.4. All’origine della nascita dei castelli: circostanze e cause del cambiamento.............................................. 195 7.3.5. Le prime fasi edilizie dei castelli sulla base dei resti archeologici (XI-XII secolo)................................... 198 7.4. Lo sviluppo dei castelli nel periodo delle baronie (XIII-XV secolo)................................................................. 199 7.4.1. Dinamiche insediative e controllo del territorio delle famiglie baronali nei Lucretili............................... 199 7.5. Agricoltura e spazi agrari dei castelli: alcune ipotesi sulle coltivazioni dei Lucretili........................................ 201 7.6. Viabilità, transumanza e commercio della neve: infrastrutture e attività economiche nei Monti Lucretili nel medioevo............................................................................................................................................................. 202 7.7. L’epilogo dei castelli dei Monti Lucretili........................................................................................................... 204 7.7.1. Gli abbandoni selettivi................................................................................................................................ 205 7.7.2. I periodi dell’abbandono: all’origine della fine di un sistema insediativo ................................................. 207 7.7.3. Popolamento e territorio dei castelli........................................................................................................... 209 7.8. L’evidenza archeologica: per una tipologia dei castelli dei Monti Lucretili...................................................... 211 7.8.1. Tipologie architettoniche dei castelli.......................................................................................................... 211 7.9. Considerazioni conclusive.................................................................................................................................. 213 Appendice 1. Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli abbandonati........................................... 215 Appendice 2. Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli a continuità di vita................................ 219 Bibliografia...................................................................................................................................................................... 225

ix

Lista delle figure Fig. 2.1. Il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili.................................................................................................. 18 Fig. 2.2. Il Monte Pellecchia............................................................................................................................................... 19 Fig. 2.3. Laghetti di Percile - il lago Fraturno.................................................................................................................... 20 Fig. 2.4. Carta Geologica dei Monti Lucretili. Si estrae dalla legenda: arancio/marrone = Marne, marne argillose, marne calcaree; blu = Calcare Massiccio; celeste = Calcari marnosi nodulari rossastri; giallo acido = Calcari, calcari marnosi biancastri e rosati; giallo ocra = Ignimbrite leucititica nera o rossa (neck a pozzolana); marrone = Marne, marne argillose; verde = Maiolica; viola = Dolomie.............................................................................................. 22 Fig. 2.5. La villa di Orazio, veduta aerea............................................................................................................................ 28 Fig. 3.1. Carta de’ dintorni di Roma secondo le osservazioni di sir William Gell e del professore Antonio Nibby 4a edizione del 1837............................................................................................................................................................ 35 Fig. 3.2. Carta di distribuzione su base satellitare dei castelli dei Monti Lucretili. In verde i castelli abbandonati; in blu i castelli con continuità insediativa, trasformati poi nei moderni borghi................................................................. 43 Fig. 3.3. Orvinio - Santa Maria del Piano........................................................................................................................... 45 Fig. 4.1. Cessato catasto rustico (Licenza)......................................................................................................................... 54 Fig. 4.2. La pianta dei possedimenti Orsini........................................................................................................................ 55 Fig. 4.3. Dettagli della pergamena Orsini con alcuni castelli dei Lucretili A) Il castello diruto della Spogna; B) Montefalco “castello rovinato”; C) Castellaccio di Monteverde; D) Il termine “capanne” più volte riportato nella pianta.......................................................................................................................................................................... 56 Fig. 4.4. Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. da 3133, neg. 183172........................................................... 58 Fig. 4.5. Cinta muraria del castello di Montefalco............................................................................................................. 59 Fig. 4.6. Torre a scudo inglobata nel circuito murario del castello di Macla. A. Paramento esterno; B. paramento interno................................................................................................................................................................................. 60 Fig. 4.7. La rocca del castello di Castiglione...................................................................................................................... 60 Fig. 4.8. Montefalco. Ambiente adibito allo stoccaggio (silos).......................................................................................... 61 Fig. 4.9. Chiesa intramuranea del castello di Monteverde ................................................................................................. 62 Fig. 4.10. Sostruzione del castello di Montefalco............................................................................................................... 63 Fig. 4.11. Muretti a secco (macere) intorno al castello di Montefalco............................................................................... 64 Fig. 5.1. Banco di roccia calcarea dal sito di Petra Demone - Cima Coppi........................................................................ 69 Fig. 5.2. Dettaglio delle bozze utilizzate per la messa in opera delle mura di Montefalco................................................ 70 Fig. 5.3. Blocchetti della rocca di Castiglione.................................................................................................................... 70 Fig. 5.4. Torre di Castel del Lago. Conci utilizzati per la realizzazione dell’angolata....................................................... 71 Fig. 5.5. Castiglione. A) Malta idraulica dell’ambiente UT17; B) Malta aerea dell’ambiente UT20................................ 72 Fig. 5.6. Portale di ingresso del castello di Saccomuro. Nella parte interna l’apertura è marcata da due mazzette angolari e da una piattabanda in conci di tufo squadrati. All’esterno due mazzette aggettanti ed un arco a sesto ribassato in conci di tufo sagomati delimitano l’apertura................................................................................................... 73 Fig. 5.7. Alcuni esempi di aperture nei castelli dei Lucretili. A) Castiglione; B) Saracinesco........................................... 74

xi

L’incastellamento nei Monti Lucretili Fig. 5.8. Nicchie inquadrate da lastre calcaree. A) Montefalco - nicchia dell’ambiente UT1; B) Turrita - nicchia dell’ambiente UT3.............................................................................................................................................................. 74 Fig. 5.9. Castiglione - tipologie di nicchie rilevate. A) Nicchia di forma rettangolare “a doppia falda”; B) Nicchia con terminazione ad arco; C) Nicchia inquadrata da due assi lignee di cui rimangono le impronte in negativo............... 74 Fig. 5.10. Alcune tipologie di feritoie rilevate nei castelli dei Lucretili. A) Castiglione - Feritoia con archetto in laterizi; B) Macla - Feritoia sormontata da una lastra in pietra calcarea; C) Montefalco - Feritoia delle mura del castello................................................................................................................................................................................ 75 Fig. 5.11. Montefalco - postazione di controllo nella rocca del castello............................................................................ 75 Fig. 5.12. Merlatura di coronamento delle mura di Castiglione......................................................................................... 76 Fig. 5.13. Piombatoie nelle mura di Castiglione ................................................................................................................ 77 Fig. 5.14. Paramenti irregolare in bozze, bozzette e scaglie. A) Torre della rocca di Spogna (UT6); B) Tratto delle mura del castello di Macla (UT17). Presso il sito di Macla si possono trovare bozze e bozzette dalla conformazione più regolare per la presenza di banchi di calcare marnoso nelle vicinanze............................................... 78 Fig. 5.15. Vallebona (UT2) - Paramento a filari orizzontali della rocca del castello.......................................................... 79 Fig. 5.16. A) Monteverde (UT4) - Paramento con blocchetti a filari orizzontali della chiesa del castello. B) Poggio Runci (UT1) - finitura della malta con giunti stilati.......................................................................................... 80 Fig. 5.17. Monteverde (UT6) - Paramento a filari di laterizi di reimpiego della torre del castello.................................... 81 Fig. 5.18. Rocca di Castiglione. Tracce del solaio ligneo nel paramento interno............................................................... 83 Fig. 5.19. Rocca di Castiglione. Impronte della copertura lignea a doppia falda............................................................... 84 Fig. 5.20. Prospetto del paramento esterno della rocca di Montefalco - tipo ML1-a......................................................... 85 Fig. 5.21. Prospetto paramento interno della rocca di Macla - tipo ML1-b....................................................................... 86 Fig. 5.22. Prospetto paramento interno delle mura di Saccomuro - tipo ML1-c................................................................ 87 Fig. 5.23. Prospetto paramento interno della rocca di Poggio Runci - tipo ML2-a............................................................ 88 Fig. 5.24. Prospetto paramento interno della rocca di Vallebona - tipo ML2-b................................................................. 89 Fig. 5.25. Prospetto paramento esterno della chiesa di Turrita - tipo ML2-c..................................................................... 90 Fig. 5.26. Prospetto paramento esterno della chiesa di Monteverde - tipo ML3-a ............................................................ 91 Fig. 5.27. Prospetto paramento esterno interno delle mura di Turrita - tipo ML3-b ......................................................... 92 Fig. 5.28. Prospetto paramento esterno di un ambiente interno alla rocca di Castiglione - tipo ML3-c ........................... 93 Fig. 5.29. Prospetto paramento esterno della torre di Turrita - tipo ML3-d....................................................................... 94 Fig. 5.30. Prospetto paramento esterno della torre di Monteverde - tipo ML4-a............................................................... 95 Fig. 6.1. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Castel del Lago.................................................................. 100 Fig. 6.2. Fasi edilizie di Castel del Lago .......................................................................................................................... 101 Fig. 6.3. Ipotesi ricostruttiva di Castel del Lago sulla base delle evidenze archeologiche............................................... 102 Fig. 6.4. Tratto Est delle mura di Castiglione .................................................................................................................. 104 Fig. 6.5. Rocca del castello di Castiglione........................................................................................................................ 104 Fig. 6.6. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Castiglione......................................................................... 105 Fig. 6.7. Fasi edilizie di Castiglione................................................................................................................................. 108 Fig. 6.8. Ipotesi ricostruttiva di Castiglione sulla base delle evidenze archeologiche...................................................... 109 Fig. 6.9. Ipotesi ricostruttiva di Fistula sulla base delle evidenze archeologiche............................................................. 112 Fig. 6.10. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Macla............................................................................... 114

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Lista delle figure Fig. 6.11. Fasi edilizie di Macla........................................................................................................................................ 116 Fig. 6.12. Ipotesi ricostruttiva di Macla sulla base delle evidenze archeologiche............................................................ 116 Fig. 6.13. Ipotesi ricostruttiva di Marcellino sulla base delle evidenze archeologiche.................................................... 118 Fig. 6.14. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Montefalco....................................................................... 120 Fig. 6.15. Fasi edilizie di Montefalco............................................................................................................................... 122 Fig. 6.16. UT5 - Ambiente all’interno del recinto murario di Montefalco interpretato come torre. L’edificio si fonda direttamente sul banco roccioso calcareo............................................................................................................... 123 Fig. 6.17. UT1 - Edificio interpretato come una delle chiese del castello di Montefalco................................................. 123 Fig. 6.18. Ipotesi ricostruttiva di Montefalco sulla base delle evidenze archeologiche................................................... 124 Fig. 6.19. UT4 - Chiesa del castello di Monteverde......................................................................................................... 125 Fig. 6.20. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Monteverde...................................................................... 126 Fig. 6.21. Fasi edilizie di Monteverde.............................................................................................................................. 128 Fig. 6.22. Ipotesi ricostruttiva di Monteverde sulla base delle evidenze archeologiche.................................................. 128 Fig. 6.23. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Petra Demone.................................................................. 130 Fig. 6.24. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Poggio Runci................................................................... 133 Fig. 6.25. Fasi edilizie di Poggio Runci............................................................................................................................ 134 Fig. 6.26. Ipotesi ricostruttiva di Poggio Runci sulla base delle evidenze archeologiche................................................ 135 Fig. 6.27. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Saccomuro....................................................................... 137 Fig. 6.28. Fasi edilizie di Saccomuro................................................................................................................................ 138 Fig. 6.29. Ipotesi ricostruttiva di Saccomuro sulla base delle evidenze archeologiche.................................................... 139 Fig. 6.30. Ipotesi ricostruttiva di Santa Croce sulla base delle evidenze archeologiche riscontrate da satellite.............. 141 Fig. 6.31. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Saracinesco...................................................................... 143 Fig. 6.32. Fasi edilizie di Saracinesco............................................................................................................................... 144 Fig. 6.33. Ipotesi ricostruttiva di Saracinesco sulla base delle evidenze archeologiche................................................... 145 Fig. 6.34. Rifacimento della rocca di Spogna databile a fine del XII e il XIII secolo...................................................... 147 Fig. 6.35. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Spogna............................................................................. 147 Fig. 6.36. Fasi edilizie di Spogna...................................................................................................................................... 149 Fig. 6.37. Ipotesi ricostruttiva di Spogna sulla base delle evidenze archeologiche.......................................................... 149 Fig. 6.38. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Turrita.............................................................................. 152 Fig. 6.39. Fasi edilizie di Turrita....................................................................................................................................... 153 Fig. 6.40. Ipotesi ricostruttiva di Turrita sulla base delle evidenze archeologiche........................................................... 154 Fig. 6.41. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Vallebona......................................................................... 156 Fig. 6.42. Fasi edilizie di Vallebona.................................................................................................................................. 157 Fig. 6.43. Ipotesi ricostruttiva di Vallebona sulla base delle evidenze archeologiche...................................................... 158 Fig. 6.44. I castelli di Civitella di Licenza (a sinistra) e di Licenza (a destra)................................................................. 159 Fig. 6.45. Il castello di Licenza......................................................................................................................................... 161 Fig. 6.46. Montorio Romano............................................................................................................................................ 164 Fig. 6.47. Il castello di Moricone...................................................................................................................................... 165

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Fig. 6.48. Il castello di Nerola........................................................................................................................................... 168 Fig. 6.49. Il castello di Orvinio......................................................................................................................................... 169 Fig. 6.50. Palombara Sabina............................................................................................................................................. 171 Fig. 6.51. L’attuale borgo di Percile.................................................................................................................................. 173 Fig. 6.52. Il castello di Roccagiovine............................................................................................................................... 175 Fig. 6.53. Il castello di S. Polo dei Cavalieri.................................................................................................................... 178 Fig. 6.54. L’odierno abitato di Scandriglia....................................................................................................................... 181 Fig. 7.1. A) Foto aerea della zona di Castel del Lago (Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. 3133, neg. da 183172); B) immagine satellitare della stessa area.............................................................................................. 184 Fig. 7.2. Ipotesi di localizzazione dei castelli di Macla e Fistula avanzate da Amore, Coste e Mancinelli e i nuovi siti identificati. 1) Amore: identificazione di Macla con la località Colle Ara della Macchia; 2) Coste e Mancinelli: identificazione di Macla con la località Licineto-Monte Pelato; 3) Mancinelli: identificazione di Fistula con la località Monte Castelvecchio)........................................................................................................................................... 186 Fig. 7.3. La rocca del castello identificato come Macla.................................................................................................... 186 Fig. 7.4. Campagna di ricognizione archeologica presso il sito di Montefalco in Sabina (MONF2020). Carta di densità dei frammenti ceramici di tutta l’area indagata tramite ricognizione sistematico-intensiva................................ 188 Fig. 7.5. Ortofotomosaico del castello di Montefalco in Sabina da drone........................................................................ 189 Fig. 7.6. Carta di distribuzione delle fondazioni castrensi tra l’XI ed il XIII secolo. Ipotesi di datazione suggerita dallo studio delle fonti scritte e dell’evidenza archeologica............................................................................................. 193 Fig. 7.7. Carta delle fondazioni castrensi: iniziative monastiche o signorili.................................................................... 196 Fig. 7.8. Distribuzione topografica dei castelli dei Monti Lucretili - simulazione 3D. In verde i castelli abbandonati, in azzurro i castelli con continuità insediativa............................................................................................ 197 Fig. 7.9. Carta di distribuzione dei castelli di proprietà Orsini e delle altre famiglie baronali tra la fine del XII e il XV secolo.......................................................................................................................................................................... 200 Fig. 7.10. I ruderi del luogo di culto conosciuto come “Madonna della Neve” individuati nel corso della ricognizione estensivo-topografica presso Montefalco in Sabina - MONF2020.............................................................. 204 Fig. 7.11. Carta di distribuzione dei castelli in rapporto alla viabilità antica e ai corsi d’acqua...................................... 207

xiv

Elenco delle tabelle Tab. 4.1. Liste del Sale e del Focatico dal 1416 al 1448. ................................................................................................... 52 Tab. 4.2. Liste del Sale e del Focatico dal 1449 al 1461. ................................................................................................... 53 Tab. 5.1. Tabella riassuntiva dei tipi murari dei Monti Lucretili. ...................................................................................... 82 Tab. 5.2. Tabella riassuntiva del tipo ML1-a. .................................................................................................................... 85 Tab. 5.3. Tabella riassuntiva del tipo ML1-b. .................................................................................................................... 86 Tab. 5.4. Tabella riassuntiva del tipo ML1-c. .................................................................................................................... 87 Tab. 5.5. Tabella riassuntiva del tipo ML2-a. .................................................................................................................... 88 Tab. 5.6. Tabella riassuntiva del tipo ML2-b. .................................................................................................................... 89 Tab. 5.7. Tabella riassuntiva del tipo ML2-c. .................................................................................................................... 90 Tab. 5.8. Tabella riassuntiva del tipo ML3-a. .................................................................................................................... 91 Tab. 5.9. Tabella riassuntiva del tipo ML3-b. .................................................................................................................... 92 Tab. 5.10. Tabella riassuntiva del tipo ML3-c. .................................................................................................................. 93 Tab. 5.11. Tabella riassuntiva del tipo ML3-d. .................................................................................................................. 94 Tab. 5.12. Tabella riassuntiva del tipo ML4-a. .................................................................................................................. 95 Tab. 6.1. Tabella Unità Topografiche (UT) Castel del Lago. ........................................................................................... 100 Tab. 6.2. Tabella Unità Topografiche (UT) Castiglione. .................................................................................................. 105 Tab. 6.3. Tabella Unità Topografiche (UT) Macla. .......................................................................................................... 114 Tab. 6.4. Tabella Unità Topografiche (UT) Montefalco. .................................................................................................. 120 Tab. 6.5. Tabella Unità Topografiche (UT) Monteverde. ................................................................................................. 126 Tab. 6.6. Tabella Unità Topografiche (UT) Petra Demone. ............................................................................................. 130 Tab. 6.7. Tabella Unità Topografiche (UT) Poggio Runci. .............................................................................................. 133 Tab. 6.8. Tabella Unità Topografiche (UT) Saccomuro. .................................................................................................. 137 Tab. 6.9. Tabella Unità Topografiche (UT) Saracinesco. ................................................................................................. 143 Tab. 6.10. Tabella Unità Topografiche (UT) Spogna. ...................................................................................................... 148 Tab. 6.11. Tabella Unità Topografiche (UT) Turrita. ....................................................................................................... 152 Tab. 6.12. Tabella Unità Topografiche (UT) Vallebona. .................................................................................................. 156 Tab. 7.1. I castelli abbandonati in rapporto alla loro quota altimetrica, distanza dalla viabilità o dal fondovalle e dai principali corsi d’acqua. .......................................................................................................................................... 205 Tab. 7.2. I castelli con continuità insediativa in rapporto alla loro quota altimetrica, distanza dalla viabilità o dal fondovalle e dai principali corsi d’acqua. .................................................................................................................. 205 Tab. 7.3. Numero di rubbia di sale che per ogni castello doveva versare nelle casse della Camera Urbis tra il XIV-XV secolo. ................................................................................................................................................................ 210

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Abbreviazioni ASC

Archivio Storico Capitolino

ASR

Archivio di Stato di Roma

ASRSP

Archivio della Società Romana di Storia Patria

ASV

Archivio Segreto Vaticano

BAV

Biblioteca Apostolica Vaticana

CF

Balzani U. 1903, Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino; precedono la Constructio Farfensis e gli scritti di Ugo di Farfa (sec. IX-XII), 2 voll., Roma.

FCL

Frutaz A. P. 1972, Le carte del Lazio, 3 voll., Roma.

LL

Zucchetti G. 1913-1932, Liber largitorius vel notarius Monasterii Pharphensis, 2 voll., Roma.

OAC

Online Archive of California (UCLA)

RF

Giorgi I, Balzani U. 1879-1914, Il Regesto di Farfa compilato da Gregorio di Catino, V voll., Roma.

RS

Allodi L., Allevi G. (a cura di) 1885, Il Regesto sublacense del secolo XI, Roma.

RT

Bruzza L. 1983, Regesto della chiesa di Tivoli, Forni (ristampa dell’edizione di Roma del 1880).

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Prefazione È dal 1973 che parliamo quasi ininterrottamente di incastellamento, e lo facciamo a partire da due fronti: quello degli storici e quello degli archeologi. È dal 1973 perché in quel momento si è verificata una contingenza nuova e del tutto inaspettata: l’uscita, in sincronia, del volume di Riccardo Francovich sui castelli del contado fiorentino, e della grande tesi di Pierre Toubert sulle strutture del Lazio medievale. Sono due libri fondamentali per la riflessione sul Medioevo italiano, ma anche europeo. Perché affrontano il tema della nascita e della diffusione dei castelli da due angolazioni molto diverse: in quello di Francovich si vede, in embrione, tutta la potenzialità di un’archeologia medievale che stava iniziando ad affermarsi (e tutta la lungimiranza di Riccardo, il suo essere un vero visionario, sempre due passi avanti a tutti); e nel volume di Toubert si apprezza un approccio storiografico che parte dalla dimensione locale (in maniera scrupolosa e molto approfondita) e arriva alla creazione di modelli ben più ambiziosi, di portata addirittura continentale.

scomparsi (non è poco, lo dico per esperienza personale); ma ha applicato con grande efficacia le migliori pratiche dell’archeologia sul campo: dalla ricognizione allo studio dei modelli architettonici, fino all’analisi delle murature con relativa produzione di una utilissima cronotipologia dei paramenti. I risultati finali sono molti e interessanti, come indica la densità delle conclusioni in coda al volume; ma più di tutti ne vorrei segnalare almeno due. Il primo: l’autrice dimostra ancora una volta la complessità dell’incastellamento, con le sue molte varianti da zona a zona quanto a modalità di sviluppo, strutture e funzioni. E poi, il secondo: le cronologie. Non tutti i fenomeni insediativi hanno avuto lo stesso passo ovunque, nel Medioevo, e tantomeno l’incastellamento; ma solo un’indagine integrata come questa, rigorosamente a cavallo tra fonti scritte e archeologiche, può dimostrare le eventuali sfasature tra le cronologie riconosciute a livello generale, e una particolare situazione locale. E in effetti qui, nella zona dei Monti Lucretili, più che a partire dal X secolo l’incastellamento sembra prendere piede e decollare un centinaio di anni dopo, nell’XI.

Da allora le occasioni di incontro e di dibattito tra storici e archeologi si sono moltiplicate, e oggi non solo le nostre conoscenze, ma anche la riflessione sull’incastellamento, sulla portata di questo fenomeno davvero epocale, sono progredite in maniera esponenziale. E si sono moltiplicate le indagini, in archivio come sul campo.

Ma rispetto a quest’ultima acquisizione voglio sottolineare l’onestà intellettuale di Martina Bernardi, che – essendone perfettamente consapevole – esplicita il carattere transitorio del suo lavoro, il fatto che, in ogni caso, per arrivare a mettere dei punti fermi sulle cronologie e sulle effettive modalità di nascita dei castelli di questa zona occorrerà ricorrere allo scavo, anzi a più scavi archeologici. E gli scavi – aggiungo io – dovranno essere estesi, per grandi aree (non piccoli saggi, come troppo spesso capita di vedere in contesti del genere), come ci ha insegnato proprio Riccardo Francovich attraverso le strategie impiegate a Rocca San Silvestro e Montarrenti. Insomma, Bernardi è ben consapevole che la sua è un’opera aperta, come del resto è giusto che sia e venga recepita ogni ricerca: sempre passibile di ampliamenti, approfondimenti e rilanci. Un’opera aperta, e però al tempo stesso un’indagine svolta in maniera egregia, sistematica ed equilibrata: l’opera di una ricercatrice autonoma e matura.

In questo panorama, mi sembra interessante notare come il Lazio sia sempre stato una sorta di laboratorio permanente. Non riuscirei a ricordare tutti i ricercatori uno per uno, però alcuni nomi bisogna senz’altro farli: nel Lazio e sul Lazio hanno lavorato con ottimi risultati Sandro Carocci, Jean Coste, Paolo Delogu, Étienne Hubert, Susanna Passigli, Marco Vendittelli (sul versante degli storici delle fonti scritte); Stefano Coccia, Elisabetta De Minicis, Alessandra Molinari, Ghislaine Noyé, Giuseppe Romagnoli (sul fronte degli archeologi). Senza dimenticare l’apporto degli architetti impegnati soprattutto nello studio delle murature: penso alla scuola di Giovanni Carbonara, con in testa Daniela Esposito e Donatella Fiorani. E ora, di nuovo, il Lazio torna alla ribalta con questo libro. Dobbiamo salutare il volume di Martina Bernardi con grande interesse, e con molta gratitudine. Prima di tutto perché questa ricerca amplia il campione a nostra disposizione, dissodando il terreno di una nuova zona del Lazio finora mai indagata così in profondità. E l’autrice lo fa dando prova di grande versatilità, spaziando tra le fonti scritte (analizzate con rara acribia, anche relativamente alla documentazione inedita d’archivio) e quelle archeologiche. E in quest’ultimo campo i risultati sono davvero notevoli: non solo Martina Bernardi ha ritrovato i resti di due castelli

Con questo libro Martina Bernardi ha aggiunto un altro tassello importante alle nostre conoscenze, e al dibattito sull’incastellamento. Non possiamo che augurarle di proseguire il suo bel lavoro, e di regalarci in futuro altre novità che aiutino a capire sempre meglio questo fenomeno - un fenomeno la cui portata continentale non è dato capire se non passando per una sua analisi di dettaglio a livello locale. Andrea Augenti xix

L’incastellamento nei Monti Lucretili Les Structures du Latium médiéval, la grande opera di Pierre Toubert, uscita ormai quasi cinquant’anni fa, è certamente uno di quei rari libri che costituiscono, in un determinato campo di ricerca, un punto di svolta, che delimitano nel corso degli studi un “prima” e un “dopo”, come sono stati, nell’ambito della storia medievale, I re taumaturghi, L’autunno del Medioevo o Maometto e Carlomagno; libri che, anche quando la base di dati su cui si fondano viene ad essere superata e la loro impostazione metodologica può apparire ormai datata, continuano tuttavia a condizionare la ricerca, con le loro intuizioni, con i modelli che hanno presentato, con la stessa terminologia che hanno imposto.

nelle ricerche sul nostro territorio, in cui spesso sembra che gli autori non si ponessero quasi il problema di come fossero fatte le case in cui abitavano i personaggi citati nei documenti che riempivano le pagine dei loro libri, su quali strade camminassero, in quale paesaggio vivessero la loro vita. Ugualmente un’importante acquisizione è stata l’analisi delle dinamiche e delle motivazioni che hanno portato, tra le metà del XIV e i primi decenni del XV secolo, all’abbandono di un gran numero di siti incastellati. Negli studi precedenti infatti, e nel lavoro di Toubert stesso, era stata rivolta molta più attenzione alla fase di costruzione dei castelli e di organizzazione del sistema territoriale che ad essi faceva capo, che alla loro fase di abbandono e alla disgregazione di quel sistema. L’analisi che Martina Bernardi fa della tempistica e dei motivi dietro a questi “fallimenti”, consente di comprendere meglio le dinamiche messe in atto dai centri di potere, laici e monastici, nelle loro iniziative insediamentali nella fase di incastellamento di XI-XII secolo. Altri spunti, che necessitano certamente di ulteriori indagini ed approfondimenti, ma che consentono fin d’ora di avanzare dubbi su alcune delle conclusioni finora generalmente accettate, sono quello relativo all’esistenza, almeno in alcuni dei villaggi incastellati, di una prima fase realizzata in materiale deperibile (fatto esplicitamente negato da Toubert), e quello del rapporto tra incastellamento e insediamento sparso, che sembrano convivere in modo molto più duraturo e organico di quanto finora supposto. È chiaro che una risposta definitiva a questi quesiti richiede ricerche di tipo più complesso e invasivo, come ricognizioni territoriali intensive e lo scavo stratigrafico di alcuni siti, sia incastellati che dell’abitato sparso. Questo vale ancor più per quello che è stato, in questi ultimi decenni, il tema più dibattuto nelle discussioni sull’incastellamento, ovvero quello della preesistenza di insediamenti di altura, villaggi o centri curtensi, nei siti poi interessati dalla fondazione di un castello, fatto archeologicamente comprovato in siti toscani ma finora non documentato nel Lazio.

Da quel 1973 il tema dell’incastellamento, inteso come momento di creazione di una rete di villaggi fortificati d’altura che modificò in modo definitivo il paesaggio delle campagne italiane, entrava prepotentemente nell’agenda degli studiosi dell’Italia medievale, per non uscirne più. È ben noto come si sia da allora sviluppato, nell’ambito della medievistica italiana, un ampio dibattito, e come alcune delle ipotesi di Toubert siano state messe in discussione, soprattutto a seguito dei fondamentali lavori sui castelli toscani dovuti a Riccardo Francovich e alla sua scuola, e siano stati proposti modelli storici alternativi per ricostruire le trasformazioni dei modi di insediamento nelle campagne italiane del Medioevo. Non tornerò qui su questo dibattito, di cui nel libro che qui si introduce si dà ampiamente conto. Le divergenze di vedute nascevano dal focalizzarsi della ricerca su realtà geografiche diverse, ma anche dall’utilizzo di diverse categorie di fonti. La trattazione di Toubert, infatti, si basa essenzialmente sui dati della ricca documentazione scritta fornita dai grandi monasteri laziali di Farfa e Subiaco, mentre quasi completamente assente è il dato materiale, non certo per disinteresse dell’autore, ma per lo stato arretrato della ricerca archeologica e monumentale sui siti incastellati nel Lazio degli anni Sessanta e Settanta, quando Toubert lavorava alla sua thèse. Gli importanti lavori promossi dall’École française de Rome su alcuni di questi siti hanno cominciato a colmare questa lacuna, ma la difficoltà a visualizzare la realtà insediativa, architettonica e monumentale che si cela dietro ai toponimi tramandati dai cartulari monastici continua a condizionare la ricerca sulle forme insediative del Lazio medievale.

La ricerca di Martina, di cui questo libro è il risultato, costituisce ora l’indispensabile base su cui progettare queste ricerche più approfondite, e proprio a tal fine l’Università Roma Tre ha avviato, in accordo con il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili e alcuni enti locali, il “Monti Lucretili Landscape project”, da lei stessa coordinato sul campo. Questo libro costituisce quindi sì un punto di arrivo di una ricerca durata molti anni, e rappresenta oggi un contributo essenziale negli studi sul Lazio medievale, ma è anche il punto di partenza di ulteriori studi e di nuove ricerche, come sempre in archeologia, dove nessun risultato è mai definitivo e acquisito una volta per tutte.

Proprio l’idea di giungere a una sintesi tra i dati forniti dalle fonti documentarie e quelli risultanti da una ricerca territoriale sul campo è alla base della ricerca sviluppata da Martina Bernardi nel territorio dei Monti Lucretili per il suo Dottorato di Ricerca, che faceva seguito a una tesi di Laurea Magistrale che aveva già affrontato, nel limitato ambito della Valle del Licenza, lo stesso tema. Quella ricerca dottorale, i cui risultati sono confluiti in questo libro, ha portato ad acquisizioni che consentono di verificare e integrare le ricostruzioni degli storici del Lazio medievale. Innanzitutto, e questo è certamente il risultato più significativo, abbiamo ora la possibilità di visualizzare la consistenza monumentale e l’organizzazione interna dei villaggi incastellati, fino a delinearne una tipologia, colmando quella che era fino ad ora l’assenza più vistosa

Riccardo Santangeli Valenzani

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Introduzione I castelli sono da sempre nell’immaginario comune simboli di potenza, baluardi in pietra immersi nei boschi, spesso dimenticati dalla memoria popolare; quando ancora vivi nelle tradizioni locali, incarnano lo scenario di chissà quali eventi leggendari che hanno dato origine agli odierni borghi.

per il periodo medievale, poi definitivamente consacrato con la nascita nel 1974 della rivista “Archeologia Medievale” fondata da Riccardo Francovich7. Negli anni Settanta inizia un nuovo ciclo di ricerche e studi che contribuiranno nei successivi anni ad alimentare dibattiti e tenzoni dialettiche sui grandi temi della medievistica8.

Al di là di queste storie folkloristiche che tengono ancora in vita quel poco che spesso rimane dei nostri “fantasmi di pietra” sottoposti allo spietato giudizio del tempo, i castelli hanno in realtà fortemente definito l’odierno paesaggio mediterraneo, che ancora oggi conserva le tracce materiali, talvolta in apparenza invisibili, della loro esistenza in tempi remoti.

Il tema dell’incastellamento è uno di questi, ancora al centro degli interessi in letteratura per la sua rilevanza storica ma, allo stesso tempo, per la scarsa conoscenza in ambito archeologico in alcune regioni della penisola, anche se negli ultimi anni ricerche sul campo9, coadiuvate dalle nuove indagini archeometriche, stanno dando nuova linfa a questa materia, scardinando talvolta le teorie finora proposte volte a ricostruire l’assetto insediativo delle campagne durante il medioevo che mal si prestano, alla luce dei nuovi dati, ad incarnare dei modelli applicabili ad ogni ambito territoriale10.

Il tema dell’incastellamento cela, oltre alle sue più comuni definizioni, una molteplicità di argomenti che mostrano la rilevanza e l’impatto che i villaggi fortificati hanno avuto, in termini storici e sociali, sulla popolazione contadina, dando vita ad una nuova forma insediativa che incarnerà nei secoli a seguire l’emblema dei poteri signorili.

L’intento di questo studio, incentrato su una zona del Lazio particolarmente significativa per l’argomento trattato, è quello di far dialogare due approcci metodologici, quello storico e quello archeologico, che per troppo tempo hanno viaggiato su due binari paralleli11. Le fonti senza il dato archeologico e il dato archeologico senza le fonti non possono non dialogare, rischiando di essere delle mere risorse autoreferenziali; le due discipline dovrebbero invece fondersi per raggiungere il fine comune proiettato verso la conoscenza delle società passate.

Dobbiamo la nascita dell’interesse archeologico verso questo tema agli anni Settanta del Novecento che hanno rappresentato un momento di evoluzione e di cambiamento nei filoni di ricerca nella storia degli studi della moderna archeologia. I nuovi approcci metodologici della disciplina, favoriti dalle recenti riflessioni teoriche dell’archeologia processuale (prima) e post-processuale (poi)1, hanno incoraggiato l’interesse verso un ramo dell’archeologia, quella medievale, che fino a quel momento era considerata di “seconda classe” e messa nel dimenticatoio delle ricerche, fatta eccezione per gli studi legati al cristianesimo2.

In tal senso, la zona dei Monti Lucretili, scelta come area campione per questa ricerca sul fenomeno dell’incastellamento, è risultata essere l’ideale oggetto di studio sia per la mole di fonti scritte ancora in nostro possesso che per lo stato di conservazione dei castelli abbandonati nei secoli del medioevo, consentendo di poter portare avanti in parallelo anche lo studio delle evidenze archeologiche e degli elevati.

I primi segnali di cambiamento si avvisarono negli anni Sessanta con i primi scavi stratigrafici in Italia, avviati da Gian Piero Bognetti con la partecipazione di Istituti stranieri come l’Accademia Polacca (per i siti di Torcello3 e Castelseprio4) e l’Università di Monaco (Invillino5) e con l’istituzione delle prime cattedre universitarie di Topografia e Archeologia Medievale come quella di Michelangelo Cagiano De Azevedo alla Cattolica di Milano6.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di rispondere a cruciali domande storiche ancora insolute sul tema dei castelli per questo territorio, come l’inquadramento cronologico del fenomeno, la nascita e lo sviluppo dei

L’istituzione a Roma nel 1967 del Museo dell’Alto Medioevo (MAME) ha fatto percepire un nuovo interesse

Ibidem, pp. 24-26. Per una sintesi dei primi quarant’anni di Archeologia Medievale dove vengono affrontati i principali temi legati a questa disciplina si veda Gelichi 2014. 9 Sulle ultime indagini relative ai castelli e al fenomeno dell’incastellamento si rimanda alla lettura di Augenti, Galetti 2018. 10 Molinari 2017a; Bianchi, Hodges 2018; Bianchi Hodges 2020. Per un approfondimento si veda Augenti 2016, pp. 145-172. 11 Augenti, Galetti 2018, pp. XI-XIV. 7 8

Manacorda 2008, pp. 216-222. Per una sintesi sulla nascita della disciplina si rimanda ad Augenti 2016, pp. 16-26. 3 Leciejewicz, Tabaczyńska, Tabaczyński 1977. 4 Dabrowska et al. 1978-1979. 5 Bierbrauer 1987. 6 Augenti 2016, pp. 22-23. 1 2

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Lungo questo cammino il destino mi ha fatto incontrare il prof. Andrea Augenti che, sin dai tempi in cui ero una studentessa universitaria di archeologia che si affacciava per la prima volta al medioevo, ha saputo illuminarmi con la sua raffinata conoscenza della materia e il suo rigore metodologico, in grado di far comprendere anche i fenomeni più complessi attraverso i suoi testi. Sono orgogliosa che abbia accettato di leggere e commentare il mio lavoro e di scriverne la prefazione.

siti, le tipologie architettoniche, l’origine e la matrice dei possedimenti signorili, le motivazioni e le cause degli abbandoni selettivi fino alla riorganizzazione del territorio dopo il XV secolo. Tutto ciò mira nuovamente ad incentrare il focus sui castelli del Lazio, territorio al quale si deve (in fondo) la nascita della ricerca sull’incastellamento in Italia grazie alle ricerche di Toubert12. Questa zona, e più specificatamente l’area della Sabina romana, è stata a lungo dimenticata dagli studiosi nonostante le sue antiche e diversificate forme di antropizzazione, e ora merita di essere indagata più approfonditamente, a ormai quasi cinquant’anni dalle prime ricerche.

Devo la mia formazione anche ad altri docenti che hanno dimostrato nel corso degli anni di credere in me, dandomi fiducia in diversi progetti di ricerca da loro diretti, confermandomi tutta la loro stima nel mio lavoro.

L’esempio dei Monti Lucretili potrebbe rappresentare un termine di confronto per le future ricerche sui castelli nell’area laziale, incoraggiando una nuova stagione di studi incentrati sui sistemi insediativi della campagna laziale in epoca medievale, mirati alla ricostruzione del paesaggio rurale del territorio intorno a Roma.

Ringrazio la prof.ssa Emeri Farinetti che come nessun altro ha creduto da subito nel mio progetto sui Monti Lucretili e che mi sta guidando costantemente nella mia formazione di ricercatrice; per la sua umanità e capacità di ascoltare le persone (me compresa) la ritengo un riferimento sia nel lavoro che nella vita, un modello a cui vorrei ispirarmi.

Un primo passo è stato mosso in tal senso proprio da questa ricerca che ha dato vita al progetto “Monti Lucretili Landscape project” promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Roma Tre13 e che mira ad uno studio diacronico volto alla ricostruzione della storia del paesaggio rurale e del territorio di questa area geografica, dalla preistoria al medioevo, concentrandosi in particolar modo sui cambiamenti delle attività economiche: dallo sfruttamento agricolo e al tipo di colture praticate nei secoli, alla pastorizia e alle pratiche di transumanza, fino ad arrivare al tema dei commerci, come ad esempio quello della neve, esclusivo di alcune aree montane, e considerare il loro impatto sull’ambiente.

Voglio ringraziare il prof. Fabrizio Bisconti per cui nutro una profonda e sincera ammirazione: ha deciso, pur conoscendomi appena, di affidarmi diversi incarichi, sentendo forse istintivamente di potersi fidare di me, permettendomi di entrare nel suo mondo “cristiano” e di collaborare con il suo gruppo di ricerca a cui sono molto legata. Portare avanti una ricerca tra i boschi sarebbe stato difficile per una archeologa “di città”. La Τύχη (benevola) mi ha fatto incontrare persone meravigliose, senza l’aiuto delle quali non avrei potuto fare nulla, rischiando probabilmente di ritrovarmi prima o poi smarrita in un labirinto di alberi tra i boschi dei Monti Lucretili. Ringrazio Vincenzo Lattanzi del Parco dei Monti Lucretili, Giancarlo Iacovelli e Marilena Colasanti per la loro pazienza, dedizione e tutto il tempo che mi hanno dedicato in questi anni, rendendosi sempre disponibili e pronti ad ogni occorrenza, facendomi sentire parte della loro famiglia. Il vostro costante incoraggiamento e supporto sono stati per me fondamentali stimoli per la riuscita di questo lavoro e non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza per tutto il vostro sostegno. L’amicizia che è nata da questa esperienza è uno dei tanti regali che questo studio mi ha donato.

Alla fine di questo lungo percorso, che spero possa rappresentare solo il punto di partenza di una ben più ampia ricerca e futuro, tengo a ringraziare tutte le persone che hanno reso possibile la pubblicazione di questo libro, a cui ho creduto sin dal primo momento, decidendo di dedicarmi a quelli che poi sarebbero diventati un giorno (come tutti sanno) i “miei” monti e i “miei” castelli. Ringrazio il mio professore, Riccardo Santangeli Valenzani: oltre ad essere il mio maestro, devo a lui la realizzazione di questa ricerca perché per primo ha creduto in me e nelle mie capacità. A lui devo la mia dedizione e passione per la ricerca che spero di poter coltivare, trasmettendo anche a giovani studenti l’amore per l’archeologia, come lui ha fatto con me. Mi ha insegnato che, credendo fermamente in ciò che si fa e in ciò che si studia, si possono raggiungere grandi obiettivi.

Ringrazio l’allora direttrice del Parco dei Monti Lucretili, la dott.ssa Laura Rinaldi, e il dott. Zaccaria Mari, funzionario di zona della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, per avermi dato la possibilità di studiare un territorio sotto la loro tutela e direzione. Nel corso degli anni come responsabile di alcuni scavi archeologici promossi dall’Università degli Studi di Roma Tre ho avuto modo di conoscere molti studenti a cui spero di aver tramesso le mie conoscenze e i miei interessi, insieme al mio immancabile amico Giuliano Giovannetti con cui

Toubert 1973. Direzione scientifica del progetto: prof. Riccardo Santangeli Valenzani (cattedra di Archeologia Medievale) e prof.ssa Emeri Farinetti (cattedra di Archeologia dei Paesaggi); direzione sul campo: dott.ssa Martina Bernardi. Per un approfondimento sul progetto e sui primi risultati si rimanda al capitolo 7, paragrafo 7.2 di questo volume. 12 13

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Introduzione corso degli anni per puro senso di amicizia e di rispetto reciproco.

ho condiviso finora (e spero ancora per molto tempo) momenti bellissimi legati ai nostri scavi al “Colosseo”, al “Foro” e “in catacomba”. Mi hanno seguito nel progetto di ricognizione presso Montefalco delle persone speciali, degli studenti che hanno accettato di “buttarsi” a capofitto con me in questa nuova avventura immergendosi anche loro nei Lucretili e dimostrandomi tutto il loro genuino entusiasmo: la volontà di alcuni di loro di sviluppare come tesi di laurea temi legati al territorio dei Lucretili è stata per me fonte di orgoglio; spero di poterli seguire e affiancare ancora per lungo tempo nelle (ormai) nostre ricerche, da condividere e divulgare.

Dedico questo libro alla mia famiglia, a Carlo e ai miei genitori Simonetta e Gianfranco: so di poter contare sempre sul vostro appoggio incondizionato, anche in momenti difficili che possono avervi messo a dura prova. Grazie per aver creduto in me ed aver sempre assecondato in ogni occasione le mie aspirazioni e i miei sogni che, grazie al vostro sostegno, non smetterò mai di inseguire. Vorrei iniziare questa trattazione citando le parole di Italo Calvino nel suo celebre “Il castello dei destini incrociati”, edito proprio in quel 1973 in cui Pierre Toubert rivoluzionava la riflessione sul tema dei castelli: “ (…) il cavaliere, appena seppe d’avere i mezzi per brillare nelle corti più sfarzose, s’affrettò a mettersi in cammino con una borsa colma di monete d’oro, per visitare i più famosi castelli dei dintorni, forse col proposito di conquistarsi una sposa d’alto rango; e accarezzando questi sogni, s’era inoltrato nel bosco (…)”.

Un ringraziamento speciale va a Giordano De Coste, che mi ha supportato nella gestione dei dati in GIS dedicandomi molto del suo tempo e non facendomi mai sentire il peso del lavoro sulle sue spalle. Gli abstract in inglese sono stati revisionati dal mio amico e collega Alexander Agostini che tengo a ringraziare per tutto l’aiuto e supporto dimostrato in ogni occasione e nel

Il paesaggio dei Monti Lucretili (foto V. Lattanzi)

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1 Il fenomeno dell’incastellamento in Italia: genesi e sviluppi di un dibattito in corso The castle is the emblem par excellence of the Medieval period, a symbol of the nobility’s power emphasized through walls and towers, ultimately considered an unequivocal leitmotif of a dynamic and constantly evolving period. Behind the banality of these clichés lies a much more complex phenomenon that left its mark, in the form of fortified stone buildings, on most of the rural Mediterranean landscape. The importance that the castle assumed throughout the Medieval period is easily highlighted by the need for historians to summarize in one word the phenomenon involving the construction of fortified villages, namely “incastellamento”. The birth of castles as fortified centers located on rural area hilltops has produced, in the last decades, a still ongoing debate between historians and archaeologists, with the result that a number of historical questions still requiring an answer through newfound data able to involve different methodological approaches of research, have been put forward. From the Romantic era onwards, with the revival of medievalism, castles have been the subject of works by numerous scholars, both in Italy and abroad. Between the end of the 19th century and the last decades of the past century, the study of castles was marked by a significant difference in themes and approaches. During this period everything that surrounded the castle, and not the castle in itself, was considered as the real object of study, in particular those topics dear to Medieval history and directly related to economics and the law. The real break from this line of studies, as well as a clear turning point for the subject, dates back to the year 1973, when the French historian Pierre Toubert published his doctoral thesis on the forms of settlement in Medieval Lazio. Toubert’s publication gave rise to a significant debate as to the phenomenon of incastellamento in Italy; this can be rapidly summarized in three main schools of thought. The first, theorized by the historian Pierre Toubert, believed that castles represented a change from open and dispersed rural habitats to centered fortified ones. The second, put forward by archeologist Riccardo Francovich and his pupils, carrying out work on castles in the Tuscan region, argues that 10th century fortifications were only a form of reorganization of pre-existing 6th7th century settlements located on higher grounds. Today, these clear-cut boundaries acquire new and blurred lines in light of recent archaeological investigations involving the Tuscan context. The last, postulated by the British historian Chris Wickham, can be seen as an intermediate viewpoint: regional diversity must be taken into consideration seeing that each territorial district or area has its own unique history. After decades of debate, perhaps it is time to move on to the facts. In addition to more data sharing and a deeper collaborative spirit between the fields of history and archaeology, it is time to undertake new excavations and surveys in select sample areas of various Italian regions, the same that will be carried out in the area of the Monti Lucretili. Only a new impulse to the field of research will allow to reconstruct the multifaceted forms of the rural landscape of Medieval Italy. L’immagine del castello ha da sempre affascinato letterati, viaggiatori, artisti e scrittori che spesso lo hanno messo al centro delle loro ricerche e storie come scenografia privilegiata dei propri racconti. Il castello, infatti, è per eccellenza l’emblema del periodo medievale, simbolo della potenza signorile enfatizzata attraverso le sue possenti mura e torri, leitmotiv inequivocabile di un periodo dinamico e in continua evoluzione, ma ancora non molto conosciuto ai più se non superficialmente. Dietro alla banalità di questi luoghi comuni si cela ben altro, un fenomeno assai più complesso che ha segnato indelebilmente, attraverso le

sue costruzioni fortificate in pietra, gran parte dell’odierno paesaggio rurale mediterraneo. Nelle fonti classiche il termine latino castrum indicava una sistemazione fortificata con una chiara accezione militare; i cosiddetti castra non erano altro che degli accampamenti militari dove l’esercito romano risiedeva, stabilmente o stagionalmente in base alle contingenze belliche del momento. Nella tarda antichità e nell’alto medioevo il vocabolo avoca a sé un’altra accezione, tenendo ben saldo il concetto di fortificazione: i nuovi castra saranno dei 5

L’incastellamento nei Monti Lucretili centri popolati, diversi dalle città, ma come queste ben strutturati e difesi1.

tematica, possiamo ora concentrarci sugli aspetti scientifici dell’argomento.

A partire dal X secolo i termini castrum e castellum iniziano a diventare sempre più ricorrenti nelle fonti, in particolar modo nei documenti riguardanti gli atti di fondazione, concessioni enfiteutiche e vendita promossi dalle istituzioni ecclesiastiche in auge in quel momento2. Nel caso del Lazio l’attività dell’abbazia di Farfa risulta essere predominante sugli altri enti religiosi in virtù della mole di beni in suo possesso e sotto giurisdizione, essendo poi un monastero imperiale “di fama internazionale”, ha ricoperto un ruolo egemonico all’interno delle politiche territoriali a partire dall’alto medioevo3.

Lo studio dei castelli, tra la fine dell’Ottocento e gli ultimi decenni del Novecento, è stato contrassegnato dalla separatezza degli approcci e dei temi trattati. In questo periodo il castello non è mai stato considerato come il vero oggetto di studio, bensì tutto ciò che lo circondava, in particolar modo i grandi argomenti legati alla storia medievale pertinenti all’economia e alla storia del diritto. La vera cesura per questo tema, nonché momento di svolta, ha una precisa data, il 1973, quando lo storico francese Pierre Toubert diede alle stampe la sua tesi di dottorato sulle forme insediative del Lazio medievale8. Quest’opera, di lì a poco, sarebbe diventata la pietra miliare per tutti gli studi (e studiosi) sui castelli in Italia, scatenando un acceso dibattito sull’incastellamento e sulle questioni storiche che lo circondano9.

L’importanza che assume il castello per tutto il periodo medievale è facilmente messa in evidenza dalla necessità per gli storici di individuare e riassumere in un unico lemma il complesso fenomeno dietro all’edificazione dei villaggi fortificati, ideando il neologismo «incastellamento». Con tale vocabolo Mario Del Treppo4 volle indicare il complesso processo che modificò l’habitat rurale e il modo di abitare della popolazione contadina, fortemente controllata dai signori laici ed ecclesiastici, i nuovi protagonisti in scena nelle campagne tra alto e basso medioevo.

1.1.1. Dal Romanticismo agli inizi del XX secolo: per una storia del diritto italiano Il Romanticismo ha avuto il grande merito di rivolgere efficacemente l’attenzione sui castelli, coinvolgendo in questo interesse anche diverse discipline. Verso la fine dell’Ottocento due storici medievisti italiani, formatisi entrambi in Austria, indirizzarono i loro studi verso la storia del diritto italiano: Francesco Schupfer10 e Antonio Pertile11. Il castrum nei loro testi non è mai stato l’attore principale, bensì il luogo simbolo della feudalità, riparo di un’aristocrazia schiacciata dalla pressione delle esperienze comunali. I due studiosi, pur non avendo analizzato l’incastellamento come fenomeno di popolamento, hanno avviato delle ricerche sul periodo che ha visto lo sviluppo e l’evoluzione dei centri fortificati. In tale contesto, però, il castello assume un’accezione negativa poiché rappresentazione per antonomasia della negazione del modello comunale italiano, libero ed urbano12.

La nascita dei castelli come centri fortificati localizzati nelle zone rurali di altura ha suscitato, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, lunghe diatribe tra storici ed archeologi5, ancora in corso, sulla genesi del fenomeno, portando alla formulazione di domande storiche alle quali si sta cercando di rispondere attraverso nuovi dati in grado di coinvolgere i differenti approcci metodologici della ricerca6. 1.1. Storia degli studi dei castelli medievali Il tema dei castelli è stato al centro degli interessi da parte di molti studiosi, sia in Italia che all’estero, a partire dagli anni del Romanticismo con il coinvolgimento emozionale verso tutto ciò che era rudere e che poteva stimolare la creatività di letterati e pensatori del tempo. L’idea della rovina come qualcosa di vissuto e di ancora vivo ha permesso di rivolgere i primi sguardi incuriositi verso i castelli medievali che impersonificavano il connubio perfetto tra storia e natura7.

Sull’onda di questi studi, verso la fine dell’Ottocento altri due storici si occuparono dei temi legati al feudalesimo e all’età comunale: Ferdinando Gabotto13 e Gioacchino Volpe14 riabilitano la figura del castrum e della signoria di castello, da non riconoscere più in contrapposizione con il modello comunale bensì come una realtà parallela, radicata però in un contesto rurale15.

Accantonando questa premessa, seppur fondamentale per comprendere la nascita dell’interesse verso questa

Rimanendo sempre nell’ambito del diritto italiano, nei primi decenni del XX secolo un docente universitario di Toubert 1973. Barceló, Toubert 1998. 10 Schupfer 1908; Schupfer 1910. 11 Pertile 1896-1902. 12 Toubert 1995, pp. 24-25. 13 Ferdinando Gabotto concentrò molti dei suoi studi sul contesto piemontese tra i quali si annoverano Gabotto 1894; Gabotto 1898. 14 Gioacchino Volpe, oltre ad essere un noto storico italiano, ebbe anche un ruolo politico di primo piano durante il regime fascista. Tra i suoi scritti più celebri si possono contare gli studi sulla storia del medioevo italiano tra cui Volpe 1904; Volpe 1923; Volpe 1927. 15 Toubert 1995, pp. 25-26.

1 Ravegnani 1983, pp. 11-17; Settia 1984, pp. 41-42 e 189-246; Augenti 2016, pp. 91-97. 2 Per una recente riflessione su questo tema si veda Settia 2018. 3 Sull’abbazia di Farfa: Schuster 1921; Boccolini 1932; Pani Ermini 1985, pp. 34-59; Dondarini 2006; Leggio 2009. 4 Del Treppo 1955. 5 Sulla complessità del dialogo tra la disciplina storica e quella archeologica e per una riflessione sul problema delle fonti si veda Wickham 2007. 6 Augenti 2018. 7 Per approfondire il concetto di rovina si veda Manacorda 2007, pp. 9293.

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Il fenomeno dell’incastellamento in Italia Pavia, Pietro Vaccari, si interroga sul rapporto tra castrum e territorium castri16, tra la struttura del castello, le sue pertinenze ed il territorio sotto la sua giurisdizione. Merito di tale storico è stato quello di riconoscere la struttura del castrum con le diverse particelle edilizie che componevano il complesso fortificato17.

scientifici al contesto del Mezzogiorno mediterraneo: Mario Del Treppo24 e Nicola Cilento25. Dobbiamo a Del Treppo l’invenzione (e l’intuizione) del termine «incastellamento» che ancora oggi qualifica in maniera inconfutabile la manifestazione dei castelli nei contesti rurali tra alto e basso medioevo; lo storico ha avuto anche il merito di dare la giusta rilevanza al fattore economico alla base della nascita del fenomeno castrense, tematica che nei decenni a seguire diventerà il fulcro delle ricerche storiche.

In tutti questi studi storiografici l’immagine del castello viene osservata solo come contesto e non come oggetto degno di analisi: il castrum è solo lo scenario di eventi che coinvolgono la signoria rurale, rimanendo sempre ai margini degli studi medievistici dell’epoca.

Nicola Cilento dedica invece le sue ricerche al contesto del napoletano, sottolineando nei suoi scritti l’importanza delle fonti d’archivio delle abbazie26.

1.1.2. Il Novecento fino agli anni Settanta: storia sociale ed economica dell’Italia Il Novecento è stato segnato da un’inversione di rotta negli studi della medievistica, che vedono ora in primo piano il tema della storia sociale ed economica. Già dai primi decenni del XX secolo gli studi storiografici si dirigono verso la conoscenza della società italiana, indirizzandosi talvolta anche su tematiche collegate ai castelli. Precursore in tal senso è stato Gino Luzzatto18 che a partire dagli inizi del secolo concentra le sue ricerche sul castello di Matelica nelle Marche19; l’analisi di molti documenti d’archivio sulle entrate e uscite del centro fortificato marchigiano hanno consentito all’autore di esaminare le dinamiche economiche di un grande centro incastellato.

Negli stessi decenni le opere di Giovanni Tabacco27 e Cinzio Violante28 condizionano gli studi successivi (tra cui quelli di Toubert), portando ad un’analisi storica dal punto di vista sociale, economico e dei poteri regi e signorili. Tali studiosi si interessarono, oltre alla realtà urbana fino a quel momento ambito privilegiato nelle ricerche, anche a quella rurale delle campagne italiane, mettendo a confronto il rapporto tra queste ultime e la città29. Ultimo autore da menzionare in questo decennio è Elio Conti con i suoi interventi sulle campagne del contado fiorentino in epoca pre-comunale e sulla formazione delle strutture agrarie in Toscana30.

Johan Plesner, ricercatore danese, dedica invece uno studio al contado fiorentino e al problema demografico durante il medioevo; in questa sede l’autore riesce a dimostrare come un castello rurale avesse problemi demografici di sovrappopolamento tali da causare un vero e proprio esodo dalla campagna alla città20.

Fino a questo momento, agli albori degli anni Settanta, la storia degli studi dei castelli medievali è stata molto limitata; in questi decenni le contingenze storiografiche non hanno permesso di raggiungere un’indagine complessiva del fenomeno dell’incastellamento, soffermandosi su materie parallele senza mai indagare le tematiche precipue del soggetto di studio. La scuola economico-giuridica italiana ha condizionato fino a questo decennio gli interessi della medievistica, favorendo lo studio delle istituzioni comunali rispetto a quelle rurali e regionali. La disparità degli approcci tematici, sempre circoscritti agli ambiti di studio privilegiati dagli autori, ha sacrificato l’importanza dell’incastellamento come fenomeno centrale durante i secoli del medioevo, influenzando l’economia del tempo, la vita sociale ed il modo di abitare della società dal X secolo.

Un piccolo spartiacque nella storia degli studi è rappresentato dall’esperienza di Fabio Cusin che nel 1939 presenta un articolo nella Rivista Storica Italiana21 nel quale riassume lo status quaestionis della ricerca sui castelli. Cusin affronta l’argomento in maniera più complessa e completa rispetto ai suoi predecessori: cercando di intrecciare le precedenti esperienze, giunge alla conclusione che il castrum in Italia non è mai da intendersi solo come una semplice residenza signorile, ma come un villaggio fortificato22. Questa affermazione, non banale per gli studi condotti fino a quel momento, ha portato Cusin a diventare un punto di riferimento imprescindibile per chi intende esaminare il tema dei castelli23.

1.2. Pierre Toubert e la (ri)nascita di un filone storiografico Il 1973 forse potrà sembrare una data comune ai più, ma per gli storici e archeologi del medioevo questo anno

Gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento hanno come protagonisti due storici italiani che dedicano i loro studi

Tra i suoi studi si annoverano: Del Treppo 1955; Del Treppo 1967; Del Treppo 1968; Del Treppo 1977; Del Treppo 2007. 25 Cilento 1966; Cilento 1971. 26 Toubert 1995, p. 32. 27 Tabacco 1967; Tabacco 1979; Tabacco 1993; Tabacco 2000. 28 Violante 1953. Importante ricordare che l’autore scrisse la prefazione alla traduzione italiana parziale della thèsè di Toubert “Feudalesimo Mediterraneo” (Violante 1980). 29 Provero 2009. 30 Conti 1965. 24

Vaccari 1963. 17 Toubert 1995, p. 27. 18 Sulla storia economica italiana dell’autore si veda Luzzatto 1961; Luzzatto 1965. 19 Luzzatto 1908; Luzzatto 1913. 20 Plesner 1934. 21 Cusin 1939. 22 Ibidem. 23 Toubert 1995, pp. 29-31. 16

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L’incastellamento nei Monti Lucretili descrive per la prima volta in maniera approfondita il fenomeno dei castelli, studiando anche la progressiva trasformazione e il passaggio dall’insediamento definito “di tipo sparso” ai villaggi fortificati di altura, edificati su siti non popolati, secondo l’autore, fino a quel momento: il rapporto territorio e società diventa così l’argomento cardine35.

raffigura uno spartiacque nella ricerca, rappresentato dalla pubblicazione del primo lavoro monografico di Pierre Toubert31 sulle strutture del Lazio medievale32. Tuttora chi si avvicina alla tematica dei castelli non può prescindere dal leggere i due tomi pubblicati nei primi anni Settanta dall’École française de Rome, anche se ormai certe teorie avanzate in quel contesto possiamo considerarle superate, specialmente alla luce delle posteriori ricerche in ambito archeologico che hanno permesso di riconsiderare alcune ipotesi interpretative, per lungo tempo equiparate a dei postulati.

All’inizio del suo lavoro, Toubert esplicita i metodi che ha deciso di seguire nella ricerca sul Lazio medievale: le fonti scritte sono state l’oggetto privilegiato (se non esclusivo) nella sua analisi, punto di partenza (e di debolezza) per uno studio dell’incastellamento nella regione laziale36.

L’impatto e la rilevanza di questa ricerca emergono rapidamente e costantemente nel tempo, dando adito a continui studi volti a smentire o confermare le teorie in quella sede proposte che prenderanno poi il nome in letteratura di “modello toubertiano”. La risonanza del testo di Toubert è chiara: basti pensare che nel 2015, a ben oltre quarant’anni dalla prima edizione, l’editore ha deciso di ripubblicare con una stampa anastatica il celeberrimo testo.

La presenza di numerose ed importanti abbazie nell’area scelta come campione ha favorito la conservazione di molti cartulari del tempo, oggi pubblicati in edizioni critiche, fonti inestimabili per poter ricostruire la storia medievale della zona. Tra questi il monastero di Farfa può vantare un vastissimo patrimonio documentario tra cui si possono annoverare il Regestum Farfense37, ovvero la raccolta di documenti trascritti tra l’XI e il XII secolo dal monaco benedettino Gregorio da Catino, il Liber Largitorius Pharphensis38, anch’esso riportato dallo stesso religioso, il Chronicon Farfense39 e moltissimi altri atti di tipo privato, come ad esempio quelli notarili e diplomatici che, con l’avvento del X secolo, aumentarono considerevolmente40.

Il valore dell’opera viene confermato anche dalla recente uscita di un volume, curato da Andrea Augenti e Paola Galetti, dal titolo “L’incastellamento: storia e archeologia. A 40 anni da Les Structures di Pierre Toubert33”, nel quale i più illustri studiosi del tema, in occasione di un convegno, poterono confrontarsi, continuare a discutere e fare il punto della situazione dopo quasi mezzo secolo dalla prima edizione del testo34.

Una delle criticità rilevate dall’autore nel suo studio e che ancora condiziona le ricerche sul periodo altomedievale deriva dalle fonti stesse: la documentazione scritta conservata per i primi secoli del medioevo è infatti molto limitata e, quando conservata, contiene il più delle volte perlopiù annotazioni sparse e di difficile interpretazione.

Toubert decide di dedicare i suoi primi studi sul tema dell’incastellamento al Lazio, una delle regioni italiane più promettenti dal punto di vista storiografico poiché, a differenza di altri contesti regionali, può vantare una copiosa quantità di fonti scritte delle grandi abbazie del medioevo, una su tutte Farfa.

Questo è solo uno dei casi in cui la ricerca storica, così come quella improntata da Toubert incentrata sulla mera analisi delle fonti documentarie, necessita dell’ausilio del dato archeologico. I problemi emersi dallo studio dello storico francese sono ancora attuali poiché possono

Consapevole dell’impervietà dell’argomento e dello status quaestionis, lo storico francese sviluppa il tema dei castelli puntualizzando l’attenzione (finalmente) sull’unità castello in scala regionale, prendendo come aree campione il Lazio meridionale e la Sabina. Per la prima volta il castello viene analizzato in maniera scientifica, diventando l’oggetto, e non più il mero contesto, di una ricerca storica.

Circa vent’anni dopo la prima edizione de “Les Structures”, l’autore torna a parlare di castelli con la pubblicazione del 1995 “Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale”, esaminando ulteriormente temi già trattati e rivedendo alcune sue posizioni, tra cui le dinamiche insediative e la riorganizzazione economica degli spazi agrari (Toubert 1995). Occasione di confronto è stato anche il convegno organizzato nel 1992 a Girona e nel 1994 a Roma dove lo stesso Toubert fa il punto della situazione del dibattito sull’incastellamento: Toubert 1998. 36 Toubert accusa gli archeologi di non essersi interessati di questo periodo storico (soprattutto per il Lazio) in quanto, a causa dell’ingente presenza di siti di epoca protostorica e romana, non si sono mai occupati degli insediamenti medievali di altura (Toubert 1995, pp. 33-35). 37 I documenti trascritti da Gregorio di Catino sono databili tra l’VIII e il XII secolo e riguardano i titoli e i diritti dell’abbazia di Farfa e le attestazioni di vendita o donazioni fatte da e al monastero stesso. La raccolta dei testi è stata pubblicata da Giorgi, Balzani 1879-1915. 38 In questo caso si tratta di atti relativi a concessioni fatte dal monastero di Farfa a laici, per lo più coloni; tali documenti regolavano le condizioni di vendita e la valutazione dei beni. Anche per questo testo esiste un’edizione critica pubblicata da Zucchetti 1913-1932. 39 Balzani 1903. 40 Toubert 1973, pp. 71-134. 35

1.2.1. Les structures du Latium médiéval: alla scoperta di un tema storiografico visto dalle fonti Toubert, riprendendo nella sua ricerca lo schema introdotto dalla scuola delle Annales e dagli allievi di Fernand Braudel, 31 Sulla biografia e sulla formazione accademica dell’autore si consiglia la lettura di Lauwers 2012. 32 Toubert 1973. 33 Augenti, Galetti 2018. Questo volume racchiude le riflessioni scaturite durante il convegno svolto nel novembre del 2013 a Bologna, organizzato proprio in occasione dei quarant’anni dall’uscita del volume di Pierre Toubert. 34 Importante contesto di confronto tra gli studiosi è stata l’edizione monografica della rivista “Archeologia Medievale” del 2010 (XXXVII), curata da Alessandra Molinari e dedicata ai “Mondi rurali d’Italia: insediamenti, struttura sociale, economia. Secoli X-XIII”, opera nata dopo l’incontro tenutosi nello stesso anno nelle sedi dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

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Il fenomeno dell’incastellamento in Italia limitare i risultati di quegli studi che non considerano le evidenze archeologiche mantenendo un approccio esclusivamente storiografico.

nel panorama rurale rappresenta una forte rottura con le precedenti forme di abitare ed un cambiamento culturale nel modo di vivere. Con l’introduzione del nuovo sistema insediativo, l’organizzazione delle campagne cambia radicalmente: si passa, infatti, da un habitat di tipo sparso e disperso a dei villaggi fortificati costruiti su alture, ben organizzati e gestiti da un potere dominante personificato dalla figura del dominus. Questi nuovi nuclei incastellati, secondo l’autore, non nascerebbero mai da un contesto curtense: si tratterebbe di siti di nuova fondazione, non precedentemente antropizzati; il castrum deriverebbe, infatti, dall’occupazione di un rilievo fino a quel momento inabitato (almeno in epoca medievale), scelto per la sua naturale predisposizione a diventare il centro direzionale delle terre agricole limitrofe. L’autore sottolinea anche un altro aspetto legato alla struttura del castello: nella costruzione del nucleo monumentale l’utilizzo della pietra come materiale edilizio ha primeggiato fin dai primi esempi di X secolo; la cinta muraria, la rocca e le altre strutture interne all’insediamento venivano costruite direttamente in materiale lapideo e non con materie deperibili quali argilla cruda o legno.

1.2.2. L’origine del modello toubertiano: ripercussioni storiografiche nella medievistica italiana Nelle sue ricerche Toubert definisce il fenomeno dell’incastellamento come “un movimento che ha spinto gli uomini a concentrarsi o ad essere raggruppati in castra lungo i secoli X-XI41”. La definizione proposta dall’autore sintetizza un concetto molto più complesso, ma allo stesso tempo descrive in poche parole il paesaggio rurale che da quei secoli sarà segnato dalla presenza dei castelli. Le teorie dell’autore sul concetto di incastellamento hanno portato gli studiosi alla definizione di un modello che da lui prende il nome, definito appunto toubertiano e a cui poi seguirà un acceso dibattito sul tema. Il pensiero di Toubert può essere sintetizzato in cinque punti42:

Il castello, oltre a rappresentare un’innovazione nel panorama insediativo del X-XI secolo, testimonia soprattutto una trasformazione dal punto di vista economico: i nuovi abitati si presentano come grandi poli economici di cui il sistema produttivo risulta essere il motore. Secondo Toubert, infatti, l’impulso economico è stata la forza motrice che ha portato alla nascita di questo fenomeno nell’Italia centrale.

– La genesi del fenomeno dell’incastellamento si può ricondurre ad una crescita demografica di cui non si possono ben individuare le cause. – La decisa iniziativa dei signori locali ha favorito l’accentramento di uomini all’interno di un unico centro fortificato con il fine di trarre profitto dal loro lavoro. – Il signore promotore di questo cambiamento nell’organizzazione delle campagne offriva ai coloni un luogo protetto dove vivere, dotato di fortificazioni, di fonti di approvvigionamento e risorse (sorgenti naturali, territori coltivabili e tutti gli altri elementi essenziali per lo sviluppo e la sopravvivenza dei nuovi centri); la scelta del sito dove edificare il nuovo insediamento poteva essere talvolta suggerita dalla presenza di antiche rovine che consentivano di reinsediare il precedente sito abbattendo i costi della nuova costruzione.

La rapidità con cui è avvenuta la diffusione di questa nuova realtà insediativa nel Lazio ha anche determinato un cospicuo numero di castelli abbandonati in tempi molto rapidi: questa disfatta del modello insediativo è avvenuta con maggior frequenza nelle zone in cui l’incastellamento ha avuto un forte impatto sul territorio, provocando, in taluni casi, una concentrazione troppo fitta di abitati ed il conseguente spopolamento repentino di alcuni dei nuovi siti.

– Il signore concedeva ad ogni nucleo familiare un lotto dove era possibile realizzare un orto e una vigna, sia per la sussistenza della famiglia del colono che per quella del signore.

Lo studio di Toubert, con la creazione di un nuovo soggetto tematico, ha avuto grande considerazione in ambito scientifico e storiografico; dal momento della pubblicazione, la sua tesi è stata letta, studiata, analizzata, criticata e smentita. Ad ogni modo, nell’ambito della medievistica italiana, quest’opera ha avuto il merito di convogliare l’attenzione sul tema dell’incastellamento, scatenando un acceso dibattito ancora in corso ed un forte impulso alla ricerca.

– I nuovi villaggi presentavano una nuova fisionomia: l’elemento distintivo del castello diventa la fortificazione attraverso l’inserimento di nuovi elementi strutturali che vanno a militarizzare il paesaggio rurale creando una cellula difensiva. L’idea proposta da Toubert risulta in quel momento molto innovativa: la lettura del X secolo come momento di cesura netta nelle forme del popolamento rurale segna la nascita di un nuovo filone storiografico; per l’autore l’incastellamento

Il primo storico italiano che dopo Toubert si interessa al tema dei castelli, stavolta spostando il raggio di indagine verso il contesto dell’Italia padana, è Aldo Settia43. Realizzando una completa monografia sugli insediamenti incastellati dell’Italia settentrionale, l’autore mostra i

Cit. in Toubert 1995, p. 53. Lo stesso autore evidenzia le linee guida del suo modello in una pubblicazione di vent’anni successiva a quella della sua thèsè. Toubert 1995, pp. 82-86.

41 42

43 Settia 1984. Per un recente studio dell’autore sui castelli medievali si veda Settia 2017.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili 1.3.1. L’inconsapevole nascita di un modello continuista: per una critica alle teorie toubertiane

pochi parallelismi riconosciuti nel territorio preso ad esame e l’area indagata da Toubert; Settia asserisce che la nascita di siti fortificati nella regione padana è legata a motivi militari (e quindi difensivi): l’insicurezza in quel contesto territoriale è una delle maggiori cause scatenanti dell’incastellamento44, non legata quindi a fattori economici e sociali.

L’opera di Toubert ha originato in Francovich un forte impulso alla ricerca, sfociato poi nelle campagne di ricognizione e di scavo archeologico in Toscana che hanno messo in discussione le teorie toubertiane sulla base dei nuovi dati acquisiti. L’autore ha posto inoltre l’attenzione sui problemi di metodo, portando alla luce le differenze tra la ricerca storica e quella archeologica49: la differente formazione accademica, per certi aspetti molto settoriale, dei ricercatori, il diverso approccio metodologico alla materia e la tipologia di fonti interrogate dalle due discipline producono spesso una discrepanza nei risultati50; i dati acquisiti durante le indagini, invece di rimanere isolati e fini a sè stessi, dovrebbero promuovere un dialogo ed un collegamento tra le materie al fine di ottenere conclusioni complementari. Francovich sostiene fortemente che l’unica strategia possibile per una ricerca completa sia quella di analizzare contestualmente le fonti scritte e il dato archeologico; gli studiosi dovrebbero essere poi disposti nel corso delle loro analisi a modificare le proprie convinzioni e a superarle là dove i nuovi dati siano determinanti.

Aldo Settia fu quindi uno dei primi storici a mettere in discussione il modello toubertiano45, riscontrando anomalie tra le sue ricerche e il contesto laziale, ma allo stesso tempo prese ad esempio il lavoro di Toubert, ripetendo l’esperienza dell’autore francese proponendo a sua volta uno studio su scala regionale. 1.3. Riccardo Francovich e il cosiddetto “modello toscano” La nuova tendenza storiografica inaugurata da Toubert ha scosso gli orientamenti di ricerca, portando benefici anche verso la sfera archeologica. In Italia la nascita dell’archeologia medievale come nuova disciplina scientifica nella prima metà degli anni Settanta ha favorito una rivoluzione tematica negli studi territoriali che, da questo momento, si focalizzano per la prima volta sul tema dell’incastellamento attraverso l’analisi dei resti archeologici. Questo cambiamento di rotta nelle indagini stratigrafiche lo si deve allo stesso studioso che ha dato vita proprio a questa “nuova” disciplina scientifica e che è stato a sua volta l’ideatore di un modello insediativo per i contesti rurali che si contrappone a quello di Toubert per i risultati conseguiti: Riccardo Francovich.

L’esperienza di Francovich si fonda sul contesto della Toscana, portando avanti apprezzabili progetti scientifici coadiuvati da giovani gruppi di ricerca che ancora oggi seguono le fila del suo lavoro; ne sono un esempio lo scavo di Scarlino51, Rocca San Silvestro52, Montarrenti53 e Suvereto54. Le esperienze sul campo maturate da Francovich gli permisero di ipotizzare, sulla base delle ricorrenti peculiarità nei contesti geografici indagati stratigraficamente, una ricostruzione del paesaggio medievale per la Toscana, delineando un panorama insediativo ben diverso da quello indicato da Toubert, soprattutto per le fasi altomedievali.

Francovich è stato uno dei maggiori protagonisti del dibattito sui castelli italiani46, sollevando delle critiche al modello toubertiano, ma a sua volta riconoscendo all’autore francese il merito di aver creato una prima teoria sul fenomeno di incastellamento e di aver individuato nell’unità castello la struttura portante del sistema insediativo delle campagne nei secoli del medioevo47. Le indagini di Francovich si sono concentrate esclusivamente sulla regione Toscana; allo stesso tempo, gli scavi archeologici da lui diretti, a partire da Montarrenti e Scarlino, hanno rivoluzionato le teorie precedenti portando a nuove conoscenze sugli sviluppi dei castelli, puntando molto anche su quella che oggi viene definita come “Archeologia pubblica”48.

A differenza del contesto laziale, la Toscana non può contare sulle fonti scritte poiché perlopiù sporadiche e, quando conservate, sono pertinenti ad atti privati di epoca carolingia e post-carolingia55; gli unici documenti custoditi testimonierebbero l’esistenza di un popolamento di tipo sparso in diversi contesti geografici della regione. Gli elementi raccolti da Francovich disegnano un panorama insediativo altomedievale molto diverso da quello proposto da Toubert: i dati evidenziano l’assenza di strutture isolate nella campagna e l’esistenza di un territorio perlopiù similare e ripartito in nuclei accentrati56. Nel modello definito oggi semplicisticamente come “toscano” o “continuista” (definizione che, per

Ibidem, pp. 121-143. Sul modello toubertiano cfr. Francovich 1995. 46 Il dibattito sui castelli medievali verrà ripreso poi dagli allievi di Francovich, ovvero Marco Valenti e Giovanna Bianchi, grazie alle loro esperienze di scavi archeologici in siti incastellati. 47 Francovich 1995. 48 I progetti portati avanti dall’Università di Siena hanno avuto il lungimirante obiettivo di costituire un sistema integrato di musei e parchi archeologici per valorizzare le testimonianze monumentali del territorio toscano con il sussidio di tecnologie innovative per una ricostruzione dei quadri ambientali. Un esempio positivo di interazione tra ricerca archeologica, musealizzazione e archeologia pubblica è rappresentato dall’Archeodromo di Poggibonsi, la cui esperienza viene racchiusa e sintetizzata in un recente volume: Valenti 2019a. Sui musei archeologici all’aperto si veda anche Valenti 2019b; sul concetto di Archeologia pubblica cfr. Volpe 2020. 44 45

Francovich 1995. Francovich 2004, p. XII. 51 Francovich 1985a. 52 Francovich 1985b, pp. 318-340; Francovich 1991. 53 Francovich, Milanese 1990; Cantini 2003. 54 Cuteri 1990, pp. 431-464. 55 Francovich 2004, p. XIII. Il problema della quasi totale assenza di fonti scritte viene sottolineato anche da Bianchi 2004, p. 2. 56 Francovich 2004, pp. IX-XIII. 49 50

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Il fenomeno dell’incastellamento in Italia altro, viene rifiutata dagli allievi di Francovich, oggi promotori di nuovi progetti che mettono in discussione proprio il modello stesso57), i primi centri abitati di altura vedrebbero la loro comparsa già a partire dal primissimo alto medioevo58. Nel VI secolo il sentimento di insicurezza, collegato a ragioni socio-economiche, ha portato alla riproposizione del modello del villaggio come struttura ideale per le necessità del tempo: il villaggio come centro abitato rispondeva perfettamente alle esigenze della popolazione locale che poteva così vivere riunita in un unico centro e beneficiare dei vantaggi della vita comunitaria59. Nella scelta del rilievo da edificare anche Francovich ritiene che il fattore produttivo sia eminente, ma allo stesso tempo viene anche riconosciuta l’esigenza difensiva e strategica.

Queste sono le linee guida del pensiero di Francovich che, come abbiamo visto, si fondano sulla sua notevole esperienza in campo archeologico. L’unica eccezione al suo modello è rappresentata dal castello di Rocca San Silvestro, insediamento fortificato fondato per lo sfruttamento dei suoi giacimenti metalliferi su un’altura non prima antropizzata62. 1.3.2. Sulle orme di Francovich Il gruppo di archeologi che segue Francovich durante i suoi anni di insegnamento era formata da giovani ricercatori che attualmente insegnano all’Università di Siena, tra cui spiccano i nomi di Marco Valenti e Giovanna Bianchi, che hanno proseguito le ricerche e gli studi intrapresi dal loro maestro continuando ad occuparsi della tematica dei villaggi altomedievali e dei castelli. Importante apporto nello studio dei castra è stato dato anche da Roberto Farinelli, con un lavoro monografico sui centri della Toscana meridionale63, e da Giancarlo Macchi Jánica64 che, attraverso l’analisi spaziale degli insediamenti toscani, è riuscito a dare letteralmente “forma” al paesaggio incastellato, proponendo nel suo studio un confronto tra la sua area di indagine e proprio il Lazio di Toubert65.

Francovich determina tra il VI e il VII secolo il momento del mutamento nelle forme rurali di popolamento. In questo stesso arco cronologico è da individuare una concentrazione dell’abitato rurale con la formazione di nuovi nuclei formatisi dopo una prima fase di stanziamento disperso nelle campagne: è il caso dei siti di Scarlino, Montarrenti e Suvereto dove sono state rintracciate, al di sotto dei castelli, testimonianze tangibili di insediamenti accentrati di altura già nel VII-VIII secolo. La fase di incastellamento vera e propria inizierebbe a partire dalla metà del X secolo, continuando poi fino all’XI-XII secolo; i castelli in Toscana sarebbero legati solo ad una fase di riorganizzazione strutturale del villaggio, già esistente dai secoli precedenti (VII-VIII secolo). La fortificazione degli elementi dell’abitato attraverso l’utilizzo di materiale lapideo (si passa quindi da strutture realizzate in legno, paglia e argilla cruda a costruzioni in pietra locale e calce) ed una più serrata gerarchizzazione degli spazi, dovuta, con ogni probabilità, al potere raggiunto dai signori locali, sia laici che ecclesiastici verso la fine del X-inizi XI secolo, segnerebbero il momento del cambiamento all’interno dell’insediamento; tale trasformazione non determinerebbe un radicale cambiamento nell’assetto del popolamento rurale, ma solo una fase di ristrutturazione e riorganizzazione del villaggio già esistente dall’alto medioevo nel medesimo sito60. Le prime fasi dei villaggi in siti di altura corrisponderebbero agli insediamenti che le fonti del tempo definiscono come casalia, villae o curtes, poi denominati castra nei documenti bassomedievali. Anche in questo caso la teoria proposta da Toubert vacilla: il castello, infatti, si fonda direttamente su siti già popolati. Non esiste, quindi, una vera cesura nelle forme di abitare: l’incastellamento è il risultato di una ristrutturazione di un sistema già esistente dall’alto medioevo61.

Numerose sono state negli ultimi decenni le attività di scavo e le ricognizioni archeologiche sempre condotte nel territorio toscano che, sulle orme di Francovich, hanno dato nuova linfa ai temi legati alla campagna altomedievale che l’archeologo toscano non è riuscito a concludere per la sua prematura scomparsa nel 2007. Tra i tanti siti oggetto delle ricerche dirette da Valenti si distinguono Miranduolo e Poggibonsi, ad oggi esempi paradigmatici di indagini diacroniche in contesti medievali66. Valenti, riprendendo quanto già sostenuto da Francovich, enfatizza il momento di rottura nelle forme di popolamento con la fine delle ville romane, sostenendo che la formazione dei villaggi di altura fosse derivata da un’iniziativa sia da parte delle popolazioni alloctone, ormai stanziate nel territorio, che delle popolazioni locali, che si riunirono in comunità accentrandosi in nuovi nuclei di piccola e media estensione67. Le ricognizioni archeologiche di tipo estensivo hanno permesso anche di escludere l’esistenza, agli albori dell’alto medioevo, di insediamenti di tipo sparso quali fattorie, piccole abitazioni o edifici dedicati ad attività produttive68. Tale assenza archeologica dimostrerebbe un vuoto sul territorio spiegabile soltanto con la negazione di tale forma insediativa69; i villaggi

I nuovi dati dal progetto “nEU-Med project” su Vetricella, diretto da Giovanna Bianchi e Richard Hodges, stanno facendo emergere una situazione più complessa nelle campagne toscane nell’alto medioevo (Bianchi, Hodges 2018; Bianchi, Hodges 2020). Quanto teorizzato nel cosiddetto “modello toscano” in merito all’insediamento sparso deve essere ora riconsiderato alla luce dei nuovi dati (Marasco 2013; Marasco 2018; Dallai, Carli, Volpi 2020). 58 Francovich, Hodges 2003, pp. 61-74 e 106-114. 59 Ibidem, pp. 31-74; Francovich 2004, p. XIV. 60 Francovich 1995, p. 402; Francovich 1998, p. 18. 61 Francovich 1995, pp. 404-405; Francovich 1998, pp. 19-20. 57

Le indagini di scavo su Rocca San Silvestro sono riassunte in Francovich, Parenti 1987; Francovich 1991; Francovich, Wickham 1994. 63 Farinelli 2007. 64 Macchi Jánica 2007. 65 Ibidem, pp. 185-200. 66 Per una sintesi delle indagini stratigrafiche condotte in questi siti si veda Valenti 2004. 67 Valenti 2008a, p. 33. 68 Valenti 2004, pp. 79-81. 69 Ibidem, p. 126. 62

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L’incastellamento nei Monti Lucretili portato alla realizzazione di uno spazio centrale, spesso fortificato da palizzate lignee e in un secondo momento munito di un recinto murario (la recinzione, infatti, sancisce il passaggio dal villaggio a quella che viene definita curtis cum clausura76), collocato nella zona più alta dell’insediamento, dove veniva amministrato il potere da parte del dominus che lì possedeva la propria abitazione (pars dominica). La tipologia edilizia utilizzata per la sede di prestigio è da rintracciare in un modello germanico definito longhouse, ovvero una capanna a pianta ellittica di grandi dimensioni, trovata nel sito di Poggibonsi77. La longhouse è un edificio seminterrato (per consentire una migliore stabilità) costruito in elevato con un’armatura in pali portanti intervallati da alzati in argilla cruda78. Altre tipologie edilizie più semplici sono state messe in luce all’interno del centro direzionale del dominus, come le capanne di forma rettangolare individuate a Scarlino79 e a Miranduolo80. All’interno del recinto, sempre in questa zona del villaggio, vengono realizzati complessi edilizi dedicati alle fasi di produzione, lavorazione e stoccaggio dei prodotti agricoli come forni, strutture per la macinazione del grano o per la lavorazione della carne; il villaggio diventa man a mano un centro produttivo autosufficiente, in grado di sostentare il proprio dominus e ogni famiglia da esso dipendente81. L’egemonia della casa dominica è sottolineata anche dai resti archeozoologici rinvenuti in tale porzione della curtis: lo studio degli ossi animali farebbe supporre una gestione diretta dell’allevamento sotto il controllo del signore.

accentrati si svilupparono, infatti, a partire già dalla metà del VII secolo, diventando la struttura di popolamento più diffusa nel paesaggio rurale70. Ma quali furono le motivazioni che portarono alla creazione di questa rete di villaggi? Valenti esclude l’iniziativa ecclesiastica71, come invece ipotizzato da Brogiolo nel contesto dell’Italia settentrionale72; l’area toscana avrebbe ricevuto una scarsa opera di cristianizzazione del territorio, dato assai discordante rispetto al contesto laziale indagato da Toubert. L’autore smonta l’ipotesi del ruolo poleogenetico delle chiese sostenendo che, nella maggior parte dei casi, questi edifici ecclesiastici non fossero presenti nella prima fase edilizia dei villaggi altomedievali; dice infatti l’autore: “non fu la rete del popolamento a modellarsi in relazione alle chiese esistenti, bensì il contrario73”. Per Valenti, la causa all’origine del fenomeno di accentramento è da identificare o con un’iniziativa spontanea da parte dei nuclei familiari rurali, oppure per decisione di un singolo personaggio eminente, da identificare come il dominus. Anche qui non sembra esserci un quadro omogeneo sulla scelta dei siti da popolare: tale discrepanza è testimoniata da una parte dagli insediamenti di Miranduolo e Montarrenti, dove l’occupazione del territorio non sembra avere alcuna preesistenza abitativa, dall’altra da Scarlino e Poggibonsi, dove invece le tracce rilevate durante gli scavi hanno mostrato evidenze archeologiche precedenti e riferibili all’epoca tardoantica74.

Le abitazioni dei contadini (pars rustica) sono, invece, collocate sui versanti della collina al di fuori della fortificazione, poco distanti dal manso di loro competenza; di solito i coltivi sono ubicati nelle immediate vicinanze del centro curtense.

Tra il VII e l’VIII secolo si determina, quindi, una progressiva trasformazione del paesaggio rurale toscano: i villaggi iniziano ad essere ben strutturati al loro interno con la creazione di spazi adibiti alla vita comunitaria e alla vita privata. L’affacciarsi nell’VIII secolo di una emergente aristocrazia fondiaria ha generato un cambiamento strutturale all’interno degli abitati che da questo momento vengono trasformati sulla base delle nuove esigenze produttive e artigianali di più ampio raggio, convertendo il semplice villaggio in un’azienda di tipo curtense ben organizzata. Traccia tangibile di questo mutamento è l’introduzione di nuove strutture edilizie adibite alla conservazione e allo stoccaggio dei prodotti agricoli e manifatturieri ed una maggior consistenza strutturale della pars dominica: a partire dall’VIII secolo la gerarchizzazione del paesaggio rurale è ormai definita con l’introduzione del sistema curtense75. La ristrutturazione urbanistica ha

All’interno della curtis doveva quindi esistere una partizione dei ruoli. La zona riservata alla famiglia del dominus veniva utilizzata come magazzino e luogo per lo stoccaggio delle derrate agricole; in questa stessa area venivano anche allevati gli animali, sia per il sostentamento della famiglia signorile che per la produzione casearia e della lana. Le attività agricole sui coltivi venivano, invece, gestite direttamente dai coloni che, a rotazione, dovevano lavorare le terre appartenenti al signore. Il pensiero di Valenti vede nel VI-VII secolo il momento decisivo e di cambiamento nelle forme di popolamento: in questo arco cronologico si vengono a creare molteplici insediamenti accentrati di altura caratterizzati da un’edilizia povera, realizzati in materiale deperibile82.

Secondo Valenti la tipologia dell’insediamento sparso ebbe un impatto molto ridotto nella regione toscana. Il fenomeno di accentramento in villaggi di altura sarebbe sorto principalmente per iniziativa degli stessi contadini che vedevano, nella vita collettiva, una maggior possibilità di vita sociale e un miglior modo di sfruttare la terra. In taluni casi, l’influenza dell’aristocrazia rurale del tempo avrebbe dettato la nascita e/o la riorganizzazione di tali insediamenti. Francovich 2004; Valenti 2004, p. 89; Valenti 2008a, p. 34. 71 Valenti 2004, pp. 85-86. 72 Cfr. Brogiolo, Cantino Wataghin 1994. 73 Cit. in Valenti 2004, p. 88. 74 Valenti 2004, pp. 92-116. 75 Ibidem, p. 129. 70

Ibidem, p. 100. Valenti 1996; Valenti 2004, pp. 47-50. 78 Santangeli Valenzani 2011, pp. 37-40. 79 Valenti 2004, pp. 56-59. 80 Ibidem, pp. 50-56; Valenti 2008b. 81 Valenti 2004, p. 132. 82 Per una tipologia delle capanne e sull’edilizia residenziale altomedievale si veda Fronza 2006; Fronza 2008; Santangeli Valenzani 2011; Fronza, Santangeli Valenzani 2020. 76 77

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Il fenomeno dell’incastellamento in Italia Nuove forme economiche e una nuova gerarchizzazione sociale si manifestano all’interno del contesto rurale.

ogni contesto nasconde nella sua storia dinamiche di popolamento diverse, come aveva già intuito da tempo Chris Wickham.

L’incastellamento in Toscana, secondo quanto già asserito da Francovich, non rappresenterebbe un cambiamento drastico nelle forme di abitare che, come abbiamo visto, non variano dall’alto medioevo. La ristrutturazione urbanistica e una maggior ingerenza da parte dell’aristocrazia locale determinano la formazione dei castelli, momento riconoscibile solo per la riorganizzazione interna dell’abitato ed una macroscopica fortificazione degli spazi. L’incastellamento (in Toscana) si fonderebbe, nella maggior parte dei casi analizzati, su strutture preesistenti riconducibili al sistema curtense: l’incastellamento non cambierebbe le forme di gerarchizzazione sociale né tantomeno le forme di produzione locale; infatti, per Valenti, i castra sarebbero solo delle aziende agricole ben organizzate e coordinate da un signore che viveva stabilmente all’interno del villaggio e che deteneva la gestione diretta delle attività produttive del proprio abitato. Il vero cambiamento è avvenuto nel IX-X secolo con un maggior radicamento delle signorie fondiarie ed un maggior controllo sociale83. La visione del fenomeno dei castelli come rivoluzione dei sistemi insediativi delle campagne sarebbe totalmente da limitare nel suo impatto storico: unica traccia tangibile del cambiamento è da ricondurre ad una variazione nell’uso dei materiali da costruzione a partire dal X secolo con l’introduzione di strutture in materiale lapideo (come la sostituzione delle palizzate lignee con muraglioni di pietra). In molti casi quest’ultima fase monumentale dei villaggi fortificati ha causato la perdita delle tracce legate alle preesistenze archeologiche realizzate in legno o in argilla cruda, rendendo molto complessa la loro identificazione ed interpretazione.

1.4. Una visione intermedia: l’analisi di Wickham Nell’ambito del dibattito tra cesura e continuità con la nascita dell’incastellamento, si è distinta da subito un’ulteriore presa di posizione, più moderata e meno assolutistica sul concetto di castello, rappresentata dallo storico inglese Christopher Wickham85. Nel dibattito sull’incastellamento uno dei punti su cui Wickham si è focalizzato maggiormente è il problema del dialogo tra le discipline storiche ed archeologiche86: nella storiografia moderna uno degli aspetti da superare è il contrasto tra tali scienze e i loro metodi di indagine che in pochi casi finora hanno cooperato al fine di favorire risultati proficui unendo le proprie forze. Il confronto dei risultati ottenuti nelle differenti ricerche attraverso lo scambio dei dati potrebbe portare ad un punto di svolta: il fine di tale “collaborazione” consentirebbe di arrivare ad una sintesi in grado di inglobare più elementi utili alla ricerca e di avvicinarsi ad una soluzione degli interrogativi storici ancora irrisolti87. 1.4.1. Le differenze regionali e micro-regionali: l’importanza del contesto Il territorio italiano è sempre stato un palinsesto di contesti geografici che si differenziano per storia, cultura e paesaggi. Ogni zona d’Italia è contraddistinta da eterogenee vicende storiche, politiche ed economiche che hanno modellato il territorio, rendendolo unico in ogni sua parte. Partendo da questa premessa, anche il fenomeno dell’incastellamento deve considerarsi come un momento di cambiamento nell’habitat rurale e, di conseguenza, va analizzato e studiato nel suo contesto geografico definito88; le fondazioni dei castelli, infatti, avvengono in tempi e con modalità differenti nei contesti in cui vanno ad installarsi come nuovo sistema demico. Secondo Wickham, infatti, il ruolo dello studioso è quello di capire le differenze di ogni contesto ambientale, non tralasciando le vicende storiche che hanno favorito la nascita di tali particelle territoriali autonome. Da questa asserzione scaturisce la definizione dell’impossibilità di generare conclusioni universali sullo sviluppo dei castelli. Le cause della nascita, dell’evoluzione e della fine di questo processo variano

Recentissimi studi seguiti e diretti da Giovanna Bianchi e Richard Hodges hanno messo in discussione quanto finora teorizzato per la Toscana: possiamo ormai definire il modello toscano “in evoluzione”, specialmente quanto concerne il tema dell’abitato sparso. I nuovi dati vanno a scardinare alcuni concetti ritenuti fino a questo momento assodati, come quello dell’inesistenza dell’insediamento di tipo sparso nell’alto medioevo nelle campagne toscane. Indagini promosse nella pianura intorno a Scarlino in occasione del progetto “nEU-Med project84” hanno fatto emergere l’esistenza di numerose e diversificare forme insediative, mettendo in crisi il cosiddetto “modello toscano” di Francovich. Tutto ciò porta quindi ad una riflessione: è ora necessario riconsiderare il paesaggio rurale e promuovere campagne di ricognizione estensive che interessino differenziati ambiti regionali per poter definitivamente chiarire e ricostruire l’assetto insediativo delle nostre campagne tra alto e basso medioevo.

Tra i testi più importanti si menzionano Wickham 1997; Wickham 1998; Wickham 2005; Wickham 2009; Wickham 2013. 86 Per una riflessione su questo tema cfr. Cortese 2010. 87 Wickham 1988, p. 411 e pp. 418-419; Wickham 1990, p. 79. 88 Gli studi territoriali di Wickham sulla tematica dell’incastellamento si sono concentrati principalmente nella zona dell’Italia centrale, in Abruzzo e in Toscana (Wickham 1982; Wickham 1984; Wickham 1990; Wickham 2013). L’autore ha poi dedicato anche un’intera monografia al caso molisano di San Vincenzo al Volturno (Wickham 1985), alla luce dei nuovi dati su uno dei centri incastellati meglio studiati nonché oggetto di scavi archeologici, ponendo l’attenzione sulle differenze regionali e micro-regionali che intercorrono all’interno di uno stesso bacino geografico, sviluppando differenti tipologie di insediamenti. Cfr. Bianchi 2014, p. 159. 85

I nuovi studi stanno portando ad una evidenza: non può esistere un univoco modello insediativo per il fenomeno dell’incastellamento poiché, come sta emergendo, 83 84

Valenti 2012, p. 493. Bianchi, Hodges 2018; Bianchi, Hodges 2020.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili infatti da zona a zona, non rendendo possibile una visione unitaria di tale cambiamento nelle forme di abitare della società contadina: lo scopo politico e gli effetti economici sul singolo insediamento sono alcune delle variabili che in ogni regione assumeranno molteplici valori come il risultato di esperienze diverse. Lo studio approfondito dei diversi ambiti territoriali su scala regionale e microregionale sarà il primo passo verso un livello di sintesi, con lo scopo di fornire i motivi di tale diversità. L’analisi dei singoli contesti geografici di una regione potrebbe fare da premessa allo studio delle molteplici forme di incastellamento nelle altre realtà regionali89.

approccio globale alla materia è fondamentale; non vanno tralasciati, infatti, gli aspetti economici, sociali, politici ed ideologici che, essendo connessi tra loro, hanno indubbiamente condizionato nelle forme e nei tempi il radicamento nel territorio dei castelli. Di qui si fa cadere di nuovo l’attenzione sulla necessità di collaborazione tra le discipline storiche ed archeologiche che, come dice l’autore stesso “sono le figlie gemelle di una singola disciplina, ma le gemelle non sono identiche94”, riconoscendo il divario metodologico tra le due, ma allo stesso tempo anche la necessità di interagire per giungere a dei risultati completi che non trascurino alcun aspetto precipuo dell’indagine.

1.4.2. L’incastellamento secondo Wickham

1.5. Conclusioni sul dibattito e nuove prospettive

La differenziazione territoriale è possibile ritrovarla nei siti che Wickham sottopone ad analisi; il modello insediativo fondato sui castelli non corrisponde necessariamente all’accentramento di persone in nuovi nuclei edilizi riconducibili a poli economici di tipo “aziendale”.

