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Italian Pages 272 [234] Year 2005
Manuali di base
Gaetano Berruto
© 1995, Gius. Laterza & Figli Nei «Manuali Laterza» Prima edizione 1995 Nei «Manuali di base». Prima edizione 2003 Quinta edizione 201Cf www.laterza.it Questo libro è stampato su carta amica delle foreste, certificata dal Forest Stewardship Council
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nell'ottobre 2010 SEDIT - Bari {Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-6916-4
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Indice del volume
Premessa 1.
La collocazione della sociolinguistica fra le scienze del linguaggio
1.0. 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5.
Considerazioni iniziali Definizione della sociolinguistica Ambito della sociolinguistica, aree e discipline contermini Rapporti tra sociolinguistica e linguistica Sociolinguistica in senso stretto e sociologia del linguaggio Due tipi di sociolinguistica: sociolinguistica correlazionale e sociolinguistica interpretativa
VII
3 3 6 10 15 23 25
2. Problemi e presupposti teorici della sociolinguistica
28
2.1. 2.2. 2.3. 2.4.
28 33 43 50
Statuto teorico della sociolinguistica Il carattere delle descrizioni e spiegazioni in sociolinguistica ,Excursus• sul funzionalismo in linguistica Una lista di assiomi e postulati della sociolinguistica
3. Nozioni fondamentali e unità di analisi
56
3.1. Alcuni concetti sociolinguistici 3.1.1. Comunità linguistica, p. 56 · 3.1.2. Repertorio linguistico, p. 60 · 3.1.3. Varietà di lingua, p. 62 · 3.1.4. Competenza comunicativa, p. 66 3.2. Alcuni concetti sociali 3.2.1. Situazione comunicativa, p. 71 - 3.2.2. Dominio, p. 78 · 3.2.3. Strato sociale, gruppo sociale, classe generazionale, p. 79 - 3.2.4.
56
71
Indice del volume VI
Rete sociale, p. 84 - 3.2.5. Prestigio, p. 88 - 3.2.6. Atteggiamenti, p. 91
4. Lingua e stratificazione sociale
97
4.1. La nozione di classe sociale 4.2. La stratificazione sociale nelle indagini sociolinguistiche 4.3. Modelli del rapporto fra lingua e stratificazione sociale 4.3.1. Un modello sociologico, p. 109 - 4.3.2. Un modello materialista, p. 114 4.4. Effetti della posizione sociale sull'individuo parlante
97 101 109
5. L'analisi della variazione interna alla lingua
123
5.1. Dimensioni di variazione 5.2. La nozione di ,continuum, 5.3. Variabili sociolinguistiche 5.3.1. La nozione di variabile sociolinguistica, p. 132 - 5.3.2. Variabili sociolinguistiche e livelli di analisi, p. 139 5.4. Modelli di descrizione e analisi della variabilità 5.4.1. Regole variabili e sociolinguistica quantitativa, p. 145 - 5.4.2. Grammatica di varietà, p. 153 - 5.4.3. Scale di implicazione, p. 156 - 5.4.4. Altri modelli, p. 163
123 127 132
6. La differenziazione nel re_pertorio:
appunti di sociologia del linguaggio
118
145
169
6.1. «Status, e funzione delle lingue e varietà di lingua 6.2. Dimensioni dello ,status, delle lingue e tipi funzionali di lingua 6.2.1. Dimensioni geo-politiche, p. 172 - 6.2.2. Dimensioni socio-de mografiche, p. 175 - 6.2.3. Dimensioni linguistiche, p. 177 6.3. Lingua, lingua standard, varietà di lingua, dialetto 6.4. Tipologia dei repertori linguistici 6.4.1. Diglossia, p. 191 - 6.4.2. Rapporti diglottici, p. 195 - 6.4.3. Dilalia, p. 204 6.5. Bilinguismo e selezione delle varietà 6.6. Commutazione di codice
169 172
Commiato
225
Bibliografia
227
Indice dei nomi
255
Indice analitico
259
181 191 211 215
Premessa
Il senso generale del presente volume vorrebbe configurarsi come una presentazione e rimeditazione critica dei temi, dei metodi e dei risultati della sociolinguistica, a quasi un trentennio dal suo ingresso fra le scienze del linguaggio. Da qualche tempo questa disciplina non è più sulla cresta dell'onda: gran parte degli entusiasmi coi quali ci si era avvicinati negli an ni Settanta alle ricerche sociolinguistiche sono stati ridimensionati, e la so ciolinguistica sembra figurare sempre più come un parente povero nella grande famiglia delle scienze linguistiche. È sembrato quindi il momento per introdurre e discutere nel quadro di un bilancio d'insieme l'imposta zione, i concetti e i metodi principali di questo ramo disciplinare, che con ta peraltro su un ampio e disparato corpo di idee, ricerche ed esperienze; e per riflettere criticamente sui suoi fondamenti e la sua validità. Partico lare attenzione è pertanto stata prestata ai problemi concettuali e alla ri flessione sull'apporto dell'approccio sociolinguistico alla comprensione della natura e del funzionamento delle lingue. Un fine per così dire sotterraneo del volume, forse troppo ambizioso ma comunque sempre presente nelle intenzioni di chi scrive e che quindi va esplicitato, sta conseguentemente nel cercare di chiarire che cosa fa il sociolinguista e perché lo fa. Le domande centrali suonano pertanto in questi termini: che cosa significa occuparsi di sociolinguistica? con quali concetti opera il sociolinguista e qual è il loro valore? quale guadagno di conoscenze ci portano l'impostazione e i metodi sociolinguistici? - Fra le questioni che verranno più dibattute, al di là dei vari contenuti
Premessa VIII
specifici trattati più o meno estesamente, sta anzitutto quella del ruolo e del significato della sociolinguistica, del suo apparato concettuale e dei suoi risultati, all'interno delle sdenze del linguaggio. La posizione che vie ne qui assunta a tal riguardo è programmaticamente intermedia, contraria da un lato ad una certa mitizzazione della sociolinguistica come disciplina tuttofare e impegnata, e dal lato opposto alla sua riduzione a collazione di chiacchiere di poco conto, ad una 'linguistica dell'inquilino della porta ac canto' (come è stata pur bollata da qualcuno). Riteniamo infatti che il rag gio d'azione della sociolinguistica divenga tanto più efficace ed incisivo, quanto più il suo campo di applicazione viene ben definito; anche nei suoi limiti. Esplicitando più da vicino la visione personale della disciplina che orienta queste pagine, che certo potrà risultare discutibile (anzi, che va di scussa), si impongono alcune dichiarazioni di principio. Anzitutto, chi scrive vede la sociolinguistica come, ci si passi il bisticcio, una 'linguistica sociolinguistica': la componente sociologica in queste pagine è molto scar sa e gioca un ruolo non più che secondario. Poi, la sociolinguistica che si cerca di praticare qui è una sociolinguistica per quanto possibile non ideo logica, ma al contrario asettica; 'fredda' e non 'calda'; si vuole infatti ri fuggire dall'afflato ideologico e militante che molti temi sociolinguistici possono sollecitare, e che è certo commendevole sul piano della parteci pazione del cittadino alla vita della società, ma che è spesso nocivo ad un pacato accostamento scientifico, almeno nelle intenzioni, ai problemi trat tati dalla disciplina. Un altro dei filoni rintracciabili nel volume è il rilievo dato alla 'specificità' della prospettiva sociolinguistica, che si vorrebbe non riducibile a un mero accostamento di fatti di lingua e di società. Anche se c'è uno sforzo, o almeno l'intento, di fornire un quadro per quanto possibile completo della sociolinguistica, si è allo stesso tempo cer cato di sceverare (inevitabilmente, anche in base a meri gusti personali e a giudizi soggettivi) ciò che è importante, valido e utile nella disciplina da ciò che è marginale, inconcludente o inutile: quello che qui si propone ai lettori non è pertanto da considerare propriamente un manuale, ma piut tosto un trattato. Del resto, la sociolinguistica si presta in sé ancor più del la linguistica ad essere affrontata da angolature particolari, dato che il cor po condiviso di nozioni e metodi è in essa ancora minore. Un aspetto che certo potrà colpire il lettore è l'evidente parsimonia di esempi concreti, di materiali linguistici specifici che illustrino l'esposizione: tale scarsità è pe raltro voluta, e si spiega sia con la ragione che si intende produrre un vo lume di sociolinguistica generale e non un panorama sociolinguistico di una determinata lingua e società (anche se, per ovvi motivi, quando è il ca so si farà soprattutto riferimento alla situazione italiana), sia col fatto che l'argomentazione vorrebbe tenersi ad un certo livello di astrazione e si svi-
Premessa IX
luppa fondamentalmente sul piano concettuale e definitorio, relativo a problemi e proprietà generali più che a fatti e fenomeni particolari. A volte, si abbonderà in citazioni. Non tanto per risparmiarsi la fatica di dare autonomamente una buona formulazione verbale alle idee e ai concetti, bensì perché in molti casi riuscirebbe difficile e superfluo for mulare le cose meglio di come siano già state formulate da questo o quel1'autore. Do per scontata la conoscenza dell'inglese e del francese, e non traduco quindi le citazioni in queste lingue; fornisco invece una traduzio ne delle citazioni che riporto in tedesco. Abbondo anche in rimandi e in dicazioni bibliografiche, con l'obiettivo di fornire per ogni argomento trattato le piste indispensabili o più proficue per un approfondimento e per ulteriori letture. Molto del contenuto di questi Fondamenti di sociolinguistica è nato da corsi e seminari tenuti in ormai tredici anni di insegnamento all'Università di Zurigo, o in genere dal dialogo con i miei studenti zurighesi, a cui sono grato anche per i continui stimoli al chiarimento delle mie stesse idee.
Fondamenti di sociolinguistica
1. La collocazione della sociolinguistica fra le scienze del linguaggio
1.0. Considerazioni iniziali
Al suo apparire sulla scena degli studi linguistici, ormai una trentina d'anni or sono, la sociolinguistica suscitò un vivo interesse e facili entu siasmi, specie presso i non addetti ai lavori, per il suo presentarsi quasi co me una sorta di linguistica dal volto umano, più realistica, concreta e vici na ali'esperienza quotidiana rispetto ad altre dimensioni della linguistica, e come una linguistica per così dire militante, impegnata nella società, su scettibile di agire sulla prassi quotidiana. Entusiasmi che furono in parte condivisi dai sociolinguisti stessi, come testimoniano, per esempio, le parole di uno dei più noti esponenti euro pei della materia, che così inizia un suo fortunato manuale, apparso anche in italiano: «Nell'ultimo decennio, la sociolinguistica è diventata fonte di grandi speranze di emancipazione» (Dittmar 1978: XIII) 1 . Lo stesso au1 Dittrnar cita esplicitamente «i conflitti che sorgono nelle scuole e le palesi disegua glianze di possibilità di larghi settori della class!! operaia e di gruppi sociali emarginati» come campi elettivi a cui applicare «praticamente i risultati della ricerca» (ibid.). Cfr. Gardin-Marcellesi (1987: 17): «Being an answer to the socia! demand and to the crisis of linguistic theory [il collegare lo sviluppo della sociolinguistica ad una crisi della lingui stica è un tema caro ai sociolinguisti francesi, anche se a nostro avviso non sembra ave re poi molto fondamento: analogamente, per es., Neubert (1976: 154); cfr. comunque per una sintesi del dibattito francese Baylon (1991: 15-20)], sociolinguistics seemed at tractive, creating naive enthusiasm and opportunist rallying»; mi sembra tuttavia ecces-
Fondamenti di sociolinguistica
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tore una manciata di anni dopo, discutendo di un'innegabile crisi meto dologica della sociolinguistica all'inizio degli anni Ottanta, annota «le di sillusioni» e la «caduta dei sogni originali» circa «la speranza di intellet tuali, accademici e insegnanti che l'analisi sociolinguistica potesse aiutare a risolvere i problemi cruciali della comunicazione riguardanti l'uso so ciale dei codici e dei sottocodici del linguaggio» (Dittmar 1989: 118, 117). Speranza evidentemente mal riposta. Ma converrà partire proprio da questioni di tal genere per discutere lo statuto attuale della sociolinguisti ca, un ramo delle scienze del linguaggio eh�, per varie ragioni intrinseche ed estrinseche, particolarmente si è prestato - e si presta - a fraintendi menti ed equivoci. Due ragioni di fondo dovrebbero anzitutto mettere in guardia dal porsi di fronte alla sociolinguistica con l'atteggiamento - pe raltro empateticamente assai comprensibile - testimoniato nelle righe so pra citate. In primo luogo, una speranza nel valore taumaturgico si può avere per una fede, una religione, una ideologia, ma non per un'area di ri cerca, e neanche per un approccio scientifico; in secondo luogo, pare sba gliato, oltreché illusorio, valutare il successo delle ricerche in una certa area disciplinare in termini di efficacia nel risolvere problemi sociali: teo ria o descrizione ed applicazione sono due ambiti diversi, i cui principi e risultati non vanno confusi e mescolati, bensì tenuti distinti e valutati con criteri autonomi, non necessariamente omogenei. In qualunque campo, una buona teoria o una buona descrizione sono valide in base ai criteri in terni dell'area disciplinare a cui pertengono e all'apporto che recano ad una migliore conoscenza dell'oggetto studiato, e non in base all'impegno sociale e al miglioramento nell'approccio a problemi concreti con cui si possano collegare. Se, ovviamente, la sociolinguistica presenta evidenti prospettive di utile applicazione, ed è tale da interessare, in superficie, il profano2 , questo non giustifica una sua valutazione in termini dei risulta ti applicativi a cui abbia dato luogo. D'altra parte, la fonte di questo equivoco, in buona misura, sta proprio nell'oggetto della sociolinguistica (d'ora in avanti, per comodità, SL). Ba nalizzando, si può infatti dire, in prima approssimazione e in__maniera_mol to poco tecnica ma� _credo. efficace, che la. SLsi oçq1pa di come parla la gente. In questo senso, molti fatti sociolinguistici sono assai appariscenti, e tutti siamo in un certo modo 'sociolinguisti in erba'. Ciò ha influito non siva l'affermazione (ibid.) che «there is always a politica! and socia! scheme in the works on sociolinguistics». Ancora Sankoff (1988a: 144) afferma comunque che «It is in enga ging in this conflict of ideologies [contro il mantenimento di uno status quo repressivo, G.B.] that linguistics may have a socially emancipatory role». 2 Non solo in Italia: Hudson (1980: 13) nota che la sociolinguistica «ha attirato prin cipalmente l'attenzione di persone che hanno un interesse pratico per la lingua»; cfr. an che Dittmar (1989).
1. La col locazione della sociolinguistica fra le scienze del li nguaggio
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poco su un altro aspetto problematico della SL, quello di aver favorito un accumulo di descrittivismo grezzo o aneddotico, quasi come se l'aggiun ta, in un'indagine dialettale, dell'indicazione delle caratteristiche dell'in formatore o di noterelle contestuali3 , o l'osservare, diciamo, «mia nonna dice così» significassero fare SL. In realtà, anche la SL ha aspetti altamen te tecnici e astratti, aridi se vogliamo, ma necessari al suo operare in ter mini di approccio scientifico. Il potenziale oscillare, frequente tra gli stessi sociolinguisti, fra l'inter pretazione come «attento al sociale, impegnato nel sociale» e come «ri volto allo studio degli aspetti sociali della lingua» dell'elemento socio- nel termine sociolinguistica ha avuto anche, mediatamente, conseguenze sul l'odierna situazione esterna dell'area disciplinare: la SL è oggi molto pra ticata, ma poco istituzionalizzata. Esistono innumeri studi e ricerche sia empiriche che teoriche, numerosi manuali e trattati4 , quattro importanti riviste internazionali5 ; una vera e propria enciclopedia della SL (Ammon Dittmar-Mattheier 1 987 e 1988), ecc.; ma vi sono, per es., relativamente pochi insegnamenti universitari denominati Sociolinguistica6. L'insieme di queste ragioni fa sì, inoltre, che sia abbastanza diffuso presso chi pratica SL un certo disagio, che si manifesta vuoi in rinnovati riconoscimenti interni di una 'crisi della SL' e in appelli alla rimeditazione e ristrutturazione dei metodi della disciplina, vuoi nel bisogno e preoccu pazione di una autolegittimazione o di un riconoscimento dall'esterno. Sta. di fatta che la-posizione della SL.frn le ))Cl�l}?._e del linguaggio è tuttora con troversa. 3 Del genere di «la Rina vive ormai da sola, in una casa abbastanza grande, con i gat ti che le tengono compagnia [ ... ]» (Tibiletti Bruno 1 974: 200); «se [. .. ] comincerà ad in serirsi nel nostro dialogo anche solo una minima allusione al caldo o al freddo eccessivo, al mal di testa o al raffreddore [ . . . ] subito il dialetto tenderà ad affiorare [ . . . ]» (Spiess 1 974: 362); «il più amato di questi venditori è un vecchietto minuto e vivace chiamato da tutti affettuosamente zié» (Mastrangelo Latini 1 989: 192). 4 A titolo esemplificativo, basti citare Trudgill ( 1 974a), Fishman ( 1 975), Beli ( 1 976), Dittmar ( 1 978), Hymes ( 1 980), Hudson ( 1 980), Downes ( 1 984), Fasold ( 1 984; 1 990), Silva-Corvalan ( 1 989), L6pez Morales (1989), Baylon (199 1 ) . Di autori italiani: Berruto ( 1 974), Varvaro ( 1 978), Cardona ( 1 987). Innumeri sono poi ponderosi readers, soprat tutto angloamericani. ' Le ormai classiche «Language in Society>> ( 1 97 1 -) e «lnternational J ournal of the Sociology of Language» ( 1 974-), e le più recenti «Language Variation and Change» ( 1 989-), emanazione della variazionistica americana, e «Sociolinguistica» ( 1 987-), dedi cata prevalentemente alla sociologia del linguaggio secondo una prospettiva europea continentale. Temi di sociologia del linguaggio sono trattati anche in «Language Pro blems and Language Planning» ( 1 977 -) . 6 Sia in Italia che all'estero, la SL è spesso praticata in ambiente accademico all'in terno di altre etichette disciplinari, in genere appartenenti ali' ambito delle scienze lin guistiche.
Fondamenti di sociolinguistica 6
Un'ultima considerazione preliminare, questa volta meramente termi nologica, ma forse non priva di effetti per gli equivoci a cui s'è fatto rife rimento, consiste nella constatazione, ovvia ma non sempre avvertita, che. l'aggettivo sociolinguistico (al pari del suo omologo linguistico) può avere valori diversi, in quanto può essere usato per indicare «inerente a rappor ti fra la lingua e la società/in cui sono rilevanti aspetti sia linguistici che so ciali/relativo a fatti linguistici che in qualche modo implichino il riferi mento allo sfondo sociale» ovvero per indicare «inerente alla sociolingui stica» (con la conseguente ambiguità di un'espressione come, tanto per di re, problemi sociolinguistici) .
