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Italian Pages 420 [155] Year 2007
Speusippo Frammenti Edizione, traduzione e commento Margherita Isnardi Parente
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Serie La Scuola di Platone 1 ISBN: 8870880117
Bibliopolis Naples – 1980
Margherita Isnardi Parente SPEUSIPPO. TESTIMONIANZE E FRAMMENTI
INTRODUZIONE Vita, Dottrina Le diverse interpretazioni dei frammenti Le raccolte esistenti La raccolta attuale
p. 1 5 12 15 19
1. Vita. Della vita di Speusippo sappiamo in verità poco. Due sono le biografie antiche, quella di Filodemo nell’Index Academicorum ( non una biografia in senso proprio, ma una serie di notizie sulla partecipazione di Speusippo alla vita dell’Accademia) e quella di Diogene Laerzio, che ci dà, oltre a questi dati, qualche notizia di tipo più vario, desunta, come al solito, a più antichi biografi ellenistici. Segue una breve notizia di Suida, o del Lessico Suda, che non aggiunge nulla di sostanziale. Sappiamo che doveva essere nato, all’incirca, nel 410/8 a.C., e che morì nel 339 dopo essere stato otto anni a capo della scuola. Come nipote, allievo e primo successore di Platone è rimasto nella tradizione filosofica della tarda antichità, e non molte sono le note caratteristiche che lo distinguono. Filodemo, dopo averci indicato Speusippo insieme con gli altri discepoli, ci dice di aver saputo da Filocoro che questi ricevette la scuola da Platone. Il nome di Filocoro è incerto: ma la testimonianza sarebbe di grandissimo rilievo, essendo Filocoro uno dei primi e più attendibili attidografi1. Dello stesso Filocoro sarebbe la notizia che Speusippo dedicò le immagini delle Cariti che esistono ancora nell’Accademia, ‘quando si trovava a capo del Museo’: non sarebbe stato quindi Platone stesso a fare questa dedica importante, ma Speusippo dopo la sua morte. Le Cariti, o Grazie, sono per la scuola le Muse; ciò non vale in particolare per l’Accademia, in quanto molte scuole erano dedicate alle Muse; ma servirebbe a dare un tocco di religiosità alla scuola stessa in quanto istituzione2. Ancora Filocoro avrebbe scritto che egli aveva già allora le membra paralizzate, e che non fu a capo della scuola che per otto anni . Ciò che segue però non è imputabile tutto a Filocoro, né Filodemo ci sa dire da chi gli siano giunte le testimonianze sull’elezione di Senocrate, che fu scelto soprattutto per la sua swfrosÚ nh, ossia la sua mitezza di carattere, essendo stato Speusippo ¢kratšsteroj, ossia incapace di dominarsi, e ‘debole di fronte al piacere’; Gomperz, che ha integrato così il passo, si basava sulla testimonianza di Diogene Laerzio, che vedremo fra poco3. Del resto, Aristotele era già partito per la Macedonia, per il suo compito di educatore del giovane Alessandro; quanto agli altri, Menedemo di Pirra, Eraclide di Eraclea, furono superati per pochi voti4. Poiché non si parla di elezione a proposito di 1
Filodemo. Storia dei filosofi. Platone e l’ Accademia, ,ed.trad. comm. a cura di T.Dorandi, p.136; Dorandi conserva il Fil[Ò coroj] integrato a col.VI, r.32 dal Buecheler e conservato dagli altri editori; ma avverte (p.226) che l’estratto di Filocoro non può estendersi oltre VI, r.38. Filocoro è l’attidografo del III secolo a:C., cfr. Jacoby, FGrHist 228 F 59. 2 Cfr. infra, Test.1. 3 Cfr. ancora VII, !4 e 17, e Dorandi, op. cit., p.227. 4 Cfr. VII, 1-5.
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Speusippo, siamo di fronte a un problema: Speusippo fu veramente eletto dalla scuola, o Platone lasciò a lui questa come suo possesso privato, in quanto era il nipote più versato in diatribe filosofiche? E’ questa una domanda alla quale non sapremmo dare una risposta precisa; nessuno degli autori che più tardi tornano sulle medesime vicende può illuminarci in proposito5. Ma è una domanda che non possiamo non porci, e che ha le sue ragioni per sussistere. Il diedšxato di Diogene Laerzio(Vitae Philosophorum, IV, 1) non è molto chiaro; è un verbo che indica solo la successione in una determinata diadoc» o successione filosofica. Significa solo che Speusippo successe a Platone a capo dell’Accademia; Diogene o le sue fonti non ci dicono che sia stato eletto, e ciò rafforza le nostre supposizioni che la prima elezione in seno alla scuola sia stata quella di Senocrate. Cicerone, che è una delle fonti più antiche, negli Academici (I, 4, 17-18) nomina Speusippo quasi di scorcio, per parlare poi degli altri , soprattutto Senocrate ed Aristotele: “nam cum Speusippum, sororis filium, Plato philosophiae quasi heredem reliquisset…”E non a caso Speusippo è detto ‘heres philosophiae’, perché probabilmente a un altro, al giovane Adimanto, erede in linea maschile di Platone, andava l’eredità effettiva dell’Accademia, secondo le leggi ateniesi che escludevano l’eredità per i parenti in linea femminile6. Senza contare che qui Cicerone sembra dare ascolto a una delle molte voci denigratorie in seno alla storia del platonismo, che cioè Speusippo fosse lasciato a capo dell’Accademia solo in quanto legato a Platone da rapporto stretto di parentela, e non per altre ragioni. Ma torniamo a Diogene, le cui notizie sono alquanto più ricche di quelle dell’Index. Speusippo appare citato subito come ateniese del demo di Mirrine, figlio di Eurimedonte e della sorella stessa di Platone, Potone. Dopo averci detto anch’egli che fu a capo della scuola otto anni, e che eresse nella scuola (il mouse‹on fondato da Platone) le statue delle Cariti, ci dà particolari della sua attività. Egli rimase alle dottrine di Platone, e fu da Platone però diverso per temperamento, tendente all’ira e -questa volta con certezza - ¼ ttwn ¹donîn, debole di fronte ai piaceri. Che Speusippo sia rimasto del tutto fedele alla dottrina di Platone, non è in realtà vero, e ce ne accorgeremo fra poco. La notizia può dipendere da scarso interesse filosofico della fonte oppure può essere una nota malevola, come malevolo, in genere, appare l’atteggiamento di Diogene nei confronti del filosofo: un’osservazione di eccessiva fedeltà a Platone e di scarsa originalità filosofica. Ma è del tutto incerto quale possa essere la fonte di questa notizia. Diodoro, che viene citato poco dopo, sembra aver messo in rilievo una tendenza originale di Speusippo stesso, quella di aver per primo colto il fondo comune delle scienze: ™n to‹j maq»masin ™qe£sato tÕ koinÒ n (IV,2)7. E’ dunque difficile attribuirgli questa affermazione di totale adesione di Speusippo alle dottrine platoniche senza creare una contraddizione interna. Circa il viaggio in Macedonia per le nozze di Cassandro le difficoltà si fanno ancora più serie: Cassandro, figlio di Antipatro, è noto per il suo matrimonio con Tessalonice nel 316, quando Speusippo era già morto da un pezzo, e bisogna pensare o ad un fratello di Antipatro dello stesso nome o a un primo e a noi ignoto matrimonio di Cassandro; la cosa è stata tentata da filologi diversi, come Stahelin e Maas, ma resta ipotetica8. Le allieve prima di Platone e poi di Speusippo, Lastenia di Mantinea e Assiotea di Fliunte, sono citate da Diogene stesso (III, 46) e poi da diversi altri autori, Clemente Alessandrino, Temistio, l’anonimo pseudo-Olimpiodoro della Vita Platonis; e Lastenia è quella che appare legata da più stretti rapporti con Speusippo, come appare anche dalla Epist.Socr. XXXIV (XXXVI Orelli) e da Ateneo, Deipnosoph.VII, 279 e-f 9, il quale conferma la testimonianza di Diogene sui cattivi rapporti epistolari fra Speusippo e Dionisio II; né c’è da 5
Forse diadex£menoj ( che indica una eredità piuttosto che non una elezione) si trovava già nell’Index, secondo l’interpretazione del Gaiser, V,35-38; cfr. Gaiser, Philodems Acad., pp.181 e 440. 6 Leo, Biographie, p.56 sgg., ha parlato a ragione di due fonti di Diogene Laerzio, una anti- e l’altra filoaccademica; ma la prima è senz’altro la prevalente. Cfr. più oltre, Test.2. 7 Sulle incertezze per la identificazione di Diodoro cfr. ugualmente più oltre, Test.1.. 8 In proposito F.Stähelin, Kassandros, Real-Encycl. X 2 (1919) , col.2293; P.Maas, ANQUGONAS QUGAQHR, “Rivista Filologia Istruzione Classica” 55 (1927), pp.68-70, e infine .Merlan, Biographie, p.210 sg. 9 Cfr. più oltre, Test.. 15
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stupirsi: nella letteratura ellenistica si deve essere formato presto una sorta di vero e proprio romanzo epistolare fra quelli che appartennero alla cerchia di Platone in Sicilia, romanzo che coinvolse Platone stesso, se guardiamo a diverse delle lettere conservate sotto il suo nome. In questa lettera, che Diogene Laerzio ha sott’occhio o riporta citata da altri, si rimproverava Speusippo per la sua avidità di esigere tributi par/˜kÒ ntwn kaˆ ¢kÒ ntwn per sostenere la sua scuola, alla maniera di Epicuro, di cui la corrispondenza di scuola era stata resa nota dalla raccolta di Filonide, poi passata a far parte delle Pragmate‹ai di Filodemo; ma il rapporto con la discepola Lastenia resta enigmatico10. Ancora, Speusippo è accusato di aver propalato i cosiddetti ‘segreti’, ¢pÒ rrhta,di Isocrate, come dice Ceneo; cioè propalato le dottrine che Isocrate destinava ad una cerchia intima; e ciò fa pensare all’appartenenza iniziale di Speusippo stesso alla cerchia isocratea; ma non è dato saperne di più, e Ceneo è indicazione discussa e non chiara11. E a tradizione schernevole sembra improntata la notizia circa l’abilità nell’intrecciare canestri, che segue subito nel testo, come anche l’epigramma di IV, 3, che risponde ad una abitudine di Diogene nel trattare dei suoi filosofi, ma è significativo del suo atteggiamento verso di loro proprio per il carattere di volta in volta assai diverso; esso consegue alla notizia che alfine, stanco della sua vita divenuta miserabile, avrebbe deciso di togliersela. Ma prima della notizia abbiamo l’episodio dell’incontro con Diogene in Atene, e su questo occorre ancora spendere qualche parola. Speusippo si sta facendo portare alla scuola in lettiga; segno che la scuola non costituiva la sua abitazione, come poi sembra essere stato invece abitudine di altri filosofi e scolarchi12. Vede Diogene il cinico, e lo saluta; quello gli risponde: “tu piuttosto sta’ bene, che continui a vivere così ridotto”. L’episodio è narrato qui totalmente in negativo, mentre in positivo ci viene dato da Giovanni Stobeo nella sua raccolta (Flor.IV, 52, 17), secondo il quale Speusippo, a Diogene che gli consigliava di uscire volontariamente dalla vita, avrebbe risposto:”non con le gambe viviamo, ma con l’intelletto”13. Segno che dello stesso episodio correvano due versioni diverse; e quella di Diogene Laerzio può ben dipendere dall’opera di Timoteo , più volte addotta da lui nelle sue Vite , volta a porre in rilievo la scarsa coerenza dei filosofi alle proprie dottrine, oppure al libello pseudo-aristippeo Perˆ palai© j trufÁ j, del III secolo a.C., fra l’altro violentemente antiaccademico14. L’opera di Timoteo viene subito citata in IV, 4, a proposito dello stato di salute disastroso del filosofo, che Plutarco avrebbe detto dovuta a pediculosi acuta; ma nella Vita di Silla plutarchea, anch’essa qui citata, non abbiamo tale notizia. In complesso abbiamo qui una pittura biografica aspra, che, se viene in parte confermata da autori di intonazione malevola, come Ateneo o Filostrato, è anche parzialmente accettata, ma con intonazione più mite, da altri autori quali Plutarco di Cheronea, platonista egli stesso e non solito a negare i motivi di preferibilità di quella scuola. Nel De fraterno amore (491f-492a) Plutarco racconta come Platone riuscisse a distogliere Speusippo fanciullo dalla sua irosità e dall’avversione verso i propri genitori col semplice comportamento, il che è prova che anche in seno alla tradizione accademica erano rimaste testimonianze di questo atteggiamento. Ancora, nel De liberis educandis, legato alla tradizione plutarchea se non di Plutarco, si racconta che Platone chiamasse Speusippo per punire uno schiavo; Platone non intendeva farlo lui stesso perché ‘iroso’ (10 d). Ma 10
Cfr. per questo G.Arrighetti, Epicuro, Opere, pp.421-476 (Epistularum Fragmenta), in part. per quel che deriva dalle Pragmateiai filodemee p. 442 sgg. Arrighetti cita dall’edizione di C. Diano, Epicuri Ethica, Florentiae 1946. Più di recente le Pragmateiai sono state edite da C. Militello, Filodemo. Memorie epicuree, “La Scuola di Epicuro” XVII, Napoli 1997. 11 Sulle questioni riguardanti il rapporto di Speusippo con la cerchia isocratea cfr. M.Gigante, Aphareus,, pp.47-49; ma cfr. anche successivamente i dubbi di Tarán, Speus. of Ath., p.182. Più ampiamente infra,Test. 2.. 12 Cfr. anche per questo infra.. 13 Test.36 I.P²., T.40 T. Stenzel, Speus., col.1638, ha escluso il suicidio in base ad una simile risposta; analogamente Tarán, Speus. of Ath., p.186.. 14 Per Timoteo cfr. Wilamowitz, Antigonos von Karistos,, p.107, nt.5; e più di recente J.Radicke, fasc.7, in Continuation of Fr Gr Hist., 1988. Per il libello pseudo-aristippeo perˆ palai© j trufÁ j cfr. ancora Wilamowitz, ibid., p.48 sgg. Sull’antiacademismo, e antiplatonismo, di età ellenistica vedi oggi M.Baltes in H.Dörries, Platonismus II,, pp.2-30, 223-264.
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Plutarco è assai più interessante per quanto ci dice dell’attività di Speusippo in Sicilia; e questa è la testimonianza più specifica che lo caratterizza; testimonianza che risale indietro, a quelle contemporanee agli avvenimenti : di Eforo, di Timeo, soprattutto di Timonide di Leucade, un accademico amico di Speusippo stesso e compartecipe degli avvenimenti che lo riguardano15; per cui è necessario seguirlo in queste vicende. Le vicende sono narrate quasi tutte nella Vita di Dione. Plutarco si basa essenzialmente sulla VII Epistola di Platone, ma è su più punti integratore delle notizie contenute in quella. Parlando del soggiorno di Dione in Atene dopo la cacciata da parte di Dionisio II, racconta che Platone accolse Dione nell’ Accademia; e che questi prima fu ospite di Callippo (quel Callippo che poi doveva, a Siracusa, ucciderlo), poi acquistò un terreno per suo conto, e più tardi, partendo per la Sicilia nella spedizione contro Dionisio, lo donò a Speusippo, che era stato il più intimo e legato a lui degli amici di Atene (Dio, 17,3). Questo sembrerebbe contrastare con le accuse di irosità attribuite dallo stesso Plutarco a Speusippo, poiché egli aggiunge che Platone voleva con ciò addolcire il carattere (Ã qoj) di Dione, e che Speusippo non a caso era definito da Timone scettico, nei Silloi, ‘buono a scherzare’, skîyai ¢gaqÒ j16. Ma ci dice anche qualcosa di più importante, e cioè che Speusippo sarebbe restato in Atene all’atto della spedizione di Dione; che fu certamente patrocinata da lui, ma non poi seguita di persona, forse a causa dell’età già alquanto avanzata o della salute malferma17. Del resto lo stesso Plutarco (Dio, 22, 1 sgg.) ci dice che Speusippo e altri amici erano con Dione e ne peroravano la causa, ma non che Speusippo l’abbia seguito. Si diffonde invece a parlare di un periodo precedente, quando Platone era in Sicilia, e Speusippo, verosimilmente accanto a lui, si informava circa il reale atteggiamento dei Siracusani nei riguardi di Dione, riferendone poi a questi per incitarlo all’impresa; e quando parla dei filosofi che parteciparono alla spedizione non cita Speusippo, ma altri, come Eudemo di Cipro (il dedicatario del dialogo giovanile di Aristotele perˆ yucÁ j) o il già citato Timonide di Leucade. Questi risulta alfine vincente in un confronto con Eforo; il quale parla del suicidio di Filisto sulla nave catturata, mentre Timonide racconta di aver visto con i suoi occhi Filisto scendere vivo dalla nave (35,4). Da altra opera che non la Vita di Dione deriva invece una notizia che è stata causa di confusione circa un punto delle Epistole di Platone, e cioè dal De adulatore et amico (70a). Ivi Plutarco racconta che Speusippo avrebbe scritto a Dione di non inorgoglirsi troppo per la sua vittoria, ma di pensare piuttosto a ornare la Sicilia di giustizia e di ottime leggi, rendendo così l’Accademia famosa, eÙ kle© . Il passo può esser confuso con quello della IV Epistola, in cui Platone (lo pseudoPlatone) raccomanda a Dione di non inorgoglirsi troppo per la sua vittoria, perché l’orgoglio eccessivo porta alla solitudine; e del resto questo passo è ricordato qui anch’esso18; ma ciò ha fatto sì che alcuni abbiano attribuito la lettera in questione a Speusippo senz’altro19. Nella tarda antichità non c’è altro di valido per cogliere qualche motivo autentico del carattere o della vita di Speusippo. Suida ripete, com’è ovvio, Diogene Laerzio, e aggiunge tutt’al più che egli era aÙ sthrÕ j t¾ n gnèmhn, “rigido nelle sue opinioni”, cosa che Diogene non ci dice espressamente20. Le testimonianze sulla chiamata di Senocrate a dirigere la scuola al suo posto, che si trovano nello pseudo-Galeno e in Temistio, derivano certamente dalla tradizione accreditata dalle, certamente apocrife, Epist.socr.XXX (XXXII Orelli) e XXXI (XXXIII Orelli), secondo le quali
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Cfr. per Timonide lo stesso Diogene Laerzio,IV,5, e Plutarco, Dio, 22, 15, 35,4; Capelle, RE VI A 2, 1937, coll.1305-1306. 16 Timone, Sylloi, apd. Plut., Dio, 17, 4 (fr.56 Di Marco, Roma 1989). 17 Il nome di Speusippo non figura infatti fra gli aderenti alla spedizione: fra i quali Plutarco non cita, oltre a Eudemo e a Timonide, che Milta il Tessalo, indovino, non noto se non da questa citazione e da un’altra detto stesso Plutarco, Dio,24.. Cfr. K.v.Fritz, Real-Encycl. XV,2, 1932, coll.1678-79. 18 Cfr. De adul. et amico, 69 f: aÙ q£deia ™rem…v sÚ noikoj. 19 Cfr.C.Ritter, Neue Untersuch. pp.374 sgg.; confutato giustamente dal .Novotny, Platon. epist. comm. illustr., p.114 sgg. 20 Suida, Lexikon, s.v. SpeÚ sippoj, 928, IV, p.417 Adler (fr.3 I.P., T 3 T.).
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Speusippo morente avrebbe richiamato a sé Senocrate per porlo alla guida dell’Accademia21; di esse si dirà adeguatamente a parte; basti qui dire che esse contrastano del tutto con la più vicina testimonianza dell’ Index Academicorum sull’elezione di Senocrate. 2. Dottrina a) Le idee e i principi Le opere di Speusippo sono da considerarsi fra quelle certamente andate perdute nell’incendio che l’assedio di Silla causò alla città di Atene e alla sede dell’Accademia22. Si ritiene che quasi tutte le opere di Accademici antichi siano andate perdute in quella circostanza, dal momento che non resta niente di esse, o quasi, nella letteratura tardo-antica, ma solo citazioni di seconda mano. Eppure il ‘quasi’ è d’obbligo: di Speusippo si conoscevano ancora il trattato Sui numeri pitagorici, e forse, ancora al tempo di Ateneo, gli “Omoia, così come Dercillide, in età di Augusto, poteva ancora citare direttamente dalla Vita di Platone di Ermodoro23. Opere di maggiore interesse, anche al di là degli stretti confini della filosofia, esistevano dunque, e ciò aveva la sua parte nella selezione che il mondo tardo-antico fece della tradizione relativa al filosofo. Pur tuttavia noi ignoreremmo quasi tutto della dottrina specifica di Speusippo, almeno in fatto di metafisica e ontologia, se non fosse per la polemica che Aristotele condusse costantemente, almeno nella Metafisica, contro di lui. Questo dà alla nostra conoscenza della sua opera un carattere del tutto particolare, che va subito sottolineato. Essa è costantemente inserita in una generale polemica di parte: quella contro Platone (in particolare la dottrina delle idee), contro Senocrate e contro altri Accademici, e, nell’ambito di tale polemica, appare confrontata, ma anche sensibilmente deformata. Aristotele deve costruire la sua propria dottrina, e lo fa in contrapposizione con i condiscepoli di Platone nonché con lo stesso maestro. Cosicché una raccolta dei frammenti di Speusippo, come del resto di Senocrate o di altri dei primi discepoli di Platone, dovrebbe necessariamente subordinarsi a una raccolta delle testimonianze su Platone offerte dallo stesso Aristotele; testimonianze spesso tali da offrirci un’immagine di Platone alquanto diversa da quella cui siamo abituati dalla lettura dei dialoghi24. Un altro discorso preliminare va fatto alla nostra ricerca. I primi discepoli di Platone, fra i quali ovviamente Speusippo, non sembrano ancora conoscere un corpus Platonicum già costituito: essi sembrano semplicemente voler reagire ad alcune aporie emergenti dai dialoghi più tardi, quali soprattutto il Parmenide, il Timeo, il Sofista, il Filebo (e questa può essere un’altra prova cronologica relativa alla produzione di Platone, che non va trascurata25). Se veramente questo si accetta, ne deriva come conseguenza una data leggermente, ma significativamente, più tarda della formazione di un corpus Platonicum, o di un insieme, ordinato come si voglia, degli scritti di Platone: e forse tale raccolta non poteva essere fatta prima che fosse riemerso anche, accanto al Platone metafisico, il Platone ‘vero’ e primitivo, quello del socratismo aporetico; prima, cioè, della fase scetticheggiante iniziata nell’Accademia da Arcesilao26. 21
Su di esse cfr. M.Isnardi Parente, Due epistole socratiche e la storia dell’Accademia antica, “La Cultura” 18 (1980), pp 274-282.. 22 Su questo H.Dörrie, Xenokrates, Real-Encycl. IX A 2 (1967), coll.1511-1528. Glucker, Antiochus and the Late Academy, è oggi il maggior sostenitore di questa tesi di una scarsa e deformata conoscenza dell’originaria Accademia platonica da parte delle generazioni successive. 23 Per Dercillide cfr. Simplicio, In Arist. Phys., p.247,30 sgg. Diels (fr.7 Isnardi Parente); Simplicio cita da Porfirio, ma sembra che questi disponesse ancora dell’opera De Platonis philosophia di Dercillide, e citasse Ermodoro da questa; Dercillide quindi è trasmettitore di Ermodoro alla tarda antichità. Per i due trattati di Speusippo cfr. più oltre, frr.95 e 96 sgg.I.P.² 24 Per un tentativo fatto in questo senso posso rimandare a Isnardi Parente, Testimonia platonica I. , pp.373-487. 25 Si veda come la cronologia delle principali opere platoniche sia ormai fissata, con criteri stilometrici o meno; ultima prova ne è H.Thesleff, Studies in Platonic Chronology, Helsinki (Societas Scientiarum Fennica) 1982 e Studies in Plato’s Two-Level Model, ibid. 1999, avverso per suo conto a criteri stilometrici, ma portato alla conferma, per altra via, di quanto essi hanno stabilito. 26 Cfr. A.Carlini, Studi sulla tradizione antica e medievale del Fedone, Roma 1972, pp.29-30; a questo mi sono riallacciata di recente, Isnardi Parente, Storia filos.Accad., pp.146-167, in part. p.163.
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Di Speusippo in particolare Aristotele ci dice che egli rifiutava la dottrina delle idee, vedendola come un insieme tale da arrecare alla dottrina platonica duscšreia kaˆ pl£sij, ‘difficoltà e artificiosità (Metaph. M, 1086a 2 sgg. = fr.42 Lang, 46 Isnardi Parente², 35 Taran); ritenendo invece che i numeri fossero di per sé un elemento sufficiente a fornire ciò che le idee sarebbero state incapaci a darci. Siamo qui costretti a compiere la prima integrazione, cosa cui la difficile ricerca sulla dottrina dei primi Accademici ci condurrà spesso; giacché Aristotele non ci dice mai chiaramente che Speusippo ritenesse che i numeri debbano svolgere la funzione che hanno, nel sistema di Platone, le idee27. E’ però integrazione necessaria, dal momento che egli ci dice che i numeri sono il primo e fondamentale tipo di essere, e che sono separati dai sensibili, il che significa che ne costituiscono il tratto trascendente di unificazione (Metaph.M. 1080b 13b sgg.). La distinzione che Aristotele pone costantemente fra Speusippo e i Pitagorici, fautori anch’essi dell’assoluta priorità dei numeri, è che questi ritengono i numeri immanenti al sensibile, mentre Speusippo li ritiene separati o trascendenti all’universo28. Speusippo ci si dimostra così immediatamente indipendente rispetto a Platone, a differenza di Senocrate o di altri, che non osavano abbandonare la dottrina delle idee. C’è peraltro un aspetto della dottrina di Platone che è divenuto ormai, per gli Accademici, il modello primo e la stessa questione più importante con cui fare i conti. Nell’ultima parte della dottrina di Platone, si va sempre più affermando un sostanziale atteggiamento: un principio fondamentale sottostà, senza peraltro trascenderle, alla dottrina delle idee. Questo è già noto dalla presentazione di essa che Platone fa nella Repubblica, ove l’idea del Bene è il primo grande concetto unificatore: ogni idea è, in primo luogo, bene, in quanto modello perfetto di un molteplice sconnesso, e quindi l’idea del Bene è la prima e fondamentale fra tutte le idee (Resp.509 c-d)29. Ma si accentua nei dialoghi più tardi, quelli cui i nostri Accademici fanno capo direttamente: diviene dottrina dell’essere e delle sue differenze nel Sofista; dottrina dell’immobilità e autoidenticazione delle idee nel Filebo, contrapponendosi a quello che, con linguaggio pitagorico, Platone chiama in questo dialogo lo ¥peiron; dottrina del Vivente in sé nel Timeo30. In Aristotele e negli Accademici questo si ipostatizzerà in dottrina dei principi, con esiti, lo vedremo di volta in volta, diversi. Speusippo parte dal Parmenide, interpretandolo come una difesa della dottrina delle idee intesa come unificazione assoluta del molteplice. Che egli parta dal Parmenide e che questo sia per lui il più importante dei dialoghi tardivi di Platone, è intuibile da Aristotele, Metaph.N, 1091a 30 sgg.: tutte le cose sensibili, nelle loro differenziazioni infinite, partono da un uno primitivo, ma questo uno è tale da non potersi dire neanche un essere, mhdš Ô n ti e‹nai tÕ ›n aÙ tÒ . Su questo frammento (34e L., 25 I.P²., 43 T.) si è spesso speculato al di là del significato del testo: il quale indica solo che Speusippo era ben conscio dell’estrema difficoltà di indicare l’essere come causa suprema del tutto, non essendo questo che un riferimento ultimo,e che a scoprire questo il testo di Platone gli bastava.31 Non dice forse proprio nel Parmenide Platone che l’uno, a prescindere dal suo contrario, cioè dai molti, è alcunché di inafferrabile, né mobile né immobile, né possibile né impossibile, né uguale né disuguale, né giovane né vecchio, infine, a ben vedere, qualcosa che non
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Di integrazioni da farsi nel testo di Aristotele, e di un aiuto, una bo»qeia, da richiedersi ad autori più tardivi per completare gli accenni datici da lui, ho parlato in Storia filos. Accad.., p.146. E’ questo il compito gravoso e difficile che si pone a quanti intendano far raccolta sistematica di filosofi della prima Accademia, e non solo di quella. 28 ..Cfr. p.es. Aristotele, Metaph.M, 1076a 32 sgg., 1080b 11 sgg., N, 1090a 20 sgg., e in altri luoghi consimili. 29 Non vorremmo rifarci a tutte le interpretazioni di questo celeberrimo passo. Ci basti qui citare due saggi cui il nostro punto di vista aderisce sensibilmente: L.Brisson, Presupposés et consequences d’une inteprétation ésoteriste de Platon, in Lectures de Platon, p.83 sgg.; M. Baltes, Is the Idea of Good in Plato's Republic beyond Being?, in Studies on Plato and the Platonic Tradition, Essays Whyttaker, Andelshot 1997, p.3-28. 30 Anche qui le interpretazioni da citarsi potrebbero essere infinite. Sui dialoghi più tardivi di Platone la letteratura è diventata ingente: cfr.semplicemente Los dialogos tardios de Platon, I Symposium Platonicum, ed.C.Eggers Lan, Ciudad de Mexico 1986. 31 Cfr. più oltre quanto si dirà a proposito di una errata interpretazione di Speusippo che prende il via da questo testo: infra, note 82-83.
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è32? Il primo essere o, in senso più specifico in linguaggio aristotelico, la prima oÙ s…a, sono i numeri, che hanno l’unità a loro principio; l’unità non nel senso di unità numerica, perché questa fa parte semplicemente della serie, ma nel senso di unità prima e indeterminata, che si sviluppa poi nell’uno numero e negli altri e seguenti (Metaph.H, 1028b 18 sgg.= fr.33a L., 16 I.P²., 62 T.). Come si sviluppa il numero? Si sviluppa, sempre seguendo, almeno relativamente,Aristotele, con andamento progressivo: Speusippo, partendo dall’uno ( ¢pÕ toà ˜nÕ j ¢rx£menoj), procede verso la pluralità delle oÙ s…ai.. Ma il semplice uno non basta a questo scopo, perché il numero è misto di unità e di molteplicità, plÁ qoj, e già raggiungere la prima delle ‘sostanze’ implica l’esistenza di due fattori; giacché le idee non si compongono, in quanto sono entità assolutamente semplici, ma i numeri non lo sono. Questo ci è ripetuto più volte: in M, 1083a 20 sgg., 1085b 5 sgg., N, 1092a 35 sgg. (42d L., 46 I.P.², 34 T.; 48c L., 53 I.P².,40 T.; 48a L., 51 I.P.², 38 T.) ; ed è la prova che Speusippo comincia a pensare le entità di cui parla in una sorta di successione ideale, che va dai numeri a realtà la cui composizione è più complessa, prima le grandezze, poi l’anima (ancora Aristotele, H, 1028 b 21-22 :kaˆ ¢rc¦j ˜k£sthj oÙ s…aj ¥llhn mšn ¢riqmîn, ¥llhn dš megeqîn, œ peita yucÁ j, dal già citato F16 I.P.²). Si può pensare che la composizione del reale nella visione filosofica di Speusippo conoscesse anche momenti ulteriori, e su questo avremo occasione di tornare più tardi33. Per il momento basti dire questo: che le diverse entità o ‘sostanze’ sono legate fra di loro da un rapporto di analogia; e ciò non piace ad Aristotele, che trova venirsi a formare in tal modo una realtà discontinua (™peisodièdhj... ésper mocqer¦ tragwd…a, fr.50 L., 57 I.P.², 37 T.)34. La seconda delle realtà così prese in considerazione sono le grandezze, i cui principi sono l’equivalente fisico dell’uno, il punto, e l’estensione spaziale pura, la cèra del Timeo; che in Speusippo riceve piuttosto il nome di tÒ poj, ‘luogo’(Aristotele, Metaph. N, 1092 a 17-20 = fr.52 L., 63 I.P²., 53 T.); per quanto lo stesso Aristotele ci susciti dei dubbi in proposito, quando, in M, 1085b 31, ci propone la parola di£sthma ( ™k diast»matoj kaˆ aÙ tÁ j stigmÁ j). Quindi, uno ed estensione, talvolta vista come il luogo stesso nella sua forma indeterminata, ci si presentano come i principi delle grandezze. Ma quanto all’anima la questione si fa più complessa, e dobbiamo ricorrere ad altri testi, in parte di Aristotele e in parte non di Aristotele ma di altri, che in qualche modo conoscevano la dottrina speusippea. Il testimone più antico è fra questi Posidonio, un autore di età ellenistica che può ancora aver conosciuto da Speusippo direttamente la dottrina; e che però non cita Speusippo, e presenta tale teoria come propria: l’anima è „dša toà p£nth diastatoà, ‘forma di ciò ch’è generalmente esteso’ (Plutarco, De procreatione animae in Timaeo, 22, 1023 b = fr.141a Edelstein)35. Che la teoria sia speusippea, lo dice invece la raccolta di Giovanni Stobeo, ma citando in particolare Giamblico (Flor.I, 49, p.363, 26 sgg. Wachsmuth = fr.40L., 67 I.P²., 54a T.)36.Non è difficile immaginare come essa sia potuta piacere a Posidonio, che ne dette un’interpretazione probabilmente materialistica. Speusippo si rifaceva con essa alla teoria di Platone sull’anima del mondo, esposta nel Timeo, ove si dice che l’anima copre esattamente tutta l’estensione dell’universo, e non a caso Plutarco cita tale definizione proprio allo scopo di dare una 32
Parm.141a-142c. In proposito L.Brisson, Platon. Le Parménide, Paris 1994, p.43 sgg., e F.Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma-Bari 1998, p.83 sgg., 100 sgg. 33 Tarán, Speus. of Ath., p.47, nega che l’anima in Speusippo abbia qualcosa a che vedere con entità matematiche, numeri o grandezze; questi non si muovono mentre l’anima si pone cone ‘oggetto in movimento’. Fra i numeri immobili ed eterni, simili alle idee, e tutto ciò che si muove esiste un rapporto che abbiamo visto essere analogo a quello fra le idee e i sensibili in Platone. Per l’anima cfr. del resto più oltre. 34 Sul concetto di analogia in Speusippo cfr. J.Stenzel, Speus., Real-Encycl. III A 2, 1929, col.1664; lo Stenzel tende di fatto a unificare i due concetti di ¢nalog…a e di ÐmoiÒ thj, che in realtà rispondono a motivi diversi. 35 Cfr. in proposito I.G.Kidd, Poseidonios, Commentary, II,I, Cambridge 1988, p.533 sgg.; ma è da vedersi anche W.Theiler, Poseidonios I, Die Fragmente, II, Erläuterungen, Berlin-New York 1982, in particolare II, pp.323-326 (commento al fr.391 a-b). 36 Cfr. Tarán, Speus.of Ath.,370-71: ma la deduzione che Speusippo abbia interpretato così Platone nel Timeo non è affatto in contrasto con la teoria dell’anima che gli attribuisce Aristotele in Metaph.1028 b 21-24, perché anima e grandezze hanno differenti principi; e quelli dell’anima sono uno sviluppo della teoria della grandezza. Cfr. per questo più ampiamente infra, commento a F16.
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spiegazione di quella teoria, che poteva suonare strana alle orecchie di un platonico.Non poteva per contro non piacere a Posidonio l’intento, da lui letto in Platone in quella sede, di dare all’anima anche un elemento di corporeità, dal momento che essa, di natura intellegibile, pure collabora strettamente con il corporeo e lo comprende37. Ma vi è anche un passo di Aristotele che è presumibilmente riferito alla stessa teoria, e che occorrerà esaminare attentamente a tale scopo. In De anima,I, 404b 18 sgg.(= F69 I.P.², non compreso né dal Lang né dal Tarán nelle loro raccolte) Aristotele, citando probabilmente un suo passo del Perˆ filosof…aj, riporta una singolare definizione dell’anima. Essa sarebbe formata da quattro numeri fondamentali, l’uno corrispondente all’intelletto, il due al conoscere discorsivo o di£noia, il tre all’opinione o dÒ xa, il quattro alla sensazione. Egli si affretta ad aggiungere che i numeri rappresentano gli stessi e‡dh e addirittura i principi, il che corrisponde almeno in parte alla dottrina speusippea, mentre sembra corrisponderle del tutto la conclusione del passo, che i numeri sono gli e‡dh tîn pragm£twn, le forme ideali delle cose; dopo di che (ma con un ben preciso ‘o altrimenti’), passa a parlare della teoria di Senocrate, l’anima come numero che muove se stesso 38. La ipotesi che la teoria citata in 18-26 sia di Speusippo appare probabile. In primo luogo, perché Aristotele cita assai spesso prima Platone, poi Speusippo e poi, come terzo e il peggiore, Senocrate, anche se qualche volta inverte l’ordine della citazione e dà a Speusippo il terzo luogo. Ma in sostanza perché di Speusippo sembrano essere le conclusioni; e perché la teoria di una formazione dell’anima sul numero fondamentale, che sarebbe qui il quattro, appare assai poco platonica. Una simile teoria, noi la troviamo in un passo di opera non conosciuta, e a noi non data dal catalogo di Diogene Laerzio39, che ci è riportata dallo pseudo-Giamblico dei Theologoumena arithmetices, 61-62, pp.82-85 De Falco. Ivi, con riferimento all’opera Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn, si attribuisce a Speusippo la teoria che il quattro è il numero fondamentale del reale, formato di piramidi. Chi accetti l’autenticità di quest’opera40, non può non rimanere colpito da questo dato fondamentale: il quattro numerico corrisponde alla figura solida che si fonda appunto sul quattro, la piramide, già considerata da Platone – e dai pitagorici – il primo dei solidi. Nel De caelo (III, 307a 29- b 3 = Supplementum Academicum, 122a, qui F70) Aristotele già attribuiva a qualcuno, accademico o pitagorico che fosse, la teoria secondo cui tutta la realtà sarebbe formata di piramidi, e non delle varie figure che Platone aveva ipotizzate. E’, anche questa, una combinazione di fonti assai diverse, anche come epoca; ma una combinazione, peraltro, plausibile. Torniamo, dopo questo, ai principi dell’anima, e chiediamoci quali essi debbano essere. E’ chiaro, anzitutto, che Speusippo si riferisce qui all’anima come totalità, e solo secondariamente ad anime individuali. La tetr£j è, in essa, il primo principio, per cui il mondo appare come un universo tetradicamente ordinato; ma tale tetrade informa di sé il diastatÒ n, il corpo generalmente esteso dell’universo stesso; sì che di£stasij può dirsi il principio per mezzo del quale esso è a sua volta ordinato. Rimangono ancora gli oggetti della sensazione. Essi non risultano dalla presentazione che della teoria fa Aristotele, eppure esistono, e devono avere i loro principi che li determinino anch’essi. Per questo dobbiamo lasciare definitivamente Aristotele ed inoltrarci nella descrizione di un’altra, e 37
Kidd, Commentary II,I, p.531. Vedi infra, F 69.. 39 Sulle lacune del catalogo di Diogene Laerzio cfr. più oltre, Test.2. 40 Oggi si tende per lo più ad accettarla; vedi però Saffrey, Le perì philosophias d’ Aristote, p.40, nt.2 (confutato da Tarán, Speus. of Ath., pp.297 sgg.). La questione non è tanto l’autenticità dello scritto, ma il fatto che si tratti di teoria autenticamente speusippea; dal testo in questione sembrerebbe di poterne dedurre piuttosto il carattere filolaico. Si possono citare, fra gli autori inclini a leggere Filolao (pur in versione speusippea) nel Perˆ Puqagorikîn ¢riqmîn, .Frank, Plato sogen Pythagoreer,pp.132, 242 sg., App.XVIII; Cherniss, Arist. Crit. presocr. Philos., pp.242 nt.111, 390-91 ; ancor più decisamente Mondolfo in Zeller-Mondolfo, Filos. dei Gr., I,2, pp.500-501 ; Timpanaro Cardini, Pitagorici II, p.126. I più moderni sono però propensi a leggere in essi Speusippo, come W.Burkert, Weisheit und Wiss.p.229.; e in genere gli autori delle ultime raccolte. La dipendenza da Filolao è sostenuta del resto con argomenti non diversi da quelli usati in periodo ellenistico per affermare anche la dipendenza di Platone da questo autore, se non che non esiste alcun elemento antiplatonico o antiaccademico in questa ipotesi. 38
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diverso, opera di Speusippo, concernente le similitudini nel campo dell’universo fisico. Questa opera, largamente attestata da Ateneo (ma in Aristotele non ne manca peraltro un ricordo, cfr. De partibus animalium I, 642b 4-20 = FF120 I.P²., 67 T.41), è gli “Omoia, che fanno valere per le cose dell’universo fisico il principio della somiglianza e della dissomiglianza. Sono i due principi che Platone applicava alle idee; ma per Speusippo non ci sono più idee cui applicarli. Di essi parleremo di nuovo assai presto. b) Conoscenza, logica, epistemologia. Sesto Empirico, Adversus logicos I, 145-146 ( fr.29 L.,1 I.P.², 75 T.) ci riporta un interessante passo di Speusippo che parla di un ™pisthmonikÕ j lÒ goj valido a chiarire i problemi delle realtà noetiche e di una ™pisthmonik¾ a‡sqhsij valida a chiarire i problemi delle realtà soggette a sensazione. E continua con un esempio, tratto dall’abilità propria del suonatore di cetra di trarre suoni armonici da strumenti fisici; un esempio che sembra, e in effetti è, di carattere pitagorico. La testimonianza, certamente di seconda mano, tende a reagire alla assoluta teoretictà della posizione platonica, ed è stata da me stessa analizzata in tal senso42. Ma è pur vero che Speusippo subiva influenze pitagoriche, e che i pitagorici non posero mai i sensibili come subordinati alle idee; non i pitagorici più antichi, come Filolao, e nemmeno i pitagorici della cerchia di Archita, che Speusippo conobbe certamente di persona, ma dai quali altrettanto certamente non trasse nulla di valido per la propria dottrina. Proclo, In pr. Euclidis elementorum librum, pp. 77,7 sgg., 179,8 sgg.,181,6 sgg. Friedlein (frr.46,30,47 L., 2-4 I.P.², 72-74 T.) ci dice ripetutamente che Speusippo escludeva il nome di ‘problema’ dalle operazioni dei processi matematici, preferendo per questi il nome di qeèrhma; e che preferiva il nome di ¢x…wma per tutti i processi fondamentali del pensiero, riservando quello di ‘teoremi’ alle realtà che abbisognano di dimostrazione43. E’ una questione di linguaggio, e non di estensione del pensiero a un determinato tipo di enti; stiamo per vedere come la questione del linguaggio e quella della conoscenza fossero strettamente unite in Speusippo fino a fondersi quasi insieme.Ci conferma però anche che egli dava ai numeri un particolare valore di eterno e non transeunte, e ci fortifica nella convinzione che le idee, integralmente quantificate e private del loro contenuto empirico, fossero per lui divenute nient’altro che l’espressione numerica del reale. Negli Analitica post. II, 97a 6 sgg. (fr.31a L., 5 I.P.², 63a T.) Aristotele ci dice, contro qualcuno (saranno i commentatori a riconoscere in questi Speusippo), che colui che dà definizioni e fa divisioni fra le varie realtà non deve necessariamente conoscerle tutte; la conoscenza delle differenze fra le cose si ottiene anche a prescindere dalla totalità delle cose conosciute44. Si presenta a questo punto un serio problema: se, cioè, dobbiamo riconoscere in Speusippo una sorta di almeno tendenziale scetticismo, oppure al contrario dobbiamo considerarlo libero da un simile atteggiamento. Chi, in realtà, professi una teoria di questo tipo, può facilmente da un avversario solerte venir accusato di nutrire tendenze scettiche sulla possibilità della conoscenza umana, dati i limiti necessariamente imposti a questa dalle condizioni prime del conoscere. La totalità degli enti sensibili è tale da poter essere abbracciata da un unico,individuale atto conoscitivo? E non sono invece gli enti sensibili innumerevoli nella loro totalità, e tali da sfuggire sempre in parte a 41
In questo passo si fa relazione a gegrammšnai diairšseij senza far riferimento a particolari autori, e queste ‘divisioni’ potrebbero essere quelle del Sofista e del Politico. Tarán, Speus. of Ath., p.396 sgg., ha supposto che questo autore non nominato sia senz’altro Speusippo. Rimando all’ulteriore commento del passo per la prova del mio assunto che Aristotele stia tutt’al più parlando insieme di Platone e di Speusippo; più probabilmente, egli ha in mente l’operetta che troviamo – ma non sappiamo se autenticamente così – in Diogene Laerzio, III, e si conosce comumente col nome di Diairšseij, o Divisiones aristoteleae. 42 Isnardi Parente, Sesto, Platone ecc., pp.. 125-137. 43 Soprattutto in base al fr. 2 I.P¹. Mi sembra che sia sicuramente affermabile che qewr»mata sia il nome dato da Speusippo agli enti matematici, dal momento che Proclo ci dice che egli dava questo nome a ciò che è eterno e privo di movimento. 44 L’ anonimo commentatore degli Analitici posteriori, p.584, 17 sgg. Wallies, ci indica anche la fonte da cui questo risulta, che è Eudemo di Rodi (cfr. fr.6 I.P².).
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qualsiasi, il più ampio possibile tipo di conoscenza, pur lasciando intatta la possibilità di una conoscenza parziale di essi? In realtà Speusippo ha tentato più volte e in più modi di collegare fra di loro i singoli aspetti della conoscenza umana, e non solo sul piano intellegibile,ove ogni processo unificatore si presenta come necessario e si raggiunge con maggior facilità, ma anche su quello della conoscenza sensibile. Il suo ideale di pansof…a si basa su un rapporto analogico da stabilirsi fra le diverse realtà soggette a conoscenza, che costituisce in definitiva un tentativo di portare la conoscenza sensibile a una sorta di unità. Tale rapporto analogico dipende strettamente, anch’esso, da Platone,e ci è offerto dal metodo diairetico, inteso come possibilità di stabilire un rapporto di ÐmoiÒ thj e diafor£ fra le singole realtà tale da costituire una sorta di legame unificatore fra di esse. I commentatori di Aristotele (l’ Anonimo del commento In Arist.Anal.Post., p.584, 17 sgg. Wallies = fr.31b L.,6 I.P.², 63a T.; e vedi altri, il Filopono, Eustrazio45) hanno più o meno riconosciuto questa tendenza, pur negando a Speusippo ogni riconoscimento della validità della dimostrazione. Sul legame di ÐmoiÒ thj sussistente fra tutta una varietà di realtà sensibili è proprio lo stesso titolo di un’opera di Speusippo, già sopra citata, I simili, a renderci edotti. Il Lang, seguito parzialmente da Stenzel, ha cercato di ricostruire quest’opera, per lo più citata da Ateneo nel suoi Deipnofisti (frr.11-25 L., 96-119 I.P.², 7-26 T.), come un tentativo speusippeo di fondare la prima serie di generi e specie fra le categorie del mondo animale46 ; i poveri e schematici dati offertici da Ateneo non ci offrono la possibilità di giungere a tanto, ma certo, una volta messa da parte la dottrina delle idee, la possibilità di tradurre i vari processi diairetici di Platone in serie di generi e specie di carattere logico – quelli di Aristotele nei Topici – era divenuta ormai una possibilità concreta. Vi sono, inoltre, alcune citazioni di Simplicio sulle ricerche di Speusippo relative alla possibilità di classificare le cose a seconda del loro nome, citazioni singolari, dato che nessuno dei commentatori di Aristotele, tanto meno Simplicio ch’è fra i più tardi, aveva la possibilità di attingere direttamente all’opera del filosofo; per Speusippo era certamente a lui tramite Boeto di Sidone, il peripatetico autore di un trattato Sulle categorie, ma forse a sua volta giunto a Simplicio attraverso il PrÕ j Ged£leion di Porfirio47. Simplicio, o Boeto, nota che,anzitutto, Speusippo usa l’appellativo di sinonimo “secondo l’uso antico”, ossia secondo l’uso di Platone anziché secondo quello di Aristotele; ma in Aristotele ci sono ancora tracce di questo uso, ad es. in Top.107b 4, 17, e forse anteriormente all’uso del termine fatto in Cat.1a 6 sgg.48. In ogni caso egli dà uno schema che si può riportare al seguente: tautènuma (cose che portano lo stesso nome) Ðmènuma (un solo nome, concetti di varie realtà) sunènuma (un nome, riferimento allo stesso concetto) ˜terènuma „d…wj ˜terènuma poluènuma parènuma intendendo con questi più nomi e più concetti, più nomi e un concetto, parole differenti nella flessione che però si riferiscono allo stesso concetto (In Arist. Categorias, p.38, 11 sgg. Kalbfleisch = fr.32a L., 13 I.P.², 68a T.). Tutto questo ci può dire ben poco circa i caratteri della divisione che Speusippo poneva fra i nomi; troppe sono le fonti che si interpongono fra il suo testo e quello di Simplicio per permetterlo con certezza49. Ma indica come oggetto della sua speculazione sia stato largamente il linguaggio; quel linguaggio che in uno dei suoi scritti più tardi, l’excursus filosofico 45
Cfr. ancora FF8-10 I.P². Lang, De Speus. Acad.scriptis, pp.7-26, che tuttavia si fonda in buona parte su E.Hambruch, Logische Regeln, passim.. Cfr. per una critica a questi Tarán Homonymy and Synonymy, pp.73 sgg. 47 Cfr. gli assai discussi FF13-14 I.P.²(= 68a-c T.), ove J.Barnes, Homonymy, pp.65-80, ha voluto leggere solo Boeto e non Speusippo; ma tali frammenti non escludono la possibilità di una fonte più antica, come non escludono la possibilità di un tramite più recente. 48 Ove, com’è noto, egli parla di ‘omonimia’ nel senso di uguaglianza di nome e diversità di essenza (es. il cane, costellazione e animale). 49 Cfr. più oltre, commento a F15 I.P.² 46
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della VII Epistola, Platone aveva detto esser la prima forma della comunicazione della conoscenza per ogni singola cosa50. Quanto si è detto serve a dimostrare che anche il linguaggio doveva essere per lui dominato dai soliti criteri di somiglianza e dissomiglianza posti a base dei sensibili, dal momento che, nella gradazione posta da Platone, si rivela chiaramente un elemento di natura sensibile. Ed è notevole ch’egli venisse ancora citato per questo da Boeto, un peripatetico di età augustea. Ma c’è ancora un ultimo, essenziale problema. Può Speusippo aver conosciuto le Categorie di Aristotele, ed essersi opposto ad esse? E’ ancora Simplicio che ci illumina su questo punto, ma con un “così dicono”, éj fasin, che rende incerta la sua citazione (In Arist. Categ.,p.29,5 Kalbfleisch = fr.32b L.,14 I.P.², 68b T.): a proposito del passo Categ. 1a 1-2, ove Aristotele s’interroga sulla omonimia e sinonimia, cercando di mettere in rilievo il lÒ goj, o la ‘definizione concettuale’, che caratterizza le realtà omonime e quelle sinonime51. La cronologia delle Categorie è una delle cose più discusse nell’ambito della critica aristotelica; e, benché non manchino ragioni per ritenerla, con Krämer, arretrata nell’ambito della produzione di Aristotele, la morte di Speusippo si colloca assai presto per poter ritenere che si tratti veramente di una polemica circa lo stato dell’opera come essa è giunta fino a noi52. E si tratta poi, veramente, di polemica, e non può essere invece l’eco di qualche commentatore che consideri insieme l’opera di Speusippo e quella di Aristotele? Domande tutte alle quali non è possibile dare una risposta adeguata. Se non forse quella che anche per Speusippo il primo atto dell’argomentare era quello di distinguere fra di loro le realtà omonime e quelle sinonime, cioè in definitiva compiere un’indagine sui nomi, e per questa ragione egli è stato accomunato con Aristotele dai tardi successori di entrambi. Ma l’accenno di Simplicio è troppo rapido per darci qualunque certezza sulla questione. c) Etica. Anche sull’etica di Speusippo è Aristotele a offrirci i dati più precisi. Quanto egli dice nell’Etica Nicomachea, avendo apertamente o presumibilmente di mira nella polemica Speusippo, dimostra soltanto che tutte le posizioni etiche degli Accademici, compresa la propria, si modellavano sulla teoria platonica del mšson, pur diversamente interpretandola. Anche nella teoria aristotelica dell’etica il mšson, intermedio fra eccesso e difetto, Ø peroc» e œ lleiyij, rappresenta nient’altro che la virtù, il coraggio fra la viltà e la temerità, la correttezza nel donare fra l’avarìzia e la prodigalità e così via53. In Eth.Nicom. VII, 1153b 1 sgg. (=fr. 60a L., 73 I.P.², 80a T.) Aristotele argomenta che il piacere, in quanto si oppone al dolore, che è un male, dovrebbe essere un bene, e che l’argomentazione di Speusippo è errata: egli viene a dire in sostanza che il più si contrappone insieme al meno e all’uguale, cioè che una realtà può avere due opposti. E in Eth.Nicom. X, 1173a 5 sgg. (fr.60b L., 74 I.P.², 81a T.) riprende il tema, ma senza più fare il nome di Speusippo, del piacere contrapposto al dolore: non esiste solo la contrapposizione di ‘bene’ e ‘male’, che renderebbe plausibile un ragionamento quale quello speusippeo, ma esiste anche la contrapposizione di un male ad un altro male. Aristotele ragiona in base a due differenti posizioni che intende entrambe contestare, quella edonistica di Eudosso e quella antiedonistica di Speusippo. Che egli sia più vicino a Eudosso che non a Speusippo non inficia la sua posizione in merito alla non validità del ragionamento speusippeo 54. 50
Platone, Epist.VII, 342b 1 sgg. Cfr. Tarán, Speus.of Ath., p.408 , e C. Luna,Fragm. Speus., pp. 159-164.Per l’espunzione di tÁ j oÙ s…aj dalla citazione di Aristotele cfr.R.Bodeüs, Aristote, Catégories, Paris, “Belles Lettres”, 2001, p.2, e infra, F15. 52 Krämer, Platonismus hell. Philos., p.91 sgg., ha così argomentato in base ad analogie con la dottrina di Senocrate sulla sostanza; tuttavia si tratta pur sempre del successore di Speusippo. 53 Cfr. Krämer, Arete, pp.177-181, .341-347.;accettabile nonostante la rigidezza nell’interpretazione di Aristotele, che va temperata. 54 E.Berti, Dibattito sul piacere, pp.135-158, fa notare questo, senza in sostanza negare la somiglianza fra Speusippo e Aristotele circa la validità dello schema. Cfr. per Eudosso i frr.D 3-4, in .Lasserre, Fragmente Eudoxos.. 51
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Speusippo ha in realtà condotto una polemica anti-eudossiana che probabilmente continuava quella platonica del Filebo (a meno che la polemica platonica non sia adirittura da considerarsi polemica antispeusippea, incentrata com’è sul concetto di kaqar¦ ¹don», piacere puro55). Il piacere è per lui un male in quanto incapace di raggiungere una realtà compiuta e stabile, di diventare una entità completa. Fra il piacere e il dolore, mali opposti, esiste quello che è il bene vero per l’uomo, l’assenza di dolore, ¢oclhs…a, secondo un testimone tardo ma assai attento, Clemente Alessadrino (Stromata II,122, p.186, 9 Stählin =57 L., 83 I.P.², 77 T.). Se può esser dubitato che il termine sia un primum dictum di Speusippo stesso (se ne trova già qualche testimonianza fra gli Epicurei, e di là può averlo attinto Clemente56) , non può esser messo in dubbio che questo sia un primo tentativo di indicare agli uomini il vero piacere e la vera felicità, posto in uno stato neutro ch’è l’assenza totale di turbamento. Ebbe Speusippo una sua autentica vita politica, o elaborò mai dottrine politiche per suo conto? Il catalogo, come si è già detto incompleto, che delle sue opere ci dà Diogene Laerzio, porta titoli che potrebbero far pensare a opere di teoria politica, come Pol…thj o Perˆ nomoqes…aj; ma nulla sappiamo di esse. Ci restano due citazioni che potrebbero farci pensare ad alcunché di simile, come quella dello stesso Diogene Laerzio, a proposito di Parmenide (IX,23= fr.1 L., 91 I.P.², 3 T.), di cui si dice che “diede leggi ai propri cittadini”, o quella di Clemente Alessandrino, dal Cleofonte (Strom.II,4,19, p.122 St.= 2 L.,92 I.P.², 4T.), ove vengono date definizioni simili a quelle di Platone (a detta dello stesso Clemente) su concetti quali il regno, il re, la legge. Sulla prima, poco c’è da dire, ma forse molto ci sarebbe se possedessimo l’opera Il filosofo: Speusippo dava la sua interpretazione dei filosofi antichi rivalutandone gli atteggiamenti pratici, e forse si contrapponeva in questo ad Aristotele, il quale aveva invece una visione in termini teoretici della filosofia anteriore a Socrate57. Sulla seconda, forse c’è da dire qualcosa di più: Speusippo non si differenziava da Platone nella lettera, ma nello spirito; il suo ideale del saggio come solo basileÚ j kaˆ ¥rcwn era ormai più somigliante a quello dell’ottimo re del Minos – un’operetta falsamente attribuita a Platone - che non all’ideale di ¢n¾ r politikÒ j (o basilikÒ j) proprio di Platone nel Politico.58 Qui egli ci appare, per quel poco che possiamo dire in proposito, del tutto dipendente e passivo rispetto alla realtà di fatto. 3. Le diverse interpretazioni dei frammenti. Dell’opera di Speusippo non abbiamo che poche parole in tutto: qualche espressione tipica, qualche termine, un brano isolato di un’operetta di dubbia identificazione, forse (ma solo forse) una lettera59. Tutto il resto, com’è stato del resto chiaro dalla nostra ricostruzione, lo dobbiamo a citazioni di altri, che –pur significative – sono sempre citazioni. E’ una di quelle dottrine che 55
Cfr. il modo come, nel Filebo, Platone conduce la sua polemica, contro ambienti non lontani da lui come quello dei Cirenaici,ma al contrario assai vicini e a lui strettamente legati. U.v.Wilamowitz- Platon, I, , pp.272-273, Taylor, Plato, p.400 ssg., Friedlander, Plato,² III, pp.339 e 540, e altri fra i più illustri studiosi di Platone hanno fatto propria questa ipotesi, che non è in alcun modo da tracurarsi. Per l’analogia col termine duscšreia usato da Aristotele cfr. M.Schofield, Duscere‹j, pp.2-20, di cui si dirà meglio più oltre. 56 Epicuro, Epist. ad Menoeceum, in Diogene Laerzio, X,127, usa già il termine, ma con significato limitato (¢oclhs…a toà sèmatoj). Altrove (ancora Epicuro, fr.526 Usener) lo si trova usato come ¢oclhs…a tÁ j yucÁ j. E, in sostanza, un termine epicureo minore, che richiede una qualche specificazione. Nulla impedisce che sia stato Speusippo a usarlo per primo in senso assoluto. Ed è da notarsi che Clemente Alessandrino è, in genere, testimone assai attento. 57 Per questo aspetto del Protreptico cfr. Jaeger, Aristoteles., p.80 sgg.,ma ancor più in Ursprung und Kreislauf, (l’articolo, uscito nel 1928, si trova riprodotto in calce alla traduzione italiana, di G.Calogero, Firenze 1935, e alla traduzione inglese, Oxford 1934, 1948², nonché in Scripta Minora, Romae 1960). Cfr. Protrepticus, fr.11 Ross (da Giamblico, Protr.9, pp.49-52 Pistelli) con le presentazioni di Pitagora e Anassagora in chiave di ‘vita teoretica’. 58 Sul Minos, che ancora qualcuno ritiene autentico (cfr. ad es. G.R.Morrow, Plato’s Cretan city, Princeton 1960, pp.35-39), cfr. Isnardi Parente, Una nota al Minosse pseudoplatonico, “La Parola del Passato” 9 (1954), pp.35-53; e più recentemente Storia filos.Accad., pp.156-157. 59 E’ la Epist. Socr. XXVIII (XXX Orelli) = fr.130 I.P.², a Filippo il Macedone, che E.Bickermann e J.Sykutris, Speusipps Brief an König Philipp, pp.1-86, attribuirono a Speusippo con successo; per dubbi rinati di recente cfr. commento al frammento citato.
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ricostruiamo attraverso la lettura meditata di una serie di frammenti, di varia origine e di diverso valore. Dobbiamo vedere anzitutto quali sono le differenti tradizioni che ci rendono partecipi di questa dottrina, e quali sforzi abbiamo dovuto fare per ottenerne una ricostruzione d’insieme. Si è detto prima che le più importanti fra queste citazioni sono quelle del contemporaneo Aristotele. Egli non è a noi noto in realtà in questa veste: l’Aristotele che noi possediamo, e sul quale ben più tardi si fonderà l’edizione del Becker, è già l’ Aristotele riveduto, corretto e messo insieme da Andronico di Rodi, e come tale esso è alla base di tutti i commenti tardo-antichi60. Poiché Aristotele nella Metafisica non cita quasi mai espressamente Speusippo (e mai, in assoluto, Senocrate) fra i seguaci del maestro Platone ai quali intende contrapporsi, sono per lo più i commentatori che ci aiutano a scoprire Speusippo fra gli œ nioi o nel tij che parlano di cose platoniche; e ciò spiega quindi perché al nome di Aristotele, nella nostra come nelle altre raccolte, seguano sempre quelli di Alessandro d’Afrodisia, Aspasio,Simplicio e altri personaggi del genere, quando l’intento sia quello di individuare un singolo argomento. Per esempio, si è detto all’inizio della nostra presentazone della dottrina di Speusippo che l’uno appare per lui alcunchè di amorfo e indefinito fino a che non riesca ad accordarsi col molteplice per formare il numero. Qui ( F16 I.P.²) Speusippo è espressamente citato, e non abbiamo dubbi circa il richiamo polemico. Ma non è citato là dove ( FF25-26 I.P.²) Aristotele afferma che (fr.35d L.,35 I.P.², 46a T.) alcuni asseriscono che il bene e il male non sono nelle ¢rca…, ma solo nello sviluppo progressivo dell’essere; e, abbiamo visto sopra, il culmine di questo sviluppo si può indicare nella tetr£j. E poco importa che altrove (Eth.Nicom. I, 1096c 5-7= fr.37a L.,31 I.P.², 47a T.) Speusippo venga citato esplicitamente per una posizione tendente a porre l’uno nella posizione del bene, ™n tÍ tîn ¢gaqîn sustoic…v; ciò non vuol dire che l’uno sia di per sé bene in quanto principio, ma solo che l’uno si trova, nella divisione generale della realtà, ‘dalla parte del bene’61. Ora, c’è un altro passo della Metafisica che ci serve senza ombra di dubbio a identificare Speusippo fra quanti attribuiscono a quello ch’essi chiamano il ‘secondo principio’ la forma del plÁ qoj; ed è N, 1091b 30 sgg. (fr.35a L.,32 I.P.², 45a T.), ove si afferma che quello stesso che ha negato all’uno la caratteristica specifica di essere ‘bene’ lo ha fatto proprio per la necessità di unire l’uno al molteplice, in quanto la genesi si determina mediante la commistione di contrarii. E’ una prova evidente che lo stesso Accademico indica alla stessa maniera due caratteristiche fondamentali del reale: che l’uno non coincide col bene (come farà, invece, Senocrate62) e che all’uno si contrappone come contrario il molteplice, formando la prima e fondamentale coppia di opposti. Vi è nella Metafisica un passo famoso, in cui sono prese in considerazione le varie forme che gli Accademici hanno in uso a indicare il ‘secondo principio’. Tale passo( che nella mia raccolta del 1980 è stato indicato solo assai sommariamente, mentre compare completo nella raccolta del 1982 dedicata a Senocrate63), è N, 1087b 4-33: e in esso si fa menzione di quel problema che doveva porsi come dominante e primario nell’Accademia immediatamente postplatonica, forse già negli ultimi anni prima della morte del filosofo: che cosa deve intendersi, e di conseguenza quale nome è da darsi a ciò che è la fonte ultima del sensibile, ciò che varia e non è perennemente uguale a sé stesso? Fra le varie altre ipotesi, che non cesseranno di porsi, Aristotele dice che ad alcuni fra quelli che fanno della Û lh un ‘altro’, ›teron, rispetto al bene e all’essere sembra che questo ‘altro’ sia da identificarsi in particolare nella molteplicità, plÁ qoj ; e aggiunge che i numeri nascono per costoro dall’uno e dal molteplice (= fr.48b L.,32 I.P.²,39 T.). Proseguendo nel discorso, ritorna su questi (b 26-33), e infligge loro una condanna meno grave che agli altri: essi hanno se non altro compreso che non lo ›teron, ma il molteplice è l’opposto dell’uno, e quindi il loro errore è meno grave sul 60
La storia della tradizione di Aristotele è assai nota fra gli studiosi, e non vale la pena di fermarsi qui sul tema.. Cfr. il commentoa F31 I.P.², infra. 62 Senocrate-Ermodoro, Frammenti, “La Scuola di Platone” III, Napoli 1982, ed.tr.comm. di M.Isnardi Parente, pp.3640; e vedi, nel commento, tutto ciò che si riferisce alla interpretazione del Parmenide, di cui Senocrate è forse il primo a individuare l’identificazione dell’uno con l’idea del Bene della Repubblica, poi divenuta luogo comune della tradizione platonica 63 Cfr. Isnardi Parente, Speusippo, fr.82a (qui dato come F52), e Senocrate, fr.99; commento pp.330-333. 61
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piano della logica. Qui Speusippo non è citato, ma Aristotele parla di lui senza alcun dubbio, e gli fa un notevole sconto nella sua critica. Fra le testimonianze seguenti a quella di Aristotele ( i commentatori, tutti, anche Alessandro di Afrodisia, che pur conosce ancora qualcuna fra le opere di Aristotele scritte quando questi faceva ancor parte dell’Accademia64, non sanno di Speusippo più di quanto Aristotele non dica) vi è la sola di un contemporaneo, o quasi, di Speusippo, Teofrasto, che possa dirci ancora qualcosa di lui direttamente. Ne abbiamo due testimonianze, tratte entrambe dalla Metafisica, operetta, o frammento di opera , probabilmente scritta a spiegazione non della Metafisica di Aristotele quale noi oggi la possediamo, ma di parte di essa, e non ci è oggi facile comprendere di quale parte si tratti65. L’una delle due parla di Speusippo solo in senso negativo, mettendolo insieme genericamente con molti altri che del cielo, ossia della realtà fisica dell’universo nel suo insieme, non hanno dato una trattativa specifica (Metaph.11, VIa 23 sgg. Usener, p.6 Laks-Most = fr.51 L., 58 I.P.², 59 T.). L’altra, più significativa, dice che Speusippo poneva tÕ t…mion, ‘il valore’, nella parte centrale dell’universo, riservando alle due parti ultime gli estremi (32, XIa 19 sgg. Us., p.21 Laks-Most = 41 L., 40 I.P.², 83 T.); ed è stata oggetto di più interpretazioni, a cominciare da quella cosmologica, dal Ravaisson al Burkert, fino a che l’interpretazione che Merlan dà di Giamblico, De communi mathematica scientia 4, p.15 sgg. Festa, non è venuta a render più difficili le cose66. Là dove si vedeva generalmente una allusione alla teoria pitagorica del fuoco centrale, che sarebbe stata accolta da Speusippo, Merlan ha infatti sostituito un’interpretazione neoplatonizzante, volta a vedere in Speusippo un uno non più semplicemente ancora incerto nella sua qualifica di essere, ma ‘al di sopra del reale’, Ø per£nw, come ci dice appunto Giamblico, principio supremo; il che darebbe nuova luce all’interpretazione dello stesso frammento teofrasteo 67. Dell’interpretazione del Merlan si dirà più oltre a suo luogo; essa è stata, ed è, molto seguita, e non manca certo di validità entro certi limiti, come quando sottrae a Speusippo l’interpretazione puramente cosmologica per garantirgliene una ontologica in generale. E’ da contestarsi semplicemente in quanto riguarda uno sviluppo discendente del reale, che non è attribuibile a Speusippo senza gravi fraintendimenti storici. La realtà per Speusippo non discende da un principio primo e supremo, ma si articola in più forme ciascuna dominata da una coppia di principi, che hanno fra di loro un rapporto di analogia; e da questo al neoplatonismo c’è un abisso. Così il t…mion, il valore, può trovarsi al centro del reale senza che per questo si debba sospettare una discesa graduale dell’essere: abbiamo già visto sopra come si proceda in senso progressivo dall’uno iniziale alla tetr£j per poi riassestarsi su valori inferiori al termine del processo68. In questo senso il breve passo dell’opera di Teofrasto può acquistare per noi un valore altamente significativo. Dopo Teofrasto, un lungo silenzio scende sull’Accademia antica, per non ricominciare che con Numenio, Giamblico, Proclo. Ciò non fa meraviglia, e c’è solo da chiedersi che cosa possiamo utilizzare per conoscere veramente Speusippo da questi tardi e indiretti suoi conoscitori. Di Numenio, abbiamo una storia romanzata dell'Accademia, che per i primi autori di essa dà una visione alquanto più esatta di quella data dal contemporaneo, o quasi, Diogene Laerzio: ci dice che sotto Speusippo, Senocrate, Polemone cominciò la prima divisione della scuola, e il primo effettivo ‘strazio’ dei principi platonici (De Academiae a Platone defectione, apd. Eusebium, Praep.Evang. XIV,5,1 sgg.= test.1c L., Test.50 I.P²., T20 T.: t¦dš strebloàntej) . Di Giamblico, possiamo far fede al testo solo quando questo mostra di darci espressamente le parole di un testo speusippeo: è il caso del già citato pseudo-giamblicheo Theologoumena arithmetices, che ci presenta uno Speusippo in chiave pitagorica e filolaica; il De numeris pythagoricis (61 sgg., pp.82-85 De Falco) sarebbe uno 64
Come il De bono o il De ideis; cfr. in proposito P.Moraux, Aristotelismus II, pp.335 sgg., ma cfr. già, dello stesso autore, Listes anciennes, p.39. 65 Vedi la Notice a Théophraste, Métaphysique, ed..Laks- Most, pp.IX-XVIII. 66 Cfr. Ravaisson, Speus.pr.princ., p.44, Zeller, Philos.d.Gr. II, I, p.1000; Frank, Plato sog.Pythagoreer, p.252, e così via fino a Burkert, Weish.Wiss., pp.305-306, nota 17. Di contro Merlan, From Plato to Neopl.², pp.96 sgg.,110 . 67 Cfr. FF 49 e 59. 68 Cfr. quanto già supra, pp. 7-9. Quanto all’interpretazione in termini etici data da Tarán, Speus.of Athens, p.448, cfr. infra, comm.a F40.
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scritto di Speusippo ricavato da un precedente scritto di Filolao da lui acquistato, il che è foggiato su una testimonianza già precedentemente data su Platone, e non desta stupore69. Se non che a un certo punto (p.83 De Falco) il nostro testo sembra costituire una citazione precisa: là dove parla della perfezione del numero, e del suo culminare nei numeri che rappresentano la piramide, si ha l’impressione che l’autore legga veramente qualcosa che ha di fronte a sé, e non abbiamo motivi plausibili per denunciare il carattere spurio della sua testimonianza. Di Proclo, poi, abbiamo un curioso testo, pervenutosi in latino per la perdita del testo greco della seconda parte del Commento al Parmenide, e in greco ricostruito dal Klibanski e dalla Labowski (In Platonis Parmenidem comm., pp.38-40 K.L.= FF.30 I.P²., 48 T.)70. Ci si può chiedere che cosa veramente di Speusippo ci dia questo testo,e la risposta è negativa. Speusippo compare all’inizio di esso, “narrans tanquam placentia antiquis”, per poi introdurre la dottrina dei principi e la tesi che l’uno da solo sarebbe incapace di generare alcunché di altro senza la ‘interminabilis dualitas’; ma questa è dottrina senocratea, avendo noi da Aristotele appreso che Speusippo poneva accanto al l’uno, e giustamente, il molteplice, essendo il suo contrario. Non vi è quindi ragione per ritrovare alcunché di speusippeo nel breve nostro brano; se Proclo scriveva veramente come la traduzione di Guglielmo di Moerbeke ci dice, egli non si faceva più scrupolo nel confondere le diverse versioni accademiche del ‘secondo principio’71. Quanto agli ‘antiqui’, non dimentichiamo che è qui Proclo che parla, e non Speusippo, e che gli ‘antiqui’ si pongono in relazione al primo e non al secondo72. 4. Le raccolte esistenti. Nel 1838 F.Ravaisson, studioso noto soprattutto per lo Essai sur la Métaphysique d’ Aristote (1837-1846), scriveva un De Speusippi primis rerum principiis, senza un vero e proprio intento di comporre una raccolta, ma tuttavia apponendo tutta una serie di passi aristotelici a un suo breve saggio sul pensiero speusippeo, il che dà all’opera ai nostri occhi il significato di un primo tentativo di porre insieme quanto di Speusippo si sapesse73. In questo saggio già troviamo una prima interpretazione in chiave neoplatonizzante, curiosamente combinata con la fedeltà ad Aristotele; a p.9 il Ravaisson scriveva:” nec fortasse absurdum, si quis prima hic tam celebratae a Neoplatonicis proÒ dou initia deprehendere sibi videatur”, e alla pagina seguente tornava il motivo del progressivismo speusippeo in una singolare forma schellinghiana74. L’interpretazione neoplatonica è perciò ben anteriore al 1928, anno dal quale la si fa partire con l’articolo di E.Dodds di cui si dirà più oltre75. Per avere una prima organica raccolta degli scritti di Speusippo, occorre arrivare al 1911, anno in cui P.Lang diede alle stampe il suo De Speusippi Academici scriptis. Accedunt Fragmenta76; nel quale, fatta debita memoria di due autori precedentemente occupatisi di Speusippo, quali Fischer e Zeller, ricordava anche F.A.Mullach, Fragmenta Philosophorum Graecorum, ma si affrettava a dire che troppo mancava ancora alla nostra conoscenza di quest’autore perché non si avvertisse il
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Per questa vedi .Swift Riginos, Platonica., pp.169-174, e Baltes, Platonismus II, p.223 sgg. La leggenda su Platone fu usata in senso antiplatonico, e la sua origine sembra da ravvisarsi in Aristosseno, il discepolo filopitagorico e antiplatonizzante di Aristotele. 70 Cfr., a proposito di questo testo, Isnardi Parente, Speus. in Proclo, , pp.293-310; poi in Supplementum Acad., cit., pp.282-294 (con alcune aggiunte). Rimando anche qui a F 30 infra. 71 Proclo, In Parm., p.38 K.-L..”le unum melius ente putantes”, cioè la riattribuzione a Platone, consueta, che l’Uno è più ricco di dignità rispetto all’essere, posizione che si crede di leggere nella Repubblica e nel Parmenide interpretati nella stessa chiave. Tutto ciò ha ben poco a che vedere con Speusippo. 72 Vedi per questo Cherniss, in una comunicazione epistolare a me stessa, e Tarán, Speus.of Athens, p. 355. 73 Il titolo nella sua integrità, già dato sopra, è Speusippi de rerum principiis placita qualia videntur ex Aristotele, Parisiis 1838. 74 Ravaisson, Speus.de rer.pr., pp.9-10. 75 Ma è bene citare subito qui .Dodds, Parm.of Plato , che risale al 1928. 76 P.Lang, De Speus. Acad. script., già sopra citato:; quella del Lang era una dissertazione tenuta a Bonn, come spesso accadeva trattandisi di prime raccolte o di temi particolari. Ha avuto una ristampa fotostatica ad Hildesheim nel 1965.