A quasi cinquanta anni dall’uscita di Les Structures di Toubert, possiamo così definire le principali correnti di pensiero che si sono distinte nel corso dell’incessante dibattito sull’incastellamento in Italia. Facciamo ora un riepilogo di quanto già detto:

Tre sono le categorie di castelli che Wickham individua:

– Pierre Toubert sostiene che l’incastellamento si sviluppa a partire dai secoli X e XI in siti di altura non popolati fino a quel momento (in alcuni casi le uniche tracce preesistenti sarebbero da riferire ad una fase protostorica di insediamento, i castellieri). Le cause della nascita di questi nuovi nuclei demici sarebbero da ricondurre sia a motivazioni economico-produttive che alla volontà da parte della signoria locale di controllare la società delle campagne. L’incastellamento, cesura significativa nelle forme di popolamento tra alto e basso medioevo, segnerebbe il passaggio repentino da un habitat sparso a villaggi fortificati di altura, costruiti da subito in pietra. – Per Riccardo Francovich l’incastellamento rappresenterebbe solo una fase di fortificazione edilizia avvenuta tra l’XI e il XII secolo nei siti già esistenti dal VI-VII secolo, segnando una ristrutturazione urbanistica attraverso la realizzazione di nuovi spazi dedicati alle attività produttive. Marco Valenti, dopo molteplici esperienze di scavi archeologici, è giunto alla conclusione che il vero cambiamento nel quadro insediativo è dato dalla creazione di villaggi fortificati tra il VII e l’VIII secolo, realizzati dapprima in materiale deperibile e successivamente ristrutturati, a partire dal X secolo, in materiale lapideo. La formazione dei castra avviene solo in un secondo momento e, come sosteneva Francovich, il fenomeno rappresenta solo una ristrutturazione di alcuni centri già popolati ed organizzati in villaggi, la cui vocazione economica e produttiva non si modificò nei secoli, ma si perfezionò grazie ad una maggiore specializzazione nei diversi settori produttivi. Ciò viene confermato anche dalle fonti documentarie che definiscono gli stessi siti prima come curtes poi come castra o castella. Lo spazio collocato all’interno della cinta muraria è riservato ai locali del dominus, alle attività produttive e allo stoccaggio delle derrate agricole; l’area al di fuori della

– castra come strutture di difesa munite di mura di pietra o palizzate in legno con fossati; – castra come centri amministrativi territoriali, con diritti politico-giudiziari; – castra come centri popolati da persone. Quando il terzo tipo si lega ad una delle due categorie soprascritte, è solo allora che possiamo parlare di castello e di incastellamento del sito90. In ogni caso, la prerogativa di tali centri è sempre la fortificazione: in assenza di quest’ultima non possiamo definire un insediamento come castello, ma semplicemente villaggio. In linea generale, il periodo dell’incastellamento in Italia sarebbe da identificare tra il X e il XIII secolo, tenendo sempre presente le discordanze temporali in cui il fenomeno si è manifestato nei vari contesti territoriali, anticipando o posticipando di un secolo la data della genesi di questo quadro insediativo91. Ogni castello, oltre ad essere influenzato dalle situazioni storiche e culturali in cui si va ad installare, mantiene uno stretto legame con l’ambiente circostante, spesso soggetto a cambiamenti causati dalle relazioni che intercorrono tra il fondatore del castrum e gli altri proprietari della zona, non solo i possidenti di castelli, ma anche le altre realtà legate all’economia locale92. Secondo Wickham lo studio dei castelli medievali è talmente complesso ed articolato che spesso si cade nella trappola del puro descrizionismo, enumerando fortificazioni senza un’analisi dei fenomeni93. Un Wickham 1988, p. 416; Wickham 1990, p. 81. Wickham 1985, p. 48. 91 Ad esempio, nell’Italia settentrionale il fenomeno ha visto la sua espansione in un momento precedente a quello generalmente indicato come data di inizio. 92 Wickham 1990, p. 81. 93 Wickham 1988, p. 411. 89 90

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14

Cit. in Wickham 1988, p. 418.

Il fenomeno dell’incastellamento in Italia clausura era invece concessa ai coloni, che possedevano un lotto da coltivare ed una modesta dimora per nucleo familiare. Come abbiamo visto, questi elementi vanno sfumati alla luce delle recenti indagini archeologiche che hanno interessato sempre il contesto toscano. – Chris Wickham pone, invece, l’attenzione sui processi di formazione: dividendo i fenomeni di accentramento e incastellamento (ritenendoli ben distinguibili e non coincidenti) sottopone a critica in più sedi il modello proposto da Toubert. La distribuzione del fenomeno dell’incastellamento non è omogenea in tutta l’Italia: infatti, non tutti i castelli sorgono da un’attività di accentramento di una realtà insediativa di tipo sparso95; anche l’importanza del X secolo come momento di rottura dei modelli insediativi verrebbe sminuita. L’autore dibatte molto sull’aspetto economico all’origine delle fondazioni castrensi: difficile considerare questo impulso come l’unico motivo scatenante di questo processo insediativo; bisogna infatti dare la giusta rilevanza alle circostanze storiche e politiche che hanno favorito la nascita di un sito incastellato, sottolineando sempre le differenze che intercorrono tra regione e micro-regioni, non provando a generalizzare il nuovo modello insediativo, come anche affermato da Andrea Augenti nelle sue ricerche sull’incastellamento, mettendo a confronto proprio il Lazio di Toubert con la Toscana, ridimensionando il cosiddetto “modello continuista”96. Dopo decenni di dibattito, forse è ora di passare ai fatti: oltre all’auspicabile maggior condivisione dei dati ed un maggior affiatamento tra le discipline, è il momento di intraprendere nuovi scavi, nuove ricognizioni in aree campione delle diverse regioni italiane, come ha l’obiettivo di fare questo lavoro sull’area dei Monti Lucretili. Solo un nuovo impulso alla ricerca sul campo potrà aiutare a ricostruire l’assetto del paesaggio rurale dell’Italia medievale97.

95 Wickham non esclude neanche la possibilità che alcuni castelli siano nati per iniziativa spontanea dei contadini stessi. 96 Augenti 2016, pp. 145-157; Augenti 2018, pp. 23-24. 97 Finora le indagini stratigrafiche condotte in villaggi medievali si sono maggiormente concentrate, come abbiamo già avuto modo di vedere, nella zona della Toscana. Ulteriori indagini archeologiche in ambito rurale sono state avanzate in Italia centrale, nell’area del Turano dall’Ècole française de Rome (Hubert 2002), nel sito di Villamagna nel territorio di Anagni (Fentress, Goodson 2012; Fentress et al. 2016; Molinari 2017a; Carocci 2020); per l’Italia settentrionale si annovera lo scavo del villaggio di Sant’Agata Bolognese (Gelichi, Librenti, Marchesini 2014) ed in altri siti dell’Italia meridionale (Volpe, Turchiano 20005; Carver, Molinari 2016; Carver et al. 2018).

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2 Il paesaggio dei Monti Lucretili: inquadramento geografico e prime forme insediative The Monti Lucretili are a series of mountainous limestone reliefs corresponding to the southern portion of the Monti Sabini, located in the north-eastern quadrant of Latium and divided between the provinces of Rome and Rieti. Almost the entire area covered by this study is part of the homonymous Regional Natural Park whose aim is to protect, conserve and enhance an area of about ​​ 18.000 hectares, marked by a varied flora and fauna pattern showing all the elements characteristic of the Mediterranean bush (in the hilly areas up to 600 m a.s.l.) and of the mesophyll wood environments of mixed deciduous forests (in the mountainous areas up to 1.000-1.100 m a.s.l.). The area has seen continuous settlement since prehistoric times with sporadic traces of frequentation in fortified high-ground sites referred to as “castellieri”, dating to between the Late Bronze Age and Iron Age. During the Roman Age and up until the Republican period, rural population settlements in the form of dispersed village nuclei, grouped in a system known as “paganico-vicano”, were concentrated in the districts lowlands alongside the newly founded roadway network. By the Middle and Late Republican period, the settlement model took on a different form with the spread of the villa rustica, particularly in the Tiburtine area. The most significant archaeological evidence related to this period is represented by the so-called Horace villa, a Republican Age complex with different phases of occupation and abandonment. Between Late Antiquity and the first centuries of the Early Middle Ages, the rural landscape around Rome shows the first signs of a change in settlement that will last until the 6th and 7th centuries. With the establishment of Christianity, the Church initiated an administrative policy of suburban land management through its own episcopal offices; the reorganization of the countryside with the introduction of dioceses headed by bishops saw the creation of numerous parrociae and ecclesiae baptismales in the Roman suburbs. During the 8th century, a new type of settlement began to develop throughout the region, taking on the form of well-structured farms under ecclesiastical control and defined by the Liber Pontificalis as domuscultae. As of yet, no archaeological excavation or extensive survey has been carried out in the area of the Monti Lucretili, making it impossible to verify the general population trend attested in other parts of the region. For the Early Medieval period we can only rely on written sources, the earliest preserved documents appearing to confirm, for the district of the Lucretili, those general trends acknowledged in the rest of Medieval Latium. The widespread use of words such as villae, curtes and casalia seem to indicate a form of dispersed settlements situated around rural churches, a pattern that, according to the written sources, seems to continue up until the 12th century in the territory around Rome, even after the foundation of the first castles in this area. I Monti Lucretili sono una serie di rilievi montuosi calcarei situati nel quadrante Nord-Est del Lazio, divisi tra le province di Roma e Rieti1. Quasi l’intera area oggetto di questo studio è protetta dal Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili, ente territoriale nato nel 1989 con la mission di tutelare, conservare e valorizzare un territorio di circa 18.000 ettari, coadiuvato dagli altri organi statali e locali (fig. 2.1).

L’ambiente si caratterizza per un paesaggio di flora e fauna molto variegato, mostrando tutti i caratteri peculiari della macchia mediterranea (nelle zone collinari fino ai 600 s.l.m.) e degli ambienti mesofili di bosco misto di caducifoglie nelle zone montane (fino alle quote di 1.0001.100 m s.l.m.)2.

2 Per un maggior approfondimento delle caratteristiche geografiche del Lazio si veda De Vecchis 2007. Sul Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili si rimanda al sito internet ufficiale dell’Ente: www. parcolucretili.it

Gli unici comuni della provincia di Rieti sono Scandriglia e Orvinio, ubicati nel settore settentrionale del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili.

1

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 2.1. Il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili (carta elaborata da V. Lattanzi).

I limiti dell’area qui presa in esame per lo studio dell’incastellamento corrispondono a confini geomorfologici e non amministrativi; i limiti di competenza territoriale dell’Ente Parco, infatti, non includono tutti i siti considerati all’interno del comprensorio3.

I Monti Lucretili corrispondono alla porzione meridionale dei Monti Sabini, di cui sono un sottogruppo, localizzati sulla sinistra orografica del fiume Tevere; insieme ai In caso contrario, sarebbe stata impossibile una completa analisi del distretto territoriale e del suo assetto insediativo. All’interno del territorio dei Lucretili sono stati inclusi anche i rilievi compresi tra Montelibretti, Nerola e Scandriglia per motivazioni orografiche; in alcune trattazioni tali zone sono state escluse dal territorio di quest’area senza motivazioni giustificate.

3 La scelta di non considerare come limiti quelli segnati dall’area sotto tutela del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili è stata suggerita dall’esigenza di includere nello studio tutti i siti che geograficamente e geomorfologicamente rientrano a pieno titolo nel comprensorio Lucretile.

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Il paesaggio dei Monti Lucretili Monti Tiburtini e Prenestini formano la parte più avanzata dell’Appennino calcareo verso il bassopiano tirrenico4. Il sottogruppo è delimitato a Nord dal fiume Corese con il suo fosso, a Nord-Est dalla Strada Provinciale n. 39 che collega Scandriglia ad Orvinio, ad Est dal torrente Licenza con la sua valle, a Sud dal fiume Aniene e dalla via Tiburtina Valeria, a Sud-Ovest dalla strada che da Tivoli conduce a Marcellina e ad Ovest dalla Strada Provinciale n. 636 (via Maremmana Inferiore) con i colli Cornicolani5.

possiamo rintracciare nella porzione Sud e Sud-Est del distretto con i rilievi di Monte Arcaro e Monte Morra, che presentano un’altitudine compresa tra i 1.000 e gli 800 m s.l.m., i rilievi collinari con una quota fino ai 600 m s.l.m. come Colle Piano e colline fino ai 450 m s.l.m. come Monte Catino9. Ulteriore caratteristica che distingue tale territorio è il paesaggio carsico. Il carsismo, ovvero l’attività chimica e fisica esercitata dalle precipitazioni meteoriche sulle rocce che provoca fenomeni di corrosione ed erosione, è molto diffuso nell’Italia appenninica: in contesti carbonatici è stato notato un maggior sviluppo di tale manifestazione che dà vita a particolari forme all’ambiente e al terreno, come i cosiddetti campi solcati, le valli carsiche, gli inghiottitoi e le doline10. Nella zona dei Lucretili il carsismo epigeo è rappresentato dalla presenza di doline che hanno determinato la formazione di valli, depressioni e conche carsiche. Alcuni esempi riconoscibili sono il Pratone di Monte Gennaro, che mostra un cospicuo numero di doline dette imbutiformi per la loro forma, e le conche carsiche di Fonte Campitello e Prato Favale sulle pendici settentrionali del Monte Morra11. Altra peculiarità dell’area è la presenza di stagni o laghi carsici: è il caso dei Laghetti di Percile (meglio conosciuti come “i

2.1. Lineamenti orografici e idrografici dei Monti Lucretili Il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili è anche una meta escursionistica molto rinomata nel Lazio per le sue cime arrotondate con un’elevazione che può superare i 1.000 m s.l.m., tra cui svettano Monte Pellecchia (1.368 m s.l.m.)6, Monte Gennaro (1.261 m s.l.m.), Monte della Guardia (1.185 m s.l.m.) e Cima Coppi (1.211 m s.l.m.)7. Il Monte Pellecchia domina, con la sua estesa cresta, quella che viene chiamata valle del Licenza, collocata lungo il limite Est del Parco (fig. 2.2)8. La linea orografica dei Monti Lucretili è segnata anche da cime di minor altitudine e digradanti di quota che

Fig. 2.2. Il Monte Pellecchia (foto V. Lattanzi). De Angelis 1983, p. 23. Ibidem, p. 37; Cosentino, Parotto 1986, p. 73, nota 1; Parotto, Miccadei 1993. 6 Monte Pellecchia è la cresta più alta di tutto il comprensorio della catena Sabina. 7 Tigan 2008, p. 181. 8 De Angelis 1983, p. 24; Montone, Nicosia, De Angelis 1995, p. 159. 4 5

Montone, Nicosia, De Angelis 1995, p. 159; Molinaro, Villani 2007, pp. 107-108. 10 De Vecchis 2007, p. 34. 11 Molinaro, Villani 2007, pp. 107-108. 9

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 2.3. Laghetti di Percile - il lago Fraturno (foto V. Lattanzi).

Lagustelli”). I due laghetti, collocati a ridosso del confine Sud-orientale del Parco e meta turistica per la loro bellezza naturalistica, denominati Fraturno (il più esteso dei due12) e Marraone13, riempiono la depressione delle due doline collocate sul fondo del loro bacino. Il fondo delle conche, formatesi per il collasso delle doline stesse, è costituto da materiali a componente argillosa (chiamate terre rosse) che hanno impermeabilizzato il fondo non consentendo il drenaggio dell’acqua; tali circostanze hanno reso possibile la formazione dei due bacini lacustri senza immissari subaerei (fig. 2.3)14.

Fonte primaria di sussistenza e importante risorsa per i commerci fluviali è il torrente Licenza, corso d’acqua che nasce alle pendici di Orvinio e che, scorrendo verso Sud, nei pressi di Vicovaro confluisce nell’Aniene di cui è un affluente; anche il fosso Corese, ubicato nel quadrante Nord-occidentale dei Lucretili, nel corso del medioevo doveva rappresentare un punto cruciale per i commerci fluviali, specialmente per la Sabina reatina17. Il fiume Licenza, chiamato dal poeta Orazio Digentia18, è stato da sempre una fondamentale risorsa idrica per le popolazioni stanziatesi in questo territorio a partire dai tempi più remoti. Nell’area soggetta a fenomeni carsici, il bacino idrico del Licenza era originariamente alimentato dalle ricche sorgenti naturali situate in prossimità nel corso del fiume e che, scavando il terreno geologico, hanno creato delle cavità sotterranee19.

In quest’area sono, invece, rari i casi di carsismo ipogeo per fattori geologici: la conformazione del terreno calcareo, infatti, non favorisce lo sviluppo di cavità sotterranee che risultano essere occasionali in tutto il territorio15. Passando all’aspetto idrografico16, la zona si caratterizza per la ricchezza di fonti e sorgenti naturali, maggiormente concentrate nella porzione orientale del comprensorio, che hanno reso l’ambiente ospitale per l’uomo nel corso dei secoli.

L’utilizzo del torrente per scopi agricoli ha avuto un ruolo centrale nella definizione dell’assetto insediativo della zona: infatti i terreni a ridosso del fiume erano e sono ancora oggi quelli più fertili del comprensorio, adatti alle

12 Il lago Fraturno presenta un diametro di 118 m circa ed una profondità di 16 m circa. 13 Il diametro del lago Marraone è di 40 m circa. 14 L’unico immissario è una sorgente perenne localizzata sul versante orientale: Montone, Nicosia, De Angelis 1995, p. 196. 15 Per un elenco delle cavità carsiche ipogee dei Monti Lucretili si veda Molinaro, Villani 2007, p. 110. 16 Per un approfondimento sull’assetto idrografico si consiglia la lettura di Capelli et al. 1987.

Leggio 2004, p. 299. HOR, Ep. I,18, v. 104. 19 Il fiume originariamente doveva avere una portata maggiore e un corso leggermente diverso da quello odierno, modificato per fenomeni carsici e climatici. Sono ricorrenti nelle cartografie moderne toponimi che richiamano la presenza nel passato di mulini o di piccoli approdi sul Licenza. 17 18

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Il paesaggio dei Monti Lucretili attività economiche di agricoltura, anche specializzata, e pastorizia20.

– Unità 3: la linea del torrente Licenza, il Monte degli Elci e il Monte Tancia – Unità 4: la linea Olevano-Antrodoco26.

Il paesaggio appena descritto è il risultato di una sequenza di processi geologici iniziati circa 220 milioni di anni fa nel periodo Triassico; tali circostanze hanno modellato l’ambiente, rendendolo ben definito nei suoi confini, ma allo stesso tempo diversificato al suo interno21.

Tali movimenti tettonici hanno provocato l’odierno assetto strutturale dei Monti Lucretili. 2.3. L’uomo e l’ambiente: i luoghi delle attività economiche

L’unità geomorfologica dei Monti Lucretili è anche distinta da una vasta gamma di masse calcaree, come vedremo a breve nel dettaglio.

La morfologia del territorio e le fonti idriche hanno da sempre determinato la presenza dell’uomo in un ambiente. Anche il distretto dei Monti Lucretili può contare diversificate forme insediative che, a partire dall’epoca preistorica fino a tempi più recenti, si sono modellate e radicate nel territorio seguendo le contingenze del tempo.

2.2. Geomorfologia dei Monti Lucretili I Lucretili presentano un assetto strutturale conformato dalla presenza di unità tettoniche che ne hanno determinato l’odierno aspetto di catena appenninica. La geomorfologia dei terreni in questa zona della Sabina romana è caratterizzata da un suolo calcareo-silico-marnoso con una grande quantità di materiale detritico grossolano, determinato dallo smantellamento di aree interessate da successioni in facies di soglia e di piattaforma carbonatica22. Questi rilievi carbonatici, che in principio erano connessi ad un contesto marino23, appartengono ad una successione stratigrafica che va dal Triassico Superiore, con una piattaforma composta da dolomie e calcari dolomitici, al Calcare Massiccio del Giurassico. Dopo diverse modificazioni e dislocazioni strutturali dell’ambiente, si susseguono geologicamente la Corniola (calcare fine con noduli di selce), il Rosso Ammonitico (calcare argilloso), i Calcari granulari e diasprigni, la Maiolica (calcare con selce di mare profondo), le Marne, la Scaglia (calcare marnoso con selce), le Marne e brecciole ed in ultimo la formazione del Guadagnolo risalente al Miocene Inferiore. Ultimissimi strati geologici rintracciabili dalla litostratigrafia dei Lucretili sono i Calcareniti a briozoi e litotamini (fig. 2.4)24.

Quali caratteristiche hanno favorito lo stanziamento dell’uomo? Come e quali luoghi venivano sfruttati per le attività economiche e di sussistenza? Nel settore occidentale dei Lucretili, il versante Ovest del Calcare Massiccio, per la presenta di rilievi montuosi molto elevati come Monte Gennaro e Monte Morra, è sicuramente la zona più inospitale del comprensorio; qui le pareti rocciose risultano essere molto scoscese e la forte concentrazione di fenomeni carsici determina la quasi totale assenza di fonti idriche che vengono drenate e, quindi, assorbite dal terreno, impedendo la formazione di sorgenti stabili. Nel versante Est la conca valliva di Campitello, grazie all’esistenza di una ricca sorgente e di numerosi fontanili, era ed è ancora oggi l’ambiente ideale per l’allevamento del bestiame e per tutte le attività legate alla transumanza. Il terreno di questo versante, dalle componenti argillose, si presenta più idoneo rispetto a quello prospiciente allo svolgimento anche delle attività agricole per la presenza di numerose fonti naturali27. Una buona concentrazione di falde acquifere è invece rilevabile nella porzione Nord-occidentale del Parco, dove la Valle di Casoli, le sorgenti sotterranee di Capo d’Acqua (che si manifestano in superficie) e quelle del gruppo Le Capore-Sant’Angelo (a Sud di Scandriglia, nella zona della Sabina reatina) mostrano un paesaggio caratterizzato da un ambiente umido e ben irrorato28, sicuramente un territorio adatto alle attività di agricoltura e pastorizia.

I Lucretili sono il risultato di un cumulo di quattro placche sovrapposte e delimitate da un’interfaccia di scorrimento che affiora per ogni falda come linea tettonica, ben documentate da studi scientifici di settore. Le quattro placche sono state numerate a partire da quella superiore con numeri progressivi dall’1 al 4 e possono essere così distinte25:

L’area dove si segnala una costante e radicata antropizzazione è la valle del Licenza che, come già detto in precedenza, è risultata essere nei secoli l’habitat favorito durante i processi di formazione degli insediamenti privilegiando la zona lungo il torrente, dalle ville repubblicane ai castelli medievali.

– Unità 1: la linea del Monte Morra – Unità 2: la linea del Monte Sterpaio-Castelvecchio Il fiume Licenza aveva anche una funzione legata al trasporto in quanto navigabile almeno stagionalmente. 21 Montone, Nicosia, De Angelis 1995, p. 160. 22 Cosentino, Parotto 1986; Parotto, Miccadei 1993, p. 179. Per approfondimenti sulla paleogeografia e litostratigrafia dei Monti Lucretili si veda Montone, Nicosia, De Angelis 1995, pp. 160-186; Cosentino, Cipollari, Pasquali 2009. 23 Per un approfondimento sulla linea di costa pliocenica del versante occidentale dei Monti Lucretili si veda Mancini, Mancini 2009. 24 Molinaro, Villani 2007, p. 106. 25 Cosentino, Parotto 1986; Parotto, Miccadei 1993, p. 179; Molinaro, Villani 2007, pp. 106-107; Bollati et al. 2011. 20

Tutte le linee di faglia sono da considerare alla base dei rilievi montuosi. Montone, Nicosia, De Angelis 1995, pp. 196-198. 28 Gran parte di queste emergenze sono captate con opere di presa per essere utilizzate a valle. 26 27

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 2.4. Carta Geologica dei Monti Lucretili. Si estrae dalla legenda: arancio/marrone = Marne, marne argillose, marne calcaree; blu = Calcare Massiccio; celeste = Calcari marnosi nodulari rossastri; giallo acido = Calcari, calcari marnosi biancastri e rosati; giallo ocra = Ignimbrite leucititica nera o rossa (neck a pozzolana); marrone = Marne, marne argillose; verde = Maiolica; viola = Dolomie (fonte: Carta Geologica d’Italia, Palombara Sabina - foglio 144, IGM scala 1: 100.000).

2.4. Le prime forme di antropizzazione nei Monti Lucretili

esame della distribuzione topografica dei siti prescelti per stanziare i nuovi centri demici ci aiuteranno a comprendere come le differenti contingenze storiche e sociali abbiano condizionato, nel corso dei secoli, la fisionomia dell’ambiente, dando origine all’odierno assetto paesaggistico e culturale del territorio.

L’area dei Monti Lucretili, come abbiamo già detto, è stata costantemente popolata fin dall’epoca preistorica. Per comprendere i cambiamenti nelle forme di abitare che hanno modellato il paesaggio rurale di questa zona bisogna partire da lontano. Una sintetica disamina diacronica delle metamorfosi insediative e un attento

Prima di passare all’analisi dei modelli insediativi, è necessario fare una breve premessa: fino agli anni Settanta 22

Il paesaggio dei Monti Lucretili del Novecento l’area oggetto di questo lavoro è stata interessata solo da sporadiche ricognizioni di superficie; fino ad allora, infatti, la maggior parte dei siti erano stati individuati a seguito di rinvenimenti fortuiti e occasionali, scoperte quindi legate alle iniziative di storici locali o di semplici appassionati di archeologia che, osservando il terreno, hanno saputo riconoscere le tracce materiali del passaggio dell’uomo. A partire da questo momento e per tutti gli anni Ottanta, le ricerche archeologiche nel comprensorio Lucretile sono segnate da un maggior incremento nell’interesse scientifico, legato specialmente agli studi dell’allora Soprintendenza Archeologica per il Lazio29 e di ricercatori indipendenti, che concentrarono le proprie ricerche in questo territorio per comprendere la sua evoluzione insediativa. Al di là di alcuni studi territoriali di notevole spessore30, ad oggi per i Monti Lucretili mancano ancora dati macroscopici; tale assenza è ancora una volta legata alla carenza di studi diacronici condotti direttamente sul campo, come ad esempio le ricognizioni estensive di superficie che avrebbero permesso di conoscere con maggior precisione la geografia del popolamento pre e protostorico di un territorio antropizzato già da molti millenni31.

nel Lazio l’inizio della frequentazione di ambienti rupestri, di cui un illustre esempio rilevato nell’area adiacente ai Lucretili, nel territorio di Tivoli, è rappresentato dalla Grotta Polesini35. Per il Neolitico36 l’unico sito che ha restituito ad oggi tracce di ceramica di questo periodo è Roccagiovine nella valle del Licenza (zona Campo Sportivo) dove, oltre alle fasi neolitiche, sono emerse posteriori testimonianze di frequentazione37. In questa epoca vengono utilizzate, con maggior frequenza e con diversificati scopi, le cavità naturali38: un caso databile tra il Neolitico e l’Eneolitico è la Grotta Pila (nei pressi di Poggio Moiano), i cui studi hanno evidenziato l’antropizzazione del sito come contesto funerario, dimostrato dai molteplici resti rinvenuti di sepolture39. Durante l’Eneolitico e l’età del Bronzo40 si assiste ad un forte cambiamento tecnologico con l’introduzione di materiali metallici e la diffusione di nuovi strumenti atti a praticare con migliori risultati la pastorizia, una delle maggiori attività di sussistenza del tempo. Questa rivoluzione tecnologica ha portato ad un mutamento anche nelle forme insediative, guidando l’uomo alla ricerca di siti sì ben difesi, ma allo stesso tempo collocati in zone collinari o di altura, ubicati in prossimità delle sorgenti d’acqua; tali luoghi erano anche preposti all’attività della transumanza. Questa situazione d’insieme si riflette anche nel contesto dei Lucretili, dove sono attestati insediamenti inquadrabili nel suddetto arco cronologico: è il caso di Roccagiovine41, sito senza soluzione di continuità tra l’epoca Neolitica e il Bronzo Antico, e delle aree destinate a scopi funerari, come segnalato dalla presenza di corredi, rilevate nei pressi di Marcellina Vecchia e Cantalupo-Mandela42. Unico caso ad oggi conosciuto di sito frequentato solo nel Bronzo Antico è Percile, sempre nell’area della valle del Licenza43.

2.4.1. Dai preistorici insediamenti montani all’età del Bronzo Le prime attestazioni preistoriche nei Lucretili sono concentrate nel territorio compreso tra Monte Pellecchia, Monte Gennaro e Monte Morra, le cime più alte del comprensorio; in quest’area sono state rinvenute tracce dell’industria litica musteriana riferibili al Paleolitico Medio32, prodotta dal cosiddetto Uomo di Neanderthal. La scelta di popolare l’ambiente montano potrebbe essere legata proprio alla geomorfologia dei siti e alla loro posizione dominante, ubicati tra le valli piane e le vie di comunicazione tra la costa tirrenica e il sub-appennino laziale, e alla possibilità di poter praticare la caccia montana, attività di sussistenza imprescindibile per l’uomo preistorico33. Da segnalare, per il Paleolitico Superiore34

Dalla media età del Bronzo la situazione insediativa nei Lucretili sembra riflettere un cambiamento nella società, che progressivamente diventa più stanziale nel territorio (si tratta nella maggior parte dei casi di siti con continuità insediativa dal Bronzo Medio al Primo Ferro). Cambia, infatti, anche la scelta dell’habitat, che non propone più una tendenza unitaria nelle sue forme di occupazione; è possibile evidenziare, però, una propensione: vengono favoriti i territori situati su piane alluvionali, zone scelte

29 Angle, Guidi 1995, p. 513. Dal 2015 la Soprintendenza Archeologica per il Lazio, poi Soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio, è stata unificata con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, diventando Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale. 30 Tra gli studiosi che hanno sviluppato temi legati al territorio dei Lucretili si menzionano Piero Ceruleo per l’epoca preistorica e, sempre per questo periodo, Italo Biddittu, che ha concentrato i suoi lavori sulla litica; per l’epoca protostorica Micaela Angle e Alessandro Guidi hanno studiato gli insediamenti di altura nell’area dei Lucretili in qualità di funzionari di zona dell’allora Soprintendenza Archeologica per il Lazio. 31 Un esempio positivo di studio territoriale in un’area limitrofa ai Lucretili è rappresentato dall’esperienza del Cicolano, dove numerose campagne di ricognizione, unite ad analisi territoriali, hanno favorito la conoscenza diacronica dei cambiamenti nelle forme di abitare, facendo emergere le diversificate forme insediative. Farinetti 2007; Farinetti 2010; Farinetti 2013; Farinetti 2015. 32 Il Paleolitico Medio corrisponde ad un periodo compreso tra 120.000 e 35.000 a.C. 33 Biddittu, De Angelis 1995, pp. 476-477. Per un maggior approfondimento sulla frequentazione preistorica dei siti dei Monti Lucretili e sull’industria litica si veda l’intero contributo citato in questa nota. 34 Il Paleolitico Superiore corrisponde ad un periodo compreso tra 35.000 e 10.000 a.C.

Biddittu, De Angelis 1995, pp. 475-476. Per Neolitico in Italia si intende il periodo compreso tra metà VII e metà IV millennio a.C. 37 Ceruleo 1982, p. 43; Angle et al. 1983, p. 229. 38 Angle, Guidi 1995, p. 516. 39 Angle et al. 1983, p. 230; Ceruleo 1999, pp. 14-15. 40 L’età del Rame, meglio nota come Eneolitico, è la fase compresa tra il 3.500 e il 2.300 a.C.; l’età del Bronzo è invece suddivisa nei seguenti periodi: Bronzo Antico (BA) 2.300-1.700 a.C.; Bronzo Medio 1.2 (BM 1-2) 1.700-1.500 a.C.; Bronzo Medio 3 (BM3) 1.500-1.350 a.C.; Bronzo Recente (BR) 1.350-1.200; Bronzo Finale (BF) 1.200-1.000 a.C. 41 Il sito di Roccagiovine nella valle del Licenza è stato scoperto nei pressi del Campo Sportivo ed è, con ogni probabilità, un sito databile tra l’Eneolitico e il Bronzo Antico. 42 Ceruleo 1982, p. 46; Mari 1983, pp. 25-27. 43 Angle et al. 1983, p. 231; Angle, Guidi 1995, p. 516. 35 36

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L’incastellamento nei Monti Lucretili La fisionomia strutturale del castelliere era ben definita: come già detto, l’indicatore basilare dell’abitato erano le mura, costruite sfruttando il banco roccioso affiorante in fondazione; per la realizzazione dell’elevato, posto in opera a secco, il materiale veniva estratto direttamente nella zona circostante il sito per evitare trasporti troppo lunghi e disagevoli (nel caso dei Lucretili si tratta sempre di componenti lapidee in roccia calcarea); il lavoro veniva poi perfezionato con un’opera in legno tramite palizzate che andavano a completare la cinta difensiva. All’interno del recinto dovevano stabilirsi sia le abitazioni della popolazione che i ricoveri per gli animali, costituiti da capanne in legno o in pietra; molteplici dovevano essere i terrazzamenti collocati sulla cima degli insediamenti, finalizzati ad appianare il terreno ripido, permettendo così una regolarizzazione della sommità del rilievo montuoso attraverso la realizzazione di terrazze. Non tutti i castellieri presentavano, però, una struttura omogenea, poiché quest’ultima veniva definita, il più delle volte, dalla naturale morfologia del terreno; la maggior parte dei siti mostra una forma ellittica o circolare, che rispecchia la conformazione geologica più comune per i rilievi con elevata altitudine, ma non mancano anche casi di forme quadrate e trapezoidali51.

per le qualità geologiche del terreno maggiormente adatte alle attività di agricoltura e pastorizia che in questo periodo manifestano un intensivo sviluppo, determinando mutamenti economici e sociali44. I siti dei Lucretili attestati in questa fase sono Marcellina, Monteflavio e Fosso del Cannetaccio, aree in cui le evidenze ceramiche hanno consentito di confermare la presenza di insediamenti stabili in zone di altura45; ad ogni modo i siti di occupazione sporadica continuano ad essere più frequenti rispetto a quelli stanziali. 2.4.2. I “castellieri” protostorici: un modello per i castelli medievali L’età del Bronzo Finale in Italia è rappresentata dalla cosiddetta cultura protovillanoviana46 che segna notevoli trasformazioni nella collettività, sia a livello economico che sociale: nel panorama insediativo di questo periodo si riscontra, infatti, il passaggio da sporadici siti di altura a villaggi di maggiori dimensioni e con un cospicuo numero di abitanti47. Le attività economiche si intensificano, così come le tecniche della caccia, potenziate grazie al progresso delle tecniche metallurgiche; nello stesso periodo iniziano anche a manifestarsi i primi traffici commerciali, testimonianza concreta dei rapporti sempre più vivi tra le comunità limitrofe.

Altro aspetto da non trascurare per questi insediamenti è la comunicazione. Tutti i castellieri dovevano avere una relazione visiva reciproca con l’obiettivo di formare uno scudo difensivo pronto a proteggere l’intera popolazione da qualsiasi ingerenza esterna. Alla base delle motivazioni strategiche e di controllo del territorio vi era la volontà di difendere i propri pascoli e di sorvegliare le principali vie di comunicazione dell’epoca.

Durante il periodo del Bronzo Finale e del Primo Ferro48 le zone predilette per la creazione di centri antropizzati sono le aree montane, che meglio si prestavano al tipo di attività svolte dalla società del tempo. Un fenomeno che può essere ricollegato a questo momento è quello dei cosiddetti “castellieri”, ovvero degli insediamenti fortificati di altura con funzioni strategiche. L’introduzione di tale modello non si presenta uniformemente nel tessuto rurale: le primitive forme sorgono durante il Bronzo Finale, ma la durata del fenomeno arriva fino agli albori dell’epoca romana, evolvendosi però in tipologie differenti49. La natura di questa nuova realtà insediativa è da ricondurre a motivazioni strategiche e di controllo del territorio, che pian piano si stava definendo, rivelando una trama sempre più ricca di abitati sparsi nella regione laziale. Tale categoria di insediamento ha almeno due elementi peculiari, senza la presenza dei quali verrebbe meno la definizione di un sito come castelliere: il recinto murario e la posizione strategica. La scelta dell’habitat ha origine da una forte componente geomorfologica: infatti, le aree favorite per i nuovi stanziamenti erano solitamente cime di difficile accesso, contraddistinte da un pendio molto scosceso; per tali caratteristiche venivano preferiti i siti protetti naturalmente, non facilmente valicabili e situati in posizione dominante, i luoghi ideali per controllare qualsiasi movimento nelle zone limitrofe50.

I siti prescelti sono, come già detto, di altura; in questi luoghi l’attività economica predominante doveva essere legata principalmente alla pastorizia: è il caso degli insediamenti intorno a Monte Gennaro, fondati in un

Angle, Guidi 1995, p. 516. Ibidem, p. 518. 46 Per un maggior approfondimento sulla cultura protovillanoviana si rimanda a Pacciarelli 2001, pp. 36-46. 47 Angle et al. 1983, pp. 232-234. 48 L’epoca del Primo Ferro è inquadrabile tra il 1000/960-850 a.C. 49 Ceruleo 1980, pp. 3-27; Ceruleo 1982, pp. 7-49. 50 Ceruleo 1980, pp. 3-4; Angle, Gianni, Guidi 1982, pp. 80-83.

Ceruleo 1980, p. 4. I siti di Monte Sant’Angelo in Arcese e Monte Croce sono collocati a ridosso del limite meridionale dei Lucretili, ma inseriti da Angle, Gianni e Guidi nella loro trattazione sugli insediamenti montani. 53 Per un maggiore approfondimento sui castellieri della media valle dell’Aniene si rimanda a Ceruleo 1980, pp. 11-26 e Angle, Gianni, Guidi 1982.

Nel caso dei castellieri dei Lucretili, le notizie ad oggi raccolte sono molto limitate per la totale assenza di scavi archeologici nelle aree interessate da questo fenomeno; la stratificazione degli insediamenti sullo stesso sito nelle epoche successive non facilita la comprensione e l’individuazione delle fasi protostoriche, il più delle volte distrutte o sepolte da opere architettoniche più recenti come ad esempio gli oppida romani o gli stessi castelli di epoca medievale. Nei Lucretili ad oggi sono stati riconosciuti come castellieri i seguenti siti: Monte Calvo, Monte S. Martino, Monte Morra, Monte Arcaro, Monte Sant’Angelo in Arcese, Monte Croce,52 S. Polo dei Cavalieri, Monte Castellano, Colle Stalle del Pratone, Licenza e Civitella di Licenza53.

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Il paesaggio dei Monti Lucretili territorio ottimale per l’attività della transumanza con l’area pianeggiante e ricca di fonti d’acqua del Pratone di Monte Gennaro54.

ragioni sociali, politiche ed economiche. Testimonianza della metamorfosi insediativa è lo spostamento della popolazione dai siti di altura a siti di pianura, collocati lungo la nuova rete stradale romana che si stava delineando, sia principale che secondaria. La zona meridionale del massiccio Lucretile è segnata dal passaggio di una via consolare, la Tiburtina Valeria58: realizzata (forse) in epoca medio-repubblicana ad opera del censore M. Valerio Massimo ricalcando antichi assi viari adibiti alla transumanza, la via Valeria non era altro che la prosecuzione della via Tiburtina oltre Tivoli verso il territorio ad Est della stessa città. Dalla via Tiburtina sono poi sorte delle diramazioni che consentivano il collegamento tra l’area tiburtina e le limitrofe zone della Campagna Romana. Tra le strade secondarie della zona ricordiamo la Cornicolana, che collegava l’attuale area di Settecamini con Corniculum, l’Empolitana che raggiungeva l’odierna Ciciliano (Trebula Suffenas), la Licinese che, entrando da Sud nella valle del Licenza, collegava tutto il territorio compreso tra Vicovaro ed Orvinio, e in ultimo la Sublacense che raggiungeva l’omonimo centro59. Via di percorrenza utilizzata già da tempi remoti è l’odierna via Maremmana Inferiore, che oggi ricalca un’antica rotta di transumanza che doveva congiungere fin dall’epoca protostorica la zona dei Lucretili con la Sabina più interna, passando lungo le pendici del Monte Gennaro60.

Il sito di Monte Morra (1036 m s.l.m.) è forse uno dei centri meglio noti nella zona per la sua particolare struttura fortificata: una triplice recinzione, realizzata con muri a secco costruiti con la pietra calcarea locale estratta direttamente in situ, cingeva originariamente la parte sommitale del monte, creando un sistema fortificato all’avanguardia per l’epoca. Le evidenze archeologiche individuate nel sito hanno consentito di determinare l’aspetto strutturale dell’insediamento protostorico: tra i tre circuiti murari la costruzione di terrazzamenti, creati addossando grandi blocchi alla roccia calcarea, ha permesso di regolarizzare il terreno scosceso portando alla realizzazione di grandi spianate; tra la cinta muraria più esterna e quella mediana è stata, invece, ipotizzata la presenza di ambienti a carattere residenziale55. I numerosi materiali trovati nel sito sono riferibili alle fasi finali del Bronzo. Dall’età del Ferro avanzata56 fino al VI secolo a.C. i siti identificati come castellieri non sembrano mostrare una continuità insediativa; infatti, nessuna traccia materiale consente di affermare una persistenza nelle forme di abitare nell’epoca dell’ultimo Ferro. In Italia nuove forme di popolamento iniziano ad affermarsi tra la fine del IX e l’VIII secolo a.C., con lo sviluppo del fenomeno ben noto del sinecismo. Tale movimento centripeto ha portato all’unione di più villaggi isolati con l’intento di riunire le genti all’interno di un unico grande centro demico, collocato solitamente su una collina non troppo erta, difesa da un aggere e da un muraglione a secco: è l’inizio dei centri protourbani57.

2.5.1. I vici, i pagi e le ville nei Lucretili Fino all’epoca della tarda repubblica il paesaggio rurale nel distretto dei Monti Lucretili si doveva sviluppare in piccoli centri, sparsi nelle aree agricole a bassa altitudine e insediati lungo gli assi viari principali, andando a costituire un’organizzazione definita in letteratura come “paganicovicana”.

La realtà dei castellieri porta ad un’inevitabile considerazione: la scelta dei siti di altura, naturalmente difesi per le caratteristiche geomorfologiche dell’ambiente, la funzione strategica e la comunicazione tra gli insediamenti sono tutte peculiarità che potrebbero essere confrontate con i ben più tardi castelli medievali. Tali realtà antropizzate di epoca protostorica rappresentano, ad oggi, il confronto più stringente con i castra di epoca medievale, sia per caratteristiche che per funzioni: possiamo forse paragonare il castelliere di epoca protostorica ad un primitivo “archetipo insediativo” per la società a cavallo tra alto e basso medioevo che inconsapevolmente decise di “riproporre” tale modello nella fondazione dei nuovi centri fortificati.

L’esistenza di tale sistema insediativo in questo territorio trova riscontri sia nelle opere del poeta Orazio61 dove vengono citati il Pagus Mandela62 e la valle Ustica (forse Licenza)63, che nell’odierno toponimo della cittadina di Vicovaro, che conserva ancora oggi nella sua radice la traccia dell’antica origine come villaggio (vicus Variae), divenuto poi in seguito municipio con funzione di roccaforte sulla via Valeria64. I vici e i pagi non erano altro che dei centri abitati a vocazione agricola, unità territoriali che descrivevano l’assetto Ashby 1922; Ashby 1927, pp. 93-122. Mari 1983, pp. 18-25; Olivanti 1997, pp. 7-9; Patterson 1999; Calci, Mari 2003; Mari 2008. 60 Mari, Sperandio 1995, p. 558. 61 Si deve allo stesso Orazio l’esistenza del toponimo “Lucretile”, citato per la prima volta nelle Odi (I,17): Velox amoenum saepe Lucretilem mutat Lycaeo Faunus et igneam defendit aestatem capellis usque meis pluuiosque uentos (…). 62 HOR., Ep. I, 18, vv. 104-105. 63 HOR., C. I, 17, vv. 11-12. 64 Per un approfondimento sui vici e pagi si consiglia la lettura di Mari 1994, pp. 20-31; per la storia di Vicovaro si veda De Francesco 2014, pp. 109-114. 58 59

2.5. Il popolamento dei Monti Lucretili in epoca romana Il passaggio dalla fase protostorica a quella romana ha portato notevoli cambiamenti nel popolamento, legati a Angle, Guidi 1995, p. 519. Ceruleo 1980, pp. 11-13; Angle 2007, p. 248. 56 La prima età del Ferro avanzata è ascrivibile ad un periodo compreso tra l’850 e il 750/730 a.C. 57 Angle et al. 1983, p. 235; Angle, Guidi 1995, p. 520. 54 55

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L’incastellamento nei Monti Lucretili insediativo delle campagne laziali fino all’introduzione del sistema-villa65. I vici, o piccoli villaggi, erano dei circoscritti centri abitati la cui unione formava un’unica unità territoriale e amministrativa definita come pagus66. L’organizzazione paganico-vicana prevedeva anche la presenza di un centro cultuale, da riconoscere nei santuari campestri dove la società contadina poteva riunirsi per fini religiosi. Per l’area dei Lucretili i santuari attestati dalle fonti sono il fanum dedicato alla dea Vacuna, ad oggi non ancora localizzato, il fanum Iuppiter Cacunus ed il fanum Fortunae, da collocare rispettivamente nei territori di Orvinio e Ciciliano67.

Licenza con l’Aniene71. Nelle regioni limitrofe, invece, il sistema-villa sembra avere una maggiore diffusione a partire dal IV-III secolo a.C. con l’istituzione di grandi residenze rustiche, anche nel vicino territorio del Tiburtino72.

Con la media e tarda età repubblicana il popolamento nella campagna intorno a Roma sembra di fatto modificarsi con la diffusione della villa rustica, che si sviluppa in forme e tempi differenti in tutta l’area laziale.

Nelle zone dove la nuova forma insediativa si diffonde maggiormente, ovvero l’area tiburtina e la Sabina romana nei pressi di Palombara Sabina, tra il II e il I secolo a.C. si manifesta una nuova tipologia di villa che avrà molto successo fino alla piena età imperiale: la villa schiavistica75. A partire da questo momento, grandi e sfarzosi complessi edilizi adornano il paesaggio della Campagna Romana. Tali strutture venivano edificate su grandi sostruzioni che andavano a costituire una platea livellata di fondazione; in questo contesto la produzione agricola e le attività artigianali si servivano della manodopera dei numerosi schiavi dediti allo sfruttamento intensivo dei campi e alla pastorizia. All’epoca tra le coltivazioni più diffuse vi erano i cereali, i legumi, l’olivo e la vite, colture ancora oggi radicate nel territorio sabino76.

Le ville rustiche erano ripartite all’interno in spazi residenziali e in spazi di servizio (pars urbana e pars rustica); in questo territorio le uniche evidenze archeologiche che ci aiutano ad individuarle nel paesaggio rurale sono grandi cisterne e ampie platee in muratura, quest’ultime costruite per la realizzazione di zone terrazzate73 là dove il terreno si presentava in declivio74.

Le evidenze archeologiche, sempre legate ad attività occasionali (non supportate da dati stratigrafici ma coadiuvate da ricerche territoriali), hanno mostrato una diversificata diffusione delle ville di epoca repubblicana nell’area dei Lucretili. La parte più interna e montuosa del comprensorio si contraddistingue in questo periodo per la limitata diffusione delle ville; tale dato è verosimilmente da collegare alla forte componente montuosa che caratterizza il settore centrale di questo territorio, da associare poi anche alla notevole distanza dai grandi centri abitati68. La zona meridionale, ovvero quella che si sviluppa intorno agli odierni centri di Palombara Sabina, S. Polo dei Cavalieri, Marcellina e le aree lungo la via Tiburtina con le sue diramazioni, mostra una situazione differente: qui si assiste, invece, ad una maggior concentrazione e sviluppo del fenomeno delle ville repubblicane, come suggerito dai numerosi ritrovamenti di evidenze architettoniche69.

È da sottolineare che nelle zone montuose come quella dei Lucretili una forte componente produttiva era determinata dalla presenza nelle vicinanze del bosco, con tutte le attività ad esso connesse, dal taglio della legna alla lavorazione artigianale. Altra attività di centrale importanza per le aree montane era quella del commercio della neve, elemento imprescindibile per la conservazione degli alimenti; tale risorsa veniva esportata a Roma77 attraverso le sue vie di percorrenza (definite appunto “vie della neve”) e raccolta dalle cime più alte del comprensorio come Monte Gennaro e Monte Pellecchia. Quest’area, così prossima a Roma, doveva essere, insieme ad altri distretti del Lazio, uno dei maggiori bacini di approvvigionamento della neve per le città78.

Una realtà ancora diversa è stata riscontrata nel settore settentrionale dei Lucretili dove, almeno fino all’età augustea, sembra sopravvivere un’organizzazione di tipo paganico-vicana70. Alla luce di quanto detto è possibile affermare che la zona interna del massiccio Lucretile sembra manifestare un popolamento di tipo sparso, da riconoscere in piccole proprietà contadine sviluppatesi molto tardi (tra il II e il I secolo a.C.) e concentrate maggiormente nella parte meridionale del comprensorio in corrispondenza della via Tiburtina Valeria e nei pressi della confluenza tra il torrente

Con l’avanzare degli anni, a partire dal I secolo a.C., nell’area tiburtina la villa schiavistica diventa una realtà sempre più Mari 2005, p. 82. Ibidem, p. 32; Mari, Sperandio 1995, p. 557. 73 Per alcuni esempi di colline terrazzate si veda Mari, Sperandio 1995, pp. 537-556. 74 Per alcuni approfondimenti sulle tecniche edilizie utilizzate per le sostruzioni si veda Mari, Sperandio 1995, pp. 558-560; Mari 2005, pp. 82-85. 75 Mari 2005, pp. 75-95. L’autore in questo testo propone una sintesi delle tipologie di ville, distinguendole in due modelli: la villa rustica di tipo “catoniano” (II secolo a.C.) e la villa rustico-residenziale di tipo “varroniano” (I secolo a.C.). 76 Veloccia Rinaldi 1994; Mari, Sperandio 1995, pp. 557-558. 77 Mari 2005, p. 89. 78 Scotoni 1972; Scotoni 1995. Per un approfondimento sul commercio della neve si rimanda al capitolo 7, paragrafo 7.6. 71 72

Mari 1994, p. 18; Mari 2005, p. 81. Ibidem. 67 Molti autori identificano il luogo del santuario della dea Vacuna con l’odierna Roccagiovine o nel territorio circostante; quello di Iuppiter Cacunus, invece, nei pressi di Orvinio, più precisamente nel sito identificato dal toponimo Cima Coppi, luogo dove poi nel medioevo venne fondato il castello di Petra Demone. Mari 1994, p. 29; Mari, Sperandio 1995, p. 558. 68 Rispetto alle altre zone della Campagna Romana il distretto dei Lucretili non sembra avere avuto una forte densità di popolazione rurale. 69 Mari 1994, p. 31. 70 Mari, Sperandio 1995, p. 558; Mari 2005, p. 81. 65 66

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Il paesaggio dei Monti Lucretili tenuta nei pressi del fiume Digentia84. Le parole del poeta descrivono una ricca proprietà immersa nella natura, abitata da cinque famiglie e da otto schiavi85, in cui diverse mansioni scandivano il tempo del lavoro: la coltivazione dei campi adibiti a frutteto, oliveto e vigna86 e la pastorizia87, considerata una delle attività principali. La produzione olearia era tra le più proficue per la particolare propensione del terreno allo sviluppo di tale coltura.

proficua e redditizia, grazie all’immissione di un maggior numero di schiavi e agli ampliamenti strutturali. Anche dal punto di vista decorativo ed architettonico il modello della villa sembra subìre alcune modifiche funzionali per il suo nuovo utilizzo, non solo come centro produttivo, ma come luogo dedicato all’otium79, dove i proprietari della classe abbiente potevano trascorrere il proprio tempo libero immergendosi nel paesaggio bucolico di campagna80. Nonostante tale tendenza generale, nell’area dei Lucretili la tipologia della villa schiavistica non sembra radicarsi, continuando a presentare un popolamento fondato sulla piccola residenza rustica81.

La più recente monografia sulla cosiddetta villa di Orazio88 ha dimostrato attraverso dati stratigrafici che la villa romana nella valle del Licenza ha avuto uno sviluppo cronologico tra la tarda repubblica e il medioevo; allo stesso tempo, qui si dimostra per la prima volta che tale sito non può essere identificato con la residenza di campagna di Orazio poiché le datazioni suggerite attraverso lo studio delle stratigrafie e dei materiali non coinciderebbero con il periodo in cui il poeta fu in vita.

Con il passaggio dall’epoca repubblicana a quella imperiale la zona sembra mostrare una metamorfosi del tessuto insediativo, che da questo momento diventerà più concentrato; questa fase è da ricollegare ad un periodo di riorganizzazione del territorio: vengono restaurati, infatti, gli antichi acquedotti dell’Aqua Marcia e dell’Anio Vetus e innalzati numerosi sepolcri dorici lungo la viabilità principale che viene ora ristrutturata. Contestualmente a tali contingenze è stata rilevata anche una maggiore diffusione delle ville nel territorio, che continueranno a vivere in taluni casi fino al III-IV secolo d.C.; in questo periodo la classe abbiente, detentrice della maggior parte delle proprietà nella zona, è da riconoscere nelle gentes del territorio tiburtino. Tra le produzioni agricole, quella olearia e quella vinicola rimangono le più redditizie, almeno fino al II secolo d.C., quando la crisi delle esportazioni ed il copioso afflusso di derrate alimentari in arrivo dalle province dell’impero determinano una riduzione nelle produzioni agricole e una contrazione dei commerci locali82.

2.6. La Campagna Romana prima dell’incastellamento: dalla tarda antichità all’alto medioevo Tra la tarda antichità e i primi secoli dell’alto medioevo il paesaggio rurale intorno a Roma89, così come avviene in gran parte dell’Occidente, rivela i segni di un mutamento insediativo che durerà fino al VI-VII secolo (in taluni casi, specialmente nella parte meridionale della penisola, si spingerà fino all’VIII secolo) terminando con la crisi del sistema villa90. Ancora una volta il paesaggio rurale sarà incentrato sulla residenza rurale di tipo aristocratico, anche se in questo momento quest’ultima, ancora definita dalle fonti come villa, cambia funzione e struttura, assumendo un’accezione ben diversa dalle residenze dedicate all’otium di epoca repubblicana e imperiale. In molti casi le ville diventano sporadiche, perlopiù isolate, ma più ricche; da puntualizzare però, come sostiene Wickham, che è impossibile collocare le ville tardoantiche in un’unica generica categoria in quanto ogni ambito regionale e sub-regionale sta mostrando, grazie ai dati archeologici, molteplici differenziazioni edilizie e tipologiche: si passa dalla lussuosa villa aristocratica alla piccola azienda agricola a “gestione familiare” con pochi coloni a servizio di un dominus91.

Una delle evidenze archeologiche più note dei Lucretili è la cosiddetta villa di Orazio83, costruzione di epoca repubblicana che ha subìto nel corso dei secoli diversificate fasi di occupazione e di abbandono. La villa risulta essere un unicum all’interno del panorama insediativo di questa zona per la sua ricchezza e maestosità (fig. 2.5). La residenza si colloca nei pressi di Licenza ed è stata tradizionalmente identificata come la villa del poeta Orazio, declamata spesso in alcuni suoi versi bucolici. La struttura, ricevuta in dono da Mecenate nel 32 a.C., entra a far parte del paesaggio della valle del Licenza e del comprensorio dei Monti Lucretili come un’eccezione: nei secoli a cavallo tra tarda repubblica e primo impero il territorio era organizzato secondo un sistema di piccole ville rustiche a vocazione agricola sparse e dedite alla pastorizia.

Ad ogni modo, a partire dal periodo tardoantico si assiste ad un cambiamento nella parcellizzazione del territorio rurale che riflette la trasformazione amministrativa del

HOR., Ep. I 18, v. 104. HOR., S. II,7, v. 118; Mari 1994, p. 36. 86 HOR., Ep. I, 16, vv. 1-9. 87 HOR., C. I, 17, vv. 3-6. 88 Frischer, Crawford, De Simone 2006. 89 Per una sintesi sulle forme insediative nel suburbio romano e sull’invisibilità dell’insediamento rurale si veda Santangeli Valenzani 2003. 90 Sulle ville rurali in Occidente e sulla loro fine si consiglia la lettura di Sfameni 2006; Wickham 2009, pp. 498-514; Castrorao Barba 2014; Castrorao Barba 2020. 91 Wickham 2009, pp. 514-515. 84

Sappiamo dell’esistenza di questa residenza dallo stesso Orazio che nelle sue opere più volte menziona la sua

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Mari, Sperandio 1995, p. 561; Mari 2005, pp. 90-91. Tali ville venivano poco frequentate dai possessores che di norma controllavano la produttività tramite dei subalterni. 81 Mari 1994, p. 33. 82 Ibidem, pp. 38-41; Mari, Sperandio 1995, pp. 564-565. 83 Sulla villa di Orazio si veda: Lugli 1926; Lugli 1930; Fiore Cavaliere 1993; Centroni 1994; Frischer, De Simone 2004; Frischer, Crawford, De Simone 2006. 79 80

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 2.5. La villa di Orazio, veduta aerea (fonte: Mari 1994, p. 69, fig. 26).

sistema romano92. Nelle campagne intorno a Roma gli insediamenti subiscono una forte contrazione93, come è emerso dalle ricognizioni archeologiche avviate già dagli anni Cinquanta dalla British School at Rome con il “South Etruria Survey project”94. Le ville assumeranno un ruolo sempre più “manageriale” attraverso l’ampliamento delle proprietà rurali che iniziano ora a dilatarsi fino a formare quelle che le fonti del tempo chiamano massae.

ritraggono la tipologia prediletta nell’edilizia residenziale, sia in ambito suburbano che urbano95. La proprietà rurale muta, anche grazie alla progressiva intromissione degli enti ecclesiastici che, con il passare dei secoli, si assicurano il controllo dei territori96. Con la fine dell’Impero Romano d’Occidente e le prime incursioni barbariche l’insediamento rurale stanziato nelle campagne romane sembra rivelare alcuni cambiamenti, da non collegare a trasformazioni nella geografia insediativa della regione, bensì a mutamenti ammnistrativi, sociali ed economici che si riflettono inevitabilmente nelle abitudini della popolazione dei centri agricoli ancora attivi.

In alcuni casi le ville romane vengono abbandonate del tutto, in altri riutilizzate, talvolta con l’inserimento di chiese, e riorganizzate; contestualmente a questi cambiamenti si assiste anche ad un progressivo impoverimento delle tecniche di costruzione, condizione che porterà alla riproposizione di precedenti modelli edilizi, rappresentati principalmente da modeste strutture in materiale deperibile come ad esempio le capanne, che durante l’alto medioevo

Lo scavo di Villamagna del territorio di Anagni ha rivelato l’esistenza di un insediamento complesso, caratterizzato da molteplici fasi di occupazione, abbandono e risistemazione degli spazi nell’area prima occupata dalla maestosa villa di epoca imperiale (Fentress et al. 2016; Molinari 2017a). Si segnala anche il ritrovamento di capanne seminterrate datate alla fine del VI secolo. 96 Mari 1994, pp. 45-49; Mari, Sperandio 1995, pp. 565-566. 95

92 Per approfondire il tema delle trasformazioni dei paesaggi rurali durante il medioevo si veda Rao 2015; Augenti 2016, pp. 82-184. 93 Wickham 2009, p. 515. 94 Potter 1979.

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Il paesaggio dei Monti Lucretili 2.6.1. La proprietà fondiaria nella Campagna Romana altomedievale

Con l’affermazione del cristianesimo la Chiesa di Roma ha iniziato a gestire il territorio suburbano (assicurato tramite un complesso sistema di acquisizioni ed alienazioni avvenute tra il VI e l’VIII secolo e da questo momento in poi definito come territorium Sancti Petri97) attraverso le proprie cariche episcopali.

Con la destrutturazione del sistema romano la tipologia edilizia della villa non sembra dissolversi improvvisamente: alcune di esse, infatti, non vengono abbandonate, mostrando una continuità di occupazione, talvolta con periodi di disuso più o meno prolungati, fino al VI-VII secolo d.C103. Per il Lazio rurale si possono annoverare i siti della villa della Mola di Monte Gelato104 che esibisce una fase di ristrutturazione edilizia con annesso ampliamento dell’impianto originario, seppur rivelando un impoverimento delle tecniche e della decorazione105, e il Casale di Madonna del Piano a Castro dei Volsci106 dove, tra il V e il VI secolo, fu costruita una chiesa presso cui, ad un secolo di distanza dalla fondazione religiosa, si installò un cimitero107.

Le proprietà rurali, definite come fundi e massae già dalle fonti di epoca romana98, sono ancora oggi delle entità di difficile determinazione; nel contesto suburbano l’uso dei medesimi vocaboli nelle fonti storiche ha fatto ipotizzare l’esistenza di una continuità tra l’insediamento tardoantico e quello del primissimo alto medioevo, seppur considerando il depauperamento ed il crollo demografico della popolazione in questo lasso di tempo99. Il nuovo assetto gerarchico ai vertici dello Stato Romano propone una nuova riorganizzazione amministrativa delle campagne con l’introduzione delle diocesi; l’opera di evangelizzazione viene affermata attraverso la costruzione di numerose parrocchie e chiese battesimali, disseminate in tutto il suburbio romano e sotto la diretta giurisdizione del vescovo a capo della diocesi di appartenenza, e con la fondazione dei monasteri100.

Caso a parte è rappresentato dalle recenti indagini nel sito di Villamagna la cui vita durerà, tra fasi di occupazione, abbandono e rioccupazione (segnate da mutamenti tipologici e di destinazione d’uso), fino al basso medioevo108. Nelle campagne intorno a Roma una nuova forma insediativa inizia ad installarsi nell’VIII secolo: si tratta di grandi aziende rurali, definibili anche come fattorie ben strutturate, disseminate nel territorio laziale e sotto il diretto controllo ecclesiastico, menzionate dal Liber Pontificalis come domuscultae109.

I cambiamenti nella gerarchia statale si riflettono anche sulla popolazione, alterandone la stratificazione sociale. La fine del sistema schiavistico imperiale non elimina i rapporti di dipendenza tra la società aristocratica e le masse contadine nel tardo impero; il rapporto di subordinazione, però, si modifica progressivamente, mitigando le relazioni di dipendenza dell’epoca romana: è l’epoca del colonato101.

Le domuscultae non rientrano propriamente nel tipo di unità fondiarie note come curtes (anche se si avvicinano molto a tale modello): si tratta, infatti, di aziende agricole di proprietà pontificia, finalizzate alla produzione e alla distribuzione di generi alimentari da devolvere agli organismi religiosi e agli istituti a carattere assistenziale110, i cui possessores risiedono a Roma e non direttamente nel fondo111. L’istituzione di tali centri agricoli finora è stata associata ad un evento storico che modificò il sistema di rifornimento della Chiesa, ovvero la confisca da parte di Leone III Isaurico delle proprietà pontificie nell’Italia meridionale; tale condizione portò ad un nuovo sistema di approvvigionamento alimentare basato

Il colonato è la nuova forma di subordinazione della classe contadina che si manifesta nel panorama insediativo rurale dando ai “nuovi coloni” una maggiore libertà (pur rimanendo formalmente di condizione servile), diventando di fatto degli affittuari al servizio del dominus. La formula del colonato prevedeva per ogni colono l’usufrutto di un appezzamento di terra sul quale poteva stabilire la dimora per il suo nucleo familiare. Una parte dei prodotti doveva essere poi elargita al proprietario che aveva accordato il fondo, ripagandolo così della concessione enfiteutica; il restante surplus poteva essere invece venduto nel mercato più vicino102.

103 Sulla trasformazione delle forme insediative nel paesaggio rurale del suburbio romano tra tarda antichità e alto medioevo cfr. Santangeli Valenzani 2003. 104 Potter, King 1997. Per una sintesi sul tema degli insediamenti rurali nella media valle del Tevere cfr. Patterson 2010. 105 Wickham 2009, p. 515. 106 Fanelli, Pascucci 2009. 107 Molinari 2017a, p. 276. 108 Fentress et al. 2016; Molinari 2017a; Carocci 2020. 109 Le domuscultae sono state fondate nel territorio pontificio per iniziativa dei papi Zaccaria (741-752) e Adriano I (772-795). Per un approfondimento si consiglia la lettura di Tomassetti 1979, pp. 82-83; Marazzi 1993, pp. 274-275; De Francesco 1996; De Francesco 1998; Marazzi 1998, pp. 235-260; Marazzi 2003; Wickham 2009, pp. 516-517; Augenti 2016, pp. 123-125; De Francesco 2017, pp. 44-49; Patterson, Witcher, Di Giuseppe 2020, pp. 281-284. 110 Sull’approvvigionamento alimentare a Roma del Papato tra tarda antichità e alto medioevo si veda De Francesco 2017. 111 Tomassetti 1979, pp. 83-85; Marazzi 1993, p. 278.

97 De Rossi 1969, p. 9; Toubert 1973, pp. 789-790; Tomassetti 1979, pp. 79-83; Marazzi 1989, pp. 251-313 e 284; Marazzi 1993, p. 271; Marazzi 1998, p. 193; De Francesco 2004, p. 287. 98 I fundi erano possedimenti di terra che, se congiunti, andavano a costituire delle proprietà più estese, definite come massae. Toubert 1973, pp. 449-473; Tomassetti 1979, pp. 81-82 e 87; Coste 1983, p. 472; Migliario 1988, pp. 59-71; De Francesco 2004, pp. 8-11 e 285; Wickham 2009, pp. 503-504. 99 Marazzi 1989, pp. 290-291; De Francesco 2004, p. 285. 100 Su questo tema si veda Fiocchi Nicolai 1999; Fiocchi Nicolai 2017. 101 L’istituzione del colonato nacque dapprima in epoca imperiale, ma si diffuse maggiormente sotto l’imperatore Costantino e nei secoli successivi. Il dibattito sul colonato e la sua origine vengono spiegati in maniera approfondita in Wickham 2009, pp. 553-561. 102 Marazzi 1989, p. 274.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili sull’autorifornimento, da collegare all’interruzione delle importazioni di derrate agricole a Roma, soprattutto del grano proveniente dalla Sicilia112. Non tutti gli studiosi, però, sono concordi con questa interpretazione, sostenendo che la diffusione delle prime domuscultae sarebbe avvenuta in un periodo anteriore, forse già a partire dalla fine del VII secolo, e che la loro nascita nella Campagna Romana sarebbe da collegare ad una riorganizzazione del sistema fondiario papale, motivata, tra le altre cause, dall’esigenza di sostenere le strutture assistenziali emergenti come ad esempio le diaconie113.

fabbrica quali mulini, magazzini e ricoveri per animali, in grandi complessi produttivi con l’introduzione di un ambiente adibito al culto cristiano e sotto il diretto controllo della Chiesa di Roma121. Particolarità di queste realtà rurali è sia un’ampia estensione che il loro sviluppo “diffuso”: è il caso della domusculta Capracorum, il cui centro direzionale è stato riconosciuto in S. Cornelia, ma che poteva disporre di ulteriori e diversificate unità rurali da essa dipendenti (e non proprio ubicate nelle immediate vicinanze) come ipotizzato per i siti di Mola di Monte Gelato e di Mazzano Romano122.

Nonostante le numerose difficoltà nell’identificare tali organismi nella campagna intorno a Roma114, le fonti scritte annoverano tra le proprietà papali dodici domuscultae, ubicate a ridosso delle grandi vie di percorrenza per facilitare le operazioni di trasporto delle derrate agricole115.

Ad ogni modo, il popolamento nella Campagna Romana non doveva essere radunato solo in questi centri; le fonti spesso ci ricordano un panorama insediativo incardinato sulla realtà della piccola proprietà rustica123. Molto variegata risulta essere la geografia del popolamento a cavallo tra la tarda antichità e l’alto medioevo, dove piccoli insediamenti sparsi in tutto il territorio del suburbio dovevano affiancarsi ad un contesto di infrastrutture già esistenti, rinnovate e riorganizzare. È però da sottolineare un elemento: in questa fase altomedievale è riscontrabile una predilezione nell’utilizzo di materiale deperibile nelle strutture edilizie (argilla e legno124), da non collegare solo ad un impoverimento delle tecniche di lavorazione, seppur sia un dato evidente, ma ad un cambiamento culturale. Le uniche testimonianze tangibili di rioccupazione in epoca altomedievale delle ville imperiali provengono dal dato ceramico; tra l’VIII e il IX secolo nasce una nuova classe ceramica, meglio nota come Forum Ware o ceramica a vetrina pesante125; tale produzione, qualora individuata, può confermare la continuità insediativa di alcuni contesti antichi126.

Ad eccezione di questa nuova realtà gestita direttamente dal Papato ed esclusiva del territorio laziale, in tutta l’Italia medievale e nella zona sotto il dominio carolingio si diffonde progressivamente l’insediamento di tipo curtense116. L’intero sistema si fondava su un insieme di giornate di lavoro (corvée) da dedicare alle terre padronali e sul pagamento di un’imposta che ogni colono doveva liquidare al proprietario del fundus117. La curtis era formata da una pars dominica, riservata al dominus, e da una serie di appezzamenti di terra (definiti mansi) dati in concessione ai contadini che, sul medesimo terreno, potevano costruire un’abitazione e lavorare la terra. Il sistema di tipo curtense si afferma in Italia principalmente tra il IX e il X secolo, soprattutto nell’area centro-settentrionale della penisola; una delle zone in cui si incardina maggiormente è la Toscana, dove le numerose campagne di scavo degli ultimi decenni hanno chiarito fisionomia e caratteristiche di questa proprietà fondiaria118.

Sulla base dei modelli riconosciuti, il panorama insediativo rurale del Lazio doveva strutturarsi su un tipo di popolamento frammentato in semplici centri aziendali e piccole abitazioni sparse: queste entità a vocazione agricola dovevano distribuirsi in maniera difforme e disomogenea in tutta la campagna intorno a Roma.

Finora nel Lazio le uniche realtà insediative riconosciute come simili alle curtes sono le domuscultae; l’assenza di scavi archeologici in ulteriori contesti altomedievali non consente di visualizzare la consistenza monumentale di tali entità di tipo privato nella campagna laziale, ben note, invece, dalle fonti scritte.

Nel distretto dei Monti Lucretili non sono state compiute indagini archeologiche o ricognizioni intensive che avrebbero permesso di confermare o smentire la tendenza generale del popolamento nell’area laziale altresì attestata dalle fonti. L’utilizzo di materiale deperibile negli stanziamenti rurali non ha aiutato nella ricerca dei siti,

Gli scavi archeologici nei siti riconosciuti come domuscultae di S. Rufina (Galeria Aurelia)119 e S. Cornelia (Capracorum)120 hanno permesso di individuare una fase di ristrutturazione delle ville del periodo alto imperiale, riutilizzate e trasformate con l’aggiunta di nuovi corpi di

Tomassetti 1979, p. 82; Marazzi 1989, pp. 305-313. Molinari 2010, p. 134. Sulle indagini presso la Mola di Monte Gelato cfr. Potter, King 1997. Sugli scavi presso Mazzano Romano cfr. Potter 1972. 123 Per un approfondimento sulle tipologie edilizie altomedievali si rimanda a Fronza 2006; Fronza 2008; Santangeli Valenzani 2011; Fronza, Santangeli Valenzani 2020. 124 Altra difficoltà nelle ricerche è segnata proprio dalla complessità di individuare in contesti archeologici le tracce di strutture realizzate in materiale deperibile per il loro rapido deterioramento. 125 Patterson 1993. Sulla ceramica medievale si rimanda a Ricci, Vendittelli 2010; Molinari 2000; sugli indicatori materiali per i secoli altomedievali cfr. Molinari 2017b. 126 Wickham 2009, p. 516. 121

Marazzi 2003, pp. 172-175; Molinari 2010, p. 134. 113 De Francesco 2017, pp. 32-33. 114 Sull’identificazione delle domuscultae cfr. De Francesco 1996; sulla loro ubicazione si veda De Francesco 2017, p. 46, fig. 23. 115 De Francesco 1996, pp. 23-24; De Francesco 2017, pp. 45-47. 116 Sul sistema curtense nel panorama italiano medievale si veda Toubert 1995, pp. 183-250; Rao 2015, pp. 87-92; Augenti 2016, pp. 114-125. Per un approfondimento sul problema toponomastico cfr. Migliario 1988, pp. 53-71. 117 Marazzi 1998, p. 264. 118 Cfr. capitolo 1. 119 Cotton et al. 1991. 120 Christie 1991; Potter, King 1997. 112

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Il paesaggio dei Monti Lucretili difficilmente riconoscibili nel territorio senza indagini mirate. Per questo territorio al momento possiamo appellarci solo alle fonti scritte: i primissimi documenti conservati nel Regesto di Farfa, datati all’VIII secolo127 sembrano confermare quanto attestato nel resto del Lazio; le numerose citazioni di vocaboli come villae, curtes, casalia sembrano spiegare nella zona dei Lucretili l’esistenza di forme di popolamento sparso, gravitante attorno alle chiese rurali128. Tale situazione delle campagne intorno a Roma sembra durare, sempre secondo le fonti documentarie, almeno fino al XII secolo, ovvero ben oltre l’introduzione dei primi castelli nel paesaggio rurale.

Giorgi, Balzani 1879-1914 da ora in poi op. cit. come RF. Amore 1979, p. 222. Sulle chiese rurali cfr. Fiocchi Nicolai 1999; Augenti 2016, pp. 125-132; Fiocchi Nicolai 2017. 127 128

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3 Il paesaggio rurale del Lazio medievale. Per una storia dell’incastellamento nei Monti Lucretili During the Medieval period the Latium countryside saw the rise of complex and diversified forms of settlement that strongly influenced the landscape around Rome. Still today, this territory is marked by archaeological and architectural structural evidence such as churches, monasteries, castles, and farmhouses, testifying to the strong impact Medieval buildings had on the rural habitat between the 6th and 15th centuries. Between the 10th and 11th centuries, the emergence of the castle phenomenon led to a strong change in settlement layout across the Roman Campagna, playing a key role in the development of what would later become the modern Italian village. Prior to Toubert’s pioneering work, numerous scholars had already conducted considerable research, mostly of a historical nature, on the fortified settlements of this territory, first and foremost Antonio Nibby. Over the last decades, archaeological investigations have been carried out by foreign academies and Italian universities in a number of these castle sites (although not in the Monti Lucretili), including the nearby Sabina reatina, providing new data as to the phenomenon of “incastellamento” and in direct contrast with Toubert’s model. In the district of the Lucretili twenty-six sites were recorded, dating to between the Early and Late Middle Ages. Of these, eleven are still existing, having developed into the currently inhabited villages of: Civitella di Licenza, Licenza, Montorio Romano, Moricone, Nerola, Orvinio, Palombara Sabina, Percile, Roccagiovine, S. Polo dei Cavalieri and Scandriglia. Fifteen castles have instead, at different times, been abandoned, in some cases shortly after their foundation. These include: Castel del Lago, Castiglione, Fistula, Macla, Marcellino, Montefalco, Monteverde, Petra Demone, Poggio Runci, Saccomuro, Santa Croce, Saracinesco, Spogna, Turrita, and Vallebona. In the course of the Middle Ages, a central role in territorial policies was played by the Imperial Monastery of Farfa with its numerous jurisdictional privileges, including the right of exemption. Between the 10th-11th centuries, a well-known aristocratic family, the Crescenzi Ottaviani, started to acquire increasing power in the area of the Lucretili, ultimately becoming the main protagonist of the new geopolitical order in the Roman countryside. Following the breakup of the Carolingian Empire and in the aftermath of the Saracen incursions, local power holders, as well as the Monastery of Farfa, underwent a period of severe crisis. It was during this time of political instability that the local nobility gained an ever-greater self-awareness, overwhelming both the ecclesiastical and central authorities via a complex system of marriage policies and papal donations. At the end of the 11th and the beginning of 12th centuries, with the decline of the Crescenzi family, the Monastery of Farfa managed to regain most of its proprieties in this area. In the 12th and 13th centuries, the increasing interference of the Papal State changed the established hegemonic structure with the introduction of a newly emerging Roman aristocracy, firstly in the urban context and then in the rural one: the baronies. These newfound political players made their forceful entrance in the settlement dynamics of the Latium countryside, establishing themselves as owners of most of the castles in the area. Among these the Orsini family was the most active lineage throughout the district of the Lucretili, acquiring ownership over many castles, a process that began towards the end of 12th century and up until the Modern period. La campagna laziale durante il periodo medievale ha visto la nascita di complesse e diversificate forme insediative che hanno fortemente influito sull’attuale assetto paesaggistico dell’area dei dintorni di Roma. Ancora oggi questo

territorio è segnato da quelle che possiamo definire come “strutture-guida” per il medioevo, un gruppo di evidenze archeologiche e architettoniche come pievi, monasteri, castelli e casali che ci ricordano quotidianamente, anche 33

L’incastellamento nei Monti Lucretili “a repertorio” seguita dal Nibby, riproponendo lo stesso schema nella catalogazione dei siti per toponimi.

solo percorrendo le arterie autostradali, il forte impatto che l’edilizia medievale ha avuto sull’ambiente plasmando, tra il VI e il XV secolo, l’odierno paesaggio rurale abitato.

Dopo tale opera il tema della Campagna Romana, con le sue mutazioni insediative, ha rappresentato uno dei filoni di ricerca privilegiati nelle indagini territoriali sul Lazio. Impossibile non citare in questo contesto l’esperienza sul campo di Thomas Ashby6 che, con i suoi scritti e le sue fotografie del paesaggio rurale (e ruderizzato) del Lazio7, oggi figura come una memoria storica di inconfutabile valore, e Giuseppe Tomassetti, autore di un’importante monografia in più tomi dedicata alle trasformazioni del paesaggio e degli insediamenti nella Campagna Romana dall’epoca preistorica a quella moderna, ancora oggi punto di riferimento per la maggior parte degli studi su questo contesto geografico8.

Su questa falsariga, tra il X e l’XI secolo, ha giocato un ruolo rilevante proprio il fenomeno dell’incastellamento: la nascita dei castelli come unità aggreganti, sorti in tempi e con modalità differenti in tutto il Lazio1, ha portato ad una forte metamorfosi insediativa della Campagna Romana che ancora oggi porta le sue tracce. Il castello, infatti, è all’origine dei moderni borghi italiani, non solo nel Lazio: questi possono essere considerati le fondazioni in pietra da cui hanno preso vita gli attuali paesi, diffusi sulle cime di alture, più o meno alte, delle nostre campagne. Molti studiosi si sono interessati a questo tema per il Lazio, ben prima dell’opera di Toubert, dedicando considerevoli opere di sintesi e di analisi, perlopiù storiche, sugli insediamenti fortificati di questa regione.

Il primo studioso però a recuperare il modello di Nibby sarà Giulio Silvestrelli, ingegnere e diplomatico interessato al patrimonio culturale della campagna laziale, che nel 1914 lasciò un importante volume diviso in due tomi sulle città, torri, castelli e luoghi abitati della regione romana, presentati sotto forma di schedario9. Nelle sintetiche descrizioni topografiche fornite dal Silvestrelli vi sono anche episodici rimandi alle fonti storiche, specialmente archivistiche e bibliografiche, che fanno del testo sì un’opera scientifica, ma non critica del fenomeno dell’incastellamento, il cui concetto era ancora ben lontano nella letteratura storiografica moderna10. Il testo di Silvestrelli è, considerando lo stato di avanzamento degli studi sul tema di quel periodo, una pietra miliare nel campo delle ricerche sui castelli del Lazio, modello a cui poi si rifaranno le successive indagini11.

3.1. Storia degli studi degli insediamenti fortificati nel territorio laziale: modelli e prime analisi 3.1.1. Agli albori delle ricerche sui castelli del Lazio: i repertori Antonio Nibby2 è stato il primo ad occuparsi della campagna laziale includendo nella sua trattazione anche l’evidenza archeologica di epoca medievale. Questi, dopo la realizzazione nel 1827 della Carta de’ dintorni di Roma3 insieme alla collaborazione con l’archeologo britannico Sir William Gell (fig. 3.1)4, sentì l’esigenza di affiancarle un testo, diviso in tre volumi, per offrire “una guida sicura a coloro, che essendo amanti delle memorie antiche vanno in traccia delle vestigia sparse nel circondario di Roma5”.

Sulla scia di Silvestrelli, Edoardo Martinori, anch’egli ingegnere di professione e appassionato di numismatica e storia, pubblicò tra il 1932 ed il 1934 un’opera sul paesaggio turrito del Lazio, studio affine a quello del suo predecessore per struttura e contenuti12. Anche in questo caso la pubblicazione di Martinori si propone come un repertorio storico delle rocche e dei castelli della provincia

L’opera del Nibby viene strutturata secondo il modello del repertorio, ideata ed organizzata seguendo l’ordine alfabetico dei toponimi dei siti che, tra l’antichità e il medioevo, sono stati interessati da fenomeni insediativi: i centri abitati della Campagna Romana vengono passati in rassegna dall’autore, corredati di informazioni diacroniche sulla storia di ciascun luogo. Il lavoro di Nibby non si può considerare, tuttavia, completo: nell’opera non vengono, infatti, citati molti dei centri sorti in epoca medievale per il Lazio, seppur attestati dalle fonti; ad ogni modo, questo testo è stato per lungo tempo uno dei modelli più diffusi nelle opere storiografiche. Per lo studio dei castelli molti ricercatori prenderanno come prototipo proprio la struttura

Ashby 1907-1910; Ashby 1914; Ashby 1927. AA.VV. 1986. 8 Tomassetti 1979. La prima edizione della “Campagna romana antica, medioevale e moderna” uscì nel 1910, prima della scomparsa dell’autore nel 1911, che riuscì a vedere stampati solo i primi due volumi del suo lavoro (I vol.: la Campagna Romana in genere; II vol.: via Appia, Ardeatina e Aurelia). I successivi due volumi furono editi postumi per volontà del figlio dell’autore, Francesco Tomassetti, che si occupò di dare alle stampe i volumi III (edito nel 1913 e riguardante la via Cassia e Clodia, Flaminia e Tiberina, Labicana e Prenestina) e IV (edito nel 1926 sulla via Latina). Il V (sulla via Laurentina-Ostiense) e il VI volume (sulle vie Nomentana e Salaria, Portuense, Tiburtina) furono pubblicati dopo la morte del figlio di Tomassetti che lasciò all’Archivio Storico Capitolino molti documenti inediti sulle restanti vie consolari, che vennero poi studiati e pubblicati da Chiumenti, Bilancia nel 1979, riproponendo una riedizione aggiornata ed integrata anche dei volumi precedentemente pubblicati. 9 Silvestrelli 19402 (ed. or. 1914). 10 In questo studio per la prima volta viene posta l’attenzione anche sul territorio dei Monti Lucretili. 11 L’opera, divisa in due volumi, è stata pubblicata in diverse edizioni anastatiche fino al 1993. 12 Martinori 1932-1934. 6 7

Toubert 1995, p. 53; Maire Vigueur 2011, p. 49; Wickham 2013, p. 68. Nibby 1837; Nibby 1849. 3 Per una recente analisi su questa opera si rimanda a Masetti, Gallia 2016. 4 La Carta de’ dintorni di Roma rappresenta una primordiale carta archeologica del Lazio, commentata poi nel 1837 con un’analisi storicotopografico-antiquaria dallo stesso Nibby; l’autore definì tale opera con il temine analisi “perché tale è di fatti, esponendo ad uno ad uno i luoghi che nella carta sono indicati, ed anche alcuni che non lo sono, sia perché non vi fu campo d’inserirli, sia perché sebbene fuori de’ limiti di essa si trovano sul confine, ed avevano troppa celebrità, perché non venissero trascurati”. Cit. in Nibby 1837, vol. 1, p. XII. 5 Cit. in Nibby 1837, vol. 1, p. I. 1 2

34

Il paesaggio rurale del Lazio medievale

Fig. 3.1. Carta de’ dintorni di Roma secondo le osservazioni di sir William Gell e del professore Antonio Nibby - 4a edizione del 1837 (Fonte: ASC, Tom. 187. Su concessione della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali – Archivio Capitolino).

di Roma, ricalcando il modello proposto da Silvestrelli. Nell’analisi dell’autore si possono però notare alcune differenze: all’inizio del primo volume viene, infatti, fornita una premessa propedeutica alla trattazione, introducendo il lettore all’argomento attraverso un breve glossario dei termini medievali più ricorrenti nelle fonti, non calandosi quindi direttamente in medias res con la mera enumerazione dei siti, come aveva invece fatto Silvestrelli, bensì illustrando la materia di cui avrebbe parlato nelle successive pagine13; Martinori, tuttavia, ha seguito un approccio meno scientifico rispetto al suo predecessore: mancano ad esempio le citazioni bibliografiche in tutta la trattazione.

nel 1969 diede alle stampe un testo sulle torri e i castelli medievali della Campagna Romana14. A differenza dei suoi predecessori, De Rossi dedicò un capitolo introduttivo allo sviluppo insediativo dell’Agro Romano tra la tarda antichità e l’alto medioevo, tracciando un inquadramento storico del contesto rurale fino al pieno medioevo15. La parte centrale di quest’opera è al contrario suddivisa per settori, seguendo un ordine topografico definito dalle vie consolari, partendo dalla via Appia; la seconda sezione, di copiosa entità nell’economia della pubblicazione, è dedicata all’apparato illustrativo, dove vengono esibite fotografie storiche e disegni in scala delle torri e dei castelli approfonditi dall’autore.

Dalla pubblicazione del Martinori il tema dei castelli del Lazio subirà una fase di arresto durata quasi trent’anni; a riparlarne poi, sempre sulla scia dei repertori della prima metà del Novecento, sarà Giovanni Maria De Rossi, che

La vera rivoluzione di questo filone tematico, come già ampiamente dibattuto nel capitolo 1, è stata l’opera di Pierre Toubert, che si affacciò per la prima volta con 14

13

Ibidem, pp. 3-40.

15

35

De Rossi 1969. Ibidem, pp. 9-19.

L’incastellamento nei Monti Lucretili 3.1.2. Storia degli studi dei castelli dei Monti Lucretili

occhio critico al tema dei castelli nel 1973. Nel suo celebre testo l’autore rivolge l’attenzione sull’origine del fenomeno dell’incastellamento, indagando con approccio scientifico le dinamiche insediative e di popolamento che hanno portato alla formazione dei castelli nel Lazio, concentrando il suo lavoro sul Lazio meridionale e sulla Sabina16. Ne Les Structures l’autore incoraggia diversi spunti di riflessione, mettendo a fuoco i complessi aspetti del movimento di accentramento che portò gli uomini tra alto e basso medioevo a radunarsi in villaggi fortificati di altura. Il suo merito, giuste od errate che siano le sue conclusioni, è stato quello di provare ad esaminare tutti gli aspetti del nuovo moto insediativo, tentando di delineare un quadro complessivo e generale dell’incastellamento. L’autore indirizzò i suoi successori a cercare risposta agli interrogativi da lui sollevati, dando un nuovo orientamento alla ricerca; da questo momento negli studi sul tema non si cercherà più la mera enumerazione dettagliata dei centri incastellati, bensì la comprensione dell’evoluzione del fenomeno di popolamento che ha marcato indelebilmente l’assetto insediativo rurale del Lazio: dalla genesi del fenomeno alla sua fine, dalla scelta dei siti in cui stabilire un nuovo polo economico-produttivo alle cause dell’abbandono precoce di alcuni centri e altri temi ancora. In ogni caso, l’opera di Toubert ha scatenato una vera e propria reazione a catena, paragonabile ad una rivoluzione nella storiografia moderna, dando vita ad un lungo dibattito sui castelli ancora in corso17.

Fino agli anni Settanta del secolo scorso l’area dei Monti Lucretili con i suoi castelli medievali non destò interesse nelle ricerche territoriali. Fino a questo momento, infatti, la storia degli studi degli insediamenti medievali coincide con quella dell’intero Lazio con la pubblicazione dei repertori che non privilegiano nessuna area campione nelle loro trattazioni26. Il primo studio che ha coinvolto una parte del distretto Lucretile risale al 1979, quando la storica Orsola Amore, specializzata nella topografia del Lazio medievale, diede alle stampe un articolo sui villaggi abbandonati della valle del Licenza, area ubicata all’interno del comprensorio ai lati dell’omonimo torrente, pubblicato negli Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte27. In quel momento la nuova tendenza che portò a focalizzare l’interesse e le ricerche in piccoli distretti territoriali all’interno della regione laziale viene confermata anche dallo studio di Lucia Travaini sulle rocche e castelli della limitrofa zona sotto l’egemonia dell’abbazia di Subiaco, edito nello stesso numero della rivista tiburtina28. Attraverso lo spoglio di molteplici fonti archivistiche, l’Amore ha posto l’attenzione su alcuni dei temi storiografici che sarebbero poi diventati gli argomenti portanti del dibattito sull’incastellamento: dalla genesi dei castra al precoce abbandono selettivo di alcuni di questi alla fine del medioevo, questioni difficilmente precisabili in assenza di dati stratigrafici.

Negli ultimi decenni, in effetti, una nuova ondata di ricerche sul Lazio medievale è stata portata avanti: da una parte è possibile vedere come la Scuola di Specializzazione di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza” diretta dal prof. Giovanni Carbonara si sia concentrata sull’analisi delle tecniche edilizie nei diversi distretti territoriali laziali (vanno sicuramente menzionate le analisi diagnostiche sui paramenti murari di architetti come Donatella Fiorani18 per il Lazio meridionale, Daniela Esposito19 per l’area romana, Mauro De Meo20 per la Sabina e Renzo Chiovelli21 per la Tuscia, utili strumenti per datare le strutture architettoniche tramite l’osservazione dei paramenti murari); dall’altra i recenti studi di Sandro Carocci e Marco Vendittelli22 hanno portato alla realizzazione di basilari lavori di sintesi sulla storia degli insediamenti della Campagna Romana nel XII e XIII secolo23, insieme alle ricerche archeologiche di Étienne Hubert nella Sabina reatina24, come avremo modo di vedere più avanti25.

Lo studio dell’Amore, visto da un punto prettamente storiografico e di analisi delle fonti scritte, ha avuto il merito di avviare un’ondata di nuove ricerche su quest’area del Lazio, portando poi nel 1980 alla prima edizione monografica sul territorio dei Lucretili quando ancora non era Parco29. Per iniziativa di Gilberto De Angelis e di Paola Lanzara viene pubblicato il primo volume sui Monti Lucretili, opera dagli apprezzabili contenuti per la completezza delle materie trattate, che toccano le più diversificate discipline: si passa infatti da argomenti di carattere storico, all’archeologia, alla botanica, alla geografia; il testo assume oggi le funzioni di una guida completa, un primo approccio imprescindibile al territorio del Parco30. Tra i tanti argomenti presentati in questa sede, compare anche quello degli insediamenti medievali; nella seconda edizione del volume, edita nel 1983, la stessa Orsola

Toubert 1973. Per approfondire il dibattito sull’incastellamento si rimanda alla lettura del capitolo 1. 18 Fiorani 1996a; Fiorani 1996b; Fiorani 1998. 19 Esposito 1998; Esposito 1999; Esposito 2004; Esposito 2005. 20 De Meo 2005; De Meo 2006. 21 Chiovelli 2007. 22 Carocci, Vendittelli 2004. 23 Lenzi 2000. 24 Hubert 2000a; Hubert 2000b; Hubert 2002. 25 Sulla scia di Toubert per l’Italia centrale, oltre alle ricerche di Hubert sulla zona della Sabina orientale a confine tra Lazio e Abruzzo, si segnala l’opera monografica di Laurent Feller sull’incastellamento in Abruzzo (Feller 1998). 16 17

Cfr. paragrafo precedente. Amore 1979. 28 Travaini 1979. 29 La prima edizione del volume sul Parco dei Monti Lucretili è uscita nel 1980, ripubblicata poi con aggiornamenti e nuovi articoli per cinque edizioni fino al 1995. 30 Il Parco dei Monti Lucretili è stato istituito nel 1989, dopo la prima edizione del testo; l’intero comprensorio era già percepito come un’unica unità territoriale, ben prima della nascita dell’Ente. 26 27

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Il paesaggio rurale del Lazio medievale Amore con Paolo Delogu31 presentano un ulteriore studio sulla valle del Licenza, riprendendo e aggiornando temi già anticipati nella pubblicazione del 1979.

Fiore Cavaliere per l’epoca medievale42, per quella moderna di Costantino Centroni43, pubblicati sia negli atti del convegno che nel catalogo della mostra.

Ma la vera pietra miliare per lo studio dei castelli è stata posta dallo storico francese Jean Coste con la sua analisi sui villaggi abbandonati32, edito per la prima volta nel 1988 nella terza edizione del volume sul Parco33. Dopo una sintesi introduttiva sul territorio, l’autore inizia ad esaminare ogni centro incastellato attestato dalle fonti documentarie, d’archivio, cartografiche etc. utilizzando l’espediente di una scheda riassuntiva in cui elabora una puntuale analisi di ogni insediamento censito, utile strumento di sintesi per chi inizia ad interessarsi a questo territorio34. Oltre ai suoi numerosi studi orientati verso la conoscenza della Campagna Romana35, Coste ha lasciato il suo prezioso archivio personale, oggi conservato presso la sede della Società Romana di Storia Patria36 e recentemente edito in forma parziale37, in cui si possono trovare la maggior parte dei suoi appunti, accuratamente scritti a mano in francese e in italiano, raccolti e catalogati in taccuini e carton38; un’altra sezione del suo archivio è dedicata alle molteplici istantanee, che spesso immortalano paesaggi rurali ruderizzati che l’autore amava fotografare durante le sue ricognizioni insieme ai suoi amatissimi allievi.

Dopo queste edizioni monografiche degli ultimi decenni del XX secolo si assiste ad uno stallo nelle ricerche sui castelli dei Lucretili; l’interesse inizia ora ad indirizzarsi verso l’analisi storiografica delle famiglie baronali. Aumentano gli studi sulle emergenti signorie aristocratiche di Roma e del Lazio del periodo bassomedievale, intrapresi da storici medievisti tra cui spicca il nome di Sandro Carocci che, nell’arco di un decennio, esamina nei suoi testi la storia dei più potenti lignaggi insediatisi nel Lazio44. Nei Lucretili, tra le famiglie baronali di Roma che riuscirono a conquistare gran parte di questo territorio ottenendo numerosi beni immobili vi è la famiglia Orsini. Sul patrimonio e sulla genealogia del lignaggio sono state date alle stampe diverse opere da Franca Allegrezza, tra cui una monografia45 e alcuni saggi46, in cui l’autrice esamina anche le proprietà fondiarie degli Orsini nella valle del Licenza, zona dove la famiglia si radicò maggiormente nei Lucretili. Prima di questo lavoro, frutto di ricerche territoriali di chi scrive condotte negli ultimi anni47, lo studio dell’incastellamento nei Monti Lucretili è stato in una fase di completa stasi; gli ultimi lavori sui siti fortificati per questa zona risalgono a trent’anni fa. Riprendere le fila dei precedenti studi, implementando l’analisi con nuovi dati provenienti dalle evidenze archeologiche, è il compito di questa ricerca che mirerà, come avremo modo di vedere nei prossimi capitoli del volume, all’analisi dei temi storiografici maggiormente dibattuti nell’ambito degli studi territoriali sul tema dell’incastellamento in Italia.

Dopo Jean Coste, agli inizi degli anni Novanta due importanti eventi culturali diedero nuovamente risalto al territorio dei Lucretili, in particolar modo alla valle del Licenza, portando alla realizzazione di due pubblicazioni incentrate sulla figura del poeta Orazio che ebbe una villa proprio nei pressi dell’attuale località di Licenza39. Si tratta del Convegno di Licenza (19-23 aprile 1993)40 e della mostra sugli arredi della cosiddetta villa di Orazio (Palazzo Orsini. Licenza 19 aprile-30 settembre 1993)41, che furono un’occasione per riportare il focus su tutto il territorio intorno al sito archeologico, sintetizzando temi concernenti anche il periodo medievale e moderno. Tra i vari studi vanno annoverati i contributi di Maria Grazia

3.2. Il fenomeno castrense nel Lazio Il fenomeno dell’incastellamento nel Lazio, come abbiamo avuto modo di vedere, è sempre stato al centro del dibattito sui castelli. L’elemento che emerge però dagli studi è sempre una grande carenza di ricerche territoriali in grado di poter supportare anche con metodo archeologico l’analisi delle fonti scritte, come molti storici hanno finora fatto, proprio a cominciare dallo stesso Toubert.

Amore, Delogu 1983. Jean Coste è stato uno storico e presbitero francese che dedicò la maggior parte della sua vita allo studio della Campagna Romana in epoca medievale. La sua prematura scomparsa nel 1994 non ha permesso allo studioso di completare alcune sue ricerche, edite poi dai suoi amici ed allievi in Mari, Petrara, Sperandio 1999. 33 Coste 1988, poi ripubblicato in Coste 1996. Nell’articolo sopra menzionato, l’autore tratta solo gli insediamenti abbandonati nel territorio dei Monti Lucretili, non considerando i centri incastellati ancora esistenti. 34 Coste, anche se gran conoscitore del territorio, come testimoniano gli appunti e le fotografie delle sue escursioni domenicali con i suoi allievi ed amici, in questo testo fonda le sue conoscenze solo sull’analisi delle fonti scritte, come avevano fatto i suoi predecessori. 35 Coste 1976; Coste 1983; Coste 1984; Coste 1996. 36 L’archivio Coste conservato presso la Società Romana di Storia Patria è stato consultato personalmente grazie alla disponibilità della dott.ssa Susanna Passigli, che desidero ringraziare per tutto il tempo dedicatomi e per i suoi preziosi consigli durante questi anni di studio. 37 Sperandio, Petrara, Aliquò 2018. 38 Sui taccuini di Jean Coste si veda Petrara, Sperandio 2009. 39 Cfr. capitolo 2, paragrafo 2.5.1. 40 AA.VV. 1994. 41 Veloccia Rinaldi 1993. 31 32

Fiore Cavaliere 1993; Fiore Cavaliere 1994. Centroni 1993; Centroni 1994. 44 Carocci 1988; Carocci 1993; Carocci 1997. Carocci riprenderà poi il tema delle baronie (anche in ambito urbano) in alcuni suoi studi più recenti; tra questi si annoverano Carocci 2006a; Carocci 2006b (opera curata dall’autore sulla nobiltà romana con saggi di studiosi che si sono occupati nelle loro ricerche del tema dell’aristocrazia nel medioevo) e Carocci 2010a; per un’analisi delle signorie rurali nel Mezzogiorno e sui poteri aristocratici si rimanda alla lettura di Carocci 2014. 45 Allegrezza 1998. 46 Allegrezza 2000, Allegrezza 2006a; Allegrezza 2006b. 47 Le prime nuove ricerche sul tema dell’incastellamento condotte dall’autrice nell’area dei Lucretili si sono concentrate inizialmente nella zona della valle del Licenza (Bernardi 2014); nell’ambito del dottorato di ricerca, concluso nel 2016 presso l’Università degli Studi di Roma Tre e che ha dato vita a questa monografia, l’indagine è stata estesa all’intera zona dei Lucretili (Bernardi 2015a; Bernardi 2015b; Bernardi 2018a; Bernardi 2018b). 42 43

37

L’incastellamento nei Monti Lucretili sappiamo, finora le ricerche si sono maggiormente concentrate nei contesti urbani.

Ad ogni modo, gli studi condotti fino a questo momento sul tema dei villaggi incastellati nella campagna laziale sembrano portare a ricostruire un modello di popolamento fondato sull’unità castello che inizia a svilupparsi a partire dal X-XI secolo, segnando una forte trasformazione nelle forme insediative rurali con la risalita della popolazione in siti di altura. Nel Lazio recenti interventi di scavo archeologico in centri incastellati, specialmente quelli diretti da Étienne Hubert nella zona del Turano, hanno permesso di chiarire alcuni temi attraverso l’ausilio delle fonti archeologiche, delineando con maggior precisione il panorama insediativo bassomedievale nelle zone sottoposte ad indagine; nei siti indagati l’analisi dei dati ricavati dalla stratigrafia sembra rivelare sviluppi locali complessi e diversificati, da collegare al contesto storico, politico, e alle situazioni economiche e sociali che hanno interessato ogni distretto territoriale, mostrando una realtà molto più articolata di quella finora illustrata dal modello toubertiano per il Lazio48.

Anche in questo caso, i primi scavi in castelli sono stati intrapresi per iniziativa di un istituto straniero, l’École française de Rome che, tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila, ha diretto alcuni sondaggi di scavo nella Sabina reatina al confine con l’Abruzzo, con l’obiettivo di indagare le principali criticità che stavano emergendo a seguito del dibattito sull’incastellamento in Italia50. Le indagini condotte tra il 1985 e il 1986 presso Caprignano in Sabina, nel territorio della provincia di Rieti (Casperia), hanno portato alla luce i resti di alcune preesistenze nel sito dove poi sarebbe sorto il castrum: si tratta di un abitato costruito in materiale deperibile e non fortificato; la prima fase di incastellamento per questo insediamento avvenne in un periodo avanzato, identificata con strutture datate al XII secolo che evidenziano, solo a partire da questo momento, la trasformazione del sito in castello51.

