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Italian Pages 261 [130] Year 1978
Introduzione «
DELIO/RUFFO '60
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Delusione delle aspettative: il sorpasso a sinistra non c'è stato. I tempi si fanno ancora una volta lunghi. Mi viene da piangere... Ma a che serve? Ci sorregge, ancora e sempre, l'utopia. (Dopo le elezioni del 20 giugno 1976. L'autore, che ha votato Democrazia proletaria).
Rufio '60, quando viene messo in onda nel 197.'.5, non costituisce nell'attività di Paolo e Vittorio Taviani una «novità». Scritto tra. il 1958 e appunto il 1960, due anni prima della regia di Un uomo da bruciare, era originariamente una commedia e si intitolava Delio. Pronta per andare in scena con Franco Parenti al Piccolo di Palermo, rimase nei cassetti per l'incendio di quel teatro; solo in seguito, molto piu tardi, giunse la proposta della Rai per un allestimento radiofonico. « Con la cinepresa o con il microfono quello che conta è raccontare », affermano i Taviani; e Rufio '60 « è il racconto che due amici - Olinto ed Eugenio - fanno di alcuni momenti della vita del protagonista; vissuto tra il 1928 e il 1960, in sintesi egli è un comunista in una accezione esistenziale, e rimane sempre un borghese pur vivendo una realtà piu grande di lui»'. Vediamo Ruffo Senesi a otto anni; debole di salute, ha paura di notte e ricorre alla protezione della madre; ride del nonno, già « gran direttore » d'orchestra, di opera lirica, Dio in terra per casa sua, idolo per i loggioni di mezza Europa e ora malandato, avendo preso, a Casablanca, la malattia del sonno. Poi eccolo, Ruffo, sedicenne, durante l'occupazione tedesca a Cigoli, in To' Cfr. Una commedia dei Tavia11i per la radio, intervista rilasciata a Franco Mondini, in « Stampa Sera del Lunedf », Torino 25 novembre 1974.
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Introduzione: Dclio/Ruffo '60
scana, nell'agosto .1944, nella villa di campagna dove la famiglia è sfollata; e diciottenne in piazza, a Livorno: il bambino che se ne stava malaticcio sempre in casa, è drventato un sanculotto. I dimostranti si stringono in gruppo, gridano tutti insieme: « No. No. No » e forzano il blocco della polizia; anche lui comincia a urlare « No », prima incerto e poi con violenza sempre maggiore. Ruffo diventa dirigente della commissione culturale del pci, ed ha il primo incontro con Olinto ed Eugenio, che allestiscono uno spettacolo di massa, la loro prima esperienza di teatro: vogliono raccontare la storia del porto, e i sindacati gliene offrono l'occasione. I fatti di Ungheria colgono Ruffo a trentacinque anni. La crisi lo coinvolge. Che importanza ha, pensa, firmare una lettera di protesta contro i carri armati sovietici a Budapest? Egli si sente dirigente politico a metà, musicologo a metà, critico d'arte sempre a metà. « Sulla mia lapide», dice ai compagni, « scriverete: di professione non identificata ». Non firma . Ora vuole occuparsi un po' di se stesso: « Solo di Ruffo. E subito. Altrimenti divento matto come Bellindia [la moglie]. Che se ne può fare, ormai, il partito di falliti come me? » E non ascolta quei compagni che gli dicono: « Aiutiamo anche il partito a crescere. Tutti insieme però. Attenzione. Non scappare ora. Te ne pentiresti ». Abbandonato il partito, Ruffo a poco a poco si isola sempre piu: apre una galleria d'arte a Roma, scrive un libro sull'arte informale, dirige una collana monografica, allestisce la prima ~ostra, mentre i giovani manifestano contro la polizia che protegge un governo di destra. Da fuori giungono i ru.mori degli scontri di strada, di cavalli lanciati al galoppo e grida dei dimostranti; e Ruffo invita la figlia - Giulietta - che lo aiuta ad allestire
la mostra, a chiudere porta e finestre. Cerca la sezione aurea. « I quadri devono dividere la galleria in proporzioni divine... Bisogna trovare la sezione aurea... la sezione aurea bisogna intuirla. La perfezione va intuita. Sta forse tra i numeri e la musica ». Ma Ruffo ha anche altre intuizioni, oltre a quella della sezione aurea. « Perché continuo ad essere un borghese in mezzo ai borghesi? » cercava di spiegarsi già quando militava nel partito; e prima di sposare Bellindia avrebbe voluto fare il contadino. « Continuo a lavorare [ come critico d'arte], ma sono perduto. Sono perduto» dirà alla fine, prima di morire in un incidente d'auto, mentre insegue Valeria, il suo ultimo amore. « Se solo riuscissi a dare ordine a tutto questo. Se solo per raccogliere un frutto nuovo, ogni volta non gettassi via l'altro che ho in mano. Che credete? Vorrei anch'io trovare un po' di pace. Lo so: io non cresco volta volta. Ricomincio sempre da principio. Per questo, forse, Eugenio e Olinto stanno dando ordine, per me, alla mia vita ... Fino a quando? Fin dove? Ho freddo. Basta. Io cosi son fatto . Qui sto», ad attendere Valeria, che lo fugge e non incontra quel giorno. Per non vederlo, Valeria era partita per Venezia. Ruffo la in.segue, ma inutilmente. « Correva nella sua auto sotto il sole di mezzogiorno e non si accorse dell'ultima curva. Al trentaduesimo chilometro, tra Mestre ~Belluno». E già prima, nella galleria d'arte, quando grida alla figlia di chiudere porta e finestra per non sentire i rumori di strada, dei dimostranti e dei cavalli della polizia, Ruffo, sfogliando il suo libro sulla pittura informale, aveva letto a voce alta: « Fin dove si può scendere nella materia senza che scendere significhi sprofondare»; e, ancora sfogliando, sempre leggendo, aveva pronunciato la parola « Fine ».
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Nel rendere pubblica la vita del loro migliore amico, Eugenio e Olinto non vogliono che i ricordi finiscano in rimpianti: sono persuasi che attraverso la vita di Ruffo la verità era passata in misura singolare, anche se questi non se ne rese conto, anche se la sua personalità ne fu scossa ma non accresciuta. « Cercare nel passato di Ruffo è come cercare nel nostro. Come fare il ritratto di qualcuno a memoria, ecco, usando per modelli anche noi stessi», dice Eugenio. Evidentemente Eugenio e Olinto sono Paolo e Vittorio Taviani; e Ruffo è personaggio emblematico, non individuale. La sua storia, avvertono gli autori, rispecchia la storia di una generazione, quella cui appartengono i due registi. Opera dunque biografica di molti giovani di quegli anni, anche se gli elementi autobiografici sono parecchi. « Dobbiamo recitare la parte di noi stessi », afferma Eugenio. « Viviamo tutti a Roma e siamo invece tutti e tre· toscani », aggiunge Olinto; ,« io, lui, Ruffo. Ruffo di una città di porto [Livorno), noi di una città di preti [ San Miniato] ». Eugenio ride, sorride; confessa sottovoce ad Olinto: « Non provi gusto a disporre di Ruffo come piu ci piace? Farlo, disfarlo, di sotto e di sopra? » « Non vorrei dirlo », continua Eugenio, « ma Ruffo certe volte non mi era simpatico ». Ed ecco il loro primo incontro-scontro con Ruffo, che appunto dirigeva la commissione culturale del pci, la loro prima esperienza teatrale (Olinto aveva allora diciassette anni). L'occasione, come si è accennato, gliela offrono i sindacati. Eugenio ed Olinto vogliono raccontare sul palcoscenico la storia del porto, a Livorno, dal -fascismo alla Resistenza: portare in teatro un po' di cinema neorealistico - la stagione del neorealismo era al suo culmine - e un po' di Brecht e di folklore gram-
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scianamente inteso. Ma Ruffo pensa soltanto al comizio: « Questo è un comizio », insiste, « e rosso per di piu ». Tante bandiere rosse e una grossa figura di cartone di Stalin. Nel mezzo ci sono i portuali, coautori del canovaccio, che peraltro recitano, insieme con le loro donne, un po' alla sovietica; ma grazie a loro si hanno lo spettacolo e il comizio, un comizio come spettacolo. E tuttavia è proprio Ruffo a superare le difficoltà durante la « prima », quando le attrici professioniste, che gli autori avevano richiesto e ottenuto, si danno malate. « Non è questo che volevate voi due? » urla Ruffo mentre tutto sembra perduto: « il dialogo diretto tra palcoscenico e pubblico? » « È stato un gran momento davvero nella vita di Ruffo », quello, ammette Eugenio. E Olinto: « C'è poco da dire; quella volta aveva ragione lui ». Nel ricostruitne la vita, i suoi due amici provano si gusto a disporre di Ruffo come piu a loro piace, a farlo, disfarlo; certe volte non risultava simpatico. Eppure, dopo la morte, mentre continua il motivo « vorrei e non vorrei » dal Don Giovanni, Olinto confessa: « Ruffo, non saprai mai quanto ti abbiamo amato». Ed Eugenio: « Quanto abbiamo pianto la tua morte. "Ruffo (con ritorno di pianto), oh Ruffo! » « Eppure dobbiamo ringraziarti anche per quella », aggiunge Olinto dopo una pausa, padrone di sé. « Per la sua morte. Ci serve. Gli ~ servita. Non aveva altro da dire, ormai, a nessuno. Abbiamo finito, Eugenio. Con la morte di Ruffo l'opera è conclusa». Conclusa una prima esperienza dei Taviani . Il motivo « vorrei e non vorrei » si interrompe. « Andiamo via », esorta Eugenio. « Per pensare a una nuova opera anch'io ho bisogno d'altro. Devo muovermi ... Tutto , diverso. Olinto, possiamo pensare a un'opera nuova. In Sicilia, tra i cafoni ... »
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_ Un'opera nuova. Dopo le « pièces » Il nostro quartiere (1950) e Marco si sposa (1951), due spettacoli di ~< Teatro di massa » - uno dei quali rievocato appunto m _R_uf~ '60 - e _alcuni cortometraggi (tutta questa a~uvita m collaborazione con Valentino Orsini: probabilmente nel personaggio di Ruffo c'è qualche riferimento pure a lui), ecco l'esordio, sempre insieme con Orsini, nel lungometraggio a soggetto: Un uomo da bruciare. Anche se Ruffo '60 è una commedia, meglio un dramma teatrale che diventa radiodramma, è ricco di motivi che troviamo sparsi nei film di Vittorio e Paolo Taviani (e di Orsini): possiamo definirlo una «summa» della loro attività cinematografica. Del resto essi lo vedono « proprio in immagini, perché alla resa dei conti noi sentiamo il cinema come il vero linguaggio del nostro tempo. Il cinema piu della radio; quella è la nostra maniera di stare con il pubblico e di essere coinvolti »·2 • Olinto, nel finale, indicando gli spettatori, dice sottovoce: « È per loro. Non possiamo indugiare oltre». Ed Eugenio aggiunge: « Lo so. Non ci rimane che salutare e levarci di quassu » (dal parco pubblico di villa Sciarra a Roma, dove i due fratelli rievocano la vita di Ruff~ e insie~e la loro, s_ino al 1960 ). Già la struttura di questo radiodramma e una struttura cara ai due registi: quella a blocchi che si intersecano, con continui rimandi, nel presente, al passato e viceversa, e l'avvicendarsi delle stagioni (Olinto ed Eugenio si ritrovano a villa Sciarra in primavera, poi in estate). Ci sono altre analogie, altri motivi che diventeranno costanti nei loro film. Anzitutto lo spettacolo nello spettacolo, la ripulsa del personaggio individuale tutto ton' Una commedia dei Taviani per la radio, intervista cit.
