Fratelli di cinema. Paolo e Vittorio Taviani in viaggio dietro la macchina da presa 8868430843, 9788868430849

Paolo e Vittorio Taviani rappresentano una grande lezione di cinema italiano. Dopo tanti film importanti, sono riusciti

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Fratelli di cinema. Paolo e Vittorio Taviani in viaggio dietro la macchina da presa
 8868430843, 9788868430849

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FRATELLI DI CINEMA

Indice p.

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Premessa di Silvia Panichi

15

Introduzione di Marco Filippcschi

19

Prefazione di Ix>ronzo Cuccù

Parte prima. Da Pisa a Roma, due vite per il cinema

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Itinerari: dalla Sapienza allo schermo I .celio magistralis ai Paoloc VittorioTaviani

57

L'amore per Pisa, la scoperta del cinema di Paolo 'Paviani

63

Ritorno a Pisa di Vittorio 'Paviani

Parte seconda. L’arte dei fratelli Taviani 71

Teatro e redenzione. A proposito di Cesare deve morire dei fratelli Taviani di Remo Bodci

83

I) cinema dei Taviani e il seme dell'utopia di Roan Johnson

5

______________________

l'rateili di cinema_______________________

87 Del costume nel cinema alla maniera di Lina Nerli 'Paviani di Bruna Niccoli

95 II mio amarcord con Paolo e VittorioTaviani di Marco Barabotti

tot II montaggio, Parte di dare forma alle emozioni di Roberto Perpignani

107 Gli autori

6

Fratelli di cinema

FRATELLI DI CINEMA

Premessa di Silvia Panichi

Quel 21 dicembre del 2012 non era iniziato sotto i migliori auspici. Arrivavano da Roma Paolo c Vitto­ rio Taviani con le loro mogli per ricevere la Torre d’argento che il sindaco di Pisa, Marco l’ilippcschi, aveva voluto tributare loro: per la grande opera cine­ matografica e per il particolare legame con la cittadel­ la Torre pendente. Ma proprio quel giorno il sindaco doveva far approvare il bilancio in Consiglio comu­ nale, un atto fondamentale per tutti gli enti locali, e mi chiamava preoccupato perché non mancassi alla premiazione per nessun motivo. Peccato che un as­ sessore alla Cultura viva talvolta pericolosamente: la partecipazione a un’installazione di Michelangelo Pistolctto, in una tanto bella quanto fredda piazza dei Cavalieri, aveva trasformato una lieve influenza in una febbre spossante; ma mi ero comunque trascina­ ta al Teatro Verdi dove arrivò puntuale anche Remo Bodei, nonostante fosse atterrato da New York la se­ ra precedente. L’atmosfera era un po’ tesa, e qualche vate ottimista ci ricordava che le iniziative sotto Na9

_________________________ Silvia Panichi_________________________

talc sono sempre scarsamente partecipate. Ma la sala si riempiva... Poi, arrivarono quattro mcravigliosepcrsoncche,pur avendo viaggiatotutta la mattina, erano piene di energia c non avevano niente dell’atteggiamento cortesemente distaccato di chi è abituato a queste e a ben altrcoccasioni. Erano calorosi con quelli che riconosccvanoc molto cordiali con gli sconosciutiche si facevano loro attorno. E quando presero la parola fu davvero una festa. Non è difficile incontrare, specie in una città di grande tradizione culturale, studiosi importanti che analizzano gli eventi trascorsi e ne tengono viva la me­ moria; e ricercatori preparati che predispongono un futuro di intelligente innovazione. Ma quel pomerig­ gio c’imbattemmo nella capacità raradi creare una con­ tinuità viva tra passatoe futuro, senza relegare le storie già vissute sull’altare del «così fu» e senza ammantarci! nuovo da realizzare come anticipazione astratta di un’impresa lontana. Le persone e i luoghi della nostra storia si trasformavano in immagini animate e alcune grandi opere cinematografiche entravano con forza nella nostra memoria personale, in una lezione com­ piuta di esemplare umanesimo. Anche dopo la cerimonia (si fermarono fino all’ul­ timo treno possibile), la conversazione fu fitta e avem­ mo modo di ascoltare i bei ricordi delle mogli di Pao­ lo e Vittorio, Lina Ncrli, eccelsa costumista cresciuta a Pisa, e Carla Vezzoso, con la sua vita di cinema. io

___________________________ Premessa____________________________

Passarono i mesi e non dimenticavamo quel pome­ riggio; con Marco Filippeschi, da poco riconfermato sindaco di Pisa, decidemmo di preservare un ricordo tangibile di quanto si era raccontato in quel giorno di dicembre. Moltissimo è stato scritto sull’opera dei Tavianirma le storie che avevamo ascoltato avevano il pregiodi far incrociare alcuni momenti del loro grande cinema con quel tessuto di luoghi e di persone che aveva arricchito la loro educazione sentimentale, culturale e civile. Co­ sì, grazie al racconto dell’incontro di Paolo Taviani con Sebastiano Timpanaro, geniale classicista vissuto a due passi dalla Torre, la passione con cui il protagonista di Padre padrone, il pastore sardo alfabetizzato dal com­ militone, recita l’attacco del secondo libro dell’Eneide rivela la sua fonte. Mentre l’immagine degli artigiani che, emigrati in America, reagiscono con l’orgoglio della grande tradizione italiana al disprezzo perla loro povertà si sovrappone, in virtù di queste memorie, alla sagoma imponente di Valentino Orsini che avanza contro i detrattori di Paisà, in un cinema pisano che non esiste più. Nel corso della cerimonia ascoltammo interventi di persone qualificate e colte che toccavano aspetti importanti e originali di una storia cinematografica monumentale, con il calore e la semplicità che si con­ venivano a un pomeriggio di festa. E riflettendo sul­ l’opportunità di non disperdere quelle belle tcstimo11

_________________________ Sìlvia Panichi_________________________

nianze, ripensammo anche al conferimento della lau­ rea specialistica honoris causa in Cinema, teatro e produzioni multimediali a Paolo e Vittorio Taviani da parte dell’università di Pisa, nel marzo del 2008. Gra­ zie all’ufficio stampa dell’università siamo stati in grado, quindi, di arricchire questo volumetto della laudario pronunciata in quell’occasione dal professor Lorenzo Cuccù, c della lectio magistralis tenuta dai registi. Fu il preside della Facoltà di Lettere, Alfonso Maurizio Iacono, ad aprire la cerimonia, ricordando il loro percorso cinematografico ricco e denso, caratte­ rizzato da alcune costanti tematiche: l’attenzione alle vicende storiche, quelle contemporanee c quelle del passato risorgimentale; la riflessione sul rapporto dcll’Uomo con la Natura c con l’universo dei bisogni c delle passioni primordiali; la riflessione sul ruolo del­ la rappresentazione artistica, del cinema in particola­ re; con la scelta costante e coraggiosa di esplorare, sperimentare c ibridare fra loro nuovi canali di comu­ nicazione con il pubblico, nuovi linguaggi e modelli di rappresentazione. Da un suggerimento di Luca de Bencdittis è scatu­ rito un felice incontro estivo con Roberto Pcrpignani, grandissimo montatore e docente di montaggio al Centro sperimentale di cinematografia, che ci ha rega­ lato una sintesi affettuosa e penetrante di quarantanni di collaborazione, premiata da riconoscimenti altissi­ mi, in un rapporto di vera amicizia. 12

___________________________ Premessa____________________________

Grazie di cuore a Paolo e Vittorio Taviani: con la consueta gentilezza e nonostante l’impegnototalizzantc sul set del loro nuovo film, hanno speso tempo pre­ zioso per guidarci nel lavoro. Grazie al Comune di Pi­ sa e in particolare a Mafalda Inguscio dell’Ufficiopubbliche relazioni e a Sergio Piane del Gabinetto del sin­ daco: senza il loro impegno questo libro non sarebbe arrivato in porto. Grazie a Carmine e Marta Donzelli che si sono im­ mediatamente appassionati a questo progetto. Un ringraziamento va al cineclub Arsenale,dove, in molti, abbiamo imparato ad amare il cinema. E al Teatro Verdi che ha ospitato la cerimonia di consegna della Torre d’argento: un luogo magico in cui, come vedremo, si sono intrecciate storie vissute c storie rappresentate. Pisa, settembre 2014

s* r-

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FRATELLI DI CINEMA

Introduzione di Marco Fìlippeschi

Solo da alcuni anni il Comune di Pisa ha istituito l’onorificenza della Torre d’argento, che premia storie e alte professionalità legate alla città della Torre pen­ dente. La prima persona ad esserne insignita fu Gisella Capponi, che proprio dei materiali lapidei di questo monumento incomparabile aveva curato il restauro. A lei segui Rosetta Loy, premiata per la sua opera di scrit­ trice e saggista nella data del terribile anniversario del­ la promulgazione delle leggi razziali, il 5 settembre 1938, nella tenuta reale di San Rossore, appena fuori città. Poi è stata premiata un’altra donna, calabrese, il sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi, impegnata in prima linea contro la ’ndrangheta. Dopo il conferi­ mento del premio ai registi Paolo e Vittorio Taviani, che con questo libro vogliamo ancora onorare, laTorre d’argento è andata a Guido Tonchi, uno dei prota­ gonisti degli esperimenti del Cern sulle alte energie e dunque uno degli scopritori del bosone di Higgs. C’è, tra l’altro, un filo sottile che lega queste professionalità, se si pensa al valore dcll’artigianato e dell’operosità ita15