3.2.1. Ricognizioni di superficie e scavi archeologici nei territori dei castelli del Lazio

L’area della Sabina reatina è stata anche nei seguenti anni il contesto territoriale privilegiato delle ricerche su e nei centri incastellati. Il progetto congiunto di scavo e restauro del castello di Collalto Sabino ha portato all’analisi di alcune zone dell’insediamento medievale, concentrandosi in particolar modo nell’area della rocca e del palazzo baronale, proponendo una periodizzazione delle fasi edilizie del castrum52. I materiali ceramici provenienti dai saggi di scavo hanno mostrato una prima antropizzazione del sito intorno al XII secolo, elementi da congiungere ad alcune strutture edilizie realizzate in legno quali palizzate ed edifici, di cui sono rimaste nella roccia le sole tracce in negativo delle buche di palo53. Le prime opere in muratura del castello di Collalto Sabino, invece, sono riconducibili al XIII secolo, come indicato dall’analisi delle tecniche edilizie di alcuni tratti delle mura e della torre, anche se tali paramenti hanno subìto molteplici fasi di restauro in epoche posteriori. Tra il XIII e il XIV secolo vengono realizzati gli ambienti residenziali e i magazzini del castello, da collegare ad un momento di riorganizzazione e ristrutturazione del centro54. Le ultime fasi sono databili al XVI secolo, quando gli interventi nel palazzo baronale modificano radicalmente l’aspetto del castello, in taluni casi distruggendo le evidenze delle fasi precedenti55.

Nel Lazio le prime ricerche di superficie in contesti rurali sono state portate avanti grazie all’attività di ricerca promossa dalle maggiori accademie straniere con sede a Roma che, a partire dalla seconda metà del Novecento, hanno dato l’avvio ad una nuova ondata di studi focalizzati sulla ricostruzione storico-diacronica del popolamento e dei sistemi insediativi della Campagna Romana. Le prime attività sul territorio, finalizzate alla conoscenza del paesaggio rurale tra l’epoca preistorica e quella medievale, sono state quelle intraprese dalla British School at Rome che, tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, ha organizzato un ardito progetto di ricognizione archeologica, meglio noto come South Etruria Survey, sotto la guida di John Ward Perkins e Timothy W. Potter49. L’importanza del progetto è insita nelle finalità stesse della ricerca: in questo caso l’attenzione è stata posta non solo alla ricostruzione del paesaggio della Campagna Romana nelle sue fasi antiche, ma anche all’epoca medievale, che assume (finalmente) una sua rilevanza nell’economia dello studio sul territorio laziale. In merito agli scavi archeologici in centri incastellati del Lazio, ad oggi i contesti rurali indagati stratigraficamente sono ancora limitati numericamente poiché, come

Cambiando completamente contesto, dal 1994 sono state avviate le campagne di scavo nel sito di Tusculum nei Colli Albani, centro incastellato per iniziativa della famiglia dei Tuscolani sullo stesso insediamento dell’antica città romana; tali indagini, che proseguono ancora oggi, sono state condotte dalla Escuela Española de Historia y Arqueología en Roma (CSIC), agli inizi sotto

Per una recente sintesi dello status quaestionis del fenomeno dell’incastellamento del Lazio cfr. Molinari 2010; Lanconelli, Romagnoli 2018. Per un’analisi critica alla luce delle ricerche di Hubert nell’Italia centrale si rimanda alla lettura del contributo di Farinelli 2005. 49 I dati del South Etruria Survey sono stati in un secondo momento inglobati e comparati all’interno di un più ampio progetto, sempre promosso dalla British School at Rome, il Tiber Valley project che, tra il 1997 e il 2004, ha avuto il merito di rianalizzare e rielaborare i dati raccolti nelle precedenti esperienze di ricognizione archeologica nell’area della media valle del Tevere, estendendo poi il raggio di indagine anche alla riva sinistra, arricchendo il lavoro tramite un database GIS. Sui risultati di questo lavoro si rimanda alla lettura di Potter 1979; Wickham 1978; Wickham 1979; Patterson, Witcher, Di Giuseppe 2020. 48

Farinelli 2005. Noyé 1984; Bougard, Hubert, Noyé 1986; Bougard, Hubert, Noyé 1988; Hubert 2000b, pp. 591-592. 52 Coccia 2000. 53 Coccia, Patterson, Vigil-Escalera Guirado 1990, pp. 37-38. 54 Ibidem, pp. 38-39; Hubert 2002, pp. 374-375. 55 Coccia, Patterson, Vigil-Escalera Guirado 1990, pp. 40-41. 50 51

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Il paesaggio rurale del Lazio medievale la direzione scientifica di Xavier Dupré56. Il castrum, collocato a controllo della valle Latina, fu fondato prima dell’XI secolo sull’antica area monumentale del foro di Tuscolo, dove sono state riconosciute fosse di spoliazione e piani di bonifica e di livellamento attribuibili alle prime fasi di abbandono del sito in epoca post-antica, attività intraprese con lo scopo di rioccupare razionalmente gli spazi antichi riutilizzando da una parte gli alzati delle preesistenti strutture, dall’altra recuperando il materiale da costruzione direttamente in situ57. La zona sottoposta a scavi archeologici sembra mostrare un ampliamento dell’insediamento in tutta la parte monumentale antica ed una riorganizzazione urbanistica tra la metà dell’XI e il XII secolo, con l’introduzione di ambienti disposti a schiera che hanno portato alla quasi totale distruzione delle strutture del primo castello; sono state messe in luce anche le fasi di abbandono e distruzione del sito, avvenute nella seconda metà del XII secolo58. Le recenti campagne di scavo presso Tuscolo hanno mostrato, quindi, un forte cambiamento insediativo nell’antica città romana; le tracce archeologiche hanno evidenziato un primo momento di rioccupazione dell’insediamento sotto forma di castello, trasformato poi, in meno di due secoli, in città attraverso un ampliamento urbanistico degli spazi abitati ed il recupero delle antiche aree.

partire dall’XI secolo, al di sotto delle quali sono state identificate evidenze in materiale deperibile, attribuibili alla primissima fase di incastellamento dell’insediamento e non connesse alla presenza di una curtis61. I sondaggi nel sito di Offiano hanno invece mostrato l’assenza di preesistenze insediative e lo sviluppo del castello solo nel XII secolo, nonostante le fonti definissero la nascita del castrum in un momento anteriore; Hubert giustifica tale divergenza tra fonti archeologiche e scritte ipotizzando che il primitivo castello di Offiano si dovesse ubicare in un’altra zona, poi precocemente abbandonato e sostituito da quello di XII secolo62. I saggi di scavo presso il sito di Villa Sant’Agnese hanno rivelato diversificate fasi insediative, a partire però dal X-XI secolo, ovvero quando l’insediamento fortificato doveva essere già costituito63. Il caso sicuramente più singolare tra i quattro siti della Sabina reatina indagati nell’ambito di questo progetto è Castiglione, dove sono state rintracciate presenze altomedievali nel luogo dove poi sorse il castello nell’XI secolo64. Hubert identificò queste tracce con un casale, abitazione della famiglia aristocratica proprietaria del territorio limitrofo, escludendo quindi nell’alto medioevo un nucleo accentrato di popolamento, confermando per questo sito l’ipotesi di Toubert sull’esistenza di una forma di abitato sparso nelle campagne con nuclei residenziali per i contadini che gravitavano nel territorio di pertinenza.

Ritorniamo alla valle del Turano. A cavallo tra la fine del Novecento e i primi anni Duemila si sono svolte nella Sabina reatina nuove campagne di scavo e di ricognizione archeologica, sempre per iniziativa dell’École française de Rome, in collaborazione con l’Università “La Sapienza” di Roma e l’Università di Sheffield59. La valle del Turano con i suoi centri incastellati è diventata in questi anni il settore del Lazio più indagato tramite ricerche archeologiche che hanno portato ad una maggior conoscenza del fenomeno castrense nel distretto attraverso il confronto ricorrente tra il dato archeologico e le fonti scritte. Questa zona, infatti, ben si presta ad un’analisi in grado di considerare entrambe le tipologie di fonti per la copiosa quantità a disposizione sia di evidenze materiali che di documenti.

I dati emersi dall’analisi di Castiglione nel Reatino possono essere confrontati con quelli ottenuti da Moreland per il sito di Casale San Donato (Castel Nuovo di Farfa), dove è stata dimostrata una precoce occupazione prima dell’edificazione dell’omonima chiesa nel medesimo territorio; anche in questo caso si tratterebbe, però, di un semplice casale aristocratico e non di un insediamento accentrato dove la popolazione rurale poteva vivere in modo stanziale65. Ritornando al dibattito sull’incastellamento, secondo Hubert non è possibile assimilare ad un unico momento storico il fenomeno dell’incastellamento; diversi sono i tempi, gli sviluppi e le motivazioni che hanno portato alla formazione di tali forme insediative fortificate, come dimostrato dai risultati dei suoi scavi. Il villaggio di tipo sparso, disseminato nel contado della valle del Turano e distribuito in casali e ville, non si sarebbe dissolto improvvisamente rinchiudendo la popolazione contadina nei nuovi centri incastellati (inizialmente assimilabili a dei piccoli centri di controllo delle famiglie signorili che verranno poi inglobati da insediamenti di maggiori

Nei siti indagati da Étienne Hubert, seppur parzialmente, sono emerse situazioni non uniformi per ogni contesto che hanno messo in discussione il modello toubertiano proposto per il Lazio60. Il castello di Montagliano, ovvero quello maggiormente scavato in termini di estensione, ha mostrato le tracce di strutture realizzate in materiale lapideo databili a 56 I risultati delle campagne di scavo effettuate dalla Escuela Española de Historia y Arqueología en Roma (CSIC) sono editi in più monografie: Duprè 2000; Duprè at al. 2002. 57 Le indagini archeologiche e le fasi edilizie del sito di Tuscolo sono sintetizzate in Beolchini 2006; Beolchini, Delogu 2006; Beolchini 2011; Beolchini, Diarte-Blasco, Peña-Chocarro 2017. 58 Beolchini, Delogu 2006, p. 145. 59 Le operazioni di ricognizione nell’area farfense fanno parte di un ben più ampio progetto, promosso ed organizzato dalla British School at Rome a partire dagli anni Ottanta: the “Farfa Survey”: Moreland 1987. 60 Siti indagati dall’École Française de Rome: Hubert 2000a; Hubert 2000b; Hubert 2002; Farinelli 2005.

De Minicis, Hubert 1991; Hubert 2002, pp. 43-64. Hubert 2002, pp. 65-74. 63 Ibidem, pp. 75-95. 64 Ibidem, pp. 97-109. 65 Il sito è stato indagato nell’ambito del “Farfa Survey” dall’Università di Sheffield: Moreland et al. 1991, pp. 477- 490; Moreland et al. 1993, pp. 185-228; Hubert 2000b, pp. 589-591. Cfr. Patterson, Witcher, Di Giuseppe 2020, pp. 259-262. 61 62

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L’incastellamento nei Monti Lucretili popolare in grado di assicurare lo svolgimento di attività liturgiche agli abitanti delle campagne73. Parallelamente a questa nuova tendenza che cominciò a diffondersi nel paesaggio rurale, nel V secolo la geografia ecclesiastica inizia a prendere forma con la nascita delle diocesi74, unità territoriali sotto la giurisdizione di una sede vescovile75.

dimensioni); la concentrazione popolare nei castelli sarebbe avvenuta solo in un momento successivo e con modalità differenti; si giunge alla conclusione che ogni sito racconta la sua diversa storia insediativa66. I nuovi dati emersi dagli scavi archeologici di Hubert entrerebbero in contrasto con il modello sull’evoluzione del popolamento negli spazi agrari proposto dal suo maestro Toubert. Il fenomeno di accentramento, nei contesti scavati, sembrerebbe precedere quello dell’incastellamento, portando progressivamente la popolazione all’interno di un centro strategico e militarizzato, dove la difesa del territorio diventa una prerogativa dominante. Per Hubert l’insediamento sparso non sembra svanire con l’introduzione dei primi castelli, che altresì nella loro fase iniziale, avrebbero avuto una struttura ed un’estensione limitata67.

La regione Sabina, che racchiudeva al suo interno gran parte del territorio coperto attualmente dalla provincia di Rieti, possedeva le quattro sedi vescovili di Nomentum, Cures Sabini, Forum Novum e Reate, che andavano a comporre il quadro diocesano della Sabina reatina76; già dai primi secoli del medioevo la Curia romana godeva di un ragguardevole patrimonio disseminato nella regione. Con l’avanzata dei Longobardi e la conquista della stessa città vescovile di Rieti, papa Gregorio Magno (590-604 d.C.) decise di formare una nuova diocesi di Sabina, detta suburbicaria o romana, con unica sede a Vescovio (Forum Novum); il confine tra le nuove diocesi di Rieti e di Sabina ha riprodotto anche un limite giurisdizionale e politico, da una parte segnato dal territorio sotto il controllo del Ducato longobardo di Spoleto, dall’altro sotto il Papato, condizione territoriale che durò fino al XII secolo77. All’interno di questa delimitazione vi erano altre realtà ecclesiastiche e signorili che, come vedremo nel dettaglio a breve, condizioneranno gli sviluppi territoriali della regione78.

Dopo la favorevole esperienza archeologica compiuta nella valle del Turano e nel territorio farfense, i progetti di scavo nei castelli del Lazio subirono un rallentamento. Le più recenti ricerche topografiche legate al fenomeno dell’incastellamento si sono spostate nella zona del Lazio meridionale68 e nella Valle Sublacense69, dove alcuni progetti di ricerca, promossi dalla cattedra di Archeologia cristiana e medievale dell’Università Sapienza di Roma e fondati sulle orme di precedenti studi su questi territori70, hanno riportato l’attenzione sul tema delle forme di popolamento rurali nei secoli a cavallo tra alto e basso medioevo nell’area laziale71.

Durante il periodo medievale l’area dei Monti Lucretili era frazionata in due grandi settori, separati da un confine di difficile definizione per l’astrattezza dei limiti geografici, ma da collegare alle due entità ecclesiali da cui i relativi territori dovevano dipendere: la porzione settentrionale del comprensorio era originariamente sotto la giurisdizione del vescovo di Sabina79, la porzione meridionale, invece, doveva appartenere alla diocesi della Chiesa di Tivoli. In questa divisione diocesana si inserivano però ulteriori realtà che di fatto furono i principali enti promotori dell’incastellamento nella zona80: la già menzionata abbazia di Farfa e gli emergenti lignaggi locali (ovvero quella che viene definita anche come signoria territoriale o pervasiva81), tra cui va ricordata la famiglia dei Crescenzi Ottaviani che riuscì a comporre una vasta rete di proprietà usurpando molti dei territori sotto il dominio farfense.

L’unico tentativo di analisi diacronica del territorio, non focalizzato però solo sulle fasi medievali, è stato il progetto di un gruppo di ricercatori britannici, guidati da Helen Patterson, con oggetto la valle del Tevere a Nord di Roma: il Tiber Valley Project72; anche in questo caso si tratta di un’iniziativa promossa ancora una volta da un istituto di ricerca straniero, la British School at Rome, che si riallaccia al tema della ricostruzione del paesaggio della Campagna Romana, ripetendo il felice modello della ricognizione archeologica estensiva iniziato con il South Etruria Survey. 3.3. L’incastellamento nei Monti Lucretili: premesse e sviluppi del popolamento rurale di un’area campione A partire dal IV-V secolo anche in ambito rurale iniziò una capillare diffusione del cristianesimo, maturata attraverso la fondazione di edifici di culto di libero accesso all’interno di ville aristocratiche, i cui possessores diventeranno i principali promotori, in accordo con le autorità ecclesiastiche, di nuovi centri di aggregazione

73 Fiocchi Nicolai 2017. Sull’evergetismo aristocratico nella Campagna Romana cfr. Fiocchi Nicolai 2007. 74 Sulla nascita delle diocesi cfr. Lauwers 2008. Sulla cristianizzazione delle campagne tra la tarda antichità e l’alto medioevo si veda Bowes 2008, pp. 125-188; Brogiolo, Chavarria Arnau 2008; Cantino Wataghin 2013; Fiocchi Nicolai 2017. Per un approfondimento sull’evoluzione della topografia cristiana in ambito urbano tra IV e VI secolo si rimanda alla lettura di Cantino Wataghin et al. 1996. 75 Augenti 2016, pp. 125-132. 76 Migliario 1988, pp. 23-32; Leggio 1989, pp. 170-184; Fiocchi Nicolai 1999; Fiocchi Nicolai 2009, pp. 20-21. 77 Sui Longobardi in Sabina cfr. Migliario 1988, pp. 33-51; Migliario 1995, pp. 23-29. 78 Toubert 1985, p. 7. 79 Come vedremo più avanti, la diocesi di Sabina ebbe un ruolo molto marginale nelle operazioni di distribuzione territoriale, lasciando il passo, più o meno volontariamente, al predominio dell’abbazia di Farfa. 80 Carocci 1988, p. 30. 81 Per una riflessione sul tema delle signorie rurali e sullo sviluppo di questo filone di ricerca cfr. Carocci 2004; Carocci 2006a; Carocci 2010b; Bianchi 2014.

Hubert 2002, pp. 457-461. Molinari 2010, p. 130. 68 Stasolla, Del Ferro 2009; Stasolla, Del Ferro, Zottis 2010; Del Ferro 2020. 69 Sul progetto legato allo studio delle signorie monastiche nel territorio della Valle Sublacense (Pani Ermini 2012) e sull’incastellamento si veda Pani Ermini et al. 2007; Annoscia 2012; Rosati 2012; Stasolla 2012. 70 Delogu, Travaini 1978; Delogu 1979; Travaini 1979. 71 Annoscia, Stasolla 2016. 72 Patterson et al. 2000; Patterson 2004, pp. 1-8; Coarelli, Patterson 2008; Patterson 2010; Patterson, Witcher, Di Giuseppe 2020. 66 67

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Il paesaggio rurale del Lazio medievale A partire dal X fino ad arrivare al XII secolo le politiche territoriali delle signorie fondiarie locali, in alcuni casi anche tiburtine82, e delle abbazie di Farfa83 e Subiaco modificarono l’assetto topografico degli insediamenti rurali con la diffusione di una nuova unità di popolamento, menzionata dalle fonti con i termini castrum o castellum84.

coordinata e sorvegliata dalle autorità ecclesiastiche91. Oltre alla contestuale diffusione di altri centri religiosi di aggregazione popolare e pubblica sparsi nel territorio come le parrocchiae o paroeciae, ovvero entità dipendenti dalla cattedrale e la cui costruzione era promossa direttamente dal vescovo92, o di luoghi dedicati al culto privato come gli oratoria, nei primi secoli del medioevo iniziarono a comparire anche le primitive fondazioni abbaziali, nuovi centri egemonici di potere e di cultura ubicati all’interno delle pertinenze diocesane.

L’abbazia di Farfa, fondata secondo la tradizione nel VI secolo, distrutta e ricostruita tra il VII e l’VIII secolo85, ha da subito ricoperto un ruolo centrale nel territorio: schieratasi a favore del Papato in occasione della lotta tra il regno Longobardo e il regno Franco86, per iniziativa di Carlo Magno passò sotto la sua diretta protezione, divenendo abbazia imperiale con una forte autonomia religiosa e civile87. Molti territori disseminati in tutta l’Italia centrale (fino alle Marche) passarono sotto il controllo dell’abbazia farfense, che divenne uno dei centri nevralgici della politica del tempo. Nuovamente in ascesa dopo la ricostruzione del monastero seguita alla distruzione saracena dell’890, Farfa intraprese un duraturo percorso egemonico nelle politiche territoriali, plasmando un vasto patrimonio sotto la propria autorità, definito Patrimonium Sabinense88.

Nel caso della diocesi di Sabina93, la fondazione dell’abbazia di Farfa fu uno degli eventi che maggiormente influì nel corso del tempo sulla geografia insediativa, giocando, specialmente dopo l’intervento di Carlo Magno e prima della sua distruzione ad opera dei Saraceni, un ruolo centrale nelle dinamiche di popolamento, modellando il paesaggio medievale del territorio sotto la sua giurisdizione, specialmente nella limitrofa area sabina94. Nel corso dell’alto medioevo iniziarono a diffondersi in ambito rurale, così come attestato tra il VII e l’VIII secolo anche dalle fonti scritte95, le cosiddette pievi96, ovvero piccole chiese rurali con diritto di sepoltura, solitamente costruite a ridosso di tracciati stradali e dotate di battistero, definite spesso anche nei documenti con il termine di ecclesiae baptismales. Iniziò così a definirsi l’organizzazione ecclesiastica tramite una rete ben strutturata di edifici, formata da insediamenti religiosi che operavano direttamente sul territorio. Nelle pievi l’intera popolazione rurale, oltre a riunirsi in preghiera, poteva assicurarsi la cura d’anime (cura animarum) accedendo ai sacramenti, e fruire di tutte le funzioni pastorali riservate al singolo individuo97. Intorno alle pievi gravitano poi ulteriori cappelle e chiese, da esse dipendenti e prive di battistero, edificate per garantire alla popolazione un più diretto contatto spirituale ed il pieno svolgimento delle funzioni liturgiche: si tratta delle ecclesiae, gli oratoria e gli oracula, realtà che si sviluppano maggiormente a partire dall’VIII secolo98. Questo tipo di organizzazione ecclesiale, come anticipato, si andava a collocare in corrispondenza dei crocevia delle maggiori vie di comunicazione, permettendo ad un più vasto numero di

3.3.1. La geografia ecclesiastica nel medioevo: le nuove fondazioni cultuali nella Campagna Romana Il territorio sabino si caratterizza per il forte radicamento della Chiesa di Roma, determinato dalla vicinanza con l’Urbe, che portò ad una precoce cristianizzazione della campagna con la creazione di una rete di luoghi di culto disseminati in tutto il contesto rurale. Tra il IV e il VI secolo la geografia diocesana è ormai tracciata89, anche se verrà poi parzialmente riorganizzata nell’XI secolo con la riforma gregoriana che porterà all’abolizione e all’inglobamento di alcune diocesi suburbicarie laziali90. L’intero Lazio, così come il distretto dei Lucretili, subì sin dallo sviluppo del cristianesimo un forte radicamento religioso che inevitabilmente si riverberò sul paesaggio rurale attraverso l’installazione di nuove fondazioni cultuali, segnando una riorganizzazione delle campagne. Nel V secolo sono attestate intorno a Roma chiese rurali di committenza privata, la cui fondazione, inizialmente all’interno di ville aristocratiche, veniva

Lo sviluppo di luoghi di culto nelle ville romane si inizia a diffondere in Occidente già a partire dal IV secolo (cfr. Bowes 2008, pp. 129-135; Brogiolo, Chavarria Arnau 2008; Fiocchi Nicolai 2017, pp. 212-217). 92 Sulla complementarità degli interventi di privati nell’edificazione di luoghi di culto a carattere pubblico cfr. Fiocchi Nicolai 2007; Fiocchi Nicolai 2017. 93 Tomassetti, Biasiotti 1909, pp. 10-33. 94 Toubert 1973, pp. 789-792; Toubert 1980, pp. 267-269. 95 Azzara 2001, p. 11. 96 Per un approfondimento sul tema delle pievi e delle parrocchie e sulle problematiche connesse allo studio di questo filone di ricerca si rimanda a Settia 1982; Violante 1982; Pellegrini 1994; Pergola 1999; Lauwers 2005; Brogiolo, Chavarria Arnau 2008; Azzara 2001; Cantino Wataghin 2013; Ronzani 2014; Fiocchi Nicolai 2017. Sull’ambiguità semantica dei termini plebs e parrochia utilizzati dalle fonti tardoantiche e altomedievali cfr. Cantino Wataghin 2013, pp. 440-442. 97 Augenti 2016, pp. 97-107 e 125-132. 98 Dall’VIII secolo queste nuove fondazioni diventano la tipologia più comune di luogo di culto, radicandosi nel territorio in modo sparso. Toubert 1980, p. 303; Settia 1982; Azzara 2001. 91

Carocci 1988, pp. 33-40. Il territorio preso in esame in questa trattazione è collocato all’interno di due importanti tenimenta, ovvero il territorio dell’abbazia di Farfa e quello Tiburtino, differenti realtà che condizioneranno differentemente l’assetto insediativo della zona. 84 Per una riflessione sulla terminologia utilizzata nelle fonti scritte si veda Settia 2018. 85 Sull’abbazia di Farfa si rimanda alla lettura di Schuster 1921; Boccolini 1932; McClendon, Whitehouse 1982; Whitehouse 1984; Whitehouse 1985; Pani Ermini 1985; McClendon 1987; Dondarini 2006; Leggio 2009; Leggio, Verducci 2017. 86 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 12. 87 Pani Ermini 1985, p. 34. 88 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 13; Pani Ermini 1985, p. 34. 89 Per una riflessione sull’utilizzo nelle fonti del termine “diocesi” si rimanda a Lauwers 2008. 90 Petrucci 1984, p. 893. Già nel VI secolo il Lazio contava quarantadue sedi vescovili (Fiocchi Nicolai 2007, p. 108). 82 83

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L’incastellamento nei Monti Lucretili persone di raggiungere i luoghi di culto. La distribuzione topografica delle chiese non plebane era sempre dettata da una scelta ponderata da parte delle autorità religiose: spesso ritroviamo questo tipo di edifici in prossimità dei confini delle proprietà fondiarie per favorire una strategia di controllo della popolazione rurale.

Attraverso lo studio delle fonti, per il territorio dei Monti Lucretili sono stati censiti ventisei siti incastellati fondati tra alto e basso medioevo106, insediamenti fortificati che, dal momento della loro costruzione, sono stati segnati da diversificati sviluppi e vicende, modellando l’odierna fisionomia del paesaggio di quest’area (fig. 3.2).

Tra il X e l’XI secolo l’introduzione dei castelli come nuovo sistema insediativo sembra portare anche a dei cambiamenti nelle pratiche religiose; il culto cristiano inizia ad essere ora professato principalmente all’interno dei centri incastellati, con la costruzione al loro interno o nel territorio di pertinenza di almeno una ecclesia castri99, che non necessariamente si collocherebbe dentro le mura del castello; infatti, molti casi dell’area sabina (attestati solamente dalle fonti) testimonierebbero la presenza di chiese plebane collocate al di fuori del recinto murario; tali edifici avrebbero provveduto allo svolgimento delle funzioni pastorali non esercitate all’interno del villaggio fortificato100.

Di questi, undici siti sono ancora esistenti, ovvero i centri a continuità di vita che non hanno subìto abbandono o distruzione nel corso del medioevo e che si sono trasformati poi, per crescita edilizia, negli attuali borghi abitati: Civitella di Licenza, Licenza, Montorio Romano, Moricone, Nerola, Orvinio, Palombara Sabina, Percile, Roccagiovine, S. Polo dei Cavalieri, Scandriglia; quindici sono invece i castelli abbandonati, scomparsi dalle fonti d’archivio, dalla cartografia moderna, ma anche dalla memoria popolare, in diversi momenti (in alcuni casi già poco dopo la fondazione): si tratta di Castel del Lago, Castiglione, Fistula, Macla, Marcellino, Montefalco, Monteverde, Petra Demone, Poggio Runci, Saccomuro, Santa Croce, Saracinesco, Spogna, Turrita e Vallebona.

La nascita dei centri incastellati e delle chiese nel territorio di pertinenza determinò una scarsa frequentazione delle pievi di epoca altomedievale, che verranno utilizzate da questo momento in poi principalmente per svolgere mansioni pastorali e battesimali, talvolta anche come santuario rurale101, specialmente se legate al culto delle reliquie; tuttavia l’avvento dei castelli non modificò l’organizzazione plebana del territorio, che continuerà ad essere definita da una pieve indipendente e da altri piccoli centri satellite, collocati dentro o fuori il castello102.

3.3.3. La proprietà rurale: storia della nascita dei possedimenti ecclesiastici e signorili nei Lucretili Un ruolo centrale nelle politiche territoriali del medioevo è rappresentato dall’istituzione del monastero imperiale di Farfa, provvisto di innumerevoli privilegi giurisdizionali, tra cui il diritto di esenzione107. La signoria ecclesiastica del monastero contava, sotto la propria autorità, numerosi territori e chiese di proprietà, spesso fuori dal controllo del vescovo della diocesi Sabina per una prassi egemonica ormai radicata, anche se non propriamente accettata dalla Chiesa romana108. Il monastero sabino doveva dipendere dal sistema diocesano, cosa che in tale circostanza non si verificò, andando a creare un proprio microcosmo che nei secoli diventò sempre più autonomo ed indipendente, nonostante fossero state pronunciate numerose sentenze per chiarire la vera autorità giurisdizionale e spirituale sul territorio della diocesi109. Sotto il principe Alberico l’abbazia imperiale riuscì ad estendere i propri possedimenti verso la valle del Licenza, area segnata dai confini diocesani tra la regione Sabina e quella di Tivoli, come si evince da una bolla di Marino II (942-946) del 944110.

3.3.2. I castelli dei Monti Lucretili Il tema dei villaggi abbandonati dei Monti Lucretili, come abbiamo già avuto modo di vedere, è stato studiato nel dettaglio dal punto di vista storiografico negli anni Settanta e Ottanta da Orsola Amore103 e da Jean Coste104, che hanno costruito un’analisi puntuale delle fonti documentarie di epoca medievale conservate per questo territorio: dai documenti dell’abbazia di Farfa, della Chiesa di Tivoli e del monastero di Subiaco, agli atti bassomedievali appartenenti agli archivi delle famiglie baronali di Roma che, a partire dalla fine del XII secolo, si sono impadronite di queste terre. Si è ricominciato a parlare di Sabina nel 2007 con l’edizione critica del Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 di Maria Letizia Mancinelli che ha indirizzato nuovamente l’attenzione, sebbene l’incastellamento non costituisca il tema portante del suo studio, sul territorio sabino nel medioevo e, di conseguenza, anche dei Monti Lucretili105.

Negli stessi secoli una illustre famiglia aristocratica iniziò a conquistare sempre più potere all’interno delle 106 Ciascun castello verrà trattano nel dettaglio nel capitolo 6 tramite la redazione di schede di sito e di tabelle riassuntive di Unità Topografica (UT). 107 Il privilegio pontificio di esenzione consentiva all’abbazia di Farfa di essere svincolata dalla diocesi di appartenenza, in questo caso dalla Diocesi di Sabina, e di essere direttamente legata alla Curia romana. Petrucci 1984, pp. 961-963; Andenna 2006, p. 106. 108 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 14. 109 Petrucci 1984, pp. 961-974. 110 Amore 1979, p. 220; Fiore Cavaliere 1993, p. 21; Allegrezza 2006a, p. 327. La bolla di Marino II è un documento molto importante in quanto stabilisce il confine tra le due diocesi. Partendo da Monte Gennaro, il limite passava per Percile (inglobando anche il territorio a Nord-Est denominato Cimata delle Serre), fino ad arrivare al Turano nel cosiddetto Campum Sacrum.

Toubert 1980, p. 268. Petrucci 1984, pp. 924-925. 101 Toubert 1980, pp. 306-307; Petrucci 1984, p. 923. 102 Petrucci 1984, pp. 923-928. A conferma di quanto appena affermato è il documento della visita in Sabina del 1343 (Mancinelli 2007): in tale scritto si percepisce ancora un’organizzazione plebana del territorio. 103 Amore 1979. 104 Coste 1988; Coste 1996. 105 Mancinelli 2007. 99

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Il paesaggio rurale del Lazio medievale

Fig. 3.2. Carta di distribuzione su base satellitare dei castelli dei Monti Lucretili. In verde i castelli abbandonati; in blu i castelli con continuità insediativa, trasformati poi nei moderni borghi (elaborazione grafica M. Bernardi - Maps data: Google, ©2015).

dinamiche territoriali dell’area dei Lucretili, divenendo protagonista del nuovo assetto geopolitico che iniziò a delinearsi nelle campagne intorno a Roma: i Crescenzi Ottaviani111. Dopo la fine dell’impero carolingio e dopo 111

le incursioni delle popolazioni saracene, i poteri locali, così come l’abbazia di Farfa, subirono un forte periodo di crisi, sfociato poi in una fase di massimo frazionamento. È proprio in questo momento di instabilità politica che i poteri signorili presero sempre maggior consapevolezza e potere, prevaricando sia le autorità ecclesiastiche che quelle

Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 18; Amore, Delogu 1983, pp. 281-282.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili riconquistare le redini del potere, riappropriandosi di molti dei beni usurpati125. Dopo la decadenza della famiglia Crescenzi, sotto l’abate Berardo I (1047-1089) numerose donazioni, unite alle acquisizioni di nuovi castelli (tra cui il Castrum Laci, corrispondente all’attuale località dei Lagustelli di Percile126), rafforzarono ed implementarono il Patrimonium Sabinense.

centrali. Nella zona dei Monti Lucretili i possedimenti di Farfa erano numericamente superiori alle terre di proprietà dell’aristocrazia rurale; le famiglie della nobiltà locale, però, ben presto si impossessarono di molti dei fondi di proprietà sulla carta della stessa abbazia farfense. Lo scarso controllo e il periodo di crisi subentrato tra IX e X secolo portò l’abbazia di Farfa a non avere più il potere diretto dei suoi territori: i possedimenti, disseminati in tutta l’Italia centrale, vennero in gran parte usurpati più o meno lecitamente, spesso senza concessioni o elargizioni, dai signori locali che, approfittando del periodo di instabilità del monastero, riuscirono a costruire una rete insediativa in grado di controllare le zone di loro interesse. L’aristocrazia locale si stanziò quindi direttamente nel territorio, andando a plasmare una nuova organizzazione delle campagne fondata sulla nuova unità insediativa: il castello112.

Oltre alle donazioni private il monastero, tramite un complesso sistema di concessioni e acquisizioni, consolidò la propria autorità sul territorio; infatti, l’abbazia diventò in questo momento direttamente protagonista delle dinamiche insediative attraverso nuove fondazioni di castelli e con un sistema di acquisizioni strategiche di siti già edificati e popolati. Come nota Orsola Amore, è il caso dei villaggi di Macla, Castel del Lago, Petra Demone e Percile che vengono acquisiti da Farfa solo dopo la loro effettiva costruzione127.

Tra il 960 e il 1012 la famiglia Crescenzi, appoggiata dal Papato, ottenne la proprietà di numerosi fondi nell’area tiburtino-sublacense113 e nel settore dei Lucretili compreso tra Palombara Sabina, il fiume Licenza e il Corese grazie ad un complesso gioco di politiche matrimoniali e ad elargizioni pontificie114. Nella zona sono stati i primi promotori della nascita dei castelli, essendo ormai proprietari (illegittimi) di numerosi fondi115; come ricorda anche il Silvestrelli “I Crescenzi e gli altri baroni della Sabina usurparono all’abbazia beni e castelli116”.

Il dominio dell’abbazia in questo periodo si concretizzò considerevolmente anche attraverso la costruzione di centri ecclesiastici dislocati nel territorio, come nel caso delle chiese di S. Maria della Vittoria a Percile e S. Maria del Piano ad Orvinio (fig. 3.3)128. Tra l’XI e il XII secolo l’abbazia di Farfa rappresenta il centro politico per eccellenza nei Lucretili, diventando il nuovo organismo promotore del fenomeno castrense dopo le prime iniziative promosse dalla signoria rurale. Nei secoli successivi, tra il XII e il XIII, l’intromissione nelle vicende locali della Chiesa di Roma modifica di fatto l’assetto egemonico che ormai si era delineato nella Sabina con l’introduzione delle nuove aristocrazie romane che iniziano ora a far capolino sulla scena politica, dapprima in ambito cittadino e poi anche in quello rurale. Rappresentanti della classe dirigente fino ai secoli successivi, le emergenti baronie aristocratiche entrano prepotentemente nelle dinamiche insediative della campagna laziale129, divenendo padroni della maggior parte dei castelli; tra i lignaggi più attivi come non menzionare la famiglia Orsini130.

Dalle fonti di Farfa117 emerge che il lignaggio Crescenzi ha avuto diverse proprietà nel distretto Lucretile, in particolar modo nella zona della valle del Licenza con i castelli di Fistula118, Macla119, Spogna120 e Petra Demone121. Alla fine del X e agli inizi dell’XI secolo, qualcosa cambiò nelle politiche territoriali: sotto la dinastia ottoniana, con Ottone III di Sassonia, si alterarono gli equilibri nella regione122; la sottomissione della città di Tivoli favorì il risveglio dell’abbazia imperiale incoraggiata da un copioso numero di donazioni di terre da parte di consorterie tiburtine e di privati123, riprendendo così pian piano vita124. Con il passare degli anni l’egemonia del monastero farfense, dopo anni di eclisse, tornò in auge; il susseguirsi di nuovi abati, interessati alle politiche territoriali, permise all’abbazia di

3.3.4. La famiglia Orsini nel territorio Lucretile: dalla nascita di un lignaggio al suo tramonto

112 In questo periodo la percezione del diritto di proprietà diventa un concetto ambiguo: le concessioni effettuate dagli enti ecclesiastici a favore di aristocratici locali, infatti, il più delle volte non venivano restituite, andando a creare un gruppo di possedimenti in mano alla signoria rurale. Wickham 2013, p. 82. 113 Carocci 1988, p. 30. 114 Amore 1979, p. 222; Amore, Delogu 1983, p. 291. 115 Le famiglie signorili insediarono il loro potere prendendo possesso di territori che non erano di loro proprietà, spesso a danno dell’abbazia di Farfa. 116 Cit. in Silvestrelli 1940, v. 2, p. 417. 117 Tra i cartulari farfensi vanno menzionati i seguenti testi: il Regesto di Farfa, il Liber Largitorius Pharphensis e il Chronicon Farfense. 118 Amore 1979, p. 224 nota n. 22. 119 Ibidem, p. 223 nota n. 20. 120 Ibidem, p. 223 nota n. 21. 121 Ibidem, p. 224 nota n. 23. 122 Pani Ermini 1985, p. 39. 123 Amore 1979, pp. 225-226; Amore, Delogu 1983, pp. 291-292. 124 In questo periodo l’abbazia di Farfa estende i suoi poteri nella regione tiburtina.

Nel cuore del XII secolo l’abbazia di Farfa sembra progressivamente perdere l’autorità conquistata nel corso Un importante mutamento per l’abbazia vi fu con l’introduzione nel 999 della riforma cluniacense ad opera dell’abate Ugo I. Anni importanti per Farfa furono sotto la guida dell’abate Berardo I (1047-1089): con questo abate il monastero riprese possesso di numerose proprietà, anche nella valle del Licenza, come ci testimoniano le cospicue fonti del Regesto Farfense. In questo periodo l’abbazia mise in moto una fase di rinnovamento dei suoi possedimenti, riorganizzando ed estendendo le proprietà anche in seguito a donazioni da parte di privati. Amore 1979, p. 226; Fiore Cavaliere 1993, p. 24. 126 Amore 1979, pp. 226-227, note 34-35; Fiore Cavaliere 1993, p. 24. 127 Amore 1979, p. 228, nota 38. 128 Fiore Cavaliere 1993, p. 25. 129 Sui cosiddetti “baroni di Roma” si rimanda alla lettura di Carocci 1993. 130 Amore 1979, pp. 230-232; Carocci 1988, pp. 41-86; Carocci 1993, pp. 387-403; Fiore Cavaliere 1993, p. 25; Allegrezza 2006a. 125

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Il paesaggio rurale del Lazio medievale

Fig. 3.3. Orvinio - Santa Maria del Piano (foto M. Bernardi).

dei due secoli precedenti131, facendo largo all’ingerenza della Chiesa di Roma che decide di ristabilire la propria supremazia della zona, anche se per poco tempo, decretando un cambiamento nella geografia territoriale132. Infatti, il Papato accordò molti dei possedimenti farfensi alle nuove famiglie baronali che stavano emergendo in questo periodo sulla scena politica romana, decretando per l’abbazia imperiale la perdita definitiva di molti possedimenti che vengono acquisiti dai nuovi lignaggi133. Tra i casati in ascesa la famiglia Orsini134 ricoprì un ruolo centrale nelle dinamiche insediative del comprensorio Lucretile tramite un sistema di politiche matrimoniali e benefici papali135 che sancirono una forte intromissione di questo casato fino al XV secolo, quando il maggior frazionamento politico e l’ingerenza di altre famiglie signorili iniziarono ad intaccare il patrimonio della famiglia de filiis Ursi136. Una complessa trama di possedimenti strategici viene plasmata dagli Orsini, che si impadronirono di molti dei

castelli già edificati ed abitati, imponendo una solida espansione nell’area testimoniata anche dalla costruzione di nuovi centri137. Questa nuova ondata di fondazioni viene definita come incastellamento duecentesco (o secondo incastellamento)138. Con l’ingerenza del Papato, molti dei possedimenti dell’abbazia passano nelle mani dei signori laici; con la crisi economica le numerose concessioni papali, originariamente date in pegno, diventano di giurisdizione della famiglia Orsini139, sancendo una nuova fisionomia della regione; tra i castelli passati dopo varie vicissitudini sotto il controllo di tale lignaggio si possono annoverare Licenza, Civitella e Percile140. Non tutti i siti fortificati, però, diventano proprietà Orsini; nel territorio perdurano ancora alcune eccezioni: il sito di Petra Demone, che rimase sempre possedimento farfense

Pani Ermini 1985, pp. 39-42; Carocci 1993, p. 71. Amore 1979, p. 230; Amore, Delogu 1983, p. 292; Fiore Cavaliere 1993, p. 25. 133 Carocci 1993, p. 72; Maire Vigueur 2011, pp. 219-249. 134 Recenti studi sintetizzano la storia del lignaggio degli Orsini. Tra i più completi Carocci 1993, pp. 387-403; Allegrezza 1998; Allegrezza 2000; sugli Orsini nella valle del Licenza cfr. Allegrezza 2006a. 135 Per un ulteriore approfondimento sulle politiche matrimoniali dei casati aristocratici, sul concetto di concessione e di beneficio si consiglia la lettura di Carocci 1993, pp. 97-104. 136 Allegrezza 2006a, p. 328. Molti dei possedimenti conquistati dagli Orsini verranno poi frazionati tra diversi lignaggi; nel XVII secolo la famiglia Borghese subentra nelle politiche territoriali della Sabina romana. 131 132

Ibidem, p. 329. Nella nuova trama insediativa costruita dagli Orsini, i castelli collocati sulle maggiori vie di comunicazione, come la Tiburtina Valeria, sembrano avere un ruolo importante sul controllo del territorio. Carocci 1993, p. 75. 138 L’incastellamento duecentesco non portò solo alla nascita di nuovi centri fortificati, sorti nel XIII secolo per iniziativa dei lignaggi emergenti, ma anche alla riedificazione e all’ampliamento di castelli già edificati. Carocci 1993, pp. 146-154. 139 Molti sono gli studi storici sulla famiglia Orsini; per una maggiore conoscenza di questo lignaggio si consiglia la lettura di Allegrezza 1998; Allegrezza 2000; Allegrezza 2006a; Carocci 1993. 140 Allegrezza 2006a, pp. 329-330. 137

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L’incastellamento nei Monti Lucretili fino al suo abbandono nel XV secolo, Castel del Lago141 della famiglia dei Colonna e il castello di Palombara Sabina dei Savelli. Anche nella valle del Licenza tra il XIII e il XV secolo vi furono lotte intestine tra le famiglie signorili: nel nostro caso i protagonisti sono gli stessi della scena romana, i Colonna e gli Orsini. Questi ultimi, ormai proprietari di molti castelli, nelle lotte tra lignaggi si trovarono ad essere appoggiati dal pontefice Bonifacio VIII (1294-1303), che li favorì a danno dei Colonna confiscando le loro proprietà, tra cui proprio Castel del Lago. Fino al XV secolo gli Orsini ottennero anche altri castra, in principio per concessione enfiteutica, poi alienati definitivamente: tra questi Montorio Romano, Roccagiovine, S. Polo dei Cavalieri, Saccomuro e Poggio Runci142. Dalla metà del XV secolo le proprietà signorili si trovarono ad essere frazionate tra diverse famiglie, frutto di complesse politiche matrimoniali143; ad esempio il già menzionato Castrum Laci era diviso tra i Colonna, gli Orsini e gli Atti di Todi; anche Civitella di Licenza e Percile cambieranno proprietà passando agli Atti di Todi144. Non sempre e non tutti i castelli dei Monti Lucretili hanno avuto lunga vita, così come accaduto anche in altri contesti regionali. La fine del medioevo sancirà anche la fine del sistema insediativo fondato sull’unità castello. Tra il XIV e il XV secolo si segnala, infatti, la parabola discendente del fenomeno dell’incastellamento, che decreterà l’abbandono di un modello di popolamento che fino a quel momento aveva fortemente definito il paesaggio rurale e l’assetto insediativo delle campagne laziali di cui ancora oggi restano le tracce monumentali nei borghi sopravvissuti.

Oltre Castel del Lago, i Colonna possedevano altri territori situati sulla sinistra del fiume Licenza. Amore 1979, p. 232. 142 Amore, Delogu 1983, pp. 292-293; Allegrezza 2006a, p. 329. 143 Fiore Cavaliere 1993, p. 26. 144 Amore 1979, p. 233. 141

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4 Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti The district of the ​​ Monti Lucretili was chosen as an ideal sample area for the study of the phenomenon of the «incastellamento» in the Latium region due to the wealth of available sources. The present chapter will focus on the different types of evidence consulted over the course of this research, including written sources (both published and unpublished), cartographic and cadastral maps, aerial photos, and archaeological data, all of paramount importance to obtain a periodization of the castle phenomenon taking place in each center and, in general, throughout the examined territory. Castles located across Sabina were originally administered by two of the most important and powerful Early Medieval monasteries in Italy: Farfa and Subiaco. In the same area, the dioceses of Tivoli and Sabina also played an important role both in the organization of the territory and in the development of the ecclesiastical topography of the countryside. Ancient manuscripts related to Farfa, Tivoli, and Subiaco are still available to us to this day, published in commented versions which provide useful information as to the activities carried out by the monasteries in their respective territories, including acts of acquisition, sale, exchange, and concessions. Published sources related to these churches are the Regestum Farfense, the Liber largitorius vel notarius monasterii Pharphensis, the Chronicon Farfense, the Regestum of the Church of Tivoli,  and the Regestum Sublacense. Between the 12th and 13th centuries, the changes taking place in the Roman upper society with the birth of a new class of aristocracy represented by the baronies, sanctioned the definitive transfer of ownership of the rural landscape. For the period involving the baronies, many documents directly refer to the Roman aristocratic families: the Archivio Orsini, partly located in the Archivio Storico Capitolino and in the Online UCLA Archive; a number of archives of modern aristocratic families preserved in the Secret Vatican Archive and the Vatican Apostolic Library; another kind of documents examined are the lists of Salt and Focatico from the Archivio di Stato di Roma, Camera Urbis, namely the tax on salt and individuals each family had to pay to the Medieval Municipality of Rome. Of significant importance are also the cartographic and cadastral maps, allowing to better define the territories under the jurisdiction of a castle with boundaries that can in all probability be traced back to Medieval legacies still featuring in modern cartography. In a research aimed at reconstructing a territory’s diachronic development it is impossible to ignore aerial photography as a source of primary importance. Aerial photos testify to the changes taking place throughout the Italian landscape, providing evidence as to which area might have been destined to agricultural and pastoral activities, possibly taking place also during the Medieval period. Among the last sources to be presented, although of central importance in this work, are the archaeological evidence. Surveys have been carried out so as to identify abandoned sites and document them. A castle is made up of a number of different structural elements such as walls, single or multiple towers, fortified keeps, residential buildings, churches and other less evident substructures (terraces, dry stone walls, etc.). Lastly, pottery evidence is also considered. Changes in ceramic production in fact play a key role in determining the different phases a site underwent during its existence. La zona dei Monti Lucretili è stata scelta come l’ideale area campione per uno studio territoriale sul fenomeno dell’incastellamento del Lazio poiché durante il periodo medievale si trovava ad essere divisa tra alcune entità monastiche molto attive nell’ambito della geopolitica

del tempo. La presenza di importati abbazie ha favorito, grazie all’opera di copiatura degli stessi monaci come Gregorio di Catino, la conservazione di una copiosa quantità di documenti di cui oggi possiamo ancora disporre. 47

L’incastellamento nei Monti Lucretili Le fonti scritte, che si dividono in fonti documentarie (edite) e di archivio (inedite), non sono le sole ad essere state consultate nel corso di questa ricerca8. Bisogna annoverare nel computo di questo studio anche altre tipologie di fonti: quelle cartografiche e catastali, che aiutano a delineare e a definire i territori di pertinenza dei singoli castelli anche se, il più delle volte, si tratta di delimitazioni riconducibili probabilmente a retaggi medievali tramandati in cartografie moderne, e le fonti archeologiche9, vera novità nello studio dei centri incastellati dei Lucretili, finora passate in secondo piano nelle precedenti ricerche su questo territorio.

I castelli collocati in Sabina e nei suoi dintorni erano originariamente nel territorio amministrato da due dei più importanti e potenti monasteri altomedievali d’Italia: Farfa e Subiaco1; nella stessa zona anche la diocesi di Tivoli e quella Sabina hanno giocato un ruolo importante sia nell’organizzazione del territorio che negli sviluppi della topografia ecclesiastica delle campagne. Per Farfa2, Tivoli3 e Subiaco4 possediamo ancora alcuni cartulari, gli antichi manoscritti, oggi pubblicati in versioni commentate, che restituiscono utili notizie pertinenti alle attività svolte dai monasteri sui territori di propria pertinenza: atti di acquisizione, vendita, scambio e concessioni enfiteutiche. Nel caso di Farfa, oltre alla tipologia di documenti sopra citata, si conserva ancora la cronaca del monastero, il Chronicon Farfense5, opera che narra in ordine diacronico la storia del cenobio, dalle attività svolte dai monaci all’interno della comunità religiosa fino ad arrivare alle politiche territoriali intraprese nel corso dei secoli sotto la guida dei diversi abati.

Prima di iniziare uno studio dove le fonti scritte, cartografiche e archeologiche devono instaurare un dialogo diretto e continuo, è necessario fare una premessa sul metodo da applicare nel corso di questa analisi. Jean Coste ha illustrato i vantaggi nella disciplina archeologica che il cosiddetto “metodo regressivo” poteva avere ai fini della ricostruzione dei paesaggi medievali10. Si tratta di un procedimento molto semplice da mettere in pratica: partendo dai documenti più recenti, come possono essere cartografie moderne o catasti (ad esempio attraverso lo studio dei toponimi), si passa poi progressivamente, e quindi “regressivamente”, ad analizzare le fonti più antiche, tenendo conto dei dati precedentemente desunti, associando e confrontando gli elementi acquisiti in questa prima fase con le nuove fonti da esaminare, fino ad arrivare alla documentazione più remota replicando il medesimo processo. Non bisogna però commettere l’errore di giungere direttamente alle conclusioni, saltando quindi i passaggi intermedi: ad esempio, non si dovrebbe confrontare un documento di inizi Novecento emanato dal comune di un borgo incastellato nel medioevo con un atto di enfiteusi di XI secolo, senza considerare nel procedimento tutta la documentazione di archivio della famiglia aristocratica che nel XIII secolo possedeva tale centro; è necessario, quindi, seguire rigorosamente la cronologia inversa dei documenti a nostra disposizione per non perdere, come dice lo stesso Coste, “l’anello di congiunzione”11.

Tra il XII e il XIII secolo la metamorfosi della società romana, con l’intromissione della nuova classe emergente rappresentata dalle baronie aristocratiche, ha consacrato nel panorama rurale il cambiamento nell’assetto proprietario, decretando il passaggio, quasi totale, dalla proprietà di tipo ecclesiastico a quella di tipo signorile6. A tal riguardo, possediamo molti atti pertinenti alle signorie romane, attualmente raccolti in fondi presso archivi statali o raccolte private. Nel caso dei Monti Lucretili, come abbiamo già avuto modo di vedere, la famiglia Orsini è stata una delle più attive negli ultimi secoli del medioevo, lasciando poi le redini nel XVII secolo ai Borghese e ad altre facoltose famiglie. Di entrambi i lignaggi rimangono ancora conservati negli archivi molti documenti7, fondamentali testimonianze per la conoscenza delle dinamiche familiari e che forniscono, inoltre, preziose indicazioni sulla fine dei castelli abbandonati e sui borghi sopravvissuti al medioevo. 1 Le abbazie di Farfa e di Subiaco, entrambe di regola benedettina, hanno influenzato nei secoli centrali del medioevo il paesaggio rurale della campagna laziale; grazie ad un complesso sistema di acquisizioni e di vendite, i suddetti enti ecclesiastici si sono assicurati il controllo quasi totale del territorio nel corso dell’XI secolo diventando, insieme alla signoria locale, i protagonisti del fenomeno dell’incastellamento. I castelli dei Monti Lucretili sono interamente collocati all’interno dei territori sotto la giurisdizione dell’abbazia di Farfa e della Chiesa di Tivoli. Il monastero di Subiaco non rientra, invece, tra le autorità di zona, interessando però il limitrofo territorio ubicato nella porzione a Sud e ad Est dei Lucretili; è possibile talvolta trovare nei documenti di Subiaco citati alcuni castelli dei Lucretili, come Saccomuro, in quanto confinanti con le proprietà amministrate dal monastero sublacense. 2 Giorgi, Balzani 1879-1914. Il Regesto di Farfa verrà abbreviato da questo momento con la sigla RF. 3 Bruzza 1983. L’opera verrà abbreviata con la sigla RT. 4 Zucchetti 1913-1932. Il Liber Largitorius verrà abbreviato nelle successive pagine con la sigla LL. 5 Balzani 1903, da ora in poi abbreviato con la sigla CF. 6 Cfr. capitolo 3. 7 I documenti dell’Archivio Orsini sono divisi tra l’Archivio di Stato di Roma (ASR) e l’Online Archive of California della UCLA University; l’Archivio Borghese è interamente conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano (ASV).

Spesso nello studio dei castelli è stato applicato questo metodo che garantisce di trovare notizie anche in documenti moderni, apparentemente non utili per la ricerca, ma in realtà indispensabili poiché consentono di concludere con il loro tassello un puzzle che altrimenti sarebbe stato impossibile da completare, inficiando la comprensione di un territorio in epoche più antiche. In questo capitolo verranno presentate tutte le fonti consultate nell’ambito di questo studio, i cui dati 8 Le fonti documentarie e le fonti d’archivio fanno parte della stessa categoria delle fonti scritte, ma si è deciso di scinderle tipologicamente per enfatizzare l’importanza nella ricerca dei documenti inediti. 9 Sull’importanza del connubio tra fonti scritte, cartografiche e archeologiche cfr. Rao 2015, pp. 35-40. 10 Coste 1996, pp. 17-23. 11 Ibidem, pp. 18-19.

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Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti sintetici andranno poi a confluire nella parte dedicata alla schedatura dei siti allo scopo di avere, per ogni singolo castello, un unico strumento che in forma sintetica possa raccogliere tutti i dati accumulati attraverso l’analisi delle fonti, consentendo di arrivare poi nelle conclusioni della ricerca ad una periodizzazione dello sviluppo di ciascun centro incastellato e, in generale, dell’intero territorio preso in esame12.

con atti pertinenti alle politiche territoriali dell’omonimo monastero20. Per una corretta lettura delle fonti è necessario avere la padronanza lessicale dei termini che spesso ricorrono negli atti medievali, premessa imprescindibile per la piena comprensione dei documenti sottoposti ad analisi21. Talvolta le parole possono essere soggette ad ambigue interpretazioni poiché in epoche differenti hanno descritto organismi dalle distinte funzioni o avere un significato molto generico che ne rende difficile l’esatta definizione22. Ne è un esempio la stessa parola “castrum” che nelle fonti di epoca romana indica un accampamento, in epoca bizantina una roccaforte ubicata in corrispondenza dei confini territoriali (sia via terra che via mare), fino ad arrivare al castello medievale che all’interno di uno stesso periodo storico può indicare molteplici e diversificate soluzioni edilizie a seconda del contesto territoriale in cui si va ad installare23. Anche il termine “casalis24” potrebbe risultare di dubbia lettura per chi si approccia per la prima volta alla materia non conoscendo i fenomeni insediativi che hanno definito la Campagna Romana nel basso medioevo: tra il XII e il XIII secolo il casale riproduce una azienda agricola fortificata ubicata nei dintorni di Roma25, gestita dalle emergenti famiglie di mercanti locali proprietari terrieri, i bovattieri26, dove venivano svolte attività economiche legate sia all’agricoltura, principalmente di cereali, che all’allevamento, finalizzato al commercio dei prodotti e del bestiame; l’architettura dei casali è simbolicamente effigiata da una torre, ubicata genericamente al centro dell’insediamento (anche se esistono alcune eccezioni di diversa posizione), che poteva essere utilizzata in parte con funzioni residenziali o per lo stoccaggio delle derrate agricole. Tali realtà territoriali daranno vita al fenomeno che verrà poi definito dallo stesso Jean Coste con il neologismo di “incasalamento27”.

L’unione delle differenti tipologie di fonti permetterà di determinare una datazione relativa sia delle fasi di fondazione che di abbandono dei castelli dell’area indagata. 4.1. Le fonti scritte 4.1.1. Le fonti documentarie (edite) Rientrano in questa sottocategoria delle fonti scritte tutte le pubblicazioni edite dei monasteri, documenti indispensabili per comprendere la genesi del fenomeno dell’incastellamento nelle aree amministrate dagli enti monastici. Per il territorio sotto (l’apparente) potestà del monastero farfense, le primissime attestazioni dei toponimi sono deducibili dal Regesto di Farfa13, raccolta di atti dell’omonima abbazia trascritti dal monaco benedettino Gregorio di Catino a cavallo tra l’XI e il XII secolo. Tali documenti, databili tra l’VIII e il XII secolo, riguardano i titoli, i diritti, gli atti di vendita e le donazioni fatte al monastero stesso da terzi e viceversa14. Nel corso della ricerca sono stati analizzati anche altri cartulari editi, quali il Liber largitorius vel notarius monasterii Pharphensis15, ovvero l’elenco delle concessioni fatte da Farfa a laici e le varie condizioni che le regolavano, e il Chronicon Farfense16, che racchiude, invece, in forma narrativa le vicende del cenobio.

Lo studio delle fonti documentarie è un imprescindibile ausilio in assenza di dati stratigrafici per poter inquadrare il momento della fondazione dei centri fortificati, ovvero quando i castelli hanno iniziato a integrarsi nell’habitat rurale. Di seguito si riportano i termini che si possono trovare associati ai toponimi nelle fonti scritte relative ai Monti Lucretili, attraverso i quali è possibile ricostruire la storia del paesaggio rurale per la maggior parte dei siti indagati, come avremo modo di vedere nelle conclusioni di questo lavoro:

Per i tenimenti di proprietà della diocesi di Tivoli, da cui dipendono alcuni castelli dei Lucretili, o nel caso di insediamenti confinanti con i territori di pertinenza del monastero di Subiaco (come Saccomuro), sono stati consultati il Regesto della Chiesa di Tivoli17, che contiene alcuni documenti conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano18 trascritti in un unico corpus per iniziativa di un vescovo della stessa diocesi, e il Regesto Sublacense19,

Sui confini e sui possedimenti del monastero di Subiaco cfr. Rosati 2012. 21 Per un approfondimento del lessico latino medievale si consiglia la visione dei seguenti dizionari: Blaise 1975; Niermeyer 1976; Arnaldi, Smiraglia 2001. 22 Cfr. Migliario 1988, pp. 53-71; Settia 2017, pp. 9-12. 23 Per un approfondimento sulle problematiche interpretative dei documenti medievali si rimanda a Settia 2018. 24 Per una riflessione sul vocabolo “casale” e per una sua definizione cfr. Carocci, Vendittelli 2004, pp. 18-22. 25 Molinari 2010, p. 131. 26 Sulla figura dei bovattieri cfr. Ait 2012, in particolare alle pp. 38-39. 27 Coste 1996, p. 28. Sull’evoluzione dello studio dei casali nella Campagna Romana e sul fenomeno poi definito come “incasalamento” si rimanda alla lettura di Gennaro 1967; Maire Viguer 1974; Coste 1976; Cortonesi 1995; Carocci, Vendittelli 2004; Esposito 2005; Ait 2012. 20

Cfr. capitolo 6. Tutti i documenti del Regesto di Farfa sono stati pubblicati in cinque volumi da Giorgi, Balzani 1879-1914 (RF). 14 Essendo l’opera redatta da Gregorio di Catino, gli ultimi documenti sono riferibili al periodo della sua attività all’interno del monastero farfense. 15 Anche in questo caso è stata compiuta la trascrizione dell’intera opera da Zucchetti 1913-1932 (LL). 16 Tutti i documenti del Chronicon Farfense sono stati editi in 2 volumi da Balzani 1903 (CF). 17 Bruzza 1983 (RT). 18 Da ora in poi abbreviato con la sigla ASV. 19 Allodi, Allevi 1885. Il Regesto Sublacense da ora in poi verrà abbreviato con la sigla RS. 12 13

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L’incastellamento nei Monti Lucretili • Pergamene Orsini dell’Online Archive of California (OAC)

• Casalicium: fattoria • Casalis: abitazione rurale • Castellum, Castrum, Oppidum, Podium: villaggio fortificato, castello costruito su un’altura • Domus, Casa: abitazione • Fundus: terreno di proprietà • Locus, Vocabulum: luogo • Pertinentia, Subjacentia: possedimenti di una proprietà titolare; presuppone l’esistenza di un centro incastellato • Tenimentum, Tenuta: possedimento terriero, podere

Originariamente facente parte del medesimo fondo conservato a Roma presso l’ASC, all’OAC è un ulteriore nucleo dell’Archivio Orsini. L’Orsini Family Paper, ca. 1150-1950 (bulk 1500-1900) è stato venduto nel 1963 dagli eredi della stessa famiglia alla University of California di Los Angeles (UCLA) ed è attualmente conservato presso il Department of Special Collection, Charles E. Young Research Library della suddetta Università. Il presente fondo è consultabile online direttamente dal sito dell’istituzione31, dove sono disponibili delle schede riepilogative che sintetizzano il contenuto di ogni documento, redatte a fine Ottocento dall’archivista di casa Orsini, Pietro Pressutti, e da altri archivisti tra i quali Cesare De Cupis. A differenza delle pergamene custodite a Roma, i documenti qui conservati sono cronologicamente più recenti: sono datati, nella maggior parte dei casi, tra il Cinquecento e la metà del Novecento.

4.1.2. Le fonti d’archivio (inedite) L’inquadramento cronologico della fine della maggior parte dei castelli dei Lucretili può essere invece supportato da un’altra sottocategoria delle fonti scritte: i documenti d’archivio. Attraverso l’analisi degli scritti conservati presso gli archivi, sia nazionali che internazionali, è possibile comprendere le dinamiche territoriali che hanno portato all’eclisse dei castelli, definendo per ciascun insediamento abbandonato la cronologia della sua fine.

• Archivio Borghese, Archivio Della Valle-Del Bufalo, Archivio Carpegna presso l’Archivio Segreto Vaticano (ASV)32

Tra i fondi e archivi consultati nel corso della ricerca si annoverano i seguenti: • Archivio Orsini presso l’Archivio Storico Capitolino (ASC)28

Presso l’ASV sono conservati gli archivi delle più importanti famiglie baronali romane che nell’Ottocento alienarono i loro carteggi alla Santa Sede33.

Nell’ASC sono conservati numerosi documenti appartenenti alla famiglia Orsini, databili a partire dal XIII secolo, venduti all’Archivio Capitolino nel 1904. Gli atti consultati nell’ambito di questo lavoro fanno parte delle serie delle pergamene (2462 documenti).

Nel caso dei documenti conservati presso ASV è stato possibile consultare, oltre a quelli pertinenti all’inquadramento cronologico della ricerca, anche atti più recenti di XVI-XVII secolo che hanno fornito importanti notizie sul territorio preso in esame sempre applicando il metodo regressivo. Questa documentazione moderna ha consentito di chiarire, ad esempio, il tipo di colture maggiormente praticate nella zona dei Lucretili, assai ricche e differenziate per qualità. Lo studio di questi documenti ha anche fatto emergere un altro aspetto: il castello, sebbene non più esistente con le stesse funzioni che avevano portato nel medioevo alla sua fondazione, trasformato poi in alcuni casi in residenza signorile o negli attuali borghi, rimane sempre una realtà viva nella conoscenza popolare, anche in epoche meno remote. Gli abitanti dei castra, infatti, vengono ancora definiti nelle fonti moderne come “vassalli”, fino alla fine dell’Ottocento. Anche il retaggio delle giornate di lavoro e delle percentuali di raccolto da elargire al dominus sono elementi spesso ricorrenti nella documentazione più recente come memoria storica, imprescindibile ausilio ai fini dell’interpretazione del paesaggio medievale e delle

Oltre ad essere testimonianze scritte di notevole valore storico, i documenti ci permettono di comprendere, il più delle volte, le vicissitudini familiari, talvolta anche molto articolate e vivaci, che si celano dietro ai sistemi di acquisizione e di vendita delle proprietà; in alcuni casi l’analisi delle fonti permette anche di conoscere il tipo di composizione sociale, le attività svolte dagli abitanti dei castelli e i motivi delle liti scaturite tra questi ultimi per ragioni più o meno ragguardevoli. Questi atti, oggi consultabili anche online dal sito dell’istituzione29, sono un utile strumento da cui poter partire per definire una datazione relativa delle fasi di abbandono dei castelli, dati da confrontare poi con gli elementi ricavati dallo studio delle evidenze archeologiche individuate attraverso l’attività di ricognizione sul campo30. 28 Sede di Piazza dell’Orologio 4. Da questo momento l’Archivio Storico Capitolino sarà abbreviato con la sigla ASC. Sull’Archivio Orsini cfr. Mori 2016. 29 Sito dell’ASC: http://www.archiviocapitolino.it 30 Come già spiegato, in questo elaborato cercherò di utilizzare due strategie di ricerca: il metodo storico, principalmente basato sullo studio delle fonti documentarie e d’archivio, e il metodo archeologico, che si focalizza, invece, sull’analisi dell’evidenza materiale. Spesso le due discipline hanno dimostrato di non saper collaborare ai fini del raggiungimento di risultati di sintesi. Questo è stato finora uno dei maggiori problemi nelle ricerche sul tema dell’incastellamento, perlomeno nella regione del Lazio; l’analisi e il confronto serrato tra le differenti fonti consentirà di arrivare a dei risultati complessivi e, forse, più completi.

31 Nel seguente sito dell’Online Archive of California è possibile consultare il contenuto dei documenti: http://www.oac.cdlib.org/findaid/ ark:/13030/kt0n39q6hv 32 Da questo momento l’Archivio Segreto Vaticano verrà abbreviato con la sigla ASV. 33 Nel sito dell’ASV è possibile visionare tutti i fondi posseduti dall’Archivio e la loro storia: http://www.archiviosegretovaticano.va/ content/archiviosegretovaticano/it.html

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Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti tradizioni e consuetudini sociali nella vita di un abitante di un centro demico fortificato.

pagare; in genere la quantità era rapportata al numero di abitanti di ogni centro popolato43, ad esempio:

• Fondo di S. Angelo in Pescheria conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV)34

Sanctus Polus Rubra salis _______________ XV L’interpretazione di tali documenti è molto complessa. Diversi studiosi si sono interessati all’argomento proponendo le proprie ipotesi di esegesi44, assai spesso soggette a confusione interpretativa. Una buona decifrazione delle liste del Sale e del Focatico ci viene proposta da Jean Coste in una nota del suo articolo dedicato ai castelli dei Lucretili45 e nei documenti conservati nel suo archivio personale46. Coste chiarisce l’utilizzo e l’interpretazione di tali dati, importantissimi per poter comprendere la cronologia degli abbandoni dei castelli. Secondo l’autore dal 1416 al 1499 i nomi delle comunità delle province del distretto di Roma, associate alle rubbia da pagare, sarebbero stati riportati su carta negli anni in maniera meccanica, senza tener conto delle eventuali variazioni delle imposte dipendenti da cali, incrementi demografici o ampliamenti di un centro abitato. L’archetipo, o lista base riportata in tali registri, secondo Coste, sarebbe da identificare con la lista della redazione degli Statuti di Roma databile al 136347. Accordandoci con tale ipotesi, l’interpretazione appare abbastanza chiara: ogni castello non trascritto nei documenti dovrebbe essere stato abbandonato prima del 1363 (datazione ante quem); i castelli menzionati nelle liste ma annoverati tra le terre inabitate o sempre menzionati senza il verbale di pagamento potrebbero essere stati abbandonati tra il 1363 (data della lista base) e il 1416 (anno del primo registro). In taluni casi, in assenza della sezione riservata alle terre disabitate, accanto al toponimo della comunità veniva aggiunto il termine destructum, esplicita indicazione della fine dell’abitato associato a tale termine.

Fanno parte di questo fondo alcuni documenti datati tra il XIV e il XIX secolo (n. 53) dell’archivio dell’omonima chiesa al ghetto di Roma, i cui documenti furono divisi in tre parti, conservati attualmente nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, presso l’ASV e nella BAV, ma solo una piccola parte è confluita in quest’ultima sede. • Le liste del Sale e del Focatico del Fondo Camera Urbis presso l’Archivio di Stato di Roma (ASR)35 Il diritto fiscale sulle saline di Ostia, retaggio di epoca romana, era un’imposta da versare per l’acquisto di sale36; in origine tale tassa era una prerogativa del Papato, ma a partire dalla metà del XIII secolo tale tributo passa direttamente nelle casse di Roma, dapprima al Comune, poi, dal XV secolo, di nuovo al Papato tra le entrate della Camera Apostolica37. Oltre a tale retribuzione ogni nucleo familiare, definito dalle fonti con il termine “foco”, doveva versare nelle casse romane un ulteriore tributo, ovvero l’imposta sulla famiglia, chiamata appunto tassa del Focatico38. 4.1.2.1. Le liste del Sale e del Focatico Le liste del Sale e del Focatico di XV secolo, proprio per la loro importanza nella ricerca, meritano di essere trattate più nel dettaglio con un paragrafo dedicato. Si tratta di fonti inedite custodite, come già specificato, presso l’Archivio di Stato di Roma e facenti parte del fondo Camera Urbis di cui si conservano oggi nove volumi, divisi ciascuno per registri39.

La trascrizione dei toponimi di castelli già abbandonati e distrutti al momento della prima redazione delle liste non risulterebbe essere quindi significativa per la loro esistenza48 in quanto si potrebbe trattare già di terre inabitate da almeno cinquanta anni. Tutte le altre ipotesi di datazione sugli abbandoni derivano, invece, dalla presenza negli elenchi dei verbali di comparizione e dalla loro analisi. L’assenza costante del verbale nell’apposito spazio nei registri può portarci a due soluzioni interpretative: l’abbandono effettivo di alcuni centri nell’anno di redazione della lista oppure il rifiuto da parte di alcune comunità di versare l’imposta49.

In ogni fascicolo, a sua volta ripartito per province40, vengono elencate tutte le comunità che dovevano versare nelle casse della Camera Apostolica le imposte sul sale e sul nucleo familiare41, tributi da liquidare in due periodi dell’anno, nei mesi di maggio e settembre42. Nei registri ogni toponimo di castello, città o abitato viene affiancato al numero di rubbia che ogni comunità doveva

43 Ogni città, castello o luogo doveva acquistare una cifra di rubbia prestabilita in base alla popolazione dell’abitato. Sull’interpretazione del rubbio anche qui troviamo molti studiosi in disaccordo: secondo Tomassetti un rubbio corrisponde a 294,46 kg (Tomassetti 1897, p. 331), secondo Pardi nel XV secolo 1 rubbio corrisponderebbe a 151,00 l circa secondo la pratica della mercatura del 1442 (Pardi 1926, p. 339); per Angelo Martini, autore del manuale di Metrologia, ancora oggi utile strumento, per gli aridi un rubbio corrisponderebbe a 294,46 l ma nel caso del sale la misura del rubbio sarebbe da equiparare a 164,59 l circa (Martini 1883, pp. 597-598). 44 Tomassetti 1897, pp. 303-368. 45 Coste 1988, pp. 409-410. 46 Arch. Coste, Carton 005, fasc. 1 e 3. 47 Coste 1988, p. 410. 48 Coste nei suoi testi e documenti chiama tali trascrizioni con “moduli”. 49 Coste 1988, p. 409.

Da questo momento la Biblioteca Apostolica Vaticana verrà abbreviata con la sigla BAV. 35 Sede di Sant’Ivo alla Sapienza. 36 Tomassetti 1897, p. 322. 37 Tomassetti 1979, pp. 123-128. 38 Coste 1988, pp. 409-410; Esposito 1998, p. 179; Passigli 1998; Passigli 2011, p. 314. 39 La nuova numerazione comprende i seguenti volumi: ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 40 Le sette province del distretto di Roma sono: Provincia della Tuscia, Provincia di Collina, Provincia di Sabina, Provincia di Farfa e Romangia, Provincia di Tivoli e Carsoli, Provincia della Campania, Provincia della Marittima. 41 Tomassetti 1979, pp. 123-128. 42 Coste 1988, p. 409. 34

51

L’incastellamento nei Monti Lucretili strumento tabellare dove tutti i dati suggeriti dalle liste sono stati raccolti in maniera sintetica con l’intento di renderli più fruibili in forma schematizzata51. Già Coste aveva tentato di fare lo stesso lavoro per tutti i siti riportati nelle liste, suddividendoli per provincia; a tal riguardo, vorrei precisare che la legenda riportata nelle tabelle qui proposte riprende il modello formulato dall’autore durante i suoi studi su tali documenti (tab. 4.1-4.2). A differenza di quanto già impostato da Coste e rimasto inedito, qui sono state riportare solo le tre province che interessano l’area dei Monti Lucretili, ovvero la Sabina, Farfa e Romangia e la provincia di Tivoli e Carsoli; associati agli abitati ci saranno gli anni delle imposte divise nelle due trance di pagamento, quando entrambe presenti, di maggio e settembre (prima imposta e seconda imposta)52.

Nel caso dei castelli dei Monti Lucretili, l’analisi dell’assenza dei verbali di comparizione è stata interpretata come “segnale” dell’abbandono: tale dato è stato un utile elemento a supporto della definizione cronologica dello spopolamento dei siti fortificati, consentendo di proporre in questa sede una periodizzazione. Ad oggi questi documenti, insieme alle fonti documentarie e d’archivio, sono la testimonianza più preziosa per comprendere la tempistica degli abbandoni dei castra degli ultimi secoli del medioevo. L’analisi autoptica delle liste del Sale e del Focatico, associata allo studio degli appunti di Jean Coste conservati nel suo archivio50, ha portato alla redazione di uno

Tab. 4.1. Liste del Sale e del Focatico dal 1416 al 1448. 1416

1419

1422

1443

1447

1448

1 imposta

2 imposta

1 imposta

1 imposta

2 imposta

1 imposta

1 imposta

2 imposta

1 imposta

2a imposta

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. B

15 r. B

15 r. E

15 r. E

15 r. E

10 r. B

10 r. B

10 r. I

10 r. I

10 r. I

A

A

10 r. B

10 r. B

10 r. B

a

a

a

a

a

a

a

a

a

Sabina S. Polo Farfa e Romangia Castiglione La spongie

5 r. I

5 r. I

5 r. I

5 r. I

5 r. I

A

A

A

5 r. B

5 r. B

Mons Falconis

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. I

10 r. I

A

A

A

10 r. B

10 r. B

Mons Viridis

15 r. B

15 r. B

15 r. I

15 r. I

15 r. I

A

A

A

15 r. B

15 r. B

Montorium

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. E

15 r. B

15 r. E

15 r. E

Moriconum

15 r. R

15 r. R

15 r. R

15 r. R

15 r. R

15 r. R

15 r. P

15 r. P

15 r. P

15 r P

Nerula

20 r. R

20 r. R

20 r. R

20 r. R

20 r. R

20 r. R

20 r. P

5 r. B

20 r. E

20 r. E

Palumbaria

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

Preta Demonis

5 r. B

5 r. B

10 r. B

A

A

A

A

5 r. B

5 r. B

5 r. B

Scandriglia

15 r. R

15 r. R

15 r. R

15 r. R

15 r. R

A

15 r. P

10 r. B

15 r. B

15 r. B

Tybur et Carsoli Canis Mortui

10/2 r. R

10/2 r. R

10/2 r. R

A

10/2 r. R

15/2 r. P

15/2 r. B

15/2 r. B

10 r. B

10 r. B

Lacus

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

Licenza

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

Petra Demonum

10 r. B

10 r. B

10 r. I

10 r. B

10 r. B

5 r. B

10 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

Porcili

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. R

5 r. P

5 r. P

5 r. P

5 r. P

Rocca Juvenis

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

S. Polo

10 r. E

10 r. R

10 r. E

10 r. R

10 r. E

10 r. E

10 r. E

10 r. B

10 r. E

10 r. B

Saracineschum I

6 r. B

6 r. B

6 r. P

6 r. P

6 r. P

6 r. B

6 r. B

6 r. P

6 r. P

6 r. P

Saracineschum II

25 r. I

A

25 r. I

15 r. I

25 r. I

A

A

A

A

A

Vallis Bona

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

Legenda: E: con verbale ma esente

B: senza verbale, spazio bianco

A: assente

I: annoverato tra le terre inabitate

R: tassa ridotta

P: verbale di pagamento

50

51 I dati ottenuti dallo studio dei documenti verranno poi trattati nelle schede di sito di ogni centro abbandonato e nelle conclusioni dell’elaborato nel paragrafo dedicato alla fine dei castelli. Cfr. capitolo 6; capitolo 7, paragrafo 7.7. 52 Hubert 2002, p. 406.

Arch. Coste, Carton 63, fasc. 107.

52

Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti Tab. 4.2. Liste del Sale e del Focatico dal 1449 al 1461. 1449

1451

1459

1460

1461

1a imposta

2a imposta

1a imposta

1a imposta

2a imposta

1a imposta

2a imposta

1a imposta

2a imposta

15 r. E

15 r. E

15 r. B

15 r. B

15 r. E

15 r. B

15 r. B

A

A

15 r. B

A

A

A

A

A

A

A

A

Sabina S. Polo Farfa e Romangia Castiglione La spongie

A

A

A

I

I

A

A

A

I

Mons Falconis

A

A

A

10 r. B

10 r. B

A

10 r. B

A

A

Mons Viridis

A

A

A

I

I

I

A

A

I

Montorium

15 r. E

15 r. B

15 r. B

15 r. B

15 r. B

A

15 r. B

A

15 r. B

Moriconum

15 r. P

15 r. P

10 r. P

15 r. P

15 r. P

15 r. B

15 r. P

A

15 r. P

Nerula

20 r. P

20 r. B

20 r. P

20 r. B

20 r. P

30 r. B

20 r. B

30 r. P

20 r. B

Palumbaria

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

20 r. P

Preta Demonis

5 r. B

5 r. B

A

5 r. B

5 r. B

A

5 r. B

A

5 r. B

Scandriglia

15 r. B

15 r. B

15 r. R

15 r. B

15 r. B

15 r. B

15 r. B

A

15 r. B

15/2 r. B

15/2 r. B

15/2 r. B

10/2 r. B

10/2 r. B

10/2 r. B

10/2 r. B

10/2 r. B

10/2 r. B

Lacus

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

Licenza

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

3 r. B

A

A

5 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

A

10 r. B

Porcili

5 r. P

5 r. P

5 r. P

A

A

5 r. B

A

A

5 r. B

Rocca Juvenis

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

5 r. B

S. Polo

10 r. E

10 r. R

10 r. R

10 r. B

10 r. P

10 r. R

10 r. B

10 r. B

10 r. B

Saracineschum I

6 r. B

6 r. B

6 r. P

6 r. B

6 r. B

6 r. B

6 r. B

A

6 r. B

Saracineschum II

A

A

A

10 r. P

A

10 r. B

10 r. B

A

A

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

10 r. B

A

10 r. B

Tybur et Carsoli Canis Mortui

Petra Demonum

Vallis Bona Legenda: E: con verbale ma esente

B: senza verbale, spazio bianco

A: assente

I: annoverato tra le terre inabitate

R: tassa ridotta

P: verbale di pagamento

4.2. Fonti cartografiche e catastali

e, in taluni casi, riportano graficamente la traccia di confini territoriali oggi non più esistenti, eredità di delimitazioni passate54.

Tra le tipologie di fonti da consultare in questo lavoro vanno considerate anche le rappresentazioni cartografiche e i catasti moderni.

Per il Lazio, poi, abbiamo un grande vantaggio: lo spoglio delle carte storiche risulta essere molto facilitato per l’esistenza dei volumi del Frutaz55 che racchiudono tutte le rappresentazioni cartografiche di questa regione realizzate (e conservate) nel corso dei secoli; in particolar modo fa al caso nostro il II volume dell’opera

Seguendo sempre il metodo regressivo, in una ricerca che miri alla ricostruzione del paesaggio è importante ricorrere ad una buona base cartografica per poter iniziare a prendere confidenza con il territorio. Come già ampiamente dimostrato da Coste, ma come in realtà ogni archeologo da campo possiede come bagaglio culturale delle proprie conoscenze, le tavolette in scala 1:25.000 dell’Istituto Geografico Militare (IGM) sono un prezioso strumento con il quale poter partire53: queste carte conservano, infatti, ancora i toponimi antichi, anche nelle più recenti edizioni

Sull’importanza delle carte IGM cfr. Coste 1996, pp. 19-20. Una buona base cartografica utile all’elaborazione di modelli insediativi nonché strumento dal quale non si può prescindere è la Carta Tecnica Regionale (CTR) che vanta molteplici edizioni. In questo volume la base cartografica utilizzata per i siti è stata la CTR del Lazio del 2014 - scala 1: 5.000, i cui file raster georeferiti in formato geo.tif sono scaricabili nella sezione open data del sito della Regione Lazio: https:// dati.lazio.it/home 55 Frutaz 1972. 54

53 Per lo studio dei toponimi si rimanda alla visione di un dizionario di toponomastica: Gasca Queirazza et al. 1990.

53

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 4.1. Cessato catasto rustico (Licenza) (fonte: ASR, Versamento UTE, Sez. Unica, Comarca 181).

di delimitazioni medievali delle zone di pertinenza. In molti cartigli, infatti, vengono indicati toponimi di castelli ormai scomparsi da almeno tre o quattro secoli e di cui, al momento della redazione del catasto, non si aveva più la consapevolezza dell’esistenza; questo dato ci potrebbe far pensare che l’ipotesi avanzata precedentemente sui retaggi dei confini potrebbe essere corretta (fig. 4.1)60.

che raccoglie le carte prodotte tra il periodo medievale e quello moderno. Ritornando, invece, al contesto dell’archivio, le piante catastali di Roma e dei suoi dintorni sono conservate presso le sedi dell’Archivio di Stato (ASR)56; tra i documenti consultati si annoverano i catasti della città: il Catasto Alessandrino57, il Catasto Gregoriano58 ed il Cessato Catasto Rustico59. Proprio quest’ultimo è stata la principale fonte interrogata poiché le sue mappe, oltre ad essere ancora oggi in buono stato di conservazione, includono anche la zona trattata. Nel Catasto Rustico i cartigli dei diversi comuni vengono rappresentati con tutti i confini dei territori contigui; questo tipo di dato, pur fotografando una situazione catastale di tardo Ottocento, consente di ricostruire in taluni casi i limiti geografici degli antichi castelli, spesso esito dell’eredità

Le fonti cartografiche e catastali risultano essere, come abbiamo visto, un utile strumento per la ricostruzione del paesaggio. Per l’epoca medievale non si sono conservate carte che riguardano questa zona della Sabina; le uniche raccolte nel volume del Frutaz pertinenti all’area dei Lucretili risalgono all’epoca moderna, così come le più recenti del Cessato Catasto Rustico. Anche se di epoca recente tali documenti possono offrire interessanti spunti per la ricostruzione dei confini e dei paesaggi della Campagna Romana.

56 I catasti, così come la parte cartografica dell’Archivio di Stato di Roma, sono conservati presso la sede succursale di via Galla Placidia. Le serie dei catasti, ovvero il Catasto Alessandrino, il Catasto Urbano di Roma, parte del Catasto Gregoriano, e il Cessato Catasto Rustico, possono essere consultate sul sito dello stesso archivio nella sezione “progetto IMAGO II”: http://www.cflr.beniculturali.it/serie.html 57 Il catasto Alessandrino, redatto nel XVII secolo (1660-1661) sotto papa Alessandro VII (1655-1667) per la manutenzione delle strade consolari, comprende una serie di piante acquerellate che rappresentano in modo generale la viabilità fuori le mura di Roma; nella serie sono comprese anche alcune piante di dettaglio riguardanti edifici e proprietà. 58 Detto anche Pio-Gregoriano poiché promosso da papa Pio VII (18001823) nel 1816 ed avviato da papa Gregorio XVI (1831-1846) nel 1835, il catasto Gregoriano è un registro particellare della proprietà ubicate all’interno dello Stato Pontificio. 59 Redatto nel 1870, il Cessato Catasto Rustico non è altro che una copia rivisitata del Gregoriano; tale catasto è di notevole importanza per lo studio della Campagna Romana in epoca moderna.

4.2.1. La mappa di Monteflavio dal fondo Orsini Family Paper Nel fondo Orsini conservato nell’OAC di Los Angeles, oltre alle fonti scritte, sono custodite anche alcune mappe storiche inedite e di notevole valore per il territorio del Lazio, tra cui è risultata di particolare interesse quella cinquecentesca di Monteflavio (fig. 4.2)61. Ad esempio, sono presenti i toponimi di Spogna, Montefalco, Monteverde ed altri castelli ormai scomparsi da almeno quattro secoli. 61 Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA. 60

54

Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti

Fig. 4.2. La pianta dei possedimenti Orsini (Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA).

55

L’incastellamento nei Monti Lucretili Datata al 1581, anche se ci sono ancora dubbi sulla sua cronologia assoluta, la pianta disegna su carta una parte del territorio dei Lucretili ai tempi degli Orsini nel Cinquecento. Ad una prima visione del documento risalta subito all’occhio tra i possedimenti della famiglia la presenza di insediamenti fortificati già abbandonati da almeno un secolo, sicuramente ben prima della realizzazione della mappa. Il primo caso è rappresentato dal sito di Spogna che viene definito nella legenda dell’immagine ancora come castello, mostrando nella rappresentazione tutte le peculiarità di un centro fortificato; tra questi elementi si riescono a scorgere un accesso monumentale, costruzioni turrite, edifici di vario tipo, tra i quali forse si può riconoscere una chiesa (fig. 4.3a).

di allarme sull’attendibilità di queste immagini, che forse miravano più che ad una descrizione figurativa realistica dei possedimenti ad una estremizzazione ideologica su carta del potere delle famiglie aristocratiche committenti, in questo caso gli Orsini, portando ad una standardizzazione simbolica degli elementi rappresentati, forse stereotipando l’immagine del castello (fig. 4.3b).

Anche Montefalco viene mostrato come centro fortificato, ma in questo caso la definizione di “vecchio castello rovinato” sottintende l’abbandono dell’insediamento, che infatti viene disegnato nell’aspetto di un rudere. La rappresentazione di Montefalco fa emergere criticità e dubbi sulla veridicità delle raffigurazioni qui proposte: in questo caso, la figura del castello non poteva essere realistica al momento dell’esecuzione della pianta poiché ancora oggi tra i resti meglio conservati del sito vi sono le mura che nel documento Orsini non vengono invece riprodotte. Questo dettaglio fa accendere un campanello

Oltre alle immagini dei castelli, la pianta ci dà moltissime notizie sul paesaggio rurale agli inizi dell’epoca moderna. Nel documento si possono distinguere tra gli elementi raffigurati anche alcuni termini che richiamano alla mente l’insediamento di tipo sparso, come il vocabolo “capanne” la cui presenza, visivamente ubicata nelle zone intorno ai centri fortificati, porterebbe a due possibili interpretazioni: da una parte la trasformazione dell’habitat rurale dopo la fine dell’incastellamento con un ritorno ad uno status quo pre-castrense, oppure, caso più plausibile, una coesistenza dell’insediamento fortificato di altura (che ancora appare

Il sito di Monteverde, associato al termine “castellaccio” che sottintende l’esistenza di un fortilizio ormai in stato di rudere, mostra, al contrario, meno cura nella rappresentazione; ad ogni modo, il castello sembra essere ancora una realtà presente (anche sulla carta) nella memoria storica di questo territorio (fig. 4.3c).

Fig. 4.3. Dettagli della pergamena Orsini con alcuni castelli dei Lucretili A) Il castello diruto della Spogna; B) Montefalco “castello rovinato”; C) Castellaccio di Monteverde; D) Il termine “capanne” più volte riportato nella pianta (Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA).

56

Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti nella mappa anche se in alcuni casi come eredità di uno scenario non più abitato) con quello sparso e disperso, verosimilmente mai scomparso dal panorama rurale (fig. 4.3d). La presenza nel territorio indagato del termine “capanne” trova conferme anche nella toponomastica moderna: ne è un esempio proprio il borgo moderno di Monteflavio, dove sia una zona all’interno dell’odierno centro abitato, nei pressi della chiesa di S. Maria Assunta, che un’area limitrofa all’insediamento, sono conosciuti e identificati ancora oggi con questa locuzione.

85, fot. da 1902 a 1911, neg. 203578 a 203686; str. 86, fot. da 3154 a 3159, neg. da 203600 a 203605 (© AFNICCD, fondo VB). – Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. da 2357 a 2369, neg. da 179009 a 179021 (© AFN-ICCD, fondo AM). – Foto SARA Nistri del 16 aprile 1977: f. 144, str. 43, fot. da 667 a 674, neg.  da 188723 a 188730 (© AFNICCD, Foto SARA Nistri). Oggi queste foto aeree per il territorio italiano sono custodite presso l’Aerofototeca Nazionale63 dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) che tramite continue iniziative di divulgazione e formazione, attua un indispensabile lavoro per la conoscenza di queste fonti64.

Nella pianta si può notare anche come alcuni dei castelli abbandonati siano diventati ormai semplici quarti di terra destinati alle attività agricole, come nel caso del “quarto Turita castello” o lo stesso Monteverde; ad ogni modo, questi fortilizi medievali sono ancora presenti nel territorio come entità “invisibili”.

Le aerofoto, se georeferite65 e inserite in un sistema GIS dove sia possibile sovrapporre (applicando quindi graficamente tramite dei layers il metodo regressivo) il satellite attuale, le ortofoto meno recenti, le foto aeree e le carte storiche (anch’esse georeferite), sono un utile strumento per l’archeologo poiché possono rivelarci molteplici informazioni su come i terreni venivano sfruttati in tempi non troppo remoti; allo stesso tempo, questi dati possono essere una valida indicazione per capire quali aree potevano garantire un corretto sfruttamento e una buona rendita anche nel medioevo per le caratteristiche geologiche dei terreni intorno agli insediamenti, fotografando di fatto una situazione più vicina a secoli passati piuttosto che a quella attuale che, con l’avvento del progresso tecnologico nelle attività produttive e per lo sviluppo dell’edilizia dei centri abitati in campagna, si presenta molto dissimile da quella di soli pochi decenni fa (fig. 4.4).

4.3. Le fonti fotografiche: le foto aeree In uno studio territoriale rivolto alla ricostruzione diacronica del paesaggio e alla ricerca degli insediamenti scomparsi non si può prescindere dalle foto aeree. Queste fonti, oltre ad essere strumenti di primaria importanza poiché consentono di comprendere le trasformazioni dell’assetto paesaggistico delle campagne italiane nel corso del secolo passato e di capire quali e quante aree erano destinate alle attività economiche di agricoltura e pastorizia, costituiscono una testimonianza diretta di storia contemporanea in quanto alcune di esse, specialmente le prime disponibili, sono state scattate dalle forze aeree alleate nell’ambito delle attività militari durante le battute finali della Seconda Guerra Mondiale62.

4.4. Le fonti archeologiche

L’area dei Monti Lucretili è stata sorvolata dapprima dalla RAF (Royal Air Force, ovvero l’aviazione britannica) tra il 1943 e il 1945, poi, dopo la guerra, dall’Aeronautica Militare Italiana (AM) a partire dagli anni Cinquanta, e da altre società di rilevamenti aerei come la S.A.R.A. I fondi consultati per questa zona sono il Mediterranean Allied Photographic Reconnaissance Wing (MAPRW), il fondo Volo Base Italia (VB), il fondo dell’Aeronautica Militare (AM) e il fondo Nistri (E.T.A., S.A.F., S.A.R.A.); nel dettaglio si tratta delle seguenti strisciate, fotogrammi e negativi:

Le ultime ad essere trattate, anche se di importanza centrale nell’economia della ricerca, sono le fonti archeologiche: sopralluoghi e ricognizioni sono stati condotti al fine di individuare i siti abbandonati per documentarli, analizzarli e descrivere dettagliatamente il loro stato di conservazione. Finora le evidenze archeologiche sono sempre state poco considerate nelle ricerche territoriali sul Lazio medievale, più di impronta storiografica sebbene di marcato rilievo scientifico. È verosimile che nella maggior parte degli studi sui castelli di questo ambito geografico, vista la fortunata circostanza di poter predisporre di cartulari ecclesiastici e di fondi delle famiglie nobili che hanno determinato nel corso dei secoli lo sviluppo del fenomeno dell’incastellamento, si sia dato più risalto a questo tipo di documentazione piuttosto che all’indagine autoptica sul campo che implica, a livello pratico, un carico di mansioni più gravose.

– Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. da 3122 a 3146, neg. da 183161 a 183185 (© AFN-ICCD, fondo MAPRW-BSR-RAF). – Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto 1954: f. 144, str. 34, fot. 1038, neg. 35931; str. 36, fot. 1099, 1100, 1101, 1102, 1103, 1104, neg. 24222, 24221, 24223, 24201, 24199, 24224; str. 38, fot. 2481, 2482, 2483, 2484, 2485, neg. 24216, 30282, 30281, 24210, 30283 (© AFN-ICCD, fondo VB). – Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 83, fot. da 888 a 893, neg. da 203021 a 203026; str. 84, fot. da 912 a 918, neg. 24236, da 203559 a 203564; str.

63 Vorrei ringraziare per la consultazione dei fondi delle foto aeree la dott. ssa Elizabeth Jane Shepherd, responsabile per il MiC dell’Aerofototeca Nazionale (ICCD). 64 Per visionare i fondi conservati e i fotoindici si veda il sito internet dell’Aerofototeca: http://www.iccd.beniculturali.it/it/fotografia/ aerofototecanazionale 65 Sull’importanza della georeferenziazione delle foto aeree e su come georeferirle si veda Verhoeven et al. 2012.

Sulle foto aeree della Seconda Guerra Mondiale dell’Aerofototeca si veda Shepherd 2015.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 4.4. Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. da 3133, neg. 183172 (© AFN-ICCD, fondo MAPRW-BSR-RAF. Su autorizzazione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione - MiC).

Quando si ha a che fare con una ricerca sui castelli abbandonati bisogna essere consapevoli delle difficoltà che un lavoro di questo tipo comporta: dai problemi di localizzazione dei siti, sfumati sia su carta che dalla memoria, alle nebulose tempistiche della burocrazia ai quali si è, il più delle volte, soggetti, fino al contatto con gli abitanti del posto, che inevitabilmente possono giocare un ruolo importante sul risultato della ricerca. Accettati tali presupposti, si può iniziare questo percorso, partendo da una conoscenza essenziale delle evidenze archeologiche ed architettoniche che si possono incontrare durante le attività di ricognizione per poter identificare gli elementi distintivi di ogni insediamento.

I villaggi fortificati che rientrano nella casistica del fenomeno dell’incastellamento hanno, per definizione, elementi peculiari che ne determinano, dall’esterno, le sembianze di centri militarizzati quali le mura, la rocca e le torri66. Tali accorgimenti architettonici devono esteriormente spiccare dalle alture sommerse dai boschi: i castelli devono essere visibili da lontano per poter esprimere, attraverso i loro simboli, il dominio su una comunità contadina, controllata da un potere eminente67. Nei paragrafi seguenti verranno sinteticamente esaminati tutti gli elementi architettonici peculiari dei centri fortificati.

4.4.1. L’estetica del castello: gli elementi architettonici degli insediamenti fortificati

Elemento imprescindibile per l’esistenza del castello, senza il quale nessun insediamento potrebbe definirsi come tale. Le mura del castello, per definizione, dovevano

4.4.1.1. La cinta muraria

Come ogni periodo storico viene metaforicamente rappresentato dalla società contemporanea attraverso i suoi edifici, anche per la struttura del castello vale la stessa regola.

Sulla nomenclatura castellana in generale cfr. Maglio, Taddei 2018. Nei contesti rurali, oltre alle tipologie edilizie menzionate nei seguenti paragrafi, si possono incontrare anche altre forme architettoniche di epoca medievale, come ad esempio i mulini, i ponti e altre infrastrutture che non rientrano nelle finalità di questa ricerca.

66 67

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Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti

Fig. 4.5. Cinta muraria del castello di Montefalco (foto V. Lattanzi).

avere la funzione di “cingere” all’interno del burgus gli abitanti del villaggio, divenendo quindi sia strumento di difesa che di controllo sulla popolazione (fig. 4.5)68.

e l’emblema nelle rappresentazioni cartografiche69. Eterogenee sono le tipologie di torri che si possono incontrare nel territorio: da quelle collocate nel punto centrale di un castello e definite in epoca più tarda con il termine di mastio70, a quelle inglobate nelle mura difensive, sia a scudo71 che chiuse su tutti i lati, dalle più diversificate forme (fig. 4.6)72. Nel caso dei Monti Lucretili la maggior parte degli elementi turriti si caratterizza per una forma quadrangolare o rettangolare, sviluppata su più livelli in altezza, anche se non mancano esempi di torrioni di forma circolare, più frequenti in epoca tarda, principalmente ricorrenti nelle fasi di ristrutturazione e di ampliamento dei castelli73. Nelle torri si poteva sia controllare il territorio di pertinenza da incursioni esterne, che comunicare visivamente con gli altri centri incastellati; tali costruzioni, però, non servivano solo per scopi strategici: esse potevano anche assumere una funzione residenziale.

All’esterno la cinta di un castello può mostrare sia elementi militarizzanti, come ad esempio le torri o la merlatura di coronamento, i cui merli possono esibire nel corso del tempo metamorfosi legate a motivazioni pratiche o puramente estetiche, che funzionali, come i doccioni per lo scolo delle acque piovane (tali accorgimenti possono essere interpretati anche come piombatoie). All’interno dell’opera muraria si possono rintracciare i segni di un camminamento di ronda, il più delle volte identificato sulla base di risparmi nei paramenti e delle tracce in negativo che implicavano la presenza di elementi accessori in legno, definiti anche con la terminologia di “apparati a sporgere”, ovvero che si impostano nella muratura con una struttura aggettante. Come già accennato, la cinta muraria può essere caratterizzata dalle torri, spesso inglobate direttamente nel circuito, ma anche da altri elementi come feritoie, nicchie, postazioni di controllo e altro ancora.

Cfr. Coste 1983, p. 475; Carocci, Vendittelli 2004, pp. 69-74; Esposito 2005, pp. 77-81. 70 Per una definizione di mastio o torre maestra cfr. Palloni 2018. 71 Le torri “a scudo” sono degli edifici costruiti solo su tre lati, lasciando il lato interno al recinto murario aperto. Tale elemento strutturale, tipico dei castelli medievali, veniva utilizzato come punto di avvistamento e di controllo inserito nelle mura di un centro fortificato. Esposito 2005. 72 Sulle forme degli elementi turriti cfr. Villari 2018, in particolare la figura a p. 71. 73 La tipologia di torre con forma circolare la ritroviamo molto frequentemente, infatti, nei castelli che non hanno subito la fase di abbandono nelle fasi più moderne. Tra gli esempi nel territorio vi sono i castelli di S. Polo dei Cavalieri, Nerola e Orvinio. 69

4.4.1.2. La torre Elemento funzionale e strategico nei castelli medievali, rappresenta per eccellenza il simbolo dei borghi fortificati 68

Cfr. Coste 1983, pp. 475-475; Esposito 2005, pp. 82-83.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 4.6. Torre a scudo inglobata nel circuito murario del castello di Macla. A. Paramento esterno; B. paramento interno (foto M. Bernardi).

il sommo baluardo difensivo del castello. La rocca castri può essere munita di molteplici elementi difensivi come le torri, la merlatura di coronamento e le postazioni di controllo collocate in punti strategici. Come per la torre, la rocca, quando presente, aveva anche una funzione abitativa, destinata, infatti, ad ospitare le consorterie del castello o chi amministrava direttamente il villaggio per conto del dominus, enfatizzando attraverso l’architettura fortificata il proprio status privilegiato sulla comunità.