1 . 1 . Defi n izione del la sociol i ngu istica Che la SL abbia molte anime non è una scoperta recente. Fin dai suoi inizi, ciò che è stato inteso sotto l'etichetta di SL ha avuto interpretazioni e latitudini molto varie e differisce spesso in maniera sensibile da studio so a studioso7 , al di là dell'apparente unitarietà derivante dal fatto che gli elementi in gioco sono sempre, ovviamente, il linguaggio da un lato e la società dall'altro. I confini dell'area disciplinare chiamata SL sono per tanto a tutt'oggi vasti e sfilacciati: le opinioni divergono sul suo stesso co stituire o meno una disciplina a sé stante. Le opinioni maggioritarie ve drebbero la SL piuttosto come un settore della linguistica, o un'area in terdisciplinare tributaria della linguistica e della sociologia, e quindi non autonoma; ma per es. la grande opera Ammon-Dittmar-Mattheier (1 987 e 1 988)8 presuppone chiaramente ed esplicitamente una concezione della SL come disciplina autonoma, con il proprio corpo di principi teorici, og getti di ricerca, metodi, obiettivi. Presso i sociolinguisti troviamo infatti tutt'altro che un'augurabile uni7 Già Trudgill ( 1 978: 1) notava che «the difficulty with sociolinguistics [ .. .] is that it is a terrn which means many different things to many different people»; e Bolton ( 1 992: 8), quattordici anni dopo: «'Sociolinguistics', since its beginnings, has regularly faced a range of issues related to the adeguate definition of its terrns, and there have been fre quent debates about its status as a field of study»; e ancora, più addentro ai contenuti della disciplina: «we find arnong the various parts of the field considerable overlapping along many dimensions, so that two areas that share the sarne basic subject of investiga tion may disagree on methodology, while the methodology of one of them may be sha red by researchers in an entirely different area of investigation» (Lavandera 1 988: 2). 8 Già in Pride-Holmes ( 1 972: 7) tuttavia si trova esplicitato il carattere disciplinare autonomo della SL, che secondo gli autori «has been established as a distinct discipline for some years, comprehending the study of the structure and use of language in its so cia! and cultura! context».
1. La col locazione della sociol i nguistica fra le scienze del l inguaggio
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vocità di definizioni: concezioni anche molto restrittive e concezioni esa geratamente ampie (e a volte anche esageratamente ambiziose) della SL sono ugualmente ben rappresentate. La questione è complicata dal fatto che le varie concezioni giocano su tre parametri principali tra loro diso mogenei, vale a dire: il rapporto fra la SL e la linguistica (con accento sui metodi e sul significato dello studio dei fatti sociolinguistici), la quantità e il genere dei fenomeni pertinenti (con accento sull'oggetto di studio), la relativa interdisciplinarità o pluridisciplinarità (con accento sull'impostazione e l'angolatura di studio). Fra le definizioni più ampie per ambito, che ammettono per la SL una gamma praticamente illimitata di soggetti di analisi e di campi d'azione, si possono citare per es. quella di Fishman ( 1975: 65; l'autore parla di «socio logia del linguaggio», che per lui equivale a SL: cfr. qui più avanti), secondo cui la SL «concentra la sua attenzione sull'intera gamma degli argomenti connessi all'organizzazione sociale del comportamento linguistico», sui rapporti fra «l'uso del linguaggio e l'organizzazione sociale del comporta mento»9, o quella estremamente generica che troviamo in Hudsori ( 1980: 11), per cui SL è «lo studio della lingua in rapporto con la società», o quella di Cardona ( 1988: 286, s. v.): «ramo della linguistica che si propone lo studio in senso lato dei rapporti tra società e attività linguistica» (che riecheggia in parte C rystal 1985: 281, s. v. : «a branch of linguistics which studies a11 aspects of the relationship between language and society») 1° . La più impegnativa fra le concezioni ampie della SL è tuttavia quella di Hymes ( 1980), secondo il quale la SL è un campo pluridisciplinare che tiene conto, in una mistura variamente dosata ma essenziale per capire la complessità dei fenomeni, di linguistica, sociologia, antropologia sociale, etnografia, folklore, poetica, psicologia 1 1 • I.: interdisciplinarità è vista co me un ingrediente rilevante della SL anche da Mioni (1983a: 135): «sotto 9 Un corollario ne è che, per riprendere una formulazione di Cardona (1987 : 7 ) , «ogni possibile comportamento o fenomeno linguistico è suscettibile d i un'interpreta zione sociologica» e quindi diventa rilevante per la SL. 10 Ma la differenza fra «language» in Crystal e «attività linguistica» in Cardona po trebbe aver gran peso, qualora non meramente stilistico-lessicale; cfr. comunque § 3 .2 . 1 (sull'attività linguistica come componente della situazione comunicativa). Cardona (1987 : 7) è più generico quanto alla collocazione della materia, ma più specifico sul ver sante del correlato sociale: SL è «studio dei rapporti tra pratiche linguistiche e strutture sociali». 11 Per H ymes (1980: 166-67) si riconoscono nella SL tre orientamenti, in cui è via via più pregnante la dimensione sociale: «il sociale oltre al linguistico», la «linguistica so cialmente realistica» (che sarebbe l'impostazione di Labov) e la «linguistica socialmente fondata» (che rappresenta l'approccio programmaticamente seguito da Hym es stesso, che peraltro è noto per essere il teorico della cosiddetta «etnografia della comunicazio ne», di impostazione piuttosto antropologica: cfr. avanti ) .
Fondamenti di sociolinguistica
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l'etichetta interdisciplinare di 'sociolin guistica' si sogliono raggruppare tutti quegli studi che abbiano come loro oggetto principale il rapporto tra strutture e usi della lingua e strutture della società»; e, agli inizi della di sciplina, da Giglioli (1973a: 16), per il quale, cautelativamente, la SL si configura «non [. . . ] tanto come una disciplina ponte [ ... ] quanto come un'area sostantiva comune, nella quale gli interessi dei sociologi e dei lin guisti possono a tratti convergere e instaurare una proficua collaborazio ne» (collaborazione, tra parentesi, che in effetti non si è affatto instaurata, essendo per lo più i sociologi assai poco interessati alla SL e avendo i so ciolinguisti nella stragrande maggioranza una formazione linguistica: tal ché nel ventennio successivo la SL si è venuta sempre più delineando co me un'area della linguistica 12 ) . L a considerazione assolutista che la SL sia essa la vera linguistica soste nuta da Hymes (per il quale, più precisamente, una SL a fondamento antro pologico-etnografico ingloba come sua sottoparte la linguistica) si trova, ancor più nettamente, anche in autori che pur hanno una concezione anche molto restrittiva dell'ambito d'azione della SL: si tratta infatti della nota po sizione di Labov ( 1 972a e b; e, in genere, dei variazionisti angloamericani e della loro «secular linguistics» 13 ) , per il quale solo lo «study of language in _its socia! context» è vera linguistica, e lo stucho della variabilità linguistica, che risulta l'aspetto centrale se guardiamo all'uso della lingua nel contesto sociale, è ilfocus della linguistica in generale 14 . Assai simile è l'impostazione di Trudgill, che però da un lato non condivide l'assunto assolutistico che la SL sia tutta la linguistica (essendo invece «that part of linguistics which is concerned with language as a socia! and cultura! phenomenon»; 1974a: 323), e dall'altro caratterizza la peculiarità della SL sulla base degli obiettivi che si pongono i ricercatori, distinguendo ricerche con obiettivi sociologi ci, ricerche con obiettivi sia sociologici che linguistici e ricerche con obiet tivi completamente linguistici, e propendendo per riservare l'etichetta di SL esclusivamente a queste ultime («sociolinguistics as a way of doing lin guistics», Trudgill 1978: 11; cfr. Trudgill 1992a: 7 1 -2). 12 Anche se gli ultimi congressi mondiali di sociologia comprendevano nel pro gramma una o più sezioni esplicitamente dedicate a questioni di sociologia del linguag gio. Un autore che si è occupato, in Italia, di sociologia del linguaggio secondo un'im postazione sociologica è comunque G. Braga ( 1 977). Sociologo è anche A. Grirnshaw, qui più volte citato. Il Il termine, introdotto da Labov, è propugnato specialmente da Trudgill (per es., 1 978). 14 Si veda per es. Labov ( 1972b: 1 83): «'sociolinguistics' [ ... ] is a somewhat mislea ding use of an oddly redundant term. Language is a form of socia! behavior [ ... ] In what way, then, can 'sociolinguistics' be considered as something apart from 'linguistics'?». Bolton (1992 : 8) riporta l'affermazione di R. LePage che «ali sociolinguistics is linguistics and all linguistics is sociolinguistics».
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Sulla stessa lunghezza d'onda, ma con un maggior grado di specificità ed operatività, un altro autore anglosassone, Downes (1984: 15), definisce la SL come «that branch of linguistics which studies just those properties of language and languages which require reference to social, including contextual, factors in their explanation», in una maniera cioè che mette bene in luce come il punto di partenza e il criterio discriminante stia nei fatti linguistici, esaminando i quali ci si accorge che certe cose richiedono di prendere in conto fattori sociali 15 . Va altresì notato che le definizioni che abbiamo preso esemplificativamente in considerazione non si basano, in genere, sugli obiettivi della disciplina, che peraltro potrebbero essere un utile criterio di individuazione della sua specificità, com'era già per es. ai primi albori della SL in Bright (1966a) 1 6 . In conclusione, questa rapida rassegna di definizioni correnti della SL da un lato dovrebbe aver chiarito qual è il raggio d'azione in cui essa si muove, ma dall'altro - come peraltro spesso succede nelle scienze del lin guaggio - testimonia e lascia aperta una molteplicità di impostazioni, con tenuti e finalità scientifiche. Pare comunque assodato, volendo tirare le fi la dal nostro punto di vista, che: a)la SL è un settore degli studi linguisti ci, appartiene alle scienze del linguaggio e non a quelle dellasocietà; b) i sociolinguisti si considerano di solito, e sono prima di tutto, ling!!!§,ti; c) l'oggetto di studio della SL è assai ampio e non ben definito, ma com prende comunque fenomeni linguistici visti sotto l'angolatura della di mensione sociale (assunta per lo più come variabile indipendente). Ci po tremmo dunque avviare a riassumere una definizione di lavoro nei termi ni seguenti: la SL è un settore delle scienze del linguaggio che studia k di mensioni sociali della lingua e del comportamento linguistico, vale a dire i fatti e fenomeni linguistici che, e in quanto, hanno rilevanza o significa to sociale. Ci avviciniamo parecchio, con questa definizione, alla formula zione di Baylon (1991: 25), secondo cui, esplicitando bene i diversi livelli e linguistici e sociali ai quali essa può operare, la SL «englobe [. . . ] tout ce qui est étude de la langue ou de la parole ou du langage dans un contexte social, culturel ou comportemental». In sostanza, la SL si configura come una sorta di «linguistica dei parlanti» (beninteso, spogliando tale formu lazione dal sapore psicologistico o idealistico che può avere nel clima cul15 Del tutto analogamente in Lepschy ( 1 992: 147): la SL «si occupa di quegli aspet ti dell'uso linguistico che sembrano richiedere una spiegazione che si richiami alle fun zioni del linguaggio nella società». 16 Che definisce la SL come voha «to put forward the systematic character of co-va riance in the social and linguistic structures, and possibly to establish a relation of cause and effect»: cfr. Gardin-Marcellesi ( 1 987: 18; versione lievemente diversa in Bell 1 976: 28). Lo stabilire una relazione di causa ed effetto, come vedremo, è uno dei punti deli cati della SL.
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turale italiano), invece che del sistem_a 12_: non per nulla abbiamo detto so pra en passant che la SL in fondo si interessa di come parla la gente.
1. 2 . Ambito del la socioli ngu istica, aree e discipline conterm ini Data la vastità delle tematiche potenzialmente sociolinguistiche e l'in certezza dei loro confini, quali risultano dalla discussione sulla definizio ne della SL che abbiamo impostato nel paragrafo precedente, non sarà inutile tentare di individuare quali sono le discipline e le aree e correnti di ricerca che concorrono o si sovrappongono nella e con la SL, sia nella sua concezione restrittiva che nella sua concezione ampia; e come sia possibi le, eventualmente, isolare il posto occupato dalla SL nei loro confronti. Per fare questo, ipotizzeremo che ci sia una SL in senso lato, che com prende la SL in senso stretto e la sociologia del linguaggio come due suoi settori_p_iuttosto ben separabili, e passeremo in rassegna le diverse aree di - ricerca che in qualche modo, maniera più o meno diretta, hanno a che fare con essa 1 8 . In altri termini, schizzeremo i lineamenti di un nucleo e di una periferia della disciplina; e questo non per cercare a tutti i costi artifi ciali e schematiche delimitazioni fra domini del sapere 1 9 , bensì per tenta re di capire meglio in che cosa consista, se c'è, lo specifico del lavoro del
eÌn
17 Hudson ( 1 984: 4) dice molto semplicemente e chiaramente che la SL «deals with individual speakers as members of social groups». J. Milroy ( 1 992: 356-58) fra gli altri teorizza per es. la natura della SL come «speaker-oriented», rispetto alla linguistica ge_ nerativa, che «.is primarily concerned with formal systems of language, and even its da ta-base is idealized and abstracted away from the speakern. 18 Lepschy ( 1 992 : 145-49) distin e al proposito una «linguistica sociologica» da una gu SL e da una sociologia del lin gu aggio: «Mentre la lin guistica sociologica si presenta con una prospettiva totalizzante che copre tutta l'area della disciplina [i_e_ della linguistica, G.B.J, e considera ogni fenomeno dal punto di vista sociale, la sociolinguistica si pre senta piuttosto come una branca all'interno della linguistica» ( 147); la sociologia del lin guaggio sarebbe invece un'etichetta usata «per riferirsi a entrambe le aree» ( 149) , se condo un'impostazione alla Fishman che non ci pare da condividere_ Inoltre, benché la design azione di «linguistica sociologica» abbia (al pari di quella di «linguistica sociale», socia! linguirtits) una certa cittadinanza presso i linguisti, non riteniamo qui giustificata una tale ripartizione, e ammetteremmo il termine piuttosto come eventuale sinonimo di SL in senso lato. 19 G.iacalone Ramat ( 1 983 : 220-2 1 ) osserva giustamente che «non soltanto è diffici le introdurre rigide delimitazioni disciplinari nelle scienze sociali [ . . . ] ma non è proba bilmente neppure opportuno insistere troppo sulla ricerca dell'identità disciplinare»; una riflessione proprio su questi temi può però essere utile per una migliore autoconsa pevolezza del lavoro in SL.
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sociolinguista: incasellare i domini di riferimento è sì tutto sommato un'o perazione esteriore, ma può pur sempre aiutare a metter ordine nella con gerie di realia di cui si occupano i sociolinguisti. Le linee divisorie e le caratterizzazioni che tracceremo per i vari domi ni sono naturalmente tutt'altro che univoche e date una volta per tutte (e i pareri e le autocollocazioni dei vari autori che praticano campi sociolin guistici possono essere ben diversi) ; per comodità, ci baseremo nel trac ciarle su un criterio pratico del genere: che cosa ci aspetteremmo tipica mente di trovare in lavori che contengano nel titolo la denominazione re lativa o che si vogliano ricondurre ad essa. Nello sterminato panorama dei fatti che riguardano sia la lingua che la società, e che quindi possono essere candidati a rientrare sotto l'etichetta di SL2 °, vi è anzitutto un nucleo centrale 'duro', appunto la SL in senso stretto (settore 1 nello schema 1; cfr. oltre, p. 14), che ha come ambiti d'ap plicazione lo studio della natura e delle manifestazioni della variabilità lin guistica, del rapporto fra lingua e stratificazione sociale, della covarianza tra fatti linguistici e variabili sociali: un concetto centrale è qui ovviamen te quello di variazione. Accanto a questo nucleo, e compresa senza pro blemi nell'etichetta di SL intesa in senso lato, vi è (settore 2 dello schema) l'ampia gamma di tematiche meglio denominabili come sociologia del lin guaggio2 1 , vale a dire lo studio della distribuzione, della collocazione, del la vita e dello status dei sistemi linguistici nelle società (cfr. § 1.4). AlJa periferia della SL, ma pur varie volte ricondotti sotto la sua eti chetta e con rapporti ora più intimi ora più distanti col nucleo anzidetto, si trovano diversi settori variamente denominati. Proviamo ad elencarli. Anzitutto, (A) la dialettologia, in particolare nelle dimensioni che vengo n�hìamate (N) dialettologia sociale e dialettologia urbana (quest'ultima anzi è senz'altro �n �ettore della SL in senso stretto) 22 , cioè lo studio dei 20 Agli albori della SL, Halliday ( 1 975) giungeva ad enumerare ben quindici suddi visioni della SL, dalla macrosociologia del linguaggio e demografia linguistica alla dia lettologia sociale al code-switching alla teoria del testo. Una buona idea della vastità de gli interessi che più o meno legittimamente vanno sotto l'etichetta di SL si può già ave re semplicemente scorrendo i titoli dei venti capitoli dei due volumi di Fasold ( 1 984 e 1990), che purtuttavia non contano sezioni specifiche su campi che parrebbero centrali per la SL, come la tipologia delle varietà di lingua o il rapporto fra lingua e stratificazio ne sociale. 21 Mioni ( 1 992) preferisce «sociologia delle·lingue». Effettivamente, questa designa zione parrebbe più indicata per molta parte degli sviluppi del settore, che non vanno tan to in direzione teorica, relativa appunto al linguaggio in generale, quanto piuttosto ver so la descrizione di proprietà e distribuzione sociale delle lingue (cfr. qui il cap. 6). 22 Cfr. Grassi ( 1 987 ) . In effetti, la SL è nata in molti paesi (e in particolare in Italia: Berruto 1 977d, Francescato 1 974a) sul tronco della dialettologia (e della geografia lin guistica) tradizionale. Cfr. in generale Chambers-Trudgill ( 1 987) e, per una prospettiva recente, Trudgill ( 1 9926).