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do, dell'eroe positivo, per il protagonista contraddittorio, le sue crisi e la conseguente sconfitta intesa come contingente e non come condizione umana eterna e immodificabile, il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà, il cristologico (l'educazione cattolica), il sogno, gli elementi psicoanalitici, astrologici anche, l'impiego della musica e del melodramma in particolare, le riflessioni ad alta voce del protagonista, il parlare del passato per vedere meglio il presente, e non ultime l'ironia con la quale sono visti i personaggi - intesa come straniamento, mezzo di analisi critica - e la fantasia. Mentre Ruffo e il suo amico d'infanzia Costantino sono rinchiusi in un armadio della casa di campagna dove sono sfollati, per sfuggire ai tedeschi, il primo dice al secondo: « Ho fatto una scoperta, una scoperta che mi esalta .. . L'Orlando Furioso. L'Ariosto. Insieme,. dobbiamo leggerlo insieme, Costantino ». Non come lo hanno letto a scuola. « Ariosto bisogna leggerlo da noi, per conto nostro. Tu non immagini nemmeno cosa ti aspetta a leggerlo sul serio». E Ruffo recita a memoria: « Rinaldo l'altro e l'altro giorno scorse, / spinto dal vento, un gran spazio di mare ... » E « poi, sai, è spinto, anche. Lo rileggiamo insieme, vero Costantino? » Piu tardi dinanzi al cadavere dell'amico, ucciso dai tedeschi, ' scoppi di mine si fanno gradatamente vicini e mentre poi decrescenti sino a scomparire, nel buio si alza la voce di Ruffo diciottenne: « ... Rinaldo l'altro e l'altro giorno scorse, / spinto dal vento, un gran spazio di mare... » « Senza scudiero e senza compagnia / va il cavallier per quella selva immensa... / [ Senza scudiero... Senza compagnia ... ] facendo or una et or un'altra via, / dove piu aver strane aventure pensa .. . » È qui che hanno inizio le « avventure » di Ruffo nel dopoguerra, di san-
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culotto; che egli si trova in mezzo alle manifestazioni dei portuali a Livorno: « Salviamo il porto », « No alla flotta americana » . « Il porto ai portuali ». E mentre i dimostranti spariscono nel buio, ancora la voce di Ruffo: .« Sta Polinesso con la faccia mesta, / col cor tremante e con pallida guancia; / e al terzo suon mette la lancia in resta. / Cosf Rinaldo inverso lui si lancia, / che disfoso di finir la festa ... » Ruffo, tra i dimostranti, è coinvolto nella protesta, incontra Uliano, e decide di andare con il suo gruppo. Quando Ruffo, ormai in crisi, dopo i fatti di Budapest, decide di abbandonare la lotta e il partito, ecco il sogno che fa. Nel buio della camera da letto affiora una strana musica: il motivo « vorrei e non vorrei » dal Don Giovanni di Mozart, arrangiato bislaccamente. « Che musica è questa? » si domanda. « Deh, non cessar! Dolce, dolce tu sei, come questo sapore che m'è rimasto nella lingua ... Dolce e disgustoso... Che sapore sarà? Cinghiale all'agrodolce? O agnello? Bisognerebbe che mi svegliassi per saperlo ... Lo dovrei, anzi ... Lo dovrei ... >> Una .fievole luce illumina Ruffo a letto, che continua il suo monologo: « .. . Prendere subito il lapis - dice il mio psicoanalista - e segnare. Segnare subito il sogno appena sognato. Come ti sento fratello, Freud mio! Di quante colpe m'hai assolto! Dunque: lapis e segnare. Ma dov'è il comòdino? La finestra ha cambiato parete ... Dove mi hanno portato?! Ah! Roma ... Roma ... Sono a Roma. Sono stato trasferito a Roma. Mi ha svegliato il letto nuovo... Non deve essere ancora l'alba ... Obbedisco a Freud: scrivo subito il sogno appena svegliato. Mi sono mangiato il coccodrillo! Era certo il partito. Con che appetito l'hai divorato, il partito... Con che gusto l'hai digerito, il partito! Allora è proprio
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vero, professore: il mio opportunismo è oggi la mia sola forza? » Ruffo si mette a scrivere i suoi appunti. La musica aumenta. Sospende la scrittura e ascolta, riconoscendo l'autore del motivo: « Divino, Mozart, tu sei! » Si rimette a scrivere: « Musica ... Melodie mozartiane... Don Giovanni... Poi la musica si è interrotta ... » Si domanda: « Chi è stato? Devo ricordarlo, ad ogni costo. Gufi! Loro hanno rotto l'incanto! I tre vescovi». Sono apparsi tre vescovi su una scalinata al centro del palcoscenico, nella penombra; rimangono immobili nei loro paramenti. Ruffo si rivolge a loro: « Che volete ? » Due di essi fanno alcuni passi avanti, simultaneamente; si inginocchiano e pronunciano insieme: « Oleum sanctum crisma. Oleum sanctum crisma. Oleum sanctum crisma». Il terzo vescovo si avvicina al letto di Ruffo, lascia cadere il mantello rivelando il suo vestito settecentesco: è Mozart. Mozart Ruffo, sei pronto? Ruffo Wolfango Amedeo?! Possibile ti debba trovare sempre davanti? · Mozart Non sono io che ti precedo. Sei tu che mi segui.
I due vescovi ripetono: « Oleum sanctum crisma. Oleum sanctum crisma». Mozart Non li senti? Vieni alla funzione. Lo faccio per il tuo bene. Se insisti a tirarti indietro domani non uscirai piu dal gabinetto del tuo psicoanalista. RufJo A te non piace, eh? Non ti ci trovi con questa ricerca della memoria. Eppure dovresti. .. psicoanalizzarti un po'. Mozart, devi avere certi complessi, tu ... Mozart Guai se non li avessi: sono il pane, per noi ar tisti. Li coltiviamo, anzi, per coglierli al momento opportuno. Rufio Avrei giurato che la psicoanalisi non ti piacesse. Mozart La tua. Perché sa un po' di medicina.
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Rullo Io non sono malato! Ho bisogno solo di ritrovare le cose che ho dimenticato. Mozart Come il campanello, per esempio.
Forse posso ancora salvarmi ». E decide di separarsi da una madre cosf possessiva. « Ladra » le grida. « Ladra della mia vita. Me l'hai rubata fino a stamattina. Figliolo, marito, fratello - un burattino. Ho recitato per te come un burattino. Tutte le parti. Padre, nonno, zio, amante. L'utero tuo comandava. Mi hai spolpato ... Da oggi si cambia registro.. . Non ti voglio piu vedere. Non ti voglio piu sentire. Non metterai piu piede in casa mia ... Ti ho detto tutto? sf, mi pare di sL Mi guardi? Ti sembro matto. Non lo sono. Il tuo subcosciente lo sa ... Addio». Con un taglio netto, Ruffo guarisce dei complessi di madre. « Anche nei confronti della madre », riconoscono Eugenio e Olinto, « aveva ragione Ruffo ». Liberatosi anche dall'altra« mamma », il partito, da lui ingoiato come un coccodrillo, a questo punto Ruffo se ne va a Roma, mette su la galleria d'arte, allestisce la prima mostra. Il motivo « vorrei e non vorrei » - che sta al centro del suo sogno, e delle sue perplessità, quel sapore in bocca tra dolce e disgustoso, di cinghiale e di agnello insieme, la decisione di ritrovare le cose dimenticate (di occuparsi un po' di se stesso, di trovare un. po' di pace, di agio) e la coscienza del suo opportunismo, della resa - lo sentiamo all'inizio, quando viene rievocata la sua infanzia, canticchiato da Rosanna (la sorella, che si fa ammirare da Costantino), e da lu.i, Ruffo, ripetuto insieme con l'amico; lo risentiamo alla fine, dinanzi al suo cadavere, mentre Olinto ed Eugenio ne invocano il nome. « Vorrei e non vorrei » . Ruffo aveva bene interpretato il suo oroscopo. Nato il 6 ap.rile, so.tto il segno dell'ariete. Ascendente del leone, luna nel sagittario. Un triangolo di fuoco. Complicato da Marte nel toro e maIeficato da Saturno. Fiammate e scoramenti. Incoerenza
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Mozart dà un campanello a Ruffo, di quelli che si sonano durante le funzioni . Rullo Il campanello?! Ah, si, è vero. Il campanello. Oggi è il sabato... Mozart ... Santo! Senti?