4.4.1.3. La rocca Costruzione fortificata collocata comunemente nella parte sommitale e in posizione centrale di un castello (fig. 4.7)74. La rocca non sempre è presente nei villaggi fortificati che, come vedremo nelle conclusioni nell’elaborato, si differenziano per le molteplici tipologie architettoniche75. Solitamente la rocca è un elemento architettonico affine alla cinta muraria, ma, a differenza di quest’ultima, costituisce

Fig. 4.7. La rocca del castello di Castiglione (foto M. Bernardi). 74 75

Carocci, Vendittelli 2004, pp. 78-80. Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.8.1.

60

Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti 4.4.1.4. L’edilizia popolare: edifici residenziali e ambienti di servizio

– ambiente monovano e isolato, sviluppato su un unico livello; – ambiente con due o più vani comunicanti, sviluppato su un unico livello; – ambiente con sviluppo verticale su più piani, costruito sfruttando su di un lato un tratto della cinta muraria a cui si appoggia; – ambienti a schiera.

All’interno della cinta muraria e, in taluni casi, anche all’esterno, si possono trovare le evidenze architettoniche di numerosi ambienti dalle eterogenee funzioni76. Come sappiamo, nell’ambito del fenomeno qui trattato per castello si intende un villaggio fortificato; in quanto tale, la maggior parte degli edifici doveva essere destinata ad un tipo di edilizia residenziale popolare in grado di ospitare i contadini alle dipendenze del dominus con le loro famiglie. Nella zona sia intramuranea (che viene definita con il termine burgus, abitato) che extramuranea la popolazione rurale viveva in modeste abitazioni che si possono distinguere per la differenza tipologica e funzionale degli edifici. Da tenere in conto che mancano nel novero di questa categorizzazione gli ambienti costruiti in materiale deperibile che, in assenza di uno scavo stratigrafico, sono impossibili da determinare e quindi classificare.

In ogni castello non possono mancare gli ambienti legati alla vita comunitaria e al sostentamento della popolazione. Oltre alle strutture destinate alla vita privata e alle attività lavorative, è possibile rilevare altre costruzioni la cui funzione è facilmente interpretabile per alcuni accorgimenti costruttivi precipui di uno specifico ambiente: è il caso delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, caratterizzate da un rivestimento impermeabile in cocciopesto; si possono distinguere in questo territorio tra strutture ipogee, semi-ipogee (parzialmente scavate nella roccia), solitamente ubicate nella parte sommitale dell’insediamento, oppure ambienti addossati alla cinta muraria e sviluppati su più livelli in elevato come nel caso rilevato a Castiglione (UT17).

Le evidenze archeologiche per il contesto dei Monti Lucretili hanno fatto emergere l’esistenza di almeno quattro tipologie distinte di ambienti in materiale lapideo, la cui destinazione d’uso poteva essere non solo residenziale, ma anche rivolta alle attività lavorative svolte nel castello. Di seguito si riportano le tipologie riscontrate sul territorio:

Altri ambienti sono destinati allo stoccaggio e alla conservazione delle derrate agricole accumulate nella stagione estiva (fig. 4.8): si tratta dei silos e delle neviere,

Fig. 4.8. Montefalco. Ambiente adibito allo stoccaggio (silos) (foto M. Bernardi). 76

Carocci, Vendittelli 2004, pp. 84-87; Esposito 2005, pp. 85-87.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili quest’ultime indispensabili bacini, comunemente di forma circolare o semicircolare, dove depositare la neve in inverno, utilissimo elemento per la conservazione degli alimenti e molto semplice da reperire in un ambiente montano. Di più difficile interpretazione sono, invece, le stalle per il bestiame che possono essere talvolta scambiate per abitazioni.

di fondare altre unità religiose; iniziano infatti a diffondersi nuovi luoghi di culto ubicati nelle pertinenze degli stessi castelli, ma all’esterno della cinta muraria (ecclesia extra muros)78: ogni villaggio poteva quindi assicurare nelle sue pertinenze uno o più edifici per lo svolgimento delle funzioni liturgiche (non tutti però con mansione di cura d’anime)79. Anche in questo caso in assenza di dati di scavo risulta molto difficile l’identificazione di tali edifici, anche se alcune caratteristiche della struttura possono aiutarci nell’interpretazione, come ad esempio la presenza di elementi absidati (che ricordiamo non sempre sono presenti nelle chiese di epoca medievale), la posizione all’interno o all’esterno del sito, l’orientamento e la presenza di nuclei sepolcrali nelle vicinanze o di altri elementi accessori come ad esempio dei piccoli tabernacoli (fig. 4.9).

4.4.1.5. La chiesa77 L’edificio consacrato al culto cristiano è una presenza costante nell’habitat rurale, ben prima della nascita dei castelli con la diffusione di chiese nelle ville romane, di oratori, pievi e parrocchie. Con la nascita dei centri demici fortificati viene a modificarsi il precedente assetto ecclesiale del territorio che, da questo momento, necessita di essere supportato da ulteriori cellule religiose designate alle funzioni liturgiche. Da questa nuova esigenza nascono infatti le ecclesiae castri, luoghi di ritrovo dove la comunità del castello poteva adempiere ai precetti della religione cristiana. Ogni castello prevedeva l’esistenza di almeno una chiesa all’interno della cinta muraria (ecclesia intra muros), ma con il passare degli anni e grazie alla crescita demografia all’interno dei nuovi centri, si sente l’esigenza

4.4.1.6. Sostruzioni e terrazzamenti La caratteristica peculiare dei castelli, come ben sappiamo, è la loro ubicazione su di alture, le cui creste rocciose e irregolari esibivano, prima dell’occupazione antropica, forti dislivelli e imponenti salti di quota già nell’ordine di poche decine di metri, rendendo l’ambiente decisamente inospitale e inadatto per un insediamento. L’irregolarità

Fig. 4.9. Chiesa intramuranea del castello di Monteverde (foto M. Bernardi).

78 77

Coste 1983, p. 474.

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Toubert 1980, p. 268. Petrucci 1984, pp. 924-925.

Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti

Fig. 4.10. Sostruzione del castello di Montefalco (foto M. Bernardi).

delle cime80 rendeva impossibile lo sviluppo edilizio di una unità complessa come il castello, da fondare per esigenze strategiche nel punto sommitale del rilievo. Le differenze altimetriche della superficie dovevano essere, quindi, dapprima smussate, poi livellate tramite degli accorgimenti architettonici atti a regolarizzate l’area per creare un piano edificabile. A tal riguardo, è molto frequente rilevare all’interno delle cinte murarie (oggi osservabili specialmente nei castelli abbandonati) grandi sostruzioni in muratura in corrispondenza delle curve di livello, espediente strutturale per fronteggiare questo problema dell’irregolarità, non di secondaria importanza (fig. 4.10). Solitamente venivano costruiti due muraglioni paralleli, di cui era visibile solo il paramento esterno poiché la maggior parte della costruzione veniva interrata o costruita direttamente contro terra. Lo spazio che intercorreva tra le due sostruzioni svolgeva, in taluni casi, anche un’altra funzione, andando a delimitare un passaggio interno al castello destinato alla transitabilità pedonale.

terrazze pianeggianti su piani in origine inclinati, adoperate sia per scopi agricoli che per la costruzione di fabbricati. 4.4.1.7. I muretti a secco o macere Le strutture legate alla definizione dello spazio rurale, sia di uso comune (come le infrastrutture stradali) che di uso privato (pensiamo ai campi tenuti a coltivo o ai recinti per l’allevamento), spesso possono risultare impercettibili ad una prima vista, se non addirittura invisibili. Nella realtà, se si osserva il territorio semplicemente dall’alto tramite delle immagini satellitari, è possibile scoprire che l’intero paesaggio mediterraneo, così come il comprensorio dei Monti Lucretili, è fortemente segnato da evidenze “demilitanti”, ovvero i muretti a secco, che dal 2018 sono entrati a far parte della “Lista del patrimonio immateriale nell’UNESCO”81. Si tratta di piccole e basse costruzioni in materiale lapideo, rigorosamente costruite senza l’utilizzo di legante e con materiale di risulta, con la funzione di definire delle aree di pertinenza (fig. 4.11). Nel linguaggio popolare dell’Italia centrale spesso queste opere sono definite come “macere”, termine che riprende un po’ quel concetto di scarto del materiale edilizio, percepito genericamente come maceria, accumulo di residui. Difficile, se non impossibile, datare queste strutture per l’assenza di indicatori cronologici e per il loro ampio

Non solo massicce opere come le sostruzioni si possono trovare nei villaggi fortificati; è molto frequente, infatti, trovare interventi edilizi più limitati in elevato come i terrazzamenti, costituiti da muretti in materiale lapideo (sia legati da malta che a secco) che andavano a creare delle Le alture venivano spesso definite nelle fonti scritte con il termine di “petrose” che riassume con precisione l’aspetto che questi territori dovevano assumere. Nel territorio dei Lucretili un caso emblematico è rappresentato dal castello di Petra Demone, che conserva nel toponimo l’eredità di un paesaggio montano.

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81 Sito internet dell’UNESCO dedicato al patrimonio immateriale: http:// www.unesco.it/it/News/Detail/600

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 4.11. Muretti a secco (macere) intorno al castello di Montefalco (foto da drone F. Fasson).

I cambiamenti nelle produzioni ceramiche nel corso nei secoli permettono di determinare, attraverso l’analisi dei contesti, le fasi di vita di ogni insediamento soggetto ad indagini archeologiche, sia di tipo intensivo, come nel caso di siti indagati tramite scavo stratigrafico, che di tipo estensivo con le ricognizioni di superficie84. L’evidenza ceramica rappresenta il fossile guida nelle ricerche mirate alla ricostruzione dei paesaggi, fornendo importanti dati sugli sviluppi e sulle cronologie degli insediamenti. L’attività svolta direttamente sul campo alla ricerca dei castelli abbandonati dei Monti Lucretili ha permesso di individuare la presenza di numerose aree con frammenti fittili affioranti dalla superficie: si tratta perlopiù di macroscopici elementi da costruzione, come tegole e coppi, e ceramica da mensa e dispensa attribuibili a diverse produzioni di epoca medievale e moderna il cui ritrovamento ha fornito elementi utili ai fini della datazione degli insediamenti trattati.

utilizzo nel tempo, da epoche più remote fino ai giorni nostri82. Ad ogni modo, le macere possono ancora rivelare, attraverso le loro pietre accatastate, l’eredità di confini ben più antichi, retaggio di delimitazioni che nel corso dei secoli non hanno poi subìto macroscopici mutamenti, modellandosi e adeguandosi a delle preesistenze. Nei Monti Lucretili sia le strade carrabili legate ad una viabilità secondaria (non le vie consolari) che quelle ad uso pedonale erano perlopiù delimitate da due file parallele di macere che incanalavano il percorso da seguire. Questo tipo di opere venivano anche utilizzate sia per segnare i confini di un territorio, come ad esempio l’area di pertinenza di un castello, di un comune o di un ente ecclesiastico, oppure per recintare gli spazi riservati ad uso familiare come gli appezzamenti di terra destinati all’agricoltura o recinti per il bestiame. 4.4.2. Il dato ceramico Per fonti archeologiche non si intendono solo le evidenze monumentali, sicuramente più percettibili nel territorio, ma anche tutte quelle piccole ed infinite tracce, sotto forma di frammenti, lasciate dai reperti ceramici e che riemergono in superficie da epoche passate e che solo un occhio attento e consapevole può saper riconoscere83.

Per il sito di Montefalco nel 2020 è stata organizzata una prima campagna di ricognizione archeologica all’interno del progetto “Monti Lucretili Landscape project” volta alla ricostruzione diacronica del paesaggio rurale intorno al castello85. L’analisi autoptica dei materiali rilevati e censiti in situ, ma senza la collezione degli stessi, ha permesso sia di collocare cronologicamente le fasi di

Proprio per l’impossibilità di definirne la cronologia, le macere non sono rientrate nel computo della schedatura delle Unità Topografiche; ad ogni modo sono elementi da tenere in considerazione nell’analisi delle infrastrutture e delle attività economiche dei singoli siti. 83 Tutti i contesti abitati, che siano urbani o rurali, lasciano nei luoghi le tracce di vita degli abitati sotto forma di ceramica, materiale indistruttibile per composizione mineralogica.

Sull’analisi, quantificazione e interpretazione del dato ceramico nello scavo archeologico si rimanda a Ceci, Santangeli Valenzani 2016. Per un approfondimento sull’archeologia della produzione a Roma si consiglia la lettura di Molinari, Santangeli Valenzani, Spera 2016. 85 La prima campagna di ricognizione presso il castello di Montefalco si è svolta nel febbraio 2020 sotto la direzione scientifica del prof. Riccardo Santangeli Valenzani e della prof.ssa Emeri Farinetti, con la direzione sul campo di chi scrive. 84

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Storia di un paesaggio rurale attraverso le sue fonti vita del castello che di individuare gli spazi destinati alle attività economiche, come avremo modo di approfondire meglio nelle conclusioni di questo lavoro86.

produzione della maiolica arcaica94. Quest’ultima presenta un apparato decorativo ricco di motivi geometrici, floreali, zoomorfi e antropomorfi; per tali ornamenti venivano utilizzati i colori del bruno manganese, il verde ramina e il blu cobalto, il tutto su sfondo bianco (i colori più frequenti agli inizi della produzione); l’intero prodotto veniva poi rivestito da uno strato di vetrina trasparente95.

Nel medioevo i mutamenti politici, sociali ed economici ricadono anche nel campo dell’attività produttiva che risente in questo periodo dei cambiamenti della società, riflettendosi più direttamente sugli usi e costumi del momento87. Tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo emerge una nuova produzione ceramica definita “invetriata” che diventerà, nelle sue diverse forme, la realtà produttiva caratterizzante dell’epoca medievale88. In questi secoli dell’alto medioevo è attestata la ceramica invetriata definita Forum Ware, meglio nota come ceramica a vetrina pesante, individuata sia a Roma che in molteplici contesti della Campagna Romana89.

L’individuazione della maiolica arcaica nei contesti incastellati è un elemento particolarmente rilevante: infatti la presenza di questo tipo ceramico in un sito potrebbe confermare o smentire i dati ricavati dallo studio delle fonti documentarie in merito alle datazioni degli abbandoni dei centri.

A partire dall’XI secolo si assiste ad una forte riduzione della ceramica a vetrina pesante, che passerà il testimone ad una nuova produzione, la vetrina sparsa o Sparse Glazed. Questo nuovo tipo ceramico, che dura fino al XIII secolo, si caratterizza per il rivestimento invetriato non uniforme, ma molto diradato e concentrato sulla spalla del vaso90. Nei castelli medievali è possibile riconoscere in superficie frammenti di vetrina sparsa poiché è la produzione ceramica contestuale alle fasi di sviluppo del fenomeno castrense91. Sempre dalla prima metà del XIII secolo inizia a circolare la Ceramica Laziale che introduce nuove tecniche di rivestimento e decorazione derivate dal mondo islamico. Tale produzione con invetriatura verde, dipinta e smaltata, esibisce una decorazione a motivi geometrici e vegetali; i colori impiegati generalmente sono il bruno ed il verde, talvolta anche il giallo92. Tra il XIV e il XV secolo93 si diffonde l’utilizzo di un nuovo rivestimento smaltato a base di stagno che darà origine alla Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.2. Per una sintesi sui cambiamenti nelle produzioni ceramiche a Roma e nel Lazio: Patterson 1993; De Minicis, Giuntella 2005; Molinari 2010, pp. 138-139. Per un approfondimento sul tema si consiglia la lettura degli atti dei convegni “Le ceramiche di Roma e del Lazio in età medievale e moderna” a cura di E. De Minicis (De Minicis 1994; De Minicis 1995; De Minicis 1998; De Minicis 2002; De Minicis 2005; De Minicis 2009). Per un approfondimento sulla ceramica medievale in ambito urbano si rimanda a Fori Imperiali 1 e Fori Imperiali 2; Crypta Balbi 3 e Crypta Balbi 5. 88 Sull’invetriata tra epoca tardo antica e medioevo cfr. Paroli 1992. 89 La ceramica a vetrina pesante, definita anche Forum Ware per il contesto del suo primo ritrovamento negli scavi del Foro Romano, si caratterizza per un rivestimento spesso invetriato di colore verde o più raramente giallo, presente sia all’interno che all’esterno della forma ceramica nelle sue prime produzioni. A volte la Forum Ware può presentare dei motivi decoravi, il più comune è quello con petali applicati, a pinoli o talvolta delle decorazioni incise. Tra i contesti maggiormente indagati e rappresentativi di questa produzione si ricorda la Crypta Balbi (Romei 1992; Ricci, Vendittelli 2010; Crypta Balbi 3; Crypta Balbi 5) e i contesti delle domuscultae di S. Cornelia (Patterson 1991) e S. Rufina (Cotton et al. 1991). 90 Patterson 1993, p. 325. 91 Nei castelli è molto più frequente l’individuazione di ceramica da fuoco, utensileria più comunemente usata nei contesti domestici. 92 Mazzuccato 1976, pp. 41-54; Costantini 1994, pp. 289-290; Molinari 2000, pp. 28-29. 93 Le primissime produzioni di maiolica arcaica sono attestate dalla seconda metà del XIII secolo; uno dei contesti dove è stata riscontra la presenza di tale produzione in questo secolo è la Crypta Balbi, che sembra anticipare la produzione ceramica che poi verrà consacrata definitivamente nel XIV secolo (Molinari 2000). 86 87

Ricci, Vendittelli 2010, pp. 102-175. Mazzuccato 1976, pp. 54-62; Molinari 1990; Ricci, Vendittelli 2010, p. 102.

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5 La materia dei castelli: l’analisi delle tecniche edilizie Over the last decades of the twentieth century, masonry analysis techniques have developed into one of the major “chronological markers” in the study of historical buildings, becoming a central topic of debate in the field of the archaeology of architecture thanks its continual growth. In a territorial study involving Medieval castles, building technique analysis is an essential tool capable of providing a chronological point of reference for architectural features when lacking archaeological and stratigraphic data. In this chapter, the different materials and stone element typologies employed that fall in the categories of “bozze” (irregular stones), “blocchetti” (blocks), and “conci” (finished materials) will be analyzed. The choice of building material has always been linked to geomorphological aspects of a territory as well as economic factors. The geomorphology of Rome’s environs is quite varied with the area of the Roman Sabina and the Monti Lucretili differing from other typical volcanic soils. This is due mainly to the presence in the local subsoil of solid limestone, although other lithotypes are also present. Nearly all of the castles in the district of the Lucretili were built using limestone extracted from surface outcrops directly available on-site. The choice of employing material quarried in the castle’s vicinity can be ascribed to its immediate use for construction purposes. While in the first phases of stone castle building, structural durability rather than aesthetic detail was looked for, the analysis and establishment of clear chronological sequences in the building techniques employed for the construction of abandoned castle structures from this territory has been complicated by the fact that the same materials and limestone elements were continuously employed throughout the Sabine area from the 10th to the 15th century. Nonetheless, it has been possible to circumscribe certain structural elements that allow to ascribe different parts of masonry to one period rather than another. These include wall surface horizontality, mortar type, the quality in stone block finish and the presence of features perpendicular to the wall surface, commonly referred to as “zeppe”. A careful evaluation of these elements can lead to a more exact typological definition of wall curtains. Lastly, a catalogue of the different wall-types recorded in the area of the Lucretili and dating to the Medieval period is presented at the end of the chapter. A partire dagli ultimi decenni del Novecento l’analisi delle tecniche murarie si può considerare uno degli “indicatori cronologici” maggiormente utilizzati nello studio dell’edilizia storica1. Il nuovo metodo di indagine fondato sulle tecniche costruttive è stato proposto dapprima da Tiziano Mannoni2, poi ripreso e approfondito da Roberto Parenti3 e da altri studiosi nel corso degli ultimi decenni4, diventando uno dei temi centrali del dibattito

sull’archeologia dell’architettura per la sua continua evoluzione e sviluppo5. In uno studio territoriale sui castelli medievali abbandonati, l’analisi delle tecniche edilizie è un indicatore temporale imprescindibile poiché consente di dare un’attribuzione cronologica alle evidenze architettoniche in caso di assenza di dati stratigrafici; è necessario, però, fare una

Un primo spunto di riflessione sulle tecniche edilizie in pietra e laterizio nell’alto medioevo è stato proposto da De Angelis D’Ossat 1971. 2 Tiziano Mannoni è stato il pioniere nello studio delle tecniche edilizie in Italia, studiando dapprima alcuni contesti regionali come la Liguria (Mannoni 1976). I suoi lavori hanno dato un forte impulso verso lo studio delle cronologie di edifici storici sulla base delle opere murarie (Mannoni 1984). 3 Parenti 1988. 4 Tra i ricercatori che hanno studiato maggiormente le tecniche edilizie medievali vanno menzionati per il campo dell’archeologia David Andrews (Andrews 1982; Andrews 1988), Gian Pietro Brogiolo e Aurora 1

Cagnana (Brogiolo 2008; Cagnana 2000; Cagnana 2010; Brogiolo, Cagnana 2012), Elisabetta De Minicis (De Minicis 1988; De Minicis, Hubert, Noyé 1990; De Minicis 1997; De Minicis 1999a; De Minicis 1999b; De Minicis 2008), Giovanna Bianchi (Bianchi 2008; Bianchi 2010); per il campo dell’architettura Renzo Chiovelli (Chiovelli 2007), Daniela Esposito (Esposito 1996; Esposito 1998; Esposito 2004; Esposito 2005), Donatella Fiorani (Fiorani 1996a; Fiorani 1996b) e Mauro De Meo (De Meo 2005; De Meo 2006). Sulle tecniche murarie nell’edilizia paleocristiana a Roma cfr. Cecchelli 2001. 5 De Minicis 1997.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili impiegando come materia prima la pietra calcarea, estratta direttamente dagli affioramenti superficiali disponibili nel sito prescelto per l’edificazione del castrum. L’utilizzo del materiale prelevato direttamente nei dintorni del nuovo insediamento antropico garantiva allo stesso tempo l’immediata disponibilità degli elementi costruttivi e il loro rapido utilizzo nelle opere architettoniche15. Il prodotto finale della fase estrattiva è un blocco compatto di forma irregolare, poi ridotto in elementi dalla diversa pezzatura da utilizzare nei paramenti murari. Nella maggior parte dei castelli dell’area gli elementi lapidei vengono impiegati negli edifici direttamente dopo la sola lavorazione della sbozzatura, attività che riduce il materiale estratto da cava in pezzi dalle dimensioni volute, ma senza la ricerca di regolarità nella forma; nelle prime fasi dell’incastellamento “in pietra”, come riscontrato per i siti dei Lucretili, non si ricerca una perfezione nei paramenti, ma la durevolezza delle strutture.

precisazione: tale analisi non potrà mai avvicinarsi ad una datazione assoluta senza il supporto delle fonti indirette6. In questo capitolo verranno dapprima analizzati i materiali adoperati nella costruzione dei castelli dei Monti Lucretili, per poi passare alla tipologia delle strutture murarie attraverso lo studio della posa in opera, dei materiali datanti e degli elementi decorativi ed accessori, fino ad arrivare ad una schedatura esemplificativa dei paramenti murari e ad una tipologia delle tecniche murarie rilevate nell’area campione. Attraverso lo studio delle tecniche murarie è possibile ricostituire la periodizzazione di ogni edificio, definendo quindi sia le sue fasi di utilizzo che di riutilizzo, fino ad arrivare ad una sintesi dei maggiori interventi edilizi per ogni sito. Possiamo considerare l’archeologia dell’architettura come la disciplina alla base dello studio dei castelli: partendo dai suoi consolidati metodi, uniti alle più avanzate tecniche di indagine non invasive sui monumenti, si può giungere ad una analisi critica dell’evoluzione cronologica delle tecniche costruttive utilizzate nei cantieri medievali7.

Il materiale cavato poteva anche essere soggetto ad una maggiore lavorazione e finitura, producendo degli elementi pressoché uniformi per forma e dimensioni, come nel caso dei blocchi e dei conci; attraverso l’analisi del grado di lavorazione, di finitura e della posa in opera dei materiali, elementi variabili e mutati nel corso dei secoli, è possibile avanzare delle ipotesi di datazione degli elevati, componendo così una diacronia costruttiva per gli insediamenti abbandonati16.

5.1. I materiali da costruzione nell’area dei Lucretili La scelta del materiale da costruzione è sempre stata legata agli aspetti geomorfologici propri del territorio, connessa nella maggior parte dei casi alle contingenze economiche8.

L’utilizzo del materiale cavato direttamente nelle vicinanze dell’insediamento è da ricondurre, come già accennato, a motivazioni economiche: l’immediata disponibilità della materia prima consentiva di abbattere sensibilmente sia i costi che i tempi del trasporto, evitando così un lungo e difficoltoso spostamento dei materiali lapidei in siti collocati perlopiù su cime molto erte che avrebbe causato solo una perdita in termini economici e di manodopera17.

La geomorfologia dei dintorni di Roma si presenta piuttosto variegata. Gran parte dell’area laziale si caratterizza per le formazioni geologiche di tipo tufaceo, legate alle attività vulcaniche di migliaia di anni fa dei distretti dei Colli Albani, Colli Sabatini e Cimini9. La zona della Sabina romana e dei Monti Lucretili, invece, si diversifica dalle zone di origine vulcanica principalmente per la presenza nel sottosuolo di materiale calcareo massiccio (fig. 5.1)10, anche se non mancano esempi di altri litotipi come lo stesso tufo11, il travertino12, la pietra arenaria13 e la puddinga, un conglomerato di calcare, rocce e ciottoli14.

L’estrazione della pietra in situ è stata associata anche alla possibilità di poter livellare e regolarizzare la parte sommitale dei rilievi prescelti per la fondazione dei castelli, unendo quindi le due attività in un’unica azione18. La pietra calcarea, inoltre, è un ottimo materiale edilizio, molto compatto e duraturo nel tempo per la sua composizione geologica, ideale elemento anche per la produzione della calce.

La quasi totalità dei castelli del distretto dei Lucretili, sia abbandonati che a continuità di vita, è stata costruita 6 Per fonti indirette si intendono tutte le fonti testuali, iconografiche o cartografiche che consentono di datare con precisione un manufatto, e le fonti materiali ovvero stratigrafiche. 7 Per una recente riflessione sul tema dell’archeologia dell’architettura nello studio di castelli si consiglia la lettura di Zoni 2018. 8 Esposito 2004, pp. 214-215; Esposito 2005, pp. 27-28; De Meo 2006, pp. 88-94. 9 Sulla struttura geologica dell’area romana e sui materiali utilizzati cfr. Esposito 1998, pp. 69-88; Esposito 2005, pp. 27-30. 10 De Meo 2005, p. 79; De Meo 2006, pp. 85-87. 11 Nell’area dei Monti Lucretili sono presenti alcuni banchi di tufo nella zona Tiburtino-Cornicolana; nella media Valle dell’Aniene, tra S. Polo dei Cavalieri e Vicovaro, è presente un ulteriore litotipo vulcanico, il cosiddetto “Neck a pozzolana”. De Vecchis 2007, p. 24. 12 Il travertino è una pietra calcarea porosa tipica della zona tiburtina (Bagni di Tivoli); veniva chiamata già in epoca romana “Lapis Tiburtinus”. 13 La pietra arenaria è un litotipo presente principalmente nel territorio del Reatino, nella zona settentrionale del distretto Lucretile. 14 Esposito 1998, p. 83; De Meo 2006, pp. 85-87.

Non solo il materiale lapideo veniva utilizzato nell’edilizia castellana. Ad esempio, nei siti generalmente ubicati nelle vicinanze di strade antiche o fondati su un’altura non troppo elevata di quota si possono riconoscere nei paramenti anche materiali fittili reimpiegati nelle murature come laterizi, tegole e coppi che venivano prelevati dai preesistenti Esposito 2016, p. 345. Sulle fasi del ciclo produttivo nei cantieri medievali, da quella estrattiva fino alla messa in opera degli apparati murari, e sulle tecniche edilizie si rimanda a Cagnana 2010; Bianchi, Cagnana 2016 (in quest’ultimo contributo per una sintesi sulle caratteristiche dei cantieri rurali si veda pp. 476-477). 16 De Meo 2006, pp. 115-118. 17 Esposito 1998, pp. 123-124; Bianchi, Cagnana 2016, p. 468. 18 De Meo 2006, pp. 88-89. 15

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La materia dei castelli

Fig. 5.1. Banco di roccia calcarea dal sito di Petra Demone - Cima Coppi (foto M. Bernardi).

5.1.1. La classificazione degli elementi lapidei della Sabina

insediamenti dismessi di epoca romana (come le ville), non troppo distanti dal castello19. Ad ogni modo, rispetto alla pietra calcarea, l’uso di materiale di riuso sembra assai sporadico e limitato nell’economia dei paramenti20.

Gli elementi lapidei si differenziano per la loro pezzatura, ovvero il grado di lavorazione del materiale dopo l’estrazione dal banco roccioso.

Un’altra risorsa da considerare nel computo dei materiali nei cantieri edili è l’acqua: nelle attività legate al ciclo produttivo della calce è indispensabile disporre di un’ingente quantità di questo elemento durante tutte le fasi della lavorazione. Nei centri incastellati lontani da sorgenti o fiumi non doveva di certo risultare semplice sia l’approvvigionamento che il trasporto dell’acqua; inoltre, la lontananza da tali risorse poteva influire negativamente anche sulle dinamiche di sussistenza di un centro abitato incastellato, come giustamente asserito da Giovanna Bianchi21.

In Sabina per costruire i castelli medievali, proprio per le caratteristiche geomorfologiche del territorio, è stata utilizzata in larga misura la pietra calcarea, esemplare materiale da costruzione per le proprietà meccaniche della materia, ma allo stesso tempo anche di difficile lavorazione per la sua durezza e compattezza, qualità che rendevano ardua a delle maestranze non specializzate (come i contadini dei castelli) la sua lavorazione, specialmente nelle fasi della rifinitura e regolarizzazione degli elementi22. Le componenti fisiche e chimiche dei materiali, infatti, condizionano i gradi di lavorazione dei pezzi, che possono di conseguenza arrivare a differenti gradi di finitura.

Esposito 2005, pp. 50-53. De Meo 2006, p. 87. Sull’uso dei laterizi di reimpiego in area romana e laziale cfr. Montelli 2011, pp. 63-86 e 109-114; sugli elementi di reimpiego negli edifici si veda Esposito 2008. 21 Bianchi, Cagnana 2016, p. 477. 19 20

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De Meo 2006, p. 87.

L’incastellamento nei Monti Lucretili solitamente un minor grado di lavorazione, sia per favorire l’ammorsatura nella muratura che per l’inutilità di completare un elemento non visibile dall’esterno che non sottende quindi funzioni decorative25. Per le bozze non esiste una misura standardizzata, ma nella zona dei Lucretili le indagini nei siti hanno rivelato che non superano i 50x25 cm circa (larghezza per altezza).

L’analisi autoptica delle evidenze archeologiche e architettoniche dei castelli abbandonati dei Monti Lucretili ha mostrato che gli elementi lapidei adoperati in questo contesto si possono includere in tre categorie, che si differenziano sulla base della pezzatura: le bozze, i blocchi e i conci23. In tale ripartizione non rientrano le cosiddette scaglie lapidee, in realtà molto frequenti nelle cortine murarie medievali ma, non essendo queste un prodotto voluto nei processi di lavorazione bensì uno scarto, ovvero l’esito di una rimanenza, queste non sono state inserite nella classificazione tipologica qui proposta24. Le scaglie vengono spesso definite in letteratura anche con il termine di “zeppe”, vocabolo che sintetizza esattamente la loro funzione nei paramenti poiché, poste di taglio, vanno a colmare e a risarcire i vuoti che inevitabilmente si formano nelle opere irregolari.

Nelle murature medievali sono in pari misura presenti nei paramenti bozze di minori dimensioni, definite come “bozzette”, che non superano i 25x15 cm circa26. Sulla base di quanto riscontrato sul territorio esaminato, l’utilizzo delle bozze o delle bozzette è spesso dipendente dalle tipologie degli edifici e dalle loro funzioni all’interno del centro fortificato: è più facile, infatti, trovare murature in bozze nella grande edilizia, come ad esempio nelle cinte murarie o nei muraglioni di sostruzione, e le bozzette negli edifici a carattere residenziale, dove vi è una ricerca, seppur minima, nell’estetica degli edifici.

5.1.1.1. Le bozze Per bozza si intende un elemento lapideo allo stadio primordiale di lavorazione, come dice il vocabolo stesso “sbozzato”, senza rifiniture e regolarizzazioni esteticofunzionali (fig. 5.2). La bozza, il più delle volte, presenta una forma pressoché ovoidale, dalle dimensioni e profili variegati, realizzata con il solo strumento a percussione diretta come la mazza e talvolta con l’impiego del picconcello, per i blocchi di maggiori dimensioni, per eliminare le grossolane imperfezioni. La parte della bozza destinata all’interno del nucleo cementizio presenta

5.1.1.2. I blocchi

Fig. 5.2. Dettaglio delle bozze utilizzate per la messa in opera delle mura di Montefalco (foto M. Bernardi).

Fig. 5.3. Blocchetti della rocca di Castiglione (foto M. Bernardi).

23 Questa classificazione è stata proposta per il Lazio meridionale da Donatella Fiorani (Fiorani 1996a, pp. 94-103), ripresa poi da Mauro De Meo nella sua pubblicazione sulle tecniche costruttive murarie in Sabina (De Meo 2006, pp. 94-95). Per un confronto sulle tecniche edilizie del Lazio meridionale si veda anche Crova 2005. 24 Esposito 1998, p. 238.

De Meo 2006, p. 95. Anche le bozzette presentano lo stesso iter di lavorazione e finitura seguito per le bozze. 27 De Meo 2006, pp. 102-103. 28 Sulla lavorazione dei blocchetti e la loro finitura cfr. Esposito 1998, pp. 134-140.

Il blocco è un elemento lapideo squadrato, regolarizzato e spianato sulla facciavista (fig. 5.3)27. Rispetto alle bozze, tali elementi presentano un maggior grado di lavorazione e finitura, che include la stondatura degli angoli ed una maggiore spianatura della faccia visibile. La forma dei blocchi è generalmente rettangolare, anche se non mancano attestazioni di forma quadrata28.

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La materia dei castelli Nei castelli dei Lucretili è molto raro l’utilizzo di questi elementi nei paramenti murari. Il più delle volte sono adoperati blocchi nelle angolate degli edifici come soluzioni d’angolo (cantonali) o negli elementi di decoro, caratterizzati da un’alternanza dei materiali posti di taglio e di testa29. Nell’area indagata la misura massima del blocco si aggira tra i 70x30 cm circa.

mancano esempi di conci quadrati, utilizzati in elementi di decoro, come talvolta riscontrato nelle ghiere degli archi.

Più frequente è, invece, l’utilizzo dei cosiddetti “blocchetti” che, come nel caso delle bozzette, sono i medesimi elementi ma di proporzioni ridotte. La presenza dei blocchetti nei paramenti murari rappresenta un forte indicatore cronologico nell’ambito delle datazioni degli edifici tramite tecniche edilizie, come vedremo in dettaglio a breve. Nel caso dei blocchetti è stato possibile rilevare per questo territorio una misura massima di 25x15 cm circa30.

Nel caso dei Lucretili l’utilizzo del litoide di tipo calcareo, molto duro e di difficile lavorazione, non consente una perfetta levigatura di questi elementi costruttivi, lasciando quindi la superficie del concio non perfettamente lisciata32.

La stessa facciavista può presentare diversi gradi di finitura che vanno dalla perfetta lisciatura alla superficie scabra; la scelta della finitura è spesso associata al tipo di materiale utilizzato per la realizzazione dell’elemento lapideo31.

5.1.2. Le malte La lavorazione della calce33 è una delle maggiori attività nella catena produttiva di un cantiere edilizio. Come nel caso dei materiali, in una “fabbrica rurale” del medioevo anche la scelta della malta è soggetta ai litotipi presenti del territorio per ragioni di economicità e disponibilità34.

5.1.1.3. I conci Per concio si intende un blocco perfettamente regolarizzato in ogni faccia con un’omogenea lavorazione su tutte le sue sezioni. Per migliorare l’ammorsatura dell’elemento nel nucleo cementizio talvolta i conci venivano lasciati con i bordi interni rastremati, ovvero con il profilo a forma trapezoidale, questo per favorire la presa della calce (fig. 5.4). Nel caso dei conci, gli angoli si presentano a spigolo vivo sulla facciavista e non arrotondati come per i blocchi; la forma più frequente è quella rettangolare, ma non

Ma prima illustrare il tipo di legante utilizzato nella costruzione dei castelli Lucretili, è necessario fare una premessa generale sul tema della produzione delle malte durante il periodo medievale, argomento che è stato per molto tempo uno dei buchi neri nella letteratura archeologica. Recenti studi stanno cercando di chiarire le fasi e le modalità di preparazione del legante attraverso ipotesi ricostruttive di miscelatori35, proposte interpretative supportate sia dalle testimonianze materiali provenienti da scavi archeologici36 che dall’esperienza maturata dalla disciplina dell’archeologia sperimentale, che dagli ultimi decenni è in continua evoluzione, proponendosi talvolta come elemento cardine per lo studio e la ricostruzione dei processi tecnologici di un tempo37. Appare ormai chiaro che nel medioevo i miscelatori, ovvero le strutture dedicate alla produzione della calce, dovevano essere delle opere provvisorie e occasionali, utilizzate solo nel momento concreto del cantiere edilizio ed abbandonate una volta ultimato il lavoro38. Nell’area oggetto di questa ricerca non abbiamo ad oggi tracce tangibili di strutture identificabili come calcare o miscelatori impiegati nei cantieri da costruzione, il cui ritrovamento sarebbe stato di utile ausilio per poter definire la distribuzione topografica delle attività adibite alla costruzione di un castrum. Ibidem, pp. 103-105. De Meo 2005, p. 79. 33 Sul ciclo della calce cfr. Adam 1988, pp. 69-90; Giuliani 2006, pp. 209-226. 34 De Meo 2006, pp. 118-120. 35 Bianchi 2011, pp. 9-18. 36 Per una classificazione delle malte si rimanda a Cagnana 2000, pp. 126-137. Per uno studio sulle fornaci di calce, con una nuova proposta metodologica per il riconoscimento degli indicatori cronologici di produzione, cfr. Petrella 2008, pp. 29-44. 37 Per un approfondimento sull’archeologia sperimentale e per una sua definizione si rimanda a Coles 1973; Vidale 2000. 38 Differenti solo le variabili morfologiche delle calcare medievali, riassunte in un contributo di Petrella 2008, pp. 29-44. 31 32

Fig. 5.4. Torre di Castel del Lago. Conci utilizzati per la realizzazione dell’angolata (foto M. Bernardi). 29 30

Esposito 1998, pp. 109-110; Bianchi, Cagnana 2016, p. 474. De Meo 2006, p. 103.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Il ricorso alle malte aeree, invece, è la tendenza maggiormente riscontrata41. Queste si possono distinguere sulla base dei componenti: nel contesto dei Lucretili sono state rilevate malte molto diverse, caratterizzate da inclusi dalla differente granulometria e grado di triturazione42, rilevanti indicatori cronologici. Tra i materiali adoperati in percentuale maggiore nei leganti vi sono gli inclusi calcarei, prodotti dagli scarti di lavorazione, ma si possono trovare anche piccoli ciottoli, ricavati direttamente da paleoalvei, letti dei fiumi e dalle fonti d’acqua, oppure sabbie di cava43.

Le ricerche condotte sul campo nei centri incastellati abbandonati dei Lucretili, unite all’analisi delle evidenze archeologiche conservatesi in elevato (Unità Topografiche - UT), hanno permesso di individuare e definire, tramite campionatura, le caratteristiche dei leganti impiegati negli edifici, consentendo quindi di distinguere macroscopicamente le malte rilevate in situ sulla base degli elementi costituenti degli impasti. Nelle strutture destinate alla conservazione dell’acqua piovana, o che implicavano una impermealizzazione degli ambienti o delle singole pareti, è stata riscontrata la presenza di malta idraulica. Nella maggior parte di questi ambienti la malta rilevata si caratterizza per una scarsa percentuale di inclusi pozzolanici nel composto, il cui sporadico utilizzo è forse legato alla lontananza del territorio dei Lucretili dalle formazioni geologiche di tipo vulcanico; ad ogni modo, non mancano esempi di un utilizzo importante di pozzolana nel legante39, come riscontrato nel caso della cisterna del castello di Castiglione (UT5), forse però costruita prima del centro incastellato. L’uso del cocciopesto, discriminante elemento per rendere una parete impermeabile, invece, è stato sempre riscontrato negli intonaci a rivestimento di questi ambienti, solo raramente impiegato anche come componente della malta, rilevato unicamente in alcuni paramenti murari dei castelli ubicati nelle vicinanze di siti abbandonati di epoca romana, dove era possibile recuperare e riutilizzare il materiale da costruzione spoliato, sia nelle cortine che nel nucleo cementizio (fig. 5.5)40.

L’analisi della granulometria è un elemento molto indicativo per poter approssimare la datazione di un edificio. Nell’area campione è emersa la tendenza ad utilizzare, specialmente nelle prime fasi in muratura dei castelli, delle malte grossolane, spesso poco tenaci, con un grado di triturazione degli inclusi molto contenuto, se non addirittura inesistente. L’utilizzo di malta grezza nei paramenti e nei nuclei cementizi porta alla realizzazione di murature poco coese nella fisionomia e non troppo solide nella sostanza (forse costruite con urgenza?), con una minor cura nelle rifiniture estetico-funzionali. Non manca, però, anche il ricorso ad una malta più fine, dove gli inclusi sono impercettibili ad occhio nudo: tale accorgimento è spesso indice di una posteriorità o di un’alta specializzazione delle maestranze coinvolte nei cantieri44.

Fig. 5.5. Castiglione. A) Malta idraulica dell’ambiente UT17; B) Malta aerea dell’ambiente UT20 (foto M. Bernardi).

39 Nei paramenti dei castelli di Saccomuro, Monteverde, Turrita e Marcellino è stata riscontrata un’alta percentuale di inclusi pozzolanici, nei primi due casi di pozzolana nera, negli altri due di pozzolana rossa. I suddetti castelli, infatti, sono collocati nella zona meridionale dei Monti Lucretili dove il substrato geologico appare più variegato per la presenza nell’area di banchi di tufo e di travertino. Malta con inclusi pozzolanici, anche se in minor percentuale, è stata rintracciata nella rocca del castello di Saracinesco e in alcune strutture della rocca di Castiglione. Per lo studio generale delle malte in area Sabina si rimanda a De Meo 2006, pp. 118-120. 40 In alcuni ambienti del castello di Castiglione è stato impiegato il cocciopesto sia come rivestimento (nel caso di una cisterna) o semplicemente come materiale incluso nel legante insieme alla pozzolana. Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.2.

De Meo 2005, p. 80. La granulometria della malta rappresenta uno degli indicatori cronologici nello studio delle tecniche edilizie medievali. Una malta grossolana è spesso indice di anteriorità rispetto ad una malta finemente lavorata. Allo stesso modo anche l’omogeneità nelle altezze dei giunti è un indicatore cronologico, ma tale tematica verrà ripresa più avanti. 43 De Meo 2005, p. 80; De Meo 2006, pp. 118-120; Esposito 2008, pp. 141-145. 44 Per un approfondimento sui processi costruttivi, sulle maestranze nei cantieri edili di epoca medievale si rimanda a Bianchi 1996; Bianchi, Cagnana 2016. 41 42

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La materia dei castelli 5.2. Gli elementi decorativi ed accessori

è stata riconosciuta una propensione all’utilizzo dei medesimi elementi lapidei impiegati nel resto dell’edificio, che siano bozzette, blocchetti o conci; in taluni casi, però, per meglio definire tali aperture, potevano essere impiegati i conci o i blocchi anche nelle opere irregolari, ma solo nelle rifiniture (figg. 5.6-5.7).

Nei contesti rurali non è così facile scorgere elementi decorativi ed accessori nelle murature degli edifici poiché, tutto sommato, non erano poi così frequenti: qui vengono infatti a mancare molti dei componenti ornamentali, utilizzati invece in ambito urbano come elementi di pregio nelle strutture auliche. Si tratta pur sempre di villaggi fortificati di campagna, a cui si “badava” maggiormente all’effetto visivo ad ampio raggio: è, infatti, importante in questo contesto ostentare il potere dell’autorità all’esterno, piuttosto che esaltare uno status all’interno di un centro che, fatta eccezione per il dominus o per le sue consorterie, era popolato da contadini appartenenti alla stessa sfera sociale.

Lo stesso materiale estratto o recuperato in situ, sia lapideo che ligneo, veniva modellato principalmente in base alle esigenze funzionali e solo sporadicamente per velleità estetiche, anche se non mancano esempi di cornici o di particolari elementi lapidei o di laterizi utilizzati nella realizzazione di archi, archetti o nicchie, quest’ultime impiegate come piano di appoggio per lucerne o altri utensili di uso quotidiano, ma considerate in ogni caso come elementi di decoro di minima entità (figg. 5.85.9)47. Nell’area indagata sono, infatti, rarissimi i casi di riutilizzo di cornici di marmo o travertino provenienti da edifici romani, il cui scarso uso è legato alla lontananza dai preesistenti insediamenti dismessi: anche se tali siti potevano essere sfruttati come cava di materiale, già lavorato e a disposizione, il loro trasporto per una lunga tratta ha sicuramente scoraggiato tale iniziativa e quindi il loro recupero.

La maggior parte degli esempi nell’edilizia castellana, infatti, sono da ricondurre ad elementi imprescindibili per gli ambienti, quali i piani di appoggio, aperture e fessure, il cui impiego o meno nelle opere murarie è da collegare al ruolo che ogni edificio doveva ricoprire all’interno del centro incastellato. Ad esempio, in una semplice abitazione non troveremo mai apparati militarizzanti come le feritoie, caratteristica invece ricorrente nelle torri di avvistamento, che potevano però ricoprire anche una funzione residenziale, dove invece l’aspetto strategico viene ben enfatizzato attraverso gli elementi accessori.

Negli ambienti a funzione strategica, tra gli elementi accessori di tipo difensivo sono invece sempre presenti le feritoie, che si possono differenziare per forma e dimensioni. Solitamente collocate nella parte inferiore delle cinte murarie e nelle torri, nella maggior parte dei castelli dei Lucretili queste fessure venivano realizzate contestualmente alla costruzione del corpo di fabbrica; anche in questo caso, però, non mancano esempi di aperture maggiormente rifinite, ovvero sormontate da piccoli archetti realizzati con blocchetti in pietra calcarea o con frammenti di laterizi di reimpiego (fig. 5.10)48.

Tra gli accorgimenti architettonici degli edifici dei castelli possiamo trovare portali, finestre, feritoie, postazioni di controllo e nicchie45, tutti accessori che, come rilevato sul campo, esibiscono le più diversificate forme e funzioni tra sito e sito46. Nei portali e nelle finestre degli ambienti a carattere residenziale dei castelli abbandonati dei Monti Lucretili

Fig. 5.6. Portale di ingresso del castello di Saccomuro. Nella parte interna l’apertura è marcata da due mazzette angolari e da una piattabanda in conci di tufo squadrati. All’esterno due mazzette aggettanti ed un arco a sesto ribassato in conci di tufo sagomati delimitano l’apertura (foto M. Bernardi). 45 Le nicchie individuate nelle abitazioni dei castelli dei Monti Lucretili presentano solitamente una forma rettangolare, sormontate da un archetto a tutto sesto con ghiera di blocchetti lapidei o spezzoni di laterizi. 46 Esposito 2005, pp. 57-58.

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Ibidem, p. 60. Esposito 2005, p. 60.

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 5.7. Alcuni esempi di aperture nei castelli dei Lucretili. A) Castiglione; B) Saracinesco (foto M. Bernardi).

Fig. 5.8. Nicchie inquadrate da lastre calcaree. A) Montefalco - nicchia dell’ambiente UT1; B) Turrita - nicchia dell’ambiente UT3 (foto M. Bernardi).

Fig. 5.9. Castiglione - tipologie di nicchie rilevate. A) Nicchia di forma rettangolare “a doppia falda”; B) Nicchia con terminazione ad arco; C) Nicchia inquadrata da due assi lignee di cui rimangono le impronte in negativo (foto M. Bernardi).

Allo stesso modo, le postazioni di guardia per il controllo del territorio possono essere definite come delle nicchie di più grandi dimensioni e soprattutto “ad altezza uomo”, previste già nel progetto originario di una costruzione.

Nell’area indagata non se ne contano molti esempi a causa del pessimo stato di conservazione di alcuni castelli, specialmente di interi tratti delle cinte murarie e delle rocche. Gli esemplari meglio conservati vengono da 74

La materia dei castelli

Fig. 5.10. Alcune tipologie di feritoie rilevate nei castelli dei Lucretili. A) Castiglione - Feritoia con archetto in laterizi; B) Macla - Feritoia sormontata da una lastra in pietra calcarea; C) Montefalco - Feritoia delle mura del castello (foto M. Bernardi).

Fig. 5.11. Montefalco - postazione di controllo nella rocca del castello (foto M. Bernardi).

Montefalco, dove la postazione per monitorare il versante Nord dell’insediamento è costituita da una nicchia con terminazione ad arco (oggi in parte distrutto) ed intonacata all’interno (fig. 5.11); il secondo esempio proviene invece dal castello di Saccomuro dove invece la nicchia, funzionale al controllo della viabilità della zona, è foderata internamente da laterizi di reimpiego.

pochissimi esempi sempre per il pessimo stato in cui vertono molte mura dei castelli dei Lucretili; in particolar modo, le parti sommitali degli edifici sono le prime a crollare sia per azioni naturali (come anche i terremoti) che antropiche, e a dissestarsi dopo l’abbandono dei siti. Ad ogni modo, è presumibile che la maggior parte dei castelli possedesse una merlatura di coronamento come espediente difensivo nel circuito murario. Uno degli esemplari meglio conservati proviene da Castiglione nei pressi di Palombara Sabina, dove si possono osservare ancora cospicui tratti della merlatura, a Sud-Ovest e ad Est del castello, che doveva incorniciare la cinta muraria dell’abitato (fig. 5.12)49.

Come accorgimento difensivo nelle mura dei castelli veniva utilizzata la merlatura, con la funzione sia di militarizzare l’aspetto del castrum all’esterno, sia di riparo per coloro che avevano il compito di sorvegliare il territorio di pertinenza dal cammino di ronda. Posta a coronamento delle torri e delle cinte murarie dei centri fortificati, della merlatura sommitale si conservano solo

49

75

Bernardi 2015b, pp. 111-113.

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 5.12. Merlatura di coronamento delle mura di Castiglione (foto M. Bernardi).

Fig. 5.13. Piombatoie nelle mura di Castiglione (foto M. Bernardi).

Oltre alla merlatura, i castelli potevano prevedere la presenza di un altro accorgimento difensivo che rientra nella categoria dei cosiddetti “apparati a sporgere” proprio per la loro caratteristica aggettante rispetto al corpo di

fabbrica, ovvero il camminamento di ronda, struttura generalmente ubicata all’interno delle cinte murarie o nelle rocche, che doveva consentire il controllo e la difesa dell’abitato dall’interno. Di tali passaggi, che potevano 76

La materia dei castelli essere sia coperti che aperti, si possono percepire solo le tracce in negativo lasciate sulle opere murarie poiché nella maggior parte dei casi, quando presenti, tali elementi erano realizzati in materiale deperibile, come anche riscontrato nel contesto dei Lucretili.

metodologica promossa dalle nuove tecnologie applicate ai beni culturali nell’ambito dell’archeologia dell’architettura55 e dalle analisi archeometriche, come, ad esempio, la datazione al radiocarbonio degli elementi organici contenuti nelle malte56, si potrebbe aspirare in futuro ad un progetto ben più ampio su questo tema, rivolto quindi all’ottenimento di cronologie più puntuali delle murature tramite una semplificazione procedurale nella diagnostica, con conseguente oggettività dei dati acquisiti. Ad ogni modo, i citati lavori sulle murature del Lazio medievale possono essere considerati, un po’ come Les Structures di Toubert, pietre miliari per chi intende approcciarsi allo studio dei centri incastellati del Lazio: questi pionieristici studi hanno avuto il merito di tracciare le linee guida per una datazione delle strutture edilizie, un “protocollo” da seguire tuttora valido per un primo avvicinamento alla materia57.

Oltre agli espedienti difensivi mancano ancora nel novero degli elementi accessori alcuni accorgimenti: per lo smaltimento delle acque piovane vengono, infatti, costruiti i cosiddetti doccioni (o gocciolatoi) che consentono la fuoriuscita dell’acqua all’esterno delle strutture, anch’essi previsti nella costruzione degli edifici a copertura piana; i doccioni possono talvolta anche ricoprire una funzione di elemento di decoro e non solo pratica50. Come sistema difensivo si possono trovare anche le piombatoie (o caditoie), realizzate generalmente su mensole in pietra, talora reimpiegate da edifici romani51; anche in questo caso il castello di Castiglione ci offre uno degli esempi meglio conservati di piombatoia, ubicata in corrispondenza dell’accesso al castrum (fig. 5.13)52.

Immagazzinate queste conoscenze, bisogna sapere quali sono gli elementi diagnostici da osservare per poter determinare una datazione relativa di una cortina muraria di epoca medievale58:

5.3. Le tecniche edilizie nei castelli dei Lucretili: analisi delle murature

– la ricerca di orizzontalità nella posa in opera; – il grado di lavorazione e finitura degli elementi lapidei; – le caratteristiche del legante (gli inclusi impiegati ed il loro grado di triturazione); – la presenza di “zeppe” nelle cortine murarie, ovvero gli elementi di piccola pezzatura posti di taglio.

L’analisi delle tecniche edilizie utilizzate nella costruzione dei castelli abbandonati e lo studio della loro evoluzione estetico-funzionale nel corso dei secoli sono tematiche molto complesse da indagare poiché in questo territorio nei paramenti murari vengono impiegati, nella maggior parte dei casi, i medesimi elementi in pietra calcarea, inquadrabili perlopiù nella categoria delle bozze e bozzette. Tali materiali hanno avuto, infatti, un’ampia utilizzazione nel tempo in tutta l’area Sabina, tra il X e il XV secolo, ed il loro longevo impiego ha originato nel corso della ricerca molteplici criticità sulle attribuzioni cronologiche dei paramenti murari rilevati53.

Questi elementi, in assenza di appigli generati dalla stratigrafia orizzontale o da analisi archeometriche, sono un indispensabile indicatore cronologico poiché permettono, se interrogati a dovere, di approntare una datazione generica di qualsiasi paramento murario, approssimativamente riferibile al secolo.

Anche qui, però, è doverosa una premessa: dobbiamo, infatti, le nostre conoscenze empiriche e i nostri progressi (nonché i primi passi) nel campo dell’analisi delle tecniche edilizie per l’area laziale alla Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università “Sapienza” di Roma che, a partire dagli ultimi decenni, ha portato alle stampe numerosi studi, ripartiti per aree geografiche, sulle opere murarie medievali nella Campagna Romana, dedicando volumi monografici proprio su questo tema54, come già anticipato nei capitoli precedenti.

In uno studio sulle tecniche edilizie medievali vanno anche considerati altri aspetti, apparentemente collaterali, come i fattori ambientali, legati quindi alla immediata disponibilità della materia prima, e l’aspetto “estetico” nelle murature, collegato alle variazioni tecnico-stilistiche mutate nel corso dei secoli che hanno seguito le tendenze del momento. Una attenta valutazione di tutti gli elementi sopracitati può portare ad una definizione tipologica delle Sul tema delle nuove tecnologie applicate nello scavo archeologico e nello studio dell’edilizia storica si rimanda a Zoni 2017; Zoni 2020. Sulle più recenti metodologie della ricerca archeologica si consiglia la visione della rivista “Archeologia e Calcolatori” che ogni anno raccoglie innovativi contribuiti sulle nuove tecnologie applicate ai Beni Culturali. 56 Pesce, Decri 2013; Vecchiattini 2019. 57 Tra gli studi sulle tecniche murarie medievali nell’area laziale vanno menzionati quelli sul Lazio meridionale (Fiorani 1996a), sull’area romana (Esposito 1998), sulla Sabina (De Meo 2006), sulla Tuscia (Chiovelli 2007) ed in ultimo sull’uso dei laterizi a Roma e nel Lazio (Montelli 2011). Le monografie sulle tecniche edilizie fanno parte della collana “Tecniche costruttive murarie medievali” edita da «L’Erma di Bretschneider» e diretta dal prof. Giovanni Carbonara, già direttore della scuola. 58 Esposito 1998, pp. 231-239. 55

Unendo queste pregresse esperienze allo studio della stratigrafia degli elevati, ora coadiuvato dalla “rivoluzione” Esposito 2005, p. 59. Ibidem, p. 53. 52 L’interpretazione di tali elementi talvolta è dubbia; potrebbero infatti essere scambiati per dei necessaria (latrine), strutture ricorrenti nelle mura di cinta, come attestato nel caso del circuito di Aureliano a Roma (Brienza, Delfino 2006). 53 De Minicis 1997, p. 170. 54 Oltre ai lavori monografici è stato pubblicato anche un volume con recenti riflessioni e nuovi spunti di ricerca sul tema delle tecniche murarie nell’edilizia storica: Fiorani, Esposito 2005. 50 51

77

L’incastellamento nei Monti Lucretili In alcuni particolari contesti all’interno del comprensorio Lucretile è possibile confondere erroneamente le bozzette con i blocchetti: nei territori contraddistinti nel sottosuolo da conformazioni geologiche riferibili al calcare marnoso62, le cui caratteristiche nella stratificazione geologica sono dei piani paralleli dall’aspetto scistoso, il materiale estratto direttamente dal sito si configura, già appena cavato, più regolare nella forma e squadrato; tale caratteristica del prodotto lapideo è quindi determinata esclusivamente dalla naturale conformazione dei banchi rocciosi, che si “sfaldano” secondo piani paralleli63: questi elementi non sono quindi il risultato di un’azione antropica.

cortine murarie, come vedremo nel dettaglio nei successivi paragrafi59. 5.3.1. Tipologia delle cortine murarie 5.3.1.1. Paramento irregolare senza corsi orizzontali (X-XII secolo) Le strutture con paramenti irregolari di bozze, bozzette e scaglie rappresentano la tipologia più comune rilevata nei castelli abbandonati dei Lucretili. L’irregolarità di questi elementi impiegati nelle cortine e la completa assenza di una ricerca di orizzontalità nelle apparecchiature non consente una posa in opera secondo filari, portando quindi alla realizzazione di un paramento del tutto irregolare e lacunoso (fig. 5.14). Il prodotto finale sarà una muratura molto grossolana, poco rifinita proprio per le caratteristiche morfologiche del materiale utilizzato dalla diversa pezzatura, quindi disomogeneo e irregolare. L’utilizzo delle bozze come principale materiale nei paramenti degli edifici genera una superficie alla vista non rifinita e disordinata, con evidenti zone incomplete e di vuoti60 che venivano risarciti con scaglie di più piccole dimensioni poste di taglio nella cortina; questi elementi non sono altro che le rimanenze prodotte nella fase di lavorazione dei materiali litoidi, che vengono definite, proprio per la loro funzione “a risarcire”, zeppe61.

L’assenza di regolarità nella posa in opera crea anche una disomogeneità nelle altezze dei giunti, che possono avere, infatti, spessori molto variabili in uno stesso paramento. Nei castelli dei Lucretili sono stati riconosciuti paramenti con giunti dall’altezza compresa tra 1 e 8 cm circa. Osservando le caratteristiche dei componenti della malta, nel caso di murature a bozze o bozzette irregolari senza corsi orizzontali è stata riscontrata una specifica tendenza: qui il legante si presenta generalmente con una consistenza friabile e una granulometria grossolana, dove gli inclusi di grandi e medie dimensioni sono visibili e riconoscibili con la sola indagine autoptica64. Gli edifici che esibiscono queste opere irregolari nei loro paramenti mostrano un nucleo cementizio perlopiù realizzato a sacco.

Fig. 5.14. Paramenti irregolare in bozze, bozzette e scaglie. A) Torre della rocca di Spogna (UT6); B) Tratto delle mura del castello di Macla (UT17). Presso il sito di Macla si possono trovare bozze e bozzette dalla conformazione più regolare per la presenza di banchi di calcare marnoso nelle vicinanze (foto M. Bernardi). Le murature di epoca medievale nell’area laziale sono state già catalogate dalla stessa Daniela Esposito e da Mauro De Meo in diversi contributi; quest’ultimo ha pubblicato una monografia sulle tecniche murarie medievali della Sabina, proponendo una classificazione molto dettagliata dei paramenti. Un preliminare lavoro sulle tecniche edilizie della Sabina tiberina tra l’epoca tardoantica e medievale è stato proposto da Mancinelli 2003. 60 Esposito 1998, pp. 236-237; Esposito 2004, pp. 216-218; Esposito 2005, pp. 33-34; De Meo 2006, pp. 146-148. 61 In questo tipo di paramento la percentuale di zeppe è molto alta; la posa in opera degli elementi è del tutto casuale. 59

62 I banchi di calcare marnoso nella zona dei Monti Lucretili si possono trovare principalmente nel territorio intorno al torrente Licenza e nella porzione settentrionale del distretto. 63 Cfr. Bianchi, Cagnana 2016, p. 469. 64 Gli inclusi nella malta in un paramento a bozze spesso superano i 2-3 mm.

78

La materia dei castelli 5.3.1.2. Paramento a filari con corsi sub-orizzontali e orizzontali (XII-inizi XIII secolo)

Per quanto concerne l’attribuzione cronologica, nel Lazio i paramenti murari irregolari in bozze e bozzette senza corsi orizzontali sono databili tra la fine del X e il XII secolo, mostrando un’ampia utilizzazione nel tempo65. Nei castelli dell’area oggetto di questo studio le cortine così realizzate sono le più antiche, ovvero quelle che definiscono le prime fasi in pietra dei castelli, non necessariamente assimilabili al momento della fondazione dei siti che invece potevano contare su una diversa tecnologia, forse caratterizzata da materiale deperibile. L’analisi delle fonti materiali, unita allo studio delle fonti scritte, ha consentito di restringere la forcella cronologica per questo gruppo di murature nel contesto Lucretile tra l’XI e il XII secolo.

Rientrano in questa categoria le murature a filari di bozze e bozzette non completamente regolari nella posa in opera, ma nelle quali è presente una certa tendenza all’orizzontalità nei corsi (fig. 5.15)68. Nelle cortine murarie a corsi sub-orizzontali e orizzontali è possibile rilevare in uno stesso edificio differenti altezze dei filari, che seguono le dimensioni degli elementi messi in opera, un maggior o minor grado di regolarità nella posa degli elementi, e infine un variabile numero di zeppe, di maggiore quantità nelle murature a filari sub-orizzontali, più sporadica in quelle orizzontali69.

Nell’area Sabina sono stati rilevati in questa tipologia di cortine anche dei piani di orizzontamento, utili accorgimenti, in questo caso non artistici ma funzionali, per regolarizzare i piani di posa, che portavano alla realizzazione di un paramento a fasce delimitate66; nei castelli dei Lucretili, però, tali espedienti non sono stati riscontrati in nessun caso nelle fasi di XI-XII secolo, ma solo nelle murature più tarde, come vedremo in dettaglio a breve67.

In queste cortine è chiaro l’intento da parte delle maestranze locali di regolarizzare gli edifici applicando all’origine, forse già in fase di estrazione, una selezione tipologica, seppur di minima, degli elementi da adoperare nelle fasi di cantiere; è innegabile in questi casi la ricerca di uniformità nei paramenti murari, che iniziano in questo momento a mostrarsi più definiti.

Fig. 5.15. Vallebona (UT2) - Paramento a filari orizzontali della rocca del castello (foto M. Bernardi). Esposito 2004, pp. 218-221; Esposito 2005, pp. 34-37. Anche per questa categoria De Meo ha proposto dei sottogruppi, individuando alcune peculiarità tipiche quali la dimensione degli elementi, la loro disposizione, la percentuale di zeppe nel paramento e l’altezza dei giunti (De Meo 2006, p. 149). 68

Questa datazione è stata proposta da De Meo nei casi da lui studiati di murature con paramento irregolare a bozze (De Meo 2006, p. 159). 66 De Meo 2006, p. 148. 67 Esposito 2005, pp. 34-35. 65

69

79

L’incastellamento nei Monti Lucretili nella zona della Tuscia dove viene definita come “tecnica a tufelli” proprio per l’utilizzo quasi esclusivo di elementi in tufo nelle cortine74.

La malta rilevata in questo tipo di murature tramite campionatura è risultata essere nella maggior parte dei casi friabile e grossolana, con inclusi di medie e piccole dimensioni. In alcuni paramenti a corsi sub-orizzontali e orizzontali dei Lucretili sono stati riconosciuti piani di orizzontamento, ad intervalli non costanti, realizzati prevalentemente tramite l’espediente dei blocchetti, anche se non mancano esempi con bozzette e più sporadicamente con laterizi di riuso che rendevano il corso perfettamente orizzontale70.

Questa tecnica consisteva nella posa in opera per filari orizzontali dei blocchetti lapidei, più o meno regolari per forma e dimensioni, allettati in una malta solitamente tenace e dalla granulometria fine con un’alta percentuale di pozzolana tra i componenti75. Anche i giunti beneficiavano della regolarità originata dalla standardizzazione degli elementi, divenendo progressivamente sempre più uniformi76. In alcuni castelli abbandonati dei Lucretili sono state rilevate sul legante tracce di stilatura dei giunti, indice di una maggiore ricercatezza nell’estetica degli edifici.

La tecnica edilizia a filari di bozze e bozzette con corsi sub-orizzontali e orizzontali è databile tra il XII secolo e gli inizi del XIII secolo71. 5.3.1.3. Paramento a blocchetti a filari orizzontali (XIIIXIV secolo)

Anche la realizzazione del nucleo cementizio delle strutture subisce contestualmente i cambiamenti delle tecniche costruttive: viene infatti abbandonata la muratura a sacco, tipica delle precedenti fasi, per far spazio ad un nucleo realizzato per livelli, costruito di pari passo con l’edificazione dell’elevato77.

Come è noto in letteratura, tra il XIII e il XV secolo le tecniche costruttive subiscono un momento di forte cambiamento, sia in ambito urbano che rurale, determinato dal progresso delle capacità tecnico-esecutive delle maestranze che tornano ad essere nuovamente specializzate e non più legate ad una economia autarchica. Tale cambiamento negli edifici storici è facilmente rilevabile: iniziano ora ad essere erette costruzioni che utilizzano la cosiddetta tecnica “a blocchetti” o “a tufelli”72. In questo periodo si raggiunge una standardizzazione degli elementi lapidei da utilizzare nell’edilizia con l’intento di arrivare ad una maggiore ricerca di regolarità e orizzontalità nella posa in opera. Tali principi sono stati originati da una migliore organizzazione dei cantieri edili e dal recupero delle antiche pratiche costruttive.

Nei castelli dei Lucretili questa tecnica è stata utilizzata nelle fasi di rifacimento o di ampliamento dei siti e nelle nuove edificazioni tra il XIII e il XIV secolo (fig. 5.16). 5.3.1.4. Paramento a filari di laterizi di reimpiego (XIIIXIV secolo) Le strutture realizzate tramite l’utilizzo esclusivo dei laterizi nei paramenti sono assai rare. L’impiego di tale tecnica muraria nei castelli dei Monti Lucretili è infatti attestato solo nel caso della torre centrale del castello di Monteverde dove vengono utilizzati laterizi di reimpiego, direttamente recuperati dalla dismessa villa romana localizzata nelle vicinanze del sito (fig. 5.17)78.

L’utilizzo di tali espedienti è stato suggerito anche dalle emergenti esigenze estetico-funzionali, da collegare verosimilmente all’insorgenza della nuova classe aristocratica dei cosiddetti baroni che inizia a monopolizzare e a controllare a macchia d’olio sia i territori rurali che le città, prendendo il controllo diretto dei luoghi simbolo del potere che dovevano così esibire alle famiglie rivali, anche all’esterno (specialmente nelle nuove costruzioni), l’egemonia del loro potere attraverso l’ostentazione di edifici solidi e compatti.

Nella torre la cortina è foderata da spezzoni di laterizi, misti ad altri frammenti lapidei. Il nucleo interno è, invece, composto da un conglomerato cementizio di bozze di pietra calcarea e frammenti di laterizio, misti ad una malta molto grossolana e dalla consistenza friabile. La tecnica edilizia a filari di laterizi di reimpiego in questo contesto può essere datata tra il XIII e il XIV secolo79. L’utilizzo esclusivo di laterizi solo nella cortina della torre di Monteverde (UT6) deve essere riferito alla valenza simbolica dell’edificio, che anche dall’esterno doveva spiccare e primeggiare sulle altre costruzioni.

Inizia così la diffusione della nuova tecnica edilizia che vede l’utilizzo esclusivo di blocchetti posti in opera a filari orizzontali73. Questa tipologia muraria è stata maggiormente impiegata in ambito urbano e in contesti aulici nella Campagna Romana, specialmente diffusa Per alcuni esempi in area laziale cfr. Esposito 2004, pp. 218-219. Esposito 2004, pp. 218-222; Esposito 2005, pp. 34-35. De Meo propone una datazione anteriore per questa tipologia muraria, riscontrata in alcuni edifici della Sabina; nel caso dei castelli dei Lucretili questa datazione non sembra essere corretta (De Meo 2006, pp. 205-206). 72 Esposito 2004, pp. 222-228; Esposito 2005, pp. 37-49. 73 Nel contesto territoriale dei Monti Lucretili spesso i blocchetti presentano un minor grado di lavorazione e finitura rispetto agli altri esempi dell’area laziale; tale incongruenza è associata alla durezza della pietra calcarea di difficile lavorazione. In questo caso la forma dei blocchetti si avvicina maggiormente alle bozzette. Cfr. Esposito 1996, p. 118. 70 71

Esposito 1996; Esposito 1998; Esposito 2005, p. 38. De Meo 2006, pp. 160-162. 76 Spessore dei giunti: 2-3 cm circa. 77 Esposito 2005, p. 40. 78 L’utilizzo di laterizi di reimpiego è stato attestato in alcuni casi nei castelli dei Monti Lucretili, adoperati per lo più come zeppe o come corsi di orizzontamento nelle cortine a bozzette e blocchetti. 79 Esposito 2004, p. 228; Esposito 2005, pp. 49-50. Sulle tecniche edilizie in laterizio a Roma si rimanda a Montelli 2011, pp. 129-149. 74 75

80

La materia dei castelli

Fig. 5.16. A) Monteverde (UT4) - Paramento con blocchetti a filari orizzontali della chiesa del castello. B) Poggio Runci (UT1) - finitura della malta con giunti stilati (foto M. Bernardi).

Fig. 5.17. Monteverde (UT6) - Paramento a filari di laterizi di reimpiego della torre del castello (foto M. Bernardi).

81

L’incastellamento nei Monti Lucretili 5.4. I tipi murari dei castelli dei Monti Lucretili: catalogo delle tecniche edilizie

I tipi murari individuati, divisi in quattro gruppi, possono essere considerati delle sottovarianti locali delle tipologie murarie già mostrate, ma che meritano in questa sede di essere distinte e ripartite per tipi per dare voce (finalmente) alle fonti archeologiche, affinando quindi la conoscenza delle tecniche utilizzate in questo ambito regionale, delle

In questa sezione dedicata alle tecniche edilizie, i paramenti murari rilevati nei castelli abbandonati dei Monti Lucretili verranno catalogati e classificati nel dettaglio (tab. 5.1). Tab. 5.1. Tabella riassuntiva dei tipi murari dei Monti Lucretili. Gruppo

Tipo

ML1-a

Elementi lapidei Materiali

bozze zeppe scaglie

pietra calcarea

friabile, granulometria grossolana, giunti irregolari, rifinitura assente

pietra calcarea

friabile, granulometria grossolana, giunti irregolari, rifinitura assente

ML1 Murature con paramento irregolare bozze bozzette senza corsi ML1-b scaglie zeppe orizzontali

ML2

Posa in opera

Datazione

Evidenza Siti

XI-XII secolo

Castiglione Macla Montefalco Petra Demone Poggio Runci Spogna Vallebona

irregolare

XI-XII secolo

Castel del Lago Castiglione Macla Montefalco Petra Demone Poggio Runci Spogna

irregolare

XI-XII secolo

Saccomuro

irregolare

ML1-c

bozze bozzette zeppe conci

tenace, puddinga, granulometria fine, tufo nero rifinitura assente

ML2-a

bozze bozzette zeppe

pietra calcarea

tenace, granulometria fine, rifinitura lisciata sub-orizzontale o rifluente

pietra calcarea

Castiglione sub-orizzontale o fine XIItenace, granulometria Saracinesco orizzontale inizi XIII fine, rifinitura lisciata Spogna (con o senza piani di secolo o rifluente Vallebona orizzontamento)

Murature con ML2-b bozze bozzette blocchetti zeppe paramento a filari con corsi sub-orizzontali e orizzontali bozze bozzette ML2-c zeppe

ML3

Malta

puddinga, tenace, granulometria pietra orizzontale calcarea, fine, rifinitura lisciata travertino tenace, granulometria fine, finitura lisciata orizzontale o stilata

ML3-a blocchetti

pietra calcarea

ML3-b blocchetti

pietra calcarea, tenace, granulometria puddinga, fine, finitura lisciata orizzontale o stilata tufo, travertino

Murature con paramento a blocchetti ML3-c blocchetti a filari orizzontali

ML3-d blocchetti

Castel del Lago XII secolo Monteverde Poggio Runci

fine XIIinizi XIII Turrita secolo Montefalco XIII-XIV Monteverde Poggio Runci secolo Saracinesco XIII-XIV Turrita secolo

pietra tenace, granulometria orizzontale con piani XIII-XIV calcarea, Castiglione fine, finitura lisciata di orizzontamento secolo laterizi di o stilata reimpiego puddinga, pietra calcarea, tenace, granulometria tufo, fine, finitura lisciata orizzontale travertino, o stilata laterizi di reimpiego

XIII-XIV Turrita secolo

laterizi di tenace, granulometria orizzontale reimpiego fine, finitura lisciata

XIII-XIV Monteverde secolo

ML4 Murature con ML4-a paramento a filari di laterizi di reimpiego

82

La materia dei castelli maestranze nei cantieri, fino ad arrivare ad una definizione cronologica dei paramenti.

dell’edilizia storica, consentendo di approssimare al secolo la datazione di un edificio83.

Il tipo di materiale messo in opera nelle cortine è, come abbiamo già avuto modo di vedere, un elemento strettamente collegato al sistema di approvvigionamento di ogni nuovo insediamento e alla possibilità di reperire materiale di reimpiego, già fabbricato e pronto all’uso80.

Va sottolineato però un aspetto: questo tipo di analisi può fornirci solo un dato parziale sulle fasi edilizie degli insediamenti in quanto si basa unicamente sullo studio dell’evidenza monumentale del castello realizzata in materiale durevole, e quindi lapideo; è verosimile che tali evidenze architettoniche non siano pertinenti alla primissima fase edilizia dei centri fortificati. Non dobbiamo, infatti, immaginare il castello come una costruzione dall’aspetto “pietrificato”, edificato già al momento della sua fondazione attraverso il solo impiego di materiale lapideo; la maggior parte delle strutture dovevano, invece, essere costruite in legno o in argilla cruda, di più facile reperimento e lavorazione, materiali di cui non rimangono tracce concrete nei ruderi se non quelle della loro “assenza” e lasciate in negativo sui paramenti:

I differenti tipi murari sono stati classificati e descritti secondo i seguenti criteri81: la posa in opera degli elementi lapidei (apparecchiatura, disposizione e distribuzione), i materiali utilizzati e il loro grado di lavorazione, la presenza o meno di zeppe ed il tipo di malta (granulometria, altezza e rifinitura dei giunti)82. Come abbiamo più volte evidenziato, la tecnica muraria rappresenta un forte indicatore cronologico nello studio

Fig. 5.18. Rocca di Castiglione. Tracce del solaio ligneo nel paramento interno (foto M. Bernardi). Esposito 1998, pp. 231-232. Per la classificazione delle tecniche edilizie dei castelli dei Monti Lucretili è stata scelta la sigla ML (Monti Lucretili) seguita dapprima dal numero progressivo identificativo della tecnica muraria poi dal tipo, indicato con le lettere. 82 Rispetto alla classificazione proposta da De Meo, il repertorio dei Monti Lucretili risulterà meno dettagliato per il minor numero di tipi murari rintracciati nell’area campione. L’autore, infatti, include nella trattazione anche esempi di murature “urbane”, molto differenti rispetto al contesto rurale dei siti incastellati abbandonati (De Meo 2006, pp. 145-215). 80 81

83

83

Per una riflessione su questo tema cfr. Fiorani 2005.

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 5.19. Rocca di Castiglione. Impronte della copertura lignea a doppia falda (foto M. Bernardi).

è il caso dei solai lignei, delle coperture a falda, degli apparati a sporgere o di ambienti interamente costruiti con questi materiali come ad esempio capanne o stalle (figg. 5.18-5.19). Di tali strutture non rimangono evidenze materiali nei contesti, che al contrario potrebbero essere individuate attraverso un’indagine invasiva come lo scavo stratigrafico84. Dall’analisi delle fonti e dalle cronologie proposte sulla base delle tecniche edilizie è ipotizzabile che la primissima fase dei castelli dei Lucretili fosse rappresentata in gran percentuale da costruzioni in materiale deperibile; la monumentalizzazione del sito, probabilmente, è da ricondurre ad una seconda fase edilizia dell’abitato, presumibilmente non troppo lontana dalla data di fondazione.

84 Le indagini stratigrafiche presso alcuni centri incastellati nel Lazio hanno rilevato la presenza, nelle prime fasi di incastellamento dei siti, di strutture realizzate principalmente in materiale deperibile; gli edifici in pietra sarebbero da ascrivere ad un successivo momento: Molinari 2010, p. 135.

84

La materia dei castelli 5.4.1. Gruppo ML1 - Murature con paramento irregolare senza corsi orizzontali (X-XII secolo)85 Tipo murario ML1-a lo spessore dei giunti è molto irregolare per l’eterogenea forma degli elementi lapidei e la disomogenea posa in opera degli stessi.

Rientrano in questa tipologia le murature irregolari senza corsi, dove è assente la ricerca di orizzontalità nella posa in opera degli elementi. Nelle cortine di questo tipo murario vengono utilizzati come elementi lapidei le bozze in pietra calcarea, di dimensioni molto variabili, che mostrano un minimo grado di lavorazione; nella tessitura si riscontrano numerose zeppe e scaglie, poste a colmare e a risarcire l’irregolarità della superficie; più sporadicamente si rilevano frammenti di laterizi di reimpiego, anch’essi utilizzati con la medesima funzione delle zeppe.

Nei castelli abbandonati dei Monti Lucretili questo tipo murario è molto frequente, specialmente nelle grandi opere come le mura e le rocche ed è riferibile alla prima fase edilizia in materiale durevole degli insediamenti. I siti dove questo tipo murario è stato attestato sono Castiglione, Macla, Montefalco, Petra Demone, Spogna e Vallebona (fig. 5.20-tab. 5.2).

La malta usata come legante in queste cortine è friabile, con una granulometria molto grossolana e inclusi di medie e grandi dimensioni, principalmente di origine calcarea;

Fig. 5.20. Prospetto del paramento esterno della rocca di Montefalco - tipo ML1-a (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.2. Tabella riassuntiva del tipo ML1-a. Posa in opera

Irregolare

Materiali

Pietra calcarea

Tipologia elementi lapidei

Bozze, zeppe, scaglie

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 5-50 cm ca. Altezza (min.-max.): 4-25 cm ca.

Elementi di reimpiego

Assenti o sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta friabile dalla granulometria grossolana con inclusi calcarei

Rifinitura legante

Nessuna

Giunti e letti di posa

Irregolari

Spessore dei giunti

1-8 cm ca.

Datazione

XI-XII secolo

85 Cfr. Esposito 2004, pp. 216-218; Esposito 2005, pp. 33-34; De Meo 2006, pp. 203-204.

85

L’incastellamento nei Monti Lucretili Tipo murario ML1-b di laterizi di riuso è solitamente sporadico o assente. Il tipo ML1-b è quello più adoperato nell’edilizia in pietra, molto ricorrente negli edifici a carattere residenziale e nelle altre strutture ubicate nelle pertinenze del castrum. I castelli che hanno rivelato la presenza di tale tipo murario sono Castel del Lago, Castiglione, Macla, Montefalco, Petra Demone, Poggio Runci e Spogna (fig. 5.21-tab. 5.3).

Le murature di questo gruppo si presentano irregolari per la posa in opera degli elementi, compiute attraverso l’utilizzo di bozze, bozzette e scaglie in pietra calcarea di piccola e media pezzatura; l’impiego di materiale di ridotte dimensioni differenzia questo tipo murario da ML1-a. Anche in questo paramento le zeppe sono presenti in grande quantità, i giunti di malta sono irregolari e l’utilizzo

Fig. 5.21. Prospetto paramento interno della rocca di Macla - tipo ML1-b (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.3. Tabella riassuntiva del tipo ML1-b. Posa in opera

Irregolare

Materiali

Pietra calcarea

Tipologia elementi lapidei

Bozze, bozzette, scaglie, zeppe

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 5-35 cm ca. Altezza (min.-max.): 4-15 cm ca.

Elementi di reimpiego

Assenti o sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta friabile dalla granulometria grossolana con inclusi calcarei

Rifinitura legante

Nessuna

Giunti e letti di posa

Irregolari

Spessore dei giunti

1-8 cm ca.

Datazione

XI-XII secolo

86

La materia dei castelli Tipo murario ML1-c L’unico caso attestato del tipo ML1-c viene dal castello di Saccomuro, situato a ridosso del corso dell’Aniene e sulla via Tiburtina Valeria tra Vicovaro e Castel Madama, dove la geomorfologia del terreno si caratterizza per la presenza di depositi alluvionali e banchi tufacei; per tali motivi questo castello risulta essere un unicum nel campionario dei Lucretili poiché utilizza materiali riferibili esclusivamente a questo limitato contesto territoriale (fig. 5.22-tab. 5.4).

Opera muraria costituita da murature irregolari con bozze e bozzette di piccole, medie e grandi dimensioni in puddinga e tufo nero (neck) dove si rileva la presenza di zeppe nel paramento. Il ricorso all’uso di laterizi di reimpiego è sporadico o assente. Nelle rifiniture delle aperture o nelle ghiere dei portali è stato rilevato il ricorso ai conci come rifinitura. In questo tipo murario la malta esibisce una granulometria fine, con una cospicua quantità di inclusi pozzolanici di colore nero.

Fig. 5.22. Prospetto paramento interno delle mura di Saccomuro - tipo ML1-c (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.4. Tabella riassuntiva del tipo ML1-c. Posa in opera

Irregolare

Materiali

Puddinga, tufo nero (neck)

Tipologia elementi lapidei

Bozze, bozzette, zeppe, conci

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 5-35 cm ca. Altezza (min.-max.): 4-40 cm ca.

Elementi di reimpiego

Assenti o sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi pozzolanici

Rifinitura legante

Nessuna

Giunti e letti di posa

Irregolari

Spessore dei giunti

1-5 cm ca.

Datazione

XI-XII secolo

87

L’incastellamento nei Monti Lucretili 5.4.2. Gruppo ML2 - Murature con paramento a filari con corsi sub-orizzontali e orizzontali (XII-inizi XIII secolo)86 Tipo murario ML2-a Gli edifici che vedono l’utilizzo di tale tipologia sono riferibili solitamente ad una posteriore fase di monumentalizzazione del castello, nuove fondazioni oppure a degli interventi di risistemazione. Questo tipo murario è stato rilevato a Castel del Lago, Monteverde e Poggio Runci (fig. 5.23-tab. 5.5).

Apparecchio murario caratterizzato da una posa in opera degli elementi lapidei a filari sub-orizzontali, realizzati con bozze e bozzette in pietra calcarea di piccole e medie dimensioni; numerosa è la quantità di zeppe nel paramento. In questo tipo murario, l’uso dei laterizi di reimpiego è sporadico o assente. Con questa tecnica edilizia lo spessore dei giunti inizia a regolarizzarsi: il legante, infatti, diventa sempre più finemente lavorato e dalla consistenza tenace.

Fig. 5.23. Prospetto paramento interno della rocca di Poggio Runci - tipo ML2-a (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.5. Tabella riassuntiva del tipo ML2-a. Posa in opera

Sub-orizzontale

Materiali

Pietra calcarea

Tipologia elementi lapidei

Bozze, bozzette, zeppe

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 5-40 cm ca. Altezza (min.-max.): 4-20 cm ca.

Elementi di reimpiego

Assenti o sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei

Rifinitura legante

Lisciata o rifluente

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-5 cm ca.

Datazione

XII secolo

86 Cfr. Esposito 2004, pp. 218-221; Esposito 2005, pp. 34-37; De Meo 2006, pp. 205-206.

88

La materia dei castelli Tipo murario ML2-b Il tipo murario si differenzia dal precedente (ML2-a) per una maggior ricerca di orizzontalità nella posa in opera degli elementi lapidei, per un minor numero di zeppe nel paramento e per la presenza talvolta di piani di orizzontamento. L’utilizzo dei laterizi di reimpiego è assente o sporadico. Cortine che utilizzano il tipo ML2-b sono state rilevate presso Castiglione, Saracinesco, Spogna e Vallebona (fig. 5.24-tab. 5.6).

In questa classe muraria sono racchiuse le murature a filari sub-orizzontali ed orizzontali87 in bozze, bozzette, blocchetti e scaglie di piccole e medie dimensioni in pietra calcarea con una sporadica presenza di zeppe nel paramento. Lo spessore dei giunti non è regolare come nelle opere interamente costruite a blocchetti, ma la malta è tenace e dalla granulometria fine.

Fig. 5.24. Prospetto paramento interno della rocca di Vallebona - tipo ML2-b (elaborazione grafica M. Bernardi). Tab. 5.6. Tabella riassuntiva del tipo ML2-b. Posa in opera

Sub-orizzontale/orizzontale

Materiali

Pietra calcarea

Tipologia elementi lapidei

Bozze, bozzette, blocchetti, zeppe

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 5-35 cm ca. Altezza (min.-max.): 4-15 cm ca.

Elementi di reimpiego

Assenti o sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei

Rifinitura legante

Lisciata o rifluente

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-5 cm ca.

Datazione

Fine XII-inizi XIII secolo

87 La differenza nell’andamento dei corsi è determinata dal grado di lavorazione degli stessi elementi lapidei.

89

L’incastellamento nei Monti Lucretili Tipo murario ML2-c non è regolare, ma la malta è tenace e dalla granulometria fine; la finitura è lisciata. L’unico caso attestato di questo tipo murario proviene dal castello di Turrita (fig. 5.25tab. 5.7).

Muratura a filari orizzontali realizzata con bozze e bozzette di piccole e medie dimensioni in puddinga, pietra calcarea e travertino con una sporadica presenza di zeppe e di laterizi di reimpiego. Lo spessore dei giunti

Fig. 5.25. Prospetto paramento esterno della chiesa di Turrita - tipo ML2-c (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.7. Tabella riassuntiva del tipo ML2-c. Posa in opera

Orizzontale

Materiali

Puddinga, pietra calcarea, travertino

Tipologia elementi lapidei

Bozze, bozzette, zeppe

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 10-25 cm ca. Altezza (min.-max.): 4-15 cm ca.

Elementi di reimpiego

Sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei

Rifinitura legante

Lisciata

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-5 cm ca.

Datazione

Fine XII-inizi XIII secolo

90

La materia dei castelli 5.4.3. Gruppo ML3 - Murature con paramento a blocchetti a filari orizzontali (XIII-XIV secolo)88 Tipo murario ML3-a Muratura costituita da blocchetti di pietra calcarea, più o meno regolari, di piccole e medie dimensioni, posti in opera a filari orizzontali. Talvolta sono presenti nel paramento frammenti di laterizi di reimpiego. In questo tipo di muratura i giunti di malta sono regolari e possono

presentare come finitura la lisciatura o la stilatura; la granulometria del legante è fine e la consistenza è tenace. I siti dove è stata riscontrata questa tipologia sono Montefalco, Monteverde, Poggio Runci e Saracinesco (fig. 5.26-tab. 5.8).

Fig. 5.26. Prospetto paramento esterno della chiesa di Monteverde - tipo ML3-a (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.8. Tabella riassuntiva del tipo ML3-a. Posa in opera

Orizzontale

Materiali

Pietra calcarea

Tipologia elementi lapidei

Blocchetti

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 10-20 cm ca. Altezza (min.-max.): 5-10 cm ca.

Elementi di reimpiego

Sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei e/o pozzolanici

Rifinitura legante

Lisciata o stilata

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-3 cm ca.

Datazione

XIII-XIV secolo

88 Cfr. Esposito 1998; Esposito 2004, pp. 222-228; Esposito 2005, pp. 37-49; De Meo 2006, pp. 207-209.

91

L’incastellamento nei Monti Lucretili Tipo murario ML3-b Questo tipo di muratura, attestata solo a Turrita, presenta una malta tenace, dalla granulometria fine e con inclusi pozzolanici; lo spessore dei giunti è regolare e la finitura è lisciata o stilata (fig. 5.27-tab. 5.9).

Muratura in blocchetti di piccole e medie dimensioni di tufo, puddinga, pietra calcarea, travertino e laterizi di reimpiego messi in opera a filari orizzontali.

Fig. 5.27. Prospetto paramento esterno interno delle mura di Turrita - tipo ML3-b (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.9. Tabella riassuntiva del tipo ML3-b. Posa in opera

Orizzontale

Materiali

Pietra calcarea, puddinga, tufo, travertino

Tipologia elementi lapidei

Blocchetti

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 10-25 cm ca. Altezza (min.-max.): 5-10 cm ca.

Elementi di reimpiego

Sporadici laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei e pozzolanici

Rifinitura legante

Lisciata o stilata

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-3 cm ca.

Datazione

XIII-XIV secolo

92

La materia dei castelli Tipo murario ML3-c Questo tipo di paramento murario presenta una malta tenace, dalla granulometria fine e con inclusi calcarei e/o pozzolanici; lo spessore dei giunti è regolare e la finitura è lisciata o stilata (fig. 5.28-tab. 5.10).

Muratura messa in opera a filari orizzontali di blocchetti di pietra calcarea di piccole e medie dimensioni con piani di orizzontamento e marcapiani in laterizi di reimpiego, attestata nei Lucretili solo presso il sito di Castiglione.

Fig. 5.28. Prospetto paramento esterno di un ambiente interno alla rocca di Castiglione - tipo ML3-c (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.10. Tabella riassuntiva del tipo ML3-c. Posa in opera

Orizzontale

Materiali

Pietra calcarea

Tipologia elementi lapidei

Blocchetti

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 10-25 cm ca. Altezza (min.-max.): 5-10 cm ca.

Elementi di reimpiego

Laterizi utilizzati come piano di orizzontamento

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei e/o pozzolanici

Rifinitura legante

Lisciata o stilata

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-3 cm ca.

Datazione

XIII-XIV secolo

93

L’incastellamento nei Monti Lucretili Tipo murario ML3-d La malta è tenace e dalla granulometria fine con inclusi pozzolanici; lo spessore dei giunti è regolare e la finitura è lisciata o stilata. Anche in questo caso l’unico esempio ci viene fornito dal castello di Turrita (fig. 5.29-tab. 5.11).

Muratura in blocchetti di piccole e medie dimensioni in puddinga messi in opera a filari orizzontali; nel paramento si rilevano anche blocchetti di pietra calcarea, tufo, travertino e spezzoni di laterizi di reimpiego.

Fig. 5.29. Prospetto paramento esterno della torre di Turrita - tipo ML3-d (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.11. Tabella riassuntiva del tipo ML3-d. Posa in opera

Orizzontale

Materiali

Puddinga, pietra calcarea, tufo, travertino

Tipologia elementi lapidei

Blocchetti

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 10-25 cm ca. Altezza (min.-max.): 5-10 cm ca.

Elementi di reimpiego

Laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei e pozzolanici

Rifinitura legante

Lisciata o stilata

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

2-3 cm ca.

Datazione

XIII-XIV secolo

94

La materia dei castelli 5.4.4. Gruppo ML4 - Murature con paramento a filari di laterizi di reimpiego (XIII-XIV secolo)89 Tipo murario ML4-a centrale è costruita totalmente con questo tipo di tecnica muraria. In questo caso, però, il nucleo cementizio è realizzato con il solo utilizzo di bozze in pietra calcarea; questo tipo murario è molto raro nei contesti rurali (fig. 5.30-tab. 5.12).

Muratura a filari orizzontali realizzata con spezzoni di laterizi di reimpiego dagli impasti, colori e dimensioni disomogenei. La malta è tenace, dalla granulometria fine e con inclusi pozzolanici; lo spessore dei giunti è regolare e la finitura è lisciata. L’unico esempio di utilizzo di tale cortina proviene dal castello di Monteverde, dove la torre

Fig. 5.30. Prospetto paramento esterno della torre di Monteverde - tipo ML4-a (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 5.12. Tabella riassuntiva del tipo ML4-a. Posa in opera

Orizzontale

Materiali

Laterizi di reimpiego

Tipologia elementi lapidei

-

Dimensioni elementi lapidei

Larghezza (min.-max.): 5-25 cm ca. Altezza (min.-max.): 3-4 cm ca.

Elementi di reimpiego

Laterizi

Caratteristiche del legante

Malta tenace dalla granulometria fine con inclusi calcarei e pozzolanici

Rifinitura legante

Lisciata

Giunti e letti di posa

Regolari

Spessore dei giunti

1-2 cm ca.

Datazione

XIII-XIV secolo

89

Cfr. Esposito 2004, pp. 228; Esposito 2005, pp. 49-50.

95

6 Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili In a territorial study, the amount of data that needs to be processed, ranging from the analysis of the written sources to the study of the archaeological evidence, may appear as overwhelming and difficult to manage if the acquired material is not organized in an appropriately schematic manner. Following traditional approaches, source data can be inserted in the same sheet that might represent an essential tool in carrying out a historical and diachronic reconstruction of the analyzed settlements. Site forms, compiled for each castle, allow to avoid data dispersal while at the same time permitting to consult rapidly and effectively all the recorded elements, ultimately providing the reader with a synthetic overview of the study. The model proposed in this work is not a traditional one. For the purpose of the research, all the information acquired from the different types of analyzed sources was grouped in the analytical section. The ‘interpretative’ stage of the work is also introduced in this segment, including possible reconstructive hypotheses based on the archaeological and architectural evidence recorded from each fortified settlement, a choice that stems from the need to aid the reader during text consultation while avoiding dispersing data in other chapters. In the first part of the site sheet, generic fields related to site location have been inserted, allowing to geographically set the castle within its territory of reference. This is followed by a summary section focused on chronological evidence. A number of cross-fields are intended for the recording of chronological markers acquired through the study of the different analyzed sources in order to immediately set each center in a precise chronological period. Such data, synthetically provided in the summary section, is then discussed further in the following part dedicated to the history of the site. From the historical section, it is possible to move on to the analysis of the archaeological evidence acquired from survey activities carried out in the field. Site forms relating to abandoned centers, compared to those focusing on centers with a continuity of life, have an additional entry for Topographic Units (UT). In the present study, a UT includes every architectural structure still recognizable on-site and whose structural features are still partly preserved. These forms, together with the other units identified in the same territory, a single archaeological site. A UT is therefore an independent structure, a smaller element of a much broader settlement context. The last part of the site sheet focuses on source material and bibliographical references. The overall arrangement differs from the traditional structure of site forms, in particular the last two paragraphs related to the analysis of the archaeological evidence of abandoned castles. The first examines the building phases of each center whereas the second provides a reconstructive hypothesis based on the archaeological evidence recorded at sites where inspections were possible. Ultimately it was not possible to provide a detailed recording for all of the castles due to a lack of still-preserved structures, thus undermining the interpretative proposal put forward for several of the analyzed sites. In uno studio territoriale la mole di informazioni che ci si ritrova a gestire, dalla lettura e spoglio delle fonti fino ad arrivare all’analisi delle evidenze archeologiche, può sembrare smisurata e di difficile interpretazione se non si organizzano i dati in maniera schematica e sintetica.

per orientare la ricerca verso una ricostruzione storica e diacronica degli insediamenti incastellati1. Le schede di sito, da redigere per ogni centro incastellato, sono il giusto mezzo per evitare la dispersione dei dati, che raccolti in questo modo possono essere facilmente consultabili in maniera tempestiva ed efficace al momento

I dati emersi dalle fonti applicando i diversi metodi di ricerca necessitano di essere tradotti e inseriti in uno stesso spazio, ovvero una scheda, un imprescindibile strumento

1

97

Cambi, Terrenato 1994, pp. 183-184.

L’incastellamento nei Monti Lucretili Dalle UT e dalla fondamentale analisi del rapporto sito/ ambiente, si arriva poi ai campi dedicati alle fonti, qui passate in rassegna5, e ai riferimenti bibliografici.

della fase di sintesi conclusiva di uno studio così complesso. Il modello di schedatura qui proposto non si configura come una “classica” scheda di sito: per esigenze di ricerca, si è scelto di inserire tutti i dati desunti dall’analisi delle differenti tipologie di fonti indagate, come descritto nel capitolo 4, che sono quindi confluiti in questa sezione analitica. Nella schedatura è stata introdotta anche la parte più “interpretativa” del lavoro, come ad esempio le ipotesi ricostruttive di ogni castello congetturate sulla base dei resti archeologici ed architettonici rilevati nei siti abbandonati, questo per facilitare la lettura e per non disperdere in maniera frammentaria nei diversi capitoli tutti i dati acquisiti su ciascun castello.

Come già anticipato, questo modello di schedatura si discosta nella struttura dalle tradizionali schede di sito poiché per i castelli abbandonati sono stati inseriti anche due ulteriori paragrafi riferibili a un livello più interpretativo della ricerca: il primo riguarda l’analisi delle fasi edilizie, il secondo, invece, riporta l’ipotesi ricostruttiva proposta sulla base delle evidenze archeologiche rilevate, ovviamente per i siti dove è stato possibile effettuare dei sopralluoghi6. Non per tutti i castelli si è potuto raggiungere un livello interpretativo avanzato, spesso per la scarsa presenza di strutture conservate che hanno inficiato la comprensione di alcuni centri.

Nella prima parte della scheda sono stati inseriti dei campi generici relativi alla localizzazione per poter dapprima inquadrare geograficamente il castello all’interno del territorio. Segue poi una sintetica sezione dedicata alla cronologia: alcune campiture sono, infatti, destinate agli indicatori di datazione, desunti attraverso lo studio congiunto di tutte le fonti, questo per poter collocare da subito ogni insediamento in un preciso ambito temporale. Tali dati, anticipati in questa sezione riassuntiva, vengono poi argomentati nella seguente parte riservata alla storia del sito. Dalla sezione più “storica” si passa all’analisi oggettiva delle evidenze archeologiche rilevate dopo l’attività di ricognizione svolta sul campo, principale elemento di novità di questo studio. Le schede di sito relative ai centri abbandonati2, rispetto a quelle dedicate ai castelli a continuità di vita, hanno un ulteriore spazio dedicato alle Unità Topografiche (UT)3. Proprio su questa tematica è importante, però, fare una premessa: sul concetto di UT è ancora in atto un ampio dibattito che vede contrapposte in letteratura due correnti di pensiero4; in questo caso, per UT si intende ogni opera architettonica ancora riconoscibile in situ ed almeno in parte conservata in elevato, che forma insieme alle altre unità pertinenti al medesimo insediamento un unico sito archeologico, in questo caso un castello. Una UT è quindi una struttura indipendente, una piccola cellula di un ben più ampio contesto insediativo.