_______________________ Marco Filippcschi_______________________

liana celebrato in Good Morning Babilonia e ai temi della persecuzione nazista, della guerra raccontata at­ traverso episodi minori così magistralmente evocata ne La notte di San Lorenzo, dei riconoscimenti all’estero della ricerca italiana in tutti i campi. Pisa celebra sempre con gioia i fratelli Taviani, que­ sti due grandi registi che sente anche suoi concittadini, nati a San Miniato, in provincia di Pisa, e che a Pisa han­ no trascorso parte della giovinezza e si sono formati. È invece proprio pisana Lina Ncrli Taviani, che con il suo lavoro eccelso di costumista ha contribuito ai lo­ ro film, e a quelli di altri grandi registi. Il cinema dei fratelli Taviani ci ha accompagnato nella vita: ha impressionato la nostra memoria, ci ha trasmesso il senso profondo della cultura italiana, ci ha mostrato come anche le opere letterarie più alte posso­ no trovare trasposizioni cinematografiche consone, c spiegato come i film siano costruiti di idee e insieme di abilità tecniche; c ci racconta come si possano rinnova­ re continuamente temi e ispirazione mantenendo però una costante cifra stilistica. Poi, nell’età in cui quasi tutti vivono una pensione possibilmente serena, Paolo e Vittorio Taviani hanno creato una grande opera, premiata con l’Orso d’oro al Festival del cinema di Bcrlino2012,riconoscimcntochc all’Italia mancava dal 1991, c con cinque David di Do­ natello sempre nel 2012, tra cui quello al miglior film e alla migliore regia. 16

_________________________ Introduzione__________________________

In Cesare deve morire i detenuti del braccio di al­ ta sicurezza del carcere di Rebibbia si sottopongono a un provino per ottenere una parte nella tragedia di Shakespeare. E da quel momento, quel ruolo diventa parte essenziale della loro vita di reclusi; e attraverso i loro gesti eie loro parole si rinnovanoi tanti temi le­ gati alla storia del dittatore romano. I detenuti si appassionano alla vicenda che rappre­ sentano, e la sentono congeniale alla violenza delle loro vite; ma capisconoanchc che quella rappresentazionedi tradimento c morte serve a prendere coscienza della possibilità di opporsi a una visione fatalistica del male: con lo strumento dell’arte, della letteratura,del teatro. Pisa ha una sua bella tradizione di cinema: qui nac­ quero alla fine degli anni trenta gli studi cinematogra­ fici Pisorno su impulso di Giovacchino Ponzano. In se­ guito la tradizione si è mantenuta in altre forme, attra­ verso gli studi specialistici promossi dalla nostra uni­ versità c le tante rassegne c incontri organizzate dal ci­ neclub Arsenale. In questi ultimi annic’è però una nuova effervescen­ za di registi pisani, di sceneggiatori, di progetti legati a Pisa come location privilegiata, che testimoniano una vitalità e un estro giovanile che trova riconoscimenti. La nostra storia c la nostra identità a partire dagli anni dellaguerra devono al cinema più che a ogni altra arte: non avremmo capito emotivamente le tragedie prodotte dal fascismo senza Roma città aperta di Ros17

_______________________ Marco Hlippcschi_______________________

sellini e non ci ricorderemmo tanto nitidamente la mi­ seria del dopoguerra senza Ladri di biadette di De Si­ ca; così comenessuno avrebbe saputo dipingere meglio dei Soliti ignoti di Monicelli l’italica caratteristicadi so­ pravvivere a tutto. Il cinema coinvolge, diverte, appassiona, racconta cosa abbiamo dentro ed enfatizza ciò che vediamo con un occhio più perspicace. In questa storiadi cinemae di cultura, i fratelli Tavianici sono e ci sono sempre stati, da protagonisti, come innovatori, sempre portatori ge­ nerosi e determinati di un chiaro messaggio di impegno civile per la giustizia sociale e per nutrire e dare valore alla memoria. E pcr questo li ringraziamo. Marco Filippcschi Sindaco di Pisa

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FRATELLI DI CINEMA

Prefazione di Lorenzo Cuccù

L’opera di Paolo e Vittorio Taviani è certamente fra quanto di più significativo, sul piano culturalee artisti­ co, abbia espresso il cinema italiano del dopoguerra: per la profondità e la serietà del discorso, per la forza espressiva dell’immagine e del racconto, per la capacità di collegare la ricerca di un linguaggio originale con il recupero della tradizione letteraria, figurativa e musi­ cale, come strumento vivo di espressione e di cono­ scenza. Uno degli aspetti che fanno della loro opera un momento tanto significativo nella storia del cinema ita­ liano e mondiale è rappresentato dal radicamento di quest’opera all’interno di una tradizione artistica c cul­ turale, che ne è il presupposto, il nutrimento, la fonte di ispirazione, il terreno di riflessione c di confronto. Questo appare già chiaro quando si pensa al per­ corso della formazione. Il Maggio musicale fiorentino, la scoperta della grande musica e del grande teatro, saranno all’origine di alcune delle scelteformali che distinguono il loro ci­ nema: l’importanza fondamentale assegnata al com­ 19

________________________ I-orcnzo Cuccù________________________

mento musicale, alla colonna sonora; il gusto della tea­ tralità, della messinscena magniloquente, o del «colpo di scena», che è la forma c insieme il senso di tante lo­ ro sequenze. Le letture appassionate dei grandi narratori porte­ ranno all’individuazione di alcuni autori di elezione Pirandello, Tolstoj, Goethe - che entreranno nei loro film, in modo più o meno esplicito, mai come deposito di trame da saccheggiarco da «illustrare», ma come mo­ tivo di riflessione e di confronto, umile ma autonomo. La scoperta del cinema-del neorealismo, di Rossel­ lini, De Sica, Visconti, poi dei grandi autori del muto, dei sovietici, dei tedeschi degli anni venti, di Dreyeravrà delle ricadute decisive: sul piano artistico, con la scoperta della forza che ha l’immagine del volto umano sullo schermo, dell’importanza della composizione spaziale, ma anche sul piano delle scelte ideologiche e politiche, in modo che il «fare il cinema» verrà visto co­ me un modo per cambiare il mondo. Più complesso c meno diretto è il ruolo della tradi­ zione pittorica, in particolare quel la della grande pittu­ ra rinascimentale toscana. Qualche tentativo di trovare dei riferimenti diretti, qualche caccia alla citazione so­ no stati fatti, ma si è trattato di indicazioni suggestive e poco convincenti, «tirate per i capelli», come si usa di­ re. Tuttaviauna relazione c’è, legata all’esperienza con­ creta della visione, non alla citazione. Gli autori hanno dichiarato, una volta, che l’essere nati inToscana, a San 20

__________________________ Prefazione___________________________

Miniato, a pochi chilometri di distanza dal luogo dove è nato Leonardo, rende inevitabile non solo che i pae­ saggi dei loro film sianogli stessi dei quadri di Leonar­ do, ma che anche il loro sguardo ne sia spontaneamen­ te condizionato. Insomma, quello che è in gioco è il «sentimento del paesaggio» - quello naturale e quello costruito - che lo fa diventare una dominante visiva, da una parte, un nucleo tematico, riflesso delle passioni, immagine dell’ambiguità della Natura, dall’altra. Infine, il collegamento è con una tradizione più re­ cente c concreta, quella di una regione, come laToscana, nella quale l’esperienza della guerra e della lotta contro i tedeschi e i fascisti si era tradotta in una forte radicalizzazione ideologica che si collocava nel quadro della situazione storica e politica degli anni cinquanta: una situazione bloccata e al tempo stesso carica di atte­ se, nella quale prendeva corpo, anche per i Taviani, la «passione rossa» - per riprendere una definizione di Remo Bodci-, l’attesa della realizzazione dell’utopia, la convinzione che spetti agli artisti anticiparla. Di qui nasce l’attenzione alla società c alla storia, che percor­ re, sia pure come un fiume carsico, l’opera dei Taviani, dal loro primo film, Un uomo da bruciare ,dcl 1962. Nel riferimento ai diversi aspetti di una tradizione ar­ tistica, culturale e politica affondano le proprie radici i nuclei più significativi della poetica dei Taviani:il con­ fronto dell’uomo con la storia, dell’utopia rivoluziona­ ria con quella che Marx definisce la «diffìcile questione 21

