Monna Lisa. La 'Gioconda' del magnifico Giuliano 9788859606673

Edizione illustrata. Quanto si leggerà in questo libro - scrive Antonio Natali nella presentazione - è frutto di ricerch

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Monna Lisa. La 'Gioconda' del magnifico Giuliano
 9788859606673

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i grani collana di saggi di storia dell’arte diretta da Antonio Natali

V

Josephine Rogers Mariotti

MONNA LISA LA ‘GIOCONDA’ DEL MAGNIFICO GIULIANO

I miei ringraziamenti vanno innanzitutto ad Antonio Natali per il generoso sostegno e i preziosi consigli datimi lungo l’intero percorso di questo lavoro. La mia riconoscenza va anche a Jane Tylus e Ron Witt per le utilissime osservazioni. Ringrazio inoltre Donatella Quagliotti per l’aiuto nella revisione della prima stesura, senza dimenticare, infine, il costante sostegno di Sergio.

© 2009 EDIZIONI POLISTAMPA Via Livorno, 8/32 - 50142 Firenze Tel. 055 737871 (15 linee) [email protected] - www.polistampa.com ISBN 978-88-596-0667-3

Presentazione Un ghigno tanto piacevole

Non mi pare d’aver mai ragionato, e forse nemmeno d’aver fatta sporadica menzione della Gioconda. Giocando d’anticipo sul giudizio che potrebbe venire spontaneo alla lettura di queste parole, sùbito soggiungo che il mio non credo sia snobismo intellettuale. Ammetto però che la presenza incalzante della Gioconda in ogni trasmissione televisiva che s’occupi d’arte, la sua supremazia su effigi che forse sono di lei più poetiche, l’ossessivo e deprimente ricorso ai luoghi comuni (Dio mio, l’insopportabile riflessione sull’«enigma» del suo sorriso), la sua stessa fama incondizionata e pregiudiziale, insomma il suo mito, me la impongono, da quand’ero giovane, con la stessa usurata apparenza del Sacro cuore di Pompeo Batoni, stampato sui santini di tutte le sacrestie e svuotato ormai di qualsiasi valenza espressiva. Riconosco tuttavia all’effigie di Lisa le virtù che ne vengono celebrate, anche se la sensualità e la bellezza solare della Belle Ferronière – per restare con Leonardo sulle pareti del Louvre – sono, a mio gusto, più toccanti. Solo che queste virtù – come potrei dire senza apparire accademico o addirittura supponente? – sono più conseguenti a meditazioni di natura critica e storica che a verdetti istintivi (come lascerebbe invece presupporre l’incanto unanime che la Lisa vinciana

genera). Senza il furto spericolato e avventuroso agli esordi del secolo trascorso, senza il sedimento di tanti finti misteri, senza i ‘gialli’ da viaggio in treno costruiti sul suo artefice, la Gioconda sarebbe quello che è, vale a dire un quadro capitale per la ritrattistica moderna (vero e proprio incunabolo del genere), ma non già un quadro popolare com’è oggi. La genesi a Firenze della Gioconda cade in una stagione che per la città rappresenta il picco forse più elevato d’ogni sua età. Leonardo era in riva d’Arno quando per le vie giravano anche Michelangelo e Raffaello; senza dire dei maestri fiorentini come Botticelli, Andrea della Robbia, Fra’ Bartolomeo, Granacci, Andrea del Sarto; o di quelli forestieri: dal Perugino agli oltramontani. Sempre si rammentano – come icone di quell’epoca – i monumentali lavori che in quegli anni contribuirono a dare di Firenze l’immagine d’una nuova Atene: le Battaglie di Leonardo e Michelangelo per il palazzo del governo, il David – gigante, eroe di libertà, ritto a sorvegliar la piazza dei Signori –, il sepolcro grandioso di Benedetto da Rovezzano per il corpo di san Giovanni Gualberto (complessa macchina di marmo che già meravigliava tutti prima d’esser montata). Ma accanto a queste creazioni imponenti c’erano, a fare scuola, opere come la Sacra famiglia per Agnolo Doni (tavola chiusa in una dimora privata, ma certo non ignota agli ammiratori del Buonarroti) o, giustappunto, la Gioconda del Vinci (magari non ancora portata a perfezione, ma già ben in grado – quantunque lei pure figlia del suo tempo – di farsi modello d’una rinnovata generazione d’effigi). Quanto si leggerà nelle pagine che seguono è frutto di ricerche lunghe, intense e intelligenti, che Jodi Mariotti ha -6-

condotto per proiettare una luce verisimile su un quadro celebrato fino alla mistificazione, sulla donna in esso ritratta, sulle relazioni che corsero tra Francesco del Giocondo e la famiglia medicea, e finalmente tra Lisa medesima e Giuliano de’ Medici. Una relazione – quest’ultima – che, grazie alle indagini di Jodi, rende pienamente plausibile la congettura dell’identità (per lo più rigettata) fra il ritratto di Lisa ricordato da Vasari e quello commissionato a Leonardo da Giuliano (conforme alla memoria serbata da Antonio de Beatis). Il rapporto fra Giuliano e Lisa va inquadrato – dice Jodi – nel clima e nelle consuetudini della tradizione petrarchesca. E, una volta si convenga su questa specificazione, riuscirà ammissibile la richiesta d’un principe a un maestro rinomato di ritrarre una donna ch’era sposa d’un altro. Ipotesi fondata; come la critica letteraria c’insegna a credere. Non di meno – forse aiutato dal mio ceppo maremmano – confesso che non avrei troppe difficoltà a supporre scambi più concreti delle parole. Parole che comunque mi figuro sussurrate in una stanza di quel convento (più monzese che fiorentino) che i due frequentavano. Che sia questo un modo per darsi ragione anche di quel ‘sorriso’ che Vasari – forse non ignaro dei fatti – definì “ghigno tanto piacevole”? Antonio Natali

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Monna Lisa La ‘Gioconda’ del Magnifico Giuliano

È passato qualche anno da quando, rovistando fra alcune carte d’archivio, ho scoperto che Francesco del Giocondo, marito della meglio nota monna Lisa Gherardini, era un leale sostenitore della famiglia dei Medici. Un registro di spese di casa Medici, nella fattispecie del cardinale Giovanni, poi papa col nome di Leone X, trovato tra le carte dell’antico convento fiorentino di Sant’Orsola, attesta l’esistenza di relazioni commerciali tra le due famiglie, mentre altri documenti rivelano un ancor più stretto legame politico e finanziario tra Francesco del Giocondo, in particolare, e i fratelli Giovanni e Giuliano de’ Medici al tempo del loro rientro a Firenze da un lungo esilio, nel settembre del 1512. Questi indizi, insieme ad una comune frequentazione dello stesso convento di Sant’Orsola da parte delle due famiglie – senz’altro favorita dalla vicinanza fisica del luogo rispetto alle loro abitazioni (la casa di Francesco del Giocondo in via della Stufa stava a due passi dal convento che, a sua volta, distava poco più di un isolato da palazzo Medici in via Larga) – comprovano, a mio modo di vedere, non solo una reciproca conoscenza, ma anche un probabile rapporto di amicizia tra Francesco e i fratelli Medici, come ribadirò nelle pagine a seguire1. Col passare del tempo, non potevo far altro che riflettere sulle possibili implicazioni che tale scoperta poteva avere su -9-

una delle questioni più dibattute della storia dell’arte rinascimentale: l’identità della modella di Leonardo da Vinci raffigurata nella tavola del Louvre nota come la Gioconda. La questione verte sull’apparente discrepanza tra due fonti cinquecentesche, da sempre ritenute contraddittorie, nei riguardi del quadro. Da una parte c’è la ben nota testimonianza di Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, riguardante una sua visita allo studio di Leonardo nell’ottobre del 1517, quando, secondo il suo racconto, l’artista mostrò al cardinale e al suo seguito un ritratto in suo possesso “fact[o] di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de Medici”, un’opera identificata da molti studiosi col dipinto oggi al Louvre2. Dall’altra c’è la descrizione di un ritratto di monna Lisa del Giocondo, moglie di Francesco, fornita da Giorgio Vasari nella Vita di Leonardo3, che, secondo Frank Zöllner e altri prima di lui, può anche essere identificato con lo stesso dipinto di Leonardo oggi al Louvre4. Siccome però non si conosceva nessun legame tra Giuliano de’ Medici, futuro duca di Nemours, e la dama descritta da Vasari, gli storici rimanevano perplessi davanti alle due testimonianze apparentemente contrastanti, entrambe provenienti da autorevoli fonti antiche. Abbracciavano l’una o l’altra versione dei fatti, con la convinzione che uno dei due autori fosse in errore; qualcuno, nel cercare di conciliare le due fonti, giungeva alla scissione dell’opera in due ben distinte, fatte in tempi diversi: oppure, come Aldo De Rinaldis scherzosamente nel 1925, prendeva in considerazione la possibilità che Monna Lisa fosse l’amante adulterina di Giuliano, idea sviluppata nella storia romanzata di Pierre La Mure e abbracciata da Fiorenzo Laurelli in tempi relativamente recenti5. Ma in prevalenza il quadro oggi al Louvre è stato - 10 -

ritenuto alternativamente o il ritratto di una donna amata da Giuliano de’ Medici e pertanto non della consorte rispettabile di Francesco del Giocondo, oppure della moglie del setaiuolo fiorentino e di conseguenza non l’opera a cui si riferiva il de Beatis. Si era d’accordo su una cosa sola: non poteva essere l’uno e l’altro allo stesso tempo6. Alla luce di quanto scoperto sul rapporto tra Francesco e la famiglia Medici, sono giunta ad una conclusione diversa. In effetti, le pagine che seguono intendono esaminare la possibilità che il ritratto sia, al tempo stesso, l’immagine di monna Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, e quello commissionato da Giuliano al pittore di Vinci. E se così fosse, se cioè Giuliano de’ Medici avesse fatto richiesta dell’immagine della moglie d’un altro uomo, suo concittadino, conoscente e amico, allora mi pare giusto chiedersi a quale scopo e con quali intenzioni abbia intrapreso l’iniziativa. Forse, più correttamente, bisogna domandarsi entro quale tradizione culturale vada inquadrato un simile gesto. La risposta, a mio modo di vedere, va ricercata all’interno di una serie di pratiche e usanze, ben consolidate all’epoca, risalenti alla tradizione petrarchesca di cui Giuliano, come vedremo, fu degno rappresentante. Ed è all’interno di questa lunga e illustre catena di rapporti amorosi che si vorrebbe congetturalmente annoverare il ritratto della ‘Gioconda’. Non sarebbe la prima volta che il dipinto viene interpretato in questo senso. Già Martin Kemp, in effetti, afferma che la dama ritratta da Leonardo “… is Dante’s Beatrice and Petrarch’s Laura…”, collegando l’immagine alla cultura letteraria dell’epoca e al ruolo della donna all’interno di una tradizione poetica che risale al “dolce stil novo”7. E anche Elizabeth Cropper ha scritto delle pagine - 11 -

fondamentali su tale argomento, come vedremo. Come mera ipotesi di lavoro, dunque, andremo esplorando la possibilità che, a un certo punto dell’esecuzione del ritratto e non necessariamente dal suo concepimento, l’immagine della Gioconda del Louvre, ossia della stessa monna Lisa del Giocondo, rappresentasse per Giuliano de’ Medici l’incarnazione della donna ideale, della sua musa petrarchesca [figura 1]. Nato nel 1479, Giuliano lasciò Firenze a soli quindici anni nel fatidico novembre 1494, quando fu costretto, insieme ai due fratelli maggiori, Piero (morto nel 1503) e il cardinale Giovanni, a un esilio lungo ben diciotto anni. Tuttavia, grazie al rango e al prestigio della sua famiglia, da esule Giuliano poté godere dell’ospitalità delle più illustri corti del Rinascimento, rivelandosi, col tempo, un degno rappresentante della sua stirpe e uno dei protagonisti della cultura letteraria e cortigiana dell’inizio del Cinquecento. Non a caso strinse amicizie, durante quegli anni e anche dopo, con alcuni dei personaggi principali del mondo della cultura, come Ludovico Ariosto, Pietro Bembo e Baldassar Castiglione, con cui ebbe consentaneità e relazioni paritarie, non da spettatore passivo. Il Bembo, per l’appunto, dedicandosi in quegli anni alla stesura delle Prose della volgar lingua, assegna a Giuliano all’interno del dialogo il ruolo di difensore del ‘fiorentino moderno’, ruolo giustificato non solo dalla “profonda amicizia […] ma anche dal ricordo delle discussioni e dal riconoscimento della competenza che in esse portava”8. Così fece anche il Castiglione, che lo incluse come interlocutore nel suo famoso Libro del Cortegiano, ambientato alla corte di Urbino, un luogo così familiare a Giuliano de’ Medici che un appartamento del palazzo da lui periodicamente abitato prese il suo nome. - 12 -

1. Leonardo da Vinci, La Gioconda o Monna Lisa del Giocondo, 1503-1515, Parigi, Musée du Louvre - 13 -

All’interno del suo dialogo, il Castiglione traccia un profilo di Giuliano che trova puntuale riscontro sia nell’immagine di liberalità e magnificenza, sia nelle altre qualità corrispondenti alla sua indole riconosciute dalla storia: il suo “essere il modello dell’elegante conversatore e del perfetto cortigiano”9, la sua vena poetica e il suo amore per le donne [figura 2]. Era difatti ben noto ai suoi contemporanei e agli storici di epoche posteriori l’amore che il Medici portava al sesso femminile, come sottolinea il Pieraccini, raccontando un episodio risalente all’agosto del 1514, quando Giuliano si rinchiuse in palazzo Medici a Firenze per ben tre giorni con diverse donne, facendo una tale baldoria che fu costretto a un soggiorno alle terme per riprendersi10. E certamente Giuliano era capace di esprimere tutta la gamma dell’esperienza amorosa, dagli istinti più bassi ed animaleschi (che verosimilmente ebbe a sperimentare in quell’estate del 1514) agli apici sublimi della contemplazione, come attestano le sue poesie d’amore e la reputazione di cui godeva presso i suoi contemporanei. Baldassar Castiglione, in effetti, lo elegge all’interno del suo dialogo al ruolo del “pittore esperto della perfetta donna di corte”, riconoscendo, come ci insegna il Fatini che ha studiato a fondo la vita e le poesie di Giuliano, che “nessuno meglio del Magnifico che tanta dimestichezza aveva con le donne eleganti e colte del Rinascimento, e tanta parte della sua vita mondana e intima aveva data ad esse, poteva […] trattare un argomento che, in parte rientrando in quello più ampio della bellezza e dignità della Donna, occupava l’ambiente intellettuale del Rinascimento”11. Il Castiglione, pertanto, assegna a Giuliano il compito e l’onore di descrivere e difendere la ‘Donna di palazzo’, mettendogli in bocca, all’inizio della sua descrizione, un esplicito riferimento - 14 -

2. Copia da Raffaello (XVI secolo), Giuliano de’ Medici, New York, Metropolitan Museum of Art - 15 -

all’incarnazione dell’ideale della bellezza e delle virtù femminili in un’opera d’arte. Dice, infatti, che una volta formata la sua “donna eccellente […] a modo mio, non potendo poi averne altra, terrolla come mia a guisa di Pigmalione”12. Per un buon cultore della poesia petrarchesca, quali furono sia Giuliano che il Castiglione, il riferimento al mito greco non poteva altro che richiamare il famoso sonetto dello stesso Petrarca dedicato all’immagine di Laura dipinta da Simone Martini e al lamento, ivi contenuto, per la bellezza silente dell’effigie, dove il poeta rievoca il mito di Pigmalione: … Ma poi ch’i’ vengo a ragionar con lei, Benignamente assai par che m’ascolte, Se risponder savesse a’detti miei, Pigmalïon, quanto lodar ti dei Dell’immagine tua, se mille volte N’avesti quel ch’ i’ sol una vorrei!13

Non sfuggono al Castiglione, difatti, le affinità tra il “messer Francesco Petrarca” e il nostro Giuliano quando, commentando il ruolo della donna come ispiratrice dell’ingegno verso ‘cose grandi’, parla anche dei poeti d’amore presenti tra gli interlocutori del suo dialogo, un implicito riferimento allo stesso Magnifico Giuliano, Pietro Bembo, Ludovico di Canossa e l’Unico Aretino (Bernardo Accolti)14, che “ogni dì parturiscono qualche nobil frutto e pur pigliano subietto solamente dalle bellezze e virtù delle donne”. Molte delle poesie scritte da Giuliano sono, effettivamente, dedicate ai temi amorosi e piene di immagini allusive alla donna come il più alto concetto dell’amore15. - 16 -