Tra i castelli abbandonati gli unici che non mostrano una classificazione per UT sono Fistula, Marcellino e Santa Croce: i primi due per l’assenza di strutture conservate in elevato, l’ultimo per l’inacessibilità al sito. 3 Durante la stesura della tesi di dottorato, un intero volume è stato dedicato all’elaborazione di schede analitiche di tutte le evidenze archeologiche ancora riconoscibili nei siti abbandonati: per ogni presenza conservata era stata, infatti, redatta una scheda di Unità Topografica (UT). In occasione di questo libro si è ritenuto non necessario inserire tutte le schede di UT nel volume; ad ogni modo, i dati desunti da questa scrupolosa attività di schedatura non sono stati omessi ma bensì trasformati e inseriti in forma sintetica e tabellare. Si specifica anche che ogni UT è stata georeferita e inserita all’interno del programma Qgis con il sistema di riferimento EPSG: 32633-WGS84 UTM 33N; grazie all’utilizzo di GPS è stato possibile posizionare su base CTR tutte le strutture rilevate nel corso dei sopralluoghi. 4 Sul dibattito si veda Cambi, Terrenato 1994, pp. 257-259. 2

Una sintetica tabella sulle fonti scritte conservate per i castelli dei Lucretili è nell’Appendice alla fine del volume. 6 Non per tutti i castelli è stato possibile effettuare un sopralluogo in situ poiché, in alcuni casi, i resti di tali centri sono oggi all’interno di proprietà private, come nel caso di Santa Croce. Per questo sito le immagini satellitari e le ricognizioni effettuate in tempi meno recenti da altri studiosi, come ad esempio Jean Coste, hanno comunque consentito di approntare un’ipotesi ricostruttiva per tale castello. 5

98

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1. Analisi dei castelli abbandonati

monastero di Farfa che, dopo anni di usurpazioni ed occupazioni illecite, riprenderà il possesso diretto anche di questo territorio. Nel 1067 in un documento del Chronicon Farfense si fa riferimento alla donazione al monastero della chiesa di S. Giovanni ubicata nelle pertinenze di Lacus14. Il Castrum Laci con le sue pertinenze compare nei documenti farfensi fino al 111015.

6.1.1. Castel del Lago 6.1.1.1. Scheda di sito Sito: Castel del Lago Provincia: Roma Comune: Percile Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366124 Quota altimetrica: 782 m s.l.m. Toponomastica antica: Castrum Laci7 Cronologia insediamento: XI secolo/XV secolo Prima attestazione toponimo: 1010 (vocabulo casale de Lacu)8 Prima attestazione castello: 1062 o 1065 (castelli quod lacus vocat)9 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XI-XII secolo; 2a fase: XII secolo Datazione abbandono: post 1422-ante 1443

Nel XII secolo il castello passa alla famiglia baronale dei Colonna di Riofreddo fino a quando verrà assegnato agli Orsini tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo dopo la campagna denigratoria di papa Bonifacio VIII (12941303) ai danni della suddetta famiglia16. Nel XIV secolo Castel del Lago sembra essere al centro di complesse dinamiche di concessione, acquisizione e alienazione. Dai documenti dell’Archivio Orsini si possono ricavare notizie sui passaggi di proprietà tra esponenti della famiglia stessa: al 1300 risale la spartizione dei beni che portò il castello ad essere assegnato a Fortebraccio, Orso, Giovanni di Francesco e Giacomo con suo fratello Braccio17; nel 1318 Francesco di Landolfo Colonna ne ricomprerà la metà18.

Descrizione del sito: I ruderi del Castrum Laci, segnalati sulla carta IGM con il toponimo “Rovine Morella” (muretti in rovina), si trovano a Sud-Est del borgo di Percile, nella zona meglio conosciuta per la presenza dei cosiddetti Lagustelli, due piccole formazioni carsiche, il Fraturno e il Marraone, da cui l’insediamento medievale prende il nome.

Nel 1339 numerosi passaggi di proprietà e alienazioni coinvolgono nuovamente il sito19: un quarto del castello, con la rocca e le sue terre, viene alienato da Rainaldo e Giordano, figli di Orso Orsini, a favore di Orso di Giacomo di Napoleone Orsini (del ramo degli Orsini di Tagliacozzo); le restanti tre parti appartengono a Mario di Scarpa e a Francesco de Colonna di Zagarolo20.

Il castello è facilmente raggiungibile seguendo il sentiero n. 307 del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili, molto semplice da percorrere e ben segnalato: partendo dal cancello di accesso dell’azienda agricola regionale “Lago” (a 4 km ca. da Percile) e seguendo la strada bianca del sentiero, le rovine si raggiungono dopo circa 1 h di cammino.

L’analisi delle liste del Sale e del Focatico sembra indicare il momento dell’abbandono dell’abitato in un periodo compreso tra il 1422 e il 144321; tale dato viene avvalorato anche da un documento conservato presso l’ASV del 1492 che definisce Castel del Lago come “diruto” e trasformato in tenuta22. Dalla fine del XV secolo la Tenuta del Lago viene divisa tra due famiglie, gli Atti di Todi e gli stessi Orsini; nel secolo successivo il territorio è assegnato agli abitanti di Percile e di Scarpa (attuale Cineto Romano)23.

Presso le Rovine Morella, ad una quota massima di 782 m s.l.m., sono stati individuati i resti del Castrum Laci di cui sono ancora visibili alcune evidenze architettoniche in pessimo stato di conservazione. Le prime attestazioni del toponimo nelle fonti risalgono al 101010 e al 101111, quando il monastero di Farfa, proprietario del territorio, vende alcuni casali presso la località Lacu in comitato tyburtino a privati. Sempre nei documenti farfensi, in un periodo compreso tra il 1062 e il 1065, il toponimo viene menzionato per la prima volta associato ai vocaboli castellum12 e pertinentia13: dai dati desumibili dalle fonti, la fondazione dell’insediamento fortificato sarebbe avvenuta presumibilmente prima di questa data, probabilmente nell’XI secolo. Altri documenti databili sempre agli stessi anni riguardano alcune donazioni di proprietà compiute da personaggi locali in favore del

Nel XVII secolo avviene l’ultimo passaggio di proprietà: è la famiglia Borghese ad impossessarsi del castello nel 1608 dopo la vendita da parte di Alessandro degli Atti, ma il sito è ormai distrutto e abbandonato da quasi due secoli. L’ultima vendita si verifica nel 1612 quando la moglie di Settimio Orsini, Livia Vestri, a cui era rimasta la proprietà CF, vol. II, p. 154. RF V, doc. 1205, pp. 197-198. 16 Martinori 1933-1934, vol. I, p. 138; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 274; Amore 1979, p. 232; Amore, Delogu 1983, p. 295. 17 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001. 18 Cfr. Presutti 1910, p. 324; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 274. 19 ASC, Archivio Orsini, II.A.04,032; ASC, Archivio Orsini, II.A.04,035. 20 Nel documento si fa riferimento anche all’omaggio di fedeltà al nuovo acquirente Orso da parte dei vassalli del castello. 21 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 22 ASV, Reg.Vat. 945, foglio 176. 23 Amore 1979, p. 233; Amore, Delogu 1983, p. 295. 14 15

Gelsomino 1995, pp. 696-697. LL, vol. II, doc. 2017, p. 304. 9 RF IV, doc. 945, p. 339. 10 LL, vol. II, doc. 2017, p. 304; LL, vol. II, doc. 2016, p. 304. 11 LL, vol. II, doc. 2015, p. 304. 12 RF IV, doc. 945, p. 339. 13 RF IV, doc. 944, p. 338. 7 8

99

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Giovanni (nelle pertinenze del castello).

complessa l’interpretazione; tra queste si possono però riconoscere una torre, una struttura voltata (utilizzata forse come piccola cisterna), lacerti murari di un ambiente ed infine dei tratti di muraglione interpretabili come porzioni delle mura del castrum.

Evidenze archeologiche: Del castello si conservano poche strutture e in pessimo stato di conservazione che rendono

Nel sito sono state individuate in totale 5 Unità Topografiche (fig. 6.1-tab. 6.1).

della Tenuta del Lago, decide di cedere i suoi possedimenti in favore di M. Antonio Borghese24.

Fig. 6.1. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Castel del Lago (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.1. Tabella Unità Topografiche (UT) Castel del Lago. N. UT

Tipologia

UT1 UT2

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

Tratto cinta muraria -

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

Torre

Quadrangolare

S-O/N-E

ML2-a

Pietra calcarea

XII secolo

UT3

Cisterna

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT5

Tratto cinta muraria -

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

24 Silvestrelli 1940, vol. I, p. 275; Amore 1979, p. 233; Amore, Delogu 1983, p. 295.

100

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili ASC, Archivio Orsini, II.A.04,032; ASC, Archivio Orsini, II.A.04,035; ASV, Reg. Vat. 945, foglio 176.

Ritrovamenti: Oltre alle evidenze architettoniche del castello sono state rilevate numerose aree di frammenti fittili, maggiormente concentrate sulla sommità dell’insediamento e riferibili a materiale edilizio quali tegole e coppi. Lungo le pendici del colle è stata riscontrata una cospicua quantità di reperti ceramici, verosimilmente dilavati dalla zona sommitale dell’insediamento.

Fonti cartografiche e catastali: Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Castel del Lago; Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Castel del Lago; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - Castel del Lago diruto; Petroschi (1767): FCL 2, XXXVII. 2, tav. 188 - Casal di Lago diruto; Campiglia (1743): FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Castel del Lago; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 Castel del Lago; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Laghi di Percili, Castello diruto.

Rapporto sito/ambiente: Il sito di Castel del Lago è collocato all’interno di una zona idonea allo svolgimento di attività economiche quali agricoltura specializzata e pastorizia, ma allo stesso tempo lontano dalla viabilità antica. Importante risorsa idrica per il castello è rappresentata dalla presenza dei due laghetti carsici. L’accesso al sito durante il medioevo doveva avvenire verosimilmente dal lato Sud. L’abitato poteva avere una relazione visiva con i limitrofi castelli di Percile e Licenza.

Foto aeree: Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. 3133, 3134, 3135, 3136, neg. 183172, 183173, 183174, 183175 (© AFN-ICCD, fondo MAPRW-BSRRAF); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 86, fot. 3156, neg. 203602 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Durante il basso medioevo Castel del Lago doveva avere una preponderante funzione strategica, ubicandosi in corrispondenza dei confini tra la diocesi di Sabina, la diocesi di Tivoli e il territorio sublacense.

Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. I, p. 138; Silvestrelli 1940, vol. I, pp. 274-275; Amore 1979, pp. 226-228; Amore, Delogu 1983, pp. 294-295; Bernardi 2014. 6.1.1.2. Fasi edilizie (fig. 6.2)

Fonti documentarie e d’archivio: LL, vol. II, doc. 2017, p. 304; LL, vol. II, doc. 2016, p. 304; LL, vol. II, doc. 2015, p. 304; RF IV, doc. 944, p. 338; RF IV, doc. 945, p. 339; CF, vol. II, p. 151; RF IV, doc. 978, p. 358; RF IV, doc. 979, p. 359; CF, vol. II, p. 153; CF, vol. II, p. 154; RF V, doc. 1205, pp. 197-198; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001;

Prima fase edilizia: XI-XII secolo Le evidenze archeologiche conservate per il sito di Castel del Lago sono molto esigue e in pessimo stato

Fig. 6.2. Fasi edilizie di Castel del Lago (elaborazione grafica M. Bernardi).

101

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.1.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.3)

di conservazione; oggi l’altura appare completamente ricoperta da una folta macchia boschiva che complica notevolmente il rilevamento degli edifici.

Nella sua ultima fase edilizia l’abitato di Castel del Lago doveva presentare un assetto strutturale caratterizzato da un recinto murario, verosimilmente munito di torri collocate in punti strategici per il controllo del territorio di pertinenza. Sulla cima dell’insediamento vi erano un piccolo ambiente voltato ed intonacato (UT3, presumibilmente interpretabile come una cisterna) ed un’ulteriore struttura, forse adibita a funzioni abitative o di servizio (UT4). La presenza della torre, collocata nel punto sommitale dell’insediamento, completava l’assetto fortificato del castello.

Della prima fase edilizia in pietra del castrum si riconoscono due tratti della cinta muraria (UT1, UT5) e due ambienti, di cui una probabile cisterna, collocati nella porzione centrale e sommitale dell’insediamento (UT3, UT4); queste costruzioni si caratterizzano per una tecnica edilizia irregolare, realizzata con bozze, bozzette e zeppe di pietra calcarea poste in opera senza corsi orizzontali. Seconda fase edilizia: XII secolo

L’abitato, di cui non rimane alcuna traccia materiale, doveva svilupparsi presumibilmente all’interno della cinta muraria; nel sito non vi sono ulteriori evidenze archeologiche che possano fornire un quadro più completo dell’organizzazione strutturale di Castel del Lago.

La seconda fase edilizia del castello, di pieno XII secolo, è segnalata dalla costruzione di una grande torre di forma quadrangolare (UT2), realizzata con bozze e bozzette calcaree messe in opera a filari sub-orizzontali, con sporadiche zeppe nel paramento; l’edificio è stato costruito nella parte sommitale del castello, probabilmente utilizzato come avamposto di controllo. L’angolata SudOvest della torre si distingue per l’impiego di conci in pietra calcarea, posti alternati di testa e di taglio; le pareti Sud ed Ovest sono le uniche ad essersi parzialmente conservate di questo edificio.

Fig. 6.3. Ipotesi ricostruttiva di Castel del Lago sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

102

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.2. Castiglione

Nel 1446 il castello diruto subì un cambio di proprietà che durerà per pochi decenni; Castiglione venne venduto da Battista Savelli a Nicolò Della Valle, altro esponente di una famiglia aristocratica emergente, che comprò la metà dell’insediamento e i territori ad esso pertinenti33. Nei decenni successivi il casale Castillionis diventò oggetto di diversi atti di compravendita che coinvolsero sempre le famiglie Savelli e Della Valle, fino ad arrivare all’acquisto totale del territorio da parte di quest’ultimo lignaggio34, per poi ritornare nel 1469 tra le proprietà Savelli, certamente la famiglia più radicata in questo territorio ormai da centinaia di anni 35.

6.1.2.1. Scheda di sito Sito: Castiglione Provincia: Roma Comune: Palombara Sabina Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.O. (Palombara Sabina); CTR 2014 1:5000, f. 366104 Quota altimetrica: 486 m s.l.m. Toponomastica antica: Castillionis; Castellionis Cronologia insediamento: XI-XII secolo/fine XIV secolo Prima attestazione toponimo: 127625 Prima attestazione castello: 127626 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XI-XII secolo; 2a fase: fine XII-inizi XIII secolo; 3a fase: XIII-XIV secolo Datazione abbandono: post 1363-ante 139627

L’analisi delle liste del Sale e del Focatico individua la datazione dell’abbandono di Castiglione tra il 1363 e il 1416 poiché il toponimo viene trascritto tra i registri ma non vi è mai la presenza del verbale di comparizione36; tale dato viene confermato anche dal Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis37 in cui il castello viene menzionato ancora nel 1343 insieme alla chiesa arcipresbiteriale di S. Angelo (odierna S. Michele) e alle cappelle da essa dipendenti dedicate a S. Maria, S. Salvatore, S. Pietro, S. Lorenzo e S. Margherita di Salina. Probabilmente il sito è stato abbandonato prima del 1396 in quanto non viene trascritto nella lista del sussidio militare38.

Descrizione del sito: Le monumentali rovine del castrum Castillionis sono raggiungibili da Palombara Sabina percorrendo il sentiero n. 318 del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili (toponimo IGM “Rovine di Castiglione”). La prima fonte che attesta l’esistenza del castello è datata al 30 settembre 1276, quando alcune terre del tenimentum castri Castillionis vengono vendute da Federico, Ottaviano, Rainaldo e Pietro figli di Rainaldo di Palombara a Deodato di Cretone28.

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Angelo de Castiglione (pieve e chiesa arcipresbiteriale, oggi nota come S. Michele, ubicata a Nord-Ovest del castello); S. Maria, S. Salvatore, S. Pietro, S. Lorenzo, S. Margherita di Salina (cappelle dipendenti da S. Angelo).

Nel 1278 il tenimentum castri Castellionis viene nominato nei documenti per la vendita dei castelli confinanti di Palombara e Monteverde, di proprietà di Giacomo e Pandolfo Savelli, al Cardinal Giacomo Savelli, futuro pontefice29.

Evidenze archeologiche: Castiglione è il sito meglio conservato del comprensorio dei Lucretili e di cui sono ancora evidenti le vestigia di epoca medievale che fanno realmente capire, anche ad un visitatore inesperto, che si tratta di un villaggio abbandonato e non di una semplice costruzione adibita al controllo. Del sito sono ancora ben riconoscibili le mura (fig. 6.4), la rocca (fig. 6.5) e numerosi ambienti, ubicati sia all’interno che all’esterno della cinta e che mostrano differenti sistemi di copertura quali a falda singola, a doppia falda o a copertura piana39; tra questi si annoverano una chiesa absidata, cisterne e molteplici altri edifici che costituiscono l’abitato dell’insediamento. Grazie alle mole di evidenze archeologiche conservatesi

Nel 1285 risulta ancora di proprietà di Giacomo Savelli, ormai papa Onorio IV (1285-1287), che nello stesso anno cederà il centro al fratello e al nipote30. Castiglione rimase possedimento Savelli almeno fino al XV secolo, quando venne già definito dalle fonti come distrutto31: nel 1445 il castello guasto viene spartito ancora una volta tra gli esponenti della stessa famiglia Savelli32.

ASV, Archivio Borghese, 736, n. 260. Ibidem. 27 Il castello di Castiglione viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, pp. 88-89; Mancinelli 2007, p. 119 (nel documento le annotazioni apposte nel XV secolo lo definiscono, infatti, come dirutum). Nelle liste del sussidio militare il castello non viene citato poiché probabilmente già abbandonato: documento citato in Coste 1988, p. 390. 28 ASV, Archivio Borghese, 736, n. 260. Questo documento, oltre ad essere la prima attestazione nelle fonti del castrum Castillionis, è un’utile testimonianza per ricostruire i confini dell’insediamento fortificato e il tipo di colture praticate nella zona. Cfr. Coste 1988, p. 390; Cicchetti 2001, p. 93. 29 ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. 30 Coste 1988, p. 390; Cicchetti 2001, p. 94. Documento pubblicato in Paravicini Bagliani 1980, pp. 479-482. 31 Sulle altre fonti che attestano il castello come diruto cfr. Coste 1988, p. 390; Cicchetti 2001, p. 95. 32 ASV, Archivio Borghese, 736, n. 264. 25 26

ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 73, n. 23; ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 72, n. 29. 34 ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 73, n. 15; ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 79, n. 43. 35 Cicchetti 2001, p. 94. 36 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. Nelle liste, anche se verosimilmente già abbandonato da decenni, il castello risulta tassato per 10 rubbia di sale. 37 Tomassetti, Biasiotti 1909, pp. 88-89; Mancinelli 2007, p. 119. Nel documento le annotazioni apposte nel XV secolo lo definiscono, infatti, come dirutum. 38 Documento citato in Coste 1988, p. 390. 39 I sistemi di copertura degli ambienti in alcuni casi sono ben riconoscibili poiché, specialmente negli edifici meglio conservati in elevato, rimane ancora l’andamento dei salienti nelle pareti laterali o nel caso di ambienti addossati alle mura o ad altre costruzioni rimangono le impronte delle coperture lasciate in negativo sui paramenti. 33

103

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.4. Tratto Est delle mura di Castiglione (foto M. Bernardi).

Fig. 6.5. Rocca del castello di Castiglione (foto M. Bernardi).

104

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili in buono stato, per questo castello è stato possibile individuare in alcuni settori le tracce ben distinguibili delle vie di transito, specialmente nel settore Est dove si doveva concentrare l’abitato. La trama stradale all’interno all’insediamento può essere distinta in due categorie: una viabilità “orizzontale”, verosimilmente carrabile, che si sviluppa seguendo la geomorfologia del terreno lungo le curve di livello, ed una viabilità “verticale”, esclusivamente pedonale, caratterizzata da passaggi radiali (talvolta al coperto) che conducevano ai punti più alti del

castello, ovvero la rocca. I percorsi, oltre ad essere in parte segnalati da muraglioni paralleli, sono ben ricostruibili grazie alla presenza di angoli stondati negli edifici ubicati in corrispondenza dei passaggi. Alcuni ambienti della rocca sono stati notevolmente rimaneggiati in epoca moderna dopo l’abbandono del castello e la sua trasformazione in casale. Nel sito sono state individuate in totale 48 Unità Topografiche (fig. 6.6tab.6.2).

Fig. 6.6. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Castiglione (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.2. Tabella Unità Topografiche (UT) Castiglione. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Rocca

Rettangolare

N-S

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT2

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT3

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT4

Ambiente

Quadrangolare

N-S

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT5

Cisterna

Rettangolare

N-S

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT6

Ambiente

Quadrangolare

N-S

-

Pietra calcarea, mattoni moderni

Epoca moderna

105

L’incastellamento nei Monti Lucretili N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT7

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT8

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

N-O/S-E

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT9

Sostruzione

-

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT10

Terrazzamento

-

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo XI-XII secolo

UT11

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

UT12

Chiesa

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT13

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT14

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT15

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT16

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

E-O

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT17

Cisterna

E-O

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT18

Ambiente con Quadrangolare funzioni di controllo

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT19

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT20

Ambiente

Quadrangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT21

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT22

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT23

Terrazzamento

-

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT24

Sostruzione/ Passaggio coperto

-

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT25

Ambiente

Trapezoidale

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT26

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT27

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

S-O/N-E

ML3-c

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT28

Ambiente

Rettangolare

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT29

Ambiente

Quadrangolare

N-O/S-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT30

Ambiente

Quadrangolare

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT31

Ambiente

Rettangolare

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT32

Sostruzione

-

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo XI-XII secolo

Quadrangolare

UT33

Ambiente

Rettangolare

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

UT34

Sostruzione

-

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT35

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT36

Sostruzione/ Passaggio coperto

-

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT37

Ambiente

Trapezoidale

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT38

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

N-S

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

106

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili N. UT

Tipologia

UT39

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

E-O

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT40

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

N-S

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT41

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT42

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT43

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT44

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT45

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT46

Cisterna

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT47

Ambiente

Rettangolare

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT48

Cinta muraria

-

-

ML1-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

Ritrovamenti: Numerose sono le aree di frammenti fittili in tutto l’insediamento, perlopiù riferibili a concentrazioni di materiale edilizio quali tegole e coppi. Nel sito è stata rilevata anche una discreta quantità di ceramica da mensa e da fuoco, tra cui vetrina sparsa e frammenti di maiolica arcaica.

122; Coste 1988, pp. 390-391; Cicchetti 2001; Bernardi 2015b, pp. 111-113; Bernardi 2018a, pp. 159-160.

Rapporto sito/ambiente: Il sito è collocato su un’altura non troppo elevata ma in posizione dominante rispetto all’intero territorio circostante. Le terre del fondovalle sono idonee alle attività di agricoltura specializzata e alla pastorizia. La visibilità ed il controllo del territorio erano sicuramente due peculiarità di questo centro incastellato; da Castiglione era infatti possibile avere un rapporto visivo con i siti di Montefalco, Monteverde e Palombara Sabina. L’accesso al castrum doveva avvenire da una diramazione della via Maremmana Inferiore ad Ovest del sito dove il terreno era meno impervio e brullo.

L’analisi delle tecniche murarie utilizzate per la costruzione dei complessi architettonici ha permesso di individuare tre fasi edilizie per Castiglione.

6.1.2.2. Fasi edilizie (fig. 6.7) Prima fase edilizia: XI-XII secolo40

Della prima attività costruttiva in materiale lapideo, attribuibile ad un periodo compreso tra l’XI e il XII secolo e caratterizzata da paramenti irregolari di bozze o bozzette di pietra calcarea, si conservano le mura (UT48), una copiosa quantità di ambienti a carattere residenziale, di servizio o legati alle attività di lavoro (UT11, UT20, UT21, UT22, UT25, UT26, UT28, UT30, UT31, UT33, UT35, UT37, UT47), sostruzioni ubicate nella porzione Nord-Est dell’altura (UT9, UT32, UT34) e terrazzamenti (UT10, UT23).

Fonti documentarie e d’archivio: ASV, Archivio Borghese, 736, n. 260; ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3; ASV, Archivio Borghese, 736, n. 264; ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 73, n. 23; ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 72, n. 29; ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 73, n. 15; ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 79, n. 43.

Le mura, che dovevano circondare gran parte dell’abitato del villaggio al quale si accedeva da Est tramite un portale oggi tamponato, si presentano in un ottimo stato di conservazione, mostrando ancora, in alcuni suoi tratti Est e Ovest, la merlatura di coronamento che doveva militarizzare l’aspetto del castello all’esterno; tra gli elementi accessori sono ancora visibili le feritoie, nicchie e piccole aperture dalle più differenti forme e dimensioni. La cinta è munita lungo tutto il suo circuito di diciassette torri a scudo, di forma rettangolare e trapezoidale e più alte rispetto al generale andamento altimetrico del circuito, dalle quali era

Fonti cartografiche e catastali: ASV, Archivio Borghese, 8612, n. 22 - Castel Sfasciato (XVII secolo) Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1102, neg. 24223 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 83, fot. 891, neg. 203024; str. 84, fot. 915, neg. 203561 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Sulla base delle fonti scritte la datazione della fondazione del castello propenderebbe per una cronologia più vicina al XII secolo; è probabile che il sito di Castiglione non abbia subito alcuna fase edilizia in materiale deperibile.

40

Bibliografia: Luttazzi 1924, pp. 148-155; Silvestrelli 1940, vol. II, p. 396; Luzio 1953, p. 144; Lawrence 1964, pp. 89107

L’incastellamento nei Monti Lucretili È quindi la prima fase in materiale durevole che definisce l’assetto del villaggio fortificato.

possibile controllare il territorio di pertinenza del castello. Non si conservano evidenze materiali del camminamento di ronda, ma le tracce rimaste sui paramenti interni lasciano supporre la presenza di tale apparato a sporgere adibito al controllo, come anche confermato da alcune caditoie lungo il complesso architettonico. Dalle evidenze archeologiche è stato possibile comprendere che l’abitato di Castiglione si concentrava nella porzione orientale dell’altura, dove ambienti monovano, abitazioni a schiera e strutture più complesse e con più vani dovevano costituite il nucleo residenziale del villaggio. Nel settore settentrionale e orientale del sito sono stati infatti costruiti in questa fase sostruzioni e una serie di terrazzamenti che dovevano livellare la parte più scoscesa e irregolare dell’altura per consentire la costruzione in piano degli edifici. In questa fase è verosimile che venisse utilizzata come chiesa del castello la preesistente pieve di S. Angelo, a poca distanza dall’insediamento.

Seconda fase edilizia: fine XII-inizi XIII secolo Una seconda considerevole fase edilizia nel castello, rilevabile dalla tecnica edilizia a filari sub-orizzontali e orizzontali di blocchetti, bozze e bozzette, è avvenuta tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo con la costruzione di numerosi edifici, sia intra che extra muranei. L’abitato del castello in questo periodo viene ampliato con l’edificazione di ambienti intramuranei (UT13, UT14, UT15, UT19, UT29) ed extramuranei (UT41, UT42, UT43, UT44, UT45), nuove sostruzioni che andavano a delimitare dei passaggi pedonali forse al coperto poiché nelle murature si leggono ancora le tracce delle volte (UT24, UT36), una chiesa absidata, di cui si conserva ancora la parte orientale in buono stato (UT12), e ulteriori edifici addossati al preesistente recinto murario, verosimilmente con funzione di controllo vista la loro posizione strategica all’interno del centro, ovvero in corrispondenza dei versanti da difendere, forse anche adibiti a funzioni residenziali (UT16, UT18, UT38, UT39, UT40) e due cisterne, una interna al castello (UT17) e una esterna (UT46).

Le fonti archeologiche rivelano che tra l’XI e il XII secolo, più di un secolo prima dalla più antica attestazione del castello di Castiglione nelle fonti, si costituisce il primo nucleo abitato nel sito, caratterizzato dalla costruzione degli elementi essenziali per un castrum come centro di aggregazione popolare quali le mura e l’abitato, quest’ultimo costruito nella parte più impervia, ma più protetta naturalmente dalla conformazione del territorio grazie all’espediente delle sostruzioni e dei terrazzamenti.

L’ampliamento dell’abitato anche al di fuori del recinto murario è probabilmente da collegare ad una crescita demografica in questa fase della popolazione del castrum,

Fig. 6.7. Fasi edilizie di Castiglione (elaborazione grafica M. Bernardi).

108

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.8. Ipotesi ricostruttiva di Castiglione sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

forse da associare anche ad una nuova iniziativa promossa dai signori locali di aggregare persone all’interno dei centri fortificati. Per attribuzione cronologica è questa la fase associabile alla proprietà della famiglia Savelli.

periodo medievale è l’UT6, forse realizzato nell’ambito della trasformazione del castello in tenuta.

Terza fase edilizia: XIII-XIV secolo

Castiglione è sicuramente uno dei siti meglio conservati dei Monti Lucretili, i cui resti architettonici consentono un maggior grado di dettaglio nell’interpretazione dell’assetto strutturale del villaggio di epoca medievale41. Le evidenti testimonianze archeologiche del sito mostrano l’esistenza di un grande centro fortificato, qualificato dalla presenza di una monumentale rocca turrita, provvista di postazioni difensive e di un camminamento di ronda, un imponente recinto murario con merlatura di coronamento (uno dei rari casi dove si conservano ancora i merli con terminazione piana), e un abitato, sia intra che extramuraneo. La presenza di una chiesa intra muros conferma l’esistenza all’interno dei villaggi di un luogo di culto adibito alla collettività.

6.1.2.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.8)

L’ultima fase edilizia di XIII-XIV secolo, definita da una tecnica in blocchetti di pietra calcarea posti in opera a filari orizzontali, è rappresentata dalla costruzione della rocca turrita, munita di cinque torri a scudo (UT1) e caratterizzata da feritoie, di cui alcune definite da una terminazione ad arco in laterizi di riuso. L’ingresso alla rocca era originariamente collocato sul lato Est della struttura dove si conserva ancora l’apertura delimitata da un arco a sesto ribassato con ghiera in laterizi di reimpiego. Alcuni ambienti sono stati costruiti sfruttando su di un lato un tratto della rocca addossandosi ad essa, e tra questi anche edifici forse a carattere residenziale o di servizio (UT2, UT3, UT4, UT7), o costruzioni destinate alla difesa del fortilizio, come enfatizzato dagli accorgimenti architettonici tipici delle strutture a carattere militare come le feritoie (UT8, UT27). In questa fase viene rifoderata in blocchetti una cisterna, forse di epoca precedente (UT5), e inglobata nel fortilizio mediante la costruzione di una nuova cortina muraria in blocchetti e laterizi di reimpiego. L’unico ambiente non inquadrabile cronologicamente al

41 Un primo studio fondato sull’evidenza architettonica del castello è stato proposto da Lawrence 1964, pp. 89-122.

109

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.3. Fistula

non possiamo chiarire se la chiesa fosse intra o extra muros49, ma dai documenti è possibile apprendere che il castello era munito di una rocca, ubicata al di sopra di un fossato, di proprietà del suddetto Franco50.

6.1.3.1. Scheda di sito Sito: Fistula Provincia: Rieti Comune: Orvinio Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366084 Quota altimetrica: 1086 m s.l.m. Toponomastica antica: Fistula Cronologia insediamento: XI/XII secolo Prima attestazione toponimo: 101142 Prima attestazione castello: 102343 Datazione evidenze archeologiche: Datazione abbandono: ante 134344

Nei decenni successivi e fino alla fine dell’XI secolo la politica territoriale intrapresa da Farfa attraverso elargizioni51 ed operata soprattutto dall’abate Berardo I (1047-1089) frammenta il patrimonio dell’abbazia; tra i territori dati in concessione risultano anche alcuni beni e terreni presso Fistula52. Nel 1064 Giovanni e Pietro, figli di Oddone Crescenzi, con la madre Doda redigono un documento nella loro abitazione nel castello di Fistula alla presenza di testimoni; tale atto, anche se apparentemente non rilevante per la storia del sito, ci consente di provare che anche gli esponenti dell’aristocrazia locale, in questo caso la famiglia dei Crescenzi, vivevano, o perlomeno hanno risieduto per un lasso di tempo non definibile, all’interno dei castra53. Nel 1111 Ottaviano Crescenzi, figlio del suddetto Oddone, cede al monastero di S. Giovanni in Argentella il castello di Fistula insieme ad altri castelli54. Agli inizi del XII secolo la chiesa di S. Blasio in Fistula compare in più documenti tra le proprietà farfensi55.

Descrizione del sito: Prima di questa ricerca sui centri incastellati dei Lucretili il castello di Fistula era noto solo attraverso le fonti dei cartulari farfensi; le uniche proposte di localizzazione del sito sono state avanzate da Orsola Amore e Jean Coste nei loro studi sui castelli della valle del Licenza e dei Lucretili, collocando genericamente la zona del castrum tra Petra Demone e Orvinio45. Recentemente Maria Letizia Mancinelli ha proposto l’identificazione del castello di Fistula con l’attuale toponimo IGM di Monte Castelvecchio, località situata a Nord-Ovest di Monteflavio, ma la ricognizione sul campo non ha dato esiti positivi: nessuna traccia di antropizzazione è stata rilevata nel sito suggerito46. Le ricerche territoriali nella zona compresa tra Petra Demone, Scandriglia ed Orvinio, supportate dallo studio della toponomastica moderna, hanno indirizzato la ricerca del sito nella località di Monte Castellano nei pressi di Orvinio, dove sono state rilevate evidenze archeologiche che hanno fatto ipotizzare l’esistenza di un castello bassomedievale su questa altura47.

Le ultime attestazioni del toponimo prima di svanire dalle carte risalgono al 110756 e al 112057, quando alcuni beni nel territorio del castello vengono ceduti in pegno dal monastero sabino. Nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 non viene fatta menzione di Fistula né tantomeno della chiesa di S. Blasio; neanche le liste del Sale e Focatico trasmettono l’esistenza dell’insediamento: sulla base di questi elementi si ipotizza la data dell’abbandono ante 1343.

Le prime attestazioni del toponimo nelle fonti sono riconducibili ai documenti di Farfa: l’area dove poi fu fondato il castello doveva infatti configurare in origine all’interno del territorio del monastero. In un documento del 1011 il toponimo di Fistula viene associato al vocabolo pertinentia, indicando verosimilmente l’esistenza del centro già agli inizi dell’XI secolo (fondazione del castello ante 1011)48. Dalle fonti sappiamo anche che nella zona di pertinenza del castrum (collocato nel territorio sabino) vi era la chiesa di S. Blasio, donata insieme ad altri beni quali terre e vigne, da Franco, figlio di Nonvolia, al monastero farfense tra il 1026 e il 1028; dai dati in nostro possesso

Le poche testimonianze architettoniche ed archeologiche rinvenute presso il sito di Monte Castellano consentono di avanzare però un’ipotesi: Fistula potrebbe essere stato uno dei primi centri fortificati fondati nell’area sabina ma, allo stesso tempo, anche uno dei primi ad essere abbandonato; il castrum potrebbe aver avuto un’unica fase edilizia circoscrivibile tra l’XI e i primi decenni del XII secolo. RF III, doc. 556 p. 264; CF, vol. II, p. 49. RF IV, doc. 645, p. 43; CF, vol. II, p. 96. Nel sito di Monte Castellano, riconosciuto con il castello di Fistula, è stato rilevato un grande fossato nella porzione centrale dell’insediamento, dove all’epoca del castello poteva trovarsi ipoteticamente la rocca, come confermato anche dalle fonti. 51 CF, vol. II, p. 104. 52 LL, vol. II, doc. 1002, p. 28; CF, vol. II, p. 184; LL, vol. II, doc. 1086, p. 62; LL, vol. II, doc. 1214, p. 111; LL, vol. II, doc. 1229, p. 117. 53 RF IV, doc. 940, p. 334. 54 Coste 1988, p. 391 (documento edito in Mosti 1986, pp. 69-72). Come già espresso da Jean Coste, non si comprende la motivazione dietro tale donazione a favore dell’abbazia di S. Giovanni in Argentella di cui il territorio di Fistula non risulta tra i possedimenti. 55 CF, vol. II, p. 191; RF V, doc. 1317, p. 301; RF V, doc. 1318, p. 303; CF, vol. II, p. 280. 56 LL, vol. II, doc. 1467, p. 208. 57 LL, vol. II, doc. 1697, p. 254. 49 50

RF IV, doc. 617, p. 16. RF III, doc. 556, p. 264. 44 Il castello di Fistula non compare nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 né nelle liste del Sale e del Focatico. 45 Amore 1979, p. 224, nota 22; Coste 1988 p. 391. 46 Mancinelli 2007, tav. II, n. 33. Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.1. 47 Bernardi 2015a. Il sito di Fistula è stato scoperto durante gli anni del dottorato di chi scrive in occasione delle numerose attività di ricognizione sul campo mirate al suo ritrovamento. 48 RF IV, doc. 617, p. 16. Dal documento sappiamo che il territorio di Fistula confinava con quello di Macla Felcosa. 42 43

110

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili Edifici di culto citati dalle fonti: S. Blasio.

la sua “invisibilità” nel territorio e la precoce scomparsa anche dalle fonti.

Evidenze archeologiche: Pochissime sono le evidenze archeologiche del castello di Fistula; nel sito si sono conservati solo lacerti di muri a secco e tracce di allineamenti murari, ancora ben leggibili nel terreno. L’abitato, di cui non rimangono elementi in elevato, ipoteticamente poteva essere costituito da abitazioni in materiale deperibile, mentre le parti in pietra erano forse riservate agli elementi fortificati quali le mura e la rocca.

6.1.3.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.9) Del castello di Fistula, riconosciuto con l’attuale sito di Monte Castellano58, non rimane alcuna evidenza monumentale59; le poche tracce individuate in situ sono riferibili ad imponenti allineamenti murari, interpretabili forse con l’originaria cinta muraria del castello ed un tratto della rocca. Oltre a tali evidenze presso Monte Castellano sono state identificate due estese aree con una cospicua concentrazione di frammenti fittili: in particolar modo è stato rilevato materiale da costruzione e ceramica da mensa di epoca bassomedievale.

Ritrovamenti: Il dato ceramico è stato determinante per l’individuazione del sito e la sua definizione come castrum: sono state infatti ritrovate sulla sommità di Monte Castellano numerose aree di frammenti fittili, perlopiù materiale edilizio, e particolari concentrazioni di ceramica bassomedievale, sia comune che vetrina sparsa.

Nella prima fase edilizia di XI secolo il castello doveva mostrare un’imponente cinta muraria ed una rocca collocata al centro dell’abitato, entrambe fortificazioni edificate in materiale lapideo60; l’assenza totale di ulteriori tracce architettoniche è indice, probabilmente, dell’esistenza di un primitivo abitato formato da edifici costruiti in materiale deperibile di cui non rimane alcuna evidenza macroscopica; il sito sembra quindi non aver subìto nessun’altra fase edilizia ed abbandonato, forse, nel giro di un secolo.

Rapporto sito/ambiente: Il castello è situato su un rilievo con quota altimetrica molto elevata e lontano dalla viabilità antica; il sito è facilmente raggiungibile percorrendo il sentiero n. 309 del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili, partendo dalla biforcazione del Fosso delle Praterelle (sulla strada che collega Orvinio a Scandriglia). Fonti documentarie e d’archivio: RF IV, doc. 617, p. 16; RF III, doc. 556 p. 264; CF, vol. II, p. 49; RF IV, doc. 645, p. 43; CF, vol. II, p. 96; CF, vol. II, p. 104; LL, vol. II, doc. 1002, p. 28; CF, vol. II, p. 184; RF IV, doc. 940, p. 334; LL, vol. II, doc. 1086, p. 62; LL, vol. II, doc. 1214, p. 111; CF, vol. II, p. 191; LL, vol. II, doc. 1229, p. 117; LL, vol. II, doc. 1467, p. 208; RF V, doc. 1317, p. 301; RF V, doc. 1318, p. 303; CF, vol. II, p. 280; LL, vol. II, doc. 1697, p. 254. Fonti cartografiche e catastali: Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto 1954: f. 144, str. 38, fot. 2486, neg. 24211 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 86, fot. 3159, neg. 203605 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Toubert 1973, vol. I, p. 423; Amore 1979, p. 224, nota 22; Coste 1988, pp. 391-392; Mancinelli 2007, p. 291; Bernardi 2015a. 6.1.3.2. Fasi edilizie Le poche testimonianze archeologiche conservatesi per il castello di Fistula non consentono di tentare un’attribuzione cronologica per tali resti. Ad ogni modo, confrontando i dati acquisiti tramite le ricognizioni sul campo con le fonti scritte, è possibile avanzare l’ipotesi che tali evidenze possano essere riferibili alla prima, nonché unica, fase edilizia del castello, principalmente costituita da edifici in materiale deperibile per l’abitato e da costruzioni in pietra, quali la rocca e le mura, per gli elementi fortificati che dovevano delimitare il villaggio. Il castello sembra non avere raggiunto un maggior grado di ridefinizione edilizia in materiale lapideo poiché abbandonato precocemente; questo dato giustificherebbe

Bernardi 2015a. Il castello di Fistula, come abbiamo già avuto modo di vedere, è stato uno dei primi insediamenti del comprensorio dei Lucretili ad essere abbandonato, probabilmente prima del XIII secolo. 60 L’esistenza della rocca presso il castello di Fistula ci viene confermata anche da due documenti farfensi: RF IV, doc. 645, p. 43; CF, vol. II, p. 96. 58 59

111

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.9. Ipotesi ricostruttiva di Fistula sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

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Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.4. Macla

al monastero di Farfa. Nel 1093 anche Macla giunse nelle mani dei monaci farfensi grazie ad una donazione da parte di Oddone, figlio di Giovanni Crescenzi73. Dai dati desunti dalle fonti si può ipotizzare la datazione della fondazione del castello intorno ai primissimi decenni dell’XI secolo.

6.1.4.1. Scheda di sito Sito: Macla Provincia: Rieti Comune: Scandriglia Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366032 Quota altimetrica: 946 m s.l.m. Toponomastica antica: Macla Felcosa, Maccla, Machel, dal latino macula cioè macchia, zona boschiva61 Cronologia insediamento: XI secolo/metà XIV secolo Prima attestazione toponimo: 101162 Prima attestazione castello: 106463 Datazione evidenze archeologiche: XI-XII secolo Datazione abbandono: post 1343-ante 136364

Agli inizi del XII secolo il monastero passò sotto il governo dell’abate Guido III (1119-1125) che, nel suo primo anno al potere, in un atto giura di mantenere fedelmente i beni e i privilegi del monastero e dei suoi monaci citando, in tale contesto, anche alcuni casali de maccla74. Nella bolla emanata da Urbano IV (1261-1264) del 1262 il castello Macchiae figura ancora come castello integro, nonché annoverato tra i possedimenti farfensi75. Nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 castrum Machel sembrerebbe ancora esistente insieme alle chiese di S. Nicola e S. Maria, sempre di proprietà farfense76. Nelle liste del Sale e del Focatico, invece, non viene mai trascritto: tale dato farebbe presumere il suo abbandono nel periodo compreso tra il 1343 e il 136377.

Descrizione del sito: L’identificazione del sito di Macla Felcosa o Maccla è stata finora molto controversa. Orsola Amore suggerisce la sua ubicazione nella zona denominata dall’IGM con il toponimo di “Ara della Macchia”, nei pressi di Percile, seguendo una traccia nella toponomastica moderna65. Jean Coste, invece, individua il castello medievale nella località di Monte Pelato-Licineto (nei pressi di Scandriglia), ipotesi poi ripresa anche da Maria Letizia Mancinelli66. Le ricognizioni sul campo nei luoghi indicati dagli autori hanno permesso di escludere la presenza in questi siti di elementi che potessero far pensare all’esistenza di un castello67.

Le ultime attestazioni del toponimo risalgono al 1457 quando l’abbate di Farfa, Giovanni Orsini, consegna in concessione enfiteutica ad alcuni abitanti del vicino centro di Scandriglia dei territori di Macla, definendola come diruta78: verosimilmente il castello era già abbandonato da un quasi circa cento anni. L’analisi approfondita di uno dei documenti farfensi79 è stata determinante per poter identificare nel territorio Lucretile il sito ben descritto dalle fonti ma, allo stesso tempo, impercettibile materialmente, scomparso dalla conoscenza e dalla memoria; infatti, prima della sua scoperta80, il castello era completamente sconosciuto, persino ai locali. Seguendo il testo farfense e rispettando l’ordine orario in cui vengono citati i confini nel Regesto che comunemente partono da Sud, l’insediamento di Macla Felcosa doveva confinare con le pertinenze del castello di Spogna, il fiume Corese, il castello di Fistula e il castello di Petra Demone. Nella zona delimitata dalle pertinenze dei suddetti castelli, presso la località di Colle delle Mura e Valle della Macchia dai toponimi molto eloquenti, è stato individuato un castello abbandonato immerso nel bosco, non ancora censito, certamente da identificare con Macla81.

Le prime fonti di Farfa che menzionano il toponimo di Macla Felcosa risalgono al 101168, quando Ottone Crescenzi, figlio di Ottaviano, e sua moglie Doda donano al monastero terre e beni di loro proprietà nel territorio sabino69. Nel 1062 continuarono le donazioni a favore del monastero nel territorio di Macla70, ma è del 1064 la primissima associazione del toponimo alla parola castellum, sempre da riferire ad una proprietà della famiglia Crescenzi71; questo documento fornisce anche un’altra notizia: nelle pertinenze del castello vi era la chiesa di S. Nicola72, la cui proprietà passò da Giovanni e Pietro, figli di Oddone Crescenzi, con la madre Doda, Gelsomino 1995, p. 703. RF IV, doc. 617, pp. 15-16. 63 RF IV, doc. 940, p. 334. 64 Il castello di Macla viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 ma non compare nelle liste del Sale e del Focatico. Cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 87; Coste 1988, p. 392; Mancinelli 2007, p. 118. 65 Amore 1979, pp. 223-224, nota 20. 66 Coste 1988, p. 392; Mancinelli 2007, tav. II, n. 25. 67 Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.1. 68 Nei documenti del Regesto di Farfa il toponimo Macla o Maccla viene menzionato più e più volte, ma bisogna fare una precisazione: solo in alcuni documenti viene associato al vocabolo Felcosa, in tutti gli altri viene riportato senza alcuna qualificazione. 69 RF IV, doc. 617, pp. 15-16; RF IV, doc. 618, p. 16; CF, vol. II, p. 90. 70 RF IV, doc. 924 p. 319. 71 RF IV, doc. 940, p. 334; CF, vol. II, p. 151. 72 Altri documenti attestano la presenza nelle pertinenze di Macla della chiesa di S. Nicola, di proprietà dell’abbazia farfense fino al 1118: RF IV, doc. 976, p. 356; CF, vol. II, p. 153; RF V, doc. 1318, p. 303; CF, vol. II, pp. 280-281. 61 62

RF V, doc. 1256, p. 236; CF, vol. II, p. 193. RF V, doc. 1320, p. 313; CF, vol. II, p. 297. 75 Documento citato in Silvestrelli 1940, vol. II, p. 423. 76 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 87; Mancinelli 2007, p. 118. 77 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174; Coste 1988, p. 392. 78 Documento citato in Silvestrelli 1940, vol. II, p. 423, nota 29 e in Coste 1988, p. 392. 79 RF IV, doc. 617, pp. 15-16. 80 Come per il castello di Fistula, anche Macla è stato scoperto in occasione nelle numerose attività di sopralluogo effettuate nel corso degli anni di dottorato dell’autrice. Una prima notizia della sua scoperta è stata pubblicata negli Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte (Bernardi 2015a). 81 Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.1. 73 74

113

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.10. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Macla (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.3. Tabella Unità Topografiche (UT) Macla. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Tratto di rocca

-

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT2

Torre

Quadrangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT3

Tratto di rocca

-

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Tratto di rocca

-

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT5

Tratto di rocca

-

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT6

Tratto di rocca

-

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT7

Terrazzamento

-

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT8

Sostruzione

-

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT9

Terrazzamento

-

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT10

Terrazzamento

-

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT11

Ambiente (chiesa?) Rettangolare

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT12

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT13

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT14

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT15

Setto murario

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT16

Setto murario

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT17

Sostruzione

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT18

Sostruzione

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT19

Cinta muraria

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

114

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT20

Sostruzione

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT21

Sostruzione

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT22

Ambienti a schiera

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT23

Ambienti a schiera

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT24

Ambiente

Rettangolare

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT25

Terrazzamento

-

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

Bibliografia: Silvestrelli 1940, vol. II, p. 423, nota 29; Toubert 1973, vol. I, pp. 416-417; Amore 1979, pp. 223224, nota 20; Coste 1988, p. 392; Bernardi 2015a.

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Nicola, S. Maria. Evidenze archeologiche: Molte sono le strutture riconosciute sul sito di Colle delle Mura, tra cui una torre centrale di forma quadrangolare, una rocca con torri a scudo ed un ulteriore recinto, che doveva corrispondere all’estrema cinta muraria a delimitazione del villaggio. Moltissimi altri edifici sono stati scoperti nel corso dei sopralluoghi e definibili come abitazioni monovano, piccoli isolati a carattere residenziale e innumerevoli muretti di terrazzamento e sostruzioni. Nel sito sono state individuate in totale 25 Unità Topografiche (fig. 6.10tab. 6.3).

6.1.4.2. Fasi edilizie (fig. 6.11) Prima fase edilizia: XI-XII secolo Il castello di Macla, riconosciuto nei resti dell’abitato scoperto presso l’attuale sito di Colle delle Mura82, presenta i resti monumentali di un’unica fase edilizia costituita da una muratura irregolare in bozze e bozzette di pietra calcarea databile all’XI-XII secolo. Nel sito sono ancora ben riconoscibili un lungo tratto della cinta muraria (UT19), alcuni terrazzamenti (UT7, UT9, UT10, UT25), sostruzioni (UT8, UT17, UT18, UT20, UT21) e altri setti murari di difficile interpretazione per il loro pessimo stato di conservazione (UT15, UT16), concentrati nel versante occidentale dell’altura dove si doveva sviluppare l’abitato del villaggio. Quest’ultimo si caratterizza per la presenza di alcuni ambienti a carattere residenziale o destinati ad attività di servizio: si annoverano tra questi sia edifici monovano (UT12, UT13, UT14, UT24) che a schiera (UT22, UT23). Nella zona sommitale del sito è collocata la rocca castri di cui si conservano più tratti (UT1, UT3, UT4, UT5, UT6) e una torre centrale di forma quadrangolare, verosimilmente con funzioni di avvistamento, ubicata nel punto più alto dell’altura (UT2). L’ambiente UT11 è forse interpretabile come una chiesa poiché nelle vicinanze sono stati riconosciuti resti riferibili ad un’area sepolcrale.

Ritrovamenti: Molte sono anche le aree di frammenti fittili rilevate, in particolar modo di materiale edilizio quali tegole e coppi. Lungo le pendici del colle sono ancora identificabili resti ceramici in discreta quantità, probabilmente dilavati dalla zona sommitale dell’insediamento. Tra i materiali datanti sono stati riconosciuti alcuni frammenti di vetrina sparsa e maiolica arcaica che consentono di confermare la cronologia proposta per questo insediamento, in vita fino al XIV secolo. Rapporto sito/ambiente: Il castello affaccia direttamente su una grande vallata a Sud ed è molto lontano dalla viabilità antica e dai terreni adatti alle attività di agricoltura specializzata. Il sito è molto complesso da raggiungere senza il supporto di un guardiaparco poiché è collocato fuori sentiero; inoltre, il terreno in questa zona del Parco è molto dissestato e scosceso. Fonti documentarie e d’archivio: RF IV, doc, 617, pp. 15-16; RF IV, doc. 618, p. 16; CF, vol. II, p. 90; RF IV, doc. 924 p. 319; RF IV, doc. 940, p. 334; CF, vol. II, p. 151; RF IV, doc. 976, p. 356; CF, vol. II, p. 153; RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; CF, vol. II, p. 205; RF V, doc. 1255, p. 235; RF V, doc. 1256, p. 236; CF, vol. II, p. 193; RF V, doc. 1318, p. 303; CF, vol. II, pp. 280-281; RF V, doc. 1320, p. 313; CF, vol. II, p. 297.

6.1.4.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.12) Già dall’XI-XII secolo il castello di Macla mostra una ripartizione interna definita da un circuito murario, una rocca ed una torre centrale per controllare il territorio nelle pertinenze del villaggio. Le evidenze archeologiche hanno consentito di identificare la parte dell’abitato nel settore occidentale dell’insediamento, dove sono state rilevate la maggior parte delle strutture interpretabili come ambienti con funzioni residenziali o legati al lavoro e terrazzamenti e sostruzioni per livellare la cresta dell’altura. Sempre in questo settore sono state identificate numerose aree di frammenti fittili e di materiale edilizio macroscopico.

Fonti cartografiche e catastali: Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2486, neg. 24211 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 85, fot. 1907, neg. 203583; str. 86, fot. 3159, neg. 203605 (© AFN-ICCD, fondo VB).

82

115

Bernardi 2015a.

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.11. Fasi edilizie di Macla (elaborazione grafica M. Bernardi).

Fig. 6.12. Ipotesi ricostruttiva di Macla sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

116

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.5. Marcellino

fosse ripartito: si parla di terre, boschi, acque, prati, pantani etc. Sappiamo che in origine il castrum Marcellini doveva ospitare almeno cento case per i suoi abitanti: era quindi un grande centro densamente popolato nel XIII secolo, con una chiesa e molti altri edifici adibiti alla difesa dell’abitato, dentro e fuori le mura, tra cui molte torri88.

6.1.5.1. Scheda di sito Sito: Marcellino Provincia: Roma Comune: S. Polo dei Cavalieri Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.O. (Palombara Sabina); CTR 2014 1:5000, f. 366144 Quota altimetrica: 188 m s.l.m. Toponomastica antica: Castrum Marcellini Cronologia insediamento: XII secolo/inizi XIII secolo Prima attestazione toponimo: 1153-115483 Prima attestazione castello: 122984 Datazione evidenze archeologiche: Datazione abbandono: ante 122985

Nel 1278 Marcellino viene citato ancora come castrum per probabile retaggio in un documento dell’Archivio Borghese in quanto territorio confinante con le pertinenze del castello di Monteverde89. Nelle liste del Sale e del Focatico non compare tra i castelli tassati: la sua distruzione prima del 1363 viene, quindi, confermata anche da questa fonte. Altri documenti dell’Archivio Orsini, famiglia ormai proprietaria delle terre, citano alla fine del XIV secolo il tenimento di Marcellino, adibito ad area agricola all’interno del territorio del castello di S. Polo dei Cavalieri, anche se ancora definito come castrum90. Nel 1429 viene venduto come casale a Giovanni Antonio Orsini, abate di S. Paolo91; rimarrà possedimento Orsini fino al XVI secolo92 quando poi viene interessato da numerosi passaggi di proprietà tra i Cesi, S. Polo e i Borghese.

Descrizione del sito: I pochissimi resti del castrum Marcellini si possono scorgere su una collina a NordOvest dell’odierno paese di Marcellina all’interno di un territorio ora adibito a colture di proprietà privata. Di questo castello si conservano pochissimi documenti per poter definirne il momento della fondazione. Marcellino viene citato per la prima volta dal Regesto della Chiesa di Tivoli in una bolla emanata sotto il pontificato di papa Anastasio IV (1153-1154) dove vengono confermati i possedimenti del monastero di Santa Maria in Monte Dominici, tra cui il territorio di Marcellino con le sue pertinenze e la chiesa di S. Sebastiano86. L’associazione del toponimo con il vocabolo pertinentia fa ipotizzare l’esistenza del castello prima di questa data.

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Sebastiano. Evidenze archeologiche: Del castello di Marcellino si conservano solo le rovine di una torre quadrangolare realizzata a filari di bozzette in tufelli gialli, interamente ricoperta dalla vegetazione che ne impedisce un’analisi approfondita e la schedatura. Non vi sono tracce di ulteriori strutture murarie nell’insediamento; è probabile che il castello sia stato costruito principalmente in materiale deperibile.

Uno dei pochi documenti ancora conservati per Marcellino testimonia il momento della sua distruzione: in un atto Orsini, edito in forma integrale da Presutti, si fa menzione dell’evento accidentale che ha causato la distruzione del castrum: un incendio, avvenuto prima del 1229, ha infatti distrutto l’intero abitato, causando quindi lo spopolamento dell’insediamento. Questo atto fornisce moltissime altre informazioni sul sito, annoverato tra i possedimenti del monastero di S. Paolo fuori le mura; sarà proprio la stessa abbazia a programmare, affidando l’incarico ai fratelli Romano e Arcione, di ricostruire il castello, parole però a cui probabilmente non è stato dato seguito poiché ad oggi non abbiamo né traccia archeologica di questa riedificazione né alcuna posteriore notizia nei documenti87. Questa fonte, oltre a fornirci importanti elementi per attribuire il momento dell’abbandono di Marcellino a causa di un incendio, consente di chiarire come il medesimo villaggio fosse strutturato, ma anche come il territorio nelle sue pertinenze

Ritrovamenti: A differenza delle evidenze architettoniche, nel sito sono state riconosciute numerose aree con concentrazioni fittili, perlopiù materiale edilizio, quali tegole e coppi, e ceramica da mensa. Non sono stati rilevati materiali diagnostici. Rapporto sito/ambiente: L’insediamento era ubicato su una bassa collina tufacea, non troppo distante dalla viabilità principale; nel medioevo poteva essere una postazione di controllo della Chiesa di Tivoli. Fonti documentarie e d’archivio: RT, doc. XVII, p. 75, r. 15-16; p. 76 r. 13; ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020; ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,030; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,040.

RT, doc. XVII, p. 75, r. 15-16; p. 76 r. 13. ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020. 85 Nel caso del castello di Marcellino la datazione ante 1363 viene confermata da un documento Orsini che testimonia la distruzione del castello ante 1229 a causa di un incendio. ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020. 86 RT, doc. XVII, p. 75, r. 15-16; p. 76 r. 13. 87 ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020; documento pubblicato in Presutti 1923. 83 84

Ibidem. ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. 90 ASC, Archivio Orsini, II.A.09, 022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09, 024; ASC, Archivio Orsini, II.A.09, 030. 91 Coste 1988, p. 393, nota 5. 92 ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 041; ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 040. 88 89

117

L’incastellamento nei Monti Lucretili Fonti cartografiche e catastali: -

6.1.5.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.13)

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1103, neg. 24199 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 83, fot. 890, neg. 203023 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Dell’abitato medievale di Marcellino, come già detto, rimane solo un tratto di una torre di forma quadrangolare collocata al centro dell’insediamento, in stato di crollo93. Cospicui sono invece i resti ceramici ancora riconoscibili in situ, perlopiù pertinenti a materiale edilizio e ceramica da mensa e dispensa di epoca medievale. La totale assenza nel sito di strutture è da collegare all’incendio che nel XIII secolo colpì il castello distruggendo totalmente l’abitato.

Bibliografia: Luttazzi 1924, pp. 47-48; Martinori 19331934, vol. II, p. 20; Silvestrelli 1940, vol. I, pp. 264-265; Presutti 1923; Presutti 1924; Coste 1987, pp. 52-53; Coste 1988, pp. 392-393; Esposito 1998, pp. 100-101 e 246-248. 6.1.5.2. Fasi edilizie L’assenza di evidenze architettoniche non consente di chiarire le fasi edilizie per questo insediamento. L’unica testimonianza materiale conservata è una piccola porzione di una torre, oggi completamente ricoperta dalla vegetazione che ha impedito l’analisi della tecnica edilizia e quindi di poter avanzare un’attribuzione cronologica.

Fig. 6.13. Ipotesi ricostruttiva di Marcellino sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi). Daniela Esposito ha individuato nel sito ulteriori opere murarie, costruite in pietra calcarea, databili al XIII secolo; ad oggi non è stato trovato alcun riscontro di tali strutture nell’area, probabilmente per il pessimo stato in cui verte oggi il sito che non consente ulteriori analisi. Esposito 1998, pp. 246-249.

93

118

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.6. Montefalco

Monteflavio furono alcune famiglie di Marcetelli nel Reatino che decisero di abbandonare il loro castello per problemi fiscali e di trasferirsi in queste terre trovando l’appoggio di Flavio Orsini101.

6.1.6.1. Scheda di sito Sito: Montefalco Provincia: Roma Comune: Palombara Sabina Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.O. (Monte Libretti); CTR 2014 1:5000, f. 366062 Quota altimetrica: 897 m s.l.m. Toponomastica antica: Montisfalci Cronologia insediamento: XI-XII secolo/fine XIV-inizi XV secolo Prima attestazione toponimo: fine XIII secolo94 Prima attestazione castello: fine XIII secolo95 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XI-XII secolo; 2a fase XIII-XIV secolo Datazione abbandono: post 1363-ante 1416

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Martino (pieve e chiesa arcipresbiteriale); S. Blasio, S. Pastore (chiese); S. Lucia (cappella). Evidenze archeologiche: Le evidenze archeologiche testimoniano l’esistenza di un imponente centro incastellato di cui si conserva in ottimo stato la cinta muraria, la rocca sommitale con cisterna ipogea, l’abitato con numerose abitazioni, ambienti di servizio o adibiti al controllo, un silos per lo stoccaggio delle derrate agricole o utilizzato come neviera, sostruzioni e terrazzamenti. Il burgus si sviluppava in parte anche all’esterno delle mura, nella porzione occidentale dell’altura. In totale sono state riconosciute 27 Unità Topografiche (fig. 6.14-tab. 6.4).

Descrizione del sito: Il castello di Montefalco è raggiungibile da Monteflavio percorrendo il sentiero n. 313 del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili. Poche sono le fonti che attestano l’esistenza dell’insediamento fortificato, fondato presumibilmente per iniziativa signorile e svincolato dal controllo dell’abbazia di Farfa. La prima attestazione del villaggio medievale appare nel Registrum jurisdicitionis Episcopatus Sabinensis96 di fine XIII secolo, edito da Tomassetti e Biasiotti, dove si fa rifermento al numero di rubbia di grano (due) che il castrum Montis Falci doveva riservare alla diocesi di Sabina97. Nel 1343, anno della visita pastorale in Sabina, il castello Montisfalci viene menzionato con la sua chiesa arcipresbiteriale di S. Martino e le chiese minori di S. Blasio, S. Pastore e la cappella di S. Lucia98. Nelle liste del Sale e del Focatico appare tra l’elenco dei castella della provincia di Farfa e Romangia, ma non vi sono mai i verbali di comparizione (il pagamento era fissato per un quantitativo di 10 rubbia di sale); dal 1422 il castello viene annoverato tra le terre inabitate. Dall’analisi delle liste, unita alle evidenze archeologiche, è possibile circoscrivere il momento dell’abbandono tra il 1363 e il 1416. In un documento più tardo del 1495 la tenuta di Montefalco risulta di proprietà di Troiano Savelli di Palombara99. Nel XVI secolo Flavio Orsini, proprietario della ormai tenuta di Montefalco, decise di edificare un nuovo centro nel territorio un tempo di pertinenza del castello, l’odierno paese di Monteflavio100. Il nuovo abitato, fondato più di un secolo dopo l’abbandono del castello di Montefalco, non ha inglobato la popolazione del limitrofo castrum; i primi abitanti di Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 104. Ibidem. 96 In tale registro venivano elencati i canoni dei prodotti che ogni castello doveva versare alla diocesi di Sabina. 97 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 104; Coste 1988, p. 393. 98 Tomassetti, Biasiotti 1909, pp. 87-88; Mancinelli 2007, p. 118. 99 Coste 1988, p. 393. 100 Ibidem. 94 95

Il capitolato che cita questa fonte risale al 1570 ed è attualmente conservato presso i locali del comune di Monteflavio (Archivio Storico del Comune di Monteflavio, Fondo Diplomatico, b. US).

101

119

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.14. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Montefalco (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.4. Tabella Unità Topografiche (UT) Montefalco. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Chiesa

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT2

Cinta muraria

-

-

ML1-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XI-XII secolo

UT3

Torre

Quadrangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT5

Torre

Quadrangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT6

Torre

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT7

Silos

Quadrangolare

S-E/N-O

ML3-a

Pietra calcarea

XIII-XIV secolo

UT8

Rocca

Trapezoidale

-

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT9

Cisterna ipogea

Rettangolare

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT10

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT11

Ambiente con Quadrangolare funzioni di controllo

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT12

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT13

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT14

Ambiente

Quadrangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT15

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT16

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT17

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT18

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

120

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT19

Terrazzamento

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT20

Ambiente con Rettangolare funzioni di controllo

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT21

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT22

Ambienti a schiera

Rettangolare

N-S

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT23

Ambiente

Semicircolare

-

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT24

Sostruzione/ passaggio

-

-

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT25

Sostruzione/ Passaggio coperto

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT26

Sostruzione/ Passaggio coperto

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT27

Sostruzione

-

E-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

Ritrovamenti: Numerose sono le aree di frammenti fittili, perlopiù riferibili a concentrazioni di materiale edilizio quali tegole e coppi, anche di riuso. La ricognizione intensivo-sistematica all’interno del castello e lungo il pendio dell’altura ha messo in evidenza una cospicua presenza di materiale ceramico da mensa e da fuoco, tra cui alcuni frammenti diagnostici di vetrina sparsa, ceramica laziale e maiolica arcaica102.

Bibliografia: Urbani 1908; Coste 1988, pp. 393-394; Bernardi 2015b, p. 115; Bernardi 2018a, pp. 160-161. 6.1.6.2. Fasi edilizie (fig. 6.15) Prima fase edilizia: XI-XII secolo Lo studio delle evidenze archeologiche conservate per Montefalco ha rivelato che la grande fase di monumentalizzazione dell’insediamento è avvenuta tra l’XI e il XII secolo, caratterizzata da una tecnica edilizia irregolare di bozze e bozzette in pietra calcarea e lo sporadico utilizzo di laterizi di reimpiego. È in questo momento che vengono costruite le grandi opere che contraddistinguono un castello quali le mura, con accesso a Sud (UT2) e munite di alcuni ambienti adibiti al controllo del territorio tra cui alcune torri a scudo (UT11, UT20), e la rocca, ubicata nel punto più alto del sito in posizione dominante e centrale (UT8), dotata di una cisterna ipogea (UT9). La rocca, il cui accesso è stato individuato a Sud, conserva ancora gran parte delle sue mura che in origine dovevano essere dotate di piccole postazioni di controllo a difesa del versante Nord. Proprio da questo lato si poteva accedere con un percorso interno all’edificio centrale della rocca tramite delle scale costruite con lastre di pietra calcarea ancora in parte conservate103. L’abitato intramuraneo, che si sviluppava nei versanti Ovest, Sud ed Est, era contraddistinto da numerosi ambienti dalle più differenti destinazioni d’uso: tra questi si riconoscono strutture a carattere residenziale (ambienti monovano, complessi o case a schiera), di servizio o funzionali alla vita comunitaria del castello (UT4, UT10, UT12, UT13, UT14, UT15, UT16, UT17, UT18, UT21, UT22, UT23)104. All’interno del villaggio erano ubicati alcuni edifici interpretati come torri di avvistamento per controllare

Rapporto sito/ambiente: Il sito è collocato su un rilevo con una buona altitudine, non lontano dalla viabilità principale; la posizione del castello è strategica e di controllo. Per la geomorfologia del territorio, l’ambiente intorno al castello non è adatto a colture intensive, ma alle attività legate alla pastorizia. Per raggiungere i terreni più fertili durante il medioevo era necessario allontanarsi dall’insediamento. Fonti documentarie e d’archivio: Fonti cartografiche e catastali: Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA - Montefalco vecchio castello rovinato (ante 1581); ASV, Archivio Borghese, 8612, n. 22 - Castellaccio (XVII secolo); ASR, Versamento UTE, Sez. Stazzano III, Comarca 250. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1101, neg. 24223 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 916, neg. 203562 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2362, neg. 179014 (© AFN-ICCD, fondo AM); Foto SARA Nistri del 16 aprile 1977: f. 144, str. 43, fot. 671, neg.  188727 (© AFN-ICCD, Foto SARA Nistri).

103 Per lo stato di conservazione della porzione centrale della rocca non è possibile interpretare tale edificio come una torre centrale. 104 Tra questi ambienti, dalla difficile interpretazione in assenza di uno scavo stratigrafico, vi sono edifici destinati allo stoccaggio sia delle derrate agricole che forse della neve, molto frequenti nelle zone montale come Montefalco e talvolta riconoscibili per la loro forma circolare, e stalle per gli animali.

Nel febbraio 2020 è stata portata avanti la prima campagna di ricognizione archeologica presso il castello di Montefalco dall’Università degli Studi Roma Tre, sotto la direzione scientifica del prof. Riccardo Santangeli Valenzani, della prof.ssa Emeri Farinetti e con la direzione sul campo di chi scrive. Sarà dedicato in questo volume un paragrafo nelle conclusioni dove verranno presentati i primi risultati. Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.2. 102

121

L’incastellamento nei Monti Lucretili il versante meridionale e occidentale dell’insediamento (UT3, UT5, UT6) (fig. 6.16).

in piccoli blocchetti di pietra calcarea disposti a filari orizzontali, è riconoscibile nella costruzione di un grande ambiente voltato collocato all’interno della cinta muraria, interpretabile come una struttura adibita allo stoccaggio delle derrate agricole o utilizzato come neviera (UT7).

Nei versanti settentrionale e occidentale, ovvero quelli più scoscesi, si conservano ancora muraglioni con funzione o di semplice sostruzione per regolarizzare il terreno (UT27) o utilizzati anche come delimitazione di percorsi pedonali interni al castello (probabilmente alcuni di questi potevano essere in origine passaggi coperti, come segnalato dai resti delle imposte degli archi conservate), finalizzati al raggiungimento della rocca (UT24, UT25, UT26)105, e un terrazzamento (UT19).

6.1.6.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.18) L’ipotesi ricostruttiva del castello di Montefalco viene supportata dallo stato di conservazione degli edifici che consentono di poterne definire, in taluni casi, la loro funzione. Il castrum era dotato di una rocca con cisterna ipogea, di torri di avvistamento posizionate all’interno dell’abitato in luoghi strategici e di un silos per l’immagazzinamento delle derrate alimentari o utilizzato come neviera. All’esterno della cinta muraria, che divideva l’abitato in due settori (intra ed extra muros), l’edificio interpretato come chiesa era situato a poca distanza dall’ipotetico ingresso al castello sul versante Sud.

Un ambiente collocato all’esterno del circuito murario, nel settore Sud-Ovest potrebbe essere interpretato come la chiesa del castrum sia per la sua posizione isolata che per la presenza di un piccolo atrio, interpretabile forse come nartece (UT1) (fig. 6.17); tale ipotesi al momento non può essere supportata da ulteriori dati che potrebbero definitivamente chiarire la funzione di questo edificio. Seconda fase edilizia: XIII-XIV secolo L’unico intervento nel castrum relativo ad una fase di XIII-XIV secolo, caratterizzato da una tecnica edilizia

Fig. 6.15. Fasi edilizie di Montefalco (elaborazione grafica M. Bernardi). Nell’UT24 sono riconoscibili anche le tracce di un piccolo vano forse utilizzato come pozzo nero.

105

122

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.16. UT5 - Ambiente all’interno del recinto murario di Montefalco interpretato come torre. L’edificio si fonda direttamente sul banco roccioso calcareo (foto M. Bernardi).

Fig. 6.17. UT1 - Edificio interpretato come una delle chiese del castello di Montefalco (foto M. Bernardi).

123

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.18. Ipotesi ricostruttiva di Montefalco sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

124

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.7. Monteverde

Le prime testimonianze nelle fonti del castello arrivano dall’Archivio Borghese, dove in un documento datato al 1278 per la prima volta il castrum Montis Viridis viene menzionato in occasione di un passaggio di proprietà: il castello con la sua rocca, le case e gli stessi abitanti vengono ceduti da Giovanni e Pandolfo Savelli al fratello cardinale Giacomo (futuro papa Onorio IV)108.

6.1.7.1. Scheda di sito Sito: Monteverde Provincia: Roma Comune: S. Polo dei Cavalieri Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.O. (Palombara Sabina); CTR 2014 1:5000, f. 366144 Quota altimetrica: 288 m s.l.m. Toponomastica antica: Montis Viridis Cronologia insediamento: XII-XIV secolo/inizi XV secolo Prima attestazione toponimo: 1278106 Prima attestazione castello: 1278107 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XII secolo; 2a fase XIII-XIV secolo Datazione abbandono: post 1363-ante 1416

Nel 1285 lo stesso papa Savelli restituirà il castello al fratello Pandolfo e a suo nipote Luca109; nel 1334 risulta di proprietà di Giacomo Savelli110. Nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis Monteverde non è censito, ma viene ricordata la cappella di S. Lucia de Montis Viridis in questo momento appartenente al territorio del castello di Palombara111. Il toponimo riapparirà poi alla fine del XIV secolo nelle liste del Sale e del Focatico tra i castelli della provincia di Farfa e Romangia, dove non viene mai esibito il verbale di pagamento (il castello doveva versare un quantitativo di sale pari a 15 rubbia)112; da questi dati si può circoscrivere il momento dell’abbandono del sito tra il 1363 e il 1416; il toponimo viene, infatti, annoverato tra le terre inabitate dal 1419.

Descrizione del sito: Le rovine del castello di Monteverde, su carta IGM e CTR segnalate con i toponimi “Il Castellaccio” o “Marcellina vecchia”, sono attualmente collocate all’interno di una proprietà privata destinata a coltura di olivo, raggiungibili da Marcellina percorrendo per 2,5 km circa la via Maremmana Inferiore (SP 636).

Fig. 6.19. UT4 - Chiesa del castello di Monteverde (foto M. Bernardi). Ibidem. Coste 1988, p. 395. Documento pubblicato in Paravicini Bagliani 1980, p. 480. 110 Cfr. Coste 1988, p. 395. 111 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 89; Mancinelli 2007, p. 120. 112 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 108 109

106 107

ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. Ibidem.

125

L’incastellamento nei Monti Lucretili Monteverde ritornerà poi nuovamente nelle fonti dalla fine del XV secolo, quando ormai trasformato in tenuta viene acquisito dalla famiglia Orsini e inglobato nel territorio di pertinenza del castello di S. Polo dei Cavalieri; coinvolto in molteplici passaggi di proprietà da parte del medesimo casato113, viene riqualificato come casale nel XVI secolo114.

torre centrale in laterizi (cfr. fig. 5.17), un ambiente e una chiesa absidata (fig. 6.19). Alcune strutture del castello sono state riutilizzate e danneggiate dopo l’abbandono del sito e la sua trasformazione in casale. In totale sono state rilevate 12 Unità Topografiche (fig. 6.20-tab. 6.5).

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Lucia. Evidenze archeologiche: Del castello di Monteverde sono ancora ben riconoscibili le mura del castrum, la rocca, una

Fig. 6.20. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Monteverde (elaborazione grafica M. Bernardi). Tab. 6.5. Tabella Unità Topografiche (UT) Monteverde. N. UT

Tipologia

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Torre a scudo e Rettangolare tratto cinta muraria

Forma

S-O/N-E

ML2-a

Pietra calcarea

XII secolo

UT2

Torre a scudo

Rettangolare

S-E/N-O

ML2-a

Pietra calcarea

XII secolo

UT3

Tratto di cinta muraria

-

S-O/N-E

ML2-a

Pietra calcarea

XII secolo

UT4

Chiesa

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-a; ML3-a

Pietra calcarea; pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo; XIII-XIV secolo

113 OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 3 Roma - S. Salvatore in Lauro 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 041; ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 040; OAC, Archivio Orsini, Box 50, Folder 1 Cantalupo e Bardella (Mandela) 02. 114 OAC, Archivio Orsini, Box 141, Folder 1 S. Polo 01.

126

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT5

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML2-a

Pietra calcarea

XII secolo

UT6

Torre

Quadrangolare

S-E/N-O

ML4-a

Laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

UT7

Tratto di rocca

-

S-O/N-E

ML2-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo

UT8

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML2-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo

UT9

Tratto di rocca

-

S-O/N-E

ML2-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo

UT10

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML2-a

Pietra calcarea

XII secolo

UT11

Tratto di rocca

-

S-O/N-E

ML2-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo

UT12

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML2-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo

Ritrovamenti: Numerose sono le aree di frammenti fittili, perlopiù riferibili a concentrazioni di materiale edilizio quali tegole e coppi. Nel sito è presente anche una discreta concentrazione di ceramica da mensa e da fuoco, tra cui vetrina sparsa e frammenti di maiolica arcaica, individuata principalmente nel settore meridionale e orientale dell’insediamento.

6.1.7.2. Fasi edilizie (fig. 6.21) Prima fase edilizia: XII secolo La prima fase di fortificazione del sito, costituita da una tecnica edilizia in bozze e bozzette messe in opera a filari sub-orizzontali e ascrivibile al XII secolo, è documentata da alcuni tratti della cinta muraria (UT3, UT5, UT8, UT12) con annesse torri a scudo che dovevano circondare originariamente l’intero insediamento (UT1, UT2); in questa stessa fase viene costruita una chiesa absidata all’interno delle mura (UT4), la rocca sommitale, di cui si conservano alcuni settori (UT7, UT9, UT11) ed un ambiente a più vani (UT10) collocato nella zona settentrionale del castello dove presumibilmente doveva concentrarsi l’abitato del castello che doveva occupare in origine anche tutto il settore meridionale e orientale del sito.

Rapporto sito/ambiente: Il sito è collocato su una modesta altura, non distante dalla viabilità principale di epoca medievale che ricalcava l’odierna via Maremmana Inferiore alle pendici di Monte Gennaro. Il controllo del territorio era sicuramente la principale caratteristica del castello ubicandosi a ridosso dei confini diocesani e delle vie ad alta percorrenza; allo stesso tempo, il luogo in cui fu fondato il castrum era ideale per il pieno svolgimento delle attività legate all’agricoltura. Fonti documentarie e d’archivio: ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3; OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 3 Roma - S. Salvatore in Lauro 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041; ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 040; OAC, Archivio Orsini, Box 50, Folder 1 Cantalupo e Bardella (Mandela) 02; OAC, Archivio Orsini, Box 141, Folder 1 S. Polo 01.

Seconda fase edilizia: XIII-XIV secolo Un secondo intervento nel castello è ben riconoscibile sulla cima del sito dove è stata eretta una torre completamente foderata da laterizi di reimpiego (UT6); in questo stesso periodo viene modificato l’assetto originario della chiesa con il rifacimento della facciata orientale segnando un conseguente ampliamento della struttura.

Fonti cartografiche e catastali: Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA - Castellaccio di Monteverde (ante 1581); De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - M. Verde diruto; ASR, Versamento UTE, Sez. III, Comarca 304.

6.1.7.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.22) L’assetto strutturale del castello di Monteverde prevedeva l’esistenza di una cinta muraria a delimitazione del villaggio e munita di torri a scudo ubicate in corrispondenza dei territori da controllare, una rocca, collocata nella porzione sommitale del castrum, una torre centrale di avvistamento costruita nel punto più alto dell’insediamento e una chiesa intramuranea.

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1103, neg. 24199 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 890, neg. 203023 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 78; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 265; Luzio 1953, p. 150; Coste 1988, pp. 394-395. 127

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.21. Fasi edilizie di Monteverde (elaborazione grafica M. Bernardi).

Fig. 6.22. Ipotesi ricostruttiva di Monteverde sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

128

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.8. Petra Demone

rendite di quattro castelli ed altre entrate al rifacimento della chiesa e del monastero di Farfa: anche gli uomini di Petra Demone dovevano contribuire a questo progetto, costruendo alcune opere a tal fine125.

6.1.8.1. Scheda di sito Sito: Petra Demone Provincia: Rieti Comune: Scandriglia Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366072 Quota altimetrica: 1200 m s.l.m. Toponomastica antica: Petra Daemonis. Il toponimo deriva forse dal ricordo di culti pagani, infatti il sito doveva ospitare il tempio di Giove Cacuno, di cui però non rimangono tracce. Nelle carte di epoca moderna di XVIXVIII secolo viene indicato sempre come Monte della Pietra; nella cartografia odierna, invece, il sito corrisponde al toponimo di Cima Coppi115. Cronologia insediamento: XI secolo/inizi XV secolo Prima attestazione toponimo: 1011116 Prima attestazione castello: 1047-1089117 Datazione evidenze archeologiche: XI-XII secolo Datazione abbandono: post 1363-ante 1416118

Confinante con il castello di Percile126, sappiamo che nelle pertinenze dell’oppidum di Petra Demone, ancora in mano ai monaci di Farfa nel XII secolo e dotato di privilegi e concessioni per fedeltà dimostrata all’abate Guido III (1119-1125)127, erano presenti dei casali128. Nei secoli successivi l’abitato rimase sempre di proprietà farfense, come si evince dai documenti dell’Archivio Orsini. In un atto del 1318 si fa riferimento alla scelta di un procuratore da parte della comunità del castrum per porre fine alle ingerenze e alle continue lotte con gli abitanti di Civitella e Percile, possedimenti, invece, degli Orsini129. Nella visita pastorale del 1343 il castrum è ancora un importante centro religioso: viene infatti segnalata la presenza di quattro chiese nelle sue pertinenze (S. Giovanni, S. Stefano, S. Maria, S. Silvestro) e tre cappelle (S. Angelo, S. Vittoria, S. Maria)130. Il territorio del castello di Petra Demone, ancora esistente, doveva avere un’ampia estensione: nelle liste del Sale e del Focatico è annoverato, infatti, in due province differenti (Romangia et abbatia Farfensis e Tibur et Carsoli) tassato con 5 rubbia di sale (solo nel registro del maggio 1416 risulta tassato per 10 rubbia, ma come giustamente suggerisce Coste, potrebbe trattarsi di un errore di trascrizione131); sulla base dell’analisi delle liste, dove non compare mai il verbale di pagamento, l’abbandono del sito sarebbe da individuare tra il 1363 e il 1416132. La forcella cronologica dell’abbandono di Petra Demone si potrebbe ulteriormente circoscrivere ai primi anni del XV secolo poiché nel 1396 l’abitato viene ancora nominato nella lista del sussidio militare del comune di Roma133.

Descrizione del sito: Il sito di Petra Demone è situato su un’altura denominata nella tavoletta IGM come Cima Coppi. Il castello è raggiungibile percorrendo il sentiero n. 309 del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili ed un ultimo tratto fuori sentiero. Le prime attestazioni del toponimo ci vengono fornite dal Regesto di Farfa nel 1011, quando Petra Demone viene nominato insieme alle sue pertinenze come confinante con il territorio di Macla Felcosa119; il castello, quindi, esisteva già verosimilmente agli inizi dell’XI secolo. La prima testimonianza certa dell’esistenza del castrum risale al governo dell’abate Berardo I di Farfa (1047-1089) che, attraverso una politica territoriale di acquisizioni strategiche, si procura la proprietà di molti centri incastellati nella Sabina, tra questi anche Petra Demone120.

Passato poi in mano alla famiglia Orsini anche se già distrutto, nel 1505 la tenuta “detta Pietra Demone”, collocata fra i territori di Civitella e Canemorto, viene donata da Giovanni Giordano Orsini a Oliviero di Bordella e a suo figlio Giovanni Nicola134; ritornò poi di proprietà farfense tra la metà del XVI e la metà del XVII secolo135.

Nel 1083 il castello è nelle mani del conte Teudino di Rieti che dona, però, la metà dei suoi possedimenti nelle pertinenze del castello (tra cui case, torri, chiese etc.) al monastero farfense121; poco dopo altre proprietà nella zona vengono cedute dalla madre del conte, Zita122, e da suo figlio Erbeo123: con questa nuova cessione il monastero diventava l’unico detentore del castello, proprietà confermata anche nel privilegio dell’imperatore Enrico IV124. Nel 1097 l’abate Berardo II (1089-1099) destina le

Risale al 1801 la stesura dello Statuto “Per il castello di Pietra Demone di proprietà e dominio Sacro ed imperial monastero di S. Maria di Farfa sopra le cause di danno dato”, conservato tra le carte dell’Archivio Segreto RF V, doc. 1154, p. 158; CF, vol. II, p. 218. RF V, doc. 1205, p. 198; CF, vol. II, p. 297. 127 RF V, doc. 1324, pp. 317-319; CF, vol. II, p. 299; CF, vol. II, p. 303; CF, vol. II, p. 306. 128 RF V, doc. 1320, p. 313 e 314. 129 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036; Amore, Delogu 1983, p. 298. 130 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 86; Amore, Delogu 1983, p. 297; Mancinelli 2007, p. 116. 131 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174; cfr. Coste 1988, p. 395. 132 Coste 1988, p. 395. 133 Ibidem; ASRSP, VII, 1884, pp. 543-544. 134 ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051. 135 Coste 1988, p. 395; ASV, Archivio Borghese, 155, n. 270.

Gelsomino 1995, pp. 705-706. RF IV, doc. 617, p. 16. 117 RF IV, doc. 89, p. 212. 118 Il castello di Petra Demone viene ancora menzionato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 86; Amore, Delogu 1983, p. 297; Mancinelli 2007, p. 116. 119 RF IV, doc. 617, p. 16. 120 RF IV, doc. 809, p. 212; CF, vol. II, p. 122. 121 RF V, doc. 1083, p. 78; CF, vol. II, p. 168. 122 LL, vol. II, doc. 2121, p. 332. 123 RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235. 124 RF V, doc. 1099, p. 95; CF, vol. II, p. 173. 115

125

116

126

129

L’incastellamento nei Monti Lucretili Evidenze archeologiche: Del castello di Petra Demone rimangono ancora, in pessimo stato di conservazione, pochissime evidenze archeologiche, tra cui una serie di muri, le fondazioni di un’ipotetica torre di avvistamento collocata nel punto più alto del sito che affaccia a Nord, e alcuni tratti di muraglioni forse riferibili alle mura del castrum. In totale sono state localizzate 7 Unità Topografiche (fig. 6.23-tab. 6.6).

Vaticano. Tale documento, seppur di inizi Ottocento, è molto interessante per tutte le notizie che ci fornisce sul territorio intorno al castello (tra cui il tipo di colture radicate nella zona), chiaro retaggio di epoche ben più remote136. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Giovanni, S. Stefano, S. Maria, S. Silvestro (chiese); S. Angelo, S. Vittoria, S. Maria (cappelle).

Fig. 6.23. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Petra Demone (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.6. Tabella Unità Topografiche (UT) Petra Demone. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Setto murario

-

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT2

Tratto di cinta muraria

-

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT3

Tratto di cinta muraria

-

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Torre (?)

-

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT5

Tratto di cinta muraria

-

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT6

Setto murario

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT7

Tratto di cinta muraria

-

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

136

ASV, Archivio Borghese, 155, n. 272.

130

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili Ritrovamenti: Nel sito sono state rinvenute sporadiche concentrazioni di frammenti fittili quali tegole e coppi, sia sulla sommità del colle che lungo le sue pendici, in quest’ultimo caso dilavati dalla cima dell’insediamento. Sono stati riconosciuti anche alcuni frammenti ceramici di maiolica arcaica databili tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo.

6.1.8.3. Ipotesi ricostruttiva Vista l’esiguità dei resti monumentali del castello è impossibile avanzare un’ipotesi ricostruttiva per questo sito.

Rapporto sito/ambiente: Il castello, dalla chiara funzione strategica, dominava gran parte del territorio circostante con la sua alta quota. L’insediamento medievale era molto distante da qualsiasi asse viario antico e molto difficile da raggiungere. Fonti documentarie e d’archivio: RF IV, doc. 617, p. 16; RF IV, doc. 809, p. 212; CF, vol. II, p. 122; RF V, doc. 1083, p. 78; CF, vol. II, p. 168; RF V, doc. 1095, p. 90; LL, vol. II, doc. 2121, p. 332; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; CF, vol. II, p. 173; RF V, doc. 1099, p. 95; RF V, doc. 1255, p. 235; RF V, doc. 1154, p. 158; CF, vol. II, p. 218; RF V, doc. 1205, p. 198; RF V, doc. 1320, pp. 313-314; CF, vol. II, p. 297; CF, vol. II, p. 299; RF V, doc. 1324, pp. 317-319; CF, vol. II, p. 303; CF, vol. II, p. 306; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051. Fonti cartografiche e catastali: Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Monte della Pietra; Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Monte della Pietra; Campiglia (1743): FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Monte della Pietra. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2485, neg. 30283 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 86, fot. 3158, neg. 203604 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 486-487; Toubert 1973, vol. I, p. 431; Amore 1979, p. 224 e pp. 228-229; Amore, Delogu 1983, pp. 296-297; Coste 1988, pp. 395-396. 6.1.8.2. Fasi edilizie Prima fase edilizia: XI-XII secolo Le evidenze archeologiche per il castello di Petra Demone sono molto esigue; dell’insediamento medievale, di cui si conservano murature irregolari in pietra calcarea di XI-XII secolo, rimangono solo pochi lacerti murari localizzati sulla cima del sito; questi ultimi sono forse interpretabili come le mura per il loro andamento che segue le curve di livello (UT1, UT2, UT3, UT5, UT6, UT7). La fondazione conservatasi a Nord del sito è probabilmente relativa ad una postazione di controllo, ovvero una torre (UT4), che doveva assicurare la difesa su tale versante da cui era possibile monitorare gran parte del territorio circostante.

131

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.9. Poggio Runci

Nelle liste del Sale e del Focatico Poggio Runci non compare tra i castelli registrati: la sua scomparsa è verosimilmente avvenuta prima del 1363, cronologia che viene confermata anche da un documento, datato allo stesso anno, in cui il toponimo viene definito come casale146; la trasformazione del castello a casale viene avvalorata anche grazie ad un ulteriore atto del 1375147.

6.1.9.1. Scheda di sito Sito: Poggio Runci Provincia: Roma Comune: Vicovaro Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366154 Quota altimetrica: 775 m s.l.m. Toponomastica antica: Poggio Ronci, Poggio Ruino137 Cronologia insediamento: XI-XII secolo/metà XIV secolo Prima attestazione toponimo: 956138 Prima attestazione castello: 1288139 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XI-XII secolo; 2a fase XII secolo; 3a fase XIII-XIV secolo Datazione abbandono: post 1311-ante 1363140

Il toponimo Ronci o Runci è conosciuto anche per la presenza di un importante luogo di culto, la chiesa intitolata a S. Maria, meglio nota come Madonna dei Ronci148. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Maria (chiesa intramuranea); S. Blasio. Evidenze archeologiche: Del castello di Poggio Runci si rilevano in piccola parte le mura, la rocca, con all’interno un ambiente, e un’ulteriore struttura collocata ad Est, all’esterno del recinto murario, nella zona dove presumibilmente doveva svilupparsi gran parte dell’abitato del castello. Nel sito sono state individuate in totale 7 Unità Topografiche (fig. 6.24-tab. 6.7).

Descrizione del sito: Le rovine del castello di Poggio Runci si possono riconoscere nell’attuale toponimo IGM “La muraccia del Poggio Ronci”, raggiungibili da S. Polo dei Cavalieri percorrendo il sentiero n. 303b del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili. Le prime attestazioni del castrum le ritroviamo in alcuni documenti, datati tra la metà del XII e il XIII secolo, raccolti nel Regesto della Chiesa di Tivoli, da cui si evince sia l’esistenza del centro fortificato che delle chiese dedicate a S. Maria “in castro positam quod dicitur podium141” e a S. Blasio in Runci con le rispettive pertinenze; questi territori dipendevano dalla chiesa di S. Maria in Monte Dominici nella diocesi di Tivoli142. Alla luce di questi dati e sulla base delle evidenze archeologiche, la fondazione dell’insediamento è da far risalire, quindi, ad un periodo anteriore al XII secolo. Dal XIII secolo viene annoverato tra i possedimenti Orsini: nel 1288 Poggio Ruino viene ceduto da Giacomo Roviano a Napoleone e Francesco, figli del Giacomo de filiis Ursi143. Agli inizi del XIV secolo un atto del 1311 sancisce la divisione dei beni alla morte di Francesco Orsini: la proprietà di Poggio Runci rimane indivisa tra Orso e Giovanni, figli di Francesco Orsini, e Nicola, Giacomo e Braccio, figli di Napoleone Orsini144; solo due anni più tardi i fratelli Orso e Giovanni Orsini si spartiscono i diritti del castello145. Gelsomino 1995, p. 709. Il toponimo potrebbe derivare anche da ronco/roncare, termine molto comune nell’Italia centrale e settentrionale per indicare zone disboscate, terreni coltivati o adibiti a pascolo (Gasca Queirazza et al. 1990, p. 652). 138 RT, doc. IV, p. 30, r.15-16. 139 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,025 140 Il castello di Poggio Runci viene citato come ancora esistente nel 1311: ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013. 141 La chiesa di S. Maria era la chiesa intramuranea dell’insediamento; S. Blasio, invece, poteva essere una delle chiese extramuranee ubicate nel territorio del castello. 142 RT, doc. IV, p. 30, r. 15-16; RT, doc. XVII, p. 75, r. 25-27. 143 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,025. 144 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013. 145 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017. 137

Fedele 1909, p. 223. Coste 1988, p. 396. 148 Broccoli 1995, p. 618. 146 147

132

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.24. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Poggio Runci (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.7. Tabella Unità Topografiche (UT) Poggio Runci. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML3-a

Pietra calcarea

XIII-XIV secolo

UT2

Tratto di rocca

-

-

ML2-a

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

XII secolo

UT3

Tratto di cinta muraria

-

E-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT5

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT6

Tratto di cinta muraria

-

N-S

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT7

Setto murario

-

E-O

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

Ritrovamenti: Nel sito diverse zone hanno restituito una particolare concentrazione di frammenti fittili, specialmente nel versante orientale, dove è stata riconosciuta una copiosa presenza di materiale edilizio e frammenti di ceramica comune, da fuoco e vetrina sparsa.

sito, seppur non fondato su un’altura troppo elevata, era possibile dominare l’intero territorio circostante ed avere il controllo del versante meridionale dei Lucretili, all’epoca di pertinenza della diocesi Tiburtina. Fonti documentarie e d’archivio: RT, doc. IV, p. 30, r.1516; RT, doc. XVII, p. 75, r. 25-27; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,025; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017.

Rapporto sito/ambiente: Il castello affaccia direttamente su una grande vallata a Sud ed è molto lontano dalla viabilità antica che invece, passava a ridosso del fondovalle. Dal 133

L’incastellamento nei Monti Lucretili Fonti cartografiche e catastali: De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - Poggio diruto Ronci.

residenziali, collocato all’esterno della cinta muraria (UT5).

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1103, neg. 24199 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 913, neg. 203559; str. 85, fot. 1191, neg. 203587 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2367, neg. 179019 (© AFN-ICCD, fondo AM); Foto SARA Nistri del 16 aprile 1977: f. 144, str. 43, fot. 667, neg. 188723 (© AFN-ICCD, Foto SARA Nistri).

Seconda fase edilizia: XII secolo Nel pieno XII secolo il solo edificio che viene costruito al centro dell’insediamento è la rocca del castello (UT2), realizzata con una tecnica di bozze e bozzette poste in opera a filari sub-orizzontali. Inizia a delinearsi in questo momento l’assetto strutturale definitivo del castrum con la costruzione del fortilizio. Terza fase edilizia: XIII-XIV secolo

Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 165; Coste 1988, pp. 396-397.

Il sito di Poggio Runci non subisce grandi cambiamenti nel XIII-XIV secolo. Riconducibile a questa fase è la costruzione di un grande ambiente collocato al centro della rocca e ad essa addossato (UT1). Questo edificio è stato costruito con un’opera muraria in blocchetti a filari orizzontali; in alcuni settori si conservano ancora le tracce delle stilatura dei giunti.

6.1.9.2. Fasi edilizie (fig. 6.25) Prima fase edilizia: XI-XII secolo La più antica fase edilizia in materiale lapideo del castello è costituita da una muratura irregolare in bozze e bozzette di pietra calcarea, tecnica con cui sono state realizzate le mura del castello (UT3, UT4, UT6), un setto murario, dalla difficile interpretazione per l’esiguità della porzione conservata (UT7) ed un ambiente, con probabili funzioni

6.1.9.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.26) I resti architettonici di Poggio Runci consentono di ipotizzare l’esistenza di un piccolo villaggio fortificato

Fig. 6.25. Fasi edilizie di Poggio Runci (elaborazione grafica M. Bernardi).

134

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.26. Ipotesi ricostruttiva di Poggio Runci sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

protetto da una rocca sommitale e da una cinta muraria, il cui circuito doveva originariamente seguire l’andamento geomorfologico del terreno149. L’unica struttura interpretabile come un ambiente abitativo è collocata all’esterno delle mura, in una zona dove sono state rilevate numerose aree con concentrazioni fittili; è probabile, vista l’estensione limitata dell’insediamento intramuraneo, che gran parte dell’abitato potesse svilupparsi all’esterno della cinta muraria.

Nella porzione settentrionale del sito si possono scorgere le tracce nel terreno della cinta muraria, in questo tratto non conservata in elevato.

149

135

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.10. Saccomuro

e ad altri esponenti della casata; tra questi alcune proprietà nel territorio di Saccomuro158.

6.1.10.1. Scheda di sito

Nel 1311 i fratelli Orso e Giovanni, figli di Francesco Orsini, si spartiscono i beni del defunto padre; alla moglie di Giovanni, Giacoma, vengono assegnati i castelli di Licenza e Saccomuro159. Il passaggio di tali proprietà ha portato all’emanazione nello stesso anno di uno statuto, approvato durante una riunione tra gli abitanti del castello stesso; il documento, uno dei pochi statuti castrensi conservati per la zona, costituisce una fonte di primaria importanza poiché consente di chiarire molti aspetti delle attività legate al castrum e di conoscere le regole che gli abitanti del villaggio dovevano seguire nello svolgimento delle attività agricole e di pastorizia, comprese le inibizioni: dallo statuto si evince che il dominus concedeva ad ogni nucleo familiare un orto ed una canapina da mettere a coltivo e la possibilità di costruire un’abitazione (domus terrina) nelle vicinanze del castello160. Lo statuto allude anche alla possibilità per gli abitanti, qualora non vi fossero più spazi per lavorare la terra, di coltivare i campi collocati al di fuori del territorio castrense e di donare, sia al signore che alla Curia, una parte del raccolto ottenuto in occasione di particolari festività religiose dell’anno161.

Sito: Saccomuro Provincia: Roma Comune: Vicovaro Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 150 I N.E. (Castel Madama); CTR 2014 1:5000, f. 375034 Quota altimetrica: 282 m s.l.m. Toponomastica antica: Saccomauri Cronologia insediamento: XI secolo/XIV secolo Prima attestazione toponimo: 1038150 Prima attestazione castello: 1288151 Datazione evidenze archeologiche: XI-XII secolo Datazione abbandono: post 1330-ante 1363152 Descrizione del sito: Le rovine del castello di Saccomuro sono facilmente raggiungibili percorrendo la via Tiburtina Valeria nel tratto che collega Vicovaro a Tivoli (a circa 1,5 km a Nord di Castel Madama, nell’attuale toponimo IGM e CTR “Colle Sacco Muro”). La prima testimonianza nelle fonti scritte del toponimo ci viene data dal Regesto Sublacense che lo cita solo in relazione al suo confine con il limitrofo castello di S. Angelo (attuale Castel Madama); il documento non consente di attestare con certezza l’esistenza nel sito di centro fortificato, ma è verosimile che l’insediamento fosse stato già edificato, come anche sostenuto da Jean Coste153; accordando tale dato con l’analisi dell’evidenza archeologica, è plausibile che la fondazione dell’insediamento, l’unico dei Lucretili ad essere citato nel cartulario sublacense, sia avvenuta intorno all’XI secolo154.