Mozart, indicando i due vescovi (che si genuflettono come prima e come prima dicono: « Oleum sanctum crisma. Oleum sanctum crisma. Oleum sanctum crisma»), avverte Ruffo: « Se non ci sbrighiamo, tra poco scioglieranno le campane». Mentre Ruffo ripete « ... scioglieranno le campane... » si avvicina al comodino e scrive: « Sabato santo... Pasqua ... » Alle sue spalle si avvicina una strana figura, poi la madre, Anita: « Oggi è il sabato santo. Occorre silenzio... Ti porto io in Duomo... Dammi la mano... » Funzione religiosa, Ruffo suona il campanello; poi Anita, ancora prendendolo per mano, rincuora il figlio, che ha paura dell'esame di maturità: i membri della commissione, il presidente, sono tutti amici della mamma, che lo sospinge, lui riluttante, ora verso l'uno ora verso l'altro professore. Risuona l'ultimo terribile grido di Don Giovanni. Ad interrompere il sogno, il grido di Ruffo: « Nooo! » Scompare la musica. Le varie figure si ritirano negli angoli. Il sogno è finito. « Che c'è, che c'è? Eccomi! Che ore sono? · Oddio, le otto ». Ruffo si veste velocemente: « Correre, sissignore, correre. Da mamma. La colpa è forse tutta di mamma; sf, sempre della mamma... Ha rubato la scena a tutti. Santa psicoanalisi, ora pro nobis.
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somma. E infatti Ruffo; come si è visto, alterna momenti di entusiasmo a momenti di sgomento, depressione. « Padre mio che stai nei cieli, ariete, dove sei? » invoca prima dell'incidente automobilistico, mentre attende Valeria, e guarda l'ombra che la luna, sbucando dal verde, disegna in terra; e contemplando il cielo, mormora: « Quella è la vergine, tutta distesa .. . Le antenne dello scorpione... Questa la bilancia... Ecco, ora ti vedo, padre mio protervo ariete. Tu solo forse sei la mia giustificazione. Ti sono figlio sin nel midollo delle ossa. Che debbo fare? Perché mi guardi e spingi le corna contro la luna? Sei in una delle tue congiunture migliori ». Eppure egli non raggiunge Valeria e va incontro alla morte: l'incidente automobilistico non è che un suicidio. « Freud, fratello mio » . « Ariete, padre mio». Al pari della psicoanalisi, l'astrologia è per Ruffo una giustificazione: nell'una e nell'altra si sente assolto da tante colpe. Altri ancora sono dunque in Ruffo '60 i motivi che ritroviamo nei film dei Taviani: quello appunto generazionale, della stanchezza con il passare degli anni, della resa, dell' « oraccia », del suicidio e al tempo stesso, nei giovani (e nei due registi) la presenza della prospettiva, dell'utopia nell'accezione che vedremo; e ancora il coacervo di razionale e irrazionale, sino a certi rapporti sessuali, di lesbicismo, e alla figura del gelataio. « Con la cinepresa o con il microfono quello che conta è raccontare »: raccontare per immagini e rapporti di immagini. Nell'ascoltare Ruffo '60, noi vediamo oltre che sentire. Il senso profondo dell'impiego del sonoro (della colonna sonora, si potrebbe dire: rumori, dialoghi, monologhi, squilli di campane e tintinnare di campanelli, Mozart) crea nell'ascoltare anche concrete immagini vi-
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sive. Persino il colore si vede, con una precisa semanticità: là, nella galleria d'arte, quando Ruffo dice alla figlia di appendere alla parete il quadro tutto viola raffigurante una donna (Valeria?); la sezione aurea è trovata e la morte si avvicina. Egli continua a lavorare, ma è perduto, finito: non ci si può salvare isolandosi nel lavoro individuale e mentre fuori infuria la lotta; una scelta rinunciataria è sempre e comunque un suicidio. Uri'ultima preghiera a Giulietta di chiudere porta e finestre, affinché non gli giungano i rumori di strada, dei dimostranti e della polizia che carica. Ruffo è solo accanto a quella tela viola; si siede, si alza, sposta leggermente la sedia, si risiede; sfogliando il libro, il suo libro, legge a voce alta il brano già riportato e la parola « Fine ». Il colore viola qui ha lo .stesso significato - di morte, di suicidio appunto che assumono a esempio i glicini in Allonsanfan. Citando un nome caro ai Taviani, Ruffo aveva detto alla figlia: « La sezione aurea del corpo umano. L'ombelico? Leonardo lo dice. Secondo te è piu vicino alla testa, ai piedi, alle braccia? Te lo dico io: è piu vicino e piu lontano da tutto ». Ruffo non ha ormai altro da dire, a nessuno. Il suo fallimento - la sua morte-suicidio, prima morale e poi anche fisica - tuttavia ·serve: spiega davvero fin dove si può scendere nella materia senza che scendere significhi sprofondare. Serve, e niente rimpianti; ché il tempo perduto - non solo quello sentimentale, psichico - diventa cosi, nel racconto dei Taviani, tempo ritrovato: nel riflettere sulle vicende passate, essi vedono gli errori commessi e, nel presente, quale la strategia possibile. La storia di Ruffo non è dunque la storia di un uomt> in particolare: traduce un dramma che è stato e perdura ancora: di chi ,
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pur volendo diventare rivoluzionario, continua a essere borghese in mezzo ~ borghesi o tale rimane, anche vivendo una realtà piu grande di lui, in quanto crede di essere comunista ma lo è solo in una dimensione esistenziale, e unica sua forza può essere - come accade a Rufio e a tanti altri intellettuali - l'opportunismo, la ;esa al conformismo. È una storia che denuncia il tentativo, spesso fallito, di estrarre dal nostro sangue culture che vor_remmo non nostre, quella cattolica piu retriva anzitutto; e sottolinea le difficoltà che si incontrano, le non poche lacerazioni nel percorrere la via verso la nuova sinistra per un approdo o un ritorno a Marx. Da una parte dunque la stanchezza, la rinuncia, la resa e la critica degli errori commessi anche dal pci - una critica da sinistra, non da destra - ; e, dall'altra, la prospettiva, l'utopia: anche queste, costanti nell'opera dei Taviani: e un ritorno a Marx è appunto il tentativo che essi operano nei loro film. Dove, al pari di qui, « si presentano i fatti », come afferma Olinto, « piu che i loro perché ». « I fatti », aggiunge Eugenio: « alcuni fatti. Basta». Ma poi da questi, rappresentati con fantasia e anche ironia, traggono - in una analisi condotta in diverse direzioni e con diverse ipotesi - implicazioni e deduzioni in modo critico, problematico; e indicano quanto c'è -di « umano », di natura umana nei personaggi individuali e collettivi, negli errori che commettono, e insieme il « giusto » che ali'« umano » può contrapporsi e si contrappone. « Sono ancora alla memoria e devo giungere alla fantasia », mi scriveva dal sanatorio il mio caro amico Carlo Corritore, poco prima della sua immatura scomparsa; « sono agli esami di coscienza e il realismo nasce dall'umiltà dei fatti » (ma egli aveva già raggiunto la fantasia, e con essa il realismo).
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Certamente Olinto ed Eugenio sono Paolo e Vittorio Taviani 3 : in queste due persone essi rappresentano se stessi, le proprie origini culturali, ideologiche, politiche, religiose; le ricerche e il cammino compiuti sino a Un uomo da bruciare realizzato con Orsini nel 1962 in Sicilia, tra i « cafoni »; raccontano si le loro memorie ma avendo raggiunto la fantasia, superato gli esami di coscienza nel realismo dei fatti. E suggeriscono anche alcuni dissensi nel lavorare a coppia (e, all'i..-iizio, con Orsini), come risulta a esempio in questo colloquio tra i due amici di Rufio, allorq\lando hanno finito di rievocare il « co- • mizio spettacolo »: Olinto Te lo dicevo io. Bisognava usare proprio una scena del E11genio Olinto Eugenio Olinto
E!1genio Oli1lto Eugenio Olinto
nostro vecchio copione di massa. (diffidente) Perché? Io non ero d'accordo? Non ti ricordi che ti sembrava troppo particolare? Certo. Finché non ti ho convinto a mostrarlo anche nelle sue ingenuità. Altrimenti era un ibrido. (con forzata bonomia) In quanto a questo, no, Eugenio, no. L'idea centrale era già ben chiara ... Mi ti stai dimenticando che tutta la seconda parte, se non era per me ... Per te? È sciocco fare tra noi queste storie, ma se si tratta di precisare, allora è bene precisare. Precisiamo, precisiamo. Appunto, precisiamo.