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bisogno di una edizione particolare di esso77. Coerentemente alle norme delle raccolte dell’epoca, Lang si attenne agli scritti di Speusippo, tralasciando le testimonianze di natura biografica, e cominciò da questi per compiere poi un confronto col catalogo laerziano, del quale denunciava la provvisorietà e la mancanza di completezza. La dotta trattazione del Lang, peraltro, non prende in considerazione se non quei libri di cui il titolo ci è rimasto, o è pur sempre dato in qualche forma: nella sua introduzione non è presa in considerazione in alcun modo la produzione di tipo ontologico che Aristotele abbondantemente cita e confuta nella Metafisica, e anche, abbiam visto, in un passo della Nicomachea, o l’altra produzione di carattere etico. Questi passi riguardanti Speusippo compaiono bensì nella raccolta, in una terza parte di essa, riuniti sotto il titolo Incertae sedis fragmenta e regolarmente suddivisi a secondo degli argomenti; ma non ricevono dall’autore nessun specifico commento78. Prima di arrivare a vere e proprie raccolte di tipo moderno, con commento relativo a ciascun dato di natura biografica e a ciascun frammento esistente, vi sono però più studi sull’autore di cui non possiamo tacere. Essi sono serviti ad una certe interpretazione del pensiero di Speusippo che sarebbe stata, senza di essi, impossibile. Nel 1929 usciva il vol.IIIA della Real- Encyclopädie contenente la voce Speusippos di Julius Stenzel. Per la prima volta si aveva così la delineazione completa dell’autore, nella sua indubbia platonicità ma anche nella sua controversa e tormentata adesione al maestro. Per quello che riguarda l’ontologia, Stenzel si atteneva particolarmente ai dati offerti da Aristotele, senza cercare di interpretarli più a fondo: anche là ove Aristotele fa di Speusippo quasi un antesignano dei due principi potenza e atto, i soli che a lui veramente interessino e che ritenga tali, nel già più volte citato passo di Metaph. N, 1092a 30 sgg., egli riprendeva fedelmente il punto di vista dell’autore senza porsi particolari problemi sulla validità del riferimento aristotelico79. Ma anche Stenzel dava la più grande importanza agli “Omoia, non solo come opera in sé stessa, ma in quanto la riteneva offrire un importante criterio per il giudizio di tutta l’opera di Speusippo nel suo insieme: essa era in effetti dominata dal criterio `omoiÒ thj- ¢nomoiÒ thj, il che rendeva la metodologia di Speusippo strettamente unitaria con la metodologia diairetica del tardo Platone.E’nota l’importanza data dallo Stenzel alla dia…resij, oggi alquanto superata nel corso della critica80. Nel 1953, molto dopo i suoi importanti saggi del 1934 su “Philologus”, Ph.Merlan scriveva il suo From Platonism to Neoplatonism, riprendendo alcuni temi speusippei a lui cari (lo avrebbe riedito, con aggiunte, nel 1960). In particolare la sua attenzione era attratta dal già citato passo di Giamblico De communi mathematica scientia, 4: sulla scorta di quanto già fuggevolmente affermato dal Dodds nel suo articolo del 1928, di cui è stata fatta più volte la citazione, Merlan riteneva che il passo di Giamblico chiarisse definitivamente Aristotele, in quanto l’uno, per Speusippo, non è essere, ma ‘al di sopra’ rispetto all’essere, aprendo così di lontano la via alla speculazione neoplatonica81. Tale interpretazione ha avuto poi la sua continuazione in H.J.Krämer, soprattutto in Der Ursprung der Geistmetaphysik, del 196482, in cui la figura di Speusippo è divenuta quella di un precoce neoplatonico, sì che lo stesso Merlan ha dovuto prendere in proposito le sue distanze83. 77
Si veda Fischer, De Speus. vita, che risale al 1845. Molto noto ovviamente Zeller, Philos.d.Griechen II, I, pp.99 – 108. I Fragmenta Philosophorum Graecorum di F.A.Mullach, usciti nel 1881 in edizione Didot, erano l’opera più vasta, sebbene farraginosa, di quanto si conoscesse all’inizio del secolo in fatto di filosofia antica, 78 Cfr. Lang, Speus. script., p.61 sgg., di cui gli ultimi sono Varia Fragmenta; essi non riportano che le deduzioni speusippee circa il nome di Platone e circa la sua nascita apollinea, vedi infra, fragm. 2, p. 26. Seguono Epigrammata, fra cui una brevissima testimonianza dall’Index Academicorum. 79 Stenzel, Speusippos, col. 1661 sgg. 80 Si vedano in particolare, fra le opere riguardanti Platone, Stud. zur Entw. (ristampata poi da K.Gaiser, Darmstadt 1961); e Zahl und Gestalt bei Platon und Aristoteles, Leizig-Berlin 1924, 1932² (anch’esso ristampato dal Gaiser, Darmstadt 1959). 81 P.Merlan, From Plat to Neopl.²;p.120 sgg.; le osservazioni sul Commento al Parmenide non compaiono che nel secondo volume, pp. 130-133. 82 H.J.Krämer, Urspr. Geistmetaph.; cfr. anche il profilo di Speusippo dato in Aeltere Akademie, in H.Flashar, Grundriss , pp.24-38. 83 Ciò soprattutto in Der Ursprung der Geistmetaphysik, “Philosophische Rundschau” 15 (1968), pp.97-110.
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Dopo la sobria e sintetica, ma precisa, voce Speusippos a cura di Heinrich Dörrie del 1965, su Kleiner Pauly84,due raccolte moderne dei frammenti di Speusippo sono alfine uscite nel 1980 e nel 1981, quella di M.Isnardi Parente e quella di L.Tarán. Si tratta di due opere assai diverse fra loro, che hanno in comune solo la negazione dell’interpretazione neoplatonica di Speusippo, pur sentita e vissuta dai due autori in maniera assai differente85. La prima delle due raccolte è stata seguita da un Supplementum Academicum destinato a rivederne alcune improprietà e a colmarne alcune lacune86. La raccolta di L.Tarán si presenta più completa sotto l’aspetto filologico, e costituisce una vera e propria edizione critica dei testi offerti; ciò non era nelle intenzioni dell’autrice della prima raccolta, che si limitava a presentare quei testi con scarse note di chiarimento là dove si verificava la possibilità di un cambiamento di significato. Questo è stato chiarito, contro le obiezioni di alcuni critici, nel Supplementum, e viene qui riveduto. Ma ciò che diversifica fra di loro maggiormente le due raccolte è la diversa interpretazione dei testi che in esse sono compresi. Tarán è dominato dalla volontà di liberarsi dell’influenza di Aristotele, così come lo erano Merlan e Krämer, ma in senso diametralmente opposto rispetto al loro. La ‘dottrina dei principi’ è per lui una mera speculazione di Aristotele, e non in alcun modo un tentativo dei discepoli di Platone di porre un ordine ai principi speculativi del maestro. Questa è la differenza fondamentale che separa fra loro le due raccolte di frammenti speusippei. Se il concetto fondamentale di Speusippo è il numero, ragiona Tarán, non esiste una differenza fra numeri e principi, ‘principio’ potendosi dire solo la realtà minimale che si pone all’inizio di una certa serie numerica. Quindi non esiste un ‘uno’ che sia anteriore all’uno numerico, e i due ‘principi’ unità-molteplicità si identificano immediatamente con il numero uno e la molteplicità definita87. La relazione che si pone fra i numeri e le altre realtà è, inoltre, del tutto concettuale, ed è solo in tal senso che i numeri vengono detti da Aristotele ‘trascendenti’ rispetto alle altre realtà: non c’è traccia alcuna di derivazione o emanazione nella dottrina di Speusippo. Né c’è traccia di una dottrina dell’anima del mondo, perché il mondo si muove di un movimento puramente meccanicistico88. Si può quindi affermare che per Speusippo la realtà si fonda su una ‘biological Analogy’, su di uno sviluppo nel corso del quale il bene e il bello emergono gradualmente. Il bene, secondo Tarán, si identifica sì per Speusippo con l’indivisibile, ma non con l’uno, ed è questo un difetto del suo pensiero, in quanto l’uno rappresenta la totale indivisibilità. Ciò ha un immediato riflesso sull’etica, giacché in essa i piaceri e i dolori sono considerati come mali, in quanto realtà implicanti forme di divisibilità e indefinitezza89. Tarán ricorre allo pseudo-Giamblico, e cioè alla testimonianza sul Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn, per giustificare questa sua interpretazione speusippea, con un notevole sforzo, perché lo pseudoGiamblico usa la parola ¢rca… nel senso improprio di pšrata o limiti90. Ma soprattutto è in difetto nell’interpretazione di Aristotele: il quale ha certamente forzato i termini della questione, ma si è sforzato di dare una sua interpretazione su di un dibattito effettivamente esistente nell’ambito dell’ Accademia antica, quello che pone gli accademici tutti, e non il solo Speusippo, di 84
H.Dörrie, Speusippos, KP V, 1975, coll.304-306. Dörrie considera con grande ponderatezza la Vita di Diogene Laerzio, precisando approssimativamente l’anno della fondazione dell’ Accademia come il 385 a. C. Considera, sulla scorta del Bickermann, autentica la Lettera XXVIII ( XXX Orelli); cfr. F 130 infra. 85 Cfr. i già più volte citati M.Isnardi Parente, Speusippo, Frammenti, e L.Tarán, Speus. of Ath.; la differenza d’impostazione critica fra le due raccolte sarà spesso messa in evidenza nel corso del commento. 86 Supplementum Academicum,.1995, pp.250-311. 87 Tarán, Speus. of Ath., pp.35, 45, 301, 313 (il primo principio, l’uno, non si distingue dal numero uno); pp.39, 331 (il ‘molteplice’ è pari a quella molteplicità definita che è propria di ogni numero); pp.52, 55, 317 (l’affermazione che i numeri sono entità puramente concettuali). 88 Tarán, Speus. of Ath., pp. 48, 386-88. Ma egli stesso riconosce che non avendo grandezza per Speusippo non sono“physical magnitudes” e sono quindi incapaci di generare movimento. 89 Cfr. ancora Suppl. Acad., p. 270 sgg. 90 Cfr. per questo quanto già osservato altrove, Isnardi Parente, Suppl.Acad., pp.276-77: Tarán compie qui una confusione fra pšrata, numero che è alla base di un concetto di grandezza come suo punto d’inizio, e ¢rc» vera e propria. Ma bisogna considerare che su questa confusione si regge tutta la sua interpretazione.
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fronte alla teoria di Platone nei suoi ultimi sviluppi. Aristotele,insomma, non inventa egli stesso la dottrina dei principi. E quando Aristotele ci dice che tutti gli Accademici erano in cerca del modo specifico come definire quel ‘secondo principio’ su cui Platone non aveva mai dato una definizione precisa, ravvisandolo di volta in volta o nel grande-piccolo, o nel disuguale, o nell’ ‘altro’, o nella diade indefinita, e pone fra di essi il nostro filosofo come sostenitore della forma ‘molteplice’ desunta dal Parmenide e liberamente reinterpretata (ancora il passo Metaph.N, 1087b 4 sgg.), egli non parla di un molteplice definito, ma di quello che, da Platone in poi, è la seconda, e mutevole, e suddivisa forma dell’essere: quello che poi metterà capo a una realtà definita una volta raggiunto un primo ordine, nel nostro caso, appunto, i numeri. In alcuni casi la nascita di questo Speusippo pre-moderno, con tendenze decisamente scientifiche, nasce dalle attribuzioni fatte gratuitamente all’autore. E’ il caso della dichiarata mancanza di una teoria dell’anima del mondo, e dell’attribuzione a Speusippo di Aristotele, De motu animalium 699a 12-14, ove Aristotele parla, senza nominarlo com’è spesso suo costume, di un autore che avrebbe visto la causa del movimento della terra in due punti, privi di grandezza ma dotati di dÚ namij91. La teoria del Merlan, che vide nella definizione dell’anima data dal nostro autore una prosecuzione della teoria dell’anima del mondo del Timeo di Platone, viene del tutto soppiantata da questa attribuzione basata sul semplice fatto che Speusippo avrebbe sostenuto la teoria del punto come dotato di sostanza ma non di grandezza. Il che mi sembra assai poco per garantire la esattezza dell’attribuzione: che il punto fosse ‘sostanziale’ era teoria generale dei Pitagorici, anche se non sembra esserlo stato di Platone92; che il punto fosse poi altra cosa rispetto alla grandezza era teoria professata generalmente, o quasi. Chi ci ridà uno Speusippo metafisico, sulle orme di quello del Merlan, è infine Dillon, che nelle sua ultima opera (Heirs of Plato) riprende il tema dell’Accademia con una serie di brevi ed efficaci monografie93. Speusippo è il filosofo che ha affermato l’Uno assoluto, ma accanto all’Uno anche il molteplice o la ‘diade indefinita’, come attesta un passo di Proclo, Commentarium in Parmenidem, nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke, ed. 1953 Klibanski-Labowski. Il passo, che vedremo appositamente a suo luogo, appare al Dillon centrale per la caratterizzazione di Speusippo, e di ciò andrà tenuto debitamente luogo. Abbiamo infine una ulteriore precisazione in E.Theys, Speus.of Ath., nella Continuation di Jacoby, Fragmente der Griechischen Historiker(1998)94.Essa si riferisce non a tutte le testimonianze su Speusippo, ma in particolare ad alcune di carattere biografico, su Parmenide o su Platone, in coerenza con il carattere (Biography) del volume in cui è inserita; e costituisce una ulteriore messa a punto critica e soprattutto bibliografica. L’atteggiamento della Theys è particolarmente critico nei riguardi di posizioni troppo particolarmente tese a proclamare la propria preferenza per una soluzione definita; ma ciò non toglie ch’esso non lasci qua e là posto per una risposta positiva. Si vedrà ciò più nettamente nei singoli passi presi in considerazione. Ci troviamo quindi di fronte, sulla base di pochi frammenti riconosciuti, a una serie di interpretazioni in chiave del tutto differente; tra le quali le più responsabili e meditate non possono essere se non quelle che tengono conto non solo della singola posizione di uno Speusippo visto in chiave propria e del tutto indipendente, ma della posizione particolare che lega il nostro autore, pur nella sua originalità, a Platone e al dibattito intorno al suo insegnamento.
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Tarán, Speus. of Ath., F 62, pp.386-388. Vedi anche qui Isnardi Parente, Suppl.Acad., p.280. Almeno stando a Metaph.B, 992a 20 sgg., in cui si dice che Platone non considerava il punto altro che un gewmetrikÕ n dÒ gma e che fu iniziatore di fatto a Senocrate della teoria delle linee indivisibili.. 93 J.Dillon, Heirs of Plato, per Speusippo pp.30-88; cfr. infra, F 30. 94 In FrHistGr. Continued, part Four (Biographian and Antiquarian Literature), IV A (Biography), fasc.1, pp.218-237. 92
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5. La raccolta attuale. La raccolta attuale delle testimonianze e dei frammenti (se tali possono chiamarsi) di Speusippo è la seconda cui l’autrice si accinge. Essa risulta del tutto diversa dalla prima raccolta, pur ripetendosi chiaramente in essa i criteri interpretativi già usati in passato. Ho parlato dubitativamente di ‘frammenti’. Infatti, pur essendomi decisa a segnare una differenza fra le testimonianze di natura biografica e quelle di natura teorica, mi rendo conto pur sempre che di frammenti in senso proprio non è possibile parlare. Si tratta in ogni caso di osservazioni fatte da un altro autore sull’autore considerato; solo forse nel caso del Dei numeri pitagorici ci trovamo di fronte a una pagina speusippea. Se si accetti la tesi di E. Bickermann e J.Sykutris dell’autenticità dell’Epistola a Filippo (oggi accettata, pur con un atteggiamento più soffice, da Natoli, Letter to Philip, del 2004), ecco che un’altra importante opera d’insieme, e questa volta non un semplice frammento, viene ad accrescere la nostra conoscenza dell’autore. Questo, pur essendo probabile, e in questo caso sarebbe assai importante, è tutt’altro che certo; è una felice ipotesi basata sull’apparenza di autenticità che la lettera presenta, ma nulla toglie, in assoluto, al fatto che essa non possa essere anche opera di un assai abile falsario.Tuttavia esiste, come Natoli afferma, una ‘likely Proof of authenticy’, della quale in questo caso dobbiamo contentarci95 A parte la divisione fra testimonianze e frammenti, essi sono qui reperibili in una forma diversa rispetto alla precedente edizione, e cioè corredati di un maggiore apporto filologico. La mia convinzione continua ad essere quella che si può fino a un certo punto presentare in maniera filologicamente completa una raccolta di autori così diversi fra loro come quelli che insieme concorrono a formare la raccolta: basti pensare alla differenza fra le molte edizioni moderne di Aristotele e la sola ed unica edizione della maggior parte dei commentatori, in cui molto sarebbe da rivedere e precisare. Chi potrebbe confrontare fra di loro l’edizione aristotelica della Metafisica ad opera, poniamo, di W.Jaeger e l’edizione di Aspasio o del Filopono, o la stessa di Simplicio del Kalbfleisch, per non dire quella della Fisica del Diels, come uscite dalla stessa opera di consultazione e di critica dei manoscritti? 96 Tuttavia bisogna pur sempre indicare, in ogni caso, il massimo raggiunto, e questa edizione si ripromette di fare qualcosa di più di quanto non sia stato già fatto in precedenza a tale proposito. I testi dei vari autori consultati sono indicati di seguito a questa introduzione. La diversa forma delle due edizioni non si limita a questo. In questa nostra ‘edizione’ elettronica dei vari testi in questione è data solo l’indicazione; essi sono tutti facilmente reperibili al lettore, e possono essere consultati direttamente. In questo senso l’indicazione delle edizioni moderne di essi offerta dall’indice delle fonti è essenziale. Rispetto al primo commento a Speusippo, il commento contiene, o cerca di contenere,tutti i risultati più rilevanti della ricerca speusippea degli ultimi venticinque anni.. Non mi resta, da ultimo, che ringraziare il collega prof. Tito Orlandi per avermi data la possibilità di questa pubblicazione.
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Cfr. Natoli, Speusipps Letter to Philipp II, in part. p.19. La stessa edizione dell’In Aristotelis Physicorum libros di Simplicio, compiuta dal Diels, appare oggi (come, del resto, varie altre dei CAG) da sottoporsi a nuova revisione critica. Cfr. L. Tarán, The Text of Simplicius’Commentary on Aristotle Physics’, in Simplicius: Sa vie, son oeuvre, sa survie, Coll.Intern.Paris 1985, ed. Ilsetraut Hadot, Paris 1987, pp.246-266.
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Margherita Isnardi Parente SPEUSIPPO. TESTIMONIANZE E FRAMMENTI
COMMENTO
Test. 1. Philodemi ,Vita Speusippi Herculanensis (1) Col.VI, p.135 – 136 Dorandi 29 par/aÙtoà (Pl£twnoj) labèn Bucheler 30-32 ™t/oÜsaj ¢naqe‹nai fhs…n Mekler Jacoby Isnardi¹ Tarán 32-33 sic Jacoby Isnardi ¹ Dorandi , kaˆ kaqecoÚsaj Mekler, Tarán 38 œscen ½dh t¦ mšlh dialuqšnta Mekler Jacoby Isnardi¹ Tarán, e‹cen dš t¦ ¥rqra di/§ suggnîmen paraluqšnta Gaiser; paraluqšnta solum Dorandi VII, 12, p.136-137 D. prokrin©(s)i tÕn Mekler Jacoby Isnardi¹ Tarán T 9-10 p.135 D. integravit Mekler XV, 16 , p.147 D. Pl£twnoj oÙ Gigante
Speusippo da lui (Platone) ebbe in eredità(2) la scuola quando era già malato. Filocoro ci dice che Speusippo edificò le immagini delle Grazie quando già era a capo dell’istituzione(3), immagini sulla quali stava scritto: “queste immagini delle dee Cariti Speusippo dedicò alle dee Muse, offrendole in dono a contraccambio delle loro rivelazioni”.(4). (Dice) che aveva già le gambe paralizzate(5); e scrive che tenne lo scolarcato per otto anni. I giovani (6), mettendo ai voti la scelta di chi dovesse guidarli, elessero Senocrate di Calcedone, giacché Aristotele era già partito per la Macedonia; Menedemo di Pirra e Eraclide Pontico furono vinti per pochi voti; Menedemo dopo poco aprì un’altra scuola. Gli Accademici si dice che avessero scelto Senocrate perché amavano la sua saggezza; Speusippo invece aveva l’animo alquanto iroso di quelli che non sanno dominarsi, e aveva perduto le gambe perché era stato debole nei confronti dei piaceri (7). Scrisse di lui Diodoro ( che, sebbene facesse storia sotto Teofrasto, proveniva da Speusippo)(8), che egli era di una natura acre e di una grande memoria, sì che non si occupò solo di cose ordinarie ma parlò di tutto esaurientemente (9). (Arcesilao) diceva…di avere appreso tutto da Platone, non da Speusippo o da Senocrate…(10) 1) Cfr. in proposito Dorandi, Philod. Vita Herc, p.39 sgg. La Vita, ripresa poi da Filodemo e Diogene Laerzio, è costruita sui dati di Filocoro, l’attidografo del III secolo, e integrata (col.T) dalle memorie di Diodoro: per l’attribuzione della col.T a Speusippo cfr. Gaiser, Academica, p.118 sgg, e 453-458; Gigante, Polemon, p.15; Dorandi, Vita Herc., pp.40 e 225-226. 2) Di Speusippo si parla già probabilmente nell’accenno al Pl£twnoj per…deipnon (col.VI,10a12a) ma solo per citare alcuni Accademici che venivano ivi nominati; la congettura di W. Crönert (cfr. fr.153 Isnardi Parente¹) non è più accolta dagli editori successivi. ‘Ricevette per successione’, è ciò che indica di per sé il verbo diedšxato; chi ha scritto la vita di Speusippo non parla quindi di elezione, ed è probabile che una elezione di Speusippo non ci sia stata, ma egli abbia ricevuto l’Accademia per semplice successione da Platone. Filodemo e poi Diogene Laerzio ripetono senza commentare. Nosîn indica che Speusippo si trovava già in condizioni precarie di salute, ed è stato letto da Gaiser e accettato da Dorandi. . 3) L’Accademia (fondata da Platone presumibilmente dopo il suo primo ritorno dalla Sicilia, verso il 380, nella sede dedicata in precedenza all’eroe Academo o Ecademo, Diogene Laerzio,III, 7-8) è la più ampiamente trattata fra le scuole antiche. In quanto prima vera scuola dell’Ellade, è stata modello di organizzazione alle altre: al Liceo prima di tutto, sua diretta filiazione, e poi alle ellenistiche, anzitutto al Kêpos. Wilamowitz, Antigonos von Karistos. Excurs 2, Die recthliche Stellung der Philosophenschulen, p.281 sgg., ha sostenuto la sua realtà di associazione cultuale o tiaso delle Muse, e ciò è stato precisato sotto l’aspetto giuridico da F.Poland, Geschichte des griechischen Vereinwesens, Leipzig 1909, pp.206, 209, 250. P.Boyancé, Culte des Muses ², in
Pag. 2 - Commento part. p.249 sgg., ma passim per tutta l’opera, ha sostenuto ampiamente la tesi del Wilamowitz, descrivendo in termini prevalentemente religiosi lo sviluppo dell’Accademia. Ma che ad essa sia da darsi la struttura del tiaso e la personalità giuridica di un’associazione cultuale è stato messo in discussione da studi più recenti, che riprendono alcune obiezioni già avanzate a suo tempo da .Gomperz (Die angebl plat. Schulbibl., 1889): cfr. per questo soprattutto:Lynch, Aristotle’s School, e di seguito Glucker,Antiochus and the Late Acad. Lynch sostiene in primo luogo che si sia equivocato sulle condizioni giuridiche del periodo: la situazione giuridica in Atene era abbastanza fluida da consentire ad una associazione filosofica di sussistere senza dover per questo assumere la configurazione di una corporazione religiosa; quanto alla presenza in essa di un tempio dedicato alle Muse (mouse‹on), ciò si spiega già per la sua precedente funzione di ginnasio, essendo il culto delle Muse collegato alla musica e all’istruzione primaria in cui questa aveva gran parte. Su quest’ultimo punto vi è senz’altro qualcosa da dire in particolare: l’Index ci parla di uno Speusippo katšconta tÕ mouse‹on, “a capo, alla direzione del tempio delle Muse”, compiendo quasi una sorta di identificazione fra questo e la scuola, ch’è tutt’altra cosa dal ‘mouseîon dell’Accademia’ come il Lynch vorrebbe, portando così un sostegno alla centralità, in essa, di un culto delle Muse. Quanto alle Grazie, a parte la tradizionale associazione cultuale Muse-Grazie , o Cariti ( A.Furtwängler, s.v. Charis, Chariten, in Roscher-Lexicon fur Mithologie I, 1884-86, coll.873-884; J.Escher, Charites, in Real-Encycl.III,2, 1889, coll.2150-2167, in particolare per il culto delle Grazie nell’Attica col.2154-55), vi sono motivi di accentuazione del culto all’interno della stessa tradizione socratica: una tradizione raccolta da Diogene Laerzio, Pausania, Plinio, Suida attribuisce a Socrate, nella sua attività giovanile di scultore accanto al padre Sofronisco, l’immagine delle Cariti esistente in Atene sull’Acropoli (D.L. II,19; Pausania, Perieg.I, 22,8; Plinio, Nat.Hist.XXXVI, 32; Suida, s.v. Socrates, IV, p:403 Adler). Il riferimento di Scholia in Aristoph.Nubes, v.773, serve forse a spiegare la singolare espressione che Aristofane mette in bocca a Socrate ( un giuramento alle Grazie, n¾ t¦j C£ritaj) insolito in un cittadino attico, ma che trova un riscontro nel prÕj Car…twn che fa esclamare a Socrate Platone, Theaet.152c. E l’associazione Grazie-Muse torna del resto nel dialogo platonico, cfr.Leges III, 682a. I motivi giuridici di dare alla scuola la forma di un’associazione cultuale non mancano certo, e rimando per questo a .Isnardi Parente,Accademia platonica, pp.350-378, in part. 368 sgg. Essi riguardano in particolare la posizione dello scolarca straniero in Atene o meteco, che dovette verificarsi assai presto dopo la morte di Platone e Speusippo, con l’elezione di Senocrate; il quale difficilmente avrebbe potuto porsi a capo di una proprietà comprendente anche una porzione di territorio, acquistata dallo stato. Forse è perciò da spostare a Senocrate questa iniziativa, essendosi la scuola trasmessa a Speusippo in forma naturale per la sua stretta relazione di parentela con Platone ( anche se a questo riguardo i problemi non mancano, essendo il legame giuridico con Platone di natura femminile; cfr. il testamento di Platone, Diogene L. III,44, in cui l’Accademia non è nominata, e che è reso in favore di Adimanto il giovane, figlio di un fratello). In ogni caso il problema sussiste, né va sottovalutato, o considerato inesistente. Per Tarán, Speus. of Ath:, p.9, non ha rilevanza un simile problema, essendo l’Accademia una istituzione ‘privata’, il che non ci è detto da alcuna parte, a prescindere dal fatto che ‘privato’ e’pubblico’ hanno una diversa accezione nel caso che si riferiscano al mondo antico o al mondo moderno (l’associazione privata rischiava troppo di avvicinarsi all’eteria politica, e i motivi per voler evitare la cosa dovevano essere più che evidenti in Platone e nei suoi). Il parere di Tarán ha fatto peraltro scuola: da ultima si associa a lui la Theys, Speus.of Ath., p.218. 4) L’estratto di Filocoro va fino alla l.38 del testo. Il testo proposto dal Gaiser è più verosimile; ‘le immagini che ancora vi sono’, come fu ipotizzato dal Mekler e per lo più seguito dagli altri editori, non tiene conto di fatti come l’incursione macedone del 200 e l’assedio di Silla. 5) Il passo cui appartiene dialuqšnta è lacunosissimo. Si capisce che si riferisce alla paralisi di Speusippo, e non escludo la mia precedente integrazione, desunta dal Mekler.
Commento - Pag. 3 6) E’ la prima volta che si parla apertamente di elezioni in seno all’Accademia. Nean…skoi sono qui i membri più giovani dell’Accademia, cui erano contrapposti i presbÚteroi e i presbÚtatoi (Gaiser, Academica, p.466); vorrebbe forse dire che la scelta di Senocrate fu voluta dai più giovani della scuola? In ogni caso, Aristotele era assente perché presso Filippo, per l’educazione di Alessandro, in Macedonia, Menedemo di Pirra e Eraclide del Ponto furono superati di pochi voti; ciò sembra sia stata per Menedemo l’occasione di abbandonare la scuola; Eraclide lo troviamo più tardi fra i discepoli di Aristotele. La ¢podhm…a di Aristotele è bene scelta: il motivo della sua assenza è determinato anche da Ermippo (Diogene L. V, 2). 7) Sembra di poter oggi leggere ¼ttwn genÒmenoj; ma il resto della frase appare ripetizione di quanto già detto; o dobbiamo leggere diversamente il dialuqšnta di poc’anzi? Cfr. anche Diogene Laerzio, IV, 1. 8) Il testo si riferisce probabilmente a un Diodoro discepolo di Speusippo, a noi peraltro ignoto; cfr. Gaiser, Academica, pp.24 e 454, ove fa il rimando a col.XXXVI, 16 (¢pÕ Pl£twnoj). Le precedenti integrazioni avevano valore temporale (cfr. Crönert, Überlieferung, p.356); accetto oggi, con Dorandi (p.225), il significato dato ad essa dal Gaiser. Questo inserto di Diodoro va probabilmente posto dopo le notizie principali su Speusippo or’ora viste; è un’aggiunta di Filodemo copiata dallo scriba sul verso del papiro (cfr.ancora Dorandi, p.225). 9) Gaiser (pp. 188, 456) ricostruisce ancora [t¦ par¦] to‹j P[uqagore…oij], assai incerto peraltro, pur avendo Speusippo accettato molto dalla scuola di Pitagora. 10) Si parla qui di Arcesilao; Speusippo è nominato solo allo scopo di mostrare l’indirizzo della scuola dominante fin da lui e Platone stesso. Accetto il ‘non’ di Gigante. Test.2 Diogene Laerzio, Vitae Philosophorum, IV, 1-5 : IV,1, 2 dieil»sasi BP, dieiloàsi F 3 dš delevit Dorandi, mšn emendavit P 4 tÕn dš dÁmon B uƒÕj dš n , Ój Ãn uƒÕj BF , Ãn uƒÕj P 5 ™n œtei B¹ 9 kun…dion a, kun£rion f 2,4 t¾n sof…an F , t¾n filosof…an kP 11 KaineÚj , 'IdomeneÚj dub.Jacoby, 'AfareÚj Gigante 3,7 met»llaxe BP , di»llaxe F 8 qanÒnta Richards 4, 3 Perˆ filosof…aj an filosÒfwn ? dub. Long 5 eÙmorfÒteron Marcovics GrÚllon fr. , gÚlaon B, gàlon F, gÚllon P 5,1 Ar…stippojdelevit Menagius 10, di£logoi delevit Tarán 4 Mkb/ doe / Ritschl kbm/ gdoe/ BrcP mg/ kb/ d oe/ F kb/ doe/ Taran, Dorandi om B St…coi m(uri£dej) Marcovics 10 Timwn…dhj Westermann Simwn…dhj codd 12 te kaˆ B…wnoj delevit Mueller
Queste son tutte le notizie che abbiamo potuto raccogliere circa Platone, dopo aver fatto accurato esame di ciò che di lui si racconta. Gli successe Speusippo, figlio di Eurimedonte (1), ateniese, del demo di Mirrinunte; era figlio della sorella di Platone stesso, Potone. Fu a capo della scuola per otto anni, a cominciare dalla olimpiade 108 (2). Pose statue dedicate alle Cariti nel recinto sacro alle Muse che Platone aveva costruito nell’Accademia (3). Si mantenne fedele alla dottrina stessa di Platone (4), ma non serbò fedeltà ai suoi costumi; era, infatti, proclive all’ira e debole di fronte al piacere (5). Si racconta che in uno scatto d’ira gettasse nel pozzo il suo cagnolino, e che per suo piacere andasse alle nozze di Cassandro in Macedonia (6). Si dice che fossero sue discepole Lastenia di Mantinea e Assiotea di Fliunte, che erano state anche discepole di Platone (7). In quel tempo, Dionisio gli scriveva con sarcasmo:”Dalla tua discepola arcade è lecito apprendere la tua sapienza: Platone esentava da tributi tutti quelli che partecipavano alla sua scuola, ma tu esigi tributi da tutti, che lo vogliano o no”. Diodoro (8), nel libro I dei Commentarii, dice che intuì il fondo comune delle discipline, e che tentò di metterle in rapporto le une con le altre. Per primo, a quanto ci dice Ceneo (9), rese noti
Pag. 4 - Commento quelli ch Isocrate chiamava i ‘segreti’. E fu anche il primo a inventare il modo con cui fabbricare da fuscelli cesti facilmente portabili (10). Sul punto di morire, ormai completamente immobilizzato dalla paralisi, fece chiamare Senocrate, invitandolo a venire a raccogliere la successione della scuola (11). Si narra che un giorno che veniva portato all’Accademia in una lettiga a rotelle incontrasse Diogene, e gli dicesse:”salute!”; e che Diogene gli ripondesse.”non posso dire altrettanto a te, che ti ostini a rimanere in vita in quelle condizioni” (12). Finalmente, in estrema vecchiaia, preso da sconforto, pose volontariamente fine alla sua vita. Gli abbiamo dedicato un epigramma: “Se non avessi saputo che Speusippo morì in tal modo, mai alcuno mi avrebbe persuaso a dire che era legato a Platone per sangue; non doveva morire cedendo a sconforto, per causa sì tenue”. Nella Vita di Lisandro e di Silla, Plutarco racconta che morì di morbo pediculare (13). In realtà il suo corpo era minato dalla dissolutezza, come ci dice Timoteo nel suo Delle vite. Lo stesso Timoteo ci racconta che, a un ricco innamoratosi di una donna brutta, avrebbe detto: “che te ne fai? Te ne trovo io una più bella, per dieci talenti”. Lasciò moltissimi commentarii e parecchi dialoghi (14). Tra di essi si possono enumerare: Aristippo di Cirene, Della ricchezza I, Del piacere I, Della giustizia I, Della filosofia I, Dell’amicizia I, Sugli dèi I, Il filosofo I, A Cefalo I, Cefalo I, Clinomaco e Lisia I, Il cittadino I, Dell’anima I, A Grillo I, [Aristippo I ], Confutazione delle arti I, Dialoghi ipomnematici, Dell’arte I, [Dialoghi] sulla scienza dei simili I-X, Divisioni e ipotesi sui simili, Esempi di generi e specie, Contro l’orazione ‘Senza testimoni’ , Encomio di Platone, Lettere a Dione, Dionisio, Filippo, Della legislazione, Lo scienziato, Mandrobulo, Lisia, Definizioni, Commentarii distribuiti in ordine. Tutto questo nel suo insieme fa righe 224.075. Timonide (15) dedicò a lui la storia delle imprese di Dione [e di Bione]. Favorino (16) racconta, nel libro II dei Commentarii, che Aristotele comprò tutti i suoi libri per tre talenti. C’è, infine, anche un altro Speusippo, di Alessandria, un medico della scuola di Erofilo. 1) Eurimedonte, padre di Speusippo, è a noi ignoto, giacché non sembra lecito identificarlo con l’omonimo citato nel testamento di Platone (Diogene L.,III,43) come fu tentato da Fischer, Speus. Ath. Vita, p.8. Quanto a Potone, sorella di Platone, l’incertezza è sulla sua posizione nella serie dei fratelli: Platone è stato creduto a lungo il primogenito di Perittione, dato il racconto speusippeo della nascita apollinea (cfr.infra, F 121) ma Wilamowitz, Platon I, Berlin 1919, p.35 sgg. e K.v.Fritz, Periktione (1), Real Encycl. XIX,1 (1937), col.794, hanno dimostrato che ciò non è un motivo sufficiente per ritenere valida questa notizia; Platone, sulla base di Apol.Socr.33c-34a, appare sicuramente minore dei fratelli Adimanto e Glaucone. Incerto se Potone debba considerarsi l’ultima, come vogliono Stenzel, Speus., col.1636, e oggi Tarán, Speus. of Ath., p.176, o intermedia fra Glaucone e Platone, come vorrebbe Merlan, Biographie, p.199. La data di nascita di Speusippo non si posta di molto per questo, 408 a.C, o al più 410. 2) L’olimpiade 108 va dal 348 al 344 a. C., quindi l’inizio della direzione della scuola è nel 348-47, data della morte di Platone. Tarán, Speus.of Ath., pp.7, 176-177, 209-210, ha supposto però che ci sia stata una pausa fra lo scolarcato di Speusippo e quello di Senocrate, il quale fu eletto sotto l’arcontato di Lisimachide, nel 339-38 (cfr. Diogene L., IV,4). 3) Completa la notizia data dall’Index Academicorum, cfr. supra, Test.I, ma con una precisazione: al tempio delle Muse, già esistente nell’Accademia per opera di Platone, Speusippo avrebbe aggiunto le immagini delle Grazie. Cfr. l’epigramma votivo dello stesso Speusippo,Philod. rr.34-37 = F 129 infra, che dà credibilità alla notizia.. 4) Tarán, Speus.of Ath., p.177, vede in questo un’asserzione della dogmaticità di Speusippo.
Commento - Pag. 5 5) La fonte di Diogene Laerzio è la stessa di Filodemo; una fonte qui sicuramente antiaccademica. La filhdon…a è collegata con la figura della discepola Lastenia, di cui si dirà meglio più oltre. 6) A proposito di questo viaggio in Macedonia cfr. l’ipotesi di Stähelin, Kassandros (1), RealEncycl. X,2, 1919, cit., che il Cassandro qui citato sia un fratello di Antipatro, anziché il figlio; accettata da Merlan Biogr., p.210; o l’altra di P.Maas, ANTIGONAS QUGATEHR, cit., pp.6870,di un precedente matrimonio di Cassandro. Scettici Tarán, Speus. of Ath., p.181, e Dorandi, Diogene Laerce, Vie de Speusippe et de Xenocrate, p.23 (in corso di pubblicazione). 7) A proposito di Lastenia di Mantinea e di Axiotea di Fliunte cfr: Dorandi, Assiotea e Lastenia: due donne all’Academia, “Atti Accademia TC”, LIV, 1989, pp.53-66, test.9. Sono le due allieve di Platone di cui anche Filodemo ci dà notizia; Lastenia in particolare è citata come amante di Speusippo ( Epist.Socr 34, in proposito Koehler, Briefe Sokr., p.124 sgg. ). Della lettera , con ogni probabilità pseudoepigrafa, di Dionisio a Speusippo da una notizia analoga Ateneo, infra, Test.15. 8) E’probabilmente lo stesso Diodoro di cui parla Filodemo nell’Index (.cfr. supra, p. ),e cioè un discepolo altrimenti ignoto di Speusippo, il quale avrebbe espresso su di lui, secondo Filodemo, questa medesima opinione. Potrebbe appartenere alle scarse fonti filoaccademiche di Diogene L.; per esse cfr. Leo, Biographie, p.56. Cfr. tuttavia in proposito T.Dorandi,Diodoros, in Dict.Philos.Ant. II, 1994, p.778. 9) Ceneo è difficilmente identificabile. Aristotele,Anal.Post.I, 78a 2, parla di un personaggio mitologico di una commedia di Antifane chiamato Kaineus, ed è stato malamente interpretato da Filopono, In Anal .post., p.159, 17 Wallies. Si è pensato a un testo corrotto, per cui Jacoby, Fr Gr Hist III B, p.195, proponeva ‘IdomeneÚj e M.Gigante,cit., p.47 sgg., più convincentemente, lo stesso nipote di Isocrate ’AfareÚj. Incerto che cosa siano gli ¢pÒrrhta di Isocrate; Merlan, Biogr., p.202, nota 4, parla di una allusione fatta a questi da Platone in Phaedr.271b con ™ndeiknÚmena, distinto da lÒgoi. Certamente non si trattava di dottrine politiche, ma di detti o parole d’ordine. Ciò farebbe supporre un legame assai stretto di Speusippo, e forse una sua primitiva appartenenza, a ambienti isocratei, cfr. Stenzel, Speus., col.1636; ma di ciò non esiste altra testimonianza. 10) La tradizione circa i canestri è oscura; esiste una congettura di F. Heinimann, “Museum Helveticum” XVIII (1961), pp.114-115, ripresa da W.Fiedler, Analogiemodelle bei Aristoteles, Amsterdam 1978, che dice trattarsi di una tšcnh, attribuita dallo stesso Diogene anche a Protagora, IX, 53, sull’autorità di Aristotele. 11) Diogene si accosta qui alla tradizione, certamente inautentica, in base alla quale sono state foggiate le due epistole socratiche XXXII e XXXIII. Cfr. già in proposito Leo, Griech.röm.Biogr., p.57, e O.Gigon, Interpretationen, p.160. 12) Sull’episodio dell’incontro con Diogene, qui dedotto certamente da fonte antiaccademica, cfr. quanto detto in Intr., note 123-13, e infra,Test..36. Sia questo riportato da fonte avversa sia da fonte favorevole, esso toglie valore di autenticità alla successiva notizia sul suicidio; cfr. già Zeller, Philos.d.Gr. II,1, p.987, e Stenzel, Speus., col.1638. Tarán, Speus.of Ath., p.183, accetta che Speusippo si sia ‘lasciato morire’. 13) Niente si trova nelle Vite di Lisandro e Sulla (Plutarco,Sullas 36,5) che possa suffragare tale notizia. La fonte è Timoteo, autore particolarmente malevolo contro i filosofi, di cui usava mettere in rilievo la morte indecorosa in contrasto con le belle parole; su questo autore ellenistico, del III sec.a.C.,autore di un Perˆ b…wn, cfr. Laqueur, Timotheos (15), Real-Encycl.VI A 1, 1937, coll.1338-39. Ziegler (Plut.III,2, p.207, nota)ha creduto sia da aggiungersi al testo plutarcheo un . 14)Il Catalogo delle opere di Speusippo è stato oggetto di studio particolare da parte di Lang, Speus. Acad.scr., pp.42-47, ma cfr. per questo tutta l’Introduzione premessa dal Lang alla sua raccolta . Lang ritiene che il disordine del catalogo sia dovuto a un difetto fondamentale nella trasmissione filologica di Diogene Laerzio, e ritiene che in esso si debbano intendere per dialoghi tutte le opere antecedenti al titolo ‘Upomnhmatikoˆ
Pag. 6 - Commento di£logoi e per opere non dialogiche tutte le seguenti a questo titolo; cfr. M Gigante, Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Nota catalogica e stilometrica, p.579-80, e oggi Tarán, Speus.of Ath., p.188 sgg. Anche se ciò può trovare un riscontro in altri cataloghi laerziani (VI, 80, per Diogene cinico, VII,166, per Erillo stoico), lo stesso Lang deve riconoscere che opere quali MaqhmatikÒj, MandrÒbouloj, Lus…aj devono avere carattere dialogico per il carattere del loro titolo,secondo l’uso platonico; egli è così costretto a ricorrere alla soluzione di uno spostamento erroneo di questi titoli dalla prima alla seconda parte del Catalogo (al posto dello, alquanto inusitato, titolo KleinÒmacoj À Lus…aj sarebbe da supporsi un KleinÒmacoj perˆ nomoqes…aj. seguito dai titoli anzidetti). L’ipotesi si presta a dubbi o richiede ulteriori complicazioni; cfr. oggi il rifiuto di Dorandi, Vies de Speus. Xen., nt.19. Il catalogo di Diogene Laerzio non è completo: la mancanza più notevole, in esso, è quella del Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn, per cui cfr. infra, F 125; da altra fonte conosciamo anche dei NÒmoi basiliko… ( o sumpotiko…?) scritti da Speusippo, ancora infra, Test.49. Non vi si parla inoltre degli epigrammi. Delle epistole sono date confusamente insieme quelle a Dione, a Dionisio, a Filippo, che risultano essere per lo più pseudepigrafi, forse solo una autentica (cfr. infra, F 130). Sui singoli titoli si possono fare le seguenti osservazioni: ‘Ar…stippoj Ð Kurhna‹oj è ripetuto due volte, ed è per questo espunto la seconda volta nella edizione Long, mentre è conservato da Marcovics. I.Bywater, The Cleophon of Aristotle, “Journal of Philology” XII, 1883, pp.17-30, in part.p.27, nt.1, e Hirzel, Dialog , p.313, proponevano già l’unione col seguente Perˆ ploÚtou, ipotesi oggi ripresa da Mannebach, Aristippi et Cyren., p.84. Ma il tema della ricchezza non è particolare di Speusippo nella sua polemica antiedonistica; Dorandi, Vies, nt.20, considera oggi la frase come estranea al Catalogo. Si noti l’accusativo della prima citazione: potrebbe esser caduto il prÕj iniziale. Il FilÒsofoj è citato in Diogene Laerzio (IX, 23) come Perˆ filosÒfwn. Potrebbe trattarsi della stessa opera, e in questo caso la forma citata qui nel Catalogo sarebbe la preferibile, come la più rispondente all’ideale platonico di educazione del filosofo. La forma qui data è alquanto anacronistica se considerata come speusippea. Si potrebbe considerare invece la forma, pure data in esso, Perˆ filosof…aj. PrÕj Kšfalon a/ e Kšfaloj a/ sono secondo Dorandi (Vies, nt.22 ) la stessa opera; Cefalo è probabilmente il padre dell’oratore Lisia. Grillo è probabilmente il figlio di Senofonte, morto nella battaglia di Mantinea del 362; quello di Speusippo sarebbe un GrÚllou ™gkèmion, fra i moltissimi altri che furono scritti in proposito. Si pensi alla probabile influenza di Isocrate. Al Tecnîn œlegcoj Stenzel, Speus., col.1648, già dava carattere antiretorico; ripreso oggi da Tarán, Speus., p.195. Diverso, probabilmente, il contenuto del TecnikÒj, che potrebbe riferirsi alle ‘arti’ in senso più ampio. Lo œlegcoj potrebbe forse riferirsi alla notizia circa la propalazione degli ¢pÒrrhta di Isocrate, che nell’Epistola a Filippo (infra, F 130) è nominato con l’espressione ™n ta‹j tšcnaij. La trattazione da Speusippo dedicata agli “Omoia, “I simili”, appare qui divisa in due parti, una chiamata Di£logoi e l’altra Diairšseij. Lang, pp.21-22, ritiene che si trattasse in effetti di un’opera divisa in due parti, la seconda offerta in realtà come una sorta di giusticazione circa le ‘premesse’ (il significato dato a Øpoqšseij da Platone, Resp.511b) in base alle quali Speusippo avrebbe scitto gli “Omoia.. Stenzel, per suo conto (col.1649), tenta di unificare le due versioni, notando che in alcuni passi platonici (es.Charm.160d) il verbo Øpot…qhmi viene usato per indicare la subordinazione di un e‹doj in una successione logica di concetti, di modo che dia…resij e ØpÒqesij vengono in certo modo a coincidere: la swfrosÚnh, ad esempio, è subordinata al concetto di kalÒn; i ‘Simili’ sono in stretta relazione perciò col successivo Perˆ genîn kaˆ e„dîn paradeigm£twn. Totalmente diversa la posizione di Tarán, Speus.of Ath., p.66 sgg., secondo cui l’opera, analogamente divisa in due, ha i titoli di “Omoia ( come dicono i frammenti in nostro
Commento - Pag. 7 possesso, cfr. infra, FF 102-122) e di Diairšseij kaˆ prÕj t¦ “omoia Øpoqšseij; l’espressione Di£logoi non si addice affatto a una simile opera. Si vedano le note di Dorandi, Vies, ntt. 27-30: perˆ tÁj pragmate…aj sarebbe ispirato da una confusione con D.L.IV, 13, relativo ad un’opera senocratea. Il Perˆ genîn kaˆ e„dîn paradeigm£twn non è in realtà tenuto in nessun conto da Tarán, Speus., p.68, in quanto Speusippo non compirebbe alcuna vera classificazione in generi e specie, limitandosi a una divisione del reale puramente dicotomica. Ma il solo fatto che tra le opere di Speusippo compaia un’opera di questo titolo indica che Speusippo, come del resto Senocrate ( del quale Diogene Laerzio, IV, 13, dà un’opera dal titolo fortemente affine), intendeva porre una differenza fra e‹doj e gšnoj, epiteti che per Platone si riferivano quasi omonimamente allo stesso genere di realtà, l’idea. Non possiamo quindi ignorare l’esistenza di un problema nascente, anche se esso è risolto in maniera del tutto diversa da ciò che avrebbe poi fatto Aristotele. Cfr.per questo più ampiamente infra, F 122. PrÕj 'Am£rturon è probabilmente un’opera scritta contro Isocrate, e in particolare contro l’opera intitolata appunto PrÕj EÜqunon 'Am£rturon (or.21) e chiamata appunto 'Am£rturoj; cfr. M.Gigante, 'AfareÚj, pp.47-49; Dorandi, Vies, nt.31, il quale ricorda che la stessa orazione era stata attaccata da Antistene, D.L.VI,15. Altrove ( D.L. III,2) Diogene Laerzio cita un Pl£twnoj per…deipnon; si veda infra, F 127. Ma Boyancé ( Culte des Muses², p.257) ha probabilmente ragione nel ritenere che il secondo sia il titolo più esatto, e che Speusippo, sedendosi al banchetto funebre in onore di Platone, abbia voluto pronunziare una laus, un particolare solenne elogio del Maestro, che è poi passata nella tradizione in questa forma. MaqhmatikÒj è stato considerato da Zeller (Philos.d.Gr. II,1, p.1006,nt.3) una delle due parti dell’opera Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn, qui nel Catalogo assente; ma cfr. il rifiuto del Lang, Speus.Acad.scr., p.30, per il presumibile carattere dialogico della prima opera. E’ da aggiungere a ciò che MaqhmatikÒj ha carattere più generico di quanto non si possa intendere con la traduzione ‘matematico’ e abbraccia un ambito di ricerca più vasto; Speusippo può essersi riferito in quest’opera largamente all’uomo che fa esercizio di scienza. Sulla base dello pseudo-Olimpiodoro (infra, Test.35) gli “Oroi platonici, operetta contenuta nel Corpus ma considerata generalmente spuria, potrebbero identificarsi con le Definitiones qui citate come speusippee. Ciò risulta peraltro impossibile data la frequenza di contaminazioni con la dottrina stoica che quest’opera contiene; il contenuto delle Definitiones pseudo-platoniche è da considerarsi da rivendicare in prevalenza all’Accademia, come bene ha visto H.G.Ingenkamp, Untersuch. Pseudo-platon. Defin., ma a un’Accademia più tardiva, influenzata dalla Stoa (per Speusippo vedi pp.5, 106 sgg.). Quanto a T£xeij Øpomnhm£twn, Dorandi (Vies, nt.34) accetta l’interpretazione di Tarán, pp.197198, ch’esso sia da intendere insieme col numero di st…coi che segue. Il senso del tutto sarebbe: “la somma dei trattati è di duecentoventiquattro mila linee e settantacinque”. 15) Per Timonide, di cui del resto si è già parlato, cfr.Capelle, Real-Encycl. VI A 2, 1937, coll.1305-06. La sua storia sembra fosse dedicata a Speusippo, cfr. Plutarco, Dio, 35.. 16) Favorino di Arelate (Arles), autore molto più tardo; in proposito E.Mensching, Favorin von Arelate. Der erste Teil der Fragmente, Berlin 1963, p.75 sgg., che nega la storicità della notizia, ritenendola relativa alla compera della biblioteca di Speusippo, non vendibile: La notizia è quasi certamente malevola, dovuta alla somiglianza degli Homoia con la Historia animalium aristotelica. La stessa notizia è data da Gellio, Noctes Atticae, III, 17,3, cfr.infra, Test. 43. . Test.3 Diogene Laerzio III,46 10 'Eu£gwn Ath.Deipnosoph. XII, 508f Pe…qwn FP
Pag. 8 - Commento Furono suoi (di Platone) discepoli Speusippo di Atene, Senocrate di Calcedone, Aristotele di Stagira, Filippo di Opunte, Estieo di Perinto, Dione di Siracusa, Amiclo di Eraclea, Erasto e Corisco di Scepsi, Timolao di Cizico, Eveone di Lampsaco, Pitone ed Eraclide di Aino, Ippotale e Callippo di Atene, Demetrio di Amfipoli, Eraclide Pontico e numerosi altri, fra cui anche due donne, Lastenia di Mantinea e Axiotea di Fliunte, la quale, come ci racconta Dicearco, vestiva abiti virili (1). . 1) E’ un sommario elenco dei primi discepoli dell’Accademia, che prende inizio dal nome di Speusippo. Per l’indice degli Accademici vedi ancora Zeller, Philos.d.Gr. II,1, pp.982984, e a commento Isnardi Parente, in Zeller-Mondolfo, Filos.d.Gr., II,3, , pp.861-891. Per Filippo di Opunte, probabile autore dell’Epinomide, cfr.oggi K.v.Fritz, Real-Encycl XIX,2, 1938, coll.2351-67;. Tarán, Academica, passim; Lasserre, De Léodamas etc., pp.157 -188 (testi), 591-659 (commentario). Per Estieo cfr. P.Natorp, Real-Encycl. VIII,2, 1903, col.1315, e più di recente Lasserre, cit., pp.97 sgg. (testi), 529 sgg.(comm.); per Dione siracusano cfr. le seguenti testimonianze da Plutarco, 28-30.Per l’accademico qui citato come Amiclo (ma Amicla altrove, Eliano, Varia Hist.III, 19; Proclo, In pr.Eucl.Elem.librum, p.67 Friedlein) e che forse è da identificarsi con l’Amyntas dell’Index, col.VI,4, cfr.Natorp, Real-Encycl. I,2,1894, col.1631, e Lasserre, cit., pp.87 sgg. e 519 sgg.. Su Erasto e Corisco esiste una bibliografia più ricca, per la loro collaborazione con Ermia di Atarneo e per la loro presenza nella VI Epistola attribuita a Platone: cfr. Jaeger, Aristoteles, p.112 sgg.; H.Berve, Die Tyrannis bei den Griechen, München 1967, I, pp.332 sgg.; Düring, Arist.anc. biograph. Trad., pp.272 sgg.; Lasserre, cit., pp.103 sgg., 537 sgg.; da vedersi anche la letteratura critica riguardante la VI Epistola platonica, ai due filosofi diretta, della quale oggi si propende però a riconoscere la non autenticità, cfr. Brisson, Platon, Lettr., e Isnardi Parente, Platone e l’ Epistola VI, “Riv.di Storia della Filosofia” LV, 2001, pp.547- 559. Per Timolao di Cizico cfr. v.Fritz, RealEncycl. VI A 1, 1936, col.1273; per Eveone di Lampsaco Natorp, Real Encycl. VI,1, 1907, col.836. Per Pitone (altrove dato come Pirrone, forse per confusione col filosofo) ed Eraclide di Ainos (quest’ultimo spesso confuso con Eraclide Pontico nella tradizione dossografica) di cui restano puramente e semplicemente notizie sull’attività politica in base al malevolo racconto di Ateneo, Deipnosoph.XI, 508d-509d, cfr. Schuhl, Platon activ. Polit.Acad., pp.46-53, poi in Le merveilleux, la pensée et l’action, Paris 1952; Isnardi Parente, St.Accademia ant., pp.274 sgg.; Eredità di Platone, , p.63 sgg.,in part.67. Non vengono qui citati da Diogene altri, ugualmente implicati nell’attività politica, degli Accademici, quali Clearco di Eraclea, Leone, o Leonide, di Bisanzio, Eufreo di Oreo ecc. (ma vedi, per Chione e per Eufreo, infra). Per Ippotale e Callippo rispettivamente Natorp, Real-Encycl. VIII,2, 1913, col.1924, e F.Stähelin, ibid., X,2, 1919, coll.1664-65; ma Callippo è l’uccisore di Dione, quello cui Platone (VII Epist., 333d-334a ) nega la stessa qualità di membro della scuola. Per Demetrio (di Amfipoli) ancora Natorp, Real- Encycl. IV,2, 1901, col.2488. Per Eraclide Pontico, passato poi alla scuola di Aristotele, cfr.Wehrli, Schule des Arist. VII, 1969², e Real-Encycl. Suppl. XI, 1968, coll.675-826. Per le testimonianze su Lastenia e Axiotea cfr. supra, Test.2; quanto all’uso di abiti virili, esso è testimoniato anche dall’Index, col:VI, 26-27. Test.4 Suidas, s.v. SpeÚsippoj, 928, IV, p.417 Adler Pwtènhj Taran,Potènhj codd. Speusippo. Figlio di Eurimedonte, nipote del filosofo Platone da parte di madre, Potone, sorella di lui. Fu discepolo dello stesso Platone e ne divenne poi successore nell’Accademia intorno
Commento - Pag. 9 all’olimpiade 78. Scrisse molte opere, per la maggior parte filosofiche. Era duro nei suoi giudizi e altamente proclive all’ira (1). 1) Suida ripete passivamente quanto intorno a Speusippo ci fa sapere Diogene Laerzio, salvo quest’ultima osservazione, che non si accorda con quanto Diogene ed altri raccontano circa la facilità di Speusippo agli scherzi. Vi è la possibilità che Suida abbia fatto anche uso di Esichio di Mileto (cfr. H.Schulz, s.v.. Real.Encycl. VIII 2, 1913, coll.1322-27), combinando le notizie di questi con quelle di Diogene. Test.5 Diogene L., III,4 (Platone) ebbe a fratelli Adimanto e Glaucone, e a sorella Potone, dalla quale nacque Speusippo.(1). 1) E’ la testimonianza più completa sulla famiglia di Platone, che si riallaccia a quelle su Speusippo date in Test.2, supra. Test.6 Diogene L., V, 86 (Eraclide Pontico) in Atene fu inizialmente vicino a Speusippo; ma fu a scuola anche dai Pitagorici e ascoltò anche Platone.(1). 1) Cfr.Wehrli, Schule d. Arist. VIII, pp.60-61: notizia dossografica che può significare o un particolare legame di assistenza e di collaborazione con Speusippo, o l’ascolto di lezioni tenute in particolare da Speusippo. Non si dimentichi che Eraclide uscì presto dalla scuola di Platone per aderire alla aristotelica, e Speusippo era portatore di un tipo particolare di platonismo.Wehrli opina fra l’altro che il loro particolare legame possa esser giudicato in base al comune interesse per il pitagorismo. .
Test.7 Philod. Index Acad.Hercul. col.V, additamentum II, p.180 Gaiser, 222 Dorandi (come) voleva Neante. Ma quelli che si attengono al nipote (riporta)no a loro volta che egli (Platone) esalò l’(ani)ma durante il sonno, (nel cuor della) notte (1).. 1) Il Mekler (Index.Acad., p.15) pubblicò senza alcuna integrazione questa aggiunta marginale alla col. V dell’Index. Essa appare invece fortemente integrata nel volume del Gaiser, pp.180 e p.437; il quale ritiene che il passo di riferisca al Pl£twnoj per…deipnon speusippeo, e ciò sulla base della lettura ‘del nipote’, ¢delfido[à]; in contrasto con Neante di Cizico (sul quale cfr. oggi W.Burkert, Neanthes von Cyzikos über Platon, “Museum Helveticum” LVII, 2000, pp.76-80), che riflette il racconto di Filippo di Opunte; una versione della morte di Platone, aderente al racconto di Speusippo, direbbe che Platone è morto nel sonno. Dorandi aderisce alla lettura del Gaiser in base a nuovo esame autoptico (p.222). Ciò contro la differente e in realtà più debole opinione di F.Lasserre, De Léodamas de Thasos etc., p.610, propenso a leggere – sulla via già indicata dal Crönert - ¢delfidî[n] , e a pensare alle ‘nipoti’ di Platone (cfr.Diogene Laerzio III,2 = Ermippo, fr.41 Wehrli: Platone sarebbe morto conversando con le nipoti, durante un banchetto nuziale). Test.8 Pap.Oxy.12, col.1,21 sgg. (The Oyrinchus papyri, I, pp.25-26 Grenfell-Hunt)
Pag. 10 - Commento Nel primo anno di questa (olimpiade) il filosofo Platone (mo)rì, e Speusippo prese la sua successione nella scuola.(1) 1) Breve tratto relativo all’Accademia di una serie cronologica di fatti della storia greca e romana, di cui il testo conservato si riferisce agli anni 355-315 a.C. Da notarsi che Speusippo vi è nominato col solito diedšxato, senza alcun accenno a elezione. La dipendenza è, come altrove, dalla Storia dei filosofi di Filodemo. Cfr. in proposito Jacoby, FrHistGr 255, comm. in II B, p.831. Test.9 Eusebius-Hieronymus, Chronicon, pp.118-126 Helm p.118, Speusippo si ritiene insigne (olimp.96,2) p.122, Platone muore. Dopo di lui Speusippo regge l’Accademia (olimp.108, 4) p.122, Speusippo muore. Gli succede Senocrate (olimp.110,2) p.126, Speusippo e Menedemo sono ritenuti filosofi insigni (olimp.116,1) 1) Tutti i dati cronologici qui offerti risultano errati. La Olimp.96,2 (395 a.C.) non può ritenersi la data di nascita di Speusippo, né il 345 (Olimp.108,4) data di morte di Platone. Nel 316 (Olimp.116,1) Speusippo, che qui viene associato curiosamente con Menedemo, era già morto da un pezzo. Merlan, Biographie, p.199, nt. 3, e p.211, ha cercato di individuare le ragioni di questi errori, ma le sue proposte restano altamente ipotetiche. . Test.10 Elias, In Categ., pp.112, 17-23; 112,28-113,4 p.112, 21 Pwtènhj Tarán, Prwtènhj codd. 30 LÚkeioi Brandis, lÚkioi codd. p. 113, 4 kat¦ per…paton Busse, kat¦ perip£twn codd. Settimo modo per chiamare le sette filosofiche può esser quello tratto da un dato particolare, come ‘peripatetici’ per la scuola di Platone,per il fatto che essi facevano filosofia passeggiando, per esercitare il corpo insieme con l’anima. Degli uomini che così si comportavano ebbe in eredità la scuola Speusippo,il figlio di Potone, sorella di Platone; essa non toccò ad Aristotele, allora non presente; si trovava,chiamato da Filippo, in Macedonia, per l’educazione del figlio di questi Alessandro… Tornato di là, Aristotele ereditò la scuola di Speusippo insieme con Senocrate,e tutti e due furono detti peripatetici, pur essendo differenti quanto a luogo: gli uni furono detti peripatetici del Liceo, e questi erano gli aristotelici veri e propri, gli altri, quelli di Senocrate, accademici. Nel tempo in cui questo accadde furono poi chiamati peripatetici senza bisogno dell’aggiunta ‘del Liceo’; quanto ai senocratici, venne meno loro nel nome la nozione del movimento,e furono chiamati semplicemente Accademici. Furono chiamati insomma peripatetici non perché passeggiassero, ma perché , tramite Speusippo, avevano ereditato la scuola da Platone, che faceva passeggiando le sue esegesi filosofiche. Test.11 Ps. Elias, In Porph. Isag., 29, 41-43 (pp.69-70 Westerink)) 2 SpeÚsippoj Westerink, peÚsippoj codd.; Pwtènhj Tarán, Potènhj Westerink Si deve sapere che dopo la morte di Platone, non essendo presente Aristotele (era allora Aristotele con Alessandro), Speusippo, nipote di Platone da parte della sorella, ereditò la scuola. Morto poi questo, gli Ateniesi richiamarono Aristotele, e questi insegnò in essa insieme con Senocrate; ma Aristotele insegnò nel Liceo, Senocrate nell’Accademia. E all’inizio presero il loro nome da
Commento - Pag. 11 questi luoghi, Licei quelli che discendevano da Aristotele, Accademici da Senocrate; da ultimo prevalse il nome preciso della scuola di Aristotele e questi si chiamarono Peripatetici, quelli che discendevano da Senocrate si chiamarono solo Accademici, come era il luogo del loro insegnamento (1). 1) I due brani si corrispondono press’a poco. Essi dipendono probabilmente dalla biografia siriana di Aristotele per cui cfr. I.Düring, Arist. in anc. Biograph. Trad. pp.116 sgg., 137 sgg. e altrove. Tale biografia dipende a sua volta da fonti classiche che saranno date più oltre, in quanto relative alla dottrina speusippea e non solamente a notizie su Speusippo. Sull’importanza del termine peripathtiko…, che dipenderebbe da Speusippo in quanto indicato come il filosofo che introdusse il metodo dell’insegnare passeggiando, cfr. invece K.O. Brink, s.v. Peripatos, Real.Encycl. Suppl.VII, 1940, coll.899-949, in part.900-03: se per…patoj come spazio riservato alla scuola, ove si può anche insegnare passeggiando, è termine anteriore ad Aristotele (cfr. Senofonte, Memor.I,10,1), peripathtikÒj compare la prima volta in Ermippo, fr.96 Wehrli (Schule des Aristoteles, Supplementarband 1, 1974) e non è legato necessariamente al significato di insegnare passeggiando, ma a quello di appartenente alla scuola così chiamata (Werhli p.7, nel Vorwort). Per Ermippo anche J.Bollansée, Hermippos of Smyrna and his biographical Wrintings: a reappraisal, Peters- Louvain 1999, pp.60-63: a Ermippo può essere tutt’al più attribuita la notizia che Aristotele si collocò per la sua scuola nel ‘peripato’ del gymnasium collocato nel precinto di Apollo Lykeios, e non di più, come Düring ha cercato di fare. Le due testimonianze ignorano totalmente la notizia dell’elezione di Senocrate data dall’Index Academicorum (cfr. supra, Test.1). Cfr. per questo Isnardi Parente, Senocrate successore, p.385-86: la notizia dell’Index si pone come la più antica e sicura. Test. 12-14 Vita Aristotelis latina, 13-14, 24 (pp.153-154 Düring) Dopo la morte di Platone Speusippo raccolse la sua scuola. Egli era figlio di Potone, sorella di Platone; Aristotele era stato mandato in Macedonia, per insegnare ad Alessandro, figlio di Filippo… Morto Speusippo, nipote di Platone, i discepoli di questo furono raccolti da Senocrate ed Aristotele, uomini sapientissimi; e Aristotele fu a capo della scuola nel Liceo, Senocrate invece nell’Accademia, ove aveva fatto scuola lo stesso Platone. Vita Aristotelis Marciana, 13 (p.99 Düring) 13, 2 Pwtènhj Tarán, Potènhj codd. Dopo la morte di Platone la scuola toccò in eredità a Speusippo, figlio di Potone, la sorella di Platone. Aristotele era stato mandato in Macedonia, chiamato da Filippo per educare suo figlio… Morto poi Speusippo, i membri della scuola chiamarono Aristotele; ed ebbero in eredità la scuola questi e Senocrate, nella maniera più saggia; Aristotele nel Liceo, Senocrate … nell’Accademia, ove era stato anche Platone. Vita Aristotelis Vulgata, 13-14 e 18 (p.133-134 Düring) 13, 3 Pwtènhj Tarán, Potènhj codd 14, 1 PšllV suppl.Düring Dopo la morte di Platone ereditò la scuola Speusippo, suo nipote; era questi figlio di Potone, sorella di lui. Aristotele era andato a , la città dei Macedoni, ove insegnava ad Alessandro il fondatore… Dopo di ciò, morto Speusippo, gli Ateniesi richiamarono Aristotele, e ambedue raccolsero in eredità la scuola di Platone, Aristotele e Senocrate; senonché Senocrate insegnava nell’Accademia, Aristotele nel Liceo.
