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Italian Pages 349 [353] Year 2016
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ISBN 978-88-17-09078-0
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788817 090780
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Un capolavoro assoluto come la Gioconda non è
ALBERTO AN GELA, naro a Parigi nel 1962, na
solo un quadro da ammirare affascinati dagli oc
turalista, scrittore e divulgatore scientifico, è autore
chi che sembrano vivi e dalla magia del sorriso. In
e conduttore di programmi televisivi di straordina
realtà è un viaggio nella mente e nelle emozioni di Leonardo.
rio successo
t una porta che si spalanca su un luogo
come Passaggio a Nord Ovest e Ulisse.
Fra i suoi libri, tutti bestseller, ricordiamo San Pietro
e su un'epoca indimenticabili: Firenze (ma anche
(Rizzoli, 2015), l tre giorni di Pompei (Rizzoli, 2014)
Milano, Roma, Mantova, Urbino ...) e il Rinasci
-grazie al quale è stato possibile restaurare l'affresco
mento . .
dell'Adone ferito nell'omonima casa di Pompei -, l
Già dali 'Ottocento e fino a oggi, è stato detto e
bronzi di Riace (Rizzoli, 2014), Viaggio nella Cappella
scritto moltissimo su Leonardo e su Monna Lisa,
Sistina (Rizzoli, 2013 ) , Amore e sesso nell'antica Roma
un artista e un ritratto su cui si ha sempre l'impres sione di non sapere abbastanza. Per andare a cono
(Mondadori, 2012), Impero (Mondadori, 20 l O) e
scere entrambi e svelarne l'eterno fascino, Alberto
Una giornata nell'antica Roma (Mondadori, 2007).
Angela ha scelto una chiave completamente nuova: lascia che sia la Gioconda a "raccontarci" Leonardo, il genio che l'ha potuta pensare e realizzare. Parten do da ogni dettaglio del quadro e ricostruendo le circostanze in cui Leonardo lo dipinse, scopriamo così che il volto della Gioconda, levigatissimo dallo sfumato, non ha ciglia né sopracciglia (un dettaglio importante nella storia narrata in queste pag,ine...). O che il suo vestito ha molto da dirci sulla moda del tempo, ma anche sulle abitudini e sull'econo mia della Firenze di inizio Cinquecento. O, ancora, che le sue mani non sarebbero state possibili senza approfonditi e sorprendenti studi di anatomia. O che il segreto del paesaggio va ricercato nel nuovo tipo di prospettiva "aerea", ideato da Leonardo. La Gioconda può raccontarci queste e molte altre cose sul suo autore, dalle incredibili macchine e in
In coperrina:
Rìdaborazione dc L11 c:ioconda da "Il Giornale ddl'Anc" l
venzioni (un palombaro, un paracadute, un robot!)
Società Editrice Allcmandi & C.
ai rapporti con i potenti quali Ludovico il Moro e il
Fnrografì.a ddl'.mtorr:: © H:trb>�ra Ll•dda
re di Francia Francesco L Ma che cosa sappiamo di
In IV di copcnina: © \\:n�::randa BiOiiotcCJ AmbrmiJJU- Milano/
lei? Chi è davvero questa donna misteriosa? Sulla sua
Dc Agoslini Pic1urt· Lihrary
identità sono state fatte diverse ipotesi, alcune delle quali aprono retroscena appassionanti nelle città e nelle corti dell'epoca. Con le sue doti indiscusse di
An Dircnor: h::mn'l>CJ Lconcschi Cr.1phi' Dc.,igncr: l ui�i Ahom;Hc /thAX1orldojDOT
divulgatore, Albeno Angela ci accompagna a scoprir li, entrando nella vita di Leonardo, mostrandone il genio e il volto umano, l'incontenibile creatività e le unica, fondamentale nella cultura del mondo e di
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tutti i tempi.
ISBN 978·88·17·09078·0
relazioni. Svelandoci un Leonardo dalla personalità
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€ 22,00
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() /RizzoliLibri O (!_l'Rinoli Libri
Alberto Angela
GLI OCCHI DELLA GIOCONDA Il genio di Leonardo raccontato da Manna Lisa Prefazione di Carlo Pedretti
R.!._zzoli
Proprietà letteraria riservata © 2016 Rizzo/i Libri S.p.A. l Rizzo/i ISBN 978-88-17-09078-0
Prima edizione: novembre 2016 Seconda edizione: dicembre 2016
Progetto grafico e impaginazione: PEPE nymi
L'Editore ringrazia il professar Carlo Pedretti, la signora Rossana Pedretti e la dottoressa Margherita Melani per l'accurata revisione del testo. Ringrazia inoltre Stefano Re per la collaborazione ai testi.
L'Editore ha fatto il possibile per reperire i proprietari dei diritti. Rimane a disposizione per gli adempimenti d 'uso.