________________________ I-orcnzo Cuccù_________________________

dei tempi»; il confronto e lo scontro dell’uomo con la natura; il sentimento della «necessità della Forma» co­ me opposizione alla Morte, all’attraversamento del nulla. Si manifesteranno tutti - in modo ricorrente>con maggiore o minore forza - nel lungo viaggio dei Tavia­ ni, permettendo di definirne la scansione temporale in fasi ocicli che cercherò di ripercorrere nel poco spazio che mi è concesso. La prima fase - che va da Un uomo da bruciare ad Allonsanfan, 1974 - è quella nella quale appare in modo più evidente l’intreccio del cinema dei Taviani con la situazione storica e politica, con ciò che all’inizio degli anni sessanta si agita all’interno del mondo della politica e della cultura di sinistra. Questo ciclo è stato definito il ciclo del «cinema dell’utopia», o anche del «cinema poetico politico». La prima defi­ nizione è legata al fatto che al centro di questo ciclo è la figura di un personaggio, di un eroe che appartiene alla schiera di coloro che Lino Miccichc definì a suo tempo gli «utopisti, esagerati», portatori, insomma, di un progetto rivoluzionario. Il primo di questi è il pro­ tagonista di Un uomo da bruciare, ispirato alla vicenda del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale, assassi­ nato dalla mafia. Volontè, al suo esordio nel cinema, vi incarna un personaggio carico di energia e di passione civile, ma anche di un narcisismo contraddittorio che lo porta a credersi un messia e ad abbandonarsi a mo­ menti di furiosa esaltazione. È la prima apparizione della figura dcll’«csagcrato», che è una figura centrale-

__________________________ Prefazione___________________________

per la sua natura, la sua dialettica, la sua dinamica- nel cinema dei Taviani. Sarà una dinamica che nella rap­ presentazione degli eroi dei film successivi - i protago­ nisti di Sovversivi (1967), di Sotto il segno dello Scor­ pione (1969), il Giulio Manieri rivoluzionario sconfit­ to di San Michele aveva un gallo (1971), il Fulvio Imbriani, l’ingannatore, il Traditore, di Allonsanfan porterà alla progressiva rivelazione della fragilità del portatore del progetto utopico, allacoscienza della cri­ si. Porterà alla scoperta che la «passione rossa» può es­ sere forse nient’altro che una manifestazione della «passione di se»: positiva e produttiva come possibile movente profondo del Soggetto, della sua azione crea­ tiva, che lo fa pensare di essere e di voler essere il nuo­ vo Prometeo, il costruttore di un mondo nuovo; ma anche minata da un male interno che è all’origine del suo declino, che lo fa essere anche una reincarnazione di Narciso, rivolto alla contemplazione di se stesso e della propria passione. L’aggettivo «poetico», aggiunto a «politico», voleva indicare la presenza di un lavoro sulla forma che anda­ va oltre il modello del neorealismo, verso una sorta di «neorealismo espressionista», se mi è concesso l’ossimoro, e poi alla ricerca di una teatralità della rappre­ sentazione, nella forma della grande messinscena melo­ drammatica, cotoein Allonsanfan > soprattutto. Il secondo ciclo vede invece emergere un altro dei nuclei tematici dei quali si parlava sopra, quello che ri­ 23

________________________ Ix>rcnzo Cuccù_________________________

guarda il rapporto dcll’Uomo con la Natura, che nella visione dei Taviani oscilla fra la convivenza felice e la trasformazione armoniosa, da una parte, e, dall’altra, il condizionamento feroce da parte di una natura matri­ gna che è fuori e dentro di noi, fonte di bisogni e di passioni primordiali, regno della necessità e del sangue tiranno. Questo tema si esprime in Padre padrone (1977), liberamente ispirato al libro autobiografico di Gavino Ledda: la storia della liberazione, attraverso la cultura, dall’oppressione di una società patriarcale ar­ retrata c violenta, radicata in una natura ostile, che so­ lo la musica può dominare. Si esprime poi, nel 1979, con Ilprato. Qui gli autori - nella trasformazione del­ la visione che i personaggi hanno del paesaggio tosca­ no, di una natura che è prima manifestazione della bel­ lezza e possibilità di realizzazione dell’armonia, poi portatrice di morte-, alla fine dei terribili anni settan­ ta, hanno voluto «esprimere il dolore che abbiamo sen­ tito intorno a noi in questi anni», rappresentare, quasi per esorcizzarla, la pulsione di morte che sembrò ave­ re investito un’intera generazione. Il prato ci avverte che dietro lo splendore che lo sguardo stupito coglie nel paesaggio si nasconde un lato oscuro, che fa di quello stesso paesaggio un mandante di morte. Sarà un tema che tornerà, in forma diversa, in Kaos e nei film degli anni novanta. Prima però, seguendo la scansione cronologica del percorso dei Taviani, è il momento del ciclo dominato dallo «spirito del racconto», del ciclo 24

__________________________ Prefazione___________________________

della «favola cdclla Visione incantata», che comprende La notte di San Lorenzo (1982), per certi aspetti lo stes­ so Kaos (1984), e Good Morning Babilonia (1987). Gli autori non rinunciano certo a mettere in scena il con­ fronto tragico dell’uomo con la potenza terribile della natura e con la «totalità» liberatoria ma anche deva­ stante delle passioni, ma in una prospettiva nella quale sembra dominare il lato felice, solare, della loro visio­ ne del mondo. La prima manifestazione si ha con La notte di San Lorenzo, ritorno del ricordo c della fanta­ sia al paesaggio dell’infanzia e della giovinezza, ai fatti tragici che vi si svolsero, trasformati in eventi mi­ tologici, alle memorie figurative che lo qualificano e lo trasfigurano. È quello rappresentato dalla pienezza fe­ lice dello spirito della favola, della trasfigurazione in eventi e figure mitologiche alla quale lo sguardo del personaggio narratore sottopone. Kaos è un viaggio sollecitato dall’amore per Pirandello - verso la Sicilia, verso un paesaggio che e il secondo di elezione per Paolo c Vittorio Taviani. È un paesaggio primordiale, solare eppure carico di mistero, un’apparizione dietro la quale si intuisce la presenza di forze ancestrali: l’im­ magine del «regno della necessità naturale», teatro di una feroce lotta per l’esistenza, percorso e percosso dalla manifestazione violenta e diretta delle passioni primordiali, marcato dall’immagine di forze che sono naturali e soprannaturali a un tempo: la luna, che in­ canta e marchia in modo indelebile Batà bambino, 25

________________________ Ix>rcnzo Cuccù________________________

l’ombra notturna che passando sull’aia sembra produr­ re, come in un sortilegio, la rottura della giara... Ma è anche un paesaggio, un universo nel quale si genera e si rigenera la fantasia poetica colta nel suo stato sorgivo, un universo che si pone sulla linea di confine fra il mondo della natura e il mondo della cultura, una scena «vichiana» nella quale il «bestione tutto sensi», posse­ duto dalle pulsioni del vitale, dalla carnalità, dalla fero­ cia, comincia a dominarle con la «fantasia»: che si esprime nel canto, nel gesto, nella figurazione, nel rito. Good Morning Babilonia è ancora una favola - an­ che se il finale è apparentemente tragico, ma rovesciato positivamente dalla promessa di immortalità che il Ci­ nema assicuraai due fratelli protagonisti del racconto -, è forse addirittura larappresentazioncdi un sogno, co­ me sembrerebbe far pensare l’irreale scenariodel finale. È una favola condotta con piena felicità narrativa, tra­ punta di momenti nei quali la visione incantata dispie­ ga la sua capacità di fare affiorare delle apparizioni me­ ravigliose: l’immagineiniziale della Chiesa dei Miraco­ li, la visione notturna di New York, il grande elefante bianco, impennato in mezzo al bosco. Con gli anni novanta una nuova svolta: si torna a cercare, dietro lo splendore figurativo del paesaggio, il lato oscuro della luna, l’immagine di Thanatos, che se­ gretamente sempre accompagna il cammino di Orfeo, che sempre si nasconde dentro il paesaggio della favo­ la. È questa la nuova tappa del viaggio dei Taviani, che 26

__________________________ Prefazione___________________________

comprende quattro dei film degli anni novanta: Il sole anche di notte (1990), Fiorile (1993), Le affinità eletti­ ve (1996), 7# ridi (1998). Al centro del discorso è sem­ pre di più il paesaggio, la sua ambiguità che coniugac non più pone in alternativa, come ne Ilprato- la Bel­ lezza c la Morte. Contemporaneamente, in particolare nel film goethiano, prosegue e si rafforza il lavoro di stilizzazione compositiva c iconografica, anche attra­ verso un’accentuazione del valore simbolico del colo­ re, che carica di senso i luoghi c i corpi: come se, quan­ to più forte si fa il sentimento del ruolo mortifero del­ la Natura e delle Passioni,tanto più si senta il bisogno di comporre c riscattare la rappresentazione degli uo­ mini nella nobiltà della forma. Poi, ancora una svolta, un ritorno allo «spirito del racconto», alle «grandi storie appassionanti», con Re­ surrezione (2001), che trascura la componente religiosa c filosofica del libro di Tolstoj per esaltarne la compo­ nente romanzesca, melodrammatica, c Luisa Sanfelice (2004), che segue la trasformazione compiuta da Du­ mas di un personaggio di scarso rilievo c didubbia mo­ ralità, elevando la «puttana dclatrice», la «martire per caso» della vicenda storica, a Eroina da grande roman­ zo popolare. Anche se va detto che questa «rappresen­ tazione esagerata delle passioni in forma di feuilleton» è bilanciata da un rafforzamento dello «spirito della composizione e della stilizzazione figurativa». Questa ibridazione, questa combinazione di contenuti narrati27