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1) Non c’è alcun accrescimento dovuto alle povere notizie di queste Vite su quanto già finora conosciuto su Speusippo; è comune ad esse l’errore di credere Aristotele in Macedonia all’atto della prima successione dell’Accademia, che non è altro che una confusione con l’elezione di Senocrate. Queste Vite risentono della tradizione intorno ad Aristotele e i suoi rapporti con Platone vigenti nel tardo neoplatonismo; non manca però in esse una lontana origine ellenistica di unità fra Accademia e Peripato, che ci sarà più chiara viste le testimonianze di Cicerone (infra, Test.44 e sgg.). Test.15 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 279e-f 279 e 'ArkadikÁj Menagius, ad Diog.L. III,46; 'ArdikÁj A, sardikÁj C Non lontano da ciò era anche Speusippo, discepolo e parente di Platone. Il tiranno Dionisio, nelle sue lettere a lui (2), parlando a lungo del suo attaccamento ai piaceri e al denaro, lo accusa di prendere pagamento da molti discepoli; e gli rimprovera il suo amore per l’etera arcade Lastenia; e gli dice infine: “sei proprio tu che rinfacci agli altri l’amore per il denaro, tu che da parte tua non sei esente da nessuna cupidigia? Che cosa mai non hai fatto? Non tenti forse di raccogliere tributi per rifarti di quanto hai pagato per i debiti che aveva fatto Ermia?” 1) Si riallaccia a Diogene L., IV, 2, ove analogamente si parla di una lettera inviata da Dionisio II a Speusippo in tono schernevole, e con accuse circa la sua filhdon…a e filargur…a. Queste lettere, di cui abbiamo un esempio nella XXXIV (XXXVI Orelli) Epistola Socratica, sono probabilmente anche una delle fonti di Diogene L. stesso.La sola nota nuova del passo di Ateneo è l’accenno ai debiti di Ermia, per pagare i quali Speusippo sembra sia stato costretto a imporre una quota di tassazione sulla partecipazione alla scuola. Merlan, Biographie, pp.208-209, ha particolarmente studiato il passo in questione: Ermia è con ogni verosimiglianza il personaggio strettamente legato ad Aristotele, morto in un’imboscata persiana nel 341 a.C. (cfr. per questo soprattutto Jaeger, Aristoteles, p.112 sgg., e Wormell, Liter. Trad. Hermias,, pp.55-92). I debiti di Ermia sono inventati a somiglianza di quelli di Dionisio II stesso, cfr.ps.Platone, Epist.XIII. Test.16 Athenaeus, Deipnosoph. , XII, 546d 3 ™pexiën Kaibel Era amante del piacere Speusippo, il parente di Platone che fu a capo della sua scuola. Dionisio, tiranno di Sicilia, nella lettera diretta a lui, parlando del suo amore per il piacere e per il denaro, gli rimprovera offensivamente anche l’amore per l’arcade Lastenia, che aveva ascoltato anche Platone (1). 1) Ripete sostanzialmente la testimonianza precedente, con un richiamo alla compagna ‘arcadica’ o arcade di Speusippo, già stata discepola del suo stesso maestro.. Test.17 Athenaeus, Deipnosoph., XI, 506e-f 506 f 3 Perd…kkv Gomperz Questi è Platone, che secondo Speusippo, proprio per il suo legame di amicizia con Archelao (?), fu causa del potere di Filippo. E perciò Caristio pergameno, nei suoi Commentarii storici(1), scrive così: “ Speusippo, avendo udito che Filippo sparlava di Platone, gli scrisse in una sua
Commento - Pag. 13 lettera parole di questo tenore:” … come se non sapessimo tutti che Filippo deve a Platone l’inizio del suo regno! Platone infatti aveva mandato Eufreo di Oreo presso Perdicca; e fu proprio Eufreo a convincere il re a dividere con Filippo, per una certa parte, il territorio in suo possesso. Egli attinse di lì la sua forza; e alla morte di Perdicca, avendone la possibilità già in mano, s’impadronì del potere’”. . 1) La notizia del biografo Caristio di Pergamo ( cfr. FHG IV, 356-57 ) dipende da una fonte quasi certamente autentica, la XXVIII (XXX) Epistola socratica, cfr.infra, F 130: è la lettera di Speusippo a Filippo che venne così giudicata da E:Bickermann e J.Sykutris, Speusipps Brief an König Philipp, nel 1928. Un sostenitore della tesi opposta (Bertelli, Lettera di Speusippo, , p.76 sgg.) ha avanzato dubbi sulla rispondenza della notizia di Caristio con il contenuto dell’Epistola: da questa sembra che Speusippo polemizzi direttamente con Filippo, mentre in realtà sarebbe Teopompo ad essere oggetto della polemica. L’osservazione non manca di esattezza, ma non è un argomento valido contro l’autenticità della XXVIII Socratica: la frase riportata da Ateneo, che dovrebbe essere allocuzione diretta a Filippo, è in terza persona; quindi, oltre all’esser Caristio non sempre persona attendibile, si ha qui anche una citazione imperfetta o distorta da parte di Ateneo. O forse Caristio ha portato alla luce scopertamente, nel suo testo, ciò che Speusippo intendeva dire, e non ha detto, a Filippo. Il problema della stesura della lettera di Speusippo si intreccia con quello della V Epistola platonica, in cui viene raccomandato al monarca di Macedonia Perdicca Eufreo, quell’Eufreo che morrà combattendo contro Filippo per la sua patria, l’Eubea (cfr. P.Natorp, Euphraios, in RealEncycl. VI,I, 1907, col.1190). E’ probabile che la lettera sia stata formata nella cerchia di Speusippo; e C.Ritter, Neue Unters,, attribuendo la XXVIII Socratica a Speusippo, si mostra propenso ad attribuirgli anche questa, notando tuttavia che essa dovrebbe avere il suo posto fra le Socratiche. Per l’ipotesi che la V Platonica sia stata scritta nel 341, cioè subito dopo la morte di Eufreo, per giustificarne implicitamente la memoria, e ricordare tacitamente a Filippo quanto la sua casa dovesse a tale Accademico, cfr..Isnardi Parente, Filos. e polit., p.40 sgg., e Platone. Lett., p.XXIV sgg. Alla XXVIII Socratica troviamo aggiunta di seguito una lettera più breve, la XXIX, in cui l’autore presunto ammonisce il giovane Filippo a comportarsi in maniera degna della generosità di Perdicca, che gli ha concesso una metà dei suoi beni. Può esser verosimile la supposizione del Sykutris, Briefe des Sokr., p.89, che un falsario abbia voluto apporre alla lettera autentica di Speusippo una lettera inventata, come documento atto a provare la validità dei rapporti fra Platone e il giovane Filippo. Ma si tratta di ipotesi pura e semplice, che non va sopravvalutata. Test.18 Philostratus, Vita Apoll. Tyan., I, 35 (= Suidas, s.v A„sc…nhj Ð toà Lusan…ou, II p.184, 22 sgg, Adler) 2 Makedon…an Philostratus, MakedÒnaj Suidas Ma per non dover parlar male ancora di altre persone, dicono che Speusippo di Atene fosse così avido di ricchezza che, andato in Macedonia al banchetto per le nozze di Cassandro, compose dei frigidi poemi, e poi, una volta tornato in patria, li spacciò recitandoli per fare denaro (1). 1) Il testo di Filostrato chiarisce ancor meglio la tradizione formatasi intorno al viaggio macedone di Speusippo, con l’informazione relativa ai poemi da lui composti per l’occasione e venduti a caro prezzo. Rientra nel filone di accuse a Speusippo di amore smodato per il denaro. Test.19 Epist.Socr.XXXIV (XXXVI Orelli), 1
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…ma per godere ciò di cui Speusippo e Lastenia si sono valsi, Speusippo, lui che si vanta di essere stato la causa della spedizione in Sicilia (1). 1) E’il passo di un’epistola spuria che si immagina scritta da Dionisio a Speusippo, e che corrisponde in più dati a quella scritta da Speusippo a Dione, spuria anch’essa (cfr. infra, F134 )..R. Hercher, Epistolographi Graeci, p.LXXI, l’ha considerata come la risposta di Dione a Speusippo, ma ciò non regge; cfr. Kohler, Briefe Sokr., pp.124-126, e.Sykutris, .Briefe des Sokr., pp.97-98. Con Ðmologe‹n si intende qui la finzione di Speusippo che si atteggia a vero autore della spedizione siciliana. Test.20 Ps.Platonis Epist. II, 314e 2 ¢fe…hj Hermann, ¢f…hj AO’, ¢fšseij O² Quanto a Filistione, se ne hai bisogno servitene tu; però, se ti è possibile, prestacelo e mandalo a Speusippo. Anche Speusippo te ne prega (1). 1) E’ una delle testimonianze relative alla scarsa salute di Speusippo. Per Filistione cfr. M.Wellmann, Die Fragmente der sikeliker Aerzte, Akron, Philistion und des Diokles von Karistos, Berlin 1901, pp.68 e 109 sgg. Il falsario autore della lettera immagina una situazione che ben quadra con la tradizione corrente sulla salute cagionevole del filosofo. Per l’Epistola II vedi il mio Filos. polit. lett. Platone,, con i dati ivi offerti, e più di recente Platone. Lett., pp.192 sgg. L’Epistola sembra in realtà riferirsi a un periodo in cui fra Platone e Dionisio correvano ancora rapporti accettabili, fra il secondo e il terzo viaggio a Siracusa.
Test.21 Aelianus, Varia Hist., III,19 … In quel periodo Speusippo era ammalato, e non gli era possibile accompagnare fuori Platone. E’ un accenno riferentesi a Speusippo in un passo che sostanzialmente concerne i difficili rapporti fra Platone e Aristotele, e che mette in rilievo piuttosto la funzione di Senocrate; se ne parla perciò in relazione ad esso. Di Speusippo è, una volta di più, posta in rilievo la scarsa possibilità di sostenere attivamente Platone per la sua situazione di continua carenza fisica. Il testo proviene ovviamente da una tradizione filoaccademica, ostile ad Aristotele, ma ampiamente romanzata. Cfr. in proposito Gigon, Interpretationen, p.160.
Test.22 Ps.Platonis Epist. XIII, 361 d-e 361 d 2 'Oktaštij AO’ 4 ™pibiî A², ex em.O² Aldina
5 eÙporètatoj AO, eÙporèteroj
Sono a mio carico le figlie delle mie nipoti, quelle che morirono nel tempo che tu volevi ch’io prendessi la corona, ma io rifiutai. E sono quattro: la prima è in età da marito, delle altre una ha otto anni, un’altra poco più di tre, l’ultima non ha ancora un anno. Devo far una dote, e chiedo per questo l’aiuto degli amici, almeno a quelle che si mariteranno durante la mia vita; pazienza per le altre! L’una di esse sposa Speusippo, ch’è fratello di sua madre. Non ha bisogno, come dote, di più di trenta mine; è, questa, già una dote sufficiente per noi (1)
Commento - Pag. 15
1) L’incongruenza della lettera è stata già ampiamente notata dal Pasquali, Lettere di Platone, p.203. Ma per l’entità della dote cfr. già R.Hackforth, The Autorship of Plato’s Epistulae, Menchester 1913 p.175, e Novotný, Plat. Epist., p.296: troppo se si guarda al Platone ideale (cfr. Leges, V, 742c,ove si vieta di dare una dote, appena temperato da VI, 774d) e troppo poco se si pensa alla reale situazione di Platone: la dote di una famiglia ricca è di 100 mine. Difficile dire se dobbiamo interpretare come storica, in un contesto così dubbio, la notizia che si riferisce a Speusippo. Test. 23 Ps.Chio, Epist. X,1-3, 10-11, p.60 Düring 3 ™pefÒmpei Aldina Platone ha quattro nipotine, e ha dato in moglie la più grande a Speusippo, con la dote di trenta mine che Dionisio gli ha mandata… Speusippo è uomo assai gentile, ma povero (1). 1) L’autore di questa tardiva e spuria epistola (cfr. I.Düring, Chio of Heraclea. A Novel in letters, Göteborg 1951) ha su questo punto copiato l’asserzione di Platone circa la dote. Egli ci precisa che questa fu mandata da Dionisio, forse per dare maggior coerenza all’entità di essa. Quanto alla notizia secondo cui Speusippo sarebbe stato povero, essa è unica nelle nostre fonti. Da notarsi che Speusippo è chiamato carišsteroj, il che sarà ripetuto da altri autori. Test.24 Plutarchus, De frat. am., 21, 491f 1 – 492a 2 f 4, ™lšgcontaj G, ™lšgcontaj aÙtÒn ceteri kaˆ om.NRha Così anche Platone seppe distogliere Speusippo, che era suo nipote, dalla grande licenza e sfrenatezza che gli era propria, senza dire né fare nulla che fosse aspro nei suoi confronti, al contrario, col mostrarglisi benevolo e tranquillo mentre egli rifuggiva dai suoi genitori, i quali invece lo riprendevano aspramente e inveivano contro di lui; in tal modo riuscì a infondere in lui riverenza e ad ispirargli il desiderio di imitarlo, e di darsi anche lui alla filosofia. Molti fra i suoi amici gli rimproveravano di non ammonire più severamente il fanciullo; ma egli rispondeva che era già un ammonimento in tutto e per tutto sufficiente l’offrirgli, con l’esempio stesso della sua vita e della norma che la reggeva, materia di riflessione circa la differenza fra ciò ch’è onesto e ciò ch’è turpe (1). . 1) Si riferisce, con gli altri successivi, alla notizie negative circa l’irosità di Speusippo, riportateci da Diogene L. più estesamente, a quanto pare assai vive nella tradizione circa Speusippo, se anche un platonico come Plutarco accetta di citarle. Cfr. in proposito Stenzel, Speus.,col.1636. Test. 25 Ps.Plutarchus, De lib. educ., 14, 10d 5-8 Platone, una volta ch’era adirato contro un servo ghiottone e impudente, chiamato il figlio di sua sorella, Speusippo, “battilo tu” disse andandosene “giacché io son posseduto dall’ira” (1). 1) Fa parte di un’aneddotica particolare circa Platone, e Speusippo non vi è che citato di rincalzo. Cfr.Swift Riginos, Platonica, p.155, con l’osservazione che altrove è citato, al suo posto, Senocrate
Pag. 16 - Commento Test.26 Plutarchus, Adv. Colotem, 1108a 4 kÒmize EB, corr.Reiske Ma Aristodemo, “tu sai bene, disse, quel fatto di Platone,che, irato col suo servo, non gli diede colpi egli stesso, ma,chiamato Speusippo, gli disse di farlo, perché egli era posseduto dall’ira”(1). 1) Ancora una volta qui, in questo rapido accenno all’episodio, viene citato Speusippo. Test.27 Seneca, De ira, III, 12,5-7 5,4 sua manu A ( in fine versum A²) 6 interrogatus A 7,1 cecidit A' ( sed t postea erasa)
6,6 Speus. ipse ut videtur A', corr. A²
Non potè aspettare Platone , essendo adirato contro un suo servo, ma gli comandò di togliersi subito la tunica e offrire le spalle alle percosse; con l’intento di colpirlo di sua mano; tuttavia, poiché si rese conto di essere adirato, trattenne sospesa la mano e stava quasi in atto di percuotere. Interrogato da un amico, intervenuto là per caso, che cosa facesse, disse:”esigo punizione per un uomo iracondo”.E tratteneva quel gesto di infierire su qualcuno, così difforme dall’atteggiamento di un uomo saggio, già dimentico del servo, perché aveva trovato un altro che lo castigasse al suo posto. Quindi si privò del potere che aveva sui suoi e, mosso come da un senso di colpa, “tu, disse, Speusippo, da’ percosse a questo piccolo servo; io infatti sono caduto in ira verso di lui”. E perciò non colpì perché un altro colpisse a sua volta. “Sono adirato”disse”farò di più di quanto non occorra, e lo farò volentieri: non sia questo servo in potere di colui che non è in potere di se stesso”. E ci sarà qualcun altro che vorrà commmettere da sé la propria vendetta, quando Platone stesso rinunciò al proprio diritto a colpire? Nulla ti deve esser lecito finché sei in ira. E perché? Perché tu, in quello stato, vuoi che tutto ti sia lecito (1). 1) E’ un esempio di come gli autori romani, nel ripetere fatti appresi dai greci, li rendessero più ricchi con l’aiuto della retorica. Il passo di Seneca non contiene nulla di più di quanto non sia in Plutarco e dipende dalle stesse fonti. Che in esso sia un’eco del divieto pitagorico di punire gli schiavi (Swift-Riginos, Platonica, pp.155-56) può esser senz’altro vero, ma ciò non toglie nulla alla sua relativa credibilità. Test.28 Valerius Maximus, Ext., IV, 1,15 4 Speusippo C, Pseusippo AL, Pleusippo Pac Troppo liberale la moderazione di Archita, più temperante di Platone. Infatti questi, essendo acceso d’ira più del giusto per la colpa di un servo, temendo di non poter egli stesso regolare la misura della punizione, commise all’amico Speusippo di esser arbitro della pena, ritenendo di poter essere egli stesso incolpato se avesse fatto in modo che la colpa del servo e la punizione di Platone fossero state considerate di pari grado (1). 1) Ripete a un dipresso la testimonianza di Seneca, in forma abbreviata. Esaminata anch’essa, con lo stesso sospetto, dalla Swift-Riginos, Platonica, pp.155-56. Ma a ben vedere l’espressione di Valerio Massimo è piena di cautele di natura giuridica. Test.29
Commento - Pag. 17 Plutarchus, Dio, 17, 2-4 3, 4 ™fhdÚnesqai Bernardakis, ¢fhdÚnesqai codd. Questo cercò di fare Platone, e trattenne anche presso di sé Dione nell’Accademia, avendolo convertito alla filosofia(1). Egli abitava nella città presso Callippo, uno dei compagni nella ricerca filosofica (2); poi comperò un terreno proprio, per farvi soggiorno; e quando partì nuovamente per la Sicilia lo donò a Speusippo, il quale, fra gli amici di Atene, era stato il più intimo e il più legato a lui. E ciò perché Platone desiderava di veder contemperato e addolcito il carattere di Dione mediante relazioni piene di gentilezza e di quel piacevole garbo che sa adattarsi alle circostanze. Tale era infatti Speusippo: tanto vero che Timone, nei Silli, lo chiama “bravo nello scherzare”(3). 1) Plutarco, che ha messo a confronto fra loro le fonti relative all’impresa siciliana di Dione (cfr. infra, Test.30), ci dà col suo racconto dei fatti una essenziale integrazione della VII Epistola platonica, dalla quale pure dipende. L’atteggiamento verso Speusippo, che ne mette in rilievo l’avversione al tiranno, non può esser peraltro derivato da fonte ‘isocratica’, come Eforo o tanto meno Teopompo. Ne deduciamo che sia derivato da fonte filoplatonica, senza che Platone – che non cita mai Speusippo nell’Epistola- debba esserne considerato parte. 2) Callippo, che viene citato, pur senza esser nominato, nell’Epistola VII (333a, 334a), è l’accademico che sarà poi traditore e uccisore di Dione a Siracusa; cfr. per queste vicende E.Meyer, Geschichte des Altertums, V, pp.511, 522 sgg., e H.Berve, Dion, Akad.d.Wissenschaften, Mainz 1956, pp.740-881. 3) Plutarco sembra dare un valore positivo alla definizione di Timone di Fliunte ( H. Diels, Poëtarum philosophorun Fragmenta, Berolini 1901, fr.56); e cfr. il commento dello stesso Diels, ibid., p.183. Dubbioso in proposito Tarán, Speus. of Ath., p.219. Test.30. Plutarchus, Dio, 22, 1-4 2 mšn.: dš ™kpodën:. ™mpodën L² P² Ma Dione fu da ciò spinto alla guerra; se Platone si teneva lontano da essa, per un certo riguardo che aveva dell’ospitalità avuta da Dionisio e per ragioni connesse alla sua età avanzata, Speusippo e gli altri amici si raccolsero intorno a lui in suo aiuto, e si impegnarono a liberare la Sicilia, che tendeva a lui le mani ed era pronta ad accoglierlo con slancio(1). Nel tempo in cui Platone aveva dimorato a Siracusa, Speusippo e i suoi, a quanto sembra, mischiandosi di frequente con gli abitanti del luogo, si andavano informando circa i loro intendimenti. All’inizio la gente aveva paura di parlare liberamente, temendo di esser presa in un tranello dal tiranno; ma poi, col tempo, prese fiducia. Il discorso di tutti era lo stesso: tutti pregavano Dione e lo invitavano a venire, senza navi né opliti né cavalli, imbarcandosi piuttosto su di un brigantino; e a dar loro la sua vita e il prestigio del suo nome per la lotta contro Dionisio. Quando Speusippo e i suoi ebbero riferito a Dione tutto questo, egli prese coraggio, e si diede a raccogliere milizie straniere anche tramite altri, nascondendo le sue intenzioni. Delle sue imprese politiche furono a parte molti fra i filosofi, e Eudemo di Cipro (quello per la cui morte Aristotele doveva poi scrivere il dialogo Dell’anima) (2) e Timonide di Leucade; gli posero a fianco anche Milta il tessalo, un indovino, lui pure discepolo dell’Accademia. 1) Plutarco accoglie qui la tradizione che fa in primis Speusippo ispiratore della spedizione di Dione; concorde con Platone (Ep.VII, 350b-c) sul fatto che questi rifiutò di aderire personalmente alla spedizione, ma lasciò i suoi liberi di parteciparne. In effetti Platone non fa mai parola di Speusippo, e qui Plutarco ci dice qualcosa di più, forse appreso da Timonide,
Pag. 18 - Commento del quale si parlerà fra poco.Che Speusippo fosse con Platone nel terzo viaggio in Sicilia è noto; forse anche nel secondo, se si vuol credere almeno alla II Epistola (cfr. supra, Test.19). 2) In realtà Speusippo non viene citato fra i partecipanti alla spedizione. Fra i personaggi spicca Eudemo di Cipro, amico di Aristotele, cui questi, a morte avvenuta, avrebbe dedicato il dialogo perˆ yucÁj; cfr.Jaeger, Aristoteles, pp.37-38. Test.31 Plutarchus, Dio, 35,4 Eforo dice che, catturata che fu la nave, egli si uccise; ma Timonide, che fin dall’inizio aveva partecipato all’impresa con Dione, e che dedicò poi i suoi scritti al filosofo Speusippo, scrive invece che Filisto scese ancor vivo dalla nave che era stata trascinata a terra (1). 1) Plutarco qui rivela il confronto da lui fatto fra le fonti: in realtà Eforo e Timonide sono in contraddizione reciproca circa la fine di Filisto (o Filistide, cfr.ps.Platone, Ep.III, 315e; per il personaggio siracusano generale di Dionisio, cfr. Laqueur, Real-Encycl. XIX 2, 1938, coll. 2409-29). Su Timonide, cfr.lo stesso Plutarco,Dio, 22,5 e 30,10, che lo considera probabilmente il testimone migliore; già citato supra, Intr., nt.15 . Dalle citazioni non sembra peraltro trattarsi veramente di storie quanto piuttosto di un tipo particolare di lettere con racconto di avvenimenti: così Jacobi, Fr.Gr.Hist. III B, 561 T 3 b, e Komm., III B, p.306; A.Momigliano, Developm. Greek Biography, p.62. Questo conforta l’ipotesi dell’assenza del filosofo dal corpo di spedizione.
Test.32 Plutarchus, De adul. et am., 29, 70a 1-5 E anche Speusippo gli scrisse di non insuperbirsi per il fatto che si parlasse tanto di lui, anche presso ragazzi e donnicciole, ma di adoprarsi piuttosto, ornando la Sicilia di santità e giustizia e ottime leggi, a ‘rendere illustre’ l’Accademia. 1) E’ il brano di una lettera inviata da Speusippo a Dione dopo la sua vittoria su Dionisio. Su di essa sono state foggiate la IV Epistola platonica e la XXXIII (XXXV Orelli ) Socratica, che ne riprendono press’a poco il motivo. La differenza cronologica fra le due lettere è certamente assai evidente, e non è qui necessario far paragoni. L’epistola speusippea è però probabilmente autentica, anche se perduta.
Test.33 Ps.Galenus, Philosoph.Hist.,3, Dox.Gr: p.599 p.599, 16 aÙtoà B, aâthj A aƒršsewj A, proairšsewj B ¢rqritikoÝj B
16-17, ¢rqritiko‹j A,
Speusippo, rimasto per breve tempo a capo della scuola, giunto alla fine a causa di una malattia agli arti, volle porre al suo posto Senocrate, come continuatore delle dottrine platoniche (1). 1) Non si riallaccia a Speusippo se non per indicare il breve tempo passato da lui dopo Platone a capo della scuola, ma sembra conoscere bene il tipo di male che lo affliggeva. La continuazione delle dottrine platoniche è però tarda invenzione dell’autore, chiunque esso sia, avendo già per suo conto Speusippo rinunciato alla più importante di queste
Commento - Pag. 19 dottrine, quella delle idee. Sulla Philosophos Historia dello pseudo-Galeno cfr..Diels, Doxographi Graeci,, pp.233-258. Test.34 Ioannes Italos, Quaestio 91, p.137, 5-25 Joannou Platone… dopo il quale Speusippo, e poi a sua volta, essendo questi venuto rapidamente a morte, Senocrate, divenne esegeta delle dottrine platoniche(1). 1) Questo passo di autore bizantino, che non è una testimonianza significativa ma che denota pur sempre un’attenzione alla prosecuzione esegetica della dottrina platonica, è stato notato da Romano, Nuove test. Speus. , pp.165-167, che lo pone in relazione con ps.Galeno, Hist. Philos., 3, Dox.Gr. p.599, senza comunque che nel passo ci sia alcun accenno alla malattia di Speusippo. Test.35 Proleg. in Platonis Philosoph., 24,6, p.38 Westerink Tutti sono d’accordo che siano spurii il Sisifo, il Demodoco, l’Alcione, l’Erissia, e le Definizioni che vengono attribuite a Speusippo(1). 1) Questa attribuzione degli “Oroi pseudoplatonici a Speusippo è considerata oggi da scartarsi; cfr.Ingenkamp, Unters. Pseudoplat. Defin., pp.112-113. Le Definizioni a noi giunte sotto il nome di Platone attestano la presenza di molto materiale stoico, anche se non mancano di addentellati accademici, il che fa pensare a un’Accademia tardiva, influenzata dalla Stoa, forse quella di Antioco di Ascalona. Test.36 Ioannes Stobaeus, Florileg., IV, 52, 17, V, p.1077 Hense 2 toà b…ou del. Meineke Diogene suggerì a Speusippo, ch’era paralizzato negli arti, di andarsene volontariamente dalla vita: ma quegli gli rispose:”non con le gambe viviamo, ma con la mente” (1). 1) Cfr. Diogene L., IV, 3, che riporta questo aneddoto nella forma negativa, mentre in forma filoplatonica è giunto a Stobeo. Test.37 Tertullianus, Apologet., 46,10, p.96 Waltzing Ho appreso che anche uno della scuola di Platone, un certo Speusippo, morì in atto di adulterio (1). 1) D’accordo nel non dare valore a questa testimonianza tutti i critici, da Fischer, Speus.ath.vita, p.48, a Zeller, Philos.d.Gr. I,4, p.987, a Merlan, Biographie, p.214. Oltre tutto, Tertulliano non conosce Speusippo se non per tradizione assai vaga, e ciò s’intuisce facilmente dal modo come lo cita. Test.38 Gregorius Nazianz., Poem.moral., PG X, 306, col.702
Pag. 20 - Commento Che può dirti Platone, pur essendo il più sapiente degli uomini? Che Aristippo, dico l’amico del piacere? Che, io credo, il gentile Speusippo? (1) 1) L’aggettivo car…eij apposto al nome di Speusippo, che deriva forse dallo ps.Chione, ep.X, indica una tradizione positiva ancora sensibile, che tende a presentare Speusippo come uomo piacevole anziché dedito ai piaceri. In proposito di Gregorio di Nazianzo cfr.I.Düring, Herodicus the Cratetean. A Study in anti-platonic Tradition, Stockholm 1941, p.167. Test.39 Themistius, Oratio XXI,255b 1 peÚsippoj AHS E per questo Aristone amava Cleante, e lo faceva partecipe della comunanza dei discepoli, e così Cratete Crantore; e per questo Speusippo richiamò da Calcedone Senocrate (1). 1) Si basa anch’essa sulla tradizione che fa Speusippo, in punto di morte, richiamante Senocrate per affidargli la scuola, tradizione dubbia, che riposa su due tardive lettere socratiche (cfr. F131 e 132 ). Ma questa testimonianza dice espressamente che Senocrate fu richiamato da Calcedone, e sembra presupporre un soggiorno di questi in patria durante lo scolarcato di Speusippo. Quanto alle relazioni che qui Temistio pone fra gli altri filosofi, esse destano perplessità. Tra Aristone di Chio e Cleante abbiamo solo il titolo di un’opera del primo, PrÕj Kle£nqhn (D.L.VII, 163), in cui il prÒj è di significato incerto. Di legami fra Accademici Diogene parla a proposito di Cratete e Polemone, Cratore e Arcesilao (IV, 22). Test.40 Themistius, Oratio XXXI, 353c-d Per me l’autorità che viene dai discorsi è più alta di quella delle trombe d’argento o degli araldi dalla voce più forte; non si può né darla né toglierla ai re….Quest’autorità domina fino ad ora,sia essa di Aristone, o di Aristotele, o di Speusippo, o di Senocrate (1). 1) Temistio parla qui di una ¢rc» superiore che viene dalla capacità di saper tenere discorsi rispetto a quella degli strumenti risonanti, e cita Aristone, Aristotele, Speusippo, Senocrate. Il passo riguarda Speusippo solo per l’esemplificazione che vi viene condotta. Test.41 Themistius, Oratio XXXIV, VII 5 gnèmhn Jacobs, Dindorf; t¾n gnèmhn Gasda, Schneider, Tarán; gnèmV A suntršcousan coniecit Jacobs, sumpršpousan A E se qualcuno chiama Platone nunzio del pensiero divino, non così vanno chiamati Speusippo o Senocrate, ma piuttosto va chiamato così colui che da forza alla sentenza di lui (1). 1) E’ qui, al contrario, un confronto fra Platone, degno di essere chiamato nunzio di pensieri divini, e la minore figura di Speusippo o di Senocrate, che non comporta simili appellativi.
Test.42 Plutarchus, Quaest. conviv., I, 612 d 7-e 2 d 11 'Aristotšlhn ceteri
Commento - Pag. 21 Quanto al fatto che, in stato di ebbrezza, si perda totalmente la memoria, non solo esso è contrario a quanto si dice del banchetto, cioè che questo è buono a procurare amicizie, ma ha contro di sé la testimonianza dei filosofi più illustri, Platone, Senocrate, Senofonte, Aristotele, Speusippo (1), Epicuro, e ancora Prìtani e Ieronimo e Dione Accademico (2); i quali tutti ritennero che fosse opera degna di qualche cura lo scrivere discorsi simposiaci .
1) Speusippo compare in una abbastanza lunga lista di personalità filosofiche dedite a celebrare col vino in banchetti la loro dedizione ai discorsi. Non è neanche questa una testimonianza significativa, ma va peraltro registrata. Potrebbe dar forza alla lezione sumpotiko… del seguente Test.49. Ci sono incertezze circa i filosofi citati: Se per Epicuro i frr.54-65 Usener (21,1-5 Arrighetti) sono una testimonianza sufficiente, poco sappiamo di Ieronimo di Rodi in proposito (D.L.IV, 41; R.Daebritz, Real. Encycl. VIII,2, 1913, coll.1561-1564; Wehrli, Schule des Aristoteles, X, pp.7-44, in part.35-36) e meno ancora di Pritani, peripatetico del III secolo a:C., Athenaeus, Deipnosoph.XI, 477e, Ziegler, Real-Encycl. XXIII,1, 1957, col.1158). Quanto a Dione, potrebbe trattarsi dell’Accademico Dione Alessandrino, discepolo di Antioco di Ascalona (Cicerone, Acad. II, 12) forse identificabile con il personaggio di cui ci parla sempre Athenaeus, Deipnosoph.I, 34b; cfr, von Arnim, Real -E V,1,1903, col.847. Test.43 Gellius, Noct. Att., III,7,13 Si dice che Aristotele comprasse i pochi libri di Speusippo dopo la morte di lui per tre talenti attici; il che è nella nostra moneta settantadue mila sesterzi.(1). 1) Il passo si inserisce nella consueta tradizione dell’acquisto di libri da altro filosofo, ma questa volta si può essere in dubbio se si tratti di accusa di inautenticità o di plagio, dati i personaggi di cui si tratta, Speusippo e Aristotele, e la stima che Gellio fa di essi. Si può piuttosto prendere in considerazione l’ipotesi di un calcolo del valore dei testi citati; che qui Gellio sembra considerare scarsi di numero, in contrasto col catalogo laerziano, peraltro, come si è già detto, incompleto. Test.44 Cicero, Academ. post., I, 4, 17 2 constituta G 7 prestantissimos mn Da Platone, ch’era filosofo di dottrina varia e ricca e molteplice, derivò una forma di filosofia in realtà una e congruente con se stessa, ma con due differenti denominazioni, degli Accademici e dei Peripatetici; d’accordo sulla sostanza, essi differivano nel nome(1). Avendo Platone lasciato quasi erede della sua filosofia Speusippo, il figlio di sua sorella (2), ma anche altri due discepoli di grandissimo zelo e di alta dottrina, Senocrate e Aristotele di Stagira, ecco che quelli che si raccoglievano intorno ad Aristotele si chiamarono peripatetici, per il fatto che trattavano di filosofia passeggiando per il Liceo, mentre quelli ch’erano soliti tenere i loro ritrovi e i loro discorsi nella sede della scuola istituita da Platone, ch’è un altro ginnasio, trassero da questo luogo la loro denominazione 1) E’ una testimonianza che si concepisce nell’atmosfera di unità fra Accademia e Peripato ristabilita da Antioco di Ascalona, il maestro di Cicerone ad Atene nel 98-97; cfr. per questo Hirzel, Untersuchungen, III, p.500; Luck, Der Akad. Antiochos, p.21 sgg.; Glucker, Antiochus late Academy, pp.28 sgg., 55 sgg. E’ questo del resto un ritorno agli inizi delle due scuole; cfr.
Pag. 22 - Commento Ind.Acad., col.V, 11, ove esse sono trattate come una, e si giustifica in Antioco come polemica contro l’Accademia più recente. 2) Düring, Aristotle anc.biogr.Trad., p.260, sottolinea l’insistenza su Speusippo heres Platonis: Nessuna allusione al motivo più tardo del carattere di philosophus deambulans legato alla sua figura, come avverrà in certo letteratura filosofica più tardiva. Cfr. supra, Test.13-15. Test.45 Cicero, De orat.,. III,18,67 6 Speusippus, Speusippus vulg.
7 certe add. Bornecque
Restano ancora i Peripatetici e gli Accademici; benché si possa dire che il nome di Accademici è uno, le posizioni dottrinali sono due. Infatti Speusippo, figlio della sorella di Platone, e Polemone e Crantore, discepoli di Aristotele, non ebbero dottrine radicalmente diverse da quelle di Aristotele, il quale analogamente, e insieme con loro, aveva ascoltato Platone. Non gli furono forse però pari per l’abbondanza e la varietà della trattazione filosofica (1). 1) Non si distingue molto dall’altro brano, in quanto afferma che Speusippo e i suoi successori alla direzione dell’Accademia ‘nihil… magnopere dissenserunt’ da Aristotele;la distinzione è posta su piano piuttosto oratorio che filosofico. Test.46 Cicero, Academ. Post., I, 9,34 9 Cratero g 10 eis pc 11 utebantur D Speusippo e Senocrate, i quali per primi raccolsero in eredità l’insegnamento di Platone, e dopo di loro Polemone e Cratete e insieme Crantore, riuniti nell’Accademia, tennero fede con scrupolo a ciò che avevano ricevuto dai loro maestri. (1). 1) Di nuovo sull’unità dell’Accademia antica, in omaggio all’interpretazione di Antioco. Test.47 Cicero, De fin., IV, 2,3 1 auditores Platonis E 5 Ephorum (pro eorum) L Credo però, dissi, o Catone, che quegli antichi discepoli di Platone, Speusippo, Aristotele, Senocrate, e poi i discepoli di questi, Polemone, Teofrasto, avessero una dottrina articolata in forma elegante e varia; sì che Zenone non aveva alcuna ragione, dopo essere stato discepolo di Polemone, per allontanarsi da lui e dai precedenti discepoli della scuola (1). . 1) L’unità qui prende un significato e una prospettiva più ampia, includendo anche la Stoa; di cui poi Cicerone, contrapponendosi all’interlocutore Catone, metterà in rilievo la scarsa sensibilità a problematiche politiche. E’ancora l’interpretazione di Antioco, che tendeva ad avvicinare Stoa e Accademia-Peripato, e Zenone a Polemone.; e avremo modo di veder meglio ciò più oltre. Ma Speusippo, citato qui come iniziatore, viene poi taciuto in seguito, ove si porrà piuttosto in rilievo Senocrate (cfr.6, 15). Test.48 Epicrates apud Athenaeum, Deipnosoph. II, 59d-f (Epikrates fr:11 Kock; fr.10 B. Kassel- C.Austin, Poetae Comici Graeci, Berlin-New York 1984-2001, V, pp.161-63 ) 2 Menšdhmoj Musurus, Dindorf; menšqumoj BCE 3nunˆ Erdfurdt, nàn codd. 4 toÚtoisin Dindorf, to‹sin CE 7 prÕj g©j codd., prÕj Aqhn©j Cobet 12 ¥naudoi Kaibel, ¢naude‹j CE
Commento - Pag. 23
18 ta‹jde del. Wilamowitz t¾n kolokÚnthn Meineke
¢prepšj Casaubonus, eÙprepšj CE 33 ™x ¢rcÁj add.Porson,
A. Che dire di Platone, e di Speusippo e Menedemo? A che attendono ora? Quali cure, quale discorso è oggetto del loro investigare? Questo saggiamente, se qualcosa ne sai, dimmi, per la terra…(1) B. So chiaramente che dire di loro: vidi infatti alle Panatenee la schiera di quei giovani… nei ginnasii dell’Accademia, tenervi discorsi indicibili, assurdi. Dando definizioni sulla natura separarono la natura degli animali e poi quella delle piante, e le specie dei vegetali. Poi fra questi la zucca presero in esame, di che genere sia. A. E che definizione diedero del genere cui appartiene la pianta? Spiegamelo, se lo sai. B. Dapprima tutti, muti, stettero, intenti e curvi, e rifletterono per lungo tempo. Poi,d’improvviso, mentre erano ancora curvi e investigavano i giovani, uno di loro disse ch’è un vegetale rotondo, uno ch’è verdura, l’altro ch’è albero. Ascoltando ciò, un medico venuto dalla Sicilia, si rivoltò contro di loro, dicendo che deliravano (2).. A. Si adirarono allora per la derisione, e gridarono? Far così in una riunione è sconveniente. B. Non se la presero molto i giovani. Platone poi, ch’era presente, molto dolcemente fece loro di nuovo (dall’inizio la zucca) esaminare, per definirne il genere; ed essi procedettero alla divisione. 1) Ateneo cita qui Epicrate, fr.11, II, pp.287-88 Kock. Si tratta di un comico contemporaneo a Speusippo, ed era uso costante dei comici (si pensi all’esempio più famoso, quello di Aristofane nei riguardi di Socrate) di dar la loro valutazione, per lo più irrisoria, dei filosofi dell’epoca. Il passo ha interessato vivamente la critica moderna: cfr. in proposito Wilamowitz, Antig.v.Kar., Exc.II, p.283 sgg:, e, fra molti altri citabili, P.Friedländer, Platon I: Eidos, Paideia, Dialogos, Berlin 1928, 1954², p.110; Düring, Arist. in anc.Biogr.Trad., pp.355 sgg., Aristoteles, p.525. Jaeger, Arist:, pp.16-18, ha notato come la testimonianza, per il suo carattere diretto, ci attesti le ricerche fisico-naturalistiche dell’Accademia almeno nel senso ampio di applicazione del metodo diairetico a realtà di ordine naturale. Diversamente Cherniss, Riddle, p.63, che basandosi sulla probabile imitazione di Aristofane da parte di
Pag. 24 - Commento Epicrate, ritiene non potersi dare a questi più affidamento per Speusippo di quanto lo si possa dare ad Aristofane per Socrate; analogamente oggi Tarán, Speus., pp.220-21. Düring, al contrario, cita una serie di comici (Amphis, Alessi, Fidippide, forse Antifane per Aristotele, II, fr.122 Kock) che non si peritano di mettere in gioco lo stesso concetto platonico fondamentale di ¢gaqÒn, dissertando variamente su Platone e la sua scuola.. Questa testimonianza di un non filosofo sulla scuola filosofica di Platone può dar l’idea di come l’accesso ad essa non fosse riservato strettamente agli adepti, e come l’insegnamento dei filosofi fosse noto fuori di una cerchia ristretta. Ne è del resto una prova ben più rilevante il famoso passo di Aristosseno ( Harmonica II,1, pp.30-31 Macran) che parla di sgomento, o irrisione, di auditori impreparati di fronte a un difficile passaggio dell’etica di Platone, passo che ha ricevuto varie interpretazioni non pertinenti ( rimando a Isnardi Parente, Akroasis, pp.146-162, e Testimonia platonica II, pp.1-9), e che ci suggerisce efficacemente come un pubblico non filosoficamente preparato potesse adire liberamente le lezioni dei filosofi, e cioè come queste fossero, in Atene, tenute liberamente in gymnasia e largamente aperte a retori, sofisti, uomini di varia cultura. 2) Il medico siciliano che assiste infastidito alle esercitazioni divisorie degli Accademici fu da M;Wellmann ( Die Fragmente der sikelischen Aertze, Berlin 1901, p.69) identificato con Filistione di Locri. Accetta ciò con qualche riserva Jaeger, Aristoteles, p.16, ma più decisamente in Diokles von Karistos, Berlin 1938, pp.9-10; cfr. poi Düring, Arist., p.525, nt. 100; Gaiser, Pl.ung.Lehre, Test.plat., p.451 nt.6.Il Menedemo di cui qui si parla è certamente Menedemo di Pirra, per cui cfr.v.Fritz, Real-Encycl. XV,I, 1931, col.788. Test.49 Athenaeus, Deipnosoph., I, 3f F 8, basilikoÝj codd., sumpotikoÝj Scheiwghauser, Dindorf, Boyancé Senocrate di Calcedone,e anche Speusippo accademico e Aristotele, scrissero leggi valide per organizzare i banchetti (1). 1) Accetto la correzione di Schweighauser che è stata ampiamente motivata da Boyancé, Culte des Muses, p.167 sgg., 264 e note. Sumpotiko… risponde assai meglio sia al carattere dell’argomentazione di Ateneo nel luogo citato, sia a quello dell’Accademia antica come luogo di culto delle Muse. Accetta invece il basilikoÚj consacrato dalla tradizione del testo oggi Tarán, Speus.of Ath., p.326-27. Test.50 Numenius, De Academic. a Platone defect.,I (apud Eusebium, Praep.evang.XIV,5,1) 5 ¢delfidoàn Estienne, ¢delfÕn codd. 6 tÕn codd., omisit ON; toà Estienne 7 ™kdex£menon ID, ™klex£menon ON Sotto Speusippo, nipote di Platone, e Senocrate, successore di Speusippo, e Polemone che ricevè la scuola in eredità da Senocrate, il carattere della dottrina si mantenne più o meno lo stesso (1), fino a che non sopravvenne poi la famosa ‘sospensione del giudizio’ e altri principi del genere. Tuttavia, abbandonando certi principi e altri torturandone, essi non si attennero fedelmente all’insegnamento antico: a partire da lui (Arcesilao) cominciarono, prima o dopo che fosse, a dividersi (2); non saprei ben dire se per proposito determinato o senza rendersene conto, o forse per qualche altra ragione cui l’ambizione non era estranea. 1) Questa testimonianza di Numenio cita Speusippo, Senocrate e Polemone come facenti tutt’uno nella relativa fedeltà a Platone; relativa perché in realtà non mantennero l’unanimità con la dottrina del maestro né fra di loro, e di ciò Numenio fa loro carico. Sulla posizione di Numenio e sull’opera da cui si cita vedi Des Places, Numénius, Notice, pp.13-14, 62 sgg..
Commento - Pag. 25 Il giudizio critico di Numenio è valutato da Krämer,Ursprung der Geistmetaphysik, p.65 sgg., come il vero e proprio tentativo di restaurare la dottrina platonica, intesa peraltro sulla base della testimonianza ‘orale’ e del Perˆ t¢gaqoà di Aristotele in Alessandro d’Afrodisia; Krämer inoltre instaura una sorta d’identità fra l’opinione di Senocrate e quella di Numenio ch’è senz’altro da respingersi. 2) Con ™poc» ci si riferisce a quell’Accademia di mezzo e nuova ch’è in realtà il vero bersaglio di Numenio, come effettivo tradimento di Platone. Più avanti (55 sgg.) si dà a Platone una certa responsabilità di questo col suo ‘nascondersi ’ (™pikruy£menoj), con un atto di fedeltà all’interpretazione ellenistica pitagorizzante. Test.51 Eusebius, Praep. Evang,, XIV,4. 13-14 Dopo Platone, tennero la scuola Speusippo, figlio della sorella di Platone stesso, Potone, e poi Senocrate, e successivamente Polemone. Questi, cominciando dalle radici stesse della scuola, si dice che dissolvessero la dottrina platonica, torturando le opinioni del maestro con l’introduzione di principi estranei; sì che non c’era da aspettarsi altro se non che la mirabile efficacia di quei dialoghi si spegnesse, e che l’eredità delle dottrine venisse meno insieme con la morte del loro autore (1). 1) E’ qui ripetuta con accentuazione la testimonianza di Numenio, e si fa iniziare senz’altro dalla prima Accademia la degenerazione della filosofia platonica. Eusebio può parlare più chiaramente perché non ha alcun patrimonio filosofico tradizionale di scuola da difendere. Test.52 Porphyrius, Vita Pythag., 53 12 k£rpima Bpc, k£rphma W, k£rphma Bac VL ¢naskeu»n Burkert, diaskeu»n codd., diasurmÕn vel diastrof¾n Shorey (“Class.Philol.” 27, 1932) 15 bask£nwj BMLPcW, bask£nwn VLac Inoltre i Pitagorici dicono che Platone e Aristotele, Speusippo, Aristosseno, Senocrate, si appropriarono di tutto ciò ch’era fruttuoso nella dottrina con poca fatica, mentre invece raccolsero insieme e aggiudicarono alla scuola pitagorica, come suo proprio, tutto quello ch’era superficiale e vano, o tutto quello ch’era stato affermato da maligni calunnatori per dileggiare la scuola stessa (1). 1) I pitagorici di cui parla qui Porfirio sono nessun’altro che Moderato di Gades (Capelle, RealEncycl. XV,2,1932, coll.2318.20) al quale risale la descrizione dell’antico pitagorismo nella forma che leggiamo appunto in Porfirio, Vita Pyth.,48-53. Cfr. per questo brano in particolare Burkert, Weis. Wiss., p.84 e 158-59. Ci può sorprendere in questa sede la citazione del pitagorizzante Aristosseno; a proposito del quale cfr.Wehrli, Schule des Aristoteles II, frr.11-41 e commento pp. 49-62 . E’ un segno che il pitagorismo tardo respinge anche questo particolare tipo di pitagorismo ellenistico, intendendo rifarsi alla pura tradizione pitagorica antica. Cfr. Thesleff, Introd. pythag. Writings, p.71 sgg. Test.53 Simplicius, In Aristot. Phys., p.151, 6 –10 Diels 8 par¦ (ante Xenokr£touj) om.D 9 toà Pl£twnoj EF Alessandro dice che “per Platone i principi di tutto, e anche delle stesse idee, sono l’uno e la dualità indefinita, ch’egli chiamava anche grande-e- piccolo; così dice Aristotele nello scritto Del bene”; e lo si potrebbe apprendere analogamente da Speusippo e Senocrate e da tutti gli
Pag. 26 - Commento altri che furono presenti alla lezione di Platone sul bene; tutti, infatti, trascrissero e conservarono la sua dottrina, e dicono tutti che Platone aveva questi principi (1). 1) E’ una citazione di Speusippo fatta molto in fretta, come uno degli ascoltatori delle, o della, lezioni di Platone sul bene e della trattazione della sua dottrina orale. Altrove (p.45, 22 sgg.Diels) lo stesso Simplicio citerà piuttosto Aristotele, Eraclide, Estieo e ‘altri’, fra i quali Speusippo potrebbe essere compreso. Per il passo in questione cfr. Gaiser, Testimonia Platonica, in Platons Ungeschrieb. Lehre, pp.481-483, e, con atteggiamento opposto, Isnardi Parente, Testimonia platonica II, p.80, non propensa a dare effettivo valore storico a queste citazioni tardive.
Margherita Isnardi Parente SPEUSIPPO. TESTIMONIANZE E FRAMMENTI
FRAGMENTA
Logica e gnoseologia F1 Sextus Adv.math.VII (Logicos I), 145-146 1 ™stin N, om. LE$ 7 toà ante y£ltou om. $ ™n£rgeian G
9 ™k N, om.LE$
10 ™nšrgeian Bekker,
Speusippo diceva che, dal momento che le cose sono parte sensibili, parte intellegibili, criterio delle intellegibili è la ragione scientifica, criterio delle sensibili è la sensazione scientifica (1). E supponeva che la sensazione scientifica sia quella che partecipa della verità razionale. Così come le dita del flautista o del citaredo hanno una capacità tecnica, non però perfezionata essenzialmente in sé stessa, ma precisata dal coesercizio della ragione (2), e così come la sensazione del musico ha una capacità che gli permette di afferrare ciò che è armonico e ciò ch’è disarmonico, facoltà che tuttavia non è innata, ma derivata dal ragionamento, così anche la sensazione scientifica per natura partecipa, per opera della ragione,dell’esercizio della scienza, in vista di una distinzione non erronea degli oggetti (3). 1) Sesto attribuisce a Speusippo una distinzione fra un ™pisthmonikÕ n lÒ gon ed una ™pisthmonik¾ n a‡sqhsin. Mentre la gnoseologia di Platone, descritta in VI1, 141 sgg., non riconosce carattere scientifico di sorta alla sensazione, Speusippo è portato a riconoscere una pregnanza scientifica anche in ciò ch’è soggetto a questa, individuando per essa una scientificità espressa, e vedremo meglio fra poco in che cosa essa consista. Ciò è stato messo in rilievo da Zeller, Phil.d.Gr. II,1, pp.997-98, che insiste sulla rottura decisa con la gnoseologia platonica, mentre è stato visto da Stenzel, Speusippos, col.1655 sgg., come una continuazione della teoria tardo-platonica dell’¥tomon e‹doj (cfr.dello stesso Studien zur plat. Dial.², p.73 sgg.); impostazione questa continuata da Krämer, Arist.akad. Eidoslehre, pp.172-73. Se Speusippo parlava di una ‘sensazione scientifica’, in ogni caso, la novità della sua teoria appare assai marcata. Dubbi in proposito in Tarán, Speus.of Ath., p.432, mentre è assai più convincente Delattre, Speus., Diog. etc., p.83 sgg.: la sensazione scientifica, per Platone, può far parte tutt’al più della Ñ rq¾ dÒ xa, mentre in Speusippo si riattacca direttamente al lÒ goj. Delattre ritiene tuttavia che l’aggettivo ™pisthmonikÒ j sia dovuto a Diogene di Babilonia, che riprende la teoria accademica in un tentativo di fondare la propria teoria della musica su quella accademico-platonica; su questo si può nutrire dei dubbi.. 1) La teoria speusippea doveva consistere a un dipresso in questo: la sensazione non è tutta e soltanto aÙ tofu»j, originaria, ma può essere anche di carattere scientifico in quanto partecipante alla verità intellegibile, come il tocco tecnicizzato della mano del flautista. La teoria, soprattutto per il paragone, fa pensare a una reale dipendenza di Sesto da Speusippo, con il suo tendenziale pitagorismo. Ma è chiaro che vi è tutta una serie di passaggi, e che Sesto non deriva da Speusippo direttamente, ma attraverso una mediazione ellenistica. Lo fa pensare il suo linguaggio filosofico, che si pone a un livello ulteriore rispetto a quello accademico. La parola prohgoumšnwj, anzitutto, denota una fonte probabilmente più tarda: osservata per la prima volta presso Teofrasto (De igne, 14; cfr. H.Dirlmeier, Die oikeiosislehre des Theophrastos, “Philologus” Suppl.XXX, 1931, p.15 sgg.), essa ricorre poi ampiamente nei testi platonici più tardi, né esiste una ragione per attribuirla a fonte vetero-accademica. La parola ¢partizomšnhn
Pag. 2 - Fragmenta conduce al vocabolario filosofico di Antipatro di Tarso, e il significato che qui le vien dato (“perfezionata in connessione con la ragione”) corrisponde a quello che Antipatro usa per proprio conto a definire la stessa definizione (lÒ goj ¢phrtismšnwj škferÒ menoj, Diogene L., VII,60 = SVF III, Antipatros, fr.23). Infine, la teoria di una ‘sensazione scientifica’, per esigenze particolari connesse alla teoria stoica, è recuperata, come si è già detto sopra, da Diogene Babilonio (Filodemo, De musica,I, p.11 Kemke = SVF III, Diogenes Bab., fr.61); anche Diogene si valeva probabilmente di paragoni musicali. Si risale quindi a Speusippo attraverso una ricca tradizione ellenistica. W.Theiler, Die Vorbereitung des Neuplatonismus, Berlin 1930, p.55, nota 1, suppone che la citazione sia fatta tramite Antioco di Ascalona come fonte diretta. Non c’è ragione di negarlo, e la probabilità sussiste, nonostante Tarán, Speus., pp.431-32, che non porta alcun argomento valido a sostegno della sua negazione. Cfr. per questo Isnardi Parente, Sesto, Plat. etc.,.pp.129-30. 3) La frase denota una non assoluta e autonoma scientificità della sensazione, ma la sua dipendenza dalla ragione per la conoscenza empirica; non è più il lÒ goj a raccogliere in sé anche la sensazione, in quanto questa gli è premessa necessaria a dare il suo giudizio, ma è, al contrario, la sensazione a raccogliere in sé elementi dell’esercizio razionale e connaturarseli. F2 Proclus, In prim. Eucl. element. librum, p.179,8-21 Friedlein 12 prÒ ekrine G, diškrine C 15 qewr…an G 20 aƒ re‹n Mullach, a‡rein Friedlein ¢p/™ke…nwn G 20-21 diaba…nousa M supra lineam , diab£llousa M
sic C,
La conoscenza evidente e non dimostrativa e la comprensione senza bisogno di argomentazioni contraddistinguono i principi e gli assiomi, così come la conoscenza dimostrativa e la comprensione degli oggetti dei quali si fa ricerca con strumenti argomentativi distinguono i teoremi dai problemi. Sempre e in ogni caso i principi devono differire da ciò che da essi dipende per la loro semplicità, non dimostratività, credibilità immediata (1). Infatti Speusippo dice che le cose di cui il pensiero va a caccia (2) le une, senza fare alcuna artificiosa digressione, le premette e predispone come base per la ulteriore ricerca, e di queste ha una conoscenza per contatto, più chiara di quel sia la vista per tutto ciò ch’è visibile; delle altre, poiché gli è impossibile afferrarle direttamente, raggiungendole con un procedimento di traslazione, tenta di conpierne ugualmente la caccia secondo il loro ordine conseguente (3). 1) Proclo si rifà qui anzitutto alla distinzione fra conoscenza intuitiva e conoscenza discorsiva, già chiara in Platone, ma cui Speusippo sembra aver portato integrazioni. La parte relativa ai principi può esser riferita a Speusippo; anche Speusippo può e deve considerarsi fra i fondatori di questa ipostatizzazione della teoria platonica. Non sono invece riferibili a Speusippo le righe seguenti della trattazione, come vorrebbe Cherniss, Arist.crit.Plato Acad., p.396 sgg., nt.322, che alludono chiaramente alla teoria matematica della ·Ú sij, concezione dinamica che vede le figure nascere per scorrimento: che questa non sia attruibile a Speusippo è cosa su cui si discuterà più oltre. 2)La distinzione che Speusippo fa fra conoscenza intuitiva e discorsiva prende le mosse da Platone, Resp. VI, 510 b- 511d, ove è posta esattamente la questione di una conoscenza intuitiva, s’intende intellettuale, che coglie la realtà salendo ad essa in modo chiaro e immediato, e di una conoscenza discorsiva, che discende da quelle premesse a forme di conoscenza secondaria. Nel pensiero di Speusippo non si trova però traccia di una kat£basij come caratteristica della conoscenza di secondo tipo. Anzitutto Speusippo utilizza largamente il concetto di q»ra, ‘caccia’, anch’esso di uso platonico e a torto malcompreso da un amanuense, ma di cui Platone si vale per altre espressioni (si vedano Phaedo 66c 2, per q»ra toà Ô ntoj, e altri casi analoghi in Gorgias, 500d 1,
Fragmenta - Pag. 3 Theaet.198a 7); per questo uso cfr. Des Places, Lexicon, s.v., e C.J. Classen, Untersuchungen zu Platons Jagdbildern, Berlin 1960; errata senz’altro l’ipotesi di C.Viano, La selva delle somiglianze, Torino1985, pp.177, 191-2, secondo cui Speusippo si riferirebbe col termine a una forma di conoscenza casuale e sporadica, dal momento che esso è riferito proprio alla forma più alta dell’oggetto conoscitivo. Platonico è senz’altro l’uso che qui fa Speusippo di dišxodoj (l’assenza della quale caratterizza la prima e fondamentare forma del conoscere) e dalla presenza della ™paf», il contatto diretto che è proprio della noèsi (in Phaedo, 79d, la frÒ nhsij, ch’è qui il termine usato per nÒ hsij, è definita un ™f£ptesqai toà Ô ntoj). Di nuovo, Speusippo aggiunge l’aggettivo ™narg»j, non ignoto a Platone seppur usato raramente (cfr.ad es. Resp.511a 8) e non mai, come qui, con ™paf». Differentemente si pone la cosa per il verbo prob£llein, mai usato da Platone in senso conoscitivo né filosofico (cfr.Ast, Lexicon, e Des Places, Lexique, s.v.) ma ora rivalutato da Speusippo in considerazione dei probl»mata che costituiscono una forma essenziale della conoscenza matematica e di cui si parlerà fra breve. Al verbo prob£llein, usato per la proposta che la conoscenza fa in vista del suo adempimento, si unisce un verbo più singolare, che è proeutrep…zein. Difficilmente tale verbo può dirsi di provenienza speusippea: esso, nel significato di ‘preparare’, è di uso filosofico più tardo, né è dato trovarlo prima di Giamblico, Protr.1. E’ perciò da pensarsi che Proclo a questo punto amplii per suo conto la citazione. Speusippo sembra dire che la q»ra degli oggetti condotta dalla conoscenza inferiore è compiuta per una sorta di met£basij o trasposizione, e non direttamente. L’uso della parola in questo senso non è certo platonico, indicando essa sempre per Platone un ‘cambiamento’ in senso generico. Se Speusippo l’ha usata per primo, ciò può illuminarci sull’uso che del termine vediamo fatto frequentemente nelle teorie filosofiche del primo ellenismo. Secondo gli stoici, per via di met£basij vengono acquisiti alla conoscenza sensibile gli incorporei (Diocle di Magnesia in Diogene L.,VII,52 = SVF II,87): da una trasposizione di elementi dei corpi viene cioè concepito il ‘luogo’ dove essi dovrebbero trovarsi. Epicuro conosce anch’egli un significato gneoseologico di met£basij nel senso di ‘inferenza’ (cfr.Perˆ fÚ sewj, 26.30 Arr.², e Arrighetti, commento, pp.59495). Speusippo potrebbe aver anticipato quest’uso del termine, non concedendo alla conoscenza sensibile se non un impiego secondario dei procedimenti. 2) La conclusione di Speusippo è che la conoscenza sensibile diaba…nei dall’uno all’altro dei suoi oggetti. Il suo movimento è dunque rettilineo, e non è prevista nessuna discesa dai presupposti all’oggetto specifico del conoscere, come Platone assegnava al procedere delle realtà matematiche. Queste del resto nel pensiero di Speusippo sono divenute primarie, ed è naturale che non procedano per kat£basij; inoltre, la Repubblica è ormai lontana dalla speculazione dei primi accademici (vedi per questo Introduzione,nt.26). F 3 Proclus, In prim.Eucl Elem.librum, pp.77,7-78,9 Friedlein 10 proqšseij M, G 18 o„keiÒ teron G, o„keiotšran C 20 poioumšnaij ex G Grynaeus, poioàntai M 78,4 taàta Tannery, t¢ut¦Friedlein 7 Ðroàmen G Ciò che viene dopo i principi, poi, si divide in problemi e teoremi… Già fra gli antichi alcuni, come Speusippo e Anfinomo con le loro scuole, vollero dare a tutti questi procedimenti il nome di teoremi, ritenendo che tale definizione fosse più appropriata alle scienze teoriche che non quella di problemi, se non altro per il fatto che esse conducono tutti i loro procedimenti intorno ad oggetti che sono di natura eterna (1). Nelle realtà che sono eterne non vi è processo di genesi, e perciò la nozione di problema non può avere in esse spazio alcuno, giacchè indica un venire all’essere e una costruzione di qualcosa che prima non esisteva; così, per esempio, la costruzione di un triangolo isoscele, oppure quella del quadrato, una volta che ne sia dato il lato, o la costruzione di una linea a partire da un dato punto. Sostengono quindi che tutte le realtà del genere sono in assoluto, e che noi cogliamo l’atto della loro genesi non nel suo effettivo farsi, ma solo sotto l’aspetto del processo
Pag. 4 - Fragmenta conoscitivo, prospettandoci la realtà di cose che sono eterne come se fossero in divenire (2); e perciò diciamo che tutto questo deve essere inteso nella sua essenza di teorema e non di problema. Ci sono invece altri matematici, per esempio quelli della scuola di Menecmo, che ritengono giusto chiamare problemi tutti questi procedimenti (3). 1) Il passo riguarda la distinzione fra teorema e problema, che è assai decisa in Speusippo. Anfinomo viene da Proclo accompagnato a lui in questo, ma Anfinomo è un matematico del IV secolo, contemporaneo quindi di Speusippo, di cui assai poco sappiamo: cfr. P.Tannery, La géometrie grecque, Paris 1897, pp.24, 137-39; K.v.Fritz, Real-Encycl. Suppl.VII, 1940, coll.3839. La distinzione fra teorema e problema risale a Enopide, o, secondo altre testimonianze, al suo scolaro Zenodoto (cfr. ancora K.v.Fritz, Real-Encycl. XVII,2, coll.2267-68): è la distinzione fra un ragionamento che enuncia una proprietà dell’oggetto e uno che, data una certa proprietà,costruisce in base a quella l’oggetto. Speusippo ha considerato primaria la scienza matematica, sostituendola alla stessa dottrina delle idee; egli deve quindi distinguerla in forma più rigorosa di quanto non abbia fatto Platone stesso dalla po…hsij. Nella definizione di problema egli avverte qualcosa di inadeguato al carattere di assoluta uguaglianza a sé e di assoluta immobilità che contraddistingue il procedere matematico, che esclude da sé qualsiasi procedimento costruttivo; la dizione di ‘problema matematico’ va dunque eliminata. Secondo Lang, Speus.Acad.scr., pp.28-30, il passo trova un complemento nel seguente p.161,16 sgg. Fr. (qui F 4), in cui viene precisato, senza più far nomi, che alcuni, matematici e filosofi matematizzanti, dividono il campo della disciplina in ¢xièmata e qewr»mata: i primi sono i postulati intuitivi che stanno alla base degli altri. E’ questo certamente un’affermazione che, se riguarda in primo luogo le scienze matematiche, ha una portata più vasta; ma ciò non toglie che sia il campo matematico l’oggetto primario di discussione e considerazione. Analizzata da O.Bekker, Mathematische Existenz, “Jahrbuch f.Philosophie und phaenomenologische Forschung”VIII, 1927, pp.539-809, in part.637 sgg. e ricostruita da K.v.Friz, Archai, 67-68, 9697 (poi Grundprobleme der antiken Wissenschaft, pp.392, 422-239) , nonché, per chiarimento di qualche ambiguità rimasta, in Nachtrag a Platons Theaetetus², Darmstadt 1969, p.84 sgg., la questione rimane assodata su questo punto fondamentale, cioè quella del riferimento primario al campo della scienza dei numeri e delle figure, fino a Tarán, Speus. of Ath., pp.443 sgg., il quale nega tale condizione e ritiene che la questione si allarghi ad altri campi che non al solo matematico. Per Tarán Proclo ha una sua propria concezione di qeèrhma dovuta a influenza della matematica più tarda, e che non coincide con quella di Speusippo, per il quale la parola (ignota in Platone nel suo senso filosofico) si allarga al significato di una procedura per mezzo della quale attingiamo la conoscenza di qualcosa che sia di per sé eterno (cfr.in part.p.424, nt. 241). Ma di eterno, nel senso di costantemente uguale a se stesso, non c’è per Speusippo che numero e figura, come sarà meglio chiarito più tardi; e l’espressione ™n ta‹j qewrhtika‹j ™pist»maij non può che riferirsi ai procedimenti della scienza matematica, ogni altra scienza ponendosi come subordinata a questa; né a ‘teoretiche’può darsi qui un significato aristotelico, che non si addirebbe ad esse. La abbondanza di esempi che Proclo reca, del resto, è tutta quanta racchiusa nell’ambito dei vari problemi posti da questa (così la costruzione del triangolo isoscele, o quella del quadrato una volta che sia dato il lato, o la costruzione della linea a partire da un dato punto). Che fonte di Proclo, per Speusippo, sia Gemino, astronomo e matematico della prima età imperiale, fra primo secolo a.C. e primo secolo d.C. (cfr.Tittel, Real-Encycl. VII,1, 1910, coll.1026-1050), è cosa riconosciuta da tutti i critici, dopo la dimostrazione datane dal Tannery (Géom.gr., pp.18,38)ed è questione che non rimette in causa quanto detto precedentemente; anzi indirettamente ne è conferma, la teoria speusippea essendo passata nel campo degli studiosi di questa disciplina.
Fragmenta - Pag. 5 2) Una volta di più è messo in luce come Speusippo si rifiutasse di concepire cone divenienti in atto procedimenti che sono di loro natura eterni. La distanza che separa Speusippo da Platone è qui radicale; si è già visto prima, dal passo di Sesto (F 2) come nel pensiero di Speusippo non esista traccia di kat£basij, contrapposta a un tipo di conoscenza superiore. 3) Proclo contrappone Speusippo a Menecmo, matematico allievo di Eudosso, per il quale cfr.Kliem, Real-Encycl. XV,1, 1931, coll.700-701 e Heath, A History of Greek Mathematics, Oxford 1921, I, pp.251-55 e II, 110.16. Si tratta di vedere se il contrasto è semplicemente di linguaggio matematico o qualcosa di più, il che non ci è dato in base al semplice passo di Proclo.Poiché appare problematica l’ipotesi di K.v.Fritz,Archai, p.79 (Grundpr., p.394) che alcuni postulati euclidei possano risalire a Speusippo (Becker, Zum 4. u. 5. Euklidischen Postulat, “Archiv f.Begriffsgeschichte” VIII, 1927, pp.210-16), dobbiamo pensare che l’ipotesi del linguaggio matematico, che rimanda a un altro linguaggio, quello più specificamente filosofico, sia la più valida, ed anche la più coerente al carattere della speculazione speusippea.
F.4 Proclus, In pr.Eucl.Elem.librum, p.181,21-24. F. 20 kaˆ toioàto G Alcuni vogliono chiamare tutti questi procedimenti postulati, e problemi tutti quelli che invece implicano ricerca. Vi sono però di quelli che li chiamano tutti quanti assiomi, e così pure teoremi quelli che necessitano di dimostrazione. Evidentemente, valendosi della stessa analogia, trasferiscono i nomi dei procedimenti specifici a quelli generali (1). 1) Si è già fatta menzione di questo passo supra, F 3. In esso Proclo non cita più Speusippo, ma insiste su quanti non vedono nella scienza o nelle scienze matematiche che qewr»mata, eliminando l’ambigua parola di ‘problemi’; aggiunge anzi che quegli stessi considerano poi ‘teoremi’ tutti quei dati per i quali occorre approntare una dimostrazione (t¦ deÒ mena ¢pode…xewj), il che può offrirci anche una precisazione ulteriore per il significato di qewr»mata; gli ¢xièmata, in quanto identificantisi con i principi, non abbisognano di dimostrazione. Proclo pone prima di questo passo l’osservazione che alcuni intendono chiamare tutto ciò di cui si fa ricerca, compresi i problemi, a„t»mata; ciò non riguarda Speusippo ma la matematica ellenistica (viene infatti citato infatti Archimede) ma serve a delimitare una volta di più la sua posizione.
F5 Aristoteles, Anal.Post, II, 13, 97 a 6 -14 7 ¤pan n 10 e‹nai toàto B oÙ Ad Non è però necessario che chi definisce e divide conosca tutte le cose esistenti. Alcuni, infatti, dicono che è impossibile che conosca le differenze fra le realtà singole chi non conosce tutte le realtà singolarmente prese(1). Dicono, infatti, che senza le differenze non è posibile conoscere le realtà individue: per ciò in cui una realtà non si differenzia da un’altra, è la medesima rispetto a questa; per ciò in cui si differenzia, è invece un’altra rispetto ad essa (2). Ma è questo, in primo luogo, ch’è erroneo (3). 1) Che il passo sia diretto contro Speusippo lo dicono alcuni commentatori, ma sarebbe facile supporlo. Aristotele qui polemizza contro chi mira a un panorama estensivo, anzi esaustivo in senso contenutistico, di tutte le realtà esistenti, distinte fra di loro per mezzo del criterio della
Pag. 6 - Fragmenta diafor£. Ritiene tale criterio evidentemente inadeguato, né tiene conto del fatto che in Speusippo, che ne usava largamente, come meglio si vedrà, nello studio di quelle specie infime che sono i simili (Ó moia), il criterio della diafor£ si accompagnava a quello della ÐmoiÒ thj. Ciò rende conto del fatto che la dia…resij platonica costituiva per Speusippo uno strumento fondamentale del conoscere, anche se, in pari tempo, denota in Aristotele una conoscenza di Speusippo assai approssimativa. Speusippo è qui considerato l’estensore di una metodologia che in realtà presupporrebbe una conoscenza di tutte le singole cose, che non può darsi con la dia…resij così come non può darsi con la induzione (An.Post. II,23, 68b 28-29 e 24,69a 16-19: che la induzione riguardi i singoli nella loro totalità, ™pagwg¾ di¦p£ntwn, è ciò che ne costituisce in definitiva il limite). 2) La dia…resij è definita da Platone secondo criteri diversi. In Soph.235e viene caratterizzata come mšqodoj kaq/›kasta kaˆ ™pˆ p£nta, sembrerebbe quindi un metodo di indagine riferito puramente agli individui sensibili; in Polit.278c si parla però di stoice‹a toà pantÒ j, ch’è definizione più generale, e in Polit.286a si parla di lÒ goj ˜k£stou, il che la riferirebbe piuttosto alla specie. E’, in definitiva, piuttosto un metodo euristico di approccio agli e‡dh, come l’ha considerata Cherniss, Riddle, pp. 54-55, che non un metodo di conoscenza diretta degli oggetti intellegibili; e il suo fine ultimo è piuttosto un e‹doj considerato ultimativo nella ricerca specifica che non un oggetto sensibile. Speusippo accentua questo carattere nell’assumere il metodo dall’ultimo Platone; se Zeller, Philos.d.Gr.II,1,p.996, nt. 2, ha considerato questo passo nel senso di una individuazione del tentativo speusippeo di padroneggiare, per mezzo del metodo diairetico, il campo delle realtà sensibili, e Stenzel, Speus.,col.1650 sgg., insiste ancor di più sulla ricerca speusippea volta alla conoscenza del sensible determinato, è forse più esatto pensare, con Cherniss (Riddle, p.37 sgg.), alla volontà del filosofo di inserire tutti i singoli esseri in una trama ordinata e razionale di relazioni. La conoscenza dei sensibili è dunque in Speusippo non una pansof…a impossibile di singole realtà, ma il punto d’arrivo di una teoria del conoscere che, partendo dall’ordine astratto dei numeri, giunge a propettare un ordine anche dei singoli aspetti del reale per mezzo della sensazione scientifica, come già prima si è visto, senza tuttavia cadere e perdersi nella pura conoscenza sensibile. Risulta perciò impossibile, con Krämer (Arist. akad. Eidoslehre, p.166 sgg., e oggi più sistematicamente in Ältere Akademie, in Grundr. Gesch. Philosophie, ed. H.Flashar, p.24 sgg.), interpretare la teoria speusippea nel senso di una ‘sinistra accademica’ in cui sia compiuta pienamente la rivalutazione dell’individualità. Tale individualità sarebbe presente ad ogni livello, dei numeri come dell’anima o dei corpi sensibili, e caratteristica di Speusippo sarebbe la ‘elementarizzazione’dei motivi principali della filosofia platonica. Come poi possa conciliarsi questa assoluta individualità con il pre-neoplatonismo speusippeo attestato da Giamblico in De communi mathematica scientia, 4 (cfr.infra, F 41, e ancora Krämer, Ältere Akad., p.32 sgg.), sarà nostro oggetto di indagine più oltre: ma si può dire nondimeno che, da una simile interpretazione, la figura di Speusippo resta contrassegnata in senso contraddittorio. 3) Nel De part.anim. I, 639a 1 sgg., Aristotele completerà questa sua critica a fondo della pansof…a speusippea, chiarendo meglio il suo punto di vista con l’ideale del pepaideumšnoj, e cioè dell’uomo capace non di abbracciare la totalità del conoscere, ma di saper giudicare rettamente t… kalîj ¿ m¾ kalîj ¢pod…dwsi Ð lšgwn. Si tratta certo di un ideale di cultura più raffinato, che avrà grandissima importanza per la cultura successiva; ciò non toglie che la posizione di Speusippo sia qui francamente disconosciuta.