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dialetti e delle varietà dialettali, geografiche, come varietà sociali, in pro spettiva sociale e nell'ambiente urbano. Poi, (B), la creolistica: lo studio delle lingue pidgin e creole ha una duplice connessione con la SL, sia per ché la nozione stessa di pidgin e creolo implica il riferimento alle circo stanze sociali di formazione di tali tipi di sistemi linguistici, sia perché al cuni dei principali impulsi metodologici e descrittivi alla SL sono venuti da lavori su pidgin e creoli23 . Segue (C) la cosiddetta Varietiitenlinguistik2A , linguistica delle varietà: lo studio delle varietà di una lingua nelle loro ca ratteristiche linguistiche e nella loro architettura, che si caratterizza ri spetto alla SL in senso stretto per una focalizzazione assai forte sulle pro prietà e sui tratti linguistici 'interni' delle varietà di lingua. Con queste tre aree finitime alla SL ci troviamo a livello, fondamental mente, di analisi di sistemi linguistici Con i prossimi settori confinanti, ci spostiamo a livello dell'analisi dell'uso della lingua. Si tratta di: (D) la lin guistica pragmatica25 , lo studio della lingua e delle produzioni verbali come e in quanto modo d'azione (Levinson 1 985)26 . Un campo a cavallo fra la SL e la pragmatica linguistica è l'analisi dell'interazione verbale, e in particola re l'analisi della conversazione (E), che ha conosciuto.nell'ultimo quindi cennio un vasto corpo di studi, diventando un settore a sé nella ricerca lin guistica27. Più lontana dalla SL in senso stretto, in quanto i suoi interessi so23 I pidgin, com'è noto, sono lin e con drastici fenomeni di semplificazione struttu gu rale e di mescolanza nate, per lo più in ambiente coloniale, dal contatto fra lingu e stra niere (spesso, una lingua europea) e lingue indigene, e che vengono impiegate come stru mento per la comunicazione essenziale fra parlanti di diverse lingue materne. Viene chia mato creolo un pidgin che sia lingua materna di una comunità di parlanti, con una gram matica incrementata, un lessico più sviluppato e funzioni più ampie. La creolistica rap presenta un corposo settore a sé delle scienze dd linguaggio, con una bibliografia stermi nata; per i rapporti con la SL, v. specialmente il classico Hymes (1971) e Romaine (1988). 24 Il termine, nato nella romanistica tedesca, ha preso un certo piede negli ultimi an ni; per l'italiano, v. Berretta (1988) e anche Berruto (1987a). 25 O pragmatica linguistica, o pragmalingu istica, o anche, specie nei lavori recenti, pragmatica tout court (in quest'ultimo caso - secondo una trafila già verificatasi per la «semantica» - con una sovrapposizione che può dare luogo ad equivoci, dato che ora con «pragmatica» si designa anche un livello d'analisi della lingua, relativo appunto al l'uso delle strutture linguistiche, accanto a quelli tradizionali di fonologia, morfosintas si, lessico - e semantica) . La pragmatica in questo senso è un livello d'analisi assai alto, che entra in azione al di sopra della sintassi e della semantica. 26 Particolarmente interessanti in prospettiva sociolinguistica sono recenti sviluppi della pragmatica come teoria dell'uso linguistico (Bertuccdli Papi 1993 : 61-117) , ancor ché in termini formali di competenza. Lavori tipicamente a cavallo, da un punto di vista descrittivo, fra SL e lin gu istica pragmatica si trovano ad esempio in Gobber (1992) . 27 Una prima informazione per il lettore italiano (qua e l à a vero dire migliorabile) si può trovare in Cesanelli-Marcarino (1984) ; lavori empirici interessanti per lo stretto rap porto con la SL in Orletti (1983). lmportante in generale è Atkinson-Heritage (1984) . Non consideriamo nella nostra schematizzazione u n settore in parte contiguo (o coinci-
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no «purely social scientific in intent» (Trudgill 1978: 2), e-eonnessa c-OH-l'an trnpologia cuh.urale e so_ciale, è (F) la cosiddetta etnomernçfologia, che mi ra ad analizzare i modi in cui i partecipanti stessi ad un evento di interazio ne categorizzano, costruiscono e interpretano l'evento in atto (Giglioli-Dal Lago 1983)28 . Con un impianto in parte analogo, ma più comprensivo e totalizzante, opera un altro importante settore di confine tra SL, antropologia cultura le ed etnografia: (G) l'etnografia della comunicazione o ethnography o/ speaking, legata soprattutto al nome di D. Hymes, un indirizzo di studio che si occupa dell'attività linguistica come parte dei valori simbolici di una cultura e società e come mezzo con cui una società costruisce, mantiene, modifica i rapporti sociali (Hymes 1980, Saville-Troike 1982, Cardona 1987, Duranti 1992). L'etnografia della comunicazione si presenta come un approccio globale ai fatti comunicativi, e quindi anche in primo luogo linguistici, di una comunità socio-culturale, e come tale tenderebbe a com prendere in sé l'intera SL; un punto discriminante importante fra l'ap proccio propriamente sociolinguistico e l'approccio dell'etnografia della comunicazione consiste nel fatto che per la SL struttura e fatti linguistici e struttura e fatti sociali sono entità discrete e separabili, da mettere in cor relazione, mentre per l'etnografia della comunicazione struttura linguisti ca e struttura sociale sono inestricabilmente connesse e dunque da tratta re come unite. Inoltre, l'indirizzo dell'etnografia della comunicazione, co me parte della più ampia (H) etnolinguistica o linguistica antropologica (che si occupa in generale dei rapporti fra lingua/-e e cultura/-e: Cardona 1 976), si rivolge specialmente allo studio del ruolo del linguaggio e del comportamento comunicativo in diverse culture, per lo più 'esotiche'. Un ultimo settore in parziale sovrapposizione con la SL, e in partico lare con la sociologia del linguaggio, è: (I) la psicologia sociale del lin guaggio (o sociopsicologia del linguaggio), lo studio dell'impiego della lin gua nelle interazioni comunicative da un punto di vista psicologico e dei rapporti fra comportamento linguistico, reazioni e atteggiamenti dei par lanti (Giles-St. Oair 1979)2 9 . dente) con l'analisi della conversazione e secondo molti (per es. , Trudgill 1978: 4; La vandera 1988: 10-1) a cavallo con la SL, vale a dire l'analisi del discorso (discourse analy sis) , che, specialmente nelle direzioni che sfociano nella linguistica testuale, sembra aver più a che fare con una linguistica formale, del sistema, che non con una linguistica del l'uso in contesto sociale (dr. Brown-Yule 1986). È vero però che esistono anche modi di fare analisi del discorso come diretto prolungamento dell'analisi della conversazione, di netto interesse quindi per la SL (per una presentazione aggiornata, cfr. Schiffrin 1994). 28 Un rapido bilancio dell'interesse dell'approccio etnometodologico per la lingui stica è ora in Held ( 199 1). 29 Non menzioneremmo invece la filosofia del linguaggio. Anche se, in particolare
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(LINGUISTICA)
(SOCIOLOGIA)
creolistica
dialettologia
SOCIOrInguistica �
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dialettologia sociale
Varietiiten linguistik
analisi della convers.
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sociolinguistica in senso stretto
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etnografia della comunicazione
(PSICOLOGIA)
(ANTROPOLOGIA)
Schema 1 I rapporti fra i principali settori di ricerca che coinvolgono la lingua e la società, che abbiamo cercato di delineare per sommi capi sin qui30 , pos sono essere illustrati nello schema 1 (con l'avvertenza che si tratta di aree disciplinari anche piuttosto eterogenee, difficili quindi da situare in uno schema bidimensionale unitario). In questo schema abbiamo cercato di rappresentare anche le discipli ne di riferimento per ciascuno dei settori considerati, riportando la SL in senso stretto, la dialettologia, la Varietiitenlinguistik e la creolistica alla lin guistica; la linguistica pragmatica (per una parte importante della quale a vero dire è rilevante l'apporto della filosofia del linguaggio: ma si tratta della parte meno interessante per la SL) e l'analisi della conversazione in nella specifica situazione italiana, vi è stata una certa, e a volte spiccata, contiguità tra fi losofia del linguaggio e SL (basti pensare a molti lavori di T. De Mauro, fra cui in fondo lo stesso De Mauro 1 963 , o della sua scuola, come per es. Elia 1 978; o di A. Ponzio), non ci pare che tra le due aree disciplinari in sé ci sia una reale affinità. 30 E che hanno come tratto comune unificante, in prima ma anche in ultima analisi, il fatto che «their aim is to srudy language in use» (Lavandera 1 988: 2).
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buona parte alla linguistica ma anche in parte all'antropologia culturale; l'etnolinguistica con l'etnografia della comunicazione ali' antropologia cul turale; la psicologia sociale del linguaggio alla psicologia; la sociologia del linguaggio alla linguistica e alla sociologia insieme; e l'etnometodologia al la sociologia e ali' antropologia culturale insieme3 1 . Dalla nostra rozza schematizzazione apparirà che in fondo l'apporto della sociologia alle diverse anime della SL non è poi quantitativamente centrale: ciò corrisponde, a nostro avviso, al fatto che nella SL (e si ricor di che nella stessa parola composta sociolinguistica la testa lessicale è lin guistica, e socio'. è il prefissoide modificante) i fatti sociali sono un indi spensabile ingrediente, ma la natura dei problemi, l'impostazione della ri cerca e il valore dei risultati non sono riconducibili alla sociologia, o alle sociologie (i cui metodi, d'altra parte, intervengono sostanziosamente nel l'apparato metodologico della SL per quello che riguarda la raccolta e in parte il trattamento dei dati). La SL non si configura attualmente come un aggregato di linguistica e sociologia, bensì, come abbiamo già detto in va rie forme, come una prospettiva sul linguaggio nella società, una linguisti ca cioè che tiene conto saliente di fatti sociali, insomma una sottodiscipli na della linguistica. La SL in senso lato può essere intesa comprendere un po' tutti i setto ri A-I sopra elencati, e si configura tuttora almeno potenzialmente come un campo amplissimo ed eterogeneo, da praticare con metodi e anche fi ni diversi, e privo di un tratto unificatore forte che vada al di là del tratta re fenomeni verbali (a qualunque livello e di qualunque genere) in riferi mento a un qualche fattore di contesto sociale (a qualunque livello e di qualunque genere). In questo volume, d'ora in avanti, si prenderà in con siderazione fondamentalmente il nucleo centrale della disciplina, tarando le nostre considerazioni in particolare sulla SL in senso stretto, e facendo solo in modo frammentario riferimento al complesso degli altri settori: pertanto, le affermazioni che andremo facendo saranno sostanzialmente valide per il nucleo centrale e potranno essere via via molto meno valide per la SL in senso lato o per uno o più dei suoi settori.
1.3 . Rapporti tra sociolingu istica e lingu istica Sul problema dei rapporti fra la SL e la linguistica in generale (e gene rale), e sulla rilevanza della SL per la linguistica, esistono, come anche si H Uno schema del tutto analogo è proposto da Haarmann ( 1 989: 158), che tiene con to però di campi in parte diversi da quelli qui considerati.
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ricava dalle concezioni esposte net§ 1.2, due o.rieo.tamenti principali con· trappo�ti (cfr. Bell 1976: 29-30): un_a posizione debole, che vede la SL co me un settore di studio ancillare, complementare e subordinato allo stu dio della struttura linguistica e alle teorie della grammatica (insomma, al la linguistica «interna», o «linguistica autonoma»32 ) ; e una posizione for te, che nega la validità di una linguistica interna 'pura' e insiste sulla ne cessità di concepire la linguistica in modo da includere e radicibus nell'a nalisi della lingua dati e fatti sociali, all'interno preferibilmente di un mo dello semiotico globale della lingua e del suo uso. Di queste due posizioni fondamentali sono rappresentate diverse va rianti. Una versione estrema della prima posizione, diffusa presso molti linguisti formali e in specie nella linguistica generativa, nega alla SL qua lunque validità teorica e disciplinare: la SL non recherebbe alcun contri buto significativo alla conoscenza del funzionamento del linguaggio, si li miterebbe nel migliore dei casi ad un banale collezionismo di dati, e «l'e sistenza di una disciplina chiamata sociolinguistica [ ... ] resta [ ... ] qualco sa di oscuro» (Chomsky 1977: 56; per una confutazione, in generale, del la rilevanza per il linguaggio di fattori socio-comunicativi e funzionali, dr. Chomsky 1981b: 38-7633 ) . Una versione estrema della seconda posizione si può considerare rappresentata dall' ethnography o/ speaking, che, come già detto nel § 1.2, ritiene all'opposto che fatti sociali e culturali permeino ogni aspetto del linguaggio, e sia dunque impossibile, o errato, pensare di capire il funzionamento del linguaggio senza fare continuo riferimento al suo contesto socio-culturale: il principio fondamentale è che «la funzione sociale dà forma ai modi in cui i tratti linguistici si presentano nella realtà effettiva», e il compito della SL è quello di riformulare da capo a fondo l'approccio ai fatti linguistici, «è una completa critica delle nozioni e del le prassi tradizionali, condotta dal punto di vista del significato sociale, va le a dire da una prospettiva funzionale» (Hymes 1980: 1 67). Fra questi due estremi, si collocano diverse posizioni intermedie. Hud32 La teorizzazione della distinzione fra linguistica esterna e linguistica interna risa le, com'è risaputo, a Saussure (1967 : 3 1 -4). La nozione di «linguistica autonoma» è de lineata e discussa con particolare chiarezza da Lyons (1991: 12-26). 33 Nella recente rapida panoramica che Chornsky ( 1 991) stesso dà delle proprie ve dute su «linguistics and adjacent fields» non si fa parola né della SL né di questioni coin volgenti lingu aggio e società. Un accenno alla possibilità di tener conto di aspetti socia li nello studio del linguaggio si trova tuttavia in Chomsky (1989: 28): «Ciò, tuttavia non significa negare ad una linguistica di altro tipo, attenta alle strutture e alle interazioni so ciali, una sua legittimità e un suo valore, malgrado certe opinioni opposte che temono l'insorgere di conflitti di principio o pratici» (in versione originale, Chornsky 1986: 18, con wording un po' diverso: « [ ... ] to deny the possibility or value of other kinds of study of language that incorporate social structure and interaction. Contrary to what is some tirnes thought, no conflicts of principle or practice arise in this connection»).
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son ( 1 980: 14) sostiene che è assai rischioso pensare di studiare la lingua senza riferirsi alla società e che «i risultati della sociolinguistica· sono di considerevole importanza per la teoria della struttura del linguaggio, ri spetto, per esempio, alla natura del significato [. . . ] e alle analisi delle al ternative in una grammatica». Giacalone Ramat ( 1 983 : 24 1 ) è dell'opinio ne che la SL, soprattutto nella sua dimensione variazionistica, porti con tributi illuminanti, nonché dotati di un certo potere esplicativo, · alla co noscenza di più di un aspetto del sistema linguistico e all' «avanzamento teorico» della linguistica, dando «dignità scientifica a numerosi problemi importanti dell'interazione di linguaggio e vita sociale». Sembra dunque fondata l'opinione che la SL non sia soltanto un campo di ricerca satelli te, poco o nulla rilevante per la linguistica in sé, scarsamente interessante per il linguista, bensì rappresenti una sottodisciplina in qualche modo pa rallela alla linguistica 'pura', certamente non in alternativa né in contrap posizione alla linguistica interna, ma al contrario con una notevole com patibilità di ambiti e scopi di indagine. La SL da un lato presuppone la lin guistica interna stessa, ma dall'altro va considerata una parte della lingui stica esterna con una propria autonomia e una propria validità, insomma con un pieno diritto di cittadinanza fra le scienze del linguaggio. Non è un'altra linguistica da opporre, magari polemicamente, alla linguistica corrente, ma una parte, se vogliamo un vasto 'modulo', che contribuisce alle conoscenze generali sul linguaggio alla pari di altre parti, altri modu li che focalizzano altri aspetti di un oggetto così complesso e polimorfo, plurifattoriale, quale va considerato, appunto, il linguaggio umano34 . Diventa quindi importante, una volta d'accordo sulla 'pari dignità' di linguistica generale o teorica e SL, Cf;rcar di chiarire meglio le identità e le differenze reciproche di metodi, finalità e oggetti di ricerca. È chiaro che ciò che studia e cerca di spiegare la SL non è ciò che studia e cerca di spie gare la linguistica generale o teorica. Le due cose anzi non vanno nemme no mescolate. Sono molto chiare a questo proposito, fra l'altro, recenti prese di posizione di Fasold ( 1 990: VII-VIII; 1 992 ) , che esprime la convin zione che la fenomenologia del linguaggio sia il prodotto dell'interazione di due insiemi molto differenti di principi, uno dei quali dà conto della grammatica della lingua, mentre l'altro dà conto del suo uso. In effetti, 34 Cfr. su questo Berruto ( 1 984 : 58-6 1 ) , ov_e abbiamo insistito sulla vacuità cli una contrapposizione cli SL a linguistica teorica, come pure è ancora a volte avanzata: nes suna delle due ha ragioni per essere ritenuta peggiore o migliore del!' altra (anche se la linguistica teorica può certo vantare di essere scientificamente più avanzata da molti pun ti cli vista: ma le due cose devono essere tenute distinte, mentre spesso si confondono le preferenze personali per questo o quell'approccio con un intrinseco giudizio cli valore dell'uno o dell'altro o con valutazioni circa il relativo stadio di progresso scientifico). Cfr. qui § 2.2.
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sembra del tutto ragionevole pensare che la natura di strumento interper sonale di comunicazione sia alla base di certe caratteristiche del linguag gio, mentre altre caratteristiche non hanno nulla a che vedere con la fun zione comunicativa e sociale e vanno ricondotte meramente a principi formali; evitando inutili rivalità e polemiche per lo più improduttive, si da rebbe così tutto lo spazio necessario sia alla linguistica formale e alla teo ria della grammatica sia alla SL (e più in generale, come vedremo, alla lin guistica di impostazione funzionale) , vedendole come aree disciplinari che contribuiscono entrambe, nella misura consentita dal loro oggetto di in dagine medesimo e dalla loro rispettiva capacità esplicativa, alla spiega zione e interpretazione dei fatti linguistici. Se è allora importante una divisione del lavoro, diventa un problema di cruciale interesse il 'peso' relativo del punto di contatto fra la lingua e la società, fra le strutture linguistiche e le strutture sociali. Dov'è che lin gua e società si fondono? In che cosa il modo in cui la lingua è fatta è de terminato, o condizionato, dal modo in cui la lingua funziona nella so cietà? L'impatto della funzione socio-comunicativa della lingua sulla sua struttura si limita ad alcuni punti o tratti secondari, o riguarda parti im portanti del sistema linguistico? È ovvio che siamo di fronte ad uno dei problemi di più vasta portata, e di maggior rilevanza esistenziale, della SL; ed è un problema al quale sono state date sinora solo risposte prowisorie e frammentarie, e sul quale soprattutto le convinzioni degli studiosi di vergono grandemente. Nel recente Labov ( 1 992 : 30) viene recisamente affermato che «la zo ne de contact entre la société et la langue est vraiment étroite»: la _gran par te delle regole astratte e delle strutture della lingua sarebbe insensibile a fattori sociali3 5 . Secondo la linguistica generativa, e più in generale le scuo le formali (e in effetti qua entriamo in una problematica che rion concer ne più soltanto la specificazione della SL rispetto alle altre aree e correnti delle scienze del linguaggio, ma tocca una biforcazione esistente fra due grandi anime della linguistica teorica moderna, vale a dire la contrapposi zione fra la linguistica formalista e la linguistica funzionalista: cfr. § 2 .3 ) , semplicemente non vi sarebbe alcuna zona d i contatto: tutta l a struttura della lingua, tutto ciò che è rilevante per il suo funzionamento come siste ma di segni, sarebbe indipendente rispetto alla sua funzione socio-comu35 Un'affermazione del genere potrà forse sembrare un po' sorprendente a chi pensa a Labov - ed è incontestabile - come uno dei padri fondatori della SL, ma appare con seguente se si basa sulla prospettiva di SL che Labov ha rappresentato in quasi un tren tennio di ricerca, prospettiva decisamente strutturalista e incentrata sulla descrizione di minuti fatti subsistematici della lingua, e per di più prevalentemente finalizzata all'ana lisi dei meccanismi del mutamento linguistico (cfr. Gadet 1992) .