La Gioconda come "sogno d'infanzia" di Carlo Pedretti
n altro libro sulla Gioconda nel mare magnum di una sterminata bibliografia vin
U ciana? No. Finalmente un libro che, come botto finale, col linguaggio della gran
de comunicazione quale è il raffinato giornalismo della televisione, fa il punto sulla più celebre icona del nostro tempo considerata da ogni punto di vista, storico, scientifico e culturale. E questo col proposito di rispondere ai molteplici interrogativi che sull'ul timo capolavoro di Leonardo continuano ad essere posti, ad ogni livello di ricezione o ascolto, da un vastissimo pubblico non solo in Italia ma in tutto il mondo, ad ogni li vello sociale e intellettuale, dai lavoratori nei campi agli scienziati, un pubblico sempre più perplesso dall' impatto che un dipinto di soli 77 x 53 centimetri continua ad avere sulla cultura del nostro tempo. A questo scopo, nella parte finale del libro, Alberto Angela dà il giusto rilievo a una tesi sull'identificazione della Gioconda del Louvre che mi trova concorde, ma che non anticipo, e che continuo a sostenere. Formula nuova qui adottata da Alberto Angela è quella di considerare il dipinto nel contesto di una incalzante rassegna dei punti salienti della vicenda umana e artistica del suo autore, non tanto per avvertirne indizi che possano sembrare - e magari lo sono - preludio di dove Leonardo andrà a parare col capolavoro conclusivo, ma che aprono un più ampio spiraglio alla comprensione della sua indole e quindi alla possibilità di giovarsi di una chiave di lettura senza precedenti e che viene confermata, come tale, addirittura da un documento passato fino al nostro tempo inspiegabilmente inosservato. E questo mi preme di presentare prima di ogni altra considerazione. Mi riferisco addirittura a un documento a stampa apparso pochi anni dopo la morte di Leonardo e che segnalai per la prima volta nel1964 nella mia edizione del perduto Libro A di Leonardo (p. 35 , nota 11), e cioè l'edizione dei sonetti del Petrarca nel commentario di Alessandro Vel lutello pubblicato in varie edizioni dal15 34 in poi. Il sonetto in questione è il seguente: «In qual parte del ciel, in qual idea l Era l'essempio, onde natura tolse l Quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse l Mostrar qua giù, quanto là su potea? l Qual ninpha in fonti, in selve qual mai Dea l Come d'oro sì fino a l'aura sciolse? l Quand'un cor tante in sé virtute accolse? l Ben che la somma è di mia morte rea. l Per divina bellezza in darno mora l Chi gli occhi di costei giamai non vide, l come soavemente ella gli gira. l Non sa come amor sana, et come ancide l Chi non sa come dolce ella sospira l Et come dolce parla, et dolce ride». Stupenda immagine poetica questa di Laura, l'amata del Petrarca. Ma non sembra che qui il poeta descriva anacronisticamente la Gioconda due secoli prima di Leo nardo? Impossibile, naturalmente. Ma ecco il commento del Vellutello che ha per spunto la parola "idea", parola chiave proprio nel primo verso, parola che il massimo storico dell'arte del nostro tempo, Erwin Panofsky, ignorandone l'uso che ne fa qui il Petrarca, ne ha fatto un eccellente strumento interpretativo e quindi iconologico come parola chiave nello studio delle opere d'arte del nostro Rinascimento, in parti colare quelle di Leonardo, dal Cenacolo alla Gioconda. Il suo aureo libretto pubbli cato in tedesco nel1924 fu edito in italiano da Edmondo Cione nel 1952 col titolo Idea. Contributo alla storia dell'estetica. Dal carteggio che ebbi più tardi col Panofsky risulta con quanto entusiasmo egli avrebbe accolto il commento del Vellutello. «Et in qual idea», scrive dunque il Vellutello, «rispetto all'opinione di Platone, la qual fu che l'imagini de le cose fossero tutte a principio ne la mente divina create,
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perché Idea è quella immagine de la cosa che ne la nostra mente si forma prima che la facciamo, come per figura Leonardo Vinci vuoi far l'imagine di Maria Vergine, ma prima che metta mano a l'opera ha stabilito ne la mente sua di che grandezza in che atto ed abito e di che liniamenti vuoi ch'ella sia. Questa tal immagine è adunque quella che Idea è da Greci chiamata». Questo processo mentale di ricorrere alla funzione di Idea in senso platonico porta nel caso della Gioconda al ricorso ai «magazzini della memoria» come ebbe a definirli un poeta del nostro tempo, interprete maestro dei Lirici Greci ( 1 944) e che a Leonardo avrebbe poi dedicato particolari e originalissime considerazioni per le quali rimando a un mio contributo del 200 6 . Memoria dunque, quella di Leonardo, che risale all'infanzia, come ebbe a dimostrare Sigmund Freud con la sua straordinaria interpretazione in chiave psicanalitica di un sogno di infanzia di Leonardo apparsa per la prima volta in tedesco nel1910 , Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, poi ristampata nel1919 e in traduzione francese di Marie Bo naparte nel1927 come Un Souvenir d'enfance de Léonard de Vinci, poi in italiano nella traduzione di Ezio Lucerna del1977. «Se le belle teste di bambini», scrive Freud, «ri producevano lui stesso com'era nell'infanzia, allora le donne che ridono non sono altro che repliche di sua madre, Caterina, e noi cominciamo a intravedere la possibilità che sua madre avesse posseduto quel misterioso sorriso, che egli aveva perduto e che tanto lo avvinse quando lo ritrovò nella dama fiorentina», cioè nella Gioconda. A questo punto con una nota a piè di pagina Freud riconosce che analoga interpretazione era già stata proposta dal Merezkovskij, il romanziere russo che nel1901 aveva pubblicato una affascinante biografia di Leonardo che ancor oggi si ristampa e si legge. L'auto re però, precisa Freud, «s'immagina l'infanzia di Leonardo in un modo che diverge nei punti essenziali dai nostri risultati, desunti dalla fantasia del nibbio>>. E conclude: «Eppure se Leonardo stesso avesse avuto questo sorriso, la tradizione non avrebbe certo tralasciato di riferirne la coincidenza>>. La circostanziata disamina psicologica e psicanalitica del Freud continua a ispirare i più sofisticati critici e qualificati interpre ti dell'opera e indole di Leonardo. Basta ricordare le pubblicazioni di Robert Payne (1978), Bradley I. Collins (1997), Luciano Bottoni (2002) e Giuseppe Fornari (200 5). ll cosiddetto sogno d'infanzia è così raccontato da Leonardo stesso in una celebre nota aggiunta intorno al 1 50 5 , al tempo della morte del padre, a un foglio di studi sul volo degli uccelli nel Codice Atlantico: «Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché nella prima ricordazione della mia infanzia e' mi parea che es sendo io in culla che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra>>. Fantasia omosessuale, secondo Freud, dove la coda del nibbio è la valenza simbolica del membro virile. L'audacia dell'interpretazione si redime, nelle battute successive, con l'analisi sottile e convincente delle opere tarde di Leonardo nelle quali è spontaneo ravvisare la per sistenza dell'ineffabile sorriso, e cioè la Sant�nna, il San Giovanni Battista, la Leda, e un Bacco, una sorta di «piccolo Apollo che con un enigmatico sorriso sulle labbra, incrociate le morbide gambe, ci guarda con occhio seducente>>. «Questi quadri spirano un misticismo>>, conclude Freud, «di cui non osiamo penetrare il segreto; si può al massimo ricercarne i legami con le creazioni anteriori di Leonardo>>. E infatti: «Le figure sono ancora androgine, ma non nel senso della fantasia del nibbio. Sono giovani di bell'aspetto, di una delicatezza femminea, dalle forme effeminate; non abbassano gli occhi ma guardano in modo misteriosamente trionfante, quasi sapessero di una grande felicità vittoriosa della quale è obbligo tacere>>. Se Freud avesse conosciuto I�ngelo incarnato di Leonardo ritrovato solo ai nostri tempi ( p. 262), e del quale si è occupato in modo geniale un sacerdote, Francesco Sara cino, gli avrebbe fatto certamente buon gioco.