Fragmenta - Pag. 7
F 6 Anon. in Arist.Anal.post., p.584, 17 –85,1 Wallies 17 SpeÚ sippoj R 19 e„sfšrein om.Ua 21 mšn Ua, moi R oátoj R 28 æj U 29 sic Wallies, toÚ tJ Rua
22 diorizÒ menÒ n U
25 (1)
Eudemo ci dice che questa era l’opinione di Speusippo, che cioè è impossibile che possa definire alcunché delle cose che sono chi non conosca tutte le cose che sono. E poiché, a sostegno di ciò, bisogna offrire una qualche argomentazione credibile, egli ne dà una. Il discorso che si crede possa dimostrare ciò è il seguente: chi definisce deve conoscere tutte le differenze che una realtà presenta rispetto alle altre che sono diverse da essa; ciò per cui una realtà non differisce da un’altra, infatti, è il medesimo, ciò per cui ne differisce, è l’altro. Colui che definisce qualcosa come distinguentesi dalle altre realtà, deve conoscere ciò che la differenzia dalle altre; se non conosce questo, scambierà il medesimo con l’altro e l’altro con il medesimo. Così non sarà capace di intendere l’essenza propria di una determinata cosa; e qualora ciò avvenga, nulla vieta che la definizione ch’egli ne dà sia comune anche ad altre realtà. E’ quindi impossibile che conosca la differenza di una determinata cosa dalle altre chi non conosce anche tutte quelle cose rispetto alle quali un dato oggetto differisce. Quindi, è necessario che chi definisce una singola cosa conosca anche tutte quante le realtà: quella che definisce (e come, altrimenti, potrebbe definirla?) e tutte quelle altre rispetto alle quali ha posto come differente la realtà definita. 1) L’anonimo commentatore (per una sua identificazione parziale, come autore almeno anteriore al Filopono, cfr. M.Wallies, CAG XIII,3, Praef., p.V, nt. 4) ci dà la preziosa notizia che la citazione su Aristotele risale a Eudemo di Rodi; cfr. per gli scritti logici di Eudemo Wehrli, Schule des Aristoteles VIII², p.84, comm. al fr.24, e per la derivazione dei commentatori da Eudemo anche P.Moraux, Le commentaire d’Alexandre d’Aphrodise aux Seconds Analytiques d’Aristote, Berlin 1979, p.138. Si presume che questa indicazione sia sottintesa nei passi di Giovanni Filopono e di Eustrazio.Ai frr. riportati dal Lang si può aggiungere ancora quello del Filopono, In Anal.post.II, 13, 97-109, p.407, 31 sgg. Wallies, che non aggiunge alcun elemento di novità. . F 7 Themistius, In Arist.Anal.post., p.58, 4-11 Wallies 4 pšusippon AC 5 an ÐrizÒ menon ti ? Wallies 7 e„dÒ ta coniecit Spengel 9 diafšrontai AC 10 e„sin W Xoàqoj C Non dice bene Speusippo, quando afferma che è necessario che il definiente conosca tutte le realtè: egli dice infatti che deve conoscere tutte le differenze che ha inferito in rapporto alle altre cose, ma è impossibile che conosca le differenze che riguardano ogni singola cosa chi non conosce una per una tutte le singole cose (1). 1) E’ un’affermazione che denota pieno scetticismo in Speusippo quanto a teoria della definizione, una forzata interpretazione di Aristotele. Cfr. infra, F 9. F 8 Ioannes Philoponus, In Arist.Anal.post., p.405, 27-406,2. Wallies 30 toà †ppou ½ a, om. CFE Dice questo per confutare i ragionamenti con i quali Speusippo cerca di distruggere il metodo dialettico e le definizioni. Quegli infatti cerca di dimostrare che non è possibile dare una definizione di sorta di alcunché affermando che chi, mediante ragionamento, cerchi di stabilire quale sia la natura dell’uomo o del cavallo o di qualsiasi altra realtà deve conoscere anzitutto tutte le realtà, e tutte le differenze che le contraddistinguono le une rispetto alle altre; così infatti può stabilire quale sia la natura dell’uomo o del cavallo o di qualsiasi altra cosa, nel separarla da tutte quante le altre; giacché ciò che si separa deve essere separato in base a certe differenze. Ma poiché è impossibile che un singolo conosca tutte le realtà esistenti e le
Pag. 8 - Fragmenta loro differenze, ne consegue che è impossibile stabilire una qualsiasi verità per mezzo della definizione (1). 1) Anche qui, mentre nel passo dell’Anonimo l’interpretazione di Aristotele si mantiene nell’ambito della moderazione, dal Filopono il passo di Aristotele è interpretato come un rimprovero a Speusippo, netto e incondizionato, di avere fissato condizioni impossibili per la definizione di ogni singola entità, una attribuzione di puro scetticismo. Su questa posizione errata cfr. Stenzel, Speus., col.1650; Cherniss, Arist.crit.Pl.Acad., p.59, nt.49. F9 Ioannes Philoponus in Arist.Anal.Post., p.406, 16-22 Wallies 18 ¢nairîn a 19 p£nta ginèskein a 21 Ðrismoà a Esposto il ragionamento mediante il quale Speusippo vanificava le definizioni e il metodo diairetico, procede poi alla confutazione di tutte le sue argomentazioni. Quegli diceva infatti: chiunque definisca e proceda per metodo diaretico, ha la necessità di conoscere tutte le realtà esistenti e in che cosa esse differiscano reciprocamente: se la definizione, infatti, è tale da separare una certa realtà da tutti gli altri esseri, chi definisce deve necessariamente conoscere le differenze per via delle quali ciascuna delle realtà esistenti è altra rispetto a quella definita; tutto ciò che differisce da qualcosa, infatti, è altro rispetto ad esso.(1). 1) La nota sulla dia…resij da parte del Filopono denota la sua non conoscenza diretta di Speusippo, che del metodo diairetico si è invece servito riccamente. Cfr. in proposito A.Falcon, Arist. Speus. Division, pp.402-414; il quale però fraintende le mie espressioni in Speusippo, Frammenti, pp.256-260, ove si trova scritto semplicemente che la dia…resij di Speusippo è altra cosa che non quella di Platone, almeno intendendo come tale la dia…resij del Sofista e del Politico. La dia…resij speusippea si esercita fra le realtà sensibili in base al criterio di tautÒ thj-˜terÒ thj, o, secondo un altro modo di espressione di questi concetti, ÐmoiÒ thj-diafor£, ed è quindi ben diversa dalla ricerca platonica, che non appare lasciar mai il piano delle realtà intellegibili, pur affrontandole da un punto di vista euristico. Falcon sembra in definitiva attribuire a Speusippo un uso, e non una teoria della divisione, il che può lasciar il campo aperto a dubbi. F 10 Eustratius, In Arist. Anal.post., p.202, 16-33. Hayduck 18 deiknÚ ein E 23 diast»sh Aa m» corr. Hayduck, À codd . 25 aÙ tîAa Ma poiché Speusippo sembra aver voluto sostenere con un ragionamento credibile il principio col quale tentava di distruggere alle radici la scienza della definizione, e dimostrare come sia impossibile definire alcunché, occorre non trascurare il suo discorso senza esaminarlo, come se non fosse altro che uno scherzo gettato là a intralcio del procedere della scienza, ma rimuoverlo dal nostro cammino, con confutazioni basate sulla verità. Lo scopo del definire, egli dice, consiste nello stabilire l’essenza specifica dell’oggetto definito; e questo in nessun altro modo potrebbe avvenire se non col distinguerlo, per via di ragionamento, da tutte le altre cose. Non potrebbe però fare queste distinzioni chi non conoscesse tutte le differenze nella loro singolarità. E non potrebbe conoscere tutte le differenze nella loro singolarità chi non conoscesse tutte le realtà individue. Perciò chi definisce una singola cosa deve, in pari tempo, conoscere tutte le singole realtà. Ma è chiaro che deve necessariamente sapere tutte le differenze dei singoli oggetti colui che voglia distinguerli gli uni dagli altri mediante definizione. Se non vi è differenza delle realtà individue fra di loro, non vi è alcuna differenza reciproca (è per la differenza che il differente è tale); e se non vi è alcuna differenza reciproca, ne consegue che le realtà individue sono tutte uguali l’una all’altra. Al contrario, esse sono altre reciprocamente, e quindi la differenza esiste. E se esiste, si deve
Fragmenta - Pag. 9 poterla conoscere: altrimenti non si saprà come le cose differiscano le une dalle altre, né alcuno potrà formulare un ragionamento che separi il medesimo dall’ altro. Ecco che perciò, per poter definire qualcosa, bisogna conoscere tutte le cose. Questo è il ragionamento di Speusippo, mediante il quale sembra ch’egli negasse la stessa possibilità di definire (1).
1) Per Eustrazio, commentatore bizantino (XI-XII secolo) cfr. M.Cacouros, Dict.Philos.Ant. III, 2000, p.382-388. A maggior ragione, pur abbondando nell’esegesi, mostra anch’egli di basarsi puramente su Aristotele, Anal.post.II, 97a 13 (oÙ g¦r kat¦p© san diafor¦n ›teron) che va d’altronde confrontato con Metaph.X, 1054b 23 (diafor¦ kaˆ ˜terÒ thj ¥llo, cfr. Ross, Arist. Anal., p.660, con richiamo a Cherniss, Riddle, pp.59-63. Speusippo avrebbe di fatto identificato il processo dello stabilire le differenziazioni fra i singoli enti come una sorta di processo all’infinito. Con il che il commentatore allarga, ma anche snatura i termini della polemica aristotelica.
F 11 Eustratius, In Arist.Anal.post., pp.203, 35-204,4 H. 204,2 ¢ntit…qhsin-Ðrizomšnw om.E Egli (Aristotele), dandoci un metodo per la ricerca della definizione, e insegnandoci come il procedimento della divisione debba metter capo a questa, risolve la questione sollevata, circa la divisione e la definizione, da Speusippo, che pretendeva distruggerle entrambe. Perché, questi dice, si possa fissare una definizione, bisogna conoscere tutte le realtà; ma questo è impossibile, e quindi lo è anche il dividere e il definire (1). 1) La dimostrazione sembra qui orientarsi particolarmente sulla dia…resij, con i soliti limiti caratterizzanti la dipendenza di questi autori dalla semplice lettura del testo aristotelico. F 12 Eustratius, In Arist.Anal.post., p.205, 15-16 H. 16 diafšrein E E’ un errore quello che fa Speusippo, con l’identificare in assoluto l’esser altro per natura con il differire (1). 1) Insiste sullo stesso tema, con variazione di argomentazione logica. F 13 Simplicius, In Arist.Categorias, p.38, 19-30. Kalbfleisch 22 lacuna in L’ , nàn shmas…an L 23 ˜teronÚ mwn p£lin v e‹nai JKA, ™stin v 26 m£caira sp£qh f£sganon L Boeto ci dice che Speusippo accettava questa divisione, tale da comprendere tutti i nomi (1). .Diceva infatti che dei nomi alcuni sono tautonimi, altri eteronimi, e dei tautonimi alcuni sono sinonimi, altri omonimi (intendendo sinonimi secondo l’uso antico) (2); quanto agli eteronimi, alcuni sono tali in senso proprio, altri polionimi, altri ancora paronimi. Dei primi, si è già detto; quanto ai polionimi,sono quelli che presentano denominazioni varie e differenti ma relative a una stessa realtà (per esempio spada, pugnale, coltello, daga); eteronimi sono quelli reciprocamente altri quanto a nome, oggetto e concetto (per esempio grammatica, uomo, legno). 1) Il dibattito intorno a questo passo ha preso inizio da Hambruch, Logische Regeln,p.27 sgg., seguito poi sostanzialmente da Lang, Speus.Acad.Scr., p.25 sgg. Il piano di esso risulta formulato nel modo seguente:
Pag. 10 - Fragmenta tautènuma Ðmènuma sunènuma (un nome, concetti diversi) (un nome, concetti di realtà simili) ˜terènuma ƒ d…wj ˜terènuma poluènuma parènuma (più nomi, più concetti) (più nomi, un concetto) (parole differenziate nella flessione, che si riferiscono però a un concetto) Hambruch ha studiato (pp.27-29) la presenza dell’uso antico, platonico-speusippeo, nei Topici (Top.107b 4, b 17) ipotizzando che l’uso di questi termini sia ancora, in Aristotele, non ben differenziato da quello di Speusippo, come poi in Categoriae, 1a 6 sgg..Cfr. sulla stessa linea Stenzel, Speus., col.1664, e Cherniss, Arist.crit.Plato Acad., pp.57-58 e nt.47, di cui però si dirà meglio nelle note di commento agli “Omoia. La posizione del Cherniss (e cioè la presenza di un dibattito con Speusippo in Top.I,15) è oggi accettata da Anton, The Aristotelian Doctrine of the Homonyma in the Categories and its Platonic Antecedents, “Journ.Hist.of Philosophy”VI,-VII, 1968-169, pp.315-26 e 1-18, e da Tarán, Speus.,pp.414-15, mentre è accolta con limiti da G.E.L. Owen, A proof in Peri ideon, “Journ.of Hell.Studies”LXXVII, 1957, pp.103-111 (cfr.poi Studies in Plato’s Metaphysics, London 1965, p.295, nt.1) e con scetticismo da Barnes,Homonymy Arist. Speus., pp.65-80. Simplicio, ovviamente, non attinge direttamente a Speusippo,e forse neanche a Boeto (peripatetico del I sec.a.C., autore di un trattato sulle categorie, su cui cfr.Gercke, Real-Encycl. III,I, 1897, coll.603-604, più di recente Moraux, Aristotelismus II, 143 sgg., e Schneider in Dict.Philos.ant., II, 1994, pp.126-130) ma a Porfirio, sua fonte abituale, e al, per noi perduto,PrÕ j Ged£leion, il quale può avere a sua volta attinto a Boeto; questa è la convinzione di Tarán, Speus., p.406 sgg.. E’ chiaro però che il passo riporta la distinzione fra i nomi foggiata da Speusippo sulla base, al solito, di taÙ tÒ n e q£teron; e Speusippo poteva ancora esser conosciuto da Boeto direttamente. Guthrie, History of Greek Philosophy, V, p.464, nota 5, parla di una tricotomia e non di una dicotomia per gli ˜terènuma; l’osservazione è notevole, perché il metodo diairetico non consiste nel creare dicotomie, ma semplicemente nel ‘dividere’, e quella della dicotomia è soltanto una delle forme della dia…resij, la forma usata nel Sofista e nel Politico. L’operetta chiamata più tardi Divisiones aristoteleae e resa a noi da Diogene Laerzio conosce diairšseij formate da tre o quattro membri. Una tricotomia è dunque pensabile per Speusippo senza alcuna difficoltà; in tal modo il discusso parènuma (vedi Tarán, p.413) apparterrebbe senz’altro a Speusippo. L’opinione dello Hambruch, Logische Regeln, p.25 sgg., secondo il quale una differenza fondamentale fra Speusippo e Aristotele è che Aristotele si riferisce a enti concreti mentre Speusippo fa puramente una divisione fra nomi (seguita da Stenzel, Speus., col.1654), è stata meglio precisata dal Merlan, Beiträge Gesch. ant. Plat. I, p..47: i due ragionamenti, piuttosto che operare su due piani diversi, vanno in due direzioni diverse, dai nomi alle cose quello di Speusippo, dalle cose ai nomi quello di Aristotele. Tale diversità è oggi negata dal Barnes, p.72 sgg., e in senso opposto, anche da Tarán, soprattutto in Speus. Arist. Homon. Synon.,.pp.88 sgg. In realtà essa non è essenziale per la comprensione della dottrina speusippea dei nomi, che ha la sua chiave di comprensione nella metafisica di Speusippo. Speusippo ha rifiutato la dottrina platonica delle idee, non ha però rifiutato l’insegnamento del tardo Platone (Epist.VII, 342b) in cui il nome si pone come una prima forma di conoscenza dell’oggetto, fra le entità sensibili che hanno una loro proiezione esterna; esso è quindi da lui considerato una di quelle realtà cui si applicano di preferenza i criteri di medesimo e altro, ÐmoiÒ thj e diafor£. In tal modo anche per lui i nomi delle cose vengono considerati alla stregua delle cose stesse, come ciò cui si possono applicare quei parametri che li ricollegano all’unità articolata delle oÙ s…ai. Cfr. peraltro da ultima la Seminara, Omon. Pl. Speus., p.294, propensa a negare che da Simplicio sia possibile trarre, per Speusippo, qualsiasi decisione circa il riferinento dei sinonimi alle realtà o ai loro nomi. 2) L’uso antico della sinonimia sembra qui esser quello segnalato da Aristotele in Categ.1a, o almeno così sembra ragionare Simplicio. Ma non è detto sia quello sostenuto da Speusippo, che
Fragmenta - Pag. 11 poteva seguire invece l’uso ancora più antico di sinonimia per Platone. Su questo punto la testimonianza è particolarmente ambigua. F 14 Simplicius, In Arist.Categ., p.36,25-30. K. 28 lacuna in L’, suppl.L 29 t¦¢pÕ tîn naiotšrwn L kaˆ t¦toiaàta poluènuma sunènuma kaloÚ mena add. v Quando ci si occupa di una pluralità di esporessioni e del modo molteplice di denominare una cosa singola, ci occorre un altro che sia sinonimo, o, come lo chiamava Speusippo, polionimo. Non è giusto ciò che afferma Boeto, che cioè Aristotele ha trascurato quelli che dai più recenti sono detti sinonimi, mentre polionimi li chiama Speusippo (1). 1) E’ un passo importante perché qui si parla esattamente di Porfirio e del suo PrÕ j Ged£leion, e perché ci chiarisce meglio quale fosse la differenza fra Speusippo e Aristotele nell’intendere la sinonimia; il che può chiarire anche la testimonianza di F 13. Boeto viene citato semplicemente per far comprendere come i neèteroi (gli stoici) intendessero la sinonimia; cfr. SVF II, fr.150. Ma anche qui è probabilmente una falsa fonte. F 15 Simplicius, In Arist.Categ., p.29,5 K. 5 fhs…n A sic JL, Kalbfleisch ½ rkei tÕ A , ¢rke‹to Kv Speusippo, dicono, si limitava a dire:” il discorso è altro”(1). 1) A tutta prima sembrerebbe un passo di contrapposizione alla Categorie di Aristotele, il che è assai difficile da sostenere. Anzitutto vi è l’estrema difficoltà di stabilire una datazione per le Categorie, problema per cui cfr. Düring, Aristotle, pp.54-55 e Real-Encycl. Suppl.XI, coll.203204. Pur considerando l’opera di datazione primitiva nella vita filosofica di Aristotele, Krämer (Arist.akad.Eidoslehre, pp.122-124) è stato costretto ad ipotizzare una parte più antica ancora reperibile in essa..La questione di una critica di Speusippo alle Categorie rimane peraltro assai dubbia. Il passo iniziale delle Categorie di Aristotele, 1a 2,4,7, 9-10, nei mss. giunti fino a noi, è Ð dš kat¦toÜ noma lÒ goj tÁ j oÙ s…aj ›teroj. Resta da vedere il fatto se esistessero manoscritti più antichi senza almeno una delle due espressioni che mancano nel passo speusippeo; si veda per questo Simplicio, In Categ., pp.29,28–30,3 K., che sembra conoscere, o aver piuttosto sentito parlare, di un manoscritto non contenente tÁ j oÙ s…aj ( in proposito Tarán, Speus.Arist.Homon., p.84, nt. 36). I testi filologici moderni mantengono per lo più l’espressione nella sua integrità, ma cfr: R.Bodeüs, En relisant le début des Catégories: l’expression litigieuse lÒ goj tÁ j oÙ s…aj, “Revue Etudes Grecques”CIX, 1996, pp.707-16, che torna al testo di Th. Waitz (Leipzig 1844) espungendo tÁ j oÙ s…aj (ciò trova conferma nella sua edizione di Aristotele, Catégories, Paris, “Belles Lettres”, 2001, p.2).L’espunzione è convincente, ma le questioni principali del nostro passo non ne sono toccate: in primo luogo, la questione se il passo sia o no legato, e quanto strettamente, a quello che abbiamo or ora esaminato, e quale ne sia il preciso significato. La espunzione di tÁ j oÙ s…aj ha il merito di chiarire che Aristotele non restringe l’ omonimia alla sola sostanza. Ma come concepiva Speusippo la sua personale definizione? Tarán, Speus.Arist.Homon., p.85, e Speus., pp.408-09, considera la frase come la seconda parte della definizione data da Speusippo in precedenza: la frase nella sua integrità sarebbe Ðmènuma ïn Ô noma mÒ non koinÒ n, oppure Ðmènuma lšgetai taÙ t¦Ñ nÒ mata, con la conclusione Ð dš lÒ goj ›teroj. Lo segue Luna, Fragm.Speus., pp.159 sgg. Pur avendo, in Speus', p.265, espresso l’opinione contraria, tutto ciò mi sembra ora rivedibile, conservando la mia preferenza per la
Pag. 12 - Fragmenta seconda versione, che si accorda più strettamente alla teoria speusippea della contrapposizione taÙ tÒ n - q£teron. Il passo può dunque congiungersi con il precedente F 14. Esso è una prova di come Speusippo giudicasse per suo conto l’omonimia; e l’omissione di kat¦ toÜ noma indica semplicemente come egli ritenesse inutile la precisazione, vertendo la questione semplicemente sul nome e non sull’oggetto stesso. Tuttavia si tratta probabilmente di una versione dello stesso problema da parte di due filosofi dell’Accademia, e non specificamente di una critica di Speusippo alle Categorie di Aristotele. Per un altro caso della citazione di una divisione dei discorsi argomentativi in prÕ j toÜ noma e prÕ j t¾ n di£noian in Aristotele si può vedere Soph.Elenchoi, 170b 12-171b 2. Non credo necessario fermarmi su questo testo, anche se Cherniss, Ar.Crit.Pl.Acad., p:47, lo considera come da attribuirsi a Speusippo, e Tarán, Speus: of Ath., p.414, accetta questo punto di vista (considera però di contro Barnes, Homon. Arist. Speus., pp.65-80). Il passo è troppo chiaramente dato come di ‘alcuni’ che non possono essere che retori, e non ha in sé nulla di tipicamente speusippeo.
Metafisica: uno, principi, bene. . F 16 Aristoteles, Metaph.VII,2, 1028b 18-25 21 kaˆ om.Ab Inoltre vi sono alcuni i quali ritengono che, al di là dei sensibili, non vi sia niente di tutto questo, mentre altri ritengono che vi siano più realtà eterne e dotate di un’essenza superiore; così per esempio Platone, il quale pone tre essenze, le due delle idee e degli enti matematici, e la terza delle realtà sensibili (1). Speusippo invece pone più essenze a partire dall’uno e, quali principi di ciascuna di esse, pone un principio per i numeri, uno differente per le grandezze e successivamente per l’anima (2); in tal modo estende il numero delle essenze. 1) Il passo prende inizio da Platone, ma per passare subito a Speusippo. E’ noto come per Aristotele Platone abbia concepito gli enti numerici come intermedi fra le realtà prime, le idee, e i sensibili; su questo punto, che è molto ricco nella storia della critica, cfr.Isnardi Parente, in Zeller-Mondolfo II,3, pp.753-758 (per una raccolta dei passi critici in proposito) e Testimonia platonica I, pp.410 sgg. 2) In contrasto con Platone, Speusippo sembra aver posto le ‘sostanze’, così come Aristotele le intende, in senso triplice: a partire dall’uno (cui non è qui nemmeno contrapposto il secondo principio, quello del molteplice, come si farà costantemente altrove), i numeri, le grandezze, l’anima. Alla base di queste oÙ s…ai, o sostanze, o realtà, vi sono, per ciascuna, due differenti principi. Come nel successivo Metaph. L, 1075b 37-38 (infra,.F 15), Aristotele sembra preoccuparsi della pluralità dispersiva dei principi posti da Speusippo alla base della realtà; e che l’uno, in effetti, sia solo il primo termine e non abbia principi, è detto rapidamente nel ¢pÕ toà ˜nÕ j ¢rx£menoj della r.22. Si possono compiere due differenti errori di valutazione di questo passo, ed entrambi sono stati in effetti compiuti dalla critica. L’uno è quello di accettare troppo alla lettera la critica aristotelica, e di fare delle realtà qui prese in considerazione delle sostanze differenti e mancanti di una razionale correlazione; l’altro, quello di considerare tali realtà appartenenti a diversi piani dell’essere e a stabilire fra di esse un significato derivativo alla maniera neoplatonica.
Fragmenta - Pag. 13 Il primo critico moderno che si è occupato del passo, F.Ravaisson (Speus. princ. Plac., p.36 sgg.) , lo ha valutato alla luce di un’interpretazione neoplatonico-schellinghiana, in senso derivativo. Non è stato seguito a tutta prima dalla critica perché essa veniva a urtare con un’altra interpretazione dipendente, e con maggior chiarezza, da Aristotele stesso, secondo cui la realtà si evolve in senso costruttivo a partire da un uno che si pone quasi al di sotto del piano dell’essere(cfr. infra, F 53 ). .Frank, Plato sogen. Pythagoreer, nelle note a pp.249-251, ha creduto di poter risolvere la questione in senso cosmologico pitagorizante: la concezione speusippea del reale sarebbe sintetizzabile nella maniera seguente: 1) assoluta unità 2) assoluta pluralità 3) numero 4) grandezza spaziale 5) corpi percettibili 6) anima 7) ragione 8) impulsi 9) movimento 10) Bene. Il numero 10 sarebbe richiesto dall’impostazione pitagorica del pensiero di Speusippo, sulla quale il Frank porta riferimenti numerosi, come si vedrà meglio più oltre. Tutto ciò tiene però assai scarso conto del passo aristotelico, e l’arbitrarietà di questa ricostruzione è stata fatta notare ampiamente dal Ross, Arist. Metaph.. ,p.163; limitativo anche Krämer, Ursprung Geistmetaph., p.207. Stenzel, Speus., col.1664, senza riconoscere alcun elemento derivativo nella gradazione istituita da Aristotele, si è preoccupato anzitutto di stabilire un sÚ ndesmoj fra i diversi piani e i diversi principi dell’essere, ma ha finito col riconoscerlo come sempre nella ÐmoiÒ thj, intendendo questa come un’ analogia di natura matematica, valida a collegare l’una all’altra le diverse forme della realtà. E.Dodds ( Parm. of Plato, pp.129-142) aveva già ripreso per suo conto l’ipotesi di un’interpretazione neoplatonica di Speusippo, il cui uno sarebbe da comprendersi , come del resto Aristotele sembra dire altrove (cfr. F 25 infra) , al di sopra dell’essere. Ma questa interpretazione ha ripreso maggior vigore dalle analisi di Ph.Merlan e dal confronto da questi fatto con Giamblico, De communi mathematica scientia,4, 15-18 Festa, e con Proclo, Comm.in Parmenidem, p.39 KlibaskyLabowsky (F 41 e 30 infra). In From Plat. to Neopl. (1953, 1960²) pp.96-140, nell’intero capitolo Speusippus in Iamblichus, il Merlan si pronuncia in favore di uno Speusippo lontano fautore di una concezione di tipo neoplatonico, in cui l’uno si trova al di là e al di sopra dell’essere, che ne discende. Se in Merlan tale posizione viene attenuata in Mon. Dual. (Parusia, Festgabe Hirschberger, pp.143-154) ove la posizione di Speusippo viene considerata non assolutamente monistica (cfr. in part.p.147), essa viene invece ripresa e accentuata da Krämer, Urspr.Geistmetaph., pp.31-32, 208 sgg., 214-15: usando i non equivoci termini di ‘Stufenschema’ e ‘Derivationsystem’ , egli utilizza Metaph.1028b 18 sgg. ai fini della ricostruzione di un sistema derivativo così concepito: Uno suprasubstanziale (‘Überseiendes’) – numeri trascendenti – figure geometriche trascendenti immobili- figure geoemtriche in movimento, o anima –corpi in movimento. Per far ciò, Krämer deve valersi non solo dei passi già utilizzati dal Merlan, ma anche ricorrere al Timeo per il concetto di k…nhsij nella definizione senocratea (infra, F 69) e a Giamblico presso Stobeo, Ecl.I, 49, p.363,26 Wachsmuth (infra, F 67 ), per la concezione geometrizzante dell’anima. Cherniss, Arist.crit.Plato .Acad., p.510 sgg., ha criticato la concezione del Merlan soprattutto per ciò che si riferisce alla concezione speusippea dell’anima, e Rabinowitz, Arist. Protr., p.87 sgg., ha accentuato la critica di questa ricostruzione di Speusippo: nel passo citato Aristotele si preoccupa anzitutto della pluralità delle sostanze, e la sua critica è volta farci comprendere come sia impossibile concepirle come indipendenti l’una dall’altra. Ma la critica di questa interpretazione è venuta soprattutto da Tarán nel suo Speusippus del 1981 (pp.300-02). Tarán ritiene infatti, per prima cosa, che l’uno qui citato da Speusippo non sia altro che il principio della serie numerica, cioè l’uno-numero. Qui Aristotele non nominerebbe il secondo principio, il plÁ qoj, perché gli interessa solo, per il momento, denunciare la pluralità delle ‘sostanze’ speusippee. Ma in generale ¢rc», principio, ha puramente questo significato nel suo linguaggio. E se numeri e grandezze hanno qualche somiglianza reciproca, nessuna somiglianza ha con essi l’anima, a partire dalla quale soltanto comincia per Speusippo il problema della vita. Di un ulteriore coppia di principi che Speusippo deve aver posto per completare il suo quadro, quella che serve a spiegare gli enti sensibili, Tarán non si preoccupa qui in alcun modo.
Pag. 14 - Fragmenta In realtà Speusippo sembra, in base a questa testimonianza (che sarà suffragata da altre, ugualmente aristoteliche) , aver concepito la realtà in senso costruttivistico anziché derivativo. Ognuna di queste realtà poggia su due diversi principi, che qui Aristotele non spiega perché se ne riserva altrove la critica. Ma alle realtà così considerate manca quella di fondo, che qui Aristotele sembra negare trattarsi di una oÙ s…a allo stesso modo delle altre. Tutta la sua preoccupazione è qui volta a sottolineare come la pluralità delle oÙ s…ai renda poco coerente il sistema speusippeo, così come sarà ancora più chiaro dal successivo passo 1075 b 37 sgg. Due cose occorre peraltro mettere in chiaro fin da ora di fronte alle affermazioni del Tarán. a) L’uno da cui Speusippo prende il suo inizio non è il primo numero come semplice inizio della serie numerica. Esso è principio da cui il numero deriva, e, anche se qui Aristotele non si sofferma su questo punto, ha il suo corrispettivo nel molteplice da cui il numero è formato. Si è già nell’Introduzione citato il passo aristotelico (Metaph.M, 1087a 3) in base a cui, senza possibilità di fraintendimento, egli afferma che principio non è il prîton di una serie, ma il prÒ teron, ciò che sta a suo fondamento obiettivo . b) Fra serie numerica e serie delle figure, come nota lo stesso Tarán, c’è una analogia fondamentale che la differenza dei relativi principi non può togliere. Allo stesso modo va detto per la serie delle grandezze e l’anima; si vedrà più oltre, soprattutto in base al già citato passo di Simplicio in Stobeo (I, 49), come la grandezza sia una componente essenziale di questa. F 17 Asclepius, In Arist.Metaph., p.379,12 –15 Hayduck 14-15 toàton tÕ n trÒ pon dubitanter Hayduck, toÚ twn Lang, oÛ twj Tarán Speusippo suppone che vi siano più essenze a partire dall’uno, e pricipi oltre che essenze; dice che una è l’essenza dei numeri, un’altra quella delle grandezze, un’altra ancora quella dell’anima; per mezzo di questi concetti, estende il numero delle essenze (1). 1) Asclepio vuol dire qui Ammonio, dato che questo discepolo (V-VI sec.d.C.) dichiara che egli riporta il commento di Ammonio ¢pÕ fwnÁ j (così H.D.Saffrey, Dict. Philos. Ant. I, pp.633-34). In questo passo il commento segue Aristotele fedelmente, semplicemente abbreviandolo. F 18 Asclepius, In Arist.Metaph., pp.377, 34 – 378,3 H. 36 e‹nai (2) om.D Similmente Speusippo e Senocrate e le loro scuole. Speusippo dice che vi sono molte essenze: una è per lui l’essenza delle grandezze e l’altra quella dei numeri, e ancora altra è l’essenza dell’anima e quella dell’intelletto, altra quella del punto e altra ancora quella della linea e così pure quella della superficie (1). 1) In questo passo la arbitrarietà interpretativa di Asclepio è molto più marcata. La citazione di Senocrate è gratuita. Inoltre egli attribuisce a Speusippo principi non per ogni genere di essere, ma per le specie appartenenti al genere stesso (il punto, la linea, la superficie per le figure; ma Aristotele, nel seguito del passo, ha distinto queste posizioni da quelle speusippee). Il noàj viene inoltre separato dall’anima in generale e rappresentante una nuova oÙ s…a Cfr. già in proposito i rilievi di Zeller, Philos.d.Gr.II, I, p.1000, nt. 2. F 19 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., pp.462,34-63,1 H.
Fragmenta - Pag. 15 Il discepolo di questi Speusippo dice che le essenze intellegibili sono anche più di tre: la prima è l’uno in sé, un’altra è il principio dei numeri, un’altra ancora il principio delle grandezze, un’altra ancora il principio dell’anima; così estende in quantità i generi delle essenze (1). 1) Per lo pseudo-Alessandro cfr. anzitutto I.Freudenthal, Die durch Averroes erhaltenen Fragmente Alexanders zur Metaphysik des Aristoteles, Diss.Berlin 1885: Freudenthal ha sostenuto con prove inoppugnabili che nel Commento alla Metafisica quello ai libri E-N è di altro autore rispetto a quello, autentico, di Alessandro. L’autore è stato identificato da K. Praechter con Michele di Efeso nel 1906, e tale identificazione è stata ripresa da I.Hadot, Simplicius, 1987, p.229 nt. 12, nonostante L.Tarán, Syrianus and Pseudo-Alexander’s Commentary on Metaph.E-N, in Aristoteles. Werk und Wirkung (Mélanges P.Moraux), ed. J.Wiesner, Berlin 1987, II, pp.215-232. Cfr. in proposito R.Goulet-M.Aouad, Dict.Philos.Ant.,I, p.129, e Luna, Trois études, pp.53-71, con le sue precise obiezioni a Tarán, che sono poi da lei inserite in un contesto sistematico riguardante la tradizione antica dei Commentarii. L’interpretazione di questo passo è un saggio di come i passi di Aristotele possano essere liberamente alterati. Lo pseudo-Alessandro fraintende totalmente l’aristotelico ‘comiciando dall’uno’ e al posto di esso pone uno aÙ tošn, del tutto neoplatonico e ignoto a Speusippo; in Aristotele troviamo l’espressione, in apparenza affine ma sostanzialmente diversa, aÙ tÕ ›n insieme con aÙ tÕ Ô n (Metaph. 1001a 30) o –questa volta in specifico riferimento a SpeusippotÕ Ÿ n aÙ tÒ (Metaph. N, 1092a 15). Fra i moderni, Guthrie (Hist. Greek Philos., I, 249, V, 459 sgg.) ha pensato che sia possibile l’attribuzione dell’espressione a Speusippo, ma in questo caso a torto. Forse l’espressione si è formata su quella di aÙ tozùon, che Alessandro usa, e che vedremo più oltre. Il commentatore trascendentizza e sostanzializza l’uno speusippeo, in scarsa coerenza con altri passi della Metafisica, e intende tutto il discorso rigorosamente delimitato alle oÙ s…ai nohta…, in questo caso tuttavia seguendo pedissequamente la limitazione posta all’enumerazione da Aristotele stesso. Ma esiste, in Speusippo, una distinzione fra uno principio e uno numero? A parte ogni metafisicizzazione indebita dell’uno-principio, crediamo che a questa domanda si debba rispondere affermativamente. Abbiamo già visto poc’anzi, e continueremo a constatare, come Speusippo non possa parlare di numeri senza accennare almeno a una loro condizione, che ne è principio: i numeri sono, come del resto vedremo meglio fra poco (cfr.F 25 infra) i primi veri esseri. D’altra parte, esiste anche un uno concepito puramente come numero: nel passo del Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn, cui dovremo più volte riferirci (infra, F 94 ), l’uno viene considerato come un dispari. Nell’ambito di questa duplice realtà si colloca in qualche modo lo aÙ tošn dello ps.Alessandro. F 20 Arist. Metaph.L 10, 1075b 37 - 76a 4 1076a 4, sic codd. Al ; post ko…ranoj add. œ stw E² Quelli che dicono che la prima realtà è il numero matematico, e che poi vengono tutte le altre essenze ciascuna con i suoi particolari principi, rendono episodica la realtà del tutto (nessuna di queste essenze si pone in rapporto con l’altra, né quanto al suo essere né quanto al suo non essere) e i principi diventano molti (1). 1) L’inizio rende il passo riferibile senza alcun dubbio a Speusippo; anche se lo ps.Alessandro, p.721, 11 sgg.Hayduck, lo intende riferito ai pitagorici. Ma qui, oltre che riprendere il discorso di Metaph.1028b 18 sgg., Aristotele si preoccupa anzitutto di dichiarare che chi pensa così finisce per ritenere ‘episodica’ la realtà tutta; e cfr. l’espressione analoga in Metaph.1090b 19 (infra, F 57 ).
Pag. 16 - Fragmenta Quanto a ricalco dello stile speusippeo, cfr. il toà pantÕ j oÙ s…aj che sembra ricalcare lo Ó lh oÙ s…a attribuito a Speusippo da Teofrasto, Metaph.XI a 23-24 Usener, infra, F 40 ). F 21 Arist.Metaph. L 7, 1072b 30-1073a 1 Quelli che, come i pitagorici e Speusippo, suppongono che ciò ch’è più bello e più buono non sia posto nel principio, per il fatto che anche degli esseri viventi e delle piante i principi sono sì la causa, ma il bello e il perfetto si rivelano in ciò che poi deriva dai principi, non parlano rettamente. Il seme deriva infatti da altri precedenti esseri perfetti, e ciò ch’è primo non è il seme, ma l’essere perfetto.(1). 1) L’interpretazione progressivistica di questo passo non è stata messa in forse dai critici del XIX secolo se non dal Ravaisson, di cui già si è detto supra, F 16. Più importante fra questi è Schwegler, Metaph. des Aristot., IV, pp.40, 268-270, per il suo vedere la progressione dell’essere speusippea culminante nella tetr£j, e dovremo ricordarcene quando si esaminerà il passo dei Theologoumena arithmetices, cui Schwegler si richiama per questa sua ipotesi. Zeller, Philos.d.Gr. II,I, p.999, nt 1, seguito più di recente da Stenzel, Speus., col.1666, insiste invece sull’argomentazione fondata sul seme, che attribuisce a Speusippo, mentre essa è invece tipica di Aristotele. F 22 Themistius, In Arist.Metaph. Paraphrasis, p.24,24-29 Landauer Speusippus corr. Krische, Landauer,Tarán; Leucippus codd. Ma già alcuni hanno ritenuto che ciò ch’è più bello e più buono non si trovi nel principio delle realtà; così la setta dei pitagorici e hanno ritenuto che i principi degli esseri viventi siano sì le loro cause, come in effetti sono, ma che ciò ch’è più bello e più perfetto non stia nel seme, ma nella realtà quando sia giunta alla sua perfezione. 1) Non dimostra maggior conoscenza di quanto Aristotele non dica nel passo Metaph.1072b 30 sgg.; lo interpreta tuttavia rettamente. Il passo ci giunge attraverso traduzione latina. F 23 Ps. Alexander, In Arist.Metaph., p.699, 28-33 H. Dopo aver dimostrato che la divinità, primo principio, è un essere vivente eterno e perfetto, accusa i pitagorici e Speusippo di errare quando dicono che ciò ch’è più bello e più buono non è posto nel principio, e che non è possibile dire che il principio è il sommo bene; per esempio, il seme e il mestruo sono principi dell’essere vivente, ma non ne sono l’ottimo; più elevato nell’ordine dei beni è ciò che deriva dal seme e dal mestruo. La loro opinione, egli dice, non è giusta (1). 1) E’ una più lunga ed esatta interpretazione del testo aristotelico, che ci aiuta a comprenderlo pur senza offrirci nulla di nuovo. F 24 Ioannes Philoponus, In Arist.Metaph., trad.Francesco Patrizzi, Ferrara 1583, fol.51v, col.a Speusippum Lang, Tarán, Leucippum Patrizzi E quindi accusa il quale dice che non bisogna porre l’ottimo fra i principi; i principi sono sempre imperfetti, in quanto sono in potenza (1). 1) Anche qui non abbiamo il passo che in traduzione latina: la traduzione di questo commento è a noi giunta solo attraverso Francesco Patrizzi. Cfr. in proposito H. Reiner, Der MetaphysikKommentar des Iohannes Philoponus, “Hermes”LXXXII, 1954, pp.480-82 (ma non è propenso ad attribuire la traduzione al Patrizzi O.Hiltbrunner, s.v.Iohannes Philoponus, in KP II,1967, coll.1430-
Fragmenta - Pag. 17 31). Il ms. da cui essa deriva è lo stesso di Temistio, F 22, come denota il medesimo scambio di Speusippo con Leucippo. Tuttavia il passo introduce, con il ricorso al concetto aristotelico di dÚ namij,’potenza’, qualcosa di più, che non abbiamo nell’altro. F25 Arist.Metaph.N, 5, 1092a9-17 11 aƒ om.E 12 ti E 13 te Ravaisson, Ross, Jaeger; dš codd Al
14 fhs…n P Ab, fas…n Al.
Se è impossibile insieme porre e non porre il bene nei principi, è chiaro che non sono individuati rettamente né i principi né quelle che sono le essenze prime. Né suppone rettamente chi paragoni fra di loro i principi del tutto e quelli degli esseri animati e delle piante, per il motivo che da indefiniti imperfetti derivano realtà sempre più perfette, e quindi deve esser lo stesso anche per le realtà prime: sì che l’uno in se stesso finisce col divenire qualcosa che neppure esiste (1). Invece, i principi perfetti da cui derivano tali cose esistono: è l’uomo che genera l’uomo, e non è vero che la realtà prima sia il seme. 1) L’affermazione nuova e importante che troviamo in questo passo è che per Speusippo l’uno si può dire in certo senso ‘privo di essere’ (mhdš Ô n ti). Il primo problema che tale affermazione pone è fino a che punto possiamo considerarla una sorta di illazione tratta da Aristotele stesso o fino a che punto essa possa essere stata da Aristotele effettivamente trovata nel discorso di Speusippo che egli va criticando. Si possono considerare fra i primi Schwegler, Metaph. des Arist., IV, p.361; Lang, Speus.Acad.Scr,, p.69; Ross, Arist.Metaph., II, p.489; Reale, Aristotele, Metaf.,III, pp.440-42. Zeller, Philos.d.Gr. II,I, p.1000,nt.1, ritiene però che Speusippo, per affermare ciò, possa avere avuto antecedenti platonici diretti, che crede di poter ravvisare nel Parmenide. Robin, Théorie plat. Idées nombres, p.656, attribuisce anch’egli questa teoria dell’uno a Speusippo, con varie riflessioni sulle difficoltà filosofiche di essa. Si adegua a questa opinione Frank, Plato sogen.Pythag., p.132, ma per la già citata convinzione che per Speusippo l’uno sia semplicemente, come i pitagorici, punto di partenza della realtà, e non realtà esso stesso. Ma Dodds, Parm.Plat., p.140, ritiene che Aristotele si sia espresso così perché, per Speusippo, l’uno è ¢noÚ sion più ancora e prima che Ø peroÚ sion; e questa forma sarà ripresa da A.H.Armstrong, The Architecture of the Intelligible World in the Philosophy of Plotinus, Cambridge 1940, pp.17 sgg., 22, che la applica anche al secondo principio, il ‘molteplice’, d’altronde non citato da Aristotele in questo passo. Si può ancora citare qui D.Pesce, Idea, numero, anima. Primi contributi a una storia del platonismo, Padova 1961, p.55, il quale ritiene che Aristotele riporti una dottrina, pur nelle successive differenziazioni, insieme sua e speusippea quando afferma che l’uno non è un ente, ma solo una struttura formale dell’essere. Una svolta alla ricerca si ha con Merlan, che individua materiale speusippeo in Giamblico, De communi mathem.scientia 4 (F 41 ; Plat. Neoplat.², p.96 sgg., in part.100 sgg. ) e in base a ciò ritiene che la presentazione di Aristotele sia ambigua, e che al posto dell’uno ‘non ancora essere’ Speusippo abbia professato la teoria dell’uno Ø per£nw, ‘al di sopra dell’essere’. Più oltre (p.132) Merlan si vale anche di un altro passo, Proclo, Comm.in Parm.p.40,1 Klibansky-Labowsky (F 30 infra) che confermerebbe la teoria di cui parla Giamblico, parlando di uno al di sopra dell’essere e citando per questo Speusippo.Come si è già anticipato poc’anzi, queste ricerche sono alla base di quella del Krämer, Urspr.Geistmetaph., pp. 31sgg., 208 sgg. ecc., ove l’uno speusippeo è considerato ‘superessenziale’; Krämer accentuerà questa sua interpretazione in Epekeina tes ousias, p.11 sgg., sottolineandone la coerenza con il pensiero di Platone, così come almeno egli ritiene di interpretarlo nel discusso e sempre in definitiva misterioso passo Resp..509 c-d.. Tarán, Speus. of Ath., pp.336-339, in part.338, ritiene oggi che la teoria sia ‘merely an inference of Aristotle’; insiste nel dichiarare l’uno realtà concreta, in Speusippo, in quanto numero iniziale, e inoltre ritiene ciò accertato dal fatto che la frase è introdotta con un éste. Due critiche gli sono state mosse, da Dillon, Speus. in Jambl., p.326, e da M.Isnardi Parente, “Archiv f.Gesch.d.Philos.”LVII, 1985, pp.102-108, poi in Suppl.Acad., pp.274-281, in part. p.276. Dillon si
Pag. 18 - Fragmenta muove nella prospettiva del Merlan, opponendo a Tarán lo oÙ dš Ô n pw del testo di Giamblico; per mio conto, mi son limitata ad osservare che l’uno non è un’entità concreta per il fatto di essere un numero, perché questa posizione in Speusippo è tutt’altro che oppugnabile; ma l’uno di cui qui si parla è principio e non numero. Aristotele ha quindi le sue ragioni per contestare a Speusippo che il suo ‘uno’ non ha alcuna di quelle caratteristiche che dànno la possibilità di chiamarlo essere definito, essendo i primi esseri definiti per l’appunto i numeri. F 26 Aristoteles, Metaph.N 4, 1091a 29- b 3 33 lšgein delevit Christ b 2 eâ JA Al , ›n E C’è una difficoltà, ed è sempre fonte di obiezioni per chi indaghi in proposito, concernente il rapporto che intercorre fra gli elementi primi e i principi da una parte, e il bello e il bene dall’altra: e l’aporia è questa, se si voglia sostenere che in quelli stia il bene e l’ottimo, oppure che non sia così, ma che il bene e l’ottimo siano frutto di svolgimento ulteriore (1). Oltre agli antichi cosmologi (2), alcuni dei nostri contemporanei sembrano d’accordo che il bene non è nel principio, ma che solo nel procedere ulteriore della realtà (3) compaiano il bene e il bello. Affermano ciò per evitare quella seria difficoltà che affligge coloro che affermano, come alcuni fanno, essere l’uno il principio . La difficoltà non sta tanto nell’indicare il bene nel principio, come inerente ad esso, ma nel porre l’uno come principio, e il principio come elemento primo, e il numero come derivato dall’uno (4). 1) Per tutta la discussione sul passo, che viene per lo più riferito a Speusippo, cfr.Robin, Théor.plat.idées nombres, p.507 sgg. 2) Non sono rari nella Metafisica gli accenni ad ‘antichi teologi’; cfr. B, 1000a 9 sgg., e Untersteiner ( Aristotele. Della filos., p.82 sgg.), che tende a rilevare come, per Aristotele, la dottrina dei principi sia stata interpretata come inizialmente propria della sapienza poetica. 3) Sulle parole proelqoÚ shj tÁ j tîn Ô ntwn fÚ sewj Tarán, Speus., p.42 sgg., 449 e altrove si sofferma a lungo, affermando che il bene, per Speusippo, deriva da un processo naturale, non da numeri e grandezze, che sono realtà immobili. Più interessante mi sembra il fatto che tali parole indichino la tendenza progressivistica del ‘sistema’ speusippeo: il bene non è escluso da princpi ed enti matematici a causa della loro immobilità, come indica del resto Eth.Nicom.I, 1096b 5 sgg. (infra, F 73 ), ma trova la sua pienezza nella realtà (fÚ sij) a un grado ulteriore del suo sviluppo. 4) Stoice‹on è parola usata qui da Aristotele in senso accademico. Egli è in realtà il primo filosofo, di nostra conoscenza, che distingua ormai bene quelli che sono gli stoice‹a, o ¢rca… ™nup£rcousai, dalle ¢rca… vere e proprie (Metaph.D, 1013 b). Il pensiero accademico non ha invece elaborato questa distinzione, e usa liberamente i due termini, sì che la ¢rc» può dirsi anche stoice‹on e viceversa. Solo nel linguaggio ellenistico, e in particolare stoico, la distinzione di Aristotele troverà un valido campo di applicazione. Per gli Stoici cfr. in particolare M.Lapidge, 'Arc» and stoice‹a. A problem in Stoic Cosmology, “Phronesis” XVIII, 1973, pp.240-278. F 26a Pseudo-Alexander, In Arist.Metaph., p.717, 39-718,5 H. Platone e i suoi posero il bene e il male nei principi stessi; altri, come i pitagorici , affermano invece che il bene non è principio. Come essi si rifiutino di considerare principio il bene e l’ottimo, lo dice nel presente libro spiegando la frase ‘quelli che ritengono, come i pitagorici e Speusippo, che il bello e il bene supremo non stiano nei principi’ (1). 1) Si limita a identificare il passo di Aristotele con la condanna della teoria del bene in Speusippo e nei Pitagorici, senza nulla aggiungere.
Fragmenta - Pag. 19
F 27 Aristoteles, Metaph.M, 8, 1084 b 27-30 L’unità è un punto senza posizione. Così questi, e anche alcuni altri, considerano tutte le realtà come costituite da ciò ch’è più piccolo; di conseguenza, l’unità diventa materia dei numeri e, allo stesso tempo, diventa anteriore alla diade, ma insieme anche posteriore, perché la diade è un tutto, un’unità e una forma (1). 1) E’ verosimilmente allusivo a Speusippo; Aristotele ha parlato finora dei Pitagorici, cui si riferisce la definizione di mon£j come ‘punto senza posizione’, stigm¾ ¥qetoj, e aggiunge un rapido accenno a ‘alcuni altri’ , che fanno anch’essi gli esseri composti di minimi. Che il passo possa riferirsi a Speusippo lo dice il confronto con Metaph.N, 1087b 31 sgg. (infra, F 52) oltre che col seguente F 28. F 28 Damascius, De primis princ. I, p.2,25 Ruelle L’uno non è infatti il minimo, come sembra aver detto Speusippo (1). 1) Zeller, Philos.d.Gr., II,I, p.1001, nt.6, ha ritenuto questa di Damascio una falsa interpretazione di Aristotele. La cosa è possibile, se teniamo conto in particolare dello ™l£ciston di Metaph.1084b 27 sgg., e anche di Phys.III, 206b 32, ove la mon£j è detta appunto ™l£ciston. E’ comunque interpretazione incompatibile con l’altra che, lo vedremo fra poco, sarà data da Proclo e da Giamblico (F 30 e F 41 ), che si basano probabilmente entrambi su un’intermedia fonte neopitagorica. F 29 Palimps.Taur., I, 20 -24., p.602 Kroll (1) 20 m» tij Baeumker 21 sic editores omnes, an legendum ‘Amhlioj? ¢nÒ hta coniecit Studemund, ¢nÒ nta (“non entia”) suspicavi dubitanter 24 ¢koÚ sai MS, sic Usener A meno che, in considerazione della sua piccolezza, non ci sia qualcuno, come Speusippo e Timalio (?) (2), … che riduca l’uno, nel suo modo di intenderlo come minimo e indivisibile, a qualcosa di assolutamente estraneo alla divinità (3) 1) La teoria dell’uno come minimo in Speusippo è sostenuta anche dall’autore del commento al Parmenide platonico contenuto nel Palinsesto Torinese edito dal Kroll in “Rheinisches Museum”XLVII, 1892, pp.599-627, e riedito oggi da A.Linguiti in Corpo dei Papiri Filosofici greci e latini, III , pp.63-202. Il commento è stato attribuito a Plutarco di Atene dal Beutler, RE XXI,I, 1951, coll.974-75, e a Porfirio da P.Hadot, Porphyre et Victorinus, Paris 1968, II, p.61 sgg.; ritiene trattarsi forse di un autore indubbiamente posteriore a Porfirio, ma non sempre coerente con questi, Linguiti, pp. 78-91 2) Il nome Timalio è assolutamente ignoto; data l’estrema incertezza dei caratteri, si potrebbe leggere forse Amelio, soprattutto considerando valida l’attribuzione a Porfirio. 3) Il passo contiene un ¢nont … di difficile comprensibilità. Sarebbe forse ardito supporre qui un ¢nÒ nta, “non essenti”, che esce fuori dal linguaggio filosofico ordinario; eppure poco sopra abbiamo un oÙ damîj Ô nta. Così ho sospettato in Speus.¹, p.282.
F 30 Proclus, In Plat. Parm. Comm., pp.38-40 Klibansky-Labowski (1). 1 Et ut codd., ut et Klibansky 2 ante CV 4 bonum CV 5 ponat Klibansky 7 induxerunt Klibansky, inducens L
Pag. 20 - Fragmenta Così interpreta Speusippo, esponendo l’opinione degli antichi. Che cosa dice? Che essi, considerando considerando l’uno superiore all’essere, e tale che da esso deriva l’essere (2), resero questo libero dalla condizione propria di un principio. Ma ritenendo in pari tempo che, se l’uno fosse considerato assolutamente isolato e di per sé, e tale da porre se stesso senza ricorrere ad alcun’altra realtà (3), non avrebbe potuto dare origine a nulla di ulteriore, posero anche, come principio delle cose esistenti, la dualità indefinita. Perciò anche questi attesta che tale era l’opinione degli antichi circa l’uno, che cioè esso si innalza al di sopra di ciò che è, e che dopo l’uno viene subito la dualità indefinita. 1) Il passo deriva da quella parte del Commento al Parmenide che esiste solo in latino nella traduzione di Guglielmo di Moerbeke, e che fu edita da R.Klibansky- C.Labowsky nel 1953 (Plato latinus III) e riedito poi da C.Steel, Proclus, Commentaire sur le Parmenide de Platon, Leuwen, 1985. Va esaminato con attenzione in quanto ha dato luogo a interpretazioni diverse e spesso contrastanti. 2) A p.86 Klibansky dava la sua riedizione greca del brano. L’espressione da lui ritradotta bšltion toà Ô ntoj kaˆ ¢f/oá tÕ Ô n era da lui considerata speusippea, e giunta a noi dal Perˆ tîn puqagorikîn ¢riqmîn tramite Nicomaco di Gerasa; egli ammetteva dunque una ritraduzione neopitagorica del passo. Più decisamente, Merlan, Plat. Neopl:², pp.132-133, ha considerato neoplatonizzante la dottrina di Speusippo trovando nel passo citato la teoria di un Uno superiore all’essere che lo porrebbe in stretta comunione con le espressioni di Plotino, e che sarebbe attestata anche da Giamblico (infra, F 41). L’interpretazione del Klibansky è seguita oggi da J.Dillon, The Middle-Platonists, London 1973, pp.12-14.; cfr. poi più ampiamente Heirs of Plato, pp.56-59. Burkert, Weish. Wiss., p.56, ha dato particolare importanza alla frase iniziale “tamquam placentia antiquis”: negli ‘antichi’ egli vede la tradizione pitagorica, e trova che ciò si adatta alla tendenziale pitagoricità di Speusippo. Ma gli ‘antiqui’ sono tali anche per il tramite, neopitagorico o meno ch’esso fosse; e tramite ciò si risale forzatamente a Platone, s’intende al Platone reinterpretato dai neoplatonici. Già in Dottrina delle idee e dottrina dei principi nell’Accademia antica, “Annali Sc.norm.Sup.”,1979, p.1039, nt. 48,e poi in St.Accad. plat., p.39, nt. 48, ho avuto modo di esprimermi, sulla base di una opinione di Cherniss avuta per via epistolare, circa questo singolare riferimento; gli antichi in questo caso non possono essere i Pitagorici, ma Platone e forse Speusippo stesso. “Melius ente” viene ritradotto da Klibansky bšltion toà Ô ntoj ( ma forse Ø peroÚ sion sarebbe sufficiente). Accettando la traduzione del Klibasky, siamo assai vicini a Plotino ma assai lontani da Speusippo, che, pur ponendo l’uno ‘nella serie del bene’, ™n tÍ toà ¢gaqoà sustoic…a, non lo considera di per sé il bene (F26 e F 31 ). Ora, che l’uno sia il Bene è ben certo in Plotino, ma non viene meno nella tradizione ulteriore del neoplatonismo: cfr. ad esempio Siriano, In Arist.Metaph., p.183, 12 Kroll (per Brotino), Simplicio, In Arist.Phys., p.207, 27 Diels (per Moderato). L’attribuzione della teoria sic et simpliciter a Speusippo non solo contrasterebbe con i passi aristotelici da noi citati, ma anche con lo stesso passo di Giamblico, De communi mathematica scientia 4 (F 41 ) secondo cui l’Uno è superiore allo stesso bene, non però, a quanto ivi si dice, superiore all’essere. Rende ancor più problematica l’attendibilità del passo la sua conclusione, che sembrerebbe attribuire a Speusippo stesso la dottrina del secondo principio nella forma di ‘interminabilis dualitas’, diade indefinita; Speusippo non sembra affatto aver accettato questa definizione per il secondo principio, ma averlo invece identificato col molteplice, plÁ qoj (cfr. F 55 infra ). Se dobbiamo quindi in qualche modo rifarci a Speusippo, si tratta di uno Speusippo che cita altri. Tarán (Speus. of Ath., pp.352-56) ha interpretato diversamente. All’uno Speusippo avrebbe negata la stessa condizione di principio, intendendo il primo ‘ipsum’ non riferentesi a ‘le ens’ ma al soggetto della frase che precede, cioè a ‘le unum’, Ciò porterebbe immediatamente alla conclusione che la ‘interminabilis dualitas’ venga ad esser considerata principio unico del reale. Per evitare questo, che è di per sé assurdo e insostenibile, bisogna, secondo Tarán, considerare
Fragmenta - Pag. 21 un’interpolazione lo ‘interminabilem’ del testo, e supporre che qui Speusippo possa alludere alla teoria neopitagorica dell’uno e della dualità che consegue all’uno, una du¦j ¢rcîn , una seconda unità contrapposta a dualità, che insieme formano poi il reale successivo. Per un esempio di questa dottrina, assai diffusa fra i neoplatonici, nello stesso Proclo, cfr. Commentarium in Timaeum, I, p.76, 11 sgg. Diehl, che parla di una prima causa cui consegue una dualità di principi atta a generare il reale. Ma il primo a sostenerla (o a riferircela, le due cose essendo strettamente intrecciate) è certamente Eudoro, in Simplicio, In Arist.Phys., p.181,7 sgg. Diels = fr.3 Mazzarelli), quando parla di una ¢rc» prima e di due successive ¢rca…, deÚ terai kaˆ stoiceièdeij. Non si può dunque negare che la teoria esista o sia difficilmente reperibile; l’essenziale è vedere se sia qui verosimile riscontrarla. Questa interpretazione è seguita da Graeser,Plato and Speusippus, p.180 e nt.4 p.183. Graeser la ritiene importante a fondamento della sua interpretazione dei principi speusippei, in particolare a garanzia del loro carattere immanentistico piuttosto che trascendentistico, con rovesciamento della posizione di Platone. Ciò è fondamentalmente giusto, ma non richiede questa singolare posizione dei rapporti fra l’uno e la diade. Per le mie obiezioni alla interpretazione del Tarán, cfr. M.Isnardi Parente, Speus. in Proclo, pp.293-310, poi riprodotto con alcune aggiunte in Suppl.Acad., pp.282-294. In questa sede basterà ricordare alcuni punti che mi sembrano decisivi. Il primo, è la lettura iperrazionalistica di “ab ea que secundum principium habitudine ipsum liberaverunt”: troppo spesso la lettura di un testo medievale secondo criteri umanistici, vale a dire ciceroniani, ha portato a errori di questo tipo, e sta per certo che ciò che è stato liberato dalla funzione di principio nella tradizione neoplatonica è lo ‘ens’ e non certo lo ‘unum’. Questo resterebbe la ¢rc» suprema anche nel caso che si trattasse della teoria pitagorica già citata poc’anzi. Non si è mai visto un neoplatonico che possa negarle questa funzione; la cosa resta chiara per lo stesso Damascio, che, parlato della prima ¢rc» ineffabile, indica poi l’uno come la deutšra ¢rc» ( De pr.princ., I, pp.43-45 Ruelle). Né, in secondo luogo, può darsi il caso che Proclo, come vorrebbe Tarán, separi qui il concetto di ‘causa’, e causa di tutte le realtà, da quella di principio. Che l’uno sia principio è dovunque fuori discussione in Proclo. Basterebbe a indicarlo quello Ø peroÚ sioj p£ntwn ¢rc» con cui egli lo designa in Theol. Plat. I, 10 ( I, p.42,3-6 Saffrey-Westerink); e tanto più ciò è chiaro in quanto egli indica spesso l’uno supremo come, insieme, principio e causa (Elem.Theol.I, 11, p.12, 30 Dodds, o ancor più chiaramente I,12, p.14 D). Nel Commentario al Parmenide di cui qui ci stiamo occupando è casomai dubbio che l’uno sia ‘causa’; esso è definito da Proclo proa…tion, ‘precausa’ (In Plat.Parm.VII, col.1210, 11 Cousin), in quanto all’inizio di ogni altra cosa. 3) Il ‘sine aliis’ che è sembrato espressione dubbia a Tarán è invece espressione assai generica, che equivale a un ‘senza null’altro’, e viene del resto spiegato dall’altra, ‘alterum elementum’, che sembra alludere a una seconda ¢rc» piuttosto che a una coppia di opposti. Che il primo principio sarebbe immobile senza un secondo principio attestante movimento, cangiamento, alterità, lo dice significativamente fra gli altri un passo di Plotino, in cui questi –pur lettore anzitutto dei dialoghi di Platone- si sforza in qualche modo di reintrodurre, in omaggio ad Aristotele, il concetto di ‘diade indefinita’ nel suo orizzonte filosofico (Enn.V, 1,5,3 sgg.): Plotino parla là di un Uno assolutamente semplice, che non resta però in sé perché la du£j ne consegue; indefinita di per sé, essa si definisce poi come numero in virtù dell’uno, e si fa essenza (oÙ s…a in quanto numero) e intelligenza. Ecco un caso – ma solo uno dei molti- in cui la collaborazione ‘dialettica’ della dualità con l’Uno è concepibile anche quando precedentemente si è data dell’Uno una definizione in termini di assoluta trascendenza. J.Annas, Books M and N, p.34, ritiene che Speusippo possa aver aderito inizialmente alla formulazione platonica per poi passare al più vago plÁ qoj. Questa seconda, però, è più correttamente platonica che non l’altra, se si pensa al Parmenide platonico, da cui Speusippo prendeva certamente le mosse. Dillon, Heirs of Plato, p.56 sgg., ritiene che il passo sia importante per l’attribuzione dell’espressione du¦j ¢Ò ristoj a Speusippo; ma le possibilità di questa attribuzione sono tutte da discutersi. La mia impressione è che Proclo si sia trovato di fronte a una
Pag. 22 - Fragmenta fonte intermedia, probabilmente neoplatonica, in cui Platone veniva citato tramite Speusippo, e che il nome di quest’ultimo nella citazione sia poco più che casuale. A Platone si riferisce la teoria dello ‘ens’ liberato dalla condizione di principio e considerato derivante dall’uno; ma certamente a un Platone passato attraverso l’esegesi neoplatonica e formulato sulla base della discutibile testimonianza aristotelica. F 31
Aristoteles, Eth.Nicom. I,4, 1096b 5 –7
Cosa più credibile sembrano dire i pitagorici circa il bene stesso, quando pongono l’uno nella serie (1) dei beni; e sembra che Speusippo li abbia seguiti (2). 1) Delle cosiddette sustoic…ai, o serie contrapposte delle realtà, Aristotele ha parlato in Metaph.A, 986a, attribuendole senz’altro ai Pitagorici, anzi facendo una precisa distinione fra questi e il medico Alcmeone, vicino ai Pitagorici ma non confondibile con questi. E’ perciò fuori luogo il pensare, con Frank (Plato sog.Pyth., p.255 sgg., Burkert, Weish.Wiss., pp.45-46) che le sustoic…ai siano da attribuirsi a Speusippo; cfr. Moldolfo in Zeller-Mondolfo, Filos.dei Greci, I 2 , p. 346 sgg.,.Raven, Pythag. and Eleat.², p.12 sgg., Timpanaro Cardini, Pitagorici III, pp.80-81, Isnardi Parente, Pitag. di Crotone, pp.6-21. Aristotele dà qui una conferma di ciò parlando di una imitazione speusippea dei Pitagorici. 2) Non è una contraddizione con Metaph.N, 1091a 30 sgg., come bene ha visto J.Burnet, The Ethics of Aristotle, Cambridge 1900, p.27, polemizzando con Zeller, II I, p.999, nt.3: dire che l’uno si pone nella serie positiva non è assolutamente dire che il bene si identifica con l’uno né che il bene è iniziale. Per la coppia ›n-plÁ qoj nella sustoic…a pitagorica, collocata al terzo posto, cfr. Metaph.986a 23. F 32 Aristoteles, Metaph.N, 1091b 30-35 Le cose che derivano da ciò sono assurde, e cioè che il principio opposto, sia esso la molteplicità, sia l’ineguale, sia il grande-piccolo, diventerebbe il male di per sé (1). E per questa ragione quegli non volle rapportare il bene all’uno: perché, in virtù dell’pposizione, ne sarebbe derivato l’effetto che il male consista nella stessa molteplicità (2). 1) E’ un passo fondamentale per l’attribuzione a Speusippo dei principi nella forma unomolteplice; in esso infatti si identifica questi con lo stesso che ha negato al bene la funzione di realtà prima e iniziale. Cfr.Schwegler, Metaph. des Arist.,V, p.359; Bonitz, Arist.Metaph., p.588; Zeller, Philos.d.Gr.II,I, p.1001, nt. 2; Ross, Arist.Metaph.,II.p.489; Reale,Arist.,Metaf. III, p.696; Annas,.Books M a.N, p.216. 2) Speusippo ha identificato il secondo principio con il molteplice, plÁ qoj, e non già un molteplice in qualche modo determinato, come sarebbe la dualità, sia pure indefinita, o una qualsiasi coppia come il grande-piccolo, o altra forma analoga. Anche se, come opina Robin (Th.plat.idées nombres, pp.654-655), egli non è l’unico fra i platonici nell’effettuare una simile scelta (anche Senocrate, pur dando la sua preferenza al concetto di ‘diade indefinita’, non nasconde che essa è principio della molteplicità; cfr. Senocrate, fr.101-102 I.P., e commento in Isnardi Parente, p.336 sgg.), purtuttavia ha preferito porre il secondo principio in questa forma generalissima. Ma così come si era rifiutato di identificare il primo dei principi col bene, così in pari tempo si rifiuta di considerare male il secondo principio. Il bene si verifica a un dato punto, quando la natura del tutto abbia avuto un dato sviluppo; e come l’uno è, sotto un certo aspetto, mhdš Ô n ti, anche il secondo principio lo è analogamente. Il principio del molteplice è adiaforo: potrà ingenerare il male solo nei suoi effetti ulteriori di divisione e di dispersione, ma di per ser sé la divisibilità non è un male. Diventa perciò difficile accettare la concezione positiva del molteplice che presenta Tarán, Speus., pp.39, 313 e altrove) secondo cui il plÁ qoj non è altro che la molteplicità definita propria del
Fragmenta - Pag. 23 numero. E’ da ricordarsi che Speusippo dipende sotto questo aspetto in particolare dalla teoria del Parmenide, che gli offre l’opposizione ›n-plÁ qoj come la primitiva e fondamentale, un’opposizione reale, di due termini che si pongono alle estremità opposte del reale; e togliergli questo suo radicamento in Platone, in particolare nel Platone dei dialoghi avanzati, significa ignorare la ragione più sensibile del suo ragionamento ( cfr. per questa dipendenza dal Parmenide, p.es. da Parm.151a sgg., Tarrant, Speus. ont. Classification,, pp.130-145, in part.139 sgg.). La interpretazione di Tarán è perciò una semplice conseguenza della propria volontà di unificare il problema dei principi con quello dei numeri,dalla quale consegue anche la riduzione del ‘molteplice’ speusippeo, un molteplice assoluto, al molteplice definito dell’essenza del numero. F 33 Syrianus, In Arist.Metaph., p.164, 22-24 Kroll E chi è colui che si difende? Perché offende l’aureo Speusippo? E come dice che da simili opposti nasce la sostanza delle cose divine? (1) 1) E’ una difesa generica dell’’aureo’ Speusippo, a torto offeso da Aristotele, secondo l’uso proprio di Siriano, neoplatonico fervente, in tutto questo suo commento. F 34 Pseudo-Alexander Aphr., In Arist.Metaph., p.823,9-14 Hayduck Inoltre, se l’uno è il bene, ciò che non è uno, lo si chiami pure dualità o ineguale o molteplicità, sarà di necessità il male: sì che la generazione delle idee dovrebbe verificarsi da questi due opposti, dall’uno ch’è il bene e dal non uno ch’è il male. Costatato ciò (dico essendosi accorto che, se l’uno è il bene, il non uno è il principio materiale, negativo), Speusippo sfuggì alla difficoltà negando all’uno il carattere di bene (1). 1) La sola indicazione di una certa utilità fornitaci dallo pseudo-Alessandro è il nome di Speusippo, alluso semplicemente da Aristotele. Ma è molto incerto che la fonte di Siriano sia questo passo, come vorrebbe Tarán, Speus. of Ath., p.345, seguendo la sua ipotesi di identificazione dello ps.Alessandro. F 35 Aristoteles, Metaph. L, 10, 1075a 31-37 34 arc» Lasson ¹min Al ¹ m…a codd., Ps.Alexander
37 kalÒ n Robin
Dei due principi opposti alcuni considerano secondo il principio materiale, che dicono essere l’ineguale contrapposto all’eguale o i molti contrapposti all’uno…(1) Ma ve ne sono altri che ritengono che il bene e il male non siano principi (2). 1) Per il commento di questo passo cfr.Ross, Arist.Metaph., II, p.402, richiamato con approvazione da Reale, Arist.,Metaf., III, p.609. Ross si richiama a numerosi altri passi, quali N, 1087 b 5, 1088b 32, 1089b 6, 1091b 32, che parlano della posizione dei seguaci di Platone nei riguardi del secondo principio; Speusippo viene qui contrapposto a platonici di dubbia identificazione. Ma che con ¥nison Aristotele voglia riferirsi a Senocrate (cfr.Tarán, p.345) è del tutto escluso, dato che Senocrate ha esplicitamente rifiutato questa identificazione del secondo principio (cfr.Senocrate, fr.99, e Isnardi Parente, commento a p.331). Aristotele potrebbe piuttosto aver pensato a Ermodoro, che dà allo ¥nison un particolare rilievo nella sua esposizione della dottrina dei principi (cfr. fr.7 I.P.). 2) E’ inutile il cambiamento di Robin, Théorie plat. idées nombres, p.558, nt. 2, di kakÒ n in kalÒ n quando è chiaro che qui Aristotele vuole semplicemente riferirsi alla teoria speusippea secondo la quale il bene e il male vanno distinti dai principi.
Pag. 24 - Fragmenta F 36 Aristoteles, Analytica Posteriora, II,6, 92a 20-25 20 to (1), tù Adn² tÕ (2) , tù d 21 suppl.Bonitz 22 diairetÕ n tù ¢diairštw d 25 lambanei B² Themistios , lamb£nein Abdn E per ipotesi si potrebbe dimostrare che, se il male consiste nell’essere divisibile, e se ogni termine che ha un contrario è definibile per mezzo del contrario, dal momento che il bene è contrario al male e l’indivisibile al divisible, ne deriva che il bene consiste nell’essere indivisibile. Chi così proceda, compie la dimostrazione avendo assunto come principio una certa determinata essenza, e così, nell’intento di dimostrarla, in pari tempo la assume preliminarmente (1). 1) Il passo in questione è stato rivendicato a Speusippo dal Cherniss, Arist.Crit.Pl.Acad., pp.34-38; analogamente poi Ross, Arist.Anal., Oxford 1949, pp.623-624, e Tarán, Speus., pp.443-444. Aristotele insiste qui sulla impossibilità di dimostrare alcunché ™k toà ™nant…ou, per esempio il carattere di divisibilità del male dalla indivisibilità assoluta del bene; e che il bene sia un indivisibile sembra essere teoria di Speusippo. La tesi sembra comprovata dal passo speusippeo dell’opera Sui numeri pitagorici, in cui l’uguale viene dichiarato ¥sciston kaˆ ˜noeidšj (cfr. infra, F 94 ). Ma che l’uno sia indivisibile, e quindi l’indivisibilità proprietà del bene, non è del solo Speusippo, per il quale fra l’altro l’uno si pone solo ‘nella serie del bene’ (cfr. supra, F 31). F 37 Aristoteles, Metaph.X,3, 1054a 20-32 29 œ ti A 31 tÕ EA Al , om.J 32 toà A Al , om.P L’uno si oppone al molteplice in più modi, da un lato nella forma di uno-molteplice come divisibile-indivisibile, in quanto come diviso si pone ciò ch’è molteplice, l’uno come indiviso e indivisibile (1)… Come già scrivemmo nella Divisione dei contrarii, l’uno è il medesimo, il simile, l’uguale, mentre proprio del molteplice è l’essere altro, dissimile, disuguale (2). 1) L’insistenza di questo passo sulla coppia ›n-poll£ fa pensare a Speusippo, anche se i commentatori non dànno alcuna indicazione in proposito, anzi uno di essi, Elders (Arist. Theory One, p. 93 ), sembra voler escludere Speusippo proprio per aver questi respinto il concetto di ¥nison. Il passo che Elders cita però in proposito, 1088b 28, si riferisce al sostenitore della du¦j ¢Ò ristoj, che Speusippo non è, ma semmai Senocrate; cfr. supra, F 35. 2) La formulazione qui è ancor più evidentemente speusippea che non all’inizio, anche se dell’irrazionalità del plÁ qoj più Accademici possono esser considerati convinti. F 38 Alexander Aphr.,In Arist.Metaph., p.250, 13-22 H. All’inizio dice che la contrapposizione fondamentale è quella dell’uno e dei molti, che sono ciò che si oppone all’uno; l’uno infatti è qualcosa di medesimo, mentre l’altro è molteplice o nel molteplice: così tutto quello ch’è simile o uguale è sotto l’uno, tutto ciò ch’è disuguale e dissimile è sotto il molteplice (1). E così ci rimanda alla convinzione che tutti i contrarii si rapportino alla contrapposizione uno-molteplice, espressa nella trattazione Sui contrarii (2), come ad una trattazione specifica già data; però una simile trattazione la fece anche nel secondo libro della scritto Sul bene. 1) E’ un passo che vorrebbe essere di commento al Perˆ t¢gaqoà platonico, e si può fortemente dubitare ch’esso si riferisca a Speusippo. Gaiser, Platos ung.Lehre, pp.516 e 518, Test.Plat.39 e 41B (nota a p.517) l’ha riportato insieme col seguente dello ps.Alessandro, avvertendo che la teoria non si riferisce esplicitamente a Platone, ma più genericamente all’Accademia. Pur tuttavia la formula ›n-plÁ qoj fa pensare, nell’ambito dell’Accademia, tipicamente a Speusippo. Sul Perˆ t¢gaqoà, opera giovanile di Aristotele che forse Alessandro sarebbe stato l’ultimo a leggere
Fragmenta - Pag. 25 (Moraux, Listes anciennes, p.39, nt. 64), cfr. i dubbi di Isnardi Parente, Alessandro e il Perˆ t¢g., pp.245-270: si potrebbe trovare, al posto dell’opera di Aristotele, un rifacimento in stile pitagorizzante della medesima, che Alessandro avrebbe preso per questa. 2) Per la ‘Eklog¾ tîn ˜nant…wn cfr. O.Guariglia, Quellenkritische und logische Untersuchungen zur Gegensatzlehre des Aristoteles, Hildesheim-New York 1978. F 39 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., pp.616, 14-19 H. Fece questa divisione nello scritto Sul bene, come già si è detto altrove; e per mezzo di essa ricondusse tutte le opposizioni alla coppia uno-molteplice. E’ proprio dell’uno essere il medesimo, il simile, l’uguale, e del molteplice essere l’altro, il dissimile, il diseguale (1). 1) Mentre il brano precedente parlava schiettamente di principi, lo pseudo-Alessandro generalizza, fino a dar l’impressione che si tratti dell’appartenenza di uno e molteplice a due differenti sustoic…ai. Che tale teoria fosse ripresa e trascendentizzata nell’Accademia lo vedremo meglio esaminando Teofrasto, Metaph.VI A 23 sgg.; cfr.per questo Isnardi Parente, Théophr. Metaph.VI A 23 ss., pp.49-74, e infra, F 59. F 40 Theophrastus, Metaph.32, XI A 18-25 Usener, p.21 Laks-Most 19-20 pl»qei Laks-Most, plÁ qoj codd.; plÁ qoj e‹nai Ald, Ross-Fobes 20 toà kakoà coni. Usener² 21 sic w, kaq£ptesqai coni.Usener², kaqaire‹n t¦ coni.Usener² 22 e„kÍ g¦r coni.Sylburg, sic Ross-Fobes 24 ¥kra w, ¢qrÒ a Usener² 25 ˜katšrwqen R CL, ˜katšrw A; add. m¾ toiaàta J² Vanamente parlano della natura del tutto alcuni, come Speusippo, che affermano esser raro il valore e posto nella parte centrale, mentre gli estremi stanno da una parte e dall’altra (1). 1) Il passo speusippeo è stato interpretato inizialmente in senso cosmologico;ma già l’impostazione data alla questione da Teofrasto porterebbe a dubitarne. Teofrasto parla di coloro che vedono nella realtà scarso e raro il bene, e di coloro che pensano diversamente; fra questi sembra concedere una certa ragione a chi lo vede Ÿ n ¢orist…a kaˆ o‹on Û lhj e‡dei, e con ciò accenna presumibilmente a Platone. Per il resto, considerare il male prominente rispetto al bene è di chi non sa niente della realtà naturale. Il discorso mira ad affermare la superiorità di ciò che ha anima, œ myucon, a ciò che è ¥yucon, ma in pari tempo ¥peiron (XI A 16 sgg. Us.) e quindi è inferiore di valore, non tuttavia di spazio. Secondo quanti hanno dato interpretazione cosmologica al passo, Speusippo avrebbe inteso combinare la sua concezione del bene con la dottrina pitagorica del fuoco centrale, a noi resa nota da Aristotele, De caelo, II, 293a 15-b 15, e probabilmente da riferirsi a Filolao: così Ravaisson, Speus.pr.princ., p.44; Zeller, Philos.d.Gr. II,I, p.1000; Frank, Pl.gen.Pythag., p.252; Cherniss, Arist. Crit. Presocr. Philos. p.394 (ma cfr. meglio per questo più oltre); Elders, Arist.Th.One, p.10. In Arete, p.237, nota 187, Krämer si dichiara ancora propenso a seguire questa interpretazione, mentre Burkert, Weish.Wiss., pp.305-306, inserisce ancora in un contesto cosmologico l’intero passo teofrasteo. Ph.Merlan, Plat.Neoplat.², p.110, è stato il primo a respingere l’interpretazione cosmologica del passo. Teofrasto ci direbbe qui che per Speusippo il bene si pone al centro del reale, mentre alle estremità vi sono i principi che non sono né bene né male. T¦¨kra sarebbero quindi nient’altro che i principi del reale, ›n- plÁ qoj. Ma combinare questa interpretazione con quella che lo stesso Merlan dà del passo di Giamblico (vedi il seguente F 41) non è del tutto agevole né coerente. Peraltro, in Urspr.Geistmetaph., p.214, nt. 57, Krämer si dichiara propenso a questa interpretazione, così pure Happ, Hyle, p.142, nt. 339.