Poeta d’amore e personaggio di spicco della cultura cortigiana espressa nel capolavoro del Castiglione, Giuliano portava con sé tale cultura e tale esperienza quando, insieme a suo fratello, il cardinale Giovanni, ritornò come accennato a Firenze nel 1512. L’aspirazione del momento era di ristabilire l’età d’oro del tempo del padre, Lorenzo il Magnifico, rinnovando pratiche e rapporti che volutamente si collegavano al passato, ma, allo stesso tempo, si adeguavano alle nuove circostanze storiche e culturali. E dunque, da appassionato delle arti visive, non sorprende che Giuliano prendesse quasi da subito alle proprie dipendenze – dal 1513 fino alla sua morte, nel 1516 – Leonardo da Vinci, pittore già attivo e apprezzato al tempo di suo padre, ma anche, come ci insegna la Cropper, l’artista che meglio poteva tradurre in termini visivi la cultura e le aspirazioni del momento: “La cortigianeria dissimulata che caratterizza, nei primi trent’anni del Cinquecento, sia la città che la civiltà di Firenze, deve essere associata a un tipo speciale di ‘arte cortigiana’, diffusa sia nella Repubblica post-savonaroliana che successivamente al ritorno dei Medici; quest’arte è, allo stesso tempo, legata agli sforzi culturali di Leone X a Roma. Leonardo da Vinci gioca un ruolo centrale nella definizione di quest’arte, in virtù sia della sua personalità che del suo stile”16; dunque, è facilmente comprensibile capire perchè Giuliano, ben cosciente delle capacità e dell’esperienza di Leonardo, abbia preso al suo servizio il pittore di Vinci. D’altronde, lo conosceva oramai da lunga data. Nato – come si è detto – nel 1479, Giuliano era troppo piccolo per ricordarsi dell’artista quando questi, nel 1482, era partito per Milano, dove sarebbe rimasto per quasi due decenni al servizio di Ludovico il Moro. Tuttavia ebbe più occasioni d’incontrarlo durante - 17 -

gli anni d’esilio in cui pellegrinava tra le corti dell’Italia settentrionale. Il primo incontro dev’essere avvenuto proprio nel capoluogo lombardo, ove Giuliano soggiornò per un periodo insieme al cardinal Giovanni e dove scrisse alcune poesie d’amore tra il 1496 e il 149717. In effetti, sia Paolo Giovio che Marino Sanuto ci informano che il Medici, allora diciassettenne, fece parte del gruppo di cortigiani del duca di Milano e della duchessa e fu “nel numero degli amici in assai honorato loco di famigliarità”, anche dopo la partenza del fratello cardinale, quando rimase nella città “fra avventure d’armi e d’amori”18. Presumibilmente, allora, il rapporto tra l’artista e il giovane esule, ambedue presenti nel seguito del Moro, ebbe inizio a quel tempo. In seguito, Carlo Pedretti ipotizza con buon fondamento un loro incontro nel 1500 a Venezia, dove Giuliano si trovava al tempo della visita dell’artista nella città lagunare19. E, infine, i due dovettero incontrarsi nuovamente nel campo militare di Cesare Borgia, quando Leonardo era al servizio del Valentino, a partire dall’estate del 1502, per la durata di quasi un anno, e Giuliano si unì alle forze del Borgia nel novembre di quell’anno, nella speranza di un aiuto per il ritorno a Firenze20. Certamente anche in quest’ultima circostanza avranno avuto occasione di coltivare quella che il Varchi descrive come una fraterna amicizia21. E così, appena riguadagnati il prestigio e il potere a cui agognava da diciotto anni, con la volontà di ristabilire la supremazia della propria famiglia in patria, fu per Giuliano più che naturale la scelta di Leonardo come artista del suo seguito, anche per la familiarità di questi con quella vita di corte a cui il Medici aspirava. E da cultore della tradizione petrarchesca – o allora o in qualche altro momento della loro lunga conoscenza – Giuliano deve aver fatto richiesta all’artista di dipin- 18 -

gere, o più verosimilmente, come vedremo, di trasformare, l’immagine della donna fiorentina vista da Antonio de Beatis, che Leonardo stesso mette in relazione col mecenate mediceo. Come detto poc’anzi, l’episodio ben noto ebbe luogo nell’ottobre del 1517 nello studio dell’artista al maniero di Clos-Lucé, presso il castello di Amboise in Francia, dove, alle dipendenze del re Francesco I, Leonardo aveva stabilito la propria residenza dopo la scomparsa di Giuliano – una testimonianza che non può essere scartata con leggerezza. L’artista ne dava conto, effettivamente, poco più di un anno dopo la morte di Giuliano a Firenze, alla quale, come vedremo, c’è buona ragione di credere che l’artista abbia assistito di persona; inoltre, il de Beatis viaggiava in compagnia del cardinale Luigi d’Aragona, conoscente sia di papa Leone X che di Giuliano stesso22; pertanto, ascoltiamo le sue parole con attenzione: In uno de li borghi el Signore con noi andò ad videre messer Lunardo Vinci firentino, vecchio de più de LXX anni, pictore in la età nostra excellentissimo, quale mostrò ad sua signoria Illustrissima tre quatri, uno di certa donna firentina, facta di naturale ad istantia del quondam Magnifico Juliano de Medici, l’altro di san Johanne Baptista giovane, et uno de la Madonna et del figliolo che stan posti in gremmo de sancta Anna, tucti perfectissimi23.

Nel contesto culturale che stiamo delimitando, cioè in una cultura permeata da un “insieme specifico di pratiche sociali pesantemente influenzate dalla poesia lirica del Petrarca”, dove la “relazione tra lo spettatore e l’opera d’arte è assimilata a quella che stringe il corteggiatore all’amata cui fa la corte”24, il ritratto - 19 -

muliebre non poteva essere altro che l’immagine di una donna amata, ossia la musa petrarchesca del Magnifico. Come si è visto, Giuliano era profondamente immerso in tale cultura poetica, di cui divenne persino portavoce nella veste di poeta; e forse, ancora una volta, agiva nel desiderio di emulare un aspetto della cultura artistica del tempo di suo padre. C’erano, difatti, illustri precedenti di famiglia a cui guardare, come, per esempio, il ritratto di Lucrezia Donati, moglie di Niccolò Ardinghelli, eseguito da Andrea Verrocchio per il padre Lorenzo25; e ancora, l’immagine dell’amata dello zio omonimo del nostro, la bellissima Simonetta Cattaneo, moglie di Marco Vespucci, cantata da Poliziano nelle sue Stanze e dipinta sia dal Botticelli che dal Verrocchio – si dice con l’aiuto del giovane Leonardo26. Anche altre immagini muliebri coeve gli saranno servite d’esempio, specie quelle in cui l’equazione tra bellezza e virtù veniva esplicitamente dichiarata, come il ritratto di Giovanna degli Albizi Tornabuoni, del Ghirlandaio, o, più pertinente per la scelta dell’artista e altri aspetti che andremo delineando qui di seguito, la Ginevra de’ Benci [figura 3] dipinta da Leonardo molti anni prima27. Degna di menzione, a questo proposito, è la visita che Giuliano fece nell’ottobre del 1510, due anni prima del rientro a Firenze, a Venezia dove, come ci informa Sanuto, fu “alozato in caxa di sier Bernardo Bembo […] per l’amicitia [che] ha il fiol, domino Pietro, con lui”28. Amico di Lorenzo il Magnifico e frequentatore della cerchia ficiniana, certamente il più anziano umanista veneziano avrà rammentato col giovane esule il tempo passato a Firenze, senza tralasciare una parola sul ritratto – la Ginevra, appunto – che, secondo la convincente ipotesi della Fletcher, Bernardo Bembo stesso aveva fatto dipingere (o forse solo modificare) da Leonardo in segno del- 20 -

3. Leonardo da Vinci, Ginevra de’ Benci, 1474-1478, Washington D.C., National Gallery of Art - 21 -

l’amore platonico che lo legava alla donna, giovane sposa di Luigi di Bernardo Niccolini. Il dipinto divenne, in effetti, l’emblema di un amore reciproco, celebrato nelle poesie di Alessandro Braccesi e Cristoforo Landino, ed esaltazione del connubio tra bellezza e virtù dichiarata esplicitamente sul retro del dipinto, dove, sul nastro intrecciato tra le fronde di ginepro, alloro e palma (alludenti rispettivamente al nome di Ginevra e alla divisa del Bembo) si legge l’iscrizione “VIRTUTEM FORMA DECORAT” [figura 4]: la bellezza della donna ritratta è adeguato ornamento per la sua virtù29. L’equazione tra bellezza e virtù fu chiaramente illustrata all’epoca anche dal cugino della Ginevra ritratta da Leonardo e marito di un’altra Ginevra, di cui tratteremo fra breve, Tommaso de’ Benci; nel suo intervento all’interno del famoso dialogo ficiniano Sopra lo amore ovvero Convito di Platone, il traduttore del Pimandro afferma infatti: “Noi non veggiamo esso Animo, e però non veggiamo la sua bellezza: ma veggiamo il corpo, ch’è immagine e ombra dello Animo: sì che per questa immagine conghietturando, stimiamo che in un formoso corpo uno Animo specioso sia”30; un’idea espressa altresì da Ficino in una lettera indirizzata a Lorenzo il Magnifico e Bernardo Bembo stesso. E se, come alcuni sostengono, lo stile della Ginevra de’ Benci precede, nel percorso del pittore, l’arrivo di Bembo a Firenze e l’impresa dell’umanista fu aggiunta al quadro già avviato per commemorare “the honor paid to Ginevra when she was chosen by Bembo as the object of his Platonic love in a chivalric contest celebrating virtue and beauty”31, si tratterebbe allora di un precedente ancor più affine a quanto si vorrebbe suggerire qui nei riguardi della Gioconda. - 22 -

4. Leonardo da Vinci, Ginevra de’ Benci, retro - 23 -

Bisogna ammettere, comunque, che l’ipotesi che il ritratto descritto dal de Beatis rappresentasse l’amante di Giuliano non è affatto nuova. Molti studiosi in passato hanno cercato di identificare la dama dipinta da Leonardo, oggi al Louvre, con vari personaggi femminili con cui il rampollo mediceo ebbe relazioni durante la sua vita, senza tuttavia arrivare mai a un’identificazione conclusiva: Pacifica Brandano, Isabella Gualanda, Costanza d’Avalos e altre ancora. Al contrario, la possibilità che la donna ritratta potesse essere la rispettabile moglie di Francesco del Giocondo veniva scartata a priori, accampando, per esempio, il diverso rango sociale della donna rispetto a quello di Giuliano o la totale mancanza di rapporti storicamente provati tra le due famiglie o tra lei e Leonardo, e così via32. Ora, invece, bisogna riconsiderare la questione alla luce di quanto accadeva a Firenze al tempo del ritorno dei Medici nel 1512, attenti a non erigere barriere – per esempio, di tipo sociale – non appropriate alle circostanze storiche in atto. Ben consci del fatto che il loro rientro e il ristabilimento del potere e del prestigio della loro famiglia in patria avveniva all’interno di un contesto ancora ‘repubblicano’, i fratelli Medici furono determinati nel seguire una politica di riconciliazione, accettando alleanze con più parti sociali senza privilegiare un settore unico della cittadinanza. Molti dei loro più stretti sostenitori provenivano dalla classe mercantile, come, per l’appunto, il ricco e rispettabile setaiolo Francesco del Giocondo, ricordato da alcuni documenti in un ristretto gruppo di sostenitori del nuovo governo, insediato nel settembre del 1512, sotto il diretto controllo di Giuliano e del cardinal Giovanni. Quale membro di tale congrega, che prestò ufficialmente al Monte (cioè al governo mediceo) una somma totale di trenta- 24 -

mila fiorini d’oro33, Francesco stesso diede una contribuzione di cinquecento fiorini d’oro, come fece anche la maggior parte degli altri finanziatori. Ma più importante della cifra in sé è la compagnia in cui si trovava Francesco, compagnia che toglie ogni dubbio sul significato della sua partecipazione. Il gruppo era composto da parenti dei Medici e da noti partigiani della loro causa, che includevano specialmente le relazioni acquisite per via coniugale: Filippo di Filippo Strozzi, il marito della nipote Clarice Medici, figlia di Piero il Fatuo; Jacopo Salviati, marito di Lucrezia, la sorella del cardinal Giovanni e di Giuliano; tra i ranghi cittadini, oltre a Francesco, si trovavano: Lanfredino Lanfredini, compagno devoto del nipote Lorenzo, futuro duca d’Urbino, banchiere e mercante di seta fornitore della famiglia, il cui palazzo, come segno del forte legame tra le due casate, fu costruito e inaugurato in concomitanza col rientro trionfale a Firenze di Giovanni, divenuto Leone X, nel novembre 1515; Bartolomeo Panciatichi, mercante fiorentino residente a Lione in Francia, insignito del titolo di conte palatino da Leone X a Firenze nel 151534; Pierfrancesco Borgherini, noto per la sua fedeltà e l’amicizia coi fratelli, e suo cognato Zanobi Girolami35. Infine, a questi si unirono ancora Lorenzo di Niccolo Benintendi e Gianfrancesco di Ridolfo dei Ridolfi, protagonisti delle vicende contemporanee e tra coloro che furono incaricati della supervisione della restituzione del patrimonio alla famiglia Medici36. Si legge inoltre che Francesco fu uno “dei 55 nel 1512”37, un chiaro riferimento alla famigerata “Balia del 1512”, il parlamento straordinario scelto membro per membro da Giuliano e dal cardinal Giovanni dopo la presa armata di Palazzo - 25 -

Vecchio il 16 settembre 1512. E sebbene, oltre che per il sostegno finanziario menzionato sopra, il nome di Francesco non appaia tra gli elenchi superstiti dei componenti del corpo governativo consultati, altri documenti inerenti alla sua formazione indicano che il suo cugino primo e socio in affari, Paolo del Giocondo, che verosimilmente condivideva i suoi sentimenti, partecipò al governo come rappresentante del quartiere di San Giovanni nello “scrutinio”, un consiglio di duecento cittadini incaricato delle elezioni e della nomina dei pubblici uffici fuori e dentro Firenze per il termine di un anno, nominato dalla Balia solo cinque giorni dopo l’insediamento del nuovo governo38. Come si è detto, poi, le relazioni tra i del Giocondo e i Medici si estendevano anche ai rapporti di tipo commerciale, documentati nel libro di conto del cardinale Giovanni trovato a Sant’Orsola. Ancora una volta, i del Giocondo agivano in compagnia di altri fornitori di stoffe di provata lealtà alla causa medicea: lo stesso Lanfredino Lanfredini, visto poc’anzi insieme a Francesco come finanziatore del nuovo regime, e anche Gherardo Corsini, lui pure membro della Balia39. Recenti scoperte documentarie confermano poi che relazioni commerciali tra i del Giocondo e la famiglia dei Medici esistevano già al tempo di Lorenzo il Magnifico e di suo figlio Piero: un fatto che avalla ulteriormente la reciproca conoscenza. In effetti, Francesco praticava la manifattura e il commercio della seta in Por Santa Maria, dove possedeva con i suoi fratelli due botteghe e un fondaco confinante con una proprietà dello stesso Piero, fratello del cardinale Giovanni e di Giuliano40. Dunque, si spiega facilmente come appena poche settimane dopo il loro rientro i Medici fossero già in contatto, - 26 -

per alcune partite di stoffa, con “Paolo e Amadeo del Giocondo e Compagnia”, cugini primi e soci in affari di Francesco41. Ed è proprio Giuliano che si rivela essere il più assiduo acquirente di stoffe e oggetti di lusso (compresi una moneta antica e argenterie), a conferma della reputazione di amante della ‘magnificenza’ di cui godeva tra i suoi contemporanei42. Gli acquisti di stoffe e di capi di abbigliamento per sé e per i suoi familiari iniziano il giorno stesso del suo rientro a Firenze con l’ordine di alcune paia di calze nere da un certo “Domenicho di giunta chalzaiuolo”. Ai del Giocondo, coi quali più volte è in diretto contatto, a breve scadenza richiede: “un giubone di velluto nero comperato per suo uso da Giocondi setaiuoli”; e ancora da “Paolo e Ammadeo Giocondi e comp[agnia] setaiuoli […] addi xx dottobre [1512] per la monta di braccia xxj di velluto nero […] per la fodera dun lucho” e “braccia uno di dommaschino sbiadito detto fino addì viii dottobre passate [1512] per dare per limosina a una fanciulla pratese per fare un paio di maniche”43, un acquisto, quest’ultimo, che fece parte di una serie di risarcimenti al popolo di Prato da parte sua e del cardinale Giovanni all’indomani del famigerato sacco della città che aveva preceduto il rientro della famiglia a Firenze. Giuliano e i suoi congiunti dimostrano inoltre di possedere un gusto ben preciso, con ripetute richieste di velluti, rasi e quant’altro, rigorosamente di colore nero con spesso, in aggiunta, la stipula “alla spagnuola” o “alla cortigiana”: da Gherardo Corsini, “braccia iii […] di raso nero spagnuolo […] per uno giubbone per lui” e ancora “braccia iiii di raso nero spagnuolo”; da “giovanni merciaio per una scarsella develluto nero alla cortigiana”; “braccia iiii di raso nero spagnuolo chomperato a S.to Aghostino suo chameriere per uno giubbo- 27 -

ne per lui” e così via. Anche il nipote, Lorenzo di Piero, ordina ai del Giocondo ben ventitre braccia di raso nero “spagnolo” per un “saio” per se stesso44. Apparentemente, nel peregrinare attraverso le corti d’Italia durante gli anni dell’esilio, anche Giuliano aveva abbracciato il gusto corrente per le tonalità scure e la moda spagnola che aveva fatto il suo ingresso presso le dimore principesche della penisola già verso la fine del secolo precedente, in particolare alla corte di Milano col matrimonio di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona nel 1489. Nero fu ancora il colore dominante nel guardaroba di Lucrezia Borgia che mise un vestito nero bordato in oro per la sua entrata a Ferrara nel 1502, come fecero anche le sue dodici damigelle, la duchessa d’Urbino e il duca di Ferrara45. Non pare casuale poi che, nell’insistere sui modi e i costumi di corte al tempo del loro rientro a Firenze nel 1512, Giuliano e i suoi familiari abbiano anticipato la raccomandazione fatta qualche anno dopo da Luigi Alamanni il quale, come commenta Richard Trexler, nel 1516 “prepared a practical manual for ruling Florence” (approntò un manuale pratico per il governo di Firenze) contenente il consiglio ai Medici di abbandonare l’abito civile per quello cortigiano, nella convinzione che il cambio d’abito avrebbe trasformato da cittadino in uomo di corte colui che lo indossava46. Pare dunque che il “ritual mechanism” inerente a un simile cambiamento di moda fosse già compreso dai Medici e dai loro seguaci nel 1512, assecondando così il nuovo corso degli eventi avviatosi col loro rientro in patria. E dunque, non è un caso che la predominanza del color nero negli acquisti della famiglia Medici nel 1512 richiami alla - 28 -

5. Jacopo Pontormo (attr.), Ritratto di musicista, 1518-1519, Firenze, Galleria degli Uffizi - 29 -

mente le tonalità sobrie dei capi d’abbigliamento indossate dai personaggi in molti ritratti dell’epoca; per nominarne qualcuno, si potrebbe citare il pontormesco Ritratto di musicista detto anche Francesco dell’Ajolle47 [figura 5] o la cosiddetta Monaca degli Uffizi [figura 6], ora assegnata a Ridolfo del Ghirlandaio48, o anche il Baldassarre Castiglione di Raffaello [figura 7], effigie dell’amico del nostro Giuliano. Ma forse, l’immagine più corrispondente per tempo e per luogo alle vicende che qui cerchiamo di ricostruire è proprio il ritratto da cui abbiamo preso le mosse, la Gioconda del Louvre [figura 1], che, come sottolinea la Cropper, esprime l’estetica cortigiana della bellezza e della grazia elaborata da Leonardo nei primi anni del XVI secolo49. E se la dama raffigurata è monna Lisa, moglie di Francesco del Giocondo, allora non è difficile rendersi conto che ella sfoggia, nel suo vestiario, stoffe e colori del tipo venduto dai suoi familiari ai Medici – e presumibilmente ad altri clienti ancora – in anni certamente vicini all’esecuzione del quadro. Anche il velo nero portato dalla donna, in passato interpretato come segno di lutto, riflette invece il gusto corrente, come d’altronde è già stato chiaramente spiegato: “soprattutto durante la prima metà del secolo [XVI] l’artificio della pettinatura è spesso ammorbidito da un velo che copre un poco la fronte e ricade ampio e leggero sulle spalle. Il più celebre ritratto del mondo – quello della Gioconda – ce lo raffigura così ed è di massima semplicità”. Pare inoltre che il velo nero fosse una particolare attrattiva delle donne veneziane, ipotesi confermata da una poesia dell’Aretino: “sotto il nero trasparente velo / veggonsi in carne / gli angeli del cielo” 50. Una moda che doveva certamente essere familiare al nostro Giuliano, il - 30 -

6. Ridolfo del Ghirlandaio (attr.), Ritratto di giovane donna, detto La Monaca, 1510 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi - 31 -