________________________ Ixircnzo Cuccù_________________________

vi «bassi» c di pratiche formali «alte» è legata a una ri­ flessione e a una scelta consapevole, relativa al canale comunicativo» al genere» quello della fiction televisiva» al suo sterminato pubblico. In questa attenzione» in questa curiosità» in questa ricorrente tentazione di uscire dai canoni consolidati del cinema d’autore si esprime il gusto per la sperimentazione e per lo studio dei linguaggi» dei modelli di rappresentazione» di pro­ duzione» di fruizione» si esprime dunque la dimensione «riflessiva» del cinema dei Taviani. Infine» con La masseria delle allodole (2007), un ri­ torno alle misure e al pubblico della sala cinemato­ grafica. Un ritorno alla Storia» anche» alle vicende e ai problemi del nostro tempo. Ma è un ritorno carico di tutto ciò che nel corso del tempo si è scoperto, acqui­ sito e costruito: la necessità della traslazione dei fatti storici nella rappresentazione, nell’affabulazione me­ lodrammatica, nella vicenda d’amore e di sangue; la necessità della composizione, drammaturgica e figu­ rativa; la permanente significatività e forza del con­ fronto dell’uomo con il paesaggio, che in questo film è il luogo dell’alleanza, nella ferocia, della natura e della politica. Per concludere. Nel suo sviluppo nel tempo, abbia­ mo seguito un percorso ricco di svolte, di oscillazioni. Abbiamo visto proporsi via via delle dominanti, secon­ do un movimento governato da una matrice profonda, che a mio parere consiste in una polarità, nella quale 28

__________________________ Prefazione___________________________

uno dei poli è positivo, euforico, solare, l’altro è nega­ tivo, disforie©, notturno. Ne derivano tensioni, oscilla­ zioni, variazioni. Con l’emergere sempre più chiaro però di due tendenze rettilinee che attraversano la si­ nusoide delle svolte e delle oscillazioni: la tendenza a fare del confronto dcll’Uomo con il Paesaggio il centro tematico ed espressivo del discorso; la tendenza sem­ pre più forte al conseguimento di una classicità della forma, della rappresentazione. Vengono così rielaborati gli aspetti del radicamento in una tradizione dei quali parlavamo all’inizio. Ne de­ riva l’originalità, l’autonoma produttività di un discor­ so che, d’altra parte, da quel radicamento trac profon­ dità e coerenza. Deriva anche un altro aspetto. Un Maestro che ab­ biamo avuto in comune - sia pure in ambiti e in tempi diversi -, Carlo Ludovico Ragghianti, ci ha insegnato che ogni opera d’arte contiene anche un nucleo di ri­ flessione, di teoria intrinseca e implicita. Per questo l’e­ sperienza artistica di Paolo e Vittorio Taviani è anche una lezione sulla quale riflettere» dalla quale imparare.

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Parte prima

Da Pisa a Roma, due vite per il cinema

FRATELLI DI CINEMA

Itinerari: dalla Sapienza allo schermo Lectio magistrali;di Paolo e VittorioTaviani

È un grande onore quello che oggi riceviamo dall’Università di Pisa: sentiamo dunque prima di tutto il dovere di ringraziare il magnifico rettore, il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, il direttore del Di­ partimento di Storia delle arti, i docenti del corso di laurea specialistica in Cinema, teatro e produzione multimediale, l’Università tutta. Questa è stata la nostra Università. Anni di forma­ zione, forti. Anche se pochi sono gli esami che abbia­ mo dato. È stata la nostra Università perché qui sono natele prime sollecitazioni al nostro lavoro nel cinema. E di questo oggi vogliamo parlarvi. Ma prima dobbiamo confessare una certa inquietu­ dine, scnsodi colpa misto a orgoglio, ncll’accettareuna laurea che non avremmo mai immaginato. Invece sia­ mo qui. Coincidenze? Chissà. Tutto può accadere nel­ la vita e nei romanzi-diceva Dickens-, anzi le coinci­ denze, forse, sono la legge della vita. Questa Università ci ha ispirato Curtatone e Mon­ tanara, uno dei nostri primi documentari andato per33

Ixctio nugistralis di Paoloc VittorioTaviani

duto, uno dei pochi da noi amato. Una mattina di so­ le, con la nostra piccola troupe, occupammo il cortile della Sapienza per piazzare i binari di un lungo car­ rello. «Mancini» si chiamava il mitico carrello di le­ gno usato dal cinema di allora. Anche i binari erano di legno - l’agile steadycam non era stata ancora inven­ tata - c il lavoro dei macchinisti era complesso c fra­ goroso. Quel fragore era musica di Mozart per le no­ stre orecchie. Ci passavano accanto studenti c profes­ sori. Alcuni di loro, in passato, avevano incoraggiato la nostra scelta, così irregolare, di fare cinema. Altri avevano scosso la testa cil tono della nostra vocesfiorava la provocazione quando gridammo: «azione!». Il carrello corse a ritroso, abbandonò le logge della Sa­ pienza per avventurarsi verso le strade di Pisa, le piaz­ ze, i Lungarni. Iniziava così il viaggio degli studenti quarantotteschi verso il Nord. Attraversava le campa­ gne toscane e lombarde, si soffermava sulle sponde del Po, e finalmente si arrestava sui prati e le valli di Curtatonc e Montanara, teatro della battaglia contro gli austriaci. Noi due inventammo una lunga sogget­ tiva: la macchina da presa - ci dicevamo con la giova­ nile ebbrezza delle prime intuizioni - diverrà l’occhio degli studenti rivoluzionari alla scoperta del mondo della libertà, alla scoperta di se stessi e le loro voci, in colonna sonora, leggeranno le lettere inviate a casa, i commenti, i pensieri più segreti dettati dal viaggio. Quel lungo carrello aumentò la sua forza espressiva 34

Itinerari: dalla Sapienza allo schermo

quando in moviola aggiungemmo la musica. Rag­ giunse l’acme col dilagare del coro «Guerra, guerra!» dalla Norma di Bellini. Tornavamo a casa eccitati dal­ la scoperta - ovvia forse, ma non per noi alle prime armi - delle possibilità inesplorate nel rapporto im­ magine-suono. Ci confidavamo di provare - come dire - la sensa­ zione di un aumento della nostra energia inventiva. Provammo la stessa emozione quando, anni dopo, in San Michele aveva un gallo, usammo ancora il «Guer­ ra, guerra!». Ancora su un interminabile carrello ir­ realistico che si allontana da Giulio, il protagonista, invade e dilata la cella in cui è prigioniero e la tra­ sforma in un teatro d’opera immaginario. Fin dagli inizi presentivamo l’importanza che la musica avrebbe avuto per noi nel fare cinema. Musica inte­ sa non come commento umilmente parallelo alle im­ magini, ma come struttura stessa del film. Per noi, l’abbiamo detto altre volte, il cinema è l’erede - a vent’anni dicevamo la summa! - di tutte le forme d’arte che l’hanno preceduto. E quella più vicina a noi è la musica. Perdonate il tono un po’ agiografico: i ricordi fan no questi scherzi. Il documentario, che per noi fu impor­ tante, sicuramente presentava i limiti di due registi che avevano troppo da dire c poco tempo a disposizione (per legge un documentario non poteva durare più di dicci minuti). 35

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Ecco, oggi possiamo finalmente rivelare un piccolo segreto: quelle lettere scritte dagli studenti non esisto­ no in nessun archivio storico, le abbiamo inventate. Tutte. Erano lettere che avremmo scritto noi due alle fidanzate, agli amici, ai maestri più amati. Nessuno osò metterne in dubbio l’autenticità, nemmeno alcuni sto­ rici, stupiti di fronte a quel materiale inedito e forse vergognosi della loro innocente ignoranza. Noi pensa­ vamo e pensiamo che quelle lettere riportassero in vita gli studenti pisani, rendessero attuali i loro pensieri, ci dessero la possibilità di far diventare contemporanco quell’avvenimento del ’48. Un falso, sì. Ma già da qui potrebbe nascere un’in­ dicazione del nostro modo di lavorare, una risposta alledomande di tanti giovani che vogliono sapcrcdi noi, farce scrivere cinema. Non pochi nostri film sono am­ bientati in epoche passate, alcune volte la scelta e do­ vuta al caso, altre alla ricerca di un’età storica affine al presente. Usiamo storie di ieri per interrogarci su quelle di oggi: la ricerca della verità non significa farsi condizionare dall’attualità, dalla cronaca riduttiva a cui ci costringe la televisione. La necessaria ricerca sto­ rica che precede la scrittura del film, ci ha dato e ci dà l’eccitante possibilità di leggere e studiare documenti e testimonianze dell’epoca in cui agiscono i personaggi del film, di sprofondare nel passato. Poi dimentichiamo. Vogliamo dimenticare tutto durante la sceneggiatura e la lavorazione. Di più: la vc36