Pag. 26 - Fragmenta Ritengono l’interpretazione da darsi in senso più generico Cherniss, Arist.Crit.Pl.Acad., p.559; Tarán, Speus., pp.447-448 (questi ritiene anche che l’interpretazione data da Merlan di ¥kra nel senso di ‘principi’ sia frutto di una cattiva interpretazione araba del testo, cfr. per questa D.S.Margoliouth, “Journ.of Royal Asiatic Society” 1892, pp.192-201); infine oggi Laks-Most, Théophr., Metaph., p.85. Teofrasto non intenderebbe dire di Speusippo altro che tutto ciò che si allontana dal centro, ch’è il bene, tende ad andare verso gli estremi da una parte e dall’altra, senza intendere con ciò minimamente i principi. Una simile limitazione di senso e di contenuto non soddisfa tuttavia integralmente. Speusippo ha inteso tracciare una sorta di sviluppo delle oÙ s…ai di cui si compone il reale promovendo la centralità della proporzione aritmetica valida a comporre la piramide, come ci accorgeremo dai frammenti seguenti (F 70, 94) ed è da considerare che con essa coincide il bene in assoluto;è dunque difficile che Teofrasto, ottimo conoscitore dell’Accademia, trascuri questo particolare essenziale. Nelle sue parole pur sintetiche deve essere compreso tutto il sistema di Speusippo, che va dai principi adiafori ai numeri, alle grandezze, a quella forma matematica ch’è il simbolo dell’universo stesso e che corrisponde, vedremo (ancora F 94), all’anima del tutto, per comprendere poi, come termine ultimo, le specie infime e le forme del sensibile; un sistema che, quindi, prevede il bene al suo centro, e ha per estremi da un lato i principi, dall’altro la forma ultima cui lo sviluppo del reale mette capo, il sensibile nella sua indefinita molteplicità. Come vedremo più oltre, la teoria del bene come intermedio fra due estremi ha il suo corrispettivo nella teoria etica di Speusippo (infra, F 73 e sgg.): anche sotto questo aspetto il bene si pone come intermedio fra un eccesso e un difetto costituenti estremità negative. Questo schema di equilibrio è quindi considerato da lui come genericamente riferibile al reale non solo sotto l’aspetto metafisico, ma anche sotto l’aspetto della stessa pr© xij. Non è privo di interesse il fatto che Aristotele (che si presenta, pur con dissensi su punti singoli, come il continuatore di questa etica della mesÒ thj) abbia usato per questo elemento intermedio, in cui consiste il bene come equilibrio, espressioni simili a quelle che qui Teofrasto riferisce a Speusippo: cfr. Eth.Nic.II, 1109a 29-30, diÒ per tÕ eâ sp£nion. L’espressione Ó lh oÙ s…a, inoltre, non ha di necessità carattere cosmologico; basti pensare a Platone, Epist.VII, 344b 2, che ne fa uso in un contesto di tipo metasifico, intendendo con essa l’essere nella sua totalità, sostanza singola o realtà generale del tutto (tÕ yeàdoj ¯ma kaˆ ¢lhqšj tÁ j Ó lhj oÙ s…aj). Se Teofrasto ha qui di mira la teoria speusippea dell’anima del cosmo, allude ad essa come a una teoria della perfezione e del bene anche nei suoi riflessi cosmologici, ma non dal punto di vista cosmologico o astronomico, bensì da un punto di vista più ampio, in cui ontologia e cosmologia si saldano l’una all’altra. F 41 Iamblicus, De comm. mathem. scientia, 4, pp.15, 6-16,14 ; 18,1-13 Festa (1) p.15, 12 vel kaq’aØ t¾ n? p.16,8 ™painetoà apographus 10, œ con coniecit Festa 14 mšgeqoj corruptum visum est Festa p.18,8 [oÜ te] delevit Festa Dei numeri matematici bisogna porre a presupposti due principi, che sono assolutamente primi e superiori a tutto, l’uno ( che in certo modo non si deve chiamare neppure qualcosa che è, per il suo essere assolutamente semplice e per il suo esser principio di tutte le cose che sono; e si sa che il principio non è in alcun modo della stessa natura delle cose di cui è principio), e poi, come altro principio,quello della molteplicità, o principio della divisione che si può ottenere per via di essa; e per questo potremmo dimostrare, procedendo convenientemente secondo le nostre possibilità, che è simile in tutto e per tutto a una materia umida e ben plasmabile (2). Da questi principi, quello dell’uno e quello del molteplice, nasce il primo genere, quello dei numeri, i quali, secondo una certa credibile necessità, si devono intendere composti dell’uno e dell’altro. Occorre, facendo la rassegna dei numeri, applicare tutta la divisione a tutto il numero, e affermare in generale che la grandezza presenta questa natura, e che ciascuno di essi –numeri e grandezze- è in una certa forma, e che il fatto che ciascuno di essi abbia una certa qualità, e sia definito e uno, lo produce per impressione, quasi esercitando la funzione di un sigillo, il principio che è indifferente e indivisibile.
Fragmenta - Pag. 27 Non sembra quindi che convenga porre come brutto o come male una realtà siffatta, una realtà alla quale di per sé compete l’esser causa di grandezza, divisione, moltiplicazione: in nessuna delle altre realtà, infatti, si suole porre un genere siffatto dalla parte del male; e forse saremmo addirittura nel vero se dicessimo che il grande è causa di ciò ch’è grandioso e liberale, qualora si trovi congiunto con l’elemento qualitativo -.caso, questo, in cui siamo ben lungi dal chiamarlo un male. E se lodiamo la natura dell’uno per la sua autosufficienza e per l’esser causa del bello, in certo modo, nei numeri, non sarebbe poi forse assurdo dire che il male e il turpe per natura sono di per sé suscettibili di ricevere in sé tali caratteristiche? Non è possibile che accada che il brutto e il turpe siano biasimevoli, quando poi sono suscettibili di accogliere in sé cose lodevoli e sono quindi tali da dover essere dichiarati essi stessi lodevoli. Così insomma noi dobbiamo concepire il principio. L’uno, non è possibile chiamarlo né bene né bello; in realtà esso sta al di sopra del bello e del bene; è solo quando la realtà ha compiuto un certo processo di allontanamento dai principi che si manifesta prima il bello e poi, fattasi ancor maggiore la distanza dagli elementi primi, il bene (3). ….Ciò è dunque stabilito da noi. Gli elementi primi, dai quali derivano i numeri, non sono in alcun modo né belli né buoni; ma dall’unione dell’uno e della materia, causa di molteplicità, si genera il numero, e in esso per la prima volta si rivelano l’essere e il bello; poi, sempre a partire dagli elementi primi, si rivela l’essenza geometrica della linea, nella quale ugualmente appaiono l’essere e il bello, e in essi non vi è nulla di turpe né di cattivo; da ultimo, nelle realtà che si determinano in quarta e quinta derivazione a partire dagli elementi estremi, si verifica infine il male, che non è di per sé stesso, ma deriva da una sorta di fallimento e di incapacità di padroneggiare alcuni elementi propri della realtà naturale (4). 1) Il passo in questione è stato attribuito per la prima volta a Speusippo, o perlomeno visto come rielaborazione di un brano speusippeo, da Merlan, Plat.Neopl.², p.96 sgg. Giamblico, p.15,7-8 Festa, richiama Aristotele, Metaph.N, 1092a 15: entrambi ci dicono che l’uno non è, per Speusippo, neanche essere, e Merlan stesso (ivi, p.101) mette in guardia contro la diversa interpretazione giamblichea dell’Uno, che ci fa pensare a un riferimento di teoria altrui. Merlan intende questo ‘non essere’ nel senso piena del termine, contro J.Moreau, che, nella sua recensione alla prima edizione dell’opera (“Revue Belge Philos.Histoire”, 1956, pp.1164-1167), aveva ridotto il valore del pw indeterminato, vedendo in esso un ‘non ancora’, e ne difende il senso forte (Plat.Neopl.², p.133). Tuttavia, lo stesso Merlan, di fronte all’utilizzazione fatta della sua interpretazione da Krämer (Urspr. Geistmetaph., pp.208 sgg., 214 sgg., 351 sgg.), è stato forzato a prendere le sue distanze da un’interpretazione in termini troppo forti di essa (cfr. Der Ursprung der Geistmetaphysik, “Philos.Rundschau”XV, 1968, pp.97-110, e già in Bemerkungen zum neuen Platobild, “Arch.Gesch.Philos.”LI, 1961, pp.111-126). 2) Merlan, Plat.Neopl.², p.122, sostiene che il termine, generalmente considerato aristotelico, potrebbe essere di formazione speusippea, il che non è in alcun modo provabile, pur se non da escludersi totalmente, dato che abbiamo indizi della peculiarità terminologica speusippea in più casi. Il brano ricorda invece da vicino Aristotele, De gener.animal.III, 761a 34, ove i termini Ø grÒ n e eÙ plastÒ n sono rettamente attribuiti non alla materia in senso metafisico, ma ad elementi fisici di essa. 3) Merlan prosegue la sua interpretazione dando un forte accento neoplatonico alla concezione speusippea dei principi. Parlando del secondo principio, considera in primo luogo il suo sviluppo in risultati positivi (la grandezza, ad esempio, non è in alcun caso un male) e , dal momento che Aristotele ci dice chiaramente che esso per Speusippo non è il principio del male, arriva a considerarlo, poiché l’uno è ‘al di sopra dell’essere’, come ‘al di sopra del non essere’, un Übernichts (cfr. p.100 sgg.); il che è sembrato a Krämer, pur propenso ad accettare l’interpretazione in questione, ‘eine philosophische Monstrosität’ (Urspr. Geistmetaph., p.212, nt. 55). Che l’uno, peraltro, si collochi, come in Plotino, al di sopra dell’essere, Merlan lo deduce dal fatto che, nel brano in questione, dall’uno sembri derivare il bello, kalÒ n, che si rivela
Pag. 28 - Fragmenta dapprima negli enti matematici, e poi, in secondo luogo, quando maggiore si sia fatta la distanza dei principi, il bene (p.16, 12-14 Festa; Merlan, Plat.Neopl.², p.107 sgg.). Egli fa il preciso raffronto con passi aristotelici in cui fra il bello e il bene corre una divisione sostanziale, passi che crede poter riferire a Speusippo: Metaph.M, 1078a 31 sgg., Eth.Eud.I, 1218a 16 sgg., b 5 sgg., ove si dice in realtà che il bene si manifesta come k£lloj nelle forme matematiche, come oá ›neka nella pr© xij. Il termine cui Merlan dà particolare valore è quello di Ø per£nw; termine che non è platonico, e per reperire il quale occorre arrivare a una data molto più recente (l’Index Aristotelicus del Bonitz lo dà in significato extrafilosofico). Lo si trova invece in un frammento di Eudoro, presso Simplicio, In Arist.Phys., p.181, 10 Diels; e su questo termine ha dato interpretazioni decisive H.Dörrie, Der Platoniker Eudoros, “Hermes” LXXIX, 1944, pp.25-39, in part.33-34, Ammonios, der Lehrer Plotins, “Hermes” LXXXIX, 1955, pp.439-477, in part.456 sgg., poi entrambi in Platonica Minora, München 1976. Eudoro sembra avere, con esso, trascendentizzato ulteriormente la divinità platonica (forse in un eventuale commento al Fedro) facendone una unità prima e assoluta, superiore alle stesse ¢rca…. Per poter ottenere, in Speusippo, un uno ‘al di sopra dell’essere’ in questo senso assoluto bisogna combinare (cosa che Merlan fa in effetti) il nostro passo col già visto F 30, che alla nostra analisi è però risultato irrilevante in questo senso. E nessun neoplatonico ha dichiarato l’uno di per sé superiore al bene: non certo Plotino, per cui l’uno Ø peroÚ sion si pone anche in pari tempo come Bene supremo; basti guardare Enn.II, 9,1,18, e all’interpretazione che questi dà del platonico ™pškeina tÁ j oÙ s…aj di Resp.509d; oppure ad alcuni dei grandi trattati VI,9 (5), VI,7 (38), in cui l’Uno, unificato con il Bene della Repubblica, si pone come t¢gaqÒ n o Ø peragaqÒ n. Il secondo principio, opposto alla ¢di£foroj kaˆ ¥tmhtoj ¢rc» (nell’¥tmhtoj, indivisibile, c’è qualcosa di autenticamente speusippeo) , non può venir detto di per sé un male;infatti esso è anche principio della grandezza, in senso generico stavolta e non matematico, e l’autore scivola impropriamente dal concetto di plÁ qoj a quello di mšga: il grande è causa di valore morale (così, per esempio, si parla di grandezza d’animo) cioè è una causa di bene nel campo dei valori etici. Così pure il molteplice permette l’effettuarsi di operazioni matematiche, essendo alla radice dell’accrescimento, della divisione, della moltiplicazione (mšgeqoj, dia…resij, aÜ xh), nessuna delle quali si pone come un male (p.15 Festa). Inoltre, se il secondo principio è sostrato, esso non può né deve identificarsi col male,in quanto necessario a formare una certa realtà. Questo ci riporta in particolare ad Aristotele, e a quanto egli stesso ci riferisce per Speusippo (supra, 1091b 31 sgg.),ma con un’accentuazione particolare: perché, se là Aristotele ha detto che uno dei platonici (Speusippo) non arrivava a concepire il secondo principio come il male o la sua origine, l’affermazione che esso si rende necessario al reale come ‘sostrato’ è poi esclusivamente sua e si riconosce in pieno come tale. Il testo di Giamblico accentua qui la funzione di sostrato propria del ‘secondo principio’ con l’espressione dektikÒ n, ‘che accoglie, che riceve’ (p.16,4 sgg.Festa). E’ un’espressione che troviamo anche in Platone, quando, nel Timeo, egli ci parla della cèra come di una fÚ sij p£nta decomšnh (50b 6), e che ricorre nella stessa, usata più di una volta, espressione Ø podoc»; ma qui in Giamblico essa è usata in senso propriamente aristotelico, indicante un preciso sostrato ilico (cfr.ad esempio Metaph.D, 1023a 13, ove, con dektikÒ n, ci si riferisce al nesso materia-forma nel suo aspetto più elememtare, quello del bronzo che accoglie la forma della statua). L’interpretazione del Merlan è di notevole importanza, ed è stata seguita da più studiosi; a parte Krämer, di cui si è già detto sopra, cfr. anche Happ,Hyle, p.208 sgg.(nel paragrafo Das MateriePrinzip Speusipps), e Dillon, Speus.in Jambl., p.325 sgg. (entrambi ritengono accettabile anche Û lh come termine speusippeo, cfr.rispettivamente Happ, p.221, nt 711 e Dillon,p.330). E’stata da me sottoposta a critica (Isnardi Parente, Proodos in Speus. pp.88-110) ed è oggi rifiutata integralmente da Tarán, il quale, pur citandola (Speus. of Ath., Intr.,pp.14-18), non pone il passo nella serie dei frammenti. F.W.Kohnke,”Gnomon”XXVII, 1955, p.157 sgg., ritiene che il tramite
Fragmenta - Pag. 29 sia Posidonio, ma la sua interpretazione è più valida per il precedente cap.3 che per questo di cui ci stiamo occupando, realmente poggiante su teoria posidoniana. La nostra impressione è che alla base del passo giamblicheo ci sia la lettura dei passi di Aristotele riguardanti Speusippo, ma con una accentuazione dei medesimi e con una notevole trascendentizzazione dell’uno, che fa pensare piuttosto a un tramite più tardo, neopitagorico o platonico-pitagorizzante, che non a un tramite ellenistico. Il termine Ø per£nw, se veramente attruibile a Eudoro, potrebbe essere indicativo in proposito. La conclusione del passo giamblicheo è interessante non solo perché riassume sinteticamente il contenuto, ma per una nuova indicazione che dà circa il verificarsi del male nella realtà. Esso si verifica in quarto o quinto luogo a partire dai principi, per una deficienza di potere: ™k toà ™kp…ptein kaˆ m¾ katakrate‹n tina toà kat¦fÚ sin (p.18, 9-11 Festa). Si verifica, inoltre, oÙ prohgoumšnwj, cioè non di per sé e in primo luogo, ma come evento secondario del reale, una sorta di prodotto accidentale di esso. Per questa stessa teoria cfr.Aristotele, Phys.II, 199a 30b 7, e De gener.anim.IV, 767b 5-23, 770b 9-17; è materiale speusippeo rielaborato, come Merlan vorrebbe (p.114), o ci troviamo con Giamblico di fronte a una semplice rielaborazione di materiale aristotelico? 4) Sul preciso significato di prohgoumšnwj in questa pagina cfr. la discussione intercorsa fra A.Grilli, Contributo alla storia di prohgoumšnwj in Studi linguistici in onore di Vittore Pisani, Brescia 1969, pp.409-499; M.Isnardi Parente, Speusippo in Sesto Empirico,adv.math.VII, 14546, in “La Parola del Passato”XXIV, 1969, pp.213-14 e Ancora su prohgoumšnwj in Speusippo, ivi XXVI, 1971, pp.120-28. La parola significa qui ‘non di per sé stesso’, o piuttosto ‘non primariamente’; essa è usata numerosissime volte nella letteratura platonica tardiva; la troviamo però la prima volta in Teofrasto, De igne, 14, e a questi è stata attribuita senz’altro da F.Dirlmeier,Die Oikeiosislehre des Theophrastos, “Philologus” Suppl.XXX,1, 1937, p.15 sgg. Supporre che in Speusippo essa abbia un particolare significato equivale ad attribuirgli una gradazione di forme dell’essere che non corrisponde né ad Aristotele rettamente interpretato, né a quanto sappiamo su di lui da altri testimoni. Infine, il modo specifico nel quale si verificherebbe il male nella realtà fa fortemente pensare a certi passi di neoplatonici preoccupati del problema di chiarire come il brutto, la malattia, l’azione malvagia non nascano da idee di valore negativo, ma da una sostanziale ¢dunam…a, una incapacità di padroneggiare rettamente la natura, e cioè il reale: così ad esempio Plotino, Enn.VI,1 (42), 9, 18-19, 10, 26-28, quando scarta decisamente l’idea del male, una forma di trascendenza negativa, che invece Platone per suo conto (e basti vedere Theaet.176e) aveva accettata. Un tale modo di concepire la dottrina delle idee si verifica in realtà assai presto nell’Accademia, e Plotino non fa che raccoglierla e trasmetterla. Ma per Speusippo, che alla tematica delle idee contrappone quella, a lui più cara, dei numeri, è difficile sostenere una simile interpretazione F 42 Aristoteles, Metaph. L, 1069a 30-36 30-31 Â j ¹ mšn fqart» ps.Alexander, Â j ¹ mšn a‡dioj ¹ dš fqart» Themistius ¿n p£ntej Ó mologoàsin post 30 a†sqht» cum Alexandri citatione et Themistio transp. Bonitz 32 ¹ d/a‡dioj secl..Freundenthal 35 maqhtik£ J Vi è un’altra sostanza, ch’è priva di movimento, e questa alcuni dicono che è separata; gli uni la dividono in due, gli altri fanno di idee e enti matematici una sola natura; ma ci sono alcuni i quali dicono che, di tali realtà, esistono solo gli enti matematici. 1) I commentatori del passo riconoscono per lo più nel primo dei filosofi citati Platone,nel secondo Senocrate, nel terzo (dalla riga 33 in poi) Speusippo. Così Bonitz, Arist.Metaph., p.471; Robin,
Pag. 30 - Fragmenta Th.plat.idées nombres, pp.205-206, nt.214; Ross, Arist.Metaph., II, p.350; Reale, Arist.,Metaf.,III, p.556. La oÙ s…a ¢k…nhtoj, consistente in entità matematiche (insieme numeri e grandezze), è per Speusippo la sola che si ponga come trascendente, cwrist». Altrove però Aristotele non mancherà di specificare meglio questa assolutizzazione delle entità matematiche, qui data come scontata. F 43 Aristoteles, Metaph.M,1, 1076a 19-22, 32-35 (1) Giacché vi sono alcuni che fanno di queste due realtà due generi distinti, idee e numeri matematici; altri li considerano una sola natura, e altri poi ancora dicono che solo quelle matematiche sono vere sostanze… Ma, se vi sono in realtà solo gli enti matematici, essi devono essere inerenti ai sensibili, come vogliono alcuni, oppure separati da questi, come dicono certi altri (2); oppure, se non è né l’una cosa né l’altra, si deve ammettere che non siano, o che siano in altro modo (3). 1) L’inizio è ripetizione del fr.precedente: cfr. ancora per tutti Bonitz, Arist.Metaph., p.527, con rimando a 1080b 19 sgg., ivi, p.545. 2) Viene qui fatta la distinzione di Speusippo dai pitagorici, per i quali le entità matematiche sono sì assolute e primarie, ma non si differenziano dai sensibili su piano metafisico, cioè li trascendono. Cfr.Metaph.A, 998a 7-9 (ove gli enti matematici, per i pitagorici, sono detti sussistere ™n to‹j a„sqhto‹j) e in proposito già Robin, Th.plat.idées nombres, p.204 sgg., nt.213, e la nt..261, in part.p.650, per il quale i numeri trascendenti sono propri di platonici pitagorizzanti. 3) Si può chiedere quale fondamento gnoseologico Speusippo intendesse dare a questa singolare teoria dei numeri che trascendono il reale, su cui tanto insiste Aristotele in senso critico (cfr. anche infra, commento a F 49). Ma questo era stato già il problema di Platone per le idee, essenze separate dal sensibile. Esse, come i numeri per Speusippo, sono vere in quanto reali: la loro verità razionale dipende dalla loro posizione metafisico-ontologica, che ne fa la realtà essenziale e quindi gnoseologicamente privilegiata. Questa posizione filosofica avrà più tardi il nome di realismo. Significativo il Parmenide (132b sgg.) ove è posto il problema stesso del fondamento nel reale ontologico dello stesso nÒ hma, ch’è impossibile esista senza un suo corrispondente oggettivo. Il carattere ancora sostanzialmente parmenideo di questo atteggiamento è chiarito bene da G.Calogero, Studi eleat² p.19 sgg., e St. log. Ant., I, p.113 sgg. F 44 Aristoteles,Metaph.M. 6, 1080b 11-18, 23-29 15, ton secl. Ross; coniecit dubitanter < kaˆ toà >ton Jaeger kecwrismšnon Al ,corr. E²; kechrismšnwn P Ab 22-23 Ÿ nioi et ›na secl. in annotationibus Jaeger Alcuni dicono che i numeri sono di due nature diverse: l’uno è quel numero che ha un antecedente e un conseguente e si identifica con le idee (1), l’altro è il numero matematico, distinto da esse, e che l’uno e l’altro sono entrambi separati dai sensibili. Ma vi sono alcuni che ritengono esservi solo il numero matematico, primo fra gli esseri, separato dai sensibili Anche i pitagorici ammettono solo il numero matematico, non lo considerano però separato… Similmente, a proposito delle lunghezze, delle superfici e dei solidi, gli uni dicono che vi sono realtà matematiche che sono altre dalle idee e vengono dopo di esse (2); tra quelli che la pensano diversamente, gli uni parlano degli enti matematici in termini matematici, e sono quelli che ritengono non esservi idee-numero, e neanche idee in generale(3); gli altri pongono anch’essi enti matematici, ma dànno a questi un sginificato non matematico (4). 1) Che le idee abbiano un prÒ teron kaˆ Û steron, dando a questi termini il senso di Metaph. 1019a 1-4 (ove è citato lo stesso Platone come autore di una simile dia…resij) , è affermato in
Fragmenta - Pag. 31 più parti da Aristotele, e tornerà negli scritti di Plotino. Perciò qui Platone è chiaramente riconoscibile. 2) Speusippo è stato qui chiaramente riconosciuto da quasi tutti gli interpreti moderni , sia pure con incertezze fra Speusippo e Senocrate da parte di Bonitz, Arist.Metaph., p.544; ma cfr. .Ravaisson, Métaph. Aristot., p.177, 338; Schwegler, Arist.Metaph., IV, p.313; Robin, Th.plat.idées nombres, pp.216 sgg., 225 sgg., 269 sgg., in part. p.274; Ross, Metaph.II, p.428: Reale, Arist.,Metaf.,III, p.641; torna a parlare di Speusippo e Senocrate Annas, Books M a. N., p.164, ma in un discorso d’insieme su tutto il passo. Da ciò che abbiamo scorporato da esso, Senocrate non compare, almeno fino a questo punto. 3) La certezza che si tratti. del solo Speusippo è data in particolare dal confronto consueto con la dottrina pitagorica; si ripete qui come altrove che, a differenza dei platonici, i pitagorici ritenevano le realtà matematiche totalmente immanenti al reale sensibile. 4) Vi è qui un ulteriore confronto fra Platone, Speusippo e a questo punto anche Senocrate, che rappresenta agli occhi di Aristotele la ‘terza via’ e la peggiore. Platone ha parlato di idee, di entità matematiche e (Aristotele usa qui una misteriosa espressione ellittica) t¦ met¦ t¦j „dšaj ; ma vi sono altri che hanno parlato entrambi di entità matematiche come prime fra le realtà dell’essere, e di questi alcuni parlano di entità matematice ancora rettamente in senso matematico, altri non in senso matematico. A Senocrate si riferisce l’ultimo tratto della frase, e sarà ulteriormente delucidato nella trattazione di quest’ultimo: Senocrate, unificando idee e oggetti matematici, viene a perdere le distinzioni precise, e finisce col negare la matematica autentica in più cose essenziali. Diversamente si può dire di Speusippo, che nega le idee ma non fa scempio delle scienze matematiche con confusioni arbitrarie. L’espressione t¦ met¦ t¦j „dšaj sembra qui applicata a Platone, mentre altrove (N, 1090b 21 sgg.) sembra piuttosto applicarsi a Senocrate; cfr. Isnardi Parente, Fig.idéal., p.264. Anche considerandola in questo caso applicata a Platone, essa non parla affatto di grandezze ideali, come a certa critica è sembrato sulla scorta di Robin, Theor.plat.idées nombres, pp.286 sgg., 291-93, 472474 e altrove , ma semplicemente di grandezze: esse sono sembrate ad alcuni platonici e ad Aristotele stesso diverse dai veri e propri maqhmatik£ (i numeri, le figure) per la loro incapacità di entrare in operazioni complesse di carattere aritmetico o geometrico. Se Aristotele li considera ‘posteriori alle idee’, ciò risponde alla sua tendenza alla moltiplicazione delle essenze, moltiplicazione ch’egli rimprovera in più luoghi a Platone e agli Accademici; i quali non solo hanno raddoppiato l’essenza di una determinata realtà separando l’idea dal sensibile, ma hanno anche creato una serie di essenze intermedie, in questo caso separando le grandezze dai puri enti matematici. Quanto a Speusippo, che egli parli dei numeri maqhmatikîj e che egli non crei idee che siano in pari tempo numeri non significa che egli identifichi quei numeri che sono ‘primi fra tutti gli esseri’ semplicemente con i numeri matematici dell’uso comune, come già sopra si è detto, e questo passo non può servire in alcun modo di prova. Cherniss, Riddle, p.37 sgg., afferma che la matematica è per Speusippo il modello relazionale del reale, le cui proporzioni egli trova tutte sussistenti nel numero matematico e soprattutto nella decade. Ciò è ben accettabile a patto che non si arrivi agli estremi cui giunge Tarán, Speus. of Ath.,p.40 sgg., 311 (ove parla, a proposito di questo passo, di numeri come realtà astratte, frutto di astrazione): i numeri sono, per il platonico Speusippo, entità reali e non puramente concettuali, ma aventi una loro superiorità metafisico-ontologica. O altrimenti si arriva a confondere la teoria di Speusippo con quella di Aristotele, per il quale veramente i numeri sono pura astrazione, ottenute dalla realtà per atto di ¢fa…resij.
Pag. 32 - Fragmenta F 45 Arist.Metaph.M, 8, 1083 a 20-35. 20 tinšj om. Al 23 maqhmatik¦A 25 ti om.Al 33 du£da A A ; tina du£da E, t¾ n du£da J Non va bene nemmeno quello che altri dicono circa i numeri. Vi sono alcuni che ritengono non esservi idee né in assoluto né nella forma di idee-numero, ma che primi fra tutti gli esseri siano gli enti matematici e i numeri, e che l’uno in sé stesso sia il loro principio. E’ tuttavia assurdo che vi sia un uno che è prima delle unità, mentre non si dice che la dualità lo sia delle dualità e la triade delle triadi; eppure per tutte queste realtà dovrebbe valere lo stesso discorso (1). Se le cose stanno così circa i numeri, e si afferma che esista il solo numero matematico, non si può poi più dire che l’uno è principio. In questo caso, l’uno dovrebbe differire da tutte le altre unità, ma allora anche la prima dualità da tutte le altre dualità, e così di seguito per tutta la serie dei numeri. Se si pone l’uno come principio, è poi più logico affermare ciò che Platone affermava dei numeri, e porre una diade e una triade che siano prime, e i numeri come non sommabili reciprocamente. 1) Si tratta come al solito di Speusippo, per la questione della non-esistenza delle idee e per la priorità assoluta, al loro posto, dei numeri; Lang, Sp.acad.scr., pp.73-74, confuta gli errati commenti sia di Siriano (In Metaph., p.141, 22 sgg. Kroll) sia dello ps.Alessandro (ibid., pp.766,7 sgg. H.), che parlano insieme alquanto confusamente di Senocrate e Speusippo. I numeri sono prîtoi tîn Ô ntwn ; il che è conferma di Metaph.N, 1092 a 14, secondo cui il dominio degli Ô nta (o, come si dirà più spesso altrove, delle oÙ s…ai) si inizia a partire da una entità definita. Se lo ›n-¢rc» è ‘primo’ rispetto alle ˜n£dej, argomenta Aristotele, non differentemente da come il due o il tre ideali lo sono rispetto al due o tre empirici, vuol dire che esso si pone in un rapporto speciale rispetto al numero. Aristotele però non si accorge di applicare così a Speusippo un principio puramente platonico; dal canto suo, Speusippo non avrebbe accettato alcun concetto di ˜n£j o du£j. E’ certo tuttavia che questa differenziazione doveva essere in certo modo implicita e non sufficientemente spiegata: Speusippo si preoccupa dell’uno-principio come condizione ancor sfuggente della determinazione, e parla poi dell’uno sotto l’aspetto puro e semplice di numero, ch’è già realtà determinata. Questo sarà più chiaro dal commento di F 94 (cfr. ad loc.). F 46 Arist.Metaph.M, 9, 1086a 2- 5 Coloro che ritengono che non esistano altro che gli enti matematici al di là dei sensibili, vedendo le difficoltà e le artificiosità che si verificano a proposito delle idee, lasciarono cadere il numero ideale e posero solo quello matematico. (1). 1) Per il riferimento a Speusippo, con il rifiuto delle ipotesi di commentatori antichi, cfr. Zeller, Philos.d.Gr.II,I, pp.1014-15, Ross, Arist.Metaph., II, p.459 e altri. E’ questo filosofo che per primo ha trovato l’ipotesi delle idee destinata a causare infinite difficoltà e artificiosità alla costruzione di un sistema coerente, e le due parole devono essere tratte dal suo testo. Cherniss, Riddle, p.39 sgg., ritiene che la principale difficoltà sia quella fra le idee e la dia…resij, e trova la chiave di questo problema in altri passi della Metafisica, come M, 1085a 23-31,o Z, 1039a 24-b 12, ove è sottolineata l’incompatibilità del metodo diairetico con la divisione in generi e specie; cui si ripara soltanto non accettando la dia…resij in senso assoluto, ma semplicemente dal punto di vista euristico. F 47 Ps. Alexander Aphr., In Arist.Metaph., p.782, 31-37 Hayduck Detto ciò, afferma che coloro che pongono i soli numeri matematici, come Senocrate e Speusippo, in pari tempo considerandoli separati dai sensibili e altri rispetto a questi, accorgendosi delle difficoltà e della conseguente artificiosità e assurdità che si verifica a proposito delle idee,
Fragmenta - Pag. 33 preferirono supporre che esse siano solo concetti e non enti reali; lasciarono quindi cadere il numero ideale e ammisero solo quello matematico (1) 1) Si riporta qui solo questo, fra i vari commenti al passo di Aristotele, allo scopo di dimostrare la sua scarsa attinenza al passo; cfr.per tutti Zeller, II,I, pp.1015-15. In particolare l’espressione che dà alle idee la definizione mÒ non diano…aj ¢ll/oÙ pr£gmata risente del posteriore vocabolario stoico (Aezio, Plac.I, 10,5, Diogene Laerzio VII, 61= SVF I, 65, II, 360) : ma questo era ormai genericamente diffuso. F 48 Arist. Metaph. N, 4, 1091b 13-25 11 e‹nai om Al. post oƒ mšn desiderabant oƒ dš Alexander et Zeller, def. Bonitz 21 ge coniecit Christ, te E A Di quelli che ammettono esservi sostanze immobili, alcuni affermano che l’uno in sé è il bene: ciò perché hanno la convinzione che l’unità sia l’essenza stessa del bene. Il problema è dunque questo, che cosa effettivamente si debba credere. E sarebbe strano che a ciò ch’è primo ed eterno e sommamente autosufficiente tutte queste proprietà – l’autosufficienza,la capacità di conservarsi in eterno – fossero pertinenti non in quanto è bene. Per nessun’altra ragione una simile realtà è incorruttibile e beata se non per il fatto che è bene: sì che sarebbe vero e ragionevole dire che una simile realtà è il principio. Ma al tempo stesso è impossibile dire che tale principio è l’uno, o, se non esso, l’elemento primo e il principio dei numeri. Deriva da tutto ciò una grande difficoltà: per evitarla, alcuni hanno respinto tutto il ragionamento (1), e dicono sì che l’uno è principio ed elemento primo, ma solo del numero matematico (2). 1) Zeller, Plat.Studien, p.277, e Philos.d.Gr., II,I, p.999, nt.3, sosteneva che la frase caduta introdotta da oƒ dš fosse qualcosa come oƒ dš toàto mšn œ fugon , ma Bonitz, Arist.Metaph., p.586, ha ritenuto che la frase sia già così completa: Aristotele ha riassunto il resto nella particella mšntoi. 2) Ross, Arist.Metaph., II, p.488, ritiene che siano qui da individuarsi insieme i pitagorici e Speusippo, abbastanza generica essendo la teoria dell’uno posto insieme come principio ed elemento. Tuttavia anche qui Aristotele presenta la teoria come tentativo di sottrarsi a un’aporia intrinseca al pensiero platonico, il che non può riferirsi che all’esegesi della scuola. Speusippo ha dato all’uno una sua funzione primaria, ma in pari tempo circoscritta, riservando ad altri principi le altre forme del reale. Cfr.per questo la critica di W.G.Rabinowitz, Arist. Protr., p.87, a proposito dell’interpretazione neoplatonizzante di Speusippo, e della limitatezza del principio ‘uno’. F 49 Arist. Metaph. N, 2, 1090 a 2-13, 20-38 12 a…tion add. Jaeger æj om.E 22 ™n add. Jaeger sèmasin om. Alc ™narmÒ nia J Ab
24 ™n ¡rmon…a E Alc;
Si potrebbe estendere la ricerca al problema dei numeri. A chi ritiene che vi siano le idee, i numeri appaiono essere una sorta di causa delle cose che sono, dal momento che ciascuno dei numeri è un’idea. Ma chi, nel caso specifico, non crede che vi siano le idee, per ledifficoltà che vede derivare dal fatto di ammetterne l’esistenza, non collega l’esistenza dei numeri a quella delle idee, e ammette solo il numero matematico (1). Ora, come credere che esista un numero siffatto e in che modo questo numero servirà a garantire l’essere delle altre cose? Del resto chi sostiene che esista un numero di questo tipo non lo pone in relazione con nessuna altra cosa,ma ne parla come di una natura esistente di per sé stessa; esso non si manifesta come causa di alcunché (2)… I pitagorici, vedendo come molte proprietà dei numeri siano pertinenti anche ai sensibili, ritennero che tutte le cose che sono siano numeri; non numeri separati, ma quei numeri stessi che sono alla base della loro sussistenza. E perché ciò? Perché le proprietà pertinenti ai numeri sono anche
Pag. 34 - Fragmenta pertinenti all’armonia,al cielo,a molte altre realtà. Quelli però che sostengono che vi è solo il numero matematico,ma non immanente alle cose, non possono dire lo stesso in base alle loro premesse: hanno detto, al contrario, che dei sensibili non si dà scienza (3). Noi, al contrario, come si è detto prima, affermiamo che vi è scienza di essi. E diciamo anche che le entità matematiche non possono esser separate, giacché altrimenti, se lo fossero, le loro proprietà non potrebbero inerire ai sensibili. Quelli che dànno al numero un’esistenza separata ritengono che sia tale perché non vi sono assiomi che riguardano i sensibili; la conoscenza di esso è una conoscenza vera, che blandisce l’anima; e lo stesso si può dire delle grandezze matematiche (4). 1) L’inizio del passo riguarda Platone, ma si passa poi rapidamente a Speusippo. Il passo è assai importante perché pone decisamente il problema di come gnoseologicamente possa ammettersi l’esistenza di un numero ‘separato’. Il termine duscšreia , nuovamente introdotto, fa pensare una volta di più che sia effettivamente desunto al linguaggio speusippeo. 2) Aristotele nota che Speusippo non dice il numero ‘causa’ di alcunchè, ma che ne fa una sorta di natura sussistente di per sé (aÙ thn kaq'aØ t¾ n fÚ sin). Ciò è in contrasto con Platone, per il quale l’idea è numero solo sotto un certo aspetto, ma è causa di essere alle realtà sensibili. Per l’identificazione delle idee con una sorta di numero rimando a Testimonia platonica I, pp.442-445, ove si è cercato di porre in luce le contraddizioni di Aristotele su questo punto; il quale peraltro ritorna in tutta la Metafisica come una caratteristica dell’ultimo Platone. 3) Che qui ci si riferisca a Speusippo è confermato dal consueto paragone con i Pitagorici, per i quali il numero è da considerarsi immanente al sensibile. Così concordano sul nome di Speusippo tutti i critici, da Schwegler, Metaph. des Arist., IV, pp.351-52, a Zeller, Philos.d.Gr. II,I, pp.10034, a Ross, Metaph.II, p.480 ed altri. Ma qui Aristotele ci dice di più di quanto in genere non ci dicesse, e fa capire come al nostro filosofo la trascendenza degli enti matematici fosse fondata anche su una ragione di carattere gnoseologico: dal loro carattere razionale puro si inferisce anche la loro esistenza separata dal sensibile. Al tempo stesso il filosofo di cui qui si parla nega quella sorta di contaminazione ch’è insita nel concetto di ‘numero ideale’, o di ‘idea numero’ , quegli ¢sÚ mblhtoi ¢riqmo… che sfuggono alle leggi comuni proprie dei numeri matematici; e non a caso Aristotele ha potuto altrove affermare che egli parla dei numeri maqhmatikîj (cfr. supra, F 44). Il rimprovero fatto a Speusippo di non aver preso in considerazione come ‘causa’ queste entità e di averne fatto una sorta di nature sussistenti di per sé, quindi in realtà isolate nell’ambito del reale, è tipico del procedimento aristotelico, e richiama il rimprovero già fatto a Platone altrove (Metaph. a, 997 b) ove le idee appaiono criticate per esser destituite di ogni funzione rispetto al sensibile. Più singolare il rimprovero di 1090a 25-28, di aver cioè affermato che delle cose sensibili non si dà scienza: Aristotele è così preoccupato di dimostrare che la teoria speusippea dei numeri trascendenti finisce con il dare a tali numeri tutti gli inconvenienti già denuciati per le idee che finisce con l’applicare anche a Speusippo l’assioma platonico secondo cui si dà scienza solo di ciò che ha natura puramente razionale. Per Speusippo al contrario è attesta l’esistenza di una ™pisthmonik¾ a‡sqhsij (cfr. supra, F 1), o di una sensazione di carattere tecnico-scientifico; e vedremo meglio fra poco come fosse per lui importante la dia…resij quale identificazione degli enti sensibili sulla base della loro reciproca ÐmoiÒ thj e diafor£. La testimonianza di Aristotele è dunque forzata e parzialmente distorta. 4) La frase può essere effettivamente tratta dal contesto speusippeo. La parola sa…nei è letteraria, e risponde scarsamente al linguaggio aristotelico; Ross,II, p.480, richiama in proposito Sofocle, Oed.Col. v.319. F 50 Arist.Metaph.N, 3, 1090 b 5-7 Vi sono alcuni che ritengono esser confini e termini ultimi il punto della linea, questa della superficie, quest'ultima del solido (1); e credono che di necessità queste cose siano entità reali
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1) Intesero il passo come riferentesi puramente ai Pitagorici Schwegler, IV, p.352; Zeller, I,1, p.584; Bonitz, pp.580-81; e hanno inserito il passo fra i frammenti dei Pitagorici Diels, 58b 24 DK; Timpanaro Cardini, III,.pp.144-45. Boniz, e più tardi Ross, II, p.481, fanno riferimento a 1028b 15 sgg., ma Ross vede in questo secondo passo un riferimento più ampliato, anche a Platone; eppure il riferimento può leggersi senza difficoltà anche nell’altro. Di ‘Accademici’ parla oggi semplicemente Annas, p.209. Tuttavia, se la teoria dei pšrata, o limiti, applicata alle forme matematiche, è di per sé probabilmente pitagorica e preplatonica, essa è stata assunta da Platone e successivamente da Speusippo come propria. La teoria presa qui in considerazione da Aristotele è una delle due teorie geometriche che si contendevano il campo nel IV secolo. Sesto Empirico, molto più tardi, ne parlerà con maggior chiarezza (Adv.phys.II, 280 sgg.; cfr. anche Adv.geom.18-21). Esse sono la teoria statica delle dimensioni, e quindi delle figure, e la teoria dinamica: quella della delimitazione reciproca delle dimensioni fondamentali, ciascuna delle quali è un pšraj nei confronti della successiva, e di conseguenza delle figure e dei corpi, e quella della genesi dei corpi geometrici per flussione (·Ú sij) l’uno dall’altro. Aristotele ci parla qui della prima, ma conosce anche la seconda (De anima, 409a 3-7: kinhqe‹san gramm»n ™p…pedon poie‹n, stigm¾ n dš gramm»n), e ciò ci dice con indubbia chiarezza che essa era ai suoi tempi già nota. Frank, Plato sogen.Pythag., pp.102, 105, 370 (nt.282) e 378 (nt.363) ha attribuito questa teoria ad Archita, sulla base di Diogene Laerzio VIII, 83, e di un passo di Eutocio, In Archimedis de sphaera et cylindro, II, p.64 Heiberg (47 A 14 DK,Eudemo, fr. 141 Wehrli). Si vedrà perché ancor oggi questa ipotesi appare la più probabile. Se dalla Metafisica non compare alcun accenno alla teoria dinamica della genesi delle figure, vi è stato chi ha attribuito a Speusippo questa teoria. Cherniss, Arist.crit.plato Acad., p.396 sgg., nt.322, ritiene che siano allusive a Speusippo anche le parole seguenti di Proclo, In primum Eucl.Elem.librum, p.279 Friedlein (supra, F 2).Queste parole (t Í g¦r ÐmalÍ ·Ú sei toà s hme… ou s unkinoumšnV ka ˆ sumproioÚ sv ktl.) renderebbero certa, per il loro carattere esplicito, l’appartenenza della teoria a Speusippo; a proposito del quale Cherniss chiama in causa anche il frammento del Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn che più oltre prenderemo in esame, ove appare semplicemente però la successione delle dimensioni, nessun processo di genesi dinamica delle medesime. Tarán, Speus.of Ath., pp.362-63, 427-28, difende oggi questa attribuzione senza aggiungere niente di nuovo alla questione. L’attribuzione della teoria dinamica a Speusippo non sembra però sostenibile per alcune questioni di fondo. Speusippo ha tenuto la k…nhsij in assai scarsa considerazione nella fissazione dei differenti stadi dell’essere, e il seguito della nostra analisi dei suoi frammenti ce ne convicerà ulteriormente. Di k…nhsij si parla solo a proposito del tempo, definito da lui tÕ ™n kin»sei posÒ n (F 64 infra), e questo ci fa capire come il movimento fosse concepito da lui come puramente accidentale e legato alla pura realtà fenomenologioca, non certo da porsi fra i principi matematici dell’essere. Egli ha escluso inoltre nella maniera più netta (F 4 supra) ogni tipo di k…nhsij dagli enti matematici, chiarendoli come realtà assolutamente immobili, per le quali ogni atto di gšnesij in quanto costruttivismo operativo è semplicemente apparente. Sulla base di tutto questo non è possibile attribuirgli il passo del De anima kinhqe‹san gramm¾ n ktl. senza con ciò cadere in una sostanziale contraddizione. Quando Aristotele dice che ¡f¾ oÙ k œ stin ™n to‹j ¢riqmo‹j, ‘non c’è alcun contatto fra i numeri’( Metaph.M, 1085a 3 sgg.), egli sembra proprio con ciò riferirsi ad una teoria matematica che non si basi su di una successione continua di numeri e quindi figure; e cfr. anche, per questo, Phys.V, 227a 10-15. Tale è la matematica per gli Accademici, e fra questi Speusippo gli sembra particolarmente da citarsi in proposito. Il fatto che l’accenno alla teoria della ·Ú sij, nel passo di Proclo, segua ad una citazione speusippea non significa che anch’esso sia da attribuirsi allo stesso filosofo. Proclo, dopo aver citato Speusippo per la distinzione, ch’ è di natura eminentemente gnoseologica, fra intuizione e conoscenza
Pag. 36 - Fragmenta discorsiva, passa poi ad una abbastanza lunga disquisizione in termini matematici, che dovremmo considerare, nel caso, tutta quanta attribuibile a Speusippo, poiché non si nota alcuna cesura nell’ambito del discorso matematico. Cesura, semmai, c’è fra il discorso gneoseologico che precede, che si rifà a Speusippo, e il discorso matematico che inizia successivamente. E’ quindi del tutto probabile che Speusippo abbia raccolta e sviluppata una determinata teoria statica delle dimensioni di origine pitagorica, la teoria dei pšrata, lasciando da parte ogni contaminazione con quei processi dinamici di formazione delle figure e dei corpi che si avvicinerebbero pericolosamente a procedimenti di tipo meccanico-artigianale. La teoria qui esposta da Aristotele è con ogni probabilità speusippea, ma ciò non toglie ch’essa sia unitaria. A conclusione di tutto questo, si può ribadire che la teoria statica della genesi degli enti matematici è in realtà applicabile anche a Platone; tenendo sempre conto del differente luogo che agli enti matematici è riservato nei sistemi dei due filosofi. La teoria dinamica, al contrario, appare del tutto compatibile col dinamismo tipico di Archita pitagorico; un autore in cui lo studio delle forme geometriche si accompagnava strettamente a quello dei processi fisici con risultati radicalmente diversi da quelli propri di Platone e del platonismo (cfr. ps.Aristotele, Probl. Phys., 915a 25 sgg.= 47 A 23 DK, sul carattere circolare delle forme naturali, o anche 47 A 19 DK=18 b Timpanaro Cardini, relativo all’armonia che deriva dalla plhg», percossa (cfr. M.Isnardi Parente, Sesto, Platone ecc., pp.160-62).
F 59 Iamblichus, De communi mathematica scientia, 4, p.16,15- 17,29 Festa 12 mšgeqoj corruptum iud. Festa 19 Ø poq»seta… tij Villoison 20 fortasse tÁ j Festa Ø podoc»n Villoison, ¢podoc»n codd. 17,3 aØ tÍ ex transl.Arcerii Festa (‘in sé’), aÙ tÍ codd. 12 diÁ kon emendationem proposuit Vitelli Dunque, quanto al primo ricettacolo, o prima grandezza, o come altro si voglia chiamarla, esso viene a formare la specie dei numeri, che secondo la molteplicità è indefinita, secondo la forma invece è finita, in virtù del suo trovarsi dalla parte dell'uno. Ora, se per ogni realtà si supponesse una stessa materia e uno stesso ricettacolo, sarebbe un’assurdità che, essendo la forma dell’uno in tutte presente e in tutte simile, ne derivassero poi generi non uguali fra di loro(1). Succederebbe che tutti i generi che ne derivano non potrebbero esser altro che numeri: non avremmo infatti da applicare una differenza conveniente, e tale che da essa si potessero supporre derivati in primo luogo i numeri, poi secondariamente le linee, le superfici, le figura, generi tutti diversi fra di loro; che si potessero supporre, dico, derivati da elementi simili e combinati fra loro di volta in volta nello stesso modo. Se però si supponesse per tutti una sola causa prima del molteplice della grandezza, ma tale che presenti in sé differenze tali da esser capaci di dar luogo, per tutta la realtà, a generi diversi fra di loro –giacché l’uno, pur essendo simile per tutto il reale, non può ovunque rivelare la sua esatta realtà per la crassità della materia, così come una figura che si realizzi in legni volgari – in questo caso si può dire che ne deriverebbero conseguenze assurde. Ma d’altro canto, tuttavia, ci si potrebbe rifiutare di ammettere che l’elemento primo avesse in sé divisioni interne in tante differenze, soprattutto se si scorrano tutti i possibili esempi: dappertutto infatti è elemento primo quella realtà ch’è la più semplice. Non ci resta, quindi, se non porre un’altra causa della grandezza: per esempio, dei numeri la monade in funzione di uno, delle linee il punto, e in relazione a linee, superfici, solidi la dimensione spaziale; e allo stesso modo ecco poi apparire il luogo, secondo la differenziazione del ricettacolo, e presentare qualcosa di proprio che serva alla formazione del genere di questo. Se qualcuno dicesse che la causa di tutto ciò sta nel fatto che vi è nei numeri un elemento continuo, e in certo qual modo contaminato e reso più crasso dal ricettacolo stesso (2), forse non sbaglierebbe, e troverebbe la via per arrivare dai principi al secondo genere: nel quale pongo le linee, i solidi, le superfici. La prima materia è quella dei numeri, la seconda è quella delle linee e
Fragmenta - Pag. 37 delle figura piane e solide. E per ognuna delle scienze, di quante il ragionamento ne ha scoperte, occorre di volta in volta supporre ricettacoli che siano propri e specifici. 1) E’ la continuazione del brano di Giamblico cui Merlan ha prestato particolare attenzione ai fini di attribuzione a Speusippo(supra, F 41). Come il brano precedente parlava dell’Uno e delle oÙ siai, così qui si parla del secondo principio, la Û lh, che Merlan considera anch’essa, come si è visto, principio riconducibile a Speusippo anche nell’espressione terminologica: se il primo principio ammette in sé una serie di differenziazioni, anche il secondo principio, quello ilico, deve ammetterne. Questo è, almeno,il senso a noi suggerito dalle testimonianze aristoteliche, non però l’indirizzo che il brano di Giamblico segue, se non forse alla fine; esso non approfondisce il concetto fondamentale di analogia, e si concentra invece sul carattere crasso della materia, sulla sua pacÚ thj che, a partire dai numeri che sono esenti da qualsiasi spessore, contamina gradualmente in maniera sempre più pesante l’immaterialità delle forme. Nella sua controversia col Rabinowitz (Arist.Protr., p.87 sgg.), che aveva già polemizzato con la sua interpretazione, Merlan non addita mai nella ÐmoiÒ thj, o piuttosto nella ¢nalog…a, la causa precipua della articolazione del reale, ma il suo discorso è condotto, seguendo il testo commentato, in termini piuttosto fisicizzanti che matematizzanti: pur se è detto che il principio razionale si ‘imprime’ sul ricettacolo ilico, è questo in definitiva a dar forma alle più varie realtà, sempre più affette da spessore mano a mano che si procede nello sviluppo dell’essere. La concezione del substrato ilico sembra per di più contrassegnata da una caratterizzazione fisica definita in termini relativamente ingenui: non si tratta di materia in quanto irrazionalità o indefinitudine, ma in quanto pura crassità o spessore. In realtà il termine pacÚ thj sembra assumere assai tardi un significato matematico; non lo ha in Aristotele (Bonitz, Index, s.v.) mentre lo troviamo molto più tardi, ad esempio in Nicomaco di Gerasa (Intr.arithm. II,12,1). Difficile quindi ritrovare il matematismo tipico speusippeo in tutto il nostro brano, il quale va da una concezione dei numeri come entità razionale pura, che ‘blandisce l’anima’ (supra, F 49), alla tetrade come perfezione pienamente realizzata, come vedremo fra poco, attraverso una fisicità anch’essa pura, in quanto la sua parte ilica è rappresentata da tÒ poj e di£stasij (anche per questo infra, F 63 e 69 ). Questi concetti sono, è vero, richiamati anche nel brano in questione, ma considerati facenti parte di un processo di inspessimento che ci porta forse più vicini alla concezione della materia nel medioplatonismo: nel quale questa è concepita come Ûl h ·eust», materia fluida e scorrevole, confondendo le distinzioni aristoteliche, e in definitiva accademiche, di materia intellegibile e materia sensibile in un unico concetto, e considerando certe caratterIstiche proprie della fisicità valide a indicare il sostrato anche a livello intellegibile. Basti citare per questo Numenio, fr.11 Des Places, che definisce metaforicamente la materia potamÕ j ·oèdhj ka ˆ ÑxÚr r opoj . Si direbbe in sostanza che la pagina speusippea, della quale sussiste qui (p.17,5 Festa ) solo un tenue ricorso alla originaria ÐmoiÒ thj, (che l’autore è poi incapace di sviluppare in senso matematico) sia contaminata con teorie stoicheggianti che portano alla risoluzione della matematica nella fisica: questo ci conduce a un’età molto più tarda, e –più decisamente ancora che non la prima parte del brano- all’introduzione di materiale non speusippeo per spiegare Speusippo, materiale da distinguere con precisione nel corso dell’argomentazione. Esso potrebbe provenire da fonte neopitagorica, che però è impossibile precisare. 2) Merlan, Plat.Neoplat.², pp.120-121, ha dato grande importanza al termine summemolusmšnon, che si trova in forma analoga anche nella XXVIII (XXX Orelli) Epistola Socratica, da Bickermann e Sykutris ritenuta autenticamente speusippea (infra, F 130 ); ciò condurrebbe tanto più ad attribuzione a Speusippo o a trascrizione abbastanza fedele dal suo scritto. Rimando in proposito a quanto già detto in Próodos in Sp., cit., Con maggior decisione cfr. oggi Tarán, Speus. of Ath., p.100, n.447, che adduce a prova la sua negazione dell’epistola a Speusippo. Una posizione recente affine alla mia in Natoli, Letter Speusippus, pp.159-160.
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F 52 Arist. Metaph. N, 5, 1092 a 35-1092b 2 Giacché gli uni pongono l’uno come opposto alla molteplicità, altri all’ineguale, come uguale ponendo l’uno; sì che il numero risulterebbe di opposti (1). 1) I critici (Bonitz, p.588; Ross, II, p.489-90, ecc.) sono inclini a vedere Speusippo contrapposto qui insieme a Platone e Senocrate. Speusippo è senz’altro presente nella prima parte del passo, con la consueta contrapposizione di uno e molteplice; non direi altrettanto almeno di Senocrate, dato 1088a 26 sgg., che sembra negare per questi la possibilità di definire con un concetto unitario come lo ¥nison il secondo principio. Cfr. Isnardi Parente, Senocrate, p.331.
F 53 Arist.Metaph.N, 1, 1087b 6; 27-33 6 Ð P oƒ Ab Alp 28-29 E et ut vidit Alp; e‡per ¢mšlei J Ab Lat 30 taÙ tù E Ab Alc, aÙ tù P Alc ; prÕ j tÕ aÙ tù Ab; tù aÙ tù Christ Gli uni fanno l’altro dei contrarii la materia, altri oppongono all’uno l’ineguale, avendo questo la natura del molteplice; altri ancora all’uno oppongono il molteplice… altri ( considerano principi) il molteplice e l’uno. Ma se, come vogliono, le cose che sono derivano da contrarii, all’uno niente è contrario o, se proprio si vuole, il molteplice, e il diseguale all’uguale, e l’altro al medesimo; per cui solamente quelli che oppongono l’uno al molteplice ragionano con una certa accettabilità, non però completamente: l’uno, infatti, è il poco; la molteplicità si oppone quindi alla piccolezza, il molto al poco (1). 1) Il passo in questione concerne limitatamente Speusippo, e presenta invece una serie di diverse definizioni del ‘secondo principio’ da parte di più Accademici, alcuni dei quali a noi ignoti. Speusippo rientra in esso come colui che contrappone all’uno il molteplice. Vi è però qualcosa di più: per Aristotele egli è l’unico che abbia saputo almeno una risposta non errata (o non del tutto errata) al problema dei termini della contraddizione, contrapponendo all’uno ciò che di fatto può esser chiamato il suo opposto. Speusippo dunque si salva sotto l’aspetto logico, non metafisico (la realtà non nasce da contrapposizione, questa non può che essere autodistruttiva).
F 54 Arist.Metaph.M, 9, 1085b 5 –12, 21-27 11 aƒ aÙ taˆ Alp Bonitz, aátai P Ab Come poi il numero derivi dall’uno e dalla molteplicità, non tentano di spiegarlo; e, per quanto possano dire, si ripresentamo a loro le stesse difficoltà che incontrano gli altri, che lo fanno derivare dall’uno e dalla diade indefinita. L’uno di essi fa derivare il numero da qualcosa che si predica come universale, e non da un certo molteplice; un altro invece lo fa derivare da un certo molteplice, e precisamente dal primo molteplice: la diade, infatti, è il primo molteplice (2). Sì che fra le loro dottrine non vi è poi differenza alcuna, e tutti vanno incontro alle stesse difficoltà, sia che parlino di mescolanza (3), o di posizione, o di combinazioone, o di generazione e altre cose di questo tipo… Chi sostiene una tale dottrina non fa che porre un altro numero a principio del numero: la molteplicità formata da entità indivisibili si identifica infatti col numero. E bisogna inoltre chiedere a chi sostiene una tale dottrina se tale numero sia finito o indefinito.Ci dovrebbe essere, sembra, una molteplicità finita, dalla quale, insieme con l’uno, dovrebbero derivare le unità finite. Ma poi c’è un’altra molteplicità, che è molteplicità in sé e indefinita. Quale è dunque quella molteplicità che fa da elemento insieme con l’uno? (4)
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1) Aristotele afferma che il filosofo (Speusippo) che sostiene la derivazione immediata del numero dai principi uno-molteplice non ne ha saputo dare una spiegazione adeguata. Si pone il problema in che modo questi ritenesse il numero composito; Rabinovitz, Arist.Protr., p.87 sgg., e nt.137, ha negato che ciò fosse, sulla base della concezione del numero come entità trascendente. Ma la composizione uno-molteplice risulta alla base della concezione del numero speusippea; cfr. già in proposito Ross, II, p.458. Possiamo dire che il numero sia, per Speusippo, un ente composito sulla base dei principi. 2) La polemica di Aristotele si appunta qui sul concetto di plÁ qoj, a proposito del quale Speusippo non avrebbe saputo fare le debite distinzioni fra il plÁ qoj assoluto e quella molteplicità determinata che costituisce il numero. Tarán, Speus.of Ath., pp.39 sgg., ha negato che in Speusippo ci fosse un concetto generale di molteplicità, attribuendogli solo quello di una molteplicità determinata. Ciò deriva dalla sua negazione assoluta della dottrina dei principi, e dalla sua affermazione che l’uno assoluto è, per Speusippo, nient’altro che l’inizio della serie dei numeri; chi accetti invece tale teoria non può non vedere il molteplice determinato, in Speusippo, come derivato immediatamente dal molteplice assoluto. 3) Il concetto di m‹xij sembra andar oltre a quanto si riferisce a Speusippo; Aristotele, De ideis, ap.Alex..In Metaph., p.97, 27 sgg. Hayduck (=fr.5 Ross), ne parla in relazione a Eudosso di Cnido, per la sua tentata interpretazione di Platone in base a questo concetto.Il passo non riguarderebbe quindi il solo Speusippo, e l’accenno resta problematico. 4) Che il numero sia un peperasmšnon plÁ qoj, ‘quantità delimitata’, è obiezione di Aristotele, ma ciò per sgombrare del tutto la via da quella molteplicità assoluta che invece Speusippo sembra in quialche modo riconoscere. Non si dimentichi che Speusippo dipende sempre dall’ ¥peiron pl»qei tÕ m¾ Ô n di Soph. 258 , che costituisce il legame posto da Platone fra i due concetti. F 55 Arist.Metaph.M, 9, 1085a 31-34 33 plÁ qoj Alp Gli uni fanno derivare le grandezze da una materia di questo tipo, gli altri dal punto (e il punto sembra ad essi non essere l’uno, ma qualcosa di simile all’uno) e da una materia simile alla molteplicità, non però dalla molteplicità stessa (1). 1) A proposito di questo passo cfr. Zeller, Philos. d.Gr. II, I, p.1002, nt.2; Ross, II, pp.455-57;ma soprattutto Stenzel, Speus., col.1664. Stenzel ha dato ad esso la massima importanza, identificando in queste parole quel desmÒ j posto da Speusippo fra le varie ¢rcaˆ che presiedono alle varie manifestazioni del reale, quel sÚ ndesmoj che lo salva dall’accusa di episodicità e sconnessione nella sua visione del reale, più di una volta rimproveratagli da Aristotele. Le ¢rca… e le oÙ s…ai che dipendono da esse sono collegate fra loro da un rapporto di tipo analogico; questo rapporto è costituito dalla ÐmoiÒ thj reciproca, e non a caso Stenzel pone in relazione questo passo con Top. I, 108b 26 (kaˆ Ó ti stigm¾ ™n grammÍ kaˆ mon¦j ™n ¢riqmù : ˜k£teron g¦r ¢rc»), un passo che in effetti avrebbe potuto essere scritto da Speusippo. Questa interpretazione sarà ripresa dal Cherniss, Arist.Crit.Pl.Acad., p.131, e Riddle, pp.42-43; sostanzialmente, pur nel mutato quadro d’insieme, anche da Krämer, Urspr.Geistmetaph., p.211, nt. 50. Si comincia ora a vedere delinearsi più chiaramente la portata della teoria speusippea dei principi, nella quale ‘uno’ e’molteplice’ non sono+ i principi generali del tutto, ma solo quelli dei numeri, prime realtà; i loro primi analoghi, riguardanti le figure, sono il punto, come equivalente (Ó moion) dell’uno, e la proiezione spaziale della molteplicità, intesa platonicamente da Speusippo come tÒ poj (cfr. meglio infra, F 62), o ‘luogo’. Questo ‘luogo’ è proprio degli enti matematici diversi dal numero, cioè la grandezze e le figure, che hanno uno loro propria e specifica dimensione nello spazio.