' Forse Olinto è Vittorio; Eugenio, Paolo. Lo si potrebbe dedurre piu da Delio che da Rufio. Dice nel primo testo Olinto ad Eugenio: « Lo scor• ' pione! Delio aveva ragione: sei dello scorpione. Non ti domini! »; ed Eugenio, in entrambi i testi, accenna a Lina, che è la moglie di Paolo. Due battute, sempre in Delio, specificano che Eugenio-Paolo è « per l'effetto», Olinto-Vittorio « per la chiare-.t.za ». Ma i registi, a lln certo punto, confondono le attribuzioni: l'uno dà all'altro caratteri propri.
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Ma a questo punto, litigando sottovoce con control. lata acidità, Olinto ed Eugenio escono, e termina la prima parte di Rufio '60. Come si è detto, Delio viene scritto tra il 1958 e il 1960; e Ruffo è messo in onda nel 1975. Da una lettura comparata di quella prima stesura - apparsa in « Teatro Festival» (n. 1, Parma, aprile 1966)- e l'ultima, rielaborata per la Rai, la struttura dei due testi risulta analoga; né molti sono i tagli e le aggiunte nel dialogo, i cambiamenti. Tuttavia alcune modifiche, nei dialoghi, attenuano l'elemento cristologico, in particolare nel contesto autobiografico degli autori. « Non ci si salva: il mio passato cattolico rifà capolino... A meno che la Pasqua non voglia dire ... primavera... natura ... Ma? Chi lo sa? » dice durante il sogno Ruffo. E quando Eugenio ed Olinto lo rimproverano di « averne fatte troppe » (« Tua moglie, il partito, ora anche tua madre » ), risponde: «Amen.Due preti, guardateli. Mi chiedono le confessioni. Poi mi scomunicano. Guardalo l'Olinto Addolorato: si copre perfino la faccia con le mani ». Eugenio ed Olinto, cioè Paolo e Vittorio Taviani, nati in una« città di preti », hanno avuto una educazione cattolica provinciale: sempre piu con il passare degli anni - a cominciare appunto da Delio - operano una critica alla religione, senza riuscire peraltro a togliersela completamente dal sangue (si vedano in Un uomo da bruciare, a esempio, le nuvole che abbuiano il paese natale di Salvatore quando questi viene ucciso, certi caratteri del personaggio). In Delio, Eugenio afferma: « Non per niente alcune delle misure di Delio coincidevano con le sue [ indica Olinto] e con le mie. E per qualche tempo lui e noi vestimmo gli stessi panni ». Queste parole, tolte in Ruffo, si possono riferire anche ai Taviani e a Orsini prima che si dividessero. Del resto il
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Fausto di I dannati della terra è un Delio-Ruffo che riesce a superare la crisi, dopo avere abbandonato le due madri, quella naturale e il partito, ed essersi rinchiuso nel suo lavoro individuale. In merito ai motivi che in Delio anticipano l'opera cinematografica dei Taviani (e di Orsini), va notato che nell'allestire il radiodramma essi si avvalgono anche di quell'esperienza. E Delio finisce s1 annunciando un'opera nuova, ma non accenna alla Sicilia, ai « cafoni »: cioè non era maturata ancora l'idea, appunto negli autori, di Un uomo da bruciare. Da una critica delle varianti di tali motivi risultano, infatti, alcune diversità. In Delio come in Rufio ci sono rimandi a Freud, all'ariete (alla psicoanalisi e all'astrologia) e anche a Mozart; e il protagonista - il cui cognome è qui Damiani e non Sanesi finisce il sogno con l'ultimo terribile grido. di Don Gio' vanni, quel « nooo » diretto alla madre, inteso come negazione di questa, libernzione dal complesso materno, « complesso numero uno». « Non vado nemmeno dallo psicoanalista », dice Delio. « Il sogno ha parlato chiaro: dall'apparizione della madre in giu, il caos! Ma come non arrivarci prima? » Non c'è tuttavia (cosi come nella scena in cui Delio e Costantino sono nascosti nell'armadio per sfuggire ai tedeschi) il motivo « vorrei e non vorrei »; altre sono le melodie mozartiane. Seconda variante. Mentre Delio allestisce la mostra aiutato dalla figlia, Giulietta, e cerca la sezione aurea, non giungono da fuori i rumori dei dimostranti. e della polizia che carica; né ci sono le riflessioni sulla materia: egli non legge ad alta voce il brano del suo libro sulla pittura informale e la parola « fine ». Sempre in questa parte, Delio invita la figlia a prendere non la tela viola con la donna ma « il quadro di Dubuffet ». E quando
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con l'amico è nascosto nell'armadio, la scoperta esaltante che gli confessa non è Ariosto, l'Ariosto dell'Orlando Furioso, ma Tacito, il Tacito degli Annali: anche in questo caso non come vengono fatti leggere e si leggono a scuola: « Tacito bisogna leggerlo da noi, per conto nostro. Tu non immagini nemmeno cosa ti aspetta a leggerlo sul serio ». Continuando con tono malizioso, per incoraggiarlo: « E poi, sai... è spinto, anche. Figurati un intero capitolo è dedicato agli stupri. Stupri di uomini con donne, e di donne con bambini ». « Storia e tragedia nello stesso tempo » conclude Delio. « Lo rileggiamo insieme, vero Costantino? » E tuttavia le varianti corrispondono ad equivalenze, ad altri motivi che troviamo nell'attività cinematografica dei Taviani (e di Orsini): l'insistere sull'analisi dell'animo umano inserito nella vita nazionale. In Delio, Eugenio ricorda ad Olinto che essi sono « qua solo in veste di storici». E negli Annali, letti per conto proprio e non a scuola (cos{ come nel ratto delle sabine nello Scorpione), essi vedono innanzitutto per l'appunto storia e al contempo tragedia - quella tragedia che man mano liberandosi dal cristologico, in una dialettica tra razionale e irrazionale, diventa sempre piu atea nei Taviani - , « ricchezza di casi drammatici », quali 'le vicende da essi rievocate (l'occupazione tedesca, la Resistenza, il dopoguerra, Budapest, ecc.); e in Tacito il « profondo indagatore dell'uomo », lo scrittore « curioso di penetrare, di là dalle contraddizioni della storia, nei recessi » intricati dei protagonisti, una « analisi insistente, acuta » delle loro passioni e difetti, una messa « in caricatura » di alcuni loro aspetti anche, miranti « a far rivivere, spoglia di ogni velo, la personalità umana ». E infatti qui come altrove, i Taviani, sulla falsariga anche di Tacito,
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guardano al comportamento dei personaggi, anche con « interesse psicologico largo e profondo » per il « divampare violento delle passioni e delle ambizioni » e alla interpretazione problematica della storia. Al conte~po _ altro motivo dominante nell'opera dei Taviani nella loro . ' ricerca progressiva - essi vedono nello stile di Tacito un es~pio di grande efficacia espressiva e allusiva. Probabilmente la « donna » di Jean Dubuffet che a Delio fa trovare, nella galleria, la sezione aurea, è il Grand nu _charbonneux dell'agosto 1944: « su una superficie ruvida appare un nudo femminile evocato dalla memoria• . ' s1 tratta », come annota Ji.irgen Claus, « di un'orma irriflessa, restituita in base alle proprie impressioni ottiche » •. Delio-Ruffo era stato un « comunista in una accezione esistenziale », e non a caso nel suo isolamento approda all'arte informale e non a caso sceglie Dubuffet: infatti « nell'ambito delle poetiche dell'informale il tema della materia » - il quale « rientra nell'arco di pensiero che va dallo psicologismo di Bergson all'esistenzialismo di ~artre » - _è stato affrontato in Francia da quel pittore e, m modo diverso, da Fautrier. La materia. Essa « è il flusso continuo della realtà o dell'esistenza: facendosi materia ciò che non è, il futuro, si trasforma in ciò che è stato, il passato. Si può dire » - continua Argan la morte, di questa non ha paura: in carcere legge il Vangelo, e quella lettura, in un primo tempo priva di interesse, lo attrae sempre piu. « La maggior parte del suo tempo, aveva incominciato a passarlo nella lettura e nel ripensamento di ciò che era scritto in quel libro». « Si, se tutti vivessero a questo modo· - pensava - , allora non sarebbe necessaria neanche la rivoluzione». « Tanto piu si persuadeva via via che, in questo libro, era detto qualcosa di eccezionalmente profondo ». E prima dell'esecuzione, chiede pietà a Dio: « Nelle Tue mani rimetto lo spirito mio ». Nella luce annulla la morte anche il vecchio contadino, il settario religioso in carcere per aver manifestato quel che pensava su « pop », funzionari é lo zar: dubitando dei suoi pastori spirituali va in cerca della vera fede. « Gli uomini hanno perduto la vera fede, e si son dispersi qua e là, come cuccioli ciechi lontani dalla madre. Ma egli sapeva, intanto, che una vera fede esiste. Lo sapeva perché sentiva questa fede nel suo cuore. E cercava questa fede dovunque. Soprattutto sperava di trovarla nell'Apocalisse di Giovanni» che continuava a leggere. A Ighnàt Mezenjètzkij, uno dei principali rivoluzionari della corrente terroristica _ che aveva persuaso Svjetoglub a seguirlo - domanda