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Gli occhi della Gioconda
Nota
Per rendere la lettura più scorrevole, tutte le citazioni in italiano arcaico sono state parafrasate in forma più moderna con la sola eccezione per gli scritti di Leonardo da Vinci che sono stati sempre riportati fedelmente.
Introduzione
P
erché gli "occhi della Gioconda"? In effetti la grande potenza di questo capolavoro nasce dallo
sguardo. Se la Gioconda avesse guardato altrove come avviene in molti ritratti, forse non avrebbe avuto lo stesso fascino. Ecco il perché del titolo. Ma quegli occhi raccontano molto di più, aprono sull'inte ro mondo di Leonardo. Come ogni grande opera d'arte, infat ti, anche questo dipinto è una porta che ci introduce a chi lo realizzò. Non si possono capire e apprezzare i grandi capolavori dell'ar te se non si entra nella vita e nelle stesse esperienze personali dell'artista che li ha ideati, e se non si conosce l'epoca in cui sono stati pensati e prodotti per poi diventare eterni. Lo abbia mo visto, per esempio, con la Cappella Sistina o con la basilica di San Pietro, a cui abbiamo già dedicato due volumi illustrati. Ammirando gli affreschi della volta e il Giudizio universale, non possiamo non pensare al carattere focoso di Michelangelo, al suo modo impetuoso di dipingere o ai suoi rapporti burrascosi con i papi del tempo. Allo stesso modo, entrando in San Pie tro, ci emozioniamo molto di più se ripercorriamo con la mente il cammino millenario che ha portato dalla semplice sepoltura dell'apostolo Pietro al trionfo di marmi, mosaici, dipinti e statue che ci circonda oggi. Ma possiamo anche guardare le cose dalla prospettiva opposta. Domandiamoci per esempio: che cosa può avere da dirci un gran de capolavoro dell'arte? Certamente molto: ci racconta dell'artista che l'ha creato, degli studi che aveva fatto, dei suoi interessi, delle sue letture, delle sue stesse relazioni umane . . . Ma ci racconta an che dell'epoca in cui questo artista visse: le vicissitudini storiche,
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flltrodu�ir,nc
la tecnica o la tecnologia a cui aveva accesso, la politica e la gestio ne del potere, l'economia, le abitudini quotidiane . . . Questa è la prospettiva che abbiamo scelto per Gli occhi della Gioconda. Abbiamo deciso di addentrarci nella mente di Leonar
do da Vinci facendoci guidare dal suo capolavoro più famoso. In questo libro, infatti, partiremo dalla Gioconda per esplorare il mondo di Leonardo e le sue diverse opere in tutti i campi. Sarà quindi quella che siamo abituati a pensare come Monna Lisa - e che, alla fine del volume, scopriremo lasciare diversi interroga tivi aperti, a partire dalla sua identificazione e dalla datazione del ritratto - a raccontarci l'uomo che l'ha dipinta: il più grande genio del Rinascimento, un uomo curioso di ogni ramo del sape re, capace di coniugare teoria e realizzazione pratica, creatività e ngore. Sarà quindi la Gioconda a portarci per mano da Firenze a Mi lano, da Roma ad Amboise, nei luoghi insomma dove Leonardo operò, tra pittura e architettura, tra progettazione di macchine e studi anatomici. Lo seguiremo durante i suoi incontri più signi ficativi, con Ludovico il Moro o con Cesare Borgia, e in quelli magari meno noti ma non per questo meno importanti: con Isa bella d'Este e con Giuliano de' Medici. Ricordate in particolare quest'ultimo nome. Ma ora non perdiamo altro tempo. Quel viso che tanto ben co nosciamo, quello sguardo vivo e intrigante, quel sorriso enigmati co hanno molto da raccontarci. Lasciamo che la Gioconda prenda la parola . . . Ci sarà persino un gran colpo di scena!
Post scriptum
Visto che la passeggiata che faremo, accompagnati dalla Gioconda, nella vita di Leonardo non sarà in ordine cronologico, anticipiamo qui uno schema che aiuti a orientarsi nel racconto.
