FanoFellini. La città della Fortuna nel cinema del grande regista 8899913986, 9788899913984

“Sei di Fano. Scommetto che sei di Fano!”. Così Federico Fellini, con una battuta pronunciata da Marcello Mastroianni ne

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Italian Pages 320 [308] Year 2020

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FanoFellini. La città della Fortuna nel cinema del grande regista
 8899913986, 9788899913984

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Agnese Giacomoni

FanoFellini La città della Fortuna

nel cinema del grande regista Prefazione di

Gian Luca Farinelli

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r~o:r, a, C o 1

In 11lmUlrÙI di Albmo Bmzrdi e delnm immmso 11morrper FllnO.

Il '111Dl14oaruko, mi t/wi, non è mai mstiJo, ma non e? dJlbbio chur lo sia'f11D JOUllllo. l.L wrsioni tkg/i awmimrrui

lr modìfahìamo coruìnwzmrrur prr non annolam. La villl mi incuriosiscr 'f11Dllo piùchr i libri.

Non c?jinr. Non c?inizio. C'è solo 1111infinilll pa!Sione prr la villl.

Mora/do, io sono ~ «chi apmi SIii 'f11Dn4D. Fmmuc:o FELUNt

PREFAZIONE di GIAN LuCA FARJNBUJ

Ancora un libro su Fellini? Sl, per fortuna, ancora un libro sul grande riminese! L'anno passato ho avuto l'onore di consegnare, a Ber logna, il premio Il Cinema Rilrovatoa Vincenzo Mollica, giornalista, scrittore, grande amico di Federico. Nd discorso che segul la premiazione, Mollica citò le tre frasi di Fellini che, a suo avviso,sono essenziali per avvicinarsi e cercare di comprendere l'opera del grande riminese. Èla curiosità che mi &svegliare la mattina.

Nulla si sa, nano si immagina. L'unloovero ralista. è il visionario.

Sono tre frasi apparentemente semplici ma che, in realtà, comportano l'attraversamento di tre stadi di conoscenza. Agnese Giacomoni, nell'intraprendere uno studio analitico delle relazioni tra Fellini e Fano ha esattamente attraversato questi tre stadi. È stata mossa da una grande curiosità, ha intravisto un continente di relazioni, partendo da una precisa analisi delle fonti felliniane, ha costruito un'ipotesi aflàscinante.

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Fellini è da sempre considerato il grande visionario, capace di inventare mondi interamente fantastici. Nulla di più errato. La venigine inventiva di Fellini si è sempre nutrita della realtà del nostro Paese, ne è imbevuta. Axzardo l'ipotesi che, tra qualche secolo, se si vorrà capire cos'era l'Italia tra il fascismo e Berlusconi, i film di Fellini saranno più utili dei cinegiornali Luce e delle Teche Rai. Perché ogni fotogramma di un film di Fellini è la trasfigurazione di molte realtà, realmente esistenti, impastate e distillate in un procedimento magico, alchemico, da Federico. Oggi molto sappiamo del metodo creativo di Fellini e possiamo citarne infiniti casi, basti qui ricordarne una delle ultime fasi di questo processo: la creazione dell'impasto sonoro. Non usava la presa diretta, i suoni erano ricostruiti a posteriori, sulla copia montata. Anche le voci venivano registrate dopo, con un vero e proprio cast vocale, nel quale, quasi mai a una faccia corrispondeva la sua voce. Questo pr~odi trasformazione arrivavaa cambiare la voce anche agli attori. Si sa che Fellini avrebbe voluto doppiare anche due delle voci più famose e riconoscibili del cinema italiano, quelledelle star del suo ultimo film, Benigni e Villaggio! Fellini si nutriva della realtà, era un artista della vita, ma la sua opera non ne è una "semplice" fotografia, non poteva certamente bastargli una riproduzione di quello che aveva visto. Il suo pr~o creativo lo portava a trasfigurare la realtà, sovrapponendo dettagli, ingigantendo, rimpicciolendone altri, combinando immagini e personaggi che non avevano alcuna relazione. Ma lo sguardo di partema era quello dell'antropologo che analizza la realtà, ne tallona i cambiamenti e sa raccontarli.

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Lo studio di Agnese Giacomoni è importante perché mostra un metodo che potrebbe essere ripreso da molte città italiane. Ricostruire come Fellini ha nutrito il suo immaginario, come ha raccontato l'Italia e le sue infinite trasformazioni, tra gli anni Venti e i primi Novanta, sempre a partire da incontri, scopene, luoghi, storie che realmente sono esistite o che ancora esistono. Senza nessuna cenezza, perché Federico non ha lasciato la formula dei suoi processi alchemici e dunque possiamo semplicemente azzardare delle ipotesi, certamente affascinanti, che illuminano per un attimo, per poi perderci, come Marcello, nel labirinto delle sue invenzioni. Una cenezza però l'abbiamo, che questo libro è anche un atto d'amore per Fano, per le sue storie smarrite, per i suoi personaggi avvolti nel ricordo che sfuma nella leggenda. In questo sguardo sentimentale verso la Provincia dell'Italia centrale ritroviamo un'altra, profonda, struggente suggestione felliniana.

INTRODUZIONE

La prO'COZadella dttàdi Fano nell'opera.cinematografica di Federico Fellini è ricorrente nella memoria e nell'immaginazionedd grande regista riminese, le rui tracx:e sono abbondantemente~natesiauamentedal 1952, l'anno di lavorazione de/ vite/ioni, fino al 1973, quando usd nel.le sale italianeAmamml. Questo, dunque, è stato l'arco di tempo che ho preso in esame, oltte un vent.ennio, in rui Fano gioca un ruolo rilevante nella costruzione di una po1 tente "mitobiografìa" e finisce per incarnare, ai suoi occhi, un magico "doppio" rispetto alla sua città natale disauna dalla guena. T uaavia. anche dopo l'uscitadi Amamml, che rappresenta l'addio definitivo ai ricordi dell'adolesrenza, il regista continuò a parlaredi Fanoe delle sue fàmasie e memorie legate alla città con i suoi collaboratori, ma soprattutto con i giornalisti che lo intervistarono. Il lavoro di ricerca sulle fonti orali, scritte, fotografiche, monumentali, architettoniche e audio-visive, ha permesso di gettar luce sulle memorie infantili e adolescenziali di Federico, sui suoi rapporti diretti e indiretti l Secondo la definizione che risale allo psicanalis12, amico e •padre" di Fellini, Emst Bemlwd, per il quale oooorre rioonosoere nella propria storia degli elementi che la trascendono (racwnti &mili2ri, sociali, culrur:w, archetipi). Si rimanda a E. Bemlwd, Mitobiografo,. Adelphi, Milano 1969.

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con Fano, su alcune esperien1.e biografiche, brevi ma fulminanti, vissute nella città adriatica. E soprattutto sulle persistenti tracce nelle sue opere cinematografiche di immagini legate a Fano, le quali, essendosi impresse in maniera indelebile nella memoria e nell'immaginario del regista, si sono nel tempo stratificate e mescolate ai ricordi riminesi e romani, operando a lungo nella fantasia di Fellini e influendo non poco nella costruzione filmica di ambienti, personaggi e aonosfere. Le visite presso il Collegio S. Arcangelo gestito dai padri Carissimi, l'incontro con la prostituta Saraghina e le avventure circensi immaginate a Fano, la conoscenza del Carnevale, la realtà vitellonesca e alcuni personaggi bizzarri della città, i racconti fanesi del padre Urbano, che veniva spesso a Fano per lavoro e riportava simpatiche storie in famiglia. hanno lasciato importanti e preziose tracce, a partire dal film I vite/Joni (1953), il cui primo soggetto prevedeva addirittura una ambientazione fanese. Ma evidenti riferimenti a esperieme fanesi compaiono ne 1A dolcevita (1960), in 8 112 (1963) e in ÀmllmJrd (1973). Inoltre Fellini scrisse con Tullio Pinelli e Pier Paolo Pasolini il trattamento di un film mai realizzato, che doveva intitolarsi V-uz.ggio con Anita ( 1957) e che avrebbe dovuto essere in parte ambientato proprio a Fano. Un lavoro, che si è rivelato, sin da subito, estremamente faticoso per la difficoltà nel reperire le fonti e per la tendenza del regista, sovente, a non operare distinzione tra realtà e immaginazione, a depistare chiunque sia intenzionato a seguirne le tracce e a ricostruirne il percorso («deve essere un complesso un po' criminale che mi impedisce di lasciare prove del mio pa.wiggin,. 2 ), ma che, tuttavia, è risultato particolarmente avvincente, 2 Da un'intervista., datata 15 3Pto 1968, svoltasi durante una puntata del programma televisivo "Contto&tica.• dedica.ca ai diari e ai dwisti e riportata ne u /11VOk di Ftliini.

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di grande fascino e utile per approfondire alcuni aspetti meno noti dell'ane felliniana e per risalire a quelle suggestioni carnevalesche, circensi, bizzarreed erotichecosl congeniali a Fellini e che il regista inestricabilmente associava alla città di Fano. Le aanosfere collegiali, con la loro otrusa e rigida educazione e ritualità, si inttecciano e si fondono con alcune esperienze di "saaa"' trasgressione, di sttavagante e vitale esuberanza dionisiaco-carnascialesca, di cui la città della Forruna, particolarmente affine ad alcune corde sensibili del regista. si rende teatto. Forse era lo stesso nome latino, l'antica Fanum Fortunae, ad aver suggestionato il regista. anche in virtù di quella doppia "F" come lettera iniziale. L'indagine, complessa e articolata - che è stata condotta principalmente sul piano storico, ma che ha necessariamente coinvolto anche il piano letterario, simbolico-allegorico e talora psicoanalitico - ha contribuito a comprendere meglio certi meccanismi della poetica filmica di Fellini, consentendo di sviluppare e approfondire, in particolare, il rappono ttaimmaginazione e memoria. tta condizionamenti religiosi e sessualità, tta provincia e mettopoli, tta forruna e insuOCC5SO. E di delineare un rittano del piccolo borgo marinaro che, per la sua conformazione wbanistica e monumentale, il suo paesaggio, la sua storia, la sua gente, le sue ttadizioni si presta talora a fusi inesorabilmente specchio, eco e proiezione della città natale di Federico, emblema, esattamente come Rimini, di quella provincia e di quella terra «marchignola», per dirla con lo scrittore fanese Fabio Tombari, che il regista ha conoociuto molto bene, con i suoi personaggi «inventati o conoociuti•, che in ogni caso egli ha «conosciuti e inventati molto bene- e che «diventano improvvisamente non più tuoi ma anche degli altri..3• 3Dall'intervista c:ond0t12 a Roma dal giornalista Albeno Michelini il 9aprile 1975, dopo la notizia dell'Oscar ricevuto per Aml1mm/.

NorA ol!U.'Atn1UCE

L'utilizzo del corsivo all'interno delle citazioni è a cura dell'aubilltSllafo chesmte che gli è congtnill/e, smte che qutlJ>lltSllafo prrrostruiltl m1 qut/lt,, m1 il SIID ponq. Jnsqmma, ti azpi111 certe voùedi wdnr UNZ dtlà. tdi dirr. «Ah, tao,farse IJIIII io sono= stesso•. F. FELUNI, Lr flltll/Jle di Ftliìni, p. 22

In una lettera espressa recapitata a Tonino Guerra in qud cli Santarcangelo il giorno 14 ottobre 1952, Federico Fellini scrive al poeta, suo amico e conterraneo, parole colme d'affetto e cli stima. in risposta a una missiva con cui Guerra gli aveva fatto avere due sue raccolte poetiche in clialetto romagnolo 1• Fellini vive a Roma già da tredici anni ed è avviato al successo nel mondo del cinema. che esploderà cli Il a poco proprio con I vitelloni, mentre Tonino Guerra abita ancora in provincia e si trasferirà nella capitale l'anno seguente, nd 1953, per iniziare l'avventura che lo avrebbe portato alla fama internazionale. l Le raca1l1e poetichedi2lea:ali composte da Toruno Guerra prima del 1952 sono/ SC11rah«c (Gli scarabocchi), scritta ua il 1944 e il 1945 nel campo di ooncentramento per «imbrogliare la dura vit1,, e poi pubblicata nel 1946,e Las-duptlda (La sch.ioppettm),edita nel 1950.

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Il contenuto della lettera si può suddividere in tre pani: nella prima Federico si concentra sulle due opere dialettali di Tonino appena ricevute, per le quali esprime all'amioo tutto il suo apprezzamento, e ci tiene a voler ribadire con forza il profondo legame d'amicizia che li lega; nella seconda discute alcune questioni legate al film I vitelloni, alla cui sceneggiatura il regista sta lavorando assieme a Pinelli e Flaiano e alla quale, evidentemente, sta collaborando in questo frangente anche Tonino; nella terza, infine, Federico rivolge all'amioo i sui saluti, ma, con una chiusura ad anello, sembra voler rimarcare alcuni pensieri espressi nella prima parte.

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Tonino carissimo prima di rutto lasàati abbracciare, e vorrei che ru sentissi la commossa sincerità del mio impulso, che ru mi potessi vedere dritto dentto :agli ocxh;, le rue poesie sono bellissime! Mi hanno &no piangere, ridere. immalinconito, esaltato, aa:arezzato turbato ... Tutto. carissimo amico e vorrei davvero essere un gran personaggio, un'autorità in &no di atte, solenne e ind.iscw:sa perché il mio giudizio aoqu~ di forza e di luce. Ma foise non fa proprio niente e ru gradi.sci di più queste sgangherate imprecise parole di elogio per il ruo mondo perché senti chevengono da una natura semplice come la rua. capace di ecciwsi come un bambino davanti ad un giocattolo cosl meraviglioso. Tonino qualunque cosa possa accadere noi siamo due amici, ma proprio amici6tti 6ttie questoèquel che più conta. Se la cosa ti può fu piacere aggiwigerò che Flaiano il quale si ttovava a casa mia quando mi è stata recapitata la rua busta, ha sfogliato da quel curios:aa:io che è i due libri, e ne ha riportato la stessa esaltata. commossa impressione. Lui le ha lette in italiano e giurache sono più belle in italiano, e che ru non sei un poeta dialemle, che il ruo mondo non è dialem.le. ma univeisale, pregno di un autentico dolore ... Dice che la rua poesia, è povera. genuina, e che non devi saivere in dialetto. Discusoone molro lune,a tra mee lui, di cui non tiriporto nemmeno b condimone perché og:nuno è rimasto della sua idea. Ne riparleffle a Roma o a Rimini. Bene. Tonino, e adesso ascolta un po' la faccenda del film: prima di rutto, che diavolo signilica lo sganciamento che avverti? fn ho scritto più sopra che siamo amici., dio mio sganciamento... (da che cosa?)) Ho dovuto spostarmi a Pisa per ragioni che non sono dipese da me, e sinceramente da un punto di visti pbstico la cosa non fa diffi!renu, sarei stato un capriccioso signorino ad impuntarmi su Fano a ogni costo. Ceno, era meglio Fano, fu rutto a Fano

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o a Rimini, per motivi che puoi ben capire: sono le mie tene, la genie che conosco, eppoi si sarebbe immediatamente aeato un dima di distacco da tutto il resto delle mie esperienzee avrei vissuto più liberamente nel ricordo e tutto ciò con vantaggio del film. Ma cosa woi &cci? li cinema ha esigenze di ogni genere e spesso quando il compromesso non è disastroso, bisogna abbozzare. E oosl ho &rto io. Capito? Per il copione, sto lavorando a tutto spiano perché il tempo è poco. Le rose che mi hai mandato sono tutte ottime, però penso che dovresti mandarmi alue rose, queUo che woi, battute. situazioni, immagini... (bellissima quella dei pretini suUaspi3ggia. Ecco rose oosl soprattutto!}. Tu butta giù queUo che ti passa per la testa e spedisci. Ora vedrò di parwe al produttore e di &re in modo che tu abbia un pochino di polenta gialla. Va bene? Tonino caro in atll!Sa di vederci, saivimi spesso. 1ì abbraa:iocaro Tonino. con qudla belb. anima pulita che hai, con la tua malinconiadi autentico poeta, con l'affetto la stima l'amiciziache provo per te. Salutami naturalmente la mog,lietla cosl disaeta e gentile tuo Federico.

cli Mondo- pubblicherà presto la reoensione. Idem Cecchi.

Nella lettera che era forse stata spedita a Federico assieme ai libri - e andata ovviamente perduta - o nell'incontro avuto di persona col regista a Santarcangelo, Tonino doveva aver rivolto all'amico un sottile rimprovero: egli aveva avvertito uno "sganciamento", glielo aveva espresso, cosa che doveva aver impensierito e turbato non poco Federico («che diavolo significa lo sganciamento che avverti?»), a tal punto da sentire l'urgenza di una solerte giustificazione. Di che "sganciamento" si trattava? Da che cosa, secondo Tonino, Fede-

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rico si sarebbe voluto "sganciare", distaccare, liberare? La risposta è verosimihnente contenuta nelle parole che Federico saive nella seconda parte della lettera, in cui si legge: «Ho dovuto spostarmi a Pisa per ragioni che non sono dipese da me [ .•.] sarei stato un capriccioso signorino ad impuntarmi su Fano a ogni costo». Dunque, Tonino gli rimproverava di aver scelto, per girare / vitelloni, una location diversa da Fano, la cittadina pensata in un primo momento come ideale per il set, e comunque lontana da quell'area romagnola o meglio "marchignola", per dirla con Fabio Tombari, cosl cara al poeta di Santarcangelo. Venuto a sapere della decisione di girare il film sulla costa tirrena, forse Tonino aveva ravvisato in questa scelta un tentativo da parte dell'amico regista di distaccarsi dalla propria terra e da quelle comuni origini e tradizioni, a cui almeno in una prima fase Federico aveva ritenuto di dover rimanere "agganciato", chiedendo proprio all'amico e conterraneo Tonino di fornire un contributo di idee per la sceneggiatura. Tonino forse riteneva che sarebbe stato sicuramente più fucile ambientare quel film, intriso di ricordi, nei luoghi che li avevano ospitati. Ec.co, dunque, la risposta di Federico, che mira a giustificare quella scelta come indipendente dalla sua volontà e dovuta a esigenze superiori del cinema, a cui, secondo il regista, è nect:ssario piegarsi, qualora vengano garantiti risultati artistici accettabili. Naturahnente gli argomenti, con cui Federico giustifica all'amico quella decisione, che appare ormai irrevocabile, sono molteplici e ben congegnati: 1. lo spostamento della troupe a Pisa non è dipeso da lui; 2. da un punto di vista plastico il luogo scelto non fa differenza; 3. egli sarebbe stato un «capriccioso signorino» a impuntarsi su Fano a ogni costo;

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4. se fosse dipeso da lui, il regista avrebbe preferito girare a Fano o a Rimini, le terre da lui conosciute; 5. girando il film tra la sua gente si sarebbe creato un "distacco" - questo il vero sganciamenw desiderato da tutte le altre sue esperien1.e e una libertà maggiore nel mettere a punto i suoi ricordi, condizioni vantaggiose per le esigen1.e artistiche; 6. il cinema, tuttavia, ha le sue esigen1.e - e le sue leggi, parrebbe sottintendere - che vanno accettate (.Ma cosa vuoi farci?»), purché salvaguardino, per l'artista una certa «decenza,, («spesso quando il compromesso non èdisastroso, bisogna abbozzare»).

Da questa articolata e serrata argomentazione, contenuta nella seconda parte della lettera, con rui Fellini si mostraansioso di giustificare la sua scelta di abbandonare la costa adriatica come scenario per I vitelloni, si desume che il rimprovero, l'appunto rivoltogli da Tonino, doveva averlo scosso nel profondo, toccando corde sensibili e ferite ancora aperte. Diversi anni dopo, nel 1958, in occasione dell'assegnazione aFellini del Premio Romagnoli Illustri, questo timore di essere considerato un "traditore" della propria gente appare ancora molto vivo: in una intervista rilasciata per la televisione il regista interpretò quel "simpatico" onore a lui concesso «come il riconoscimento da parte della propria terra di non essere fedifraghi, di non essere troppo mutati rispetto a lei. Ora, questa qui è una lode che io non so se merito sul serio, ma che comunque mi riempie di gioia e della quale non sarò mai abbastan7a grato a chi me l'ha conoessl»2• 2 F. Fellini, FtlliniaNL Qutl trmo ptr &1M, capitolo 2 (9), lwSat Cinenu, 1968, in (ultima consultazione I luglio 2020).

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Dunque Fellini deve aver letto nella parola "sganciamento" util.iz:z.ata da Tonino proprio questa sottile insinuazione, a quella parola ha fatto eco in lui il timore del tradimento delle proprie origini. Tutta la lettera, del resto, è abilmente costtuita attorno al tentativo di dimostrare la sua lealtà, più evidente nella seconda parte, ma presente, in maniera larvata, se non dissimulata, anche nella prima e nella tena. Qui Fellini «sparge il suo miele,,, il suo fascinoso eloquio, la sua seducente retorica, secondo l'efficace immagine utilizzata dal sesto vitellone, Moraldo Ross?. La prima parte della lettera - che a una superficiale lettura sembra ruotare attorno all'apprezzamento del regista per le due raccolte poetiche dialettali dell'amico e attorno alla dichiarazione d'amicizia verso il poeta stesso - si sviluppa, in realtà, secondo due interessanti stratagemmi retorici: Fellini costtuisce due simpatiche triangolazioni, dove, in entrambi i casi, viene isolato un elemento della tema, la cui "esclusione" è funzionale a cementare il rappono tra gli altri due elementi: 1. Fellini-gran personaggio-autorità in campo artistico (= critico letterario). 2. Fellini-natura semplice-dal!'elogio sgangherato e impreciso-mondo come giocattolo meraviglioso (= fanciullino). 3. T onino-narura semplice-gradisce chi elogia il suo mondo-mondo come giocattolo meraviglioso (= fanciullino).

3 M. Rossi, T. Sangwneti, &l/ini6Rm1i, ii saio 11ù~llo11L, Oneteca del Comune di Bologna, Le Mani, Bologna 2001, p. 17.

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1. Flaiano-apprezza di più le poesie in italiano (• critico letterario)'. 2. Fellini-apprezza di più le poesie in dialetto (=semplicità). 3. Tonino-scrive principalmente in dialetto (• semplicità).