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rità storica viene spesso tradita in nome di un’altra ve­ rità. Quella del film, quel microcosmo rappresentato dal nostro racconto. «Non mostreròquesto film ai mici studenti, voi non aiutate a capire la storia del nostro paese», così ci rim­ proverò una volta un insegnante, e non è stato l’unico, durante un dibattito dopo la proiezione, ci sembra, di AUonsanfan. «Che bisogno c’era d’invcntarvila storia? Voi, così, create una gran confusione». La sua protesta era sincera e accorata. Non ce la sentimmo di aggredir­ lo - la voglia era tanta - e chiedemmo aiuto a quegli au­ tori che probabilmente lui insegnava a scuola, i grandi maestri che ci hanno indicato la strada dei falsi storici. Ricordammo, come esempio, le rappresentazioni, le più diverse, del personaggio storico di Giovanna d’Arco: strega per Shakespeare in Enrico vi, ribelle e popolare in Brecht, orgogliosa in Bresson, fino alla Giovanna tutta occhi, impaurita evincente,in Drcyer.Qual era la vera Giovanna? Tutte e nessuna. Ogni autore le ha affi­ dato i propri sentimenti, l’ha usata per rappresentare il suo tempo. Anche i personaggistorici dei nostri film assumono spesso le fisionomie di uomini e donne della nostravita. Di ognuno di loro costruiamo le biografie, dalla nascita al presente, oroscopi compresi. Non immaginate che sensazione di libertà fare indossare il costume agli ami­ ci, ai nemici, che tornano a vivere alcuni frammenti del­ la loro vita e a viverne un’altra, quella che diamo a loro. 37

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Quel breve documentario - ce ne rendiamo conto oggi - era un’inconsapevole anticipazione delle succes­ sive opere della maturità, a cui lo unisce l’impazienza di futuro dei protagonisti, il disagiodi vivere in un pre­ sente meschino, anacronistico, il desiderio di felicità in un mondo diverso. La commissione dei premi di qualità bocciò il lavo­ ro. Motivazione: troppo astratto. Concreta fu la no­ stra delusione... e una certa vergogna di noi stessi: che abbiano ragione? Eravamo convinti d’aver espresso qualcosa di diverso, di bello forse. Nel nostro donchi­ sciottismo non avevamo dubbi che avrebbe trovato un’eco in chi lo vedeva. Chi poteva immaginare, allo­ ra, quanti avversari «naturali* avremmo incontrato sulla nostra strada, allergici allo stupore per ogni lam­ po di novità. Abbiamo detto che le nostre riflessioni, oggi, avranno tutte il loro avvio qua, dentro queste mura della Sapienza. Manteniamo l’impegno ecosì ci trovia­ mo sul portone centrale, alle una di una domenica di più di cinquant’anni fa. Avevamo visto Germania an­ no zero di Rossellini nell’aspra copia in tedesco. Una proiezione abbastanza anomala dell’università Popo­ lare, qui per quel giorno ospite. Con un certo disagio ci decidemmo a prendere la strada di casa. Ma c’era qualcosa che ci feriva la vista. Attraversammo la città deserta, tagliata da luci e ombre come in una tcladi De Chirico. Amavamo l’enigma delle sue piazze toscane, 38

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ma oggi la luce rifiutava ogni mediazione culturale, perché era una luce cattiva, senza pietà. Era la luce di certe sequenze del film che avevamo visto, il suo bian­ co segno rivelatore. Nel film di Rossellini la luce non accettava mediazioni perche il nostro mondo aveva co­ nosciuto l’abisso, il non umano, e ora noi dovevamo fissarlo, rifiutando ogni zona d’ombra, perché mai più fosse dimenticato. D’altra parte già nel precedente Ro­ ma città aperta^ nella sequenza della morte della Ma­ gnani, insieme al suo grido e al suo braccio proteso, il bianco accecante della tonaca da chierichetto del figlio che dentro quel bianco scalcia e urla rimane il segno più forte della sequenza, uno sgomento che ad ogni vi­ sione si rinnova. Tornando alla lontana domenica di Germania anno /.ero anche quella mattina nostra madre ci aspettava. Con lei avevamo uso di parlare di quanto avevamo vi­ sto o letto. Ma quella volta le dicemmo... scusaci... con le parole non riusciamo a dirti... a farti capire... a farti vedere. C’era in noi quel tanto di esaltazione mor­ bosa che accompagna la convinzione di una nuova sco­ perta; e noi due ora sapevamo che nel linguaggio del ci­ nema uno dei primi segni è la luce. Dopo più di trent’anni, nella nostra maturità di re­ gisti, sentimmo che era venuto il momento di far rie­ mergere il passato di sangue e in particolare quell’esta­ te del ’44 sui colli della nostraSan Miniato, che vide la strage del Duomo c il nostro esodo verso i liberatori. 39

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Ci rendemmo subito conto come il tempo e la co­ scienza popolare avevano elaborato i moki lutti e il senso di una vittoria sempre da difendere. Il racconto orale aveva trasformato quel passato in una specie di chanson de geste o di fiaba. Gli occhi di una bambina sono spesso gli occhi del film. Il tempo della pietà era tornato, e la luce non poteva essere quella cattiva del film di Rossellini. Nel nostro film la luce cerca una mediazione tra il paesaggio, gli eventi e la natura uma­ na, una riconciliazione nel segno di una pacata lumi­ nosità. Pur su scene di quotidianità feroce, la luce ten­ de a quella limpidezza che è anche promessadi futuro, c si permette perfino un’ambiguità scherzosa: «Piove c c’è il sole», dice la giovane donna con il suo bambino in braccio. È stata appena liberata e ora guarda stupita e divertita quella strana luce tra sole e pioggia che bril­ la sulla sua gente in festa. Se la luce di un film è il primo segno visibile del suo senso, il senso della Notte di San Lorenzo era rivolto in modo particolare ai giovani di quegli anni ottanta, che nella palude di una società dai fremiti oscuri consuma­ vano la loro vita «vivendo c vivendo a metà», come di­ ce Eliot. Avevano bisogno, avevamo tutti bisogno di far riemergere la figura dell’uomo in tutte le sue possi­ bilità. Per questo abbiamo sempre sentitoli nostro film non come un film storico odi memoria - tantomeno di nostalgia - ma come il più contemporaneo che in que­ gli anni potessimo tentare di fare. 40

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«La luce è il cinema. Stop». Fellini è categorico. A noi è capitato di parlarne una volta con Michelangelo Antonioni, coinvolto con noi in uno strano caso. Tanto lui che noi avevamo trovato ispirazione nelle isole Eolie, uno dei paesaggi più assolati del mondo. Un paesaggio soprattutto come protagonista dei no­ stri due film: stesse immagini, stessi scogli, stessa profondità del mare, stesso orizzonte. Eppure la luce così diversa nei due film fa di loro due pianeti diver­ si, due opposti luoghi dell’anima. Non è questione di bianco c nero (L’avventxra) o di colore (Kaos). La lu­ ce grigia nell’indimenticabile film di Antonioni incu­ pisce le cose e le persone. Le linee fantasiose degli scogli si trasformano in oscure masse acuminate, il mare in nemico di cui diffidare. Il giorno sembra ri­ dotto a essere la vigilia della notte, quando nell’ora più ambigua lo sgomento diventa certezza della pro­ pria estraneità a se stesso e al mondo. In Kaos le stes­ se immagini, gli stessi spazi: ma il cielo si è spalanca­ to e la luce rende più azzurro l’azzurro del mare, più bianco il bianco delle pomici. È questa esplosione di luce che spinge i piccoli fuggiaschi, che sulla barca vanno verso l’esilio, a scendere sulla spiaggia e dalla cima dell’altura volare giù dentro il mare. Un viaggio di lutto che inaspettatamente si trasforma in un mo­ mento di felicità: solo per pochi istanti, forse, ma quanto basta a quei bambini per riprendere con più forza il loro viaggio. 41

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In questo ultimo anno abbiamo amato in partico­ lare un film di Clint Eastwood, Lettere da Iwo Jima. Anche questo è un film che si fissa nella memoria e ri­ vela il suo senso nel rapporto con la luce. Ma questa volta come sottrazione della luce, quasi fino alla sua negazione. E in un mondo di tenebre infatti che sono condan­ nati a vivere i soldati giapponesi - molti sono giovaniche difendono il colle di Iwo Jima contro l’avanzata sanguinosa e vincente degli americani. Sono penetrati nelle viscere del terreno, dove hanno costruito grotte, trincee, cunicoli. Hanno ricevuto un unico ordine: combattere comunque, finché l’ultimo di loro avrà trovato in quelle tenebre la sua tomba. Ci vie­ ne in mente un detto che la saggezza popolare ha fissa­ to nel linguaggio. Suona così: la luce è speranza, togli la luce, togli la speranza. Senza speranza, nell’oscurità i giovani giapponesi si ostinano a scrivere le loro lettere d’amore e di addio, sapendo che non avranno mai ri­ sposta. E un film nel segno del lutto, che Eastwood e il suo sceneggiatore affidano alla nostra pietà. Facciamo un passo indietro. Questa è stata la nostra Università perche qui, an­ cora ragazzi, scoprimmo la Storia del cinema di Pasinetti. Scoprimmo che il cinema aveva una sua storia come la letteratura, la pittura, le altre arti studiate al li­ ceo. In quegli anni - pensate - ci davano ancora temi come «il cinema può essere arte?». Fa sorridere la no­ 42