Nel 1313 viene emanata una sentenza sulla divisione dei castelli di Vicovaro, Saccomuro, Poggio Runci, Arsoli e Licenza tra Giovanni, figlio di Francesco Orsini ed Orso e Giovanni Orsini162. Le dispute familiari che coinvolgono gli Orsini continueranno negli anni seguenti; in particolar modo verranno implicati in questo gioco di spartizioni ereditarie il ramo degli Orsini di Tagliacozzo e il ramo di Licenza (tra Giacomo e Fortebraccio, figli di Napoleone Orsini, e Giacomo, figlio di Orso Silvestro), arrivando poi, all’istituzione, in un documento del 1316, del divieto assoluto per ciascun membro della casa Orsini di costruire edifici nel territorio di Saccomuro163. In due documenti di poco posteriori al precedente, vengono contenuti alcuni scambi di proprietà a danno di Giovanni, figlio di Francesco Orsini, che includono una parte di Saccomuro: una porzione del territorio del castello, che non era prevista nei precedenti accordi sottoscritti, infatti, viene ceduta a Vicovaro164.

Nel XIII secolo il feudo di Saccomuro, forse per un breve periodo abbandonato poiché definito nelle fonti come castellare, rientra tra i possedimenti della famiglia Orsini che probabilmente si occupano di riedificare e ripopolare l’insediamento155. Nel 1288 Napoleone, figlio di Giacomo di Napoleone Orsini, rinuncia ai suoi diritti sul castello, situato nella diocesi di Tivoli, a favore di suo fratello Francesco156. Un anno più tardi lo stesso Francesco, divenuto ormai proprietario del borgo, concede in enfiteusi alcune terre nel territorio del castrum a Egidio Todini per assegno dotale di Pace, figlia del defunto Giovanni di Oddone e sua futura moglie157.

Nel 1330 Giovanni, figlio di Francesco Orsini, concede in pegno a Giovanni Boccamazza un terreno nel territorio del castello che, in caso di mancata restituzione del denaro, sarebbe rimasto di proprietà del Boccamazza165.

Nel testamento del Cardinale Francesco Orsini del 1304 alcuni beni vengono ceduti in eredità ai suoi nipoti, Nicola

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009. Documento pubblicato da Paravicini Bagliani 1980, p. 341 e 346. 159 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013. 160 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,014; documento edito in Tomassetti 1930, pp. 353-363. 161 Ibidem. 162 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017. 163 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,024. 164 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,023; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,022. 165 ASC, Archivio Orsini, II.A.04,001. 158

RS, doc. 34, p. 73. 151 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024. 152 Il castello di Saccomuro viene citato come ancora esistente nel 1330: ASC, Archivio Orsini, II.A.04,001. 153 RS, doc. 34, p. 73. Cfr. Coste 1988, p. 398. 154 Cfr. Coste 1988, p. 398. 155 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024. 156 Ibidem. 157 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,026. 150

136

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili suo utilizzo come castrum, di cui si conservano ancora alcune porzioni della cinta muraria che doveva inglobare, nel suo punto centrale, una torre di forma quadrangolare e alcuni edifici, forse relativi ad una presunta rocca, di cui oggi rimangono solo i ruderi delle costruzioni di epoca moderna pertinenti al posteriore utilizzo del sito come casale. Presso Saccomuro sono state individuate in totale 3 Unità Topografiche (fig. 6.27-tab. 6.8).

Nelle liste del Sale e del Focatico l’abitato non compare in nessuna provincia, nemmeno in quella Tiburtina alla quale doveva appartenere; la scomparsa del castello è da circoscrivere tra il 1330 e il 1363166. In documenti più tardi, del XVI secolo, si evince la nuova funzione dell’ormai diruto castello di Saccomuro, adibito ad attività agricole (definito, infatti, nei moderni testi come prata o tenuta), sotto l’autorità del castello di Vicovaro167. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Pietro168. Evidenze archeologiche: Del castello rimangono pochissime tracce relative alla fase medievale dell’insediamento e al

Fig. 6.27. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Saccomuro (elaborazione grafica M. Bernardi). Tab. 6.8. Tabella Unità Topografiche (UT) Saccomuro. N. UT

Tipologia

UT1

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Tratto di cinta muraria con portale

E-O

ML1-c

Puddinga, tufo nero, laterizi XI-XII secolo di reimpiego

UT2

Tratto di cinta muraria con torre

-

N-S

ML1-c

Puddinga, tufo nero, laterizi XI-XII secolo di reimpiego

UT3

Tratto di rocca

-

E-O

ML1-c

Puddinga, tufo nero

ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. ASC, Archivio Orsini, II.A.23,047. 168 La chiesa potrebbe essere identificata con il toponimo IGM “Ruderi di S. Pietro”, forse antica pieve. Cfr. Coste 1988, p. 398. 166 167

137

Datazione

XI-XII secolo

L’incastellamento nei Monti Lucretili Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 224; Tomassetti 1930, pp. 353-363; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 266; Toubert 1973, vol. I, p. 404; Coste 1988, p. 398; Carocci 1988, p. 37, nota 35; Carocci 1993, pp. 148, 153 e p. 183, nota 90.

Ritrovamenti: Nel sito, attualmente ubicato in una proprietà privata, non sono state individuate tracce riferibili a materiale edilizio o ceramica. Rapporto sito/ambiente: Il sito è stato edificato su una bassa collina prospicente il fiume Aniene e a ridosso della via Tiburtina Valeria. Oltre ad avere una preponderante funzione economico-produttiva, il castello doveva avere la funzione di controllo del territorio limitrofo, ubicandosi in corrispondenza del confine della diocesi Tiburtina.

6.1.10.2. Fasi edilizie (fig. 6.28) Prima fase edilizia: XI-XII secolo L’unico grande intervento edilizio nel sito di Saccomuro durante il periodo medievale è definito dalla costruzione delle mura del castello (UT1, UT2), di cui si conserva ancora l’ingresso monumentale ubicato nella porzione Nord dell’insediamento, di una grande torre centrale di forma quadrangolare che dominava l’intero territorio circostante e di un ulteriore setto murario che doveva forse inglobare in parte anche l’ipotetica rocca del castello (UT3). Tutte le evidenze conservate sono costruite con una tecnica edilizia irregolare di bozze e bozzette di tufo nero e puddinga databile all’XI-XII secolo.

Fonti documentarie e d’archivio: RS, doc. 34, p. 73; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,026; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,014; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,023; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.04,001; ASC, Archivio Orsini, II.A.23,047. Fonti cartografiche e catastali: Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Saccomuro diruto; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - Saccomuro diruto; Petroschi (1767): FCL 2, XXXVII. 2, tav. 188 - Saccomuro diruto.

6.1.10.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.29) Il castello di Saccomuro, collocato in prossimità del fiume Aniene e sulla via Tiburtina Valeria nel tratto che collega Castel Madama a Vicovaro, mostra una struttura molto semplice con cinta muraria, torre centrale e probabile

Foto aeree: -

Fig. 6.28. Fasi edilizie di Saccomuro (elaborazione grafica M. Bernardi).

138

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.29. Ipotesi ricostruttiva di Saccomuro sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

rocca, che doveva essere in parte inglobata nelle mura ad Ovest. Dell’originaria rocca sono visibili solo le fondazioni nell’area adiacente alla torre a causa delle invasive ristrutturazioni che l’intero complesso ha subìto in epoca moderna per il suo ininterrotto utilizzo come casale; anche la torre mostra importanti interventi di ricostruzione di epoca moderna nella parte sommitale.

139

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.11. Santa Croce

impossibile accedervi in quanto sottoposta a sequestro amministrativo178. Dalle immagini satellitari è possibile riconoscere la rocca (molto rimaneggiata a causa del suo riutilizzo in epoca moderna), una chiesa ed alcuni ambienti interni.

6.1.11.1. Scheda di sito Sito: Santa Croce Provincia: Roma Comune: Montorio Romano Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.O. (Monte Libretti); CTR 2014 1:5000, f. 366064 Quota altimetrica: 263 m s.l.m. Toponomastica antica: Sancta Crucis Cronologia insediamento: XIII/metà XIV secolo Prima attestazione toponimo: 1084169 Prima attestazione castello: 1343170 Datazione evidenze archeologiche: Datazione abbandono: post 1343-ante 1363171

Ritrovamenti: Rapporto sito/ambiente: Il castello è collocato su una modesta collina da cui si poteva avere una buona visibilità del territorio circostante. Fonti documentarie e d’archivio: RF V, doc. 1095, p. 91. Fonti cartografiche e catastali: Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 34, fot. 1038, neg. 35931 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 83, fot. 893, neg. 203026 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Descrizione del sito: Il castello di Santa Croce si trova non lontano da Montorio Romano, nella località indicata dalle carte IGM con l’omonimo toponimo. Un solo documento farfense cita la chiesa di S. Croce nel 1084, confinante con il territorio di Scandriglia e Montorio Romano172. Il castello potrebbe quindi avere una fondazione piuttosto tarda poiché mai citato negli altri documenti farfensi, oppure essere stato fondato per un’iniziativa di tipo signorile.

Bibliografia: Coste 1988, pp. 398-400; Esposito 1998, pp. 152-154. 6.1.11.2. Fasi edilizie Per questo sito non sono state determinate le fasi edilizie per l’impossibilità di raggiungere attualmente il castello.

L’unico documento da cui apprendiamo l’esistenza del castello nella zona è il Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 che nomina le chiese pertinenti al castello: S. Croce, S. Maria e S. Nicola173; nella visita viene narrata la storia recente dell’insediamento, originariamente di proprietà di Pietro Ottaviani di Montorio, poi ceduto a Oddone, signore di Palombara174. Nelle liste del Sale e del Focatico il castello non viene mai trascritto; tale dato fa presupporre la sua scomparsa tra il 1343 e il 1363175.

6.1.11.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.30) Sulla base delle testimonianze scritte e della documentazione fotografica fornita da Jean Coste179 e Daniela Esposito180, che al contrario sono riusciti a recarsi nel sito, è stata tentata un’ipotesi ricostruttiva del castello, confrontando i dati forniti dai suddetti autori con le immagini satellitari. L’unione di tali elementi sembra mostrare l’esistenza di un castello munito di mura (di cui si possono distinguere ancora le tracce nel terreno), di una chiesa absidata, collocata a ridosso della suddetta cinta nella sua porzione Sud-Ovest, di una rocca e forse una torre quadrangolare ubicata al centro dell’insediamento181.

Santa Croce, ormai distrutto, passa dai signori di Palombara ai Savelli176; tra la fine del XVI e il XVII secolo viene acquisito dalle altre famiglie baronali romane, prima dagli Orsini ed infine dai Barberini; il territorio di castello è stato poi inglobato nelle pertinenze di Montorio Romano177.

La chiesa è sicuramente l’elemento meglio conservato per il periodo medievale, realizzata attraverso l’utilizzo di blocchetti (molto simili alle bozzette) poste in opera a filari orizzontali, con un’alternanza non regolare di piani di orizzontamento in laterizi di reimpiego. Secondo la tecnica edilizia adottata nella costruzione dell’abside l’edificio può essere attribuito al pieno XIII secolo182; le restanti strutture non possono essere datate in assenza di ulteriori dati.

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Croce, S. Maria, S. Nicola. Evidenze archeologiche: Il castello di Santa Croce è attualmente all’interno di una proprietà privata e risulta RF V, doc. 1095, p. 91 Il castello di Santa Croce viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 94; Mancinelli 2007, p. 126. 171 Ibidem. 172 RF V, doc. 1095, p. 91. 173 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 94; Mancinelli 2007, p. 126. 174 Ibidem. 175 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 176 Cfr. Coste 1988, p. 399; Celani 1892, p. 248. 177 Coste 1988, p. 400. 169 170

Il sito può essere osservato solo dall’esterno dell’attuale recinzione della proprietà privata. 179 Coste 1988, pp. 398-400. 180 Esposito 1998, pp. 152-154, nota 2. 181 Tutte le strutture sono state molto rimaneggiate in epoca moderna per il continuo utilizzo del castello sia come abitazione che come tenuta. 182 Esposito 1998, pp. 152-154. 178

140

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.30. Ipotesi ricostruttiva di Santa Croce sulla base delle evidenze archeologiche riscontrate da satellite (elaborazione grafica M. Bernardi).

141

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.12. Saracinesco

Nel testamento del 1309 del cardinale Giovanni Boccamazza Saracinesco viene ceduto ai suoi eredi insieme alla rocca, al palazzo, alle abitazioni, alle torri nella rocca, ai vassalli, alle vigne, agli orti, alle canapine, al mulino, ai boschi, ai prati, alle terre colte ed incolte, alle acque e a tutti i corsi d’acqua situati nel territorio del castello, insieme ad altre proprietà e beni in suo possesso in civitate Tiburtina189.

6.1.12.1. Scheda di sito Sito: Saracinesco Provincia: Roma Comune: S. Polo dei Cavalieri Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.O. (Palombara Sabina) - IGM 150 I N.O. (Tivoli); CTR 2014 1:5000, f. 366142 Quota altimetrica: 516 m s.l.m. Toponomastica antica: Saracinesci, Saracineschi Cronologia insediamento: XII-XIII secolo/XV secolo Prima attestazione toponimo: 1307183 Prima attestazione castello: 1307184 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XII-XIII secolo; 2a fase XIII-XIV secolo Datazione abbandono: post 1382-ante 1416185

Nel fondo S. Angelo in Pescheria conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana alcuni documenti del 1363 e del 1372 citano Saracineschi apud Tivoli in quanto rogati nel castello; l’insediamento fortificato, ancora abitato in quegli anni, era di proprietà di Niccolò Boccamazza190, che nel 1382 vende la sua parte a Tivoli; le terre verranno poi affidate dapprima a Rinaldo di Buzio Orsini, proprietario anch’egli di una porzione del castrum, poi nel 1391 a Giacomo ed Antonio Coccanari, patrizi tiburtini; intorno a questa data il sito è stato presumibilmente abbandonato191.

Descrizione del sito: I ruderi del castello di Saracinesco, segnalato sull’IGM con il toponimo de “il Castellaccio”, sono facilmente raggiungibili percorrendo da S. Polo dei Cavalieri il sentiero n. 331b del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili che conduce direttamente sulla cima dell’insediamento fortificato.

Nelle liste del Sale e del Focatico il toponimo compare due volte nella provincia di Tivoli e Carsoli; tale duplicità potrebbe essere legata all’esistenza dell’omonimo centro del sublacense, ubicato nella medesima provincia192. Al castello di Saracinesco, che compare già dalla prima lista tra le terre inabitate, spettava originariamente un pagamento pari a 25 rubbia di sale (il castello doveva forse essere molto popolato); la sua scomparsa è da collocare tra il 1382 (atto dell’ultimo atto di vendita del castello) e il 1416 (data del primo registro delle suddette liste). Nel 1429, in un atto citato da Presutti, il territorio di Saracinesco viene definito come tenimento del castello diruto193.

La prima attestazione nelle fonti scritte, da non confondere con l’omonimo castrum del sublacense ubicato non lontano da quello Lucretile186, risale al 1307 quando Saracinesco viene citato in un documento Orsini riguardante un compromesso di Orso, figlio di Francesco Orsini, per attenuare le liti per l’uso di un bosco e di una fontana, situati al confine tra il territorio del castello di proprietà del vescovo di Frascati e del territorio di S. Polo appartenente al monastero di S. Paolo di Roma187. Questa fonte, oltre ad essere la prima testimonianza dell’esistenza del castello, è di notevole interesse per comprendere le dinamiche sociali di questi centri e di come tra le varie comunità locali ci fossero dissapori in merito ai territori e ai beni di cui disporre. L’assenza del castello nel documento del 1229 riguardante Marcellino, con le cui pertinenze doveva confinare, hanno fatto ipotizzare a Jean Coste e a Sandro Carocci una datazione per il castrum tarda, forse ascrivibile al XIII secolo188, dato confermato anche dalle evidenze archeologiche rilevate nel sito che non sono anteriori al XII-XIII secolo.

Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Le evidenze archeologiche testimoniano l’esistenza di un grande centro incastellato con due cinte murarie, una rocca sommitale e il borgo medievale con le tracce delle sue abitazioni. In totale sono state riconosciute 12 Unità Topografiche (fig. 6.31tab. 6.9).

189 Documento pubblicato in Paravicini Bagliani 1980, p. 374. Cfr. Coste 1988, p. 400; Carocci 1988, pp. 96-98 (in particolare le note 16 e 17). Sembrerebbe che tali documenti si riferiscano a Saracinesco nel Tiburtino e non all’attuale borgo dei Monti Ruffi, come anche interpretato da Coste e Carocci nei sopracitati testi. 190 BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.1, pp. 132-139; BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.7, p. 59. 191 Documento citato in Coste 1988, p. 400 e 413 (note 5-7). Silvestrelli nel suo testo accosta la vicenda dell’abbandono di Saracinesco alla volontà degli abitanti del castello di non assoggettarsi a nuovi proprietari tiburtini del castello (Silvestrelli 1940, vol. I, p. 266). 192 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. Nelle liste del Sale e del Focatico è riconoscibile nel toponimo Saracineschum II il castello abbandonato dei Lucretili; quello indicato con il toponimo di Saracineschum I, che risulta ancora come centro pagante e non abbandonato, è da interpretare con l’omonimo castello nel sublacense. 193 Presutti 1924, p. 47.

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011. Ibidem. 185 La datazione è stata desunta sulla base di un documento citato da Coste 1988, p. 400 e p. 413 (note 5-7). 186 Sull’omonimo castello di Saracinesco nel sublacense si veda: Martinori 1933-1934, vol. II, pp. 268-270; Silvestrelli 1940, vol. I, pp. 366-367; Toubert 1973, vol. I, p. 406; Travaini 1979, p. 88; D’Achille 2016. Alla lettura di tali contribuiti emergono ancora le difficoltà nell’attribuire in maniera corretta e sicura le fonti scritte ai relativi omonimi castelli del tiburtino e del sublacense; tale condizione di omonimia dei due centri, topograficamente non troppo distanti, ha generato in taluni casi ambiguità nell’interpretazione dei dati. 187 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011. 188 Coste 1988, p. 400; Carocci 1988, p. 96, nota 16. 183 184

142

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.31. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Saracinesco (elaborazione grafica M. Bernardi). Tab. 6.9. Tabella Unità Topografiche (UT) Saracinesco. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT2

Ambienti a schiera

Rettangolare

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT3

Torre

Rettangolare

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT4

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT5

Sostruzione

-

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT6

Rocca

Irregolare

S-E/N-O

ML2-b; ML3-a

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo; XIIIXIV secolo

UT7

Ambiente

Rettangolare

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT8

Cisterna ipogea

Rettangolare

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT9

Terrazzamento

-

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT10

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT11

Terrazzamento

-

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

UT12

Tratto di cinta muraria

-

S-E/N-O

ML2-b

Pietra calcarea

Fine XII-inizi XIII secolo

143

L’incastellamento nei Monti Lucretili Ritrovamenti: Numerose sono le aree di frammenti fittili, perlopiù riferibili a concentrazioni di materiale edilizio quali tegole e coppi. Sulla sommità dell’insediamento e nella sua pozione occidentale è stata rilevata una consistente concentrazione di ceramica da mensa e da fuoco, tra cui alcuni frammenti di vetrina sparsa e di maiolica arcaica. Nel sito sono stati individuati anche molti materiali ceramici moderni pertinenti al suo lungo riutilizzo come casale.

VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2369, neg. 179021 (© AFN-ICCD, fondo AM). Bibliografia: Silvestrelli 1940, vol. I, p. 266; Coste 1988, p. 400; Carocci 1988, pp. 96-98. 6.1.12.2. Fasi edilizie (fig. 6.32) Prima fase edilizia: fine XII-inizi XIII secolo

Rapporto sito/ambiente: Il sito ha sicuramente una funzione strategica, affacciandosi su una grande vallata a Sud e controllando tutto il territorio circostante. Il castello era molto lontano dalla viabilità antica, difficile da raggiungere e lontano dal fondovalle.

Il primo intervento in materiale lapideo riconducibile al castello di Saracinesco è di fine XII-inizi XIII secolo con la costruzione di tutte le strutture conservate dell’insediamento, realizzate con una tecnica di blocchetti e bozze messi in opera a filari sub-orizzontali. In questo periodo vengono, infatti, costruiti la rocca del castello (UT6) con relativi ambienti (UT7) e cisterna ipogea (UT8), alcuni edifici esterni al fortilizio, riferibili probabilmente alle abitazioni dei contadini (UT1, UT2), una serie di terrazzamenti rinvenuti nella porzione meridionale dell’insediamento (UT9, UT11), un muraglione, interpretabile come una sostruzione per l’edificazione della rocca (UT5) e diversi tratti delle due cinte murarie che originariamente dovevano circondare il castrum (prima cinta: UT4, UT10; seconda cinta: UT12) e una torre (UT3). Sia la rocca che le mura dovevano essere provviste di torri inglobate nei circuiti murari.

Fonti documentarie e d’archivio: ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011; BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.1, pp. 132-139; BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.7, p. 59. Fonti cartografiche e catastali: Magini (1604): FCL 2, XXII 2, tav. 54 - Saracinesco; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Saracinesco; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Saracinesco; Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Saracinesco. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1104, neg. 24224 (© AFN-ICCD, fondo

Fig. 6.32. Fasi edilizie di Saracinesco (elaborazione grafica M. Bernardi).

144

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.33. Ipotesi ricostruttiva di Saracinesco sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

Seconda fase edilizia: XIII-XIV secolo L’unico intervento nel castello riconducibile al pieno XIIIXIV secolo per l’utilizzo della tecnica a blocchetti a filari orizzontali è la ristrutturazione della rocca nella sua parte sommitale. 6.1.12.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.33) I ruderi di Saracinesco mettono in luce l’organizzazione interna del castello: una grande rocca turrita, collocata nella parte sommitale dell’insediamento, sovrastava il sottostante abitato, compreso tra il fortilizio stesso e la prima cinta muraria. Il castrum era protetto da due grandi muraglioni di cui si conservano oggi alcuni tratti nel settore Sud-occidentale dell’insediamento; il recinto più interno mostra le monumentali vestigia di una grande torre di avvistamento da dove era possibile controllare le maggiori vie di comunicazione. I resti ceramici individuati sono ascrivibili al periodo bassomedievale con frammenti di vetrina sparsa e di maiolica arcaica.

145

L’incastellamento nei Monti Lucretili 6.1.13. Spogna

ma il documento indicato da Coste consente di ridurre la forcella cronologica dell’abbandono tra il 1377 e il 1416.

6.1.13.1. Scheda di sito

Dalla metà del XV secolo, nei documenti conservati dell’Archivio Orsini, si fa riferimento solo a dei terreni dati in affitto presso la Spogna, toponimo ormai definito semplicemente come loco o montagna, senza alcun riferimento o traccia nei testi del preesistente castello medievale che sembra scomparso anche dalla memoria; tutti i terreni di questo territorio vengono ceduti da esponenti della famiglia Orsini ad affittuari locali202. La montagna della Spogna, ormai collocata nella diocesi di Tivoli, viene poi acquisita da Giovanni Giordano Orsini, dopo aver ricevuto una somma in denaro dal cardinale di S. Pietro in Vincoli e dal Prefetto di Roma203.

Sito: Spogna Provincia: Roma Comune: S. Polo dei Cavalieri Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366113 Quota altimetrica: 1147 m s.l.m. Toponomastica antica: Spongia. Il toponimo dovrebbe derivare dall’aspetto spugnoso della pietra calcarea locale194. Cronologia insediamento: XI secolo/fine XIV-inizi XV secolo Prima attestazione toponimo: 1011195 Prima attestazione castello: 1111196 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XI-XII secolo; 1a fase fine XII-inizi XIII secolo Datazione abbandono: post 1377-ante 1416197

Nel 1558 la Spogna, ancora di proprietà degli Orsini (di Paolo Giordano Orsini), viene venduta al Cardinal Federico Cesi204. Nel XVII secolo il colle diventa possedimento Borghese205.

Descrizione del sito: Il castello di Spogna, individuato sull’omonimo colle, è molto difficile da raggiungere poiché molto distante dalla viabilità, sia antica che moderna; le sue rovine sono raggiungibili seguendo il sentiero n. 305c del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili e percorrendo poi un ultimo tratto fuori sentiero molto scosceso.

Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Molteplici sono le strutture individuate sulla sommità del colle Spogna; alcuni tratti delle mura, una torre di guardia centrale collocata nel punto più alto dell’insediamento ed un’altra torre che, insieme ad un muraglione, doveva costituire il complesso della rocca. Al di sotto dell’originaria rocca è stato individuato un altro tratto della stessa, riferibile però ad un secondo intervento edilizio nel castello, riconosciuto come un rifacimento o ampliamento del fortilizio avvenuto tra la fine del XII e il XIII secolo (fig. 6.34). Molte sono le tracce di allineamenti murari che originariamente dovevano costituire l’abitato del villaggio che si doveva sviluppare nella porzione occidentale dell’insediamento. Nel sito sono state individuate in totale 9 Unità Topografiche (fig. 6.35-tab. 6.10).

Le uniche attestazioni del castrum ci vengono trasmesse attraverso le fonti dei cartulari farfensi, quando in alcuni documenti del 1011 vengono citate le pertinenze di Spongia, confinanti con il territorio di Macla Felcosa198 che farebbero ipotizzare la fortificazione del sito prima di questa data. Il toponimo Spogna viene associato per la prima volta al termine castello nel 1111 quando viene restituito da Ottaviano di Palombara, membro della famiglia Crescenzi, al monastero di S. Giovanni in Argentella199. Dalla seconda metà del XIV secolo sappiamo con certezza che era di proprietà Orsini e ancora attivo almeno fino al 1377, come dimostra un documento segnalato da Coste200. Nelle liste del Sale e del Focatico il castello (definito La Spongie) viene annoverato tra le terre inabitate della provincia di Farfa e Romangia già dalla prima lista del 1416201; la scomparsa e l’abbandono del sito sulla base delle liste sarebbe quindi da delimitare tra il 1363 e il 1416, Gelsomino 1995, p. 711. RF IV, doc. 617, p. 15; CF, vol. II, p. 90. 196 Amore 1979, p. 223, nota 21; AMST, LIX, 1986, pp. 69-72; Coste 1988, p. 402. 197 Dalla seconda metà del XIV secolo sappiamo con certezza che il castello di Spogna, ancora esistente, era di proprietà Orsini, come dimostra un documento nel 1377 segnalato da Coste 1988, p. 402. 198 RF IV, doc. 617, p. 15; CF, vol. II, p. 90. 199 Amore 1979, p. 223, nota 21; Coste 1988, p. 402. Trascrizione edita in AMST, LIX, 1986, pp. 69-72. 200 Documento citato in Coste 1988, p. 402. 201 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. Al castello spettava un pagamento equivalente a 5 rubbia di sale. 194 195

In questo caso le terre vengono cedute dal vescovo Giovanni Orsini, abate di Farfa. ASC, Archivio Orsini, II.A.16,058. 203 ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041. 204 ASC, Archivio Orsini, II.A.24,076. 205 Amore, Delogu 1983, p. 294. 202

146

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.34. Rifacimento della rocca di Spogna databile a fine del XII e il XIII secolo (foto M. Bernardi).

Fig. 6.35. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Spogna (elaborazione grafica M. Bernardi).

147

L’incastellamento nei Monti Lucretili Tab. 6.10. Tabella Unità Topografiche (UT) Spogna. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Tratto di cinta muraria

-

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT2

Tratto di cinta muraria

-

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT3

Tratto di cinta muraria con ambiente

-

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Tratto di cinta muraria

-

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT5

Torre

Quadrangolare

S-O/N-E

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT6

Tratto di rocca con torre a scudo

-

N-O/S-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT7

Tratto di rocca

-

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT8

Ampliamento rocca -

N-O/S-E

ML2-b

Pietra calcarea, laterizi di reimpiego

fine XII-inizi XIII secolo

UT9

Chiesa

S-O/N-E

ML1-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo

Rettangolare

Ritrovamenti: Sulla cima di Colle Spogna e lungo le sue pendici sono state riconosciute numerose aree di frammenti fittili, perlopiù riferibili a materiale edilizio quali tegole e coppi e altri elementi lapidei da costruzione; una maggiore concentrazione di frammenti ceramici è stata riscontrata nella porzione compresa tra la cinta muraria e la rocca del castello. Oltre ad una vasta quantità di ceramica da fuoco e comune, è stato rinvenuto un solo frammento diagnostico di maiolica arcaica, databile alla fine del XIV secolo.

6.1.13.2. Fasi edilizie (fig. 6.36) Prima fase edilizia: XI-XII secolo Della prima fase edilizia del castello si conservano alcuni tratti a Sud del circuito murario che doveva seguire la geomorfologia del terreno (UT1, UT2, UT3, UT4), due settori della rocca (UT6, UT7), una torre di forma quadrangolare collocata al centro del castello e nel punto più alto dell’altura (UT5) ed un ambiente di forma rettangolare all’interno del recinto murario (UT9). Tutti questi edifici sono realizzati mediante l’utilizzo esclusivo di pietra calcarea posta in opera irregolarmente, attribuibile cronologicamente tra l’XI e il XII secolo.

Rapporto sito/ambiente: Il sito ha sicuramente una funzione strategica poiché collocato ad una quota molto elevata. Dalla cima del colle si vedono i castra di Civitella, Licenza e gran parte della valle del Licenza. Il castello di Spogna è molto lontano dalla viabilità antica, infatti ancora oggi è molto difficile raggiungerlo.

Seconda fase edilizia: fine XII-inizi XIII secolo Tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo avviene un importante cambiamento strutturale nel castello di Spogna, attraverso la costruzione di un grande muraglione in prossimità della rocca, interpretato come un ampliamento del fortilizio stesso (UT8). La tecnica muraria in bozze e blocchetti messi in opera a filari sub-orizzontali suggerisce una datazione più tarda rispetto a tutte le altre strutture individuate nel sito. Nella parte inferiore della costruzione sono stati rilevati piani di orizzontamento in laterizi di reimpiego.

Fonti documentarie e d’archivio: RF IV, doc. 617, p. 15; CF, vol. II, p. 90; ASC, Archivio Orsini, II.A.16,058; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041. Fonti cartografiche e catastali: Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA - Castello della Sponga (ante 1581); ASR, Versamento UTE, Sez. V, Comarca 306. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 85, fot. 1909, neg. 203585 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2364, neg. 179016 (© AFN-ICCD, fondo AM).

6.1.13.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.37) L’assetto strutturale del castello, dalla sua prima fase monumentale fino al suo abbandono, doveva essere contraddistinto dalla presenza di un recinto murario, con il suo probabile ingresso dal lato Sud-Ovest del colle206, e da diverse opere architettoniche collocate nella porzione

Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 300; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 265; Luzio 1953, p. 155; Amore, Delogu 1983, p. 294; Coste 1988, p. 402; Bernardi 2014, pp. 105-108; Bernardi 2015b, p. 111; Bernardi 2018a, pp. 158-159.

206 Tuttora per raggiungere il castello bisogna entrare dall’ipotetico passaggio medievale per l’inaccessibilità dai restanti versanti.

148

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili

Fig. 6.36. Fasi edilizie di Spogna (elaborazione grafica M. Bernardi).

Fig. 6.37. Ipotesi ricostruttiva di Spogna sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

149

L’incastellamento nei Monti Lucretili più alta del sito: la rocca castri. La zona compresa tra quest’ultima e le mura perimetrali è stata interpretata come l’abitato del castello, ovvero il burgus: nel terreno sono ancora ben leggibili le tracce di muri obliterati e distrutti nel corso dei secoli, costruiti nella maggior parte dei casi sfruttando direttamente la pietra calcarea in fondazione. Sempre in questo settore è stato rilevato un ambiente di forma rettangolare, forse interpretabile come l’ecclesia castri per la presenza in prossimità dell’ambiente di una particolare concentrazione di reperti antropologici, pertinenti probabilmente ad un contesto cimiteriale collocato nelle adiacenze dell’edificio. L’ultimo intervento edilizio nel castello coincide con l’ampliamento della rocca, costituito da una cortina muraria ben rifinita di bozze e blocchetti di pietra calcarea posti in opera a filari sub-orizzontali207.

207

Bernardi 2014, pp. 107-108; Bernardi 2015b, p. 111.

150

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.14. Turrita

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Giovanni (pieve); S. Romola.

6.1.14.1. Scheda di sito

Evidenze archeologiche: Del castello sono ancora parzialmente conservate le mura del castello, una torre quadrangolare, situata nel punto più alto del colle, un ambiente di forma rettangolare ed una chiesa absidata. In totale sono state rintracciate 4 Unità Topografiche (fig. 6.38-tab. 6.11).

Sito: Turrita Provincia: Roma Comune: Marcellina Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. IGM 144 II S.O. (Palombara Sabina); CTR 2014 1:5000, f. 366142 Quota altimetrica: 197 m s.l.m. Toponomastica antica: Turrita, Torrita208 Cronologia insediamento: XI secolo/XIV secolo Prima attestazione toponimo: 1030209 Prima attestazione castello: 1030210 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase fine XII-inizi XIII; 1a fase XIII-XIV secolo Datazione abbandono: ante 1363 Descrizione del sito: Il castello di Turrita viene citato per la prima volta nelle fonti del Regesto della Chiesa di Tivoli in cui si evince che nel 1030 il castrum era già costruito insieme a S. Giovanni, chiesa plebana dell’insediamento211. Un secolo più tardi, nel 1153-1154, in una bolla di papa Anastasio IV (1153-1154) il castello di Turrita e la chiesa di S. Romola vengono confermati al monastero di S. Maria in Monte Dominici212; nel XIII secolo l’abitato doveva appartenere a Lorenzo di Rinaldo di Tivoli213. Turrita, già definito come castellare nel 1300, passa al lignaggio Orsini; secondo Coste l’utilizzo di tale termine potrebbe indicare che il castrum fosse già stato abbandonato in quell’epoca214. Nelle liste del Sale e del Focatico il sito non viene annoverato tra i territori della provincia di Tivoli e Carsoli; la sua scomparsa dovrebbe quindi essere avvenuta ante 1363215. Anche i documenti dell’Archivio Orsini confermano la datazione dell’abbandono al XIV secolo: infatti, nel 1391 papa Bonifacio IX (1389-1404) dona a Giacomo Orsini alcuni castelli e tenute tra cui Turrita che doveva confinare con il castello di S. Polo216. Appena otto giorni più tardi lo stesso papa intima all’Orsini di restituire la precedente bolla emanata e i beni a lui concessi; il tenimento di Turrita, nella diocesi di Tivoli, passa poi sotto la giurisdizione del monastero di S. Paolo fuori le mura217.

Molto complessa è risultata la ricerca dei documenti sul castello per la genericità del toponimo, da non confondere con il castello di Torrita Tiberina collocato nel basso corso del fiume Tevere. 209 RT, doc. XII, p. 67, r. 15-16. 210 Ibidem. 211 Ibidem. 212 RT, doc. XVII, pp. 75, r. 20; p. 76 rr. 6-7. 213 Cfr. Coste 1988, p. 404. Tale dato è stato desunto dagli studi di Sandro Carocci (Carocci 1982, pp. 221-222). 214 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001; cfr. Coste 1988, p. 404. 215 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 216 ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022. 217 ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024. 208

151

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.38. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Turrita (elaborazione grafica M. Bernardi).

Tab. 6.11. Tabella Unità Topografiche (UT) Turrita. N. UT

Tipologia

UT1

Tratto di cinta muraria con ingresso

Forma -

UT2

Torre

UT3

UT4

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

N-O/S-E

ML3-b

Pietra calcarea, puddinga, tufo, travertino, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

Quadrangolare

S-E/N-O

ML3-d

Puddinga, pietra calcarea, tufo, travertino, laterizi di reimpiego

XIII-XIV secolo

Ambiente

Rettangolare

S-O/N-E

ML2-c

Puddinga, pietra calcarea, travertino, laterizi di reimpiego

Fine XII-inizi XIII secolo

Chiesa

Rettangolare

E-O

ML2-c

Puddinga, pietra calcarea, travertino, laterizi di reimpiego

Fine XII-inizi XIII secolo

Ritrovamenti: Diverse sono le aree con concentrazione di frammenti fittili, maggiormente localizzate nella porzione centrale del sito, dove è stata riconosciuta la presenza di materiale edilizio da costruzione e frammenti di ceramica comune e da fuoco, ed alcuni frammenti di vetrina sparsa e maiolica arcaica.

del Monte Gennaro. L’area intorno a Turrita doveva essere idonea al coltivo. Fonti documentarie e d’archivio: RT, doc. XII, p. 67, r. 15-16; RT, doc. XVII, pp. 75, r. 20; p. 76 rr. 6-7; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024.

Rapporto sito/ambiente: Il castello, collocato su una modesta collina, doveva controllare durante il medioevo le vie di comunicazione, tra cui l’attuale tracciato della via Maremmana Inferiore che si snodava lungo le pendici

Fonti cartografiche e catastali: Box 543 - Folder 1, Item 1, Orsini Family Papers (Collection 902). Library Special

152

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili sono realizzati utilizzando come materiali la puddinga, la pietra calcarea, il travertino e laterizi di reimpiego messi in opera a filari orizzontali.

Collections, Charles E. Young Research Library, UCLA Turrita castello (ante 1581). Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1104, neg. 24224 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 913, neg. 203559 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Seconda fase edilizia: XIII-XIV secolo Databile tra il XIII e il XIV secolo è la torre quadrangolare del castrum (UT2), realizzata con blocchetti di puddinga dal taglio irregolare posti in opera a corsi orizzontali; ancora conservate in alcuni tratti le tracce dell’intonaco che doveva rivestire esternamente il paramento. All’interno la torre doveva presentare un’armatura lignea sviluppata su più piani, come dimostrano i grandi fori per l’alloggiamento delle travi portanti; tra gli elementi ancora visibili, piccole feritoie ed aperture eterogenee; anche il paramento interno presenta in alcuni punti le tracce delle finiture in intonaco.

Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 353 e 365; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 265; Luzio 1953, pp. 156-157; Toubert 1973, vol. I, p. 411; Sperandio 1986, pp. 80-81; Coste 1988, pp. 404-405; Carocci 1988, p. 36; Bernardi 2015b, pp. 115-117; Bernardi 2018a, pp. 161-163. 6.1.14.2. Fasi edilizie (fig. 6.39) Prima fase edilizia: fine XII-inizi XIII secolo

Un tratto delle mura del castello è ancora visibile nella porzione occidentale del sito, dove si può ancora distinguere un’unica torre a scudo in aggetto dal perimetro della cinta (UT1).

Del castrum Turritae si conservano ad oggi pochi edifici: con la medesima tecnica edilizia a filari orizzontali, adottata tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, vengono costruiti sia un grande ambiente di forma rettangolare situato all’interno della cinta, interpretabile come una struttura abitativa (UT3), forse signorile, che una chiesa absidata di forma rettangolare, localizzata nella porzione orientale del castello (UT4). Questi ambienti

Molto particolare è la realizzazione delle mura per la varietà del materiale utilizzato: l’elevato, che si fonda sulle precedenti mura dell’oppidum preromano identificato da

Fig. 6.39. Fasi edilizie di Turrita (elaborazione grafica M. Bernardi).

153

L’incastellamento nei Monti Lucretili Ashby all’inizio del Novecento218, è costruito attraverso l’utilizzo di blocchetti di puddinga, pietra calcarea e travertino dal taglio irregolare nella parte inferiore, con blocchetti di tufo219 nella parte superiore; tali elementi sono stati messi in opera a filari orizzontali. 6.1.14.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.40)

secolo con la costruzione dell’ambiente residenziale e della chiesa. Tra il XIII e XIV secolo, invece, viene completata la costruzione delle mura e della torre centrale220. Il castello non presenta tracce di una rocca al centro dell’insediamento, ma soltanto di una torre di controllo; l’abitato del castello, come consuetudine, era collocato all’interno della cinta muraria.

Considerate le presenze architettoniche, possiamo avanzare alcune ipotesi sulla morfologia dell’abitato durante il medioevo. La prima fase di monumentalizzazione del sito avviene tra la fine del XII e gli inizi del XIII

Sappiamo dalle fonti che nell’XI secolo il castello di Turrita nel territorio tiburtino doveva già essere stato fondato, ma non rimangono ad oggi evidenze archeologiche di questa fase.

Fig. 6.40. Ipotesi ricostruttiva di Turrita sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

Alcune cronologie degli ambienti del castrum Turritae proposte in Bernardi 2015b, pp. 115-117 sono state aggiornate in questo elaborato sulla base dei nuovi dati acquisiti.

220

Ashby 1927. 219 Sui differenti tipi di tufo cfr. Esposito 1998, pp. 77-79. 218

154

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.15. Vallebona

Mareri, Filippo, fu nuovamente sottratto da Carlo d’Angiò per controversie politiche, diventando protagonista di numerosi scambi di proprietà, ma sempre rimanendo un fortilizio angioino.

6.1.15.1. Scheda di sito Sito: Vallebona Provincia: Rieti Comune: Orvinio Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366084 Quota altimetrica: 880 m s.l.m. Toponomastica antica: castrum Vallis Bona Cronologia insediamento: XI secolo/fine XIV secolo Prima attestazione toponimo: XII secolo221 Prima attestazione castello: XII secolo222 Datazione evidenze archeologiche: 1a fase XI-XII secolo; 2a fase fine XII-inizi XIII secolo Datazione abbandono: post 1363-ante 1396223

Tra la fine del XIII e i primi anni del XIV secolo Vallebona diventa proprietà della famiglia Boccamazza, ma gli eredi dei Mareri rivendicarono i diritti a loro sottratti sul castrum, rimanendo poi proprietari del castello fino al XV secolo228. Nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 il castello di Vallis Bone viene citato con le sue numerose chiese: la parrocchia di S. Pietro e gli altri luoghi di culto dedicati a S. Giovanni, S. Giusta, S. Vittorino, S. Croce, S. Maria Armetis e S. Pietro229. Nelle liste del Sale e del Focatico viene annoverato con un quantitativo pari a 10 rubbia tra i castelli della provincia di Tivoli e Carsoli ma in questi documenti non viene mai esibito il verbale di comparizione; tale dato consente di circoscrivere l’abbandono tra il 1363 e il 1416230. Secondo Coste, si potrebbe restringere il momento dello spopolamento del castello agli ultimi decenni del XIV secolo poiché Vallebona, non figurando nella lista del sussidio militare del 1396, poteva già essere stato abbandonato in questa data231.

Descrizione del sito: Del castello di Vallebona, ubicato a Nord-Ovest di Orvinio e facilmente raggiungibile seguendo una strada bianca che collega oggi i due centri224, non rimangono attestazioni dirette del toponimo nei cartulari farfensi, nonostante il castrum si trovasse nel territorio sotto la giurisdizione dell’abbazia. Ad ogni modo, un documento datato al 1084 del medesimo monastero fa riferimento alla donazione da parte di Erbeo, figlio del conte Teudino, proprietario di numerosi castelli nella Sabina reatina ubicati nei pressi del confine Nord dei Lucretili, delle chiese di S. Croce e S. Giovanni, insieme al castrum con annessi edifici: in questo atto non viene menzionato il nome del castello a cui si riferisce la concessione, ma vista l’esistenza a Vallebona di chiese così intitolare, come confermato dal registro dalla visita pastorale in Sabina, è verosimile che il centro fortificato citato nel documento di Farfa possa essere identificato proprio con quello di Vallebona, come anche avanzato da Staffa225. Le evidenze archeologiche indicano la presenza di edifici databili all’XI-XII secolo; il castello potrebbe forse essere nato per un’iniziativa laica in un territorio sotto la giurisdizione dell’abbazia.

Nel 1440 in un documento che definisce Vallebona ancora come castrum, forse da interpretare come retaggio, i diritti sul castello passano da Giampaolo Mareri a Giovanni Antonio Orsini, conte di Tagliacozzo, e al fratello Rinaldo232. Una pergamena del 1458 sancisce definitivamente la proprietà del territorio del castello agli Orsini quando i fratelli Giovanni Andrea e Giacomo Rodolfo Colonna rinunciano ai loro diritti su alcuni castelli, tra cui Vallebona, a favore dei suddetti esponenti della famiglia Orsini insieme alle loro terre, vassalli e privilegi233. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Pietro (parrocchia); S. Croce, S. Giovanni, S. Giusta, S. Maria Armetis, S. Pietro, S. Vittorino.

Il primo documento che cita chiaramente il castello è del Catalogus Baronum della metà del XII secolo, in cui Vallebona figura tra le proprietà di Rinaldo Sinibaldi226; nel secolo successivo è stato oggetto di continue controversie: fu infatti dapprima confiscato al legittimo proprietario, Tommaso Mareri, da Federico II, nel 1251 restituito da papa Innocenzo IV (1243-1254), poi riconfermato da Carlo d’Angiò nel 1266, diventando feudo della corte Angioina227. Nel 1279, ormai di proprietà del figlio del

Evidenze archeologiche: Del castello di Vallebona rimangono un tratto della cinta muraria con torre a scudo, una torre centrale con annessa rocca ed un lacerto murario riferibile ad uno degli ambienti ubicati all’interno della rocca. In totale sono state rintracciate 4 Unità Topografiche (fig. 6.41-tab. 6.12).

Jamison 1972, p. 224, n. 1133. Ibidem. 223 Il castello di Vallebona viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 85; Mancinelli 2007, p. 116. 224 Le odierne indicazioni stradali portano alla chiesa di S. Maria di Vallebona, luogo di culto dedicato alla Vergine nel 1643, costruito nei pressi delle preesistenti vestigia del castello medievale. 225 RF V, doc. 1095, p. 90; cfr. Staffa 2000, p. 194. 226 Jamison 1972, p. 224, n. 1133. 227 Cfr. Coste 1988, p. 405. 221 222

Ibidem. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 85; Mancinelli 2007, p. 116. 230 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 231 Coste 1988, p. 405. 232 ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029. 233 ASC, Archivio Orsini, II.A.17,028. 228 229

155

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.41. Distribuzione topografica delle UT rilevate presso Vallebona (elaborazione grafica M. Bernardi). Tab. 6.12. Tabella Unità Topografiche (UT) Vallebona. N. UT

Tipologia

Forma

Orientamento

Tipo

Materiali

Datazione

UT1

Torre e tratto di rocca

Quadrangolare

E-O

ML1-a; ML2-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo; fine XII-inizi XIII secolo

UT2

Tratto di rocca

-

-

ML2-b

Pietra calcarea

fine XII-inizi XIII secolo

UT3

Ambiente

Rettangolare

N-S

ML1-a

Pietra calcarea

XI-XII secolo

UT4

Torre e tratto cinta muraria

-

S-O/N-E

ML1-a; ML2-b

Pietra calcarea

XI-XII secolo; fine XII-inizi XIII secolo

Ritrovamenti: Nel sito non sono stati individuati resti ceramici o particolari concentrazioni di materiale edilizio.

fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 86, fot. 3158, neg. 203604 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Rapporto sito/ambiente: Il sito di Vallebona ha una chiara funzione strategica, collocandosi al centro di una grande vallata che affaccia verso Sud; dal castello, infatti, si poteva controllare l’intero territorio nelle pertinenze.

Bibliografia: Silvestrelli, vol. II, p. 479 e 481, nota 1; Coste 1988, pp. 405-406; Staffa 2000, pp. 194-198. 6.1.15.2. Fasi edilizie (fig. 6.42)

Fonti documentarie e d’archivio: ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029; ASC, Archivio Orsini, II.A.17,028.

Prima fase edilizia: XI-XII secolo Fanno parte della prima fase edilizia in pietra di Vallebona una porzione delle mura conservate nel settore Nord-Ovest del sito (UT4), una torre quadrangolare posta al centro dell’insediamento (UT1), ed un piccolo lacerto murario che

Fonti cartografiche e catastali: Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2486, neg. 24211 (© AFN-ICCD, 156

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.1.15.3. Ipotesi ricostruttiva (fig. 6.43)

doveva definire forse una abitazione a più vani riferibile al primo nucleo insediativo del villaggio incastellato (UT3). Tutte queste strutture mostrano una tecnica edilizia irregolare realizzata con bozze e bozzette di pietra calcarea.

L’assetto strutturale del castello prima del suo abbandono alla fine del medioevo si caratterizzava per la presenza di una cinta muraria, una rocca con torre e l’abitato del castrum, di cui si conserva solo un piccolo lacerto di muro relativo ad un ambiente.

In origine la torre centrale doveva presentare una differente forma, con una base più ampia rispetto al resto dell’elevato, come evidenziato dai resti architettonici ancora conservati.

Della chiesa di S. Maria, totalmente ricostruita nel ‘600, non rimane alcuna traccia del periodo medievale, ma tale edificio doveva già esistere nella prima fase di edificazione del castello come una delle ecclesiae castri.

Seconda fase edilizia: fine XII-inizi XIII secolo In una seconda fase edilizia del castello viene costruita la rocca (UT2), il cui accesso con arco era ubicato nella sua porzione Ovest. Il fortilizio ingloba in questo momento la preesistente torre centrale che viene modificata, ampliata e rifoderata forse per problemi statici, mostrando ora una forma lineare, dotata di una merlatura di coronamento ancora visibile nella muratura. Sempre in questa fase la torre viene ulteriormente rialzata, come segnalato dall’ultimo tratto conservatosi in elevato, caratterizzato dall’utilizzo di bozzette di più piccole dimensioni, che va a cancellare la merlatura. Al recinto murario UT4 viene addossata una torre in posizione dominante sulla vallata sottostante. Questa fase si caratterizza per una muratura di bozze e bozzette messe in opera a filari sub-orizzontali e orizzontali.

Fig. 6.42. Fasi edilizie di Vallebona (elaborazione grafica M. Bernardi).

157

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.43. Ipotesi ricostruttiva di Vallebona sulla base delle evidenze archeologiche (elaborazione grafica M. Bernardi).

158

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2. Analisi dei castelli con continuità insediativa

l’utilizzo del vocabolo pertinentia associato al toponimo fa presupporre l’esistenza del castello ante 1110.

6.2.1. Civitella di Licenza

Nel XII secolo, durante il pontificato di papa Celestino III (1191-1198), il castello diventa di proprietà degli Orsini di Tagliacozzo, come la maggior parte dei centri fortificati nella zona239.

6.2.1.1. Scheda di sito Sito: Civitella di Licenza Provincia: Roma Comune: Licenza Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366111 Quota altimetrica: 725 m s.l.m. Toponomastica antica: Civitella234 Cronologia insediamento: XII secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1110235 Prima attestazione castello: 1110236

Molte informazioni sul castello della valle del Licenza ci vengono fornite dai documenti dell’Archivio Orsini. Nel 1215 Giangaetano e Matteo Orsini, figli di Orso di Bobone, acquistarono da Graziano di Gismondo metà della rocca del castello240. Tale passaggio di proprietà trova conferma in un documento del 1232, dove lo stesso Giangaetano Orsini lascia in eredità i suoi beni immobili ai figli, tra questi il feudo di Civitella241. In due documenti del 1272242 e del 1275243 ancora una volta la famiglia Orsini è implicata nella spartizione dei beni con Giacomo, figlio di Napoleone, suo figlio Francesco, Matteo Orso, fratello di Giacomo con i figli Orso e Giacomo, rispettivamente dei rami degli Orsini di Licenza e di Campo dei Fiori. Nel 1288 uno scambio di proprietà coinvolge nuovamente il

Descrizione del sito: Poche sono le notizie sul castello di Civitella, collocato sulla sponda destra del torrente Licenza (fig. 6.44). La prima ed unica menzione nel Regesto di Farfa risale al 1110, quando le pertinenze di Civitella vengono citate237 come confinanti con Percile238;

Fig. 6.44. I castelli di Civitella di Licenza (a sinistra) e di Licenza (a destra) (foto M. Bernardi). Il toponimo deriva da Civitas: Gelsomino 1995, pp. 691-692. RF V, doc. 1205, pp. 197-198. 236 Ibidem. 237 Ibidem. 238 Nel documento RF V, doc. 1146, p. 147 del 1099 citato in Toubert 1973, p. 414 si fa riferimento ai castelli di Magliano e Civitella nel territorio sabinense ed otricolano. L’omonima Civitella non sarebbe quindi da riconoscere nel castello di Civitella di Licenza. 234 235

Amore 1983, p. 292; Allegrezza 2006a, p. 327. ASC, Archivio Orsini, II.A.01,014. 241 ASC, Archivio Orsini, II.A.01,021. 242 OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45. 243 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005. 239 240

159

L’incastellamento nei Monti Lucretili 1714; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036; ASC, Archivio Orsini, II.A.05,033; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051.

lignaggio, che inizia a costruire un progetto di radicamento familiare nel territorio, ben ponderato e organizzato: Francesco, figlio di Giacomo Orsini, e suo fratello Napoleone si scambiano reciprocamente parti delle loro proprietà, tra queste i diritti sul castello di Civitella244.

Fonti cartografiche e catastali: Magini (1604): FCL 2, XXII 2, tav. 54 - Civitella; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Civitella; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Civitella; Ameti (1693), FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Civitella di Borghese; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - Civitella; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Civitella di Borghese; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Civitella; Petroschi (1767): FCL 2, XXXVII. 2, tav. 188 - Civitella; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 - Civitella; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Civitella; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Civitella; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Civitella; Olivieri (1798-1799): FCL 2, XLVII.2, tav. 219 - Civitella; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Civitella; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Civitella; Cassini (18161824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Civitella; ASR, Versamento UTE, Sez. Civitella, Comarca 182.

Il testamento del 1304 del Cardinale Francesco Orsini parla di alcuni beni lasciati in eredità, tra questi anche il territorio del castello245. Oltre alla memoria dei passaggi di proprietà, gli atti Orsini forniscono importanti notizie sulle dinamiche e sui rapporti che intercorrevano tra le diverse comunità. Un documento del 1318 riferisce i contrasti tra gli abitanti del castello di Petra Demone e i castelli di Civitella e Percile, questi ultimi definiti come feudi di proprietà di Giacomo di Napoleone246. Nel testamento del 1360 di Orso di Giacomo Orsini, figlio di Giacomo di Napoleone, si fa riferimento alle rendite agricole che lo stesso Orso aveva riscosso dal castello di Civitella247; viene confermata quindi l’ipotesi che la produzione agricola doveva essere una delle attività preminenti di questi insediamenti.

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2483, neg. 30281 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 85, fot. 1909, neg. 203585 (© AFN-ICCD, fondo VB).

L’ultimo documento dell’Archivio Orsini in cui compare Civitella risale al 1508 quando configura come confinante con la tenuta di Petra Demone248.

Bibliografia: Nibby 1848, vol. I, p. 464; Martinori 19331934, vol. I, pp. 198-199; Silvestrelli 1940, vol. I, pp. 272273; Toubert 1973, vol. I, p. 414.

Nel 1459 il castrum passa sotto il dominio degli Atti di Todi per poi essere venduto nel 1608 ai Borghese249. Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Le evidenze architettoniche del castello medievale di Civitella di Licenza non sono attualmente visibili poiché totalmente inglobate nell’attuale tessuto urbanistico. Rapporto sito/ambiente: Il castello di Civitella di Licenza è molto vicino sia alla via Licinese che ad un’importante risorsa idrica come il fiume Licenza. Il castrum doveva avere una funzione economico-produttiva poiché la zona nei dintorni del sito è molto fruttifera e idonea allo svolgimento delle attività di agricoltura e pastorizia. Fonti documentarie e d’archivio: RF V, doc. 1205, pp. 197198; ASC, Archivio Orsini, II.A.01,021; OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272244 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024. La politica territoriale degli Orsini prevedeva per ogni centro incastellato l’accentramento del potere su un unico possessore, attraverso cessioni, vendite e scambi; in questo modo ogni insediamento fortificato, anziché essere frazionato e ripartito tra più proprietari, era in mano ad un’unica persona che, in questo modo, poteva assicurarsi il pieno controllo sia degli abitanti che dei territori annessi; per gli Orsini era quindi indispensabile avere un unico possidente per castello che potesse sovrintendere al funzionamento del medesimo centro. 245 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009. 246ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036. 247ASC, Archivio Orsini, II.A.05,033. 248ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051. 249 Silvestrelli 1940, vol. I, p. 273; Amore 1983, p. 293.

160

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.2. Licenza

Le prime testimonianze del toponimo nelle fonti riguardano i cartulari farfensi. Licenza appare per la prima volta nel 1074, quando Nerino, figlio di Bonomo, concede al monastero alcuni dei suoi beni nella rocca del castello254; questo documento certifica l’esistenza del castrum ante 1074; la fondazione è da far risalire verosimilmente all’XI secolo. Un documento del 1110, oltre a confermare l’esistenza di Licenza come castello, fornisce anche alcune informazioni sui suoi confini: le pertinenze confinavano con quelle del limitrofo castrum di Percile255. Passato alla famiglia Orsini dalla fine del XII secolo256, per tutto il XIII è oggetto di passaggi di proprietà tra esponenti della medesima famiglia. Nel 1272257 e nel 1275258 vengono, infatti, divisi alcuni possedimenti, tra cui Licenza, fra Giacomo, figlio di Napoleone, suo figlio Francesco, Matteo Orso, fratello di Giacomo, con i suoi figli Orso e Giacomo; nel 1288 Francesco, fratello di Napoleone Orsini diventa il proprietario259.

6.2.2.1. Scheda di sito Sito: Licenza Provincia: Roma Comune: Licenza Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366112 Quota altimetrica: 478 m s.l.m. Toponomastica antica: Licentia. L’antico toponimo deriva dal torrente Digentia da cui prende nome l’omonima valle250, ricordato anche da Orazio nelle sue epistole251. Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1074252 Prima attestazione castello: 1074253 Descrizione del sito: Licenza è un piccolo borgo abitato, situato sulla sinistra orografica del fiume da cui prende il nome l’insediamento, costruito su un rilievo con modesta altitudine a ridosso della via Licinese (fig. 6.45).

Nel 1304 il cardinale Francesco Orsini lascia Licenza in eredità ad altri membri degli Orsini insieme ad altri suoi

Fig. 6.45. Il castello di Licenza (foto M. Bernardi). RF V, doc. 1017, p. 20. RF V, doc. 1205, pp. 197-198. 256 Amore 1983, p. 292. 257 OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272-1714. 258 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005. 259 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024. Nel XIII secolo la famiglia Orsini è molto attiva nei Lucretili, portando avanti un consistente progetto di politica territoriale, assicurandosi i principali centri della zona fino al secolo successivo. 254 255

Gelsomino 1995, pp. 6697-699; Gasca Queirazza et al. 1990, p. 416. HOR., Ep. I,18,104. 252 RF V, doc. 1017, p. 20. 253 Ibidem. 250 251

161

L’incastellamento nei Monti Lucretili 199 - Licenza; Petroschi (1767): FCL 2, XXXVII. 2, tav. 188 - Licenza olim Digentia; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 - Licenza olim Digentia; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Licenza; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Licenza; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Licenza; Olivieri (1798-1799): FCL 2, XLVII.2, tav. 219 - Licenza; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Licenza; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Licenza; Sickler (1811): FCL 2, LII, tav. 230 - Licenza; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Licenza; ASR, Versamento UTE, Sez. Unica, Comarca 181.

possedimenti260. Nel 1311261 e nel 1313262 i fratelli Orso e Giovanni, figli di Francesco, si dividono i beni nel territorio dei Monti Lucretili; i diritti del castello di Licenza passano a Giacoma, moglie di Giovanni Orsini. Nelle liste del Sale e del Focatico il castrum, annoverato nella provincia di Tivoli e Carsoli, doveva pagare un quantitativo di 3 rubbia di sale263. I documenti attestano la presenza della famiglia Orsini a Licenza almeno fino alla fine XVI secolo, quando tale lignaggio è ancora protagonista di continue lotte intestine per il possedimento di territori.

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2483, neg. 30281 (© AFN-ICCD, fondo VB).

Nel XVII secolo i due terzi del castello vengono venduti a M. Antonio Borghese264, dopo innumerevoli scambi di parti di proprietà, che includevano nella trattativa anche percentuali del castello di Roccagiovine265; nel 1781 il palazzo baronale diventa totalmente di proprietà Borghese con Camillo Borghese266.

Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. I, p. 289; Silvestelli 1940, vol. I, p. 272; Toubert 1973, vol. I, p. 388 e 416; Amore, Delogu 1983, p. 292.

Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Del castello di Licenza rimangono le evidenze della roccaforte Orsini, oggi sede di un antiquarium; la maggior parte degli originari fabbricati medievali sono ora inglobati nelle opere edilizie di epoca moderna. Rapporto sito/ambiente: Il castello di Licenza durante il medioevo è stato costruito a ridosso della via Licinese e di un’importante risorsa idrica come quella del fiume Licenza, che poteva consentire anche il commercio fluviale nei mesi estivi. Il castrum doveva essere un polo economico e produttivo della zona poiché i territori ad esso annessi ben si prestano alle attività di agricoltura e pastorizia. Fonti documentarie e d’archivio: RF V, doc. 1017, p. 20; RF V, doc. 1205, pp. 197-198; OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272-1714; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017. Fonti cartografiche e catastali: Magini (1604): FCL 2, XXII 2, tav. 54 - Licenza; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Licenza; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Licenza; Van Der Aa (XVIII secolo, primi decenni): FCL 2, XXXIV. 2, tav. 183 - Licenza; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 Licenza; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Licenza; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009. ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013. 262 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017. 263 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 264 Silvestrelli 1940, vol. I, p. 272. 265 Ibidem. 266 Ibidem. 260 261

162

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.3. Montorio Romano

castellum277. Oltre alle elargizioni avanzate dal monastero, cominciano anche le donazioni da parte di personaggi locali in favore del cenobio stesso: è il caso di Dato, figlio di Rainerio, Crescenzio e Giovanni che nel 1061 offrono in prelazione al monastero beni immobili ubicati nel territorio di Monte Aureo278.

6.2.3.1. Scheda di sito Sito: Montorio Romano Provincia: Roma Comune: Montorio Romano Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.O. (Monte Libretti); CTR 2014 1:5000, f. 366061 Quota altimetrica: 575 m s.l.m. Toponomastica antica: Mons Aureus/castrum Montisorii (de Romània)267 Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 857 o 859268 Prima attestazione castello: 1047-1089269

L’esistenza di contratti di concessione enfiteutica viene testimoniata da un documento datato al 1079, quando lo stesso abate Berardo I rinnova per ventinove anni la concessione di terreni ad alcune personalità locali279. Sappiamo inoltre che Monte Aureo con le sue pertinenze doveva confinare con alcune delle proprietà del conte Erbeo, figlio di Teudino280. Verso la fine dell’XI secolo riprendono sotto Berardo II (1089-1099) le elargizioni del monastero281; anche durante il governo di Beraldo III (1099-1119)282 prosegue la medesima politica territoriale; le proprietà farfensi verranno poi confermate dall’imperatore Enrico V283.

Descrizione del sito: Il territorio di Mons Aureus (attuale Montorio Romano, da non confondere con Montorio in Valle nel Reatino in località Pozzaglia) durante il periodo medievale era sotto la giurisdizione dell’abbazia di Farfa che possedeva diversi fondi in questa zona, come attestato dalle fonti a partire già dalla metà del IX secolo270. Nel X secolo, durante il periodo governato dall’abate Giovanni III (966-997), il territorio di Montorio, non ancora definito come castrum, fu al centro di una incessante sequenza di elargizioni monastiche che vedono l’abbazia farfense dare in concessione fondi, terre e vigne ad aristocratici locali271. La politica territoriale promossa dall’abate, caratterizzata da numerose donazioni di beni (previo pagamento), verrà poi seguita anche dai suoi successori alla guida dell’abbazia a partire dall’abate Ugo (998-1038)272, che si troverà poi a dover recuperare alcune proprietà illecitamente usurpate al monastero nel corso degli anni273; i possedimenti farfensi vengono poi confermati dall’imperatore Ottone III274.

Nella visita pastorale del 1343 viene nominato il castrum Montisorii, dotato di numerose chiese nel proprio territorio, tra cui quella arcipresbiteriale dedicata a S. Maria con le sue cappelle dipendenti: S. Leonardo, S. Savino, S. Pietro, S. Andrea, S. Vincenzo, S. Barbara, S. Angelo, S. Silvestro, S. Andrea, S. Lorenzo, S. Maria de Puteis, e S. Angelo284. Nelle liste del Sale e del Focatico il castello di Montorio, annoverato nella provincia di Farfa e Romangia, era esente dal pagamento di 15 rubbia285.

Nonostante le difficoltà dovute alle invasioni illecite, l’abate Ugo prosegue la sua politica fondata sulle elargizioni, concedendo beni e proprietà per tutta la durata del suo governo275, così come farà all’inizio del suo governo l’abate Berardo I (1047-1089)276. Proprio sotto la guida di quest’ultimo, Farfa cercherà di recuperare alcuni castelli precedentemente dati in concessione o usurpati, tra cui anche il castello di Monte Aureo che viene definito per la prima volta nei documenti sia come podium che come

Dall’Archivio Orsini provengono due documenti: nel primo del 1461 si fa riferimento ad un terreno, facente parte del territorio confiscato a Giacomo Savelli286, ceduto da papa Pio II (1458-1464) a Battista Orsini dell’ordine Gerosolimitano. Nel XV secolo passa quindi dalla famiglia Savelli agli Orsini, tornando poi tra i possedimenti Savelli nella seconda metà del secolo287. Nel 1478 viene segnalato il progetto di edificazione di una chiesa intitolata a S. Maria delle Grazie per gli abitanti della zona, da costruire tra i territori di Scandriglia, Montelibretti, Nerola, Ponticelli e Montorio288. In epoca moderna il castello viene coinvolto in molteplici passaggi di proprietà con protagonisti gli

Gelsomino 1995, p. 703. Il toponimo, molto frequente, deriverebbe dalla ricchezza del territorio o per il colore della terra (cfr. Gasca Queirazza et al. 1990, p. 504). 268 RF III, doc. 300, p. 2; CF, vol. I, p. 213. 269 RF IV, doc. 809, p. 211. 270 RF III, doc. 300, p. 2; CF, vol. I, p. 213. 271 LL, vol. I, doc. 336, p. 186; LL, vol. I, doc. 416, p. 224. 272 LL, vol. I, doc. 421, p. 226; CF, vol. II, p. 69; CF, vol. II, p. 59, 60, 62, 66, 72, 73, 74. 273 RF III, doc. 423, pp. 133-134. 274 RF III, doc. 427, p. 141; CF, vol. II, p. 5. 275 LL, vol. I, doc. 437, pp. 233-234; LL, vol. I, doc. 722, pp. 344-345; LL, vol. I, doc. 745, pp. 353-354; LL, vol. I, doc. 770, p. 364; LL, vol. I, doc. 571, p. 284; LL, vol. I, doc. 917, p. 422. 276 LL, vol. II, doc. 946, p. 3; LL, vol. II, doc. 1123, p. 77; CF, vol. II, p. 182; CF, vol. II, p. 191. LL, vol. II, doc. 1214, p. 111.

277 RF IV, doc. 809, p. 211; CF, vol. II, p. 122. Tra i vari significati del termine podium, nel Mediae Latinitatis Lexicon Minus edito da Niermeyer viene citato come esempio proprio il CF, traducendo il vocabolo con “castello costruito su una collina” (Niermeyer 1976, p. 810). 278 RF IV, doc. 921, p. 316. 279 LL, vol. II, doc. 1209, p. 110. 280 RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235. 281 CF, vol. II, pp. 221-222; LL, vol. II, doc. 1277, p. 136; LL, vol. II, doc. 1278, p. 137; LL, vol. II, doc. 1294, p. 144. 282 LL, vol. II, doc. 1327, p. 157; LL, vol. II, doc. 1332, p. 159; LL, vol. II, doc. 1419, p. 194; LL, vol. II, doc. 1545, p. 225. 283 RF V, doc. 1318, p. 305; CF, vol. II, p. 284. 284 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 87; Mancinelli 2007, p. 118. 285 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 286 ASC, Archivio Orsini, II.A.17,037. 287 Silvestrelli 1940, vol. II, p. 401. 288 OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01.

267

163

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.46. Montorio Romano (foto M. Bernardi).

stessi discendenti dei lignaggi Savelli ed Orsini, per poi passare definitivamente nelle mani dei Barberini nel XVII secolo289.

II, doc. 1214, p. 111; RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235; CF, vol. II, p. 182; CF, vol. II, p. 191; CF, vol. II, pp. 221-222; LL, vol. II, doc. 1277, p. 136; LL, vol. II, doc. 1278, p. 137; LL, vol. II, doc. 1294, p. 144; LL, vol. II, doc. 1327, p. 157; LL, vol. II, doc. 1332, p. 159; LL, vol. II, doc. 1419, p. 194; LL, vol. II, doc. 1545, p. 225; RF V, doc. 1318, p. 305; CF, vol. II, p. 284; ASC, Archivio Orsini, II.A.17,037; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01.

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Maria (chiesa arcipresbiteriale); S. Leonardo, S. Savino, S. Pietro, S. Andrea, S. Vincenzo, S. Barbara, S. Angelo, S. Silvestro, S. Andrea, S. Lorenzo, S. Maria de Puteis e S. Angelo (cappelle). Evidenze archeologiche: Del castello di Montorio Romano rimangono solo le evidenze della sua fase baronale (fig. 6.46).

Fonti cartografiche e catastali: Giubilio (1592): FCL 2, XX, tav. 51 - Montorio; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Montorio di Romagna; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Montorio; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Montorio; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Montorio; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Montorio; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Montorio; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Montorio; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Montorio; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Montorio; ASR, Versamento UTE, Sez. I, Comarca 215 - Montorio Romano.

Rapporto sito/ambiente: Il sito doveva avere una chiara connotazione produttiva oltre che strategica, collocandosi in una zona idonea a diversi tipi di colture e vicino alla viabilità principale antica. Tuttora la zona è rinomata per le piantagioni di olivo e vite. Fonti documentarie e d’archivio: RF III, doc. 300, p. 2; CF, vol. I, p. 213; LL, vol. I, doc. 336, p. 186; LL, vol. I, doc. 416, p. 224; LL, vol. I, doc. 421, p. 226; RF III, doc. 423, pp. 133-134; RF III, doc. 427, p. 141; CF, vol. II, p. 5; LL, vol. I, doc. 437, pp. 233-234; LL, vol. I, doc. 722, pp. 344-345; LL, vol. I, doc. 745, pp. 353-354; LL, vol. I, doc. 770, p. 364; LL, vol. I, doc. 571, p. 284; LL, vol. I, doc. 917, p. 422; CF, vol. II, p. 69; CF, vol. II, pp. 59-60-6266-72-73-74; LL, vol. II, doc. 946, p. 3; RF IV, doc 809, p. 211; CF, vol. II, p. 122; RF IV, doc. 921, p. 316; LL, vol. II, doc. 1123, p. 77; LL, vol. II, doc. 1209, p. 110; LL, vol. 289

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 917, neg. 203563 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2359, neg. 179011 (© AFN-ICCD, fondo AM); Foto SARA Nistri del 16 aprile 1977: f. 144, str. 43, fot. 674, neg. 188730 (© AFN-ICCD, Foto SARA Nistri). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 79; Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 400-401; Toubert 1973, vol. I, p. 395.

Ibidem.

164

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.4. Moricone

committenza farfense, è stato fondato nei primi decenni del XII secolo.

6.2.4.1. Scheda di sito

Nelle liste del Sale e del Focatico il castello di Moriconum nella provincia di Farfa e Romangia doveva versare nelle casse romane un’imposta pari a 15 rubbia di sale296.

Sito: Moricone Provincia: Roma Comune: Moricone Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.O. (Monte Libretti); CTR 2014 1:5000, f. 366063 Quota altimetrica: 296 m s.l.m. Toponomastica antica: Morrecone, Moriconum290 Cronologia insediamento: fine XI secolo-ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1047-1089291 Prima attestazione castello: 1099-1119292

Nel XIV secolo l’abitato diventa possedimento dei conti di Palombara, almeno fino al secolo successivo, quando in una pergamena Orsini viene indicato come proprietario Andrea di Palombara297. Dal XVI secolo Moricone viene coinvolto in molteplici passaggi di proprietà che vedono implicati alcuni esponenti Orsini e i conti di Palombara, fino a passare poi definitivamente tra i territori dei Borghese298.

Descrizione del sito: Il Monte Morrecone viene menzionato per la prima volta nei cartulari farfensi nell’XI secolo, ma in tali documenti non vi è nessun riferimento al castello, non ancora edificato293. Il primo atto che testimonia l’esistenza di una fortificazione nel sito di Moricone risale agli inizi del XII secolo quando, tra le acquisizioni di Farfa effettuate nel territorio sabino e promosse dall’abate Beraldo III negli anni del suo governo (1099-1119), viene citato l’oppidum di Morricone294, costruito per iniziativa del suddetto priore295; il castrum, dall’altissima

Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Il castello di Moricone si presenta oggi molto rimaneggiato per gli invasivi interventi edilizi eseguiti in epoca moderna che hanno inglobato il preesistente borgo medievale nell’attuale centro abitato. Dell’originario castrum si possono ancora identificare alcune tracce delle fortificazioni medievali nelle murature moderne (fig. 6.47).

Fig. 6.47. Il castello di Moricone (foto M. Bernardi). Gasca Queirazza et al. 1990, p. 507. RF V, doc. 1300, p. 289. 292 RF V, doc. 1319, p. 310. 293 RF V, doc. 1300, p. 289. 294 Nel latino medievale il sostantivo oppidum indicherebbe un castello, un insediamento vicino ad un castello oppure un villaggio (cfr. Niermeyer 1976, p. 740). 295 RF V, doc. 1319, p. 310. 290 291

ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. ASC, Archivio Orsini, II.A.16,050. 298 Cfr. Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 398-400. 296 297

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Rapporto sito/ambiente: Il sito doveva avere una chiara connotazione produttiva oltre che strategica, collocandosi in una zona idonea a diversi tipi di colture, come ancora oggi, e non lontano dalla viabilità antica. Fonti documentarie e d’archivio: RF V, doc. 1300, p. 289; RF V, doc. 1319, p. 310; ASC, Archivio Orsini, II.A.16,050. Fonti cartografiche e catastali: Mercator (1589): FCL 2, XVII. 4, tav. 45 - Moricone; Ligorio (1556): FCL 2, XVIII, tav. 48 - Moricone; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Moricone; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Moricone; Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Moricone; Van Der Aa (XVIII secolo): FCL 2, XXXIV. 2, tav. 183 - Moricone; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Moricone; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Moricone; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Moricone; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Moricone; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Moricone; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Moricone; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Moricone; ASR, Versamento UTE, Sez. I, Comarca 217. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1100, neg. 24221 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 83, fot. 892, neg. 203025 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 82; Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 398-400; Toubert 1973, vol. I, p. 396.

166

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.5. Nerola

Orsini310. In un documento del 1415 si evince il desiderio da parte dello stesso Francesco Orsini di esigere il diritto di pedaggio in alcuni suoi possedimenti, tra cui Nerola, ma tale concessione gli viene negata dal cardinale di S. Eustachio a Roma311.

6.2.5.1. Scheda di sito Sito: Nerola Provincia: Roma Comune: Nerola Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.O. (Monte Libretti); CTR 2014 1:5000, f. 366023 Quota altimetrica: 453 m s.l.m. Toponomastica antica: Nerula299 Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1062300 Prima attestazione castello: 1097 301

Nel 1433 viene confermata la donazione dei diritti di proprietà del cardinale Giordano Orsini e Girolama, vedova di Carlo Orsini, a favore di Francesco Orsini, conte di Gravina e di Conversano; quest’ultimo poi, per l’ottenimento del suddetto castello, sarà coinvolto in molteplici vicende che portarono alla rinuncia e all’acquisizione dei diritti su alcune sue proprietà312. Nel 1450 Don Ferdinando Orsini di Gravina è il conte di Nerola313; appena due anni più tardi la stessa discendenza del ramo di Gravina (in questo caso Francesco Orsini) dona alcune piante di olivo nel territorio di Poggio S. Pietro ad alcune famiglie di Nerola; la metà della rendita annua spettava allo stesso Orsini314. Da questi atti si evince che era ancora vivo nella memoria il retaggio del pagamento della concessione enfiteutica effettuato attraverso le rendite dei prodotti agricoli.

Descrizione del sito: Le prime tracce del castello di Nerola derivano dai cartulari farfensi che, a partire dalla metà dell’XI secolo (primo documento del 1062), citano le sue pertinenze302; questo dato consente di determinare il momento della fondazione del castello verosimilmente all’XI secolo, come poi confermato anche dai successivi documenti. Nel 1097 Nerola, ora definito dalle fonti come castellum confinante con i castra di Correse e quello di Fara303, viene ceduto da Farfa ai figli del conte Rainaldo304. Durante il governo dell’abate Beraldo III (1099-1119) vengono dati alcuni casali nel territorio di Nerola ad alcuni membri della famiglia Crescenzi305. Nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis Sabinensis del 1343 Nerola viene nominato insieme alla chiesa arcipresbiteriale di S. Agapito e alle sue cappelle dipendenti di S. Maria, S. Blasio, S. Pietro (chiesa parrocchiale), S. Lucia, S. Giovanni de Moricis e S. Leonardo306.

Nel 1454 il cardinale Latino Orsini cede a Francesco Orsini, prefetto di Roma e conte di Gravina, e a suo figlio alcuni territori nello Stato di Roma tra cui Nerola315. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Agapito (chiesa arcipresbiteriale); S. Maria, S. Blasio (cappelle); S. Pietro (chiesa parrocchiale); S. Lucia, S. Giovanni de Moricis, S. Leonardo, S. Antonio di Nerola, S. Giorgio. Evidenze archeologiche: Del castello medievale di Nerola rimangono le monumentali evidenze del castello Orsini, con la sua rocca baronale munita di torri circolari e una cinta muraria che ne riprende l’andamento e la forma. Gli interventi più recenti sul castello hanno inglobato le preesistenti murature, alterando l’originario assetto strutturale dell’insediamento (fig. 6.48).

Nelle liste del Sale e del Focatico l’abitato doveva pagare l’equivalente di 20 rubbia di sale307. Copiosi sono invece i documenti conservati nelle pergamene Orsini. Il primo, databile al 1388, cita la parrocchia di S. Antonio di Nerola, alla quale era annessa la chiesa di S. Giorgio308. Nel 1398 il castello, insieme alla rocca e al suo territorio, viene ceduto da Napoleone Orsini, conte di Manupello, con sua moglie Agnese ed il figlio Giordano, a Bruzio Paterno come garanzia di un prestito di denaro309.

Rapporto sito/ambiente: Il sito doveva avere una chiara connotazione produttiva oltre che strategica, collocandosi in una zona idonea a diversi tipi di colture. Fonti documentarie e d’archivio: RF IV, doc. 932, p. 326; CF, vol. II, p. 150; CF, vol. II, p. 222; RF V, doc. 1177, p. 177; CF, vol. II, p. 264; RF V, doc. 1313, p. 299; CF, vol. II, p. 278; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,007; ASC, Archivio Orsini, II.A.10,016; ASC, Archivio Orsini, II.A.10,015; ASC, Archivio Orsini, II.A.11,039; ASC,

Nel secolo successivo, nel 1411 il castrum, insieme alla rocca e ai suoi vassalli, viene venduto da Francesca Orsini, contessa di S. Severino, a Francesco di Giovanni Gasca Queirazza et al. 1990, p. 518. RF IV, doc. 932, p. 326; CF, vol. II, p. 150. 301 CF, vol. II, p. 222. 302 RF IV, doc. 932, p. 326; CF, vol. II, p. 150. 303 RF V, doc. 1177, p. 177; CF, vol. II, p. 264. 304 CF, vol. II, p. 222. 305 RF V, doc. 1313, p. 299; CF, vol. II, p. 278. 306 Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 78; Mancinelli 2007, p. 108. 307 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 308 ASC, Archivio Orsini, II.A.09,007. 309 ASC, Archivio Orsini, II.A.10,016; ASC, Archivio Orsini, II.A.10,015. 299

ASC, Archivio Orsini, II.A.11,039. ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01. 312 ASC, Archivio Orsini, II.A.14,055; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053. 313 ASC, Archivio Orsini, II.A.21,065. 314 ASC, Archivio Orsini, II.A.16,042. 315 OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02.

300

310 311

167

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.48. Il castello di Nerola (foto M. Bernardi).

Archivio Orsini, II.A.11,068; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,055; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057; ASC, Archivio Orsini, II.A.21,065; ASC, Archivio Orsini, II.A.16,042; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02.

Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 95; Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 404-405; Betti 2005, pp. 159160.

Fonti cartografiche e catastali: Anonimo (1556): FCL 2, XVII 2a, tav. 40 - Nerola; Bertelli (1563): FCL 2, XVII 2c, tav. 42 - Nerola; Ligorio (1556): FCL 2, XVIII, tav. 48 - Nerola; Giubilio (1592): FCL 2, XX, tav. 51 - Nerola; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Nerola; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Nerola; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Nerola; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Nerola; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Nerola; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 Nerola; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Nerola; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 Nerola; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Nerola; Sickler (1811): FCL 2, LII, tav. 230 - Nerola; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Nerola; ASR, Versamento UTE, Sez. I, Comarca 223. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1099, neg. 24222 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 918, neg. 203564 (© AFN-ICCD, fondo VB). 168

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.6. Orvinio

confinava con il castello di Offiano; tali fonti però non aggiungono ulteriori informazioni sul tipo di insediamento esistente320.

6.2.6.1. Scheda di sito Sito: Orvinio Provincia: Rieti Comune: Orvinio Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366084 Quota altimetrica: 840 m s.l.m. Toponomastica antica: Canis Mortuus, Canemorto316; nel 1863 cambiò il nome in Orvinio317 Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1074-1075318 Prima attestazione castello: 1110319

Nel 1078 o 1080 per la prima volta nei testi scritti si fa riferimento ad un habitator in Canemortuo, ammettendo quindi l’esistenza di un abitato, forse il castello321. Nel decennio successivo i documenti farfensi forniscono informazioni solo concernenti i confini dell’insediamento322 che doveva essere adiacente alle pertinenze di Scandriglia e di Petra Demone323; dal 1110 Canemorto viene definito come serra, termine che sottintende la presenza di un luogo chiuso e recintato324, confinante con il castello di Percile325. È quindi forse da individuare nell’XI secolo il momento della fondazione, forse legata ad una iniziativa signorile con l’approvazione di Farfa326.

Descrizione del sito: Orvinio, antica Canemorto, è una cittadina situata a Nord della valle del Licenza, al confine settentrionale del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili. Tra i castelli con continuità di vita è quello con maggiore altitudine (fig. 6.49).

Nelle liste del Sale e del Focatico il castrum, annoverato nella provincia di Tivoli e Carsoli, doveva pagare un quantitativo di 10 o 15 rubbia di sale327.

I primi documenti a citare il toponimo di Canemorto in comitatu reatino risalgono al 1074-1075, dove viene menzionato il rivo d’acqua che, partendo da Canemortuo,

Nel XIV secolo il castello risulta di proprietà dei Colonna328; alla fine dello stesso secolo la famiglia Orsini

Fig. 6.49. Il castello di Orvinio (foto M. Bernardi). RF V, doc. 1016, p. 19; CF, vol. II, p. 160. RF V, doc. 1045, p. 47. 322 RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; RF V, doc. 1255, p. 235. 323 CF, vol. II, p. 192. 324 Niermeyer 1976, p. 964. 325 RF V, doc. 1205, p. 198. 326 Staffa 2000, p. 193. 327 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 328 Presutti 1912, p. 103. 320 321

Secondo Staffa l’originario toponimo di Canemorto doveva essere Malamorte (Staffa 2000, p. 193). 317 Gelsomino 1995, p. 705; Gasca Queirazza et al. 1990, p. 542. 318 RF V, doc. 1016, p. 19; CF, vol. II, p. 160. 319 RF V, doc. 1205, p. 198. 316

169

L’incastellamento nei Monti Lucretili ottiene i suoi territori329. Nel XVI secolo subirà diversi passaggi di proprietà: nel 1558 appartiene ai Tuttavilla, nel 1573 ai Muti ed infine nel 1632 diventa possedimento della famiglia Borghese330. Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Del castello medievale di Orvinio ben si conserva la rocca baronale, molto restaurata in epoca moderna, appartenuta prima agli Orsini, poi ai Borghese, ed il borgo del paese che si sviluppa intorno al nucleo fortificato centrale nel versante Est dell’altura. Rapporto sito/ambiente: Il castello di Canemorto, attuale Orvinio, era collocato a ridosso della via Licinese e non troppo distante dal fiume Licenza. L’area intorno al castello è adatta alla pratica delle attività di agricoltura specializzata e pastorizia. Fonti documentarie e d’archivio: CF, vol. II, p. 160; RF V, doc. 1016, p. 19; RF V, doc. 1045, p. 47; RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235; RF V, doc. 1205, p. 198; ASC, Archivio Orsini, II.A.07,026; ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029. Fonti cartografiche e catastali: Giubilio (1592): FCL 2, XX, tav. 51 - Canemorto; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Canemorto; Ameti (1693), FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Canemorto di Borghese; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Canemorto; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Canemorto; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Canemorto; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Canemorto; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Canemorto; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Canemorto; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Canemorto; Cassini (18161824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Canemorto. Foto aeree: Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. 3144, neg. da 183161 a 183183 (© AFN-ICCD, fondo MAPRW-BSR-RAF); Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto 1954: f. 144, str. 38, fot. 2485, neg. 30283 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 86, fot. 3158, neg. 203604 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Silvestrelli 1940, vol. II, p. 486; Staffa 2000, pp. 192-194.

329 330

ASC, Archivio Orsini, II.A.07,026; ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029. Silvestrelli 1940, vol. II, p. 486.

170

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.7. Palombara Sabina

del Silvestrelli e del Martinori il sito doveva appartenere probabilmente ad una discendenza della famiglia Crescenzi, più precisamente a Ottaviano, divenuto poi conte di Palombara, passato successivamente in eredità ai figli Filippo e Odone335; nel XIII secolo figura già possedimento dei Savelli336.

6.2.7.1. Scheda di sito Sito: Palombara Sabina Provincia: Roma Comune: Palombara Sabina Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.O. (Palombara Sabina); CTR 2014 1:5000, f. 366103 Quota altimetrica: 372 m s.l.m. Toponomastica antica: Palumbaria; Palombara331 Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1029332 Prima attestazione castello: 1029333

In un documento dell’Archivio Borghese datato al 1278 il castello viene venduto da Giovanni e Pandolfo Savelli al cardinal Giacomo Savelli, futuro papa Onorio IV (12851287)337, che nel 1285 cede il castrum al fratello Pandolfo e al nipote Luca338. Il fortilizio rimane a lungo nelle mani dei Savelli, divenendo la roccaforte della famiglia durante i conflitti con le altre casate baronali, una su tutte gli Orsini, che non riuscirono mai ad impadronirsi del centro, se non per un breve periodo; Palombara è stato anche spesso scenografia prediletta di lotte intestine alla fine del medioevo339.

Descrizione del sito: Il castello di Palombara Sabina è collocato nel settore Sud-occidentale dei Lucretili, su una collina non troppo erta alle pendici del Monte Gennaro, ma in posizione dominante (fig. 6.50).

Nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 l’abitato viene registrato con la chiesa arcipresbiteriale di S. Blasio, la chiesa di S. Egidio e le cappelle di S. Lucia di Monte Verde, S. Maria, S. Nicola, S. Gennaro e S.

La prima attestazione del castello risale al 1029 quando nel Regesto della Chiesa di Tivoli viene citato per la prima volta il castrum Palumbarum334. Secondo i dati

Fig. 6.50. Palombara Sabina (foto M. Bernardi). 331 Il toponimo Palombara deriverebbe dal latino palumbus = colombo, indicando quindi “una costruzione rurale adibita all’allevamento dei colombi”, caratterizzata da una torre con fori triangolari: Gasca Queirazza et al. 1990, p. 556. 332 RT, doc. XI, p. 64, r. 26. 333 Ibidem. 334 Ibidem. Nel RF viene citato il toponimo di Palumbaria ma tale sito non corrisponde al castello di Palombara Sabina (RF V, doc. 1132, p. 134).

Pompili 1990, pp. 30-67. Ibidem; Martinori 1933-1934, vol. II, p. 135. 337 ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. 338 Documento pubblicato in Paravicini Bagliani 1980, p. 480. 339 Martinori 1933-1934, vol. II, p. 136; Silvestrelli 1940, vol. II, p. 395. 335 336

171

L’incastellamento nei Monti Lucretili Francesco340. Nelle liste del Sale e del Focatico Palombara, che configura nella diocesi di Farfa e Romangia, doveva versare l’equivalente di 20 rubbia di sale; nella zona era uno dei centri maggiormente popolati341.

VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 83, fot. 890 neg. 203023 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, pp. 135-136; Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 393-398; Pompili 1990.

In epoca moderna, dopo la dominazione dei Savelli, nel XVII secolo passa alla famiglia Borghese, come la maggior parte dei borghi della zona342. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Blasio (chiesa arcipresbiteriale); S. Egidio (chiesa); S. Lucia di Monte Verde, S. Maria, S. Nicola, S. Gennaro e S. Francesco (cappelle). Evidenze archeologiche: Palombara Sabina oggi è un ampio borgo abitato che si sviluppa intorno alla rocca signorile Savelli Torlonia, quest’ultima munita di torre centrale di forma quadrangolare. Rapporto sito/ambiente: Il sito doveva avere una chiara connotazione produttiva oltre che strategica, collocandosi in una zona adatta a diversi tipi di colture e vicino alla viabilità principale. Fonti documentarie e d’archivio: ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. Fonti cartografiche e catastali: Eufrosino Della Volpaia (1547): FCL 2, XIII 1 a, tav. 25 - Palombara; Anonimo (1590/1619): FCL 2, XIII 2 a, tav. 31 - Palombara; Anonimo (1556): FCL 2, XVII 2a, tav. 40 - Palombara; Anonimo (1557): FCL 2, XVII. 2 b, tav. 41 - Palombara; Bertelli (1563): FCL 2, XVII 2c, tav. 42 - Palombara; Mercator (1589): FCL 2, XVII. 4, tav. 45 - Palombara; Ligorio (1556): FCL 2, XVIII, tav. 48 - Palombara; Giubilio (1592): FCL 2, XX, tav. 51 - Palombara; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Palombara; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Palombara; Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Palombara di Borghese; Mortier (XVII secolo): FCL 2, XXXIV.1, tav. 182 - Palombara; Van Der Aa (XVIII secolo, primi decenni): FCL 2, XXXIV. 2, tav. 183 - Palombara; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Palombara; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Palombara; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 - Palombara; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Palombara; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Palombara; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Palombara; Olivieri (1798-1799): FCL 2, XLVII.2, tav. 219 - Palombara; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Palombara; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Palombara; Sickler (1811): FCL 2, LII, tav. 230 Palombara; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 Palombara; ASR, Versamento UTE, Sez. I, Comarca 241/a. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto 1954: f. 144, str. 36, fot. 1102, neg. 24201 (© AFN-ICCD, fondo Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 89; Mancinelli 2007, p. 120. ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 342 Ibidem. 340 341

172

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.8. Percile

monastero alcune proprietà nel luogo chiamato Porcili definito semplicemente come vocabulo.

6.2.8.1. Scheda di sito

In altri documenti del 1084348 e del 1090349 il conte Erbeo cede alcuni suoi possedimenti nell’area sabina, ma il territorio di Percile viene ricordato solo in quanto confinante.

Sito: Percile Provincia: Roma Comune: Percile Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366111 Quota altimetrica: 575 m s.l.m. Toponomastica antica: Porcile, poi Percile. Il toponimo significava probabilmente “rustico per il ricovero dei suini”, poi modificato in Percile verosimilmente per un’evoluzione linguistica343. Cronologia insediamento: XII secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1033344 Prima attestazione castello: 1110345

Nel 1110 il toponimo per la prima volta viene associato al termine castrum, diventando possedimento dell’abbazia di Farfa350: Berardo Crescenzi, con sua moglie Domenica, dona al monastero il castello, la chiesa di S. Maria (al suo interno) e tutti gli altri beni di loro proprietà nel territorio; il sito risulta quindi essere incastellato con certezza agli inizi del XII secolo, anche se non si può escludere una datazione anteriore per la fondazione di questo insediamento. Pochi anni più tardi, nel 1118, il castello viene dato in concessione dall’abate di Farfa a Crescenzio, Adenolfo, Berardo e Beraldo, figli di Gerardo351.

Descrizione del sito: Percile è situato su un modesto rilievo, collocato sulla riva sinistra del fiume Licenza, affacciandosi direttamente sull’omonima valle (fig. 6.51).

Percile riapparirà poi nelle fonti Orsini, divenendo una delle roccaforti della famiglia. Nel 1275 Matteo, figlio di Orso, con i figli Orso e Giacomo donano i propri beni nel castello a Giacomo, Napoleone, Fortebraccio e Francesco, figli di Giacomo352. Nel 1288 Francesco Orsini rinuncia

Le prime attestazioni del toponimo le ritroviamo nei documenti farfensi a partire dal 1033, quando Azo, figlio di Guerrone346, e Ugo, figlio di Alberico347 donano al

Fig. 6.51. L’attuale borgo di Percile (foto M. Bernardi). Gasca Queirazza et al. 1990, p. 481. RF IV, doc. 685, p. 311. 345 RF V, doc. 1205, pp. 197-198; CF, vol. II, p. 270. 346 RF IV, doc. 685, p. 88; LL, vol. II, doc. 2046, p. 311. 347 CF, vol. II, p. 100.

RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192. RF V, doc. 1255, p. 235. 350 RF V, doc. 1205, pp. 197-198; CF, vol. II, p. 270. 351 LL, vol. II, doc. 1627, p. 242. 352 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,003.

343

348

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173

L’incastellamento nei Monti Lucretili ai suoi diritti sulle terre di Percile a favore del fratello Napoleone di Giacomo di Napoleone353.

Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Percile; ASR, Versamento UTE, Sez. Unica, Comarca 251.

Le fonti descrivono anche i rapporti di vicinato con gli abitati limitrofi, spesso soggetti a liti e diatribe: un esempio è attestato in un documento del 1318 che riporta i contrasti tra gli abitanti dei castelli di Petra Demone e quelli di Civitella e Percile, tutti centri di proprietà di Giacomo di Napoleone Orsini354.

Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2484, neg. 24210 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 86, fot. 3157, neg. 203603 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, p. 148; Silvestrelli 1940, vol. I, pp. 273-274; Amore 1979, p. 229.

Nelle liste del Sale e del Focatico il castrum, annoverato nella provincia di Tivoli e Carsoli, doveva pagare il quantitativo di 5 rubbia di sale355. Percile rimane possedimento Orsini almeno fino alla fine del XV-inizi XVI secolo, quando passa agli Atti di Todi356, per poi diventare nel 1608 possedimento della famiglia Borghese. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Maria. Evidenze archeologiche: Ancora ben riconoscibile la struttura del castello, anche se molto rimaneggiata e inglobata nel tessuto edilizio di epoca moderna. Sulla via Licinese, a poca distanza dall’abitato, è ancora conservata la chiesa di S. Maria della Vittoria. Rapporto sito/ambiente: Il castello è stato costruito a ridosso della via Licinese e di un’importante risorsa idrica come quella del fiume Licenza. Il castrum doveva essere un polo economico e produttivo nella zona, adatta al pieno svolgimento delle attività economiche legate alla agricoltura specializzata e alla pastorizia. Fonti documentarie e d’archivio: RF IV, doc. 685, p. 88; LL, vol. II, doc. 2046, p. 311; CF, vol. II, p. 100; RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235; RF V, doc. 1205, pp. 197-198; CF, vol. II, p. 270; LL, vol. II, doc. 1627, p. 242; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,003; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036. Fonti cartografiche e catastali: Magini (1604): FCL 2, XXII 2, tav. 54 - Porcilio; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Porcili olim Procella; Ameti (1693), FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Porcily di Borghese; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Porcili; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - S. Maria Percili; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Percile; Petroschi (1767): FCL 2, XXXVII. 2, tav. 188 - Percili; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 - Porcili; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Percile; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Percili; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 Percile; Olivieri (1798): FCL 2, XLVII.2, tav. 219 - Percili; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Percili, Laghi di Percili; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Percili; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024. ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036. 355 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 356 Silvestrelli 1940, vol. I, pp. 273-274. 353 354

174

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.9. Roccagiovine

a Roma che lo diede poi in enfiteusi361. Nel XIV secolo viene ceduto a Ottaviano di Rocca e Cola, figlio di Andrea Boccamazzi; nel 1351 gli stessi alienarono il castrum, con l’assenso dell’abate e dei monaci di S. Sebastiano, ad un membro della famiglia Orsini, Orso di Giacomo di Napoleone, che si assicura così la metà del castello di Roccagiovine362.

6.2.9.1. Scheda di sito Sito: Roccagiovine Provincia: Roma Comune: Roccagiovine Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366112 Quota altimetrica: 518 m s.l.m. Toponomastica antica: Rocca Juvenis. Il toponimo di Roccagiovine, che è stato più volte collegato ad un’arx Iunionis357, si compone di due vocaboli: rocca, che indica un sito fortificato, e l’aggettivo “juvenis” in contrapposizione con il temine “antica”358. Cronologia insediamento: XIII secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1241359 Prima attestazione castello: 1241360

Nelle liste del Sale e del Focatico risulta nella provincia di Tivoli e Carsoli, ma non compare alcun verbale di pagamento per le 5 rubbia di sale spettanti363. Nel 1474 Giovanni Orsini, oltre a possedere il castello di Licenza, diventa proprietario anche di Roccagiovine; gli Orsini ormai hanno acquisito l’intero centro fortificato364. Nel 1687 Giulio Orsini consegna ai Borghese la sua parte del castello per recuperare una porzione di Licenza venduto in precedenza365. Nel XVIII secolo viene venduto dagli Orsini a Nunes Sanchez per poi passare nel 1824 al Marchese Luigi del Gallo366.

Descrizione del sito: Il castello di Roccagiovine si trova nella valle del Licenza, sulla destra orografica dell’antico fiume Digentia (fig. 6.52). Nei cartulari farfensi il toponimo non viene mai citato poiché la sua fondazione avvenne verosimilmente in un momento posteriore rispetto alla cronologia generale dell’incastellamento nella zona e la sua costruzione è forse da collegare ad un’iniziativa laica.

Edifici di culto citati dalle fonti: Evidenze archeologiche: Del castello di Roccagiovine, divenuto poi roccaforte Orsini, rimangono in buono stato alcuni elementi fortificati quali un tratto della cinta muraria e la torre centrale. Il tessuto urbanistico moderno ha quasi completamente inglobato le preesistenze di epoca medievale.