Questi due triangoli, con un elemento diverso ad excludmdum (il Fellini «gran personaggio» e il Flaiano «critico letterario») mirano dunque a mettere in rilievo e a rinsaldare il rappono di empatia e di sttetta vicinan7.3,, nella sensibilità e nella visione del mondo, a-a Federico e Tonino. Entrambi hanno una natura semplice, uno spirito "fànciullino", la stessa tendenza a commuoversi davanti alle piccole cose di quel loro mondo, la capacità davanti a esso «di ~tarsi come un bambino davanti ad un giocattolo cosl meraviglioso»5• Essi, proprio grazie a quel "fànciullino" che li anima, prediligono l'espressione più semplice e genuina, quella dialettale. Quello che li accomuna è un vero e proprio spirito "pascoliano" e 4 In seguito Fellini oontinuerà a manife:staR, nel corso delle sue interviste, una riluttanza profonda vaw la critica letteraria e il suo eoc:essivo intellettualismo, oome si evince, ad esempio, da quanto egli dichiara a C. Chandler, lo, Ftdmt» Ftliini, Mondadori, Milano 1995, p.274s. («cisono duetipidi pe,wnecoinvoltenel cinema: chi&. i film e chi li distrugge., «se sono molto sfonunato, l'autore diventerà un docente di cinema in un'universili o, peggio che mai, un critico dnematogralioo-) o a de VìWlonga 0-L de Y-alallonga. Ho JOgnlllO Anita Ekhng. lntnvista con Ftdmt» Ftliini, Edizioni Medusa. Milano 2014, p. 159 ss.). In 8 112 il regista metterà addirittura in soena l*impi=gìone• del critioo Dawnier. 5 La stessa immagine del «giocattolo meraviglioso,, viene utilizzata da Fellini in un'intervista radiofonica del IO febbraio 1952 al microfono di Lello Bersani per la rubrica di cinema •Qak• («io considero il cinematografo un giocattolo meraviglioso,,).

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dunque una appartenenza profonda nella poetica a quella terra di Romagna, di rui Pascoli era stato il poeta più illustrcf. Il sodalizio umano e artistico tra Federico e T onino - che nessuna vicissitudine, a detta del regista, poaà mai interrompere - viene ribadito proprio in virtù di questo comune legame alla cultura poetica espressa dalla terra romagnola. Con un'abile sottigliexz.a linguistica, Federico utilizza, per definire la profonda amicizia che lo lega a Tonino, proprio uno stilema poetico pascoliano, che esprime una regressione popolareggiante-infantile e che rimanda al lessico proprio del "fanàullino". Infatti, dicendo «noi siamo due amià, ma proprio amià fitti fitti•, egli utilizza il superlativo assoluto dell'aggettivo "ficco" raddoppiando in anafora (gm,inatio} quello di grado positivo (epanalessi superlativa). L'effetto della geminazione di aggettivi connessi alla percezione sensibile - visivo-aomatica o tattile-uditiva-, molto frequente in Pascoli7 («bianca bianca-, «nero nero•, «lento lento•, etc.}, è quello di imitare il linguaggio dei bambini, tipico delle filastrocche, delle ninna-nanne e delle canzonàne, e di suggerire, appunto, una regressione a una fuse pre-razionale. In questo caso l'espressione «fitti fitti• accostata alla parola«amiàlt contiene anche un vago effettosinestetico e risulta attestata una volta proprio in Pasooli 8• 6 Nella prima sceneggiatura di Ammrord. quando l'Avvocato esalta egli alti ingegni die hanno anwo questa tellb menz.iona Dante. Onegas e D'Annwwo, mentre nella resa cinemarogralica nellasua banuta a Onegasviene sostituito proprio Giovanni Pasooli («Dal divino Dante a Pasooli e D'Annwwosono numerosi gli alti~). 7 Sulla ripetizione lessicale in Pasooli e in pan:icola.resui nddoppiamenti superlativi si vedab tesi di dottorato di M. V-dia. uz ripmzioN lmimk in D'Annunzio, in P11Wli t NI/Jz poaia Ìlllliana dtlpri1110 Mvtrmto, Université de l.ausanne, l.ausanne, 2019, p. 157 ss., in (ultimaconsultazione 25 maggio 2020), 8 Nella lirica Passni II Strll, contenuta ne I Ourti di OzstLlv«thiD

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FilMFdlùu

Anche il riferimento alla disa.issione avuta con Flaiano circa la necessità o meno di pubblicare da parte di Guerra le proprie liriche in italiano, discussione che aveva wciato Fellini saldo nella sua posizione filo-dialettale, lontana da quella italianistica di Fbiano, doveva far scarurire l'affinità elettiva con l'amico romagnolo. Anche Federico, come Tonino, predilige l'espressione popolare e semplice del dialetto, capace di veicolare con più forza le immagini del mondo contadino, a cui egli si mostra affe:lionato. Dunque, anche questo escamotage doveva servire a "riagganciare" l'amico che aveva paventato quell'inacoettabile sganciamento e persino a ristabilire il loro sodalizio minacciato. Al fine di rinsaldare, agli occhi di Tonino, questo legame con la sua tena d'origine e con la culturae le tradizioni contadine da essa espresse, Federico si serve di un'altra astuta ttovata linguistica. Prima di salutare, Fellini lo esorta a continuare la collaborazione per la sceneggiatura e a inviagli altte idee e suggerimenti utili al film, lui d'altra parte provvederà a parlare col produttore perché Tonino possa avere «un pochino di polenta gialla.: per indicare il compenso dovuto al poeta in vinù del suo contributo alla sceneggiatura. Fellini inttoduce una metafora significativa - che rievoca un cibo povero e umile della tradizione contadina -, un'immagine, è evidente, finalizzata a esprimere empatia verso l'immaginario poetico e valoriale dell'interlocutore. Merita attenzione, in quanto fa da contrappunto, un'altra metafora ben congegnata e contenuta anch'essa nella seconda pane, ovvero nella se:lione argomentativa della lettera, che rivela con quale straordinaria accuratezza retorica Fellini abbia di Giovanni Pascoli, oompare lo stesso superbtivo •in&ntiJe• in riferimento al piocoli dei passeri che st111no serrati nel nido (vv. 76-80 «Va l'uomo, ed ora bada al sussurro/ che fin ira loro fievole i mondi,/ sufi11i fi11i, piocoli, in paoe,/ nell'infinitaserenilà,,).

I vitdloni a F411D: """ l«lltion pnjm,I

costtuito questo testo: «sarei stato un caprit:cwso signorino ad impuntanni su Fano ad ogni costo». Se la polenta richiamava l'umile mondo contadino, con i suoi valori di semplicità e povertà. introducendo l'immaginedel capriccioso signorino, il regista intendeva prendere le distanze da un atteggiamento viziato e immaruro, che poco aveva a che fare con lo spirito del fanciullino abbracciato nella prima parte. Impuntarsi su Fano a rutti i costi per il suo set avrebbe significato la pretesa, rutta adolescenziale e un po' vitellonesca. che la realtà si piegasse ai suoi desitierata e non il contrario. Volere a rutti i costi girare il film nella cittlldina adriatica avrebbe rappresentato un capriccio da giovin signorr di pariniana memoria. Il regista avrebbe assunto quellaspocchiosità un po' aristocratica, quella puzzasotto il naso di chi nuae pretese dagli altri e si fa servire. Del resto il termine "signorino" viene utilizzato da Fellini proprio per caratterizzare ne / vitelloni il personaggio di Moraldo, il più giovane e appunto «il più signorino dei cinque vitelloni»' e compare persino in Amarr:ord, nelle parole pronunciate dalla domestica Gina e riferite allo zio Lallo, il vitellone per antonomasia, che fa il giocoliere a tavola («Che bravo, signorino!»). Nella trama del film, a cui Fellini sta lavorando, sarà proprio Moraldo, il più signorino e giovane del gruppo, a rinunciare eroicamente - non è un caso che il più coraggioso sia anche il più piccolo dei cinque10 -alla condizione di vitellone e a partire dalla sonnecchiante provincia per avventwarsi in un'altra città.Tra le righe, Fellini sta dicendo all'am.ico Guerra che lui, come Moraldo nel film, non intende fossilizzarsi in provincia, ma vuole aprire i suoi orizzonti.

9 Rossi, Sa.nguineti, Ft/Jini6-Rmsi, ilsnto 11ùtllo11lo in varie piazze, fra le quali Viterbo e Firenze. Per questo motivo il film oomincia nel fiorent.ino Teatro Goldoni, da tempo chiuso per inaeibilità e invaso dai topi, dove il veglione viene allestito con materiali prelev21idai depositi del carnevale di Viareggio. Un po' per difficoltà logistiche e molto per mancanza 22 lbidnn, p. 38. 23 lbidnn, p. 40.

F""'1FdliN

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di contanti, la lavorazione procede a sin&hiozzo: immeJSO in undima di catastrofe, Federico si ritrova benissimo, sono proprio le condizioni di lavoro che cercherà di creare ogni voltl che gli sarà possibile".

Naturalmente dica-o ai vari spostamenti della troupe. come sottolinea Moraldo Rossi, non si nascondevano solo motivi di produzione e logistici, ma anche esigeni.e artistiche. Queste ragioni legate all'arte felliniana sono state in parte evidenziate a José-Luis de Vilallonga: Per quanto concerne le sequenze all'aperto, quella fu runa un'ahr.utoria. Volevo ricreare •a memoria" la Rimini della mia inlànzia. Per &rio, scelsi due cini: Ostia, a motivo della spiaggia del Kun:aal, e Viterbo, di aai usai la sta:zione, le strade e le piazze. li risulwo di questo amalgama mi lasciò assai perplesso. Non era ceno Rimini, eppure avrebbe porutoesserlo benissimo. Ma ecco: è che al cinema, quando si tratta di oolpire l'immagill2Zione, le città - o le cose, o le pe1SOne - devono acconrenwsi di mnr. o piuttosto costringersi a snnbrarr? Nel nomo mestiere, la domanda si pone spesso, angosciante. La risposta esana, io non l'ho ancora trovala. D'altronde non sonoche gli ingenui a daie risposte . . cosl astrattezs. esane a quest,on,

Se nella scelta di Ostia26 e Viterbo l'intento di Fellini era quello di ricreare "a memoria,. la Rimini dell'infanzia, come essa appariva ai suoi occhi prima delle deva24 T. Kezich, Ftdnico Ftllini, la t1ùa t i film, Feluinelli, Milano 2007, p. 132 s. Kezich sembra attribuire la causa del trasferimento a Firenze soltanto alla tournée di Sordi, dato che non fa alaan riferimento alla vicenda degli imprenditori finanziatori.

25 de V-Jallonga, Ho SQfM1Q Anilll Elbn-K, /nltrl/Ù/11 con Ftdnico Ftllini, cit., p. 40 s. 26Su Ostia come Rimini inventltlcfr. p. 246 n. 29.

I vitdloni Il FIIIIO: 111111 /«t11io11 pafm,,

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stazioni portate dalla guerra, dobbiamo supporre che lo stesso obiettivo fosse sotteso alla iniziale scelta di girare a Fano, una cittadina specuJare alla Rimiru pre-bellica e naturalmente dotata di un'ambientazione scenografica e teatrale tale da prestarsi a divenire proiezione della città natale del regista27 • Alami f.mesi hanno conservato la memoria di una richiesta che Fellini avrebbe avanzato al comune di Fano per poter usufruire delTeatto della Fonunacome set per la scena del veglione di Carnevale, anche se una recente ricerca effettuata presso l'archivio comunale non ha pnr dotto frutti. Ma, a tal proposito, una interessante testimonianza è contenuta in un volumetto dal titolo Pmonaggi sparsi e un po'di Fll110, scritto nel 2001 dal politico e saggista f.mese Antonio Glauco Casanova e dedicato ai rapporti con la città di Fano di alrune ili usai personalità. Casanova riserva un capitolo proprio a Federico Felliru, con rui egli ebbe il piacere di conversare nel 1973, subito dopo l'uscita di Amarcord, durante un ricevimento nella villa di due celebri cantanti lirici a Fregene. Il politico fanese, allora direttore dell'Uruone italiana per il progresso dellarultura (Uipc), capitò nello stesso tavolo di Federico Felliru e ne nacque una conversazione su rui Casanova riporta delle memorie e suggestioni: Allo12 feci io alcune domande al grande ttgis12, il quale, prima di rispondenni, mi guardò con curiosilà, e poi fu lui a chiedermi: «Ma lei di dov'è? Dalla parlatasi direbbe...•. «SI - dissi - sono nato dalle sue pani, a Fano, che lei conosce e che ha citato in qu.aldte suo 61m; Fano rivi.mua con evidenza ne I viulloni e un po' anche in Anuzrr11rd. Si ricorda, quando usciva dal collegio Sant'Arcangelo, dai •ea. rissimi", quel negozio di giocattoli quasi di fronte? 27 Sulle analogie t12 Fano e Rimini dr. pp. 62 ss. e 245 s.

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FillloFdJi,.; Era di mio zio Alceo,,. Lo vidi dapprima incuriosito e poi, via via che procedevo nd mio infervorato disoorso •&nese•, sempre meno sereno fino a scorgere un'ombradi contrarietà. Ritomòserenoe cordiale al momento dei saluti. Mi scusai di avergli riO mono di mio padre. Poi, in sogno, avevo visto me stesso, molto più avanti negli anni, gi2cere al posto di mio padre. li personaggio di Anita ama il cibo, ama rotolarsi nuda nell'erba. mostrare le proprie emozioni. È tutto ciò che un uomo vuole ••• e di cui ha paura. Al termine del viaggio la relazione di Guido con Anita finisce. A un ceno punto quel soggetto smise di ronzarmiin testa. Ne avevo abbastanza. Allora lo vendetti per un film che venne interpret2Io da Goldie Hawn1•

Si legge sempre in Chandler: Protagonista di Y-,agrio con Anita doveva essere Sophia l.oren, pen:hé proprio pensando a lei Fellini aveva saitto il a,pione. Doveva essere girato dopo u 111111i di Ca/Jirill. Fellini lasciò cadere il Pl'O&fflO a causa dell'indisponibilità della Loren a lavorare in Italia. il che è vero, ma i motivi reali erano altri. Giulietta era convinta che l'avventura amorosa del prol2g0nistt si fondasse su una rea!nte infedeltà di Federico. Era convinta che "Anita" potesse essere chiunque ttanne Anita Ekba-g o Sophia l.oren. Lui negò tutto ma non cercò un'altra amice pen:hé, come mi disse: «C'è una sola Sophia e poi Giulietta aveva ragione». Nella storia il peaonaggio della moglie è compiacente, nella realtà assolutamente no•.

8 Chancller,lo, Fedm&oFellini,cit., p. 163 s. 9 Jbidnn, p. 340.

Vlogglo con Anita: /,s rinmo-aando alcune idee per 8 1/2, sulle quali intende mantenere il massimo riserbo, egli rilasciò al giornalista Nerio Minuzzo una dichiarazione utile a confondere le acque e a depistare la stampa, che verrà riportata nel corso di una lunga intervista pubblicata su «L'Europeo»11 il 7 gennaio 1962: «Ades.w vorrei raccontare la storia di un provinciale che dalla grande città dove s'è inurbato fa ritorno 6:a i suoi: le sue delusioni, i falsi miti, la malinconia». Anche in questo caso è chiaro il richiamo fuorviante ai temi di Viaggio con Anita. Fellini si servirà dello "schermo" fornito dal suo film accantonato fino alle soglie del 1962, a pochi mesi dall'inizio delle riprese di 8 112. In un articolo di Mario Cartoni, uscito su «Il Resto del Carlino» il 13 gennaio12, il regista fornisce un'ampia narrazione sulla trama e i contenuti del suo futuro film, ma in realtà egli sta solo in parte alludendo a 8 112, poiché i riferimenti più evidenti sono a Viaggio d'amo" ovvero a Viaggio con Anita. Un altro tentativo di depisrare i giornalisti e la critica, facendo credere loro di voler lasciare la capitale per tor11 N. Mimmo, Fdliniotto ~ mn:zo. in «L'Europeo,, 7 gennaio 1962. 12M.Cartoni, JIV-111ggiod'llmortdiFtliinì,in «Il Resto del Carlino,,, 13 gennaio 1962.

Vìoggio con Anita: 14 mrm,iliai,,,,,, i11// MARCBLLO:On~ ricopre un ruolo decisivo nel ricompat12re il nucleo &miliare di Camio e Panlile. entrato in aisi. Nel cinema, la tipologia comica della prostituta dai buoni sentimenti, avd numerose anesttzioni, dalla Shirley Mad.aine di Irma la dola (1963) allajulia Robertsdi Pmty woman (1990), per amvarealla Giulietta Masinade u 111111i di Cabiria(l957), solo per citarne alcuni. 33 Rossi, U11111gw,rdo sul"""• cit., p. 124. 34 Jbidnn, p. 120. 35 Jbidnn, p. 151. 36 Questa tipologia femminile sarà ben incarnata dal personaggio di Carla. la •pavoncina• di 8 1a.

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della donna in carne tipica delle loro terre, di quell'area "marchignola" di rui facevano pane sia Rimini che Fano. Proprio in virtù di questa triangolazione con Fanny, Marcello e suo padre si rioonoscono l'uno nell'altro, finalmente fanno reciproca conoscenza, scoprono i loro lati più inconfessabili e in pane si rioonciliano. Quella rioonciliazione con la figura paterna che Fellini avrebbe voluto raccontare nel film mai realizzato ambientato a Fano, Viaggio con Anita, attraverso la mediazione della bella amante di Guido, qui si realizza attraverso il ruolo positivo svolto da Fanny. Attorno a quel tavolo del night club e nell'appanamento di Fanny, doveil padre si sentirà male (prefigurazione della sua mone), si realizza, dunque, quella stessa triangolazione che in Viaggio con Anita era prevista al cimitero, attorno alla tomba paterna. Ebbene, se nel tavolo che dava su via Veneto il trait dìmion tra Marcello e suo padre era costiruito da quella simbolica gallinaJ7, nel tavolo del nightclub quella gallina ha preso le forme di Magali Noci e il nome di Fanny38.

37 Significativa sul tavolo la presenza del appello del padre di Marcello, che rappresenta quella rupett2bilili bo~ese che Urbano ha sempre difeso e coltivato, tenendo segrete le sue relaz.ioni exuaconiugali. Per il appello come simbolo di tale onorabilili si veda il capitolo Ilazppe_/Jo e la pipi, p. 226. 38 È singolare che nel 61m di Mario Monicelli la!lur di gioia wcito nel 1960, dopo I.a dola vì"1, la protagonista Gioia, impenonata da Anna Magnani, interpreti la parte di una povera aarkeu:a per comparse a Cinecitli, che ricorda. nella capigliarura bionda e nella smania di affermazione nella capitale, proprio la ug;allinona" felliniana e alla quale viene attribuito come soprannome un altro epiteto tratto dal mondo animale, Torrorella. Nel 1959 era wciro negli Stati Uruti e in Italia A fflllllnlllo pia« az/dt, di Billy WJder a cui il 61m di Monicelli sembra vagamente ispirarsi per la analogatJian&obz.ione tra i pmomggi (anche la Magnani, come la Monroe, si circonda di due squattrinati imbroglioni).

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F11JJOFdlini

Dal momento che Fellini, come il regista ebbe a di-

chiarare a Chandler3', non sceglieva quasi mai a caso i nomi dei suoi personaggi, quella ballerina francese, «prostiruta buona,,, chiamata Fanny, forse in maniera cifrata, portava serino nd suo nome proprio un riferimento a qudla città di Fano, che era stata scelta per ambientare Viaggio con Anita, da rui viene fatta provenire la ragaxr.a aavestita da gallina nella scena dell'orgia e nella quale, con ogni probabilità, Urbano aveva stretto alame sue relazioni amorose40 • Fanny si può dunque considerare a rutti gli effetti un "nome parlante'"", come Gradisca e come lo stesso Anita, secondo una alterazione cornicoaeativa dell'onomastica che ritroviamo già in Aristofane e nella aadizione della commedia greca antica. Il babbo Urbano si prendeva le sue libertà durante i suoi lunghi viaggi di lavoro, come si desume da alcune batrute al tavolo del Chachacha: MARCBLLO: Quando ero ngazzino / mio padre / non ci stava mica mai / in casa / oh Il Andava via una semmana / venti giorni // Sl / non ritornava più // I pianti / che si &ceva / mia madre Il Io / non lo vedevo quasi mai // Non lo conosco mica Il Mi ha fatto piaoere / però / di rivederlo / stasera Il È simpatico/ eht' 39 Si veda il capitolo dedicaxo a V-uz,aio «Jn Aniuz, p. 57. 40 Sulle frequentazioni &nesi del padre Umano, si legga quanto espresso nel capitolo su V-uz,aio«Jn Aniuz, p. 67 ss. e in quello intitoluo // ~//J, e la pipi, p. 218s. 41 li nome Fanny, oltre a questa probabile allusione alb città di Fano, potrebbe contenere anche un riferimento all'aggettivo ing/e~.fonny, •divertente•, con un evidente doppio gioco in cui si mescolano parole di tre lingue diverse (fiancese, italiano, inglese). Del resto il personaggio di Fanny gioca comicamente con tre "lingue• anche per sottolineare l'indole menz.ogneradi Marcalo («Bugiardo! Bbgueur! Fregnaccia.ro!.). 42Rossi, U11Dsf1111rdosu/aws,cit, p.123.

.snJ; FllnO. Samt-chnn di F-.

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PADRE Per arilà /signorina / la.ici stare l'età// Non rinnoviamo I d~pemo dolor / che il cor mi preme // Sa cos'è che ci invea:hia / a noi altri? È la noia Il Io per i miei alF.ari Viaggiavo sovente / da giovane Il Quando ero in viaggio / mi sentivo un leone! Anche adesso / appena mi muovo / le giuro che non sto dieuo nessuno / di questi raga:a.i / ehl Ma quando rimango incasa/guardi/ come avessi ottant'anni/I".