7. Raffaello, Ritratto di Baldassare Castiglione, 1514-1515, Parigi, Musée du Louvre - 32 -

quale, come abbiamo visto, aveva soggiornato più volte a Venezia nel periodo dell’esilio e nello stesso 1512 – non va dimenticato – fu “col fratello nominato dalla Signoria veneziana ‘gentiluomo’, cioè nobile e patrizio”51 della città lagunare. L’abbigliamento della Gioconda, dunque, riflette gusti correnti a Firenze intorno al tempo del ritorno dei Medici in patria, all’inizio del secondo decennio del secolo. Perciò, seguendo gli argomenti presentati fin qui, dovremmo immaginare che sia stato all’incirca a quel tempo che Giuliano abbia espresso il suo interesse per il quadro che, come vedremo, era già stato avviato dal pittore a quella data. E quale più logica conclusione? Come testimonia il Varchi, Giuliano trattava “più tosto da fratello che da compagno l’artista, il quale lo seguiva nei suoi spostamenti”52: il che significa, come sottolinea Pedretti, che “fra il 1513 e il 1514, Leonardo poteva essere rimasto a Firenze per mesi e avrebbe avuto il tempo per preparare il cartone del ritratto di Lisa Gherardini”53. E anche se, come si dirà, il cartone era già in essere a quella data, Leonardo al seguito di Giuliano avrebbe potuto facilmente rivedere la sua modella, frequentando palazzo Medici, che come sappiamo distava poco più di un isolato dall’abitazione di monna Lisa e dal convento di Sant’Orsola, che si potrebbe addirittura immaginare come un decoroso luogo d’incontro. I del Giocondo, d’altronde, erano letteralmente di casa a Sant’Orsola, un complesso fondato da suore benedettine nel Trecento, poi concesso da papa Eugenio IV alle “suore del terz’ordine di San Francesco”54. Come si è detto, il convento, edificato nell’isolato tra le odierne via Guelfa, via Panicale, via Taddea e via di Sant’Orsola, era quasi confinante con le case dei del Giocondo che, dai tempi del padre di Francesco, si tro- 33 -

vavano precisamente in via della Stufa55. Un attento esame dei documenti superstiti del convento, già resi pubblici dalla scrivente (e da altri ripubblicati senza il dovuto riconoscimento56), rivela che relazioni già esistevano tra le suore e monna Lisa a partire almeno dal 150657; contatti che s’intensificarono nell’arco del secondo e del terzo decennio del secolo. Oltre che per le “limosine”, Lisa si rivolgeva alle suore anche per acquisti curiosi come l’“istillato aqqua dichiocciole e altre chose chella vuole danoi”58, comperato per sette lire nel agosto 1514 (lo stesso agosto in cui, si ricorda, a pochi passi di distanza, Giuliano si sentì male per i suoi eccessi amorosi). Viene da chiedersi per quale ragione monna Lisa avesse acquistato il curioso preparato. Pare che fosse usato a quel tempo a scopo medicinale per disturbi bronchiali o intestinali59: inoltre, secondo Luigi Pulci, le chiocciole servivano alle donne come cosmetico per imbiancare la pelle60. Comunque sia, in quegli anni, i rapporti tra monna Lisa e le suore si infittirono, per via della permanenza all’interno del convento di una sua figlia, Marietta, la cui esistenza ho scoperto proprio investigando l’archivio del convento61. A partire dal 1515 circa, (quando anche una certa Ginevra Gherardini, probabilmente una parente di Lisa, venne a stare nel convento per un periodo)62, Francesco del Giocondo iniziò a pagare alle suore il vitto e l’alloggio della figlia; e così fece fino al giorno di Natale del 1522, quando Marietta prese i voti come suor Ludovica, come si legge nei libri di memorie: “afacto professione suora jachopa deglialbizi e suora lodovicha de giochondi e suora Marta delibri”63. La vestizione di Marietta fu celebrata dai genitori col regalo di due dipinti rappresentanti San Francesco e San Ludovico, oggi nella Casa Vasari di Arez- 34 -

zo, di mano del pittore pistoiese Leonardo Malatesta: il San Francesco, oltre ad effigiare il santo patrono della comunità delle terziarie francescane, era un omaggio anche al santo di cui portava il nome Francesco del Giocondo64, mentre il San Ludovico era chiaramente allusivo al nome scelto dalla fanciulla per la sua vita futura da religiosa. Verosimilmente, come parte della sua dote, Francesco del Giocondo regalò altre opere d’arte alla figlia65 e finanziò inoltre alcuni lavori di ristrutturazione all’interno del convento riguardanti principalmente la chiesa e la sagrestia66. Le relazioni della famiglia col convento continuarono per molti anni ancora. Francesco difatti fissò nel proprio testamento, redatto nel 1539, oltre a una rendita in perpetuo per “Ludovicha”, anche l’affidamento a lei della madre67. In effetti, recenti scoperte d’archivio hanno permesso di stabilire che, dopo la morte del marito, Lisa andò ad alloggiare con la figlia nel convento di Sant’Orsola, divenuto poi il luogo della sua sepoltura, quando nel 1542 sopraggiunse la morte68. Suor Ludovica stessa rimase nel convento fino alla morte, l’8 aprile del 1579, quando, presumibilmente, anch’ella venne sepolta al suo interno insieme alla madre69. In tempi concomitanti, anche i Medici – le cui case lungo via Larga, come si è ricordato, distavano poco più di un isolato dal convento – intrattenevano rapporti con le suore di Sant’Orsola. Diversi episodi indicano poi che si rivolsero alle monache in momenti assai cruciali delle loro esistenze personali: ed è per questa ragione che vale la pena soffermarsi su un episodio d’inizio secolo, quando suor Lena di ser Jacopo Ridolfi, “ministra” del convento dal 1500 al 1504 (e appartenente a una casata tradizionalmente promedicea70), ricorda una richiesta di preghiere e una donazione fatte da Lorenzo di Pierfrancesco - 35 -

de’ Medici detto il Popolano, del ramo cadetto della famiglia che, alleandosi col governo repubblicano, era rimasto in patria al tempo dell’esilio dei suoi cugini: “Et adì 18 [maggio 1503] ebbi per limosina da lorenzo di pierfrancesco de medici fiorini dua doro in oro per oratione per la sua infermità L. 14”71. La supplica di Lorenzo acquista significato quando si pensi che la malattia per la quale chiedeva preghiere alle suore era la stessa che, di lì a soli due giorni, l’avrebbe condotto alla morte72. La circostanza è la prima di una serie analoga riguardante i cugini di Lorenzo di Pierfrancesco dopo il loro ritorno a Firenze nel 1512, che pare togliere qualsiasi dubbio sull’esistenza di relazioni privilegiate tra la famiglia Medici e le suore di Sant’Orsola. Passando direttamente all’anno 1514, si trova menzione tra le carte del convento di donazioni da parte di Alfonsina Orsini, vedova di Piero de’ Medici, la quale elargiva “limosine” al convento come emissaria del cognato, il “Sancto Padre” Leone X73. Un anno dopo, il 2 settembre 1515, Alfonsina funge ancora da ambasciatrice per il pontefice; ma più pertinente al nostro argomento è la richiesta di orazioni per suo figlio Lorenzo, fatta da lei stessa circa due settimane prima, come si legge per mano di suor Maria Maddalena dei Guardi: “Et addì 16 di agosto 1515 orricivuto £. 35 da madonna Alfonsina per fare oratione pel suo filiuolo”74. Come nel caso di Lorenzo di Pierfrancesco, la supplica va collegata ad un preciso avvenimento storico: la nomina del figlio di Alfonsina, Lorenzo, a capitano generale delle milizie fiorentine e la sua conseguente partenza per le campagne militari. Orfano del padre Piero, fratello di Giovanni e Giuliano de’ Medici, il giovane Lorenzo nell’agosto del 1515 prese il posto dello zio Giuliano, il quale, a causa delle sue - 36 -

precarie condizioni di salute, aveva dovuto rinunciare al comando. Come Pieraccini sottolinea, Alfonsina espresse apertamente la sua preoccupazione per questo nuovo incarico e per l’inesperienza del figlio nelle pratiche militari75. E così il giorno stesso della partenza di Lorenzo per Bologna a capo delle milizie, il 16 agosto 1515, la donna si rivolge alle suore di Sant’Orsola per preghiere e conforto, una circostanza che rievoca l’intimità di sentimenti vista nel comportamento del suo congiunto Lorenzo di Pierfrancesco in punto di morte. Tuttavia, la più significativa richiesta alle suore avviene qualche mese più tardi da parte dei due fratelli Medici, Giovanni (ossia papa Leone X) e Giuliano, durante un’ancor più drammatica circostanza nella storia della famiglia. Il 2 febbraio 1516 si legge difatti: “Et addì 2 di febbraio 1515 [1516 stile comune] orricievuto per limosina £. 280 dal Sancto padre perfare oratione pelmagnifico giuliano £. 280”. Poi, il giorno dopo, la stessa suor Maria Maddalena de’ Guardi ricorda: “Et addì 3 di Febbraio 1515 oricievuto L. 280 per limosina dal magnifico giuliano per fare orazione”, annotazione poi cancellata e sostituita da un’altra che mette la stessa cifra sotto la categoria “Soldi nella chassetta”76, forse per un desiderio di anonimato da parte del donatore, visto che le preghiere erano per lui stesso. Giuliano stava, effettivamente, sostenendo una lotta impari con la malattia da quando, a seguito del suo rientro a Firenze da Roma il luglio precedente, le sue condizioni di salute erano peggiorate notevolmente. In agosto, come visto poc’anzi, non era più capace di adempiere ai suoi doveri di capitano delle milizie fiorentine, cedendo il posto al giovane nipote Lorenzo. Nei mesi seguenti le sue condizioni peggiorarono “con tregue più o meno - 37 -

lunghe […] ma il male lo consumava inesorabilmente”77. Al tempo dell’entrata trionfale a Firenze di suo fratello, papa Leone X, il 30 novembre 1515 [figura 8], Giuliano, in compagnia di Leonardo (il quale, possiamo presumere con buon fondamento, l’aveva seguito a Firenze l’estate precedente), poté assistere alle celebrazioni, ma come l’ombra di se stesso. A dicembre, difatti, testimonianze dell’epoca descrivono Giuliano oramai confinato al letto e capace di “solum muovere qualche pocho le braccia et le gambe, in le quale non à altro che ossa et pelle”78. Il papa durante il suo soggiorno prolungato a Firenze, interrotto solo dal viaggio a Bologna tra il 3 e il 22 dicembre, intrapreso in compagnia di Leonardo79, poté assistere personalmente al declino della salute di Giuliano fin quando, all’inizio di febbraio, come si è visto, i due fratelli fecero le donazioni citate sopra alle suore di Sant’Orsola, spinti dalle sempre più gravi condizioni della sua salute. È il devoto amico di famiglia e futuro cardinale, Bernardo Dovizi da Bibbiena [figura 9], che assisteva il malato al suo capezzale, a raccontarci del peggioramento in una lettera scritta a Isabella d’Este il 7 febbraio: … il poverino da circa undici giorni in qua è stato di sorte che molto più si è temuto che sperato della sua vita, salvo che quarto dì sono è pur stato alquanto meglio, non però che non si temi anchora per non lo havere la febre lassato per sino adesso libero del tutto80.

Curiosamente, i quattro giorni di miglioramento menzionati nella missiva del Bibbiena coincidono esattamente con le donazioni del santo padre e di Giuliano, come se il malato, - 38 -

8. Raffaello, Ritratto di Leone X coi cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1518, Firenze, Galleria degli Uffizi - 39 -

9. Raffaello, Ritratto del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, 1516-1517, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina - 40 -

confortato dal pensiero delle preghiere delle suore, avesse avuto una breve ripresa delle forze, purtroppo temporanea. Come è risaputo, col papa di ritorno a Roma il 19 febbraio81, verso il 1° di marzo Giuliano venne trasferito a Fiesole, assistito da Filiberta di Savoia, sua moglie da poco più di un anno, e dal Bibbiena. Parrebbe logico presumere che, con fraterna amicizia, anche Leonardo sia rimasto al suo fianco anche in questo frangente. Come sottolinea Kemp, il giorno della morte del Magnifico, il 17 marzo 1516, il pittore annotò le parole: “li medici mi crearono e mi desstrussono”82. Come nei casi di Lorenzo di Pierfrancesco e di Alfonsina già considerati, la richiesta di preghiere alle suore e la gravità del momento (attestata anche dalle somme consistenti offerte dai fratelli Medici) costituiscono, a mio parere, un’ulteriore conferma dell’esistenza di un rapporto speciale tra la loro famiglia e le suore di Sant’Orsola; un rapporto condiviso anche in seguito dal loro cugino Giulio, il futuro papa Clemente VII, che donò “limosine” alle suore quando era ancora cardinale e anche dopo la sua elezione al papato83. Tale sodalizio aiuta pure a spiegare l’altrimenti misteriosa presenza del citato registro del cardinal Giovanni de’ Medici all’interno dell’archivio di Sant’Orsola, anche se la circostanza che ha portato il cardinale, o chi per lui, a lasciare il libro alle sorelle francescane resta ancora da scoprire. Il tomo pare essere l’ultima prova tangibile di una congiuntura che coinvolge altresì vari personaggi noti alla storia come leali sostenitori della causa medicea – incluso il nostro Francesco del Giocondo –, i quali, in un modo o in un altro, appaiono nei registri del convento durante il secondo decennio del secolo (successivo alla stesura del volume e concomitante con gli anni del ponti- 41 -

ficato di Leone X), tanto da far nascere il sospetto che si tratti di qualcosa di più di una mera coincidenza. Non sarà nemmeno puro caso, allora, che il volume inizi proprio il giorno della riconquista del potere da parte dei Medici, i quali, con l’ausilio di truppe in armi, come sappiamo, presero con la forza Palazzo Vecchio il 16 settembre 1512; lo stesso giorno Giuliano insediò il corpo governativo selezionato direttamente da lui e dal fratello84, la “Balia” del 1512. Il procuratore e negoziatore del cardinale Giovanni, Lionardo di Zanobi Bartolini, menzionato nell’iscrizione dedicatoria del tomo come suo “tenitore”85, fu membro di quella Balia e, secondo alcune testimonianze antiche, la sua fortuna politica iniziò proprio “l’anno 1512 adì 16 di settembre [quando] fu eletto nel rinomato parlamento di quell’anno, ed entro della Balìa potentissima de’ XLVIII o come, indi a tre giorni si disse, de’ LXVI per un anno intero”86. Lionardo proveniva da una casata filomedicea da generazioni. Zanobi, suo padre, aveva fatto parte dell’entourage ficiniano, dove aveva conosciuto Tommaso Benci, di cui si è fatto menzione poc’anzi come interlocutore nel Convivio ficiniano; quest’ultimo, infatti, aveva apposto la dedica al “nobile et preclaro Zanobi di Zanobi Bartolini” in una delle copie manoscritte del Pimandro, tradotto da lui per Ficino in italiano87. Giuliano Tanturli rimarca come tale dedica rimpiazzi una precedente a Francesco di Nerone, “probabilmente a causa del confino del primo dedicatario in seguito agli avvenimenti del 1466”88, fatto che ribadisce la nota lealtà sia del Benci che del Bartolini alla causa medicea. La vedova di Tommaso, morto nel 1470, Ginevra de’ Benci, (da non confondere con la cugina omonima ritratta da Leonardo), intratteneva anch’essa rapporti frequenti con le suore di Sant’Orsola - 42 -

nei primi due decenni del secolo89. All’epoca abitava col fratello del marito, Giovanni90, presumibilmente cugino di Bartolomeo di Giovanni Benci, nominato tra le leve del governo mediceo come uno dei cinque cittadini incaricati della restituzione dei loro beni91. A Sant’Orsola fu presente anche Pierfrancesco Borgherini, un altro fedele sostenitore dei Medici (come ha chiaramente dimostrato Alessandro Cecchi92), già visto tra i finanziatori del nuovo regime al fianco di Francesco del Giocondo. Il suo nome appare nei registri del convento, tra il 1521 e il 1523, spesso in concomitanza con quello del cardinale Giulio, poi papa Clemente VII. E in quello stesso lasso di tempo pare che condividesse con Francesco del Giocondo il finanziamento dei lavori di ristrutturazione, già menzionati, della sacrestia, della chiesa ed anche di altri ambienti del convento93. A quel tempo, Pierfrancesco fu premiato con numerosi incarichi, e fu così strettamente legato ai Medici da essere costretto a seguirli in esilio nel 1529. Fu allora che l’opera per cui è più noto nel mondo dell’arte, la sua camera nuziale, commissionata a Baccio d’Agnolo nel 1515 dal padre Salvi per celebrare le sue nozze, rischiò di essere smantellata dall’ambasciatore del re francese, Giovan Battista della Palla; il quale sarebbe peraltro riuscito nel suo intento, come bene racconta Vasari94, se non fosse stato per l’eroica difesa della moglie di Pierfrancesco, Margherita Acciaiuoli, anch’essa membro di un’antica casata fortemente legata alla parte medicea. Il ciclo pittorico ivi contenuto, uno dei capolavori assoluti del secondo decennio del secolo, fu eseguito da una schiera di artisti di prim’ordine, quali Andrea del Sarto, Pontormo, Granacci e Bacchiacca. Ciclo che forse era già in sé un omaggio alla famiglia Medici, - 43 -

con la storia veterotestamentaria di Giuseppe e con le scene di tradimento, d’esilio e di riconciliazione finale, allusive alla sorte toccata ai fratelli Medici: dalla cacciata al rientro in patria e alla riconquista dell’antico rango95. Le notizie storiche che si sono finora riportate – il ruolo di Francesco del Giocondo e di Paolo, suo cugino, all’interno del nuovo ordinamento politico; le loro relazioni commerciali coi Medici attestate dal libro di conto del cardinale Giovanni; la comune frequentazione del convento di Sant’Orsola insieme ad altri personaggi filomedicei e anche la più volte ricordata vicinanza delle loro case – costituiscono lo sfondo storico all’interno del quale il rapporto qui ipotizzato tra il Magnifico Giuliano, Francesco del Giocondo, monna Lisa e Leonardo diventa sempre più credibile. Vediamo come. Dopo il rientro in patria, il cardinale Giovanni lasciò Firenze per Roma, dove l’11 marzo 1513 salì al soglio pontificio col nome di Leone X, consolidando nel contempo il trionfo della sua famiglia in patria. Sei mesi dopo Giuliano prese al proprio servizio Leonardo, il quale lasciò Milano a fine settembre in compagnia dei suoi allievi per recarsi prima a Firenze e poi a Roma, dove raggiunse il suo mecenate. Ma, come si è detto, Giuliano ritornò spesso a Firenze negli anni a seguire: nel giugno del 1514, per partecipare alle celebrazioni della festa di San Giovanni (prolungando il soggiorno a Firenze fino all’autunno seguente); dal luglio del 1515 (dopo il matrimonio con Filiberta di Savoia, del gennaio precedente) fino – come si è visto – al giorno della sua morte, il 17 marzo 1516. Dando fede alle parole di Varchi, si dovrebbe immaginare che Leonardo avesse seguito da vicino il suo padrone in tutti - 44 -