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nicativa, essendo gqvernato da principi puramente cognitivi e 111entali che non hanno nulla a che vedere con ciò a cui la lingua serve3 6 • Secondo im postazioni totalizzanti nel senso opposto, come quelle rappresentate dal più volte citato Hymes, o, al di fuori della SL propriamente detta, da scuo le funzionaliste, tutto invece nella struttura della lingua sarebbe da vede re almeno in qualche misura connesso con la sua funzione socio-comuni cativa: la forma del linguaggio è determinata dalla funzione, come l'uso de termina la struttura (cfr. § 2 .3: la questione è naturalmente collegata con le priorità che si pongono tra le fondamentali funzioni del linguaggio). Anche a questo proposito pare ragionevole la posizione di Fasold (1992 : 352), quando vede una parte dei fenomeni linguistici come guida ta da principi che implicano relazioni di struttura non assoggettabili a in fluenze del contesto comunicativo, ed un'altra parte invece che ha qual cosa, o molto, a che fare col contesto comunicativo, talché non è ben com prensibile se non chiamando in causa gli aspetti socio-interazionali (col corollario che presumibilmente principi strutturali e principi contestuali sono separati e richiedono teorie separate, ma vi sono aree in cui i princi pi di struttura e quelli di uso contestuale possono entrare in conflitto). Sviluppando considerazioni del genere, potremmo pensare che in ef fetti esistano tre parti o piani o tipi di elementi diversi nella struttura del la lingua, o se vogliamo, più precisamente, nella grammatica. Schematiz zando: (A) uria parte immune dal contesto extralinguistico, da esso indi pendente e ad esso insensibile nella sua organizzazione, dominio dei prin l cìpi dela grammatica 'puri'; (B) una parte condizionata dal contesto ex tralinguistico ma indipendente da quello sociale, in cui i principi interni interagiscono con fatti di dominio della pragmatica; e (C) una parte, infi ne, condizionata dal contesto sociale propriamente detto ( rµ olo e status sociale dei parlanti, struttura della società, genere dei caratteri socio-cul turali di una comunità), in sovrapposizione o non con la dipendenza dal contesto extralinguistico non sociale (v. sohema 2). A quel che se ne sa, sembra che buona parte degli elementi, delle ca tegorie e delle regole della struttura linguistica appartenga al primo tipo (A): le reggenze e dipendenze nella frase, i ruoli sintattici (come per es. la definizione di Soggetto e Oggetto), le opposizioni morfologiche e fone matiche, ecc. , non paiono governati in nulla dal contesto extralinguistico, 36 Filosofi del linguaggio che elaborano le posizioni chomskyane condividono pie namente l'assunzione che il linguaggio vada studiato in termini di psicologia individua le e giungono al massimo ad ammettere che «language is socia! in that interaction with other persons is psychologically necessary to learn language», e che gli idioletti (cfr. § 3 . 1 .3 ) presentano aspetti sociali per quello che riguarda 1 'organizzazione della semanti ca lessicale (Burge 1 989: 175, 1 87 ) .
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A
B
e
Schema 2 e nemmeno da quello sociale. Altri aspetti della struttura paiono invece si gnificativamente condizionati dal contesto pr;igffi!!]:ico_ (B): le manif��_ta zioni della deissi presuppongono per definitionem i1 riferimento alla si tuazione, molti fenomeni relativi all'ordine dei ���tituenti della frase di pendono dalla salienza comunicativa e informativa, e non trovano ragio ne nei mèri rapporti strutturali (v. per fenomeni in italiano Sornicola 1 988) 37 • Minima o comunque scàrsa, e soprattutto non universale, ma in stretta relazione a singole lingue (e culture) , sembra invece la presenza di tratti del terzo tipo (C), cioè fatti interni della grammatica che in quanto tali dipendano dal contesto sociale, meccanismi grammaticali che codifi chino significati sociali38 : su questa strada in genere, almeno per le nostre lingue europee occidentali39 , non si va molto al di là di casi come le strut ture dell'allocqzione, con l'opposizione fra le forme T e V4 0 . J '·.
7 J Questi aspetti sono naturalmente tenuti ben presenti, o enfatizzati, dai modelli grammaticali funzionali: già Danes ( 1 964) teorizzava tre diversi livelli dell'organizzazio ne sintattica: il livello della struttura grammaticale (autonoma), il livello della struttura semantica e il livello dell'articolazione informativa dell'enunciato; per Dik ( 1 978), la sin tassi e la semantica sono addirittura incassate dentro la pragmatica. Cfr. § 2.3. ;s Si badi bene, non che 'veicolino' significato sociale: qualunque costrutto della grammatica può essere portatore di valore sociale. Per un'accurata trattazione della di stinzione v. Wolfram ( 1 988). Un ruolo importante e centrale potrebbe t!ssere qui rico perto dalla morfologia, che è il livello che permette di denotare significati manifestandoli nelle strutture formali obbligatorie del sistema linguistico. 9 ; Caratteristiche sociali dei parlanti sono in effetti codificate nel sistema morfologico di più lingue 'esotiche', come nel nahuatl, lingua azteca del Messico ( che marca la relazio ne sociale fra parlante e interlocutore sui nomi, sui verbi e su altre categorie grammaticali ancora, con relativi fenomeni di accordo), o nel coreano: dr. nota 40 successiva, e v. Wol fram ( 1 988: 1 147-49). 4 ° Com'è noto, le strutture allocutive, cioè i pronomi e le forme personali del verbo utilizzate per rivolgersi agli interlocutori (che possono andare dalla neutralizzazione to-
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A questo livello4 1 , le possibilità d'azione della SL sono comunque evi dentemente ridotte; e gli appelli all'elaborazione di grammatiche socio linguistiche (Neubert 1976; ma anche un capitolo in Hymes 1980: 123 -5 1) sembrano destinati a rimanere sul piano propositivo o a risultare poco convincenti, come nel tentativo di Hudson ( 1986) di integrare in una word grammar fatti strutturali e fatti sociolinguistici nella stessa elaborazione formale42 . Brillanti analisi specifiche, come quella di Hymes ( 1980: 15 1 63, dove si analizza in maniera magistrale l'intimo gioco reciproco di rela zioni sintattiche, presupposizioni, chiavi di interpretazione e ruoli sociali in frasi che contengano i quantificatori any e some con valore partitivo), sono rimaste poco più che mere esercitazioni. Ben altro è evidentemente il discorso se ci spostiamo su un altro pia no, quello della distribuzione negli usi delle strutture generate dalla gra;nmatica: in linea di principio, tutte le strutture effettive prodotte dal la grammatica sono suscettibili di assumere significato sociolinguistico. Mentre la nozione, tanto per dire, di frase relativa è in sé del tutto indi pendente dal contesto sociale, un certo costrutto specifico, vale a dire cia scuno dei modi in cui una frase relativa si può attualizzare in una certa lin gua, è sensibile al contesto sociale, può portare marcatezza sociale. Rias sumendo, possiamo dunque dire che vi sono due oggetti specifici della SL: da un lato, i tratti del sistema sensibili al contesto sociale (dove la parte spettante alla SL, in confronto a quella della linguistica teorica, è scarsa; ma dove la linguistica teorica, o autonoma, e la SL lavorano sullo stesso piano); dall'altro, l'uso sociale e il valore sociale (manifesto o latente) pres so i parlanti di, in principio, ogni elemento realizzato della lingua (dove la tale, come in inglese, all'opposizione tra forme di rispetto e/o cortesia - V, dall'iniziale del pronome latino di 2' pers. plurale, vos - e forme confidenziali - T, dall'iniziale del pronome latino di 2' pers. singolare, tu -, come in italiano, francese, tedesco, ecc., ad op posizioni molto più complesse e sofisticate, con veri sistemi di 'onorifici' , come per es. in coreano, giapponese, giavanese, tamil) costituiscono un campo molto studiato in SL, a partire dal fondamentale saggio di Brown-Gilman (1973), che interpretavano l'oppo sizione fra T e V in termini di solidarietà vs. potere (v. un bilancio sintetico in Fasold 1990: 1-38). Per l'italiano, v. ora l'ampia trattazione di Renzi (1993). 41 Ovviamente, per il lessico, che è un po' la 'buccia' del sistema linguistico, le cose sono ben diverse: dato che il lessico 'codifica' (o meglio classifica) in qualche modo tut ta la realtà extralinguistica, esso codifica anche molti aspetti della realtà e dei rapporti sociali. 42 Cfr. Berruto (1992: 66-9). Hudson prop�ne di formulare allo stesso modo, nel suo modello grammaticale cognitivo basato sulle parole (e non sulle frasi) come unità fondamentali, le informazioni relative alla natura e al comportamento sintattico delle parole e quelle relative al loro statuto sociolinguistico; sulla presupposizione che le co noscenze relative alla competenza linguistica siano dello stesso genere di quelle relati ve ad altri tipi di 'competenza del mondo', compresa dunque la competenza sociolin guistica.
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parte di ambito della SL può consistere in tutta la lingua; ma dove la SL lavora dopo la linguistica teorica, autonoma) 43 . In conclusione, anche se si deve riconoscere che la questione dei rap porti fra SL e linguistica è tuttora lungi dall'essere soddisfacentemente si stemata e dal trovare l'accordo generale dei sociolinguisti, e soprattutto dei linguisti44 , possiamo affermare che il modo migliore di porre le rela zioni fra le due è quello di constatarne la parziale autonomia e comple mentarità, e di non confonderne oggetti e metodi. La SL presuppone la linguistica, di cui utilizza larga parte dell'apparato terminologico e nozio nale e di cui condivide largamente l'impostazione dei problemi, ma d'al tra parte è un'area di studio con propri compiti, obiettivi e criteri di lavo ro, e i suoi risultati possono contribuire validamente a chiarire problemi di natura generale relativi non solo all'uso del linguaggio, ma anche alla sua natura e al suo funzionamento. Concezioni assolutizzanti in un senso o nell'altro, del genere «la SL serve a (o spiega) tutto» o «la SL non serve a (o non spiega) niente» sono categoricamente da respingere, non solo già alla luce del semplice buon senso, ma anche in base alla natura stessa, evi dentemente plurifunzionale, del linguaggio. Conseguentemente, anche il valore della SL come impostazione globale nuova, quasi rivoluzionaria, dello studio della lingua va fortemente relativizzato: le ambizioni della SL debbono probabilmente essere assai più modeste di quanto molti socio linguisti abbiano sostenuto, ma, proprio per questo, tanto più fondate quanto meno pretenziose.
43 Potremmo anche parlare, in un ottica un po' diversa, di 'oggetti linguistici di pri mo tipo', (classi di) strutture astratte generate dalla grammatica, opposti a 'oggetti lin guistici di secondo tipo', (classi di) realizzazioni effettive delle strutture (si noti che la di stinzione non coincide esattamente con quella sailssuriana di langue e parole né con quel la chomskyana di competenza ed esecuzione; ma piuttosto con un'opposizione fra ge nerazione di items e uso di items). 44 Vi sono fra l'altro anche opinioni divergenti circa il carattere sincronico owero diacronico della ricerca sociolinguistica: alcuni, presumibilmente indotti dall'impianto degli studi di Labov, costantemente volti a vedere nella variazione in sincronia il riflesso e il nocciolo del mutamento diacronico, sostengono che la SL «costituisca uno sviluppo della linguistica storica» (Segre 1 983 : 324), ccime una delle «specializzazioni» in cui que sta è rinata dopo il successo della linguistica sincronica. A noi pare invece che la SL sia una disciplina spiccatamente sincronica, e che la sociolinguistica storica (v. Romaine 1 982a) e ricostruttiva sia una sua sotto-area, rappresentandone il tentativo di applica zione nella diacronia.
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1 . 4 . Soc i o l i ngu istica in senso stretto e soc iologia del l i ngu aggio Nel § 1.2 abbiamo definito la SL in senso stretto e la sociologia del lin guaggio come due ambiti fondamentali della SL in senso lato. È il mo mento ora di ritornare su questa distinzione, che non da molto, con la cre scita esponenziale dei lavori nel ramo, si è venuta a porre come suddivi sione operativa per la maggioranza degli studiosi, e che non da tutti è ugualmente condivisa45 . In realtà, vi sono fattori importanti che differen ziano le due aree e che giustificano una loro separazione (cfr. Grimshaw 1987a). 1Lpi:inm, e forse quello fondamentale, consiste nel fatto che sono radicalmente diversi i dati su cui operano la SL in senso stretto e la sqcio logia del linguaggio. Mentre la SL in senso stretto lavora su items lingui stici, i suoi dati so�o produzioni linguistiche concrete, realizzazioni del si stema linguistico prodotte dai parlanti, la sociologia del linguaggio lavora su oggetti non direttamente prodotti dai parlanti come estrinsecazione del sistema linguistico: i suoi dati sono invece costituiti dai sistemi linguistici stessi nel loro insieme e dalle loro varietà, dagli schemi comportamentali e da norme, atteggiamenti e valori dei gruppi parlanti. Accanto a questa distinzione fondamentale, un altro criterio che sepa ra i due campi è dato dalla distanza rispetto alla sociologia: la sociologia del linguaggio è assai più vicina della SL in senso stretto agli interessi dei sociologi (alcuni dei suoi esponenti infatti sono, o si considerano, più so ciologi che linguisti), i suoi metodi di indagine sono più ispirati a quelli ti pici della ricerca sociologica e i suoi risultati sono più rilevanti per i pro blemi di cui si occupano i sociologi, rispetto a quelli della SL in senso stret to. Hudson ( 1 980: 1 1, 15) riassume in una semplice formuletta questa di versità di prospettiva, definendo la SL come.- cfr. § 1 .2 - «lo studio della lingua in rapporto con la società», e la sociologia del linguaggio come, vi ceversa, «Io studio della società in rapporto con la lingua»; e Fasold (i 984; 1 990) ha ben diversificato le due impostazioni nei titoli dei suoi due trat tati gemelli di SL, che suonano rispettivamente «sociolinguistica della so cietà» e «sociolinguistica della lingua»46 . 45 Abbiamo già accennato che per Fishman, per es., «sociologia del linguaggio» va le come termine generale per indicare l'intero cap1po di studio (cioè, SL in senso stretto più sociologia del linguaggio) : riteniamo tuttavia che per il ruolo di termine comprensi vo sia più adatto 'sociolinguistica', non fosse altro perché è già formalmente più impa rentato con 'linguistica'. 46 Sociolinguistics o/ language; preferiamo tradurre con lingua, in questo contesto, la ben nota polisemia di language. Si noti che finora abbiamo peraltro utilizzato lingua e linguaggio piuttosto intercambiabilmente, senza pertinentizzare la differenza tra termi ne specifico (lingua) e termine generico (linguaggio).
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Ancora, SL in senso stretto e sociologia del linguaggio si diffe�enziano in quanto la prima tende a lavorare a livello micro-sociolinguistico, la se conda invece a livellp macro-sociolinguistico47 . Il livello micro-sociolin guistico rigu arda «l'analisi degli eventi di interazione comunicativa» (Ber ruto 197 4: 83), le produzioni verbali e le realizzazioni di parlanti e gruppi di parlanti viste nei loro dettagli, singoli fenomeni linguistici, con un gra do in genere elevato di attenzione alla descrizione minuta dei fatti lingui stici; il livello macro-sociolinguistico rigu arda invece studi a larga scala, l'analisi della distribuzione e dell'impiego dei sistemi linguistici in una co munità parlante, e mette «in gioco i rapporti fra ampie strutture linguisti che ed ampie strutture sociali» (Berruto 1974: 61) nel comportamento di vasti gruppi e non di singoli parlanti48 • Si potrà alfine osservare che, come apparirà chiaro nel cap. 649 , la sociologia del linguaggio com'è praticata ancor oggi ha un impianto largamente elencativo, tassonomico e descrit tivo, e tende a presentarsi scarsamente allettante in quanto ad agganci teo rici di ampio respiro: la SL in senso stretto sembra assai più interessante dal punto di vista della teoria del lingu aggio. In conclusione, ci sembra che la distinzione su cui ci siamo soffermati in questo paragrafo nc:in sia semplicemente una questione, sofistica e va gamente causidica, di parcellizzazione terminologica e di varianti mera mente nominali, bensì risponda effettivamente alla caratterizzazione di due modi diversi di studiare i rapporti fra lingua e società. Sotto la deno minazione di sociologia del-linguaggio andranno pertanto tutti quegli stu di che hanno come oggetto la composizione linguistica delle nazioni, la co stituzione e la tipologia dei repertori linguistici delle.comunità, le manife stazioni sociali del plurilinguismo, la politica e la pianificazione linguisti la sostituzione e la morte delle lingue, ecc. (dr. Fishman 1975, e an-
che,
47 A torto però da alcuni macro-sociolinguistica è identificata tout court con la so ciologia del linguaggio, e micro-sociolinguistica con la SL in senso stretto: le due dico tomie sono in forte sovrapposizione, ma non sono isomorfiche (Bolton 1 992: 1 1), in quanto con macro- e micro- si designano due livelli di analisi, e non due aree contrappo ste. L'impiego della distinzione, va detto, è però presso gli stessi sociolinguisti non rara mente vago. 48 A loro volta, le etichette di macro- e di micro- sono talora accomunate ad un ap proccio rispettivamente quantitativo e qualitativo (Grimshaw 1987b: 66): assimilazione del tutto discutibile, anzi errata. Secondo concezioni restrittive, la distinzione qui discus sa sarebbe da riportare unicamente a fatti di estensione del 'corpo' analizzato: Grimshaw ( 1 987b: 75 ; da consultare in generale per maggiori dettagli su tutta la distinzione) riporta la formulazione di Collins, secondo cui «macro simply implies more individuals involved in more interaction chains spread over larger areas over longer periods of time». 49 E come sostiene Fasold (1 989: 120) a proposito della determinazione dello status e delle funzioni delle lingue, notando che «it seems we cannòt entertain the prospect of developing a theory for it [i. e. : societal multilingualism]».
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che Wardhaugh 1 986; nonché il cap. 6 in questo volume) . Naturalmente, d'altra parte, la ricerca in SL presuppone spesso l'inquadramento genera le fornito dalla sociologia del lin gu aggio.
1 . 5 . Due tipi di sociol ingu istica: sociol i ngu istica correlazionale e socioli ngu istica i nterpretativa Fin dagli albori della SL si è assistito ad una biforcazione fra due ti pi fondamentali di approccio scientifico ai rapporti fra lingua e società_e di orientamento della ricerca. Il primo di questi, rappresentato e�ble maticamente dai lavori di Labov e chiamato correntemente «correlazio nale» ( o «correlativo») è caratterizzato dal fatto che i fattori e le ' bili soda1i sono assunti come indipendenti e non costituiscono oggetto di studio: il compito della SL è di mettere in corrdazione i fatti lingui stici con quelli sociali, per comprendere meglio i primi; l'accento è sulla struttura linguistica. Il secondo approccio, chiamato. spesso «funzionale» o «interazionista» e successivamente ribattezzato appropriatamen�e �>.
2 . Problemi e presupposti teorici della sociolinguistica
2 . 1 . Statuto teorico della soc i o l i ngu istica Lo statuto teorico della SL è tuttora controverso. Da più parti continua no a levarsi lamentele sullo stato insoddisfacente della disciplina in quanto a elaborazione teorica, e la mancanza di una teoria solida e di una base di ri ferimento teorico condivisa è spesso sentita dai sociolinguisti stessi come uno dei grossi punti deboli nel proprio lavoro 1 . È innegabile che in vent' an ni, da quando scrissi un manualetto di introduzione alla materia, per quello che riguarda la mera elaborazione teorica in SL è successo piuttosto poco. Problemi, concetti, modelli sono rimasti in larga misura gli stessi, pur con sostanziosi approfondimenti e affinamenti. È anche indubbio che questo stato di cose abbia una sua giustificazione sostanziale nella scarsa vocazione teorica per se della SL. Ma ciò non ci esime dal porci criticamente di fronte alla situazione teorica della disciplina e dal tentarne un bilancio. Anzi. Cominciamo con ciò che non c'è. Non c'è alle viste nulla che somigli a una «teoria sociolinguistica unificata» del linguaggio; e secondo Fasold (1 992: 35 1 -52) - a nostro avviso, giustamente - ci sono buone ragioni per ché non ci debba nemmeno essere, proprio alla luce del fatto che il lin1 Dittmar è uno degli autori più sensibili nel denunciare tale carenza teorica: nella SL sembra non esserci nient'altro che «a variety of unconnected sociolinguistic approa ches amounting to what, euphemistically, can only be called the discipline's patchwork quilt» (Dittmar-Schlobinski-Wachs 1 988: 1 14; e dr. Dittmar 1989: passim).