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stra ignoranza della letteratura cinematografica passa­ ta, ma erano gli anni del dopoguerra e le nuove riviste specializzate vennero dopo. «Hollywood» era Punico rotocalco che si occupava di cinema, di attori, di gos­ sip. Pubblicava anche recensioni dei lettori e uno di noi era tra quelli. Il volume di Pasinetti divenne il no­ stro vangelo cinematografico: occhi avidi scorrevano le righe che ci parlavano di EjzcnStcjn, Ford, Renoir. La mattina entravamo in questa Università insieme agli studenti veri. Nel silenzio della biblioteca studia­ vamo con serietà, una serietà lieta, sentimento scono­ sciuto nell’indolenza dei banchi di scuola. La ricerca di sé, così viva e spesso angosciosa in un ragazzo, ave­ va trovato una sua strada. Trascrivemmo tutto il libro o quasi... forse in qualche nostra cantina esiste ancora il manoscritto. La nostra fratellanza si saldò. Iniziava il viaggio in­ sieme. Due nature diverse. Un unico sogno. Un dono del caso, misterioso a noi stessi, ribelle ad ogni tentati­ vo di razionale spiegazione. Col desiderio struggente di entrare in confidenza con la famiglia del cinema, ci iscrivemmo al cineclub pisano fondato da un pioniere, Mario Benvenuti, e animato spesso dagli interventi appassionati di Valen­ tino Orsini che diverrà il nostro grande amico e col­ laboratore. Contavamo i giorni che mancavano alle proiezioni, come si aspetta l’appuntamento con una innamorata. Sì, ci siamo innamorati di tutti i film che 43

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vedevamo e dei registi che già consideravamo padri, fratelli. Ci davano la consapevolezza di vivere rispec­ chiandoci in loro. Verrà più tardi il desiderio di misu­ rare se stessi su quei maestri. Diciamo la verità, non tutti i film erano così belli, così assoluti, ma quando si scopre un mondo non ci sono vie di mezzo. Il nostro entusiasmo alcune volteci mise in imbarazzo: proietta­ rono al cineclub Gli ammutinati dell*Elsinore di Pierre Chcnal. Non era un gran film, ma noi riuscimmo a scovare alcune inquadrature da amare. In quei giorni al cinema Astra veniva programmato Gli ammutina­ ti del Bounty con Clark Gable e Charles Laughton. Un film di grande impatto spettacolare che travolse il pubblico e anche noi. Ma nel paragone tra i due film, durante furiose discussioni, noi difendevamo con ac­ canimento Chcnal contro il Bounty. Mentivamo a noi stessi senza rendercene conto. Oggi, quando amici della nostra generazione ci chiedono: «come fate a sopportare certi giovani critici c registi, l’arro­ ganza che mettono nel mandare all’inferno o in para­ diso questo o quel film?*. Rispondiamo: «Sarebbero insopportabili se noi, alla loro età, non fossimo stati peggio di loro!». La conoscenza del cinema ci fece traditori. Tradito­ ri di ogni forma d’arte che non fosse cinema. Ci proiet­ tava oltre la cultura umanistica, pur grande carnata, ma degradata secondo noi a scolastico, logorato patrimo­ nio borghese. Si aprivano nuovi orizzonti. Perfino l’a44

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spetto tecnico legato all’arte cinematografica, ai suoi strumenti: macchina da presa, pellicola, obiettivi, luci, rappresentava una novità rivoluzionaria. Anche oggi le nuove generazioni sono attratte dalle più avanzate tec­ nologie. Si infiammano, esagerano anche. Ma la fanta­ sia, se c’è, avrà la forza di dominarle. Vivevamo di cinema e basta. Pisa e la sua solare ar­ chitettura - così presente nello stile dei nostri film, come hanno sottolineato alcuni critici - in quei gior­ ni si confondeva con un’idea irriverente della città: le piazze, le strade erano legate per noi all’ubicazione delle sale cinematografiche. I Lungarni al Supercinema, piazza San Paolo all’Odcon, corso Vittorio al ci­ nema Italia, piazza Carrara al cinema-teatro Rossi, qui, a pochi passi dall’università. Proprio al Rossi ve­ demmo Ladri di biciclette. Pioveva quel pomeriggio. Avevamo il viso bagnato di pioggia, ma anche di la­ crime. «Lacrime estetiche!», ci scherzavano i nostri amici, commossi come noi. Di De Sica ci affascinava la novità di linguaggio tra documento c finzione, la cruda tenerezza con cui ci parlava della tragedia del ladro di biciclette, mediata a sprazzi dall’innocente comicità del bambino e dal for­ micolio dei personaggi: un’umanità prima d’alloramai apparsa sullo schermo, un coro che cammina accantoai due protagonisti, commenta, ironizza, piange con loro. Forme nuove per rappresentare la tragedia, non sulle tavole del palcoscenico, ma su quelle della realtà quoti45

Ixxtio magistralis di Paolo c VittorioTaviani

diana, suggerendo, a suo modo e senza enfasi, l’urgen­ za di un rinnovamento sociale. A Orson Welles,genio shakespeariano dalla violen­ ta espressività cinematografica, così lontano dall’auto­ re italiano, fu chiesto: «Il regista europeo che più ami?». «De Sica», rispose senza esitazioni. Gli farà eco anni dopo Woody Alien: «Il film della mia vita? Ladri di biciclette*. Vedemmo e rivedemmo il film. Lo andavamo a cer­ care, in bicicletta, nelle sale dei paesini nei dintorni di Pisa. Volevamo appropriarci della sua verità nascosta. In quegli anni non esistevano i dvd. Decidemmo di ri­ scrivere a memoria i dialoghi e i movimenti di macchi­ na: era l’unico modo per far parte del lavoro di De Si­ ca e di Zavattini, condividere le loro intuizioni. Quan­ do confrontammo la nostra ricerca con una nuova vi­ sione del film, restammo spiazzati dalla poetica sem­ plicità delle soluzioni, in contrasto con la nostra esage­ razione, nel tentativo di riprodurre una sequenza di particolare suggestione emotiva. Ricordiamone una. Bruno, il figlio, ma più che figlio, l’amico dolce e bron­ tolone del padre alla ricerca della bicicletta, è esausto. La giornata è stata lunga e senza risultato. Il padre si è allontanato. Gli occhi del bambino improvvisamente sono attratti da qualcosa che sta accadendo, qualcosa di insopportabile. Cosa vedono? Un ladro chesta ruban­ do una bicicletta, i passanti lo inscguono, lo afferrano, lo picchiano. Quel ladro è suo padre. Un lungo, lun46

Itinerari: dalla Sapienza allo schermo

ghissimo carrello corre intorno al primo piano di Bru­ no, la macchina da presa esalta così lo stupore strazia­ to del bambino... Abbiamo detto un lungo carrello. Questo annotammo. No, il carrello e breve, brevissi­ mo: la nostra commozione, nel ricordo, aveva dilatato il tempo dell’inquadratura. Fu una lezione di regia: stu­ diammo con più curala sequenza, la scansione delle in­ quadrature, le rime interne, l’inseguirsi delle emozioni, il loro montaggio, fino all’esplosione di quel carrello, di quel primo piano con cui De Sica ha raggiunto il cuore degli spettatori di tutto il mondo, senza ricorre­ re a virtuosismi della macchina da presa. Con un car­ rello, sì, ma di pochi metri. Molti giovani apprendisti di cinema ci chiedono: voglio fare il regista, da dove comincio? Aiutatemi, datemi un consiglio. È impossibile fornire ricette e non siamo adatti a fare i maestri. Voi - ed è una con­ quista, impensabile nei nostri anni giovanili - i mae­ stri li avete qui, nell’università, e amano il cinema co­ me voi l’amate. Ma, ripensando alla nostra esperienza, un suggerimento lo possiamo offrire, uno fra tanti. Un possibile inizio. Questo: scegliete tre o quattro film che più amate. Vedeteli c rivedeteli. E rivedeteli ancora: come ladri che spiano i movimenti di una banca da derubare. A poco a poco, ad ogni nuova vi­ sione scoprirete alcuni segreti del vostro amato regi­ sta. Non esitate ad abbandonarvi all’ammirazione: è un sentimento umile e forte, vi aiuterà a capire. Poi ri47

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cominciate tutto da capo, disfacendo e rifacendo il già fatto. Cercate in voi stessi. Noi chiediamo di essere stupiti dal nuovo che la vostra età vi porta indole. Af­ fronterete una lunga fatica, appassionata quanto aspra. Vi accorgerete che per realizzare un documen­ tario, un film, non basta essere poeti, dovrete trasfor­ marvi in uomini d’affari, cercare i finanziamenti, usa­ re furbizia e menzogne, incontrare umiliazioni e guai. Affrontateli senza vergogna. Amerete questo mestie­ re, questo gioco, perche fare spettacolo è anche gioco. Ci dà la possibilità di continuare i giochi dell’infanzia, ricchi di mistero e fantasia. Noi due lo amiamo que­ sto mestiere, oggi, dopo tanti anni, forse più che ieri. Fa soffrire, certo, ma ne vale la pena, per vivere que­ gli attimi di felicità in cui si vede nascere, dalle proprie mani, una sequenza più coinvolgente, per audacia e verità, di come era stata immaginata. E siate pronti: non vi fate sorprendere dal puntuale, inesorabile sen­ timento di relatività che ogni regista avverte di fronte al film finito. Ricordate il proverbio: non si viaggia per arrivare, ma per viaggiare. E per l’ultima volta torniamoqui, nella nostra Uni­ versità. È l’alba di un giorno del 1953, in una delle au­ le che danno sul cortile. L’aula, trasformata in seggio elettorale, è gremita di gente eccitata ed esausta. Gio­ vani staffette popolari corrono attraverso la città a portare nei vari seggi la notizia ancora non ufficiale: la legge elettorale voluta dal potere non è passata, lltcn48