suoi spostamenti, portando con sé l’immagine di Lisa del Giocondo che ora, abbiamo quasi la certezza, aveva già incominciato a dipingere nel 1503. Effettivamente, una recente scoperta documentaria, avvenuta ad Heidelberg e diffusa per ora solo attraverso la stampa96, afferma che nell’ottobre del 1503 Leonardo da Vinci stesse lavorando ad un ritratto della Lisa del Giocondo. Se si rivela essere ciò che promette, l’annotazione di mano di Agostino Vespucci, trovata in margine a un testo quattrocentesco (oggi nella collezione della biblioteca universitaria del luogo), sarà la conferma definitiva della versione fornita da Vasari sul ritratto di Leonardo; una conferma che metterà a tacere per sempre coloro che dubitavano dello storico aretino. Il documento, infatti, collima perfettamente col suo racconto, non solo riguardo al semplice fatto – messo in dubbio da molti – che Leonardo realmente avesse eseguito un ritratto della Lisa del Giocondo, ma anche riguardo alla cronologia, almeno per il concepimento del dipinto. Riprendiamo allora in esame, con rinnovata fiducia, la memoria di Vasari che c’informa come Leonardo fece il ritratto della Monna Lisa del Giocondo su commissione del marito della donna, implicando una data intorno al 1503. Il biografo, difatti, inserisce il proprio commento sul dipinto tra quello riguardante il cartone di Sant’Anna e la Madonna del 1501 circa e quello dell’affresco, mai giunto a compimento e a noi ignoto, con la Battaglia d’Anghiari per la Sala dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, del 1503-4, in perfetta coincidenza col documento di Heidelberg. Informa inoltre che l’esecuzione del dipinto fu prolungata e che l’artista “quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto”97. Ciò significa che Leonardo lo dovette tenere con sé in uno stato incompleto negli anni fiorentini e, - 45 -

incompiuto, lo portò con sé a Milano nel 1506. Il ritratto deve poi essere rimasto con lui durante il secondo periodo milanese e, come si è visto, anche negli anni in cui Leonardo si trovava al servizio di Giuliano de’ Medici. Dopo la morte di quest’ultimo, l’artista lo portò in Francia dove, secondo l’ipotesi qui argomentata, fu visto dal de Beatis e poi citato nel 1550 da Vasari all’interno della collezione reale francese a Fontainebleau. Bisogna costatare, comunque, che il percorso dell’opera dallo studio di Leonardo al Clos-Lucé alla collezione reale è una vicenda costellata di dubbi e indizi contraddittori. Taluni documenti attestano infatti che alcuni quadri – probabilmente di proprietà di Leonardo – furono venduti al re francese per una notevole somma di denaro nel 1518 dall’allievo Salai, che, insieme al Melzi, aveva seguito il maestro in Francia98. Se tra questi ci fosse stato anche il ritratto fatto “ad istantia del […] magnifico Juliano”, allora la Gioconda sarebbe entrata nella collezione reale quando Leonardo era ancora in vita. Un inventario compilato a Milano nel 1525 dopo la morte, ivi avvenuta, dello stesso Salai, indica che invece, dopo la morte di Leonardo, Salai aveva riportato con sé in Italia alcuni dipinti, tra i quali uno, valutato per una somma relativamente alta, chiamato “la Honda” (poi corretto con la dicitura: “dicta La Joconda”). In seguito, un inventario datato 1531, stipulato per la sorella di Salai, include un dipinto con lo stesso titolo. Tuttavia, il valore complessivo delle opere ivi elencate è così inferiore in termini pecuniari a quello dell’inventario di soli sei anni prima, da far pensare che non fossero più gli stessi dipinti, ma semplicemente delle copie99. Senza volerci inoltrare ulteriormente nella questione che solo altre scoperte docu- 46 -

mentarie potranno definitivamente risolvere, si concorda, con Jack Greenstein100, che è comunque significativo che a questa data precoce un dipinto di Leonardo (e, si aggiunge, anche una qualsiasi sua copia) fosse già noto come La Honda o La Joconda, a conferma che l’originale di Leonardo fu noto con quel titolo sin dalle origini. Fu così che venne elencato nel documento, oramai non più reperibile, menzionato in un testo settecentesco citato a sua volta dallo Zöllner, cioè un inventario della collezione reale datato 1542 che lo elenca tra i dipinti nella Salle de bains a Fontainebleau, otto anni prima della prima edizione vasariana del 1550101. La prolungata esecuzione del dipinto, di cui Vasari ci informa, collima perfettamente con l’analisi stilistica del ritratto oggi al Louvre fornita da alcuni dei più autorevoli studiosi di Leonardo, come Carlo Pedretti, Kenneth Clark, Martin Kemp, Pietro Marani e Carlo Vecce. Da molti anni, in effetti, costoro hanno sottolineato che stilisticamente la Gioconda corrisponde a un periodo più tardo del 1503 nel percorso del pittore di Vinci. Pedretti, per esempio, sottolinea che dopo tutti “i proverbiali fiumi di inchiostro” versati sul quadro “vittima di […] troppa incomprensione”, rimane lo stile. E quello ci conduce alle ultime opere di Leonardo dopo il 1510: agli studi francesi – nero su nero – pei drappeggi della Vergine nel quadro della Sant’Anna e ai disegni a Windsor che gli corrispondono, che sono del 1510 e 1511, oppure ai paesaggi dell’Adda del 1513, e ad altri paesaggi schizzati su fogli di studi geometrici del 1514 e 1515. Ma il richiamo più impellente è […] del disegno a Windsor di donna in piedi in un paesaggio che s’intravede nella neb- 47 -

bia. È una donna che ha il corpo, le vesti e perfino il sorriso della Gioconda…102.

In altre parole: il completamento della tavola del Louvre (che Pedretti identifica con quella vista dal de Beatis nel 1517) sarebbe avvenuto proprio a ridosso o proprio negli anni in cui il pittore fu al servizio di Giuliano. E se, come suggerisce Pedretti con altri studiosi della questione, il dipinto fu completato negli anni pressoché coevi al sodalizio del pittore con Giuliano, suo mecenate tra il 1513 e il 1516, allora la nostra ipotesi parrà ancor meno azzardata. Giuliano vide il ritratto in possesso dell’artista, non ancora finito, scegliendo l’immagine come l’incarnazione del desiderio che da più di diciotto anni aveva espresso nelle sue poesie d’amore, le prime delle quali risalgono, in effetti, a pochi mesi dopo la sua partenza forzata da Firenze a soli quindici anni. Sarebbe suggestivo, poi, pensare che in Giuliano l’immagine di Lisa Gherardini, sua coetanea, si fosse impressa dai tempi della gioventù, perché è possibile che già la conoscesse prima dell’esilio. Come si è visto, il suo fratello maggiore Piero intratteneva rapporti di tipo commerciale con la compagnia dei del Giocondo e il fondaco di Francesco del Giocondo era confinante con una proprietà di Piero in Por Santa Maria. È possibile, quindi, che il quindicenne Giuliano avesse già notato Lisa a quel tempo. Anche se il matrimonio tra lei e Francesco ebbe luogo il 6 marzo 1495, dopo l’esilio dei Medici da Firenze, il fidanzamento dovette essere ufficiale già nel corso dell’anno precedente, come pare dimostrare la vendita nel 1494 da parte del padre di Lisa, Antonmaria Gherardini, di alcune terre a San Donato, per procurarsi i contanti necessari - 48 -

alla dote della figlia; una somma – spiega Zöllner – menzionata in un atto notarile datato il giorno prima del matrimonio della coppia103. La giovane, promessa sposa del grande setaiolo, poteva dunque essere conosciuta, anche se a distanza, dal giovane Medici e forse, durante i lunghi anni d’esilio, il suo ricordo aveva acquistato per lui il significato di tutto quello di cui era stato privato in quel novembre del 1494. Senza voler forzare i termini in questo senso, si ricorda inoltre che Leonardo probabilmente incominciò il ritratto appena tornato dal suo ingaggio presso il Valentino, dove, come abbiamo visto, si era incontrato con Giuliano. Degno di nota a questo proposito è quanto viene affermato da un’autorevole fonte seicentesca che, al contrario del Vasari, offre un’altra versione dei fatti riguardo alla committenza dell’opera. Nel 1642 Pierre Dan, il primo commentatore a dichiarare esplicitamente che il ritratto nella collezione reale francese noto come la Gioconda era quello di monna Lisa, moglie di Francesco del Giocondo (erroneamente identificato, tuttavia, con un gentiluomo ferrarese e non col mercante di seta fiorentino menzionato dal Vasari), afferma, senza purtroppo citare la fonte, che fu Leonardo stesso a chiedere il permesso di ritrarre la donna al marito, suo amico intimo104 – un’asserzione che, se fosse fondata, potrebbe aiutare a spiegare perché l’opera non fu mai consegnata al marito della donna e rimanesse sempre in possesso dell’artista. Ma anche se così non fosse, diventa ora più facile immaginare l’atteggiamento del consorte della donna quando egli sia venuto a conoscenza del desiderio di Giuliano di far propria l’effigie di Lisa come quella della sua musa petrarchesca. Essendo un partigiano mediceo e probabile amico, come altri aveva- 49 -

no fatto prima di lui (Luigi Niccolini, Niccolò Ardinghelli e Marco Vespucci, per esempio), Francesco avrà accettato la proposta di buon grado, in quanto nel ritratto di Leonardo egli vedeva celebrata la bellezza e la virtù della sua amata sposa. E, tornando ancora alla testimonianza di Dan, pare altrettanto significativa la sua insistenza sul fatto che Lisa non fosse stata una cortigiana – come alcuni altri avevano ritenuto – bensì la moglie virtuosa di Francesco del Giocondo. A chi si riferiva Pierre Dan quando parlava di coloro che erroneamente consideravano la Gioconda una courtisane e non una donna rispettabile? Forse ai primi inventari che citavano il quadro come “une courtizene in voile de gaze”105 o, più verosimilmente, ai commentatori precedenti, che indubbiamente dovette conoscere bene all’epoca della sua rassegna della collezione reale. E su quale base avranno fondato costoro un’idea simile riguardo alla modella di Leonardo? Pare quasi di sentire gli echi della testimonianza del de Beatis sulle relazioni tra la dama ritratta e Giuliano de’ Medici, una memoria che aiuta anche Pedretti a spiegarsi il commento del Dan, “essendovi rimasto per un certo tempo dopo la morte di Leonardo il ricordo di quella ‘certa donna fiorentina’ favorita di Giuliano de Medici”106. Rammentiamo poi che quando il commentatore seicentesco scriveva, la famiglia Medici aveva raggiunto un rango e un prestigio sul piano internazionale ben diversi da quelli di cui godeva all’inizio del Cinquecento. I Medici non solo regnavano sulla loro patria come sovrani, ma avevano fornito due regine alla nazione francese con Caterina e Maria. Già al tempo di Vasari, con Caterina regina di Francia dal 1547, la connessione con Giuliano era caduta nell’oblio; ed è cosa più che comprensibile, considerando anche il rispetto - 50 -

dovuto alla casa reale francese e alla memoria della principessa Filiberta di Savoia, che Giuliano aveva sposato l’anno prima della sua morte. Allora, a livello internazionale, è facile comprendere perché l’associazione dello sposo con una donna di rango inferiore potesse apparire alquanto indecorosa. E così il Père Dan, mentre ribadisce che la donna ritratta era Lisa del Giocondo, virtuosa moglie di Francesco (non già mercante, ma gentiluomo ferrarese), rigetta l’identificazione della donna come amante o courtisane, che, secondo la sua stessa ammissione, era un’idea in voga a quel tempo; idea che – vorremmo qui tornare a suggerire con Pedretti – forse dipendeva proprio dalla testimonianza del de Beatis di un secolo prima, con la conseguente connessione a Giuliano de’ Medici. Tale connessione potrebbe essere alla base anche di altre interpretazioni contraddittorie riguardo all’identità dell’effigiata. Nel 1625 Cassiano Dal Pozzo, notando il naturalismo della rappresentazione, cui solo la parola mancava, puntualizza che la dama nel ritratto, “una tal Gioconda […] mancava qual che poco nel ciglio”107; un dettaglio che giustamente è stato ritenuto un’esplicita contrapposizione a quanto afferma Vasari nella sua descrizione dell’immagine di monna Lisa, dove, come vedremo, si sofferma a lungo sulle ciglia della dama. Pare infatti che l’erudito Dal Pozzo, che senz’altro conosce il testo vasariano anche se non ne fa mai cenno, si dilunghi su questo punto per enfatizzare la distinzione tra il quadro allora a Fontainebleau e quello che lui indubbiamente reputa essere un’altra immagine dipinta da Leonardo e descritta dal Vasari, rappresentante la modesta moglie di un mercante fiorentino. Se, come abbiamo suggerito, perdurava l’associazione del dipinto con un membro della famiglia da cui erano venu- 51 -

te due regine di Francia, allora per ragioni di decoro, si spiegano le insistenze di Del Pozzo nel fare tale distinzione. Anche la confusione che fa Giovan Paolo Lomazzo sull’identità della dama ritratta da Leonardo potrebbe dipendere da simili equivoci. Quando Lomazzo scrive, nel 1563108, mostra di conoscere la prima edizione delle Vite di Vasari, giacché al pari di lui menziona il ritratto nella collezione di Fontainebleau come quello di monna Lisa del Giocondo; ma non dipende esclusivamente dal Vasari per le sue informazioni; anzi, lo contraddice quando fa dire da Leonardo stesso che, dopo aver lasciato il quadro “imperfetto”, lo “ridussi a perfizione” e “ciò che la natura e l’arte insieme si pol far fei” (aggiungendo subito, e forse non a caso, notizie sulla partenza per Roma col duca Giuliano)109. Nel 1584, invece, parlando dei ritratti di Leonardo “ornati a guisa di primavera”, cita la Gioconda e la Mona Lisa come due opere distinte, lodando in tutte e due però, “tra le altre parti maravigliosamente la bocca in atto di ridere”110. Potrebbe la scissione dell’opera in due dipendere dai contatti avuti con Francesco Melzi111 e da qualche suo cenno al ruolo avuto da Giuliano de’ Medici nella gestazione del quadro noto come la Gioconda? Lomazzo, non potendo spiegarsi il legame tra Giuliano e monna Lisa che anche Vasari ignorava (forse volutamente?), avrà dunque concluso, come molti storici moderni dopo di lui112, che le opere erano due, senza però privare né l’una né l’altra del famoso sorriso. Nel 1590113, poi, Lomazzo ribadisce la sua identificazione della tavola allora a Fontainebleau con quella raffigurante monna Lisa del Giocondo, confermando quanto aveva detto in principio, e cioè che il quadro nella collezione francese era una delle poche opere finite di Leonardo114. - 52 -

Non vi è dubbio che, nello stato perfettissimo in cui Leonardo “ridusse” l’opera, l’artista abbia trasformato l’immagine in qualcosa di nuovo e persino con qualche incoerenza rispetto all’impianto compositivo relativamente tradizionale da cui era partito nel 1503. Ed è solo quest’ultimo aspetto a costituire il collegamento stilistico con alcune opere giovanili di Raffaello, sempre riconosciute dagli storici come terminus ante quem del ritratto leonardesco: la Dama col Liocorno ora alla Galleria Borghese a Roma (con lo studio preparatorio) e la Maddalena Strozzi Doni [figura 12], ora alla Galleria Palatina di Firenze, datate tra la fine del 1504 e il 1506-1507. Ma la soluzione non era inedita, come sottolineano Zöllner e Pedretti prima di lui115. Entrambi individuano il modello compositivo della mezza figura seduta, col corpo girato per due terzi verso l’osservatore e con una balaustra sulla quale poggiano due colonnette, nella tradizione del ritratto “that developed towards the end of the 15th century in Florence and found its consummate expression at Leonardo’s hands after 1500”116. Al proposito si citano diverse opere dell’ultimo decennio del Quattrocento, quale il Ritratto di dama del Maestro di Santo Spirito, ora a Berlino, datato 1490 circa; e, insieme a questo, altre opere della cerchia del Ghirlandaio o il coevo Ritratto di dama di Lorenzo di Credi, ora a Forlì. Non sfugge nemmeno la dipendenza da opere di fiamminghi, come il ritratto di Jan van Eyck di Isabella del Portogallo, noto attraverso copie, né la relazione con stilemi già sperimentati da Hans Memling negli anni Ottanta del Quattrocento nel Ritratto di Benedetto Portinari [figure 10, 11], ora agli Uffizi117. - 53 -