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1467-1477 Ancora a FIRENZE, entra nella bottega di Andrea del Verrocchio. Nel1474 fa il suo primo ritratto, quello di Ginevra Benci.
1463-1467 Il padre ser Piero lo porta con sé a FIRENZE.
1452-1463 Vive a VINCI, allevato dalla madre Caterina e dal nonno Antonio.
1452 Nasce a VINCI, attualmente in provincia di Firenze.
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1477-1482 Ancora a FIRENZE: riceve le prime commissioni (Madonna Benois e /:Adorazione dei Magi). Si avvicina a Lorenzo il Magnifico e frequenta il Giardino di San Marco, dove si formavano i giovani artisti.
1482-1499 Si trasferisce a MILANO dove si mette al servizio di Ludovico il Moro, fra le altre cose come architetto e scenografo per le feste. Tra il1483 e il1485 dipinge la prima versione della VeTgine delle rocce. Nel 1487 realizza un modello in legno per il tiburio del Duomo. Nel1488 fa il ritratto di Cecilia Gallerani, un'amante del Moro: è la Dama dell'ennellino. Tra il1495 e il1497 ritrae Lucrezia Crivelli, la cosiddetta Belle Fe1-ronière. A partire dal1495 fino al1498, su incarico del Moro, lavora al Cenacolo. Nel1498, con aiuti, dipinge la Sala delle Asse del Castello Sforzesco.
1499-1501 Lasciata MILANO, viene ospitato a MANTOVA da Isabella d'Este, a cui fa un ritratto. Poi, passando per
VENEZIA e BOLOGNA, torna a FIRENZE nel1501, dove riceve la commissione per la pala d'altare della SS. Annunziata (ci resta il cartone Sant:Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino).
1506-1513 Salvo ritornare poche volte a Firenze su richiesta della Signoria, è definitivamente a MILANO per la seconda volta su insistenza del governatore francese Carlo d'Amboìse. Tra il1506 e il1508 dipinge con Ambrogio de Predìs la seconda versione della Vergine delle rocce. Tra il1510 e il1513 realizza la Sant:Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnello. Tra il150 8 e il1513 prende corpo l'idea del San Giovanni Battista.
1503-1506 Torna a FIRENZE dove riceve alcuni incarichi dalla Repubblica dì Pier Soderìnì: il progetto per la canalizzazione dell'Arno e il dipinto della Battaglia di Anghiari per Palazzo Vecchio. Salvo alcuni viaggi si ferma a
FIRENZE fino al1506. Nel1503 aveva impostato un ritratto di Lisa del Giocondo e nell50 4 comincia a lavorare alla Leda. Nel giugno 1505 comincia a dipingere la Battaglia di Anghiari.
1501-1503 Dopo un breve periodo a ROMA, va a URBINO al servizio di Cesare Borgia come "architetto militare".
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1513-1516 Su invito di Giuliano de' Medici, fratello di papa Leone X, si trasferisce a ROMA e alloggia in Vaticano. A partire dal1513 mette mano al ritratto di Pacifica Brandani. N el 1515 tratteggia l'autoritratto. A cavallo tra il 1515 e il1516 torna per un periodo limitato a FIRENZE dove lavora al progetto di un nuovo palazzo mediceo aperto su piazza San Lorenzo. Poi rientra a ROMA.
1516-1519 Su invito del re Francesco I si trasferisce in Francia e alloggia nel maniera di CLOS-LUCÉ nei pressi del castello reale di AMBOISE. Nel1517 viene invitato da Francesco I nel suo palazzo reale di Romorantin.
1519 n 2 maggio muore adAMBOISE.
Il quadro più famoso del mondo
L
a Gioconda di Leonardo da Vinci, conosciuta anche con il titolo di Manna Usa, è il dipinto più famoso del mondo. Si calcola che
ogni anno circa sei milioni di persone si accalchino per ammirarla (mediamente per quindici secondi!) nella sala del Museo del Louvre a Parigi in cui è esposta, rimanendo ammaliati dalla sua straordinaria bellezza, talmente straordinaria da avere in sé un che di misterioso.
È difficile trovare le parole adatte per iniziare ad accostarci a un
simile capolavoro che analizzeremo in questo volume seguendo al tempo stesso la vita e le opere di Leonardo ma anche andando alla scoperta del mondo in cui è vissuto e ha espresso il proprio genio. «Ciò che ci colpisce in primo luogo è l'intensa vitalità con cui Lisa ci appare: essa sembra veramente guardarci e pensare. Come un essere vivente, sembra mutare sotto i nostri occhi e risultare un po' diversa ogni volta che torniamo a guardarla. . . . A volte Lisa sembra beffarsi di noi, ma ecco che di nuovo ci sembra di cogliere un'ombra di tristezza nel suo sorriso.» Così ha scritto un grande studioso di storia dell'arte, Ernst Gombrich. Dunque, nella Gioconda anche Gombrich è colpito innanzi tutto da un qualcosa di inafferrabile. Questa impressione deriva forse dal contrasto con il paesaggio sullo sfondo, che è evanescen te, o forse dalle sfumature agli angoli della bocca e degli occhi: «. . . sono principalmente queste parti che Leonardo ha lasciato volutamente indefinite . . . Ecco perché non siamo mai sicuri dello stato d'animo con cui Monna Lisa ci guarda». O forse è un altro ancora il segreto di questo meraviglioso, unico, ritratto di donna. Sono tutti aspetti che approfondiremo. Partiamo quindi per questo lungo viaggio con una domanda molto semplice . . . ma a cui è tutt'altro che facile dare risposta: chi era Monna Lisa, nella realtà?