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quale sia la sua fede e quella dell'amico. « La fede nostra... Be', accomodatevi - disse Mezenjètzkij ·stringendosi nelle spalle. - La fede nostra, ecco in che consiste. Noi crediamo eh.e vi siano degli uomini i quali si sono impadroniti del potere, •e •tormentano e ingannano -~l popolo; e che sia necessario .non ·Tisparmiare se stessi, lottare contro questi uomini, per liberare il popolo, che da essi viene sfruttato. [ ... ] E quindi son loro che bisogna levar di mezzo. Loro uccidono, e loro devono essere uccisi fin tanto che non si ravvedranno [ ... ] La fede nostra' consiste in questo, nel non risparmiare noi stessi, nell'abbattere il governo dispotico, e nell'istituirne uno libero, elettivo, popolare ». Il vecchio contadino rifiuta una tale concezione di. « fede ». Quando, dopo sette anni incontra Mezenjètzkij in un'altra prigione, lo rimprovera di non avergli rivelato la verità, che egli ora conosce e manifesta a tutti: « L'agnello ... Io rivelo l'agnello ... quel giovinetto [Svjetoglub] stava con l'agnello. E nel libro è détto: l'agnello li vincerà, vincerà tutti ... E vinceranno anche quelli che stanno con lui, i suoi eletti e fedeli ». Mezeniètzkij non comprende queste parole dell'Apocalisse. « Il vecchio sapeva benissimo quel che diceva. E quel che diceva, p~r lui, aveva un chiaro e profondo significato. Questo significato era che al male non restava piu molto da. regnare, e che l'agnello, con il bene e con la ma?suetudme: avrebbe vinto tutti. Che l'agnello avrebbe rasciugato ogni lacrima, e che non sarebbero piu esistiti né pianto, né malattia, né morte. Ed egli sentiva che questo si stava compiendo, si stava compiendo in tutto il 'mondo, giacché si stava compiendo neU'anima sua, compenetrata di luce dalla vicinanza della morte ». E ancora, ripetendo dall'Apocalisse: « "Si, vie:ii presto! Amen. Vieni, Signore
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Gesu", [ ... ] la faccia gli si soffuse di un sorriso pieno di espressione e (come parve a Mezenjètzkij) di follia» . Il vecchio settario dunque muore, « e allo sguardo del suo spirito si era scoperto tutto ciò che co~ tanto ardore aveva cercato e bramato per tutto il corso della sua vita. In mezzo a una luce abbagliante, egli scorgeva l'agnello, sotto forma di quello splendente giovinetto [ Svjetoglub]; e un'immensa moltitudine d'uomini d'ogni nazione stava 'ritta dinanzi a lui, in vesti candide, e tutti esultavano' e il . male non c'era piu sulla terra. Tutto questo s'era compiuto contemporaneamente (il vecchio lo sapeva) nella sua anima e in tutto l'universo; e gliene veniva una grande esultanza, un grande appagamento ». « "Dappertutto c'è Dio, dappertutto c'è uomini". ». I testi di Paolo e Vittorio Taviani non sono certo il Vangelo, l'Apocalisse. Non sono comunque «sacri». .Se la poetica dei due registi, la loro visione del mondo non è certo spiritualistica, mistica, perché dunque essi si sono ispirati a Tolstòj, e al Tolstòj convertito alla religione? Non è forse vero - come piu volte hanno dichiarato che l'artista da loro preferito è Goethe? « Pensiamo al grande ignorato dalla cultura cinematografica, Goethe: forse il piu adatto ad aiutarci oggi », affermavano nel 1963. Non è accidentale che, per Lenin, Tolstòj fosse lo scrittore prediletto e di questi avesse sottolineato aspetti e tendenze positive nella sua arte e nella sua estetica, pur non sottacendone i lati reazionari; e cosi pure altri pensatori marxisti, da Rosa Luxemburg a Karl Liebknecht a Lukacs. « Il mondo borghese ha rilevato unilateralmente i soli caratteri reazionari di Tolstòj, volendo vedere iri essi l'unica base della sua attività artistica » , . scrive Lukacs. « Nulla di piu facile che scoprire i lati deboli della critica tolstoiana dell'arte moderna. Il fatto
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stesso che Tolstòj definisce il giusto senso della vita come senso religioso e fa dipendere la decaden~a dell'ar_te dalla circostanza che le classi dirigenti sono diventate irreligiose, rivela chiaramente l'aspetto reazionario della sua estetica. E non bisogna credere che questa tendenza sia casuale deviamento di Tolstòj; essa è in stretta relazione con i lati positivi dell'estetica tolstoiana [ ... ] Il problema centrale [ ... ] consiste nell'umanesimo plebeo e contadino espresso dall'estetica di Tolstòj. [ ... ] Tolstòj, come pensatore, subisce i molteplici influssi d~ tendenz: ag-nostic,he, che si rivolgono contro le f~colta conos~1tive della ragione umana e contro la ragione umana in generale [ ... ] Ma, dietro a tutti questi traviamenti, sta solida la linea fondamentale dell'estetica tolstoiana: l'arte [ ... ] deve occuparsi dei grandi problemi della vita, [ ... ] deve conservare quell'antica semplicità della forma che rende universalmente comprensibili Omero e i racconti biblici. Utopisticamente, Tolstòj si immagina un avvenire in cui la società non avrà piu parassiti [ ... ] La linea fondamentale dell'estetica di Tolstòj porta verso i grandi problemi centrali dell'estetica umanistica »; egli « è stato uno dei pochi che nella sua epoca abbiano tentato, secondo le loro possibilità, di mantenere in vita e sviluppare le tradizioni umanistiche » 1 • Una delle cose che avvicinano i Taviani al primo Visconti (da Ossessione a Senso), e che glielo fanno amare, è la rilettura critica dei classici nel contesto di uno sviluppo di tali tradizioni, un innesto attualizzato di certi problemi. Anch'essi sentono - non dimenticando i prindpi marxisti sulla tradizione vitale - la necessità di un !egame con il passato, e quindi anche con l'Ottocento, so· ' Gyorgy Lukacs, Saggi sul realismo, Einaudi, Torino 1950.
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prattutto russo (oltre a Tolstòj, Dostoevskij). Non nascondono che alcune pagine tolstoiane fanno da « coagulatore » di certi loro umori nel momento in cui pensano e realizzano film a cominciare dall'opera dell'esordio, Un uomo da bruci~re, diretta in collaborazione con Valentino Orsini (il cristologico nel personaggio del sindacalista siciliano, sia pure visto come elemento critico); e poi - altro esempio - si veda Sovversivi. I Taviani non trascurano « il problema dell'uomo di fronte alla sua individualità· il momento irrazionale che, nel confronto non procra' . stinabile con la morte, si fa religioso - tutto un patrimonio che la cultura di sinistra aveva abbandonato al decadentismo - , si impone oggi nella sua necessità » ( e una riprova, calata nel versante opposto del materialismo storico, qui quello dello spiritualismo esistenzialista, l'offre appunto Sussurri e grida, stroncato dalla •sinistra e, fatte poche eccezioni, anche dalla nuova sinistra). La « saturazione illuministica ci fa scontrare con il troppo sconosciuto. Uno sconosciuto non inconoscibile, probabilmente; ma ancora da conoscere»•. Di qui una «diffidenza» dinanzi all'assoluta preminenza dell'uomo politico, storico (oltre che dell'« eroe » ), solo parti d~ un tutto e non interazione tra interno ed esterno. « C1 mettiamo in sospetto quando sentiamo parlare di ideologia. Ci ha rassicurato la sostituzione che qualcuno ha fatto usando "senso del film" al posto, appunto, di ideologia», affermano nel 1967 a Pesaro, nel loro intervento alla tavola rotonda su « Linguaggio e ideologia nel cinema ». « Questo termine ci riporta a precedenti preoccupazioni aberranti: ideologia come falsa coscienza, come • Cfr. Situazione del cinema italiano, relazione alla tavola rotonda sul tema « Critica e nuovo cinema», Pesaro 1965.