10. Hans Memling, Ritratto di Benedetto Portinari, 1487, Firenze, Galleria degli Uffizi - 54 -

11. Hans Memling, Ritratto di Benedetto Portinari, retro - 55 -

12. Raffaello, Maddalena Strozzi Doni, 1506-1507, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina - 56 -

Dunque, nel 1503, il modello compositivo della Gioconda – il medesimo usato da Raffaello – non era assolutamente una novità; specie per il giovane pittore d’Urbino, notoriamente capace di attingere a molteplici fonti, dalla nobile tradizione fiorentina e italiana a quella fiamminga, che aveva assimilato già al tempo della sua gioventù in patria. Ricettivo com’era nel periodo fiorentino tra il 1504 e il 1508, non gli sarà nemmeno sfuggito il precedente di mano dello stesso Leonardo, la Ginevra de’ Benci; ritratto che in origine rappresentava, verosimilmente, la figura a mezzo busto, di tre quarti, con le mani in primo piano. In effetti alcuni storici dell’arte non hanno mancato di rilevare come Raffaello sia rimasto immune da certe altre implicazioni stilistiche presenti nel dipinto di Leonardo allo stadio finito. Nel ritratto di Maddalena Doni, Joanna WoodsMarsden sottolinea come Raffaello ritorni al ritratto secondo la concezione di Leon Battista Alberti e di tutto il Quattrocento, nella precisione fiamminga con cui descrive “the sumptuous textures and coloristic ostentation of Maddalena’s Strozzi’s orange-red watered-silk bodice and skirt, deep blue damask sleeves, gold buttons, and chain belt”. Segnala inoltre il contrasto tra la “performance of high fashion that demonstrates economic honor”118 e la semplicità del vestiario della dama del Louvre, priva di qualsiasi gioiello o segno di status sociale come concessione al “display”, così cara alla ritrattistica femminile del secolo precedente. Marcia Hall, inoltre, nota come Raffaello, sia nel ritratto di Maddalena Doni che in quello raffigurante la Dama col Liocorno, ignori l’accentuato naturalismo del maestro più anziano nella descrizione delle figure e del paesaggio. Rimarca poi altre sottigliezze dell’opera di Leonar- 57 -

do che l’Urbinate tralascia: la mancanza di qualsiasi torsione o mobilità nella posa delle donne, sottilmente trasmessa invece nell’opera del pittore di Vinci, e l’asimmetria del volto della Gioconda che – afferma la Hall – Raffaello non adotta sino al suo ritratto di Baldassare Castiglione [figura 7], databile intorno al 1514-15. A spiegazione di tale discrepanza, opina acutamente che Raffaello non abbia potuto recepire quelle innovazioni semplicemente perché non ve n’era ancora traccia quando il giovane pittore vide il quadro a Firenze intorno al 1503. Conclude dunque che solo dopo la sua partenza da Firenze Leonardo sia pervenuto a tali soluzioni e che Raffaello abbia pertanto avuto la possibilità di apprezzarle solo qualche anno dopo, quando il maestro di Vinci era andato a Roma al seguito di Giuliano119. Valutazioni da accogliere a conferma di quella prolungata esecuzione dell’opera di cui si è ragionato. Pare poco probabile infatti che Raffaello – noto per la sua ricettività nei riguardi sia della tradizione che delle novità artistiche, specie nei confronti di Leonardo e Michelangelo – non abbia saputo cogliere, durante il soggiorno fiorentino, altro che le componenti più tradizionali del precedente leonardesco, trascurando invece le vere novità. Un tale paradosso sarebbe inspiegabile in un pittore del suo genio e delle sue qualità. Più convincente, in effetti, è la supposizione che l’Urbinate non abbia colto le ‘novità’ perchè non erano ancora state dipinte. Ebbe senz’altro occasione di vedere il disegno preparatorio o un primo abbozzo, e ciò spiegherebbe l’affinità d’impianto: soluzione compositiva che adoperò più volte in una serie di ritratti tra il 1505 e il 1508. Ma le vere ‘novità’ che Leonardo proponeva nel ritratto di Lisa erano frutto d’un ulteriore stadio del completa- 58 -

mento del quadro. Bisognava difatti attendere diversi anni prima che Leonardo lo rendesse “perfectissimo” come lo vide il de Beatis nel 1517, aggiungendo allo stesso schema compositivo l’essenza della ‘grazia’ e del naturalismo, caratteristici della sua maniera moderna120. Leonardo dovette iniziare la trasformazione dell’opera per gradi, soffermandosi a contemplarla lungamente (che sappiamo essere il suo modo di operare), per raggiungere, quel capolavoro di naturalezza dove il confine tra l’immagine e la realtà si fa labile in virtù della finezza dell’osservazione della natura e della sua ricreazione illusiva. Tale naturalismo sta, in effetti, al centro del commento vasariano, in quel suo ribadire che la figura è dipinta con una maestria tale da rivaleggiare con una creatura vivente. Ne fa cenno nell’aneddoto riguardante i musicisti e i “buffoni” che l’artista ingaggiava per intrattenere la donna mentre la dipingeva, “per levar via quel malinconico”, tanto da provocare quel “ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana […] tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”121: ossia, il sorriso di monna Lisa. In più, con la menzione dei buffoni che provocano il sorriso, Vasari cattura nell’immagine quello spirito giocoso che Kemp, a sua volta, interpreta come un ‘gioco’ sul nome della dama: “she who smiles – La Gioconda”122. Elizabeth Cropper fa un’associazione analoga quando afferma che il ritratto “costituì per Leonardo un esercizio ulteriore nel processo di messa a punto di un canone di bellezza assoluta, animata, amabile […] qualità […] implicite nel nome ‘la Gioconda’ che fa dell’immagine una sorta di gioco di parole. Simili facezie e giocondità appartengono tanto al discorso cortigiano che alle convenzioni dell’urbanitas”123. E se la donna ivi ritratta fosse - 59 -

davvero monna Lisa del Giocondo, come qui si va sostenendo, il nome con cui il ritratto è sempre stato identificato da tutte le fonti sarebbe altresì un calembour sul nome della dama: del Giocondo; e la mente vola ad un altro ritratto del maestro, quello di Ginevra de’ Benci, dove – l’abbiamo notato – le fronde di ginepro che contornano il viso della dama, per assonanza, fanno riferimento al suo nome: Ginevra/ginepro124. Come abbiamo già accennato, le due opere possiedono molte affinità per committenza e significato: sono ambedue l’immagine di una rispettabile donna sposata scelta come emblema di un amore petrarchesco da un amante poeta; e si ricorda che il nostro Giuliano era stato ospite di Bernardo Bembo a Venezia solo due anni prima del momento in cui si suppone abbia scelto l’immagine di Lisa già in possesso del pittore. Però, come ha giustamente notato la Cropper, nella Gioconda [Leonardo] severed the reference to the emblems of poetry upon which the portrait of Ginevra relies. Responding to the poet’s challenge, he [Leonardo] represented the form and character of an individual woman as the effigy of the perfect idea in the lover’s heart. He claimed the autonomous power of painting to set before the lover a living presence in a single moment, to which his eyes would be drawn by nature125.

Effettivamente chi osserva il quadro del Louvre (specie da un punto di visuale leggermente spostato sulla destra) non può che rimanere incantato dall’espressione della dama, sottilmente comunicata al riguardante dal sorriso e dagli occhi, in un intreccio di straordinaria intimità. E come ha rilevato Kemp “the eyes and the mouth play the most potent roles in - 60 -

communicating human emotion […] in the armoury of Italian poets from the time of Dante”126. Fu questo l’aspetto cui Vasari alludeva nella sua descrizione, anche se probabilmente non aveva mai visto il quadro di persona. Il biografo si sofferma in effetti a lungo sul volto della donna, sull’epidermide “che non colori ma carne pareva veramente” e sulle ciglia, dove si potevano veder “nascere i peli nella carne […] e non potevano essere più naturali”. È stato notato però – in contrapposizione col commentatore aretino – che la dama del Louvre è del tutto priva sia delle ciglia che delle sopracciglia. E anche se, in tempi molto recenti, con strumenti analitici avanzati, si è affermato di aver trovato traccia di un pelo delle sopracciglia (che si opina fossero state applicate a secco sulla superficie del dipinto e dunque sparite al primo intervento di pulizia127), volendo concedere a Vasari il beneficio del dubbio, si può ipotizzare che il biografo possa avere percepito un senso di meraviglia davanti alla singolare riuscita nell’imitazione naturale nel volto e nello sguardo della donna, ovviamente descrittagli da un testimone che, a sua volta, ne era stato catturato. In effetti Vasari aveva molti affidabili informatori ai quali rivolgersi e fra questi, secondo Zöllner, potevano essere compresi monna Lisa stessa (che poteva aver conosciuto il biografo prima della sua morte nel 1542) oppure il marito di lei (morto nel 1539), o magari alcuni loro parenti, probabilmente i cugini, amici di Vasari128. E poi non bisogna dimenticare che proprio il suo maestro, Andrea del Sarto, aveva soggiornato presso la corte del re francese tra il 1518 e il 1519, quando Leonardo era ancora in vita. Verosimilmente Andrea, che tanto apprese dall’arte del più anziano maestro, avrà raccontato al suo allievo della contemporanea presenza del vecchio - 61 -

artista, dando conto anche delle opere che, a quel tempo, erano ancora in suo possesso (o appena vendute al re Francesco I). Infine non sarà da dimenticare che, proprio quando Vasari compilava le sue Vite, intorno al 1545, arrivava a Firenze dalla Francia il loquace Benvenuto Cellini, ben conosciuto dallo storico aretino, che aveva lavorato per il re francese proprio a Fontainebleau. La conclusione tuttavia rimane la medesima. È un’opera a cui mancava solo il “respiro”, come la statua di Pigmalione, a cui, si ricorda, faceva riferimento nel dialogo urbinate Giuliano de’ Medici parlando della sua donna ideale. Ed è sugli occhi della dama amata che si sofferma spesso Giuliano nelle sue poesie, come questa, datata dal Pieraccini intorno al febbraio 1515: Madonna, e’ vien da vostre luci spesso, Anzi sempre un soccorso a’ miei suspiri, Che quei fa dolci e sì cresce i desiri Ch’esser contento e servo vi confesso. Bramo molto e poi temo esservi appresso, Perch’io non so s’io vivo lieto o spiri, Se advien che fiso ne’ vostri occhi miri, Tanta grazia e dolceza Amor v’ha messo. Così da molte mie speranze e pene Per voi ogni mio ben nasce e depende, Ognor che de’ vostri occhi mi subviene. E chi ’l dolce morir per voi comprende, Come io che lascio e sprezo ogn’altro bene, Per voi d’eterno amor forte s’accende.129 - 62 -

Forse non è un caso, allora, che anche all’interno del dialogo di Baldassar Castiglione Giuliano fornisca una descrizione dettagliata dell’intreccio di sguardi tra due amanti, che potrebbe essere facilmente applicata a quanto Leonardo esprime nel suo ritratto. Parlando precisamente dello scambio intenso tra il corteggiatore e l’amata (che per analogia si estende all’osservatore e all’effigie dipinta) afferma che “que’ fidi messaggeri” dell’amore che sono gli occhi non solo mostrano passione, ma spesso accendon amore nel cor della persona amata perché que’ vivi spirti che escono per gli occhi, per esser generati presso al core, entrando ancor negli occhi, dove sono indrizzati come saetta al segno, naturalmente penetrano al core come a sua stanza ed ivi si confondono con quegli altri spirti e, con quella sottilissima natura di sangue che hanno seco, infettono il sangue vicino al core, dove son pervenuti, e lo riscaldono e fannolo a sé simile ed atto a ricevere la impression di quella imagine che seco hanno portato; onde a poco a poco andando e ritornando questi messaggeri la via ver gli occhi al core e riportando l’esca e ’l focile di bellezza e di grazia, accendono col vento del desiderio quel foco che tanto arde e mai non finisce di consumare, perché sempre gli apportano materia di speranza per nutrirlo130.

Si potrebbe dire che Leonardo, nel ritrarre monna Lisa, abbia fornito l’illustrazione di questo processo (quasi fisico), creando un’immagine in bilico tra arte e natura. Immagine che così, realmente, sopperisce all’assenza dell’amata. Leonardo stesso ne fa allusione quando afferma che il pittore ritrattista “mette inanzi all’amante la propria effigie della cosa amata, il - 63 -

quale spesso fa con quella bacciandola e parlandole con quella quello”131. E torna alla mente anche quel passaggio del Trattato della Pittura di Leonardo che già altri avevano messo in relazione alla Gioconda: E gia intervenne a me fare una pittura che rappresentasse una cosa divina, la quale comperata dall’amante di quella, volle levarne la rappresentazione di tale dietà per poterla baciare senza sospetto, ma in fine la coscienza vinse i sospiri e la libidine e fe’ forza ch’ei se la levasse di casa132.

Ora, pare molto più plausibile che quelle parole si riferissero non a un’altra dama, come qualcuno ha supposto, ma proprio a monna Lisa del Giocondo, nel momento in cui Giuliano (in procinto di sposare la sua principessa francese, dopo aver adorato l’immagine della propria musa che da tempo l’artista stava perfezionando per lui) si sentì obbligato a rinunciare definitivamente al quadro; per dirla con parole riportate da Venturi: “perché gli occhi della sua regale sposa, Filiberta di Savoia, non venissero funestati dalla immagine de’ suoi passati amori”133. Si potrebbe così spiegare perché, quando Leonardo si trasferì presso la corte del re francese [figura 13],, aveva ancora in suo possesso il ritratto della dama fiorentina fatto “ad istantia […] del quondam magnifico Juliano” [figure 14 e 15], ritratto che, nel 1517, il pittore mostrò al cardinale d’Aragona e al suo seguito.

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13. Leonardo da Vinci, Autoritratto, 1513 ca., Torino, Biblioteca Reale, Inv. 15571 - 65 -

14. Michelangelo, Giuliano de’ Medici, 1526-1534, Firenze, Basilica di San Lorenzo, Sagrestia Nuova - 66 -

15. Michelangelo, Giuliano de’ Medici: retro in una foto d’epoca - 67 -

Note

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J. Rogers Mariotti, Selections from a Ledger of Cardinal Giovanni de’ Medici, 1512-1513 in “Nuovi Studi”, VI-VII, 9, 2001-2002 (2003), 9, pp. 103-146. 2 E. Villata (a cura di), Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, Milano 1999, doc. 314, p. 262 con bibliografia. 3 G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, 6 volumi (con indici a cura di P. Barocchi e G. Gaeta Bertelà), Firenze 1966-1987, IV, 1976, pp. 30-31: [ed. 1550] “Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di monna Lisa sua moglie; e quattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto; la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò. Nella qual testa, chi voleva vedere quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contraffate tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere: avvengache gli occhi avevano que’ lustri e quelle acquitrine che di continuo si veggono nel vivo, et intorno a essi erano tutti que’ rossigni lividi e i peli, che non senza grandissima sottigliezza si posson fare; le ciglia, per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali; il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo; la bocca con quella sua sfenditura, con le sue fini unite dal rosso della bocca con la incarnazione del viso, che non colori ma carne pareva veramente; nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole. Usòvi ancora questa arte, che essendo mona Lisa bellissima, teneva, mentre che la ritraeva chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra per levar via quel maliconico che suol dar spesso la pittura ai ritratti che si fanno: et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole, che era cosa più divina che umana a vederlo, ed era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”. 4 F. Zöllner, Leonardo’s Portrait of Mona Lisa del Giocondo, in “Gazette des Beaux-Arts”, VI pér., 121 (1993), 1490, pp. 115-138. In seguito, l’identificazione ha goduto di un sempre più largo consenso. - 68 -

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A. De Rinaldis, Storia dell’opera pittorica di Leonardo da Vinci, Bologna 1926, pp. 172-173; cfr. P. La Mure, The Private Life of Mona Lisa, London 1975 (tr. it. di F. Saba Sardi, Vita privata di Monna Lisa, Milano 1978); F. Laurelli, La Prima Signora Elisa, o della committenza del ritratto di Monna Lisa Gherardini, detto “La Gioconda” (prima versione del 1999 del testo uscito col titolo Il ritratto di Monna Lisa Gherardini detta “La Gioconda” in “Rivista storica del Sannio”, III s., 7, 2000, 1, pp. 267-303), il quale, basandosi per sua stessa ammissione sul romanzo di La Mure, ricostruisce storicamente una simile ipotesi (il saggio, nella versione del 1999, si può scaricare da internet al sito www.italian-family-history.com/Gioconda/storia.htm). 6 Per un riassunto della questione (con bibliografia), si rimanda il lettore a J. Shell, G. Sironi, Salaî and Leonardo’s Legacy, in “The Burlington Magazine”, 133, (febbraio) 1991, pp. 95-108, in part. pp. 96-99, note 28-42; P.C. Marani, Leonardo. La Gioconda, dossier allegato ad “Art e dossier”, 189, maggio 2003, pp. 28-29; J. Greenstein, Leonardo, Mona Lisa and La Gioconda. Reviewing the Evidence, in “Artibus et Historiae”, 25, 50 (2004), pp. 1734; si veda anche P.C. Marani, Leonardo. Una carriera di pittore, Milano, 1999, p. 24 il quale considera “…il ritratto di Monna Lisa del Giocondo, La Gioconda, l’opera iniziata verso 1503-04 ma forse condotta a termine “ad istantia del… Magnifico Juliano de’ Medici” verso 1513-15”, in completo accordo con quanto si va sostenendo in questo studio. 7 M. Kemp, Leonardo da Vinci. The Marvelous Works of Nature and Man, London-Cambridge (Mass.) 1981, pp. 267-269; ed. Oxford 2006, pp. 260-70, dove elabora un’ipotesi analoga sul completamento del dipinto, senza però fare alcuna connessione tra Lisa e Giuliano. Si veda anche E. Cropper, The Beauty of Woman: Problems in the Rhetoric of Renaissance Portraiture, in Rewriting the Renaissance. The Discourses of Sexual Difference in early Modern Europe, M.W. Ferguson et al. (eds.), Chicago 1987, pp. 175190; cfr. anche J.K. Nelson, Leonardo e la reinvenzione della figura femminile: Leda, Lisa e Maria, XLVI Lettura Vinciana 22 aprile 2006, Firenze, 2007, pp. 5-24, in part. pp. 10-12 per un’interpretazione diversa ma, per molti aspetti, complementare (si veda nota 131). Ringrazio l’autore per avermi inviato il suo saggio. 8 G. de’ Medici, Poesie, a cura e con uno studio di G. Fatini, Firenze 1939, pp. xxiii, xxvii e passim per uno studio approfondito della vita e della poesia di Giuliano; si veda anche V. Cian, Musa Medicea. Di Giuliano di Lorenzo de’ Medici e delle sue rime inedite, Nozze Flamini-Fanelli, Torino, 1895. 9 Fatini, in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. xxvii. - 69 -

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G. Pieraccini, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo. Saggio di ricerche sulla trasmissione ereditaria dei caratteri biologici, 3 volumi, Firenze 1924-25, I, 1924, pp. 225-226. 11 Fatini, in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. xxxi. 12 B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano, a cura di E. Bonora, commento di P. Zoccola, Milano 1972, p. 211 (ristampa 1988). 13 F. Petrarca, Le Rime, a cura di Giacomo Leopardi, Firenze 1845, Sonetto L, p. 87. Cfr. Cropper, cit. (sopra, nota 7), p. 182. 14 Cfr. Bonora in Castiglione, cit. (sopra, nota 12), III, LII, p. 260 con nota 2. 15 Cfr. de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), xcix-cxxx, 5-90. 16 E. Cropper, L’arte cortigiana a Firenze, Dalla repubblica dissimulata allo stato paterno, in Storia delle arti in Toscana, 7 volumi, Firenze 19992004, IV, Il Cinquecento, a cura di R.P. Ciardi e A. Natali, 2000, pp. 85-115, in part. p. 86; sulle relazioni tra Leonardo e i Medici si veda C. Pedretti, Li medici me crearono e desstrussono, in “Achademia Leonardi Vinci”, 6, 1993, pp. 173-184. 17 De’ Medici, cit. (sopra, nota 8), pp. 11-30, V, VII, VIII, IX-XI, XIV, XX. 18 Fatini, in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. xv, note 3-5 dove cita P. Giovio, Le Vite di Leon decimo et d’Adriano sesto sommi pontefici, et del cardinal Pompeo Colonna, scritte per mons. Paolo Giouio vescovo di Nocera, & tradotte da m. Lodouico Domenichi, in Vinegia [Venezia] 1557, pp. 28-29; M. Sanuto, Diarii, a cura di R. Fulin et al., Venezia, 58 volumi, 1879-1903, I (1879), coll. 138, 309; V. Cian, cit. (sopra, nota 16), p. 7. 19 Cfr. C. Pedretti, Leonardo. La pittura, in “Art e Dossier”, ottobre 2005, dossier n. 215, Firenze 2005, p. 46. 20 Cfr. Fatini, in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. LXI. Si veda anche Laurelli, cit. (sopra, nota 5), nota 79. 21 Fatini, in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. LXII, dove si cita B. Varchi nella Oratione funebre per Michelangelo, in M. Cermenati, Leonardo a Roma nel periodo leoniano, in “Nuova Antologia”, VI s., 1° settembre 1919, pp. 308-331, in part. p. 317; cfr. D.A. Brown e K. Oberhuber, Monna Vanna and Fornarina: Leonardo and Raphael in Rome, in “Essays presented to Myron P. Gilmore”, a cura di S. Bertelli e G. Ramakus, Firenze 1978, II, pp. 25-86, p. 26. 22 A. Chastel, Luigi d’Aragona. Un cardinale del Rinascimento in viaggio per l’Europa, Roma-Bari 1987, p. 82 (ristampa 1995). 23 Si veda sopra la nota 2. Il corsivo è mio. 24 Cropper, cit. (sopra, nota 16), p. 88. - 70 -