2. Problemi e presupposti teorici del la sociol ingu istica
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guaggio non può essere globalmente spiegato finché si fa riferimento solo ad una delle sue funzioni, sia pure forse la più importante ( cfr. § 1.3 )2 . D'altra parte, la nozione di linguaggio come espressione del pensiero e or gano mentale e come essenzialmente volto a codificare significato refe renziale, denotativo, è difficilmente integrabile con la nozione di linguag gio come strumento di interazione. Non esistono a tutt'oggi né una sociolinguistica generale né una socio linguistica teorica. Ciò si spiega con un fatto peraltro connaturato alla SL stessa, e cioè la forte sensibilità delle nozioni e delle categorie con cui opera la SL alle peculiarità e differenziazioni delle singole società e culture. Men tre esiste un linguaggio che riunisce ciò che vi è di comune fra le diverse lin gue, non esiste una cultura o una società che sia la quintessenza delle cultu re e delle società realmente esistenti; il linguaggio è certo governato da una forte componente naturale, o innata, quale per de/initionem manca alla cul tura e alla società. In SL le generalizzazioni tendono inevitabilmente a sof frire di una certa specificità locale, in quanto per lo più tarate sulla partico lare cultura e società indagata. Discutendo di problemi teorici della SL, occorre tuttavia chiarire un potenziale equivoco iniziale, distinguendo .da un lato il problema della fondazione ed elaborazione teorica della SL in quanto tale (che è quello a cui si riferisce la constatazione di Dittmar citata in nota 1), e dall'altro il problema dell'apporto della (teoria della) SL alla teoria linguistica (che è · quello a cui allude Fasold). Se i tentativi nella seconda direzione sono fran camente deludenti3 , l'impressione quasi nichilista fornita da Dittmar ap pare forse troppo pessimista, e la questione merita qualche parola in più. È _v.ero che manca un corpo acclarato, consistente e coerente di dottrine, tesi e ipotesi concernenti la dimensione sociale del linguaggio e facenti da ba_s_e_sistematica a una sequenza organizzata di indagini empiriche; ma esi stono moltissimi frammenti di teoria e di speculazione astratta, che mo strano se non altro una notevole vitalità della disciplina. È però significativo che le riflessioni teoriche generali più ambiziose e i tentativi di costruzione di un modello globale circa i rapporti tra lingua e società e la dimensione sociale della lingua non si siano sviluppati all'in2 Concordiamo pienamente con Fasold ( 1 992: 355) quando conclude: «My answer [to the question about whether there should be.a unified sociolin gu istic theory of lan guage] is in the negative because it seems to me that structural and contextual principles are in separate sets and are about different phenomena». 3 Anticipiamo dunque qui scetticismo nei confronti della validità teorica delle rego le variabili (cfr. § 5 .4 . 1 ) , che per molti hanno costituito un contributo importante alla teo ria generale del lingu aggio; mentre proposte di integrazione di fatti sociolinguistici e fat ti strutturali nello stesso modello formale, come quella compiuta da Hudson ( 1 986), ap paiono decisamente inadeguate (Berruto 1 992; e cfr. § 1 .3 ) .
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terno della SL in senso stretto, bensì nelle zone di confine tra SL e lingui stica strutturale-funzionale e tra SL e linguistica antropologica, ricolle gandosi rispettivamente ai nomi di H�day e di Hym es. La concezione del linguaggio come semiotica sociale (Halliday 1 983 ) , basata sulla considerazione della lingua in termini di potenziale semanti co che risponde ad una gamma diversificata di funzioni e viene attivato mediante una rete di opzioni che si attualizzano, secondo i vari livelli di analisi di una «grammatica sistemica», in situazioni caratterizzate da un re gistro in cui confluiscono campo, tenore e modo del discorso, rappresen ta in effetti un interessante candidato a un modello teorico globale del lin guaggio in prospettiva sociolinguistica; ma viene sviluppato da Halliday stesso non tanto in chiave sociolinguistica, ma piuttosto in chiave di lin guistica teorica. Quanto all'etnografia della comunicazione di D. Hym es4 , si tratta cer tamente di un tentativo ricco e complesso di fondare un modello globale dell'interazione fra linguaggio e vita sociale, che però è rimasto su un li vello ampiamente programmatico, stentando a trovare un'esplicita realiz zazione in un corpo significativo di applicazioni empiriche su differenti si tuazioni, e scontando il suo carattere antropologico-etnografico, più che sociolinguistico in senso proprio, anche in termini di plausibilità dell'ana lisi per le nostre società occidentali5 • 1)1_1 Q�tacolo owio alla costruzione di modelli teorici rigorosi (dove per teoria si intenda non un astratto richiamo ad aspetti generali, ina il tenta tivo di dar conto di un ampio raggio di fatti in base a pochi principi fon damentali e alla loro interazione6 ) in SL dipende dal suo stesso ogg_etto_� sta nella vastità, eterogeneità e potenziale indettrminatezza dei fenomeni di cui dare Un altro ostacolo che rende a priori molto difficile far teoria sÒciolinguistica consiste 0ella duplice natura contemporanea dei fatti da spiegare, che andrebbero considerati sul doppio versante e lingui stico e sociale e chiamano in causa più costrutti non della stessa natura. Da questo punto di vista, non v'è dubbio che la SL sia una disciplina molto
conto.
4 Già Giglioli (1968a: 329) segnalava, nei primi passi della SL, l'importanza dei ten tativi di elaborazione teorica, se non altro in termini di «chiarificazione concettuale», di Hymes. 5 Gli sviluppi nel senso dell'etnografia del parlare quotidiano (Duranti 1992) si av vicinano inolto alle etnoscienze, alla sociologia della conoscenza e all'etnometodologia, rinunciando esplicitamente in tale prospettiva all'elaborazione di modelli teorici astrat ti. È peraltro significativo che lo stesso Hymes negli anni'Ottanta non sia più intervenu to sul suo modello; anche se l'etnografia della comunicazione continua a proporsi come una «new synthesizing discipline which focuses on the patterning of communicative behavior as it functions within the holistic context of culture, and it relates to pattems in other component systems» (Saville-Troike 1982 : 1). 6 Una prima introduzione alla nozione di teoria si può trovare in Matteuzzi (1979).
2. Problemi e presupposti teorici della sociolinguistica . 31
più 'molle' che non la linguistica, che peraltro secondo Simone ( 1990: 1 1) sarebbe già una 'scienza debole', «abbastanza vicina alle scienze 'molli'»7 • Tenuto conto di queste difficoltà connaturate alla disciplina, gli obiet tivi teorici che la SL si deve porre sono essenzialmente due: a) trovare e formulare principi generali della correlazione tra fatti linguistici e fatti so ciali; b) poiché il carattere fondamentale delle lingue dal punto di vista del la SL è la variazione, elaborare modelli di descrizione e analisi della varia bilità sociolinguistica. Al di là dell'effettivo successo ottenibile nell� spie gazione causale dei rapporti fra lingua e società, i requisiti minimi per una buona fondazione teorica della SL consistono, a lume di buon senso, nel l'avere consapevolezza dei problemi e nell'ottenere il massimo di rigore e precisione nelle definizioni; un obiettivo minimale potrà infine consistere nèl produrre almeno una tassonomia valida, con concetti non vaghi e cri teri ben definiti, espliciti e verificabili8 • In questa rassegna di problemi attinenti lo statuto teorico della SL, va toccato anche un aspetto a mio av.viso fonte diconfusioni. Si.Jratta del rap� porto reciproco fra teoria sociale e teoria ling11istica: spesso, viene infatti rimproverato a questa o quella corrente della SL dinon basarsi su una teo ria sociale (o sociologica) adeguata9 o addirittura di non basarsi su alcuna teoria sociale(e, meno spesso, di non basarsi su una teoria linguistic� ade guata) . Ora, se è certo evidente che la SL da un lato deve pur assumere co me punto di riferimento costrutti sociologici ben definiti e dall'altro non può fare a meno di riferirsi a un qualche paradigma di linguistica descrit tiva, questo non vuol dire che la portata teorica della SL vada valutata in base alla bontà della teoria sociale e/o linguistica a cui essa si rifà. Vor7 La terminologia metaforica allude alla capacità o meno delle discipline di aspirare a un rigore assoluto di teorizzazione, di elaborare modelli formali convalidabili, di for mulare leggi, di applicare una metodologia esatta e oggettiva. A nostro parere, comun que, la linguistica, nonostante nell'ultimo quindicennio abbia perso il ruolo di discipli na trainante, proprio per il suo rigore metodologico, fra le scienze umane, non sembra affatto così 'molle' (lo stesso Simone, 1 990: 1 1 , riconosce infatti che è «molto tesa verso le scienze 'dure'»). 8 Benché si tratti di una posizione decisamente obsoleta nel!' attuale dibattito sulla scientificità della ricerca linguistica, in particolare nell'ottica della grammatica generati va, continuo infatti post-strutturalisticamente a ritenere che una buona tassonomia sia già un obiettivo non disprezzabile per la fondazione di un modello teorico, e comunque rappresenti una fase indispensabile per ulteriori elaborazioni (cfr., sul valore del tutto ri spettabile delle tassonomie quali utili strumenti di ordinamento dei dati in linguistica, Lass 1 980: 1 62-66). 9 Il rimprovero è spesso stato fatto al variazionismo alla Labov. Cosl, per es., Came ron ( 1 990: 8 1 ) critica la SL correlazionale per il suo basarsi su una teoria sociale ingenua e semplicistica; già Romaine ( 1 982a) e Dittmar ( 1 989: 130-38), fra gli altri, hanno for mulato da diversi punti di vista, ivi compresa la discutibilità del modello sociologico di riferimento adottato, riserve assai pregnanti sul paradigm a laboviano.
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remmo anzi sostenere che k.SLnon ba neçessariamente bisogno di fon darsi né su una teoria sociale determinata, né ;� una t�o�i; ling11istica de terminata: e pon perché la ricerca sociolinguistica possa consistere in un descrittivismo selvaggio, privo di bussola, ma perché la SL avrebbe inve ce bisogno di fondarsi su, o meglio di fondare, una teoria, appunto, so ciolinguistica, specifica per il suo oggetto e i suoi obiettivi. Da questo punto di vista, non ci pare troppo convincente la prospetti va interdisciplinare (pur molto interessante e, per così dire, generosa, in quanto mirante a fornire maggior contenuto e sostanza teorica alla SL e a integrare più nettamente la semantica e la pragmatica nella teoria socio linguistica) sostenuta da Dittmar-Schlobinski-Wachs 1988 (cfr. anche Dittmar 1 987: 30-4). «La combinazione di elementi teorici della sociolo gia e della linguistica che formino un composto integrato e creativo» pre conizzata da Dittmar (1987: 32) comprende un'ampia gamma di fattori che pare assai difficile mettere assieme in un unico calderone e che vanno dalla sociologia del quotidiano e dalla sociologia sistemica e critica di Ha bermas e Luhmann sul versante sociologico alla stessa descrizione e teo ria grammaticale chomskyana sul versante linguistico. Il problema, a no stro avviso, non è di irrobustire la SL mettendo il più possibile tanta car ne al fuoco, aumentandone cioè le ambizioni e il raggio d'azione; bensì, semmai, di ridurne le ambizioni, rendendola con ciò stesso più qualifica ta e incisiva. Insomma: no alla SL come specchio del mondo. · Nasce appunto di qui l'esigenza di pensare anche alla costruzione di una SL generale, che discuta criticamente il contributo di tanti dati parti colari e indagini settoriali alla comprensione generale della natura e del funzionamento del linguaggio e filtri, nei limiti consentiti dall'inelimina bile grado di specificità 'locale' della SL cui s'è già accennato, un com plesso di concetti coerenti e ben definiti e un insieme di affermazioni di validità generale, che colgano regolarità di alto livello: lavoro che oggi, do po un trentennio di accumulo di dati e riflessioni, si potrebbe ragionevol mente cominciare a fare. Dal punto di vista epistemologico, la SL presenta infatti parecchi ri schi, che vanno dall'eccessivo empiricismo, all'importanza esagerata attri buita a minuzie 1 0 , al collezionismo grezzo di singoli dati in singole situa zioni specifiche, fino alla parcellizzazione da cronaca giornalistica di cer te indagini 1 1 • Qualche problema è a nostro parere posto anche dall'odier10 Qualche colpa qui va anche attribuita alla SL variazionista e quantitativa, che, a discapito della raffinatezza dei suoi metodi, ha contribuito a concentrare l'interesse su minuti fatti subsistemici, quali le numerose sub-varianti di pronuncia di certi foni. 11 La SL condivide qui rischi di certa sociologia spicciola, da sondaggio d'opinione, di cui sono ben note la superficialità e la banalità e sono chiari i limiti. Si badi altresì che
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no prevalere dell'interpretativismo (cfr. § 1 .5 ) , che può favorire un certo sfilacciamento delle categorie e dei costrutti teorici, sfociando in un'er meneutica dell'azione linguistica. Insomma, se qualcosa come una SL generale non esiste, per molti aspetti sarebbe la benvenuta. Primi passi per avviarsi nella sua direzione potrebbero essere la discussione della natura teorica delle analisi, spiega zioni e interpretazioni usuali in SL, e l'enucleazione di un insieme di af fermazioni generali o assiomi di partenza della SL: cosa che tenteremo di proporre nei paragrafi seguenti.
2 . 2 . I l carattere del le descrizion i e spiegazioni in sociol i ngu istica È noto che esistono nelle scienze due grandi classi di spiegazioni: le spiegazioni causali, basate sul rapporto 'fisico' di causa ed effetto, dipen denti da leggi naturali e tipiche delle scienze della natura, delle scienze co siddette esatte; e le spiegazioni dette spesso teleologiche, basate sulle in tenzioni, dipendenti dalla razionalità e dall'azione umana e tipiche delle scienze umane e sociali, delle scienze cosiddette dello spirito, della cultu ra 12 . La lin guistica (e la SL, iri tanto in quanto vada considerata un setto re della linguistica in senso lato) occupa in questo contesto una posizione peculiare, giacché, essendo nel linguaggio allo stesso tempo presenti aspetti naturali e aspetti culturali, la scienza del linguaggio comparteciperà di entrambe le classi di spiegazioni. Com'è noto, a seconda del prevalere o dell'accento esclusivo posto sugli uni ovvero sugli altri aspetti nellf! di verse scuole e nei diversi campi della linguistica, questa ha pencolato in misura diversa più sull'uno o più sull'altro versante, fino al deciso collo carsi della linguistica generativa fra le scienze esatte. La SL al contrario, dato che i:I suo oggetto va posto quasi completamente nell'ambito dei fat ti di cultura, deve cercare la propria validità e identità piuttosto fra le scienze umane e sociali. anche la sociologia in genere appare spesso come una disciplina piuttosto controversa fra le scienze umane. 12 Il problema della spiegazione è ovviamente tra quelli più dibattuti nella filosofia della scienza (Popper, Oppenheim, Hempel, von Wright, ecc.), ed è stato ampiamente discusso anche nella linguistica, specialmente in relazione alle ambizioni di esattezza e di assoluto rigore scientifico della linguistica generativa, mentre ha una tradizione relativa mente povera in SL (v. comunque Romaine 1982a: 3-14 e 209-89, 1984a; Giacalone Ra mat 1983 ; Pisani 1987; Dittmar 1989) . Una trattazione tecnica del problema della cau salità nella ricerca sociale si ha ora in Bruschi ( 1993 ).
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A rigore, secondo la filosofia della scienza solo le spiegazioni della pri ma classe possono essere considerate spiegazioni a pieno titolo, preditti ve, dotate di vero potere esplicativo sempre valido. Se partiamo da questa considerazione, allora la SL avrebbe preclusa la possibilità di fornire vere spiegazioni. Per comprendere meglio la problematica, occorrerà tuttavia far riferimento ad una classificazione più sottile dei tipi di spiegazione epi stemologicamente possibili. Un primo tipo di spiegazioni è appunto quello dianzi accennato, che fornisce la massima adeguatezza esplicativa: si tratta delle spiegazioni in senso forte, cosiddette nomologico-deduttive, che, dato un certo fenome no o dato da spiegare (e:icplanam/µm) ;lo derivano in maniera necessaria da una premessa (una legge, explanans) e dalle condizioni antecedenti verifi cate; compito della scienza è di analizzare le condizioni iniziali e scoprire le leggi che, date queste condizioni, causano l'effetto osservato. L'oggetto da spiegare è visto come una conseguenza logicamente necessaria delle premesse, che, trovata la legge, forniscono una previsione sicura, totale, del manifestarsi dell'oggetto. Un modello tipico di spiegazione nomologi ço-deduttiva è quello dei teoremi in tllatematica. La grammatica generati va, per ripetuta asserzione di Chomsky e dei suoi seguaci, mira precisa mente a questo tipo di adeguatezza esplicativa 13 ; che invece pare difficil mente praticabile in SL 14 . Ma esistono altri tipi di spiegazioni (cfr., per la SL, Bell 1 976: 15-7; e per la linguistica Wunderlich 1 974, Lass 1 980, Itkonen 1 982a), spiegazio ni in senso debole, che colgono generalizzazioni senza poter porre rela zioni necessarie ed esaustive di causa ed effetto tra i dati da spiegare, le condizioni osservate e un principio generale da cui ricavare i dati. Di que sto genere sono le cosiddette spiegazioni probabilistiche, basate sulla sta tistica 15 , che colgono generalizzazioni post /actum, regolarità nella distri buzione dei dati empirici, e che permettono di fare induzioni fondate sul1'aspettativa, avendo così un valore debolmente predittivo. Non si tratta di collegamenti del genere «dato X, ne consegue necessariamente Y», ma del genere «dato X, è probabile (con un grado di probabilità a volte mi surabile, quantificabile) che succeda Y»; che ovviamente non forniscono 1 3 Cfr. ·peraltro qui sotto le posizioni di Itkonen ( 1 982a e b). Un'utile discussione cri tica dei fondamenti della linguistica formale è ancora Lo Piparo ( 1 974). 1 4 In questo, ha buon gioco chi (per es. , Cameron 1 990: 85 ) sostiene la fallacia espli cativa dell'affermare, per es., che una parlante di New York presenta in interviste for mali una certa percentuale di pronuncia della [r] perché è una donna anziana dd ceto operaio di origine italiana. Ma questa è una spiegazione? In effetti la SL non assume rap porti così meccanici e deterministici fra appartenenza sociale e realizzazioni linguistiche. 15 Modello di spiegazione che Hempd ( 1 965) chiama infatti «statistico-induttivo» .