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tativo autoritario di relegare la sinistra in un angolo è stato sconfitto. Una vittoria relativa certo, ma pur sempre una vittoria. Anche qui, in questo seggio, euforia. Uno di noi due è tra questa piccola folla, co­ me rappresentante di lista del Partito comunista. E ora, dopo tre giorni corre finalmente fuori per porta­ re la notizia. Bagnato da una pioggia fitta che lo rin­ fresca fin dentro le ossa, attraversa le vie deserte, ma che al suo orecchio risuonano delle voci di una comu­ nità che veglia per salutare il nuovo giorno, come una conquista di libertà. Lui si sente parte di quel coro, di quella comunità, ed è felice. Ugualmente bagnato e fe­ lice gli va incontro suo fratello, che ha appena termi­ nato lo stesso lavoro al suo seggio. Ecco: abbiamo rievocato quell’alba del 1953, con l’impeto un po’ ingenuo di certi movimenti collcttivi, perché così possiamo tornare a parlare di cinema, del nostro cinema, c del rapporto così spesso equivocato tra cinema e politica. Noi, al di là delle teorie, vogliamo qui rendere te­ stimonianza della nostra esperienza personale, che è già anomala alla sua partenza: è stato il cinema - e non viceversa - a portare noi due, di famiglia mazziniana ma pur sempre borghese, ad aprire lo sguardo sull’u­ niverso rosso c sul suo popolo. Sfidiamo il paradosso precisando che più chcdai singoli film la spinta ci è ve­ nuta dalla forza misteriosa del loro linguaggio. D’altra parte, negli anni del nostro dopoguerra guerreggiato, 49

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era tutto un po’ paradossale. In quel clima succede che un giorno noi due, giovani come tanti altri, aperti ad ogni possibilità di nuovo, ci troviamo di fronte a un’immagine come questa: su una grande distesa bian­ ca di neve, sci cavalli dalle grandi criniere, ripresi ora in primo piano, ora in un carrello sempre più vcloccè la sequenza di un vecchio film muto - trasportano una barella su cui, circondato dai suoi compagni, sta morendo un combattente della rivoluzione: ha chiesto di essere sepolto nella sua terra che non rivede da an­ ni. Il tempo è poco e i compagni incitano i cavalli: bi­ sogna arrivare in tempo, muore un nostro eroe della rivoluzione. Correte, correte. Immagini di impronta realistica. Ma improvvisamente lo scarto: i cavalli par­ lano, rispondono. «Vi capiamo». C’è nobiltà e consa­ pevolezza, mentre le didascalie ripetono: «Vi capiamo, nostri padroni e fratelli». La loro corsa si fa ancora più violenta: «Voliamo con tutte le forze delle nostre ven­ tiquattro gambe». Corrono perché la rivoluzione li chiama a onorare in morte un loro fratello. La se­ quenza si fa fantastica, folle, in nome di una commo­ zione che unisce uomini e animali. Un altro film, un’altra immagine: questa volta è un piccolo cavallo bianco, attaccato a una carretta che sta cercando disperatamente di attraversare il ponte apribilc nel centro di Pietroburgo: una Pietroburgo squas­ sata dalle ondate di rivolta e dalla brutalità della re­ pressione. Non si può più passare, perche il ponte si è 50

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aperto e le due parti stanno salendo sempre più in alto. La carretta, staccatasi dal cavallo, scivola giù in acqua. Dall’alto scivolano giù uomini e cose. Solo il cavallo bianco, chissà come attaccato a una trave, rimane lassù, sulla parete a picco. Nelle strade intorno al ponte si ri­ petono le inquadrature di corpi umani che uccidono, vengono uccisi. A contrasto, più volte, in campo lungo riappare la tenera figura del cavallo bianco, solo sulla cima della parete desena. Un’immagine tragica c assur­ da: anche questa è rivoluzione. Poi il cavallo precipita e scompare nell’acqua del fiume. Un po’sbalorditi ci interrogavamo sull’impeto che aveva potuto ispirare tanta forza fantastica nell’animo di giovani uomini che facevano i registi, in un sodalizio dove l’uno si riconosceva nell’altro: erano i figli della terra di Tolstoj c Dostoevskij. Dallo schermo ci arriva­ va, insieme alla conferma del linguaggio estremo del ci­ nema, la testimonianza della forza dell’utopia che sta­ va correndo nel mondo, l’utopia comunista. Intanto i grandi film del neorealismo rendevano più impaziente il nostro bisogno di fare cinema e in­ sieme sollecitavano la nostra responsabilità di cittadi­ ni: ci riconoscemmo nel popolo di sinistra. Non ci siamo mai nascosti però che questo empito giovanile poteva portare a una esaltazione acritica delle nostre scelte artistiche e politiche. Il cinema ci è venuto an­ cora incontro con Rossellini, proponendoci il limite, l’ambiguità della condizione umana. Molti di noi ri­ si

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cordano il finale di Paisà: da una pane i corpi dei par­ tigiani con le mani legate dietro la schiena e la mac­ china da presa che sta accanto a loro mentre vengono gettati in acqua, e ogni tonfo è una ferita acustica; dal­ l’altra il silenzio indifferente del paesaggio selvaggio della palude, che la macchina da presa stenta a ripren­ dere in totale: cielo e terra si confondono all’orizzon­ te, il presente si dissolve nel passato. L’immensità del­ la natura c l’ambiguità del tempo ridimensionano le vicende umane, anche queste evocate da Rossellini. Abbiamo voluto usare le parole alte che avrebbe po­ tuto pronunciare un nostro maestro, grande c schivo. Abitava a pochi passi da qua in via Santa Maria. Sia­ mo passati davanti alla sua casa, ieri. La casa di Seba­ stiano Timpanaro. Ci avevano colpito nel profondo il confronto, il contrasto che lui stabiliva tra i ritmi fre­ netici dell’uomo storico c il ritmo dell’uomo biologi­ co, così lento da apparire inesistente. I due ritmi con­ vivono in noi: qui forse una delle ragioni della fatica e del dolore del vivere. Qualcuno ha detto che probabilmente anche per questo nei nostri film si scontrano due esigenze oppo­ ste ugualmente pressanti: la prima è la complicità con l’uomo, la fiducia e lo stupore per la sua creatività, nel bene c nel male, per il mistero e l’unicità di ogni desti­ no individuale; e questo significa per noi che la mac­ china da presa sta addosso ai personaggi, ne fissail vol­ to, ne ascolta il respiro. L’altra esigenza nasce dalla 52

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consapevolezza della sua fragilità, della sua piccolezza nei confronti di una realtà più complessa e per molti versi sconosciuta, e questo significa cercare di ridimen­ sionare visivamente i nostri personaggi, inquadrandoli in campi lunghi e lunghissimi. Da queste contraddizioni e dalle molte altre che si consumano vivendo - noi crediamo - nascono le no­ stre storie. Ma nascono solo quando qualcosa di im­ ponderabile, certe volte al di là della nostra volontà, accende quel motore segreto che si chiama «lo spiri­ to del racconto» e che lascia che la fantasia si muova in libertà. Per chiudere il discorso sui nostri cosiddetti «film politici» ci verrebbe voglia di rispondere scherzando: sono figli del caso. Lo scorrere della storia ha conti­ nuato a farci conoscere tragedie e resurrezioni; per noi due la tragedia più brutale perché più imprevedibilevogliamo qui ricordarlo - fu la rivelazione del vero volto del socialismo reale, un volto di sangue. Ci sono voluti tempo e dolore per ricostruire dentro di noi un rapporto forte con il mondo, nella consapevolezza ora che in certi momenti della storia l’utopia può assume­ re i contorni di una beffa. In anni relativamente più recenti abbiamo visto un certo tipo di politica assumere un ruolo privilegiato: il riferimento al ’68 e oltre è d’obbligo. Soprattutto tra i giovani, il rapporto con la politica si era trasfor­ mato in fatto di conoscenza o scelta esistenziale, og53