Il territorio su cui sorse il castello era in origine di proprietà del monastero di S. Cosimato a Vicovaro; nel 1241 diventa possedimento del monastero dei S.S. Sebastiano e Fabiano

Fig. 6.52. Il castello di Roccagiovine (foto M. Bernardi). Alcuni studiosi hanno collegato il sito al santuario della divinità sabina Vacuna che doveva collocarsi nei pressi di questo territorio. Il santuario dedicato a Vacuna sarebbe stato identificato con il tempio della Vittoria riedificato sotto Vespasiano a Roccagiovine, di cui è stata ritrovata un’iscrizione (CIL XIV 3485). Cfr. Gelsomino 1995, p. 693; Sciarretta 1995, p. 535. 358 Gasca Queirazza et al. 1990, p. 642. 359 Martinori 1933-1934, vol. I, p. 210; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 271. 360 Ibidem. 357

Ibidem. ASC, Archivio Orsini, II.A.05,012; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 271; Martinori 1933-1934, vol. I, p. 210. 363 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 364 ASC, Archivio Orsini, II.A.18,058. 365 Silvestrelli 1940, vol. I, p. 271. 366 Ibidem. 361 362

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Rapporto sito/ambiente: Il sito è sicuramente un castrum di popolamento anche se è l’ultimo ad essere stato fondato nella zona. Risulta essere vicino sia alla viabilità antica con la via Licinese e la Tiburtina Valeria, che al fiume Licenza. Fonti documentarie e d’archivio: ASC, Archivio Orsini, II.A.05,012; ASC, Archivio Orsini, II.A.18,058. Fonti cartografiche e catastali: Magini (1604): FCL 2, XXII 2, tav. 54 - R. Giovine; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - R. Giovane olim Vacune; Ameti (1693), FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - Rocca Giovane olim Fanum Vacunae; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Rocca Giovane; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - Rocca Giovane olim Fanum Vacunae; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Rocca Giovine; Petroschi (1767): FCL 2, XXXVII. 2, tav. 188 - Rocca Giovane Fanum Vacunae; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 - Rocca Giovane Fanum Vacunae; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Rocca Giovane; Olivieri (1798): FCL 2, XLVII.2, tav. 219 - Roccagiovane; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Rocca Giovane; Sickler (1811): FCL 2, LII, tav. 230 - Rocca Giovine Fanum Vacunae; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Roccagiovine; ASR, Versamento UTE, Sez. Unica, Comarca 283. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 38, fot. 2482, neg. 30282 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 85, fot. 1910, neg. 203586 (© AFN-ICCD, fondo VB). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, pp. 209-210; Silvestrelli 1940, vol. I, p. 271.

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Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.10. S. Polo dei Cavalieri

Giovanni377; solo otto giorni dopo lo stesso papa chiederà la restituzione di quanto elargito378.

6.2.10.1. Scheda di sito

Nelle liste del Sale e del Focatico il toponimo appare in due province, di Sabina e di Tivoli e Carsoli, pagando 15 e 10 rubbia di sale nelle rispettive regioni379.

Sito: S. Polo dei Cavalieri Provincia: Roma Comune: S. Polo dei Cavalieri Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II S.E. (Vicovaro); CTR 2014 1:5000, f. 366153 Quota altimetrica: 652 m s.l.m. Toponomastica antica: S. Pauli in Jana, Sanctus Paulus, Sanctus Polo367 Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 1030368 Prima attestazione castello: 1030369

Il castello verrà ricomprato dagli Orsini di Tagliacozzo nel XV secolo380 e venduto poi nel 1558 da Paolo Giordano Orsini al Cardinale Federico Cesi, insieme alle tenute di Marcellino e alla montagna della Spogna381. Nel XVII secolo diventa possedimento della famiglia Borghese382. Edifici di culto citati dalle fonti: S. Maria de villa, S. Paolo. Evidenze archeologiche: Ben conservato è il castello Orsini, Cesi e Borghese di cui sono ben riconoscibili la rocca, munita di quattro torri angolari semicircolari, e una torre quadrangolare posta al centro del borgo (fig. 6.53).

Descrizione del sito: Il castello di S. Polo dei Cavalieri appare per la prima volta nel Regesto della Chiesa di Tivoli con il toponimo Fundum Janule370, ma non sappiamo con certezza se si tratti del territorio dell’odierno abitato. La prima attestazione come castello risale al 1030 quando, sempre nelle carte della chiesa tiburtina, viene citato come “castello de Sancto Paulo371”.

Rapporto sito/ambiente: Il sito di S. Polo dei Cavalieri durante il medioevo doveva avere una forte propensione alle attività economico-produttive: il territorio intorno al castello, infatti, ben si prestava allo sviluppo dell’agricoltura specializzata e della pastorizia.

In un documento edito da Trifone, databile al 1081, S. Polo viene definito come castellum S. Pauli in Jana in una bolla di papa Gregorio VII (1073-1085), il quale accorda la protezione del centro al monastero di S. Paolo fuori le mura372; la fondazione del sito è quindi avvenuta presumibilmente nell’XI secolo. Nei cartulari tiburtini Sancto Polo passò nel 1153-1154 sotto la diretta protezione della Curia Romana con la chiesa di S. Maria de villa e la chiesa di S. Paolo (nelle sue pertinenze)373; rimase di proprietà del monastero di S. Paolo fuori le mura fino al XIV secolo374. Nel 1278 il castello viene nominato in un documento dell’Archivio Borghese in quanto territorio confinante con il castello di Monteverde375.

Fonti documentarie e d’archivio: RT, doc. XVII, pp. 7576, r. 21-23; ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024. Fonti cartografiche e catastali: Eufrosino Della Volpaia (1547): FCL 2, XIII 1 a, tav. 25 - S. Puoli; Anonimo (1590/1619): FCL 2, XIII 2 a, tav. 31 - S. Puoli; Anonimo (1556): FCL 2, XVII 2a, tav. 40 - S. Puoli; Anonimo (1557): FCL 2, XVII. 2 b, tav. 41 - S. Puoli; Bertelli (1563): FCL 2, XVII 2c, tav. 42 - S. Puoli; Mercator (1589): FCL 2, XVII. 4, tav. 45 - S. Puoli; Ligorio (1556): FCL 2, XVIII, tav. 48 - S. Poli; Giubilio (1592): FCL 2, XX, tav. 51 - S. Polo; Magini (1604): FCL 2, XXII 2, tav. 54 - S. Polo; Jansson, De Hondt (1638): FCL 2, XXVIII, tav. 77 - S. Polo; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - S. Polo; Ameti (1693): FCL 2, XXXIII 1a, tav. 174 - S. Polo di Borghese; Mortier (XVII secolo): FCL 2, XXXIV.1, tav. 182 - S. Polo; Van Der Aa (XVIII secolo, primi decenni): FCL 2, XXXIV. 2, tav. 183 - S. Polo; De Revillas (1739): FCL 2, XXXVII. 1 a, tav. 186 - S. Polo; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - S. Polo; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - S. Polo; Ghigi (1777): FCL 2, XLI, tav. 200 - S. Polo; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - S. Polo; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - S. Polo; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - S. Polo; Olivieri (17981799): FCL 2, XLVII.2, tav. 219 - S. Polo; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - S. Polo; Olivieri (1802): FCL 2,

In un documento Orsini del 1307 Orso, figlio di Francesco Orsini, dopo alcuni contrasti, intima agli abitanti del castrum, ancora del monastero di S. Paolo, di non utilizzare più il bosco e la fontana situati al confine con Saracinesco376. Alla fine del XIV secolo, nel 1391, papa Bonifacio IX (1389-1404) dona S. Polo a Giacomo Osini, figlio di

Il toponimo deriverebbe dalla proprietà del castello del monastero di S. Paolo fuori le mura a Roma. L’aggiunta “dei Cavalieri” sarebbe avvenuta in epoca moderna, ma si ignorano ad oggi le motivazioni dietro a tale determinazione (Gasca Queirazza et al. 1990, p. 694), anche se alcuni autori interpretano come “cavalieri” un ramo della famiglia degli Orsini di Tagliacozzo (Gelsomino 1995, p. 710). 368 RT, doc. XII, p. 68, r. 2. 369 Ibidem. 370 RT, doc. XI, p. 60. 371 RT, doc. XII, p. 68, r. 2. 372 Documento citato in Trifone 1908, p. 278. 373 RT, doc. XVII, pp. 75-76, r. 21-23. 374 Cfr. Silvestrelli 1940, vol. I, p. 263. 375 ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. 376 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011. 367

ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022. ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024. 379 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 380 Cfr. Silvestrelli 1940, vol. I, p. 264. 381 ASC, Archivio Orsini, II.A.24,075. 382 Cfr. Silvestrelli 1940, vol. I, p. 264. 377 378

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 6.53. Il castello di S. Polo dei Cavalieri (foto M. Bernardi).

XLVIII.3, tav. 222 - S. Polo; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - S. Polo; Sickler (1811): FCL 2, LII, tav. 230 - S. Polo; ASR, Versamento UTE, Sez. I, Comarca 302. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1104, neg. 24224 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 913, neg. 203559 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2369, neg. 179021) (© AFN-ICCD, fondo AM). Bibliografia: Martinori 1933-1934, vol. II, pp. 259-260; Silvestrelli, vol. I, pp. 263-264; Toubert 1973, vol. I, p. 405.

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Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili 6.2.11. Scandriglia

IV (816-817) in una bolla dell’817392, poi dall’imperatore Ludovico II (855-875) tra l’857 e l’859393, dopo il consenso di Lotario (840-855) per la giurisdizione imperiale del monastero394. Nella seconda metà del X secolo anche l’imperatore Ottone I (962-973) conferma a Farfa i suoi possedimenti e privilegi395.

6.2.11.1. Scheda di sito Sito: Scandriglia Provincia: Rieti Comune: Scandriglia Riferimenti cartografici: IGM 1:25000, f. 144 II N.E. (Orvinio); CTR 2014 1:5000, f. 366033 Quota altimetrica: 535 m s.l.m. Toponomastica antica: Scandrilia/Scandillia383 Cronologia insediamento: XI secolo/ancora esistente Prima attestazione toponimo: 764384 Prima attestazione castello: 1047-1089385

Nel 1023 per la prima volta il toponimo di Scandilia viene associato al termine pertinentia, quando Sigizone e sua moglie Doda donano alcuni beni all’abbazia; l’utilizzo di questo vocabolo associato al toponimo fa presupporre che in questa data il sito fosse già stato edificato396. Sotto il governo dell’abate Berardo I (1047-1089) avviene l’acquisizione del castello già costruito e che da questo momento entra a far parte dei possedimenti farfensi397.

Descrizione del sito: Il territorio di Scandriglia viene spesso nominato nei documenti farfensi a partire dall’alto medioevo. Dall’VIII secolo i cartulari menzionano sia il fundus Scandilliano che alcuni casali e case donati all’abbazia da alcuni personaggi eminenti locali386. I documenti recanti il toponimo, seppur non pertinenti alla fase castrense dell’insediamento, consentono di chiarire come il territorio, poi occupato dal castrum, fosse ripartito prima dell’incastellamento. Analizzando le fonti è possibile ricostruire il paesaggio delle campagne altomedievali, che doveva essere ripartito in ampie particelle fondiarie a carattere produttivo e da piccole unità residenziali, quali semplici abitazioni e casali dove le famiglie dei coloni vivevano e svolgevano le attività lavorative nei campi, nelle vigne e nei boschi. In questo momento l’insediamento sparso sembra essere la più diffusa forma insediativa nel territorio di Scandriglia e, verosimilmente, in tutta l’area Sabina387. Questa zona, per le sue caratteristiche geomorfologiche, ben si accordava al pieno svolgimento di attività di tipo specializzato già in epoche precedenti, come confermato anche dalle indagini archeologiche. Lo scavo nella villa dei Bruttii Praesentes nei pressi di Scandriglia388, costruita alla fine del I secolo d.C., ha evidenziato come questo insediamento rurale fosse promotore di importanti attività economiche di tipo elitario: particolarità di questo luogo è l’attestazione del commercio di generi di lusso, come ad esempio la coltivazione di fiori, o l’allevamento di animali selvatici destinati alla vendita389.

Nel 1083 Teudino conte, figlio di Berardo, dona a Farfa la metà di alcune chiese e castelli con le loro pertinenze; tra tali proprietà configura anche la metà del castello di Scandriglia con le sue torri, edifici, casali, chiese, campi coltivati, alberi da frutto e senza, boschi, mulini e tutti gli altri beni nel territorio398. Un anno più tardi Erbeo, figlio di Teudino, decide di cedere esclusivamente al monastero farfense alcune sue proprietà nel territorio sabinense tra cui la chiesa di S. Salvatore in Scandrilia399. Nello stesso anno l’imperatore Enrico IV (1084-1105) conferma i privilegi di Farfa, tra questi Scandriglia400, e continuano ancora le elargizioni di beni e proprietà di privati al monastero401. Negli ultimi anni dell’XI secolo alcuni possedimenti tornarono nelle mani del monastero, a seguito di alcune liti tra personaggi locali402; anche Erbeo viene coinvolto in queste vicissitudini403 e nel 1090 cede al cenobio benedettino l’intero castello di Scandriglia con le sue pertinenze404. Durante il governo dell’abate Berardo II (1089-1099) abbiamo notizia dell’iniziativa farfense di destinare le rendite di quattro castelli e altri proventi alla ricostruzione della chiesa e del monastero a seguito di un saccheggio; tra gli abitanti chiamati a lavorare a questa iniziativa vi sono anche gli uomini di Scandriglia405; sappiamo inoltre che

Ritornando al medioevo l’abbazia di Farfa, sempre nell’VIII secolo, promuove l’acquisizione di alcune abitazioni e di una chiesa intitolata a S. Stefano ubicata nel territorio di Scandriglia390. A partire dal IX secolo si attestano le donazioni a favore del monastero che inizia in questo momento a costruire una complessa rete di beni e proprietà in questa zona391; i suddetti beni, mobili ed immobili, vengono confermati dapprima da papa Stefano

RF II, doc. 224, p. 183; CF, vol. I, pp. 179-180; CF, vol. I, p. 182. RF III, doc. 300, p. 2 e 4; CF, vol. I, p. 213; CF, vol. I, p. 215. 394 CF, vol. I, pp. 201-203. 395 RF III, doc. 404 p. 109 e 110; CF, vol. I, pp. 336 e 338. 396 RF III, doc. 551, p. 260; CF, vol. II, 48; CF, vol. II, 104. 397 RF IV, doc. 809, p. 212; CF, vol. II, 104; CF, vol. II, p. 122. 398 RF V, doc. 1083, p. 78; CF, vol. II, p. 168. 399 RF V, doc. 1095, p. 90; RF V, doc. 1095, p. 91; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192. 400 RF V, doc. 1099, p. 95; CF, vol. II, p. 173. 401 LL, vol. II, doc. 1218, p. 113; LL, vol. II, doc. 2121, p. 332. 402 CF, vol. II, p. 196. 403 RF V, doc. 1260, p. 238; CF, vol. II, p. 194. 404 RF V, doc. 1255, p. 235. 405 RF V, doc. 1154, p. 158; CF, vol. II, p. 218. 392 393

Gasca Queirazza et al. 1990, p. 719. RF II, doc. 63, p. 63. 385 RF IV, doc. 809, p. 212. 386 CF, vol. I, p. 154; RF II, doc. 119, p. 103. 387 RF II, doc. 63, p. 63. 388 Sulla villa dei Bruttii Praesentes si rimanda ad Alvino 2003. 389 Alvino, Lezzi, Santini 2019, p. 138. 390 CF, vol. I, p. 161. 391 RF II, doc. 158, p. 132; CF, vol. I, p. 167; RF IV, doc. 641, p. 39. 383 384

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L’incastellamento nei Monti Lucretili Nel 1478 Sisto IV (1471-1484) decide di far costruire una chiesa intitolata a S. Maria delle Grazie nel territorio compreso tra Scandriglia, Montelibretti, Nerola, Ponticelli e Montorio Romano420.

sotto il governo del suddetto abate erano presenti numerosi casali nel territorio e la chiesa di S. Maria406. Anche agli inizi del XII secolo continuano le donazioni di terre e beni a favore del monastero407.

Edifici di culto citati dalle fonti: S. Stefano, S. Salvatore, S. Maria.

Nel 1118 l’imperatore Enrico V (1111-1125) conferma le proprietà a Farfa, tra cui un fondo Scandilliano408; l’anno successivo l’abate Guido III (1119-1125) si impegna a mantenere i possedimenti dell’abbazia409 e di concedere privilegi ai castelli che si erano schierati dalla sua parte durante le dissensioni nel monastero410; negli ultimi documenti farfensi continuano i passaggi di proprietà411.

Evidenze archeologiche: Pochi sono i resti del castello di Scandriglia, di cui rimane solo l’assetto del borgo medievale, completamente inglobato nelle costruzioni di epoca più recente (fig. 6.54). Nelle vicinanze in stato di rudere è ancora conservato il monastero di S. Salvatore.

Nella lista del Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343 viene visitato il monastero di S. Salvatore di Scandriglia, un importante centro monastico che contava nel territorio numerose cappelle e chiese sotto la propria giurisdizione412.

Rapporto sito/ambiente: Il castello di Scandriglia è stato fondato per motivazioni economico-produttive; il territorio è idoneo al pieno svolgimento delle attività legate all’agricoltura specializzata e alla pastorizia. Il castrum era inoltre limitrofo alla viabilità antica.

Nelle liste del Sale e del Focatico l’abitato, annoverato nella provincia di Farfa e Romangia, doveva pagare l’equivalente di 15 rubbia di sale413.

Fonti documentarie e d’archivio: RF II, doc. 63, p. 63; CF, vol. I, p. 154; RF II, doc. 119, p. 103; CF, vol. I, p. 161; RF II, doc. 158, p. 132; CF, vol. I, p. 167; RF II, doc. 224, p. 183; CF, vol. I, pp. 179-180; CF, vol. I, p. 182; CF, vol. I, pp. 201-203; RF III, doc. 300, pp. 2 e 4; CF, vol. I, p. 213; CF, vol. I, p. 215; RF III, doc. 404, pp. 109 e 110; CF, vol. I, pp. 336 e 338; RF IV, doc. 641, p. 39; RF III, doc. 551, p. 260; CF, vol. II, 48; CF, vol. II, 104; RF IV, doc. 809, p. 212; CF, vol. II, p. 122; RF V, doc. 1083, p. 78; CF, vol. II, p. 168; RF V, doc. 1095, p. 90; RF V, doc. 1095, p. 91; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1099, p. 95; CF, vol. II, p. 173; LL, vol. II, doc. 1218, p. 113; LL, vol. II, doc. 2121, p. 332; RF V, doc. 1260, p. 238; CF, vol. II, p. 194; RF V, doc. 1255, p. 235; RF V, doc. 1154, p. 158; CF, vol. II, p. 218; RF V, doc. 1276, p. 250; CF, vol. II, p. 196; RF V, doc. 1304, p. 291; RF V, doc. 1176, p. 177; CF, vol. II, p. 264; RF V, doc. 1168, p. 171; RF V, doc. 1169, p. 172; CF, vol. II, p. 262; CF, vol. II, p. 284; RF V, doc. 1320, pp. 313-314; CF, vol. II, p. 297; CF, vol. II, p. 299; RF V, doc. 1324, p. 318; CF, vol. II, p. 303; LL, vol. II, doc. 1694, p. 253; CF, vol. II, p. 306; ASC, Archivio Orsini, II.A.11,043; OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053; ASC, Archivio Orsini, II.A.16,015; OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01.

Il castello di Scandriglia viene citato numerose volte anche nei documenti Orsini; i primi risalgono al 1412 quando l’antipapa Giovanni XXIII (1410-1419) cede in enfiteusi perpetua a Francesco Orsini il castello, ancora di proprietà farfense, per un compenso annuo di dieci libbre di cera414; appena tre anni più tardi allo stesso Francesco Orsini viene negato il diritto di pedaggio nel castrum415. Nel 1433 molti esponenti della famiglia Orsini rinunciano ai diritti sulle proprietà a favore di Francesco Orsini, conte di Gravina e Conversano416. Nel 1449 lo stesso Orsini rinnova la concessione enfiteutica del castello (dell’abbazia di Farfa) a Domenico Giovanni Grassi, insieme ad una vigna, una strada pubblica ed un terzo di un querceto417. Nel 1451 papa Niccolò V (1447-1455) conferma le terre di Scandriglia a Francesco Orsini418 che, nel 1454, riceve dal Cardinal Latino Orsini anche i suoi possedimenti in questo territorio419 RF V, doc. 1304, p. 291; RF V, doc. 1276, p. 250. RF V, doc. 1176, p. 177; CF, vol. II, p. 264; RF V, doc. 1168, p. 171; RF V, doc. 1169, p. 172; CF, vol. II, p. 262. 408 CF, vol. II, p. 284. 409 RF V, doc. 1320, pp. 313-314; CF, vol. II, p. 297; CF, vol. II, p. 299. 410 RF V, doc. 1324, p. 318; CF, vol. II, p. 303; CF, vol. II, p. 306. 411 LL, vol. II, doc. 1694, p. 253. 412 Tomassetti, Biasiotti 1909, pp. 86-87; Mancinelli 2007, p. 117. 413 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 414 ASC, Archivio Orsini, II.A.11,043; OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01. 415 ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01. 416 ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053. 417 ASC, Archivio Orsini, II.A.16,015. 418 OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01. 419 OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02. 406 407

Fonti cartografiche e catastali: Anonimo (1556): FCL 2, XVII 2a, tav. 40 - Scandriglia; Anonimo (1557): FCL 2, XVII. 2 b, tav. 41 - Scandriglia; Bertelli (1563): FCL 2, XVII 2c, tav. 42 - Scandriglia; Giubilio (1592): FCL 2, XX, tav. 51 - Scandriglia; Jansson, De Hondt (1638): 420

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OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01.

Schede di sito, fasi e ipotesi ricostruttive dei castelli dei Monti Lucretili FCL 2, XXVIII, tav. 77 - Scandriglia; Mattei (1674): FCL 2, XXX 2 b, tav. 156 - Scandriglia; Van Der Aa (XVIII secolo, primi decenni): FCL 2, XXXIV. 2, tav. 183 Scandriglia; Campiglia (1743) FCL 2, XXXVIII, tav. 190 - Scandriglia; Maire, Boscovich (1755): FCL 2, XL c, tav. 199 - Scandriglia; Zuliani (1783): FCL 2, XLIII.1 c, tav. 208 - Scandriglia; Cassini (1790): FCL 2, XLIV, tav. 210 - Scandriglia; Sandi (fine XVIII secolo): FCL 2, XLVI, tav. 215 - Scandriglia; Olivieri (1802): FCL 2, XLVIII.2, tav. 221 - Scandriglia; Olivieri (1810): FCL 2, LI a, tav. 227 - Scandriglia; Cassini (1816-1824): FCL 2, LIII b, tav. 232 - Scandriglia. Foto aeree: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto  1954: f. 144, str. 36, fot. 1099, neg. 24222 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 918, neg. 203564 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2357, neg. 179009 (© AFN-ICCD, fondo AM). Bibliografia: Silvestrelli 1940, vol. II, pp. 405-407; Toubert, vol. I, pp. 406-407; Betti 2005, pp. 192-195.

Fig. 6.54. L’odierno abitato di Scandriglia (foto M. Bernardi).

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7 I castelli dei Monti Lucretili: evoluzione e tendenze del fenomeno dell’incastellamento in un’area campione The castle phenomenon in the Latium Region is a complex research topic to address, a complexity that arises from the still ongoing debate in the academic world. For decades now scholars have attempted to place castles in mental projections taking on the form of settlement models. However, these cannot provide an overall portrayal of a geographically multifaceted context such as the Italian landscape without taking into account the historical and environmental changes affecting both the communities and territories between the Early and late Middle Ages. The development of castles as a new form of settlement in the territory around Rome is one of the great themes of Medieval history and archaeology, investigated for the most part through the written sources, something that certainly cannot be attributed to a lack of architectural or, in general, material evidence. The small number of published regional and micro-regional studies along with limited stratigraphic data documented in castles contexts from the Latium region have determined a break in research that can only be redeemed through multiple archaeological campaigns in several sites in an attempt to answer those still unsolved questions, something that has already been demonstrated by the ample research carried out in Tuscany. Data acquired from this study revealed the diachronic changes taking place in settlement phenomena, namely: the foundation, development, and abandonment of castles through a broader analysis based on different types of sources, as suggested in the previous chapters. One of the major issues in a territorial study arises from the still unsolved divergences in methods of research promoted on the one hand by historians and on the other by archaeologists. In order to go beyond this issue, the present research has attempted to apply both methods, comparing results from the study of written sources with the analysis of archaeological evidence, trying to trace an overall picture of the phenomena that invested the examined area. The results of this work aim to understand the impact ‘incastellamento’ had on territorial and local population dynamics in the area of the Lucretili during the Middle Ages. The analysis of the following points summarizes the research work: – The transformations taking place in the rural landscape between the Early and Late Middle Ages: the relationship between the dispersed settlements and castle sites; – The causes that lead to the birth of the castle phenomenon; – The establishing of a foundation periodization; – The connection between religious and aristocratic foundations; – The changes in rural settlement dynamics following the rise of the baronies; – The reasons behind the selective abandonment of castle sites and their chronologies; – The building phases of the castles; – The architectural typologies.

villaggi fortificati1. Si è cercato per decenni, specialmente nei primi confronti scientifici, di rinchiudere i castelli non solo all’interno di un paesaggio, ma anche nelle idee, relegandoli dentro modelli insediativi che alla fine, come

La complessità del fenomeno dell’incastellamento si deduce dalla continua necessità di dibattere ancora, tra le carte dei libri e in occasione di convegni, trovando sempre nuovi spunti di ricerca legati alla definizione di varianti funzionali e tipologiche dei castelli che non fanno altro che confermare sia la poliedricità che la diversità, entrambi elementi fortemente collegati ad un territorio, di un fenomeno insediativo che ha raggruppato gradualmente nei secoli la società contadina all’interno di

Non a caso Sandro Carocci, nelle conclusioni degli atti del convegno del 2013 a quarant’anni dalla pubblicazione dell’opera di Toubert (Augenti, Galetti 2018) intitola il suo intervento “I tanti incastellamenti italiani”, questo proprio per dare risalto alla complessità del fenomeno dell’incastellamento nel contesto italiano (Carocci 2018).

1

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L’incastellamento nei Monti Lucretili questo tipo nasce proprio dal conflitto e dalle divergenze dei metodi di ricerca, avanzati da una parte dagli storici, dall’altra dagli archeologi. Le discipline storiche e quelle archeologiche che, ricordiamo, nascono dallo stesso ramo delle scienze umanistiche, il più delle volte non sono riuscite a dialogare al fine di raggiungere il medesimo traguardo, ovvero una conoscenza complementare dei fenomeni insediativi attraverso il connubio di sistemi di indagine che, se isolati, rischiano di fornire una visione solo parziale di processi così complessi e articolati.

sta emergendo dalle più recenti indagini archeologiche, difficilmente possono descrivere genericamente un contesto geografico così diversificato come quello italiano senza tener conto delle contingenze storiche e ambientali dei luoghi in cui il sistema incastellato è entrato in contatto a cavallo tra alto e basso medioevo2. Lo sviluppo dei castra come nuova forma di popolamento nel territorio intorno a Roma è ancora uno dei grandi punti interrogativi della storia e dell’archeologia medievale, finora indagato principalmente attraverso le fonti scritte, non di certo per l’assenza di evidenze architettoniche o materiali che, al contrario, ben affiorano tra i boschi delle nostre montagne, in una natura ora svincolata dall’uomo, come ben emerge dal confronto tra i territori odierni e le foto aeree degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso che rivelano come le terre incolte abbiano ripreso piede, in pochissimi decenni, nelle zone rurali (fig. 7.1).

Per la risoluzione di tale criticità in questo studio si è cercato di applicare entrambi i metodi di indagine, ben consolidati, accordando i dati scaturiti dall’elaborazione delle fonti scritte con l’analisi delle evidenze archeologiche, alla ricerca di un quadro complessivo del fenomeno dell’incastellamento nell’area scelta come campione. Comprendere l’impatto che il sistema castrense ha avuto sulle dinamiche territoriali e di popolamento nei Lucretili è solo il punto di arrivo della ricerca, al quale si cercherà di giungere attraverso lo sviluppo dei seguenti punti che riassumono i grandi temi legati alla formazione dei centri demici fortificati nel contesto rurale:

L’esistenza di un limitato numero di studi regionali e micro-regionali pubblicati e gli sporadici dati stratigrafici provenienti da contesti incastellati del Lazio hanno determinato una situazione di stallo nelle ricerche che potrebbe essere riscattata solo attraverso diverse campagne archeologiche in più siti, mirate a chiarire definitivamente le questioni ancora insolute3.

– le trasformazioni del paesaggio rurale tra alto e basso medioevo: rapporto tra l’insediamento sparso e i castelli; – le motivazioni della nascita del fenomeno castrense; – la periodizzazione dei momenti di fondazione; – il rapporto tra fondazioni religiose e fondazioni signorili; – gli sviluppi delle dinamiche insediative nelle campagne con l’avvento delle baronie; – le motivazioni degli abbandoni selettivi e la tempistica degli stessi; – le fasi edilizie dei castra; – le tipologie architettoniche.

I dati finora emersi durante le ricerche nel territorio dei Monti Lucretili consentono di delineare l’evoluzione diacronica dei fenomeni insediativi legati all’incastellamento, determinando quindi la genesi, lo sviluppo e la fine dei centri incastellati attraverso l’analisi delle differenti tipologie di fonti, come già ampiamente approfondito nel capitolo 4. Tra le problematiche emerse nel corso di questo lavoro vi è quella dell’approccio metodologico a cui rifarsi; infatti, una delle maggiori criticità in uno studio territoriale di

Fig. 7.1. A) Foto aerea della zona di Castel del Lago (Foto RAF del 24 marzo 1944: f. 144, str. 289, fot. 3133, neg. da 183172) (© AFN-ICCD, fondo MAPRW-BSR-RAF. Su autorizzazione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione MiC); B) immagine satellitare della stessa area (elaborazione grafica G. De Coste). 2 3

Augenti 2016, pp. 145-157; Augenti 2018, pp. 23-24. Cfr. capitolo 1.

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I castelli dei Monti Lucretili 7.1. Nuovi ritrovamenti nei Lucretili: i castelli di Macla e Fistula

archeologiche ha fatto escludere l’ipotesi dell’esistenza di un castrum medievale nelle zone suggerite8.

Nelle ricerche territoriali su siti rurali non è così improbabile scontrarsi con il problema dell’invisibilità degli insediamenti. Talvolta i castelli definiti come abbandonati, la cui funzione come centro di popolamento si è interrotta nel corso dei secoli del medioevo per diverse contingenze storiche e sociali, possono risultare “dispersi” nel territorio, svaniti progressivamente sia dalle fonti che dalla memoria, sopravvissuti solo in qualità di toponimi nei documenti.

Allo stesso modo anche per il castello di Fistula sono state avanzate delle ipotesi di localizzazione: Amore e Coste indicano genericamente l’area compresa tra le pertinenze del castello di Petra Demone ed Orvinio9, la Mancinelli, invece, propone la sua ubicazione presso l’attuale toponimo di “Monte Castelvecchio”, localizzato a Nord-Ovest di Monteflavio; anche in questo caso, però, la ricognizione sul territorio non ha dato esiti positivi (fig. 7.2)10. Escluse, quindi, le ipotesi finora suggerite dagli autori, si è proceduto nuovamente alla ricerca dei due castelli scomparsi seguendo i criteri sopra descritti.

Prima di questa ricerca, i castelli di Macla e Fistula nei Lucretili rientravano in questa casistica; il loro ritrovamento sarebbe stato uno degli obiettivi di questo lavoro per poter arrivare ad un quadro completo di tutti i villaggi incastellati attestati dalle fonti per questo territorio.

Dalla lettura dei documenti farfensi ne è emerso uno indispensabile per l’individuazione dei due siti non ancora identificati: in una fonte del Regesto di Farfa vengono illustrate alcune donazioni di beni a favore del monastero da parte di Ottone, figlio di Ottaviano Crescenzi; tale documento ha permesso di definire l’area geografica dentro la quale in origine Macla e Fistula dovevano collocarsi11.

Nel corso di questo studio numerose attività di ricognizione sul campo, coadiuvate da esperti conoscitori del territorio e da ipotesi suggerite accordando lo studio della toponomastica, le fonti scritte e l’analisi della geomorfologia del paesaggio, hanno portato alla scoperta di due castelli, identificati come Macla e Fistula4.

Seguendo l’ordine orario in cui vengono citati generalmente i confini e le pertinenze dei castra nel cartulario farfense, il castello di Macla doveva quindi situarsi tra le pertinenze (del castello) di Spogna, il fiume Corese, le pertinenze (del castello) di Fistula e le pertinenze (del castello) di Petra Demone: “(…) Insuper concedimus vobis suprascriptis in ipso suprascripto vocabulo in loco qui nominatur macla felcosa, inter affines: ab uno latere finis ipsa pertinentia de spongia, A ij° latere finis rivus currensis, A iij° latere finis pertinentia de fistula, a iiij° latere finis pertinentia de petra doemone (…)12”.

I precedenti studi sui centri dei Lucretili si fondavano principalmente, come già ampiamente detto, sull’analisi delle fonti documentarie e d’archivio, mostrando tutte le lacune del metodo di indagine storico sprovvisto dell’ausilio del dato archeologico, portando quindi ad una “assenza apparente” dal territorio di tali insediamenti. La prima studiosa a proporre una localizzazione per il castello di Macla è stata Orsola Amore che, in occasione dei suoi studi sulla valle del Licenza, ha sostenuto l’identificazione del sito con l’area definita come “Ara della Macchia” nei pressi di Percile5. Jean Coste propose, invece, l’ubicazione del castello nell’area di Scandriglia, più precisamente presso la località “Licineto-Monte Pelato”6.

Si tratterebbe quindi di un’area compresa tra le attuali località di Scandriglia e Orvinio, zona in cui sono state concentrate le ricognizioni dopo un’attenta fase di studio della toponomastica moderna. Nella zona indicata dal documento, le attuali località di Colle delle Mura e Valle della Macchia hanno generato da subito interesse per il loro legame toponomastico con il sito di Macla.

A riprendere poi la tematica dei castelli, seppur non argomento portante della sua analisi, è stata Maria Letizia Mancinelli che, nella sua edizione critica del Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis (1343)7, ha recuperato l’ipotesi sostenuta da Coste, identificando Macla con l’odierno toponimo di Monte Pelato.

Le ricognizioni presso Colle delle Mura, sito difficile da raggiungere poiché collocato ad un’alta quota ed escluso dalla sentieristica del Parco, hanno portato alla scoperta di un esteso castello abbandonato di epoca medievale, caratterizzato da una torre centrale di forma quadrangolare, una rocca turrita ed un recinto che doveva corrispondere alla cinta muraria del castrum (fig. 7.3).

Nei luoghi suggeriti dai suddetti autori, le indagini condotte sul campo hanno rilevato la totale assenza di indicatori di vita quali opere murarie ed aree di frammenti fittili, non portando quindi all’individuazione di siti antropizzati: in tali località il mancato ritrovamento di evidenze

Il toponimo “Macla” (trad. macchia, zona boschiva), per la grande diffusione del vocabolo durante l’epoca medievale, il più delle volte non è determinante ai fini dell’individuazione dei siti. 9 Amore 1979, p. 224, nota 22; Coste 1988 p. 391. 10 Mancinelli 2007, tav. II. 11 RF IV, doc. 617, pp. 15-16. 12 Ibidem. 8

Per il ritrovamento dei castelli di Macla e Fistula è stato messo in pratica il cosiddetto “metodo regressivo” teorizzato da Jean Coste (Coste 1996, pp. 17-23). Per una prima notizia sul ritrovamento si veda Bernardi 2015a. 5 Amore 1979, p. 223, nota 20. 6 Coste 1988, p. 392. 7 Mancinelli 2007, p. 274. 4

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 7.2. Ipotesi di localizzazione dei castelli di Macla e Fistula avanzate da Amore, Coste e Mancinelli e i nuovi siti identificati. 1) Amore: identificazione di Macla con la località Colle Ara della Macchia; 2) Coste e Mancinelli: identificazione di Macla con la località Licineto-Monte Pelato; 3) Mancinelli: identificazione di Fistula con la località Monte Castelvecchio) (elaborazione grafica M. Bernardi, G. De Coste su base IGM 1: 25.000).

Fig. 7.3. La rocca del castello identificato come Macla (foto M. Bernardi).

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I castelli dei Monti Lucretili Moltissimi altri edifici sono stati rilevati nell’insediamento riconducibili all’abitato, quali ambienti monovano, piccoli isolati a schiera e innumerevoli sostruzioni e muretti di terrazzamento volti a rendere più “vivibile” un’area in origine inadatta ad essere popolata per i marcati salti di quota, specialmente sulla sua parte sommitale13.

evidenze monumentali, potrebbe rappresentare in realtà un importante esempio per ricostruire le fasi dei castelli dei Lucretili: l’assenza di un centro abitato costruito in materiale durevole potrebbe confermare per Fistula l’ipotesi di una sua originaria fase in materiale deperibile, forse anche limitata nel tempo; le uniche costruzioni dal principio realizzate in pietra dovevano essere quelle la cui funzione era quella di definire gli spazi entro cui la popolazione poteva “muoversi”, ovvero tra le mura e il centro direzionale aristocratico rappresentato dalla rocca. È chiaro che ogni castello potrebbe avere avuto un diverso sviluppo edilizio e cronologico, come avremo modo di vedere, ma le poche evidenze architettoniche di Fistula, unite alle sue assenze, sono utili indicatori per conoscere l’eterogeneità del fenomeno dell’incastellamento, anche in un piccolo distretto territoriale come quello dei Lucretili.

Lo stesso documento di Farfa ha portato anche alla proposta di identificazione del castello di Fistula con il sito di Monte Castellano; ugualmente in questo caso il toponimo moderno, ovvero “Castellano”, ha fatto da guida nella ricerca sul campo. A differenza di Macla, presso Monte Castellano non sono state rintracciate monumentali evidenze architettoniche conservate in elevato, ad eccezione di alcuni muretti a secco, non necessariamente costruiti nel medioevo. L’identificazione di Fistula con questo sito è stata suggerita dalla presenza di macroscopiche tracce di allineamenti murari, ben riconoscibili nel terreno nella parte occidentale dell’insediamento, che hanno fatto supporre l’esistenza di almeno due circuiti murari costruiti in pietra, uno riferibile alle mura del castello, l’altro alla rocca. L’identificazione del sito con un castello è stata, però, supportata anche dalla cospicua presenza di aree ricche di frammenti fittili, principalmente individuate all’interno delle mura, tra cui materiale edilizio e ceramica tipicamente di epoca medievale come la vetrina sparsa, produzione contestuale per cronologia allo sviluppo in questo territorio del fenomeno dell’incastellamento agli inizi del basso medioevo14.

7.2. Monti Lucretili Landscape project: primi risultati delle ricognizioni nel territorio del castello di Montefalco in Sabina Nell’ambito di questo lavoro incentrato sul territorio dei Monti Lucretili, nel febbraio 2020 l’Università degli Studi di Roma Tre ha avviato una prima campagna di ricognizione archeologica nell’area del castello di Montefalco in Sabina, uno dei quindici siti abbandonati nel medioevo di questa zona16. Il progetto, dal titolo “Monti Lucretili Landscape project”, ha come obiettivo la ricostruzione diacronica del paesaggio rurale di questa area, con particolare interesse alla comprensione delle attività economiche, come agricoltura e pastorizia, e in che modo queste siano cambiate nel corso dei secoli e il loro impatto sull’ambiente17.

Nel sito identificato con il castello di Fistula mancano molti degli elementi caratterizzanti di un castello: non vi è traccia di abitazioni, cisterne o edifici adibiti alla vita comunitaria come, ad esempio, gli ambienti per lo stoccaggio delle derrate agricole. Tale assenza potrebbe portare a congetturare alcune ipotesi su questo insediamento. Fistula potrebbe essere stato all’interno del comprensorio dei Lucretili uno dei primi centri incastellati, già citato come castrum insieme alle sue pertinenze nei primi decenni dell’XI secolo e forse già esistente da qualche anno15. La sua precoce scomparsa dai documenti e dalle fonti scritte potrebbe essere associata ad un rapido abbandono del villaggio, da collegare presumibilmente alla fondazione di un nuovo centro demico fortificato nella zona limitrofa (forse il vicino castrum di Vallebona?). Non è possibile rispondere a questa suggestione, ma di certo la sola presenza in pietra delle strutture delimitanti quali le mura e la rocca fa ipotizzare per questo centro un’unica fase edilizia realizzata con strutture perlopiù in materiale deperibile, ed un precoce abbandono del sito, verosimilmente dopo pochi decenni dalla sua fondazione. Questo insediamento, seppur con limitate

La scelta come area campione per questa ricognizione “pilota”, dove si è sperimentata una nuova metodologia multiforme in grado di estrapolare dati significativi anche dalle attività all’interno di Unità Topografiche on site18, è ricaduta sul territorio di Montefalco sia per lo stato di conservazione del castello che per ragioni pratiche: l’insediamento, collocato a poca distanza dall’odierno centro di Monteflavio e sotto la giurisdizione amministrativa del comune di Palombara Sabina, è facilmente raggiungibile tramite un sentiero escursionistico ben segnalato dal Parco (n. 313), dopo appena pochi minuti di cammino; allo stesso tempo, la vicinanza con Monteflavio ha semplificato tutte le questioni legate alla logistica di una campagna archeologica prolungata nel tempo e in un

16 Direzione scientifica del progetto: prof. Riccardo Santangeli Valenzani e prof.ssa Emeri Farinetti; direzione sul campo: dott.ssa Martina Bernardi. 17 Un simile progetto, sempre promosso dall’Università degli Studi di Roma Tre, è stato condotto pochi anni fa nella vicina area del Cicolano: Farinetti 2007; Farinetti 2010; Farinetti 2013; Farinetti 2015. 18 Per un confronto metodologico sulla ricognizione intensiva in siti fortificati cfr. Fachard 2016, che convoglia le sue ricerche sulle fortificazioni rurali di epoca Classico-Ellenistica nella Grecia centrale. Il lavoro fa riferimento ad un arco temporale diverso ma costituisce un confronto interessante sull’applicazione delle metodologiche di ricognizione in siti di altura.

Per un approfondimento sul sito di Macla di rimanda al capitolo 6, paragrafo 6.1.4. 14 Sulle produzioni ceramiche contestuali allo sviluppo del fenomeno dell’incastellamento nell’area laziale si rimanda al capitolo 4, paragrafo 4.4.2. 15 Si rimanda alla lettura del capitolo 6, paragrafo 6.1.3. 13

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 7.4. Campagna di ricognizione archeologica presso il sito di Montefalco in Sabina (MONF2020). Carta di densità dei frammenti ceramici di tutta l’area indagata tramite ricognizione sistematico-intensiva (GIS map: G. De Coste - Maps data: Google, ©2015).

contesto non urbano19. In questa prima campagna, oltre al survey, si è deciso di sperimentare anche altre attività, più strettamente legate al coinvolgimento della popolazione locale: è stato, infatti, proposto alla comunità di Monteflavio un laboratorio partecipato per comprendere, tramite tradizione orale, la storia del territorio del castello in chiave etnoarcheologica.

murarie ci porta, però, a datare le prime strutture in materiale lapideo all’XI-XII secolo20 e le ultime tra il XIII e il XIV secolo. L’abbandono del sito, accordando i dati dell’evidenza archeologica con le liste del Sale e del Focatico, sarebbe avvenuto, come per la maggior parte dei castelli della zona, tra il XIV e il XV secolo21. Nella campagna MONF2020 le operazioni di ricognizione di superficie (sistematico-intensive ed estensivo-topografiche) si sono concentrate nel territorio intorno al castello. Più specificatamente le aree indagate tramite ricognizione sistematico-intensiva per griglie e transetti (senza raccolta di materiale) sono le seguenti (fig. 7.4): l’area all’interno della cinta muraria di Montefalco (MONF-S1); l’area intorno alle mura; la zona a Nord-Ovest di Montefalco, delimitata da muri a secco; il fondovalle ubicato a Sud-Est; le pendici Sud-Est; l’altura ad Ovest di Montefalco (MONF-S4).

Dopo questa doverosa premessa, ora entriamo nel dettaglio di queste prime indagini di ricognizione nel territorio Lucretile. Sulla fondazione del castello di Montefalco in Sabina non si sa molto dalle fonti scritte. L’analisi delle tecniche 19 Tale attività sul campo è stata possible grazie al benestare del funzionario di zona, dott. Zaccaria Mari, della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, dell’allora direttore del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili, dott.ssa Laura Rinaldi, e del sindaco di Monteflavio, Lanfranco Ferrante, che ringrazio per i permessi concessi e il loro supporto durante tutte le fasi della ricognizione. La gestione della logistica è stata supportata anche dall’operosa attività dei rappresentanti della Pro Loco di Monteflavio: in particolare tengo a ringraziare Stefano Perugini e Francesca Perugini. Un ringraziamento speciale agli studenti che hanno partecipato a questa prima campagna e che si stanno appassionando come me a questo territorio intraprendendo nuove ricerche sull’area, Giordano De Coste, Federico Fasson, Giuditta Nesi, Desirèe Pizzoli, Matteo Rossi e Maria Cristina Volpacchio, e alle splendide persone che mi hanno accompagnato (ancora una volta) anche in questa nuova avventura: Vincenzo Lattanzi, Giancarlo Iacovelli e Marilena Colasanti.

La ricognizione estensivo-topografica si è invece concentrata in punti di interesse conosciuti ai locali. Alcuni sopralluoghi hanno portato all’identificazione di due siti, forse connessi alle attività del castello e ubicati L’attribuzione cronologica è suggerita dall’analisi delle tecniche edilizie; non è possibile escludere una primitiva fase per l’insediamento principalmente costituita da strutture in legno o altro materiale deperibile (Bernardi 2015b, p. 115; Bernardi 2018b, pp. 160-161). 21 Bernardi 2018b, p. 142; cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.6. 20

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I castelli dei Monti Lucretili

Fig. 7.5. Ortofotomosaico del castello di Montefalco in Sabina da drone (elaborazione grafica F. Fasson).

all’interno delle sue pertinenze: la cosiddetta “cisterna romana” (MONF-S2) e una cappella chiamata “Madonna della Neve” o “Madonna delle Carbonere” (MONF-S3).

L’indagine sistematico-intensiva ha rivelato una bassa densità di ceramica lungo le pendici dell’altura dove il materiale non sembra essersi dilavato. Valori più alti sono stati ottenuti, invece, nel versante meridionale; questo dato può essere associato a diversi fattori: alla geomorfologia dell’altura del castello; allo scorrimento delle acque; alla mobilità umana, che probabilmente utilizzava il percorso ancora oggi riconoscibile sul versante Sud, caratterizzato da una doppia serie di muri a secco paralleli (macere).

Sul campo sono state effettuate anche attività di rilievo, complementari alla ricostruzione del paesaggio: tramite un volo con il drone (Dji MAVIC) è stata editata una ortofotomosaico del castello (fig. 7.5)22. Una preliminare analisi dei dati raccolti in fase di ricognizione ha portato già a significativi risultati, indispensabili per poter ricostruire il paesaggio rurale dei dintorni del castello di Montefalco durante l’epoca medievale23.

Valori di alta densità sono invece emersi anche nei transetti ricogniti nell’altura ad Ovest del castello, ubicata ad un’altitudine leggermente più bassa (850 m s.l.m.). La presenza di materiale ceramico in questo luogo mostra l’esistenza di un piccolo sito di epoca medievale (MONF-S4), che si estende su piccole terrazze con vista sul castello di Montefalco ad Est. Tale luogo potrebbe essere interpretato come un piccolo centro di attività, probabilmente un gruppo di capanne collegate al castello: si potrebbe forse trattare di una forma di insediamento di tipo sparso intorno al villaggio fortificato.

22 Ringrazio il dott. Arturo Gallia e il dott. Federico Fasson per la loro disponibilità nelle operazioni con il drone. 23 I risultati delle ricognizioni nel territorio di Montefalco in Sabina presentati in questa sede sono una sintesi di un contributo in fase di pubblicazione: Bernardi M., Farinetti E. (in preparazione), Monti Lucretili Landscape Project. First results from the 2020 archaeological survey on Montefalco castle and its surroundings. Ringrazio la prof.ssa Farinetti per avermi permesso di pubblicare una sintesi dei risultati ottenuti nel corso delle attività di ricognizione svolte presso Montefalco anche in questa sede.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili paesaggio rurale dovesse caratterizzarsi con la rivoluzione del fenomeno dell’incastellamento.

A una prima analisi autoptica sul campo, i manufatti contati in superficie sembrano indicare lo sviluppo dell’insediamento di Montefalco in un periodo tra l’XI e il XIV secolo, in conformità con le precedenti ricerche svolte da chi scrive nell’ambito del dottorato. Ricerche più invasive sul sito potranno fornire una più puntuale sequenza cronologica, determinando le diverse fasi del castello.

7.3. La nascita dei castelli nei Monti Lucretili: un problema di datazione La conoscenza delle tappe temporali nello sviluppo dei castelli è uno dei nodi cruciali della ricerca; la tempistica della nascita degli insediamenti è, infatti, molto difficile da definire in termini cronologici senza un confronto diretto con i dati stratigrafici, come abbiamo già avuto modo di evidenziare in precedenza.

Questa prima campagna di ricognizione ha messo in luce anche la scarsa predisposizione delle terre circostanti a Montefalco allo sfruttamento agricolo. Anche le foto aeree scattate nel dopoguerra in quest’area ci indicano che i territori più fertili dovevano trovarsi non nelle immediate vicinanze del castello24. Le tracce materiali delle attività umane legate all’agricoltura sono sporadiche, limitate a piccole terrazze lungo i pendii, utili per una limitata attività agricola, probabilmente legata alla sola sussistenza familiare. La geomorfologia del suolo non consente un ampio sfruttamento agricolo nell’area vicino e intorno al castello, se non legato ad uno scenario di autosufficienza.

I documenti e le cronache dei principali monasteri detentori della quasi totalità del paesaggio rurale, fotografando tra l’VIII e il XII secolo la topografia territoriale ante e post incastellamento, possono essere di grande ausilio per comprendere, in termini temporali, la genesi del fenomeno insediativo: questi, infatti, descrivendo l’assetto territoriale delle campagne in questi secoli, consentono di delineare i processi all’origine della maggior parte dei castelli della zona, fornendoci importanti notizie sulla distribuzione degli insediamenti durante il medioevo.

Tutti questi elementi sembrano rivelare che la pastorizia doveva essere la principale fonte di sussistenza per la comunità di Montefalco. Tale ipotesi è confermata anche dalle testimonianze degli abitanti del vicino comune di Monteflavio, in particolare dai pastori: per secoli questa zona è stata caratterizzata dalla transumanza verticale, che arrivava fino al Monte Pellecchia (nei mesi estivi), e in pianura verso Palombara Sabina (in inverno). Allo stesso tempo, anche il commercio doveva essere tra le principali attività del villaggio, trovandosi nei pressi della cosiddetta “via della neve”, l’altro elemento indispensabile, oltre al sale, per la conservazione degli alimenti da rifornire a Roma25.

Il territorio dei Monti Lucretili si trovava quasi interamente sotto l’egemonia dell’abbazia di Farfa che deteneva per quest’area l’intera zona settentrionale e centrale del distretto; solo pochi castelli, collocati nella porzione meridionale, rientravano nella giurisdizione territoriale della Chiesa di Tivoli. La limitrofa zona ubicata a Sud-Est dei Lucretili, che esula da questo lavoro, era invece gestita da un altro ente ecclesiastico, il monastero Sublacense che, pur non rientrando nelle dinamiche dei castelli qui presi in esame, in taluni casi viene indirettamente coinvolto nell’ambito di questo lavoro in qualità di zona al confine26.

Nelle future campagne del Monti Lucretili Landscape project verrà esteso il raggio di indagine della ricerca, che non si focalizzarà sul solo sito di Montefalco. Il progetto futuro è quello di approfondire il livello dello studio, effettuando, ove ottenute le necessarie autorizzazioni, dei piccoli sondaggi mirati in punti strategici dell’insediamento (shovel test), per poi poter pensare ad una campagna di scavo stratigrafico nel castello, ricalcando le esperienze già sperimentate in altri contesti italiani.

Non tutti i castelli, però, sono pertinenti territorialmente ad entità religiose: pur avendo un ruolo centrale nello sviluppo castrense del Lazio, essi non sono stati i promotori della nuova forma insediativa rappresentata dai castelli. 7.3.1. Geografia del popolamento pre-castrense (VIII-X secolo)27 Nell’VIII secolo sembra ormai consolidarsi nell’Italia centrale un nuovo tipo di proprietà fondiaria fondata sulla azienda agricola e, nel caso della regione laziale, sulle proprietà papali note come domuscultae28. Il panorama rurale durante l’alto medioevo si delinea in modo molto frammentario, diviso per fundi e massae di proprietà ecclesiastica o appartenenti a personaggi eminenti della piccola aristocrazia locale, realtà che nel corso del medioevo inizia ad avere un ruolo sempre più centrale nella gestione delle terre e delle proprietà fondiarie29.

Questo è stato solo un primo tentativo positivo per poter iniziare a ricostruire il paesaggio intorno ai centri incastellati dei Lucretili nel medioevo; tale esperienza potrebbe essere ripetuta anche per altri siti del comprensorio, estendendo l’indagine anche a tutto il territorio un tempo di pertinenza di un castrum per poter definitivamente chiarire come il 24 Foto aeree per il territorio di Montefalco: Foto Volo Base (GAI) del 20 agosto 1954: f. 144, str. 36, fot. 1101, neg. 24223 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Volo Base (GAI) del 6 settembre 1954: f. 144, str. 84, fot. 916, neg. 203562 (© AFN-ICCD, fondo VB); Foto Aeronautica Militare del 26 luglio 1962: f. 144, str. 2, fot. 2362, neg. 179014 (© AFN-ICCD, fondo AM); Foto SARA Nistri del 16 aprile 1977: f. 144, str. 43, fot. 671, neg.  188727 (© AFN-ICCD, Foto SARA Nistri). 25 Sul commercio della neve nel Lazio e nei Lucretili si veda Scotoni 1972; Scotoni 1995. Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.6.

Cfr. capitolo 3, paragrafo 3.3. Una prima sintesi sul tema cfr. Bernardi 2018b, p. 139. 28 Cfr. capitolo 2, paragrafo 2.6.1. 29 Toubert 1973, pp. 449-473; Tomassetti 1979, pp. 81-82 e 87; Coste 1983, p. 472; Migliario 1988, pp. 59-71; De Francesco 2004, pp. 8-11 e 285; Wickham 2009, pp. 503-504. 26 27

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I castelli dei Monti Lucretili I patrimoni laici ed ecclesiastici si ritrovano quindi ad essere ripartiti in piccoli centri economici e produttivi andando a comporre uno dei modelli insediativi peculiari del primo medioevo: il cosiddetto paesaggio rurale di tipo sparso, ovvero la forma di popolamento disorganica che definiva nell’alto medioevo l’assetto territoriale della campagna laziale30. Tale fisionomia insediativa è descritta da una distribuzione della popolazione non accentrata in grandi centri direzionali, ma aperta e dispersa, fondata su piccoli poli produttivi definibili come aziende agrarie: si tratta delle già menzionate curtes, i casalia e le villae. È doveroso in questo caso, però, fare una premessa: l’uso di tali termini del vocabolario medievale può portare ad una ambiguità interpretativa: tali parole potevano assumere, infatti, i più diversificati significati a seconda del contesto in cui venivano citate, come aveva già intuito anche Toubert31. È quindi difficile poter arrivare ad una descrizione più puntuale dell’assetto territoriale e delle singole unità che dovevano definire il paesaggio delle campagne intorno a Roma senza il supporto di indagini, più estensive e mirate, legate alla sfera dell’archeologia dei paesaggi.

Le fonti documentano l’esistenza dell’insediamento di tipo sparso almeno fino al XII secolo, come dimostrano le tante acquisizioni, donazioni, cessioni in pegno (non sempre pacifiche35) di casali, abitazioni ed altri beni, promosse dallo stesso monastero farfense e da alcune personalità laiche locali36, tra cui emerge in prima linea la famiglia dei Crescenzi37: è il caso del territorio di Castel del Lago38, Fistula39, Macla40, Montorio Romano (Mons Aureus)41, Nerola42 e Petra Demone43. Dall’analisi delle fonti, l’intera area Sabina non sembra modificare il suo preesistente assetto insediativo in maniera repentina con l’introduzione del sistema incastellato: a cavallo tra alto e basso medioevo il paesaggio doveva essere verosimilmente definitivo ancora principalmente da piccole strutture agricole, a cui poi si aggiungono gradualmente i castelli su alcune alture. L’insediamento sparso era ancora una presenza costante nelle campagne intorno a Roma nei primi secoli del basso medioevo. L’apparente invisibilità archeologica di queste realtà insediative è insita nel tipo di materiale utilizzato per la costruzione dei fabbricati, che ricordiamo dovevano presentarsi come costruzioni molto modeste, nella maggior parte dei casi costituiti da capanne. Il materiale da costruzione adoperato doveva essere il legno o l’argilla cruda, materie che dopo l’abbandono e l’obliterazione dei siti in pochi anni si deteriorano fino a scomparire del tutto, senza lasciare alcuna traccia sia in superficie che in elevato44. Gli unici indicatori archeologici e cronologici che possono favorire la ricerca di tali forme insediative nei contesti rurali, senza l’intervento di un’indagine stratigrafica, derivano dall’evidenza ceramica, elemento che può denotare la presenza o meno di strutture agricole attraverso la sola attività di ricognizione45.

Ad ogni modo, i cartulari farfensi mostrano come anche il territorio dei Monti Lucretili fosse qualificato dal sistema insediativo genericamente definito come “di tipo sparso”, gravitante attorno alle chiese rurali32. Il più remoto esempio nell’area è rappresentato dal territorio di Scandriglia, dove l’impegno dell’abbazia imperiale nelle politiche territoriali si delinea già a partire dall’VIII secolo attraverso una serie di acquisizioni e di donazioni da parte di laici di beni mobili ed immobili: casali, abitazioni, vigne, terre, prati, boschi e pascoli, tutte proprietà collocate all’interno di fundi33. Il grande dinamismo nelle politiche territoriali promosso dall’abbazia in questi secoli assicura al monastero un’ingente quantità di possedimenti ed il controllo sia delle campagne che della società contadina. Nei documenti di Farfa attinenti all’area dei Lucretili vengono menzionati solo fundi, casalia ed altri beni immobili come abitazioni o terre; le villae e le curtes non sono attestate per questo territorio, ma tale elemento non permette di esclude l’esistenza di queste realtà nel panorama insediativo dell’area, forse, da collegare a proprietà di tipo laico34.

Spesso alcuni possedimenti farfensi venivano indebitamente usurpati da alcune personalità locali che si appropriavano dei beni dell’abbazia: è il caso di Montorio Romano (RF III, doc. 423, pp. 133-134) e Scandriglia (RF V, doc. 1260, p. 238; CF, vol. II, p. 194). 36 Toubert 1995, pp. 58-59. 37 Amore 1979, pp. 222-224; Carocci 1988, p. 34. 38 LL, vol. II, doc. 2017, p. 304; LL, vol. II, doc. 2016, p. 304; LL, vol. II, doc. 2015, p. 304. 39 CF, vol. II, p. 104; LL, vol. II, doc. 1002, p. 28; CF, vol. II, p. 184; LL, vol. II, doc. 1086, p. 62; LL, vol. II, doc. 1214, p. 111; LL, vol. II, doc. 1229, p. 117; RF IV, doc. 940, p. 334. 40 RF IV, doc. 618, p. 16; CF, vol. II, p. 90; RF IV, doc. 617, pp. 15-16; RF V, doc. 1320, p. 313; CF, vol. II, p. 297. 41 RF III, doc. 300, p. 2; CF, vol. I, p. 213; LL, vol. I, doc. 336, p. 186; LL, vol. I, doc. 416, p. 224; LL, vol. I, doc. 421, p. 226; CF, vol. II, p. 69; CF, vol. II, p. 59-60-62-66-72-73-74; LL, vol. II, doc. 1327, p. 157; LL, vol. II, doc. 1332, p. 159; LL, vol. II, doc. 1419, p. 194; LL, vol. II, doc. 1545, p. 225. 42 RF V, doc. 1313, p. 299; CF, vol. II, p. 278. 43 LL, vol. II, doc. 2121, p. 332; RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235; RF V, doc. 1320, p. 313 e 314. 44 Sulle tipologie edilizie e sui materiali da costruzione si veda Fronza 2006; Fronza 2008; Santangeli Valenzani 2011, pp. 33-66; Fronza, Santangeli Valenzani 2020. 45 Cambi, Terrenato 1994. Il sito MONF-S4 individuato nei pressi del castello di Montefalco potrebbe essere uno dei tanti “siti invisibili” nel territorio dei Lucretili. 35

30 Lo studio dei paesaggi rurali durante il periodo altomedievale è un argomento molto spinoso per le molteplici difficoltà che si possono incontrare in una ricerca territoriale di questo tipo; le carenze storiografiche ed il complesso riconoscimento delle strutture insediative, disperse in un così vasto territorio, rendono l’argomento di difficile interpretazione. Per un maggiore approfondimento del tema si rimanda a Toubert 1973, pp. 449-473; Toubert 1980, pp. 112-117; Toubert 1995, pp. 115-250. 31 Toubert 1973, p. 456. Sulle criticità delle definizioni terminologiche legate all’incastellamento cfr. Wickham 1988, pp. 415-416; Francovich 2004, p. XX. 32 Amore 1979, p. 222. Sulle chiese rurali in generale si rimanda a Fiocchi Nicolai 1999; Augenti 2016, pp. 125-132; Fiocchi Nicolai 2017. 33 CF, vol. I, p. 154; RF II, doc. 119, p. 103; RF II, doc. 63, p. 63. 34 Nella zona sotto il dominio dell’abbazia di Farfa sono attestate curtes e villae, come dimostrato dagli studi di Hubert per l’area del Turano (Hubert 2002).

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L’incastellamento nei Monti Lucretili 7.3.2. I primi castelli nel panorama rurale: cesura o continuità?

nel territorio. I centri di Castel del Lago, Fistula, Licenza, Macla, Montorio Romano, Nerola, Orvinio, Petra Demone, Scandriglia, Spogna e Vallebona, citati per la prima volta nei documenti farfensi e ubicati all’interno della medesima proprietà territoriale (che non necessariamente corrisponde alla proprietà eminente, come avremo modo di approfondire in seguito), potrebbero essere stati fondati proprio nella prima metà dell’XI secolo, ovvero quando nei documenti i toponimi vengono associati per la prima volta a dei termini che indicano una definizione territoriale. Sempre nell’XI secolo i castelli di Palombara Sabina51, Saccomuro, S. Polo dei Cavalieri e Turrita, ubicati nei pressi del confine del tenimentum Tyburis52, vengono menzionati dai documenti come esistenti. Nel XII secolo appaiono i castelli di Civitella di Licenza, Moricone e Percile per le proprietà farfensi, Marcellino e Poggio Runci nel territorio della diocesi Tiburtina.

I castelli del Lazio per i quali possediamo gli atti di fondazione sono molto rari; per l’area Sabina mancano totalmente le carte di incastellamento (o di popolamento) che avrebbero consentito di datare con precisione il momento della nascita di un castello, come nel caso della zona dei Colli Albani46. Nel distretto dei Monti Lucretili, però, tale assenza è compensata da una copiosa quantità di fonti scritte conservate che consentono di approntare un’attribuzione cronologica della genesi e sviluppo del nuovo sistema insediativo basato sull’unità castello47. Lo studio dei vocaboli, associato ai toponimi dei siti, è risultato essere determinante per la definizione delle datazioni relative dei castelli in termini ante quem. Nell’alto medioevo i toponimi vengono spesso accompagnati da parole indeterminate quali locus, vocabulum, fundus o semplicemente citati in quanto terre con casali e abitazioni, senza ulteriori descrizioni48. Tra il X e l’XI secolo entrano a far parte del lessico medievale nuovi termini che testimoniano la comparsa di nuove realtà territoriali, come ad esempio pertinentia, subjacentia, castrum e castellum, tutte espressioni connesse all’esistenza di spazi definiti e delimitati, che presuppongono la presenza di un centro direzionale49.

Per altri castelli, invece, abbiamo documenti solo più tardi, riferibili alla fase di pieno incastellamento, ovvero nel momento di massima espansione del fenomeno. Per Castiglione, Saracinesco, Montefalco, Monteverde, Roccagiovine i primi documenti conservati risalgono al XIII secolo. Solo per il castello di Santa Croce non ci sono fonti documentarie anteriori al XIV secolo, ma è ipotizzabile che la sua nascita sia da ricollegare o ad una seconda ondata di fondazioni castrensi nella zona oppure ad un’iniziativa di tipo signorile avvenuta ante XIII secolo53.

Dalle fonti è quindi possibile risalire alle prime attestazioni dei castra; inoltre, quando i toponimi dei siti vengono associati al termine “pertinentia” si ipotizza l’esistenza del castrum alla data del documento in cui viene citato50.

Nell’XI secolo i castelli sembrano essere ormai una realtà tangibile nel panorama insediativo del territorio dei Lucretili; la maggior parte dei castra, infatti, risulta essere già esistente a partire da questo secolo. L’analisi delle fonti porterebbe anche all’identificazione di una seconda fase di fondazioni, seppur meno considerevole, databile al XII secolo; va però precisato un aspetto: essendo dati riconducibili solo ad una periodizzazione ante quem, non è possibile escludere che la nascita di tali centri fortificati sia avvenuta in un momento anteriore.

C’è da fare però una doverosa premessa: il dato desunto dall’analisi delle fonti scritte non può mai considerarsi completo in assenza di un confronto con l’evidenza archeologica; in molti casi, gli elementi suggeriti dai documenti risulteranno essere parziali e non veritieri se non confrontati poi con le fonti materiali. L’accostamento tra dato archeologico e fonti scritte permetterà di migliorare la cronologia di molti castelli inizialmente desunta dalla lettura delle carte, consentendo quindi di approssimare una datazione più attendibile per ciascun insediamento, mettendo in evidenza i problemi che potrebbe comportare l’applicazione “solitaria” del metodo storico su delle realtà architettonicamente e materialmente evidenti. Le prime attestazioni dei siti quando già presumibilmente incastellati risalgono all’XI secolo; in questo momento i villaggi fortificati dei Lucretili sono una realtà già presente

Accordando questi elementi con il dato archeologico è stato possibile anticipare in alcuni casi il momento delle prime fasi edilizie dei castelli in materiale lapideo (che potrebbe non necessariamente coincidere con il momento dell’edificazione del castrum); è il caso di Castiglione e di Montefalco, dove le costruzioni conservatesi in elevato sono attribuibili per tecnica edilizia tra l’XI e il XII secolo, e Monteverde dove le strutture sono databili a partire dal XII secolo. Tali siti, anche se citati solo dal XIII secolo, dovevano quindi essere stati già edificati in un’epoca precedente (fig. 7.6).

La più antica carta di incastellamento conservata risale al 946, quando il vescovo di Velletri, Leone, concede dei territori presso i Colli Albani per la costruzione di un castello e per la costituzione delle sue pertinenze. Stevenson 1889, pp. 73-80; Toubert 1973, p. 974, nota 1; Toubert 1995, p. 60, nota 51; Beolchini 2006, p. 40, nota 142. 47 Per poter giungere ad una cronologia relativa è quindi necessario analizzare tutte le fonti che menzionano i toponimi dei futuri castelli, partendo però da una datazione anteriore al X secolo, epoca in cui inizia lo sviluppo del fenomeno nel Lazio. 48 Cfr. capitolo 4, paragrafo 4.1.1. 49 Toubert 1980, pp. 33-35; Toubert 1995, pp. 58-59. 50 Possiamo, quindi, arrivare con le sole fonti a delle datazioni ante quem.

Il castello di Palombara Sabina era ubicato al confine tra la diocesi Tiburtina e i possedimenti farfensi, probabilmente legato alle vicende del vicino monastero benedettino di San Giovanni in Argentella (Coste 1987). Il castrum sembrerebbe essere stato fondato per un’iniziativa signorile. Cfr. Coste 1987, p. 45 52 Cfr. Carocci 1988, p. 37, nota 35. 53 Non è possibile ottenere ulteriori elementi datanti sul castello di Santa Croce per l’inaccessibilità al sito. L’unica struttura documentata da Coste ed Esposito è la chiesa del castello, costruita con opera muraria a blocchetti riferibile al XIII secolo. Coste 1988, pp. 398-400; Esposito 1998, pp. 152-154, nota 2.

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I castelli dei Monti Lucretili

Fig. 7.6. Carta di distribuzione delle fondazioni castrensi tra l’XI ed il XIII secolo. Ipotesi di datazione suggerita dallo studio delle fonti scritte e dell’evidenza archeologica (elaborazione grafica M. Bernardi - Maps data: Google, ©2015).

Ritornando al dibattito sull’incastellamento in Italia, l’argomento dell’origine dei castelli rappresenta, forse, uno degli aspetti più discussi tra gli autori, con la proposta di differenti modelli che includono il fattore continuità o cesura delle forme insediative rurali dopo la nascita dei castra54. 54

Per l’area Sabina finora solo Toubert, sulla base delle fonti scritte, ha suggerito un modello di popolamento, sostenendo che il X secolo rappresenta un’epoca di forte cambiamento nella campagna dei dintorni di Roma, segnando una netta cesura con le precedenti forme insediative55 ed il repentino 55 Anche secondo Hubert il X secolo ha rappresentato un secolo di rottura per la Valle del Turano. Hubert 2002, pp. 155-250.

Tale argomento è stato già esaurientemente trattato nel capitolo 1.

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L’incastellamento nei Monti Lucretili anche confermato dalla campagna di ricognizione archeologica nel territorio del castello di Montefalco58. È anche vero che solo uno scavo archeologico è in grado di confermare o smentire le ipotesi suggerite dall’attività di survey, seppur intensiva. L’analisi stratigrafica è l’unico strumento in grado di rilevare una “assenza apparente” suggerita in prima istanza da indagini di superficie: ne è un esempio il sito di Montarrenti dove i dati delle ricognizioni sono poi stati superati da ricerche più invasive; solo scavando alcuni di questi castelli si potranno trovare nuovi elementi, magari inaspettati, sulla cronologia della loro nascita.

passaggio da un habitat rurale sparso e disperso ad un habitat accentrato e fortificato di altura56. Dagli elementi emersi dall’analisi delle fonti sembra però abbastanza evidente la coesistenza di insediamenti diffusi, disseminati in tutta la campagna, con i castelli: nei documenti vengono menzionate spesso le strutture insediative peculiari dell’abitato di tipo sparso, almeno fino al XII secolo. Con la nascita dei centri demici fortificati di altura non sembra avvenire una netta rottura con le precedenti forme di popolamento, ma tali sistemi insediativi vivranno insieme per lungo tempo, fin quando il sistema fondato sull’unità castello non risulterà essere vincente sulle altre forme di abitare. Tra il X e il XII secolo il paesaggio dei Monti Lucretili doveva essere quindi caratterizzato da castelli e da una serie di modesti nuclei insediativi disseminati nel territorio. Il ruolo eminente proposto da Toubert per il X secolo con la cesura del preesistente sistema insediativo è quindi da sfumare sulla base dell’analisi delle stesse fonti da lui esaminate.

7.3.3. Castelli di fondazione monastica o signorile: un’iniziativa laica in un patrimonio ecclesiastico I dati finora sintetizzati per l’area dei Lucretili consentono di riconoscere in almeno due momenti le fasi di fondazione dei castelli: la prima agli inizi dell’XI secolo (anche se non possiamo escludere una datazione anteriore di fine X), la seconda tra la fine dell’XI-inizi XII e il XIII secolo. Per alcuni siti nel XIII secolo si è compiuta una fase di riorganizzazione strutturale, con la costruzione di nuovi edifici o il rifacimento di alcuni già edificati, come suggerito dall’evidenza archeologica59.

Nei Monti Lucretili il sistema incastellato, a differenza di altri contesti regionali (anche all’interno della Sabina stessa), sembra emergere più nell’XI che nel X secolo. Nei documenti altomedievali, infatti, i toponimi legati poi in seguito alla realtà del castello, qualora già attestati per questo periodo, si riferiscono ad altre tipologie insediative, ben lontane dal concetto di castrum e di popolamento accentrato. Tali toponimi, inoltre, sembrano apparire nella maggior parte dei casi nelle fonti contestualmente allo sviluppo del fenomeno castrense, come ad indicare che le medesime zone non fossero state prima di quel momento antropizzate e quindi oggetto di interesse negli atti di acquisizione o di vendita per questa epoca.

La lettura delle fonti attinenti al periodo correlato alla nascita dei primi centri incastellati sembrerebbe indicare inizialmente una politica territoriale di tipo passivo del monastero di Farfa che, con la fine dell’impero carolingio e le incursioni compiute dai Saraceni, entra in un’epoca di profonda crisi subendo, proprio negli ultimi secoli dell’alto medioevo, il massimo frazionamento politico e amministrativo, cedendo il passo alle famiglie aristocratiche locali che gradualmente intraprendono un processo di acquisizione dei territori monastici. Il patrimonio farfense comincia quindi ad essere frammentato attraverso un continuo susseguirsi di elargizioni a favore di laici con donazioni o concessioni enfiteutiche. L’aristocrazia locale, a cavallo tra alto e basso medioevo, inizia così a porre le basi per una sua radicale affermazione nel territorio, attraverso la creazione di nuovi centri abitati che avrebbero portato alla parziale inclusione della popolazione rurale all’interno di un unico villaggio, il nuovo centro economico e produttivo nel panorama rurale che prenderà la forma del castello60.

L’attività di ricognizione sul campo sembra appoggiare l’ipotesi dello sviluppo dei villaggi fortificati di altura dei Lucretili a cavallo tra alto e basso medioevo. L’assenza di elementi materiali talvolta può dare importanti informazioni ai fini della ricostruzione di un paesaggio: i sopralluoghi effettuati nel territorio per rilevare le presenze archeologiche conservatesi per ogni castello non hanno restituito elementi che potessero far pensare all’esistenza di insediamenti relativi alla fase preincastellamento; non state infatti rilevate evidenze databili a prima dell’XI secolo. Tale dato “in negativo” potrebbe essere considerato, con le dovute cautele, un argomento a far propendere verso l’attribuzione dell’origine di questi centri di altura proprio verso l’XI secolo e non in un’epoca precedente, come invece riscontrato in molti siti poi incastellati della Toscana studiati da Francovich57.

Tra la fine del X e l’XI secolo tra le famiglie maggiormente attive nella zona vi è quella dei Crescenzi Ottaviani che, dopo aver ottenuto un vasto numero di proprietà nel territorio compreso tra Palombara Sabina, il corso del fiume Corese e il torrente Licenza, grazie ad una serie di elargizioni pontificie e a politiche matrimoniali, intraprende un lungimirante progetto di controllo delle campagne con l’edificazione dei castelli61. Principalmente nell’area della valle del Licenza i Crescenzi furono i

Non ci sono elementi ad oggi che rimandino ad una cronologia precedente per i castelli dei Monti Lucretili. Tutte le evidenze archeologiche, sia relative agli edifici che alla ceramica, escludono una datazione per questi insediamenti tra la tarda antichità e l’alto medioevo, quando sembrano non essere ancora popolati, come

Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.2. Cfr. Bernardi 2018b, pp. 140-141. 60 Toubert 1980, p. 132. 61 Amore 1979, pp. 222-223; Amore, Delogu 1983, p. 291. 58 59

56 57

Toubert 1973, pp. 330-338; Toubert 1995, pp. 67-74. Cfr. capitolo 1, paragrafo 1.3.

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I castelli dei Monti Lucretili primi sostenitori della nascita dei castelli per questa zona, detentori di Macla62, Spogna63, Fistula64 e Percile65.

e Vallebona, tutti territori che ritornano tra le proprietà eminenti del monastero74.

Tra i lignaggi protagonisti vanno menzionati anche i conti di Rieti e dei Marsi che otterranno molti possedimenti nell’area settentrionale del comprensorio tra il confine della diocesi di Sabina e quella di Rieti66: tra i castelli di loro proprietà rientranti nel territorio in esame vi sono Petra Demone67, Scandriglia68 e forse Vallebona, poi successivamente restituito a Farfa69.

Tutto questo accadde per la zona sotto la giurisdizione di Farfa; l’area dei Lucretili, tuttavia, rientrava in parte anche nel territorio sotto l’egemonia della diocesi di Tivoli75. Nel caso dei castelli collocati nella porzione meridionale del distretto, le fonti consentono di chiarire che gli enti ecclesiastici furono i principali promotori del fenomeno castrense, nonché gli unici detentori dei centri fortificati nella zona. Per il territorio della diocesi Tiburtina a confine con la diocesi Sabina sembrano assumere un ruolo importante le due abbazie minori di Santa Maria in Monte Dominici, oggi ubicata all’interno del centro abitato di Marcellina, e il già menzionato monastero di San Giovanni in Argentella nei pressi di Palombara Sabina che dovevano avere la probabile funzione di controllo del territorio di confine. Per questa area il Regesto della Chiesa di Tivoli nell’XI secolo cita i castelli di S. Polo (dei Cavalieri) e Turrita76, nel XII secolo Poggio Runci e Marcellino. Sempre nell’XI secolo un documento di Tivoli attesta per la prima volta il castrum Palumbarium77, il cui territorio sembra però essere stato usurpato al monastero di San Giovanni in Argentella agli inizi dell’XI secolo proprio dai Crescenzi78.

Alla luce di questi elementi è possibile concludere che le prime fondazioni castrensi sono avvenute per iniziativa signorile in un territorio religioso. L’aristocrazia locale, usurpando le terre di proprietà del monastero, ha dato vita ad una nuova forma insediativa nelle campagne con la creazione dei castelli, proponendosi come principale fautore della nascita del fenomeno. Non mancano però delle eccezioni: i castelli ubicati nei pressi del confine tra la diocesi Tiburtina e quella Sabina, a Sud del comprensorio Lucretile, avranno una diversa committenza e funzione, come vedremo a breve. L’abbazia di Farfa non ebbe però sempre un ruolo marginale nelle politiche territoriali. Durante il governo dell’abate Berardo I (1047-1089), il monastero iniziò lentamente ad uscire dalla crisi70 tentando di riprendersi il territorio ormai sotto dominio dei signori locali e il controllo diretto del patrimonio; tale iniziativa verrà poi rafforzata e affermata definitivamente dai successori di Berardo I71 che, applicando una politica territoriale più definita, riuscirono a riappropriarsi di molte delle proprietà illecitamente usurpate dall’aristocrazia rurale72.

La seconda ondata di fondazioni, accordando i dati delle fonti scritte con le evidenze archeologiche per i castelli abbandonati, sembrerebbe assumere per numeri un impatto minore sul territorio, con la costruzione di castelli scaglionata nel tempo, in un periodo compreso tra l’XIXII secolo fino al XIII secolo inoltrato. Anche per i castelli ascrivibili a questa seconda fase l’iniziativa alla base delle fondazioni sarebbe da ricondurre principalmente alla signoria laica, con la nascita di nuovi centri fortificati come Castiglione e Montefalco tra l’XI e il XII secolo, Monteverde e Saracinesco tra il XII e il XIII secolo79. Gli insediamenti di Roccagiovine e Santa Croce, di cui però non disponiamo di abbastanza elementi dalle fonti scritte e mancando inoltre ogni possibilità di confronto con dati archeologici, potrebbero in via del tutto ipotetica essere riferibili ad una fondazione tarda di XIII secolo, sempre da associare a questa seconda ondata di fondazioni castrensi (fig. 7.7).

A partire da questo momento l’abbazia inaugura una fase di trasformazione dei propri possedimenti attraverso la riorganizzazione del territorio ecclesiastico ed una nuova, seppur parziale, ondata edilizia che ha portato alla formazione di nuovi centri incastellati da popolare, come il caso dell’oppidum di Moricone73; tra le numerose nuove acquisizioni o concessioni da parte di signori locali vi sono anche alcuni castelli già edificati: Macla, Castel del Lago, Monte Aureo, Petra Demone, Percile, Scandriglia 62 RF IV, doc. 940, p. 334; CF, vol. II, p. 151. Cfr. Amore 1979, p. 223, nota 20. 63 Amore 1979, nota 21; Coste 1988, p. 402. 64 RF IV, doc. 940, p. 334. Cfr. Amore 1979, nota 22. 65 RF V, doc. 1205, pp. 197-198; CF, vol. II, p. 270. 66 Hubert 2002, pp. 269-271. 67 RF V, doc. 1083, p. 78; CF, vol. II, p. 168. Cfr. Amore 1979, p. 223 nota 23. LL, vol. II, doc. 2121, p. 332. RF V, doc. 1095, p. 90; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192; RF V, doc. 1255, p. 235. 68 RF V, doc. 1083, p. 78; CF, vol. II, p. 168; RF V, doc. 1095, p. 90; RF V, doc. 1095, p. 91; CF, vol. II, p. 171; CF, vol. II, p. 192. 69 RFV, doc. 1095, p. 90. 70 Dopo la devastazione saracena e anni di sventurata sorte, il monastero ricomincia a tornare protagonista nella gestione delle terre. 71 Berardo II (1089-1099); Beraldo III (1099-1119). Proprio quest’ultimo abate nella storiografia spesso viene menzionato come Berardus III; poiché i documenti latini del monastero di Farfa usano quasi sempre per lui (a differenza dei predecessori) la variante Beraldus, ho preferito mantenere questo nome nel volume. 72 Amore 1979, pp. 225-225; Amore, Delogu 1983, pp. 291-292. 73 RF V, doc. 1319, p. 310.

7.3.4. All’origine della nascita dei castelli: circostanze e cause del cambiamento Finora gli studi sui castelli medievali sono stati inclini ad indirizzare le motivazioni della nascita dei castra in almeno due correnti di pensiero. Prima di Toubert80 la soluzione maggiormente riconosciuta era collegata al pericolo barbarico, rappresentato dalle popolazioni dei Saraceni e Amore 1979, p. 228, nota 38. Carocci 1988, p. 34. 76 Ibidem, p. 36. 77 RT, doc. XI, p. 64, r. 26. 78 Pompili 1990, p. 31. 79 Come già detto, non mancano nuove costruzioni scaturite da un’iniziativa farfense come Moricone. 80 Toubert 1973; Toubert 1980; Toubert 1995. 74 75

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 7.7. Carta delle fondazioni castrensi: iniziative monastiche o signorili (elaborazione grafica M. Bernardi - Maps data: Google, ©2015).

Ungari che tra il IX e il X secolo saccheggiarono anche la regione Sabina81. Sebbene tale periodo di devastazione abbia fortemente segnato il paesaggio e condizionato gli stati d’animo della popolazione rurale indifesa, questa causa risulta tuttavia essere molto limitata per spiegare 81

il forte impatto che il fenomeno castrense ha avuto nelle dinamiche insediative a cavallo tra alto e basso medioevo, soprattutto perché, dopo circa un secolo dall’ultima invasione, la motivazione della difesa, con la volontà di proteggere la popolazione locale, risulta davvero poco convincente.

Leggio 1987, pp. 61-78; Montanari 2002, pp. 110-111.

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I castelli dei Monti Lucretili Toubert rifiuta infatti questa interpretazione, proponendo una causa economica alla base della nascita del fenomeno, da collegare all’imponente crescita demografica registratasi tra il X e l’XI secolo82.

Nella scelta del luogo dove costruire il nuovo sito vengono privilegiate le alture (forse) non edificate, con una buona visibilità sul territorio circostante e provviste di fonti naturali d’approvvigionamento in grado di garantire il regolare svolgimento di una vita comunitaria dedita alla pastorizia e al lavoro nei campi.

nuovi villaggi fortificati; l’unione di questi due elementi è stata la causa scatenante di ogni nuova fondazione castrense, in assenza della quale un insediamento non può essere definito come castrum. Tutti i castelli dovevano essere dotati, quindi, di un’ubicazione strategica dalla quale era possibile controllare tutto il territorio di pertinenza e le principali vie di comunicazione; allo stesso tempo la scelta del luogo doveva essere subordinata alle caratteristiche ambientali del paesaggio circostante, che doveva essere provvisto di spazi agricoli idonei per lo sviluppo, più o meno intensivo, delle attività economiche di sussistenza legate alla agricoltura e alla pastorizia. Benché la compresenza di ambedue le funzioni sia quindi alla base di ogni fondazione castrense, non sempre esse concorrono in modo paritario nella scelta della sua localizzazione. La preferenza di zone molto impervie e collocate ad un’alta quota sopra il livello del mare deve essere collegata alla predominante motivazione strategica e di difesa del territorio nell’ambito della conflittualità tra i poteri locali, sia laici che ecclesiastici; protezione non tanto da un pericolo esterno, come ad esempio le popolazioni barbariche, ma bensì legato alle lotte per la conquista del potere a livello locale.

Osservando la distribuzione topografica dei castelli dei Monti Lucretili è possibile individuare delle differenze (fig. 7.8)84. Esistono, infatti, almeno due macro-categorie di castra: castelli con prevalente funzione strategica e castelli con predominante vocazione produttiva. L’elemento strategico e quello economico erano le due peculiarità dei

La volontà di controllare il territorio di confine e le vie di comunicazione è anche confermata dalla realizzazione di fondazioni castrensi ubicate in punti strategici all’interno della diocesi Tiburtina; tali centri vennero costruiti in qualità di ultimo baluardo difensivo nonché di controllo, ubicandosi proprio in corrispondenza del limite delle

Con la promessa di vivere in comunità e con la possibilità di poter avere un proprio lotto, una propria abitazione ed una terra da gestire, la società rurale sarebbe stata attratta dal nuovo progetto, disposta a modificare le proprie abitudini con la garanzia di una vita migliore, da condividere con la collettività e con la protezione di un personaggio eminente. Lo stesso dominus, promotore dell’iniziativa, avrebbe avuto l’opportunità di sfruttare le ampie risorse agricole attraverso l’impiego della manodopera presente nel castello83 e tenendo sempre sotto controllo l’intera popolazione contadina con il pretesto della protezione all’interno dell’abitato.

Fig. 7.8. Distribuzione topografica dei castelli dei Monti Lucretili - simulazione 3D. In verde i castelli abbandonati, in azzurro i castelli con continuità insediativa (elaborazione grafica G. De Coste - Maps data: Google, ©2015). Toubert 1995, p. 60. Ibidem, pp. 63-65; Wickham 2013, pp. 61-80. 84 La scelta dei siti dove costruire i nuovi insediamenti risulterà poi essere essenziale ai fini delle motivazioni degli abbandoni selettivi dei castelli, ma tale argomento verrà trattato in seguito. 82 83

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L’incastellamento nei Monti Lucretili stratigrafici, come abbiamo più volte sottolineato; ad ogni modo, l’evidenza archeologica, supportata e confrontata sempre con le fonti scritte, può esserci ancora d’ausilio al fine della formulazione di una teoria sulle iniziali fasi edilizie dei castelli.

proprietà. Tali castelli furono edificati laddove non vi fosse un confine naturale di difesa, fondati su iniziativa ecclesiastica per controllare le principali arterie stradali, i maggiori crocevia commerciali e per monitorare i territori di frontiera. Questi fortilizi costituiscono degli avamposti difensivi, ultime barriere di un territorio al confine, dove le zone più marginali dovevano essere segnalate (ed esplicitate) attraverso la presenza di fortificazioni, emblema dell’egemonia di una autorità sul territorio.

Un caso dove l’assenza, che ricordiamo essere un dato significativo seppur in negativo, gioca un ruolo importante nella comprensione del primo fenomeno costruttivo dei centri fortificati, è rappresentato dal castello di Fistula, sito ben noto dalle fonti farfensi ma completamente scomparso sia dal territorio che dalla conoscenza popolare, probabilmente uno dei primi centri ad essere incastellato agli inizi dell’XI secolo e (presumibilmente) dopo poco abbandonato91. La ricerca sul territorio ha portato all’identificazione del sito di Fistula sulla base degli indicatori archeologici rintracciati in situ, che non si compongono di resti architettonici o monumentali macroscopici (come nella maggior parte dei siti identificati), ma bensì di numerose aree di frammenti fittili databili all’epoca bassomedievale che hanno autorizzato a congetturare l’identificazione del sito con un castello medievale92. Nel sito identificato come Fistula, nell’attuale località di Monte Castellano (nei pressi di Orvinio), è stata individuata nel terreno l’evidente traccia di un massiccio muraglione dallo spessore di circa 1 m, oggi totalmente distrutto in elevato, il cui andamento è ancora evidente nella porzione Ovest. Altri allineamenti murari sono riconoscibili sulla sommità dell’insediamento, forse interpretabili come strutture appartenenti alla rocca castri, che sappiamo essere certamente presente nel castello grazie alle fonti.

7.3.5. Le prime fasi edilizie dei castelli sulla base dei resti archeologici (XI-XII secolo) Dopo aver chiarito le fasi di fondazione dei primi castelli dei Lucretili attraverso i documenti è ora necessario approfondire l’argomento dal punto di vista archeologico. Come erano costruiti originariamente i castra? La questione delle prime fasi edilizie è stata materia di dibattito, specialmente alla luce dei risultati ottenuti dagli scavi compiuti in molteplici contesti castrensi della Toscana, dove le tracce archeologiche hanno provato l’esistenza sia di un’originaria fase edilizia realizzata in materiale deperibile che la preesistenza di un abitato ante castrum85. Tali risultati divergono totalmente dalla teoria espressa da Toubert, che invece ipotizza la costruzione dei centri fortificati direttamente in materiale lapideo86; oltre alla cinta muraria e alla rocca, secondo Toubert, anche le abitazioni contadine del burgus dovevano essere costruite in muratura87. Negli ultimi decenni presso la valle del Turano nella Sabina reatina, come abbiamo già avuto modo di approfondire88, sono state portate avanti numerose campagne di scavo in diversi contesti incastellati che hanno mostrato le tracce di una prima fase edilizia dei castra costruita in materiale deperibile, sostituita poi da edifici in pietra edificati tra l’XI e il XII secolo: è il caso dei siti di Sant’Agnese, Montagliano e Castiglione89.

L’assenza di strutture conservate in elevato è in ogni caso un dato rilevante: è possibile, infatti, che il castello di Fistula abbia avuto un’unica fase edilizia, individuabile solo attraverso un intervento di scavo, realizzata principalmente attraverso l’utilizzo di materiale ligneo; la cinta muraria e forse la rocca sono le uniche due opere architettoniche concepite sin dal principio in muratura, baluardi di difesa nel nuovo abitato. È verosimile che Fistula sia stato uno dei primi centri all’interno del territorio di Farfa ad essere abbandonato, come anche confermato dall’assenza di fonti dopo il XII secolo, e l’unico del comprensorio Lucretile a non aver subìto una fase di riedificazione monumentale in materiale lapideo.

Solo presso Castiglione sono state scoperte buche di palo, probabilmente riferibili ad una precedente occupazione del sito durante l’alto medioevo, che indicherebbero quindi l’esistenza di un nucleo abitato, non fortificato, prima del castello; tale testimonianza viene anche avvalorata dal ritrovamento di alcuni frammenti ceramici di epoca altomedievale come la vetrina pesante, ma tale ipotesi è ancora tutta da verificare90. Allo stato attuale gli scavi archeologici intrapresi da Hubert nella valle del Turano sono gli unici esempi di indagini stratigrafiche di castelli nell’area sabina, e i loro dati hanno portato ad una messa in discussione del modello proposto da Toubert.

Si può supporre che nei castelli medievali dei Lucretili la fase di monumentalizzazione architettonica in pietra sia ricollegabile, il più delle volte, solo ad un secondo intervento edilizio nei siti, avvenuto verosimilmente in un tempo non troppo lontano dal momento della fondazione. La prima fase edilizia in materiale deperibile dei castra è forse da collegare al fattore della celerità: i signori locali potrebbero avere avuto la necessità impellente (ma apparente) di realizzare i loro fortilizi in breve tempo, recintando dapprima in pietra le sole strutture con funzione di demarcazione della proprietà e la sede del potere signorile; con tale espediente

È molto difficile determinare le prime fasi edilizie dei castelli abbandonati senza una comparazione con i dati Cfr. capitolo 1 paragrafo 1.3. Toubert 1995, pp. 70-74. 87 Ibidem. Solo gli scavi archeologici in diversi contesti castrensi della Sabina potrebbero sciogliere tale dilemma. 88 Cfr. capitolo 3, paragrafo 3.2.1. 89 Hubert 2002, pp. 43-109 e 111-113. 90 Ibidem, pp. 97-109. 85 86

91 92

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Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.3. Bernardi 2015a. Cfr. capitolo 7, paragrafo 7.1.

I castelli dei Monti Lucretili 7.4.1. Dinamiche insediative e controllo del territorio delle famiglie baronali nei Lucretili

la popolazione ha accettato, visibilmente e materialmente, di essere assoggettata ad un dominus che sulla carta aveva il ruolo di “protettore” o “benefattore” per i contadini, ma di fatto poneva un controllo diretto sulla società.

Nell’area della Sabina il lignaggio che maggiormente affondò le sue radici fu la famiglia degli Orsini, che in meno di tre secoli riuscì ad impadronirsi di numerose proprietà attraverso acquisizioni e donazioni di avamposti strategici101.

Alla luce di questi nuovi dati, le cronologie suggerite finora negli studi sulle tecniche edilizie medievali andranno riconsiderate, almeno per il contesto dei Lucretili. La forcella cronologica delle datazioni delle murature irregolari in bozze e bozzette va pertanto spostata in avanti, in un periodo più vicino all’XI e XII secolo piuttosto che al X secolo93.

Inizialmente il potere del casato venne fortificato dal tipo di politica territoriale intrapresa della Curia Romana che, tramite una sequenza di elargizioni pontificie, favorì l’introduzione nel territorio laziale del lignaggio de fili Ursi, instradando così il radicamento di tale famiglia nel contado. Le prime donazioni territoriali furono promosse da papa Celestino III, che donò gli abitati di Vicovaro, Burdella e Cantalupo102; con queste prime donazioni iniziò l’espansione degli Orsini in Sabina.

7.4. Lo sviluppo dei castelli nel periodo delle baronie (XIII-XV secolo) Con il XIII secolo la società romana inizia una fase di forte cambiamento, avviato già dal secolo precedente con la creazione del Comune e la progressiva metamorfosi del potere temporale rappresentato dalla Chiesa94. Tali circostanze portarono ad una maggiore emancipazione dell’aristocrazia cittadina che, a partire da questo secolo, cominciò a divenire sempre più protagonista nelle dinamiche urbane, in molteplici circostanze favorita dalla protezione dei pontefici. Alcune antiche famiglie aristocratiche, come i Pierleoni o i Frangipane, confermarono la loro posizione all’interno della società, altre invece iniziarono a distinguersi nella scena politica, divenendo sempre più gli interpreti principali negli affari pubblici95: fino al XV secolo le nuove baronie determinano la storia della città di Roma e del Lazio96.

A partire dalla fine del XII secolo la politica territoriale della famiglia baronale mirò sempre più ad espandersi in quest’area, conquistando la maggior parte dei castelli già edificati. La campagna espansionistica degli Orsini proseguì con l’acquisizione dei castelli di Civitella103 e Licenza104, nel XIII secolo con Castel del Lago (sottratto ai Colonna per mano di Bonifacio VIII)105, Percile106, Poggio Runci107 e Saccomuro108. Dal XIV secolo iniziarono ad impadronirsi anche di tenute ormai distrutte come Marcellino109 e Turrita110 ed i castelli di Nerola111, Orvinio112, Carocci 1988, pp. 39-40. Allegrezza 2006a, p. 327. 103 ASC, Archivio Orsini, II.A.01,021; OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272-1714; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036; ASC, Archivio Orsini, II.A.05,033; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051. 104 Amore 1983, p. 292; OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272-1714; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017. 105 Silvestrelli 1940, vol. I, p. 274; Amore 1979, p. 232; Amore, Delogu 1983, p. 295. ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001; ASC, Archivio Orsini, II.A.04,032; ASC, Archivio Orsini, II.A.04,035. 106 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,003; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036. 107 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,025; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017. 108 ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.02,026; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,014; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,023; ASC, Archivio Orsini, II.A.03,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.04,001. 109 ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,030; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,040. 110 Cfr. Coste 1988, p. 404. ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024. 111 ASC, Archivio Orsini, II.A.09,007; ASC, Archivio Orsini, II.A.10,016; ASC, Archivio Orsini, II.A.10,015; ASC, Archivio Orsini, II.A.11,039; ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,055; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057; ASC, Archivio Orsini, II.A.21,065; ASC, Archivio Orsini, II.A.16,042; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02. 112 ASC, Archivio Orsini, II.A.07,026; ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029. 101 102

Tra i lignaggi che maggiormente cavalcarono l’onda di tale epoca vi fu la famiglia de fili Ursi, meglio nota come Orsini97, il cui capostipite Orso di Bobone, discendete dei Boboni o Boveschi da cui ben presto si distaccò formando la nuova stirpe, ricevette in un primo momento la protezione di papa Celestino III (1191-1198)98, pontefice di cui era nipote99, che garantì a questo nuovo lignaggio emergente potere, prestigio e molti beni, anche immobili. Nel secolo successivo la casata degli Orsini fu ancora protetta dai pontefici, in particolar modo da papa Bonifacio VIII (1294-1303) che li favorì nella lotta contro i Colonna, famiglia a cui confiscò un gran numero di proprietà; gli Orsini col passare degli anni diventarono così grandi possidenti, proprietari di vaste aree rurali nei dintorni di Roma, costruendo i propri feudi nella Campagna Romana, nel viterbese e in Abruzzo100. Nel testo sulle tecniche murarie della Sabina Mauro De Meo propone alcune cronologie dei paramenti molto precoci, che andrebbero forse riviste sulla base di quanto appena affermato. De Meo 2006. 94 Carocci 1993, pp. 17-18. 95 Ibidem, pp. 24-25. 96 Carocci 1997, pp. 167-198. 97 Sulla storia del casato Orsini si veda Carocci 1993, pp. 387-403; Allegrezza 1998; Allegrezza 2000, pp. 327-342; Allegrezza 2006a, pp. 327-333. 98 Carocci 1993, p. 27. 99 Ibidem, pp. 387-388. 100 Allegrezza 2006a, pp. 328-329. La famiglia Orsini, in particolar modo il ramo di Tagliacozzo, possedeva molte proprietà nel territorio abruzzese. Per ulteriori approfondimenti si veda Carocci 1993, pp. 387-400. 93

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L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 7.9. Carta di distribuzione dei castelli di proprietà Orsini e delle altre famiglie baronali tra la fine del XII e il XV secolo (elaborazione grafica M. Bernardi - Maps data: Google, ©2015).

Roccagiovine113 e S. Polo114. Nel XV secolo si assicurarono

il territorio di Monteverde115, Spogna116, Vallebona117

Cfr. Silvestrelli 1940, vol. I, p. 271; Martinori 1933-1934, vol. I, p. 210. ASC, Archivio Orsini, II.A.05,012; ASC, Archivio Orsini, II.A.18,058. 114 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022; ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024. Cfr. Silvestrelli 1940, vol. I, p. 264.

115 OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 3 Roma - S. Salvatore in Lauro 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041; ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 040; OAC, Archivio Orsini, Box 50, Folder 1 Cantalupo e Bardella (Mandela) 02; OAC, Archivio Orsini, Box 141, Folder 1 S. Polo 01. 116 ASC, Archivio Orsini, II.A.16,058; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041. 117 ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029; ASC, Archivio Orsini, II.A.17,028.

113

200

I castelli dei Monti Lucretili 7.5. Agricoltura e spazi agrari dei castelli: alcune ipotesi sulle coltivazioni dei Lucretili

ed i castelli di Montorio Romano (per un brevissimo lasso di tempo)118 e Scandriglia119; nello stesso secolo ottennero anche la tenuta di Petra Demone, castello ormai abbandonato120. Nel XVI secolo Flavio Orsini decise di costruire nei pressi dell’abbandonato castello di Montefalco il nuovo abitato di Monteflavio, centro edificato ben dopo l’abbandono del vicino sito e che non ha di conseguenza inglobato la popolazione del suddetto centro121.

Tra i castelli abbandonati di proprietà Orsini, Saccomuro conserva ancora l’atto statutario del 1311130: l’esistenza di tale documento costituisce un valore aggiunto per comprendere direttamente le consuetudini e le regole sancite in una vita comunitaria all’interno di un castello di proprietà baronale.