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Elencato nel 1496 dal fratello dell’artista Tommaso tra le opere fatte per Lorenzo, cfr. Verrocchio’s David Restored. A Renaissance Bronze from the National Museum of the Bargello, Florence, a cura di G.M. Radke et al., Firenze 2003, Appendice B, p. 83 con bibliografia. 26 Cfr. C. Dempsey, The Portrayal of Love. Botticelli’s Primavera and Humanist Culture at the Time of Lorenzo the Magnificent, Princeton-Oxford 1992, pp. 114-139, con bibliografia; Pedretti, cit. (sopra, nota 16), p. 174; D.A. Brown, in Virtue and Beauty. Leonardo’s Ginevra de’ Benci and Renaissance Portraits of Women, catalogo della mostra (Washington D.C., National Gallery of Art, 2001-2002), a cura di D.A. Brown et al., Princeton 2001, cat. 28, 182-185. 27 Sull’argomento si rimanda ai fondamentali contributi contenuti nel catalogo Virtue and Beauty […] citato nella nota precedente. 28 Cit. in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. xxxii; cfr. anche Sanuto, cit. (sopra, nota 18), XI, 1884, 519; si veda V. Cian, cit. (sopra, nota 8), pp. 1516 sui precedenti soggiorni di Giuliano presso i Bembo. 29 J. Fletcher, Bernardo Bembo and Leonardo’s Portrait of Ginevra de’ Benci, in “The Burlington Magazine”, 1041, (december) 1989, pp. 811-816 con bibliografia; cfr. Brown, cit. (sopra, nota 26). 30 M. Ficino, Sopra lo Amore ovvero Convito di Platone, a cura e con pref. di G. Renzi, Lanciano 1914, p. 113. 31 Greenstein, cit. (sopra, nota 6), p. 25: “…l’onore tributato a Ginevra allorché fu scelta dal Bembo quale oggetto del suo amore platonico in un contesto cavalleresco che celebrava la virtù e la bellezza” [tutte le traduzioni sono mie]. 32 Per un riassunto della questione con bibliografia si rimanda a D. Sassoon, Mona Lisa. The History of the World’s most Famous Painting, London 2002, pp. 23-31 e P.C. Marani, cit. (sopra, nota 6), 2003, pp. 28-29; cfr. anche A.C. Coppier, La “Joconde” est-elle le portrait de Mona Lisa?, in “Les Arts”, 1914, pp. 2-9; A. Venturi, in Storia dell’Arte Italiana, vol. IX, La pittura del Cinquecento, parte I, Milano 1925; A. Venturi, s.v., Enciclopedia Italiana, 1933, pp. 876-877; C. Pedretti, Storia della Gioconda, in “Studi Vinciani. Documenti, analisi e inediti leonardeschi”, Genève 1957, p. 138 (pubbl. prec. in “Bibliothèque d’humanisme et Renaissance, travaux et documents”, tome 18, indi in forma di estratto col titolo Storia della Gioconda di Leonardo da Vinci. Con nuove congetture sulla persona ritratta, Genève 1956); C. Pedretti, Uno studio per la Gioconda, in “L’Arte”, LVIII, vol. 24 (luglio-settembre 1959), pp. 155-197, in part. p. 156. C. Pedretti, Leonardo. A Study in Chronology and Style, Berkeley-Los Angeles, 1973 (reprint Lon- 71 -

don-New York 1982); H. Tanaka, Leonardo’s Isabella d’Este. A New Analysis of the “Mona Lisa” in the Louvre, in “Annuario dell’Istituto Giapponese di Cultura in Roma”, 13, 1976-1977 (1977), pp. 23-34; C. Vecce, La Gualanda, in “Achademia Leonardi Vinci. Journal of Leonardo Studies and Bibliography of Vinciana”, III, 1990, pp. 51-72; C. Vecce, Leonardo, Roma 1998, pp. 332-336; Zöllner, cit. (sopra, nota 4); Shell, Sironi, cit. (sopra, nota 6); Greenstein, cit. (sopra, nota 6). 33 Si veda l’Appendice, doc. VI, C in data 30 ottobre 1512, ma riferito ad una stipula della “Balia” il 21 settembre 1512, solo quattro giorni dopo il suo insediamento. Cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), p. 107, nota 35. 34 Cfr. A. Cecchi, Profili di amici e committenti, in Andrea del Sarto 1486-1530. Dipinti e Disegni a Firenze, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti 1986-1987), Firenze 1986, p. 52 con nota 109. 35 Si veda l’Appendice, doc. VI, C; ivi si legge Borghini, indubbiamente un errore ortografico, in quanto il nome appare insieme con quello del cognato di Pierfrancesco, Zanobi Girolami, che sposò la sua sorella Maria nel 1500; cfr. Cecchi, cit. (sopra, nota 34), cat. X-XI, p. 105. 36 Si veda l’Appendice, doc. VI, C. Cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 107-108, nota 37; cfr. H.C. Butters, Governors and Government in early 16th century Florence. 1502-1519, Oxford-New York 1985, pp. 168-182. 37 ASFi, Carte Sebregondi, 2608. La Balìa fu composta di 9 della Signoria e 46 arroti, per un totale di 55: cfr. Butters, cit. (sopra, nota 36), pp. 183, 188. Il numero dei membri crebbe sino a 65 entro un mese; cfr. de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. xxxvii. 38 Si veda l’Appendice, doc. VI, B; cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 107-108; cfr. Butters, cit. (sopra, nota 36), p. 197. 39 In precedenza avversario dei Medici, il Corsini fu nominato membro della Balia il 19 settembre; divenne uno dei più forti sostenitori del regime; cfr. Butters, cit. (sopra, nota 36), p. 193. 40 G. Pallanti, La vera identità della Gioconda. Un mistero svelato, Milano 2006, p. 51 con note 11 e 12, p. 53 e in part. le pp. 47-53 per un riassunto della storia della bottega del Giocondo. 41 Per un resoconto più ampio delle transazioni della famiglia si veda: Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 112-114, note 73-90. Per le transazioni tra i Medici e i del Giocondo si veda l’Appendice, doc. I: C, ii; D, i; F, i; G, i-viii; J, v; K, i; M, i; N, i; O, i; S, i. 42 Cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 113-114, note 85-90; per gli acquisti di Giuliano si veda l’Appendice, docc. I: B, i-vi; C, i-vi; G, i; J, ii; L, i; P, i; Q, i-iii, R, i. - 72 -

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Si veda l’Appendice, docc. I: B, vi; G, i-viii; K, i. Si veda l’Appendice, doc. I: B, i-vi; C, ii-v; G, i-iv, vii; M, i; S, i e in particolare per Lorenzo di Piero doc. I, G, ii. 45 Cfr. Zöllner, cit. (sopra, nota 4), p. 127, nota 111 che cita E. Birbari, Dress in Italian Painting. 1460-1500, London 1975, p. 22; G. Butazzi, Elementi Italiani nella moda sullo scorcio tra il XV e il XVI secolo, in Tessuti serici italiani. 1450-1530, catalogo della mostra (Milano, Castello Sforzesco 1983), a cura di C. Buss et al., Milano 1983, pp. 56-63, in specie le pp. 57-58. 46 Cit. in R.C. Trexler, Public Life in Renaissance Florence, New YorkLondon (1980) 1991, p. 519; cit. in Cropper, cit. (sopra, nota 16), 2000, p. 97, n. 58, in relazione all’Alabardiere del Pontormo. 47 Cfr. L. Berti, Pontormo e il suo tempo, Firenze 1993, p. 141. 48 A. Natali, La Coperta della Monaca, in Id., La Piscina di Betsaida. Movimenti nell’arte fiorentina del Cinquecento, Firenze-Siena 1995, pp. 116-137. 49 Cfr. Cropper, cit. (sopra, nota 16), p. 90. 50 R. Levi Pisetsky, Il Costume e la moda nella società italiana, Torino, 1978, p. 219 citato anche in F. Zöllner, op. cit. (nota 4), pp. 127, nota 112. 51 Cfr. Fatini, in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. xxxviii. 52 Ivi, p. lxii, ove si cita Varchi, cit. (sopra, nota 21), p. 310. 53 In “Oggi”, 31 ottobre 2007, p. 109 dove il brano riportato è preso dal suo libro Leonardo & io purtroppo uscito troppo tardi perché potessi integrare il ricco contenuto in questo studio. Pedretti da molti anni sostiene una datazione del quadro tra il 1514 e il 1516 come commissione di Giuliano, negando, fino ai tempi recenti, l’identificazione con Lisa Gherardini. Si veda ora C. Pedretti, Leonardo & Io, Milano 2008, pp. 609-623, (in part. pp. 612-614) dove gentilmente valuta le mie ricerche e la relativa documentazione, ripresentata in questa sede, come un primo passo verso l’identificazione e la committenza della Gioconda che qui si va proponendo. 54 Abbandonato dopo le soppressioni napoleoniche nel 1810, il sito fu trasformato in una manifattura di tabacchi e poi in un deposito per il sale. Oggi giace in abbandono, in attesa della conclusione di un interminabile restauro. Cfr. L. Landucci, A Florentine Diary from 1450 to 1516 by Luca Landucci continued by an anonymous writer till 1542 con note di Iodoco del Badia (transl. A. de Rosen Jervis), London 1927, p. 273, nota 2; W. Paatz, E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, 6 volumi, Frankfurt am Main 1952-1955, IV, 1952, p. 559; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese Fiorentine divise ne’ suoi Quartieri…, In Firenze, 1754-1762, 10 volumi, VII, 1759, p. 43; D. Pulinari, Cronache dei Frati Minori della Provincia di Toscana secondo l’autografo d’Ognissanti, edite dal p. Saturnino Mencherini, Arezzo 1913, p. 260. 44

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Cfr. Zöllner, cit. (sopra, nota 4), pp. 115-138, in part, le pp. 118 e 122, nota 66. 56 Si veda la nota 61 qui di seguito. 57 Si veda l’Appendice, doc. III, B, ii. 58 Si veda l’Appendice, doc. II, B, ii, 3-6; cfr. J. Rogers Mariotti, in L’Età di Savonarola. Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel primo ’500, catalogo della mostra (Pistoia, Palazzo Comunale 1996), a cura di C. D’Afflitto et al., Firenze-Venezia 1996, pp. 186-188, cat. 36; Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), p. 107 con nota 29. 59 Cfr. s.v. ”chiocciola”, in Enciclopedia Italiana, X, Roma 1950, p. 124 [C. Persanti]: “i brodi di chiocciole, le paste pettorali, considerati come emollienti, si adoperavano nelle affezioni bronchiali e gastrointestinali”. 60 Devo la citazione di Dolci a Charles Dempsey che ne ha fatto menzione in una sua recente conferenza intitolata “Classical and Vernacular Cultures in the Paintings of Botticelli in Renaissance and Renovatio: the Importance of Vernacular Culture in Earlier Renaissance Art”, Villa I Tatti (22, 27, 29 maggio 2008), 27 maggio, in corso di publicazione. 61 Le notizie riguardanti l’esistenza della Marietta, la vendita de “l’acqua di chiocciola” ed i rapporti tra i del Giocondo e le suore di Sant’Orsola sono stati oggetto di due interventi da parte mia: Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 58), pp. 186-188, cat. 36; Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 106-108, nota 29 (con trascrizioni dei documenti); nel 2006, Giuseppe Pallanti ha pubblicato alcuni documenti come una nuova scoperta, con grande risalto mediatico, senza il dovuto riconoscimento: cfr. G. Pallanti, cit. (sopra, nota 34), p. 61, nota 18; pp. 63-64, nota 22-26; tav. VII; C. Manetti (intervista a G. Pallanti), in “Il Giornale della Toscana”, venerdì 19 gennaio 2007, pp. 1 e 13; cfr. C. Manetti (rettifica) in “Il Giornale della Toscana”, sabato 20 gennaio 2007, pp. 1 e 10. 62 Si veda l’Appendice, doc. II, B, ii, 6-8. 63 Per le relazioni tra i del Giocondo e le suore, si veda l’Appendice, docc. II: B, ii 3-5; B, iii 1-2; C, i, ii, iii 3-5; IV, B; V, a; cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 58), pp. 186-188, cat. 36; Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 105-107, nota 29. 64 Cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 58), pp. 186-188, cat. 36; cfr. E. Capretti, in Domenico Puligo 1492-1527. Un protagonista dimenticato della pittura fiorentina, catalogo della mostra (Firenze 2002), a cura di E. Capretti et al., p. 42, nota 111, Livorno 2002, su il San Francesco riceve le stimmate che il Puligo dipinse per Francesco nel 1526, citato dal Vasari; cfr. anche V. Silvani, ivi , cat. 38, pp. 148-149. - 74 -

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Cfr. Zöllner, cit. (sopra, nota 4), p. 124, nota 85: 1521, un “vaso dalabastro dorato cola croce di Gesù. Ebe la figliuola di Francesco del Giocondo” e ancora “un quadretto di noce dorato […] entro una nostra donna con 6 sancti donata alla figliola di Francesco del Giocondo”. 66 Si veda l’Appendice, doc. II, C, iii 3-5. 67 Zöllner, cit. (sopra, nota 4), pp. 118, nota 40, 122, nota 65, 124, sottolinea la stipula riguardante l’affidamento della madre Lisa alla figlia Ludovica dopo la morte di Francesco, senza però fare la connessione con Marietta, la cui esistenza era ancora sconosciuta quando scriveva. 68 G. Pallanti, in “Il Giornale della Toscana”, venerdì 19 gennaio 2007, pp. 1 e 13. 69 Si veda l’Appendice, doc. IV, B, già pubblicato in Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 58), pp. 186-188, cat. 36; Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), pp. 105-107, nota 29. 70 Non sono emersi indizi sulla possibile parentela di suor Lena con Piero Ridolfi, marito di Contessina de’ Medici, sorella di Giuliano e Giovanni. Possibilmente, il padre della donna era il notaio ser Jacopo Ridolfi di Ponte, imprigionato nel 1449 per “falsità in pubblica scrittura” e morto in carcere nel 1454 (ASFi, Raccolta Sebregondi, 4474, Ridolfi [carte non numerate]). 71 Si veda l’Appendice, doc. III, A, i. 72 Muore il 20 maggio 1503; cfr. Pieraccini, cit. (sopra, nota 10), I, p. 356. 73 Si veda l’Appendice, doc. II, B, ii, 1. 74 Si veda l’Appendice, doc. II, B, 10, 11; cfr. Rogers Mariotti, cit. (sopra, nota 1), p. 135, note 13, 14, 15, 17, 18, 24. 75 Cfr. Pieraccini, cit. (sopra, nota 10), I, p. 174. 76 Si veda l’Appendice, doc. II, B, ii, 12, 13. Il “cancelliere” di Giuliano fece una donazione al convento in agosto: si veda l’Appendice, doc. II, B, ii, 9. 77 Fatini in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. lxxxviii. 78 Ivi, p. lxxxix. 79 Cfr. Pieraccini, cit. (sopra, note 10), I, 222; cfr. Villata, cit. (sopra, nota 2), doc. 299, pp. 250-251 che Villata interpreta come testimonianza del “incontro tra il papa Leone e Giuliano a Bologna”, a mio parere erroneamente specie considerando le condizioni di salute di quest’ultimo; cfr. C. Pedretti, Leonardo at Lyon in “Raccolta Vinciana” XIX, 1962, pp. 270-273; cfr. P. Marani, cit. (sopra, nota 6), 2003, p. 49; M. Kemp, Leonardo, Oxford 2004, p. 272. 80 Cit. in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. lxxxxix. 81 Cfr. Landucci, cit. (sopra, nota 54), 19 febbraio 1515 (1516 stile comune), pp. 286-287; J. Shearman, The Florentine Entrata of Leo X, 1515, in - 75 -

“Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XXXVIII (1975), pp. 136154, p. 153, nota 58; W. Roscoe, The Life and Pontificate of Leo the Tenth, 2 volumi, London 1865, II, p. 34. 82 Kemp, cit. (sopra, nota 79), 2004, p. 272; cfr. Pedretti, cit. (sopra, nota 16), pp. 182-184. 83 Il cardinale Giulio, tra il 1521 e il 1523, dona elemosine al convento a intervalli irregolari. Eletto papa col nome di Clemente VII, dona l’ingente somma di 210 lire l’8 aprile 1524, un atto forse da collegare a un avvenimento ancora da individuare nella storia personale o del pontefice o della famiglia. Si veda l’Appendice, doc. II, B, iv, 1, 2, 5, 7. 84 Cfr. Butters, cit. (sopra, nota 36), p. 183 con bibliografia. 85 Si veda l’Appendice, doc. I, A, i. 86 Fr. Ildefonso di San Luigi, Istoria genealogica della famiglia de’ Salimbeni di Siena e de’ marchesi Bartolini Salimbeni di Firenze, in “Raccolta di tutte le prose fiorentine pubblicate, e osservazioni storiche e critiche accresciuti dagli Accademici fiorentini divisa in XXV volumi”, Firenze, 25 volumi, 1770-1789, xxv, 1786, pp. 248-249. 87 Cfr. G. Tanturli, I Benci copisti. Vicende della cultura fiorentina volgare fra Antonio Pucci e il Ficino, in “Studi di Filologia Italiana”, XXXVI (1978), pp. 197-313, in part. p. 233, e S. Niccoli, in Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, catalogo della mostra (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale 1984), a cura di S. Gentile et al., Firenze 1984, cat. 30, p. 42; cfr. cat. 16, p. 42: cita il cod. Ricc. 1596, c. 85: “al nobile et preclaro Homo Zanobi di Zanobi Bartolini, Tomaso Benci salute, sanita e buona fortuna”. 88 Tanturli, cit. (sopra, nota 87). 89 Si veda l’Appendice, doc. II: A, ii-vii; B, ii, 2. 90 Cfr. Tanturli, cit. (sopra, nota 87) per la data di morte di Tommaso (14-15 aprile 1470) e per la segnalazione del catasto dove ho potuto individuare il nome di Ginevra tra le “bocche”: ASFi, Catasto, 1016, c. 74r, “Quartiere di San Giovanni, Lione d’oro”, 1480: “M.a Ginevra donna fu di Tommaso di Lorenzo Benci di età danni 35”. 91 Si veda l’Appendice doc. VI, A. 92 Cecchi, cit. (sopra, nota 34), scheda X-XI, p. 105. 93 Si veda l’Appendice, docc. II: B, iv 3, 4, 6, 8; C, iii 2; VI, C. 94 Vasari, cit. (sopra, nota 3), vol. 5, p. 317. 95 Cfr. gli arazzi medicei con Storie di Giuseppe: vedi E. Allegri, A. Cecchi, Palazzo Vecchio e i Medici. Guida storica, Firenze 1980, p. 393. 96 Cfr. D. Pappalardo, La Gioconda è la Gherardini, in “La Repubblica”, martedì 15 gennaio 2008, che riporta la notizia della scoperta, menzio- 76 -

nando un saggio dell’attuale responsabile della biblioteca di Heidelberg, Veit Probst, di prossima pubblicazione. 97 Si veda sopra la nota 3. 98 B. Jestaz, François Ier, Salaì et les tableaux de Léonard, in “Revue de l’Art”, 126, 4, 1999, pp. 68-72. 99 J. Shell, G. Sironi, cit. (sopra, nota 6); J. Shell, G. Sironi, The “Gioconda” in Milan, in I Leonardeschi a Milano. Fortuna e collezionismo, a cura di M.T. Fiorio, P.C. Marani, Milano 1991, pp. 148-162; J. Shell, G. Sironi, Salaì and the Inventory of His Estate, in “Raccolta Vinciana”, fasc. XXIV, 1992, pp. 109-153; Villata, cit. (sopra nota 2) p. 286 docc. 333, 336, addenda, docc. 316bis, 347, 348 con note. 100 Greenstein, cit. (sopra, nota 6), p. 21; cfr. J. Cox-Rearick, The Collection of Francis I: Royal Treasures, New York 1996, cat. IV.5, pp. 150-154, p. 152. 101 Cfr. Zöllner, cit. (sopra, nota 4), p. 131, nota 19, dove cita l’Abbé Guilbert, Description historique des chateau, bourg et forest de Fontainebleau…, 2 volumi, Paris 1731, I, pp. 153-159 e L. Dimier, Le Primatice…, Paris 1900, pp. 279-283; cfr. Cox-Rearick (sopra, nota 100) nega la validità della segnalazione. 102 C. Pedretti, Leonardo. Il ritratto, dossier allegato ad “Art e dossier”, 138, ottobre 1998, p. 46. Come già accennato, Pedretti sostiene tale datazione da lunghi anni. 103 Cfr. Zöllner, cit. (sopra, nota 4), p. 132, nota 43. 104 P. Dan, Le Trésor des merveilles de la Maison Royale de Fontainebleau…, Paris 1642, pp. 135-136; uso la trascrizione in lingua francese di Cox-Rearick, cit. (sopra, nota 100), p. 152, nota 143 (p. 445). 105 Pedretti, cit. (sopra, nota 32 ), 1973, p. 136. 106 Id., 1957, p. 137. 107 Uso la trascrizione di Cox-Rearick, cit. (sopra, nota 100), p. 153, nota 142 (p. 445). 108 Dal Libro dei Sogni di G.P. Lomazzo (1563), cit. in Gian Paolo Lomazzo. Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, 2 volumi, Firenze 1973-1975, I, 1973, p. 109: “Redussi si a perfizione, non essendo ancora finito, il ritratto di Mona Lisa, dretto al quale stei quattro anni; ma ciò che la natura e l’arte insieme si pol far fei; et il qual ritratto ore è in Francia in Fontanableo. E ti accerto che, se tutti gli più eccellenti ritratti di mano di Tiziano ci fussero appresso, parebbero squaracchi, sanza il cervello, tanto bene gli imitai dentro tutto ciò che nel vivo si comprendeva. Andai doppoi a Roma, col Duca Giuliano de Medici, nella creazione di papa Leone, dove feci molte bizzarrie di animali”. - 77 -

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Lomazzo, pertanto, non dice affatto che il quadro era incompleto al tempo in cui scriveva, come suggerisce il Greenstein, basandosi su di un’erronea interpretazione del senso dell’italiano. Greenstein, cit. (sopra, nota 6), p. 22, nota 35, dove cita la traduzione di Cox-Rearick, cit. (sopra, nota 100), p. 152. 110 G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte de la pittura di Gio. Paolo Lomazzo milanese pittore…, Milano 1584, in Gian Paolo Lomazzo…, cit. (sopra, nota 108), II, 1975, p. 378. 111 Greenstein, cit. (sopra, nota 6), p. 22. 112 Cfr. P. Marani, op. cit. (sopra, nota 6) 2003 per un riassunto e bibliografia. 113 G.P. Lomazzo, Idea del Tempio della Pittura, 1590, ora in Gian Paolo Lomazzo…, cit. (sopra, nota 108), I, p. 249. 114 Vi è anche la possibilità che Lomazzo, per l’assonanza dei nomi Giocondo/Gualanda, potesse aver fatto confusione con il ritratto dipinto da Leonardo della dama napoletana Isabella Gualanda. L’esistenza del ritratto è stato argomentata convincentemente da Vecce; un equivoco di cui forse si sente l’eco quando, nel 1590, Lomazzo asserisce che monna Lisa era di origine partenopea anziché fiorentina; cfr. Vecce, cit. (sopra, nota 32), 1990, p. 66, dove ipotizza un simile sbaglio da parte del de Beatis. 115 Pedretti, cit. (sopra, nota 32), 1973, p. 137. 116 Cfr. F. Zöllner, Leonardo da Vinci 1452-1519. The Complete Paintings and Drawings, Köln 2003, pp. 154-161, scheda n. xxv, 240-241. “… che si sviluppò verso la fine del XV secolo a Firenze e trovò la sua perfetta espressione per mano di Leonardo dopo il 1500”. 117 Pertinente a questa realtà è anche il Ritratto di giovane dipinto da Agnolo di Donnino del Mazziere (lo stesso Maestro di Santo Spirito), anch’esso un prototipo per il ritratto della Gioconda, oggi posto accanto alla Ginevra nella National Gallery of Art di Washington. 118 J. Woods-Marsden, Portrait of the Lady. 1430-1520, in Virtue and Beauty, cit. (sopra, nota 26), p. 79; “… le sontuose tessiture e l’ostentazione coloristica, in Maddalena Strozzi, del corpetto e della gonna rosso-arancio di seta marezzata, delle maniche di damasco blu scuro, dei bottoni, d’oro come la catena alla vita […] esibizione d’alta moda che dimostra agio economico”. 119 M. Hall, Color and Meaning. Practice and Theory in Renaissance Painting, Cambridge 1992, pp. 116-122, in part. pp. 121-122. 120 Cfr. Kemp, cit. (sopra, nota 79), 2004, pp. 210, 261-262; Kemp, cit. (sopra, nota 7), 1981, p. 270. 121 Vasari, cit. (sopra, nota 3), (1550), II, 1991, p. 552. - 78 -

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Kemp, cit. (sopra, nota 79), p. 212: “Colei che sorride – la Gioconda”. Cropper, cit. (sopra, nota 16), p. 88. 124 Cfr. Kemp, cit. (sopra, nota 80), p. 212; cfr. P. Barolsky, Why Mona Lisa Smiles and Other Tales by Vasari, University Park 1991, p. 63. 125 Cropper, cit. (sopra, nota 7), p. 189: “[Leonardo] escluse ogni riferimento agli emblemi poetici su cui poggia il ritratto di Ginevra. In risposta alla sfida del poeta, rappresentò la forma e la persona d’una determinata donna come l’effigie dell’idea perfetta nel cuore dell’amante. Reclamò così il potere proprio della pittura di porre dinanzi all’amante una presenza vivente in un preciso istante, alla quale i suoi occhi sarebbero stati guidati dalla natura”. 126 Kemp, cit. (sopra, nota 7), p. 260: “… gli occhi e la bocca giocano il ruolo più importante nel comunicare le emozioni umane […] nel repertorio dei poeti italiani dai tempi di Dante”. 127 CNN.com/US: High Resolution Image Hints at ‘Mona Lisa’s’ Eyebrows, mercoledi 17 ottobre 2007. 128 Cfr. Zöllner, cit. (sopra, nota 4), p. 118, nota 37. 129 De’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. 83, LXVII; Pieraccini, cit. (sopra, nota 10), pp. 225-226. 130 Castiglione, cit. (sopra, nota 12), p. 271-272 (libro III, LXVI). 131 Cfr. L. Campbell, Renaissance Portraits: European Portrait-painting in the 14th, 15th and 15th Centuries, New Haven 1990, p. 220, nota 138; si veda anche Kemp, cit. (sopra, nota 80), p. 245, sulle qualità illusionistiche del ritratto; cfr. Nelson, cit. (sopra, nota 7), pp. 12-14, per riflessioni sull’erotismo nelle figure femminili di Leonardo, tra le quali il cartone perduto della cosidetta Monna Vanna, conosciuta attraverso copie come quella di Chantilly, che propone come variante erotica della Gioconda e possibile commissione di Giuliano e che altri hanno ritenuto essere il quadro visto da De Beatis (con bibliografia). 132 Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura dal Codice Urbinate Vaticana, Neuchâtel s.d., p. 21; cfr. Vecce, cit. (sopra, nota 32), 1990, p. 60, dove cita Pedretti; si veda anche Pedretti, cit. (sopra, nota 32), 1957, pp. 132-139; Id., cit. (sopra, nota 32), 1953, pp. 93-130; Id., cit. (sopra, nota 32), 1973, pp. 132-9; si veda anche Fatini in de’ Medici, cit. (sopra, nota 8), p. lxiv, nota 1, dove si collega il passo alla Leda, che si ritiene essere una commissione di Giuliano; cfr. A. Venturi, Storia dell’arte italiana, 11 volumi, Milano 1901-1940 (1967), IX, 1925 (1967), t. I, pp. 40-42; Id., Leonardo da Vinci pittore, Bologna 1920, pp. 59-60. 133 Venturi, cit. (sopra, nota 132), 1925 (1967), p. 41. 123

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Appendice documentaria

Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Corporazioni Soppresse: “Corporazioni Soppresse dal Governo Francese” I. 100/88: CONVENTO DI SANT’ORSOLA Il Libro di Conti del cardinale Giovanni de’ Medici, papa Leone X (16 settembre 1512-1513) A. c. 1 i. In nome sia dellonnipotente Iddio e della sua gloriosa madre madonna Santa Maria sempre Vergine et di […] Sanpiero e di […] Sanpaolo ed […] Sangiovanni batista appostolo e del vangelista e di sancosimo e damiano et di tutta la celestiale corte del paradiso. Amen. Questo libro sia del Reverendissimo in Christo preclaro […] Giovanni de Medici diachono cardinale leghato di Bologna di Romagna et di Toscana delatere quale si chiama libro grande bianco Segnato A hordinato e ttenuto per Lionardo di Zanobi Bartolini Procuratore inneghoziatore di Sua Reverendissima insulquale si terranno piu e diversi conti appartenenti assua Signoria Reverendissima e debitori e creditori che comparreranno alla giornata quale si commincia sotto dí xvj di settembre 1512 in Firenze […] B. c. 29 i. Giuliano di Lorenzo de Medici […] de dare xxii di settembre D[ucati] quattro s. vj doro in oro larghi per valuta di braccia iii […] di raso nero spagnuolo avuto da gherardo corsini et per uno giubbo- 80 -

ne per lui a quali si paghorno di contanti per Leonardo Bartolini avere in quaderno a 25 […] iiij. Vi ii. Addì xxiii detto D. iii s. xvii sono per valuta di braccia iiii di raso nero spagnuolo chomperato a S.to Aghostino suo chameriere per uno giubbone per lui […] iii. Addì xxiiii detto D. viii d.vii a giuliano de miglior chalzettaro per dua paia di chalze per lui […] iv. Addì xxxi detto D. uno s.viii a giovanni merciaio per una scarsella develluto nero alla cortigiana […] v. Addì ii ottobre paghati a aghostino ranchoncini per iii bonetti neri dati a detto Giuliano […] vi. A addì xiiii detto […] a domenicho di giunta chalzaiuolo per uno paio di chalze nere fattoli el primo dì entrò in Firenze […] C. c. xxviiii i. Giuliano di lorenzo de medici […] di contro deavere D. dugientotrenta s. xiiii d. vii doro in oro larghi posto le debbi dare per quello è debitore a quaderno _____a 137 […] cc xxx. xiiii. vii ii. Et de dare addi xx ottobre D. trenta uno s. x doro inoro larghi si fanno buoni a Paulo e Amaddeo Giocondo e compagnia setajuoli perla monta di braccia xxi di velluto nero avuto dalloro per tempo di mesi iiii pagato a D. vi d. uno braccia per la fodera dun luccho di panno per lui […] iii. E addi detto D. sessantatre s. vii larghi si fanno buoni a Lanfredino Lanfredini per la monta di braccia viii […] di panno nero perso di peluzzo […] per uno luccho e per braccia viiii di panno nero di perso simile addetto […] per un mantello con chapuccio per 1/3 di fara luchesino […] per braccia viii di panno nero di perso simile a detto perso per un altro luccho tutto per la persona sua quale robe […] dare da nicholo bartholini e compagnia […] iv. E addi detto D. sedici s. vii d. x doro in oro larghi […] si fanno buoni a Lanfredini Lanfredini et per la monta di braccia viii di panno nero di perso peluzzo […] fatto li dare per una chappa per lui a nicholo bartholini e compagnia […] - 81 -

v. E addì xxviiii D. trentuno s. viii […] sono per valuta di braccia xx di velluto nero […] dato a S. Aghostino per fare un saione a Giuliano […] vi. A addì xiii di novembre D. sei s. viii d. vii paghati per i conto soscritto di Raggio Raggi a Girolamo di Migliore chalzaiolo per piu chalze fatte addetto Girolamo […] D. c. 79 i. Eaddì detto D. settantaotto […] doro in oro larghi p[er] […] si fanno buoni a paulo eamaddeo giocondi […] di piu drappi dati p[er]noi a più p[er]sone aquali si sono dati chomapare alGiornale […] in q° a 84 _____ Lxx viii. E. c. Lxxx i. E addì detto D. cinquantasette s. xiii d. ii […] sono per la monta di braccia 93 di panno rosso gharbo […] dato a palafreniere di monsignore reverendissimo chessono xiii per una chappa alla spagnuola per huomo come appare al giornale a _____ 38 […] ii. E deono avere s. Quattro […] per braccia viii di panno bigio fiandresco […] per uno capuzzo alla spagnuola e per uno giubbone. F. c. 84 i. Paolo e ammadio Giocondi e compagnia setaiuoli di contro deono dare addì xxviii dottobre D. tre s. x per li […] drappi chomperati […] G. c. lxxxiiii i. Paolo e Ammadeo Giocondi e compagnia setaiuoli dono avere addì xx dottobre [1512] D. trenta uno s. x in doro in oro larghi si fanno buoni per il […] giuliano de medici per la monta di braccia xxj di velluto nero […] avuto dalloro piu giorni sono cioe […] per tempo di mesi iiii paghati in vj per la fodera dun lucho di detto giuliano debitore inq° a 29 […] xxxj x - 82 -

ii. Eaddì detto D. ventidua s. iii doro in oro larghi si fanno loro buoni per lorenzo di piero de medici per valuta di braccia xxiii di raso nero spagnuolo avuto dalloro a D. 6 s 15 braccio dachordo per detto tempo per un saio per lui postoli debbi dare in q° a 41 […] xx jj iii. iii. Et addì xxviii detto D. dicianove s. iiii doro i larghi sono per la monta di braccio vi di taffetta nero spagnolo […] avuto dal loro e consegnato per noi a sancto di miranda per nome dell’oratore di spagnia Don Petro d’Ivrea quali danari abbiamo a paghare loro fra mesi vi prosime […] iv. E addì xxiiii di novembre D. cinquecento quarantasei […] li facciamo buoni per al monta di piu drappi cioe di vellutti neri dettono per noi piu giorni sono a più persone come apare per il chonto avuto dallora copiato a 32 quali si sono […] posto donation dare in q _____79 […] v. E addì detto D. trenta s. xii d. ii oro in larghi per […] la monta di piu drappi annodati per noi piu giorno sono cioe dammaschi e velluti anostri familiari per loro vestire come apare per il chonto avuto dal loro […] al giornale 32 […] vi. Et addì xv dicembre D. xxvii […] li facciamo buoni per loro Lionardo Bartolini per la monta di braccia iiii di raso nero […] per lui sono addì viii ottobre passato Zanobi Bracci per uno giubbone […] vii. E addì xv di dicembre D. xxvii per li facciano loro buoni per il nostro Lionardo Bartolini per la monta di braccia iii di raso nero […] per lui son addì viii dottobre passato Zanobi Bracci per uno giubbone […] viii. Eaddì detto D. sei s. xv per li facciamo loro buoni per la monta di braccia uno di dommaschino sbiadito detto fino addì viii dottobre passate per dare per limosina a una fanciulla pratese per fare un paio di maniche […] H. c. 85 / Lxxxv i. Bartolomeo di Lanfredino Lanfredini e compagnia lanaiuoli di contro deono dare addì xx didicembre D. settanta quattro s. iiii d. x - 83 -

doro in oro larghi fatti loro buoni per noi Lanfredino Lanfredini e compagnia […] ii. Bartolommeo di Lanfredino Lanfredini e compagnia lanaiuoli dono avere addì xx dottobre D. settanta quattro s. iiii d. X doro in larghi facciamo loro buoni per la monta dun panno monachino braccia xxviiii che avuto dalloro per distribuire a piu persone di chasa […] panni comperati […] I. c. 86 i. Lanfredini di Jacopo Lanfredini e compagnia per nostro chonto di tempi deono dare addì xxiii di giennaio D. novecento sessanta otto s. vi d. x doro in oro larghi che ditanti senefa creditore il nostro Lionardo Bartolini in q a_____ 157 per trarneli creditori a libro segreto […] ii. E deono avere addì xx di dicembre D. ciento dieci s. ci d. xviii doro in oro larghi facciamo loro buoni per tanti channo a noi fatti buoni per noi a Gherardo Bartolini e compagnia setaiuoli per piu drappi avuti dalloro fino dottobre passato per pagharli alla giornata […] iii. E addì detto D. quattrociento cinquanta cinque s. xviii d. viii doro in oro larghi facciamo loro buoni per tanti che non anno fatti buoni per noi a Gherardo Chorsini e compagnia setaiuoli per piu robe cioe drapi di seta avuto dalloro piu fà per i tempi che in loro chonto si dice […] J. c. lxxxvj i. Lanfredino di Jacopo Lanfredini e compagnia per nostro conto di tempi deono avere addì xx ottobre D. quaranta sette s. xvj d. vj larghi doro facciamo loro buoni per la monta di bracca viii […] di panno perso di peluzzo a D. 7 ? doro in oro larghi […] per un mantello e cappuccio per Leonardo Bartolini a braccia vii di monachino fine a D. 5.85 […] per un saione per detto Lionardo e per braccia vii […] di panno monachino […] per D. vii doro in oro larghi cadauno per uno lucho per detto Leonardo la quale robe ci farno dare da Nicholo Ugholini e compagnia lanaiuoli dare detto Leonardo […] - 84 -

ii. Eaddì detto D. settantatre s. vii larghi doro facciamo loro buoni per valuta di braccia viii […] di panno nero di perso di peluzzo a D. 9 ? […] e per 1/3 cadauno di saia luchesina […] per giuliano de medici per una lungha calsa per braccia viii di panno perso simile a detto pezzo per uno mantello e cappuccio per detto giuliano e per […] panno nero di perso a D. 9 [?] cad per unaltro luccho per detto Giuliano fattoci dare da Nicholo Ugholini e compagnia […] iii. Eaddì detto D. dodici doro in oro larghi facciamo loro buoni per valuta di braccia vii [?] di panno monachino largho a D. 5 [?] doro cadauno fattoci dare da nicholo ugholino e compagnia lanaioli per una chappa per lorenzo dei medici […] iv. E addì detto […] facciamo loro buoni per il nostro giuliano de medici per la monta di braccia viii di panno nero di perso peluzzo a L 9 [?] […] channo fattoli dare da Nicholo Ugholini e compagnia per una chappa […] v. Eaddì xx due decembre D. cinquantaotto b. xi in oro larghi pertanti hanno fatto buoni per noi Paulo e Amaddio Giochondi e compagnia per drappi avuti dalloro fino dottobre passato per tempo di mesi iiii […] vi. Eaddì detti D. sessantaquattro s. iiii d. x doro in oro larghi facciamo loro buoni per tanti chennanno fattibuoni per noi Bartolommeo Lanfredini e compagnia lanaiuoli per piu robe avuti dalloro per pagharli alla giornata fino dottobre passato […] K. c. lxxxx i. E addì xv di detto [dicembre 1512] si fanno buoni a Paulo e Amaddio Giochondi e compagnia setaiuoli per braccia uno di dommaschino sbiadito avuto dalloro sino dottobre passato dato per commessiona di monsignore reverendissimo a una fanciulla pratese per fare uno paio di maniche per limosine al giornale a 42 _____xviiii.iiii L. c. lxxxxvi i. E addì detto [28 ottobre 1512] facciamo loro [Ruberto di - 85 -