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getto di desiderio, crescita intcriore o imbarbarimen­ to. Questa umanità si è mossa intorno a noi e ha chie­ sto di essere guardata, di essere raccontata. Abbiamo cercato di raccontarla. Con emozione: lo spirito del racconto si era acceso. Ma come spesso succede, qui può nascere l’equivo­ co: i personaggi del film, le loro scelte politiche vengo­ no identificate con le scelte degli autori stessi. Noi ab­ biamo ben radicata invece la coscienza della diversità dei due linguaggi: quello dell’arte e quello della politi­ ca. Sono contigui, certo, ma l’arte, fedele alla vita, è am­ bigua, mentre la politica, fedele a un mandato, se è am­ bigua tradisce se stessa. Per essere ancora più semplici, al di là dei contenuti di un film, è nel linguaggio del­ l’autore che si rivelano la sua visione del mondo, le sue scelte, la sua ambiguità e la sua innocenza. Si rivela il senso più segreto del film. Abbiamo finito, ma prima vorremmo dire un’ulti­ ma cosa. Tornando a Pisa, qui nell’università,abbiamo raccolto vecchi e nuovi pensieri: questo ritorno per noi, come sempre, è anche una partenza per nuove av­ venture, se la fortuna ci aiuterà. Molte avventure ab­ biamo vissuto perché molti sono i nostri anni - più di 150 in due - e molti, ora qui lo sentiamo con commo­ zione, sono anche i volti, le persone che ci hanno ac­ compagnato neinostro cammino e che ora non ci sono più. Volti di famiglia, compagni di vita, amici, collabo­ ratori umili o determinanti... Ombre care, perché an54

Itinerari: dalla Sapienza allo schermo

che per loro, per le loro atteso, la loro fiducia noi due ogni volta abbiamo lavorato e la loro complicità ci aiu­ tava e ci confortava. Ora siamo più soli, confò giusto alla nostra età, e proviamo malinconia. Ma quelle om­ bre- lo vogliamo credere-ci stanno qui intorno ed e come se sentissimo il loro bisbigliare. Alcune parole giungono sino a noi. Dicono: imparate a guardare le cose anche con gli occhi di chi non c’è più. Vi sembre­ ranno più sacre e più belle.

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FRATELLI DI CINEMA

L’amore per Pisa, la scoperta del cinema di Paolo 'lavimi

Sono felicedi ricevere la Torre d’argento a Pisa, qui al Teatro Verdi a pochi passi da via Sant’Andrea, dov’era la nostra casa. All’epoca non avevano costruito il pa­ lazzo del tribunale e da qui, da via Palestro, partivano tante straduzze che portavano al Lungarno. Ricordo l’emozione di quando nei pomeriggi d’inverno con Vittorio attraversavamo quei vicoli cupi per sbucare sul Lungarno al sole, alla luce, al tepore. Qui al Teatro Verdi abbiamo assistito a spettacoli d’opera, di prosa. Una sera ci siamo spellati le mani in­ vocando il nome di Visconti, regista di una memorabi­ le rappresentazione di Come le foglie. Era il 1954. L’anno dopo lasciammo Pisa per af­ frontare Roma, il cinema. Qui al Teatro Verdi ho visto, in loggione, dirimpettaia a me, una bella inquietante giovinetta bionda, guardai più lei che lo spettacolo e dissi - non esage­ ro - dissi: quando quella crescerà sarà mia. E fu così: era Lina Nerli, pisana che più pisana non si può es­ sere, che poi divenne mia moglie. Mi raggiunse a Ro57

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Paolo Taviani_________________________

ma c insieme abbiamo lavorato nel cinema, lei costu­ mista io regista. A Pisa mi lega anche un altro amore: la scoperta del cinema. L’abbiamo ricordato altre volte: entrammo per caso al cinema Italia-da anni non esiste più-, nella sa­ la semivuota veniva proiettato Paisà di Rossellini. Per noi due fu una inaspettata emozione ritrovare sullo schermo quelle verità di guerra vissute pochi anni pri­ ma. Il cinema si rivelava come il mezzo più nuovo, più diretto per ricordare quell’esperienza e capirla fino in fondo. Se il cinema - ci dicemmo tornando a casa - ha questa forza, sappiamo il lavoro che faremo: il cinema. I pochi spettatori di Paisà protestavano contro quel film così anomalo. Ci alzammo per reagire a tanta ignoranza, ma ci precedette un giovane più grande di noi, unomone che, a passi pesanti, si avvicinò a quei si­ gnori c,con una certa violenza, offrì loro i soldi del bi­ glietto per farli uscire dalla sala e lasciarci vedere quel grande film. Era Valentino Orsini. Il cinema sigiò la nostra amicizia. Incontrare Valentino significò per me c Vittorio anche incontrare il movimento operaio, la scoperta della politica. Politica in quegli anni non ave­ va assunto i significati negativi di oggi: oggi i politici appaiano l’immagine della politica a quella di una par­ tita di calcio: scendere in campo, entrare a gamba tesa, deputati in panchina. Berlusconi è stato il primo a scendere in campo, ma dopo di lui tutti, dico tutti, de­ stra e sinistra, hanno adottato quella similitudine da 58

L’amore per Pisa, la scopcrtadcl cinema

bar sport. No. Noi - e non solo noi, certo - considera­ vamo la politica uno strumento di conoscenza, un’ar­ ma per decifrare la realtà, e cercare la verità. Per Valentino incontrare noi - lo diceva sempre- si­ gnificò tuffarsi nel patrimonio culturale della borghe­ sia. Ma ci pensate-ci raccontava orgoglioso - che mia madre era soffiatrice di vetro e mio padre un abile mar­ mista di Porta Nuova. Era un anarchico mio padree mi volle battezzare in casa, chiamò gli amici, stappò un fiasco di vino e mi battezzò col vino. Insomma cinema e politica divennero le nostre pas­ sioni in quello strano, creativo momento della storia che abbiamo attraversato insieme. Con Valentino abbiamo realizzato due film, ma prima, a Pisa, girammo con lui il nostro primo docu­ mentario su uno sciopero a rovescio nelle campagne pisane. Direttore della fotografia era Mario Benvenu­ ti, fondatore e presidente del cineclub, padre del vo­ stro-nostro concittadino Paolo, originale regista del cinema italiano. Giuliano, Pierluigi, Nannicini, Oliano sono alcuni dei tanti nomi degli amici che vorrei ricordare ad uno ad uno e che mi hanno aiutato a vivere qui a Pisa, a cre­ scere. E Sebastiano Timpanaro. Sì, ho avuto la fortuna d’avere questo grande maestro come insegnante quan­ do preparavo la maturità da privatista - io giovanissi­ mo, lui giovane, con tanti esuberanti capelli spesso na­ scosti sotto un basco blu. Il primo giorno di lezione, 59

________________________ Paolo Taviani_________________________

quasi senza salutarmi, con l’aggressività dei timidi mi chiese: che testo ha scelto per l’esame di greco? Le Bac­ canti, risposi. S’illuminò. Ricordo l’appassionatalcttura, in metrica greca, di quel testo misteriosoe feroce. Io e Vittorio amavamo quella tragedia, cene sono echi in Sotto il segno dello Scorpione, il nostro film del ’68, ag­ gressivo, sperimentale, che voleva distruggere ogni ar­ gine di convenzione. Anche le sue lezioni di italiano erano originali, assomigliavano così poco a quelle del liceo. Mi prendeva per mano e mi introduceva nel suo mondo marxiano-leopardiano. Parlavamo di tutto e ben poco dei programmi scolastici. Infatti fui bocciato in greco e in italiano, proprio nelle materie preparate con lui. Ma sci promosso in maturità umana, così com­ mentò Sebastiano, dandomi per la prima volta del «tu». Il premio che voi ci avete consegnato è la Torre d’ar­ gento. Mi commuove il ricordo che proprio sulla Tor­ re di Pisa abbiamo girato una sequenza di Padre pa­ drone, quella in cui Gavino il pastore vestito da milita­ re sta seduto sotto una delle loggcttc del campanile con le gambe penzolanti di fuori. La colonna sonora è si­ lenziosa, è muta perché i suoi orecchi non vogliono sentire. Ondeggia in avanti c indietro vittima della sua angosciosa solitudine, ripetendo il gesto di quando, bambino, il padre lo lasciava solo all’ovile. Sembra che da un momento all’altro si lasci cadere nel vuoto. Ma improvvisamente smette di dondolare, si concentra con forza c dolore. Fa un gesto deciso con la mano. A 60

L’amore per Pisa, la scoperta del cinema

quel gesto la colonna sonora - che avevamo annullato perché ci fosse attorno lo stesso silenzio come in lui emerge con violenza. Tornano i suoni della città e le voci dei commilitoni giù in piazza dei Miracoli. Proprio da lì, dalla Torre di Pisa, ricomincia la speranza. Ecco. E allora questa Torre d’argento anche per noi è un incitamento al lavoro, ai tanti film che ci aspetta­ no. Ma - diciamolo - c’è una differenza per me e Vit­ torio tra ieri e oggi. Ieri, a Pisa, avevamo vent’anni e un milione di anni di fronte. Oggi, alla nostra età, si ha meno tempo a disposizione, bisogna sbrigarci. Pisa, ancora una volta, col suo fiducioso augurio ci dà una mano. Grazie.

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FRATELLI DI CINEMA

Ritorno a Pisa di Vittorio Taviani

Intervento di Vittorio Taviani, che dopo aver salutato e ringra­ ziatoli sindaco, Pisa e la sua gente...

...Sto per farvi una confessione scandalosa: allora, in quel lontano ’45, noi figli Taviani non volevamo ve­ nire a Pisa. La nostra città di elezione era Firenze. Ma nostro padre svolgeva il suo lavoro di avvocato soprat­ tutto al tribunale di Pisa. E va bene, papà: Pisa, ma quando partiamo? La nostra bella casa, la casa dell’