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certezza, ma che comunque consentono di dare una certa interpretazione tendenziale ai dati. La grande debolezza di questo, e degli altri tipi di spiegazione che ve dremo fra poco, in confronto con quelle del primo tipo, è, in senso pop periano, la loro impossibilità di essere falsificate: il verificarsi di un con troesempio, di un caso non aspettato, non invalida l'affermazione teorica, ma al massimo corregge il suo grado di probabilità. Spiegazioni probabi listiche sono molto adoperate in SL, e anzi rappresen-tano un contrasse gno metodologico della variazionistica americana, con le sue 'regole va riabili' (cfr. § 4.4). Altrettanto, e ancor più, diffuso in SL � un terz.Q tipo di spiegazioni: le spiegazioni funzionali. In 'esse, il colleg;imeo.tu fra explanandum ed expla nans non è necessario (né fisicamente né logicamente) , e nemmeno pro bab_ilisticamente quantificabile, ma solo probabile (a volte, non più che possibile) in termini qualitativi. La loro formulazione consiste nell' affer mare che un dato Y dipenda da un principio X in ragione della sua fun zione, di ciò a cui serve, del ruolo che gioca in un tutto. Le spiegazioni f1m zionali (chiamate anche teleologiçbe 1 6 ) hanno un valor; predittivo molto debole e scarso: esse 'prevedono' che un certo fenomeno sia più o meno favorito, preferenziale, plausibile, ma non forniscono alcuna quantifica zione attendibile del suo effettivo verificarsi, che risulta spiegato solo a po steriori, Ma cfr. il § 2 .3 . Vi è infine un quarto tipo di spiegazioni diffuso in linguistica: le spie gazioni genetiche (o anche genealogiche), che chiariscono un fenomeno facendo riferimento alla sua origine nel tempo, nella diacronia. L' expla nandum Y è tale perché è riportabile sull'asse temporale ad un suo ante cedente X, da cui deriva o discende. Si tratta in effetti di pseudo-spiega zioni, perché la ricostruzione dell'origine e della storia derivativa non spie ga la natura profonda del fenomeno, ma rinvia ad un oggetto dello stesso genere, che riproduce a sua volta una catena di rimandi in diacronia. Tut tavia, proprio per questa loro proprietà, hanno un carattere parzialmente predittivo e permettono un considerevole grado di certezza ed esattezza descrittiva; esempio tipico ne sono le leggi fonetiche della linguistica sto rica: un' affermazione quale «il nesso latino -CT- dà in italiano -tt-» (come in notte da NOCTE(M), fatto da FACTU(M) , ecc.) è generalmente vali da, a meno che non intervengano elern"emi di disturbo (fenomeni dovuti al contatto fra sistemi linguistici diversi, interferenze e analogie interne al 16 Ma a nostro parere 'teleologico' non è sinonimo di 'funzionale', in quanto impli ca assunzioni più impegnative circa una meta finale, inconscia o addirittura conscia, ver so cui porterebbe il verificarsi di un fenomeno: dr. il § 2 .3 e Lass ( 1 980: 64-90) .
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sistema, ecc.) attraverso cui spiegare i casi che eventualmente la contrad dicono. Tutti questi tipi di spiegazione, via via meno forti e stringenti in termi ni di rapporti di causalità e di riconducibilità a leggi generali, ma comun que caratterizzati dal fatto di cercare di riportare i dati empirici a princi pi generali dalla cui applicazione quelli si possano ricavare, sono presenti e praticati nella linguistica. Ad essi si contrappone un altro genere di pro cedimento esplicativo, tipico delle scienze umane più 'molli' come la sto ria o la critica letteraria, quello spesso ricondotto al termine ermeneutica, consistente nel dar conto in termini di interpretazione dei fatti, e caratte rizzato dal doversi basare anche, o soltanto, sulla nozione, ovviamente non riducibile a determinismo causale, di intenzionalità umana 17 . Naturalmente, le spiegazioni non vanno confuse con le descrizioni: quest'ultime ci dicono coin'è fatto un oggetto, mentre le prime ci devono dire perché un oggetto è fatto così. È però anche chiaro che le descrizio ni costituiscono un primo passo indispensabile per poter trovàre spiega zioni; e produrre buone descrizioni è molto importante in SL, dato che in "dati empirici sono da un lato produzio.rµ linguistiche, cioè oggetti concretamente osservabili (almeno sul versante del significante e dèl con testo situazionale), m1=1 d_all'altro norme, atteggiamenti, valori, disposizio ni mentali, ecc., che sfuggono all'osservazione diretta18 . 1 Di quale natura sono le spiegazioni normalmente· usate in SL? Se pren diamo per es. una possibile affermazione empirica come (i) «le donne usa no più particelle e forme attenuative che non gli uomini» 1 9 , qual è il suo statuto scientifico? Si tratta evidentemente di una constatazione descritti va, ricavata dall'osservazione di una quantità più o meno ampia di produ zioni linguistiche, cioè da un certo corpus, che rappresenta certo una ge-
essa'i
È la distinzione classicamente espressa con l'opposizione di erkliiren (spiegare) e (comprendere): cfr. Wimmer (1987); v. anche Di Bernardo (1982). Osseiva zioni puntuali dal punto di vista della SL in Romaine (1984a). 18 Anche qui il compito della SL è quindi ancora più complesso e delicato di quello della linguistica, che (nonostante Simone, 1990: 15, la presenti come «una disciplina es senzialmente non osseivativa: dei suoi fenomeni, solo alcuni si possono vedere, in quan to sono registrati in forma scrina o in quanto sono costituiti da comportamenti [. .. ] di parlanti») ha pur un aggancio maggiore con entità oggettivabili. 19 La cosa è stata osseivata in più lingue e culture (v. per es. Preisler 1986, Coates Cameron 1988, ecc.; ma già Lakoff 1975; per l'italiano, Anili 1977, Attili-Benigni 1979, Berretta 1983 , Cortese-Potestà 1987), e comprende varie strategie, quali l'uso di dimi nutivi, di Abtonungspartikel (forse, magari, doè, ecc.), di intercalari ed espressioni che ri ducono la forza delle asserzioni (credo, non so, un attimino, ecc.), e altro ancora. La te matica è in intersezione con lo studio delle manifestazioni della cortesia, politeness, nel comportamento verbale, campo ampiamente banuto anche in linguistica pragmatica (v. il noto Lakoff 1978, e, per una rassegna aggiornata, Held 1992). 17
verstehen
2. Problemi e presupposti teorici della sociolinguistica 37 neralizzazione, ma non ha valore esplicativo, non spiega affatto nel senso che vorremmo avesse il verbo spiegare, vale a dire non spiega perché, per es., una ragazza conversando con un amico impieghi più forme di atte nuazione del suo partner nell'interazione: dire «perché è di sesso femmi nile» porta il caso particolare su un piano generale, ma non è una spiega zione, nel senso che derivi il comportamento della ragazza da un princi pio che ne dia conto (sia pure soltanto, data la natura dei fenomeni, in ma niera probabilistica) in senso astratto e che dia contemporaneamente con to di altri fenomeni, permettendo di capirne la ragione. Insomma, diven ta allora da spiegare perché le donne usino più forme attenuative, e la ra gione andrà cercata per es. (ii) nelle modalità di socializzazione proprie di molte culture, che assegnano alle donne il compito di trasmettere i valori affettivi del gruppo e di mantenere un buon clima comunicativo, un an damento 'cortese' dell'interazione, o simili20 . Si vedono bene, in questo esempio pur assai banale, i caratteri delle af fermazioni esplicative in SL. Anzitutto, esse collegano il particolare al ge nerale in maniera probabilistica e nan deterministica2 1 : la cosa è evidente nel caso della prima affermazione, (i), laddove va sempre ammessa la pos sibilità di trovare donne che usano poche forme attenuative e uomini che usano più forme attenuative di qualsiasi donna. Semplicemente, la gene ralizzazione.empirica (i) esprime il fatto che ci aspettiamo, ceteris paribus, che se un parlante è donna usi relativamente molte forme attenuative, e più forme attenuative che un uomo. In questa formulazione si vede anche, secondariamente, il carattere quantitativo che ha spesso il discorso espli cativo in SL. Inoltre, va notata la natura graduata, del genere più/meno, e non categorica e mutualmente _esdusivii. (del genere sì/no) , deI tratto lin guistico di cui si predica l'affermazione (i). In secondo luogo, si tratta di affermazioni relativistiche, che sono per principio sempre riferite ad una o più culture e società (magari, ma non 20 È stato notato e sottolineato in più ricerche che nell'interazione verbale gli uomi ni e le donne sembrano privilegiare due scherni di comportamento opposti: l'uno cen trato sullo scambio di informazione, e l'altro rispettivamente sulla relazione interperso nale. Sono ovviamente immaginabili altre spiegazioni - tutte, si badi, di carattere fun zionale -, come per es. «perché le donne vogliono/devono sottolineare il loro ruolo so ciale», che sarebbe una spiegazione di contenuto. intermedio rispetto a quella che assu miamo; o «perché sono insicure»; o «perché vogliono attenuare la portata delle proprie affermazioni», ecc. (queste ultime due dal carattere evidentemente tautologico: ma esem pi del genere si trovano, bisogna dire, nella letteratura sociolinguistica... ). Per una criti ca in generale delle spiegazioni sociolinguistiche circa le differenze legate al sesso dei par lanti, v. Carneron-Coates ( 1 988). 21 Sul carattere non deterministico delle correlazioni in SL insiste fra gli altri anche Neubert ( 1 976: 158): «Now !et there be no rnistake about any narrow, rnechanical de terrnination between social and linguistic rnatters».
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sempre, la maggioranza) mentre possono non valere per altre culture e so cietà: sia (i) che (ii) implicano come campo d'applicazione tipi di società che ci sono familiari, in cui la donna è tradizionalmente il depositario dei buoni sentimenti e della buona educazione, ma non escludono affatto che ci siano altre società in cui vale il contrario22 . In terzo luogo, nella catena di formulazioni (i)- (ii) è evidente il carattere funzionale (cfr. § 2.3 ), sia nel senso banale che la maggior frequenza di forme attenuative riflette la pro pensione della donna a non imporsi, sia nel senso più impegnativo che ta le propensione trova la sua ragione in ultima analisi nella divisione socia le dei compiti, per cui l'istituzione sociale assegna a certi suoi membri, ap partenenti a classi determinate, ruoli atti al mantenimento dell'ordine so ciale. Ancora, (i) esprime tipicamente una correlazione, un rapporto di co occorrenza in cui fatti linguistici e fatti extralinguistici (nel caso, fatti so ciali) vengono messi in relazione (e il fatto linguistico è visto come un ri flesso di fatti sociali, secondo la direzione correlativa che abbiamo com mentato nel § 1.5). Infine, va notato il carattere socio-storico, spiccata mente poco astratto, malamente o per nulla formalizzabile, anche della formulazione (ii), che certamente non ha la natura di principio astratto soggiacente facente parte di un modello teorico omogeneo costituito da un numero non alt(issim)o di principi coerenti (come richiesto dall'attua le nozione di teoria scientifica). Una certa distribuzione di dati linguistici, una differenza nell'uso linguistico, viene 'spiegata' facendo appello, ete rogeneamente, ad un carattere socio-culturale storicamente affermatosi: il potere esplicativo, nel senso forte della causalità scientifica, di afferma zioni di questo genere è veramente scarso. D'altra parte, il reale statuto epistemologico dei procedimenti teorici delle scienze del linguaggio è lungi dall'essere chiarito in maniera unanime una volta per tutte. Itkonen (1982a) per es. sostiene con buoni argomenti che nemmeno la «linguistica autonoma» (dallo strutturalismo bloomfiel diano al generativismo) opera secondo i canoni epistemologici delle scien ze naturali, giacché adotta necessariamente modelli sintetici2 3 e non lavora su oggetti localizzabili nello spazio e nel tempo (come sarebbero frasi real22 Sfioriamo qui il grosso problema dell'esistenza di universali in SL. Universali so ;tanziali del genere di quelli presenti in linguistica sembrano assai difficili, se non im possibili, da trovare, a causa della stessa natura del]' oggetto di indagine ( cfr. § 2 .4). Ma la ricerca e la riflessione teorica su questi problemi sono per ora pressoché inesistenti. 23 La distinzione fra modelli sintetici ( che operano deduttivamente, ricavando entità :inali a partire da un insieme finito di entità iniziali e di operazioni su di esse) e modelli malitici (che operano induttivamente, muovendo da un insieme di dati osservaiivi e cer :ando di individuarne le entità di partenza e le operazioni che li costituiscono) è molto mponante in epistemologia. Per la linguistica, v. l'ancora classico Revzin ( 1 968) .
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mente prodotte da un parlante in una certa situazione), ma su «frasi cor rette in una lingua», cioè entità astratte e soggette alla normatività. La lin guistica autonoma o formale condividerebbe piuttosto importanti caratte ristiche con la filosofia e soprattutto la logica formale, in quanto mira a vol gere necessità intuitiva in necessità formale, i rapporti fra explanans ed ex planandum non potendo essere di causalità (né, più in generale, di deter minazione empirica) ma piuttosto di implicazione concettuale. Al contrario, secondo Itkonen, sarebbero le discipline linguistiche che operano su fatti ed eventi spazio-temporalmente localizzati e adottano ne cessariamente modelli analitici, come appunto la SL variazionistica24 e parte della psicolinguistica, ad essere epistemologicamente simili alle scienze naturali, fermo restando il fatto che l'impredicibilità, e quindi l'im possibilità immanente di essere colto coi modelli delle scienze naturali, è un tratto caratteristico di ogni comportamento sociale (e dunque anche della parte sociale inerentemente presente in ogni fatto sociolinguistico). Pownes (1984: 337 -64) sottolinea anch'egli che nella SL, che deve for nire spiegazioni sociali, vi sono due modi ben diversi di i:!CCOstarsi alla fo� dazione teorica delle affermazioni25 . Anzitutto, Downes condivide l'opi nione che la SL variazionista dia luogo a una vera teoria empirica, nella quale la variabilità linguistica è spiegata in termini sociali secondo il mo dello epistemologico usato nellescienze naturali, benché con potere espli cativo debole. Ma esistono anche �olti �spetti rilevanti per la SL, e in par ticolare quelli relativi al comportamento del parlante nell'interazione e al1' adozione o meno di norme sociali, che non possono per loro natura es sere assoggettati a questo tipo di spiegazione. Sono necessarie qui le spie gazioni che von Wright (197 1 ) chiama «teleologiche», che fanno riferi mento essenziale alle intenzioni razionali dei soggetti agenti e al rapporto fra queste e le azioni compiute, secondo lo schema non della deduzione nomologica ma dell'inferenza pratica (date le premesse che l'agente A in tenda far accadere una certa cosa p e che creda che p non può essere ot tenuta se non compiendo q, la conclusione è che A compie, o si prepara a compiere, q26 ) . Esse forniscono non generalizzazioni empiriche, bensì re24 Diverso è il discorso per altre forme ddlo studio sociale del linguaggio, come l'et nografia della comunicazione e l'etnometodologia, che adottano modelli sintetici basati sulla conoscenza intuitiva. 25 Secondo Walters (1988: 133 -34), in una prospettiva molto anglosassone , ci sareb bero ben quattro diversi strands, filoni, nella sola SL variazionista (cfr. qui §§ 5.3 e 5 .4), riconducibili rispettivamente ai nomi emblematici di Labov, Milroy, Romaine e Trudgill, ciascuno dei quali richiedente un proprio tipo di spiegazioni. 26 Ovviamente, in tal modo l'evento q è 'spiegato' non in termini di causalità (perché q? ) , bensì in termini di finalità (a qual fine q?). Cfr. § 2.3 .
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gole che costituiscono una sorta di istruzioni per l'interpretazione del comportamento e di convenzioni relative all'ordine sociale27 • Ora, secondo Downes questi due tipi di ragionamento esplicativo dif fusi nella SL, che sembrano irriducibili l'uno all'altro (trattando in effetti di dati empirici disomogenei) possono trovare un'unità superiore, se as sumiamo che le generalizzazioni di distribuzione della variazione colte dalle 'spiegazioni' in termini di paradigma empirico siano in fondo il pro dotto dei comportamenti e degli atteggiamenti degli individui, basati ap punto sulle intenzioni e credenze razionali, cioè soggetti al paradigma te leologicc28 . Downes (1984: 3 62 -64) sottolinea in conclusione, opportuna mente, come il linguaggio unisca fatti di natura fisica, fatti sociali e fatti in dividuali (l'intenzionalità umana), e necessiti quindi di diversi tipi di spie gazioni, da quelle dotate di causalità forte a quelle del tutto estranee allo schema della causalità. In tutt'altro contesto, occupandosi del mutamento linguistico e non dei rapporti fra lingua e società, giunge a una posizione molto simile Kel ler ( 1990: 80- 1), che, superando la classica dicotomia tra fatti di natura e fatti di cultura, distingue nell'universo degli explananda tre tipi diversi di fenomeni: fenomeni che non sono fine di intenzioni né risultato di azioni umane (fenomeni della natura), fenomeni che sono risultato di azioni umane e fine di intenzioni («artefatti»), e fenomeni che sono risultato di azioni umane ma non fine di intenzioni (che Keller chiama «fenomeni del terzo tipo»). A questi ultimi apparterrebbe la lingua, che conterrebbe quindi sia aspetti e tratti di un artefatto sia aspetti e tratti di un fenomeno della natura. Nel complesso, una prospettiva sulla natura della lingua qua le emerge dalle riflessioni di Downes e di Keller ci pare, allo stato attuale delle conoscenze, del tutto condivisibile, ed appare sottoscrivibile anche per la ragionevolezza e l'antidogmatismo che la caratterizzano. Analogamente a Oownes, e per tornare alla SL, anche Romaine ( 1 982a; 27 Regole di questo tipo sono ritenute da Dittmar (1989: 146) «mezzi descrittivi mol to potenti», superiori in quanto a potere esplicativo alle generalizzazioni compiute se condo il paradigma delle scienze naturali, che Dittmar chiama «regole regolative» (sa rebbero tali, per Dittmar, quelle tipiche della SL variazionista). Forse non si possono da re giudizi di questo genere comparando generalizzazioni di natura diversa relative a og getti sostanzialmente diversi. 28 «The teleological relates to the sodai, the individuai to the collective, in a compli cated interdependence», conclude Downes (1984: 363). La plausibilità di tale interpre tazione starebbe nel fatto che le intenzioni individuali dei parlanti sarebbero realizzate in maniera fondamentalmente regolare nella comunità, come attestato dalle note con . elusioni di Labov circa la maggiore uniformità degli atteggiamenti linguistici rispetto ai comportamenti linguistici (Downes 1984: 355) . Downes tende peraltro, a nostro parere, a soprawalutare l'intenzionalità del comportamento linguistico ai livelli bassi (in parti colare la fonologia) .