E come si legge nella lunga confessione affidata al microfono di Chandler: Mio padre non poteva avere a casa sua ciò che voleva. quindi se lo cercava altrove. Poiché viaggiava per lavoro, aveva molte opportunit2. La mamma Pian&eva incessantemente durante le settimane in cui lui era via. Non so dire se si oomponava cosl perché le mancava oppure perché capiva che le era infu:lele. Quando tornava a casa lo rimproverava e c'erano discussioni a non finire. Poi lui ripartiva, apparentemente senza rimpianto". Non mi rendevo conto che l'assenza di mio padre non aveva nulla a che fare con me; lui prefuiva stare lontano da casa per via della mamma. con cui non aveva più un buon rapporto da quando le gioie del coneggiamento erano state consumate. Compresò meglio mio padre solo parecchio tempo dopo. quando io sc:esso riuscii a sttnto asfuggìre alle idee oppressive della mamma. alla sua infelicità che lei era pronta e vogliosa di condividere, e alla sua convinuoneche l'ecoessivafel.icit2. come lei in pratica de6nivaqualsiasi tipo di piacere, fossiepeccaminosa.s. Ogni volta che mio padre tornava da un viaggio

ponava sempre qualche regalo alla mamma. e lei

43 Jl,idnn, p. 121. 44 Chandler, lo, Ftdnit:o Ft/Jini. cit, p. 37. 45 //,idm,, p. 35 s.

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FIIMFdli,,;

sembrava ambbialsi più di prima. All'epoca non capivo quello che invece per b mamma era evidente. Quei regali non erano tanto simboli d'amore quanto indizi di una colpa. ,'\posatosi "' vent'anni, fiustrato nella sua vita sesruale domestia, mfo padre aveva un certo oochlo, e anche ql12loosa di più, per le signore. specie se non erano "signore•. Ma voleYa bene a mia madre, ne sono certo, e si preoocupava del benessere &miliare, della moglie e dei figli. Quel che&cevaquand'era viaera cosaabbastam.a comune nei matrimoni italiani di allora, dove bdonna era più sposata dell'uomo, non perché mancasse il divorz.io ma perché lei non poteYa della sua libertà. Penso che ci fosse una certa rebzione tra b quantità di pwzre che mio padre a\'l?Va goduto fuori casa e il valore del rq:alo che portava. Se sì era trattato di un'avventura bamle, allora mia madre riceveYa un vaso di cristallo; se era stllD un inc:onao memorabile, il rq:alo era quantomeno un vassoio d'argento. Ric:otdo che una volta le portò un abito meraviglioso [...). Mamma non disse una parola. si limitò a buttarlo sul tavolo: Dopo quello che a noi parve un silenzio l~imo disse che non era il tipo di vestito che "lei" indomva, che era molto più ada.ttoa certe sue "amiche".Aquel tempo. né io né il mio &arellino capimmo che cosa inrendessedire con "amiche"".

Fu solWlto dopo la mone del padre, avvenuta il 31 maggio 1956, che Federico iniziò a conoscere davvero suo padre, a comprendere e a perdonare le sue debolez7.e, molto simili alle proprie. Il momento del funerale fu particolarmente rivelatore: Durante il vi2ggio mi sono ricordato del funerale di papà dove avevo visto, un po' in disparte, lontano

dalla mamma, un certo numero di donne fonnose che nessuno di noi conosceva. Piangevano rune, 46 Ibidnn, p. 28 s.

95 fiumi di laaime. Si seppe poi che erano dienti alle ql.l2.li papà aveva olfeno conserve e confezioni, e anche qualcos'alao. Non era molto diverso da me. Mi chiedo: chi venàal mio funerale?"

Ma furono decisive le ricerche sul passato amoroso di suo padre, che Federico condusse presso gli amici coetanei del babbo, come il regista ebbe a dichiarare in modo confidenziale alla televisione spagnola: E allora mi ha preso una specie di auiosili, C01Sl, di risalire all'indieao e di far domande. quindi, negli annisucx:essivi,quando tornavo a Rimini.parlavo con ql.l2.lchesuo amico, che adesso eradivenwo anche lui anziano, e allora un po' per volta questa figura si è composta, a.araverso una serie di informazioni e me lo hanno &no diventare molto simpatico, ho visto che mi assomigliava molto, che aveva certi aspetti del carattere che ho anch~o. e quindi alla fine mi è sembrato di vedere finalmente un uomo, un amico, una persona ben definita nel suo temperamento. nelle sue..., nei vizi, nei suoi aspetti caratteriali'".

Parecchi anni dopo la mone di Urbano, egli tentò addirittura di mettersi in contatto con suo padre ormai defunto amaverso una medium: Nel corso della mia vita ho avuto diversì incontri con mio padre durante i ql.l2.li . Ne I.a ,/qf« llittZ e in Olltl e fNZ.. :zo parlo mentalmente con mio padre. Lo conoscevo poco e nwe. I miei ricordi di lw sono non-ricordi. Rammenti> più la sua as:senz.:a che la sua presenza.. Anche se non volevo ammeuerlo nemmeno con me stesso, da ragazzo mi sentiVo abbandonati> da lw, incapace di attirare la sua attmzìone e la sua approvazione. Pensavo che non gli imparasse nulb di me, di essere motivo di disappunti> per lw, che non foS1le orgoglioso di me. Se solo avessi sapu10 che po112.va con sé nei suoi viaggi il mio primo disegno, allora sarei riuscilo a parlargli. Tuao sarebbe slalD diver.;o. Adesso ho solo una sua fi>logra.6a incorniciata, che 1engodove possovederla...

Se torniamo all'errore fatto da Kezich nell'attribuire

ad Annibale Ninchi Fano come luogo d'origine, si può dunque ipotizzare che egli possa aver confuso Fano con Pesaro proprio per questo legame particolare che Urbano aveva con la città marchigiana, legame che forse Kezich, cadendo in questo lapsus, mostra di aver inruito. Colpisce tuttavia sapere, e forse si tratta di un'altra emblematica sincronicità, che Annibale, sebbene la sua famiglia fosse indisrutibilmente originaria di Pesaro, in gioventù fosse particolarmente affezionato a Fano, dove erasolito giungere in bicicletta, per fare visita ad alcuni amici tra cui lo scrittore fanese Fabio Tombali, come testimonia Antonio Glauco Casanova: Fano gli era sempre Slala ara anche prima che b ntpo1e Càbrielb vi venis$e sposa. Veniva da Pesaro in

bicidea:a per far visita a FabioTombari e spesso a Bice Carducci, b primogenita del Vate, sposa al profes.wr 49 Chandler, lo, Fednit» Fellini. cit., p. 155 s.

97 Bevilacqua del nosao Ginnasio "G. NolJi". Nindù, Tombari, BiceCanlua:i am suo marito insegnante di antico swnpo. Adolfo Gandiglio. e su tutti l'ombra protemicedi Giosuè, il Va12 (oggidimenticato). Veniva a Fano daJb sua Cesenatico anche Marino Moretti, tanto innamor.ito della ciai da ambienwvi il 5UO romanzo/ coniugi Al1mi Una Fano di lusso, quella!so

Dunque una vera e propria "cuginanza anuopologica" con Ninchi, che giocò sicuramente un ruolo nel definire i rapponi ua Federico e Annibale, e sulla quale verosimilmente si depositò e si suatificò persino il rappono ua Urbano e la città di Fano.

Da VECCHIO, UN URNBVALE B LA DOLCE VTTA AMBRJGO

PANBSB A

RoMA

TRA IL

Un fanese intraprendente e goliardico fu ua i protagonisti a Roma di quel clima movimentato e brioso che Fellini intercettò e immonalò nel 1960 con La dolce vita, ma che di fatto preesiste alla sua geniale creazione cinematografica, come ha ampiamente evidenziato nel suo saggio il giornalista Yictor Ciu.ffa51 • Si chiamava Amerigo del Vecchio, era nato a Fano, dove deteneva la proprietà dell'Albergo Excelsior, una delle storiche strutture ricettive ddla città, tuttora situata in viale Cesare Simoneni, proprio di fronte al molo e alla spiaggia di ponente52, il noto Lldo di Fano. Amerigo era un 50 Ca.sanow. PfflQTUlf1jlplmi t un po'di I''IUIII, cit, p. 29. 51 V. Ciul&, La dokt vila minu/Q pn minlllo. Tt111a la wrilà su un fmommofa/salQ, Oul& Editore, Roma 201 O. 52 Alcuni fanesi da me intervistati (ad esempio il 5i&nor Rodolfo Cobrizi) raccontano che Fellini avrebbe voluto g;rare la 5eena ventosa de / viltlloni, con Leopoldo e il capocomico diretti verso il

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PdnoFdlinJ

bell'uomo, alto ed elegante, con i baffi curati e i capelli brizrolati, che aveva l'aspetto del classico playboy. Si era trasferito nella capitale e Il aveva trovato fama e notorietà associando il suo nome a un luogo emblematico della dolcevita romana:Amerigo fu ilfondatore e il titolare di un ristorante eccentrico e fantasioso chiamato Taverna degli artisti, che era siruato in via Marguna e che Fellini deve aver conosciuto e frequentato. È lo stesso Victor Ciuffa a identificare quel locale come precursore di quel clima che Fellini ritrarrà nel suo film: Negli anni 19~1955 la pr&-dolce vita era ambientata nella zona tra Y-ia del Babuino e Y-ia Margun:a; i suoi santuari erano il Baretto, in Y-ia del Babuino 120, noto soprattutto perché frequentato da strampabti pmonaggi legati più o meno realmente all'inquietante caso giudiziario relativo alla misteriosa morte a Torvajanica della giovane Wilma Montesi, tra i quali l'aspirante attrice Adriana Concetta Bisaccia e il suo fidanzato pittore Duilio Francimei; e il ristorante del Cin:olo degli Artisti, gestito da Amerigo Del Vea:hio, in Y-ia Margutta~

Ma quel ristorante si trasformava in luogo attrattivo e stravagante soprattutto nei giorni del carnevale. Egli trasferl nella capitale l'esuberanza e l'allegria del Carnevale di Fano, sua città natale, organizzando nel locale feste memorabili. Nel febbraio del 1960, poco dopo l'uscita in Italia de la dolce vita (uscl il 3 febbraio 1960 al Fiamma di Roma), Amerigo organizzò nella Taverna degli artisti un grande veglione in maschera a tema, in cui i costwni tentavano di riproporre proprio il clima e i personaggi de I.a dolce vita. Su quella festa si è conservata nell'Archivio Luce una breve registrazione sonora mare, proprio in quel

viale e di fronte a quel molo. 53 Ciuffa, lA dolce 11ùa minuJO per minuJO, àt., p. 13.

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in bianco e nero dal titolo Roma: clU'Mllale alla taverna degli artisti, che venne inserita in una pellicola, destinata a essere fruita come cinegiornale e chiamata "Caleidoscopio C.I.A.C. n. 1203", la quale fu sottoposta a censura-revisione, ottenendo il 3 mano 1960 parere favorevole alla proiezione pubblica. Cosl recitava il sonoro che accompagnava le immagini: Carnevale all'insegna della Dolce viti. Il diché è ormai 6n troppo risaputo: qualche ngazzotta con generOISe provole che ammiccano dal corsetto, un pizzioo di sesso incerto. giovani viveurs smaniosi di brusche sensazioni e un vano tentativo di evitare la noia. Siamo in via Margutta, alla Taverna degli Anisti di Amerigo Del Vecdùo. La zona è riserval2 a quegli inreUettual; che pesano l'ispirazione nelloscoUo dell'eteme aspi1211ti dive e che placano l'antoScia esistell7.Ìalistt in danze solitarie. È la versione moderna del dassioo veglione. Molto fumo e poa> arrosto. Le conturbanti visioni rimanmno soltanto visioni. La dolce vita si arena, proprio quando da dolce dombbe divenire elettrizzanres..

NeUa testimonianza di un omosessuale riportata da Andrea Pini, cosl si racconta quel clima carnevalesco di bizzarri travestimenti: E tu li trllVtSlivi? Soloa carnevale! Ho moltefoto dei tanti carnevali.•. Qui. per esempio, neho una del 1960aunafestaalb Taverna Margutta, dove ricordo che una baronessa mi rq:alò il suo boa di stn1220 bianco. Era il locale degli artisti di via Margurt1. Pensa che h spesso suonava un'ordtestrina con una giovane urlatrice checantava l.LmiJk IJolkblu•.. M~s 54 I documenti d'archivio relativi alla pellicola •eateidoscopio C.I.A.C. n. 1203" sono oonservati nel sito Onecensura. 55 A. Pini, Q1111ndo m11KZ1110 ftoO di kr,pardo, 1111 set/nr grtmik (0/M il mondo, e in /Dlii 111111 corona sànlillantr di pktll prrziog nzjfigur11111i occhi 1111111ni. A pane questo, la stessa b«,11 da OfflJ lljflll1IIIIO, gli stessi occhi di dmgomÌlllko,lastessa boKllflill di "1/)r/li, imr«dll111 11 viprre 111 posto tkl/e 11J,;he. Trmlllllllo in tutte le membra. richiusi il libro e salii a dormire in punl2 di piedi. Colombo scoprendo l'America non aveva provato un'emozione simile. Dovevo assolutamente tornare sulla spiaggia al più presto e rivedere la Sa.raghina. Un'idea insensata si impadronl di me. Volevo parlarle. Volevo udire la sua 1J«e. Presi sonno nella febbre di una decisione che oltrepassavadi gran lung;i ii,or11ggiodn min 01to anni. L'indomani stesso

Fol,:,,rrJJJo"4J/4 Stlrr1t/,iNt

mi piantai, a mezzogiorno, davanti alb baracca dove abitava la Sa.raghina. Sulla soglia della porta, 5eduiaa cavalcionisu una seggiola impaeliata mezza sfondata, aa:omodava con un grosso agr, di lrg,u, una wahia ~ ,:/,z pauuori. Questa volia, la vedevo in piena luce. I.a spiaggia era deserta sotto il sole ardente. Al wgo, delle barche attendevano il vento sul mare immobile. Ero là, MJla mia uniformr blu di 111/lTÌllllfflJO, incredibilmente calmo, a scrutare da vicino il masm, f 1ZVO!oso r ÌIII/UÌrtllnlr tenendo fra le mani madide ilmiabmrtJO colpompon, kllo di Ho S4fNIIDAnilll Elbny. lnlmlislll ,on Ftdma, Fellini (Fellini è il titolo spagnolo originale del libro edito nel 1994). Per il racmnto della Sa.raghina, dr. pp. 58-63. 9 Tr.uto dal raa:onto di C.amilla e.edema intitolato LIZ IN/la cr,nfoslonr 'Fmw t Moby Didt. ottobre 1960, p. 17), un testo che risale al periodo di prepamione di 8 Ia. La udema. saive riportando le idee di Fellini appena abboz:zall! intorno a 8 112: «Alle Tenne viene la moglie a ttovarlo e anche l'amica. e lui una volta di più non sa come ban::unenmi e va avanti come al solito a furia di bugie. Poi il pam11> lo assale, carico di incertezze, risnorsi, nostalgie, e come in sognisucaessivi gli si presentano tutte le donne che ha avutD, o cheha soltanlX> desiderato TI avevo parlato della Sanghina. quella specie di Moby Dick riminese che sullasp~ quando avevo oan anni, era swa per me la rivewione della donna in rutta la sua bieca potenza? Ce la vedo benissimo. G metterei dentto anche le punizioni inJlitte in collegio,al protagonista bambino, te le avevo raa:ontate, non èvero? Peresempio, quellaa aii mi si obbligava se avevodisobbedito: stare in ginocdiiosul granorun:oalmeno permezz'oCL Eancoraalae donne. La bdb amante-balia che sotto sotto in qualche modo somiglia. alla balia e alla Sanghina. rutta b serie delle ocxasioni perdute, e ha; in mente quello che resta sempre il mio sogno prefaito: poter vivere in una casa piena di donne, e farmi dire i loro segreti, amarle tutte a turno, poi dar marito a una. oercare il fidanzato all'altra. &r bei reg;ali a tutte. questa specie di harem ce lo metto, e in mezzo il mio uomo, nuganconla fiustain mano, una fio.sta~ s'intende,. (p. 19).

113 La riveluione della don.na, in tutta quella che egli chiama «la sua bieca potenza., Fellini l'ebbe a otto anni in riva al mare di Rimini, e anoora oggi è affascinato dal ricordo di quella specie di drago, che. sob, enorme, bianca e sudicia. viveva in una specie di garitta sulla spiaggia. Al ritorno delle barche, essa si vendeva ai pesca1ori peravere i rimasugli del pesce, quelle saroinette che in Rolll2gll2 chiamano le saraghine. E per questo era soprannomÌl12ta soltanto la Sanghina. Tuttia Rimini,compres.i iropzzi un po'piùgrandi ai qudi 1 l 1 ~ mnprr il pirrolo Frdnit:o, sapevano che per due soldi la Sanghina alzava le sottane sul dietro, mentre per quattro soldi si scopriva anche davanti. Cosl anche gli amici dr/ pka,/o Fr/Jini un giorno fecero 11n11 a,llr,111 per andare dalla Sanghina e ci andarono emouonantissimi 11/ trllmonJO wltO uno 1tupmdt, dr/o tnnpora/aco. Sulla spiaggia si misero a tirarle dei sassi nei vetri per fub uscire dalla garitta. Ed ecxo che la Sanghina esce urlando seguita da un gmn fomo (qualoosa stava bruciando sul fuooo), ed è una visione indimenticabUe. Eo::ola che. immensa e sfuta, dentro 11n11 11111g/14 da 11111ri111lio, gli oahi bilmd,i oome quelli del !Lune, la testa gonfia di assurdi ri«io/J nm ,ome quelli dr/ & Sok, contro il 11111tt livido grida e bestemmia. «Abbiamo i soldi» dioono i ragazzi. «Buttateli!• fa lei, ma loro non li buttano per pawa che si perdano nella sabbia. F,d t il pirrolo Fr/Jini in aJu bilmd,r, fomgrtlina nmz. aria ifJIIDanN, Zl.e, le trombe delle automobili, le grida, i richiami della gente libera die andava a spasso col gela11> in mano. Un lumacone di ragazzo sui vent'anni dte non si sapeva bene se era prete o no, color della cera, voleva sempre attaccar di.scorso con me e con un mio amioo dteaveva gli oochi lunghi e dolci d,, odalisca Ci offriva delle appicx:icose caramelle, ~irava, avremmo dovuto essere più buoni, più bravi, e andar con lui in una delle aule deserre. perché voleva insegnarci il bel canto. Il lumacone aveva una bella vocina, infatti, e sapeva a memoria cene canzoncine dte allora mi sembravano noiose e dte molti anni dopo ho sentito di nuo\'O alla Tenne di Caracalla nella Lucia di uzmmnmoor's.

15 Fellini, Farr 1111 film, ciL. pp. 22-23. li racamto praticamente identioo è contenuto anche in Fellini, La mu,, Rimini. Rimini, il mio ~.ciL, pp. 31-32.

Fo/lf"'l/0"4J/4 Stlntt/,illll

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Al di là della evidente confusione (ha in realtà tutte le sembiam.e di un lapsus) operata dal regista in FaR un ftim in merito al luogo del collegio, tuttavia alla dimensione collegiale, associata a questo magico inconuo con una prostituta, il primo di una lunga serie, sembra suggerirci l'autore («era una prostituta giganmca, la prima che ho visto nella mia vira,.), riportano palesemente anche alcuni tra gli oggetti utilizzati come compenso in cambio della prestazione sessuale e, in particolare, «i bottoni dorati della divisa, o le candele che noi rubavamo in chiesa», considerati sufficienti dalla Saraghina per concedere i suoi favori, in assenza di soldi o caldarroste. Questo stesso ricco elenco, costituito da ben quattro opzioni, lascerebbe presupporre, a rigor di logica, che questo scambio di favori tra la prostituta e i ragazzini sia avvenuta in molteplici occasioni, data la varietà degli i:scamotage ideati dai piccoli collegiali. E. si pouebbe aggiungere, non solo in estate - nellastagione cioè in cui si colloca il fatidico inconuo -, ma anche nella stagione autunnale, quando cioè ci si può cibare di «caldarroste»! Sebbene i cinque racconti concordino nel collocare in riva al mare, sulla spiaggia l'episodio della Saraghina, tuttavia l'ambientazione suggerita dalle narrazioni di Cedema e di de Vilallonga, peraluo molto simili in sauttura e contenuti, risulta essere, senza ombra di dubbio, Rimini e non Fano. Cosl recitano i due testi «l'ebbe a otto anni •.. faceva la seconda elementare dalle suore di San Vincenzo», «Avevo otto anni. Facevo la seconda elementare dalle Suore di San Vincenzo»16• Ap16 Una rea!nte ricera storia condottt da Davide Bagrwesi ha dimostnto la frequenza da pane di Fellini dell'asilo e dei primi due anni di elementari presso l'Istituto San Giuseppe al n. 11 di via Bonsi a Rimini, gestito dalle Figlie della Carità di San Vincenzo, le cosiddette"suore appellone• spessoriconenti nei suoi 6.lm. Oi-.

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Ft11tt1Fdli,.;

parentemente nessun riferimento al collegio o ai compagni collegiali (neppure nell'abbigliamento, visto che il ragazzino «se n'andrà con un inchino agitando nella sua direzione il berrettino alla marinara. e indossa una fl1'niforme blu di marinarmo,., un «berretto col pompon,,, Je scarpe nm: di vernicl!I>), se non nel proseguo del racconto di de Vilallonga, quando il bambino di otto anni Federico si sarebbe rivolto al suo confessore abituale e il prete, ascoltando con stupore dell'incontro con la Saraghina, avrebbe reagito in questo modo:

li pretedie aveva ascoltato, sbalordito,laconfessione del suo piocolo cql/qilzk, feoe tuoni e fulmini. Era, senza dubbio, la reazione di un uomo semplice. Significava, insieme, non inuavvedere lo spirito ailico del futuro mu:stro del cinema italiano. Le terrificanti minacce die l'uomo di Dio proferl feoero nondimeno a11vare il capo al cql/qilzk. Ma rolo per meglio dissimulare il rorriso sdegnoso die si disegnavasulle sue labbra". Se nel lungo racconto elaborato da de Vilallonga dopo l'intervista a Fellini realizzata nel 1963, che segue l'uscita di 8 I 12, riaffiora l'immagine del piccolo collegiale proprio in relazione alla colpa, al peccato confessato e punito, e tuttavia in una ambientazione ecclesiastica apparentemente riminese e non fanese, nell'intervista televisiva spagnola a Serrano, che risale al 1977, ogni riferimento al collegio sembra del tutto espunto e mancano anche elementi che rendano chiara l'ambientazionedella scena (nessun riferimento né a Fano né a RimiD. Bagnaresi, L 'infanzi,u la git,villtzmdi &/lini a Rimini, in Id., G. Benz.i, R. Butera (a cura di), Ftllini t USllm>. Studi aatimonillnu, Las Roma, Roma 2020, p. 27 s. 17 de V-alallonga. Ho Sl1fJIIUIJ Ani111 Ekbng. lnlUVis/4 con Ftdnko Ftllini. cit., p. 67.