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Racconta il Vasari
C
ome si può rispondere a una domanda così precisa su un pas sato lontano cinque secoli? Un trucco c'è. Ed è il punto di par
tenza di questa nostra investigazione. Come in un'indagine, infatti, bisogna trovare dei testimoni e ascoltare le loro parole. Esiste un te stimone d'eccezione!
È Giorgio Vasari, nato ad Arezzo e cresciuto a
Firenze all'inizio del Cinquecento. Le sue parole sono preziosissi me. In effetti, quando si vuole entrare nella vita e capire come siano nati i capolavori di un artista del Medioevo o del Rinascimento ita liano, la prima fonte da consultare è il suo monumentale volume Le vite de' più eccellenti architetti, pittori e scultori da Cimabue insino a tempi nostri. Quest'opera (vedi frontespizio nella pagina accanto),
dedicata al granduca Cosimo I de' Medici, fu pubblicata per la pri ma volta a Firenze nel 1550. Poi, visto il suo grande successo, uscì in una seconda edizione modificata e ampliata, nel 1568. Il successo non fu casuale: eravamo ormai, a metà del Cinque cento, in un'epoca in cui il Rinascimento apparteneva già al passa to e veniva considerato come un periodo di irripetibile splendore che non poteva più essere eguagliato, ma, al massimo, imitato e studiato. Le vite di Vasari sono una serie di più di centocinquanta biografie di artisti, ricchissima di notizie; è quindi la prima vera e propria "storia dell'arte italiana" e talvolta - per esempio, su opere oggi perdute - è l'unica fonte di cui disponiamo, anche se in al cuni casi gli storici successivi hanno accertato che non è sempre precisa e attendibile. Rimane di certo una fonte fondamentale. Cosa scrive il Vasari della Gioconda? Leggiamo le sue parole in un italiano di allora: «Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni pe natovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableo».
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Ecco perché il famoso dipinto di Leonardo da Vinci ha due tito li
-
Gioconda e Manna Lisa
-
:
Lisa era la moglie del mercante del
Giocondo.
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Lisa e Francesco
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l503-1508
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n questo nostro viaggio-indagine nel passato è il momento di incontrare le prime due persone che ruotano attorno alla
Gioconda: il mercante fiorentino Francesco del Giocondo e sua
moglie Lisa Gherardini. Francesco, nato a Firenze nel 1465, era un borghese di umili origini, un mercante di seta con un volto sinistro: era anche presta tore a usura. I suoi affari andavano molto bene e aveva raggiunto una condizione agiata. Era in buoni rapporti, commerciali e politi ci, con la famiglia Medici, e nel corso della sua vita ricoprì alcune cariche nella Repubblica fiorentina: fu membro del consiglio dei Dodici Buonomini nel 1499 e priore nel 1512 e nel 1524. Rimasto vedovo per due volte, nel 1495 Francesco sposò in terze nozze Lisa, figlia di Antonmaria Gherardini, di famiglia nobile e decaduta. Lei era nata nel 1479; perciò quando si sposò aveva solo quindici anni, quattordici in meno del marito. Secondo il Vasari, Francesco del Giocondo avrebbe chiesto a Leonardo - in base ad alcune ricostruzioni, intorno al 1503 - di eseguire un ritratto della moglie Lisa. Secondo una fra le tante ipotesi, lo avrebbe fatto per festeggiare la loro nuova casa e la nascita del loro secondo figlio, Andrea. Torniamo ancora a quanto racconta il Vasari sul ritratto di Lisa Gherardini. Ci offre una curiosità: mentre la ritraeva, Leonar do avrebbe radunato una piccola compagnia di musici, cantori e buffoni per farla stare allegra e «per levar via quel malinconico, che suoi dar spesso la pittura a' ritratti che si fanno»; anche da questo singolare accorgimento sarebbe nato il celebre e inspiega bile sorriso, quel «ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo».
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Lisa
e
Francesco
Quanto al " destino" del quadro, Vasari scrive: anni penatovi lo lasciò imperfetto . .
.
«...
e quattro
».
Leonardo, dunque, avrebbe lavorato saltuariamente al dipinto per quattro anni senza terminarlo (Vasari, per esempio, non fa alcun cenno al paesaggio sullo sfondo), per poi - supponiamo portarlo con sé a Milano quando vi si trasferì. D'altro canto, sappiamo che Leonardo dipingeva molto lenta mente, aveva continui ripensamenti, era un perfezionista; questa è una delle ragioni per cui molte sue opere sono rimaste incompiute. Sembra inoltre che il quadro non sia mai stato consegnato al suo committente. Nemmeno i più accurati studi d'archivio hanno tro vato alcuna nota di pagamento (che Leonardo era uso fare); inol tre, nel testamento dettato da Francesco del Giocondo nel gennaio 1537, non compare alcun accenno al famoso ritratto.
La Gioconda o Monna Lisa
'
Alberto Angela racconta Perché Francesco del Giocondo avrebbe chiesto a Leonardo un ritratto della moglie Lisa? Forse l'intenzione di Francesco del Giocondo era quella di far realizzare un doppio ritratto di sposi, come era di moda già dal secolo precedente: nel Quattrocento, infatti, alcuni ricchi borghesi italiani avevano preso l'abitudine difarsi "immortalare" dai valentissimi pittori fiamminghi. È il caso, per esempio, del mercante lucchese Giovanni Arnolfini e del banchiere fiorentino Tommaso Portinari con le loro rispettive mogli: il primo incaricò Jan van Eyck di raffigurarli nella loro casa, rappresentata secondo lo stilefiammingo fin nei minimi dettagli (come si vede nella pagina accanto), per celebrarne il matrimonio e l'imminente nascita delfiglio (1434); il secondo diede mandato a Hans Memling di realizzare due ritratti distinti a mezzo busto e di tre quarti per sé e per sua moglie Maria (1470-1480 circa). Ma l'usanza riguardava naturalmente anche la nobiltà· il più celebre doppio ritratto di coniugi italiano è di Piero della Francesca che dipinse il duca di Urbino Federico da Montefeltro
e sua moglie Battista Sforza, entrambi di profilo (qui sotto); ilfatto cheforse, in origine, fosse costituito da un dittico pieghevole unito da una cerniera, sarebbe la prova che aveva un uso privato, così come un uso privato e funebre avevano i ritratti di Giuliano de' Medici, ucciso nella congiura dei Pazzi, di Sandro Botticelli, e della sua amante Simonetta Vespucci, morta giovane di tisi, raffigurata di profilo e a seno nudo da Piero di Cosimo.