Pag. 40 - Fragmenta F 56 Arist.Metaph.M, 5, 1085b 26-31 26 œ ti te ›teron plÁ qoj Alc. Vi è un altro molteplice in sé stesso, ed è la molteplicità indefinita; ma quale molteplicità è quella dell’elemeto primo e dell’uno stesso? (1) Similmente qualcuno indagherebbe circa la linea e l’elemento primo con cui essi costruiscono le grandezze. Non vi è una sola linea in sé stessa; e da che deriva ciascuna delle altre linee? E non certo da una certa dimensione e dalla linea in sé (2) . 1) E’ probabile che anche qui Aristotele polemizzi con Speusippo (Ross, Arist.Metaph,II, p.458): Speusippo non ha detto in verità se il plÁ qoj, quello di cui parla come principio, sia determinato o indeterminato; ed esistono ambedue i tipi di plÁ qoj. Non è però che un tentativo di porre Speusippo in contraddizione con se stesso, e da questa frase non si deduce che il ‘molteplice’ di cui Speusippo parla come principio debba intendersi come ‘definito’. 2) La definizione del secondo principio per quanto riguarda le grandezze qui data da Aristotele e con ogni probabilità attribuita a Speusippo è quella di di£sthma; dovremo ricordarcene quando gli attribuirà la definizione di tÒ poj, infra, F 63. F 57 Arist.Top.I, 18, 108 b 23 –28 Così pure, anche se si tratta di realtà molto differenti fra di loro, è utile, in vista della definizione, prendere in considerazione la similitudine (1): per esempio è lo stesso la bonaccia che è nel mare e la stasi dei venti nell’aria (l’una e l’altra sono tranquillità) così come il punto nella linea e l’unità nel numero: l’uno e l’altra sono principio (2).. 1) L’espressione Ó moioj, rispetto allo o‹on della Metafisica, acquista in precisione e sfugge alla genericità; per il rapporto reciproco fra i due passi cfr. supra, F 55. Ciò è probabilmente dovuto al matematismo di Eudosso di Cnido; per il termine in Platone, ancora generico, cfr. Mugler, Platon et la récherche matématique de son époque, Strasburg-Zürich 1948, p.51 sgg., e ancora Physique de Platon, p.31 sgg., mentre è con Eudosso che, in virtù della riduzione delle figure l’una all’altra per via del metodo della induzione, viene ad assumere un sgnificato di equivalenza matematico-geometrica (cfr.Lasserre, Fragmente des Eudoxos, p.166 sgg.). Eudosso si pone quindi fra Platone e Speusippo. 2) Non è documentato che Speusippo usasse l’espressione analogia egli stesso, anche se ‘analogico’ è il termine che rende meglio questa sua connessione dei principi. Cfr. tuttavia l’espressione aristotelica di ¢nalog…a come „sÒ thj lÒ gwn (EN V, 1131a 31) che potrebbe riferirsi altrettanto bene a Speusippo come a Eudosso (ancora Lasserre, p.150). F 58 Arist.Metaph.N, 3, 1090 b 13-20 Chi non si contenti troppo facilmente, si porrà il problema di come nessuno degli enti matematici e dei numeri in generale siano in relazione reciproca, quelli che vengono prima con quelli che vengono dopo; coloro che dicono esistere solo gli enti matematici, anche se non ci fosse il numero, dovrebbero ammettere le grandezze; e se non ci fossero queste dovrebbero pur sempre ammettere che esistano l’anima, i corpi, gli enti sensibili. Ma la realtà del tutto non somiglia a una cattiva tragedia, fatta di episodi slegati. 1) Che la polemica sia antispeusippea fu già sostenuto da Schwegler, IV, p.352; cfr. Zeller, Philos.d.Gr. II,I, p.1002, nt.1, Ross, II, p.481 ecc. Se non si ammette che tutte le realtà derivino da determinati principi e siano impensabili se non posti questi come loro condizioni, le realtà risultano slegate fra di loro: Cfr. per una polemica omologa Metaph.Z, 1028b (supra, F 16 ); ma
Fragmenta - Pag. 41 Aristotele stesso ci ha indicato come Speusippo, col criterio dello Ó moion, sfuggisse di fatto a tale aporia. F 58 Theophrastus, Metaph. 12, VI A 23-B 7 Us., p.8 Laks-Most 24 ante t¾ n add. oƒ L 26 t«lla A, t¦¥lla R t’¥lla JCL 27 Ó son PCL A Ó swn J 6B 2 yuc» P CL A , yucÁ i J 3 ¥ll’¥tta P JL A; t¥ll£ta C 3-4 crÒ non - ple…w secl. Usener, Jaeger, Reale; def. Ross, Isnardi Parente, Taran, Laks 4 oÙ ranoà w, ¢nqrèpou dubitanter in annotationibus Laks 5 oÙ demšnwn A 6 speÚ sippon PJ A² B² Nz’ Tiph. pšssippon C, pšssipon L Molti si fermano a questo punto, di quelli che pongono l’uno e la diade indefinita (1): dopo aver fatto derivare i numeri, le superfici, i corpi solidi, trascurano quasi tutto il resto se non toccandolo appena, e si limitano a dimostrare che le une cose derivano dalla diade indefinita, come il luogo, il vuoto, l’indefinito stesso, le altre dai numeri e dall’uno, come l’anima e altre realtà del genere, e insieme il tempo e il cielo e molte altre ancora (2). Ma quanto al cielo e alle altre realtà di questo tipo, non ne fanno poi ulteriormente menzione: ugualmente Speusippo, né alcun altro, se si eccettui Senocrate. 1)L’inizio non riguarda affatto Speusippo, giacché vi si parla di tÕ Ÿ n kaˆ ¢Ò riston du£da poioàntej, e si capisce che Teofrasto applica questa espressione ai seguaci di Platone in generale. E l’accenno a Speusippo è breve e frettoloso, e anche, parzialmente, non esatto. Ma il passo è molto importante per questioni che riguardano il rapporto fra pitagorismo e Accademia in generale. Teofrasto qui ci dice in sostanza che, una volta fissati i principi e le due ‘serie’ (il termine sustoic…ai è evitato con cura) che dipendono da essi, gli Accademici si disinteressano per lo più della possibile estensione di tali serie fino all’osservazione particolareggiata delle realtà di ordine cosmologico; Speusippo non fa eccezione a ciò; fa eccezione il solo Senocrate, per il quale ogni entità filosofica assume un rilievo cosmologico. In ogni caso, l’uno e l’altro di questi filosofi sono riallacciati a una tendenza ben definita a fissare due principi contrapposti del reale, e a considerare l’una o l’altra forma delle realtà come appartenenti precipuamente all’uno o all’altro campo. Le realtà indicate come tipiche per la loro appartenenza alla serie dominata dal principio irrazionale sono il luogo, il vuoto, l’infinito; mentre quelle contrassegnate dalla razionalità, e quindi recanti in sé il contrassegno di quell’unità ch’è ordine, uguaglianza e ragione, sono l’anima, il tempo, il cielo col suo moto ordinato. E’ essenziale, per comprendere il passo in tutta la sua portata, accettarlo per intero, senza espungere la frase crÒ non- ple…w, come fece già Usener, sia nel suo Theophr.Bruchstuck, pp.259-281, in part. 270, sia nella sua edizione dell’opera, Theophrasti de prima philosophia libellus, del 1890. Non a caso la frase viene rivalutata dagli interpreti più recenti: Ross-Fobes, Theophr.Metaph., p.12 e p.55 per il commento, giustificano il testo non solo ipotizzando una constructio ad sensum, per cui si può ricavare un gennîsi dal genn»santej di A 5, secondo un procedimento che Teofrasto usa altre volte (cfr.VI A 27, e Ross stesso, ibid., p.48) ma mettendolo a confronto con Metaph.1072 a 2 ( Û steron g£r, kaˆ ¤ma tù oàranù, ¹ yuc») che dà ad esso tutta la sua pregnanza filosofica. Per il confronto con questo passo (che dipende strettamente da Timeo, 34b, 37d-38b) cfr. Isnardi Parente, Théophr. Metaph. VI a 23 ss., pp.5455. Una volta detto questo, si aprono nuove prospettive. Le sustoic…ai di cui ci parla Aristotele in Metaph.A, 986b sgg., e che ci descrive come un sistema decadico di contrapposizioni caratterizzante il reale, sono da lui date come pitagoriche, e come tali sono state intese fino a che il Frank, Plato sogen.Pyth., p. 257 sgg., non ha inteso riferirle, piuttosto che all’autentico pitagorismo antico, alla rinascita pitagorizzante propria dell’Accademia, e in particolare a Speusippo. Dopo le polemiche condotte in proposito dagli studiosi del movimento pitagorico
Pag. 42 - Fragmenta (preplatoniche e pitagoriche ha ritenuto le sustoic…ai Mondolfo, in Zeller-Mondolfo, Filos. dei Greci, I,2, pp. 349 sgg., 450-53, 500-03, seguito poi da Timpanaro Cardini nel suo commento sistematico, Pitag.III, pp.76-85; non solo pitagoriche, ma arcaiche e decisamente risalenti al di là del V secolo le riteneva Guthrie, Hist.Gr.Philos.I, The earlier Presocratics and the Pythagoreans, Cambridge 1962, p.245 sgg.), la tesi del Frank è stata ripresa dal Burkert, Weish.Wiss., pp.45-46: l’opposizione bene-male e quella della coppia quiete-moto nella serie decadica descritta da Aristotele sembrano al Burkert sufficenti ad attribuire a Speusippo tutta la serie, e la presentazione stessa che Aristotele dà di essa viene considerata una ragione sufficiente per tale attribuzione. Ma la presentazione in questione è data da Aristotele in forma notevolmente scorretta, accentuando il carattere accademico di alcuni passaggi: vi è in lui una sostanziale e tendenziosa volontà di ridurre tutta la serie alla sustoic…a del bene a quella, opposta, del male, come dimostrano i passi ulteriori Metaph.N, 1093b 11 sgg., e K, 1066a 14 sgg., insieme con un passo della Fisica, Phys.III,201b 25 sgg., che può utilmente esser posto a confronto (cfr.per questo Isnardi Parente, Pitagor. di Crotone, p. 14 sgg.). Questo non inficia il carattere della testimonianza, che si riferisce indubbiamente al pitagorismo preplatonico, per lo meno a quello del tempo di Filolao, cui è assegnata infatti una parte nell’ambito della testimonianza stessa. Ora, è esattamente Aristotele che più di una volta ha posto a confronto Speusippo e i pitagorici per la immanenza dei numeri al reale, negli uni, e la trascendenza ad esso, nell’altro; e questo passo di Teofrasto vale a darci una ulteriore prova di ciò. La tendenza a far derivare i diversi aspetti della realtà da due principi opposti non è che la trascendentizzazione delle sustoic…ai; che non sono più viste quali un sistema decadico di opposizioni inerenti al reale, ma come una discendenza e dipendenza del reale da due forme diverse e opposte. Senonché Teofrasto nota che Speusippo, pur accettando in questa forma le opposizioni pitagoriche, non fa poi nessuno sforzo per individuarle nella realtà del cosmo. E ciò è del tutto coerente con la diversa impostazione ch’egli ha poi dato, nel suo ‘sistema’, alla posizione dei principi: che non sono due, in assoluto, per il reale nel suo insieme, ma si ripetono secondo analogia nei diversi aspetti del reale. 2) Sposto la sospensione del punto in alto dopo la parola ple…w, facendo slittare invece la virgola dopo ¥tta; perché ritengo che le realtà di cui si parla, il tempo e il cielo, siano da intendersi come spiegazione di questo termine. Quanto ad ¢nqrèpou, non ritengo sostenibile la variante, che non è lessicalmente facile né concettualmente accettabile, mentre ‘cielo’ e ‘tempo’, soprattutto se si pensi al Timeo, hanno una loro connessione (Speus., p.107, nt.52). Il termine in questione non è un apax, ma un termine abbastanza comune, usato in primo luogo da Sofocle (fr.693 Pearson), da Aristotele (Meteor.379a 2, 381b 14), da numerosi medici nei loro scritti (cfr.Liddell-Scott, s.v.).. Teologia, cosmologia, psicologia F 60 Aetius, Placita, I,7,20, p.303b Diels qeÒ n F², aÙ tÒ n ceteri Speusippo dice che la divinità è l’intelletto (1), non simile né all’uno né al bene, dotato di natura propria (2). 1) E’ la testimonianza più precisa che abbiamo sulla concezione del divino in Speusippo, perciò è assai preziosa pur essendo di carattere dossografico. E’ stata intesa assai diversamente dai diversi interpreti. Zeller, II, p.713, nt.1, la ha intesa come una polemica contro Platone e la identificazione della divinità col ‘bene in sé’ e questo con l’uno, mentre Guthrie, Hist.Gr. Philos.,V, p.463 nt.2, è portato a credere che Speusippo, come Platone, identificasse dio con il noàj e che questo costituisca un altro di quei principi di cui Aristotele parla in Metaph.1028b
Fragmenta - Pag. 43 18 sgg. Chi, con Cherniss (Arist.crit.pl.Acad., app.XI, p.603 sgg.), sia portato a identificare la divinità platonica con il noàj, soprattutto in virtù della sua subordinazione alle idee (il che sembra risultare chiaramente dal dialogo platonico), sarà piuttosto portato a sottolineare le somiglianze del pensiero di Platone con quello di Speusippo su questo punto specifico: giacché questi non nega l’identificazione della divinità col noàj, pur differenziandola dal bene in sé e dall’uno. Di altro avviso è stato Krämer, Urspr.Geist.Metaph., pp.214-217, 376 sgg., e nel successivo 'Epšk.tÁ j oÙ s., p.15 sgg. (soprattutto, in quest’ultimo caso, per i rapporti con Platone). Per una serie di deduzioni speculative, Krämer arriva ad assegnare al noàj speusippeo un determinato posto nella scala dell’essere, che corrisponderebbe non a quello dell’anima universale (collegata piuttosto al concetto di ¢gaqÒ n) ma, scartata la possibilità dell’identificazione con l’uno – posizione ripresa invece da Senocrate- , a quella degli enti matematici trascendenti. Sulla base di Aristotele, perˆ eÙ cÁ j, fr.1 Ross ( da Simplicio, In de caelo, p.485, 19 sgg. Heiberg), Krämer giunge a vedere nel concetto platonico-speusippeo di divinità, contrapposto a quello senocrateo ed anche, con la debite differenze, aristotelico, non semplicemente l’intelletto, ma qualcosa al di là dell’intelletto stesso, un ‘Nicht-Nous’,così come l’uno è detto da Aristotele m¾ Ô n per indicare la superessenzialità del concetto: l’espressione œ pškein£ ti toà noà che là Aristotele usa a indicare una delle possibili definizioni del divino non può che riferirsi a Speusippo. Kramer ritiene che l’Accademia, e in essa particolarmente Speusippo, abbia con ciò compiuto una radicale trascendentizzazione del demiurgo del Timeo, liberandolo definivamente dalla sua veste mitizzante. Egli si vale anche del paragone con il riferimento dei Theologoumena arithmetices dal Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn (infra,F 94 ) della decade come modello divino del cosmo, né trascura il passo del de comm.math.sc.,4 (supra, F 41 ) identificando la sfera del divino con quella del kalÒ n, sulla scorta di quanto Giamblico afferma circa l’anteriorità di questo allo ¢gaqÒ n stesso, che contraddistinguerebbe la sfera dell’anima. Anche a prescindere dalla ulteriore interpretazione data dallo stesso Krämer di Speusippo, l’interpretazione qui descritta non regge alla critica per più ragioni, e non solo perché il passo del nostro dossografo sembra semplicemente indicare una concezione del divino come noàj, ma perché forzata, al riguardo, è l’interpretazione di Aristotele: nel luogo citato del Perˆ eÙ cÁ j questi accenna semplicemente alla possibilità che il divino sia da intendersi o come nÒ hsij (ed è questa, sappiamo da Metaph.1074b 33 sgg., la soluzione ch’egli adotta) o come qualcosa che si pone come superiore all’intelletto, qualcosa che questo contempla da una posizione subordinata, in altri termini le idee; sì che ciò ci porterebbe a pensare ch’egli, in questo suo passo, polemizzasse con Platone. La soluzione di Krämer è semplicemente un indice della sua necessità di fare un posto all’uno e al numero nell’ambito di un ‘sistema’ speusippeo, là dove è in realtà impossibile ricostruire un simile ‘sistema’ in termini rigidamente neoplatonizzanti. Con ciò non occorre cadere nel rovesciamento di questa posizione che compie Tarán ( Speus. of Ath.,pp.377-78) identificando il noàj speusippeo con una parte dell’anima e negando in assoluto la presenza di una concezione dell’intelletto propria di Speusippo al di fuori di questo senso specifico, interpretando cioè ancora in altra maniera il passo aristotelico Metaph.1028b 21-24, ove Aristotele non pone fra le oÙ s…ai speusippee un intelletto a sé stante. In realtà la posizione di Tarán è viziata dalla sua convinzione che in Speusippo non sia presente alcune concezione dell’anima del mondo, sì che l’ìintelletto ha semplicemente una parte assai modesta, riferendosi semplicemente a una singola parte dell’anima dell’individuo. Di ciò dovremo occuparci più ampiamente infra, F 94 ; si può qui anticipare che le differenze fra Platone e Speusippo non possono esser portate così oltre da negare a quest’ultimo la definizione di platonico. Perciò, a proposito della concezione speusippea del noàj, si può una volta di più ribadire la sua vicinanza a Platone. Il noàj è la parte più alta dell’anima del
Pag. 44 - Fragmenta mondo, o in altri termini è il demiurgo uscito dalla sua veste mitizzante, come farebbe prevedere già Legg.XII, 966a: l’anima del mondo è diretta e guidata dal suo intelletto sovrano. E’ appena inutile ribadire che questo noàj , o nÒ hsij che sia, sarà intesa del tutto diversamente da Aristotele. 2) 'Idiofu»j ha dato luogo a una precisazione in Tarán, Speus. of Ath., p.378: la parola può significare qualcosa di particolare e proprio anche all’interno di realtà aventi la stessa natura. Al noûs, insomma, possono venire applicati predicati di unità e bontà, anche se la sua natura specifica è diversa dall’essere uno o dall’essere bello. Ciò è compatibile con quanto detto finora, e può essere accettato, anche se dell’oggetto in questione si dia un’accezione più larga di quanto Tarán non sia disposto a darle. F 61 Cic, De nat.deor.. I, 13, 32 Né molto diversamente Speusippo, seguendo suo zio Platone, col suo dire che la divinità è una forza animata che governa tutto l’universo, cerca di strappare dalle anime la conoscenza degli dèi (1) 1) Il passo non è degno di molta considerazione, in quanto rappresenta il punto di vista di un oppositore epicureo, Velleius; ma rappresenta pur sempre una testimonianza che la teoria platonica dell’anima del mondo continua a vivere in Speusippo, come del resto in genere nei platonici. Per la genericità del passo e l’incertezza del riferimento (all’intelletto divino? all’anima del mondo?) cfr. Krämer, Urspr.Geistmetaph., p.216, nt.65.; ma si tratta preferibilmente del secondo dei due concetti. L’interpretazione è stoicheggiante, dal momento che si parla di una ‘vis animalis’ o di una forza vitale che governa il cosmo F 62 Minucius Fel., Octavius, 19,7, p.29 Beaujeu [naturalem] del. Davisius E’ noto che Speusippo riconosceva per divinità una forza animata che regge il tutto (1). 1) Per la dipendenza dell’Octavius dal De natura Deorum cfr. V.Geisau, Real-Encycl. Suppl.xi, coll.952-1002, in part.975-76, e J.Beaujeu, Minuce Felix, 0ctavius, coll. Budé, Paris 1964, pp.lxxxii-lxxxvi . Pease, Cic.de nat.deor., I, p.239, ha inteso porre in relazione il passo con Filodemo, De pietate, p.72 Gomperz, se non altro per la ragione che qui Filodemo parla delle yucaˆ kalîn k¢gaqîn come qe‹ai dun£meij; ma l’interpretazione, accettata con dubbio dal Lang (fr.56, p.80) , si regge solo su una supposizione del Diels, Dox.gr., pp.538-39. F 63 Arist.Metaph.N, 5, 1092a 17-21 17 tÕ n tÒ pon P 18 kaˆ to‹j E Al¹
20 t…j Alr
E’ assurdo anche il porre il luogo insieme con quegli enti matematici che sono i solidi (1), giacché il luogo è piuttosto proprio degli esseri individuali, i quali sono separati fra di loro appunto per via del luogo, mentre gli enti matematici non sono in un luogo; ed è assurdo anche dire che essi sono in un qualche luogo, ma non dire poi quale questo luogo sia (2). 1) Speusippo fu già ricosciuto dall’allusione di questo passo in Ravaisson, Speus.pr.princ., p.44, e da Zeller, Philos.d.Gr.,II,I, p.1007, nt. 3, cfr. poi Ross, Arist.Metaph., II, p,488, ed altri. Aristotele gli fa carico qui di intendere le grandezze matematiche ‘in luogo’, in base alla sua determinata concezione del luogo stesso (Phys.IV, 209b, 211b, 214a); ma probabilmente Speusippo intendeva una prima forma fisica di estensione come principio delle forme matematiche, e a questa dava talvolta il nome di tÒ poj (altre volte, probabilmente, di
Fragmenta - Pag. 45 di£sthma, come sembrerebbe dire lo stesso Aristotele altrove: cfr. M, 1085 30-31, anch’esso diretto presumibilmente contro Speusippo). 2) Il punto (mon¦j qšsin œ cousa, secondo la definizione che Aristotele ne dà, forse riprendendola dai pitagorici, cfr. Z, 1026b 31 e altrove) e quel luogo o spazio che permette l’estensione geometrica sono, per Speusippo, i principi della realtà spaziale. Aristotele non ammette però che si parli di luogo senza dire anche esattamente ‘dove’; fra le Categorie non rientra il tÒ poj, bensì il dove (poà). La critica che egli fa qui a Speusippo ripete quella fatta a Platone a proposito della cèra. F 64 Plutarchus, Plat. Quaest.,8, 1007a-b 1007a 10, tîn crÒ nwn J,g 11, prÒ teron kaˆ Û steron Bernardakis, tÕ prÒ teron kaˆ tÕ Û steron Escorial T.11.5 Si dovrebbe dire dunque che sono stati fuorviati da costoro per ignoranza quelli che hanno ritenuto che il tempo sia ‘misura del movimento' o ‘numero che procede per antecedente e conseguente’, come disse Aristotele (1), o ‘quantità in movimento’, come Speusippo(2), o ‘intervallo del movimento’ e niente di più, come alcuni fra gli stoici (3). 1) Per Aristotele cfr. Phys.219b 1, 220a 4, 24-25; 221b 7,quest’ultimo passo per la definizione del tempo come mštron kin»sewj. Fra tutti gli allievi di Platone è Aristotele quello che sembra aver dato una definizione più strettamente matematica del tempo; Platone, nel Timeo, dice soltanto che il tempo è un’immagine dell’eternità, eterna anch’essa, ma che procede ‘secondo ritmo numerico’ (Tim.37c-d; cfr. Taylor, Comm. Timaeus, App.IV, pp. 678-691, e Callahan, Four Views of Time, p.22 sgg., che accentua il prevalere della k…nhsij sul numero). Ma si veda differentemente lo stesso Aristotele in Categ.4b, ove il tempo è definito posÕ n sunecšj, con avvicinamento alla posizione speusippea. 2) In Speusippo manca ogni concetto di ¢riqmÒ j nella definizione del tempo, mentre è presente quello di quantità indeterminata; egli aggiunge ™n kin»sei proprio per chiarire la sua diversità dalla grandezza spaziale, ch’è immobile. Ma la definizione ci giunge troppo isolata perché possiamo stabilire in quali termini di relazione si ponessero per lui il tempo, preso come realtà a sé stante, e gli altri aspetti della realtà espressi in termini quantitativi. 3) Cfr. a questo proposito, per Crisippo, SVF II, fr.515. F 65 Arist.De caelo I, 10, 279b 32-280a 2 32 fšrein ES¹, Philopon.Aetern.mundi 216,16; ™pifšrein JH E se alcuni cercano di offrire una giustificazione a sé stessi per poter sostenere che il cosmo è in pari tempo indistruttibile e ingenerato, non dicono nulla di vero (1). Essi sostengono che il loro procedere è simile a quello di chi traccia figure e parla del loro prodursi non intendendo che queste abbiano in effetti un inizio nel tempo, ma solo a mo’ di esempio, perché colui che apprende capisca meglio, vedendo la figura nel suo stesso prodursi (2). 1) Per l’individuazione di questi interpreti cfr. lo scolio del frammento seguente: si tratta di Speusippo e Senocrate (per quest’ultimo cfr. il fr.54 I.P.). Aristotele intende qui la descrizione della genesi del Timeo in senso realistico. Per l’interpretazione del carattere realistico o meno della genesi del mondo fisico nella tradizione platonica cfr. Baltes, Weltentstehung plat. Timaios , I e II, passim. 2) L’esegesi speusippea può trovare la sua ragione teorica nella concezione matematica dell’universo sensibile data da Speusippo stesso; cfr. in proposito Stenzel, Speus., col. 1660, il quale pone in rilievo come la costruzione del mondo sia per quest’autore un’operazione matematica, escludente qualsiasi processo di gšnesij o di po…hsij. Sotto questo aspetto cfr.
Pag. 46 - Fragmenta ancora Cherniss, Arist.Crit.Plato Acad., p.145, nt.87 (ma con particolare riferimento a Senocrate piuttosto che a Speusippo), e Krämer, Urspr.Geistmetaph., p.379, nt.22. E’, s’intende, un’esegesi che tende a modificare profondamente l’orizzonte del Timeo e ad accentuarne l’allegoricità; ma, quanto a Platone, la questione è ancora aperta; cfr., con validi argomenti, G.Vlastos, Creation in Timaeus,, in Studies in Plato’s Metaphysics, pp.401-437. F 66
Scholion in Aristoteles De Caelo, p.489, 9-12 Brandis
Senocrate e Speusippo, cercando di offrire una giustificazione a Platone, dissero che questi non aveva insegnato che il cosmo è generato, ma che è ingenerato; e che lo aveva descritto come generato solo a mo’ di esempio, e per far meglio capire e presentare la trattazione in modo più esatto (1). 1)
L’interprete, oltre a darci i nomi dei filosofi oggetto della polemica aristotelica, tende a chiarire il carattere di bo»qeia o ‘aiuto’ offerto a Platone da questi testi, che intendono liberare il detto del maestro da ogni possibile contraddizione.
F 67 Iamblichus apd. Stobaeum, Ecl.I, 49, p.363, 26-364, 5 Wachsmuth p.364,1 katalšgwsin eÙ kr…mnenwj R, katalšgwmen eÙ krinîj Heeren 2, ›n ti F, œ ti R aÙ t» in aØ t¾ corr. P 4 aÙ t¾ n ¢fwr…sato om. Heeren 5 ¢diast£tou Ravaisson
3,
Dopo di ciò, passerò in rassegna coloro che estendono all’essenza dell’anima l’essenza matematica. Per costoro è un genere di essa, in certo senso, la figura, in quanto limite dell’estensione, ed essa stessa è estensione (1). Fra di essi vi è il platonico Severo, che la definì in tal modo (2); e Speusippo, che la definì con la formula ‘forma di ciò che è generalmente esteso ‘(3). 1) Per di£stasij viene intesa qui certamente la figura, ch’è estensione anch’essa, o parte dell’estensione, ma si distingue chiaramente da di£sthma, usato in genere per le grandezze. 2) Per il platonico Severo cfr. Praechter, Real-Encycl. II A 2, coll.2007-2010, in particolare per l’anima 2007, e Cherniss, Arist.Crit.Pl.Acad., p.510, col rimando a Proclo, In Timaeum I, p.204,17 e II, pp.152,27-28, 153, 21-25 Diehl: La definizione di Severo era probabilmente formulata in un suo commento al Timeo. 3) La definizione attribuita a Speusippo ha dato luogo a molti dubbi interpretativi, a cominciare dal Ravaisson, che proneva (Speus.pr.princ., p.40) di leggere qui ¢diast£tou; giustamente è stato criticato da Zeller, Phil.d.Gr. II,I, p.1000 nt.3, da Wachsmuth nell’edizione di Stobeo, da Lang, Speus.Acad,scr., p.71 (ritenendo tuttavia che la definizione geometrizzante dell’anima fosse riferibile alla sola anima del mondo e non all’anima in generale, sulla base di Platone, Tim.36e 2). Il problema dell’interpretazione del passo si è posto invece in tutta la sua pregnanza a partire da Merlan, Beitr.Gesch.Plat.II, p.200 sgg.; il quale, partendo dall’interpretazione che Posidonio (oggi F141a Edelstein) ne dà–facendone non solo la più alta perfezione numerica, ma, in ogni caso, il par£deigma tecnikÒ n dell’universo – deduce che l’autore non può essere che Speusippo. Non è del resto a caso che Aristotele, in Metaph.1028b 18 sgg., facesse seguire, alle grandezze geometriche, per l’appunto l’anima (œ peita yucÁ j). Al principio della tetradicità in Speusippo hanno dato rilievo Burkert, Weish.Wiss,, pp.61-65, 229-30 e Krämer, Urspr.Geistmet., p.218, il quale costruisce analogamente la dottrina platonica dell’anima in termini matematico-geometrici (si veda la sua interpretazione di Plutarco ,De procr.an., 1023b). Ma Burkert vede nella successione delle varie facoltà dell’anima piuttosto un rapporto con Senocrate, fr.5 Heinze, 83 I.P., che non con altri platonici, mentre, come abbiamo già notato, noàj ed ™pist»mh sono entrambi a Speusippo già noti, né la dÒ xa poteva mancare nella successione di un platonico.
Fragmenta - Pag. 47 Alla parola „dša, secondo Merlan, non può darsi l’interpretazione platonica più comune, dato il rifiuto della dottrina delle idee da parte di Speusippo; ma nel Timeo la parola compare anche la parola nel significato di ‘forma’, in questo caso forma geometrica, non certo estraneo alla tradizione preplatonica e allo stesso linguaggio platonico. Cherniss si è espresso in senso contrario in Arist.crit.Pl.Acad., App.X, p.509 sgg.: egli ritiene che non ci si trovi qui davanti a teoria speusippea, ma di fronte a una semplice esegesi speusippea del Timeo, la parola „dša riferendosi a Tim.35a (suneker£sato e„j m…an „dšan); Speusippo avrebbe inteso difendere Platone dall’accusa, mossagli da Aristotele (De an.407a 2-3) di aver confuso l’anima con una grandezza spaziale, puntualizzando il fatto che per Platone l’anima non è grandezza, ma ‘idea’ della grandezza. Egli tende ad escludere che l’anima per Speusippo possa avere struttura geometrica sulla base di Aristotele, Metaph.10238b 21-24 (supra, F 16) , passo dal quale sembra attribuita a Speusippo la teoria secondo cui l’anima avrebbe principi diversi da quelli delle grandezze. Ma Merlan, Plato neopl.², compie una accurata difesa delle sue precendenti tesi; minimizzando la pretesa contraddizione fra la testimonianza di Aristotele (1028b 21 sgg.) e quella di Giamblico, compie in pari tempo una minuta analisi della parola ‘idea’, nel senso di pšraj, limite formale che distingue l’oggetto da ogni altro circostante, secondo il significato che la parola pšraj ha nei passi aristotelici De caelo, 293b 12-15, e De gen.anim., 335a 21, ove con pšraj si intende lo e‹doj o la oÙ s…a dei corpi estesi. Come meglio vedremo più oltre (F 95 ), Merlan giunge, sulla base di Theol.arithm.61 sgg., all’ipotesi che in Speusippo vi sia una vera e propria identificazione dell’anima con la piramide, simboleggiante la tetractide, numero perfetto, cfr. anche Hermet. Pyram., p.100-105. La polemica continua con un ribadimento delle proprie posizioni da parte di Cherniss, Plutarchs Moralia XIII,I, pp.219-220; sulla linea del Cherniss, ma senza sostanziali innovazioni, cfr.oggi Tarán, Academica, p.150, nt.642, e più ampiamente in Speus..of Ath. ,pp.366-371. Nell’ultima opera Cherniss offre alcuni spunti per la ridefinizione di Posidonio, con attribuzione a Platone, della definizione dell’anima speusippea, cfr. peraltro su questa Untersteiner, Posidonio nei Plac. di Plat.etc., pp.31-34, che rileva la decisa coloritura stoica dell’espressione presente in Posidonio, l’ampliamento stoicheggiante toà p£nth diastatoà pneÚ matoj , probabile apporto posidoniano alla definizione speusippea; e H.Tarrant, Plato’s first Interpreters, London 2000, p.63, che segue Merlan nell’interpretazione della frase e ritiene Posidonio indebitato fortemente a Speusippo.. La proposta interpretazione in chiave rigorosamente matematica dell’interpretazione della realtà, e quindi dell’anima del mondo, nella filosofia di Platone, che Speusippo avrebbe fedelmente ripresa, è sostenuta da Gaiser, Plat. ung. Lehre, pp.51, 347, 546-47, e ripresa da Krämer, Urspr.Geistmetaph.,pp.33, nt.43, 118, nt.328; non è però in questo senso specifico che si intende qui approvare sostanzialmente l’interpretazione del Merlan; cfr.Isnardi Parente, in ZM II,3, pp.90405, e la precedente interpretazione di Metaph.1028b 21 sgg., supra, F 16. Aristotele non ha mai sostenuto in realtà che i principi della grandezze e quelli dell’anima in Speusippo siano sostanzialmente differenti, ma anzi legati da un rapporto di analogia; non è quindi in alcun modo strano che alla forma del numero come una indivisibile unità e alla forma del punto come principio della grandezza spaziale corrisponda una forma („dša) geometrica ulteriormente perfezionata, ma anch’essa unitaria e organica, al superiore livello della formazione psichica. L’interpretazione dell’anima data da Speusippo si colloca quindi nel pieno del matematismo accademico, e sarà confermata dall’interpretazione di Senocrate dell’anima come ‘numero movente sé stesso’ (De anima I, 404b 27-28; cfr.Isnardi Parente, Senocrate, p.382-83) . F 68 Iamblichus, De comm, math. scientia, 9, p.40, 15-19 Festa E perciò di essa non va data definizione come ‘forma di ciò ch’è generalmente esteso’, né di ‘numero che muove sé stesso’, né di ‘armonia che consta di determinate ragioni’ (1), o in altri modi simili a questi; ma come di qualcosa ch’è degno di comprendere in sé tutto questo insieme; perché l’anima è la forma del numerico, e consta di numeri che comprendono in sé l’armonia.
Pag. 48 - Fragmenta
1) Si riferisce a Speusippo solo la prima delle definizioni giamblichee; per il resto cfr. Merlan, Herm. Pyram., pp.103-04, e Plat.Neopl.², pp.40-48, che riconosce citate successivamente le teorie di Senocrate, Moderato ( cfr.per questi Giamblico in Stobeo, Ecl.I, 49, p.364,10 e 20-23 Wachsmuth ) e Posidonio , il quale avrebbe affermato esser l’anima il pl»rwma di ogni forma matematica, non limitabile ad alcuna di esse in senso esclusivo. F 69 Aristoteles, De anima, I, 2, 404b 18-27 21 t¦d’ ¥lla Rc Sc S t¦j d’¥llaj Pp Tp CES, om.UX’ aƒ om.CS
23 ™f’›n EUTpS g…netai X, om.C
24 aÙ t¦
E similmente si è detto nel nostro scritto sulla filosofia: l’essere animato, vivente di sé, è composto delle forme dell’uno e della prima lunghezza, larghezza e profondità; e le altre realtà sono composte in maniera simile ad esso. Inoltre l’intelletto corrisponde all’uno, la scienza al due (in essa infatti si procede univocamente verso un oggetto), il numero della superficie corrisponde poi all’opinione,quella del solido alla sensazione. I numeri sono stati là definiti come le forme stesse e i principi, e sono costituiti dagli elementi primi; quanto alle varie realtà, le si giudica quali con l’intelletto, quali con la scienza, altre con l’opinione, altre ancora con la sensazione; e ciò perché questi numeri sono le forme stesse delle cose (1). 1) Nel corso della critica, dall’antichità ai nostri giorni, questo passo ha conosciuto prevalentemente la sorte dell’attribuzione a Platone; per la tarda antichità cfr. Giamblico in Stobeo, Ecl.I,49, 32, p.364, 10 sgg. Wachsmuth. Tuttavia numerosi sono stati anche i tentativi di attribuirlo a Senocrate, e da alcuni è stato visto come un riferimento a dottrina pitagorica; e l’ipotesi della possibile attribuzione a Speusippo è stata avanzata da chi scrive, per esser poi negata radicalmente da altri. Occorrerà rivederlo alla luce di ulteriori considerazioni. L’attribuzione a Platone di tutto il passo, prima nella forma di un riferimento al Timeo (404b 15-18) e poi di un riferimento alla ´dottrina orale’ platonica, è stata sostenuta da numerosi interpreti. Per la critica ottocentesca cfr. Robin, Th.plat.idées nombres, p.304 sgg., nt.273 III; importante, per il Robin, la critica data pochi anni prima da G. Rodier, Aristote, Traité de l’âme, Paris 1900, II, p.55 sgg. Egli si basa per la sua attribuzione a Platone non solo dell’attribuzione a questi della dottrina delle idee-numeri, ch’è la condizione primaria, ma anche della platonicità di quella teoria dell’anima come tÒ poj e„dîn che troviamo in Aristotele, De anima, 429a 27, contestata al contrario da Cherniss, Arist.crit.Pl.Acad., p.565, e da W. Ross, Aristotelis De anima, Oxford 1961, p.292. Fra gli interpreti che attribuiscono il passo a Platone nel XX secolo si possono citare Frank, Pl.sogen.Pythag., pp.113-114, 116 sgg.; Taylor, Plato, p.514, e, pur con alcune esitazioni, Comm.Tim., pp.110-111; Ross, Arist.Metaph.I, p.LXX, e Plato’s Th. Ideas, pp.214-15, nonché Arist.de an., pp.177-179; Merlan, Beitr.Gesch.Plat. II, p.210; .De Vogel, Later Platon. II, pp.299318, in part. 304 sgg.;.Saffrey, Le Perì philosoph. d’Aristote, p.24 sgg. e passim; Burkert, Weish.Wiss., pp.23-25; Lasserre, Nombre et connaissance, p. 25; Krämer, Arete, pp.414 nt.68, 431 nt.191, con maggior decisione in Urspr.Geistmetah., pp.202-207; Gaiser, Platons ung.Lehre, p.44 sgg.; Untersteiner, Arist. Della filos., pp.147-162, e Platone. Rep. X, p.189 sgg.; Watson, Plato’s Unwr. Teaching, p.43; Pierris, Rep. Laws of Plato, pp. 136-37. L’elenco potrebbe accrescersi, ma con scarsa rilevanza per i vantaggi dell’interpretazione. Basti qui notare non solo che esso presuppone la credibilità delle notizie riferentisi a una vera e propria dottrina orale sistematica di Platone non coincidente con la filosofia dei dialoghi, ma poggia anche su una particolare lettura e interpretazione di alcune parole del testo aristotelico, non peraltro così facilmente accettabili. Ad es. alle linee 19-21 del passo l’espressione .aÙ tÕ tÕ zùon viene per lo più interpretata nel senso dello aÙ tÕ Ö esti zùon del Timeo, alla luce dell’interpretazione di esso data da antichi commentatori; cfr.Simplicio, In de anima, p.29, 15-20 Hayduck (mentre diversamente interpreta
Fragmenta - Pag. 49 Giovanni Filopono, In de anima, pp.77,5-11,79, 13-16, 81, 9-11 Hayduck , in proposito Cherniss, “Gnomon” XXXI, p.39, nt.2). Alla linea 20, „dša significa necessariamente ‘idea’ in senso platonico, ma nella forma di idea-numero; così pure alla linea 27 la parola e‡dh. L’attribuzione a Senocrate è sostenuta invece da Cherniss, Arist.crit.pl.Acad., p.565 sgg., e “Gnomon” XXXI, pp.36-51; De Strycker, First section Protrepticus, pp..94-95; Theiler, Aristoteles.Ueb. Seele, pp.93-95; E.Dönt, Platons Spätphilosophie, pp..74-75; Tarán, Speus.of Ath., pp.458-59, di cui si dirà meglio più oltre. In questo caso è determinante il presupposto che la dottrina delle idee-numeri non sia attribuibile a Platone e sia puro frutto di esegesi senocratea; ma non c’è alcuna variazione di significato nelle parole citate rispetto ai critici della prima tendenza. Per trovare una variazione occorre riferirsi a P.Kucharsky, Doctrine pythag. de la tétrade (1952), e poi più ampiamente in Frontières pyth. plat., pp.7-43. Il Kucharsky ha avanzato l’ipotesi che qui ci troviamo di fronte a un riferimento ad una non ben nota dottrina pitagorica (e ha ricevuto l’approvazione sostanziale della sua interpretazione da parte di E.B.Van der Waerden, “Gnomon” XXV, 1953, p.420, e di E.Wolf, “Anzeiger für die Altertumswissenschaft”, IX, 1953, p.44); la sua attribuzione si basa su una diversa interpretazione delle espressioni sopra indicate. L’espressione aÙ tÕ tÕ zùon può semplicemente riferirsi all’anima, nella tradizione platonica più volte indicata come aÙ tozùon (cfr. Front.plat.pythag., p.31 nt.1, con la citazione dello stesso Aristotele, Metaph.1043a 34 sgg.); l’espressione „dša, e ancor più l’espressione e‹doj, non hanno necessariamente il senso di ‘idee’ nel senso platonico o senocrateo (ibid., p.33; viene citato in proposito F.Solmsen, “Class. World” XL, 1947, p.166). Kucharsky trova nella storia del pitagorismo un preciso aggancio al passo nella teoria, attestata in Teone di Smirne (Expos.rer.math., pp.97-98 Hiller (ma già prima cfr. Aezio, Plac.I,3,8, pp.282-83 Diels) di una tetractide noht», in cui figurano, come nel passo aristotelico, i quattro termini di noàj, ™pist»mh, dÒ xa, a‡sqhsij. Per la possibilità di andare più oltre, attribuendo a Speusippo questo tratto di dottrina platonico pitagorizznte dell’anima, che concilia i quattro cardini fondamentali della conoscenza con i numeri fondamentali della tetractide, rimando a Isnardi Parente, Aristotele, De anima I,404b 18 ss., p.146 sgg., e Speusippo¹, pp.342-346. Gli argomenti per sostenere questa ipotesi non mancano e si potrà brevemente elencarli. Il passo in questione si pone fra un riferimento a Platone nel Timeo (considerato come continuazione di Empedocle, secondo cui l’anima conosce di volta in volta ciò cui si apparenta, fr.B 109 DK) e un riferimento a Senocrate con la già citata teoria dell’anima come numero movente sé stesso. Nella parte intermedia di esso, Aristotele non cita ulteriormente, all’apparenza, accademici di sorta, perché ha trattato già della questione nell’opera chiamata Perˆ filosof…aj, e a questa intende qui semplicemente riferirsi (r.18). Per l’individuazione di quest’opera ( che è stata più volte oppugnata nello ™n to‹j perˆ filosof…aj legomšnoij ) cfr. Untersteiner, Arist. Della filos., p. 153-154, con un ricco status quaestionis delle opinioni riportate. Dal discorso relativo a Platone e al Timeo, nel testo del De anima ci distacca con lo Ðmo…wj dš kaˆ di 404b 18; quanto a Senocrate, si parla sicuramente di lui solo in 404b 27, con deciso stacco da quanto precede, e come dell’autore che ha inteso conciliare le due dottrine dell’anima, quella dell’anima che intende sé stessa e quella dell’anima come numero, nella propria, combinatoria (›nioi sunšplexan ™x ¢mfo‹n). E la successione Platone-Speusippo-Senocrate è in Aristotele assai frequente, anche a volte alternata con la citazione Platone-Senocrate-Speusippo, talvolta complicata dall’inserzione dei pitagorici ( cfr. Metaph.1028b 18 sgg., 1069a 33 sgg., 1076a 19 sgg., 1080b 22 sgg.). C’è, è vero, una testimonianza di Temistio che sembrerebbe a tutta prima dar ragione a Cherniss e a quanti son propensi a attribuire il passo a Senocrate, e si trova nel commento In Arist.de anima,, p.11, 18 sgg. Hayduck =fr.39 Heinze, 260 Isnardi Parente. Ma è testimonianza dubbia, e vale soltanto a indicare come non tutta l’antichità fosse propensa a leggere Platone in tutto il passo. Per Saffrey, Le p.philos.d’ Arist., p.38 sgg., si tratta probabilmente di una rielaborazione pitagorizzante di Senocrate; di contro Cherniss, “Gnomon” XXXI, pp.41-42, secondo il quale si tratta di un’autentica lettura di Temistio; ma in realtà, per il problema se opera senocratee potessero esser lette direttamente già fin dall’inizio della nostra era, cfr., negativamente, H.Dörrie,
Pag. 50 - Fragmenta Xenokrates, Real-Encycl. IX A 2, 1967, coll.1511-1518, in part. 1517. Temistio ha probabilmente voluto indicare quella che gli sembra essere l’interpretazione più coerente di Platone, o, in altri termini, l’esegesi senocratea, senza che si possano dalla sua pagina evincere attribuzioni precise. Una teoria dell’anima come tetractide noetica non si trova nell’ambito del platonismo antico, né per Platone, che ha somma cura di distinguere l’anima da una qualsiasi combinazione numerica, né espressamente per i suoi discepoli più vicini. E’reperibile, invece, nel neopitagorismo; ma ciò non ci induce necessariamente a riportarla a questo: date le ben note combinazioni fra la tradizione neopitagorica e quella accademica, è del tutto normale che essa si ritrovi a un certo punto anche nella tradizione neopitagorica. Aristotele però la conosce di già, e si esprime su di essa in un contesto certamente accademico. Nessuno dei termini usati nel nostro passo è interpretabile esclusivamente nel senso platonico del Timeo. Si può citare in proposito lo stesso Aristotele, Top.137b 11, ove si afferma che allo aÙ tozùon è proprio l’essere composto di anima e di corpo; la parola è qui evidentemente equivalente a œ myucon, o a zùon Î zùon, e vi è implicita la polemica contro l’Accademia che tendeva a identificare lo zùon con la sua anima, o meglio a vedere l’anima come riassumente in sé l’essere vivente nella sua totalità ( per Senocrate in particolare considera le espressioni dei commentatori, in particolare Giovanni Filopono, In Arist.De an., p.165, 16-28 Hayduck= fr.65 Heinze). Da vedersi anche Aristotele, Anal.post.II, 91a 37, ove l’anima è definita aÙ tù aÙ tÕ a‡tion toà zÁ n, ed è probabile un riferimento a Senocrate, in quanto subito dopo l’anima viene definita ‘numero che muove sé stesso’. Ora, se si legge il nostro passo dando al termine aÙ tozùon, ‘essere vivente in sé’ o ‘di per sé’, il significato di ‘anima’, ne risulta una teoria ben diversa da quella considerata dai più. Ne risulta la teoria pitagorico-platonica secondo cui l’anima si è formata, secondo le sue facoltà conoscitive, su base tetradica.Quanto alle facoltà conoscitive, per il noàj e la ™pist»mh potremmo dire di esser direttamente rimandati a Platone: giacché l’intellezione è concepita come unità assoluta, e la scienza come la facoltà che procede monacîj ™f/ ›n, ‘in senso univoco verso l’uno’ (rr.21-22). Ma le due seguenti contengono una variante: la dÒ xa, ‘opinione’, per Platone, contiene in sé la sensazione, a‡sqhsij. E, se l’opinione è vista e sentita come rispondente al tre, per quell’incertezza fondamentale che regna nel numero, ancor più decisamente speusippeo è il raffigurarsi la sensazione come riferita al quattro: il quattro è il numero proprio della piramide, e la lettura (F 94 ) che faremo a suo tempo del passo del Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn ci dice chiaramente come sia piramidale nella sua essenza tutto ciò che è soggetto a sensazione. Quanto all’espressione „dša, per spiegarla in questo contesto rimando a quanto detto sopra a proposito di Giamblico, F 67: essa esiste in Speusippo anche senza una accettazione della dottrina delle idee nel senso caro a Platone, come indica chiaramente la definizione dell’anima nel senso di „dša toà p£nth diastatoà. Cfr. in proposito le osservazioni del Kucharsy, Front.plat.pythag., p.31 sgg., e anche prima, p.28, quelle relative all’uso di prîtoj, non necessariamente riferibile a Platone; che esso sia usato in riferimento a Speusippo senza allusione alla dottrina delle idee ce lo dice fra l’altro Aristotele, Metaph.1083a 21. Quanto all’espressione e‹doj, analogamente si potrebbe dire di essa se non intervenisse qui una difficoltà, rilevata da Berti, Aristotele dial. filos. prima, p.166, nt.32: l’espressione ‘prima lunghezza’ e le altre non fanno perno sull’attribuzione a chi scrive di una teoria delle grandezze ideali? Questo è un punto da meditare particolarmente, ed è stato per molti il motivo fondamentale della loro attribuzione del passo a Senocrate; ma esso richiede la verifica se in questo filosofo sia veramente individuabile una teoria delle grandezze ideali; per i dubbi in proposito non posso che rimandare a Isnardi Parente, Fig. idéal., p.272 sgg., e Senocrate, pp.344-346. Tornando alla tetractide, notiamo che in altri due testi essa ha un valore di modello perfetto dell’universo, ossia di e‹doj dell’anima cosmica. Il primo di questi è il già più volte nominato passo speusippeo Perˆ puqagorikîn ¢riqmîn, che ci è particolarmente presente nella parte finale del passo del De anima: in ambedue i passi i numeri 1,2,3,4 sono detti prîta kaˆ ¢rca… (Theol.arithm.,62, p.84, 12 De Falco); se il secondo di questi termini, ¢rcaˆ, ha in questo passo una particolare ambiguità che sarà rilevata a suo luogo, la tetr£j nel suo complesso vi è detta
Fragmenta - Pag. 51 e‹doj, presumibilmente rispetto alla struttura del cosmo, o par£deigma (p.83, 2 e 4 D.F.). L’altro testo, che è stato posto in rilievo soprattutto dal Merlan (Herm.Pyram., pp.103-104), è Sesto Empirico, Adv.math.IV, 2-9, in part.8, là dove si parla della „dša tÁ j yucÁ j in rapporto con la tetractide, o anche 6, ove si afferma essere la tetractide stessa il lÒ goj tÁ j yucÁ j, presumibilmente in quanto modello del tutto.Questo secondo passo appartiene alla tradizione neopitagorica, e il suo rapporto con Speusippo è certamente, se vi è, assai più lontano e mediato. Sta di fatto che, se vi è un autore che si sia attenuto alla dottrina pitagorica della tetractide, questi è Speusippo; Sesto, tuttavia, inserendola in ogni caso nell’orizzonte neoplatonico, vede nella tetractide speusippea il modello dell’universo ponentesi nello stesso intelletto divino, ch’è un tratto di esegesi neoplatonizzante o nedioplatonizzante, non suffragato in alcun modo dai nostri testi. In Speusippo la tetr£j, per quanto ci è dato di sapere, è semplicemente un analogo dello ›n e della mon£j intesa come punto: come il quattro è nello spazio la relazione fondamentale, così l’anima, che muove e anima quello spazio, lo fa mediante la sintesi delle quattro facoltà conoscitive, intelletto-scienza-opinionesensazione. Ed essa è quella forma matematica perfetta ch’è principio formale dell’universo vivente. Tarán, Speus.of Ath., pp.459-60, ha sostenuto le tesi di Cherniss supinamente e senza alcuna variazione. Un ribadimento della mia tesi, in relazione con la dottrina di Senocrate e l’estrema difficoltà che tutto il passo di Aristotele possa riguardare questo filosofo (cfr. tutto il passo De an., 409a), è in Isnardi Parente, Témoign. Speus. Xénocr.,. pp.110-14. F 70 Aristoteles, De caelo, III,4, 303a 29-b 3 29 œ ti EJS’ : œ ti dš H 30 e‡per JEH², in ras.Sp ; ™peˆ E mšn g¦r E4
31 to‹j sc»masi H
32 kaˆ t¦H
In base alla loro concezione non sembra che il numero degli elementi sia infinito, perché i corpi differiscono per figura; ma tutte le figure si compongono di piramidi, di piramidi rettilinee quelle rettilinee; e la sfera consta di otto parti (1). 1) Dopo aver ipotizzato che il passo De an.404b 18 sgg. sia attribuibile a Speusippo, e in attesa di vedere, a suo tempo, il passo dei Theologoumena arithm., si può avanzare l’ipotesi di una attribuzione allo stesso autore anche di questo breve passo del De caelo. Per lo più esso è ricollegato a Senocrate; cfr. Heinze, Xenokrates, p.70 nt.1, e Cherniss, Arist.crit.Pl.Acad., p.143; ma manca del tutto ogni accenno alle idee-numeri. H.Dörrie, Der Platonismus in der Antike, I, Die geschichtliken Würzeln des Platonismus, Stuttgart-Bad Cannstadt 1990, p.344, si è mostrato al contrario propenso ad attribuire la teoria a un esegeta del Timeo quale Teodoro di Soli, il che urta cronologicamente con la testimonianza di Aristotele (Teodoro di Soli è contemporaneo di Crantore, cfr. in proposito K.v.Fritz, Real-Encycl. V A, 1934, col.1811). Da non attribuire a Speusippo, in ogni caso, è il passo del De motu animalium 699a 123-14, in cui Aristotele polemizza con un autore il quale avrebbe visto la causa del movimento del cosmo nei due poli della sfera cosmica, due punti senza grandezza ma dotati di dÚ namij (Tarán, Speus. of Ath., pp.386-88); ciò implicherebbe l’abbandono della teoria platonica dell’anima del mondo, che Speusippo ha senz’altro condivisa. F 71 Ps. Olympiodorus, In Platonis Phaedonem, II, p.27 Westerink(1) 13 ¢yÚ cou Bernays, Thedinga (De Numenio, p.71), Lang Poiché alcuni rendono immortale la parte che va dall’anima razionale fino alla vitalità, come Numenio(2); altri fino alla natura, come Plotino in qualche luogo; alcuni fino alla parte irrazionale, come, fra gli antichi, Senocrate e Speusippo, fra i più recenti Giamblico (3) e Plutarco (4).
Pag. 52 - Fragmenta 1) Il nostro testo, un tratto di esposizione dossografica delle dottrine sull’anima, è un excerptum delle letture di Damascio dal Fedone ( cfr. Beutler, Real-Encycl. XVIII 1, coll.207-227, in part. 217; Tarán, Speus. of Ath., p.371-72, il quale nota come Damascio fosse a sua volta ampiamente debitore del commento di Proclo al Fedone) .Westerink pone il II volume sotto il nome di Damascio. 2) Per Numenio oltre a questo accenno (fr.46a Des Places) cfr. anche Stobeo, Ecl.I,49, 25, p.350 Wachsmuth = fr.44 Des Places; per Plotino Enn.IV, 7, 14. Plutarco è Plutarco d’Atene, cfr. Beutler, Real-Encycl. XXI,1, 1951, coll.972-75; ma una glossa marginale fa il nome di Paterios, per cui cfr. ancora Beutler, Zu Paterios, “Hermes” LXXVIII, 1943, pp.106-108. Paterios, neo- o medioplatonico scarsamente noto, viene citato talvolta da 0limpiodoro. 3) . Per Giamblico cfr. J.Dillon, Iamblichi Chalcidensis in Platonis dialogorum commentariorum Fragmenta, Leiden 1973, , pp.373-77, con richiamo in particolare a De mysteriis, VIII, 6, 269, ov’è la distinzione delle due anime, l’una di natura intellegibile e divina, .l’altra sottomessa alle vicissitudini cosmiche e al ciclo della necessità. 4) Il passo interessa in primo luogo per quanto riguarda il concetto di ¢log…a, con il quale Olimpiodoro, o piuttosto Damascio, può aver inteso la parte arazionale dell’anima; e questa volta si tratta di anima individuale, e non di anima del cosmo, che conosce moti o affetti estesi fuori del campo delle realtà razionali. Polemizzavano, Speusippo e Senocrate, contro la rigida limitazione posta da Platone in Tim.69c sgg. all’immortalità dell’anima, di cui la sola parte razionale è ritenuta immortale? O semplicemente compivano un atto di esegesi conciliatoria, dimostrando la teoria doversi accogliere in accordo con altre espressioni platoniche, in senso sfumato e traslato, e tentando di spiegare entro certi limiti l’espressione e‹doj qnhtÒ n? H.Dörrie, Kontrov. um Seelenwand., pp..417 sgg., 420-22, ha tentato di analizzare il riferimento, ma sfiorando appena il problema, né ciò stupisce, data la povertà della notizia. E’ certamente difficile non porre in relazione questa serie di indicazioni dossografiche con la teoria pitagorica, accademica, neopitagorica, e passata poi nel medio e neoplatonismo, della metensomatosi; cfr. per questo Zeller, Philos.d.Gr. III,2, p.240: rendere immortale l’anima fino alla œ myucoj ›xij significa in altri termini ritenere che la metensomatosi esiga la conservazione di forme psichiche puramente vitali oltre la morte del corpo. Nell’Accademia antica, una teoria del genere è stata presa in considerazione soprattutto per ciò che riguarda Senocrate, di cui è maggiormente nota la religiosità orientata in senso pitagorico; cfr.Heinze, Xenokr., p.138. Ma Damascio poteva trovare questi riferimenti ai pitagorici e all’Accademia antica in Giamblico, se si pensa al passo di questi da Stobeo riportato in Ecl.I,49, 43 (p.384, 25 sgg. Wachsmuth) ove si attribuisce ai palaiÒ tatoi tîn ƒ eršwn la teoria secondo cui la ¥logoj yuc», anche separata dal suo elemento intellegibile, sopravvive di per sé nel cosmo. In ogni caso, lo ¥logon o la ¢log…a si caratterizza di per sé come arazionale o come ciò che esce dai limiti dello strettamente razionale, come p£qoj, Ô rexij, come tendenza psichica e non come vita psichica più elementare; e la posizione qui data come antico-accademica e in pari tempo giamblichea sembra distinguersi da quella più ampiamente pitagorizzante, che parifica nella vita psichica e nella trasmigrazione delle anime tutto l’universo fino alle stesse piante. Non si riferisce all’elemento vitale di per sé considerato, ma a quel complesso di facoltà psichiche che si differenzia dal logikÒ n. Anche precisato questo, tuttavia, non possiamo sottrarci alla sensazione che l’accenno alla dottrina di Speusippo e di Senocrate si inserisca qui in un contesto ad essa profondamente estraneo, e che lo scoliasta abbia utilizzato uno spunto che probabilmente gli giungeva già avulso dal suo contesto e dalle motivazioni sue proprie, attraverso tradizione dossografica ulteriore.
Fragmenta - Pag. 53 F 72 Philodemus, De pietate, fr.C, 7b 1, p.72 Gomperz (nuova ed. D.Obbing, Oxford 1996) 1 ™laeipoÚ saj R … il quale dice che le anime dei buoni sono delle vere e proprie forme divine, ma sono molto scarse e in piccolo numero (1). 1) Sulla scorta di una supposizione del Diels, Dox.Gr., p.258, il passo viene attribuito a Speusippo dal Lang, Speus.acad.scr., p.80. Ma la supposizione si basa solo sulla posizione del passo, che è immediatamente precedente ad uno sul Perˆ filosof…aj di Aristotele, e deve quindi essere antico-accademico; e infatti Diels si richiama al passo già citato di Olimpiodoro (F 71) che cita tuttavia anche Senocrate. La dottrina qui richiamata è platonica: cfr. Leges, III, 691 e, ove si parla di qe…a dÚ namij commista a fÚ sij ¢nqrwp…nh. Platonica è anche la convinzione che pochissimi siano i buoni, quelli che conoscono il bene, cioè i filosofi (Resp.VI, 491a sgg., 494a). Speusippo può aver raccolto e fatto sua tale posizione, ma la questione dell’attribuzione resta incerta.
Margherita Isnardi Parente SPEUSIPPO. TESTIMONIANZE E FRAMMENTI
FRAGMENTA
Etica F 73 Aristoteles, Eth.Nicom. VII,13, 1153b 1-7 1 kaˆ (1) om. Kb Mb 3 pro ti, te Lb post kakÒ n add. º pr.Kb, ½ corr.Kb² G Che il dolore sia un male, tutto lo ammettono concordemente, e anche ch’esso è da fuggirsi. Ma il dolore può essere un male in assoluto, oppure solamente in quanto è d’impedimento a qualcos’altro. E quello ch’è opposto a qualcosa che è da fuggirsi, e da fuggirsi in quanto male, deve essere un bene: quindi, il piacere deve essere un bene. Speusippo (1) argomentò di contro che il più è opposto al meno così come all’uguale; ma l’argomentazione non regge: egli non potrebbe ammettere, infatti, che il piacere sia un male (2). 1) Il passo di Aristotele non si differenzia nella sostanza dal frammento seguente, se non per il fatto che qui Speusippo è citato con precisione. La conclusione di esso, che cioè Speusippo non avrebbe potuto ammettere il carattere negativo, sempre e in ogni caso, del piacere, è deduzione di Aristotele, mentre il secondo passo ci assicura che Speusippo ha negato al piacere la qualifica di bene Berti, Dibattito sul piacere, pp.135-158, ha segnalato altri passi probabilmente riferentisi a Speusippo nella Nicomachea, VII, 1152b 16-19, 1153b 19-21, X, 1173b 20-1174a 1. Di essi si dirà meglio nel corso della nota. 2) Aristotele è in polemica nel primo caso con Speusippo, mentre nel secondo caso difende Eudosso dagli attacchi di Speusippo. Ma procediamo con ordine nella contrapposizione non solo di Speusippo a Eudosso, ma in quella, già prima, di Speusippo a Platone. Nell’orizzonte di Platone, infatti, vi è spazio per una kaqar¦ ¹don», ‘piacere puro’ (Phileb.52c sgg., 66b-c); un piacere che si riscatta dalla sua condizione di pura gšnesij e che è già in realtà totalmente nella mo‹ra del bene, perché consegue al raggiungimento della conoscenza. Joachim.Rees, Aristotle. Nicomach. Ethics, p.234 sgg., hanno esposto e puntualizzato con esattezza la posizione di Speusippo: questi ritiene che il piacere sia pura gšnesij o processo, e un processo non può esser mai un bene; che il saggio debba evitare e fuggire i piaceri; che ogni bene non possa altro che esser prodotto di tšcnh, e che quindi il piacere non sia un bene; e non può esserlo anche perché ad esso aspirano esseri inferiori, come bambini o animali. In ogni caso, questi doveva ritenere il piacere uno stato fluido, quindi ¥peiron o ¢Ò riston, o, in altri termini, negativo. La sua differenza dalla dottrina di Platone è quindi marcata. Ma Platone e Speusippo si contrappongono ancor più decisamente a Eudosso. La contrapposizione Speusippo-Eudosso è stata posta in luce in una fase relativamente recente della critica, a mano a mano che l’interesse degli studiosi si è andata concentrando sulla portata filosofica delle tesi eudossiane. Zeller, Philos.d.Gr. II,1, p.1009 nt.4, si dimostra ancora dell’opinione che il bersaglio fosse piuttosto Aristippo, pur se indicazioni relative a Eudosso fossero già state temporaneamente avanzate. La critica posteriore non lo ha tuttavia seguito, ravvisando sempre più in Eudosso l’avversario edonistico di Speusippo: cfr. Burnet, The Eth.s of Arist., pp.330 sgg., 444 sgg.; Döring, Eudox. Speus. und der Phil., pp.113-129; Philippson, Akad. Verhandl. Lustlehre, p.468 sg; .Bignone, Aristotele perduto,,I, p.177 sgg.; E.Antoniadis, Aristippos und die Kyrenaiker, Gottingen 1916, p.88 sgg.; Frank, Begründ.mathem. Naturwiss. p.148 sgg.; H.Karpp,
Pag. 2 - Fragmenta (II) Untersuchungen der Philosophie des Eudoxos von Knidos, Wurzburg 1933, p.21 sgg.; fino alle più recenti posizioni di F.Dirlmeier, Aristoteles, Nikomachische Ethik, Berlin 1964, p.503, e Lasserre, Fragmente des Eudoxos, pp.151-156, che pone a confronto sistematico i passi di Aristotele sull’uno e l’altro autore. Ipotesi particolarmente sottile quella del Philippson, secondo il quale Speusippo non farebbe che riutilizzare contro Eudosso argomenti già usati contro Aristippo il Metrodidatta; un’eco di questa polemica ci sarebbe resa da Diogene Laerzio, II, 87-89, il quale nelle sue testimonianze sull’edonismo cirenaico usa la parola tipicamente speusippea di ¢oclhs…a (per cui cfr. F 83 infra). Che la contrapposizione Eudosso-Speusippo sia un’eco di un simposio accademico credette di poterlo sostenere Frank, Begründung, p.149 sgg., ma trova scarsa accoglienza in Lasserre, Eudoxos, p.155. R.A.Gauthier e J.Y.Jolif, Ethique à Nicomaque,², intendono la teoria della ¹don»-gšnesij come una teoria formulata da Aristippo e sfruttata da Speusippo a scopo antiedonistico, dimenticando però il carattere tutto platonico di essa. C’è però altro da dire e di più importante. Sulla base di questo passo aristotelico come dell’altro che segue, lo schema dell’etica speusippea è stato ricostruito nella forma kakÒ n- ¢gaqÒ n - kakÒ n; in altri termini ¹don» e lÚ ph, come due diversi mali opposti fra loro, sono entrambe contrapposte a quel vero bene che è, vedremo fra poco (F 83 ) la assenza di dolore, la ¢oclhs…a. Sulla base di Divisiones arist. 68 cod.marc., p.66 Mutschmann, già lo Hambruch, Log.Reg., p.14, notò questa caratteristica formale, reperibile sia nelle Divisiones, sia nelle argomentazioni antispeusippee di Aristotele. Philippson, Akad.Verhand., p.447 sgg., fu già attratto da questo principio così simile a quello che governa l’etica di Aristotele, secondo la quale il bene si pone sempre come mšson, intermedio fra Ø peroc» e œ lleiyij, e cioè fra due infrazioni della misura. Ma in Philippson questa tesi si accompagna ancora alla tesi dell’opposizione a Platone (Akad.Verhandl., p.468) e all’interpretazione del Filebo come polemico nei riguardi di Speusippo (cfr.anche Wilamowitz, Platon, II, pp.270-73). Krämer, Arete, p.178 sgg., 345 sgg., in un’ampia analisi dell’etica della mesÒ thj come derivata dalla ontologia platonica, ha puntualizzato invece, come si vedrà meglio più oltre, la assoluta continuità, sotto questo punto di vista, di Platone con Speusippo e Aristotele. In Phileb.44a sgg., Platone ha polemizzato contro certi duscere‹j che non riconoscono al piacere nemmeno lo stato di una realtà esistente. Il passo è stato dapprima interpretato come diretto contro Antistene e i Cinici (Zeller, Philos.d.Gr. II,1, pp.308-309), poi contro Democrito ( Natorp, Die Ethica des Demokritos, Marburg 1904, pp.110, 179; cfr. già prima R.G.Bury, The Philebus of Plato, Cambridge 1897). Ma più di recente la polemica si è spostata sull’Accademia, e si è posto in rilievo come Platone spesso sia duro verso la sua scuola, e non la risparmi. Mentre Diès, Platon, Phil. p.LX-LXII, e ancor più R.Hackforth, Plato’s Examination of Pleasure, Cambridge 1945, 1968², p.87, esprimono dubbi sulla possibilità questa identificazione, la segue Gauthier (cfr.Gauthier-Jolif, Eth.Nicom.², II, p.800-02), giungendo anche a infirmare per questa via lo schema tripartito dell’etica speusippea: se in Platone vi è la posizione di due situazioni reali, la lÚ ph che è male, e la ¢pallag» tîn lupîn, che è un bene e anche piacere (Phileb.44b 1 sgg.), in Speusippo vi sarebbe invece la posizione di due realtà analoghe e di un piacere che non è una vera situazione reale, ma una pura gšnesij, un passaggio dall’una all’altra. Posizioni vicine a queste, con qualche sfumatura di differenza, troviamo in Schofield, Duscere‹j, pp.2-20; saggio di cui è interessante soprattutto la parte terminologica con l’analisi del termine duscere‹j, che l’autore pone in relazione con la duscšreia come ‘difficoltà logica’ di più passi aristotelici relativi a Speusippo (Metaph.1086a 2-5, 1090a 7-10, 1091a 33); non si può ricavare alcuna prova certa da queste analogie terminologiche, ma non è nemmeno il caso di respingerle decisamente come fa Tarán, Speus.of Ath., p.80, nt.382, basandosi su diverse traduzioni del passo nel suo insieme. Tarán, per suo conto, ritiene che Speusippo non abbia concepito il piacere puramente come un male, e ciò risulterebbe dalla forma stessa del passo di Aristotele (EN 1153b 6-7, oÙ k ¨n fa…h). . A chi peraltro conduce in questa forma l’analisi del passo del Filebo, si può obiettare come la ricostruzione della dottrina speusippea del bene e del piacere su base bipartita anziché tripartita non appaia accettabile, per più ragioni. Non è, anzitutto, una forma sufficiente di distinzione fra Platone e Speusippo. Anche per Platone la gšnesij, nella sua contrapposizione alla oÙ s…a, è uno stato di
Fragmenta (II) - Pag. 3 non vero essere, ma Platone non conduce mai le sue posizioni alle estreme conseguenze, affermando in questo caso la non esistenza del piacere: il piacere è uno stato di natura sensibile, e può riscattarsi solo in quanto ‘piacere puro’, cioè collegato all’intellegibile. In ogni caso, gšnesij non è solo un passaggio, ma uno stato, e come tale può costiture una parte di realtà accanto allo stato puro e reale di sussistenza.. Se Speusippo è riconoscibile come sostenitore di un mšsoj b…oj, come è ragionevole opinione di Stenzel (Speus., coll.1666-67), è piuttosto da sottolinearsi l’adesione di Speusippo allo schema platonico del Filebo, e con ciò il contrasto fra uno stato assolutamente neutro (la ¢oclhs…a) e il contrasto Ø peroc»- œ lleiyij, piacere-dolore; in definitiva, un’etica fondata sulla metriopaq…a piuttosto che su un antiedonismo rigoroso. In questo caso si può aderire all’analisi di Krämer, Arete, p.178 e nt.67, che ritiene l’etica di Speusippo fondata saldamente sull’ontologia platonica; l’ontologia platonica tardiva, aggiungiamo, quella appunto del Filebo, la teoria della misura equilibrante gli opposti più-meno, caratterizzati dal proprio contrapporsi. E rispetto a questa fondamentale somiglianza anche aspetti minori, come una maggiore accentuazione dello stato di irrilevanza del piacere o di negatività di esso, sono in definitiva secondari. All’esigenza suddetta non si nega neppure Tarán, Speus.,p.438 sgg., quando afferma essere la ¢oclhs…a un bene in quanto indivisibile e gli stati di piacere e dolore un male non di per sé, ma solo in quanto stati di divisibilità. Beninteso, Krämer accetta come platonico anche il discussissimo passo di Sesto Empirico, Adv.phys.II, 268 sgg., passo nel quale ritorna certamente il rapporto Ø peroc»-œ lleiyij, ma in uno stadio di rielaborazione certamente ulteriore di tradizione accademica e neopitagorica: rimando per questo al già citato Isnardi Parente, Sesto, Platone, p.143 sgg., e anche a Gaiser, Quellenkrit Probl., passim, che, pur aderendo all’interpretazione platonica del passo, mostra una maggiore cautela nell’individuarne le fonti neopitagoriche. Il rapporto si colloca molto sottilmente nell’Accademia stessa, che mostra chiaramente per più punti l’immediata esegesi sistematizzante di Platone. Nell’Epinomide stessa, forse ad opera di Filippo d’Opunte, si impone la presenza di una teoria operante già in seno alla primissima Accademia (990e-991a), la teoria di un rapporto fondamentale di uno a due (›n prÕ j dÚ o kat¦lÒ gon) posto dalla natura alla base della realtà, che si risolve, nello sviluppo complessivo dell’essere, in un complesso rapportarsi di più a meno, di me‹zon a ›latton, di Ø peršcon a Ø perecÒ menon (ma anche qui vi è da citare la diversa opinione del Tarán, Academica., p.333, che esclude radicalmente dall’Epinomide ogni riferimento alla dottrina dei principi; contro di ciò cfr. Isnardi Parente, “Riv.Filol.Istr.Class.”CIV, 1976, p.338). L’etica speusippea, con l’individuazione di un valore intermedio fra due non-valori rappresentati da eccesso e difetto, in questo caso da piacere e da dolore, si inquadra dunque senza difficoltà nell’ambito dell’assiologia platonico-accademica. La teoria aristotelica della mesÒ thj mostrerà quanto questa applicazione sia stata feconda in seno al platonismo. F 74 Aristoteles, Eth.Nic. X, 2, 1173a 5-9 8 kaˆ post g¦r add. Lb G mhdetšrJ G, mhdštera Kb Lb, mhdšteron Mb Non sembra che si sia argomentato rettamente intorno ai contrari. Essi dicono: non è vero che, se il dolore è un male, necessariamente il piacere sia un bene; infatti possono essere opposti un male a un altro male, ed entrambi a qualcosa che non né bene né male (1). 1) In questo contesto Aristotele polemizza prevalentemente contro Eudosso, il quale riteneva che il piacere fosse un bene (supra, F 73), ma più debolmente, come ha notato di recente Berti, Dibattito sul piacere, p.135 sgg. Il passo in questione riguarda Speusippo. Il significato del passo è però di carattere logico: un opposto può contrapporsi ad un altro, il piacere al dolore, senza inficiare lo stato medio, in cui consiste il bene. E una volta di più ci ribadisce la posizione dell’etica della mesÒ thj, comune nell’Accademia, scambiandosi però i termini del rapporto.
Pag. 4 - Fragmenta (II) F 75 Aspasius, In Arist.Eth.Nicom., p.150,3-8, 19-26 Heylbut 4 ¢gaqù Heylbut, ¢gaqÒ n N, ¢gaqoà Z 7, feuktù feuktÕ n À ¢gaqÒ n ZN Diels e‹poi Heylbut, e‡ph ZN
8 add.
Si dice che Speusippo dimostrasse così che il bene è piacere: ciò ch’è l’opposto di un bene, è un male; ora, il dolore, ch’è un male, è contrario al piacere; e quindi questo è un bene. MaAristotele non argomentava così; corresse invece l’argomentazione, dicendo: il contrario di una cosa che è da fuggirsi, in quanto questa è da fuggirsi, è un bene; il piacere è l’opposto del dolore, che è da fuggirsi, e non è un male – nessuno potrebbe dire che il piacere è un male – quindi è un bene … E afferma: “così Speusippo argomenta, ma l’argomentazione non regge”. O con argomentazione intende la dimostrazione, o realmente egli ha risolto l’argomentazione di quelli che dicono il piacere essere un bene. Non sembra però risolverla a sufficienza quando dice: l’opposto di un male è un bene. Infatti il piacere è l’opposto del dolore, che è un male, e quindi è bene; però al male non è opposto solo il bene, vi può infatti essere anche un male che sia opposto a un altro male: per esempio, alla temerità non è opposto solo il valore, che è un bene, ma anche la viltà, che è un altro male; e così rettamente si pone il principio che non solo il bene è opposto al male, ma che anche un male può essere opposto ad un altro (1). 1) Aspasio è il più antico commentatore dell’Etica Nicomachea di cui l’opera ci sia pervenuta (II sec.d.C., cfr. A.Gercke, Real-Encycl. II 2, 1896, coll.1722-23). Egli si basa sullo oÙ k ¨n fa…h di Aristotele per negare che Speusippo abbia identificato il piacere con un male, in quanto opposto al bene; e, per quanto la sua interpretazione sia errata, ha trovato un certo successo fra critici moderni diversi (cfr. supra, F 74). F 76 [Heliodorus], In Ethica Nicomachea, p.158, 20-30 Heylbut E’ chiaro che, per assoluta necessità,il piacere è l’opposto del dolore, e che l’uno è da fuggirsi in assoluto, mentre l’altro solo in determinati casi; quindi si dovrà dire che a quello ch’è male in assoluto si oppone quello ch’è bene in assoluto, a quello ch’è male in certi casi quello ch’è bene in certi casi. Non risponde quindi a verità la soluzione che Speusippo cercò di dare a questo problema. Infatti egli dice che, così come il più e il meno sono opposti all’uguale, e delle virtù le une sono opposte alle altre, allo stesso modo anche all’assenza di dolore sono opposti sia il piacere sia il dolore: il piacere come più, il dolore come meno; e così l’assenza di dolore è bene, mentre sia il dolore che il piacere sono mali. Ma questo discorso è privo di senso: a nessuno, infatti, il piacere sembra essere un male; nessuno direbbe che il piacere, così com’è, è un male (1). 1) Il commentatore è stato identificato dal Rose, e sulle sue orme dallo Heylbut, con Eliodoro di Prusa, contro l’identificazione più antica e certamente falsa di Andronico di Rodi; cfr.V.Rose, Über eine angebliche Paraphrasis des Themistios, “Hermes” II, 1867, pp.191-213, e di seguito Heylbut, Praefatio a CAG XIX 1, pp.V-VIII; in prop.Lang, Speus.Acad.scr., p.83. Egli segue lo schema tripartito, senza però usare il termine tipico di ¢oclhs…a e valendosi invece del termine più comune di ¢lup…a; termine, fra l’altro, di uso sofistico, cfr. Antifonte, 87 A 35 DK. Questa osservazione è del resto valida per tutti i commentatori del passo. F 77 Eustratius, In Ethica Nicomachea, p.452,26- 453,2 Heylbut 30, kak£ Aldina, kakÒ n B 32, ¢lup…a B Se dunque il dolore è un male ed è da fuggirsi, e di. ciò che è da fuggirsi, in quanto tale o perché è un male, l’opposto è il bene, ne consegue che il piacere deve essere un bene. Infatti, nel caso di contrarii che non ammettono un medio termine, se uno dei due è un male, l’altro sarà un bene. Si
Fragmenta (II) - Pag. 5 ammetta pure che vi sia compreso anche un male: ad esempio, se poniamo insieme il valore, la viltà e la temerità, ecco che viltà e temerità risultano entrambe opposte al valore. Ed ecco qui l’obiezione mossa a Speusippo. Speusippo diceva che il più si oppone al meno e all’uguale, e che i punti estremi, cioè il più e il meno, sono male, mentre il mezzo, ch’è l’uguale, è il bene. Perciò anche il piacere si oppone sia all’assenza di dolore che al dolore; e i punti estremi, cioè il piacere e il dolore, sono mali, mentre il medio, cioè l’assenza di dolore, è il bene."Come Speusippo ha argomentato”, cioè che piacere e dolore sono mali, l’assenza di dolore è bene, “è argomentazione che non regge”, nel senso cioè che non può essere universalmente approvata. Tutti infatti concordano nel dire che il piacere è un bene, e nessuno direbbe che il piacere, in quanto tale, è un male; sia nel senso che si prenda il male come genere e si consideri il piacere una specie del male, sia che lo si identifichi senz’altro col male, cosa cui nessuno vorrebbe consentire (1) . 1) Espressione tipica di questo Anonimo, che si è voluto identificare con Eustrazio, è quell’ ¥kra di p.452, 32 Heylbut; che troviamo tuttavia anche in Michele Efesio, p.539, 10 Heylbut, e nello Scoliaste, p.219,20 Cramer. Trovammo già un’espressione del genere in Teofrasto, F 40 supra; e questa dei commentatori può aiutarci a comprenderne il significato. I commentatori non leggevano più direttamente Speusippo, leggevano però l’operetta teofrastea, di cui già Nicola Damasceno (I sec.a.C.) aveva riconosciuto l’autentica paternità, contro l’errata tesi dell’attribuzione ad Aristotele. F 78 Scholion in Eth.Nicom., p.239, 16 –21 Cramer Speusippo diceva che il piacere e il dolore sono mali opposti, e che l’assenza di dolore è uno stato intermedio fra l’uno e l’altro; ma è confutato (da Aristotele) per aver male argomentato; non ogni piacere, infatti, è vile, e vi sono anche i piaceri buoni, per esempio quelli dei saggi; né lo è dovunque, o altrimenti si dovrebbe dire in generale che tutte le cose intermedie sono buone, e che è il caso di consigliare sempre, fuggendo gli estremi, di attenersi al medio (1). 1) Interessante per le ¹donaˆ tîn swfrÒ nwn, ‘i piaceri dei saggi’, che ricordano le kaqaraˆ ¹dona… del Filebo. F 79 Michael Ephesius, In Eth.Nicom., p.538,35-539, 19 Heylbut Il discorso che argomentava essere il piacere un bene era questo: se il dolore, ch’è l’opposto del piacere, è un male, ne consegue che il piacere è un bene. Ma da che si arguisce che il dolore è un male? Dal fatto che tutti lo fuggono. Ma contro questo discorso che argomenta, in base al contrario, che il piacere è un bene, Speusippo ne avanzava un altro, che dice così: non necessariamente, per il fatto che il dolore sia un male, ne consegue che il piacere, ad esso opposto, sia un bene. Alla temerità, ch’è un male, si oppone la viltà, e la viltà non è certo un bene, ma un altro male. E così pure alla pusillanimità, ch’è un male, si oppone la tracotanza, ch’è anch’essa ugualmente un male; e la meschinità si oppone alla prodigalità senza freni, ed entrambe sono mali. Perciò, diceva ancora Speusippo, un male è contrario a un altro male, e i due mali si contrappongono a qualcosa che non è l’un né l’altro, ossia entrambi i mali si contrappongono al bene. Diceva infatti che il bene non è né l’una cosa né l’altra: le virtù, essendo medietà, non ricadono né sotto l’uno né sotto l’altro degli estremi. Il valore non è né viltà né temerità; la assennatezza non è né pusillanimità né sfrenatezza; e così ugualmente si può dire di tutte le altre virtù. Ora, tutto questo è giusto: è infatti vero che un male si oppone a un altro, e entrambi al bene. Questo, Speusippo e i suoi lo dicono giustamente; ma non dicono giustamente che il piacere si opponga come un male a un altro male. Il piacere infatti non si oppone al dolore come un male a un altro male, ma come un bene a un male; giacché, se veramente il piacere fosse un male, sarebbe da
Pag. 6 - Fragmenta (II) fuggirsi e da odiarsi come il dolore. Ora, tutti gli esseri fuggono il dolore e lo respingono come un male, mentre inseguono e rincorrono il piacere come un bene (1). 1) Questa volta si tratta di un commento a Eth.Nicom.1173a 5 sgg. Espressione tipica è mesÒ thtej per indicare le virtù, che sono appunto in Aristotele stati medi ( cfr. il ricorrere frequente della parola in Eth.Nicom. II, 1108b 11 sgg.). Il commentatore la applica liberamente a Speusippo, modellandosi però sul testo aristotelico. F 80 [Heliodorus], In Eth.Nicom., p.211, 37- 2121 Heylbut Fanno questa obiezione al primo discorso di Eudosso, e quest’altra al secondo, che argomenta per contrari; non necessariamente, dicono, se il dolore è un male, il piacere è un bene. Non è detto che, se una cosa è un male, il suo opposto ia un bene; vi sono anche mali opposti fra loro: per esempio la pusillanimità è opposta alla tracotanza, e tutte e due sono mali; l’una e l’altra poi sono opposte alla moderazione. Non parlano quindi rettamente né dicono il vero circa il piacere (1). 1) E’ il seguito del commento di Eliodoro già visto supra. Riguarda però soprattutto il testo di Eudosso, a commento di Eth.Nicom.1173a 5 sgg.; nonostante ciò Lang ha creduto di porlo come fr.60h della sua raccolta. F 81 Aulus Gellius, Noctes Atticae IX, 5,4 5 autem esse Fg tamen esse Q Speusippo e tutta l’Accademia antica dicono che il piacere e il dolore sono due mali opposti fra loro, e che tuttavia è bene ciò che si ponga come termine medio fra di essi. 1) Passo assai chiaro e semplice, che riassume, senza nulla aggiungerle, l’etica di Speusippo, così come la vedeva la tradizione dossografica. F 82 Aristoteles, Metaph. I,6, 1056a 30-35 31 œ sesqai: lšgesqai E gr 33 e‡per P di¦tÕ Alr 34 toà om.Ab Né sono nella retta opinione quelli che credono che tutto si predichi similmente (1). Essi dicono che intermedio fra il vestito e la mano è ciò che non è vestito né mano, così come intermedio fra il bene e il male è ciò che non è né bene né male; come se fra tutte le cose dovesse esserci sempre di necessità un intermedio, mentre invece non è così (2). 1) E’ assegnato a Speusippo da Elders, Arist. Theory One, p.133 sgg., e respinto da Tarán, Speus. of Ath., che non lo segnala fra i frammenti. L’identificazione si basa sul termine Ðmo…wj, 1056a 31; ma la frase viene tradotta per lo più genericamente (Ross, Metaph.II, p.293, Carlini, Metaf., p.339; Reale, Metaf., II, p.1123; Viano, Metaf., p.453). E in realtà vedere nell’Ðmo…wj lšgesqai di questo passo un accenno a chi sostiene la teoria dei simili è per lo meno azzardato: essa non si riferisce, come qui, all’ambito delle distinzioni categoriali, ma all’ambito della definizione degli esseri singoli; cfr. infra, F 95. 2) Sulla base di Metaph.1088b 32, Elders ritiene di poter affermare che, nella divisione categoriale che distingue entità per sé, in opposizione, relative ( Simplicio, In Arist.Phys., p.247, 30 sgg. Diels = Ermodoro, fr.7 I.P.), Speusippo avrebbe eliminato i relativi come categoria, d’altra parte identificando le entità per sé con gli esseri determinati, e ravvisandoli nei numeri. Non ci risulta però descritto in alcun modo un simile schema, né esso coincide in realtà con quello fissato con ben altra precisione da Eth.Nicom.1153b.