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sovrastruttura diaframmatica tra noi e le cose; ideologia anche, almeno nell'accezione italiana, come assoluta preminenza dell'uomo politico, dell'uomo storico. Oggi le nostre radici materialistiche ci portano a una posizione polemica verso ogni forma di ideologia che ponga l'accento su atteggiamenti storicistici tout court. Ci interessa, oggi, ritrovare anche l'uomo biologico, l'uomo nelle sue strutture base: l'istinto della sopravvivenza nell'amore e nell'orrore della morte; quei "dati costanti della condizione umana che sotto l'istinto sessuale, l'indebolimento della vecchiaia (con le rdative ripercussioni psicologiche), la paura della morte propria e il dolore per la morte altrui" 5 • Cioè tutta quella continuità do-
• > Al primo Congresso degli scrittori sovietici (Mosca 19.34), dove viene imposto un « realismo socialista » schematico, malamente inteso, llja Ehrenburg tra l'altro afferma: « Una volta ho visto Contropiano. In questo film"c'era tutto quello che "ci deve essere" però mi sono permesso di osservare che non somigliava alla realtà. Mi hanno risposto: ma che dite, il nostro "lavoratore d'assalto" è proprio vivo,. abbiamo persino avuto l'audacia di fargli bere un bicchierino di vodka. Adesso, poi, c'è chi decide di *vivificare" un racconto dedicato a un "lavoratore d'assalto" o a una staz.ione di macchine e trattori con piccoli episodi amorosi, inseriti qua e là, a intervalli regolari. Ma i manichini rimangono manichini, non possono ·trasfonnarli in uomini né un bicchierino di vodka, né due o tre baci ben dosati, né una lacrimuccia razionata. I nostri operai sono uomini vivi, che lavorano, lottano, amano, baciano, leggono libri, fantasticano, qualche volta fanno stranezze, sono gelosi, insomma vivono. E somigliano cosi poco ai "lavoratori d'assalto" di certi libri come i loro onnai dimenticati e disgraziati bisnonni non somigliavano affatto ai pastorelli galanti di una pastorale. Molti autori seguono la via della minor resistenza. I:. molto piu facile sbagliare nel mostrare l'uomo vivo, che non nel ripetere laconiche dichiarazioni programmatiche». Ehrenburg, sempre al Congresso degli scrittori, aggiunge: « Al posto della vita, calda e vibrante, invece di una biografia organica, ci troviamo spesso di fronte a una semplice dichiarazione, corredata dalla carta d'identità di un "lavoratore d'assalto" e di una decina di idee ormai arcinote a tutti [ ... ] La nostra letteratura ha anche un altro difetto. Noi vediamo continuamente i nostri personaggi muoversi nel reparto della fabbrica o nella direzione del kolchoz. I ponteggi del cantiere si trasformano in una ribalta ultrnteatrale, e l'uomo vi appare isolato da
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vuta al fattor che· 11oomo, come essere biologico, . è rimasto sostanzialmente invariato dagli inizi della civiltà a · oggi; e poco sono mutati · certi · sentimenti e certe rappresentazioni che piu da vicino si· riferiscono ai dati biologici dell'esistenza umana. Qudla continuità, insomma, per cui, diceva Marx, sentiamo cosi vicina a noi la poesia di Omero». Dopo un salutare ritorno a una coscienza semiologica, « personalmente ce ne sentiamo saturati », aggiungono i Taviani, sempre nel 196 7, l'anno in cui esce Sovversivi, dove, come si è accennato, troviamo un altro rimando a Tolstòj, « senza paura dello scandalo »; tutt'altro. « Ci viene voglia di riprendere, polemicamente, una arcaica affermazione di Tolstòj, in uno di quei suoi scritti deliranti, diciamo pure folli, ma sempre rivdatori, che sono i suoi scritti sull!arte. L'affermazione è nota: "affinché ciò che dice l'artisra sia espresso in modo completamente buono, è necessario che l'artista sia maestro del suo mestiere, in modo da operare pensando cosi poco alle regole di questo mestiere, quanto poco l'uomo che cammina pensa alle ~egolé: della meccanica che condizio-
tutto il resto della sua vita. Perché un "lavoratore d'assalto" non può essere un sognatore? Che cosa pensa, secondo voi, io uoa giornata di vacanza, osservando la superficie di un fiume increspata dal veoto? Un caposquadra non è forse capace d'essere geloso, malizioso o triste? E se a un fonditore d'acciaio muore la figlia, non si possono dedicare venti pagine alla descrizione dei forni e aUa morte della figl.ia due sole righe, aride come una registrazione anagrafica. Mi rendo perfettamente conto dell'importanza del lavoro; so che proprio il lavoro trasforma ed eleva l'uomo, ma dall'autore di un romanzo voglio piuttosto conoscere nei particolari il dolore dell'operaio che ha perso la figlia, e non la descrizione dei forni; voglio sapere come egli è riuscito a vincere questo suo dolore, poiché so che la morte di una figlia è un avvenimento importante della vita, e che merita piu di due semplici righe». (Cfr. Rivoluziot1e e leueratura a cura di Giorgio Kraiski, Laterza, Bari 1967). [G. A.]
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nano il suo camminare". L'affermazione, ripetiamo, suona arcaica. La coscienza del proprio camminare fa parte integrante dell'operazione camminare, certo. E inoltre: in momenti di malattia, quando questo camminare è• divenuto penoso, è necessario andare dal medico per studiare i propri arti, riattivarli parte per parte. Ma oggi, che il momento critico è in via di superamento, almeno per il fatto di averne preso coscienza, personalmente nell'affermazione di Tolstòj troviamo un invito, giustamente impaziente, a riprendere di petto le ragioni per cui ciascuno di noi ha bisogno del cinema, per esprimere se stesso, ed esprimerlo chiaramente, globalmente » 6• Tutto questo non significa affatto che i Taviani definiscano il giusto senso della vita - e della morte come religioso nell'accezione tolstoiana, anche se di « religiosità » parlano; vale a dire del grande scrittore russo non subiscono i molteplici influssi di tendenze agnostiche, e non vanno a « predicare tra la gente » e contro le facoltà conoscitive della ragione umana e contro questa in generale. Salvatore - il protagonista di Un uomo da bruciare muore avendo orrore della morte, pur credendosi un Redentore, un Cristo, mentre le nuvole abbuiano il paesaggio come in una Crocifissione; la morte di Togliatti, nei Sovversivi, è l'emblema e al tempo stesso la realtà della fine di un'epoca; Giulio Manieri - il personaggio principale di San Michele aveva un gallo - si suicida, certo non annullando nella « luce » le « t~nebre » come accade a Ivàn Iljic e al giovane rivoluzionario Svjetoglub, al vecchio settario de Il divino e l'umano.
Il divino scompare; rimane l'umano. E l'wnano anche in senso tolstoiano, quale emerge a esempio in una memorabile pagina di Resurrezione, che senza dubbio i T aviani conoscono assai bene:
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• Cfr. in.tervento tenuto in Pesaro 1967 alla tavola rotonda su « Lin• guaggio e ideologia nel cinema».
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È una delle piu volgati e piu diffuse superstizioni che ogni persona umana disponga esclusivamente delle sue determinate qualità, che ci siano persone buone, intelligenti, stupide, energiche, .indifferenti, ecc. Le persone umane non sono fatte cosi. Noi possiamo dire di una persona umana che è piu spesso buona che non cattiva, piu spesso energica che non apatica o viceversa; ma abbiamo torto quando di una persona diciamo che è buona o intelligente e di un'altra che è cattiva o stupida. Eppure noi classifichiamo sempre cosi gli uomini; ma ciò non è giusto. Gli uomini sono come i fiumi; l'acqua è uguale dappertutto, ma il fiume ora è ristretto, ora veloce, ora ampio, ora tranquillo, ora trasparente e freddo, ora sporco e caldo. Cosi anche le persone. Ogni persona umana porta in sé i germi di tutte le qualità umane, solo che ora l'una ora l'altra appare alla superficie, e accade che talvolta una persona nemmeno somigli a se stessa, pur essendo rimasta quella che sempre era stata.
A proposito di questa pagina di Tolstòj, Lukacs osserva che una simile polemica contro la concezione troppo rigida del carattere umano, contro la pretesa rigidità della letteratura piu antica nel descrivere i caratteri, è molto in voga anche presso i naturalisti moderni. « Ma, quando due persone dicono la stessa cosa (o una cosa simile), non si tratta mai veramente della stessa cosa. La polemica contro la rigidità dei caratteri ha portato i naturalisti verso la tendenza a dissolvere definitivamente la raffiguraziçme dei caratteri in generale. Un personaggio poetico non può acquistare un volto o lineamenti ben definiti se non è in movimento, se non è in attivo conflitto con il mondo circostante, se non agisce ». Finché egli
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è in uno stato di calma, inquadrato in un ambiente sta-
tico - continua Lukacs - gli si può bensi attribuire ogni sorta di caratteri essenziali, ma nessuno di questi può essere veramente reso in modo espressivo. « Vale a dire: non esiste mezzo poetico che possa distinguere un tratto di carattere essenziale da uno stato d'animo momentaneo. Se dunque i naturalisti hanno protestato contro i trucchi superficiali con cui si cercava di mettere in risalto i caratteri costanti di un personaggio inquadrato in un ambiente statico (per esempio, gesti o espressioni ricorrenti), la loro protesta non è stata ingiusta o incoerente. Ma i naturalisti coerenti si sono dovuti spingere piu avanti, facendo dei caratteri matasse caotiche e disordinate di stati d'animo» 7• I personaggi dei Taviani sono uomini con conflitti privati oltre che pubblici, hanno uno « spazio concreto » per le « loro manifestazioni psichiche » e, per dirla con Lukacs, essi personaggi non corrono il rischio di dissolversi - come vedremo piu avanti - in meri stati d'animo, e ciò perché gli sono esattamente prescritti il campo d'azione e definita la sfera entro la quale quegli stati d'animo devono manifestarsi. In altre parole i Taviani tendono al « radicale », ed « essere radicali », afferma Marx, « significa andare alla radice delle cose. Per l'uomo, però, la radice è l'uomo stesso ». La religiosità di un Tolstòj o di un Dostoevskij - come azior.e concreta e utopica - , oggi, nel nostro tempo - affermano - si è trasformata in politicità: già in Sotto il segno dello scorpione (ma anche in Uri uomo da bruciare, aggiungiamo; la cristologia accennata) c'era qualcosa che aveva radici nel racconto di Tolstoj (Renno, il ' Gyorgy Lukacs, Saggi sul realismo, op. cit.