Lisa e Francesco
25
La Gioconda o Mo11na Lisa
Alberto Angela racconta Contabilità di un genio Leonardo era molto scrupoloso nell'annotare spese e ricavi. Diversi documenti d'archivio ci suggeriscono la sua minuziosa attenzione ai limiti dell'ossessione. In questa pagina autografa Leonardo appuntò, scrivendo come noto da destra verso sinistra: «Ricordo come addì 8 d'aprile 1503 io, Lionardo da Vinci, prestai a Vante miniatore ducati 4 d'oro in oro. Portogli Salai e li dette in sua propia mano. Disse rendermeli infra lo spazio di quaranta giorni». Nell'immagine in basso vediamo questa nota allo specchio, quindi per noi leggibile.
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Una Firenze decaduta
L
a Firenze in cui Leonardo si trovava a lavorare nei primi anni del Cinquecento- che vediamo in un'accurata pittura dell'e
poca alle pagine 30-31 - mentre presumibilmente dipingeva la Gioconda, non era più la città splendida e fiorente che era stata
nel recente passato, al tempo di Lorenzo il Magnifico. Ma che cosa era successo negli ultimi anni perché il centro-simbolo del Rinascimento decadesse? Per capirlo, torniamo indietro ai suoi momenti di splendore, sot to la famiglia de' Medici. Nel 1434 un ricco banchiere di origini borghesi, Cosimo de' Medici, era stato eletto gonfaloniere della Repubblica fiorentina. A poco a poco, Cosimo aveva trasformato la Repubblica in Signoria, cioè in un "regime" principesco il cui potere si tramandava ai discendenti. Gli erano così succeduti il figlio Piero, nel 1464, e soprattutto il nipote Lorenzo, nel 1469. Sarebbe stato proprio Lorenzo, detto il Magnifico, a consolidare il principato, specie dopo aver sventato la congiura dei Pazzi, di ventando l'"ago della bilancia" della politica di equilibrio fra gli Stati italiani. Fu allora che Firenze conobbe il massimo del suo splendore, un'epoca d'oro, destinata però a tramontare con la morte di Loren zo nel 1492, lo stesso anno della scoperta dell'America. Da allora, le sorti di Firenze e dell'Italia intera cambiarono profondamente. Comparve la minaccia francese con il re Carlo VIII che calò in Italia, chiedendo di entrare a Firenze. Il giovane Piero de' Medici, fratello di Lorenzo, rivelandosi incapace di fronteggiare le esose richieste del re di Francia, gli cedette così, all'insaputa dei propri concittadini, varie fortezze e le città di Pisa e Livorno, suscitando un tale malcontento popolare che già nel 1494 venne spodestato e costretto all'esilio. '
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Rinacque così la Repubblica e si profilò la figura "forte" di un fanatico predicatore, Girolamo Savonarola, un frate domenicano mosso da una furia moralizzatrice contro l'arte profana, il lusso e i costumi corrotti, secondo lui, dei Fiorentini. Pensate: mise al rogo al centro della piazza della Signoria vestiti pregiati, strumenti musicali, quadri che lui riteneva portassero alla decadenza morale di Firenze. Ma non durò a lungo: già nel 1498 Savonarola venne rovesciato e lui stesso arso sul rogo. . . Il suo successore, Pier Soderini, uomo ben più prudente e mode rato, amico di Piero de' Medici e già suo ambasciatore presso il re di Francia Carlo VIII, venne eletto grazie al sostegno del ceto medio borghese e nominato gonfaloniere a vita, per assicurare alla città una maggiore stabilità politica. Tuttavia i borghesi fiorentini che avevano scelto e sostenuto So derini non lo amavano, pur apprezzandolo per la sua rettitudine morale e per la sua onestà spinta fino alla. . . taccagneria. Questi comunque riformò l'erario e l'ordinamento giudiziario e portò a termine la riconquista di Pisa. Ma Pier Soderini - che pure aveva tra i suoi consiglieri Niccolò Machiavelli - era un uomo grigio e piuttosto mediocre, dagli orizzonti culturali limitati. Erano, appunto, lontani i tempi del generoso e sfarzoso mecenatismo di Lorenzo il Magnifico, prin cipe poeta e intellettuale. Eppure è proprio in questi anni che Leonardo, forse, cominciò a dipingere Manna Lisa.