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1 984a) 29 argomenta in favore della necessità in SL di un approccio erme neutico, che metta in primo piano l'individuo come agente; secondo Ro maine le correlazioni quantitative fra variabili linguistiche e categorie so ciali non spiegano nulla riguardo al significato sociale che i parlanti vei colano con le strutture linguistiche3 °, ed è anzi indispensabile sviluppare strategie interpretative sui generis per comprendere la stessa variazione linguistica. L'autrice riprende le posizioni già espresse in Romaine ( 1 982a: 282-89 e passim) per propugnare una teoria sociolinguistica 'integrativa', che eviti le fallacie e i falsi miti dell'empiricismo e dello scientismo e sia fondata su una epistemologia non deduttivistica3 1 . Si tratta di esigenze molto ragionevoli e certamente sottoscrivibili, che purtroppo però non hanno ancora portato né l'autrice né altri sociolinguisti a delineare con precisione i contenuti specifici di una tale teoria. L'appello alle considera zioni pragmatiche e funzionali, sul piano della costruzione di un modello teorico, è rimasto sinora, in un dominio in cui la pars destruens è eviden temente assai più facile da farsi che non la pars construens com'è chiara mente la SL, poco più che una mozione di principio. A chiosa di questa sommaria discussione, aggiungeremo un'opinione personale. La recente innegabile tendenza a privilegiare le componenti in terazionistiche e interpretative della SL, e quindi le spiegazioni ermeneuti che del tipo teleologico, se è benvenuta in termini di un ampliamento del la dialettica della disciplina, ci pare comunque nascondere il pericolo di una delega di quello che potremmo forse chiamare lo specifico sociolin guistico ad una generale 'scienza del mondo', con il rimando ad una con gerie inesauribile di singoli fatti inerenti all'individuo e al suo 'lavoro' di costruzione continua della realtà, trasformando il sociolinguista in uno 29 Che però, a differenza di Downes, e come si vedrà subito, non assegna troppo va lore al variazionismo correlazionista laboviano. Jo Ma: devono spiegarlo? Non si tratta di cose diverse? Romaine è qui probabilmente un po' troppo severa nel (sotto)valutare la SL quantitativa, le cui ricerche dopo tutto «proponendo procedimenti metodologici rigotosi ed affidabili, hanno consentito alle descrizioni dell'uso linguistico di uscire dal livello intuitivo e impressionistico più volte rimproverato» (Giacalone Ramat 1 983: 24 1). Resta aperto comunque il problema del rapporto fra sign ificato sociale e il genere di entità linguistiche che lo veicolano: allo sta to attuale delle conoscenze, e ai livelli 'grammaticali' del sistema linguistico, pare irridu cibilmente arbitrario che quel particolare valore sociale sia veicolato da quella particola re variante di pronuncia o alternanza morfosintattica (cfr. § 5 .3.2). Peraltro Romaine ( 1 984a: 34) propone interessanti considerazio�i sul ruolo dell'agente, in un «agentivity continuum» che differenzia margini di manovra o 'libertà' dell'utente nei confronti del sistema linguistico a seconda dei diversi livelli di analisi (v. nota 55). J 1 La polemica contro lo scientismo e il riduzionismo, cioè contro la tendenza a spie gare il comportamento umano (nel caso, linguistico) in termini quantitativi oggettiva mente calcolabili e a ridurlo quindi a mero fatto di natura, è frequente nella SL di im postazione interpretativa, che lo rimprovera tipicamente al variazionismo laboviano. 0
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scienziato sociale. Riteniamo in effetti che il nocciolo duro dei fatti che in teressano il (socio)linguista debba essere spiegato evitando per quanto possibile il riferimento a categorie idiosincratiche, che sfilaccino l'insieme dei dati empirici in una serie infinita di micro-eventi, certo ben interpreta bili con le opportune regole interpretative, ma difficilmente collegabili in una sintesi generale della natura e della portata dei condizionamenti socia li sul linguaggio. L'analisi empirica e i modelli teorici dovrebbero rimanere due fasi di stinte, e dialettiche, nel procedimento della ricerca; così come i dati lin guistici dovrebbero sempre essere il prius, e categorie sintetiche chiare e distinte il posterius, della ricerca sociolinguistica. Del resto possono me glio occuparsi l'etnoscienza e la pragmatica. Il fatto è che la SL interpre tativa pare spesso recare con sé una certa rinuncia all'astrazione. Astra zione che a nostro parere va pur sempre considerata, anche in tempi di 'pensiero debole', una conquista irrinunciabile e una tappa necessaria di ogni procedere scientifico, e che invece va spesso perduta con la promo zione sul campo di dati etnografici a costrutti teorici e con un'attenzione esagerata al dettaglio e al momento empirico vissuto. Il rischio di trasfor mare l'analisi in una riproduzione frattale del reale e di perdere di vista i lineamenti generali dei fenomeni mi pare evidente. Vorremmo altresì, in conclusione, esprimere riserve sulle eccessive preoccupazioni formaliste che spesso sottendono il dibattito sulla meto dologia delle scienze del linguaggio, e sposare la causa di un sano relativi smo: l'importante è giungere ad una buona comprensione delle cose, e for se non importa poi così tanto con quale metodo ci arriviamo-' 2 • Certo, è molto utile rendersi conto dei metodi che si applicano nella ricerca e nel la formulazione di teorie, della loro natura e del loro significato, ma anche in questo caso occorre non porre i mezzi davanti ai fini: la mia posizione sarà un po' invecchiata, ma credo che ciò che conta sia dopotutto che un certo stato di cose divenga comprensibile. Esagerando un po', potremmo dire che tutti i metodi sono buoni, se le idee sono chiare e apprendiamo qualcosa di interessante sul linguaggio. Solo la banalità si squalifica, con qualunque metodo (anche il più raffinato) raggiunta.
32 Condivido quindi pienamente, su questo punto, la posizione di Romaine (1984a: 36): «Explanation [ . . . ] cannot be evaluated as an autonomous object apart from its for mulation within a particular socia! context or the role it plays in a particular epistemo logy. No particular epistemology has a privileged window on the world».
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2 . 3 . « Excu rsus» s u l fu nziona l i smo in l i ngu istica Abbiamo visto che trattando delle spiegazioni in SL si deve assegnare un ruolo notevole alla teorizzazione di carattere funzionale. Nella lingui stica recente è divenuta sempre più chiara la biforcazione e contrapposi zione fra due grandi orientamenti teorici diversi (che peraltro ha percorso tutta la linguistica teorica e descrittiva del Novecento: v. Dirven-Fried 1987): il filone formalista, rappresentato paradigmaticamente dalla lingui stica generativa ma tipico anche di altre concezioni teoriche e modelli del linguaggio33 , e il filone funzionalista, estremamente vario ed eterogeneo. In effetti, con l'etichetta di funzionalismo viene designata un'ampia gamma di correnti teoriche o impostazioni metodologiche aventi in comu ne il fatto di ritenere più importante, nel determinare i fenomeni linguistici e il modo in cui sono fatte le lingue, l'uso che non la struttura; in altre paro le, condividono il presupposto che ciò a cui le lingue servono determini ca ratteri specifici del modo in cui le lingue sono fatte. Tra le molteplici fun zioni del linguaggio, il funzionalismo privilegia, o, nelle versioni estreme, assolutizza l'essere strumento dell'interazione comunicativa: «In the func tional paradigm [. .. ] a language is conceived in the first piace as an instru ment of socia! interaction between human beings, used with the primary aim of establishing communicative relations between speakers and addres sees» (Dik 1 978: 1); ancor più nettamente: «The primary aim of natural lan guages is the establishment of inter-human communication; other aims are either secondary or derived» (Dik 1986: 2 1). Tale presupposto si contrap pone naturalmente a quello del formalismo chomskyano, per il quale inve ce la funzione fondamentale è l'espressione o veicolo del pensiero: «I modi di utilizzazione del linguaggio sono diversi [. . . ] se però dovessi scegliere, di rei [ . . . ] il linguaggio serve essenzialmente a esprimere il pensiero» (Chom sky 1 977: 90)34 • Nelle impostazioni funzionaliste, dunque, la funzione comunicativa vieH È noto che la maggior parte delle scuole dello strutturalismo classico, e in parti colare la scuola di Copenaghen e il distribuzionalismo americano, sono da considerare modelli tipicamente formali, di linguistica autonoma. Fra le teorie recenti, basti citare per es. la grammatica lessicale-funzionale (nonostante il nome ! non ci possiamo soffer mare qui sulla polisemia del termine 'funzionale'), la grammatica relazionale, la gram matica di Montague (che però a nostro avviso non è più un modello linguistico), ecc. (v. per un rapido avvio Droste-d'Hulst 1 987 ). Anche il termine 'formale' peraltro presenta un'estrema polisemia: per qualche prima considerazione, v. Berruto ( 1 977b: 85 -92 ) . 3 4 L a posizione è condivisa anche d a filosofi del linguaggio che, partendo pur criti camente dalla prospettiva chomskyana, confermano per es. che bisogna concepire «the significance of language [. . .] as residing in its capacity to represent reality>> (Dummett 1 989: 2 1 0- 1 1 ) . Chomsky ( 1 981b; 1 989; ecc.) com'è noto critica vigorosamente, e nega, la possibilità di fare teoria del linguaggio muovendo dalla sua funzione comunicativa.
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ne considerata essenziale e caratterizzante, tale da incidere in misura più o me�o piena sulla forma interna stessa del linguaggio e delle lingue. Sull'en tità di questo determinismo (i;iella versione più forte) o influssq (nella ver sione più debole) delliJ. funzione sulla forma o struttura, e su qual genere di condizionamento la funzione imponga alla struttura, le posizioni sono mol to varie. Si va infatti da un canto da un funzionalismo assoluto come teoria globale unitaria del linguaggio ad un funzionalismo come principio mera mente 'locale', che agisce solo in certe aree del linguaggio; e dall'altro da un funzionalismo inteso tutto sommato in termini interni al sistema (come ga ranzia di efficienza funzionale distintiva, economia, simmetria) ad un fun zionalismo che sposta il carico esplicativo sull'utente del sistema, sulle sue capacità e sui suoi bisogni. Nella linguistica recente, l'esempio più lampante di modello rigorosa mente funzionalista, nel senso più forte del termine, è dato dalla gramma tica funzionale di Dik ( 1978; 1983 ; 1986; 1989) . Il sistema linguistico vi è visto non come un insieme autonomo di regole, strutture e principi indi pendentemente validi, bensì come un complesso di regole, strutture e principi motivati dalle condizioni di uso, la cui descrizione va fatta nei ter mini di specifiche funzioni che la lingua assolve3 5 : le proprietà strutturali che non trovano una spiegazione funzionale sono ricondotte ad accidenti storici, che offuscano l'originale rapporto tra funzione e forma36 . Altrettanto fortemente funzionalista, almeno nelle affermazioni gene rali, è, com'è noto, la grammatica sistemica-funzionale di Halliday ( 1985; 1987) , che è basata su una teoria del contesto sociale da un lato e su un modello delle funzioni della lingua dall'altro37 : per Halliday, «il linguagn La lista dei condizionamenti che sono posti alla forma del linguaggio dal suo ruo lo per i soggetti parlanti (e che fanno configurare in termini di problem solving le speci fiche strutture linguistiche) è in Dik molto ricca e dettagliata, e dà luogo a moduli diffe renti agenti a diversi livelli e rispondenti a diverse esigenze, eventualmente tra loro in conflitto (risolto da gerarchie di preferenza) : il modello di Dik, da questo punto di vista, non si può certo tacciare di semplicismo. 3 6 In effetti, nel modello di Dik i principi sembrano più forti delle loro applicazioni, che spesso non risultano immediatamente evidenti in termini funzionali: non possiamo scendere qui in particolari, ma ci sembra indubbio che la potenza delle interpretazioni funzionali. vi sia sovraestesa. 37 La teorizzazione delle funzioni del linguaggio in Halliday (riportate com'è noto a tre 'macro-funzioni' fondamentali, ideazionale - che permette in parte di ricuperare gli aspetti cognitivi della lingua -, testuale e interpersonale, che costituiscono veri principi organizzativi, a un livello astratto, del sistema linguistico) rappresenta l'eredità più ma tura e moderna dello strutturalismo funzionalista europeo, ed è un contributo assai im portante alla linguistica ( v. Halliday 1983 ) . Funzione è per Halliday «ciò per cui usiamo il linguaggio e gli scopi che ci aspettiamo di raggiungere usandolo» ( 1 987 : 62) . Grazie al la maggiore astrattezza delle categorie, il modello di Halliday appare tutto sommato più
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gio è com'è per ciò che deve fare» e «il funzionamento sociale del lin guaggio è riflesso nella struttura linguistica - cioè nell'organizzazione in terna del linguaggio come sistema» (1987 : 7 1, 59-60). Una versione meno totalizzante e di carattere psicologico-cognitivo dell'orientamento funzionalista si ha invece in recenti lavori di R. Simone, per il quale è primaria «l'esigenza di non descrivere le lingue in astratto, ma in relazione a chi le adopera», e sembra più ricca rispetto agli indiriz zi teorici strutturalisti, che ignoravano «deliberatamente l'esistenza di un utente (e di una società di utenti) della lingua», una prospettiva «secondo la quale il modo in cui le lingue sono fatte e il modo in cui cambiano nel tempo trasmettendosi da una generazione all'altra sono profondamente influenzati dalle capacità di elaborazione del linguaggio proprie dell'u tente. Insomma, esse portano nella loro organizzazione strutturale la trac cia del loro utente» (Simone 1 990: 1 0, 94)38 . Simone si ricollega altresì con questa posizione al dibattito fra arbitrarismo e sostanzialismo nel linguag gio, riportandosi a quello che chiama (1 992: 47 -8) «Principio del Deter minismo Fisico: la struttura del linguaggio è in parte determinata dall'ap parato fisico dei suoi utenti umani, vale a dire da fattori come percezione, struttura muscolare, memoria, facilità di produzione e di interpretazione, consumo di energia, ecc.»39 • Con questa formulazione, ci spostiamo nell'ambito di un funzionali smo cognitivo, tendenzialmente non sociale; e ci avviciniamo anche alle impostazioni della nota corrente funzionale dello strutturalismo europeo (cfr. Lepschy 1 966, Durante 1 975, Sampson 1 983) rappresentata emble maticamente da Martinet (1965), per il quale il funzionalismo diventa una specie di tendenza immanente al sistema linguistico (inteso in un certo senso come 'autonomo'), estrinsecantesi nei requisiti di economia interna, simmetria degli elementi e delle opposizioni, buona efficienza distintiva, ecc.; impostazione che com'è noto ha avuto considerevole successo nella trattazione e spiegazione dei mutamenti linguistici40 . coerente e compatto di quello di Dik, che ha però il vantaggio di una maggiore forma lizzazione. 38 Va notato che per Simone tuttavia le caratteristiche delle lingue che «si spiegano principalmente pensando ai caratteri dell'utente» ( 1 990: 1 0) sono per lo più caratteri di ordine molto alto, relativi alla natura semiologica generale delle lingue. 39 Simone si richiama qui direttamente a Jespersen ( 1 922 ; 1 924) , per il quale, con una formulazione già spiccatamente funzionalista e analoga a quelle dello strutturalismo fun zionale di un Martinet, il linguaggio è un'attività diretta a uno scopo tendente alla co modità e alla distinzione. 40 Più marginale, ai fini della nozione di funzionalismo che ci interessa qui, è la po sizione dell'altra grande corrente 'funzionale' dello strutturalismo europeo, sviluppata dalla Scuola di Praga con la cosiddetta «prospettiva funzionale della frase»: in essa vie-
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Un'impostazione funzionalista di genere ancora diverso si ha in Giv.6.!1, fa cui sintassi funzionale-tipologica, dichiaratamente ispirata oltreché a Je spersen e alla Scuola di Praga al mentalismo piagetiano, vede il linguaggio e la comunicazione come parte dei meccanismi cognitivi generali e si con trappone programmaticamente al formalismo generativista4 1 • Anche Gi v6n (1984 : 5 - 1 1) pone una netta correlazione tra funzione e struttura: si trat ta però di una relazione 'iconica' (cioè in cui la struttura riflette la funzione in maniera mediata e metaforica), che trova la sua motivazione nelle pro prietà cognitive quali la processazione mentale dell'informazione e la per cezione (essendo quindi fondata neuro-psicologicamente piuttosto che in terazionalmente o socialmente), e che va vista in senso evoluzionistico (la grammatica è ricavata dal discorso, e viene considerata una decantazione, trasformazione e fissazione di fatti lessicali, semantici e pragmatici inerenti al buon passaggio dell'informazione nel messaggio in situazione)42 . Una versione molto debole, ancorché per molte ragioni pienamente sottoscrivibile, del funzionalismo si trova nella sintassi funzionale di S. Ku no, un autore eh½ a differenza di quelli sinora citati accetta il paradigma generativista, a cui vuol semplicemente fornire un completamento sul pia no pragmatico. La sua sintassi funzionale è quindi del tutto compatibile con i modelli formali, di cui intende essere un'integrazione per gli aspetti che sono suscettibili di essere influenzati da fattori pragmatico-funziona li: per Kuno (1987) la linguistica funzionale rappresenta un approccio al l'analisi della struttura linguistica in cui si sottolinea la funzione comuni cativa degli elementi, in aggiunta alle loro relazioni strutturali; e la sintas si funzionale è una parte della linguistica funzionale, in cui le strutture sin tattiche vengono analizzate ponendo l'accento sulle loro funzioni comune focalizzato in effetti piuttosto il funzionamento della lingua come sistema in atto, la funzione delle unità all'interno del sistema (v. ora Sornicola-Svoboda 1 991). 41 «The approach to the study of syntax adopted in this book developed gradually as a rejection of all the tenets of the transformational-generative tradition» (Giv6n 1 984: 9). Sul funzionalismo in Giv6n, e con interessanti riflessioni generali, v. da ultimo Sorni cola ( 1994). 42 Presupposti analoghi sono condivisi da correnti teoriche che accordano grande importanza all'iconismo e che vanno certamente annoverate all'interno del funzionali smo, quali l_a morfologia naturale, soprattutto nella forma della teoria policentristica di W. Dressler (cfr. Kilani-Schoch 1988), e la sintassi naturale di J. Haiman ( 1 985). Que st'ultimo a dire il vero ci sembra nettamente iperinterpretare il riflesso della realtà ex tralinguistica sulla struttura del sistema linguistico, esagerando il grado di motivazione interna dei segni linguistici (che non tutto nei segni linguistici sia tipicamente arbitrario, come vorrebbe un certo strutturalismo di ortodossia saussuriana, non significa che tut to nei segni linguistici sia motivato: occorre guardarsi, come sempre, dall'eccessivo estre mismo in un senso o nell'altro). In un'impostazione funzionalista-naturalista si situa an che la developmental linguistics di Ch.-J Bailey ( 1 973 ; 1 981).