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personaggio interpretato da Volontè): « alcune di quelle pagine fecero da coagulatore di certi nostri umori del momento. Il '68 era passato, e se lo Scorpione era stato il film dell'utopia, San Michele è il film dopo l'utopia. La riflessione sull'utopia » •. Comunque non abbiamo mai « eroi », ma la critica all'eroe, al personaggio tutto tondo, senza contraddizioni e conflitti e dubbi: critica che trova la sua espressione formale anche e in particolare nell'assunzione dell'ironia, elemento costante nell'opera dei Taviani. Per il momento ci limitiamo ad osservare che la loro ironia è diversa da quella di Tolstòj: in Resurrezione, sottolinea Stefan Morawski, i populisti vengono presentati con calda simpatia, ma l'operaio che legge Marx è trattato con « ironica condiscendenza»; la medesima propensione appare ne Il divino e l'umano nei confronti del rivoluzionario Mezenjètzkij e della brunetta sovversiva che legge Kautsky. · . « Col passar degli anni Tolstòj superò il modo passivo, panteistico di considerare le cose troppo dei contadini: egli rappresentò la società prendendo in considerazione la consapevolezza contadina dell'oppressione e il crescente asservimento morale che si estendeva sulla nazione nel suo complesso. Da cui si sviluppò la critica sempre piu amara al sistema, che divenne la caratteristica dominante dell'opera sua [ ... J Sennonché l'atteggiamento critico fu sopraffatto dalla " nuova " religione che, tra l'altro, impedi al grande scrittore di comprendere la situazione sociale e politica del suo tempo » 9 • Naturalmente i Taviani respingono « l'intima contraddizione in• Cfr. Le pessimisme de la raiso11 et l'optimisme de la vo/onté (intervista), in « Ecran 72 », Paris, a. I, n. 10, dicembre 1972. ' Stefan Morawski, Il marxismo e l'estetica, Editori Riuniti Roma 1973. '
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sita nell'opera di Tolstòj » messa in risalto da Lenin, e non soltanto per i tempi e le condizioni mutati - quelli dell'Italia inizio anni sessanta - ma appunto per la loro visione materialistica che esige la violenza (quella violenza che ne Il divino e l'umano il vecchio settario contesta in nome dell'" agnello", a Mezenjètzkij), la lotta di cl~ssi come motore della storia. In quale senso e dimensione Salvatore è visto in Un uomo da bruciare, anzi egli si vede a immagine e somiglianza di Cristo? come _i tre registi identificano la propria esperienza umana e politica - in questo loro « noviziato cinematografico >~ con quella dei minatori siciliani brutalme?te sfrutta~1 dal capitalismo e dalla mafia? co~ quale real~~mo ~escrivon~ l'ambiente e il panorama particolare dell 1sola, 1 caratte.:i dei personaggi e la psicologia dell' « eroe »?
IRONIA E FANTASIA Un uomo da bruciare esce nel 1962. La stagione del neorealismo è ormai consunta, appartiene allo ieri, con i suoi pregi e difetti, con prindpi teorici piu avanzati rispetto ai risultati pratici nel loro complesso '0 • Nel tenta" Il neorealismo - in particolare Rossellini, Visconti e Zavattini ebbe un grande influsso sulla formazione dei fratelli Taviani e di Vakn• tino Orsini; il loro incontro con il cinema coincise appunto con la scoperta e l'adesione a quel movimento. « Un giorno, per caso, vedemmo Paisà », ricorda Vittorio (nato il 20 settembre 1929 a San Miniato di Pisa), « e riconoscemmo immediatamente in quelle immagini il riflesso delle nosue inquietudini. Il neorea.lismo ci riprop0neva quello di cui avevamo bisogno: la necessità di ricominciare tutto da eapO, di ripartire da zero, per reinventare tutro ». « Ma eravamo molto giovani», aggiunge Paolo (nato 1'8 novembre 1931 a San Miniato di Pisa); « vivevamo in provincia, e fare del cinema era un interrogativo. Cominciammo, appunto in provincia, scrivendo di Rosscllini e Visconti,
p0polarizzando i loro film. Poi nel 1954, grazie all'aiuto di Zavattini, realizzammo il primo documentario, S,m Miniato, luglio '44, una inchiesta sull'eccidio compiuto dalle SS ». (Cfr. « Scheda del servizio stampa» n. 76 a cura della Rai-tv). Tra i documentari dai Taviani dire tti in collaborazione con Orsini, va ricordato anche Carlo Pisacane (il pensatore p0litico e _rivoluzionario napoletano sarà presente, come vedremo, nella loro opera successiva). Prima di arrivare al loro esordfo nel lungometraggio a soggetto, avevano collaborato come aiuto registi con Rossellini e alla sceneggiatura e alla regia di L'Italia non è 1111 paese povero di Joris Ivens (prodotto per la televisione nel 1960). « lvens era veramenre il cinema come documentario», affermano; « aveva l'umiltà e la fantasia del documentarista. Noi, invece, volevamo raccontare storie, fare film veri e p ropri. Erano momenti difficili per il cinema italiano. Il neoreaLismo andava perdendosi nei rivoLi
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tivo velleitario di un cosiddetto « nuovo corso » (in cui tra l'altro Il generale della Rovere di Rossellini torna alla tematica della Resistenza non per approfondirla criticamente, ma per alimentare su di essa altri equivoci) si è fatto avanti il cinema dell'« alienazione», non in senso scientifico e marxiano, il cinema cioè dell'incomunicabilità. I giovani in particolare non scelgono la direzione - sostenuta dal primo Visconti - del realismo critico: la constatazione dei fenomeni e l'analisi delle cause che li fanno nascere e perdurare. Prevalgono le strutture e le suggestioni del nuovo Antonioni - dell' « avventura », in cui l'animo umano è un « grosso buco v1:1oto » - e del di un lxy,zettismo naturalista. Noi rifiutammo tutto questo. E la storia da raccontare nel nostro primo film era proprio questo rifiuto: la riafferma• zione, sia pure tragica, della volontà dell'aggressione. Quello che andava scomparendo nella nostra società del benessere, lo andammo a ricercare io Sicilia dove le strutture arcaiche proponevano ancora uno scontro fron• tale. Ciò che non trovavamo piu negli altri, lo ricercammo in un personag• gio, Salvatore, il protagonista di Un uomo da bruciare». A proposito . della « crisi di libertà » che andava man mano coinvolgendo la crisi del nostro cinema - legata anche a fattori «interni», ai limiti insiti nello stesso neorealismo - ecco quanto mi scriveva Vittorio Taviani nel 1954: « Come le ho comunicato qualche tempo fa, stiamo cu.ràndo, con la preziosa collaborazione di Cesare Zavattini e Mario Zafrcd, la realizzazione di un cortometraggio sulla Resistenza, e precisamente su un atroce episodio di rappresaglia nazista in una cittadina toscana, San Miniato. Il cortometraggio, che si intitola appunto San Minialo, luglio '44, è patrocinato da un comitato cittadino costituitosi in quella cittadina per le celebrazioni del decennale della Resistenza e le onoranze ai caduti. L'iniziativa - cui hanno dato il loro largo appoggio il comune e l'amministrazione provinciale di Pisa - non è giunta gradita invece in altri ambi!!nti, ben individuabili, per i quali il ricordo del passato non è certo un buon ricordo, e la commemorazione delle vittime della ferocia nazifascista viene a tu[barc i piani febbrili di nuove alleanze interne e internazionali. Con l'appoggio delle autorità ecclesiastiche del luogo, ci si è preoccupati di sollecitare l'intervento delle autorità governative. Mentre stavamo girando, il capogabineuo dclla questura di Pisa; espressamente; venuto in missione a San Miniato per ordine del p[efetto, ci intimava con formale diffida a sospendere le riprese, sotto la minaccia di sequestro del materiale girato». (Cfr. « Cinema Nuovo», Milano, a. III, n. 40, 1 agosto 1954).
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« nouveau roman »: la dissoluzione del personaggio; la sfiducia nel racconto, nell'intreccio come sintesi concreta di complesse azioni e reazioni nella pratica della vita, nel conflitto quale forma fondamentale delle antinomie nell'individuo; il parlare l'uno accanto all'altro, non l'uno all'altro, senza intendersi o addirittura senza ascoltarsi. La solitudine dell'uomo insomma ridotto a cosa reificato, piuttosto che le inclinazioni, gli impulsi, i comportamenti di un'altra parte della realtà, operante e viva pur nelle tenebre che ci circondano, nelle crisi sempre piu laceranti. Questa « alienazione » diventa un nutrimento assai diffuso e comune nel cinema italiano agli inizi degli anni sessanta. Risulta davvero « una specie di chiave passepartout » atta a fornire un « alibi sociale » in una affrettata eziologia, diagnosi dell'epoca. E quando dell' « alienazione» si tenta un'analisi, questa risulta spesso troppo generalizzata e semplificante, o approda alla Grazia, al miracolo, come già nel caso di Viaggio in Italia di Rossellini". Nondimeno la lezione di Visconti (di La terra trema da una parte, che per primo pone, accanto alla ricerca stilistica, la lotta di classi come prospettiva nel nostro cinema; e dall'altra parte di Senso, che innesta nella struttura linguistica il melodramma ed è l'antesignano del vero film storico, in una critica gramsciana del Risorgimento come conquista regia e non popolare), questa lezione e lo sguardo dal regista rivolto, criticamente, ai classici - la grande lezione di cui parlava Franco Fortini a proposito di« Lukacs in Italia » - vengono accolti dai Taviani e da Orsini nel loro film d'esordio. (E anche )
" Cfr. Del se11110 di poi son piene le fos,·c, in Dalla critica cinematografica alla dialellica c11/1t1rale. Antologia di ? di Cajkovskij. « Di' ai miei compagni che voglio musica da festa ».· Ritornano, come sentite da lui, le campane a morto. « E che attacchi solo quando la carretta entra in piazza ». Primo piano di Manieri. Stacco. Piazza ripresa dall'alto; entra in campo da destra il carro con esplosione soggettiva di « Capriccio italiano »; il carro è seguito dalla « camera » che inquadra sempre piu dall'alto; la tonalità dei colori parte dal grigio per volgere verso l'azzurro. Sempre ripresa dall'alto, mentre « Capriccio italiano » continua in soggettiva, il carro si porta con una conversione al lato opposto all'ingresso della piazza. Si ferma, Manieri scende, viene portato dinanzi a una colonna e preparato per l'esecuzione. Primo piano di Manieri; sul crescendo e sempre come da lui sentita, cessa « Capriccio italiano », mentre egli, rivolgendosi alla guardia cui aveva fatto il testamento, dice: « E non hai pietà tu di me? » Manieri rifiuta il cappuccio, che gli viene tuttavia messo sul capo. Figura intera di Manieri che, incappucciato, cerca di tenersi in equilibrio e, preso dalla paura, piega impercettibilmente le gambe. « Viva la ri .. . » Non fa in tempo a terminare la parola « rivoluzione ». Gli tolgono di colpo il cappuccio. « Non mi ammazzate piu? » Attimi di sbigottimento. Si china sulle ginocchia, si copre il volto con le mani, mentre si sentono rulli di tamburo. Voce fuori campo: « La condanna capitale viene commutata nei :arcere a vita » .