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ni). Sebbene l'età dei ragazzini sia più o meno la stessa (là ono, qui sene o ono anni), tuttavia l'abbigliamento non sembra affuno riconducibile all'ambiente collegiale e appare del runo laico: que.sta signora ha danza.lo per noi 11Z!'IZUlli. dietro un compenso di alcuni bottoni d'oro che abbiamo staccato alladivisii da '1Ulrinamto, allora andava in voga un abitino con cui quasi tutti i bambini erano vestiti, con dei bottoncini d'oro scolpiti sopra ... allora ci siamo riuniti in qllAlffl> o dn;pu, ci siamo sw:cati tutti i bottoni, abbiamo &no una ventina di bottoni dorati, li abbiamo dati alla Sa.raghina.

Dunque nelle cinque versioni della storia della Saraghina in nostro possesso, oltre alla confusione tra Fano e Rimini come luogo di ambientazione della vicenda, si registra una ambivalenza anche in relazione alla presenza o meno del collegio, a cui sembra corrispondere una decisa ambiguità nel rittarre il "costume" dei ragazzini: se in Fan un ftlm si parla dapprima più genericamente dei «bottoni dorati della divisa,,, poi però si allude con più decisione alla uniforme del collegio («torna a trovarla da solo con la sua divisa da collegiale»). Al contrario, in entrambe le interviste spagnole e in quella della Cederna si fa riferimento a un costume laico, in voga degli anni Trenta: la «uniforme blu di marinamttJ», accompagnata da un «berretto col pompon», e da «scarpe ~ di vmzic()t, di cui fa menzione de Vilallonga, la «divisa da marinareno... un abitino con cui quasi rutti i bambini erano vestiti, con dei bononcini d 'oro scolpiti sopra», di cui parla Fellini al microfono di Serrano e «il berrettino alla marinara» a cui allude la Cedema. La confusione tra i due tipi di costume potrebbe essersi generata dalla consuetudine a utilizzare le uniformi tipo 'marina-

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retto' anche all'interno delle strutture collegiali, come dimostra la foto sotto riportata, relativa al Collegio S. Arcangelo di Fano e risalente al 1935 (si rimanda alla fotografia a pagina 193 del presence volume).

IL TEMPO DEL RACCONTO Il periodo dell'anno in cui sarebbe avvenuto l'inrontro con la Saraghina è la stagione estiva, per quanto si desume sia da Fan unfilm («sulla spiaggia di Fano, dove passavo le vacanu estive»), sia dal racconto riportato da de Vilallonga («Era piena estate. La notte era calda, superba. Sotto la luce della luna, la spiaggia tremolava come argento vivo»). Nell'intervista rilasciata da Felllni a Serrano non compaiono invece elementi che fàcciano pensare ali'estate e il testo risulta pertanto privo, non solo di riferimento al luogo, ma anche di notazioni sul tempo. Dal testo della Cedema si desume il momento della giornata in cui sarebbe avvenuto il magico incontro: «ci andarono emozionantissimi al tramonto sotto uno stupendo cielo tnnpura/esa,... mentre il cielo comincia a diventare violetto, ha inizio il rito».

L'ETÀ B IL NUMERO DEI RAGAZZINI

In Fan un film, sebbene non venga precisata l'età dei giovani protagonisti, essa viene comunque collocata durante l'infunzia («Con noi che eravamo bambini», «la Saraghinaè una rappmmtazimze infantiledella donna»). Ovviamente se il col.legio cui Felllni si riferisce è quello dei Salesiani di Rimini e non quello dei padri Carissimi di Fano, sulla base del testo sopra riportato si potrebbe

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desumere una possibile età di Federico bambino, qudla appunto dei dieci anni. Ma al 1930 sembra risalire anche un aneddoto pubblicato nel 1992 dal fanese Francesco Gerboni, il quale racronta di aver incontrato Federico Fellini presso il collegio dei Carissimi proprio in quell'anno18• Il fratello Riccardo fu iscritto al Collegio S. Arcangelo di Fano nell'a.s. 1931/1932 e una breve esperienza collegiale fanese del giovane Federico, allora ginnasiale, potrebberisalire anche a quell'annata1' . Tuttavia il regista, nella seconda parte dd testo, sembra introdurre un'evidente contraddizione, facendo intuire al lettore che la rappresentazione immaginifica della donna "gigantessa" apparterrebbe in realtà alla sua fase adolescenziale più che a quella infantile. Ecco le sue parole, in cui si rileva una triplice e significativa insistenza sul termine atUJiescmti11': Èbdonna ricadi femminilità animalesca, immensa e inalrerrabile e nello stesso tempo nutritizia, cosl come b vede un adol«m~ affiumto di vi12 e di ses.w, unadokscm~ italiano bloocato e impedito da preti, chiesa, &miglia ed educazione &llimenwe. Un ado/«m~che cerando b donna ne imrnagi= e desidera una che sia «una grande quantili di donna.. Come un povero che pensando al denaro r3gioni e &metichi non di migliaia di lire, ma di milioni, di milia.rdi.

18Si veda p. 174 ss. 19Si veda p. J63ss.

20Anchenellasoeneggiatura ufficialediB J/2 (C. Cedema (acur.i. di), 8112 di Fedni(;o Fdlini. ciL) il proaeoni.sta Guido chescappadal collegio veoo b spiaggia viene più volte definito •adofesoenie• (p. I I 5: «Guido identifica e rioonosce se stesso adolescente. e p. I 17: «un pre(edi mezza età, secco e magro, trascina Guido adolescente.).

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Del resto sembra riportare alla prima adolescema di Federioo anche la testimonianza riminese di Quarto Pasini, reperita dwanre wta ricerca sull'infanzia e la giovinexz.a del regista condona dallo storico Davide Bagnaresi e pubblicata di recente 21• In base a questa ricerca si è rilevato che Fellini non proseguirà a frequentare stabilmente l'oratorio salesiano dopo il 1930, tuttavia il Pasini, in wt'inrervista rilasciata allo stesso Bagnaresi, ricorderebbe la presema di Federioo adolescente, negli uffici della parrocchia, dove si allestivano teatrini e momenti creativi. Come si è già avuto modo di rilevare, cronologicamente più precisa e abbasrama conoorde nel porre il.focus sull'infanzia. sembrerebbe il riferimento agli otto anni del piccolo Federiooe ai sette o otto anni del gruppetto di ragazzetti rispettivamente in e.edema e in Ho sognato Anita Ellberg. lntmlista con Federico Fdlini («a otto anni in riva al mare di Rimini», «Avevo otto anni. F~o la seconda elementare dalle Suore di San Vincenzo») e nell'intervista del regista a Serrano («eravamo piccolissimi, avevamo sette o otto anni•). Nell'intervista a «L'Europeo.. si parla invece di nove anni («Avrò avuto nove anni»). Tuttavia, anche per quanto riguarda il numero dei bambini coinvolti si possono osservare delle discrepanze. Mentre in Fan un ftlm e nel testo della e.edema non ne viene precisato affatto il numero, nel racconto fatto a de Vilallonga si parla di Wl gruppetto di cinque bambini, compreso il protagonista («ero andato alla spiaggia insieme con quattro compagni di classe») e Wl numero pressoché identico si rileva nell'intervista a Serrano («allora ci siamo riwtiti in quattro o cinque.). Tuttavia, in quest'ul21 D. Bagnaresi, L 'infonzia t la giovintzZ11 di Ftllini a Rimini, in Id., G. Bem..i, R., Bu1era (a cura di), Ft/Jini t il sam,. Studi e tDtimonùznr.t, cit., p. 31 s.

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tima, sul finale, si può notare una variante circa il num~ rodei componenti che salta immediatamente all'occhio a chi ascolta e di rui si comprende bene la genesi in relazione alla improvvisazione orale del cantastorie Fellini: i quattro o cinque finiscono per risultare sette o otto ed è evidente che la confusione nasce dalla espressione «av~ vamo sette o otto anni» menzionata poco prima. eravamo piocolissimi, avevamo m~ o otto anni quindi non poteYamo pretl!ndere altra prestazione di quella che ha &no, che è consistita... che è consistita appunto in una specie di danza. cml, sgan&h~ rata con questo sederone e queste tettone ballonzo.. lanti, ma che però a rutti noi, m~ oolto, ha &no un impressione molto traumatizzante.

È singolare che, nel disegno preparatorio realizzato

da Fellini per 8 J/2, con la Saraghina che balla la rumba, i bambini siano quattro e il protagonista, il più piccolo di statura e il più vicino alla gigantessa, sia chiaramente vestito da marinaretto. Non possiamo non ricordare che in 8 J/2, e cioè nella resa cinematografica, i ragazzini non sono né quattro o cinque né sette o otto, bensl sei. Naturalmente dietto la presenza ricorrente del numero cinque, che è la versione maggioritaria, non si può non cogliere un riferimento a quei cinque attori che scendono le scale in modo spettacolare ne Lo sceicco bianco, ai cinque vitelloni del fìlm omonimo, ai cinque clown seguiti dal cane nel finale di 8 112, immagine questa che sembra ispirarsi al malinconico disegno di Fellini con i cinque amici vitelloni i quali, proprio in compagnia di un cagnolino, osservano il mare sulla spiaggia.

F""'1FdliN

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LA DIMORA

DELLA SARAGHINA

Evidenti discrepanze si rilevano anche nella descrizione della casa in cui abitava la Saraghina: mentre in Fan un film e nell'intervista a Serrano e a Cedema la sua dimora consiste rispettivamente in un fortino ~ bandonato, in un bunker e in una garitta (&ira.va in un fortino diroccato della gramle guerra, una specie di tana che sapeva di catrame, di legno marcio, di pesce», «dormiva coricata in una specie di bunker, dove denuo però il vento portava la sabbia e portava anche delle piccole palktte di spini o anche delle ste/Je marine s~ccher., «viveva in una specie di garitta sulla spiaggia.), con un evidente richiamo a costruzioni belliche ormai cadute in disuso e rese ormai preda delle intemperie naturali, nella versione fornita a de Vilallonga la Saraghina «viveva solitaria in una specie di capanna che lei aveva costruito sulla spiaggia con le proprie mani» e i bambini comunicano con lei «a colpi di sassi lanciati sul teno di lana della sua capanna». A prescindere dalle due varianti ècomunque evidente in entrambe la uasposizione di un tema mitologico-fiabesco, testimoniato già dal!' Odissea di Omero con Polifemo e Calipso, secondo cui creature mostruose come l'orco o la strega, capaci di suscitare stupore e terrore in chi osa avvicinarsi, vivono in solitudine, relegati in zone marginali e lontane da qualsiasi forma di civilizzazione. Essendo utilizzati termini come fortino e bunker, il riferimento alla Prima guerra mondiale (e parlando di bunker forse alla Seconda?) è forse funzionale, a livello narratologico, ad acuire lo sgomento e il terrore provato dai ragazzini di fronte alla gigantessa.

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IL COMPBNSO PBR LB PRESTAZIONI "sESsuAIJ" Come si è già messo in evidenza sopra, diverse sono le modalità con rui nel racconto Fellini sceneggia la rirerca del compenso per le prestazioni sessuali della prostituta, arrivando a descrivere in due dei cinque brani addirittura un fantomatico listino dei pre'Cli. In F~ un film vengono elencate quattro di queste op-Lioni di pagamen. Idi caldarr ~o (• poch1~ •: e « . oste»: m altemanva «1 bottoni doran della divisa» o le «candele rubate»), in Cedema viene fàtta una generica «collea:a,., mentre in

Listino prtzz:i di un UISJno tkO'tp«a (fonr prr,prio IJIRUo fa- di v-Jla ~ rina?). fo1og,r,fau, 11 FIIIIO in un nDID ris1t111111fi"'.

Ho sognato Anil1Z Ekberg. lntm1ista con Fulerico Fellini vengono unicamente raccattati dei soldi - raschiando il fondo dei cassetti, vendendo delle biglie, domandando un prestito ai compagni - , infine, nell'intervista a Serrano, sono esclusivamente «i bottoni d'oro» della divisa da marinaretto a costituire l'oggetto di scambio. Sembra. dalla considerevole varietà di op-Lioni, che il regista abbia riesumato dai suoi ricordi infantili tutte le possibili soluzioni con rui i ragazzini a cono di denaro in quegli anni rercavano di barattare le poche risorse a disposizione per prorurarsi leccornie o giocattoli, non di rado arrivando a praticare piccole e talora goliardiche forme di fimo. Ma leggendo tra le righe si ha, peraltro, la sensazione che il regista stia trasponendo e proiettando,sulle piccole 22 Sul casino fànese si veda p. 255 5S.

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FIIMFdlilli

avventure infàntili, esperienze di età più avanzata, adolescenziale. Piccoli funi o ruberie durante l'età ginnasiale erano una divenente consuerudine di Federico edei suoi compagni, come ha raccontato l'amico Titta Benzil!:

a

trovavamo dopo la scuola, lui, io e Mario Montanari, e andavamo a fue le •imprese", che erano tutte fesserie... ma più che di scherzi si trattava di vere e proprie ruberie! Rubavamo una gabbia per canarini, mezzo saoco di &rina. e soprattutto il baccalà. in tutti quei negozi che lo tenevano esposto al di fuori, vicino alla porta. .• noi lo prendevamo per la coda, s6landolo via, senza esser visti; poi lo portavamo nella sede delle Poste, che allora si trovava al pianoterra, nel palazzo dell'Arengo: in quell'enorme salone, in tempi di estrema indigenza. laa:;iù in fondo, alt2CX:ali al termosifone st:IZionavano, al caldo, i vecchi pensionati. A loro distribuivamo, da autentici benefattori, il baccalà cosl guadagnato. Ce l'ho anoora nell'orecchio la vooe esultante di quei poveretti che dicevano: «Oò. vr:i? 11,vl Ft/Jini H b11cazlà.i..

Ma anche l'esistenzadi un presunto listino-prezzi dei favori concessi dalla Saraghina sembra richiamare 'avventure' di una adolescenza avanzata, quando il regista e i suoi amici solevano frequentare i bordelli al seguito del loro compagno di classe più scafato soprannominato Pistolone, come racconta sempre Luigi Benzi24: Qualche volta capitava di entrare nei asini aocompagnati da •r-l.Slolone•, D'Ambrosio Nicola, il n = 23 Si veda il racconto di Benzi oontenuto nel apitolo lA 11ùa mz 11/JIIJ D. Sul Omo con Ftdmt» t 1ì1111, in G. Ghirardelli (a cura di), Guidll 111/a Rimini di Ftllini. Panorz.o Edi, Rimini 200 I, p. 33. 24 Ghirardelli (a cura di), Guidll 111/a Rimini di Ftllini, ciL, pp.43-44.

Foll""'I0"4114 Sdn1iJ,;n4

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compagno di scuola che veruva dal Sud: lui aveva già i calwru lunghi. menoe noi fino ai 17 anni portammo quelli rorti; D'Ambrmiaveva Wla oe112 auoorità nei ronlionli delle ~ d e i casini e riusciva a &rei passare. •r-&StDlone• in aub. però. era b nostra vittima, perchésu.i bandu disruober.i.sempre davanti anoi, ed er.i.alu.iche pi.sciavamo in IZC:a,dopodi che Federiro gli dioeYa: «ti ho messoWla bella caricuurain 12Sea•••• •

IL VESTITO DELU.SARAGHINA Interessanti divergenze nei vari racconti si notano anche in riferimento all'abbigliamento indossato dalla prostituta.Se in Ftn unfilm e nell'intervista a Serrano Fellini non fornisce dettagli circa il "costume" del suo personaggio, ma si limita a sottolinearne soltanto le dimensioni imponenti (.il sedere, che copriva tutto il cielo... che panciona immensa!», «con questo sederone e queste tettone ballonzolanti»), risulta singolare il vestito che la Saraghina indossa nel racconto riferito a de Vilallonga: alzava lentamente la su.a erumM g1mn11 buchertlllzta e mostrava, per qualche secondo, un posteriore immenso... La Saraghina era vestita di llllll 1Mg/il, da 1Mrinaio a riglu blu e nnr, e di 11114 sottaM di cmci che le arrivava giusto alle ginocchìa. Aveva polpaa:ì color avorio, enormi.

Dunque la prostituta indossa una gonna cenciosa e bucherellata, che ricorda esattamente la resa cinematografica di 8 112 e di cui non si fà menzione nelle altre versioni, ma soprattutto una maglia da marinaio a righe blu e nere, che non compare nel film e che doveva forse rievocare un episodio raccontato da Titta Benzi in più di un'occasione:

F11noFdlitù

Una volta nel rasiM venne anche Federioo, oon Pistolone: la nostra inD?nzione era quella di curiosare... io poi sono finito in camera con una daùnuz ws1i1tz da11111Tinamto senu. oombina.re nulb.c'era solo da ridere•.. o da piangere; anche a Federico suooesse qualcosa di simile... Allora e'era solo la masturbazio.. ne, e tanlJ? aspirazioni per il futuro.s.

Ma l'amico lìtta Benzi, al microfono di Sergio Zavoli, racconta la stessa rocambolesca vicenda aggiungendo alcuni panicolari: I rapporti oon le donne non erano come quelli di oggi.Allora una donna doveva concedersi solo dopo esseisi sposata e noi lo sapevamo questo. E allora, o ricol'reY2lllo a salvagenti di fortuna o si andava al casotto. Ma n con Federioo, era runa una roba da ridere.•. &oeva l'in1ervista1oredelle puttane.diceva: «Ma tu, vai sempre 11t11i1tz cosi da 11111rinaio. anche a casa rua.>,, [ •• •) Mi viene da ridere, peisino••.! [..•) (quando Federico partl da Rimini) ho avulo un dolore grandissimo, perch~ perdevo praticamen1e un amioo, che era il con!raltare di me slesso, no... mwamo anda1i al rasino la pri11111110Utl lllSinne, amici di banco".

È evidente, da questo spaccato di ricordi liceali, che «la prima volta,> di Federico e dei suoi amici al casino doveva essersi impressa nella memoria; l'immagine, in particolare, di questa «prostituta cicàona vestita da marinaretto•, a cui il ragazzo. Federico osa addirittura rivolgere una domanda buffa a mo' di intervista, deve 25 Gruranfelli (a cura di), Guida alla Rimini di Fellini, cit, p. 44. 26 Per questo brano dell'inD?rvista. si veda il documentario Fe/.. linUIIUL Polwrc di Rimini, c:api1olo I (9). R2i Su Gnerna, 2003 in v;Dfc6NPodBYlA> (ultima consulw.ione 23 lll2l7.0 2020).

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aver suggestionato il giovane a tal punto da confluire e riaffiorare in questa narrazione, tutta infantile, della Saraghina. Forse è superfluo ricordare che la memoria di un costume "marinaresco", con la classica maglia a righe bianche e blu, compariva anche tra gli abiti indossati dalla prostituta Cabiria. Fellini evidentemente comprime le sue memorie, sovrappone e assomma, senza operare distinzioni, ricordi infantili e adolescenziali, costruisce le sue sceneggiarure con una buona dose di improvvisazione, senza tener troppo conto dei rapporti di causa-effetto, della coerenza spazio-temporale e di tutte quelle nonne logico-razionali che di solito sovrintendono alla tessirura narrativa, che non sia onirica.

ILCANTo oELUSARAGHINA L'incontro con la Saraghina nella realizzazione di 8 112 prevede due sequeme ben scandite, la prima delle quali culminante nella scena della danm, la seconda incentrata invece sul tema del canto. Questo secondo momento, il quale risulta già ben tratteggiato nella lettera indirizzata a Brundlo Rondi (risalente al 1960), che contiene l'abbozzo preparatorio al film riportato in F=unfilm, e persino nel racconto della Saraghina fatto alla Cederna, molto stranamente non compare nellasceneggiarura ufficiale di 8 Jlz'. La sequenza con la Saraghina che canta viene ampiamente sviluppata anche durante il lungo racconto fatto a de Vilallonga nel 1963, subito dopo l'uscita del film, mentre nella intervista rilasciata a Serrano e alla tv spagnola nel 1977, questa parte viene completamente tralasciata, in quanto la narrazione del regista si interrompe 27 Cedema (a aira di), 8 112 di Frtlnit» FrUini, cit.