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nicative, con particolare attenzione al concetto di «empatia», con cui Ku no designa il punto di vista del parlante posto in primo piano. Come si vede, il panorama delle concezioni funzionali in linguistica è molto variegato. Una voce piuttosto critica nei confronti del funzionali smo viene dal campo stesso dei sociolinguisti, che verrebbe spontaneo classificare come di orientamento inerentemente funzionalista4 3 . Labov ( 1 987), passando in rassegna una serie di minuti fatti di variazione a cui è stata data un'interpretazione funzionale che in realtà non sempre regge al la prova dei fatti o risulta incoerente, sostiene che c'è la tendenza a sovra stimare la portata dei fattori funzionali nella spiegazione della variazione e del mutamento linguistico. Labov si riferisce peraltro ad un tipo parti colare di funzionalità, l'efficienza ai fini della preservazione del messaggio: che a ben vedere, e a nostro avviso, similmente all'economia e all'equili brio del sistema in Martinet, è un genere di funzionalità piuttosto poco 'funzionale', visto che fa pur sempre riferimento alle caratteristiche inter ne del sistema ed è in scarsa correlazione con il contesto extralinguistico, che ci sembra un criterio chiave per poter parlare di concezione funzio nale in senso proprio44 . Con Labov, siamo venuti ad accennare al funzionalismo in linguistica storica, all'utilizzazione di modelli funzionali non per la chiarificazione della struttura del sistema linguistico, in sincronia, ma per la spiegazione del mutamento linguistico. Si tratta di un campo ove le considerazioni di . tipo funzionale sono di gran lunga predominanti, sia nella forma tipica del riferimento ad un processo in atto in cui un elemento è spiegato in termi ni del contributo che porta al benessere o alla sopravvivenza di un orga nismo (in questo caso, al buon funzionamento e alla massima efficienza di stintiva della lingua) , sia nella forma che fa capo ad un vero e proprio te leologismo in senso forte, vale a dire facendo riferimento a uno stato di co43 Si veda come esempio palmare delle posizioni dei sociolinguisti la decisa afferma zione di un variazionista come Guy (1988: 38): «language is quintessentially a socia! pro duct and a socia! tool». 44 En passant Labov (1987: 313-14, 316) si pronuncia in maniera molto scettica nei confronti di qualunque impostazione funzionale: «I have become increasingly doubtful of functional arguments», che «are often stateci vaguely» e hanno spesso un certo tasso di «self-satisfaction»; e: «If we allow functionalism to expand to include every effect that facilitates the production or comprehension of spèech, it would become all-inclusive and empty at the same time». Tuttavia, in verità con una certa dose di autocontraddizione, alla fine del suo contributo Labov riconosce che «the need to communicate information is a persistent but weak constraint on the development of linguistic form», simile in que sto alla forza di gravità, la più debole delle forze di interazione, in fisica, che sempre c'è, anche se possiamo sottrarvici in varie maniere (Labov ivi: 330): il paragone non ci pare invero dei più felici, e se preso sul serio farebbe comunque di Labov un acceso funzio nalista, dato il carattere necessario e nomotetico dell'azione della forza di gravità !
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se, non ancora esistente (scopo, o fine, o télos) , verso cui l'organismo (il si stema linguistico) tende. Anche nella linguistica diacronica sono rappresentati quindi diversi ge neri di funzionalismo. Anzitutto, quello dello strutturalismo europeo Oakobson, Martinet), che potremmo definire funzionalismo interno, visto che insiste sull'ottimizzazione della struttura del sistema, e non è privo di una dimensione teleologica, dato che ogni mutamento risulta in quest'ot tica come diretto a uno scopo, che è quello di migliorare (o non peggiora re) il sistema al fine di migliorare la comunicazione45 . Una continuazione di questo approccio si ha per es. in Vennemann (1989), per il quale il mu tamento linguistico è sempre language z'mprovement, miglioramento della lingua, in obbedienza al principio - a vero dire un po' ottimisticamente semplicista - che quando gli esseri umani fanno qualcosa, lo fanno, con sciamente o inconsciamente, per migliorare la propria posizione nel mon do che li circonda: e questo si estende anche a quel tipo particolare di com portamento umano che è il linguaggio. Ben presente è però nella posizione di Vennemann, come si vede, an che il funzionalismo 'esterno', che fa appello alla globalità delle funzioni che il linguaggio assolve, e chiama recisamente in causa i suoi utenti. Un accento particolare sull'attività (inconscia) dell'individuo parlante e sulle proprietà cognitive e percettive della mente umana è posto per es. da Har ris (1982), che vede in azione nel mutamento linguistico la tendenza ad or ganizzare il materiale 'sistemico' della lingua nella maniera più economi ca, coerente e regolare; in direzione analoga vanno ovviamente le spiega zioni del mutamento in termini di naturalezza e iconismo (cfr. Giacalone Ramat 1989; Uguzzoni 1989)46 . Riguardo al mutamento linguistico, principi funzionali fanno capolino anche in una prospettiva orientata sul generativismo. È il caso di Lightfoot (1979), che pone come uno dei cardini essenziali di una teoria del muta mento linguistico il «principio di trasparenza», secondo cui l'obiettivo se così si può dire - sostanziale del mutamento è di evitare l'eccessiva opa cità (di settori) della grammatica: i rapporti fra struttura profonda e strut45 Cfr. Lazzeroni ( 1 987 : 45 ). Per Martinet ( 1 968), in particolare, «il mutamento lin guistico è generato dall'antagonismo fra le necessità della comunicazione che tendono ad awnentare i mezzi distintivi, e la tendenza al minimo sforzo che tende a ridurli» (Laz zeroni 1 987 : 48): l'equilibrio risultante costituisce l'economia del sistema. 46 Anche Lazzeroni ( 1 987 ; 1 990) vede nel mutamento linguistico ( e in particolare nella tendenza all'isomorfismo o biunivocità tra forma e contenuto, molto ricorrente nel mutamento morfologico) la tendenza a riorganizzare e riclassificare il materiale prefe renzialmente secondo categorie omogenee.
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tura superficiale devono poter essere per il parlante sempre recuperabili con un certo agio47 . Una certa accoglienza della prospettiva funzionale si ha peraltro anche in una visuale prettamente neoidealistico-spiritualistica come quella di Coseriu, per il quale «il cambio linguistico ha [. .. ] una causa efficiente, che è la libertà linguistica, e una ragione universale, che è la finalità espressiva (e comunicativa) dei parlanti» (1981a: 143), e «i cambi linguistici [... ] si possono spiegare (motivare) solamente in termini funzionali e culturali», che non sono «però in alcun modo spiegazioni 'causali'» (ivi: 128). E i fattori sociali? Se nessuno nella linguistica odierna afferma seria mente48 che condizioni meramente sociali siano la causa unica, o il fine esclusivo ed essenziale di uno specifico mutamento nel sistema linguisti co49 , è riconosciuto ai fattori sociali un ruolo concomitante: per es. Ait chison (1987; 1991a) vede tipicamente nell'attuarsi dei mutamenti lingui stici un coagularsi di fattori sociolinguistici, fattori psicolinguistici e fatto ri linguistici interni. Risulta evidente dal nostro sommario excursus che l'appello all'extra linguistico per spiegare, o meglio per interpretare, i fatti di lingua, che è in ultima analisi il tratto fondante di ogni concezione funzionalista, è for temente rappresentato in tutti i settori della linguistica: una buona dose di funzionalismo sotto varie specie permea in diversi modi una parte consi stente della linguistica teorica del nostro secolo. Occorre dire che la lin guistica in quanto tale, disciplina non riducibile (se non in alcune aree che si prestano ad essere analizzate come 'calcolo'; cfr. De Mauro 1982) ad una scienza esatta, si presta assai all'impiego di ottiche funzionaliste più o me no spinte. Tale propensione si palesa poi in maniera speciale nella lingui stica diacronica, dato che le forme di conoscenza storica necessarie per la comprensione del mutamento linguistico per loro natura non si possono configurare come risultato di leggi deduttive, ma esigono procedure in terpretative (insight: Lass 1980; che peraltro sostiene una concezione de cisamente antifunzionalista, 'autonomistica' , del mutamento linguistico), spiegazioni razionali che cercano di scoprire schemi coerenti in una co stellazione di fatti e di riportarli a principi generali plausibili Utkonen 19826), anche se certamente non predittivi. 47 Lightfoot adopera ovviamente le categorie normali nel generativismo dei secondi anni Settanta, che oggi nel quadro govemment and binding suonano un po' obsolete. 48 Ma v. Labov ( 1 968), che vede la spinta iniziale dei mutamenti fonetici nella rea zione di affermazione di identità di un gruppo sociale, che adotta un'innovazione al fine di garantire la propria distinzione da altri gruppi. 49 Tranne ovviamente nel caso di molti mutamenti lessicali, la cui spinta è natural mente di esclusivo carattere socio-culturale.
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E la SL? Abbiamo già osservato che anche la SL, in fondo come la lin guistica storica, si situa in una posizione intermedia tra discipline storico ermeneutiche e discipline empirico-analitiche, per usare stavolta una no ta distinzione di Habermas ( 1980: 3 1-86) ; con in più una rilevante dose di contenuti sociali che la accomuna alle scienze sociali in senso stretto. È quindi inevitabile, o meglio intrinseco alla natura della materia, che vi ab bia gran peso una prospettiva funzionalista. Un sociolinguista non può non essere funzionalista. Riconosciuto questo, va tuttavia detto che anche tra i sociolinguisti le assunzioni circa la portata dell'impostazione funzionale divergono note volmente. Di nuovo, possiamo individuare una gamma di atteggiamenti che vede a un estremo le posizioni massimaliste alla Hym es e all'altro estre mo le posizioni minimaliste alla Labov. Di quest'ultimo già si è detto; dal canto suo, Hymes è certamente il più deciso fautore di una prospettiva for temente funzionalista in SL (anzi, data la sua concezione - cfr. § 1 .3 -, in linguistica tout court50 ) . Chi scrive vorrebbe riaffermare una volta ancora l'utilità di evitare posizioni totalizzanti: il linguaggio è plurifattoriale e non univocamente determinato, certi aspetti ne sono presumibilmente spiega bili in termini funzionali, motivati o motivabili esternamente, certi aspet ti ne sono invece presumibilmente spiegabili in termini formali, autono mi, arbitrari; e questo vale per tutte le discipline che si occupano del lin guaggio, e quindi anche per la SL. Non v'è comunque dubbio che in SL la quantità e il peso dei fatti affrontabili solo in termini funzionali è enor memente maggiore che in altri settori delle scienze del linguaggio.
2.4. Una l ista d i assiomi e postu lati della socioli ngu istica Un contributo preliminare alla fondazione teorica della SL può util mente consistere nel cercare di stabilire una lista minima di affermazioni fondanti, una sorta di assiomi, postulati e relativi corollari, da porre alla .bas.e delle ricerche sociolinguistiche5 1 Proponiamo pertanto qui in forma apodittica un insieme di asserzioni che non richiedono dimostrazioni, su 50 Hymes ( 1 980: 65 ) vede - in una maniera non confermata, ci sembra, dai fatti -- ad dirittura «il passaggio da una focalizzazione sulla struttura ad una focalizzazione sulla funzione» come «uno spostamento di attenzione a lungo termine nella linguistica ame ricana» in atto. 5 1 Chiamare assiomi o postulati affermazioni del genere che proporremo è certa mente improprio dal punto di vista della teoria della scienza, ma si giustifica per il fatto che, in una disciplina piuttosto 'molle' come la SL, esse svolgono la funzione che appunto hanno gli assiomi nelle scienze 'dure'.
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cui tutti coloro che fanno SL (e più in generale tutti i linguisti) possono trovarsi d'accordo, e che ci paiono dotate di validità intrinseca a un livel lo basilare, tali quindi da essere delle buone candidate a fondare concet tualmente la SL e a porre dei confini al cui interno la nostra disciplina pos sa operare. Non si tratta owiamente di una lista chiusa: ma, semplice mente, d(esempi di cose che pare ragionevole assumere quando lavoria mo in SL, e che al tempo stesso qualificano il lavoro del sociolinguista. Ecco i nostri 'assiomi'52 : 1) il sistema e le strutture linguistiche non sono direttamente osserva '2.W. (e così dicasi del sistema e delle strutture sociali in cui la lingua si con testualizza), l'attività linguistica è direttamente osservabile (e così dicasi della situazione sociale di contestualizzazione): i dati della SL sono quin di sia e in parte oggettivi, empiricamente verificabili, sia e in parte sogget tivi, non sperimentabili concretamente. È comunque opportuno che la SL parta dai primi, secondo un approccio analitico (cfr. nota 23) ; 2) ogni individuo impara e mette in opera la lingua nelle imerazioni con gli altri individui della comunità di cui fa parte sfruttando un potenziale mentale ipdividuale, e quindi la lingua è proprietà sia individuale che col lettiva. Un corollario di ciò è che risulta necessario un approccio anche so éfJ� ·;i linguaggio, per capirlo nella sua totalità; 3) ogni lingua, al suo interno, è varia, conosce differenziazioni, è di versificata negli usi dei parlanti e si articola quindi in tante varietà di lin: guà (assioma della variabilità linguistica) ;_ g1,1_esto, entro i confini stabiliti d_aj:Suo sistema peculiare, dall'essere 'quella' lingua x, e non un'altra. Si noti che tale variabilità interna alle lingue si inserisce nella più ampia va riabilità delle diverse lingue rispetto ai parametri tipologici generali del linguaggio, che le definiscono come «lingue possibili»; e che peraltro non tutto può variare, tra gli elementi di un sistema linguistico: anzi, i limiti al la variabilità posti dai caratteri tipologici del singolo sistema sono da rite nere non amplissimi, anche se un catalogo degli elementi dei sistemi lin guistici a priori soggetti a variabilità non esiste (e forse è impossibile da approntare); 4) ogni parlante normale è capace di usare, e usa, più di una varietà di lingua. Detto in altre parole, nessun parlante reale normale parla allo stes so modo in tutte le situazioni; 5) ogni persqnii. pari� in un modo un po' diverso da tutte _le altre per sone; la SL non può naturalmente accettare il postulato chomskyano del parlante ideale che conosce perfettamente la propria lingua in una comu nità parlante omogenea; ma deve presupporre come 'parlante ideale' un ' 2 La formulazione degli assiomi 2, 4, 6, 7, 8 e 9 è ispirata a Hudson (1981).
Fondamenti di sociolinguistica
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parlante che conosce e padroneggia più o meno bene più varietà di lingua in una comunità parlante eterogenea; 6) le diverse varietà di lingua hanno differente status e differente pre stigio, non sono socialmente equipollenti53 ; 7) la quantità di conoscenze e capacità implicate dal padroneggiare e usare una lingua è grandissima, e presumibilmente non delimitabile (an che se questo è mascherato nel parlare quotidiano dalla natura inconscia e convenzionalizzata di molte conoscenze: cfr. Hudson 1981: 339). Corol lario di ciò è la necessità per la SL di porsi dei limiti, di individuare confi ni a cui arrestare l'analisi; i confini sono costituiti dalle conoscenze e ca pacità riguardanti l'uso sociale della lingua; 8) gli scopi dell'attività linguistica sono plurimi; la lingua è tipicamen te plurifunzionale, e le sue funzioni formano una lista aperta, a partire da ùn insieme centrale di funzioni fondamentali sino via via a funzioni meno importanti (assioma della plurifunzionalità costitutiva). Fra le funzioni fondamentali (ma cfr. § 2 .3) stanno: dare forma 'materiale' al pensiero, comunicare idee, accrescere le conoscenze, stabilire e mantenere relazio ni socialì, agir� sull'ambiente che ci circonda, ecc. (assioma della pluri funzionalità sociolinguistiq1)5 4 ; 9) non tutti i livelli di analisi del sistema linguistico sono suscettibili al lo stesso modo di essere toccati dall'influsso esterno, sociale, extralingui stico. Una possibile scala che vada dal livello meno e�posto all'extralin guistico a quello più esposto potrebbe essere: la morfoi�gia, seguita dalla sintassi, indi dalla fonologia, dal lessico e dalla semantica, e infine dalla pragmatica. Fra i livelli che costituiscono la 'grammatica', la fonologia sembra dunque la più esposta a recare marcatezza sociale. Romaine (1984a: 34) propone una scala analoga in termini diversi, e interessanti, vedendo come inversamente proporzionali da un lato il potere del par lante sul linguaggio e dall'altro le restrizioni che il sistema linguistico po ne al parlante e la relativa 'nomicità' (riducibilità a leggi). Il potere del par lante è massimo, per Romaine, nella pragmatica, e via via decres.cente nel la semantica, sintassi, fonologia e fonetica; all'inverso, in quest'ultime è 5 J L'assioma non va contro il principio della eguaglianza e pari validità strutturale delle diverse lingue e varietà di lingua, giacché rigu arda non i sistemi linguistici, ma il lo ro impiego da parte delle comunità parlanti. Sul problema relatività della struttura vs. relatività dell'uso v. Hymes (1966). 54 La trattazione delle funzioni della lingua ha una storia a sé nelle riflessioni sul lin gu aggio, a partire da Biihler attraverso Jakobson fino a Halliday. La tendenza ricorren te è a cercar di ricondurre l'infinita molteplicità degli usi finalizzati della lingua ad una tipologia costituita da un numero ridotto di grandi classi, o macrofunzioni (tre per Biih ler, sei per J akobson, di nuovo tre per Halliday: dr. Bell 1976: 82-8; Robinson 1978: 4795 ; Halliday 1987; una sintesi in Jachnow 1987).
2. Problemi e presupposti teorici della sociolinguistica
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massimo il potere del sistema linguistico e più forte la nomicità, che sono invece ridotte nella semantica e nella pragmatica55 ; 10) non tutte le unità di tutti i livelli di analisi sono suscettibili di va riare nella stessa misura: la variabilità potenziale è massima per il lessico, alta per la fonetica e la pragmatica, ridotta per la sintassi e la morfologia. Una scala più dettagliata dei livelli d'analisi secondo la loro maggiore/mi nore esposizione alla variazione è proposta, con molta cautela e con par ticolare riferimento alla situazione italiana (ma ci pare che possa utilmen te valere in generale) , da Mioni ( 1988: 297, nota 1 ) , secondo cui si avreb bero i seguenti rapporti: fonetica e fonologia > lessico > morfologia deri vazionale > sintassi > morfologia flessionale > ortografia. Mioni conside ra la fonetica/fonologia più variabile del lessico: la cosa non è direttamen te in contraddizione con la nostra gerarchia, che inverte il rapporto, se si tiene conto che in fondo si tratta di una diversa natura di variabilità: il les sico è massimamente variabile a livello delle unità dell'inventario e della loro scelta in situazione, mentre la fonetica è massimamente variabile a li vello delle realizzazioni delle singole unità distintiv� 6 ; 11) possono avere rilevanza/valore/significato sociale fatti ed aspetti di tutti i livelli di analisi della lingua, dall'organizzazione generale del di scorso (testualità) a tratti subsistemici (per es. , a livello subfonematico, va rianti" di realizzazione di uno stesso fonema) 57 ; 12) l'attività linguistica può costituire anche un atto di identità58 , me-:55 È evidente nella concezione di Romaine la rilevanza di una dialettica fra individuo e sistema, che presenta interessanti paralleli con la concezione di Terracini, se, fatte le debite distinzioni tra i due approcci, accostiamo l' «agents' power» di Romaine alla «li bertà linguistica» terraciniana (Terracini 1963). Un primo tentativo di bilancio del pen siero linguistico di Terracini, che non a caso è considerato il padre della SL in Italia Berruto (1977d); strano che in Soletti (1989) manchi un contributo su Terracini e la (na scente) SL; v. comunque Sobrero (19_89) e Grassi (1989) - si ha in Permisi (1982) e, con particolare attenzione a Terracini come sociolinguista ante litteram, in Segre (1982). 56 Senz'altro opportuna è l'introduzione della (orto)grafia, che è indubbiamente il li vello meno esposto alla variazione e più rigidamente codificato. Mioni accenna inoltre giustamente al fatto che la tolleranza alla variabilità nelle comunità parlanti, il compor tamento e l'atteggiamento normativo con le relative sanzioni (dr. § 3.2.6) possono non corrispondere a questa scala: per es. , in Italia c'è molta maggiore tolleranza per le de vianze a livello fonetico che non per quelle a livello grafico, mentre in Gran Bretagnll o Francia sembra piuttosto il contrario. 57 Combinando questo assioma col preced