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Un artista molto impegnato
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1501-1503
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ella biografia di Leonardo il periodo in cui fece il ritratto a Manna Lisa è definito infatti dagli storici il "ritorno a Fi
renze" e si inquadra fra il 1501 e il 1506. Egli mancava da oltre vent'anni dalla città in cui si era formato da giovanissimo alla bottega del Verrocchio e, come abbiamo appena detto, trovò un contesto politico molto mutato. (Vedremo nei prossimi capitoli le esperienze fatte nel frattempo altrove da Leonardo, innanzi tutto a Milano con Ludovico il Moro, ma anche, per esempio, a Mantova e a Venezia.) Già nel 1501 i frati Serviti, su suggerimento di Filippino Lippi, un "collega" di Leonardo molto amato e stimato in città, gli commis sionano una pala d'altare per la chiesa della Santissima Annun ziata. Leonardo, grato ai frati per l'offerta, accetta di buon grado. Il cartone preparatorio, con sant'Anna, la Madonna, insieme con Gesù, san Giovanni e l'agnello, viene esposto nello studio alle stito nel convento alla vista dei frati, e poi di fedeli e curiosi, e suscita la generale ammirazione, come ci racconta il Vasari: «Nel la stanza durarono due giorni d'andare a vederla gl'uomini e le donne, i giovani et i vecchi, come si va a le feste solenni, per ve der le maraviglie di Lionardo, che fecero stupire tutto quel popo lo». Il cartone del 1501 esposto dai frati Serviti è andato perduto, ma dalle descrizioni del Vasari risulta molto simile a un disegno più tardo in gessetto nero, forse del 1508, oggi conservato alla National Gallery di Londra (nella pagina accanto). A questa fase seguirono alcune rapide incursioni fuori dalla città toscana. All'inizio del 1501 Leonardo andò a Roma per un breve periodo di studio delle opere dell'antichità classica, ma in aprile
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La Gioconda o Manna Lisa
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Alberto Angela racconta L'ispirazione per un capolavoro
È vero, il cartone è andato perduto, chissà come. In realtà continua a "vivere
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oggi. Da questo cartone, infatti, tra il l 51O e il1513 nascerà, con importanti modifiche (scompare il san Giovannino e ricompare l'agnello), uno dei capolavori di Leonardo, Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnello (qui sotto), che, insieme con la Gioconda, segnerà il culmine degli esperimenti di Leonardo sull'uso deUo sfumato e sui rapporti tra la figura umana e il paesaggio.
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Un {/r/zs/a molto impep,nato
era di nuovo a Firenze. Successivamente, nel mese di maggio del 1502, Isabella d'Este lo incaricò di valutare alcuni preziosi vasi di cristallo di rocca, diaspro, ametista, con intagliato il nome di Lo renzo de' Medici, che le erano stati offerti al notevole prezzo di 940 ducati. Leonardo le consigliò di acquistarli ma la duchessa di Mantova non lo ascoltò. Poco dopo Leonardo si unì ali'ambizioso e spregiudicato figlio di papa Alessandro VI, Cesare Borgia detto il Valentino, che nel giugno 1502 aveva conquistato Urbino e che gli affidò una serie di incarichi come «architecto et ingegnero militare»: fu così che, per conto del duca, Leonardo viaggiò per le Marche e la Romagna eseguendo rilievi cartografici del territorio, di fortezze e di città. Ricordate bene quello che può sembrare un innocuo dettaglio: Leonardo si reca a Urbino. Per la storia della Gioconda potrebbe essere un momento cruciale, come vedremo. Dovendo lavorare per Cesare Borgia, Leonardo fu costretto a rinunciare a completare la pala d'altare, poi realizzata da Filippino Lippi. Come è intuibile, questo compromise i suoi rapporti con il potente ordine dei frati Serviti. Fu una mossa lungimirante? Già nel febbraio 1503 Leonardo dovette abbandonare Cesare Borgia, giovane astro della politica italiana ormai in fase calante, e tornò a Firenze, dove sarebbe ri masto stabilmente fino al 1506. Ma al suo ritorno non fioccarono le commissioni da parte della Repubblica e questo cominciò a minare la sua credibilità. Il pa dre Piero da Vinci, che avrebbe forse potuto aiutarlo, o con un sostegno economico o con qualche utile raccomandazione, era però ormai anziano e troppo occupato a sistemare i figli legitti mi: Giuliano, che aveva completato gli studi giuridici e stava per prendere il posto del padre nello studio notarile; e Lorenzo, che si era dato ai commerci e doveva entrare nell'Arte della Lana. D'altra parte, come vedremo meglio più avanti, Leonardo era il primogenito di ser Piero, ma era di nascita illegittima, e veni-
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La Giocondù o Mo11na Li.rù
va decisamente osteggiato da Lucrezia Cortigiani, terza moglie dell'anziano padre. Fortunatamente, solo qualche mese dopo, Niccolò Machiavelli, che aveva visto personalmente Leonardo all'opera come ingegnere militare del duca Valentino, consigliò a Pier Soderini di valersi della sua collaborazione per la guerra contro Pisa. Ed ecco che, nell'estate del 1503, troviamo Leonardo a preparare dei rilievi cartografici del bacino dell'Arno, a progettare enormi macchine escavatrici e gru a più braccia su rotaie, dotate di bilancieri e con trappesi, per il movimento terra, e al tempo stesso a calcolare il numero degli operai da impiegare e i mesi necessari a portare a termine un'impresa ciclopica: deviare il corso dell'Arno.
Un artista molto impegnato
Il suo grandioso e visionario progetto (qui sotto) prevedeva di deviare il fiume per dirigerlo verso Prato e Pistoia, superando il dislivello di Serravalle mediante un sistema di chiuse, e infine ver so il mare, creando così un grande canale artificiale che avrebbe favorito i commerci fluviali e regolato le piene che periodicamente inondavano Firenze. E, soprattutto, la deviazione avrebbe dovuto costringere alla resa la città rivale, poiché, prosciugando l 'Arno a valle di Firenze, avrebbe impedito la navigazione delle navi che rifornivano Pisa dal mare. I lavori iniziarono, con l'impiego di duemila operai, ma l'impresa si rivelò subito troppo complessa e costosa e fu quindi abbandonata.