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immediatamente dopo l'esecuzione della "sgangherata" danza. È verosimile ipotizzare, dunque, che il canovacào originale comprendesse enaambe le scene e che l'idea di una esecuzione canora della prostituta, già presente negli appunti preparatori al film, fosse parte integrante e costitutiva del soggetto ideato. Naturalmente la Saraghina che danza presenta tratti e caratteri molto diversi dalla donna che esegue il canto e persino il piccolo protagonista, collegiale o marinaretto che sia, sembra aver subito una considerevole trasformazione nel momento in cui ritorna da solo sulla spiaggia dopo la punizione ricevuta nel collegio dei Carissimi. Perché dunque la necessità di questa nuova "fuga" da parte del giovane protagonista? Che cos'è mutato nel ragazzino disobbediente e in particolare nel suo approccio con la donna? Il tema dominante del primo incontro con la Saraghina è quello della paura e del suo superamm/Q iniziatico. Si è già sottolineato come la caratterizzazione della prostituta sia quella di creatura mosuuosa, la cui natura selvaggia, sudicia e solitaria, le cui dimensioni gigantesche, la collocano al di fuori di qualsiasi contesto civilizzato. Vive in una zona limbico-marginale come la riva del mare, per la sua immensa panciona, che si nutre di chili di pesce, è assimilabile alle balene delle fiabe (da Pinocchio a Moby Dick), le urla spaventose, le terribili ingiurie e le bestemmie, con cui accoglie i suoi giovani ospiti, rivelano la sua lontananza da ogni legge umana e divina, come il Polifemo omerico suscita nei "piccoli" uomini che osano avvicinarsi il terrore più sfrenato e questo ha certamente a che fare con la inconscia paura di essere divorati. La Saraghina, nella sua femminilità animalesca, vive in uno sfrenato stato di natura, odora

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di pesce, ha alghe e stelle marine tra i capelli, catrame sulle caviglie: bab.a fuori di casa gridando «come una belva furiosa. lasciando i bambini «paralizzati dal terrore,,. Ma sono fonte di panico non soltanto le sue urla, persino la sua risata esplode, di fronte alla fuga dei ragazzetti, «come il marescatenato all'interno di una conchiglia marina. facendo gelare il sangue al protagonista. È insomma una figura "temporalesca", una creatura assimilabilea una divinità marina osottomarina, di fronte alla quale non si può che provare sgomento e stupore. Gli antichi greci definirebbero 6EtVov la sua natura, dionisiaca la sua esplosione vitale e il panismo naturale in cui vive. La danr.a sfrenata, lasciva. sgangherata, in abiti laceri, con cui si conclude la prima sequenza, ha proprio i tratti salienti del dionisiaco e non può che apparire dionisiacal'ambienazione nomunadellaesibizione (almeno nel racconto di de Vilallonga «La notte era calda, superba. Sotto la luce della luna, la spiaggia tremolava come argento vivo») e persino la sua maschera deforme e conturbante («aveva una testa da leone, occhi cinesi, una bocca grandissima, come di caucciù, che contorceva.) e addirittura il suo "travestimento" buffo e quasi circense-carnevalesco («era vestita di una maglia da marinaio a righe blu e nere, e di una sottana di cenci»). Del resto l'elemento deforme e mostruoso della Saraghina, con la mescolanza di tratti umani e bestiali, come nelle antiche creature mitologiche, viene ribadito dal disegno demoniaco intravisto nel libro di magia nera del fantomatico zio Alboino, narrata soltanto da de Vilallonga: Zio Alboino e i suoi libri mi affascinavano. Uno dei volumi appoggiati sul tavolo era un rirualedi magia nera. Lo aprii - o piunosto, si aprl dasolo appena am ebbi sfiorato con un diio - a una pagina ricoperu di disegni medievali raffiguranti il Diavolo -

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FllltOFdlinJ

Bafumetto, sa"Ondo l'appelbtivo ermetico di mio :zio - sono rune le sue forme. Angelo, bestia, mo. stto. Nel bzsodella pagina, disegnata in Datti sottili e neri, riconobbi, srupe&tto, la Saraghina. Aveva un corpo di ln,pardo. un SLlkTr gnuuk co= il mondo, e in lata 1111/l corona sdruillanu di pktrr prrziog ,r,jfigumnli o«hi umani. A pane questo, la stessa b«az da orco 11./famalO, gli stessi o«hi di dr1lfD llSilllko, la stessa bof(llflill di •lii• iMmilllll Il vipere 111poslO delle 11t,j,e. TrrTIIIDl4iJ in rune le membra. richiusi il libro e salii a dormire in pun12 di piedi.

Di fronte a questa creatura mostruosa persino i marinai a cui lei si concede sulla spiaggia dovrebbero munirsi di coraggw («La sera, sulla sabbia, si concedeva ai pescatori che avevano il coraggwdi avvicinarla,,) ed è proprio il coraggw che manca ai ragazzini di fronte alle sue urla temporalesche («Eravamo tutti e cinque paralizzati dal terrore. Non avevamo nemmeno il coraggw di reaocedere,,). Ma il piccolo protagonista, un Fellini bambino di appena otto anni («avevo otto anni», «eravamo piccolissimi, avevamo sene o otto anni»), è l'unico che vince la paura e ha il coraggio di avvicinarsi per consegnarle i pochi spiccioli («Fui w colui che le si avvicinò») per poi scappare in frena («Poi mi ritirai precipitosamente,,): nel disegno della Saraghina che balla la rumba, r~ alizzato dal regista, il bambino che più si avvicina alla donna-mostro e ha il coraggio di guardarla in faccia è quello con la uniforme da marinareno e appare come il più piccolo. Interessanti a questo proposito i particolari nel racconto sulla Saraghina narrato da Fellini a Camilla Cedema e riferito nel volume Il mio Novecento: Tunia Rimini,compresi lrapzd un po'più grandi ai q1.12lis'aggregava sempre ilpka,/q &dnù:o, sapevano che per due soldi la Saraghina alzava le sottane sul

Folponld/11 Sdrr1tl,in11

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dieuo, mentre per q112ttro soldi si scopriva anche davanti. Cosl anche gli amici del pkcolo Ftllini un giorno fecero una collettaperandaredallaSaraghina e ci andarono emoz.ionantissimi al tramonto sotto uno stupendo cielo tnnpimzlaa,... .Abbiamo i soldi,, dioono i ragazzi. «Buttateli!,, & lei, ma loro non li buttano per /Jllllm chesi perdano nellasabbia. F.J è il pkcolo Frllini in cahe bianche, frantettina nera. aria innocente, chr è illlllriauo di portarglir/L Tuno trnnanu a due passi di distanza dalla donna, fiuta l'odore della Saraghina, che è d i • di pesoe, di tabacco, di legno fradicio e petrolio. u Saraghina conta i soldi e allora, mentre il cielo comincia a diventarevioletto, ha inizio il rito.•. «Un'inaedìbìle massa biancastra, una specie di Moby Oicb dice ora Fellini «che però non mi sgr,mmtò ajf11J1t1, benché, dopo, per un quarto d'ora almeno non riuscissi a dire una sola parola ai miei compagni•...

Non è difficile riamoscere in questo brano il ruolo eroico rivestito dal pie.colo Federico, che pur aggregandosi a ragazzi più grandi di lui è l'unico che ha il coraggio di avvicinarsi alla donna-mostro e di vincere la paura («una specie di Moby Dick che però Mn mi sgomentò ajfatttJ, benché, dopo, per un quarto d'ora almeno non riuscissi a dire una sola parola ai miei compagni»). Del resto aa:adespesso nei miti e nelle fiabe che l'eroe sia incarnato proprio dal figlio più pie.colo, il quale con coraggio e intelligem.a porta a termine un'impresa ardita grazie alla quale talora riesce a portare in salvo i suoi compagni o i suoi fratelli: un motivo tradizionale presente nella fiaba di Perrault Pollidno (1697) o ne Ii brutto anatroccolo di Andersen ( 1843), solo per fàre qualche esempio19. 28 Ceclerna, // mio Nwn:mlll, ciL

29 Autori di fiabeua quelli che Fellini predili&eva dr. Chandler, lo, F«krico Ftllini, cit., p. 116 e292 s .

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F4MFdli,.;

Ma a rendere davvero eroica l'impresa del piccolo Fellini è il fatto che egli fugge di nuovo dal collegio (in 8 J/2) o da scuola (Cedema «scappando con un pretesto dalla scuola,,) per tornare da solo a far visita allaSaraghina(«torna a ttovarla da solo con la sua divisa da collegiale», «una decisione che olttepassava di gran lunga il coraggio dei miei otto anni»~. E qui avviene qualcosa che ha del miracoloso. Una duplice trasformazione. Tuno ciò che di selvaggio, deforme e perturbante aveva caratterizzato la donna sembra essere svanito, nel piccolo Federico, d'alno canto, non sembra essere rimasta traccia dello sgomento e della paralisi prima suscitati dalla paura. Anche il tempo e lo spazio paiono fare da sfondo e da cornice a questo cambiamento. Non più la calda none estiva («Era piena estate. La notte era calda, superba. Sotto la luce della luna, la spiaggia tremolava come argento vivo») o il livido tramonto che anticipa la burrasca («ci andarono emozionantissimi al tramonto sotto uno stupendo cielo temporalesco-), come momenti carichi di turbamento, bensl il limpido mezzogiorno, in una bonaccia senza vento («in una giornata luminosissima col mare calmo e profumato. Non c'è nessuno e in questo si/enzjq incantato», «a mezzogiorno•, «Questa volta, la vedevo in piena luce. La spiaggia era deserta sono il sole ardente. Al largo, delle barche attendevano il vento sul mare immobile»), che ricorda l'ambientazione omerica dell'incontro con le Sirene (Od. 12, 165-169):

30 Cosl Fellini raca>ntò a Jos&-l.uis deV dal.longa (Ho sogn,ztoAnilll 8bng. ln1nvis1a llmll di svmirr. La voce mi dice di andarmene oppure di scacciar-e immediatamente la mamma. I.e madri non sono a m - e, in più, al mDStro 11lllrino la mamma non piace. Riprendo il oontrollo e batto le maru. Ne traggo un 1W1JO~ di III01W. Ordino alla mamma diandmene. Scompare. Non dico che se ne va. sempl;cemente smmpare. l.agig,mtnazftmminll mtUÌIIII mi chiamacon ungaJD. Vuole che mi 11llllidni. Èquello che voglioanch►io. Non senza paura ricordo che la mamma mi ha avvertito che il mostro fui di me un solo boccone. F.ppure misembra in11U11nuanchesemi u11wiu...mpo'. Immagino che il suo interno debba esme molto caldo. Avanzo. Equi mi svegliai. Dopo quel sogno, 1Wn fai più un bambim;a. 38 Chandler, lo, Frdnico Ftliini. cit, pp. 80-82.

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La casuale visione di un disegno in un quotidiano, che riportava la insolita notizia di un "mostto marino" rimasto impigliato in una rete da pescatori, avrebbe generato in Federico quattordicenne una intensa attività onirica: nei sogni quel mostro fuoriuscito dal mare sarebbe apparso come una donna dalle gigantesche dimensioni. Fellini raccontò alla giornalista americana la prima di queste visioni notturne che avrebbe segnato, a dire del regista, la sua iniziazione alla vita adulta. Nd sogno, dunque, Federico ragazzino desidera avvicinarsi il più possibile a quel mostro, qud mostro solletica la sua f.mtasia e il piacere del disegno, ma la mamma. che gli è accanto, cerca di distoglierlo, di inibire la sua curiosità inrutendogli paura e infondendo in lui il tenore che quell'~re abnorme possa divorarlo in un solo boccone. La mamma Ida e il suo fervido cattolicesimo svolgono nd sogno la stessa funzione narratologica. lo stesso ruolo di antagonista che in 8 J/2 è ricopeno dal collegio e dai preti, rappresentano la voce di autorità, la repressione delle pulsioni istinruali, tutti quei divieti e quei freni inibitori con rui il super-ego inf.mtile deve f.u-e i conti. Ma Federico, nel sogno, non accetta imposizioni, disobbedisce ai divieti materni e, vincendo la paura, osa avvicinarsi al mare e al mostro smisurato che potrebbe inghiottirlo: eroica la sua impresa e analoga per alcuni aspetti iniziatici a quella romanzesca del burattino Pinocchio finito nel ventre del Pesce-cane o a quella del capitano Achab sulle temerarie tracce di Moby Dick. Il contatto a riva col mostro onirico, che nella f.mtasia di Federico dovrebbe nutrirsi di grandi quantità di alghe e non certamente di bambini (anche la Saraghina del resto è immaginata cibarsi di chili di pesce e odorare •fortemente del pesce di rui si nutriva, ddle alghe che si mescolavano ai suoi capelli•), determina la sua

Fol,:,,rrJJJo"4J/4 Stlrr1t/,iNt

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metamorfosi: la creatura marina, una volta fuoriuscita dalla acque, si presenta come «una donna gigantesca.. Esattamente come la Saraghina, ambivalente risulta il suo aspetto («È bellissima e minacciosa al tempo stesso, il che non mi sembra una contraddizione», «mi sembra invitante anche se mi terrori= un po») e ha seni davvero «strepitosi', «anormalmente grossi» (le «tenone ballonzolanti» a cui fa riferimento Serrano). Se in Fare un film Fellini, parlando della Saraghina, aveva commentato «è una rappresentazione infantile della donna, una delle varie e diverse espressioni delle mille nelle quali una donna si può personificare,,, nel raccontoonirico fanoalla Chandler eglidichiaradiaver «sempre percepito che la bellexza muliebre assume le più disparate forme e dimensioni». Anche nel sogno, come nel racconto della Sa.raghina, alla visione traumatica della donna-mostro si accompagna una voce imperativa che terrorizza tutti i presenti: la gigantessa chiama per nome il ragazzo e gli chiede di cacciare sua madre. presenza non gradita («si rivolge a me, e tutti mi guardano. Sto arrossendo, temo, come una ragazzina. Ho le vertigini, ho paum di svenire»). Con un battito di mani che produce un temporalesco «rumore di tuono» il giovane Federico ordina con autorità (il tuono di 2.eus?) a sua madre di andarsene: fino a quel momento era stata «lei la figura autoritaria perché mio padre non è era quasi mai». A questo punto ladonna, con ungesto altrettanto imperativo, lo invita ad avvicinarsi e qui si consuma il vero incontro iniziatico nel totale superamento della paura da parte del ragazzino, la volontà di un contatto che peraltro è reciproco («Vuole che mi awicini. È quello che voglio anch'io»)e che assume i connotati di una iniziazione sessuale («Immagino che il suo interno debba essere molto caldo») e di una vera e propria fuoriuscita dall'infanzia

FllltOFdlini

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nell'approcciocon l'altro sesso(~ qui mi svegliai. Dopo quel sogno, non fui più un bambi111J1>). In un suo disegno Fellini rappresentò un sogno in OlÌ viene ritratta una gigantem. marina, raffigurata proprio nel momento in OlÌ emerge dalleaap1edd mare. &attamente come il giovane Telemaco dopo l'incontro con la dea Atona, la quale, sono le mentite spoglie di Mente re dei Tafi, gli ha infmo animo e lo ha spronato ad agire (Odissea I vv. 96 ss.), il ragazzino ha superato tutte le sue paure ed è finalmentediventato un uomo (vv. 293-297): E poi, dopo aver compiuto e &no ogni cosa. allora medita nella mente e nell'animo come tu possa uccidere nelle tue case i prettndenti, con l'inganno o affiontandoli: non [devi più averei modidi un bimbo. pen:héormai nonsei tale".

Telemaco ha inoltre trovato il coraggio di dare ordini asua madre(vv. 356--359): «Ma va' nella stanza tua, aocudisciai lavori tuoi, il telaio, laconocx:hia, e comanda alleanoelle di badare al lavoro: laparolaspetteriquiagli uomini, atutti eamesopranuao, cheho il poiaequi incasa,,...

E soprattutto di affi-onwe l'ignoto per mettersi sulle tracce del padre lontano (vv. 319-322): Detto cosi, la glaucopide Atena andò via. rapida come un uccello si mosse; e a lui pose fonae coraggio nell'animo, e suscitò un ricordo (del padre più vivo di prima". 39 Omero, Odissea, cit 40/bidnn. 41 Ibidnn.

Fo/l""1'0"4l/,, S4n1tl,iNI

L'ARra DEL

CANTASTORIE.

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A FANO

DA COLLl!GlALB

o

A

RIMINI DA MARJNARl!'ITOl

Alla luce della analisi fin qui condotta sui testi che riportano la storia della Saraghina, si rende necessario, con una sorta di Ringkompositwn, tornare alla questione del luogo di ambientazione della vicenda, con cui si è aperto questo capitolo. Perché Fellini nel film 8 112 decide di ambientare l'inconao con la Saraghina nella città di Fano anzichésullaspiaggia di Rimini, dove esso, ammesooche sia reale, verosimilmente avvenne, considerato il maggior numero di testi che f.umo espliciti riferimenti alla città natale del regista come luogo della storia? Del resto lo stesso termine "saraghina", con cui si designa la piccola acciuga (chiamata anche "sprano• o "papalinaj, da cui 42 deriverebbe il soprannome della giga.ntessa , pur presente anche nel lessico marinaro fanese'3 risulta certamente più comune nell'uso dialettale romagnolo. La scelta della spiaggia di Fano si rende ruttavia necessaria nel momento in cui, nello storytelling del film, il regista costruisce una stretta connessione narrativa tra il collegio fanese dei padri Carissimi, rappresentato in 8 112 come il luogo per antonomasia della repressione religiosa e l'incontro con la prostiruta, che simboleggia la diabolica scoperta iniziatica dell'altro sesso e che proprio all'interno dell'istiruto religioso troverà una rigida punizione. Riporta a tal proposito la Chandler. 42 lnb!ressanb! noW'e come il soprannome attribuito alla prostitudunque al "mesuere• praticato dalla donna, 6nisoe per risul12re un diminutivo (di saraga) e dunque in contrasto, in antitesi con l'aspetto, tutt'altro che minuscolo, della gigantessa. 43 A. Silvi, E. Simoncelli (a cura di), Come parlano i fanai. Volunu1. DizimuzriQ, Fano 2004, s.v. SIZTt1f1J e san,gmna, p. 338.

12, pur contenendo un chiaro riferimento al turpe baratto e

p4n0FdJi,u La donna era un mistero perché era inacoessibile, a ea:ezione ovviamenre delle praJli- che avrebbero

con quasi assoluta certezza presieduto alle tue primr esperienze. alla tua inizillzioM, una cosa stupenda perché avveniva di TIIISQ)Slil, infrangendo mille proibizioni, e per giunta conun'emi.mrio del DÌIIIIOftlA.

Del resto, preti e sessualità risultano indissolubilmente collegati'5: I primi rudimenti di educazione sessuale mi vennerodai preti, che ci mettevano in guardia dal •loa:ara., suscitando 1112pi in qualche ngaz:zlno dotato di scarsa immagirw.ione cene idee che altrimenti non gli sarebbero mai venute. Mi sono chiesto spesso cosa insegmssero le suore alle ngaz:une nelle loro scuole. Enfatizzando il sesso, anche in modo negativo, il canolicesimo produce il risultato esattamente opposto a quello che si propone. Rende il sesso 05sessivamen1e inll!ressante.

Le due ambientazioni (il collegio e la spiaggia) sono cosl intrecciati nel film da costituire un unico sfondo, ideale e archetipico, per un racconto di iniziazione e ingresso nel!'età adulta, pur essendo tali luoghi cosl antitetici nelle loro valeru:e simboliche (chiuso-apeno, prigionia-libertà, peccato-trasgressione): essi tuttavia acquistano una maggiore fona narrativa se collocati a distanzada Rimini, lontano cioè da figure familiari protettive e da un ambiente conosciuto e rassicurante. La solitudine del piccolo eroe protagonista, la sua lontananza da casa dopo aver abbandonato, seppure temporaneamente, le figure genitoriali e il contesto solito di vita, quella sorta di "addestramento" spartano fatto di pasticonsumati in comune con i coetanei edi rigide re-44 Chandler,/o, Ftdma, Ftliini. cit, p. 3 I. 45 Ihidnn, p. 33.

Fo/~J,d/,s S4ntt/,iNI

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gole morali inculcate anche amaverso un sistema di premi e punizioni, dovevano acuire e accentuare il valore iniziatico di tale prova. Di riflesso, anche la conseguente ambientazione della vicenda della Saraghina a Fano e non a Rimini, in un luogo "altro" e lontano rispeno a quello natio, acquistava una maggiore forza nanativa e doveva forse caricarsi di ulteriori suggestioni. La fuga in solitaria e di nascosto dal collegio alla spiaggia, luogo selvaggio e marginale, in cui avviene l'incontro con il mostro marino (una sorta di Vmus venuta dal mare), assume anch'essa un sapore fortemente iniziatico (una vera 1epumria spartana!"',, dato che presuppone una sorta di sopravvivenza del piccolo eroe rispeno alla marginalità affrontata in solitudine e il superamento della paura insita nella prova di coraggio 47• Inoltre, nulla impedisce di pensare che Fellini, immaginando la Saraghina a Fano, fosse suggestionato anche da altri elementi e in particolare dalla presenza nella cittadina adriatica, proprio nei pressi della spiaggia, di un 46 Sulla ,cpuxuia spartana si veda Pluwco, Vita dil.iaago 28, 3-7. 47 Del resto una vera e propria iniziazione alla sessualià, Federico la ebbe lontano da Rimini in una casa di tollerama di Roma: «Quando arrivai a Roma ero v~ne. Non l'avrei mai ammesso con i miei giovani amici di Rimini che avevano avuto numerose esperienze sessuali ••. a quanto racoonravano [...). Fu a Roma che speriment:ai la lì.sicià del sesso, cioè il &rio con un'altra persona. Ero ansioso di compiere quel salto, ma volevo riuscirci senza dovermi impeemre [•..). La risposta mi parve prendere corpo- il gioco di parole è voluto - nel bordello. L'atteggiamento verso le •case chiuse• allora era diverso da quello odierno. Era un aspetto della vita accettato dal rutti. Aveva anche l'aria di qualoosa di proibito, trasudante colpa. La presenza del Diavolo, che probabilmente era incarnato nella ma!tresse, aggiungeva il rischio di mentre a repentaglio la propria anima. li cattolicesimo ha &tto moltissimo per rendete snm.ichevole il sesso. senza che h>.5$1? necessario,, (Oiandler. lo, FtdniuJ Ft/Jini. cit., p. 47 s.).