Fragmenta (II) - Pag. 7
F 83 Clemens Alexandrinus, Stromata, II, 22, 133, p 186, 19-23 Stählin (1) Speusippo, il nipote di Platone, dice che la felicità è una disposizione perfetta alle cose che sono secondo natura, oppure una disciplina relativa ai beni( 2); a questa disposizione tutti gli uomini hanno una certa tendenza, ma i buoni cercano in particolare l’assenza da affanni (3). Le virtù sarebbero per lui produttrici di felicità. 1) E’ un passo importante anche se di carattere tardivo: Clemente doveva attingere a fonte antica, anche se non direttamente a Speusippo. La felicità è per Speusippo una ›xij ( ›xij tele…a o ›xij ¢gaqîn) mentre per Aristotele è una ™nšrgeia ( Eth.Nicom. X, 1176b 33 sgg., cfr. anche Eth.Eud., II, 1219b 36-39), ma comune all’uno e all’altro è il concetto di teleiÒ thj, ‘perfezione’, che definisce questo stato. Antico-accademica è probabilmente la definizione che ne compare negli “Oroi pseudoplatonici, 412d (teleiÒ thj kat/ ¢ret»n). 2) L ‘origine antico-accademica del naturalismo etico stoico è stata posta da Cicerone con qualche enfasi per accentuare l’unità originaria che era sostenuta da Antioco di Ascalona, e, nonostante le incertezze degli studiosi, è ipotesi che in definitiva regge (cfr.Pohlenz, Stoa, I, p.251 sgg.; ma vedi conunque F 84). Cfr., per i molti motivi speusippei presenti in Antioco, Luck, Der Akad. Antiochos, pp.59, 62, in base a passi ciceroniani quali Acad.pr.38, post. 19, De fin.II,34, V,86, V,44, Tusc.Disp.V,48, non senza tuttavia qualche esagerazione. Non si può affermare comunque in assoluto che lo ™n to‹j kat¦fÚ sin di Clemente risalga direttamente a Speusippo. 3) Il termine qui indicato come speusippeo è ¢oclhs…a, e la cosa è accettabile; termine e concetto avranno la loro importanza nella storia del Peripato, con Critolao e Ieronimo di Rodi, e la questione tornerà poi ad essere dibattuta nella opposizione di Posidonio all’etica di Panezio (cfr.Grilli, Vita contempl.², pp.101 sgg., 123-133). Il problema della felicità come assenza di dolore ha una lunga storia nel pensiero greco; ma la differenza che caratterizza Speusippo dagli autori dell’ellenismo (dalla ¢kataplhx…a di Nausifane alla ¢tarax…a di Epicuro o degli Stoici) è che la ¢oclhs…a non è per lui uno stato edonico, ma di felicità vera, che, come abbiamo visto, si differenzia nettamente dal piacere ( cfr., pur se l’antiedonismo di Speusippo risulta da tale autore eccessivamente accentuato, Bignone, Arist. perd., II, pp.320-21). F 84 Cicero, Tusc.Disp.V, 10, 30 Non concedo dunque facilmente né al mio Bruto, né ai nostri comuni maestri, né a quegli antichi filosofi come Aristotele, Speusippo, Senocrate, Polemone, che si possano collocare fra i mali tutte quelle cose che ho sopra enumerate e allo stesso tempo si possa affermare che il sapiente è sempre felice (1). 1) E’ tema antiocheno, che Cicerone riprende. La teoria dei beni esterni come beni autentici, seppur minori, è attribuita insieme ad Aristotele e agli Accademici antichi; cfr. anche più oltre, Tusc.Disp.V, 30,85; in ciò essi vengono contrapposti a Pitagora, Socrate, Platone. Le cose che egli ha sopra enumerato sono mali esterni, come la povertà, l’oscurità, la solitudine, la perdita dei propri cari, ecc. Per la derivazione da Antioco cfr. R.Hirzel, Untersuchungen zu Ciceros Philosophischem Schriften, Berlin 1883-1887 (Hildesheim 1964) II, p.715 sgg.; Pohlenz, Stoa, I, p.251 sgg.; Luck, Akad.Antiochos, pp.21 sgg., 42 sgg.; W.Görler, Untersuchungen zu Ciceros Philosophie, Heidelberg 1974, pp. 162 sgg., 198-200; Goerler fa però bene intendere come la concezione della sostanziale unità fra le tre scuole filosofiche sia concepita da Cicerone in netto contrasto con quella antiochena, dando cioè alla Stoa il posto preminente (cfr.soprattutto p.199, nt.28). C’è da chiedersi, inoltre, se qui Speusippo sia
Pag. 8 - Fragmenta (II) nominato puramente e semplicemente come una sorta di simbolica allusione all’Accademia antica. F 85 Cicero, Tusc.Disp.,V, 13, 39 8 omnes Bf omnis cet. Se è felice tutto ciò cui nulla manca, ciò ch’è completo e perfetto nel suo genere, e se ciò è proprio della virtù, è certo che tutti noi che possediamo la virtù siamo felici. In ciò sono d’accordo con Bruto, ma anche con Aristotele, Senocrate, Speusippo, Polemone. A me però sembra che siano anche sommamente felici. Che cosa manca per vivere felice a colui che si affida a quei beni che sono veramente suoi propri? E non si affida del tutto ad essi, necessariamente, chi divide i beni in tre categorie (1). 1) L’enumerazione anche qui è troppo completa perché si debba considerare il passo come una sicura attribuzione a Speusippo. Diversa può essere la cosa per Polemone, filosofo fra quelli dell’Accademia antica che Antioco sembra aver prediletto (Luck, Akad.Ant.,p.21). Ma un problema storico reale è quello della distinzione fra ‘vita beata’ e ‘beatissima’; cfr. lo stesso Cicerone altrove, Acad.post .6, 22, e Clemente Alessandrino, Strom.II, 22, 11, p.185, 17 sgg. Stählin. Il possesso della virtù è felicità assoluta e suprema, che annulla la qualifica di beni per ogni altra realtà che con la virtù non coincida; questo è il passo che l’Accademia antica, con Aristotele e il Peripato ulteriore, non si è decisa a compiere. F 86 Cicero, Tusc.Disp., V,31,87 1, horum f, honorum X 4, nimiis blandimentis Schiche minimis F Pohlenz
minis blandimentisve
A giudizio di costoro, conseguirà da ciò che la vita felice possa anche coesistere coi tormenti e che la virtù discenda con essa nel toro di Falaride – ciò secondo l’opinione di Aristotele, Senocrate, Speusippo, Polemone – né mai, per corrotta che sia da blandizie, potrà separarsi da essa (1). 1) Il motivo del saggio ‘felice anche nel toro di Falaride’, cioè fra i peggiori tormenti, è stato sfruttato abbondantemente dall’ellenismo, ma è anteriore ad esso, dato che in Aristotele, Eth.Nicom.VII, 1153b 17 sgg., abbiamo una polemica esplicita contro tale teoria (dal Bignone, Arist.perd., I, pp.161 sgg., 212-215, considerata polemica contro sé stesso, ma con scarsa probabilità). Cfr., per Epicuro, fr.601 Us., Cic. Tusc.Disp.II,7,17, V,10,31 , De fin.II, 27,88, oltre al passo qui citato, in cui è un difensore di Epicuro a parlare; Seneca, Epist.66,18; 67,15; Lattanzio, Div.Inst.III, 27,5. Per la Stoa Gregorio di Nazianzo,Epist.32= SVF III, 586. F 87 Cicero, De legibus, I, 13, 37 –38 4 expetenda H, expectanda AB 9 cum H, dum AB E perciò mi guardo dal far sì che si pongano principii non ben vagliati ed esaminati in precedenza, né tali che possano essere approvati da tutti, il che non è possibile; ma piuttosto tali da essere approvati da coloro che hanno sempre ritenuto che ciò ch’è retto e onesto sia da desiderarsi di per sé stesso, e ciò che non è di per sé lodevole non sia affatto da annoverarsi fra i beni, oppure, in ogni caso, non possa esser ritenuto grande bene se non ciò che di per sé possa essere veramente e unicamente lodato. Da tutti, dico, siano essi rimasti nell’Accademia antica (1) con Speusippo, Senocrate, Polemone (2), o abbiano invece seguito Aristotele e Teofrasto.
Fragmenta (II) - Pag. 9 1) Accademia e Peripato sono considerati due rami della stessa scuola, e questo è un altro tratto proprio di Antioco, da cui il De legibus dipende infatti strettamente. Ma il linguaggio filosofico è stoico, di derivazione aristotelica: è il motivo del di/aÙ tù aƒ retÒ n, da Aristotele nell’Etica Nicomachea usato per caratterizzare la vita teoretica e la virtù teoretica e passato poi largamente nella Stoa a caratterizzare la virtù in generale (cfr., di contro, la polemica epicurea attestata da Diogene Laerzio, X,138, e da Cicerone, De fin.I, 12-17, 42-55). 2) Il riferimento a dottrine speusippee è qui più generico che altrove, affidato solo all’accenno finale, del tutto eclettizzante e vago. F 88 Seneca, Epist.85, 18 Senocrate e Speusippo ritengono che si possa essere felici per opera della sola virtù; però non ritengono che l’unico bene sia ciò ch’è onesto (1). 1) E’ probabilmente desunto da Cicerone stesso, e non fa che ripeterne i termini, in contrasto con l’assolutismo etico della Stoa. F 89 Plutarchus, De commun. notit. adv.stoicos, 13, 1065a 1 pîj oƒ toà Leonicus pîj Ó pou EB oƒ toà edid. Basiliensis Vale la pena di riportare il discorso con le stesse espressioni di costui (Crisippo) (1) per capire bene dove essi pongano il vizio e quali discorsi facciano intorno ad esso, loro che accusano Senocrate e Speusippo di non aver considerato la salute un indifferente e di non aver considerato inutile la ricchezza (2).
1) C’è qui l’eco di una polemica stoica contro l’Accademia antica, e la trattazione più ampia del tema si ha in Cicerone, De fin.IV, 17, 49 sgg., dove però non compare il nome di Speusippo. La Stoa ha precisato il concetto di ¢di£foron, e in base a questo rimprovera all’Accademia di aver applicato a valori estrinseci, come la salute o la ricchezza, la qualità di beni. Cfr. per questo Pohlenz, Stoa, I, p.21, II, pp.69-70. 2) Platone ha definito beni la salute e la ricchezza, o affermato che salute e ricchezza possono esser definite in tal modo, in Leges, II, 661a 5 sgg. e V, 728d 6 sgg., e ciò è forse all’origine della scelta degli Accademici, la problematica è comunque diversa, è piuttosto la teoria della mesÒ thj come optimum che non quella della assoluta ¢diafor…a, concetto ignoto a Platone.
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DA OPERE CERTE F 90
Il filosofo
Diogenes Laertius, IX, 23 1-2 æj ... filosÒ fwn om.F E si dice che egli (Parmenide) pose leggi per i suoi concittadini, come dice Speusippo nell’opera Dei filosofi (1). 1) Fra i titoli del catalogo speusippeo l’opera non compare, mentre compare un FilÒ sofoj, ed è probabile che questa sia l’indicazione più esatta. Speusippo non era un autore di b…oi, ma un discepolo di Platone che intendeva trattare un certo modello teorico di vita filosofica. Anche se Momigliano ( Greek Biography, , capp.III e IV passim) ha precisato che la biografia comincia, in Grecia, prima delle raccolte peripatetiche di b…oi, contro la classica tesi di Leo ( Biographie, 1901), è improbabile l’attribuzione a Speusippo di una raccolta sistematica di vite di filosofi. 2) La notizia relativa a Parmenide è assai importante. Da parte di Speusippo, la scelta di un Parmenide politico, e anzi legislatore, assume un particolare rilievo. La nomoqetik» come la parte più elevata della vita politica, fondata sui NÒ moi platonici, è un motivo speusippeo che troveremo presto di nuovo ( F 92), e torna in Aristotele, Eth.Nicom.VI, 1141b 25, ove la troviamo come ¢rcitektonik», direttiva rispetto al resto dell’attività politica in generale. F 91 A Cleofonte. Clemens Alexandrinus, Strom.II, 4, 19,3, p.122 Stählin Speusippo, nel suo A Cleofonte, libro I (1), sembra aver fatto un dicorso simile a quello di Platone,con queste parole: “ se, infatti, il regno è una cosa nobile, e solo il sapiente è veramente re e capo, anche la legge, essendo un discorso retto, è cosa nobile”, il che, in effetti, è (2). 1) Neanche il prÕ j Kleofînta compare fra le opere di Speusippo registrate da Diogene Laerzio nel suo catalogo. Eppure Clemente lo cita come un’opera a più libri, quindi ampia e relativamente importante. Cfr. quanto si è detto sui limiti del catagolo laerziano, supra, Test. 2.. .A proposito di questo dialogo Lang, Speus.scr., p.41, pensa che l’amanuense abbia scritto, in suo luogo, PrÕ j Kšfalon, ma è pura ipotesi. 2) Clemente ci parla di detti simili a quelli di Platone; ma con ciò che leggiamo qui (e sembra trattarsi di citazione precisa) siamo riportati, piuttosto che al Politico, al Minos, e cioè allo pseudoPlatone. In questa operetta pseudoplatonica (così oggi considerata da quasi tutti i critici, con l’eccezione di G.R. Morrow, Plato’s cretan City, Princeton 1960, p.35-39) non è tracciata tanto la figura del filosofo, solo degno di essere re, e ‘uomo regio’ per natura, qualunque sia la sua effettiva posizione, ma piuttosto la figura del re saggio e del suo rapporto con la legge. Così come il Minos parte da un’assunzione di fatto (i nÒ moi giusti sono quelli del re, 317a, 318a), piuttosto che dall’affermazione che solo chi sa veramente è degno di essere re, basilikÒ j, così anche il discorso di Speusippo sembra aprirsi sulla assunzione di fatto della superiore bontà del potere monarchico, della bontà naturale della basile…a, dalla quale si passa poi alla positiva valutazione della legge: il nÒ moj, che è lÒ goj Ñ rqÕ j spouda‹oj, deve intendersi di fatto come il nÒ moj toà basilšwj. Anche nel Minos abbiamo un’affermazione come oƒ basilikoˆ ™p…stantai (317a) che sembra
Fragmenta (II) - Pag. 11 quasi un rovesciamento immediato delle affermazioni del Politico e un travisamento del testo platonico. Potrebbe essere di Speusippo anche il Minos, ma non possiamo fare attribuzioni precise, ci basti dire che anch’esso, come l’Epinomide, si pone a conclusione delle Leggi, alle quali peraltro non corrisponde ( cfr. Isnardi Parente, Sul Minosse pseudoplatonico, “Parola del Passato”IX, 1954, pp.45-53). L’espressione ora citata riprende in parte espressioni della tradizione sofistica e socratica; si ricordi il dialogo fra Ippia e Socrate in Senofonte, Memor. IV,4, 14, ove la legge è definita spouda‹on pr£gma, ed è Socrate, il Socrate senofonteo, in base al suo assoluto lealismo politico, a riaffermare il carattere positivo di essa. Ma essa è anche definita nel Minos ™xeÚ resij toà Ô ntoj, con un’altra parola che nella Sofistica appare assai usata ( cfr. lo eØ r»mata di Protagora in Platone, Protag.326d, Gorgia, B 11a DK, lo ™xeure‹n di Crizia, B 25 Dk ). In questo caso però non si tratta di legge della città, ma – se veramente il concetto è così strettamente collegato a quello di regno, come Clemente ce lo presenta – la legge propria del re. Il che non significa ovviamente la legge emanata dal potere supremo del monarca, concetto che ci porterebbe nell’ambito di una concezione del diritto assai più tarda e tipica del periodo imperiale romano, ma la legge tradizionale di cui il buon re, il re saggio, come saggio è stato Minosse, non farà mai a meno, valendosene di norma e regola nell’agire. Questo concetto del potere monarchico è stato del resto tipico del programma politico perseguito da Platone e da Speusippo a Siracusa (Epist.III,315d, VIII, 354a, ove si esprime l’esigenza di mutare la tirannide in vero regno) e all’ideale di legalità che l’Accademia, e Speusippo in particolare, vedevano incarnato nella monarchia legittima e tradizionale di Filippo in Macedonia (cfr.infra, F 130). La teoria è stata ripresa dagli Stoici, come nota lo stesso Clemente Alessandrino, sì che Gigante (Nomos basileus, p.108, nt.2) ha fuggevolmente avanzato la supposizione che in questo testo si possa leggere CrÚ sippoj anziché SpeÚ sippoj; sembra però che nel testo la distinzione fra gli Stoici e i loro predecessori accademici sia posta da Clemente stesso. Per gli Stoici cfr. soprattutto Stobeo, Ecl.II,7, p.103,9 sgg. Wachsmuth (SVF III, 328) e in genere i frr. III,327-332 raccolti dall’Arnim; per questa eredità platonica Pohlenz, Stoa, I, pp.139-140. Mandrobulo F 92 Aristoteles, Sophist.Elenchoi, 15, 174b 19-27 20 Ø penantièmata u aÙ toà L 22 À prÕ j toÝ j p£ntaj u
24 ™lšgcqesqai Ccu L toàto A¹c
Inoltre, come nella retorica così nei discorsi confutatorii, occorre studiare bene le argomentazioni che sono in contrasto o con le cose stesse che l’avversario dice, o con gli argomenti di quelli con i quali egli concorda quanto a dire e procedere; e anche di quelli che sembrano parlare e procedere rettamente, o di quelli che sono simili a lui, o della grande maggioranza degli uomini, o di tutti gli altri uomini (1). E così come coloro che subiscono una confutazione spesso, nel rispondere, fanno una distinzione, se si avvedono che la confutazione sta per riuscire nel suo scopo, così anche coloro che interrogano dovranno usare lo stesso sistema contro coloro che fanno obiezioni; nel caso poi che l’obiezione parte raggiunga lo scopo, parte no, dovranno dire che hanno inteso la cosa in questo secondo senso, come fa Cleofonte nel Mandrobulo (2).
1) Nel passo si fa una distinzione procedurale circa la possibilità di non rispondere alle obiezioni mosse da altri. Tarán, Speus. of Ath., p.243, ha notato giustamente la somiglianza con la classificazione delle parole fatta da Speusippo e la sua attenzione agli errori; ma il passo era ritenuto speusippeo da tempo; cfr. I.Bywater, The Cleophons in Aristotle, “Journal Philology” XII, 1883, pp.17-30 (citato dallo stessoTarán).
Pag. 12 - Fragmenta (II) 2)Chi è Cleofonte? E si identifica o si può identificare l’opera speusippea con la precedente di cui ci parla Clemente Alessandrino? Così suppose R. Hirzel, Der Dialog, , p.314, nt.2; ma Lang, Speus acad. scr., p.40, è stato piuttosto dell’opinione di Bywater: Cleofonte indica piuttosto un personaggio dell’opera di Speusippo intitolata Mandrobulo. La figura storica di Cleofonte può identificarsi con quella di un poeta epico di cui parla Aristotele stesso negli Elenchi, come vorrebbe Bywater, Cleofons, p.28 sgg., ma anche –ed è più probabile dato l’argomento – del demagogo Cleofonte, caduto vittima della reazione filospartana del 404 a.C. F 93
Anonymos, In Arist.soph.el.paraphrasis, p.40, 8-14 Hayduck 13 poie‹n N 14 mandraboÚ lw codd
Inoltre, come nelle trattazioni che riguardano l’omonimia fanno spesso coloro che sono soggetti a confutazione e debbono dare una risposta (accorgendosi dell’inganno fanno una distinzione ulteriore e affermano di aver voluto intendere qualcosa di diverso da quello cui è giunto chi interroga nella sua conclusione), così anche quelli che interrogano devono valersi dello stesso sistema contro coloro che fanno obiezioni all’interrogazione, affermando di non essere stati confutati: se poi l’obiezione parte raggiunga lo scopo, parte no, dovranno dire che hanno inteso la cosa in questo secondo senso, e insistere nel ripresentare le loro conclusioni, come fa Cleofonte nel Mandrobulo, dialogo platonico (1). 1) L’Anonimo, che parafrasa semplicemente Aristotele, non aggiunge di suo che la precisazione del dialogo come ‘platonico’. Ciò può essere un autentico errore - aver considerato il Mandrobulo un dialogo platonico - ma può significare anche che il dialogo scaturisce da fonte assai vicina a Platone, e in questo caso possiamo benissimo esser ricondotti a Speusippo. Dei numeri pitagorici F 94 .pseudo-Iamblichus , Theologoumena arithmetices, 61,10-63,23, pp.82-85 De Falco 1 Ø pot£nhj M 2 prÕ Boeckh, par¦ M Xenokr£tou M, Xenokr£touj Ast 6 sic Ast, ™kmelšstata M 6-7 sic Ast, polugwn…oij stereo‹j M 8-9 sic Tannery, proj ¥llhla kaˆ koinÒ thtoj M 9 ¢nalog…aj M, ¢nalog…aj Tannery, De Falco ¢ntakolouq…aj M, ¢nakolouq…aj Ast, Tannery 11-12 sic codd., tîn kosmikîn ¢potelesm£twn Ast 12 sic Cherniss, ¢f/ M 13 sic Diels, qemšnwn M, Tarán 14 sic Diels, proekkeimšnh M 15 t¦ dška M, Ð dška Usener Diels 18 poll¦tšleion secl. Ast, Tannery, Diels tšleion De Falco in adnotationibus 20 ˜teromere‹j Ast 21 œ ti Lang, e‹ta Diels 27 p£lin M, p£lin Lang 30 [oƒ ] secl. Ast 32 Tannery 33 [de‹] secl. Diels Lang, def. Tarán 35 tšssara De Falco 37 tÕ ‡son M, ‡son A, tÕ n ‡son R; tù ‡sw Ast 41 stigmÁ j kaˆ grammÁ j Ast, stigmÍ kaˆ grammÍ MA 43 skeptomšnJ MA, skeptomšnJ Lang 49 t¦dš p£nta Lang in adnotationibus , tÕ dš p© n Ast 50 proiën MA, Tarán, proiÕ n Lang 52-53 sic De Falco, Taràn; lacunam varie Ast, Tannery, Lang 58 gwn…aj Lang, gwn…an MA 59 taÙ t¦Lang, taàta MA ¹mitetragènw MA, ¹mitrigènw Tannery Speusippo, figlio di Potone sorella di Platone, scolarca dell’Accademia prima di Senocrate, fu ascoltatore delle teorie eccellentemnente esposte dai pitagorici, e soprattutto fu lettore degli scritti di Filolao; e, avendo raccolto uno splendido libretto sulla base di questi insegnamenti, gli mise a titolo Dei numeri pitagorici (1). Dopo aver discorso, dall’inizio fino alla metà del libro, delle figure lineari a più angoli e di tutte le figure superficiali e solide che esistono nella scienza dei numeri, cioè delle cinque figure che si assegnano rispettivamente agli elementi del cosmo (2), descrivendo
Fragmenta (II) - Pag. 13 la loro proprietà specifica e la somiglianza che le accomuna reciprocamente (3), in seguito – e cioè nella seconda metà del libro –si occupa direttamente della decade, dimostrando come essa sia il più naturale e perfetto di tutti gli esseri (4) in quanto da essa deriva la forma razionale a tutti gli eventi che si verificano nel cosmo, in forma oggettiva e non posta a nostra credenza o a puro capriccio, ma, al contrario, quale esemplare perfetto al più alto grado, posto dinanzi alla divinità autrice del tutto. Intorno ad essa parla in questo modo:" Il numero dieci è perfetto, ed è giusto e secondo natura che tutti, sia noi Greci sia gli altri uomini, ci imbattiamo in esso nel nostro numerare, anche senza volerlo: esso ha molte proprietà sue specifiche, com’è giusto che abbia un numero così perfetto; molte altre, invece, le ha non di sue esclusive, ma, in quanto numero perfetto, deve possedere anche queste (5). In primo luogo deve essere pari, in modo che si siano ugualmente in esso il pari e il dispari senza che preponderi una parte; dal momento che il dispari deve essere anteriore al pari, se non fosse pari il numero che delimita, l’altro sarebbe in sovrabbondanza. Inoltre deve avere uguali i numeri primi e non composti, e i numeri secondi e composti: il dieci li ha in effetti uguali, e nessun numero minore del dieci ha queste sue stesse caratteristiche; quelli superiori al dieci possono averle (così per esempio il dodici e alcuni altri) ma la radice di questi è il dieci; e questo, essendo il primo e il minore di quelli che possiedono tali proprietà, ha un certo suo fine, ed è sua proprietà che in esso si constati un numero uguale di composti e di semplici (6). Così essendo, ancora possiede uguali i multipli e i sottomultipli in quanto tali: infatti ha in sé i sottomultipli fino al cinque, e i loro multipli dal sei fino al dieci. Poiché però il sette non è multiplo di niente, esso è da escludersi; e il quattro, in quanto è multiplo del due, , sì che tutti siano eguali. Nel dieci ci sono quindi tutti i rapporti numerici, quello dell’uguale, del meno-più, del numero epimorio e di tutti i tipi; i numeri lineari, i quadrati, i cubici. Infatti l’uno equivale al punto, il 2 alla linea, il 3 al triangolo, il 4 alla piramide: e tutti questi numeri sono principi ed elementi primi delle realtà ad essi omogenee (7) Quella che si può riscontrare fra di essi, è la prima delle progressioni: essa supera l’uguale, ha la sua somma nel dieci. Nelle superfici e nei solidi gli elementi primi son questi: punto, linea, triangolo, piramide. Tutti contengono in sé il dieci e lo hanno come termine. La tetrade domina negli angoli e nelle basi della piramide, la esade nei lati e negli angoli del triangolo, il che fa di nuovo dieci. Ciò si presenta chiaramente anche a chi esamini le figure sotto l’aspetto del numero: primo infatti è il triangolo equilatero, che in certo mdo si può dire abbia un solo lato e un solo angolo, in quanto li ha uguali fra loro, e l’uguale è sempre indivisibile ed uniforme; secondo è il semirettangolo, il quale, presentando una sola differenza negli angoli e nei lati, si può considerare sotto l’aspetto della dualità; terzo è l’equilatero dimezzato o semi-triangolo, che, preso nei singoli elementi, da ogni parte è diseguale, e nel suo insieme risponda quindi al tre. Ma nei solidi puoi vedere come si possa procedere fino al quattro, sì da raggiungere in tal modo la decade. Nasce infatti la prima ed elementare piramide, che in certo modo ha un solo lato e una sola superficie, in base a ragioni di uguaglianza, costruita su un triangolo equilatero. La seconda, che ne ha due e si innalza su base quadrangolare, quanto agli angoli intorno alla base è formata di tre piani, e quanto all’angolo della sommità è racchiusa fra quattro, si che per questo motivo rassomiglia alla dualità; la terza somiglia alla triade, costruita com’è su una semirettangolo di base: oltre alla differenza, che abbiamo già vista, del semirettangolo, ne ha anche un’altra che riguarda l’angolo al vertice, si che si potrebbe paragonare alla triade, in quanto ha l’angolo posto sulle perpendicolari che cadono a metà ipotenusa; e per gli stessi motivi si può paragonare alla tetrade la quarta, che è costruita su base semitriangolare. Tutte le forme che si sono descritte hanno il loro termine ultimo nella decade. Lo stesso avviene anche nel processo della generazione delle figure: il primo principio nell’ordine delle grandezze è il punto, poi viene la linea, terza la superficie, quarto il solido”. 1) Che questo lungo passo contenga materiale speusippeo, non è più oggi dubitato dai critici.; ma varia molto l’interpretazione del medesimo, ed anche il rapporto di relazione che si voglia stabilire con l’insieme dell’opera pseudo-giamblichea. Cominciamo perciò dal chiarire il carattere e gli intenti di questa.
Pag. 14 - Fragmenta (II) Essa parla essenzialmente della decade e della sua applicazione alla realtà cosmica. Attribuita a Giamblico in base a una citazione di Siriano, In Metaph., p.140, 15 Kroll – oltre che al fatto che Giamblico stesso, nel suo commento alla Isagoge di Nicomaco, promette che parlerà egli stesso della decade, cfr. pp.118,14 e 125,4 Pistelli – e ancora citata come giamblichea dal Lang, p.53, è poi negata a Giamblico dal Kroll, Real-Encycl. IX,1,1914, coll.650-51. Quella che noi conserviamo è in realtà un centone di passi dal Perˆ dek£doj di Anatolio e da Nicomaco di Gerasa; da vedersi De Falco, Praefatio all’edizione teubneriana del 1922. Il passo che qui ci interessa ha avuto una puntuale traduzione dal Tannery, Hist. science hellène², pp.386 sgg., 400 sgg., e di recente da Tarán, Speus. of Ath.,pp.257-98. La notizia che Speusippo avrebbe desunto la dottrina qui scritta da Filolao ha fatto sì che esso compaia in raccolte di frammenti dei Pitagorici antichi, cfr. Diels-Kranz, Vorsokrat. I, pp.400-402 (come fr.44 A 13 di Filolao) o Timpanaro Cardini II, pp.126-137; lo stesso Tannery parla per esso di Filolao, e solo in ultimo di Speusippo. Ma autori attenti ad attribuire ad elaborazione accademica tutto ciò che va sotto il nome di Pitagorici antichi, quali Frank, Plato sog.Pyth., p 140 sgg,, e più decisamente Burkert, Weish.Wiss., p.229 sgg.(e cfr. K.v.Fritz, Philolaos, Real-Encycl., Suppl.XIII, 1973, pp.453-484, in part.464-65), non hanno mancato di rivendicare come speusippeo tutto il contenuto di questo squarcio di esaltazione della tetractide; e almeno sotto questo aspetto sembra di dover accettare questa interpretazione, dato che in Filolao ancora non possono trovarsi concetti che, come meglio vedremo, presuppongono la stesura del Timeo. Anche quest’opera manca nell’indice laerziano (cfr.supra, Test. 2), ma l’accenno che viene fatto inizialmente a due parti dell’opera permette di supporre che almeno una di esse fosse indicata in quella sede col titolo MaqhmatikÒ j, anche se il presumibile carattere dialogico dell’opera rende poi difficile l’identificazione. I Theologoumena ci dicono peraltro che la prima parte trattava di cinque corpi cosmici (non diversamente, in ciò, dal Timeo) e delle varie figure geometriche, piane e solide, mentre nella seconda parte Speusippo parlava della decade, o tetrade, o più esattamente tetractide di modello pitagorico, come perfezione dell’essere e modello cosmico. Il trattatello doveva quindi presentarsi come una sorta di rifacimento del Timeo, privo del modello artigianale (il demiurgo) e quindi razionalizzato con la liberazione dalla veste mitologica e ridotto in termini più coerentemente pitagorici, con rimozione di tutta una serie di elementi fisici o di carattere qualitativo, nonché con alcune importanti modifiche. Tarán, prima in Academica., p.151, poi assai più ampiamente in Speus. of Ath., p.257 sgg., afferma non esser possibile attribuire a Speusippo la connessione fra elementi cosmici e corpi poliedrici. Ciò porterebbe ad attribuirgli, sulla base delle espressioni dei Theologoumena, una teoria simile a quella che conosciamo per Senocrate o per Filippo, un abbandono cioè della fedeltà di Platone alla teoria tradizionale del tetr£stoikon. In realtà la frase del nostro testo (perˆ tîn pšnte schm£twn, § to‹j kosmiko‹j ¢podšdotai stoice…oij) è assai generica, e può applicarsi, data l’ormai accettata presenza dei cinque corpi classici, ad ogni autore che abbia speculato sul cosmo, anche se poi le frasi da lui in effetti riportate smentiscano l’attribuzione generale; e nel Timeo esiste pur sempre l’ambiguità sostanziale di cinque corpi geometrici regolari che vanno adattati a quattro corpi fisici. Alla attribuzione dei ‘cinque corpi’ va quindi accostata una descrizione dei medesimi che ci riporta una indiscussa teoria della tetradicità; questa è una anomalia del nostro testo, ma la cosa non ci sorprende, dato che chi scrive è un neopitagorico. Riteniamo quindi possibile (cfr. già Isnardi Parente, Speus.¹, pp.368-377) attribuire a Speusippo una teoria della tetrade come armonia generale dell’universo che in definitiva coincida con la stessa anima del mondo. Tale attribuzione rende plausibile la frase di Aristotele spesso nemmeno commentata in De caelo, 303b 29 sgg. (F 70), secondo cui una sola figura sarebbe fondamentale per la struttura dell’universo, la piramide, struttura fondata sul numero quattro. Si tratterebbe della forma fisica corrispondente a quella forma ideale-cosmica che è rappresentata dalla tetrade-decade. Ciò renderebbe anche plausibile l’affermazione di Aristotele che gli Accademici non comprendevano fra i veri numeri se non quelli che rientrano nei primi dieci (Metaph.1084a 12-13),
Fragmenta (II) - Pag. 15 frase che potrebbe anch’essa riferirsi a Speusippo, come a lui potrebbe anche attribuirsi la frase che la decade non è primaria, ma secondaria in quanto generata (1084a 31). 2) Ha probabilmente ragione Lang, p.53, nel considerare i numeri presi in considerazione da Speusippo lineari, piani (che includono i poligonali) e solidi, con il che il numero d’insieme si riconduce a tre. Quanto a grammiko…, Tarán, p.264, nota come qui l’espressione sia usata per la prima volta come riferita ad autore antico, ma si dichiara incapace di spiegare in che modo questi numeri ‘lineari’ venissero intesi; egli adduce in ogni caso la spiegazione di Nicomaco di Gerasa, Intr.arithm., II, 7,3, che può essere attribuita senza difficoltà a Speusippo. Per i cinque corpi che si attribuiscono alla struttura del cosmo cfr. E.Sachs, Die fϋnf platonischen Körper, Berlin 1917, che non richiede prove di sorta; anche Speusippo, come Platone, doveva esser legato alla teoria dei quattro corpi cosmici. Ma tale teoria, dopo il ‘quinto corpo’ di Aristotele, aveva subito un rapido mutamento; e se qui Speusippo abbandona la trattazione dei numeri geometrici e passa agli stereometrici, con ogni probabilità, dato il seguito del suo discorso, la pentadicità non è sua, ma del riferitore. 3) Tannery, Science hell., p.387, leggendo ¢nakolouq…aj, traduce “de la proportion continue et discontinue”, e avverte (nt.2) che il termine non è usato come tecnico nella geometria greca. Ma se si segue la lezione attestata dal ms.M, ¢ntakolouq…aj, invece che la correzione apportata da Ast, ne consegue un significato più coerente, quello di ‘connessione reciproca’, o, come vuole Tarán, “correspondence” (p.268), in quanto alle somiglianze di una classe del numero corrispondono le somiglianze di un’altra classe ( il punto è simile a uno come la linea al due ecc.). 4) Si giunge alla decade, oggetto della seconda parte del libro, che è ‘il più secondo natura’ di tutti i numeri, e quello che dà insieme la maggior perfezione agli esseri (fusikwt£th kaˆ telestikwt£th). Che esso possa appartenere già alla prima tradizione accademica, anche se è ignoto a Platone, ce lo dice un suo uso già presente in ps.Aristotele, Physiognom.813b 31. Anche terminologicamente, quindi, può esser attribuito a Speusippo, pur se non è presentata ancora come riferimento verbale, giacché la citazione vera e propria non è ancora iniziata. Poco più oltre l’idea della perfezione della decade, o tetrade, è richiamata dal platonico par£deigma pantelšstaton, e –là ove dovrebbe comiciare il puntuale riferimento verbale dall’operetta speusippea- dall’aggettivo tšleioj (p.83,6 De Falco). Sembra quindi che essa sia riconosciuta da Speusippo come il culmine della perfezione dell’essere. Occorre far richiamo per questo a F 16 (Metaph. 1028b 18 sgg.) in cui si chiarisce come, ai principi posti per i numeri e per le forme geometriche spaziali, ne vadano aggiunti altri per le altre forme dell’essere, in primo luogo per l’anima (œ peita yucÁ j, senza che in quel luogo Aristotele chiarisca in quali termini Speusippo continui il suo discorso). La tetrade è il principio organizzativo dell’anima del mondo; si vedrà presto che cosa corrisponda ad essa sul piano fisico. La tetrade-decade è il concetto principale che qui Speusippo desume dalla tradizione pitagorica a lui anteriore. Essa è da lui elevata a modello, è Ø p£rcousa come e‹doj ti to‹j kosmiko‹j ¢potelšsmasi tecnikÒ n, avendo cioè assunto quella funzione che nel Timeo, e in genere nella concezione platonica, avevano le idee. Si pensi che per Speusippo il numero è modello relazionale del reale (Cherniss, Riddle, pp.42-43) e in quanto tale la decade è insieme immanente e trascendente; è modello della realtà cosmica, ma, in quanto struttura relazionale di essa, assume un’immanenza nella realtà assai più marcata che non le idee, mai concepite da Platone come struttura portante della realtà stessa. 4) Va qui letto, con Cherniss (Arist.crit.Pl.Acad., p.257, nt.169), ™f/ ˜autÁ j, che legittima l’uso di Ø p£rcousa.. 5) Come numero tšleioj, ‘perfetto’, la tetrade è identica a quel k£lliston kaˆ ¥riston che si rivela nel reale non all’inizio, ma prohlqoÚ shj tîn Ô ntwn fÚ sewj (cfr.supra, Metaph.1072b 30 sgg., 1091a 30 sgg., F 26). La sua perfezione è affidata a un assoluto suo equilibrio interno, che le conferisce una condizione di „sÒ thj, quindi di perfezione e di bene. Quali siano i fattori che le
Pag. 16 - Fragmenta (II) assicurano questo equilibrio, è ciò che Speusippo, nel seguito dello scritto, mira a descrivere e commentare; qui le citazioni si fanno più precise. 6) La tetrade-decade contiene in sé le caratteristiche seguenti, che Speusippo si sforza di dimostrare. a) Dà inizio alla decade il numero 1, dispari, ed essa culmina nel 10, che è un pari. Qui dunque Speusippo si pronuncia per il carattere dispari dell’uno-numero, non accettando la teoria filolaica dell’uno come pari-dispari, ¢rtiopšritton, e ritorna alla teoria pitagorica più antica dell’uno come semplice dispari ( cfr. Raven, Pythag. Eleat.², pp.116-118). Se questa teoria pitagorica ha avuto realmente luogo, Speusippo non è eccezionale fra gli autori pre-ellenistici a considerare l’uno e il due come i primi fra i numeri (così Tarán, Speus. of Ath., p. 276). Speusippo distingue qui un uno-numero, che è un dispari, da un uno-principio, del quale ha avuto modo altrove di discutere la relativa adiaforicità (Metaph.1092a 9 sgg., supra, F 25). L’uno in quanto principio, nella sua correlazione con il molteplice, ha una sua adiaforicità di partenza, che non ne fa neanche, in stretto senso, un essere vero e proprio, ma solo la condizione prima dell’essere; mentre l’uno in quanto numero è principio puramente nel senso di inizio, ed ha perciò la stessa natura degli altri membri della serie. ‘Principio’ nel senso di condizione prima e nel senso di semplice inizio vanno distinti e non confusi indiscriminatamente, e ciò serve a spiegare quella che, nel caso di Speusippo, può sembrare una posizione duplice e sospetta. b) All’interno della decade sussiste un equilibrio di numeri ‘primi’ o non composti, e di numeri ‘secondi’ o composti. Heath, An History of Greek Mathematics, Oxford 1921, I, pp.72-73, nota che qui i numeri primi sono citati per la prima volta come antichi, risalenti a Filolao e alla sua cerchia, il che è possibile (cfr. anche Manual of Greek Mathematics, Oxford 1931, p.40). Intende già numeri primi nel comune senso aritmetico Tannery, Science hell., p.402, nt.3; così pure per primi e secondi o compositi intendono P.H.Michel, De Pythagore à Euclide, Paris 1950, pp.330-32, O. Becker, Das mathematische Denken der Antike, Göttingen 1957, p.46; infine Tarán, Speus., pp.277-78 , secondo cui la concezione del numero composito in Speusippo è la stessa che in Euclide, Elem., VII, def.14. Fa eccezione Krämer, Urspr. Geistmet., p.409, nt.128, che traduce con ‘Primärzahlen’, numeri ‘primari’ anziché primi: si tratta sempre di numeri dispari, ma considerati sotto un determinato aspetto, come dimostra Aristotele, Metaph.987b 33 col suo famoso œ xw tîn prètwn. Non ci sembra però che sia necessario togliere qui all’espressione il significato aritmetico più tardi invalso chiaramente, siano o no i numeri ‘primi’ risalenti a Filolao. b) Nella decade si trovano i lÒ goi, le ‘ragioni’ del più e del meno oltre che dell’uguale, il che le conferisce la sua completezza; essa contiene infatti sottomultipli fino al 5 e multipli dal 6 al 10 (cfr. Tannery, Science hell., pp.401-402; Raven, Pyth.Eleat.², pp.141-142. Essa contiene in sé il rapporto me‹zon - ‡son - œ latton, che risulta comprensivo della realtà tutta, e questo rapporto le garantisce la sua funzione cosmologica. Non le è estraneo neanche il numero ™pimÒ rioj, che Tannery (p.403) fa consistere nel senso di rapporto di due numeri interi consecutivi, n+1 e n, il che non viene negato da Tarán, Speus., p.280. c) La decade, infine, contiene in sé la totalità dei rapporti spaziali: costituita da 1=punto, 2=linea, 3=triangolo, 4=piramide, risulta formata da un complesso organico risultante dal punto e dalle tre dimensioni, lineare, superficiale, solida. Puntualizzata con rigore da Krämer, Urspr.Geistmet., p.410, nel suo carattere di totalità organico-strutturale, non si conosce con esattezza quanto questa concezione della decade sia strettamente e originariamente speusippea, o se Speusippo la desuma a sua volta dal pitagorismo più antico. Certamente appartiene a quest’ultimo la nozione di tetraktÚ j (Mondolfo, in Zeller-Mondolfo, Filos.dei Greci, I,2, pp.367-382 , contro Frank, cit.; Timpanaro Cardini, Pitag.II, p.87, e passim per Filolao); non sappiamo però fino a qual punto le testimonianze, tutte tardive, ci consentano di far coincidere questa concezione con le caratteristiche qui attribuite da Speusippo ad essa. La TimpanaroCardini. Pitag. II, p.126 sgg., 148 sgg., attribuisce troppo a Filolao, per il quale vedi più di recente i dubbi di Huffman, Philolaus, pp.349-356. Probabilmente la prima nozione di tetractide includeva in sé la valutazione dei numeri e del loro significato spaziale; ma
Fragmenta (II) - Pag. 17 Speusippo, facendone il modello organico dell’universo, ha dato ad essi una connotazione platonica decisa. 7) All’espressione prîta kaˆ ¢rca… bisogna vedere quale significato occorra qui attribuire. Tarán, Speus. of Ath., p.45 sgg., p.281, crede di poter trovare qui una giustificazione per la sua convinzione che ¢rc», per Speusippo, non significhi altro che principio come ‘inizio’: ogni forma di grandezza è per lui semplicemente l’inizio della serie di grandezze omogenee. In questa convinzione c’è un equivoco fondamentale. Come già si è visto, egli attribuisce a Speusippo una teoria della successione matematica che in realtà non gli compete, quella dinamica, ignorando la teoria dei limiti ( Proclo, In Euclid.elem.I, p.77 Friedlein, supra, F 3; cfr. Speus. of Ath., p.363, ove viene commentato il passo di Aristotele De anima 409a 3-7). Ma la teoria dei limiti è pitagorica prima che accademica, ed è desunta e fatta propria da Platone e da Speusippo. Il prîta kaˆ ¢rca… di De Falco, p.84,12, è in riferimento a questa teoria: ogni numero è primo e punto di inizio rispetto a questa concezione, l’uno-punto rispetto alla linea, il due-linea rispetto alla figura piana, il tre-figura piana rispetto alla prima e fondamentale forma di questa che è il triangolo, il quattro-figura solida rispetto alla prima e fondamentale forma di questa che è la piramide. Non sussiste alcuna flussione dinamica fra le varie figure, ed è vano ricercarla proprio nel passo sulla decade, ove ci troviamo di fronte alla concezione opposta.. La parte finale del passo di Speusippo è dedicata alla teoria del secondo principio della realtà cosmica, la forma ‘materiale’, per esprimerci in termini aristotelici, che corrisponde alla tetradedecade. Essa appare presentarsi come un tentativo di integrazione-correzione esegetica del Timeo, con la sostituzione della tetrade al triangolo quale base per la formazione della realtà: la tetrade che, nella sua forma ‘materiale’ o in base al suo ‘secondo principio’, non è quadrato, ma puram…j. In base alla tetradicità che domina il tutto, Speusippo formula la teoria di quattro piramidi che sussistano ognuna per ogni elemento. Egli nota che nella posizione dei triangoli, così come Platone l’aveva descritta nel Timeo (equilatero, semi-quadrato o isoscele, semitriangolo o scaleno, cfr. Tim.54a-c) non si procede oltre il numero tre, mentre quella che ci dà la pienezza della perfetta tetradicità è la progressione fino al quattro, e ciò non si ottiene che con la posizione di quattro forme piramidali alla base del tutto. La prima forma è quella del tetraedro regolare, che Platone aveva già posto alla base dell’elemento fuoco. Se la terza ha per base un semi-triangolo isoscele, e la quarta un semitriangolo scaleno (occorre qui sostituire, come vide giustamente Tannery, p.404, un ¹mitrigènJ allo ¹mitetragènJ dei codici, che renderebbe la frase priva di significato), la seconda è una novità singolare introdotta da Speusippo: è la piramide a base quadrata, che non è un tetraedro né una figura regolare (ancora Tannery, Science hell., p.404) ma è stata suggerita a Speusippo dalla figura della piramide egizia; e può ben riferirsi alla figura della terra. Quest’ultima parte della trattazione sembra essere l’introduzione a una trattazione ulteriore, rispondente all’iniziale accenno alla corrispondenza fra corpi geometrici e corpi fisici (p.82,18 De Falco) rimasto in sospeso. Così come Platone, nel Timeo, aveva supposto triangoli atomi alla base dei poliedri regolari, e questi a loro volta alla base degli elementi fisici, Speusippo può aver supposto piramidi-atomi al posto dei triangoli, per rispondere alle esigenze della tetradicità del tutto. Il fatto che qui in questo ragionamento l’uno e il quattro si avvicendino in maniera intrinseca (l’uno come modello cosmico primario, il quattro come suo correlato secondario, esprimentesi nella piramide) penso possa giustificare quanto da me affermato in precedenza, Studi Accad.plat., p.173 sgg., contro l’accusa di Tarán, p.289, nt.73. E’ chiaro che, mancando di fatto il seguito di questo discorso, quanto ho scritto resti allo stato di ipotesi: non sappiamo né sapremo mai se realmente Speusippo abbia tentato questa esegesi correttiva di Platone. Se si accetta però come speusippeo De caelo, 303a 29-b 3 (t¦ dš sc»mata p£nta sÚ gkeitai ™k puram…dwn ), la probabilità di questa esegesi diviene più marcata, e ci si offre la possibilità di comprendere meglio il perché dell’operetta Sui numeri pitagorici.
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I simili F 95 Athenaeus, Deipnosophistai, II, 61c 1 ‘Omo…wn Musurus, Dm E, Ó mion C Speusippo, nel libro II dei Simili, dice che il sio nasce nell’acqua, ed è simile, nelle foglie, al prezzemolo di palude (1). 1) Da F96 a F120 ci troviamo di fronte a una serie di passi, quasi tutti riferiti da Ateneo, relativi all’opera di Speusippo T¦“Omoia, I Simili, passi che converrà commentare insieme. Del titolo presumibile dell’opera si è già detto supra. Essa è particolarmente interessante, perché ci chiarisce quello che finora ci è rimasto oscuro nel ‘sistema’ speusippeo, la funzione delle realtà sensibili nell’insieme di una visione del reale sulla base di principi validi a definirne i singoli aspetti. Ateneo fa alcuni accostamenti di maggiore o minore interesse, Aristotele, ma anche Diocle di Caristo, che vedremo di volta in volta. Sugli “Omoia si vedano soprattutto Lang, Speus.acad.scr., pp.7-20 e Stenzel, Speus., coll.16381649. Lang ha tentato per suo conto una vasta ricostruzione sistematica dell’opera,che doveva dividere in generi e specie il vasto materiale raccolto, relativo a piante e animali; egli ipotizza ciò in base al gšnh due volte ripetuto da Ateneo, che però usa due sole volte il termine in occasione dei malakÒ strata e dei polÚ podej; lo stesso Lang nota come questi due generi si ritrovino anche nella Historia animalium di Aristotele, peraltro subordinati ai due generi superiori e onnicomprensivi di œ naima zùa, ‘animali con sangue’, e ¥naima zùa, ‘animali senza sangue’, che in Speusippo non compaiono, almeno stando ai cenni di Ateneo. Ciò fa pensare subito a una differenza fondamentale fra l’opera aristotelica e quella speusippea, e induce a credere che le varie citazioni di Ateneo possano essere interpolate da citazioni aristoteliche. Stenzel, nella sua ricostruzione della teoria speusippea, si vale soprattutto del suo interesse per l’unità metodologica fra il tardo Platone, il Platone della dia…resij, e Speusippo (cfr. soprattutto le coll.1640-41, con la conclusione a 1645). Sulla base di Parm.127e, Phaedr.261d, ma anche di Polit.285a sgg., Soph.231a sgg., egli ricostruisce una analogia fra il concetto di Ó moion , usato da Platone, e quello di ¢n£logon tipico della ricerca speusippea, e ritiene di poterne stabilire come la ricerca di quest’ultimo sia anch’essa basata, come quella platonica, su una teoria delle relazioni matematiche fra gli esseri; egli dà perciò allo Ó moion di questi passi il carattere strettamente matematico di ‘proporzionale’, e inserisce totalmente la ricerca apparentemente empirica di Speusippo nella sua concezione matematico-metafisica del reale. A base di tutto questo c’è, ovviamente, una determinata concezione della dia…rerij platonica in termini matematico-metafisici,di cui già più volte si è parlato, per la quale è da vedersi soprattutto Zahl und Gestalt³, pp.11-23 (supra, F 5 ). Cherniss, Arist.crit. Pl.Acad., pp.54-58, ha avanzato alcune ipotesi per l’identificazione di Speusippo quale sostanziale bersaglio della polemica di Aristotele in De part.anim., 642b 5 sgg., cfr. oggi Tarán, Speus. of Ath., fr.67 (642b 5- 644a 11), e commento pp. 496-406, con sostanziale adesione e con una serie di adduzioni a testimonianza. Di questo ci occuperemo ulteriormente a commento di F 122: basti dire finora che il fatto che l’applicazione della dicotomia alla realtà naturale appaia qui indicata in forma sistematica, scarsamente coerente al metodo platonico, e che mal si addica allo stesso Politico, ma anche allo stesso Sofista, può esser dovuto semplicemente a forzatura aristotelica dello stesso verbo platonico. In sostanza ciò dice che, in base ad un’interpretazione radicalmente differente della dia…resij, si può ottenere praticamente lo stesso risultato: ricollegare strettamente Speusippo al tardo Platone e alla metodologia da questi adottata. Senonchè i passi che Ateneo ci riporta non comprendono sempre la parola Ó moioj, come di volta in volta si vedrà , e cade quindi in primo luogo la necessità di riagganciare la ÐmoiÒ thj qui
Fragmenta (II) - Pag. 19 considerata alla similitudine-analogia dei testi speusippei da un punto di vista più generale. Né si riesce a comprendere perché mai la ricerca delle similitudini fra esseri viventi del mondo empirico, cadenti sotto la conoscenza dei sensi, legati a tutta la approssimazione indefinita che è tipica del sensibile, possa essere stata concepita da Speusippo all’insegna del generale quantitativismo matematico, prescindendo dalla qualità, che è invece in questo campo determinante. La stessa approssimatività della terminologia da lui usata - e crediamo che questo sia un tratto che lo identifica- sembra indicare piuttosto come egli dovesse rendersi conto del fatto che, abbandonato il terreno di quelle realtà che soggiacciono al puro metodo quantitatvo-matematico e inoltrandosi nella ricerca intorno alla struttura generale della specie, anche il criterio della similitudine o somiglianza perde il suo carattere rigorosamente analogico-proporzionale e accede a quella approssimazione che caratterizza il campo del qualitativo-sensibile. Si è visto già dall’analisi di altri frammenti (supra, F5, da Aristotele, Anal.post.II, 97a 6 sgg.) che cosa Speusippo intenda esattamente parlando di dia…resij: un procedimento in cui il carattere già tendente all’empiria della dicotomia platonica tende a trasferirsi, da pura esercitazione su terreno logico, a metodo di classificazione sistematica scientifica. La scientificità di questo metodo consiste soprattutto nella sua esaustività, quella che è stata biasimata da Aristotele e portata fino allo scetticismo nella accentuazione dei commentatori, Eustrazio, Giovanni Filopono: essa permette di abbracciare, estendendo la ricerca il più possibile, la quasi totalità delle specie esistenti. Che per Speusippo ciò conoscesse un punto d’arresto e non cadesse nella ‘cattiva infinità’ aristotelica o non desse luogo allo scetticismo assoluto dei commentatori è un dato di fatto che non va confutato; è chiaro però che la sua ricerca è quella dell’ ¥tomon e‹doj o ‘species infima’, oltre la quale non si pone più altro che la dispersa e infinita molteplicità degli individui. In questo finale misurarsi con le realtà singole, il rigoroso matematismo che domina la costruzione dell’universo speusippeo, dai principi agli enti matematici alla elaborata costruzione della yuc», intesa come organizzazione razionale della spazialità cosmica, cede infine alla commisurazione con l’elemento qualitativo e con il pieno dispiegarsi della molteplicità. Crediamo sia questa la ragione per cui, nell’ormai famoso passo Metaph.1028b 18 sgg., Aristotele non abbia proseguito il suo discorso fino alla realtà sensibile, lasciando ciò ad altri suoi passi significativi . C’è però, anche in questo campo, un sistema unitario capace di dar ordine e di concludere in qualche modo la ricerca. Esso consiste in uno sforzo di riduzione all’unità per mezzo di una individuazione delle ÐmoiÒ thtej e diafora… che caratterizzano il reale così inteso, e che sono il fondamentale criterio metodologico della ‘pansofia’ speusippea. Tale riduzione all’unità può essere, nel campo della molteplicità individua, semplicemente parziale; non solo ad ogni ‘somiglianza’ si oppone una ‘differenza’, ad ogni tautÒ thj una ˜terÒ thj differenziante fra di loro i singoli oggetti, ma la stessa ÐmoiÒ thj non può assumere il carattere di rigorosa proporzionalità che caratterizzava gli altri aspetti dell’essere, e deve tener conto delle condizioni cui sottostà ciò ch’è oggetto della conoscenza empirica. Il procedimento mentale che soggiace alla ricerca speusippea dei ‘simili’ non è indefinitiva molto lontano da quello che, in Epin. 990d, tende ad esaltare la ricerca fra numeri e figure fÚ sei oÙ taÙ t£, con l’aggiunta di un elemento più decisamente tendente all’empiria ( nell’ Epinomide la ricerca è pur sempre di carattere matematico, sentita come opera divina, non umana). Le ‘somiglianze’ e ‘differenze’ introdotte da Speusippo fra gli enti singoli qualitativamente considerati si traducono quindi in termini di koinÒ thtej-„diÒ thtej, divisione classificatoria in generi e specie, resa ormai possibile dalla trasformazione che l’abbandono deciso della dottrina delle idee ha fatto compiere alla dia…resij platonica. Ma si pone a questo punto il problema di come veramente Speusippo intendesse il rapporto gšnoj- e‹doj; e a questo punto non abbiamo che una risposta concernente Senocrate: è a lui che Alessandro d’Afrodisia, in un trattato che conosciamo in traduzione araba, attribuisce la teoria secondo cui lo e‹doj si pone prima del gšnoj, come nel rapporto di parte al tutto, di mšroj a Ó lon (Pines, New fragment Xenocrat., pp.3-34; cfr.Isnardi Parente, Senocrate, fr.121, e pp.350-53). Krämer, Arist.akad.Eidoslehre, p.130 sgg., ha voluto applicare questo passo anche a Speusippo, assimilando totalmente il suo pensiero a quello di Senocrate; egli ha compiuto tale assimilazione
Pag. 20 - Fragmenta (II) senza l’apporto di testi decisivi, basandosi totalmente sull’interpretazione di passi quali Metaph.1028b 18 sgg. e 1075b 37 sgg., ove la parola oÙ s…a viene da lui intesa nel significato di Categ.5a, cioè nel senso forte, di prèth oÙ s…a; Speusippo, come già si è detto, tenderebbe a imprimere ad ogni realtà una individualità concreta,sì che il rapporto e‹doj-gšnoj non sarebbe altro che una ‘Depotenzierung’ dei generi (p.145, nt.104). In base a questa interpretazione, gli e‡dh vengono quindi ad assumere la configurazione di elementi-principi, stoice‹a-¢rca…, rispetto ai gšnh, così come l’uno è insieme stoice‹on e ¢rc». Cfr. più tardi lo stesso Krämer, con una certa volontà di conciliazione fra due sue interpretazioni di Speusippo che in realtà mal si accordano l’una con l’altra, in Aeltere Akademie, pp.26-27. Ad una simile interpretazione vi sono da obiettare più dati in contrario. Anzitutto, non motivata è l’interpretazione del termine oÙ s…a, altro nel contesto della Metafisica da quello che è nelle Categorie. Oltre ad usare, in altri passi (1080b 11 sgg., 1083a 20 sgg. e altrove) l’espressione analoga di Ô nta, soprattutto per ciò che riguarda i numeri, Aristotele si vale nello stesso passo, 1028b 18 sgg., del termine oÙ s…a in senso assai generico, applicandolo a Platone insieme che a Speusippo, e, nella dottrina platonica, indifferentemente alle idee e ai sensibili, che hanno un ben diverso stato ontologico (1028b 20-21). Non potremmo, quindi, attribuirgli un significato particolarmente individualizzante nel passaggio che egli fa poi alla dottrina di Speusippo. Una volta caduta questa premessa, v’è anche da chiedersi se, nell’ambito dei rapporti fra e‹doj e gšnoj o fra „diÒ thj e koinÒ thj, il principio dell’unità stia per Speusippo dal lato delle singole unità qualitativamente definibili oppure dal lato di quella ÐmoiÒ thj o koinÒ thj che serve di criterio unificante alla loro tendenziale possibilità di dispersione. Esse non rappresentano tanto il principioelemento uno che è alla base della composizione quanto piuttosto la molteplicità da ricondurre all’unità, l’indeterminato plÁ qoj, principio della molteplicità e della dispersione. In tal caso il vero principio ‘uno’ è rappresentato dal gšnoj e non dall’e‹doj. E’ chiaro che la molteplicità è fatta poi a sua volta di infinite unità; e noi abbiamo forse un più sicuro modello teorico per individuare che cosa Speusippo intendesse per rapporto genere-specie se teniamo conto di come egli dovesse intendere il numero, in cui il principio uno rappresenta la struttura unificante rispetto a quel plÁ qoj che pure è costituito da molte mon£dej. Gli e‡dh assumono quindi per lui il carattere di quei numeri singoli in cui ogni molteplice viene ridotto a unità formale dal numero nel quale è racchiuso. La spiegazione matematica che Speusippo dà alla composizione e alla struttra dell’essere viene così a riflettersi anche nel campo della classificazione qualitativa. Si può dar ragione a Krämer là dove ( Arist. akad. Eidosl., p.172) identifica l’organo conoscitivo che Speusippo adibisce al compito della raccolta classificatoria con la già nota ™pisthmonik¾ a‡sqhsij, che abbiamo già vista da lui posta chiaramente in rilievo nel campo delle conoscenze sensibili. Indirizzata dal lÒ goj, di cui partecipa ( Sesto Empirico, VII,145-146. = supra, F 1) la ‘sensazione scientifica’ offre la base a una conoscenza sistematica della qualità del sensibile e riscatta i singoli casi dalla possibilità di una loro caduta nella dispersione, da quello cioè che si potrebbe dire il ‘male radicale’ delle realtà nell’orizzonte speusippeo. F 96 Athenaeus, Deipnosoph., II, 68e Speusippo, nei Simili, chiama ‘popone’ una sorta di zucca. Ma Diocle, nominando il popone, non lo chiama mai ‘zucca’; e lo stesso Speusippo non chiama questa ‘popone’ quando ne parla espressamente. F 97
Athenaeus, Deipnosoph.,III, 86 c-d
Speusippo, nel II libro dei Simili, dice essere affini fra di loro le buccine, le madrepore, le conchiglie, le conchiglie a chiocciola… Inoltre Speusippo enumera singolarmente l’una dopo l’altra
Fragmenta (II) - Pag. 21 le conchiglie a chiocciola, quelle a pettine, i mitili, le madreperla, i soleni, e in un’altra parte le ostriche, le patelle (1). 1) Il termine qui usato per indicare la ÐmoiÒ thj sembra essere quello di parapl»sioj, che indica vicinanza nello spazio ma anche similitudine. Se Speusippo usava simili termini nella sua classificazione, anche la tecnicità dell’espressione viene meno; non possiamo però sicuramente accertarlo. Il fatto che la cosa avvenga in varii frammenti ( F 99, 102, 103, 111, 113, 116) potrebbe essere una prova a favore della varietà di termini. Cfr. Tarán, Speus.of Ath., p.265. F 98 Athenaeus, Deipnosoph., III, 105b Nel II libro dei Simili, Speusippo dice essere simili fra loro, degli animali a guscio molle, l’aragosta, il gambero, il mollusco, il granchio marino, il gamberello, il paguro. F 99 Athenaeus, Deipnosoph., III, 133b trugwn…J AC d/ codd., corr. Kaibel, Lang La ‘cercope’ (cicala) è un animale simile a quelli che chiamiamo ‘tettige’ o ‘titigonio’, come dice Speusippo nel II libro dei Simili. F 100 Photius, Lexicon, s.v. pen…on, II, p.88 Naber La falena è un animale simile alla zanzara…Che sia della stessa specie della zanzara, lo dice Speusippo nei II libro delle Similitudini, enumerando in questo modo: ‘falena, tafano, zanzara’(1). 1) E’ il solo frammento dell’opera conservato da Fozio e da Suida ( IV, p.126 Adler) sotto la voce omonima. F 101 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 300e Aristotele, nel suo Degli animali, e Speusippo dicono che sono affini fra di loro il fagrio, il rubello, l’epato (1). 1) Vengono qui accomunati Aristotele e Speusippo nella citazione; ciò non significa peraltro molto circa la somiglianza effettiva delle due opere, Ateneo non essendo filosoficamente esatto nelle sue citazioni. Cfr. Tarán, Speus. of Ath., p.248. F 102 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 327c Speusippo, nel II libro dei Simili, dice che sono affini fra di loro il fagro, il rubello, l’epato. F 103 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 301c Speusippo dice che il fagro è simile all’epato. F 104 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 303d Speusippo nel II libro dei Simili distingue il tonno femmina dal tonno maschio.
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F 105 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 308d Speusippo nel II libro dei Simili dioce che sono affini il melanuro e il coricino (1). 1) Il termine usato per indicare la similitudine è qui ™mfer»j, un’espressione del linguaggio comune, cfr. anche F 115; ciò accresce la probabilità di una variazione terminologica speusippea. F 106 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 313a Speusippo, nel II libro dei Simili, dice che sono simili alla sardella il boaga e la smaride F 107 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 286f Speusippo e gli altri autori attici chiamano il boga ‘boaga’ (1). 1)
Evidentemente esemplato sul frammento che si fa qui precedere, anche se non c’è l’indicazione di una somiglianza.
F 108 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 313e Dice Speusippo, nel II libro dei Simili, che il melanuro è simile al cosiddetto psiro, quello che Numenio chiama psoro. F 109 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 318e bolbotÚ nh A, corr. Rose Appartengono alla specie dei polipoidi la eledona, il polpo, il polipino, l’osmodo, come dicono nelle loro ricerche Aristotele e Speusippo. F 110 Athenaeus, Deipnosoph.,VII, 319b-c Delle perche dà notizia Diocle, e anche Speusippo nel II libro dei Simili, dicendo che sono affini fra di loro la perca, la canna, il fici…e di questa fa menzione anche Epicarmo nelle Nozze di Ebe, e Speusippo nel II libro dei Simili. F 111 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 319d Speusippo chiama l’anguilla ‘aguglia’. F 112 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 323a Speusippo, nel II libro dei Simili, presenta come simili il pesce martello, l’anguilla, il pesce lucertola. F 113 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 323f Questo è da segnalarsi intorno a Speusippo, che dice esser simili la seppia e il totano.
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F 114 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 324f Speusippo dice che sono affini il pesce cuculo, il pesce rondine, la triglia. F 115 Athenaeus, Deipnosoph., VII, 329f Speusippo, nel II libro dei Simili, dice che sono affini il rombo, la sogliola, il pesce tenia. F 116 Athenaeus, Deipnosoph., IX, 369b Speusippo, nel II libro dei Simili, dice : “sono simili il ravanello, la rapa, il rapino, il crescione” F 117 Athenaeus, Deipnosoph., IX, 387c Dei fagiani fa menzione Speusippo nel II libro dei Simili (1) 1) Speusippo viene qui accomunato con Aristotele e Teofrasto. F 118 Athenaeus, Deipnosoph., IX, 391d E Speusippo, nel II libro dei Simili, scrive il nome dei gufi (skîpaj) senza la s (kîpaj) F 119 Hesychius, Lexicum, s.v. subètaj Il filosofo Speusippo dice che è un animale (1). 1) La parola non occorre in nessun altro testo, tuttavia non c’è ragione di mutarla in altra, come fa Mullach, Fragm. Philosoph. Graec. III, p.73b, che propone trof…aj. Gilles, Ménages (Diogenes Laertius, I, p.530 Hübner) ha proposto una ingegnosa spiegazione di questa espressione che Omero usa come ‘guardiano di porci’: essa sarebbe un titolo dato ingiuriosamente a Speusippo (spiegazione già respinta dal Fischer, Speus.ath.Vita, p.50, vedi poi Lang, p.60, nt. al fr.26). F 120 Aristoteles, De part .animal., I,2, 642b 4-20.(1) 2 scizÒ poun ¥poun EPUSSUD, scizÒ poun P 10 diaire‹sqai PUS S, dihrekšnai D Vi sono alcuni che ottengono la realtà singola col dividere il genere in due differenze. Ma ciò à da un lato non facile, dall’altro impossibile a conseguirsi. Di certe cose esiste una sola vera differenza, le altre sono trascurabili; così per esempio per ciò che riguarda l’essere fornito di piedi, bipede, coi piedi separati, senza piedi: una sola è la differenza fondamentale, l’aver piedi o non averli. Facendo altrimenti, di necessità si viene a dire spesso la stessa cosa. E’ inoltre opportuno non dilacerare i singoli generi, mettendo per esempio gli uccelli ora in una divisione ora nell’altra, come fanno i trattati scritti sulle divisioni (2): avviene infatti che là una volta essi siano messi in una divisione insieme con gli animali che vivono nell’acqua, a volte con quelli di altro genere. E in questa divisione una certa realtà ha nome uccello, in un’altra pesce. In altre ancora, si tratta di realtà anonime, per esempio ‘esseri dotati di sangue’ e ‘esseri privi di sangue’: né agli uni né agli altri è dato un determinato nome. Dunque, poiché non è il caso di dilacerare entità dello stesso genere, la divisione in due è stolta; per forza, così dividendo, si separa e si dilacera: dei polipodi, per esempio, certo alcuni sono fra gli animali terrestri, gli altri fra gli acquatici.
Pag. 24 - Fragmenta (II) 1) Il fr.67 Tarán presenta una estensione assai maggiore, come si è già detto, sulla scorta di Cherniss, Arist.crit.Pl.Acad., p.54 sgg. Tarán ritiene che tutto il passo 642b-644a sia attribuibile a polemica antispeusippea, mentre in realtà non è altro che un passo in cui Aristotele si schiera contro chi ritiene che un gšnoj possa dividersi in due diafora… e accusa costoro di aver preso a volte per autentiche differenze specifiche quello che non è altro che un per…ergon del gšnoj stesso. Il passo può riferirsi a Speusippo, ma altrettanto bene a Platone, nelle divisioni del quale sono frequenti quelle che per Aristotele sono nient’altro che per…erga. Inoltre Aristotele si riferisce qui a una’esaustiva classificazione animale solo perché tratta degli animali nella sua opera, e non per altre ragioni. Siamo di fronte a una di quelle deformazioni aristoteliche che Cherniss ha così efficacemente indicate nella sua opera, non solo in relazione a Platone. 2) Tarán, Speus., pp 66 sgg.,.403 sgg., ritiene di poter identificare con gli “Omoia di Speusippo le gegrammšnai diairšseij indicate in questo punto da Aristotele. L’espressione è generica, e farebbe pensare, piuttosto che al Sofista o al Politico, a forme scritte di esercizio diairetico quale le cosiddette Divisiones, che Aristotele conosce certamente (sebbene forse in una versione non identica a quella a noi offerta da Diogene Laerzio, III, 82 sgg.) e alle quali ha forse collaborato in giovinezza. Cfr. supra, F 13, da Simplicio, In Arist.Categorias, p.38, 11 sgg. Kalbfleisch; e C. Rossitto, Aristotele ed altri autori, Divisioni, Padova, 1984, più ampiamente ora Milano, 2005², pp. 38-45. Il banchetto funebre di Platone F 121 Diogenes Laertius, Vitae Philosophorum, III,2 3 ‘Anaxila…dhj Cobet, ‘Anaxile…dhj Lang ¢naxil…dhj FPpc ¢n¢xil»dhj B ¢naxi£dhj Rac 4æj BF, om.P Ã n FP, om.B Speusippo, in quell’opera che si intitola Il banchetto funebre di Platone (1), e Clearco nel suo Encomio di Platone (2), e Anassilaide nel II libro dell’opera Dei filosofi (3), dicono che in Atene corresse voce che Aristone cercò di far sua con la forza Perittione, che era una giovinetta assai bella; ma poi, ripresosi dall’impeto, ebbe la visione di Apollo; e allora si astenne da ogni rapporto con lei fino a che ella non ebbe partorito. 1) Dell’incertezza circa il titolo dell’opera in cui Speusippo dà la notizia si è già detto in parte, cfr. Test.2; potrebbe trattarsi, anziché di un Pl£twnoj ™gkèmion, di un ‘banchetto funebre in onore di Platone’, Pl£twnoj per…deipnon, così il titolo è accettato dal Boyancé, Culte des Muses², p.257, che sottolinea il carattere funerario di questo discorso, opera avente certo per sfondo il banchetto funebre dell’Accademia per la morte di Platone; l’ipotesi di Martin, Symposium, p.162 sgg., che si trattasse cioè di un discorso pronunciato da Speusippo in quell’occasione (opinione cui si associa poi K.P.Schmutzler, Die Platon-Biographie in der Schrift des Apuleius De Platone et eius dogmate, Kiel 1974), non si differenzia da questa se non dal punto di vista formale. Il culto di Apollo è già presente nella scuola pitagorica, in cui la figura di Pitagora viene posta in relazione con quella di Apollo nelle sue varie forme ed espressioni cultuali. Cfr. già per questo A.Delatte, Études sur la littérature pythagoricienne, Paris 1915, p.279; A.Rostagni, Il verbo di Pitagora, Torino 1924, p.227 sgg.; per l’originario legame del samio Pitagora con il culto di Apollo delio A.E.Taylor, Varia Socratica, Oxford 1911, ma cfr. più di recente M.Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, München 1941-50, 1955², I, p.707. Le testimonianze antiche sono assai ampie, anche se tutte piuttosto tarde: basti qui citare Giamblico, Vita Pythagorae, 140 sgg. (e in 1-9 accenni alla nascita apollinea dello stesso Pitagora, non si saprebbe dire quanto esemplati su quella dello stesso Platone); Eliano, Varia Historia, II, 26 = fr.191 Rose³; Diogene Laerzio, VIII, 11, che mette in relazione il nome di Pitagora con l’epiteto di Apollo Delfico, Pythios.