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Primo piano di Manieri sconcertato, come se non credesse. Manieri tra due carabinieri. Stacco. Su un pako, la folla - tra la quale dame e notabili - grida tre volte « Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re! » 35 Si odono rulli di tamburo. Manieri, impaurito, si volta verso un carabiniere prendendogli per un attimo il braccio. Stacco. Ha termine il primo capitolo del film. La finta esecuzione è strutturata come una messa in scena d'opera: il palcoscenico è la piazza ripresa dall'alto; la carretta entra da un lato, fa una conversione lungo il proscenio, per poi fermarsi al lato opposto. Il « Capriccio italiano » - le poche battute centrali che Manieri aveva udito nella .sua immaginazione quando, durante il testamento, parlava del suo fune.rale, della sua bara che, tra dieci anni o anche meno sarebbe stata dissepolta dai compagni, dopo la vittoria - esplode proprio nel momento in cui il carro entra in piazza. E come un eroe da melodramma Manieri si appresta .a morire, anche se per qualche attimo ha paura; sta per gridare « Viva la rivoluzione », ma la grazia era già stata concessa: non si verifica esattamente quanto aveva pensato la figlia del mie nistro; e abbiamo qui una specie di Tosca capovolta. C'è anche il coro: la folla che, in controcampo, sul palco, inneggia al Re. E da melodramma - da personaggio melodrammatico (si ricordi Salvatore) - è il testamento. L'ironia con la quale Manieri viene visto, attraverso.questa finta esecuzione a mo' d'opera e il testamento, è sottoli" Questa sequcn,,a ricorda l'ini:~. E anche per loro possiamo ripetere, in un certo senso, quanto Trockij disse a proposito di Babeuf: « La lotta di Babeuf
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per il comunismo in una società che non è matura per esso è stata la lotta di un eroe antico contro il fato . Il destino di Babeuf ha tutte le caratteristiche di una vera tragedia, come il destino dei Gracchi, di cui Babeuf prese il nome». La « tragedia della nostra epoca è lo séontro tra la personalità e la collettività, oppure lo scontro tra due collettività ostili che avviene attraverso una personalità. Il nostro tempo è di nuovo un tempo di grandi fini. In questo è il suo contrassegno. Ma la grandiosità di questi fini sta nel fatto ·che l'uomo cerca di liberarsi dalla nebbia mistica e da ogni altra nebbia e di ricostruire la propria società e se stesso secondo un piano che egli ha creato. È, naturalmente, un'impresa un po' piu grossa del gioco fanciullesco degli antichi » - conclude Trockij - « che si addiceva alla loro età puerile, o del delirio monastico del Medioevo, o dell'alterigia dell'individualismo, che stacca l'individuo dalla collettività e poi, dopo averlo esaurito rapidamente sino in fondo, lo precipita nel vuoto del pessimismo e lo butta di nuovo carponi davanti a un rinnovato bue Apis » 56 • Come abbiamo visto, la psicologia e la psicoanalisi sono assunte dai Taviani come strumenti integrativi necessari, essi non gettano mai i personaggi nella nebbia mistica o in ogni altra nebbia: l'eroe individuale, romantico, astratto, il rivoluzionario solo nella fantasia è costantemente criticato in un contesto sociale, e anche politico. Su Tolstòj predomina, nei due registi, Goethe: « Goethe non si occupava volentieri di Dio », scrive Engels: « la parola stessa gli recava fastidio; egli si sentiva a suo agio solamente nel mondo umano, e questa umanità, questa emancipazione dell'arte " Lev Trockij, Lettera/uro e rivo/11zio11e, Einaudi, Torino 1973.
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dai ceppi della religione costituisce precisamente la grandezza di Goethe. Né gli antichi, né Shakespeare possono commisurarsi con lui sotto questo riguardo» 57• Nel ritornare dopo Sovversivi e lo Scorpione al personaggio dell'esordio, i Taviani non contraddicono affatto i loro prindpi sul film corale: anche in quella prima opera, come nelle due ultime, l'uomo non tende ad essere valorizzato come individuo - o individuo soltanto - e tanto meno come protagonista, ma viene presentato quale parte di una comunità e questa a sua volta non si pone come « isola ideale » in sé compiuta ma quale momento della Storia (e si veda quanto si è detto dell' « isola » in senso goethiano). Essi « shakespeareggiano » piu che « schillereggiare », cioè, per dirla con Marx, non trasformano « gli individui in semplici portavoci dello spirito dell'epoca » 58 • Un uomo da bruciare è lo scontro tra due collettività ostili che avviene attraverso una personalità (Salvatore); scontro tra due collettività (quelle delle due isole), lo Scorpione; tra due collettività che diventano ostili (Manieri, i rivoluzionari come lui e i sovversivi della seconda .barca), San Michele; e scontro tra la collettività (i « Fratelli Sublimi ») e una personalità (Fulvio Imbriani), Allonsanfan. Ma perché per i Taviani possiamo ripetere solo in un certo senso quanto Trockij ha detto a proposito ·di Babeuf? Si è visto, a esempio, che il momento tragico, la contraddizione tragica in San Michele e in Allonsanfan, sta soprattutto nel fatto che la condizione fondamentale - cioè l'alleanza con i contadini era impossibile (e, nei riflessi sul presente, in parte possibile; di qui, in Allonsanfan, l'indecisione dei contadini quando, sia pure aizzati dal prete, si trovano dinanzi ai " Marx ed Engels, ,. Ibidem.
Sull'or/e e fa /etter11/11r11,
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« Fratelli Sublimi » ); i due registi respingono la posi-
e il dolore per la morte altrui" . Cioè tutta quella continuità dovuta al fatto che l'uomo, come essere biologico, è rimasto sostanzialmente invariato dagli inizi della civiltà a oggi; e poco sono mutati certi sentimenti e certe rappresentazioni che piu da vicino si riferiscono ai dati biologici dell'esistenza umana. Quella continuità, insomma, per cui, diceva Marx, sentiamo cosi vicina a noi la poesia omerica ». Del resto gli stessi Taviani non negano il conflitto generazionale: « Si, a noi interessa realmente, ma come elemento appunto biologico, nel senso che il giovane dovrà rifarsi sul padre, ma soltanto nei casi in cui la storia, proprio attraverso il rinnovarsi delle generazioni, crea nella nuova generazione un nuovo dato e nuove proposte» S9. E non si può non essere con loro d'accordo. Tuttavia i casi contemplati dai film di cui sono autori sono sempre questi ultimi: Salvatore.è un trentenne; gli scorpionidi rinnovano la rivoluzione un tempo fatta da Renno, ormai anziano e stanco; Manieri è superato dai sovversivi della seconda barca e, quando si accorge di aver sbagliato tutto, non ha le forze fisiche per ricominciare da capo. Allonsanfan è il solo a salvarsi dal suicidio collettivo dei « Fratelli ». Il conflitto generazionale sembra davvero inteso in una accezione fatalistica, quasi classista. Se_Manieri non si fosse ucciso - sostengono i Taviani avrebbe tradito; e Fulvio è appunto un Manieri o un Filippo Govoni che non si è ucciso. Disperato per quanto pensavano di lui i « Fratelli » - di aver rivelato al nemico il nascondiglio del « Gran Maestro » - egli ha si tentato il suicidio, all'inizio, durante il processo, gettan-
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zione lassalliana secondo la quale « il confHtto tragico che [ ... ] costituisce il fondamento di ogni rivoluzione » è l'antinomia tra l'« entusiasmo », cioè « la fiducia ·immediata dell'Idea nella propria forza e infinità » e la « necessità di una "politica realistica" » intesa tutta « nel tener conto dei mezzi limitati a propria disposizione ». Il conflitto tragico deriva da due forze inevitabilmente in contrasto, quella progressista e quella reazionaria, e insieme dal· contrasto, le contraddizioni all'interno della prima. Sennonché quest'ultimo conflitto si determina, o sembra determinarsi nei Taviani, come generazionale: i giovani rappresentano le forze nuove e gli anziani, a)l'interno appunto della classe, quasi un « ancien rég1me ». Si viene cosi a opporre a un pregiudizio - secondo il quale il mondo è quello che è e niente possiamo fare per modificarlo - un altro pregi_udizio: il motore della storia è si la lotta di classe, delle classi, ma inevitabilmente sono i giovani che, nelle varie epoche dell'umanità, a cominciare dall'età arcaic~, sono capaci di questa lotta, fanno la storia. Cosi nello Scorpione i figli uccidono i padri, fatalmente. È qui che i Taviani assumono la psicoanalisi, specificatamente Freud, nell'accezione del complesso edipico, del « cannibalico » cui ricorre Pasolini nel suo intelligente e interessante ma non certo marxiano Porcile. « Ci interessa oggi ritrovare anche l"'uomo biologico", l'uomo nelle sue strutture base » affermano come si è già visto - : « l'istinto della sopravvivenza nell'amore e nell'orrore della morte; quei "dati costanti della condizione umana che sono l'istinto sessuale, l'indebolimento della vecchiaia (con le relative ripercussioni psicologiche), la paura della morte propria
" Dichiarazione fatta dai Taviani .