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F11noFdJi,,;

noto casino che egli forse di recente era venuto a sapere ~re stato frequentato da suo padre Urbano"'. Anche l'antico nome latino della città (F)anum (F}ortunae poteva risultare agli occhi del regista particolarmente emblematico e suggestivo in relazione alle iniziali (le stesse del regista) e alla combinazione in esoo di un termine del lessico religioso-saaale (il "tempio", il fanum appunto) associato tuttavia a una dea latina primigenia (Fornma), venerata con diversi attributi erotici nell'antica Roma''. L'immaginazione del regista ha visto pertanto nell'esperienza collegiale fanese vissuta dal fratello Riccardo e forse nella propria breve permanenza presoo i Carissimi50 una preziosa possibilità da amplificare e sovradimensionare al fine di accrescere la potenza del suo racconto iniziatico: di queste esperienze forti, che si sono impresse in modo indelebile, nel suo immaginario, il cantastorie Fellini si è nutrito per rendere più efficace, più avvincente a livello filmico-narratologico il percorso iniziatico del piccolo protagonista. La vicenda della Saraghina offre cosl l'occasione per una riflessione più ampia sulla tecnica felliniana di storyttllin~ su cui peraltro il regista ha più volte espresoo le sue idee: Molto èstato dettosullanantraa111obiografo:a del mio lavoro.sul miodesiderio di aprinnia>mpletamente. lo uso le mie esperienz.e come un'ìnlLlaÌIIIUra, non si tratta di un rq>or14ge dmag/ialo. Non mi interessa parlare a111ohiogr11fiamim1e perché io rivelo meno di 48 Si veda p. 67 ss. e 84 ss. 49 Sui caratteri della dea Fonuna nel mondo latino si rimanda al saggio di L Magini, La tka hmdllta. /.Q sda1111111Di""' Mll'antira Rmna. Diabasis, Panna 20ffl. 50 Sullaeffettiva presenza di Federico a Fano pr50 il collegio dei padri Carissimi si veda p. 174 ss.

157 mestesso parlando della mia vita reale di quanto non faccia quando parlo di àò che c'è sono, delle mie fanlllS~. dei miei sogni, della mia i1111NZfinazÌ1111t5'. Nonsono interessuo alla storia dell'uomo quanto lo sono a quella della sua i111JNZfinaziqne. Vorrei essere definito 11111lllmllll1r di storu. Dena alla buona, mi piace invm111rr storu. Dalle caverne a lito Peaonio. dai trovatori a Charles Perrault e Hans Christian Andersen: mi piacettbbe inserinni in questa tradizione con film che non sono né narrazioni né saggi, ma 11UJobiografo approssimlltr, T111Xonli 11rmttipi di vila 1'111XDTllllli con 111111 cfflll ispirazionr. È questo che cerco di fueSz.

Ma il cantastorie Fellini ci consegna una descrizione ancora più chiara ed esaustiva della sua tecnica narrativa. in cui fondamentale risulta il ruolo giocato dall'immaginazione e non dalla realtà oggettiva. Fellini, come un pittore, risistemava i dettagli, abbelliva e colorava le sue storie, espandeva e sovradimensionava alcuni particolari al fine di migliorare il racconto, creare «una buona storia,,, anche a costo di produrne «diverse versioni»: Chiunque, come me. vive in un mondo di fanlllSill e i111JNZfinaziqnr deve compiere un enonne, innaturale sforzo per essere prmso nel senso comune del tennine. Io non mi sono mai trovato bene con le persone prtdsr. Non potrebbero mai usanni come testimone in tribunale. E come giornalista. ero terribile. Io mi sentivo spinto a raccontare un avvenimento come l'avevo visto, il che raramente era il modo in cui era davvero avvenuto se consideriamo un punto di vista oegettivo. Voltvo cm fossr111111 buon11s1oria. tosi mmlllimmtr fil risistmuwoqui r là. La cosa più strana è che aedo alla mia versione di àò che avevo visto e trovo strano che nessun altro la 51 Chandler.Io. Ftdni«, Ftl/ini. àt, p. 101. 52 Ihidnn, p. 116.

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F""'1FdliN

ricordi come la ricordo io. Io sono l'unico a aedere in me, alk mk vmioni ab!N/Ji~. Mi accusano di essere molto fonwioS4 nel raccontare la s1oria dL/Ja mia vila. Ma la mia vita mi appartiene. Sedevo riviverla a parole perché non sis1nnau un po' i dmagli f>" mipl11tlrla? Mi hanno aocusaro, per =mpio, di aver raccontato divme vmioni del mio primo amore. Ma lei ne valeva molte di più! Io non penso a me stesso come a un bugiardo: è una questione di punti di vi.su.. Un namtore di storie deve mipl111lrr i llllli rammti, toltmuli, espande,/;, 14,mzdimmsionar/i. Lo &ocio nella vita come lo fu:... cio nei miei film. A volte il motivo è che davvero non ricordos,.

53 Ibidmr. p. 272.

IL COLLEGIO S. ARCANGELO E I PADRI CARISSIMI NELL'IMMAGINARIO FELLINIANO

Ho ricorcil giovanili che mi sono sempre rima.sti presenti, anche ~ a mano a mano che aesc:evo, tendevanoascolorirsi. NonwM sicuroH si rifnisc11no a f111ti rmlmmiracaululi oppure ""· Alcuni ris3lgono a prima della mia memoria verbale e vivono nella mia mente solo come immagini. Ora. col passare del tempo, non ho più la cm lidi ricordi riguardino proprio r,u: o Mn pi111U1Sto qua/nln abro cm r,u: li ha pralllli, come sucoede a molte delle cose che rammentiamo. Quel che so è che questi ricordi mi appanengono ed esisteranno come miei finché esisterò io. Chi avnbbepotuto tatimoniare della loro wridicità Mn 11ive più da lrmpo e, se anche ~ ancora tra noi, probabilmente non ricorderebbequei fatti nello stesso modo in cui li ricordo io, perché la memoria oggettiva non esiste. È difficile dire cosa ricordiamo. Abbiamo davvero questi ricordi remoti o si tratta di rimnnbronu 11/JruP. Sono cose realmenteaocadute? O si trtzltll wlo di qwl cm d è stiliti rruron1tzto? I miei sogni mi sembrano talmente veritieri che, anni dopo, mi chiedo: «Ma questo mi è veramente successo oppure me lo sono sognato~ 1 •

e=

l Queste le parole che Fellini rifèrl alla giomalistt americana in diandler,/o, FalmeoFellini, cit., p. 20.

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FillloFdJi,.;

L'immagine del collegio ricorre con insistenza quasi ossessiva nella produzione cinematografica felliniana. oocupando un posto privilegiato nella costruzione di 8 J/2, ma trovando riferimenti puntuali anche ne La dolcevita, in Roma, in Amammi e persino nell'ultima fatica del regista, La voce della /Ullll. Il collegio, a detta del regista, avrebbe addirittura avuto un ruolo rilevante nel film, mai realizzato e soltanto a lungo fantasticato, che Fellini intendeva incentrare sui bambini 2• Come il molo, il caffè, il bordello, il Grand Hotd, il cimitero, il circo, etc., anche il collegio diventa un luogo icastico dell'immaginario felliniano, diviene metafora di tutte quelle storture educativo-repressive che, da un lato inibiscono la libera espressione e la fantasia del giovane discente, dall'altro, paradossalmente, attivano e sviluppano, in alami soggetti, desiderio di trasgressione eimmaginazione3. Fellini ha spesso descritto e raccontato questa istituzione - soprattutto nel corso delle sue interviste "fiume" - e ne ha costruito, a livello cinematografico, un luogo emblematico della sua infanzia, valendosi, certamente, di sue esperienze dirette e indirette, di letture, di racconti orali, di stereotipi collettivi. Nell'attenzione particolare che Fellini riservò alle istituzioni collegiali non si può non cogliere la centralità che il mondo infantile oocupa nella sua poetica e nella sua filmografia'. 2 Si rimanda al dorumentario realizzato da André Delvawc e am1enuto in F. Fellini, uzbirinu,fr/Jini, Cineteca di Bologn2, Bologn2 2010. 3 Come il regista dichweri nell'intervista realizzata da Delvawc per la IV belga (&/lini. 1961) e in quella rilasciala alla televisione spagnola (Fellini a fonda, 1977). 4G. Scibilia. L'infimr,iat ìlànnnadi Ftdmt:o Ftllinì, in E. Becchi, D. Julia (a cwa di), Storia tk/J'infanzi4 Il Dai Snt«mu, a D,!!i l.ateru, Roma-Bari 1996, pp. 455-473.

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Quel collegio nell'opinione comune era il luogo in cui si mandavano i monelli indisciplinati, come si desume dalla energica banuta, rivolta da Aurelio, il padre di Titta in Aman:ord, al figlio disubbidiente («TI mando nel collegio dei birichini, a te!•), e a quel tempo minacciare di mandare il proprio figlio in collegio era spesso un deterrente perché egli non commettesse marachelle. La storia di Giannino Stoppani, protagonista del libro per ragazzi di Luigi Benelli (alias Vamba) Ii gwmalino di Gian B""asca5, il quale era finito in collegio per le sue birichinate, è emblematica della considerazione come luogo punitivo e repressivo in cui era tenuta questa istituzione. Fellini ebbe tra le letture preferite della sua infanzia e prima giovinezza proprio il diario di Giannino Stoppani', questo ragazzino isaionico, un po' buffone e pieno di inventiva, in cui il piccolo Federico sicuramente si identificava7. L'esperienza della reclusione in collegio, che offriva a Gian Burrasca l'occasione per organizzare scherzi e beffe a non finire e addirittura per "sovvertire" il sistema, doveva costituire agli occhi del ragazzino riminese un'oocasione eroica di trasgressione, nella quale proiettare le proprie esuberanti fantasie.

5Vamba. Jlgiqmlz/Jnq di Gian Bun= RMsw, corn1w uomplnaBempond, Firenze 1912. 6Fellini dichiarò, dutanteun'inle!Vista televisiva trasmessa neloorso di una punta12 del programma "Controf.atica•, di aver letto da ragazz.ino li giqmlzJJnq di Gianbunasaz e di averooltivato il desiderio di saivere un diario soltanto dopo quella lettura e poi non più (Lr fawk di Ftllini, cit., p. 59). Cfr. anche O. Maroni, G. Ricci (a ain di), / libri di C11S11 mia. La bibliot«a di &IU'riuJ Ftllini, Fonda7.ione Federico FeUini, Rimini 2008, p. 15. 7 NeU'intervista realizzata dal regista Delvaux al miaofuno di Dominique Delouche (cfr. Labirinto Ftllini, cit.) il regista definl la sua natura di bambino proprio istrionico-buJfonesca. lll,

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F111tt1Fdlini

L'altro stereotipo associato alla realtà collegiale e vivo nell'immaginario collettivo prevedeva che si trattasse di un luogo in cui a dominare fosse il sentimento della paura: i raga2Zini in collegio avrebbero certamente provato la paura dell'abbandono, del buio, della solitudine, dell'autorità repressiva e soprattutto quella associata al senso di colpa. Paure ancestrali, analoghe a quelle suscitate da certe fiabe, avvertite talora come fonemente traumatiche, ma talvolta percepite anche come situazioni iniziatiche, da superare per diventare grandi. Da una poetica similitudine contenuta in una battuta pronunciata da Guido Anselmi, il protagonistadi 8 112 e rivolta a Claudia, la "salvifica" ragazza della fonte, emerge proprio questo motivo della paura associato a un paralizzante stato di soggezione tipico di chi deve sottostare alle regole di un collegio («Quanto sei bella. Mi metti soggezione, mi fai battere il cuore come un collegiale,,). In questo caso una soggezione mista a eccitazione, di fronte all'incanto della belleaa femminile, capace di far fonemente emozionare l'animo di un raga2Zino. D'altro canto, il collegiale, represso e disciplinato dai preti, non poteva che sognare la trasgressione e la possibilità di sperimentare una sessualità proibita e considerata «demoniaca,,, come rivelano del resto la fuga e l'incontro con la Saraghina in 8 J/2 e la vicenda della diapositiva osé raccontata in Roma. A questo proposito, lo stesso Fellini, dwante i numerosi provini e le ricerche intraprese trai! 1961 e il 1962, per individuare un'attrice«vorace e sonnacchiosa», «tenera e burrosa, materna protemice e provocante», adattaa impersonare l'amante Carla,ebbe a dichiarare alla giornalista Camilla Cedema: «Sto vivendo il sogno di un collegiale dei miei tempi••. 8 Cedema(a curadi),8 112 di Ftdni&o Ft/Jini,dt., p. 40 s.

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Ma il contatto con la realtà collegiale, oltreché filtrato dalle letture romam:esche e da un certo immaginario collettivo, dovette interessare direttamente Federico e la sua fu.miglia nei primi anni Trenta: fu, in particolare, suo fratello Riccardo ( 1921-1991), forse per il suo carattere vivace e irrequieto' o per lo scarso rendimento scolastico10, a essere mandato in collegio per un anno. Riccardo venne iscritto nell'ottobre 1931 presso il Collegio S. Arcangelo di Fano gestito dai Fratelli delle Scuole Cristiane, detti Padri Carissimi, appartenenti ali'ordine dei Lasalliani, una congregazione religiosa laicale fondata a Reims nel 1682 da San Giovanni Battista de La Salle, con il fine di dare un'istruzione gratuita ai bambini delle classi più povere della Francia di allora, e contraddistinti dalla tipica "facciola" bianca, che cade sul peno divisa in due bande (chiamata in francese "le rabat blmu! e detta comunemente in dialetto fanese "la bavarola"). La pettorina bianca su tonaca nera che Fellini farà indossaread Anita Ekberg ne La dolce vita.

9 Kez.ich, Ftdmt:o Ftliini, la vùa ti film, dt., p. 17: «Nei giochi in&ntill Federico si rivela riflessivo e soliwio, in ogni caso più tranquillo di Riccudino che f2 dispenre eswda tutto,,. 10 Se nell'ottX>bre 1931, all'eù di died anni e mm.o, Riccardo vieneisaitto a Fano allaquarttelementare, foiseeraswo bocciato oaveva comunque peno un anno scolastico.

Dr«padri Carissimi di Fano "'n la tipiaipmorina bianaz lkl/a conche illlkJSJml Anilll Dkrg M La dolce vita.

grrgazioM fai4flia'III

La pagiM lkl rqjstro lkl 0,/kgio S. A=trloin "'i comparr l'ismzion~ di Ricazrdo.

Dai registri del collegio, da me personalmente consultati, risulta che Riccardo frequentò a Fano come convittore la quarta elementare, da ottobre 1931 a giugno 1932, mentre la sua presenza non è dorumentata né per la terza né per la quinta11• 11 Si veda anche quanto riporwo da Carlo Moscelli, li 0,/kgio S. Araznulo. Mi ria,rdo... (1905-1978), Banca di Credito Cooperativo di Fano. Fano 2005, p. 28: «Per anni è àroolata la leggenda che fusse stato nel CoUegio S. Arcangelo anche Federico Fellini e che poi, in alcuni suoi film, si fusse ispirato a Fano. A frequenwe

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Ci si potrebbe chiedere perché venne scelto proprio il collegio fanese per il piccolo Rie.cardo. Siruramente a quel tempo il S. Arcangelo era un'istiruzione rinomata, che raccoglieva alunni da un bacino di utenza piuttosto ampio e molti di loro venivano proprio dalla Romagna. Il babbo Urbano, inoltre, era solito venire a Fano in treno per lavoro e questo avrebbe agevolato e favorito le sue visite al figlio o eventuali colloqui con gli insegnanti. Il collegio, proprio nel corso del 1931, aveva subito grandi lavori di restauro per riparare i notevoli danni causati dalla fone scossa di terremoto, che aveva colpito Fano e altre città delle Marche il mattino del 30 ottobre 1930, danneggiando pesantemente la pane veochia del collegio. Dunque, quando nell'ottobre del 1931 venne iscritto il piccolo Rie.cardo, la struttura dell'edificio era stata completamente rinnovata e forse fu anche in virtù di questa ristrutturazione dell'edificio, particolarmente attrattiva per Urbano e Ida, che essi decisero di mandarvi il figlio. I convittori avevano l'obbligo del silenzio quando procedevano in fila e dovevano scrivere ogni domenica ai genitorP 2 • Forse Federico, in quell'anno già ginnasiale a Rimini, ascoltò o lesse con curiosità le lettere inviate da suo fratello e la sua fantasia e sensibilità nerimasero impressionate. Il 14 maggio 1932si registra tra i doaunenti conservati una gita al Furio degli alunni del collegio 13 e, se coinvolse le classi elementari, potrebbe avervi panecipato anche Rie.cardino, dandone magari notizia a casa e fornendo dei particolari del viaggio il Collegio, 4' elementue dell'anno scolastico 1931-32. fu invece il fratello Ria:ardo, di un anno più giovane del grande regista ed il cui nome poi scompare dall'annuario del 1933. probabilmente perché a Fano chiuse con le elementari•. 12 Ibidnn, p. 13. 13/bidnn.

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alla famiglia tramite lettera. La Gola del Furio sarà una delle tappe del percorso attraverso l'Appennino, prima di raggiungere Fano, di Guido e la sua amante nel trattamento di V'uzggio con Anittz. FelUni racconterà in numerose occasioni di aver vissuto per anni come collegiale al S. Arcangelo di Fano e sarà proprio nel collegio fanese che egli deciderà di collocare alcune famose scene di 8 1/2. Nella lunga e appassionata intervista alla televisione belga girata dal regista André Delvaux nel 1961, egli, mentendo spudoratamente, dichiarò di avervi addirittura trascorso 4-5 anni. Secondo quanto riferisce il biografo del regista Tullio Ketlch, Fellini avrebbe più volte affermato di aver passato nel collegio di Fano la terza e la quarta elementare, informazione naturalmente smentita dalla lettura dei registri ufficiali: Q)Jellache non ttovarisc»ntto nella realtà dei registri soolastici,è la conclamata &equenw.ionedi due anni delledassi elementui, te11.a equan:a, come convittore interno presso il collegio ea:lesiastico dei Padri Carissìmi a Fano. Alla luoe di risc»nai obieaivi, è reto che Fellini in questo collegio non à mise piede. Ci 11W1darono Ria:udo, e forse Federioo visse la durezza della disciplina e i traumi per proaua. nei racconti del fiaidlino. U fatto che il vero protagonht:a possa essere stato Ria:udo e non Federioo, non toglierebbe niente. s'intende. alla verosimiglianzadel relativo episodio di 8 112 di cui lo sceneggiatore Ennio Flaiano, in quanto ex convittore di un collegio religiom, si considerava il legittimo protagonht:a, tanto che nel corso dell'annosa &ida oon Fellini si lamentava: «Mi harubato tutto, anche la mia vira.".

L'esperienza toccata a Riccardo in quel di Fano e verosimilmente raccontata nei dettagli al fratello rimasto a 14 Kez.ich, Ftdni&o Ft/Jjni, la IIÙIU i film. àt., p. 18.

J/cr,/1,fio S. Ar l'infanm in ampagna dalla nonna e nei collegi dei preti, moltissimo, a Fano. a Forll, a Ravenna".

È evidente da questo breve passaggio la volontà del regista di costruire un'immagine di sé come collegiale itinerante e di amplificare quelli che erano stati probabilmente dei brevi soggiorni fuori Rimini, per motivi familiari o scolastici17, in aù verosimilmente egli aveva ttovato 15 È singolare che la zebra malata incontnta nel circo a Fano durante la sua fugacbl collegio, di cui Fellini 1'2CCOnta la&ntomatica e 1eriera storia a Dominique Delouche sotto la regia di Delvaux, provenisse proprio da Senie;allia. dovequalruno le aveva somministr.Uo della àOla!2. facendola ammalare. 16 Intervista radiofonica a Femaldo Di Giammanm nella quarta puntata di •Registi al miaofono• andata inonda il 19 agosto 1958. 17Presooil l.ioeoMoigagni di Fodl,Fellinie isuoi compagrusostennero gli esami orali per la manuili (gli sailti si erano svolii invece

J/cr,/kfio S. Amllfr;r{oe i pdri Otrissimi

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alloggio presso strutture religiore. Quello checolpisce nel testo dell'intervista è la precisazione "moltissimo", collocata tta due virgole, che dà enfasi all'affermazione e, per contrasto, fa trapelare proprio l'inconsistenza o addirittura l'infondatezza di quanto viene deno. In un racconto fatto a José-Luis de Vilallonga nel 1963, relativo al suo desiderio di diventare prete ali'età di dieci anni, Fellini racconta addirittura di aver trascorso un periodo in un collegio di Urbino, a cui fa risalire un sogno angoscioso e colmo di sensi di colpa, che ha per protagonista un prete-bambino 11 in lacrime - il proprio sosia - a cui egli si avvicina planando come •un uccello celeste». Una notte - all'epoca ero in collegio ad Urbino -. feci un sogno straordinario. Vedo ~ • fra il cielo e la terra, circondato da nuvole nere come l'indiiostro,un immensospecdtio d'accwoalcentro del quale un fanciullo vestilo da prete - in rui mi riconosco, con mio gnnde srupore - mi di~va con wghi gesti delle b12oci2. Mi avvicin2i a lui - a me- pbn:ando nel vuoto con la &cilità di un uc:oello celestt. Arrivato davanti allo specdtio mi aa:orsi die il bambino singhiozzava. le guance bag,iate di laaime. «Perché piangi?» Dom:and2i al mio sosia. E sentii me stesso rispondere: «Piango perché tra podii i.st2nti, e per colpa dei miei innumerevoli pea::ati, morirò!.. Allora, alle spalle delle nubi, terrificante a Cesena), come si legge in Kez.ich, Fainia, &/lini, la viltl e i ~ cit., p. 27 («La conclusione delle prove è funeswta dal suicidio di un compagno di sruola, colpilo da depressione per non aver superatD l'esame-) e nelle parole di 1ì112 Benzi ripor12te in G. Ghiranlelli, GuùiaaUa Rimini diFe/lini, Panozzo Editore, Rimini 2001, p.39. 18 Sulla figura del pretino, il bambino o ragazzino die srudia in seminario e die sfila con alai coetanei indossando la runica nera sacerdotale, si veda qu:ando detto nel capitolo I vitdloni II FIUIO: IIN1 /oaztit,n pn/rtlll a p. 28 SS.

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p4n0FdJ;,,;

e maestosa, una voce di basso tuonò rivolta a me: «Non si uanadi morire, Federico, ma di rinasoere a vita nuow!•. In questo istante preciso, mi svegliai, in laaimeanch'io. Capii, con terrore, che, per il uamite di questostrano sogno, Dio aveva voluto avvertinni che teneva su di me un 00Chio implacabile e attento. La frase terribile del mio so.sia: «enlJ'O pochi istanti, e per causa dei miei innumerevoli peccati, morirò!., scorreva senza interruzione nella mia testa, come un ciottolo denao un torrente".