Fragmenta (II) - Pag. 25 Il delficismo di Platone è poi molto chiaro e aperto: cfr. Reverdin, Religion cité platon., pp.10005, 139-45; Nilsson, Gesch.d.gr.Rel.² I, pp.629-31, 819 sgg.; per l’accentuarsi del delficismo dalla Repubblica alle Leggi, E.Des Places, La religion grecque, Paris 1969, pp.246-48. Ma è da notarsi come siano strettamente uniti Apollo e le Muse, cui l’ Accademia era dedicata; cfr.Leges, 654a, e in proposito, per Apollo Musagete, Boyancé, Culte des Muses², p.267 sgg.; Reverdin, Rel.cité platon., p.139 sgg. Per il culto funebre reso agli eÜ qunoi, legati al culto di Apollo e di Helios, ancora Leges, 947a, e in proposito Boyancé, Culte des Muses², p.100 sgg. C’è da chiedersi quale tipo di culto sia stato tributato a Platone nell’Accademia, se eroizzazione o vera e propria divinizzazione. Mentre Reverdin, Rel. cité platon., p.141 sgg., 149 sgg., sembra propendere a una vera e propria divinizzazione ( Platone sembra essere stato venerato come un da…mwn, anche se poi in sostanza questa divinizzazione viene ad avvicinarsi ad una sorta di culto degli eroi), Boyancé, Culte des Muses², p.267 sgg., parla di una vera e propria eroizzazione da parte della scuola: essa si ispirava all’insegnamento stesso di Platone; nel corso della sua opera, egli vede questa sorta di culto preannunciato nel Pl£twnoj per…deipnon di Speusippo, che ne poneva le basi facendo di Platone il classico eroe figlio di una mortale e di un dio, per poi svilupparsi ulteriormente nella vita dell’Accademia. Si parla, in essa, di un altare elevato a Platone, ma forse in combinazione con il culto dell’Amicizia; per le ipotesi circa questo tipo di venerazione cfr. diversamente Jaeger, Aristoteles, p.106 sgg., e poi Aristotle’s Verse in praise of Plato, “Classical Quarterly” XXI, 1927, pp.13-17 = Scripta Minora, Romae 1960, I, pp.339-345, e K.Gaiser, Die Elegie des Aristoteles an Eudemos, “Museum Helveticum” XXIII, 1966, pp.84-106. Tutto questo è oggi rimesso in discussione da Tarán, Speus., pp.232-35, il quale (dopo una prima analisi critica della Swift-Riginos, Platonica,pp.5-14) propende per la fonte tardiva di Diogene Laerzio ( Anassilide, cfr. infra, nt.3) e per un esame critico in senso negativo della notizia che, esaminata nella sua esattezza, si rivolge contro se stessa: Speusippo, troppo vicino alla famiglia di Platone per poter disconoscere che questi non era il primo, ma ben il terzo figlio di Perittione, non avrebbe fatto che citare una leggenda (lÒ goj à n 'Aq»nhsin) secondo cui si attribuiva la genesi del filosofo ad Apollo, senza per suo conto prestarle fede. Per sostenere ciò, Tarán deve negare anzitutto che la notizia provenga da un ‘discorso funebre’ e aderire ai dati che dànno il passo sulla nascita apollinea di Platone derivato piuttosto da un più generico ‘encomio’ (cfr. infra, F 125). Ma anche in tal modo un razionalismo così marcato non ha molta presa. La nascita di Platone si poneva assai lontana nel tempo, e Speusippo poteva equivocare su di essa. Inoltre, il problema che si poneva era quello di autorizzare l’inizio di un vero e proprio culto di Platone nell’Accademia, che propendo a credere, con Boyancé, di eroizzazione, con tutti quei caratteri mitologici che sono propri di questa. Tutte le circostanze pratiche inducono a ritenere che da Speusippo cominci quella tradizione che continuerà a caratterizzare Platone nella antichità tardiva La Theys, Speus.of Ath., p.228-229, ha notato giustamente a) che Speusippo non mirava con ciò a dare una versione storica della nascita di Platone, ma a sostenere e far valere una sua tesi specifica b) che la parola lÒ goj può appartenere al linguaggio di Diogene Laerzio, e non necessariamente a quello di Speusippo. 2) Per Clearco di Soli, discepolo di Aristotele, cfr. W.Kroll, Real-Encycl.XI,1, 1921, coll.575-83, e Wehrli, Schule des Arist.², fr.2, Komm. pp.45-6 (cfr. anche le notizie circa una sua opera sulle espressioni matematiche della Repubblica, fr.3, da Ateneo, Deipnosoph. IX, 393a). Lang, Speus.Acad.scr., pp.32-38, ha pensato a uno scambio fra ‘encomio’ di Speusippo e ‘discorso funebre’ di Clearco, il che è oggi rifiutato da Tarán, Speus.of Ath., pp.230-32. Cfr. quanto già osservato in proposito in “Riv.Filol.Istr.Class.” 1986, p.357, nt.2. 3) Anaxileides, o Anaxilides, è un autore ignoto, se non forse da identificarsi con Anassilao di Larissa ( E.Schwartz, s.v. Anaxilaides, Real-Encycl. I, 2, 1894, col.2083), neopitagorico espulso da Augusto dall’Italia poiché sospetto di magia secondo Eusebio, Chron., Ol.88,1; vedi però oggi di contro Tarán, s.v.Anaxilaos on Larisa, in Dictionnary of Scientific Biography I, 1969,
Pag. 26 - Fragmenta (II) p.150, e Speus. of Ath., p.233, nt.20. L’opera citata da Diogene Laerzio è data come Dei filosofi. Cfr. R.Goulet, Anaxilaides, in Dict.Philosophes Ant., I, Paris 1989, p.191. F 122 Hieronymus, Adversus Jovinianum, I, 42 (p.384, 27-30) 2 Anaxilides AC, Amaxilides ESj phasmatae ES, phantasmate jAC Anche Speusippo, figlio della sorella di Platone, e Clearco nel suo Encomio di Platone, e Anassileide nel II libro Della filosofia, dicono che Perittione, madre di Platone, fu ricoperta dall’apparizione di Apollo (1). 1) Girolamo si vale della stessa fonte di Diogene Laerzio, ma introduce qualche mutamento: non parla più del vero padre di Platone, Aristone, e incentra tutta la sua storia sul rapporto prodigioso fra Perittione e Apollo; dell’opera in cui Speusippo parla di ciò tace il titolo, e chiama l’opera di Clearco De laude Platonis, confortando così l’ipotesi che Clearco fosse in effetti autore di un ‘encomio’; sbaglia inoltre il titolo dell’opera di Anassilide (“in secundo libro philosophiae”). Il racconto di Diogene è, nel complesso, più preciso. Che Diogene non sia fonte di Girolamo è opinione della Theys, Speus.of Ath., p.227. Da notarsi che Apollo è dato come autentico padre di Platone da autori che non nominano Speusippo come fonte; cfr. Dörrie, Platonismus I, p.412, che riporta Origene, Contra Celsum 6,8 (Origene riferisce la notizia a d Aristandros, forse l’astrologo di Alessandro Magno). F 123 Philodemus, PHerc.1005, fr.111 Angeli 7-8 [kaˆ ‘Ar]ist…ppou t¦j pe[r… tinwn t]oà Pl£twnoj [diatrib]¦j Sbordone 14 ™[lšg]omen Sbordone (Mandami)… lo scritto di Aristippo su Socrate e (l’encomio) di Speusippo su Platone, e di Aristotele la Fisica e gli Analitici; questi appunto abbiamo scelti. 1) Per questo passo del PrÕ j toàj … di Filodemo ( per cui F.Sbordone, Napoli 1947 ,aveva ipotizzato un PrÕ j toàj Sofist£j) cfr. oggi A.Angeli, p.Herc. 1005 , in particolare testo p.167, commento p.239. Crönert, in precedenza, aveva ipotizzato un Pl£twnoj t¾ n ‘Apolog…an [ toà Sokr£]touj; Arrighetti, Epicuro², fr.127, segue la lettura di Sbordone. La lettura autoptica permette un riferimento all’opera di Speusippo su Platone; da notarsi che lo spazio del papiro permette la lettura 'Egkèmion e non quella Per…deipnon. Ciò può avere un certo significato se si pensa che si tratta della più antica citazione dell’opera in nostro possesso. Ma le due parole possono ben significare la stessa opera, intesa come orazione funebre o come encomio. F 124 Anonymus, Vita Platonis, p.9 Westermann Visse ottantuno anni, dimostrando con ciò di essere di natura apollinea; il nove, numero delle Muse, moltiplicato per se stesso, dà infatti luogo all’ottantuno, né alcuno potrà negare che le Muse siano il corteggio di Apollo. Questo numero si dice ‘quadrato del quadrato’ perché, essendo tre il numero primario, in quanto ha in sé l’inizio, la metà, la fine, moltiplicato per sé stesso esso dà luogo al nove (che è, appunto, tre per tre); e a sua volta il nove, moltiplicato per sé stesso, da luogo all’ottantuno (1). 1) La notizia della nascita apollinea di Platone è riportata dall’Anonimo all’inizio dell’opera (p:1 Westermann) ma con un generico fas…n e senza alcun accenno a Speusippo: ma la notizia che la vita di Platone viene meno nell’81 anno ha la stessa dipendenza, come l’autore ben nota, dal suo essere ‘ApollwniakÒ j, “avere carattere apollineo”, perché 81 è il quadrato di 9, numero
Fragmenta (II) - Pag. 27 delle Muse, figlie di Apollo, oltre che il cubo di 3, numero perfetto. A Speusippo, e con ogni probabilità nella stessa opera, va quindi ascritta la notizia; cfr. Boyancé, Culte des Muses², p.259 sgg., e Reverdin, Rel.cité platon, p.139 sgg. F 125 Seneca, Epist.58, 31 Credo che tu sappia come a Platone, in virtù della sua perfezione, fu dato di morire lo stesso giorno in cui era nato, e di compiere così perfettamente gli ottantuno anni, senza che nulla mancasse ad essi (1). 1) E’ la stessa notizia del frammento precedente, riportata da Seneca in forma più stringata, ma senza novità di sorta. F 126 Apuleius, De Platone et eius dogmate, I,2 3 acre codd. in percipiendo edd., in perciendo codd.
5 pubescentes B³ MV
Tale fu dunque Platone, e per virtù di questa sorta solo superò gli eroi, ma si rese uguale persino alle potestà divine. E perciò Speusippo, che apprendeva tutto ciò da racconti di famiglia, esalta l’intelligenza che egli dimostrava fino da fanciullo, acuta nell’apprendere, e la sua indole ammirevole per compostezza; e riferisce le prime fasi della sua giovinezza, tutte ispirate all’assiduità nello studio e all’amore per esso, attestando con ciò come in quell’uomo si unissero queste grandi virtù con altre ancora (1). 1) Conferma l’attribuzione di un vero e proprio culto degli eroi, se non addirittura quello di una divinità, a Platone da parte dell’Accademia, e in particolare di Speusippo, di cui riporta in sintesi citazioni biografiche, che sono, nel caso di questi, particolarmente d’obbligo. Probabilmente si riferisce sempre al Pl£twnoj per…deipnon, che dava su Platone indicazioni varie di carattere biografico, ma senza che sia necessario supporre una dipendenza effettiva di Apuleio da questo. Lang, Speus.Acad.scr., pp.35-38, attribuisce tutto ciò a influenza dell’ Evagora di Isocrate. F 127 Macrobius, Saturnalia, I, 17, 7-8 Da molte interpretazioni il nome di Apollo è ricondotto al sole…Speusippo dice che si chiama così perché la sua forza deriva da molti fuochi (Ø pÕ pollîn) (1). 1) Potrebbe forse esser considerato anch’esso pertinente al Banchetto funebre di Platone questo tentativo di interpretazione etimologica del nome di Apollo fatto da Speusippo, con una non inconsistente modifica della definizione platonica; se Platone considera il nome derivato dal gettito dei raggi (tenendo conto in primo luogo dell’identificazione di Apollo con Helios, il più luminoso degli astri), Speusippo, subito dopo di lui, lo ha considerato un astro di fuoco, e di fuoco dai molti aspetti (: creatore, distruttore ecc.). Anche qui le fonti sono però tardive: cfr. in proposito J.Flamant, Macrobe et le néoplatonisme latin à la fin du IVème siècle, Leiden 1977, pp.655 sgg. Epigrammi ed epistole. F 128 Index Herc Acad. col:VI, 34-38, p.136 Dorandi Queste immagini delle dèe Grazie Speusippo dedicò alle dèe Muse, offrendo doni in cambio delle loro rivelazioni (1).
Pag. 28 - Fragmenta (II)
1) Per questo epigramma cfr.supra, Test.1: esso ci viene trasmesso da Filocoro, e tutto fa pensare che sia autentico. Può essere interessante notare come il culto delle Muse fosse penetrato in Macedonia, ove, a Pella, era stato eretto un tempietto in loro onore; cfr. l’esatta lettura dell’epigramma riportato in ps.Plutarco, De lib. educ., 14b-c, in Wilamowitz, “Hermes” LIV, p.71. Tuttavia, se il Wilamowitz vede ciò legato alla politica ellenizzante di Filippo (e da Filippo sarebbe facile il passaggio all’influenza accademica) , non va dimenticato che il nome dell’offerente è quello della madre di Filippo, Euridice: Momigliano, Fil.il Mac., p.134, suppone che la dedicazione possa già risalire al periodo di Archelao. F 129 Anth.Planudea, 31 Dübner (1) 1 kÒ lpoij Anth.Plan:, kÒ lpJ E 2 „soqšwn Anth.Plan:, „sÒ qeoj Bergk La terra nel suo seno raccoglie il corpo di Platone, l’anima ha il suo posto fra gli eroi immortali (2). 1) L’Antologia Planudea attribuisce l’epigramma a Speusippo: Ma l’epigramma è dato da Diogene Laerzio, III,44, come esistente sulla tomba di Platone, senza alcuna attribuzione; vi sono aggiunti due versi, peraltro di limitato interesse e di maniera. Tarán, Speus. of Ath., p:454, ritiene fortemente improbabile la paternità speusippea di esso. 2) Reverdin, Rel. cité platon:, p.146, ha fatto notare come né ¢q£natoj né m£karej, parole entrambe generiche, ci possano aiutare a comprendere che tipo di culto fosse dall’Accademia tributato a Platone. Diversamente per „sÒ qeoj, che risale a Omero ( Il. II, 165; Od.I, 324, ecc) e che è termine spesso usato per l’eroe; generalmente esso indica una stirpe di esseri intermedi fra uomini e dei, che possono essere anche divinità inferiori ( Euripide, Iphig.Aul., v.626, lo uso per le Nereidi). In Platone cfr: Resp.II, 360c, usato per indicare una forma di eccellenza tale che rende simile al divino. F 130 Epist.Socr. XXVIII (XXX Orelli), pp.1- 12 Bickermann-Sykutris 1,1 inscriptionem speciminis causa addidit Sykutris Fil…ppJ coniecerat Lascaris 2,7 Ø metšran codd., corr. Allatius 3,9 stasiazÒ ntwn V 4,3 ek toà e„j tÕ n prÒ gonon ½ qouj con.Sykutris 6, 5 Nhlšwj V, Sulšwj Mullach 10,1 dika…aj Allatius, dika…wj V 10,7 st£sin e„kÍ qe…j V, corr. Sykutris 11,9 suppl.Maas, Qera…ouj Ô ntaj con. Sykutris 13,2 misîn Sykutris, ˜kèn V, æj paridèn Wilamowitz 13,4 add.Westermann 14,7 kai servat Cobet (1). Antipatro, l’uomo che ti porta questa lettera, è per stirpe di Magnesia, ma già da un pezzo in Atene va scrivendo la storia della Grecia (2). Dice che, in Magnesia, gli è stato fatto un torto; ascolta quindi le sue vicende, e aiutalo benignamente, come puoi. E’ giusto che tu lo aiuti, fra le molte altre ragioni perché, quando nella nostra cerchia si è letto il discorso che Isocrate ti ha indirizzato, egli ne ha sì lodato l’intento, ma ha biasimato il fatto che siano in esso ignorati molti benefici da voi resi alla Grecia (3). Proverò a enumerarne alcuni. Isocrate, per esempio, non ha spiegato quali siano i benefici resi alla Grecia da te e dai tuoi antenati, né ha confutato a dovere le calunnie che da alcuni sono state mosse contro di te, e non si è astenuto dall’attaccare Platone nemmeno nella lettera inviata a te. In verità egli non avrebbe dovuto ignorare la parentela che c'è fra te e la nostra città, ma avrebbe dovuto chiarirla anche per i posteri. Eracle, infatti, poiché vigeva fra noi una vecchia legge secondo la quale nessuno straniero poteva essere affiliato ai misteri, a questo scopo si fece adottare da Pylio. E in base a questo racconto Isocrate avrebbe ben potuto rivolgersi a te come a un concittadino, dal momento che la tua stirpe discende da Eracle (4), e poi avrebbe dovuto anche narrare i benefici fatti alla Grecia dal tuo antenato Alessandro e da altri tuoi antenati. Invece ha
Fragmenta (II) - Pag. 29 taciuto di tutte queste cose, come se si trattasse di azioni nefande. Alessandro uccise i legati di Serse, che erano venuti in Grecia a chiedere acqua e fuoco; poi, quando i barbari mossero verso di noi con l’esercito e i Greci si radunarono al nostro tempio di Eracle, fu lo stesso Alessandro a svelare loro il tradimento di Alevas e dei Tessali, e per suo merito i Greci furono salvi (5). Di questi benefici avrebbero dovuto far menzione non solo Erodoto e Damaste (6), ma anche quest’uomo, che mostra di volerti conciliare la massima benevolenza degli uditori con il suo discorso, così esaltando il tuo antenato (?). Bisognava poi anche parlare di quanto è avvenuto a Platea con Mardonio; e poi di seguito tutti gli altri benefici dei tuoi antenati; in questo modo il discorso scritto per te avrebbe attratto a te maggiore affetto da parte dei Greci che non un discorso che in realtà non dice nulla di buono intorno al vostro regno. E all’età di Isocrate ben si addirebbe parlare di antiche cose, anche se, com’egli stesso dice, ha ancora verde il pensiero (7). Ma poteva poi anche confutare le calunnie che vengono mosse contro di voi da quelli di Olinto. Chi potrebbe essere così sciocco da credere che, mentre ti muovono contro la guerra Illiri e Traci, sia tu che ti metti a fare la guerra contro Olinto? Ma è inutile dilungarsi ancora su tutto questo in una lettera diretta a te. Piuttosto, quelle cose che non sono facilmente accessibili agli oratori e che da molto tempo si tacciono da parte di tutti, ma che è bene tu sappia, proverò io a dirtele, perché anche solo per la rivelazione di esse tu possa rendere ad Antipatro la grazia dovuta. Circa il paese che ora è degli Olintii, solo colui che ti porta questa lettera ha narrato in maniera degna di fede come un tempo appartenesse agli Eraclidi, non ai Calcidesi. Allo stesso modo egli narra che Neleo a Messene e Sileo presso Amfipoli furono entrambi uccisi daEracle, perché erano dei violenti; e come pegno fu data da custodire Messene a Nestore figlio di Neleo, il paese di Fillide a Diceo fratello di Neleo; poi, dopo molte generazioni, alla fine Cresfonte ebbe in sorte Messene, mentre la Amfipolitide, che era degli Eraclidi, la conquistarono gli Ateniesi e i Calcidesi. Allo stesso modo, da Eracle furono soppressi dei malfattori nemici di ogni legge, quali Ippocoonte tiranno di Sparta, Alcione tiranno di Pellene; e Sparta fu concessa a Tindareo, Potidea e l’altra parte di Pellene a Sitone, figlio di Posidone; e la terra laconica venne in possesso dei figli di Aristodemo, col ritorno degli Eraclidi, metre Pellene, ch’era anch’essa degli Eraclidi, la possedettero gli Eretriesi e i Corinzii e gli Achei tornati da Troia. Allo stesso modo quest'uomo narra che Eracle tolse di mezzo presso Toronea i tiranni protidi Tmolo e Telegone; e dopo aver ucciso, presso Ambracia, Clide e i suoi figli diede in custodia Toronea ad Aristomaco, figlio di Sitone; ivi i Calcidesi, nel tempo in cui era ancora in vostre mani, dedussero una colonia. Egli affidò poi la regione di Ambracia a Lacide e a Caratte, convinto che essi avrebbero poi reso quelle terre loro affidate ai suoi discendenti. E anche i paesi che di recente sono venuti in mano di Alessandro degli Edoni, tutti sanno che in origine erano dei Macedoni. Queste non sono le vanterie di Isocrate né puro suono verbale: sono discorsi che possono recar vantaggio al tuo dominio. Ma poiché ora tu sei tutto impegnato nella contesa con l’Amfizionia, voglio raccontarti questa storia così come la narra Antipatro (8); il quale dice in che modo l’Amfizionia stessa sia sorta, e come membri dell’Amfizionia, quali i Flegii, i Drioni, i Crisei stessi siano stati eliminati rispettivamente da Apollo, da Eracle, dagli altri amfizioni. Tutti costoro, che erano stati amfizioni, furono privati del voto, e altri, cui furono passati i loro voti, vennero in vece loro a far parte dell’Amfizionia. Egli racconta pure che tu, a imitazione di questi, ottenesti dagli amfizioni come premio pitico, per via della spedizione a Delfi, i due voti dei Focesi. Di tutte queste cose quel tale, che si vanta di insegnare cose antiche in modo nuovo e cose nuove in modo antico, non dice nulla, non parlando né delle imprese più antiche, né di quelle che tu hai compiute recentemente, e neanche delle cose avvenute in periodo intermedio. Sembra che alcune non le abbia mai sentite, altre non le sappia, altre ancora le abbia dimenticate. Oltre a ciò, quel sofista, nell’esortarti a nobili azioni, ti porta ad esempio, esaltandola, la fuga e il ritorno di Alcibiade, e trascura le ben più grandi e più belle imprese compiute da tuo padre (9). Alcibiade, dopo essere andato in esilio per accusa di empietà, e aver fatto molto male alla sua patria, alfine vi tornò; Aminta, vinto da una rivolta che aveva per oggetto la conquista del regno, ritiratosi per qualche tempo, tornò poi in Macedonia da dominatore; l’altro invece, di nuovo andato
Pag. 30 - Fragmenta (II) in esilio, finì poi malamente la sua vita, mentre tuo padre, al contrario, ha finito i suoi anni a capo del regno. Ti ha portato ad esempio perfino la monarchia di Dionisio, come se fosse conveniente per te imitare i più empi e non i più saggi, essere in gara con i peggiori e non con i più giusti (10). E dice, nel suo discorso, che bisogna portare esempi che siano convenienti e illustri; ma poi, poco curandosi di quanto ha detto, si serve di esempi che sono del tutto contrarii a questo. Ciò che è più ridicolo, dopo aver scritto tutto questo, afferma di essersi dovuto amabilmente difendere dagli stessi discepoli che lo attorniano, alcuni dei quali gli facevano obiezioni, e che poi, vinti dalla forza dell’eloquenza, non sapendo più cosa dire, hanno finito col lodare il suo discorso, al punto tale di ritenere che sia da porsi, fra tutte le sue orazioni, al posto più alto. Ma potresti vedere in breve quale sia l’esattezza e quale la cultura di Isocrate dal fatto stesso che dà Cirene, fondata da Batto, per una colonia fondata dagli Spartani (11); e che ha posto come suo successore, nella sua arte, il discepolo Pontico, uomo del quale non potresti trovare molti sofisti più impudenti (12). So che c’è tra di voi anche Teopompo (13); è un uomo molto acre, che ha sparso voci calunniose contro Platone, dicendo che non è vero che sia stato Platone ad aver posto inizialmente le basi del tuo regno, né che è vero che egli si affliggeva se fra di voi avvenisse qualcosa di spiacevole e di meno che fraterno. E tu quindi, per mettere un freno alla tracotanza di Teopompo, comanda ad Antipatro di leggergli la sua storia della Grecia; e Teopompo capirà che meritatamente è respinto da tutti e immeritatamente gode la sorte di far parte del tuo seguito (14). Non altrimenti Isocrate, quello stesso che da giovane, insieme a Timoteo, scrisse contro di voi epistole ingiuriose, adesso da vecchio, appositamente e per malevolenza, tace della maggior parte dei benefici da voi compiuti. Il discorso che ti ha indirizzato, poi, è lo stesso che ha scritto prima per Agesilao (15), poi, cambiando solo alcune cose qua e là, lo ha venduto al tiranno siciliano Dionisio; successivamente, alcune cose togliendo e altre aggiungendo, lo ha aggiustato per Alessandro di Tessaglia (16); ed ecco che da ultimo, meschinamente, lo indirizza a te . Vorrei che la capienza del mio papiro fosse sufficiente a far menzione di tutte le simulazioni che egli fa nel discorso a te dedicato. Dice che la pace di Amfipoli gli ha impedito di scrivere un discorso sull’immortalità di Eracle, ma che di ciò ti parlerà poi meglio in seguito; ritiene di doverti chiedere scusa se ha scritto alcune cose senza vigore, a causa della sua vecchiaia, e che non si meraviglia se Pontico, col leggerti il suo discorso, lo renderà in qualche modo più da poco e vile (17); dice di sapere con certezza che farai una spedizione contro i Persiani! (18) Ma non ho più papiro sufficiente per scrivere tutte le altre cose che mi proponevo; tanta è la penuria di papiro in cui ci ha gettati il Gran Re, occupando l’Egitto! (19) Sta’ bene, e, dopo esserti preso cura di Antipatro, fa’ in modo di rimandarmelo qui al più presto. 1) La lettera è considerata oggi di discussa autenticità. E.Bickermann e J.Sykutris, Speusipps Brief an König Philipps, “.Ber. der Sächsischen Akademie der Wissenschaften” 1928, pp.1-86, l’hanno dichiarata autentica l’uno dal punto di vista storico, l’altro dal punto di vista stilistico, e occorre in ogni caso misurarsi con la loro opinione: il loro apporto in favore dell’autentica appartenenza a Speusippo ha un peso notevole, che non può essere trascurato. Gli autori fanno seguire alla lettera una rassegna di opinioni critiche. Dopo una prima attribuzione a Speusippo, sulla base di un confronto con Caristio presso Ateneo (supra, Test.18), compiuto già nel XVII secolo da L.Allatius ( Allatius, Socr. Epist., 1637) , molti critici sono stati propensi a negarne l’autenticità: fra di essi A.Westermann, De epistularum scriptoribus Graecis commentarius, Lipsiae 1855, pp.15-19; Bernays, Phokion, p.116 sgg.; W. Obens, Qua aetate Socratis et Socraticorum, quae dicuntur, scriptae sint epistulae, Diss. Münster 1912, p.31 sgg.; O. Schering, Symbola ad Socratis et Socraticorum epistulas explicanda, Diss. Greifswald 1917, p.61 sgg.; Wilamowitz, Platon I, p.725 e II, p.280, e sulle sue orme Jacoby, FGrHist. II A 69, pp.35-37, II C, p.21 sgg.; ancora la Koehler, Briefe d.Sokr:, pp.116-123. Ma tra XIX e XX secolo non sono mancati peraltro critici propensi a riconoscere l’autenticità dell’Epistola, quali Mullach, FrPhilosGr. III, pp.82-90, o Ritter, Neue Untersuch. üb. Plato, pp.387-392; e della rapida accettazione della tesi Bickermann-Sykutris sono fra l’altro documento Pohlenz, Philipps
Fragmenta (II) - Pag. 31 Schreiben, pp.41-62, in part.55; Momigliano, Fil.il.Mac., p.132; più tardi Merlan, Isocr., Arist. etc.,.p.60, e Markle III, Supports Ath. Intell., pp.92-93. Da ultimo si veda Natoli, Letter of Speusippus, Intr., pp.23-31, con la sua accettazione dell’autenticità seppur moderata da una ‘probabilità’ a favore. E’ tuttavia da notarsi che un autore tutt’altro che contrario al riconoscimento di autenticità quale :Pasquali (Lett. Platone, p:251, nt.1) afferma di conservare ancora, in proposito, qualche dubbio. Oggi una revisione della tesi dell’autenticità è quella compiuta da Bertelli, Epistola di Speusippo (1976), pp.275-300, e Lettera di Speusippo (1977), pp.75-111. Nella raccolta del Tarán la lettera non compare neppure, ma è annunziato uno scritto dedicato a refutarne l’autenticità. Continuo a conservare la sensazione che l’epistola sia effettivamente autentica. La raccolta delle lettere dei Socratici è, nell’insieme, più tarda di quella delle lettere di Platone; la Koehler, pp.4-5, la ritiene non anteriore al II secolo d.C. Eppure anche le lettere di Platone si sono raccolte intorno a una (o forse due, l’VIII oltre alla VII) che oggi la critica moderna, nonostante notevoli eccezioni, esita fortemente a dichiarare spurie: cfr. per questo Brisson, Lettres³, p.20, e Isnardi Parente, Platone.Lett., Intr., p.XII.. Non è insomma caso raro né particolarmente notevole che un insieme di opere nella maggioranza spurie possa formarsi sulla base di un nucleo autentico. Sykutris, Speus.Brief, pp.47 sgg., si è assunto il compito di sgombrarci la strada da possibili obiezioni di carattere stilistico. La lettera dimostra una possibile influenza isocratea se non altro per alcuni termini, come quell’ƒ stor…a che l’autore usa in 11,8 (Sykutris, pp.51-52), come lo eÙ erges…a usato più volte soprattutto nella prima parte, e pure assai noto a Isocrate (ibid., p.58; per Isocrate cfr, Philipp. 116, 140, 154) e per il carattere di un uso della metafora moderato e contenuto, come del resto in tutta la buona letteratura attica del IV secolo. Nell’insieme, la lettera rivela una perizia stilistica notevole, un uso calibrato e retoricamente dotto delle espressioni e delle clausole retoriche, tale da farci comprendere che ci troviamo di fronte a un autore non esente, nonostante l’anti-isocratismo del contenuto, da educazione retorica di buona marca isocratea. Tuttavia, il riconoscimento del carattere attico, e non atticistico, dello stile della lettera è solo una delle condizioni per l’attribuzione a Speusippo, potendo trattarsi anche di un falso assai antico; e inoltre il compito di dimostrarne in maniera relativamente sicura l’autenticità è reso difficile dal fatto che non possediamo alcuna opera speusippea che possa servire adeguatamente di confronto. E’ l’analisi storica dell’Epistola quella che ci dà maggior sicurezza in merito al problema dell’autenticità: e in merito a questa possiamo, nelle note che seguono, fare alcune affermazioni che ci portano vicini a risolvere tale problema positivamente. Per la natura e il carattere della lettera cfr.oggi Natoli, Letter of Speusippus, p.22, che tende a riconoscerle carattere privato e non pubblico né ufficiale: la lettera non fu pubblicata se non molto oltre il tempo in cui fu scritta. Se accettato, come sembra sia da accettarsi, ciò rende ancor più notevole la questione del ricoscimento della sua autentictà. 2) Non conosciamo Antipatro se non da questa pagina: dovrebbe trattarsi di uno storico che ha scritto su Atene. Pur inclinando a ritenere inautentica la lettera, Jocoby, nel già citato FGrHist. II A 69 e II C p:21 sgg., dà notevole spazio a questi frammenti di storia partigiana e cortigiana ; sembra comunque difficile ch’egli possa venir identificato col futuro diadoco, in base a un’ipotesi avanzata da F.Blass, Die attische Beredsamkeit,zweite Ablegung, Leipzig 1892² e J.Kaerst, Antipatros, RealEncycl. I,2, !894, col.2502. Cfr. Natoli, Letter of Speusippus, p.110, anch’egli incline a rifiutare questa associazione. 3)Comincia qui la polemica anti-isocratea che si protrarrà per tutto il resto delle lettera., e si accrescerà a un dato punto (12, 1 sgg.) con l’accenno al suo allievo Teopompo. Che essi siano tradizionalmente denigratori di Platone, è verità storica su cui non è necessario tornare qui; meno probabile è che in una lettera attribuita a Speusippo a vari secoli di distanza si tenesse ancora conto di questo. Speusippo denuncia un vero e proprio Anti-Filippo scritto dai suoi avversari; ciò spiega perché la lettera possa essersi conservata, trattandosi di una lettera aperta, cioè di un vero e proprio libello polemico in forma epistolare, secondo un uso non certo ignoto alla scuola di Platone (la stessa VII Epistola sembra avere questo carattere). Natoli, Letter of Speusippus, pp.64-66, contrario
Pag. 32 - Fragmenta (II) a porre Spesippo in amichevole rapporto con Filippo (l’antimacedonismo dell’Accademia è per lui un dato di fatto incontrovertibile; ma su questo, per quanto riguarda Speusippo, si possono nutrire dubbi), ritiene che Speusippo abbia semplicemente osato ‘tastare le acque’col sovrano, difendendo Platone ai suoi occhi, contro Isocrate e la scuola. 4) Con l’atteggiamento tradizionale dei monarchi macedoni ( Erodoto, Hist.V, 22, VIII, 137; cfr. poi Isocrate, Phil.,176), Filippo si vantava di discendere da Eracle; è anche noto come si sforzasse di apparire ˜llhnikètatoj, contro le accuse a lui frequentemente rivolte di non essere un vero greco e di regnare su un popolo barbarico (Demostene, De falsa legatione, 309; De corona, 31; e altrove). Nelle storie di Antipatro era puntualizzato non solo il filellenismo degli antenati di Filippo – ciò che Demostene considera tradimento è qui visto come benemerenza verso gli Elleni – ma anche il legame particolare della stirpe dei sovrani macedoni verso Atene, per via dell’adozione di Eracle da parte dell’ateniese Pylios (non sembra necessario supoporre qui, con la Kohler, p.117, l’imitazione di Apollodoro,II,5,12). Bickermann, Speus.Brief, p.23 sgg., ha notato numerosi altri esempi di simili finzioni mitologiche volte a giustificare a posteriori posizioni politiche e aggressioni belliche. 5)La figura di Eracle e la sua attività antirannica servono a giustifica le accuse rivolte a Filippo per il suo assoggettamento della parte nordorientale della Grecia: cfr. Demostene, or.VI,8, 11-12. L’occupazione di Amfipoli, di Ambracia, della Calcidica vengono giustificate ricorrendo a titoli di legittimazione consistenti nell’azione di Eracle contro panoÚ rgoi e par£nomoi. Questi motivi costituiscono per il diritto greco reali e validi titoli giuridici: cfr. Andocide, De pace,13, Eschine, or.II, 117, e, con diversa applicazione, lo stesso Demostene, or.XV, 29. Cfr.Bickermann, Speus.Brief, pp.28-29, sulle orme di J.Lipsius, Attisches Recht, Leipzig 1905-1915, II, p.450. 6) Damaste di Sigeo; cfr. Dionisio di Alicarnasso, Thucidides, 5 ( e FGH 5). L’opera cui Speusippo allude deve essere il Perˆ tîn ™n `Ell£di genomšnwn (Natoli, Lett. Speus.,p.120). 7)Isocrate, nato nell’olimpiade 86,1 (436a.C.all’incirca) , ha già un’età considerevole quando questa lettera è, o si presume che sia, scritta. Cfr. K.Münscher, s.v.Isokrates, Real-Encycl. IX, 1916, coll.2146-2227, in part.2150. Dall’esame di tutta questa parte della lettera Bickermann (p.30 sgg.) trae la convinzione che essa, se autentica, sia stata scritta nell’inverno 343-342, prima che l’intervento ateniese costringesse Filippo ad astenersi dalla conquista di Ambracia (cfr. Demostene, Phil. III, 27,34). La lettera di Speusippo non ha senso se non in un contesto nel quale Filippo si prepara alla conquista di Ambracia, e mal si giustifica una tarda falsificazione che non tenga conto di questi successivi eventi. Egli giustifica l’unico errore storico che è nell’Epistola, lo scambio fra Dario e Serse, con l’esempio di altri consimili errori di retori greci, per esempio Andocide, De pace, 316 (scambio di Cimone con Milziade), Eschine, or.II, 172 ( meno calzante l’altro esempio, di Elio Aristide, Panathenaikós, a proposito di confusioni consimili fra Dario e Serse, data la lontananza dell’autore dagli eventi e il carattere ormai puramente erudito del richiamo). Vi sono poi, per il Bickermann, due dati importanti per la fissazione cronologica, e sono uno l’accenno all’attività di Platone presso Perdicca in favore del giovane Filippo – che sarebbe maldestro e inopportuno già soltanto nel 341, dopo la morte, nel corso della lotta antimacedone in Eubea, di quell’Eufreo discepolo accademico ch’era stato lo struimento pratico di Platone per tale operazione presso la corte macedone - ,l’altro la significativa frase finale circa la mancanza di papiro derivato dallo stato bellico che regna in Egitto, frase che ci riporta inequivocabilmente all’anno della spedizione di Artaserse Ochos per l’appunto in Egitto, nella seconda metà del 343: la datazione della lettera è dunque da non riportarsi a dopo quella data. Su questo aspetto ci proponiamo di tornare a tempo debito: è un accenno prezioso che ci dice molto circa l’autenticità della lettera. La Koehler parla invece, genericamente, di uno scritto che dovrebbe porsi in ogni caso dopo il 346, anno della composizione del Filippo isocrateo (Briefe Sokr., pp.118-119), in base a cui potrebbero rivelarsi equivoche e inattuali l’accenno ai Focesi e l’ingresso di Filippo nell’Amfizionia, per cui cfr. infra, nota seguente. E dubbi più notevoli intervengono a Bertelli, Epist.Speus., p.279 sgg., circa il modo con cui la lettera di Speusippo viene a inserirsi nelle vicende relative a Eufreo: se la fine di
Fragmenta (II) - Pag. 33 Eufreo cade nella seconda metà del 342, la cronologia del Bickermann è fuori luogo, dato che la lettera, dopo la morte di Eufreo, non ha più ragione di essere. Ma Bertelli non sembra aver preso in considerazione un’altra ipotesi, che cioè la lettera di Speusippo possa essere stata scritta non a conclusione di una certa serie di avvenimenti, ma durante questi stessi, cioè durante la rivolta dell’Eubea e nel corso dell’opposizione antimacedone di Eufreo stesso. Seguendo la cronologia offerta da U.Kahrstedt ( Forschungen zur Geschichte des ausgehenden fünften und des vierten Jahrhunderts, Berlin 1910, p.73 sgg.), gli avvenimenti della rivolta in Eubea si pongono esattamente nello stesso lasso di tempo in cui Bickermann ritiene scritta la lettera speusippea; e il rigoroso silenzio di essa su Eufreo potrebbe apparire, a questa luce, significativo. La lettera ha quasi il tono di voler ricordare al monarca l’atteggiamento di Platone e della sua scuola e i suoi debiti verso di essa, nonostante il diverso atteggiamento assunto poi da singoli suoi membri, in particolare da parte di uno, il cui nome si tace volontariamente ( cfr. Isnardi Parente, Filos.e polit.,p.42, nt.51, e Speusippo¹, pp.397-398). Recentemente è tornato sulla questione della datazione Natoli, Letter of Speusippus, p.29 sgg., con la fissazione di un terminus ante quem al 341; il che non porta niente di realmente nuovo alla questione: si oscilla semplicemente fra 343 e 341, senza che i problemi siano essenzialmente mutati. 8) La questione dell’Amfizionia e della sconfitta dei Focesi appare ancora tutt’altro che chiusa nel 343, come attesta l’orazione di Demostene sulla ‘falsa ambasceria’ (or.XIX, 111, 132, 327): Antipatro, coll’offrire al re pretesti e giustificazioni per le sue imprese amfizioniche, gli dà anche una patente di delficità, il che è di particolare importanza per una scuola e uno scolarca che fanno aperta professione di delficismo, e si richiamano ad Apollo delfico a protettore e patrono. 9)Si riferisce certamente a Isocrate, Phil., 58 sgg. L’inesattezza circa Aminta, scacciato temporaneamente dal regno per un assalto degli Illiri, mentre qui sembra che lo sia stato per una sedizione, è notata dalla Kohler, Briefe Sokr., p.118; ma può dipendere da cattiva informazione di Speusippo circa le vicende macedoni. 10) Ancora Isocrate, Phil., 65-66. Operare una sorta di parificazione fra un ‘buon re’ e un tiranno è particolarmente criticabile da parte dell’Accademia, e in particolare di Speusippo; cfr: supra, F 92, ove troviamo la teoria del re come ¢n¾ r ¢gaqÒ j. 11) Ancora Isocrate, Phil., 5-6. 12) Non si sa nemmeno se Pontico sia il nome proprio di questo allievo,o se occorre leggere qui Ð pontikÒ j, ‘un allievo venuto dal Ponto’; in ogni caso è un personaggio fantasma, e ci fa presenti tutte le difficoltà create dalla letteratura epistolare. Per la Koehler (pp.119-120) è un ricordo di Ant.224, passo in cui si parla di allievi venuti dal Ponto; ma per Bertelli potrebbe trattarsi di Isocrate, figlio del platonico Amicla, di Apollonia (Lettera Speus., p.91). 13) Teopompo si trovava in Macedonia nel 342 ( cfr.R.Laqueur, Theopompos aus Chios, RealEncycl. V A 2, 1937, coll.2176-2223, in part.2185, 2187. Che si desse da fare per stornare la benevolenza di Filippo da Platone e dalla sua scuola è comprensibile: suo è infatti lo scritto Katadrom» tÁ j Pl£twnoj diatribÁ j (FrGrHist II B 115, fr.259, cfr. anche 275). Momigliano, Phil.il Mac., p.132, nt.2, pensa che l’Encomio di Filippo scritto da Teopompo sia una risposta polemica al Filippo di Isocrate: Teopompo avrebbe esortato Filippo ad occuparsi della ‘Europa’, piuttosto che interessarsi a combattere i barbari. Quanto all’accusa di essere uomo yukrÒ j, essa è in coerenza con quanto la tradizione ci riporta intorno a Teopompo (cfr. ancora Laqueur, coll.218586). 14)Non va trascurata l’ipotesi di Markle III, Supp.Ath.Intell., pp.93-94, che la lettera possa essere stata scritta da Speusippo con il preciso intento di evitare un precettore isocratico, anziché un precettore accademico, per il giovinetto Alessandro. La lettera sarebbe quindi indirizzata a Filippo per sollecitarlo indirettamente a far cadere sugli allievi di Platone, piuttosto che sulla cerchia isocratea (e Teopompo si trovava già presso Filippo) tale importante scelta. Al contrario Bertelli, Lett.Speus., p.83, ritiene che una delle ragioni che può indurre a dubitare dell’autenticità della lettera è l’inverosimiglianza di una azione di ‘propaganda’ antiaccademica svolta da Teopompo alla corte del sovrano proprio mentre Aristotele si trovava a esercitare la sua funzione di precettore
Pag. 34 - Fragmenta (II) presso Alessandro. Senonché l’argomento non regge, e soprattutto si basa sull’ipotesi che Aristotele sia stato chiamato a Pella già dal luglio 343, quando ancora la stesura della lettera non si dava come imminente; non sembrano suffragare tale ipotesi né le citazioni degli studiosi ch’egli apporta a suo sostegno (Jaeger, Arist., p.117; Wormell, Liter.Trad.of Hermias, p.58; Düring, Arist., p.12) né soprattutto la fonte antica, Diogene Laerzio, V,10: parlandoci dell’inizio della funzione di educatore di Aristotele sotto l’arcontato di Pitodoto, Diogene ci rimanda semplicemente all’anno 343/42, né su questa base è lecito voler precisare date ulteriori. Si può dire tutt’al più che la lettera di Speusippo sia stata scritta immediatamente prima della chiamata di Aristotele, anzi la abbia sollecitata: Non si dimentichi che la lettera non è un esempio di filomacedonismo coerente e impegnato: più che un libello di propaganda filo-macedone, è un libello di propaganda anti-isocratea ( cfr.già lo stesso Bickermann, Speus.Brief, p.45, e infine p.81 per la sfavorevole valutazione d’insieme dell’ethos speusippeo). E della gara puntigliosa fra le due diverse tradizioni scolastiche non è il caso di tornare a parlare qui di nuovo; si può oggi rimandare a A.Masaracchia, Isocrate: retorica e politica, Roma 1995, cap.1° (Le scienze nella paideia), pp.17-45, ove questo dibattito molteplice viene efficacemente raccolto.. 15) Il discorso, o la lettera, che Isocrate avrebbe indirizzato ad Agesilao ci è ignoto: G.Mathieu, Les idées politiques d’Isocrate, Paris 1925, 1966², pp.100-101, ipotizza uno scambio fra Agesilao e il figlio di questo Archidamo, cui è diretta una lettera di Isocrate, la Epistola IX (cfr. poi anche Mathieu-Brémond, Isocrate, IV, Coll.Budé, 1942, Notice, pp.163-164). 16)Nulla sappiamo di Alessandro di Fere: Schering, Symbola, p.38, pensa a uno scambio con Giasone, il che comporterebbe una incongruenza cronologica, essendo questi morto nel 370. Ma Bickermann, pp.35-36, ipotizza una lettera ad Alessandro verosimilmente scritta fra il 367, anno in cui Isocrate scriveva la lettera a Dionisio, e il 363. 17) Per le osservazioni sul termine mwlÚ teron cfr. supra, F 51. 18) La previsione di una guerra di Filippo contro i Persiani rafforza Bickermann, p.35 sgg., circa la sua fissazione cronologica della lettera prima della morte di Ermia (341) quando l’atteggiamento antipersiano di Filippo comincia a rivelarsi pienamente, mentre suscita dubbi in Bertelli, Epist.Speus., p.288, secondo il quale l’impostazione antipersiana della politica di Filippo doveva già considerarsi precedente, legata in qualche modo all’azione di Aristotele presso la corte macedone. Si ricordi però che anche in Aristotele esse non diviene chiara se non quando Ermia è torturato e ucciso dai Persiani, e quindi dopo la data presumibile di questa lettera. 19) Contro la conclusione della lettera come ulteriore prova dell’autenticità Pasquali, Lett. Pl., p.251, nt.1) e più decisamente Bertelli, Epist.Speus., p.279 sgg. (ma contro di lui cfr. giustamente Natoli, Letter of Speusippus, p.28). Mi trovo ancora una volta d’accordo col Bickermann: gli storici antichi non sono soliti a fare attenzione ai fatti economici ‘minuti’, e l’attribuire importanza, da parte di un falsario, a un fatto ‘storico’ come la carenza di papiro desterebbe difficoltà, non solo per l’insensibilità corrente a registrare fenomeni di quest’ordine, ma anche per la difficoltà obiettiva di trovarli registrati nelle fonti a disposizione. Pseudepigrafi F 131 Epist.Socr:XXX (=XXXII Orelli) 1,8 corr. Allatius 2, 8 corr. Hercher; ™ntolîn Allatius, ™pistolîn P 3,5 corr. Orelli
3, 3e 4 suppl. Koehler
Ho creduto che fosse mio dovere non trascurare nessuna di quelle cose che è bene fare, sia per il mandato che ho da Platone, sia per l’amicizia che sussiste fra me e te. E ho creduto perciò di doverti scrivere per avvertirti quali siano attualmente le mie condizioni fisiche, e per dirti che credo
Fragmenta (II) - Pag. 35 opportuno che tu venga nell’Accademia a reggere la scuola. Mi accingo a dirti questo perché lo ritengo giusto e doveroso. Platone, come tu ben sai, giudicava cosa di non scarso rilievo il far parte dell’Accademia, ritenendo che ciò fosse importante ai fini di una vera gloria, della propria vita, della propria futura memoria fra gli uomini. E, con siffatte convinzioni, l’alta stima in cui ti teneva la provò con la sua morte stessa: comandò infatti a tutti noi amici che, quando tu fossi venuto a morte, dovessimo seppellirti presso di lui; ciò perché pensava che non ti saresti allontanato mai dall’Accademia. Perciò credo che ti convenga sommamente rendere onore a Platone, in vita e in morte: è giusto che un uomo come si deve onori gli dèi, i genitori, i benefattori, e la nostra convivenza con Platone si adatta perfettamente a quanto ora ho detto: Platone era infatti per alcuni un padre, per altri un benefattore che si prende cura di noi, e per tutti quanti poi teneva il luogo vero e proprio di una divinità. Ti consiglio quindi, poiché lo credo cosa buona e giusta, di rendere a Platone la grazia più grande e più degna; il che potrai fare se, venendo nell’Accademia, ; la coerenza e la lealtà possono esser dette a buon diritto vera sapienza. Noi dobbiamo eccellere in queste molto più che gli altri uomini; e tu credo che le avrai a cuore più ancora di quanto si conviene (1) . 1) L’Index Academicorum, che ci riporta notizie molto più antiche e attendibili, parla (supra, Test.1) di una regolare elezione di Senocrate da parte dei discepoli nean…skoi, presupponendo l’assenza del solo Aristotele. Se la notizia dell’elezione di Senocrate e quella di una preventiva chiamata da parte di Speusippo non sono in sé assolutamente contraddittorie, resta l’incertezza circa la residenza di Senocrate (Atene o la sua patria Calcedone, da cui avrebbe fatto ritorno?), e sta di fatto che la notizia circa una chiamata è indubbiamente molto più tarda dell’altra. Essa dà l’impressione di una notizia conciliatoria, che tenda ad accordare fra loro le due figure dei primi scolarchi dell’Accademia e ad istituire un legame fra di esse. Simili notizie sono sempre da accettarsi con grande cautela, anche se non rifiutarsi a priori. Diogene Laerzio (IV,3), lo pseudo-Galeno (Hist.Philos.,3), Temistio (Or.XXI, 255b) riportano la notizia della chiamata ricevendola o dal falsario, o dalla stessa tradizione sulla quale il falsario ha costruito questa epistola e la seguente. Si tratta della tradizione che, nell’antichità ormai tardiva, ha fatto dimenticare il dato più sicuro dell’elezione. L’Epistola socr. XXX è costruita in maniera da porre particolarmente in risalto la figura di Senocrate. A Senocrate si dà una legittimazione fondata sulla stessa parola di Platone; il quale avrebbe addirittura predisposto la sua tomba accanto a quella del discepolo prediletto. Non sono quindi tanto i condiscepoli accademici quanto è il medesimo Platone ad eleggere il proprio successore. C’è anche una sorta di velato rimprovero: Platone non avrebbe mai supposto che Senocrate potesse allontanarsi dalla scuola; è quindi a suo nome che Speusippo ve lo richiama, ricordandogli in pari tempo il dovere degli onori a Platone come personaggio divino e la sua funzione di continuatore. Così, con questa lettera, è riconosciuta a Speusippo una funzione di tramite e stabilita una assoluta continuità ideale fra i due scolarcati di Platone e di Senocrate. La Koehler, Briefe Socr:, p.124, ha creduto di notare echi della IV Epistola platonica: la conclusione della lettera richiamerebbe Epist.IV, 320c, a sua volta modellata su Phaedr. 279a (cfr. Souilhé, Platon, Lettres², p.22). Ciò deriva dalla convinzione che la IV Epistola platonica scaturisca da ambiente speusippeo; cfr. Isnardi Parente, Platone.Lett., p.205-07: il falsario, in qualche modo riferendosi ad essa, avrebbe fatto una ragionevole scelta del suo modello. A parte tutto ciò, l’accentuazione della concordia interna dell’Accademia induce a pensare che la lettera sia pseudospeusippea e che scaturisca da una tradizione conciliatoria tardo-antica. F 132 Epist.Socr. XXXI (XXXIII Orelli) 1, 3 Hercher 1,5 sic Herter, kecarismšnon codd. 1,7 paragenÒ menoj P
Pag. 36 - Fragmenta (II) Mi è sembrato bene scriverti questa lettera per informarti del mio stato fisico. Le forze del corpo mi hanno abbandonato in grande misura; non posso più valermi di alcuna delle mie membra. Si dà il fatto, però, che la lingua e la testa continuino a funzionare: forse perché sono organi separati dal resto del corpo, e le parti più divine di esso. Già prima avrei voluto averti qui: farai bene, adesso, se verrai e ti porrai a capo dei miei, come ben so che tu farai, prendendoti cura delle cose dell’Accademia (1). 1) E’ modellata sulla lettera ‘dell’ultimo giorno’, che Diogene Laerzio (X, 22= fr.138 Usener, 52 Arr.²) attribuisce a Epicuro: l’autore può conoscerla da Diogene Laerzio stesso, anche se la traduzione datane da Cicerone (De fin.II,30, 96) attesta la conoscenza e la diffusione di essa ben da prima. Assai simile è la struttura: una breve introduzione, le notizie sulle disperate condizioni fisiche, il richiamo a un elemento di vitalità persistente, la conclusione finale. Platonico è soprattutto il motivo della superiorità del capo rispetto al resto del corpo (Tim.44d); la correzione di Hercher, kecwrismšnon, rende meglio comprensibile tutta la frase (cfr. gli sforzi di traduzione compiuti, in base alla lezione tràdita, dalla Koehler, Briefe Sokr:, p:91). La conclusione riprende il motivo della XXX, e ci rende propensi a credere che le due lettere siano della stessa mano. F 133 Epist.Socr. XXXIII (XXXV Orelli) 1,6 ¢ne…menoj Hercher 2,2 corr.Orelli; ball£ntia t¦¢kÒ ntia Hercher 2,6 corr. Allatius, tÒ te ¥xion P 2, 8-9 sic Ritter, toÝ j kaloÝ j genomšnouj Koehler 2,11 sic P in margine 3,7 corr. Hercher; porqas…oij (?) P 3, 10 ¢dik…aj codd., corr. Allatius et Hercher, ex Hom., Od., XIX, 11 3,13 ce‹rej ple…onej corr.Hercher 4,1 asteriscos post m…an posuit Orelli 4,3 corr.Allatius, fÒ bou P
Ho creduto bene di scriverti due lettere, l’una in tono più solenne, l’altra scritta invece nel linguaggio usuale della vita domestica (1). Comprendo bene, infatti, che le lettere che si mandano possono talvolta esser ricevute in momenti poco propizi: ci sono dei momenti in cui uno di noi è serio, altri in cui si trova tutto teso alla piacevolezza e in condizioni di maggior allegria, e gode allora di comportarsi con maggiore libertà di parole. In primo luogo, mi rallegro con i Siracusani di averla fatta finita di chiamare il maiale ‘iacco’ e il bue ‘aratore della terra’, e altre piacevolezze del genere, per esempio ‘fruttigeno’ il mese in cui nascono i frutti (2); e di scrivere sofismi e mandarli a Delfi (3); tanto più che Apollo non sembra essersi comportato da padre dopo averli ascoltati, e aver visto il carro che corre da solo nell’ippodromo – al contrario, mi sembra proprio che abbia voluto far cessare costui dal venire di persona a offrirgli tutti questi giochi d’ingegno. Forse è proprio il caso di dire che solo quelli che aspirano al bello sono amati dagli dèi. Mi ricordo della lettera che mi scrivesti, dicendomi che per mia iniziativa era stata preparata questa impresa, e non era stata differita; e dicevi che avrei fatto bene a sostenerne tutte le difficoltà e tutte le vicissitudini. Un altro, forse, ricordandoti una simile lettera, si affretterebbe a raccomandarti di voler contraccambiare tutto questo; ma io aspetterò, per chiedertelo, l’occasione propizia. Terrei invece in gran conto il fatto che tu, dopo l’impresa, ti mantenessi così come sei stato sempre nel tuo comportamento verso di noi, anziché divenire con noi altezzoso e superbo (4), come vanno raccontando di te i bambini per le strade, e Polisseno nelle sue navigazioni, e i pastori sui monti (5). E’ proprio il caso di comportarsi in un modo così fanciullesco? No certo. Ma ora mostrerai ‘quali capi ci siano fra i Danai’ tali da sostenere giuste cause: è da ciò che deriva ogni buon successo. E darai così lustro all’Accademia, sì che la gloria di questa vada ‘per quanto si diffonde l’aurora’. A me spuntano arti e piedi più numerosi che quelli di Gerione; se mi manderete Filistione, o chiunque altri è possibile, non farete che accrescere le mie forze (6). Mandami una … poiché so da
Fragmenta (II) - Pag. 37 Meride e da Echecrate delle lezioni fatte nella cerchia di Dionisio (7): credo bene che siano degne in tutto e per tutto di essere ascoltate, giacché vengono da un uomo che è rampollo di stirpe febea. Mandami a dire se devo provvedere a qualcosa di costà privatamente, o valendomi dei mezzi pubblici della città; o anche procurandomene da fuori di essa, giacché quelli che vi hanno accompagnato nella spedizione sono pronti a farlo. Sappi che credo siano molti quelli che sono ben disposti a prendersi cura di tutto insieme con te, se a te sembra che le cose siano state condotte da noi come si deve. Qui da noi, tutto va più o meno come quando voi eravate qui. Sta’ bene.
1) Questa lettera si immagina scritta da Speusippo a Dione poco dopo la sua vittoria su Dionisio II; è dato dunque per scontato che egli non abbia preso parte alla spedizione. Insieme con la curiosa risposta indiretta che appare scritta da Dionisio anziché da Dione, l’Epistola XXXIV, appare studiata esaurientemente dal Ritter, Neue Unters., p.382 sgg.; dal Sykutris, Briefe Sokr:, p.92 sgg.; qualche precisazione porta anche la Koehler, Briefe Sokr., p.124 sgg. 2) Le notizie relative all’attività poetica di Dionisio il Vecchio, che forse qui l’autore confonde con Dionisio II, sono date da Ateneo, Deipnosoph.III, 98d; fonte, probabilmente, i Sikelikà di Athanis. 3) Plutarco, De Alexandri fortuna, 338a, ci parla dell’epigramma delfico, non però delle singolari offerte (ad esempio il carro automoventesi) inviate al santuario di Delfi. La notizia è però probabilmente vera: Diodoro (XIV, 42) ci dice del carattere mirabile della tecnica siracusana, di cui Dionisio voleva farsi vanto agli occhi di tutta al Grecia (cfr: Sykutris, Briefe Sokr., p.94). Plutarco, Dio, 9, ci parla delle grandi abilità tecniche di Dionisio; ma che questi stesso sia andato a darne prova a Delfi in qualità di offerente è forse derivato dalla pseudo-platonica Epist.III, 315b sgg., lettera che è in ogni caso stata scritta assai prima della XXXIII Socratica. 4) Evidentemente l’autore dell’Epistola non si contentava delle Epistole platoniche, perché rafforza le raccomandazioni fatte a Dione di non insuperbire per la vittoria, foggiate sulla base di Epist.IV, 320b, e cfr. a sostegno Epist.VII, 336a; cfr. Plutarco, De adul. et amico, 69f-70a. Tali raccomandazioni venivano certamente anche da parte speusippea, ma non possediamo su di esse che un accenno di Plutarco (cfr.supra, Test.32). Anche la fine della lettera si modella su Epist.IV, 321a: 5) Polisseno è certamente il sofista allievo di Brisone e autore dell’argomento del ‘terzo uomo’, per cui cfr. Epist.plat.II, 310c, 314c. Per la sua presenza a Siracusa in quel periodo cfr. V.Stegemann, s.v.Polyxenos, Real-Encycl. XXI,2, 1952, coll. 1857-59. L’accenno presente è alla fuga di Polisseno dopo la caduta di Dionisio. 6) Per ciò che riguarda il medico Filistione e la scarsa salute di Speusippo cfr. supra, Test.20. Anche l’esempio mitologico di Gerione risente di influenza platonica (cfr. Euthyd.299a). 7)Per le sunous…ai con Dionisio II cfr. ancora Epist.VII, 341b; l’uomo di stirpe febea è ovviamente Platone. Anche il nome di Echecrate è noto, per Echecrate di Fliunte, forse il pitagorico cui è legato il Fedone platonico ( notizie in Timpanaro Cardini. Pitag.II, pp.426-27). Ma può darsi che si tratti di un altro Echecrate, a noi ignoto, giacchè Platone – ed è poi uno pseudo-Platone parla di lui come del ‘giovinetto Echecrate’( Epist.IX, 358b): forse Echecrate di Taranto, di cui ci parla Giamblico nel suo Catalogo. Cfr. Isnardi Parente, Platone.Lett., p.266.
Pag. 38 - Fragmenta (II)
Indice delle testimonianze e dei frammenti: Testimonia Test.1 Vita Speusippi Herculanensis (pap.herc.1021), p.135-136 Dorandi 2 Diogenes Laertius, Vitae Philosophorum, IV, 1-5 3 D.L. III, 46 4 Suidas, s.v.Speusippos, 928, IV, p.417 Adler 5 D.L.III, 4 6 D.L. V, 86 7 Philod.Ind.Acad. col.V, additamentum II, p.222 Dorandi 8 Pap.Oxy.12, col.1, 21 sgg. 9 Eusebius-Hieronymus, Cronicon, pp.118-126 Helm 10 Elias, In Aristotelis Categorias, p.112, 17-23; 112,28-113,4 11 Ps.Elias, In Porphyrii Isagogen, 29, 41-43, pp.69-70 12 –14 Vita Aristotelis latina, 13-14, 24 - Vita Aristotelis Marciana, pp.3,69-73, 4, 112-117 Vita Aristotelis vulgata, 13-14 e 18 15 Athenaeus, Deipnosoph.VII, 279 e-f 16 Athen. Deipnosoph.XII, 546d 17 Athen. Deipnosoph. XI, 506e 18 Philostratus, Vita Apollonii Tyanensis,1,35 19 Epist.Socr.XXXIV,1 20 Ps.Platonis Epist.II, 314e 21 Aelianus, V.H. III,9 22 Ps.Platonis Epist.XIII,361 d-e 23 Ps.Chio, Epist.X, p.60 Düring 24 Plut. De fraterno amore, 21, 491f l-492a 2 25 Ps. Plut. De liberis educandis, 14, 10d 5-8 26 Plut. Adv.Colotem, 1108a 27 Seneca, De ira, III, 12, 5-7 28 Valerius Maximus, IV, 1, 15 29 Plut. Dio, 17, 2-4 30 Plut., Dio, 22, 1-4 31 Plut:, Dio, 35,4 32 Plut., De adulatore et amico, 29, 70a 1-5 33 Ps.Galenus, Hist.Philos., 3, Dox.Gr. p.599 34 Ioannes Italos, Quaestio 91, p.137, 5-25 Joannou 35 Prolegomena in Platonis Philos., 24,6, p.38 Westerink 36 Ioannes Stobaeus, Florilegium, IV, 52,17, V, p.1077 Hense 37 Tertullianus, Apolog. adv. gentes, 46,10, p.96 Waltzing 38 Gregorius Nazianzenus, Poemata moralia, PG X, 306, col.702 39 Themistius, Oratio XXI, 255b 40 Themistius, Oratio XXXI, 353 c-d 41 Themistius, Oratio XXXIV, VII 42 Plutarchus, Quaestiones Convivales, I, 612 d7-e2 43 Gellius, Noctes Atticae, III,7,13 44 Cicero, Academici Post., I,4,17 45 Cicero, De oratore, III, 18, 67 46 Cicero, Acad.post., I,9,34
Fragmenta (II) - Pag. 39 47 48 49 50 51 52 53
Cicero, De finibus, IV, 2,3 Epicrates apd.Athen. Deipnosoph.II, 59d-f Athenaeus, Deipnosoph. I, 3f Numenius, De Acad.a Plat.defectione I, apd.Eusebium, Praep.Evang. XIV,5,1 Eusebius, Paepr.Evang.XIV, 4, 13-14 Porphyrius, Vita Pythag., 53 Simplicius, In Arist.Phys., p.151,6 sgg. Diels
Pag. 40 - Fragmenta (II)
Fragmenta 1 Sextus Empiricus, Adv.log.I, 145-146 2 Proclus, In pr.Eucl.Elem.librum, p.179, 8-21 Friedlein 3 Id., ibid., pp.77,7-78,9 F. 4 Id.,ibid., p.181, 21-24 F. 5 Aristoteles, Anal.post.,II, 13, 97a 6-14 6 Anon.In Arist.Anal.post.,pp.584, 17-585 ,1 Wallies 7 Themistius, In Arist.Anal.post., p.58, 4-11 W. 8 Ioannes Philoponus, In Arist.Anal.post., pp.405,27-406,2 W. 9 Id., ibid., p.406,16-22 W. 10 Eustratius, In Arist.Anal.post., p.202, 16-33 Hayduck 11 Id., ibid., pp.203,35-204,4 H. 12 Id., ibid., p.205, 15-16 Hayduck 13 Simplicius, In Arist.Categorias, p.38, 19-30 Kalbfleisch 14 Id., ibid., p.36, 25-30 K. 15 Id., ibid., p.29,m 5 K. 16 Aristoteles, Metaph.Z, 2,1028b 18-25 17 Asclepius, In Arist.Metaph., p.379, 12-15 Hayduck 18 Id., ibid., pp.377,34-378,3 H. 19 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., pp.463,34-464,1 Hayduck 20 Arist.Metaph L, 1075b 37-76a4 21 Id., ibid., 1072b 30- 73a 1 22 Themistius, In Arist.Metaph. Paraphrasis, p.24, 24-29 Landauer 23 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., p.699, 28-33 H. 24 Ioannes Philoponus, In Arist.Metaph.,trad.F:Patrizzi, fol.51v, col.a 25 Aristoteles, Metaph. N,5, 1092a 9-17 26 Aristoteles, Metaph.N,4, 1091a29-b 3 26a Ps.Alexander, In Arist.Metaph., pp.717,39-718,5 H. 27 Aristoteles, Metaph.M, 8, 1084 b 27-30 28 Damascius, De primis principiis, I, p.2, 25 Ruelle 29 Palimps.Taurinense, I, 20-24, p.602 Kroll 30 Proclus, In Platonis Parmenidem comm., pp.38-40 Klibansky-Labowsky 31 Aristoteles, Eth.Nicom., I,4, 1096b 5-7 32 Aristoteles, Metaph.N, 4 , 1091b 30-35 33 Syrianus, In Arist.Metaph., p.164, 22-24 Kroll 34 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., p.823, 9-14 H. 35 Aristoteles, Metaph. L , 10, 1075a 31-37 36 Aristoteles, Anal.Post., II,6, 92a 20-25 37 Aristoteles, Metaph.I, 3, 1054a 20-32 38 Alexander Aphr., In Arist.Metaph., p.250, 13-22 H. 39 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., p.616, 14-19 H. 40 Theophrastus, Metaph., 32, XI A 18-25 Usener, p.21 Laks-Most 41 Iamblichus, De comm.math.scientia, 4, pp.15,6-16,14, 18, 1-13 Festa 42 Aristoteles, Metaph. L , 1, 1069a 30-36 43 Aristoteles, Metaph.M,1, 1076A 19-22, 32-35 44 Aristoteles, Metaph. M, 6, 1080b 11-18, 23-29 45 Aristoteles, Metaph.M, 8, 1083a 20-35 46 Aristoteles, Metaph. M, 9, 1086a 2-5 47 Ps.Alexander, In Arist.Metaph., p.782, 31- H.
Fragmenta (II) - Pag. 41 48 Aristoteles, Metaph. N,4, 1091b 13-25 49 Aristoteles, Metaph. N, 2, 1090a 2-13, 20-38 50 Aristoteles, Metaph. N, 3, 1090b 5-7 51 Aristoteles, Metaph. N,5, 1092a35- 1092b 52 Aristoteles, Metaph. N, 1 ,1087b 6, 27-33 53 Aristoteles, Metaph.M, 9, 085b 5-12, 21-27 54 Aristoteles, Metaph.M, 9, 1085a 31-34 55 Aristoteles, Metaph. M, 5, 1085b 26-31 56 Aristoteles, Topica, I, 18, 108b 23-28 57 Aristoteles, Metaph.N, 3, 1090b 13-20 58 Theophrastus, Metaph. 12, VI A 23-B 7 Us., p. 8 Laks-Most 59 Iamblichus, De comm.math.scientia, 4, pp.16,15-17, 29 Festa 60 Aetius, Placita, I,7,20, Dox.Gr. p.303b 61 Cicero, De nat.deor., I,13, 32 62 Minucius Felix, Octavius, 19,7, p.29 Beaujeu 63 Aristoteles, Metaph.N, 5, 1092a 7-21 64 Plutarchus, Platonicae quaestiones, 8, 1007 a-b 65 Aristoteles, De caelo, I, 10, 279b 32-280a 2 66 Scholion in Arist.De caelo, p.489, 9-12 Brandis 67 Iamblichus apd. Stobaeum, Ecl.I, 49, pp.363,26-364,5 Wachsmuth 68 Iamblichus, De comm.math.scientia, 4, p.40, 15-19 Festa 69 Aristoteles, De anima, I,2, 404b 18-27 70 Aristoteles, De caelo, III, 4, 403a 29-b2 71 Olympiodorus, In Platonis Phaedonem, p.124, 13-18 Norvin 72 Philodemus, De pietate, fr.C, 7b 1, p.72 Gomperz 73 Aristoteles, Eth.Nic., VII, 13, 1153b 1-7 74 Id., ibid., X,2, 1173a 5-9 75 Aspasius, In Arist.Eth.Nicom., p.150, 3-8, 19-16 Heylbut 76 [Heliodorus], In Arist.Eth.Nicom:, p.158, 20-30 H. 77 Eustratius, In Arist.Eth.Nicom., pp.452,26-453,2 H. 78 Scholion in Eth.Nicom., p.239, 16-21 Cramer 79 Michael Ephesius, In Arist.Eth.Nicom., pp.538,35-539,19 Heylbut 80 [ Heliodorus], In Arist.Eth.Nicom., p.211,37- H. 81 Aulus Gellius, Noctes Atticae, IX,5,4 82 Aristoteles, Metaph. I, 6, 1056a 30-35 83 Clemens Alexandrinus, Stromata, II, 22,133, p.186, 19-23 Stählin 84 Cicero, Tusculanae Disputationes, V,10,30 85 Id., ibid., V, 13, 39 86 Id., ibid., V, 31, 87 87 Id., De legibus, I, 13, 37-38 88 Seneca, Epist.85, 18 89 Plutarchus, De comm.not.adv.Stoicos, 13, 1065a 90 Diogenes Laertius, IX, 23 91 Clemens Alexandrinus, Strom. II,4, l9,3, p.122 S. 92 Aristoteles, Soph.Elenchoi, 15, 174b 19-27 93 Anon., In Arist.Soph.El. paraphrasis, p.40, 8-14 Hayduck 94 ps.Iamblichus, Theologoumena arithmetices, 61,10- 62,23, pp.82-85 De Falco 95 Athenaeus, Deipnosophistae, II, 61c 96 Id,ibid., II, 68e 97 Id.,ibid., III, 86 c-d 98 Id., ibid., III, 105b
Pag. 42 - Fragmenta (II) 99 Id., ibid., III, 133b 100 Photius, Lexicon, s.v. penion, II, p.88 Naber 101 Athenaeus, Deipnosoh., VII, 300e 102 Id., ibid., VII, 327c 103 Id., ibid., VII, 301c 104 Id., ibid., VII, 303d 105 Id., ibid., VII, 308d 106 Id., ibid., VII, 313a 107 Id., ibid., VII, 286f 108 Id., ibid., VII, 313e 109 Id., ibid., VII, 318e 110 Id., ibid., VII, 319b-c 111 Id., ibid., VII, 319d 112 Id., ibid., VII, 323a 113 Id., ibid., VII, 323f 114 Id., ibid., VII, 324f 115 Id., ibid., VII, 329f 116 Id., ibid., IX, 369b 117 Id., ibid., IX, 387c 118 Id., ibid., IX, 391d 119 Hesychius, Lexicon, s.v. sybotas 120 Aristoteles, De partibus animalium, I,2, 642b 4-20 121 Diogenes Laertius, III,2 122 Hieronymus, Adv.Iovinianum, I, 42, p.384, 27-30 123 Philodemus, Pap.hercul.1005, fr.111 Angeli 124 Anonymus, Vita Platonis, p.9 Westermann 125 Seneca, Epist.58, 31 126 Apuleius, De Platone et eius dogmate, I, 2 127 Macrobius, Saturnalia, I, 17,7-8 128 Index Herc Acad col.VI, 34-38, p.136 Dorandi 129 Anthol.Planudea, 31 Dübner 130 Epist.Socr.XXVIII (XXX Orelli), p.1 sgg. Bickermann-Sykutris 131 Epist.Socr.XXX (XXXII Orelli) 132 Epist.Socr. XXXI (XXXIII Orelli) 133 Epist.Socr. XXXIII (XXXV Orelli)
Margherita Isnardi Parente SPEUSIPPO. TESTIMONIANZE E FRAMMENTI
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Fragmenta
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