Francesco Martelli e compagnia] buoni per la monta di braccia xiii di panno luchesino […] per hordine del nostro Giuliano a maestro Federicho medico d’Urbino […] M. c. 96v i. E addì detto [ottobre 1513] D. dicianove s. iiii doro in oro larghi per braccia vi di taffeta nero spagnuolo avuto da Paulo e Amaddeo Giocondi e compagnia […] N. c. 109 i. Et addì detto [xiii novembre 1513] D. diciotto doro in oro larghi paghati […] a Paulo del Giocondo […] Giovanni di Piero per costo di una mula avuto dallui […] pagho Leonardo Bartolini avere inq° a 124 _____xviii O. c. 116 i. E addì detto [23 novembre] facciamo buoni a Paulo e Amaddeo Giocondi e compagnia per la monta di più drappi cioè dammasco e velluti avuti da loro piu giorni sono quali si sono dati a piu nostri familiari per loro vestire come per regolamenti appare per il chonto avuto dalloro al giornale a 32 avere in q° 84 xxx. xii.jj. P. c. cxxviii i. [Diversi acquisti di stoffe spese di Giuliano de Medici anche per Contessina dei Medici sposa di Piero Ridolfi;Giulio de Medici; Lorenzo di Piero dei Medici] Q. c. 135 i. Giuliano di Lorenzo deMedici […] dedare D. duecento trenta s. xiiij d. vii doro in orolarghi posto lidebbi avere dove ne era debitore inq° a 29 D. ccxxx. xiiii. vii. ii. E addì xxviiii detto [novembre 1513] D. ventisei doro in oro larghi mandati per sua chommessione chome disse S. Aghostino […] a federicho medico da urbino quali le dona peraverlo churato nel suo male […] - 86 -

iii. E addì detto [primo dicembre 1513] D. trenta s. x doro […] si fanno buoni a Ruberto di Francesco Martelli e chompagnia […] per la monta di braccia xii di panno luchesino avuto dalloro a D 11 doro la channa per dare a […] federicho medico da urbino per uno mantello quale li dona per averlo churato nel suo male […] R. cc. 137, cxxxvii, 138, cxxxviii i. [Riassunto di spese per abbigliamento per la famiglia da ottobre 1512: Lorenzo di Piero de’ Medici;Giuliano e suoi famigliari; Giovanni “quando era in minoribus”] S. c. 151 i. E addì xv detto [dicembre 1512] D. ventisette li si fanno buoni per lui a Paulo e Amaddio Giochondi e compagnia setaiuoli per lamonta di braccia iiii di raso nero avuto dalloro fino addì viii dottobre passato […] per un giubbone […] II. 100/89. CONVENTO DI SANT’ORSOLA A. LIBRO 3 i. In nomine domini amen. Ricordo fatto per me frate antonio da poppi al presente rettore delle suore di Sancta Orsola di Firenze: Come adì questo di 27 di dicembre 1501 Suora Lena di Ser Jacopo Ridolfi fu electa ministra canonica nel sopradecto monasteri […]. Abbiamo tolto questo libro nel quale saranno scripte qui di sotto di mano in mano et tempo per tempo tutte le spese et uscite et entrate che saranno et che si faranno altempo della sopradecta ministra suora Lena […]. Et prima poremmo qui l’uscita di tutte le cose spendera. ii. c. 3 [5 marzo 1501] Et addi 5 di decto per una catasta di legne da mona ginevra de benci due fiorini doro in oro _____£. 14 iii. c. 4v [28 maggio 1502] pagamento a Lorenzo Benci [figlio di Ginevra] per cataste di legno […] - 87 -

iv. c. 5v [16 luglio 1502] Et addì 16 detto pagai a mona Ginevra de benci lire sedici perconto di venti some di fraschoni che noi tolsi da lei […] v. c. 9r [8 giugno 1503] Et addì 8 di detto per cataste dua di legne detta mona Ginevra di tomaso benci fiorini quattro doro in oro £. 28 vi. c. 9v [18 giugno 1503] Et adì detto / 18/ detti a mona ginevra di tomaso benci fiorini otto doro inoro per cataste quattro di legne_____£. 56 vii. c. 11v [4 ottobre 1503] Et adì 4 di detto in pagamento duna libbra di zaferano che io comperò da mona ginevra […] B. LIBRO 4 i. Inomine domini amen ricordo facto per me S. Maria Maddelena de Guardi ministra del monasterio di Sancta Orsola di tutti e danari che io spendero nel tempo del mio ministrato achonciando e dividendo partita per partita secondo che apparira di sotto di mano in mano et per prima fo ricordo chome addì ultimo di giennaio 1513 sono stata indegniamente eletta ministra del sopradetto monasterio e chonvento di Sancta Orsola di Firenze ora chominciero amettere qui la spesa della charne […] ii. cc. non numerate Io s. Maria Maddalena deguardi faro qui ricordo edanari cheio ricievuto altempo delmio ministrato di dote di fanciulle di limosine […] porro e danari cheio ricievero dilimosine di prima […] 1. Et addì 5 didecto [aprile 1514] £. 13 da madonna alfonsina per chonto dilimosina cheffa dispensare elsancto padre [Leone X] £. 13 2. Et addì 20 dimaggio 1514 orricievuto £. 7 per limosina da mona ginevra cheffu donna di benci _____£. 7 3. Et addì 11 di decto [agosto 1514] £. 3 damona lisa delgiocondo perlimosina _____£. 3 4. Et addì 29 didecto oavuto £. 7 damonalisa delgiocondo per istillato aqqua di chiocciole e altre chose chella vuole da noi_____£. 7 - 88 -

5. Et addì 6 digiugno 1515 oricievuto £. 41 dichontanti da franciescho del giocondo sono perchonto del vitto della marietta sua figliuola la quale noi abbiamo tenuta qui in chasa 5 mesi_____£. 41 6. Et qui fo ricordo chome addì 7 di settembre 1515 ci e venuto mona ginevra de gherardini astare qualche dì per suo bisognio 7. Et addì 23 ottobre 1515 o ricievuto £. 7 da mona ginevra de gerardini sono per pagamento del vitto suo 8. Et addì 9 di diciembre 1515 oricievuto £. 7 dalla decta mona ginevra perdecto chonto_____£. 7 9. Et addì 6 didecto [agosto 1515] oricievuto £. 7 perlimosina dalchancielliere del magnifico £. 7 10. Et addì 16 di agosto 1515 orricivuto £. 35 da madonna alfonsina per fare oratione pel suo filiuolo £. 35 11. Et addì 2 di settembre 1515 [stile comune 1516] orricievuto £. 70 damadonna alfonsina demedici perchonto dilimosine cheffa dispensare elsancto padre_____£. 70 12. Et addì 2 di febbraio 1515 [stile comune 1516] orricievuto perlimosina £. 280 dal Sancto padre perfare oratione pelmagnifico giuliano_____£. 280 13. Soldi nella chassetta £. 280; Et addì 3 di febbraio 1515 [stile comune 1516] oricievuto £. 280 per limosina dal magnifico giuliano per fare orazione _____£. 280 [cancellato] 14. Etaddì 11 di decto [giugno 1516] oricievuto £. 4 da Franciescho demedici perlimosina_____£. 4 iii. In nomine domini amen. Ricordo facto per me Suora Maria Magdalena de Guardi come io di 29 di giugno 1521 sono stata ellecta indegniamente ministra del monastero e convento di Sancta Orsola di Firenze e più foricordo come Suora Filicie che e uscita ministra mia laciato fiorini ciento dieci larghi doroinoro fl. 110 oro nel presente libro faro ricordo ditucte lentrate e spese delmonastero dituctoeltempo del mio ministrato […] 1. E addì 21 doctobre [1521] se vestita lamarietta figiuola di franciescho delgiocondo e segliposto nome suora lodovicha […] - 89 -

2. Et adì 25 didecto [dicembre 1522] afacto professione suora jachopa deglialbizi e suora lodovicha de giochondi e suora Marta delibri iv. io suora maria magdelena faro qui ricordo di tucti edanari cheio pigliero dilimosine in questo mio secondo ministrato prima addì 15 di luglio 1521 […] 1. Et addì 11 di settembre £. 14 dal cardinale per limosine _____£.14 2. Et addì 2 doctobre £. quatordici dal cardinale per limosina_____£. 14 3. Et lire 13 s. 12 da pierfrancesco borgherini per limosina_____£. 13 s. 12 d. 4. Et addì 8 di luglio 1523 lire 28 francescho borgherini per limosina_____£. 28 5. Et addì 16 di decto [settembre 1523] lire 14 dalcardinale demedici perlimosina_____£. 14 6. Et addì 24 didecto [settembre 1523] lire 7 dapierfranchescho borgherini perlimosina_____£. 7 7. Et addì 8 daprile 1524 lire 210 dal sancto padre per limosina _____£. 210 8. Et [maggio 1524] lire 6 da pier franchescho borgherini per limosina_____£. 6 C. LIBRO 5 [carte non numerate] i. Et addì 14 di luglio 1519 fl. 18 doro in oro da mona lisa del giocondo pervitto della marietta sua figiuola sono pagata per tutto gennaio passato £. 126 ii. Et addì 3 di maggio 1521 omesso apartito e sono acciettate Marietta di Francescho del giocondo la lisa diguglielmo nittoli lamaria dibartolmeo ciucci iii. Spesa totale per “chiesa sola ellachamera della ministra sanza ellegniame chalcina e alchune altre chose checi sono state date per limosina chonquelle fl. 31 dalla chappella agiunta di poi sono insoma fiorini seicento uno […] doro - 90 -

1. Dallarte della lana […] legname 2. Da pierfrancescho borgherini abiamo avuto 10 moggia dicalcina 3. Che meo fondatore deve avere fl. 20 circha da franciescho del giocondo per chonto della sagrestia. 4. Et più fo qui ricordo insoma de danari cheio preso dilimosine fatte p[er]la chiesa et’inprima franciescho del giocondo ciadato fl. 50 doro in oro p[er]limosine 5. [luglio 1521] Ricordo chome questo dì 5 luglio 1521 efinito di pagare meo fondatore da franciescho del giocondo che avuto perresto fl. 18 sind[…]ora[?] nonè più persona cheabbi avere più nula III. 100/126. CONVENTO DI SANT’ORSOLA A. LIBRO DI RICORDI SUORA LENA 1488/1500-1552 Ricordi vari di spese che riscossioni et altro spettante al monastero dall’anno 1505 all’anno 1581 i. [18 maggio 1503] Et adì 18 ebbi per limosina da lorenzo di pierfrancesco de medici fiorini dua doro in oro per fare oratione per la sua infermita _____£. 14 ii. [18 settembre 1506] A dì 18 detto ebi £. 45 da mona lisa del giocondo per una pietanza per chonvento fl. 5. IV. 100.51. CONVENTO DI SANT’ORSOLA. RICORDI A. c. 3 i. Ricordo come io S.M. Maddelena sono stata elletta Ministra addì primo agosto del 1527 […] ii. E addi 12 dottobre lire 46 s. 8 dinari 4 porto Giano Tavolaccino che sta in casa pierfrancesco borgherini £. 46 s. 8 d. 4 B. c. 11 Ricordo chome addì 29 di giugno 1521 sefatta la elezione della - 91 -

madre ministra estata eletta Suora Maria Maddelena de Guardi et addì 20 dottobre 1521 o vestita la figliuola di Francescho del Giocondo postogli nome Suora Lodovica. Morì detta suora addì 8 aprile 1579. V. 100/131. CONVENTO DI SANT’ORSOLA A. c. 405 1562 Noi Guasparri e andrea di Bartolommeo Giocondi promettiamo p[er] questa e ci oblighiamo di paghare ogni anno dal dì doggi a Suora Lodovicha giocondi religiosa nel munistero di Santa Orsola di firenze durante sua vita la somma di dicianove doro di r[et]ta per ciascuno anno e sono per un lascio che si fece di detta somma la […] di francesco suo padre […] ASFI, BALIE 43 A. cc. 15v-16r xxviii septembris [1512] [nomina di Bartholomeo di Giovanni Benci, Gherardo di Bertoldo Corsini, Bernardo di Carlo Gondi, Giovanfrancesco di Ridolfo Ridolfi e Lorenzo di Nicolo Benintendi per la restituzione dei beni dei Medici] B. c. 25r Die xiiij mensis octobris MDXIJ Suprad.ci mag.ci et excelsi cittadini / et ceteri […] che tutti gli infrascripti cittadini i nomi dequali saranno disotto notati et descripti sintendino essere et sieno sanza altra nominatione squittino deliberatione o partito electi et deputati arroti et perarroti […] i nomi de cittadini come di sopra electi et deputati per arroti sono questi cioe […] 1. c. 27r San Giovanni per la maggiore / Pagolo d’Antonio di Zanobi Giocondi C. c. 40v Die xxx mensis octobris MDXIJ /Adì xxx del mese doctobre 1512 - 92 -

I magnfici et eccelsi signori priori di liberta et gonfalonieri di giustitia del popolo sfiorentino volendo che la verita habbi sempre illuogo suo per vigore della auctorita alloro concessa perla legge ovvero sotto di xxj del mese di settembre proxime passato facta per gli spettabili huomini della balìa et per ogni miglior modo che possano confessano havere accattato et havuto et recevuto et di loro consentimento et volunta essersi pagate al presente camarlingo del monte dagli infrascripti cittadini le somme et quantità infrascripte cioè: Da Alfonso di Filippo Strozzi e compagni_____D[ucati] 500 Da Lanfredino di Jacopo Lanfredini e comp.a_____D 500 Da Jacopo et Rede d’Alamanno Salviati e comp.a_____D 500 Da Nicolo et Raffaello di Tomaso Antinori_____D 500 Da Mainardo di Bartolomeo Cavalcanti_____D 500 Da Rede di giovanni arrighi e compagni_____D 500 Da Alessandro et Bernardo d’Antonio Gonili e compagni_____D 500 Da Lorenzo di Filippo Pitti e compagni_____D 500 Da Rede di Bernardo et di Bartolomeo Nasi_____D 500 Da Filippo di Filippo Strozi_____D 500 Da Leonardo di Girolamo Frescobaldi e compagni_____D 500 Da Andrea di Pagolo Carnesechi e compagni_____D 500 Da Federico di Lorenzo Strozi e compagni_____D 500 Da Francesco di Antonio di Taddeo e compagni_____D 500 Da Bartolomeo di Francesco Panciatichi sotto nome di Nicolo del Nero_____D 500 Da Francesco di Filippo del Pugliese_____D 500 Da Antonio di Filippo di Piero Gualterotti e compagni_____D 500 Da Francesco et Giovanni Manelli e compagni_____D 500 Da Matteo di Simone Cini e compagni_____D 500 Da Rede di Piero Capponi e compagni_____D 500 Da Baldassare Brunetti et rede di Piero deltonaglia_____D 500 Da Giuliano di Piero da Gagliano_____D 500 - 93 -

Da Giovanfrancescho di Ridolfo Ridolfi_____D 500 Da Zanobi Girolami et Pierfrancesco Borghini e compagni_____D 500 Da Luigi di Giordano del Borgho_____D 500 Da Lodovico da Tomaso Antinori_____D 500 Da Francesco Corbinelli et Piero Corsali_____D 500 Da Nicolo del Bertano del Bene_____D 500 Da Rede di Zanobi del maestro Lucha_____D 500 Da Raffaello di Gregorio Antinori_____D 500 Da Matteo di Lorenzo Strozi_____D 500 Da Lorenzo di Nicolo Benintendi_____D 500 Da Francescho di […] del Giocondo_____D 500….. Da Lionardo di Zanobi Guidotti_____D 300 Da Zanobi di Francescho di Bartolomeo_____D 200 Tutti doro in oro larghi et che fra tutti fanno la somma di D 17500 Et da tutti gli infrascripti cittadini cioè Da Matteo di Simone Cini e compagni Da Jacopo di Giovanni Salviati Da Lanfredino di Jacopo Lanfredini Da Nicolo di Bernardo del Nero e compagni Da Francesco di Filippo del Pugliese Da Antonio di Filippo di Piero Gualterotti e compagni Da Lorenzo di Nicolo Benintendi Da Matteo di Lorenzo Strozi e compagni Da Giovanfrancescho di Ridolfo Ridolfi Da Lorenzo di Filippo Pitti e compagni Da Alessandro et Bernardo d’Antonio Gonili e compagni Da Lorenzo e Filippo di Filippo Strozi La somma et quantita di D. 12500 doro in oro intutto et tra tutti dicti xij cittadini, o vero, poste_____D 12500 [e l’intera somma sarà restituita con interessi a tutti secondo la modalità concordata tra di loro]. - 94 -

Indice

Presentazione. Un ghigno tanto piacevole

5

Antonio Natali

Monna Lisa. La ‘Gioconda’ del Magnifico Giuliano

9

Josephine Rogers Mariotti

Note

68

Appendice documentaria

80

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Finito di stampare in Firenze presso la tipografia editrice Polistampa ottobre 2009