Forse in questo caso il regista si appropria di una reminiscenza letteraria pascoliana: nel collegio Raffii.ello di Urbino, gestito dai padri Scolopi, Giovanni Pascoli, assieme ai suoi fratelli Giacomo e Luigi, aveva trascorso tutta la sua f.mciullezza, dall'età di sette anni fino ai quindici, quando si ttasferl a Rimini per frequentare il liceo classico Giulio Cesare (1871). Il poeta conserverà sempre una profonda nostalgia per quel periodo di studi letterari e di amicizie con i compagni di camerata, con alcuni dei quali intratterrà una corrispondenza epistolare fino all'età adulta. Non è escluso che nel racconto fatto da Fellini a de Vilallonga. siano presenti alcuni vaghi riferimenti alla poetica pascoliana e in particolare alla poesiaL'aqudone, composta da Pascoli nel 1897 e pubblicata nella raccolta Primi pomzmi. La lirica, ispirata agli anni urbinati, contiene infatti forti elementi "aerei" associati, nel finale, al contesto lugubre per la mone prematura di un caro amichetto del piccolo Giovanni:m. 19 de Vdallonga, Ho SOf1UllO Ani111 Ekbng. lntmlislil con Ftdnico Ftllilli, dt., p. 94. Sull'immagine dell'angelo as.wdata alb condizione di collegiale, si veda p. 185 ss. 20 Con una potente immagine •aesea- e oniria. a\'SIOdatl in parte a un aquilone "umano" si april2 il 61m 8 112. Sulle as:sonam:e poetiche ua Fellini, Guem e l'ascoli si rimanda a un recente saggio di G. MiroGori, Su&spirillllllbà in Fdlini trr1Gun.anni PllJL'Oli eTf>.

Jlco{Jtrio S. Arau,fdor i pdri Otrimmi

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Ma un'altravicenda collegiale, in questo caso femminile, potrebbe aver suggestionato il regista a tal punto da indurlo a ordire la sua storia di ribellione e di fuga dal S. Arcangelo di Fano, come si racconta nell'intervista alla televisione belga. Si tratta della reclusione in collegio della piccola Anna Magnani, quando la bambina frequentava la terza elementare e aveva da poco compiuto nove anni. La mamma Marina, tornata dall'Egitto, e constatata la scarsa preparazione scolastica della figlia, decise di mandarla in un collegio di suore francesi, al n. 3 di Trinità dei Monti, nel convitto delle Religiose del Sacro Cuore di Gesù, la cui cancellata Anna varcò «con la mone nell'anima.. Dopo una serie di marachelle compiute, che rivelavano come la ragazzina mal tollerasse le punizioni e le rigide regole imposte dalle suore, venne espulsa dal col.legio, per la gioia della nonna Giovanna, che non aspettava altro: con la complicità di due amiche, e sul modello di Gian Burrasca, aveva inondato d'acqua tutto l'edificio, dopo aver apeno i rubinetti della sala delle docce, e aveva recitato in classe una pantomima durante l'ora riservata allo studio; infine, un fattaccio che gli costò l'espulsione, Anna tirò un calamaio in faccia a una suora21 • Se nel doaunentario realizzato nel 1961 da André Delvaux per la televisione belga, e persino nella lunga intervista rilasciata nel 1977 al giornalista della tv spagnola Serrano, Fellini racconta con dovizia di particolari, lugubri e inquietanti - le punizioni in ginocchio sui nino Gum11, in D. Bagnaresi,G. Benzl, R. Butera (a cura di), Ftl/ini e i/sano. Studi e testimoniano, cit., pp.57-67. 21 Sulla vicenda collegiale rebtiva all'infanzia della Magnani si veda Hochkofter, Anna Mau,anl. La biogmfa,. cit., p. 19 s. e, da ultimo, il recente lavoro di Pema, AnnaMau,ani. Billgrafazdi IIIIIZ dollll/4 cit., ap. 4.

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ceci di granoturco, le bacchettate sui geloni, i corridoi bui, le angosciose nottate in camerata, le passeggiate in fila indiana al mare e le preghiere in latino sulla sabbia - la sua permanenza come collegiale pres.w i padri Carissimi di Fano22, al microfono di Oriana Fallaci nel febbraio del 1963 il regista dichiarerà: In un collegio a quel modo non ci sono mai stato, un'estate però sono stato in un convento di salesiani ed era press'a poco cosl. Sai, questa educazione basata sulla mortificazione del corpo, le bacchettare sui geloni, che male, l'essere costretto a inginoochiarsi sul granorurco, che male, e quel sentirsi continuamente giudicati da Dio.,.

Naruralmente è difficile appurare anche la veridicità del soggiorno estivo pres.w i salesiani, che il regista descriverà, fornendo dettagli altrettanti lugubri e squallidi, sia ne La mia R;,njni che in Fan un filr,r'. Colpisce l'analogia di un particolare nella narrazione: nel dorumentario a Delvaux il giovane convittore dei Carissimi, costretto a procedere in fila con i compagni per le vie della città di Fano, guarda con invidia «la gente seduta all'interno dei caff'e» e egli altri ragazzi, cioè quelli che non stavano in collegio, quelli che stavano con la propria famiglia, seduti davanti a delle gran tazze di cioccolato», mentre in Fan unfilm Federico, semiconvittore 22 Permanenza ribadita dal rq;.stt in un passaggin di Fellini, FIZrr un .ftbn, cit., p. 17 discusso sopra nel capitolo dedicato alla Saraghinaa p. 103 s. 230.Fallaci, Ftrlma,Ft/Jini, in Id., Glillllliplltid, Mondadori, Milano 1963.1.e baa:hetwe sui geloni, chesi formavano d'inverno, mal si conciliano con il presunto soggiorno estivo nel collegio riminese. 24 Fellini, F1Z,r un .ftbn, cit., p. 22: «Qualche anno più tardi, avevo dieci anni, ho passato un'estate intera dai Salesiani della chiesa nuova: ero a mezzo convitto. l.asera mi venivano a riprendere..

Jlcolltp, S.

Arr41Jttlo~ i pd,i Otrirdmi

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pr~ i salesiani, oltte il muraglione del cortile avverte «le grida, i richiami della gente libera che andava a spasso col gelato in mano». Anche il conttibuto relativo al!'oratorio salesiano, contenuto nel recente lavoro dello storico Davide Bagnaresi, sembra apportare deboli elementi25 a sostegno della frequentazione da partedi Fellini del convitto della Chiesa Nuova di Rimini nell'estate del 1930. Del resto è lo st~ Fellini, a rilasciare nel settembre 1970, al microfono del giornalista AJbeno Michelini, questa interessante dichiarazione, che sembra smentire ogni esperienza collegiale del regista: Domrnidu di ricordi, /rgrltL ai ricordi

Sl, io i ricordi però guanb che me li invento molte volte. Non riesco più a fare una distinzione con le cose che sono proprio accadute, tanto è vero che ogni tanto mia mamma mi dice: «Ma quando mai tu sei scappato col ciroo? Ma quando mai hai fatto•.. ? Ma quando mai sei stato in collegio?.. Invece a me pare proprio che è successo, vedi un po' cosa vuol dire avere un'immaginazione accesa"'.

Una perentoria smentita all'ipotesi di aver frequentato un qualsiasi collegio venne direttamente dalla mamma del regista, Ida Barbiani, la quale, intervistata da Sergio Zavoli durante la realizzazione di un lungo documentario televisivo intitolato Un'ora e mezzo con il regista di Otto e mezzo ( 1964), dichiarò che il figlio Federico non era mai andato in collegio27. 25 D. Bagnaresi,L'brfonzia elagiovinamdi &lbnia Rimini, ciL, p. 31 s. 26 Da un'intervis12 per la televisione rilasciata dal regi.sta. che si trova nella stwone termale di Chianciano, al giornalista Alberto Michelininel settembre del 1970 e andata in onda il 3 ottobre per un servizio sul senso della domenica. 27 Nel COISIO di un'intervis12 al giornalista fanese Carlo M05Celii,

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Dunque, se sembra onnai appurato che Federico non venne mai iscritto in un'istituzione collegiale per un periodo lungo e continuativo, tantomeno nel collegio fanese, tuttavia non si deve escludere che egli abbia trascorso denuo la sauttura del S. Arcangelo un breve periodo, magari in visita a suo fratello o, come ospite convittore, soltanto per pochi giorni e che il ricordo di questa fulminea frequentazione, impressasi potentemente nella sua memoria, possa essere sfuggita ai familiari del regista. Ho infatti trovato un'interessante, quanto misteriosa testimonianza, che sembra fornire elementi a sostegno di una qualche presenza di Federico a Fano presso il collegio dei padri Carissimi. Il fanese Francesco Gerboni pubblicò nel 1992 un volume di ricordi della sua giovinezza intitolato Mmwrie di unfanese di Fano, nel quale egli racoontò di aver una volta incrociato Federico Fellini proprio nel cortile del Collegio S. Arcangelo, a cui il Gerboni, che era un ortolano, riforniva regolarmente le verdure: llcdebre regisuFellini, nel 1930. e12srudentepres. so il Collegio S. Arcangelo di Fano. In quel tempo lont2noio, al lll2ttino, portavo la verdu12 al collegio. Nel cortiledalle7 alle7.30ero co.menoadattendere la fine della lezione di ginnastica condotta dal fascista professore di educazione fisica. I convinori ben di.sciplinali, e12no alUneari in ordine di altezza; il più alto della squadra e12 il giovane Federico Fellini, con una beUa chioma di ricci capelli neri tagliata alla •Mascagni•. ancheMaddalena. lasorella di Federico, negò la presenza del fia1ello maggiore come collegiale al S. Arcangelo. Lo studio.so &nese Alberto Berudi, recentemente scomparso, inirrvistò anni & l'amico di Fellini Tani Benz.i e C01Sl saive nel volume A/Jrrstork auri nu:a,nli, àt, p. 40: «L'amico del aiore, avvocato Tani Benz.i, inconlralO a Macerata, invece C01Sl mi rispose: •Federico? Federico in Collegio a Fano non c'è maiswo, à andava il fiatello••·

175 Pure io allora avevo i capelli identici ai suoi. Un mattino i nostri sguardi s'incontrarono; il Fellini sorridente mi disse: .Onobno, i nostri capelli sono identici a quellìdi Masagni, il compositore della &mosa CaY21leriaRustiana. quindi possiamoesseme orgogliosi». li professore, udita la frase, fenna il suono deJ fischietto; la squadn si fenna di scatto, chiama il Fellini dicendog.li di non parlare durante la lezione e invitandolo poi a rientrare nella squadra. Lo richiama di nuovo ordinandog.li di mettersi sull'atttnti e di &re il saluto romano. li professore ad alta voce disse: «Sappiale: libro e moschetto, avanguardisti. penett•. L'euforia fucista era penetnta in ogni luogo particolannente nelle scuole'S.

C,ol/rgia/i tkl S. Àrt:llllgrlo in uniforme nnD1CINtto(Fano 1935).

Gerboni fa risalire questo fulmineo incontro a una mattina del lontano 1930, quando, tra le sette e le sette e trenta, nell'ampio cortile ovale del collegio, egli era in attesa che terminasse la lezione di ginnastica dei convittori per poter consegnare i suoi ortaggi. Il ragazzo identificato 28 F. Gerboni, MnMT'k di un fanne di Flllll), Soàeù lìpogralìca, Fano 1992. pp. 131-132

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FllltOFdlini

con il nome di Federico Fellini, che egli evidentemente sente pronunciare dal prof=ore di ginnastica, di chiaro orientamento fascista. è il più alto di turca la squadra e ha «una bella chioma di ricci capelli neriit t:igliata alla Mascagniz'. Anche l'ortolano a quel tempo ha i capelli abbastanza lunghi, pettinati all'indietro e senza scriminatura, con quel taglio che la moda del tempo associava al compositore de I.a azva/kria rusticana. La capigliatura sovrabbondante e scura, l'alta statura e il nome udito da Gerboni rimandano certamente al regista che sin dalle elementariera caratterizzato da una corporatura alta e magra (al ginnasio sarà per questo soprannominato Gandhi) e da un'ampia capigliatura nera pettinata all'indieao. Ma nel racconto ci sono almeno altri tre elementi che fuebbero propendere per l'identificazione con Fellini e riguardano i comportamenti del ragazzino. Colpisce innanzitutto la sua propensione alla socievolezza anche davanti a un perfetto sconosciuto, una caratteristica che Fellini riconoscerà come propria sin dall'inf.mzia, come egli dirà nel 1958 al microfono di Femaldo Di Giammatteo durante un programma radiofonico: Si vede che era proprio una cosa (fare il rqi.stal che riassumeva rune le mie tendenz.e cioè quando volevo far l'anore da bambino, fu:evo i burattini, recitavo, lacuriosili bramosa di ficx:armi nellecasedegli altri, di andare per le porte, entrare nelle camere da Imo, di mia«himzrr (On la IP"~ appma ineon1111111, appeM delle gambe, mi diceva «Mo vengo,,. «Ani'r.l Gandhi!• commentavo io. Era timido e insofferente allo stesso tempo ... infatti, quando noi dove'r.lffio cantare gl; inni della pallia lui si tira'r.l indieuo, si riliuta'r.l di &r pane del coro e diceYa «Ma a chi la volete dar d~antendere? Volete conquistare Malta. Tunisi e non siete nemmeno capaci di prendere Sanwcangelo...• allora &rnosa come paese delle cipolle! C'era in lui inolae un rifiuto assoluto di ... >S. sottopom. al]'auton...... 35 GhirardelJj, Guida alla Rimini di Ftl/Jni, cit., pp. 39--40.

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F11noFd1itù

Benché fosse un nostro sicuro e grande amico, eeli non panecipava alb vita sociale della quale noi eravamo naturalmente protagonisti: anzi, Federico era tuno l'opposto. Non solo: io ero un violento come individuo, 3Wessivo, sportivo, fascista e, talvolta. anche scazzottuore... lui invece era apenamente negato per l'attività fisica, che spesso inideva.Anchequandoeracostrenoalàttginnastica si distingueva; per esempio, in quel periodo alb fine di un anno scolastico, c'era l'obbligo di panecipare al saggio ginnico... e quando •Magna.forma•, che era il nostro comandante fascista, d disse «Ragazzi, al saggio fate bene perché dipende dall'andamento di questa cerimonia se io &rò cartiera e prenderò il posto del console Gigli ...• nella testa di Federico balenòsubilD l'idea di &r&llire tulto.Le cose difatti andaronocosl: eravamo cento giovani sul Prato della Sartonae il comandante dinteva il saggio «Unooo... dueee. .• treee••• quatttooo!• e a quel punto tulto il gruppo doveva procedere a sinistra... novantanove sono andati a sinisua ed uno, Federico, è andato a destta. .. rovinando tulto, lui dasolo!•"'

Federico era totalmente negato, un po' per la sua costituzione fisica, un po' per sua indole naturale, a ogni forma di attività sportiva, a tal punto da essere bocciato, con un bel quattro in cultura militare, persino all'esame di maturità nel luglio 1938 - come riferisce il preside del liceo riminese Arduino Olivieri al microfono di Sergio Zavoli37 - materia che egli dovette riparare a settembre. È lo stesso regista a raccontare di avere sempre mostrato disinteresse per ogni tipo di spon, sia come spettatore che come attore: Forse la lotta greco.romana, la gmrdavo con un po' di interesse. Probabilmente pen:hé sentendomi

36 Ibilkm, pp. 32-33. 37 La breve intervista al preside Olivieri compare in &liinilzna. Polm-~ di Rimini, àt.

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a,mplem.toper la miamagrez;r.aschelettica. invidiavo quei gioY21lOttJ>ni pieni di muscoli, che potevano mostra.rsiquasinud.i davanti a rutti. Laa>mpetizione, l'agone, la gara. la sfida. il rivaleggiare mi trovano ana>r più che indilferente, addirittura ostile. È chiaro che di fondo ho una seereta solidarietà per chi penfe, e lasinwlone che mette gli uni di fiontdi altri per std>ilire chi è il più forte, il più :agile, il più a>raegiosoeandie il più bello mi provocadasempre unsentirnento di emaneilà, di riliu11>, di rihellione". Non ero nato per g21"eggiare, perché non ci sapevo fue. L'atletica: non avevo i numeri per impegnarmi nelle sue discipline. Non mi interessava nemmeno, ma, poiché ero magro a>me uno scheletro, invidiavo igiovani adetidai musa,li rigonfi chesi mostravano seminudi davanti a rutti mentre si impegnavano nella lotta greco.romana,,.

Ma questo atteggiamento ribelle ai canoni del fascismo sarebbe continuato persino in età adulta. Nel 1941, quando Federico ha 21 anni, sta lavorando al «Mare'Aurelio• e, in occasione del decimo anniversario dalla nascita della rivista satirica, giunge in visita ufficiale alla redazione Ettore Muti'°, segretario generale del partito fascista. Tutti i redattori del giornale si misero sull'attenti davanti al gerarca gridando con voce sten38 F. Fellini, lntmlislll sul dnmuz, a cura di Giovanni Grazzini, Editori Laterr.a, Roma-Bari 2004 (1983), pp. 17-18. 39 Chandler, lo, FtdniuJ Ftllini. dL, p. 40. 40 de Valallonga. Ho sopalO Anilll Ekfmr. lnlmlislll con Ftdmco Ftllini. dL, p. 126 s.: «Eraun bel 12g3ZU>Sulla trentina. alto.slanciato, il viso abbronzato dal sole e dagli sport, il a>rpo sa>lpito dentro un'uniforme nera dal taglio impeccabile, gli stivali lucidi, gli speroni tintinnanti, una triplice fila di medaglie scintillanti che sbarravano il suo lait0 petto di a>nqw51211>n:. Proprio il genere di pmonaggio che non ho mai potuto sopportan:. Lo sai, uno di quei tizi dal torso d'atleta che prendonosempn: in braccio l e ~ sulle spiagge».

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FIIMFdli,,;

torea non il proprio nome, bensl il titolo della propria rubrica. Quando giunse il turno di Fellini - era vestito da civile menae la maggior parte dei suoi colleghi indossava la camicia nera -, con aria indifferente e utilizzando il tono della conversazione, disse «Tu mi ascolti?» (era il titolo della rubrichetta da lui curata). Di fronte a Muti che rispose «Sl», egli ripetè simulando stupore «Turni ascolti?» facendo avvampare d'ira il gerarca. che fu sul punto di schiaffeggiarlo, come racconta Fellini a José-Luis de Vilallonga: Ettore Muti divenne rutto rosso. Ho la certezza che fu sul punto di schmfeggwmi. Ma si controllò. Mi fissò negli ocx:hi per un lungo disunte - era anrora un truoco alla Mussolini-. poi, mddamente abbaiò: «Un consìglio, giovanotto! Faai tagliare i capelli.n anivano al collo. Sembri una~".

Dunque quei capelli 1ung1u·~2, vanto e motivo d'orgoglio per il giovane collegiale, erano nell'immaginario fascista un segno di effeminatezza, di scarsa virilità e pertanto andavano tllgliati e tenuti ben corti. La battuta del ragazzino rivolta all'ortolano risultava forse provocatoria anche per questo. Fellini, sollecitato dal suo psicanalista Bemhard a parlare dd fratdlo, rappresentò con un disegno, pubblicato nel/libro dei sogni◄', un episodio risalente alla sua «lontanissima infanzia., nd quale Ricx:ardo viene dogiato dal padre Urbano, menae si esibisc.e trionfante 41 Jhidnn, pp. 127-128. 42 Francesco Guido, espem> di animazione, che si firmava Gibba. ebbe modo di conoscere Fellini alla fine del 1944 ecosl lo descrisse: «Mi ricordo un gran àulfo nero, una testa di capelli che sembrava un orto inrolto• (dr. G. Angelucci, Sq;rni e hu[.ie di Fednit:o Fel/i,.. ni. liraaolUtJ dal vivo del pìilgrantkarlista del !)00. Mìstni. i//usionie vnuàìnamftsrahili, PdlegriniEditore, Cosenza 2013, p. 102). 43 F. Fellini, li libro dei sogni. Etfiziqne illustrlllll, Mondadori Elec-r 12, Milano 2019.

Jlco/kfio S. Aralllfdoe i pd,i Otrimmi

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agli anelli, di fronte a un Federico minuscolo e schelettico, chesi sente evidentemente inadeguato e colpevole davanti all'autorità patema e alla prestan7.a fisica di suo fratello. Quel ragazzino incrociato dall'onolano fanese, di nome Fellini, alto, con i capelli alla Mascagni, d~ente impertinente e "fuori dal coro'", difficilmente pottebbe adattarsi alla figura Ria:ardo, benchésicuro convittore del collegio fanese, mena-e norevoli e misteriose sono le analogiecon l'aspetto fisico e il carattere del piccolo Federico.

USTATIJA 01!.1.1.'ARCANGBLO NEL COLLEGIO DI FANO

agli angeli d =do.". Federico Fellini a Moraldo Rossi

«SI, gumda, hlpnUII f/ULl/o me nelle stalle, divideva i "popolarift dai "dimntift. Noi prag2vamo undici soldi; dieuo si prag2va una lira e dieci. Nel buio, noi tenl2V2mo di entrare nei "distinti" pen:hé là c'erano le belle donne, si dicEYa. Ma venivamo agguanwi dalla maschera. che stava nell'ombra e spiava da una tenda: sempre tradi12. tuttavia. della brace della sua sigaretta. che si vedeva nel buio'.

La maschera Madonna. come l'orribile Minosse di dantesca memoria. provvedeva ad assegnare a ognwio il suo "girone" e impediva ai ragazzi che ocrupavano i "cerchi" più bassi, le pancacce, di risalire verso l'alto, dove si trovavano le élites e dwique anche le belle donne. Persino la brace della sua sigaretta, visibile in quel buio infero, aveva Wl che di inquietante e demoniaco: come il traghettatore Caronte «con occhi di bragia. egli batteva e agguantava le anime perse. che ocrupavano settori distinti senza aver versato l'obolo necessario. Sempre in FaR un ft/m Fellini aggiwige altri particolari utili a descrivere l'atmosfera surreale, quasi infernale, che si respirava allora all'interno del cinema Fulgor:

Al cinema però non ci andavo tanto spesso da ragazzo. Intanto il più delle volte non avevo i soldi, non me li davano. Poi al cinema che frequentavo io, 6 Ibidmr. p. 31.