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La "fuga" degli artisti da Firenze
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el Quattrocento, l'Italia detta legge nell'arte e nella cultura lasciando un'impronta indelebile. Tra i principali centri ri
nascimentali, il primato spettava senz'altro alla Firenze dei Medi ci, ma un grande rilievo avevano anche la Mantova dei Gonzaga, la Ferrara degli Este, considerata in assoluto la corte più raffinata d'Europa (pochi lo ricordano), l'Urbino dei Montefeltro, la Mila no degli Sforza, oltre naturalmente alla Venezia dei Dogi. Alla fine del secolo, come abbiamo visto, Firenze conobbe una netta decadenza e, intanto, lentamente il "baricentro" dell'arte ri nascimentale si spostò verso Roma, che fino a poco prima aveva avuto un ruolo tutto sommato secondario. Ecco che contemporaneamente i tre più grandi artisti del tem po - Leonardo, Michelangelo e Raffaello -, dopo aver lavorato a Firenze durante la Repubblica guidata dal gonfaloniere Pier Sode rini, nel "dorato crepuscolo" della città, la lasciarono nel giro di pochi anni, dal 1505 al 1508, per recarsi il primo a Milano, allora governata dai francesi, e gli altri due a Roma. I pontificati dei papi Giulio II della Rovere (1503 -1513) e di Leone X de' Medici (1513- 1521) coincideranno infatti con uno dei momenti culminanti della storia dell'arte italiana ed europea, un periodo di splendore che si prolungherà ancora per qualche decennio, nonostante il tragico saccheggio di Roma nel 1527 da parte dei lanzichenecchi. Un periodo in cui nacquero capolavori come la Cappella Sistina affrescata da Michelangelo, le Stanze di Raffaello, e in cui ferveva il cantiere per la nuova basilica di San Pietro.
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"Sfida" tra i due più grandi
1503-1504
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artisti del Rinascimento
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ome vedremo, la vita di Leonardo si intreccia con quelle degli altri protagonisti del Rinascimento italiano. Nel suo girova
gare inquieto egli ha modo di conoscere e prestare i suoi servizi ai più potenti signori dell'epoca e di confrontarsi con altri grandi come Botticelli, Perugino o Raffaello, che nutre per Leonardo una stima profonda. Ma c'è un altro protagonista del Rinascimento con il quale, inve ce, Leonardo ha un rapporto conflittuale: Michelangelo Buonarro ti. Sembra che i due mal si sopportino a vicenda, in bilico tra rivali tà e ammirazione reciproca. Tuttavia, essendo tra i maggiori artisti del loro tempo, per caso, o forse non proprio per caso, si trovano a "scontrarsi" in una grande sfida pittorica di orgoglio civico: nell'ot tobre 1503, infatti, il gonfaloniere Soderini offre a entrambi l'in carico di dipingere due memorabili battaglie nella nuova Sala del Maggior Consiglio (oggi Sala dei Cinquecento) di Palazzo Vecchio. Firmato il contratto di commissione nel maggio 1504, Leonardo sceglie la vittoria riportata nel 1440 dai Fiorentini ad Anghiari, presso Arezzo, contro l'esercito di Filippo Maria Visconti duca di Milano. I Milanesi avevano attaccato a sorpresa, ma i Fiorentini reagirono prontamente, mettendo in fuga i nemici e impossessan dosi del loro stendardo. Leonardo raccoglie informazioni storiche per decidere quale momento dello scontro rappresentare. Poi fa degli studi preparatori. Michelangelo è incaricato di dipingere la battaglia di Cascina che nel 1364 vide la vittoria dei Fiorentini contro i Pisani. Le due opere dovevano essere di grandi dimensioni, circa sette metri di altezza e diciassette di larghezza, per ricoprire interamen te la parete est, ma purtroppo oggi non possiamo vedere né l'una
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La Gioconda o Aiottl!a Li.ra
né l'altra: quella di Michelangelo rimase allo stadio di cartone pre paratorio; quella di Leonardo, come vedremo, ebbe una vicenda più complessa. Se non possiamo ammirare questi due capolavori, possiamo però provare a ricostruirne la sorte a partire dai docu menti che la storia ci ha lasciato. Michelangelo non completò mai il grande affresco nella Sala del
"Sfida'' tra i due più grandi a rtiJti del Rinascimento
Maggior Consiglio di Firenze perché fu richiamato a Roma da papa Giulio II che voleva che realizzasse la sua colossale tomba. Il progetto dell'opera si fermò quindi al solo cartone preparatorio per la parte centrale, andato però perduto, e che oggi possiamo conoscere grazie a una copia del suo allievo Aristotile da Sangallo, realizzata nel 1542 e riprodotta qui sotto.
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Sembra che in un primo momento Michelangelo avesse deciso di rappresentare lo scontro militare con un groviglio di uomini e cavalli, un po' come stava progettando di fare il suo "antagoni sta" Leonardo con la Battaglia di Anghiari. Dopo numerosi studi preparatori - fra cui quello che si vede qui sotto -, però, decise di collocare la battaglia in secondo piano lasciando al centro del la scena i soldati fiorentini che, sorpresi dai Pisani sulla sponda del fiume, si rivestono in tutta fretta. Questa scelta mette in luce, come possiamo ammirare nella copia del cartone, la volontà di Michelangelo di esplorare la rappresentazione del corpo cattura to in un istante di frenetico e vorticoso movimento: come accade nella foto di un atleta "fermato" nel momento più dinamico del suo gesto. La composizione appare caotica, dominata dal senso di urgenza che anima i soldati, e ci restituisce tutta la drammaticità e la tensione della scena attraverso i corpi in movimento.
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