Tra le altre famiglie baronali attive nel territorio Lucretile, anche se in minor misura, vi sono i Savelli, con la proprietà dei castelli di Monteverde (poi Orsini)122, Montorio Romano (nel XV)123, Palombara Sabina124 e Santa Croce125; i Colonna, proprietari per brevissimo tempo di alcuni castelli collocati nella porzione orientale del distretto con Castel del Lago ed Orvinio126, i conti di Palombara con Moricone127 ed infine i Boccamazza con la proprietà del castello di Saracinesco128.

Lo statuto, facente parte delle pergamene Orsini conservate presso l’ASR ed edito da Francesco Tomassetti131, disponeva che il dominus132, accordandosi con tre rappresentanti della popolazione del castello, doveva garantire ai propri abitanti diritti e doveri. Ogni nucleo familiare poteva costruire una domus terrina in muratura, possedere un orto personale, una canapina (campo di canapa) e la possibilità di far pascolare il bestiame nel territorio del castello a patto di donare ogni anno, in occasione di precise festività religiose, animali e altri generi alimentari sia al signore che alla Curia Romana133. Tra i doveri della popolazione vi era il lavoro nelle terre del dominus, non solo nel territorio di pertinenza del castello, ma anche in altri suoi possedimenti. Dal documento si evince che agli inizi del XIV secolo fra le attività praticate dagli abitanti del centro vi erano principalmente l’agricoltura, che sembra essere anche di tipo intensivo, e la pastorizia. Dallo statuto sappiamo che nel territorio di Saccomuro diverse erano i tipi di colture: le produzioni maggiormente attestate sono quelle del vino, dell’olio, della canapa, di legumi e di frutta134.

Per la protezione dei territori conquistati gli Orsini programmarono delle attente strategie familiari, al fine di custodire il patrimonio acquisito negli anni attraverso la concretizzazione di un complesso programma di politiche matrimoniali da accordare con le famiglie dell’alta nobiltà locale. Nonostante l’esistenza di diverse ramificazioni dello stesso casato, come ad esempio il ramo di Tagliacozzo o il ramo di Licenza, gli Orsini ebbero un concorde disegno di potere, con l’obiettivo finale di plasmare un’unità territoriale ben definita e unita129. La famiglia baronale iniziò a modellare il proprio patrimonio fondiario assicurandosi dapprima la zona della valle del Licenza, un’area favorevole allo svolgimento delle attività agricole e di pastorizia, anche per la presenza di importanti risorse idriche come lo stesso fiume Licenza; la conquista di tale zona consentiva anche il pieno controllo del territorio e della viabilità in generale; la presenza del Licenza, vista la sua stagionale navigabilità, costituiva inoltre un forte vantaggio nei traffici commerciali.

Il paesaggio intorno ai castelli doveva caratterizzarsi per la ricchezza e la varietà di ambienti, che ben si prestavano allo svolgimento di diversificate attività economiche. Un documento del 1276 dell’Archivio Borghese in cui si parla della vendita del castello di Palombara cita in tale circostanza anche il territorio del limitrofo Castiglione che sappiamo doveva configurarsi “(…) cum terris cultis, et incultis, ortis, pratis, pascolis, canepinis, stirpentis, montibus, collibus, et vallibus, aquis, aquarum, decursibus (…)135”, confermando quindi l’ampiezza del territorio di pertinenza di ogni centro fortificato. I territori dei castelli dovevano inglobare anche ampie aree ricche di risorse naturali, essenziali per le attività lavorative e artigianali.

Col passare degli anni, gli Orsini riuscirono ad ottenere tutti i maggior avamposti di difesa della zona, assicurandosi il pieno controllo del territorio (fig. 7.9). 118 ASC, Archivio Orsini, II.A.17,037; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01. Cfr. Silvestrelli 1940, vol. II, p. 401. 119 ASC, Archivio Orsini, II.A.11,043; OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01. ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057; ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053; ASC, Archivio Orsini, II.A.16,015; OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01; OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 - Eredità Romana Orsini di Gravina 02; OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01. 120 ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036; ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051. 121 Coste 1988, p. 393. 122 ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. Coste 1988, p. 395. 123 Cfr. Silvestrelli 1940, vol. II, p. 401. 124 ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3. Cfr. Martinori 1933-1934, vol. II, p. 135; Paravicini Bagliani 1980, p. 480. 125 Celani 1892, p. 248; Coste 1988, p. 399. 126 Presutti 1912, p. 103. 127 ASC, Archivio Orsini, II.A.16,050. 128 BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.1, pp. 132-139; BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.7, p. 59. Cfr. Paravicini Bagliani 1980, p. 374. 129 Allegrezza 2006a, p. 330. Sui contratti matrimoniali Carocci 1988, pp. 220-250.

Il molto più tardo statuto di Petra Demone, sebbene redatto nel 1801 ad oltre tre secoli dall’abbandono del castello, che rientrava ancora tra le proprietà di Farfa e a cui resterà sempre legato, può fornirci un utile confronto sui tipi di coltivazioni esistenti nel territorio dei Lucretili, comparando i dati qui suggeriti con quelli dei documenti di epoca medievale136. Lo statuto fa parte delle pergamene Orsini conservate presso l’ASC, edito in forma integrale da Tomassetti 1930. 131 ASR, Archivio Orsini, II.A.03,014, edito in Tomassetti 1930. 132 Il castello di Saccomuro nel 1311 era di proprietà di Giovanni di Francesco Orsini. 133 Tomassetti 1930, pp. 357-359. 134 Ibidem. 135 ASV, Archivio Borghese, 736, n. 260. 136 ASV, Archivio Borghese, 155, n. 272. 130

201

L’incastellamento nei Monti Lucretili A tali tracciati si doveva poi accostare un ulteriore schema viario, caratterizzato da diverticoli funzionali alla comunicazione con le zone meno inserite nella grande percorrenza: dapprima assicurando il collegamento con le strutture agrarie in pianura, poi, dopo la fondazione dei castelli, anche con quelle di altura. Questi percorsi dovevano seguire nella loro conformazione l’andamento geomorfologico del terreno, legando quindi zone pianeggianti a zone più impervie e difficili da raggiungere. Con la nascita dell’incastellamento anche le infrastrutture stradali sembrano subire delle modifiche sostanziali, segnalate nelle fonti scritte da nuove definizioni terminologiche che vanno a inquadrare un nuovo sistema viario a servizio dei nuovi centri, più strutturato e organizzato140. Nei contesti rurali il cambiamento delle forme di popolamento con l’introduzione dei castelli ha generato alcune trasformazioni nella viabilità in grado di fronteggiare le necessità degli emergenti centri abitati. Oltre all’utilizzo del sistema viario antico (le vie consolari rimangono in ogni caso le principali vie di comunicazione della zona141), in questa fase vengono realizzati nuovi percorsi in grado di rispondere alla necessità di collegare i nuovi insediamenti con i centri urbani, favorendo quindi sia gli spostamenti che i traffici commerciali. Si impianta nel territorio una fitta rete di percorsi: accanto alle strade a maggior percorrenza definite come vie publice, antique, carrarie o maiores, figurano anche le strade pedariole, podanee e domnice ad indicare una percorrenza pedonale e talvolta persino elitaria142.

Nel documento si intimano i coloni dei limitrofi castelli di non prelevare indebitamente dal territorio di Petra Demone frutti, di non cavare gli alberi dai boschi o tagliare arbusti (se tali reati venivano commessi durante la notte la pena era duplicata) e levare paglie e fieni137. In un passaggio dello statuto si fa poi riferimento indirettamente al tipo di colture della zona, che non dovevano a loro volta essere coinvolte in atti di razzia da parte delle popolazioni dei limitrofi abitati: si parla di ghiande, grani, biade, spelte, orzo, farro, fave, granturchi138 confermando quindi, anche per quest’area, le medesime colture praticate in altre zone del comprensorio, fortemente legate alle piantagioni di leguminose e cereali. La ricorrente menzione di coltivazioni tessili quali canapa e lino, anche nei documenti medievali come nello statuto di Saccomuro, suggerisce l’esistenza di attività legate alla tessitura esercitata grazie alla produzione di fibre; in via del tutto ipotetica possiamo immaginare per il periodo medievale un circuito commerciale extra castello legato anche alle attività tessili. 7.6. Viabilità, transumanza e commercio della neve: infrastrutture e attività economiche nei Monti Lucretili nel medioevo I castelli, sebbene relegati nel loro piccolo microcosmo recintato, non potevano essere del tutto svincolati dalle attività sociali ed economiche che consentivano ad ogni centro e alla sua popolazione di durare nel tempo come comunità.

Oltre alle infrastrutture stradali, il paesaggio rurale doveva comporsi di altre vie, in questo caso strettamente legate alle attività economiche proprie di un territorio come la transumanza e i commerci “particolari”.

Nell’ambito di tale studio, non possiamo non considerare il tema dei commerci, strettamente legato a quello delle infrastrutture, stradali e fluviali, che potevano garantire il regolare scambio di generi alimentari e di materie prime con i maggiori centri urbani.

Difficile definire oggi le vie della transumanza, antichi percorsi legati al pastoralismo, meglio noti anche come tratturi, che dovevano fortemente caratterizzare i territori montani già a partire dall’epoca pre e protostorica143.

Il distretto dei Lucretili durante l’epoca a cavallo tra alto e basso medioevo poteva garantire il collegamento con Roma e Tivoli attraverso una rete stradale che doveva ricalcare per grandi linee, sebbene in proporzioni ridotte, l’assetto viario di epoca romana costituito dalle vie consolari139. Il limite meridionale Lucretile è interessato in parte dalla via Tiburtina Valeria, alla quale si affianca il fiume Aniene, il maggior affluente del Tevere. Da tale via si diramava una strada ad essa perpendicolare, la Licinese, che attraversa ancora oggi da Nord a Sud l’intera parte centro-orientale del distretto, garantendo il collegamento tra i centri che ad essa si affacciavano, sia a Nord-Ovest verso la Salaria che a Sud-Ovest verso la Tiburtina.

Per l’area dei Monti Lucretili lo spostamento stagionale degli animali da pascolo non sembra aver subìto soluzione di continuità durante il medioevo, così come nell’intera area della Sabina meridionale e tiburtina144. È verosimile che in questo territorio venisse praticata stagionalmente sia la transumanza verticale, ovvero quella legata alla risalita verso le zone di altura durante i mesi estivi, sia quella orizzontale, che doveva invece movimentare le mandrie e i greggi verso le zone più pianeggianti nei mesi invernali. In entrambi i casi si tratta, però, di transumanza a corto e medio raggio, poiché tale attività doveva svilupparsi principalmente a livello locale e non ad ampio raggio, come invece attestato in altre zone appenniniche come nel

Un’altra importante via di percorrenza che interessa il settore Sud-occidentale dei Lucretili, verosimilmente utilizzata anche nel medioevo ricalcando un’antica via di transumanza, era la via Maremmana Inferiore che corre lungo le pendici di Monte Gennaro.

Ibidem, p. 397. Mari 2005, p. 81. 142 Leggio 1999, pp. 397-398. 143 Per una definizione di tratturo cfr. Farinetti 2012, p. 20. Per uno studio sulla transumanza in Umbria e nella Sabina si rimanda a Camerieri, Mattioli 2014. 144 Migliario 1988, p. 75. Più in generale sulla pastorizia nell’Agro Romano tra l’epoca antica e il medioevo si rimanda a Mengarelli 2010. 140 141

Ibidem, cap. 1-5. Ibidem, cap. 6 e 10. 139 Leggio 1999, pp. 392-393. 137 138

202

I castelli dei Monti Lucretili vicino Abruzzo145. Diverse sono le zone tuttora interessate dal pastoralismo: è il caso del Pratone di Monte Gennaro e della limitrofa area di Campitello, dove la grande estensione di terreni pianeggiati ad alta quota (a più di 1.000 m s.l.m.) ben si prestava alla pratica di questa attività, anche per la copiosa presenza di foraggio e di risorse idriche. Anche il Monte Pellecchia doveva essere interessato dalla pastorizia nei mesi estivi, come tuttora avviene. La transumanza di tipo orizzontale doveva concentrarsi nel territorio intorno a Palombara Sabina, dove un’ampia e fertile zona di pianura poteva garantire tale pratica nei mesi più rigidi.

Sul commercio della neve durante il medioevo non abbiamo testimonianze scritte per il contesto dei Lucretili; ad ogni modo, sia la toponomastica che, in taluni casi, le evidenze archeologiche, possono aiutarci a documentare l’esistenza anche nel medioevo dell’attività legata allo stoccaggio e alla vendita in questo territorio. È, infatti, ipotizzabile che, come per il sale151, anche tale commercio sia proseguito nel corso del medioevo, seppur non costantemente (specialmente nell’alto medioevo), e poi sarebbe continuato regolarmente fino a tempi più recenti152.

Nei contesti montani è facile ritrovare sulle carte dei toponimi parlanti che richiamano la presenza nel territorio di alcuni specifici commerci. La Sabina è sempre stata “rinomata” per il commercio del sale, che veniva trasportato dalle saline di Ostia verso le zone più settentrionali percorrendo l’eponima via Salaria, garantendo nei secoli la sua percorrenza. Il commercio del sale, come abbiamo avuto già modo di vedere, nel corso del medioevo è sotto il monopolio dapprima della Chiesa di Roma, poi del Comune, ritornando poi nuovamente sotto il controllo della Reverenda Camera Apostolica verso il XIV secolo. Insieme al sale, anche la neve è un elemento essenziale nell’alimentazione, utilissima risorsa per la conservazione dei cibi o per la loro produzione, ma anche utilizzata per la cura dei malati. Il mercato romano, così come i più floridi centri urbani laziali, si riforniva della neve proveniente dalle zone di montagna, come testimoniato già dalle fonti latine146, seguendo percorsi ben definiti, ma di entità complessa per tutti gli accorgimenti da tenere durante il trasporto per non rischiare di sciogliere il bene nel tragitto intaccando la tenuta termica e comprometterne, quindi, la distribuzione147.

La neve, come il sale, doveva seguire delle precise rotte, sia terrestri che fluviali, in grado di condurla prima verso i piccoli centri per poi arrivare alla città. Nei Lucretili, oltre alle maggiori vie di percorrenza appena illustrate, abbiamo due risorse idriche, sicuramente navigabili stagionalmente, che anche durante il periodo medievale potevano garantire lo spostamento delle merci: il fiume Licenza, che sfociando nell’Aniene poteva assicurare le movimentazioni di generi da Nord a Sud, e il fosso Corese, a Nord-Ovest del comprensorio, che invece con il suo porto, attestato dalle fonti dal XII secolo e di cui Farfa aveva garantiti i diritti, poteva assicurare la diretta comunicazione con Roma via Tevere153. Ma prima di arrivare a queste ultime fasi legate alla viabilità fluviale, come veniva trasportata la neve dai monti e quali erano le aree che potevano assicurare tale commercio? Le zone dei Lucretili che meglio si prestavano allo sfruttamento di tale risorsa erano il Monte Gennaro, che domina la porzione Sud-Ovest del distretto, e il Monte Pellecchia, nei pressi di Monteflavio (ma raggiungibile anche dal versante della valle del Licenza), dove si conoscono più nel dettaglio le caratteristiche di tale commercio. Sulla cima del Pellecchia sono attestati già dalle fonti scritte numerosi “pozzi della neve”, cavità naturali ipogee esposte a Nord di forma tronco-conica rovesciata, che dovevano contenere la neve che qui si depositava genericamente tutto l’anno154.

Il trasporto e il commercio della neve sono proseguiti, con forse un rallentamento nell’alto medioevo, fino a tempi più recenti, ma regolati da contratti concessi dallo Stato Pontificio che a partire dal Cinquecento consentiva la “privativa raccolta e vendita della neve e del ghiaccio naturale” entro un circondario di 60 miglia da Roma148. Come descrive perfettamente Scotoni, l’autore che maggiormente si occupò di questo tema per Roma, “la neve veniva raccolta e compressa per srotolamento e subito era trasportata ai pozzi o alle “conserve”, per esservi immagazzinata; qui veniva ulteriormente compressa mediante battitura con i magli e così assumeva caratteristiche e densità simili al nevato dei ghiacciati149”.

Dei percorsi dedicati, definiti come “vie della neve”, assicuravano il trasporto verso le zone più a valle. La neve, una volta estratta dai pozzi sulle creste dei monti, veniva ricoperta da paglia come isolante termico, accatastata in balle e trasportata su carri lungo le vie di percorrenza (spesso gli spostamenti avvenivano durante la notte, proprio per scongiurare il pericolo dello scioglimento). Lungo le antiche strade della neve è possibile trovare ancora delle piccole chiese dedicate alla Madonna della Neve155. L’esistenza di tali luoghi di culto testimonia il forte carattere devozionale che doveva assumere questa attività, fortemente radicata nel territorio e legata alla popolazione autoctona che doveva partecipare attivamente

Roma e il suo suburbio dovevano quindi essere dotati in epoca moderna di conserve in muratura, luoghi adibiti alla conservazione in città della neve150. Staffa 2020. Scotoni 1972, p. 60, nota 1; Scotoni 1995, p. 760, nota 4. 147 Scotoni 1995, p. 764. 148 Lando Scotoni nell’ambito delle sue ricerche sul commercio della neve nel Lazio ha ricostruito i limiti della circoscrizione definita come “Circondario delle 60 miglia”. Cfr. Scotoni 1972. 149 Cit. in Scotoni 1995, p. 764. 150 Le conserve semipogee della neve documentate a Roma mostrano genericamente una forma cilindrica o parallelepipeda. Come isolamento termico veniva utilizzata la paglia. Cfr. Scotoni 1972, pp. 64-67; Scotoni 1995, pp. 763-764. 145 146

Leggio 2004, pp. 298-299. Scotoni 1972, p. 61; Scotoni 1995, p. 760. 153 Leggio 2004, p. 299. 154 Scotoni 1995, p. 762 e pp. 766-771. 155 Scotoni 1972, p. 67; Scotoni 1995, p. 764. 151 152

203

L’incastellamento nei Monti Lucretili

Fig. 7.10. I ruderi del luogo di culto conosciuto come “Madonna della Neve” individuati nel corso della ricognizione estensivotopografica presso Montefalco in Sabina - MONF2020 (foto M. Bernardi).

7.7. L’epilogo dei castelli dei Monti Lucretili

a tutte le fasi della lavorazione, dall’estrazione e al suo trasporto.

La parabola discendente dei castelli viene generalmente inquadrata in un periodo compreso tra il XIV e il XV secolo, portando all’abbandono di più della metà dei centri fortificati e ad una conseguente riorganizzazione del sistema di popolamento nel contesto rurale.

Nei Lucretili un esempio empirico dell’esistenza di tale commercio anche nel medioevo è segnalato dal caso di Montefalco, castello situato a poca distanza dai pozzi della neve del Monte Pellecchia. I resti del sito hanno evidenziato nella porzione Nord del complesso un silos semipogeo, di forma parallelepipeda, che sfoggia tutti gli elementi precipui delle conserve della neve. Difficile affermare se si tratti di una neviera, ma viste le caratteristiche strutturali dell’ambiente è possibile ipotizzare il suo utilizzo o per lo stoccaggio di derrate agricole o, appunto, per la neve (cfr. fig. 4.8).

Gli ultimi tre secoli del basso medioevo sono stati fortemente dominati dall’ingerenza di alcune famiglie baronali, attive non solo nei contesti extraurbani come quello dei Lucretili, ma anche nella scena romana, controllando attraverso i castelli vaste aree del territorio intorno a Roma. È proprio in questa fase di egemonia baronale che si verifica la grande ondata di abbandoni castrensi, che segna un periodo di trasformazione nell’assetto insediativo e paesaggistico delle campagne attraverso la creazione di “roccaforti familiari diffuse”, ma ben definite nel territorio, ubicate in punti predisposti allo svolgimento delle attività economiche, come nel caso accertato degli Orsini che si insediarono nella valle del Licenza e i suoi dintorni. Non vi era più quindi la necessità da parte delle signorie di possedere tanti castelli, specialmente se difficili da raggiungere. In questo momento per suggellare l’autorità sul territorio bastavano meno centri ma che allo stesso tempo potessero essere gestiti secondo una formula

L’esistenza del culto dedicato alla Madonna della Neve nei pressi del castello di Montefalco, nota nella cartografia moderna come “Madonna delle Carbonere”, è confermata anche dai ruderi dall’omonima cappella, ubicata lungo il sentiero n. 312 del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili in corrispondenza della via che conduce ancora oggi al Monte Pellecchia. Tale edificio mostra, attraverso le sue murature, molteplici fasi costruttive legate al suo prolungato utilizzo come luogo di culto già in epoca bassomedievale; inoltre, la piccola cappella doveva rappresentare un punto di passaggio per tutti i lavoratori implicati nel commercio della neve che qui dovevano fare una tappa obbligata durante il loro tragitto (fig. 7.10). 204

I castelli dei Monti Lucretili più diretta dalla stessa famiglia e simboleggiare la sede del potere signorile.

alla fondazione di un insediamento in un preciso luogo. Come abbiamo già ampiamente detto, i siti coinvolti dal fenomeno dell’incastellamento nell’area dei Lucretili sono ventisei: di questi quindici sono scomparsi, salvo casi eccezionali, verso la fine del medioevo; undici sono invece sopravvissuti alla grande fase di oblio, continuando ad essere, anche in epoca moderna e contemporanea, dei centri abitati, più o meno popolati159.

I dati suggeriti dallo studio delle fonti sulla fine dei castra non consentono di chiarire in modo inequivocabile le modalità e le cause che hanno portato al declino progressivo di alcuni siti, se non in sporadici casi: rappresentativo è il caso di Marcellino, l’unico castello che sappiamo essere stato distrutto da un violento incendio avvenuto prima del 1229, annientando quasi ogni traccia dell’insediamento medievale156. Ad ogni modo, è possibile ipotizzare le ragioni storiche che hanno portato allo spopolamento di alcuni abitati e, attraverso la lettura dei documenti d’archivio, definire i diversi momenti degli abbandoni; verrà quindi di seguito proposta una cronologia degli stessi fondata su dei limiti post ed ante quem, come suggerito dalle fonti. Il fenomeno dello spopolamento, con la conseguente scomparsa di molti castelli dalla stessa memoria popolare, non è stato un fattore omogeneo ed unitario; infatti, non tutti i centri furono abbandonati nello stesso momento, come avremo modo di vedere nei prossimi paragrafi157.

Non tutti i castelli alla fine del medioevo ebbero la stessa sorte. L’abbandono di ogni villaggio fortificato, infatti, è strettamente connesso alle cause che hanno portato

Alla luce di questi dati sorge una domanda: perché solo alcuni castelli sono sopravvissuti al medioevo? La risposta a tale interrogativo può derivare solo da un’attenta osservazione del territorio e dalle caratteristiche del suo paesaggio. Il rapporto sito/ambiente è uno degli elementi maggiormente indicativi per poter definire le dinamiche insediative di un distretto territoriale. I fattori come la posizione altimetrica, la vicinanza alle fonti idriche quali sorgenti naturali e corsi d’acqua navigabili, alla viabilità principale, ai terreni idonei alle attività economiche di agricoltura specializzata o di allevamento e alle zone boschive, utili risorse per l’estrazione di materiale ligneo e per la predisposizione di nuove terre da coltivo, sono gli elementi maggiormente significativi in uno studio territoriale come quello qui sviluppato, da tenere quindi in considerazione per una più completa conoscenza del fenomeno dell’incastellamento, dalle origini al suo conseguente tramonto160.

Tab. 7.1. I castelli abbandonati in rapporto alla loro quota altimetrica, distanza dalla viabilità o dal fondovalle e dai principali corsi d’acqua.

La nascita dei castelli, come abbiamo visto, è da ricollegare principalmente all’iniziativa di alcuni signori dell’aristocrazia locale di creare dei centri economici atti

7.7.1. Gli abbandoni selettivi158

Castelli abbandonati

Quota Distanza dalla Distanza dai corsi s.l.m. viabilità/ d’acqua fondovalle

Castel del Lago 782 m 4 < 6 km

4 < 6 km (Licenza)

Castiglione

486 m 2 < 4 km

8 < 10 km (Licenza) 8 < 10 km (Corese)

Fistula

1086 m 2 < 4 km

2 < 4 km (Licenza)

Macla

946 m 4 < 6 km

4 < 6 km (Licenza)

Marcellino

188 m 0 < 1 km

8< 10 km (Aniene)

Montefalco

897 m 2 < 4 km

8 < 10 km (Licenza) 6 < 8 km (Corese)

Monteverde

288 m 0 < 1 km

Petra Demone

Tab. 7.2. I castelli con continuità insediativa in rapporto alla loro quota altimetrica, distanza dalla viabilità o dal fondovalle e dai principali corsi d’acqua. Castelli con Quota Distanza dalla continuità s.l.m. viabilità/ insediativa fondovalle

Distanza dai corsi d’acqua

Civitella

725 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Licenza)

Licenza

478 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Licenza)

Montorio Romano

575 m 0 < 1 km

2 < 4 km (Corese)

8 < 10 km (Aniene)

Moricone

296 m 0 < 1 km

6 < 8 km (Corese)

1200 m 4 < 6 km

2 < 4 km (Licenza)

Nerola

453 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Corese)

Poggio Runci

775 m 2 < 4 km

4 < 6 km (Aniene)

Orvinio

840 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Licenza)

Saccomuro

282 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Aniene)

Palombara

372 m 0 < 1 km

10 < 12 km (Aniene)

Santa Croce

263 m 2 < 4 km

2 < 4 (Corese)

Percile

575 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Licenza)

Saracinesco

516 m 2 < 4 km

2 < 4 km (Aniene)

Roccagiovine 518 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Licenza)

Spogna

1147 m 4 < 6 km

4 < 6 km (Licenza)

Turrita

197 m 0 < 1 km

4 < 6 km (Aniene)

S. Polo dei Cavalieri

652 m 0 < 1 km

2 < 4 km (Aniene)

Vallebona

880 m 2 < 4 km

2 < 4 km (Licenza)

Scandriglia

535 m 0 < 1 km

0 < 1 km (Corese)

ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020 (documento pubblicato in Presutti 1923, pp. 51-69). Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.5. 157 Bernardi 2014. 158 Cfr. Bernardi 2018a, pp. 156-158; Bernardi 2018b, pp. 141-142.

Coste 1988; Bernardi 2015a; Bernardi 2015b; Bernardi 2018a; Bernardi 2018b. 160 Per uno studio preliminare sui centri incastellati della valle del Licenza si veda Bernardi 2014.

156

159

205

L’incastellamento nei Monti Lucretili allo sfruttamento intensivo del territorio. Tale progetto portò a convogliare nei nuovi villaggi collocati sulle alture la popolazione delle campagne, che fino a quel momento viveva sparsa in piccoli nuclei familiari, all’interno di una zona recintata. Qui il fattore del controllo incarna l’elemento peculiare per il dominus che poteva con l’edificazione di un castrum assicurarsi la supremazia e il potere sui contadini.

dominante. Collocandosi a poca distanza dalla viabilità principale e dai corsi d’acqua navigabili, tale categoria era inoltre prossima alle zone agricole maggiormente fertili della Sabina. Questa categoria, con la spiccata funzione rivolta allo sfruttamento delle risorse agricole e adatta all’allevamento in ogni stagione, è risultata essere vincente nel tempo sulle altre fondazioni.

Mettendo a confronto i castelli abbandonati e quelli ancora esistenti attraverso i parametri pertinenti alla posizione topografica, alla distanza dalla viabilità principale, dal fondovalle e dai corsi d’acqua navigabili (che potevano avere un’importante funzione legata al trasporto stagionale di merci), si possono tratteggiare le dinamiche insediative che hanno portato sia alla nascita del fenomeno dell’incastellamento che al conseguente abbandono selettivo di solo alcuni specifici centri (tab. 7.1-7.2)161. L’analisi finora condotta mostra l’esistenza di almeno quattro categorie di castelli, distinguibili sulla base dei dati scaturiti dal confronto sito/ambiente; tali elementi potrebbero individuare sia le cause delle fondazioni castrensi che il loro spopolamento.

C. Castelli con quota altimetrica bassa, collocati in posizione di confine e in prossimità della viabilità principale (lontani o vicini dai corsi d’acqua): Monteverde, Marcellino, Saccomuro, Turrita. La categoria C include i castelli collocati su modesti rilievi ma a ridosso o a poca distanza delle principali vie di comunicazione. Alla base di queste fondazioni vi era il controllo del territorio di confine: i castelli furono realizzati come baluardo difensivo, ubicandosi in corrispondenza dei limiti delle diocesi e delle proprietà ecclesiastiche (diocesi di Sabina, di Tivoli e delle abbazie di San Giovanni in Argentella e S. Maria in Monte Dominici). I castelli di questa categoria sono stati abbandonati e spopolati alla fine del medioevo, talvolta riutilizzati in epoca moderna come casali.

Qui di seguito verranno riportate le categorie di castelli individuate per il territorio dei Monti Lucretili (fig. 7.11):

D. Castelli con quota altimetrica bassa, lontani dai corsi d’acqua e dalla viabilità principale: Santa Croce.

A. Castelli con quota altimetrica molto elevata, elevata o media, lontani dalla viabilità principale e dai corsi d’acqua: Castel del Lago, Castiglione, Fistula, Macla, Montefalco, Petra Demone, Poggio Runci, Saracinesco, Spogna, Vallebona.

La categoria D è rappresentata dal solo castello di Santa Croce che, oltre ad essere un unicum nel panorama insediativo dei Lucretili, rappresenta il fallimento di una fondazione signorile probabilmente tarda, scomparso presumibilmente nel giro di meno di due secoli.

La categoria A include tutti i centri fortificati con una chiara connotazione strategica, costruiti in un punto dominante da dove era possibile controllare sia le rotte commerciali che la viabilità locale; in questi castelli la motivazione economico-produttiva risulta passare in secondo piano rispetto alle caratteristiche difensive e strategiche. Tale categoria è la prima a subire l’abbandono alla fine del medioevo.

Da questi elementi emerge chiaramente un dato: i castelli abbandonati sono quelli la cui ubicazione non doveva agevolare gli spostamenti e i traffici commerciali. La loro fondazione su alture, ad alta e media quota s.l.m., non doveva favorire il normale svolgimento delle attività economiche quali agricoltura e allevamento in quanto per raggiungere i terreni più fruttiferi era necessario spostarsi verso le zone più pianeggianti o il fondovalle dopo ore di cammino giornaliere. Da questo modello si evincono le ragioni che hanno portato ad una scelta selettiva e ben calcolata dei castelli da abbandonare162. Un discorso a parte va costruito per la categoria C, ovvero i siti meglio definibili come “castelli di frontiera”: la loro presenza sul territorio non rappresentava più una necessità alla fine del medioevo poiché le famiglie baronali, sempre sotto la protezione della Curia Romana con il ritorno dei papi da Avignone, detenevano ormai il pieno controllo di quasi tutti i centri fortificati della zona ed erano ugualmente svincolate dagli organismi ecclesiastici locali (come ad esempio le diocesi); per questi castelli le esigenze strategiche svaniscono alla fine del medioevo, sancendo lo spopolamento e la loro trasformazione in casali o in tenute agricole.

B. Castelli con quota altimetrica media o bassa, collocati vicino alla viabilità principale e ai corsi d’acqua: Civitella, Licenza, Montorio Romano, Moricone, Nerola, Orvinio, Palombara Sabina, Percile, Roccagiovine, S. Polo dei Cavalieri, Scandriglia. La categoria B è rappresentata da tutti i centri fortificati ancora esistenti, costruiti sì per esigenze strategiche ma con una chiara e preponderante predisposizione economico-produttiva che risulta in questo caso essere Nelle seguenti tabelle le stime chilometriche sono state calcolate attraverso misurazioni in linea d’aria e, ove possibile, tenendo conto degli antichi tragitti. Nel campo relativo ai corsi d’acqua sono state calcolate le distanze dei castelli dalle principali risorse idriche della zona, corrispondenti ai fiumi probabilmente navigabili durante il periodo medievale: è il caso del fiume Aniene, il Licenza e il Corese. Tutti i castelli possedevano nelle immediate vicinanze una grande quantità di sorgenti naturali che consentivano il pieno svolgimento di una vita comunitaria; per tale motivo questo dato non è stato ritenuto rilevante ai fini dell’analisi territoriale.

161

162 Tale dato sembrerebbe confermare la precedente ipotesi illustrata sulle diverse motivazioni alla base delle fondazioni castrensi, ovvero strategiche ed economico-produttive.

206

I castelli dei Monti Lucretili

Fig. 7.11. Carta di distribuzione dei castelli in rapporto alla viabilità antica e ai corsi d’acqua (elaborazione grafica M. Bernardi - Maps data: Google, ©2015).

7.7.2. I periodi dell’abbandono: all’origine della fine di un sistema insediativo163

Urbis164. L’area della Sabina e la zona di Tivoli vengono divise ed assegnate a tre regioni: la provincia di Sabina,

Alla metà del XIV secolo l’intera area laziale viene frazionata in sette province facenti parte del districtus 163

164 Provincia della Tuscia, Provincia di Collina, Provincia di Sabina, Provincia di Farfa e Romangia, Provincia di Tivoli e Carsoli, Provincia della Campania, Provincia della Marittima.

Cfr. Bernardi 2018b.

207

L’incastellamento nei Monti Lucretili Saccomuro: post 1330-ante 1363173 Santa Croce: post 1343-ante 1363174 Turrita: ante 1363175

quella di Farfa e Romangia ed in ultimo quella di Tivoli e Carsoli165. Dallo studio delle liste del Sale e del Focatico si possono ricavare importantissime informazioni sui tempi degli abbandoni: i documenti conservati della Camera Urbis consentono di definire gli intervalli della scomparsa dei castelli sulla base di datazioni relative, anche in questo caso inquadrate in un ordine temporale post e ante quem, da confrontare poi con le altre fonti acquisite. In tali registri viene fotografata la situazione fiscale del distretto di Roma dopo l’epidemia di peste del 1348 che condusse ad un drastico calo demografico della popolazione166.

2a ondata di abbandoni post 1363-ante 1416 Castiglione: post 1363- ante 1396176 Montefalco: post 1363-ante 1416177 Monteverde: post 1363-ante 1416178 Petra Demone: post 1363-ante 1416179 Saracinesco: post 1382-ante 1416180 Spogna: post 1377-ante 1416181 Vallebona: post 1363-ante 1416182 Solo in un caso dalle liste è possibile determinare una datazione più precisa post 1422-ante 1443: si tratta del Castrum Laci (Castel del Lago), che inizialmente risulta pagante (ma con tassa ridotta) e nei successivi registri, invece, non presenta più il verbale di comparizione. Il castello di Civitella, seppur non abbandonato, non viene mai elencato tra i castelli del districtus Urbis, poiché probabilmente già assorbito nel territorio di Licenza.

Dall’analisi delle liste le fasi di abbandono si possono dividere in due grandi periodi: – Ante 1363: castelli non menzionati nelle liste (Fistula, Macla, Marcellino, Poggio Runci, Saccomuro, Santa Croce e Turrita). – Post 1363-ante 1416: castelli registrati nelle liste ma senza il verbale di comparizione, talvolta annoverati tra le terre inabitate (Castiglione, Montefalco, Monteverde, Petra Demone, Spogna, Saracinesco e Vallebona).

Dopo aver delineato la tempistica degli abbandoni e confermando il periodo generalmente inquadrato tra la metà del XIV e gli inizi del XV secolo, escludendo i castelli di Marcellino e di Fistula, abbandonati nel primo caso per un incendio, nel secondo per ragioni sconosciute senza aver subìto una fase edilizia in materiale lapideo, è necessario ora capire il contesto storico in cui si sono verificati gli abbandoni e le motivazioni sociali che si celano dietro alla fine dei castelli.

Questa interpretazione dei registri sembra indicare almeno due grandi fasi di abbandono per i centri fortificati dei Lucretili: la prima avvenuta subito dopo la peste nera del 1348 (in alcuni casi tale dato viene confermato dal confronto con il Registrum omnium ecclesiarum diocesis Sabinensis167 del 1343, dove vengono segnalati ancora alcuni castelli invece non più presenti nelle liste); la seconda fase è definibile tra il 1363 (datazione delle lista base) ed il 1416 (datazione del primo registro conservato).

Un importante calo demografico della popolazione è stata la conseguenza diretta dall’epidemia di peste nera che colpì l’intera Europa verso la metà nel XIV secolo183. Tale circostanza è da legare ad un grande periodo di crisi economica cagionata da una sequenza di cattivi raccolti che azionò una successione di reazioni a catena, provocando

Dal confronto dei dati ottenuti dalle liste168 con le altre fonti d’archivio, tale periodizzazione viene confermata, consentendo anche di restringere la forcella cronologica del momento dell’abbandono per ogni castello.

Saccomuro nel 1330 viene ancora inserito in atti di compravendita insieme al territorium castri: ASC, Archivio Orsini, II.A.04,001. 174 Santa Croce risulta come ancora esistente nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 94; Mancinelli 2007, p. 126. 175 Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.14. 176 Il castello di Castiglione viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, pp. 88-89; Mancinelli 2007, p. 119 (nel documento le annotazioni apposte nel XV secolo lo definiscono, infatti, come dirutum). Nelle liste del sussidio militare il castello non viene citato poiché probabilmente già abbandonato: doc. cit. in Coste 1988, p. 390. 177 Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.6. 178 Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.7. 179 Il castello di Petra Demone viene ancora menzionato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 86; Amore, Delogu 1983, p. 297; Mancinelli 2007, p. 116. 180 Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.12. La datazione è stata desunta grazie ad un documento citato da Coste 1988, p. 400 e p. 413, note 5-7. 181 Dalla seconda metà del XIV secolo sappiamo con certezza che il castello di Spogna, ancora esistente, era di proprietà Orsini, come dimostra un documento nel 1377 segnalato da Coste 1988, p. 402. 182 Il castello di Vallebona viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 85; Mancinelli 2007, p. 116. Non configurando Vallebona nella lista del sussidio militare del 1396 poteva già risultare abbandonato in questa data. 183 Carocci 2010c, pp. 1-37; Maire Vigueur 2011, pp. 71-74; Barbiera, Castiglioni, Dalla Zuanna 2016. 173

1a ondata di abbandoni ante 1363 Fistula: ante 1343169 Macla: post 1343-ante 1363170 Marcellino: ante 1229171 Poggio Runci: post 1311-ante 1363172 165 Hubert 2002, p. 392. Negli ultimi secoli del medioevo i confini di tali distretti coincidevano con il limite settentrionale dello Stato Romano. 166 La redazione della lista base è da far risalire al 1363, come già spiegato nel capitolo 4, paragrafo 4.1.2.1. Cfr. Coste 1988, p. 410. 167 Tomassetti, Biasiotti 1909; Mancinelli 2007. 168 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 169 Cfr. capitolo 6, paragrafo 6.1.3. 170 Il castello di Macla viene ancora citato nel Registrum omnium ecclesiarum diocesis sabinensis del 1343: cfr. Tomassetti, Biasiotti 1909, p. 87; Mancinelli 2007, p. 118. 171 Per il castello di Marcellino la datazione ante 1363 viene confermata da un documento Orsini che testimonia la distruzione del castello ante 1229 a causa di un incendio: ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020; documento pubblicato in Presutti 1923, pp. 51-69. 172 Poggio Runci viene menzionato come castello ancora esistente nel 1311: ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013.

208

I castelli dei Monti Lucretili una contrazione del mercato e degli scambi commerciali con conseguente inflazione. La diffusione dell’epidemia e la crisi travolsero anche le campagne, determinando dopo pochi decenni lo spostamento della popolazione verso i centri urbani alla ricerca di una migliore aspettativa di vita184. I primi effetti di tali circostanze si fecero sentire nelle campagne provocando lo spopolamento di alcuni castelli e la fusione degli altri in grado di sopravvivere alla nuova situazione economica e sociale. Si ritornò quindi nel giro di pochi decenni ad uno status quo delle campagne, dove l’abbandono dei castelli provocò l’avanzata delle terre incolte, delle aree boschive e la trasformazione di alcuni centri in casali185.

dei secoli, di poco inferiore per intensità a quello del 1456188. L’episodio sismico in questo contesto storico potrebbe solo aver accelerato il movimento di accentramento in luoghi più sicuri189 e incoraggiato l’esodo verso i centri urbani. I castelli abbandonati prima del XIV secolo rappresentano solo dei casi isolati e non un fenomeno generalizzato, distrutti e/o abbandonati per avvenimenti accidentali190 o per la creazione, dopo poco tempo dalla loro fondazione, di ulteriori centri fortificati che potrebbero aver inglobato la popolazione del preesistente centro demico191, causando il conseguente abbandono dello stesso192. 7.7.3. Popolamento e territorio dei castelli

Il fenomeno degli abbandoni selettivi è stata la conseguenza dell’unione di tali circostanze storico-sociali con le funzioni strategiche dei castelli; nei casi in cui il controllo del territorio rappresentava la più importante priorità nelle nuove fondazioni, è lì che il sistema incastellato è risultato essere nel tempo fallimentare, con la costruzione di abitati di altura lontani dalle vie di comunicazione e dai fondovalle. La crisi demografica ed economica del Trecento ha quindi originato una redistribuzione della popolazione della campagna, portando ad una contrazione e riduzione del numero di abitati che ha favorito la continuità di vita per i castelli che, essendo più vicini alla viabilità principale, avrebbero consentito notevoli facilitazioni negli spostamenti e una più rapida comunicazione con i maggiori centri urbani186.

Determinare il numero di abitanti di ogni castello attraverso dei calcoli matematici non è un compito facile, soprattutto in assenza di dati certi in grado di guidarci verso una analisi sociale e topografia dettagliata. Per l’area oggetto di indagine gli unici elementi mediante i quali si può tentare una ricostruzione della geografia del popolamento per l’epoca medievale derivano sempre dalle liste del Sale e del Focatico193, dove l’associazione di ogni centro abitato al numero di rubbia di sale da versare nelle casse della Camera Urbis può fornirci alcuni dati sullo stato demografico dei castelli nel XIV secolo. In merito a tale argomento per il periodo medievale una prima proposta di studio statistico applicato all’analisi dell’assetto demografico è stata avanzata da Jean Coste in alcuni suoi scritti inediti, attualmente custoditi nell’archivio con sede presso la Società Romana di Storia Patria194. Attraverso il confronto con le prime trattazioni sulla demografia medievale, costruite partendo proprio dalle liste e dove si ammetteva che la quantità di rubbia di sale fosse direttamente proporzionale al numero di abitanti realmente presente in ogni castello195, Coste ha concluso l’impossibilità di giungere a dei dati oggettivi con questo tipo di analisi: secondo l’autore, infatti, le cifre riportate negli elenchi non sarebbero fondate su un reale conteggio della popolazione, non riflettendo, di conseguenza, l’effettivo numero dei residenti per ogni abitato196. Allo stato attuale ignoriamo i parametri adoperati per fissare la quantità di sale da attribuire per ogni centro, se non in rapporto ai fuochi197.

Tali effetti, seppur rilevanti, non hanno determinato un cambiamento netto nelle forme di popolamento: infatti la maggior parte della popolazione rurale continua ad abitare nei castra; non si verifica neppure un passaggio di testimone ai vertici del potere dal momento che gli abitati superstiti rimango nelle mani di potenti famiglie baronali, che continuano così ad avere sia il controllo del territorio che della società contadina, acquistando sempre più autonomia e prestigio a livello locale. Come già anticipato, la riduzione del numero di castelli si riflette sulla composizione del panorama insediativo rurale che da questo momento esibisce una minor concentrazione di siti ed un ampliamento delle aree agricole di pertinenza (colte ed incolte) per ogni abitato sopravvissuto. La parabola discendente del sistema incastellato sembrerebbe quindi essere legata a motivazioni economiche e sociali. L’ipotesi di catastrofi naturali, come ad esempio i terremoti, non è comunque da escludere: infatti nel 1349 una grande ondata sismica ha colpito tutta la zona dell’Appennino Centrale, interessando anche il Lazio e la zona dei Lucretili con una scossa dall’intensità superiore all’VIII grado MCS187. L’evento sismico, avvenuto il 9 settembre 1349, è stato probabilmente uno dei più forti terremoti mai avvertiti a Roma e nei suoi dintorni nel corso

Galli, Molin, Scaroina 2007-2008, pp. 21-24. Nei castelli ad una minor altitudine gli eventi sismici vengono avvertiti con minor vigore. 190 È esemplificativo il caso già trattato del castello di Marcellino. 191 La stessa circostanza si sarebbe verificata anche nel territorio del Turano, dove la popolazione del castello di Castiglione, una volta abbandonato, è stata trasferita nei centri limitrofi. Hubert 2002, p. 448. 192 Tale situazione potrebbe essersi verificata per il castello di Fistula con l’edificazione del vicino abitato di Vallebona. 193 ASR, Camera Urbis, nn. 166-174. 194 Jean Coste tentò uno studio approfondito sulle liste del Sale e del Focatico, cercando di estrapolare più dati possibili dall’analisi di tali fonti scritte, non riuscendo mai a dare alle stampe l’esito del suo lavoro se non in una nota (Coste 1988, pp. 409-410). I documenti inediti sono conservati nel suo archivio personale: Arch. Coste, Carton 005, fasc. 1 e 3. 195 Tomassetti 1897, pp. 313-368; Pardi 1926, pp. 331-354. 196 Arch. Coste, Carton 005, fasc. 1, n. 4-6. 197 Hubert 2002, pp. 407-409. Tale elemento non consente quindi la determinazione del numero di abitanti per ogni sito. 188 189

Montanari 2002, pp. 237-238. Lo stesso fenomeno sarebbe avvenuto in tutta l’area della Campagna Romana, come sottolineato in Maire Vigueur 2011, p. 175. 186 Per un approfondimento sul Trecento si consiglia la lettura del volume monografico n. XLIII di Archeologia Medievale del 2016 (Molinari 2016). 187 MCS = Abbreviazione per scala Mercalli-Cancani-Sieberg. Margottini, Paciello 1995; Galli, Naso 2009. 184 185

209

L’incastellamento nei Monti Lucretili Tab. 7.3. Numero di rubbia di sale che per ogni castello doveva versare nelle casse della Camera Urbis tra il XIV-XV secolo. 3 rubbia

5 rubbia

6 rubbia

10 rubbia

15 rubbia

20 rubbia

25 rubbia

Licenza

Spogna; Castel del Lago; Percile; Roccagiovine

Saracinesco I

Castiglione; Montefalco; Orvinio; Vallebona

S. Polo dei Cavalieri; Monteverde; Montorio Romano; Moricone; Petra Demone; Scandriglia

Nerola; Palombara Sabina

S. Polo dei Cavalieri; Saracinesco II

crisi di metà Trecento per la loro favorevole posizione topografica, come i castelli di Licenza, Percile e Roccagiovine, andando a plasmare così una fase di accentramento demico200.

Ad avvalorare la suddetta ipotesi è la constatazione dell’invariabilità delle cifre nel corso degli anni; solo in sporadici casi sono state registrate delle differenze del quantitativo di rubbia: tale mutamento è più verosimilmente da legare a degli errori di copiatura durante la trascrizione meccanica degli elenchi198.

I castelli con un quantitativo pari a 10 rubbia di sale sono Castiglione, Montefalco, Vallebona e Canemorto (Orvinio), abitati leggermente maggiori per estensione rispetto ai precedenti, ma probabilmente con un numero limitato di abitanti durante il XIV secolo; in questo caso solo il castello di Orvinio continua ad essere abitato sia per la sua predominante predisposizione economicoproduttiva che per la sua collocazione, vicina alle vie di comunicazione e al fiume Licenza; è possibile che lo stesso castello abbia assorbito nel tempo all’interno del proprio territorio altri centri, come ad esempio il vicino castello di Vallebona.

Alla luce di quanto finora detto, il calcolo matematico di un coefficiente di cui poi avvalersi in una ricerca demografica fondata sulle liste non sembra attuabile, in accordo con quanto già espresso da Coste. Lo studio delle liste, impostato sempre sulle cifre trasmesse nei documenti, può ad ogni modo fornirci indirettamente delle informazioni sul grado di concentrazione demografica nei castra prima della scomparsa di questi ultimi199. Nella seguente tabella sono state sintetizzate le cifre riportate nella prima lista conservata (databile al 1416), pertinenti al quantitativo di sale da pagare per castello; va ricordato però che l’elenco dei centri descrive una situazione sociale ferma al 1363, ovvero al momento in cui è stata redatta la lista base presa a modello in queste trascrizioni: è ipotizzabile, quindi, che tali cifre siano da collegare al numero di rubbia di sale previsto per quell’epoca (tab. 7.3).

I castelli con tassazione compresa tra 15 e 25 rubbia corrispondono, nella maggior parte dei casi, ai siti con i territori di pertinenza più grandi per estensione, come confermato anche dall’attuale assetto strutturale degli insediamenti201: è il caso di Montorio Romano, Monteverde, Moricone, Petra Demone202 e Scandriglia (15 rubbia); Nerola e Palombara Sabina (20 rubbia); S. Polo dei Cavalieri203 e Saracinesco II204 (25 rubbia).

Tra gli abitati con un minor quantitativo di rubra salis, ossia compreso tra i valori di 3 e 6, vi sono gli insediamenti della valle del Licenza, come l’omonimo castello di Licenza, Spogna, Castel del Lago, Percile e Roccagiovine; il castello denominato con la dizione di Saracinesco I, che risulta essere tassato per 6 rubbia di sale, dovrebbe essere identificato con il sito nel sublacense e non come l’omonimo castello del tiburtino che rientra nel territorio qui indagato; ad ogni modo, il caso di Saracinesco sembra mostrare altre incongruenze, come vedremo a breve. Tutti i castelli che rientrano in questa categoria, fatta eccezione appunto per Saracinesco, sono possedimenti di proprietà della famiglia Orsini: è plausibile che i castelli (forse) meno popolati nel 1363, non troppo estesi e con chiara inclinazione strategica (se non addirittura già abbandonati o distrutti in precedenza come Fistula, Marcellino, Macla, Poggio Runci, Saccomuro, Santa Croce e Turrita), siano stati inglobati dagli altri centri che sopravvissero alla

Dalla sintesi di tali dati emerge che tra i centri che riescono a sopravvivere alle due ondate di abbandono vi sono sia quelli che potevano vantare una maggiore estensione territoriale (e che, con ogni probabilità, erano anche i più popolati nella zona), che gli insediamenti in grado di garantire una semplice gestione delle attività agricole alla Cfr. paragrafo precedente. In questo caso gli unici castelli ad essere poi abbandonati sono Monteverde e Petra Demone. 202 Il castello di Petra Demone nelle liste viene menzionato in due province: Farfa e Romangia (5 rubra salis) e Tivoli e Carsoli (10 rubra salis). 203 Anche il territorio del castello di S. Polo era diviso tra due province: Sabina e Tivoli e Carsoli. 204 Tra le incongruenze riscontrabili nelle liste è molto evidente il caso di Saracinesco, dove il castello, abbandonato tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, viene tassato per un equivalente di 25 rubbia; l’omonimo centro del sublacense, che doveva essere ampiamente popolato nel XIV secolo, risulta invece tassato per solo 6 rubbia di sale. Tali dati possono suggerire due diverse interpretazioni: da una parte un errore di copiatura durante la trascrizione dei toponimi con lo scambio del sito di Saracinesco abbandonato (II) con il sito nel sublacense (I) generando una confusione nei dati, oppure l’inesistenza di un rapporto proporzionale tra il numero abitanti e le tassazioni. 200 201

È impossibile, infatti, che la popolazione sia rimasta stabile per più di un secolo senza subire cali o aumenti. 199 Non rilevabile per i castelli scomparsi ante 1363 che non compaiono nelle liste. 198

210

I castelli dei Monti Lucretili popolazione che vi risiedeva. Tali elementi, congiunti con quanto già proposto in merito alle cause e motivazioni sulla fine dei castelli, confermano la teoria degli abbandoni selettivi condizionati dal numero di abitanti e dalla posizione topografica dei siti.

che non coinciderebbe con quella della fondazione dei castelli, è da collegare ad una successivo momento costruttivo compiuto attraverso l’impiego quasi esclusivo di materiale lapideo207. Delle prime fasi costruttive dell’XI secolo (realizzate verosimilmente in gran parte in materiale deperibile ma anche in pietra) non possono che rimanere sporadiche tracce materiali, riconducibili alle sole strutture costruite con materiale lapideo già al momento della fondazione di un castrum: è il caso delle cinte murarie di cui, anche quando non conservate in elevato, si possono riconoscere i segni degli allineamenti nel terreno, o di strutture rappresentative all’interno di un paesaggio fortificato per la loro forte accezione simbolica, come ad esempio la rocca, metafora architettonica del potere signorile.

7.8. L’evidenza archeologica: per una tipologia dei castelli dei Monti Lucretili I dati fin qui presentati hanno mostrato principalmente le conclusioni suggerite attraverso lo studio delle fonti scritte. Gran parte dell’indagine sui castelli dei Lucretili, però, è stata dedicata all’analisi dell’evidenza archeologica, portata avanti attraverso le numerose attività di ricognizione intraprese nel corso degli anni indirizzate alla ricerca e alla documentazione dei siti scomparsi. In una fase analitica del lavoro i dati generati dall’indagine sul territorio sono stati riuniti in schede di Unità Topografica (UT), che in questa sede sono state riportate in maniera sintetica e in forma tabellare all’interno delle schede di sito nel capitolo 6, andando così a comporre un inventario analitico-sintetico dei complessi architettonici ancora riconoscibili in ogni castello abbandonato.

7.8.1. Tipologie architettoniche dei castelli L’assetto strutturale dei castelli medievali dei Monti Lucretili, ricostruito sulla base delle evidenze archeologiche conservate, ha mostrato l’eterogenea organizzazione interna dei castra; non tutti, infatti, presentano gli stessi elementi costruttivi: tale discrepanza è da rivedere nelle differenti funzioni all’origine delle fondazioni castrensi.

Sulla base dei resti archeologici ancora presenti in situ, ormai in avanzata fase di deterioramento per l’assenza di progetti di restauro e di valorizzazione che avrebbero consentito sia la conservazione dei siti che un’ampia fruizione di un così ricco patrimonio storico che nel tempo sta svanendo, è stata proposta una periodizzazione delle maggiori fasi edilizie dei castelli205; tale sintesi, con la conseguente interpretazione tipologica degli ambienti, ha portato alla realizzazione di planimetrie ricostruttive, inserite nel capitolo precedente, in un apposito paragrafo per i castelli abbandonati, e ad una ripartizione tipologica degli insediamenti sulla base delle evidenze che verrà presentata a breve.

I risultati ottenuti dal confronto dei resti archeologici con le fonti scritte permettono di stilare una tipologia architettonica dei villaggi fortificati, esito delle fasi di monumentalizzazione degli insediamenti208. Le caratteristiche strutturali dei castelli dei Monti Lucretili sono delimitabili all’interno di quattro tipologie edilizie209: 1. Castelli con torre quadrangolare centrale, rocca sommitale e cinta muraria 1.a) Questa tipologia è stata riscontrata in alcuni castelli fondati originariamente per iniziativa signorile, ma collocati all’interno del territorio farfense; tali centri furono costruiti ad una quota molto elevata o elevata: si tratta di Macla, Spogna e Vallebona. 1.b) Rientrano in questa sottocategoria i castelli di Monteverde e Saccomuro. Tali insediamenti, a differenza dei precedenti, sono stati edificati ad una quota altimetrica limitata. I centri, ubicati in prossimità delle principali vie di comunicazione della zona, potevano monitorare la viabilità locale e le rotte commerciali, avendo un chiaro profilo strategico ed esercitando un controllo più diretto sul territorio rispetto ai siti di altura.

Come abbiamo visto, la formazione dei castelli nei contesti rurali si è concretizzata nell’arco di due secoli, originando la costruzione tra l’XI e il XII secolo di nuovi centri abitati collocati su alture, muniti di cinta muraria e di altri elementi fortificati. Attraverso l’analisi degli elementi architettonici ancora conservati, unita allo studio delle tecniche murarie utilizzate per i paramenti, è stato possibile mettere in luce le plurime fasi edilizie attestate nei castra dei Monti Lucretili206. Prima di affrontare l’argomento delle tipologie dei castelli, è necessario, però, rimarcare nuovamente un concetto, essenziale per la piena comprensione del fenomeno castrense in questa zona: gli edifici costruiti in materiale lapideo potrebbero descrivere solo l’esito di una posteriore monumentalizzazione e militarizzazione dei villaggi fortificati; nella maggior parte dei casi tale fase edilizia,

207 Per prima fase edilizia, in questo caso, si intende la prima opera di monumentalizzazione architettonica dei siti, realizzata attraverso l’utilizzo quasi esclusivo di materiale lapideo; in alcuni casi tale fase è probabilmente da riferire ad un secondo intervento costruttivo nei castelli, corrispondente ad un posteriore momento edilizio. 208 Una prima proposta tipologica dei castelli dei Monti Lucretili è stata avanzata in Bernardi 2015b, p. 118, ma l’analisi di un campione più ampio di insediamenti esaminato in questo elaborato consente un maggior grado di definizione della morfologia dei castelli del comprensorio. 209 Tutti i castelli abbandonati alla fine del medioevo hanno una chiara connotazione strategica. Gli stessi, però, possono essere distinti per funzioni dominanti, come vedremo a breve.

205 Delle prime fase edilizie dei castelli non rimane quasi alcuna testimonianza in quanto realizzate in materiale deperibile. 206 In assenza di dati stratigrafici lo studio dell’evidenza archeologica è stato costruito sull’analisi delle tecniche murarie, come già approfondito nel capitolo 5.

211

L’incastellamento nei Monti Lucretili 2. Castelli con rocca e cinta muraria (senza torre centrale) 2.a) Sono compresi in questa categoria alcuni castelli di fondazione signorile come Castiglione e Montefalco210 e, per i castra di probabile fondazione ecclesiastica, Poggio Runci. Tali castelli sono stati fondati su un’altura dalla quota altimetrica medio-alta. Da questi centri si poteva controllare il territorio circostante assicurando anche una comunicazione visiva con gli altri castelli limitrofi. 2.b) Un’eccezione è rappresentata dal castello di Saracinesco nel tiburtino che, con le sue due cinte murarie, risulta nel comprensorio dei Lucretili essere l’unico caso attestato con duplice circuito.

I castelli che rientrano nella tipologia edilizia 1 sono quelli con una dichiarata valenza difensiva. Rientrano nella sottocategoria 1.a i castra strategici per eccellenza, dove la difesa ed il controllo del territorio e della popolazione erano i due elementi cardine alla base di tali fondazioni. La costruzione di questi stanziamenti è derivata da una precisa scelta insediativa voluta dall’aristocrazia locale: attraverso la fondazione di nuovi centri in punti strategici, da dove era possibile controllare le pertinenze, i signori potevano sorvegliare le terre e gli abitanti. La possibilità di avere una relazione visiva anche con gli altri centri che stavano comparendo sulle alture è stata una delle prerogative che ha portato in un primo momento all’edificazione di nuovi insediamenti fortificati per iniziativa di un potere laico all’interno di un territorio ecclesiastico.

3. Castelli con torre quadrangolare centrale e cinta muraria senza rocca I castelli che rientrano in questa tipologia sono Turrita e Castel del Lago i cui resti non mostrano alcuna traccia della rocca dell’insediamento. Turrita, di proprietà della Chiesa di Tivoli, è collocato a ridosso della viabilità principale, mentre Castel del Lago è al confine tra il territorio sabino e quello sublacense.

Anche la variante 1.b rientra nella tipologia dei castra strategici, ma in questo caso il controllo del territorio si impone su qualsiasi altra competenza o funzione svolta dai centri. Si tratta, infatti, di castelli che definirei “di frontiera” o “di confine”, ubicati lungo i limiti territoriali ecclesiastici e a ridosso delle principali vie di comunicazione che potevano monitorare. Questi insediamenti sono stati creati probabilmente per difendere il territorio e per tenere sotto controllo le linee di confine.

4. Castelli con palazzo baronale e borgo abitato Fanno parte di questa categoria tutti i castelli con continuità insediativa dal medioevo fino ad oggi. Tali centri hanno mantenuto la fisionomia fortificata del borgo medievale, subendo però, nel corso dei secoli, forti cambiamenti strutturali, segnati principalmente da una espansione edilizia, come mostrato per Civitella di Licenza, Licenza, Montorio Romano, Moricone, Nerola, Orvinio, Palombara Sabina, Percile, Roccagiovine, S. Polo dei Cavalieri e Scandriglia.

La tipologia 2, invece, si differenzia strutturalmente dalla precedente per l’assenza della torre centrale; anche in questi siti non mancano però gli elementi turriti, che possono o meno essere inglobati nelle cinte fortificate come torri a scudo, ma anche costruite nello spazio tra le mura e la rocca, come interpretato per Montefalco. Tali villaggi fortificati sembrano svolgere una funzione intermedia tra i castelli strategici e quelli economicoproduttivi, ma ad ogni modo l’aspetto strategico è stato il principale motivo all’origine di tali fondazioni (entrambe le sottocategorie 2.a e 2.b).

Tra i castelli di incerta tipologia vi sono Fistula, Marcellino, Petra Demone e Santa Croce, per i quali l’esiguità dei resti archeologici conservati non consente di riconoscere una tipologia edilizia precisa211.

La tipologia 3, rappresentata da Castel del Lago e Turrita, sembra avvicinarsi alla sottocategoria 1.b per le funzioni svolte; in questo caso, l’unica differenza è da riconoscere nell’assenza della rocca. Anche questi centri possono essere considerati come castelli di frontiera, ubicandosi lungo le vie di confine.

Come abbiamo potuto vedere da questa classificazione, non esiste un orientamento uniforme nella costruzione dei castelli, che siano legati ad una fondazione ecclesiastica o signorile; la diversa configurazione nella struttura architettonica dei centri è determinata dai differenti ruoli che gli stessi dovevano ricoprire all’interno del territorio al momento della costruzione.

Nella tipologia 4 rientrano, invece, tutti i castelli ancora esistenti dei Lucretili con una chiara connotazione economico-produttiva, requisito che li ha portati sia ad essere fondati in quei luoghi che a sopravvivere alla fase di crisi economica di XIV secolo. Nella fisionomia dei castelli tale tipologia architettonica, caratterizzata dalla presenza del palazzo baronale e del borgo moderno212, presenta le diverse fasi edilizie susseguitesi nel corso dei secoli, mostrando ancora le tracce, nell’odierno assetto strutturale, del preesistente abitato medievale. Per questi centri è talvolta difficile scoprire negli edifici, così

210 La rocca di Montefalco nella sua porzione centrale mostra i resti di un ambiente di forma quadrangolare, ma per lo scarso stato di conservazione di tale struttura, non preservata in elevato, non è possibile chiarire se si tratti di una torre o di un complesso edilizio con altre funzioni. 211 Sulla base delle tecniche edilizie catalogate nel capitolo 5 sono state elaborate delle piante di fase per ogni castrum abbandonato; laddove le evidenze archeologiche sono risultate essere labili (come nel caso di Fistula e Marcellino, o dove non è stato possibile accedere al sito come a Santa Croce) l’ipotesi ricostruttiva è stata sviluppata solo sulla base della posizione topografica delle evidenze archeologiche (perlopiù riferibili ad allineamenti murari ed aree di frammenti fittili) all’interno del sito. Solo per il castello di Petra Demone non è stata proposta una planimetria ricostruttiva per la pochezza dei resti archeologici conservati che non hanno consentito un’interpretazione delle strutture edilizie. Tali siti non sono stati inseriti nella classificazione qui proposta per i motivi appena esposti.

212 Solo il castello di Civitella di Licenza non presenta le fasi moderne del palazzo baronale per la sua fusione alla fine del medioevo con il vicino castello di Licenza.

212

I castelli dei Monti Lucretili fortemente modificati, i lacerti delle murature medievali, il più delle volte obliterate o coperte da posteriori interventi che hanno completamente alterato l’originario aspetto degli ambienti. Nell’ambito del progetto Monti Lucretili Landscape project si sta approntando un programma di ricerca rivolto allo studio approfondito anche dei castelli a continuità di vita, attraverso la predisposizione di una strategia metodologica in grado di rivelarne l’originaria configurazione strutturale, interrogando le murature moderne per poter poi arrivare alla comprensione dell’assetto insediativo di tutto comprensorio Lucretile durante i secoli del medioevo.

grande epidemia di peste nei centri che potevano garantire una maggiore autonomia delle attività economiche nelle aree a destinazione agricola, non troppo distanti dal centro abitato, ed un più favorevole svolgimento delle attività commerciali, collocandosi in zone non lontane dalle principali vie di percorrenza. Possiamo anche ipotizzare che i castelli che sopravvissero all’ondata degli abbandoni fossero, rispetto a quelli poi spopolati, più centrali nei poteri: tali insediamenti potevano anche visivamente rappresentare l’egemonia di una classe sociale poiché maggiormente inseriti nel tessuto insediativo della campagna intorno a Roma, il cui paesaggio si stava definendo tra la fine del medioevo e l’epoca moderna.

7.9. Considerazioni conclusive Lo studio del paesaggio medievale dei Monti Lucretili ha portato alla formulazione di nuove teorie sugli sviluppi del fenomeno castrense, generate dal connubio tra storia ed archeologia e dal conseguente confronto tra fonti scritte e fonti archeologiche, la cui unione in una ricerca territoriale è risultata essere indispensabile ai fini di una più completa analisi dei fenomeni.

Il fenomeno dei castelli nell’area dei Lucretili sembra non aver segnato neanche una cesura netta nelle forme di abitare, ma un cambiamento ideologico e politico graduale, che solo col passare dei secoli è risultato essere vincente sulle altre forme di popolamento presenti nel territorio. Attraverso le fonti scritte è stato possibile comprendere che la nuova realtà insediativa è stata promossa principalmente e in origine da una committenza di tipo laico: tra l’alto e il basso medioevo l’aristocrazia locale entra sempre più prepotentemente nelle politiche territoriali, affermando progressivamente il proprio potere, spesso usurpando le proprietà sotto l’egemonia dei maggiori enti ecclesiastici, come nel caso emblematico dell’abbazia di Farfa.

Nel comprensorio Lucretile la diffusione dell’incastellamento come fenomeno sociale sembra definirsi principalmente tra l’XI e il XII secolo213, generando nel paesaggio rurale una metamorfosi insediativa con il passaggio graduale da un popolamento di tipo sparso ad un habitat accentrato e fortificato di altura. Come abbiamo visto, però, lo stanziamento fondato su diffuse particelle fondiarie non scompare immediatamente dal territorio, ma rimarrà sempre una presenza costante nel contesto rurale intorno a Roma, anche se in misura ridotta. Nel basso medioevo il paesaggio rurale doveva caratterizzarsi per la presenza di castelli arroccati su alture, più o meno alte, e di ampi territori ancora qualificati da casali o modesti nuclei residenziali formati da capanne che dovevano costituire il retaggio dell’epoca pre-castrense214.

Il monastero farfense tenterà poi, tra l’XI inoltrato e il XII secolo, una ridefinizione delle proprietà, promuovendo la creazione di nuovi centri fortificati e l’acquisizione di altri già edificati, più o meno lecitamente occupati dalle aristocrazie laiche. Ritornando al tema del dibattito sui castelli e alla luce dell’indagine compiuta per i Monti Lucretili è possibile affermare che la ricerca di un’unica chiave per interpretare il fenomeno dell’incastellamento è del tutto illogica: ogni sito, ogni contesto ha la propria storia che incoraggia ciascun territorio a rispondere in modo differente alle circostanze e occorrenze del momento. Sarebbe inopportuno definire ed elaborare un modello globale per gli insediamenti rurali poiché ogni regione può mostrare, anche all’interno dei suoi stessi limiti geografici, variazioni e caratteristiche specifiche, determinando l’origine di una “peculiare” forma insediativa215.

I dati ottenuti in questo lavoro sul distretto dei Monti Lucretili hanno rivelato una forte dicotomia funzionale tra i castelli dell’area, suggerita dai differenti ruoli ricoperti dagli stessi al momento della loro fondazione. L’aspetto strategico e l’aspetto economico-produttivo erano le due caratteristiche imprescindibili alla base dei nuovi stanziamenti, elementi entrambi presenti in tutti i castelli; i dati per quest’area hanno però evidenziato nel lungo termine che quando l’aspetto strategico ha prevalso sull’altro, è lì che si verificò lo spopolamento dei siti. Alla luce di queste interpretazioni, da collegare alle contingenze storiche e sociali di quel periodo, sembrano chiari i motivi che determinarono tra la metà del XIV e gli inizi del XV secolo l’abbandono dei centri a carattere “più strategico”, portando al conseguente accentramento della popolazione sopravvissuta alla crisi economica e alla

Non è quindi possibile generalizzare il fenomeno dell’incastellamento. In una ricerca sul territorio è imprescindibile la valutazione dell’aspetto regionale e micro-regionale per la piena comprensione delle dinamiche che si celano dietro al cambiamento sociale nelle forme di abitare. Dai dati emersi il pensiero espresso da Chris Wickham e da Andrea Augenti sembra avvicinarsi maggiormente al nostro caso, con la puntualizzazione

213 Non mancano esempi di fondazioni tardive come il probabile caso di Roccagiovine. 214 Bernardi 2014; Bernardi 2018b, pp. 142-143.

215

213

Cfr. Hubert 2000a; Hubert 2002; Farinelli 2005.

L’incastellamento nei Monti Lucretili dell’importanza del fattore ambiente e delle diverse vicissitudini storiche che hanno portato alla formazione di una variegata e poliedrica fisionomia dei castelli in Italia216. In conclusione, parlando di castelli del Lazio, non si può non far riferimento a Toubert: la sua intuizione di porre al centro l’elemento economico all’origine dei castelli della Sabina è senz’altro corretta, ma i suoi risultati vanno sicuramente sfumati alla luce dei nuovi dati, soprattutto in merito al ruolo di cesura che il X secolo avrebbe rappresentato nelle dinamiche insediative delle campagne laziali217. Lo storico francese non esclude però l’esistenza di una funzione strategica dei castelli: egli, infatti, parla di una competizione tra castra che porterebbe nel corso degli anni ad una “selezione naturale” degli abitati con lo spopolamento precoce, poco dopo la fondazione, dei centri strategici a favore di quelli più attivi sotto il profilo economico e produttivo218. Dove il modello toubertiano non si accorda compiutamente con i dati dell’area dei Lucretili è nei tempi in cui gli abbandoni si sarebbero verificati219. Solo un’indagine archeologica attraverso uno scavo stratigrafico in più siti potrebbe definitivamente chiarire gli interrogativi sull’incastellamento al centro del dibattito nella medievistica italiana da quasi cinquant’anni220. L’indagine archeologica in più settori di un castello, attentamente selezionati sulla base degli obiettivi della ricerca, consentirebbe di comprendere definitivamente le tempistiche e le modalità dello sviluppo del fenomeno dell’incastellamento in questa zona del Lazio senza la pretesa di diventare un modello insediativo globale221. Dobbiamo auspicare in questo momento una ripresa degli scavi archeologici da espletare in differenti e diversificate situazioni ambientali quali siti di altura e siti di pianura222, unitamente alle altre ricerche territoriali meno invasive, ma più estese in termini geografici come i surveys, per poter orientare la ricerca sull’incastellamento verso una più completa mappatura diacronica del territorio in esame, come si sta cercando di fare per i Monti Lucretili riprendendo le fila di questo lavoro sui castelli.

216 Cfr. capitolo 1, paragrafo 1.4. Wickham 1988, p. 416; Wickham 1990, p. 81; Augenti 2016, pp. 145-157; Augenti 2018, pp. 23-24. 217 Dal confronto dei dati per l’area dei Monti Lucretili con la zona del Turano (Hubert 2002) e dei Monti Ruffi (Annoscia 2011, pp. 75-81) sono emerse forti analogie con le conclusioni tratte in questo elaborato. In particolar modo lo studio avanzato da Giorgia Maria Annoscia sulla contigua zona dei Monti Ruffi (ad occidente della valle dell’Aniene) ha sottolineato il ruolo centrale del castrum strategico all’interno del territorio. 218 Toubert 1995, pp. 86-93. 219 Toubert, infatti, sostiene che molti castelli della Sabina sono stati abbandonati dal XIII secolo (tra questi cita anche Petra Demone che, invece, risulta attivo fino al XV secolo). Toubert 1995, p. 86. 220 Augenti, Galetti 2018. 221 Bernardi 2018b, pp. 142-143. 222 La positiva esperienza di Vetricella potrebbe incarnare un esempio per le future ricerche diacroniche mirate alla ricostruzione del paesaggio rurale di epoca medievale. Bianchi, Hodges 20178; Bianchi, Hodges 2020.

214

Appendice 1 Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli abbandonati Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

Castel del Lago

LL, vol. II, doc. 2017, p. 304

novembre 1010

Lacus

Casalis

LL, vol. II, doc. 2016, p. 304

dicembre 1010

Lacus

Casalis

LL, vol. II, doc. 2015, p. 304

luglio 1011

Lacus

Casalis

RF IV, doc. 944, p. 338

1062 o 1065 (?)

Lacus

Locus; Pertinentia; Subiacentia

RF IV, doc. 945, p. 339

1062 o 1065 (?)

Lacus

Castellum

CF, vol. II, p. 151

1062 o 1065 (?)

Lacus

Casalis

RF IV, doc. 978, p. 358

1067

Lacus

Pertinentia

RF IV, doc. 979, p. 359

1067

Lacus

Pertinentia

CF, vol. II, p. 153

1067

Lacus

Pertinentia

CF, vol. II, p. 154

1067

Lacus

Pertinentia

RF V, doc. 1205, pp. 197-198

1110

Lacis

Pertinentia

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001

22 ottobre 1300

Lacus

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.04,032

4 gennaio 1339

Lacus

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.04,035

4 gennaio 1339

Lacus

Castrum

ASV, Reg.Vat. 945, foglio 176

2 marzo 1492

Lacus

Castrum dirutum

30 settembre 1276

Castilionis

Tenimentum castri

ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3

17 giugno 1278

Castellionis

Tenimentum castri

ASV, Archivio Borghese, 736, n. 264

11 ottobre 1445

Castiglione

Castello guasto

ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 73, n. 23 5 maggio 1446

Castiglioni

Castrum dirutum; Tenimentum

ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 72, n. 29 4 giugno 1446

Castiglioni

Castrum dirutum

ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 73, n. 15 5 maggio 1460

Castiglioni

Tenuta

ASV, Archivio Della Valle-Del Bufalo, 72, n. 43 5 maggio 1467

Castiglioni

Casalis dirutum

RF IV, doc. 617, p. 16

1011

Fistula

Pertinentia

RF III, doc. 556, p. 264

1026

Fistula

Locus; Castellum

CF, vol. II, p. 49

1026

Fistula

Locus

RF IV, doc. 645, p. 43

1028

Fistule

Locus; Rocca

CF, vol. II, p. 96

1028

Fistula

Locus

CF, vol. II, p. 104

Prima metà XI secolo

Fistula

-

LL, vol. II, doc. 1002, p. 28

Gennaio 1051

Fistula

Vocabulum

CF, vol. II, p. 184

1059

Fistula

-

RF IV, doc. 940, p. 334

1064

Fistula

Castellum

LL, vol. II, doc. 1086, p. 62

Marzo 1068 o 1069 (?)

Fistula

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1214, p. 111

1081

Fistula

Vocabulum

CF, vol. II, p. 191

1084 (?)

Fistula

-

LL, vol. II, doc. 1229, p. 117

Aprile 1091

Fistula

Vocabulum

Castiglione ASV, Archivio Borghese, 736, n. 260

Fistula

215

L’incastellamento nei Monti Lucretili Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

LL, vol. II, doc. 1467, p. 208.

Maggio 1107

Fistula

-

RF V, doc. 1317, p. 301

1116 (?)

Fistula

S. Blasius in Fistula

RF V, doc. 1318, p. 303

1118

Fistula

S. Blasius in Fistula

CF, vol. II, p. 280

1118

Fistula

S. Blasius in Fistula

LL, vol. II, doc. 1697, p. 254

Luglio 1120

Fistula

-

RF IV, doc. 617, pp. 15-16

1011

Macla Felcosa

Locus

RF IV, doc. 618, p. 16

1011

Macla Felcosa

Locus

CF, vol. II, p. 90

1011

Macla Felcosa

Vocabulum

RF IV, doc. 924, p. 319

1062

Maccla

Locus

RF IV, doc. 940, p. 334

1064

Maccla

Castellum

CF, vol. II, p. 151

1064

Maccla

Castellum; Pertinentia

RF IV, doc. 976, p. 356

1065

Maccla

Castrum

CF, vol. II, p. 153

1065

Maccla

-

RF V, doc. 1095, p. 90

1084

Maccla Felcosa

-

CF, vol. II, p. 171

1084

Macla Felcosa

-

CF, vol. II, p. 192

1089

Maccla Felcosa

-

CF, vol. II, p. 205

Seconda metà XI secolo Macla Felcosa

RF V, doc. 1255, p. 235

1090

Maccla Felcosa

-

RF V, doc. 1256, p. 236

1093

Maccla

Castrum; Pertinentia

CF, vol. II, p. 193

1093

Maccla

Castrum; Pertinentia

RF V, doc. 1318, p. 303

1116 (?)

Macla

S. Nycolai in macla

CF, vol. II, pp. 280-281

1118

Macla

S. Nycolaus in macla

RF V, doc. 1320, p. 313

1119

Maccla

Casalis

CF, vol. II, p. 297

1119

Maccla

Casalis

RT, doc. XVII, p. 75, r. 15-16; p. 76 r. 13

1153-1154

Marcellini

Ecclesia; Pertinentia

ASC, Archivio Orsini, II.A.01,020

25 gennaio 1229

Marcellini

Castrum

ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3

17 giugno 1278

Marcelini

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.09, 022

21 maggio 1391

Marcellinum

Tenimentum

ASC, Archivio Orsini, II.A.09, 024

21 maggio 1391

Marcellino

Locus

ASC, Archivio Orsini, II.A.09, 030

3 marzo 1392

Marcellino

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 041

8 giugno 1506

Marcellini

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 040

19 giugno 1506

Marcellini

-

Monteverde ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3

17 giugno 1278

Mons Viridis

Integrum castrum; Rocca; Tenimentum

OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 3 Roma 14 giugno 1496 - S. Salvatore in Lauro 01

Monte Verde

Tenuta

ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 041

8 giugno 1506

Monteverde

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 040

19 giugno 1506

Monte Verde

-

OAC, Archivio Orsini, Box 50, Folder 1 Cantalupo e Bardella (Mandela) 02

Settembre 1524

Monteverde

Tenuta

OAC, Archivio Orsini, Box 141, Folder 1 S. Polo 01

10 marzo 1526

Monte Verde

Tenuta; Casale

Macla

Marcellino

216

-

Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli abbandonati Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

Petra Demone

RF IV, doc. 617, p. 16

1011

Petra Doemone

Pertinentia

RF IV, doc. 809, p. 212

1047-1089

Petra Doemone

Castellum

CF, vol. II, p. 122

1047-1089

Petra Demonum

Castellum

RF V, doc. 1083, p. 78

1083

Petra Doemone

Castellum

CF, vol. II, p. 168

1083

Petra Demonis

-

RF V, doc. 1095, p. 90

1084

Petra Demone

Locus; Castellum; Pertinentia castri

Poggio Runci

LL, vol. II, doc. 2121, p. 332

Febbraio 1084

Petra Demonis; Petra

Pertinentia; casalis ad Sancti Stephani; casalis Rose; casalis ad Sanctam Crucem

CF, vol. II, p. 171

1084

Petra Demonis

Castellum

CF, vol. II, p. 192

1084

Petra Demonis

Castellum

CF, vol. II, p. 173

1084 (?)

Petra Demonum

Castellum

RF V, doc. 1099, p. 95

1084

Petrae Demonium Castellum

RF V, doc. 1255, p. 235

1090

Petra Doemonis

Locus; Castellum

RF V, doc. 1154, p. 158

1097

Petradoemone

Homines de

CF, vol. II, p. 218

1097

Petra Demone

-

RF V, doc. 1205, p. 198

1110

Petra Daemonis

Oppidum

RF V, doc. 1320, pp. 313-314

1119

Petra Doemonis

Casalis S. Stephani; Castrum

CF, vol. II, p. 297

1119

Petra Demonis

Casalis

CF, vol. II, p. 299

1119

Petra Demone

Castrum

RF V, doc. 1324, pp. 317-319

1119-1125

Petra Daemonis

Castellum

CF, vol. II, p. 303

1119-1125

Petra Demonis

Castellum

CF, vol. II, p. 306

1119-1125

Petra Demonis

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036

19 maggio 1318

Petra Demone

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.20, 051

1° gennaio 1508

La Petra Demonis

Tenimentum; Chastrum nunc dirutum

RT, doc. IV, p. 30, r.15-16

956

Ronci

Rivus

RT, doc. XVII, p. 75, r. 25-27

1153-1154

Runci

Ecclesia S. Mariae; S. Blasii; Pertinentia

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,025

11 luglio 1288

Poggio Ruino

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03, 13

2 giugno 1311

Podii Rusci

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017

12 marzo 1313

Podii Ronci

Castrum

10 luglio 1038

Saccumauri

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024

5 gennaio 1288

Saccomoro

Castellare

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,026

19 maggio 1289

Saccimori; Saccimoroi

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009

1304

Saccomuro

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013

2 giugno 1311

Saccomori

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,014

26 settembre 1311

Saccimori

Castrum

Saccomuro RS, doc. 34, p. 73

217

L’incastellamento nei Monti Lucretili Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017

12 marzo 1313

Saccomuro

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,024

7 gennaio 1316

Sacccomuri

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,023

14 gennaio 1316

Saccomuri

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,022

11 dicembre 1316

Saccomuro

Tenimentum castri

ASC, Archivio Orsini, II.A.04,001

9 agosto 1330

Saccomuri

Territorium castri

ASC, Archivio Orsini, II.A.23, 047

3 marzo 1539

Saccomuro

La prata

Santa Croce RF V, doc. 1095, p. 91.

1084

Sancta crucis

Ecclesia

Saracinesco ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011

25 marzo 1307

Saracinesci

Castrum

BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.1, pp. 132-139

1363

Saracineschi

Castrum apud Tivoli

BAV, Fondo S. Angelo in Pescheria.I.7, p. 59

1372

Saracineschi

Castrum

RF IV, doc. 617, p. 15

1011

Spongia

Pertinentia

CF, vol. II, p. 90

1011

Spongia

Pertinentia

ASC, Archivio Orsini, II.A.16,058

9 ottobre 1454

Spogna

Locus

ASC, Archivio Orsini, II.A.20,041

8 giugno 1506

Spogna

-

RT, doc. XII, p. 67, r. 15-16

1030

Turita

Castellum

RT, doc. XVII, pp. 75, r. 20; p. 76 rr. 6-7

1153-1154

Turrita

Ecclesia S. Romoli; Pertinentia

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,001

22 ottobre 1300

Torrita

Castrum; Castellare

ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022

21 maggio 1391

Torrita

Tenimenta

ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024

29 maggio 1391

Turrita

Tenimenta

ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029

20 aprile 1440

Vallisbone

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.17,028

16 ottobre 1458

Vallebona

Castellum

Spogna

Turrita

Vallebona

218

Appendice 2 Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli a continuità di vita Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

Civitella di Licenza

RF V, doc. 1205, pp. 197-198

1110

Civitella

Pertinentia

ASC, Archivio Orsini, II.A.01,021

13 aprile 1232

Civitelle

Feudum

OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272-1714

4 maggio 1272

Civitella

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005

4 maggio 1275

Civitella

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024

5 gennaio 1288

Civitelle

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009

1304

Civitella

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036

19 maggio 1318

Civitella

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.05,033

27 giugno 1360

Civitelle

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.20,051

1° gennaio 1508

Civitella

Tenimentum terrae

RF V, doc. 1017, p. 20

1074

Licentia

Rocca

RF V, doc. 1205, pp. 197-198

1110

Licenzia

Pertinentia

OAC, Archivio Orsini, Box 173, Folder 1 Veiano (Viano) 45, 1272-1714

4 maggio 1272

Licenza

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,005

4 maggio 1275

Licenza

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024

5 gennaio 1288

Licetie

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,009

1304

Licentia

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,013

2 giugno 1311

Licentie; Licetie

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,017

12 marzo 1313

Licenza

Castellum

RF III, doc. 300, p. 2

857 o 859 (?)

Mons Aureus

Fundus

CF, vol. I, p. 213

857 o 859 (?)

Mons Aureus

Fundus

LL, vol. I, doc. 336, p. 186

Luglio 976

Mons Aureus

-

LL, vol. I, doc. 416, p. 224

Aprile 996

Mons Aureus

Terre et vinee

LL, vol. I, doc. 421, p. 226

Marzo 998

Mons Aureus

-

RF III, doc. 423, pp. 133-134

998 (?)

Mons Aureus

Locus

RF III, doc. 427, p. 141

998

Mons Aureus

Locus

CF, vol. II, p. 5.

998

Mons Aureus

-

LL, vol. I, doc. 437, pp. 233-234

Ottobre 999

Mons Aureus

-

LL, vol. I, doc. 722, pp. 344-345

Settembre 1014

Mons Aureus

-

LL, vol. I, doc. 745, pp. 353-354

Aprile 1016

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. I, doc. 770, p. 364

Giugno 1017

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. I, doc. 571, p. 284

Ottobre 1025

Mons Aureus

-

LL, vol. I, doc. 917, p. 422

Giugno 1035

Mons Aureus

Vocabulum

CF, vol. II, p. 69

Prima metà XI secolo

Mons Aureus

-

CF, vol. II, pp. 59, 60, 62, 66, 72, 73, 74

Prima metà XI secolo

Mons Aureus

-

LL, vol. II, doc. 946, p. 3

Gennaio 1047

Mons Aureus

Vocabulum

RF IV, doc. 809, p. 211

1047-1089

Mons Aureus

Podium; Castellum

CF, vol. II, p. 122

Metà XI secolo

Mons Aureus

Podium; Castellum

Licenza

Montorio Romano

219

L’incastellamento nei Monti Lucretili Sito

Moricone

Nerola

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

RF IV, doc. 921, p. 316

1061

Mons Aureus

Podium

LL, vol. II, doc. 1123, p. 77

Luglio 1076

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1209, p. 110

Maggio 1079

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1214, p. 111

1081

Mons Aureus

Vocabulum

RF V, doc. 1095, p. 90

1084

Mons Aureus

-

CF, vol. II, p. 171

1084

Mons Aureus

-

CF, vol. II, p. 192

1084

Mons Aureus

-

RF V, doc. 1255, p. 235

1090

Mons Aureus

-

CF, vol. II, p. 182

XI secolo

Mons Aureus

-

CF, vol. II, p. 191

XI secolo

Mons Aureus

-

CF, vol. II, pp. 221-222

XI secolo

Mons Aureus

-

LL, vol. II, doc. 1277, p. 136

Ottobre 1096

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc.1278, p. 137

Ottobre 1096

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1294, p. 144

Gennaio 1097

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1327, p. 157

Giugno 1100

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1332, p. 159

Ottobre 1101

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1419, p. 194

Febbraio 1105

Mons Aureus

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 1545, p. 225

Maggio 1110

Mons Aureus

-

RF V, doc. 1318, p. 305

1118

Mons Aureus

-

CF, vol. II, p. 284

1118

Mons Aureus

Fundus

ASC, Archivio Orsini, II.A.17,037

26 giugno 1461

Montorium

Terrenum

OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01

20 giugno 1478

Montorio

-

RF V, doc. 1300, p. 289.

1047-1089

Morrecone

Mons

RF V, doc. 1319, p. 310

1099-1119

Morricone

Oppidum

ASC, Archivio Orsini, II.A.16,050

21 maggio 1453

Morreconi

Castrum

RF IV, doc. 932, p. 326

1062

Verula (Errore Pertinentia trascrizione Nerula)

CF, vol. II, p. 150

1062

Nerula

Pertinentia

CF, vol. II, p. 222

1097 (?)

Nerula

Castellum

RF V, doc. 1177, p. 177

1100

Nerula

Pertinentia

CF, vol. II, p. 264

1100

Nerula

Pertinentia

RF V, doc. 1313, p. 299

1104

Nerula

Castrum

CF, vol. II, p. 278

1104

Nerula

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.09,007

4 gennaio 1388

Nerula

Parrocchia S. Antonio

ASC, Archivio Orsini, II.A.10,016

15 maggio 1398

Nerule

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.10,015

24 luglio 1398

Nerule

Terra

ASC, Archivio Orsini, II.A.11,039

28 marzo 1411

Nerule

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068

26 settembre 1415

Nerule

Castrum

OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02

26 settembre 1415

Nerola

Castellum

OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01

26 settembre 1415

Nerola

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,055

27 giugno 1433

Nerule

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053

31 luglio 1433

Nerule

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054

11 luglio 1433

Nerule

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057

11 luglio 1433

Nerola

-

220

Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli a continuità di vita Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

ASC, Archivio Orsini, II.A.21,065

8 gennaio 1450

Nerola

-

ASC, Archivio Orsini, II.A.16,042

4 giugno 1452

Nerule

Castrum

OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02

2 settembre 1454

Nerola

-

CF, vol. II, p. 160

1074-1075

Cane Mortuo

-

RF V, doc. 1016, p. 19

1075

Cane Mortuo

-

RF V, doc. 1045, p. 47

1078 o 1080 (?)

Canemortuo

Habitator in

RF V, doc. 1095, p. 90

1084

Canem Mortuum

-

CF, vol. II, p. 171

1084

Cane Mortuo

CF, vol. II, p. 192.

1084

Canem Mortuum

-

RF V, doc. 1255, p. 235

1090

Canem mortuum

-

RF V, doc. 1205, p. 198

1110

Cane Mortu

Serra

ASC, Archivio Orsini, II.A.07,026

21 novembre 1378

Canemorto

Territorium

ASC, Archivio Orsini, II.A.15,029

20 aprile 1440

Canismortui

Tenimentum

Palombara Sabina

ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3

17 giugno 1278

Palombara

Castrum

Percile

RF IV, doc. 685, p. 88

1033

Porcili

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 2046, p. 311

Aprile 1033

Porcili

Vocabulum

CF, vol. II, p. 100

1033

Porcili

-

RF V, doc. 1095, p. 90

1084

Porcili

CF, vol. II, p. 171

1084

Porcili

-

CF, vol. II, p. 192

1084

Porcili

-

RF V, doc. 1255, p. 235

1090

Porcili

-

RF V, doc. 1205, pp. 197-198

1110

Porcile

Castrum

CF, vol. II, p. 270

1110

Porcilis

Castrum; Pertinentia

LL, vol. II, doc. 1627, p. 242

Giugno 1118

Porcili

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,003

4 maggio 1275

Porcis

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.02,024

5 gennaio 1288

Porcil

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,036

19 maggio 1318

Percile

Castellum

Roccagiovine ASC, Archivio Orsini, II.A.05,012

12 maggio 1351

Rocca Giovane

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.18,058

25 aprile 1474

Rocche Iuvenis

Castrum; Tenimentum

RT, doc. XVII, pp. 75-76, r. 21-23

1153-1154

Sancto Polo

Caustri; Pertinentiis

ASV, Archivio Borghese, 732, n. 3

17 giugno 1278

S. Polo

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.03,011

25 marzo 1307

S. Polo

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.09,022

21 maggio 1391

S. Polo

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.09,024

29 maggio 1391

Sancti Poli

Castrum

RF II, doc. 63, p. 63

764

Scandilianum

-

CF, vol. I, p. 154.

764

Scandilianum

Casalis cum colonis ibidem resedentibus

RF II, doc. 119, p. 103

778

Scandilia

Casalis qui dicitur cisternule

Scandilia

Casae ubi dicitur Occianus cum ecclesia Sancti Stephani in Acusclo; casalis Cisternule

Orvinio

S. Polo dei Cavalieri

Scandriglia

CF, vol. I, p. 161

778

221

L’incastellamento nei Monti Lucretili Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

RF II, doc. 158, p. 132

802

Scandilia

Casa Laurunculi; Casa Caluisiolae; Casa Fercillae

CF, vol. I, p. 167

802

Scandilia

Casae

RF II, doc. 224, p. 183

817

Scandilianus

Fundus

CF, vol. I, pp. 179-180

817

Scandilianus

Fundus

CF, vol. I, p. 182

817

Scandilianus

Casalis

CF, vol. I, pp. 201-203

840

Scandilianus

Fundus

RF III, doc. 300, pp. 2 e 4

857-859 (?)

Scandilianus

Fundus

CF, vol. I, p. 213

857-859 (?)

Scandilianus

Fundus

CF, vol. I, p. 215

857-859 (?)

Scandilianus

Fundus

RF III, doc. 404, pp. 109 e 110

967

Scandilianus

Fundus

CF, vol. I, pp. 336 e 338

967

Scandilianus

Fundus

RF IV, doc. 641, p. 39

1012 -1013 (?)

Scandrilia

Locum

RF III, doc. 551, p. 260

1023

Scandrilia

Pertinentia

CF, vol. II, p. 48

1023

Scandrilia

Pertinentia

CF, vol. II, p. 104

Prima metà XI secolo

Scandrilia

-

RF IV, doc. 809, p. 212

1047-1089

Scandrilia

Castellum

CF, vol. II, p. 122

XI secolo

Scandrilia

-

RF V, doc. 1083, p. 78

1083

Scandrilia

Castellum

CF, vol. II, p. 168

1083

Scandrilia

Medietatem de

RF V, doc. 1095, p. 90

1084

Scandrilia

Castellum; Vocabulum

RF V, doc. 1095, p. 91

1084

Scandrilia

Ecclesia Sancti Salvatoris

CF, vol. II, p. 171

1084

Scandrilia

Castellum; ecclesia Sancti Salvatoris

CF, vol. II, p. 192

1084

Scandrilie

Castellum

RF V, doc. 1099, p. 95

1084

Scandrilia

Castellum

CF, vol. II, p. 173

1084 (?)

Scandrilie

Castellum

LL, vol. II, doc. 1218, p. 113

23 febbraio 1084

Scandrilia

Vocabulum

LL, vol. II, doc. 2121, p. 332

Febbraio 1084

Scandrilia

Casalis ad Sanctam Agathen

RF V, doc. 1260, p. 238

1085

Scandrilia

Terra

CF, vol. II, p. 194

1085

Scandrilia

Tota terra

RF V, doc. 1255, p. 235

1090

Scandrilia

Castellum

RF V, doc. 1154, p. 158

1097 (?)

Scandrilia

-

CF, vol. II, p. 218

1097 (?)

Scandrilia

-

RF V, doc. 1276, p. 250

1098

Scandrillia

Pertinentia

CF, vol. II, p. 196

1098

Scandrilie

Pertinentia ecclesiam Sancti Petri

RF V, doc. 1304, p. 291

Fine XI secolo

Scandrilia

Casales comitum manuales; Ecclesia sanctae mariae

RF V, doc. 1176, p. 177

1113

Scandrilia

Pertinentia

CF, vol. II, p. 264

1113

Scandrilie

Pertinentia

RF V, doc. 1168, p. 171

1117

Scandrillia

Pertinentia

RF V, doc. 1169, p. 172

1117

Scandrilia

Terra

222

Elenco delle fonti documentarie e di archivio per i castelli a continuità di vita Sito

Fonte

Datazione

Toponimo

Denominazione

CF, vol. II, p. 262

1117

Scandrilia

Terra

CF, vol. II, p. 284

1118

Scandilianus

Fundus

RF V, doc. 1320, pp. 313-314

1119

Scandrilia

Castrum

CF, vol. II, p. 297

1119

Scandrilia

-

CF, vol. II, p. 299

1119

Scandrilia

Castrum

RF V, doc. 1324, p. 318

1119-1125

Scandrilia

-

CF, vol. II, p. 303

1119-1125

Scandrilia

-

LL, vol. II, doc. 1694, p. 253

Aprile 1120

Scandrilia

-

CF, vol. II, p. 306

1121

Scandrilia

Castrum

ASC, Archivio Orsini, II.A.11,043

2 settembre 1412

Scandriglia

Castellum

OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01

2 dicembre 1412

Scandriglia

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.11,068

26 settembre 1415

Scandriglia

Castrum

OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02

26 settembre 1415

Scandriglia

Castellum

OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01

1415

Scandriglia

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,054

11 luglio 1433

Scandriglia

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,057

11 luglio 1433

Scandriglia

Terrae

ASC, Archivio Orsini, II.A.14,053

31 luglio 1433

Scandriglia

Castellum

ASC, Archivio Orsini, II.A.16,015

10 giugno 1449

Scandriglie

Castrum

OAC, Archivio Orsini, Box 146, Folder 5 Scandriglia 01

14 aprile 1451

Scandriglia

Terra

OAC, Archivio Orsini, Box 254, Folder 2 Eredità Romana Orsini di Gravina 02

2 settembre 1454

Scandriglia

-

OAC, Archivio Orsini, Box 225, Folder 1 Bolle 01

20 giugno 1478

Scandriglia

-

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2021

Il volume analizza l’origine, l’evoluzione e la fine dei castelli medievali nell’area dei Monti Lucretili, distretto territoriale collocato a Nord-Est di Roma, ponendosi al centro del dibattito sul fenomeno dell’incastellamento in Italia. I villaggi fortificati, ubicati ad alta quota e fondati a partire dal X-XI secolo nel Lazio, hanno fortemente modificato il paesaggio rurale intorno a Roma durante il medioevo. Questa ricerca tratta nel dettaglio tutti i castelli abbandonati dell’area campione, illustrando per ciascuno elementi strutturali, ipotesi ricostruttive e cronologie attraverso l’utilizzo di comprovati metodi. L’obiettivo scientifico dello studio è capire quali dinamiche insediative hanno originato la nascita e lo sviluppo del fenomeno dei castelli nei Monti Lucretili: come la popolazione delle campagne si sia adattata al nuovo sistema insediativo modificando le proprie abitudini e le cause che hanno determinato poi, negli ultimi secoli del medioevo, l’abbandono selettivo della maggior parte dei siti incastellati, segnando così la fine dell’incastellamento come modello di popolamento nel contesto rurale. This research focuses on the development of medieval castles in the Monti Lucretili, a sub-region located to the North-East of Rome. The volume includes chapter abstracts in English. ‘Il Lazio torna alla ribalta con questo libro. Dobbiamo salutare il volume di Martina Bernardi con grande interesse, e con molta gratitudine. Prima di tutto perché questa ricerca amplia il campione a nostra disposizione, dissodando il terreno di una nuova zona del Lazio finora mai indagata così in profondità. E l’autrice lo fa dando prova di grande versatilità, spaziando tra le fonti scritte (analizzate con rara acribia, anche relativamente alla documentazione inedita d’archivio) e quelle archeologiche’. Prof. Andrea Augenti, Università di Bologna ‘Abbiamo ora la possibilità di visualizzare la consistenza monumentale e l’organizzazione interna dei villaggi incastellati, fino a delinearne una tipologia, colmando quella che era fino ad ora l’assenza più vistosa nelle ricerche sul nostro territorio, in cui spesso sembra che gli autori non si ponessero quasi il problema di come fossero fatte le case in cui abitavano i personaggi citati nei documenti che riempivano le pagine dei loro libri, su quali strade camminassero, in quale paesaggio vivessero la loro vita’. Prof. Riccardo Santangeli Valenzani, Università di Roma Tre Martina Bernardi è Cultore della Materia in Archeologia Medievale e Archeologia Urbana di Roma presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca con una tesi sul fenomeno dell’incastellamento. L’autore partecipa come supervisor a numerosi scavi e ricognizioni archeologiche, in contesti urbani e rurali, che mirano alla ricostruzione del paesaggio medievale. Martina Bernardi is a subject expert on Medieval and Roman Urban Archaeology at the University of Roma Tre. She holds a PhD in Medieval Archaeology, awarded for her thesis on the incastellamento phenomenon. Printed in England