199 UFulgor di Rimini, si prendevano le botte. Nei posti •popolari", quelli proprio sotto lo 5Chermo, fatti di pandte schiodare, le scene d'avventura e di guerra scatenavano emulazioni anoora più selv:igge, tra urb, SUlrpalr in talll, ro10Lamenli sotto le pandte, e l'in1erven10 finale di •lhàzzza", un bestione violen10, ex pugile, ex bagnino, ex fux:hino dei mercati, eche adesso, oon un fez.rosso in lesta e una visiera di alluloide, faceva la masdtera al dnema, e sazzottava oome un assassino. li mio primo ricordo di un film risale, aedo, a Mllds~ aO'infmio. Stavo in braocio a mio padre, la sala era piena, faceva aldo e spruzzavano un anliseltioochegrattava in gola ma andtestordiva. In quell'aunosfera un po' oppiata ricordo le immagini giallastte oon tanti bei donnonl'.

Dunque il Fulgor era una «calda cloaca di ogni vizio,,1, un luogo tutt'altro che silenzioso e disciplinato, secondo l'immagine del cinema arui siamo oggi abituati, era bensl caratterizzato da un caldo soffocante (verosimilmente nella stagione estiva}, da lotte selvagge nel pubblico che, durante la visione, cercava di emulare le scene di avventura e di guerra, da probabili cigolii provenienti dalle panche schiodare, dascarpe che finivano sulla testa degli spettatori, da gente che rotolava sono le panche, forse nel tentati7 Ibidnn. p. 42. 8 L'immagine della «calda doaca di ogni vizio» sembra riecheggiale un'espressione analoga che los1orioo latino Salluslio u!Uizza nel Dr coniurationr Ouilin« per descrivere I'UTbr e Usuo essere divenuta nel I sec. a.C. un polo di attrazione per tutte quelle persone e calegorie sociali moralmen1e infime (cap. 37: «.ii Romam sian in senlinam conBuxeranllt). Tariio riprende un'analoga terminologia per descrivere l'arrivo nella ci112 di Roma come in una fogna di tutte le peggiori brutture (oome la sena aisliana), che, attirate verso Uantro come in una cloaca 11UIXÌ1114, conBuiscono nella capitale: .per uibem eliam, quo runcta undique attocia aut pudenda conBuunt. alebranturque» (,Ann. 15, 44).

FillloFdJi,.;

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vodiscampare alle aggressioni o di raggiungere postazioni migliori.A questo clima indiavolato e infernale, acuì forse si associavano urla, fischi, pernacchie, si debbono aggiungere le reazioni violente ddle maschere "demoniache", dai nomi alterati a dir poco inquietanti e dalla corporatura deforme e quasi mo.muosa («un omacx:ione grande e grosso», «un bestione violento», «con un fez rosso in testa e una visiera di celluloide»), i quali intervenivano per ripristinare un certo ordine («venivamo agguantati dalla maschera», cSCl'lWttava come un assassino»). Oltre al buio pesto, ai fastidi arustici e alla caotica e affollata baraonda, che rendevano il Fulgor una vera e propria bolgia danresca {«la sala era piena»), senza dubbio il disagio più irritante era quello olfattivo: per coprire i cattivi odori in sala. tra i quali la inevitihile pmza di tabaa:o, veniva spruzzato un deodorante nauseabondo che rendeva terribile il fetore e «quell'aanosfera un po' oppiata» («L'aria veniva ammorbata da una sostanza dolciastra e fetida, spruzzata da quella maschera», «spruzzavano un antisettico che grattava in gola ma anche stordiva.). Una descrizione dd cinema Fulgor, analoga a quella contenuta in Fare un ft/m. ma incentrata esclusivamente sui disagi olfattivi è riportato nel volume di C. Chandler, la giornalista americanaacui Fdlini raccontò numerosi dettagli ddla sua vita riminese: li Fulgor appare in ÀmllTCIITd. ma in versione romantica. L'ho ricostruito a Cinecittà come me lo ricordavo. Per sapere esanamente com'era oocorrerebbe spruzzare in un cinema attuale lo stesso cattivo profumo che usavano allora. C'era un tale che andava in giro a spruzzare questo profumo a buon mercato pn ,oprirr 11/Jri pìil odìt,u odori. Una cosa troppo terribile per essere raccontata. In Àl1lllmlTti l'ho molto abbellita'. 9 Chandler, lo, Ftdmt:o Ftliinì,ciL, p. 254.

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Il Fulgor di Amarr:ordè dunque una versione abbellita10, «romantica,, di quello che doveva essere il cinema negli anni Venti e Trenta, quando il giovane Fellini ebbe, sebbene non con l'assiduità che avrebbe desiderato, la possibilità di frequentarlo. Una rappresentazione forse più realistica del Fulgor compare nello special televisivo Block-,wtes di un regista (titolo originale A di"ctor's ,wtebook), che Fellini girò e pubblicò nel 1969, collaborando per lasceneggiarura con Bernardino Zapponi. In una sala domenicale affollata e caotica, si sta proiettando Maciste all'infimo (1925} - quale titolo più adatto per un cinema Fulgor assimilabile al regno dei moni! - il film che il piccolo Federico, concentrato e assono, sta guardando vestito da marinaretto sulle ginocchia del babbo Urbano. L'elemento sensoriale, per ovvi motivi inenarrabile in un film e che il regista scelse comunque di non raccontare neppure allusivamente nelle scene di Amarr:ord(«Una cosa troppo terribile per essere raccontata») è proprio quello legato ali'olfàtto e alle terribili puzze che si dovevano percepire in sala: neppure il deodorante inalato dal pubblico, anch'esso fetido e insopponabile, riusciva a rendere gradevole l'aria e forse a neutralizzare del tutto il tanfo maleodorante di «altri più odiosi odori». Fellini ha scelto dunque di non rappresentare in Amarr:ord questo "caos dei sensi" da Infimo dantesco e ha deciso di privilegiare alcuni aspeni più "romantici", di riprodurre cioè le atmosfere rarefàtte tipiche del Pu,gllJQrio e le incantevoli visioni sovrumane sperimentate da Dante nel Paradiso. I sensi più sollecitati in questo viaggio sensuale, incantevole, l OSugli abbellimenti ddle vicende reali o autobiografiche apportali dalla fantasia del regista si veda il passo comenuto nel libro

della Chandler (ibidnn, p. 2n} e riportato integralmente a p. 157 dedicato alla Sanghina.

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F111tt1Fdlini

tuct'aluo che mistico, ma tuttavia capace di trasponare «in altri luoghi, in altri tempi», sono pertanto la vista e il tano, come si evince da questo passo:

il Fulgor. A volte sento che la mia vita è cominciata in quel picxx>lo cinematogtafo, so.ffoauur nrl azJdo tkO'ts1111r, disagrvolr in l1lllr lr s111ffeni, ma tune le volte che un film cominciava llfflivo lmSp(!TllllO in tùm ""'1J,i. in tùm tnnpi. Poi andavo sulla spiaggia e saivevo storie che mi immaginavo proiettare sullo schenno del Fulgor. Famaslicavo sulla dam4 vrlata che famava UNI sitpttU4 sdllla Ili F-idpr. I.a veletta le a.nivava alle bbbra. lo temevo che potesse prendere fuooo. Fmché vivrò ricorderò quei magni/id «d,; risolutamente puntati sullo schenno mentre nwnerosi rag=.ini le /tKaZtJtlM la grmna. L 'tsprmit!M tkl suo viso non m11111V11 mai, anche quando vedeva lo stJ:SSO 61m per la seconda o tena volta. Nella mia immaginazione mi vedevo come uno di quei rag=.i. A volte ho asserito di essere stato uno di loro. I.a verità è che tutto è sua:esso solo nella mia mente. comequasi tutta b mia attività di quei gjomi11•

A che cosa dunque si riferisce Fellini quando menziona gli «ala'i più odiosi odori» percepiti denuo la sala del Fulgor? Forse non si addentra volutamente nei dettagli12, precisando quali fossero questi sgradevoli aromi, l l Jbidnn, p. 309. 12Aaitadoveva es.sere b. capacitàolf.artivadi Fellini come si evince dallastoriadel suo primo invaghimento amoroso ai tempi dell'asilo presso le suore di San Vìncen:w, più volte racamtato ai giornalisti, per una giovane conversa che aiutava le suore in cuàna (l'episodio fu raccontato a Serrano nel I9n,a Grazzini nel 1983, a Rosa Cirio nel 1985, etc. Si veda Fellini, F11rr un film, ciL, p. 16). Al turbamento erotico egli associa l'odore delle bucce di patate, b puzza di brodo rancido, l'odore delle sottane delle suore, delle insalate e dellesardine. Anche il ricordo delbSaraghina passa attravmo forti sensazioni olf.artive (a tal proposito si rimanda a p. 113 del pre-

llotppd/o ~l4pipl

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ma non è difficile immaginare a che cosa egli stesse alludendo. Durante le giornate di pioggia, nella calca umana che forse proprio per il brutto tempo si riversava nel cinema, si poteva percepire l'odore pungente di stoffe bagnate, come Fellini stesso ricorda in una lunga intervista a Rita Girio realizzata nell'estate del 1985: Il primo film che ho visto ormai è entrato nella leggenda, perché in tutti i film c'è una dm.ione, eraMtlàs~ a/J'inft11111. L'ho visto in braa:io a mio padre, al cinema Fulgor, pioveva, cmi odtm di stoffe di azppotti bagnatì. e sullo schermo virato di giallo c'era questo gigante, questo omaocione con una pelle d'oJSO attorno alle reni un pochino intimidill> davanti allo sguardo imperioso di una poppala Proserpina, che con gli oa:hioni bistrati, con un segno della mano f.ioeva nasoere un cerchio di fiammeUe attorno ai piedi di Maciste che rimaneva sbigottito. È un'immagineche mi ha molto colpito, evidentemente, perché io ten11>di riproporla in tutti i film che ho fano senza riuscire a rim!2n! queUa suggestione originaria''.

Oltte all'odore di tabacco, che doveva pervadere e ammorbare l'aria rendendola irrespirabile, l'accalcarsi al cinema di tante persone, soprattutto nei pomeriggi domenicali, rendeva inevitabile la presem.a di puzza di sudore e di piedi - le scarpate in testa presuppongono piedi lasciati liberi da calzature- , di indumenti sporchi, di tanfi vari legati al consumo di cibo e vino durante le proiesente volume). Ricordi legati all'olfatto, vividi e ben impressi nella memoria.sono menzionati in reb:zloneal circo (Farr un jilm. dL, pp. 113, 115, 136). 13 L'intuvista, rilasciata sul set di Ginger e Fred, doveva essere trasmessa durante la trasmissione di Marco Dolcena Olttt il con,. tmitorr, ma venne mandara in onda solranto il 31 ottobre 1993, giorno del.la morte di Fellini.

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Ft11tt1Fdli,.;

zioni (forse qualcuno vomitava?)14• Ma non è escluso che tra questi «odiosi odori» Fellini intendesse comprendere anche quelli più propriamente scatologici, connessi alla emissioni di gas intestinali, di flatule111.e e scoregge più o meno rumorose e puzzolenti, e allo spargimento di urina da pane di bambini o ragazzini indisciplinati. A quel clima rumoroso, disordinato e soprattutto fetido, anche se riferito al caos di un tipico teatro-ànema romano, allude chiaramente questo passo: Arrivato a Roma cominciai a frequentare di più il cinematografo, una volta alla .settimana. una volta ogni quindici giorni. Quando non sapevo dove andare o quando c'erano film abbinati al varied. l miei locali erano il Volrumo, il Fenice, l'Alcione. il Brancaa:io. L'avanspemoolo mi ha sempre emozionato, come il cirro. Per me il cinema è una sala riho/JmtL di tJOCi e di sudori. le 11111Skinr, le azlt/am,114 la pipl dn bambini-. quell'aria da fine del mondo, da disastto, da re1212. li tramestio che precede il varietà. i professori che arrivano in orchestra, gli aocordi, la voce del comico e i passi delle ragazze dietto il velario. Oppure la gente che esce d'inverno dalle pone di sicurezza. in un vioolo, un po' rimbambiti dal fieddo, qualcuno che canticchia il motivo del film, delle ri.satac0e, qua/cvnD ck pisciJtS.

14 Fellini ribadl spesso la sua oontrarielà all'uso di cibo durante le proiezioni cinematografiche: oonswnare pasti durante la visione del film, secondo il regi.sl2. toglieva saaalilà al cinema e lo deprivavadel suo carattere riruale e religioso, rendendo lo spettacolo simile aqueUo televisivo. Al cinema ammetteva soltanto la presenza dei popcorn (Oiandler.lo, Ftdma,Ft/bni, cit, p. 244: «loapprovo chi spegne la luce e guarda un film senza mangiare. li popcorn sl, quello va bene,). di-. Fellini, Farr un film, cii., pp. 138-139; Chandler-, lo, Ftdma1 Ftlbnl. cit., pp. 218, 243-244. 15 Ibidnn, pp. 42-43.

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Questa descrizione, molto efficace e colorita, è confluita nella animata e lunga sa:na del film Roma (1972), in cui Fellini rappresenta gli umori e le convulse annosfere, anche ollàttive, di un cinema romano, in cui si sta svolgendo uno spettacolo di varietà. Oltte al lancio di oggetti in faccia (uno straccio lurido addosso a un ciccione che dorme, un gatto mono lanciato sul palco e rilanciato tra il pubblico), lasequenza più emblematica, che più salta ali'occhio in relazione ali'episodio del cappello raccontato in Amarr:ord, è proprio quella relativa a un bambino che là la pipl nel corridoio della platea. Cosl racconta Fellini a proposito di quel bambino: In &ma mostro un bambino che orina nel corridoio di un affiilbto teatro di varied. Quando qualcuno protes12, b nwhe dice: «Ma è solo un bambino!-. Personalmente l'ho visto succedere nel 1939. Il pubblioo nel teatro non pensava che fosse ""fio. ma il pubblioo d; &ma rise. Immagino che abbia qualcosa a che fare con la disltlnZJZ daJla J>IIZZII di DriM".

Quello che di significativo emerge da questo passaggio è proprio la sttetta relazione che Fellini individua tra la carica comica della pipl e la sua trasposizione «in altri luoghi, in altri tempi•: quando si là racconto di storie alttui, quando non riguarda direttamente il pubblico, ma tocca vicende accadute ad altri, l'elemento scatologico diventa fonte di riso, "buffo", determina una comicità persino esilarante e non là scaturire sentimenti di schifo o ripugnanza. In ambito teatrale gli antichi greci utilizzavano, a questo proposito, due icastici aggettivi per determinare la valenza comica o ttagica di una narrazione davanti a un pubblico: definivano ouc.ei>v "proprio", "personale" 16//,idm,, p. 157.

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qud mi8oç, qudl'ac.cadimento che tocca direttamente lo spettatore e dunque è incapace di generare il riso o la catarsi tragica, mentre ritenevano che solo quella storia che risulta ill.otptOV, "relativo ad altri", "esttaneo" potesse generare una energia comica o tragica17 • Ma torniamo alla scena della pipl sul cappello in Amarcord. Da che cosa avrebbe tratto origine la vicenda raccontata nel film, la quale sarebbe avvenuta una sera, durante la proiezione di un film western, nella sala del cinema Fulgor? Come si è messo in evidenza nelle pagine precedenti, spesso accadeva che qualcosa venisse lanciato sul pubblico dalla galleria del cinema (paste alla crema, scarpe, ecc.), ma non abbiamo testimonian:c.e che qualcuno abbia mai urinato dall'alto sui notabili seduti in platea. Certamente tra le marachelle compiute da Fellini, Luigi Benzi e gli altri compagni di classe potevano accadere buffi episodi di lancio dall'alto verso il basso. Ce ne rende testimonianza lo stesso Luigi "Tina" Benzi, il quale racconta di una mascalzonata di cui egli si sarebbe reso protagonista assieme ai suoi compagni durante gli anni ginnasiali: Abbiamo fiequen1210 il Ginnasio all'ultimo piano del pal= Gambalunga, in quell'aula d'angolo, e di lassù tiravamo dei proiettili camrei addosso al vigile che là sotto regolava il tnffico, tra via Gambalunga 17 Si vedano a questo proposito le rilles.1ioni di AMotde (Rhet. 1385b 33), il quale sottolinea l'impossibilità. di provare pieùcatanicadapanedi chiècostema1Ddauna "propria•sofferema (t(t) o ~ ,ai8e1). Diceva inoltre Henri Ber&,,on che per ridere bisogna rimanere SpettalX>ri e non provare empatia nei confronti di chi è di fronte a noi: il riso è una sospensione temporanea della simpatia e il suo più gnnde nemico è l'emozione (e&. H. Ber&,,on. //riso. SagyjDsul signifaa11ukl comko, Latena. Bari-Roma.. 2018, pmsim).

2117 e via Tempio Mal.areruano... il traffioo?! Si fa per dire... passava una nwx:hina ogni morte di papa!"

Lo stesso Benzi racconta di un altro episodio, questa volta "urinario", che era solito avvenire in classe ai danni di un compagno meridionale, Nicola D'Ambrosio, detto "Pistolone": Anche sequaldie voi~ c:api~va di entratt nei casini aooompagnali da •Pistolone•, D'Ambrosio Nicola, il nostro compagno di scuola die veniva dal Sud: lui aveva già i calzoni lunghi, mentre noi fino ai 17 anni pommmo quelli corti; D'Ambrosio aveva una a:m.autoritì neicon&onti delle mafttessedei casini e riu.sàva a farà passare. •Pistolone• in aula, però, era la nostra viltima, perché sui banchi di scuola era sempre davanti a noi, edera a lui die pisciavamo in l2SCa, dopo di die Federico gli diceva: «TI ho messo una bella caricatura in=··.•"·

Ma quanto ai due principali scherzi «con la piscia,, raccontati in Amarr:ord, quello del cappello al Fulgor, appunto, e quello del "pisciadono" costruito in classe con fogli di carta arrotolati, è proprio lìrta Benzi a fornirci alcune considerazioni nel suo libro Patt1ehidi pubblicato nel 1995, a due anni dalla mone del regista, in un capitolo intitolato La pipi:

mi

Non so da daw o da Federico avesse imparato gli scherz.i colla piscia. Foise se li era invmlllti lui, oppure li aveva conosàuti da Giovannino e Romolo, due nostri amici più vecchi di dieci anni, 20 die li raccon~vano • 18 Ghirardelli (a cura di),

Guida 1111A Rimini di Ftllini, àt., p. 34.

19 Ihidnn, pp. 43-44. 20 L Benzi, Patad,/;di Gli amammidi UNI uilll allWtf.lUZ drllAgrm,,. drmniaziaconFednùo Fdlini. Guanldi, Rimini 1995, pp. 150-153.

F41fDFdli,,;

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Si soffenna poi a raccontare nei dettagli lo scherzo avvenuto a opera dei due amici più grandi nei pressi dd pisdatoiocollocato all'ingresso ddcircolo dopolavoro Boheme, «famoso, per la oscenità ddfàno, la crudezza dello scherzo e la sua ridevolezza.. Romolo si fingeva cieco, con tanto di bastone bianco e occhiali neri, e Giovannino gli suggeriva di fue pipl alle spalle dd pisciante di rumo, il quale veniva irrorato di urina. oa le imprecazioni di quest'ultimo e le fintesruse dei due amici, chesolo alla fine si scoprivano e si allontanavano di corsa oa gli schia.nw.zi. Subito dopo aver raccontato questa buffa e cruda vicenda, Benzi rievoca i due episodi raccontati da Fellini in Amarcord e sembra ribadire quanto suggerito all'inizio («Non so da dove o da chi Federico avesse imparato gli scherzi colla piscia. Forse se li era inventati lui»), che cioè entrambi fossero più frutto di immaginazione che ricordi reali: A tutti .sono noti gli episodi di À11111mJrtA quello del cappello del ng. Biondi piscìato dalla galleria del Cinema Fulgore per il quale mio padre, avvertito dalla Rosina, la sern, riceve notizia e rimbrotto dal ng. Biondi, durante il prmzo; tentando poi di avvinghiarmi per il collo, d.-aso soltanto da mia nud.re. E quello del pisciadotto cosauito con fogli di ca.rtl anotobti, per far giungere il liquido ai piedi di Elvino - un nostro compagno di 5CUOla, giovane elegante, contenuto, rispettoso e timido - quando si aovava alla lavagna per rispondere a interrogazioni da parte della insegnante di fisica o chimica, per far aederedie la pipl l'aveva&m lui. Ma l'ultima racoontatami da Federico mi ha illuminato sulla sua siraordinaria capacità nelJ'4UOt'ian /a rm/J/1111/af anlllSia.

Sebbene lìtta, nelle numerose interviste rilasciate, non abbia mai raccontato come realmente accadute quel-

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le due vicende, in questo passaggio egli, nel riportare in sintesi il contenuto dei due episodi, sembra non volersi sbilanciare quanto alla loro autenticità storica e tenta di vedervi a tutti i costi degli elementi di realtà (la Rosina nel film si chiama Gina. il cavalier Biondi viene definito ragioniere, il compagno "bullizza~o" viene chiamato col suo reale nome di Elvino21}, che evidentemente non collimano totalmente con l'invenzione artistica felliniana e la deformazione in chiave comica realizzata con Amarcord. L'ultima battuta del passaggio è, in questo senso, significativa («Ma l'ultima rac.contatami da Federico mi ha illuminato sulla sua straordinaria capacità nell'associare la mzllà alla fantasia,,). Il riferimento è dunque chiaro, elementi di fantasia (le due storie di "piscia"} abbinati a personaggi reali riminesi, puntualmente riconoscibili nella trama del film, mentre nell'ultima storia erano contenuti elementi reali ritenuti tuttavia non credibilizz. Interessante, a questo proposito, nelle parole di Benzi, il ricordo commosso di un ultimo aneddoto legato alla pipl, consegnatogli dal regista pochi anni prima di morire, al quale lui, evidentemente consapevole delle precedenti bugie, stenta a credere. Nell'estate del 1991 o 1992, 1ìtta fa visita a Federico presso un albergo di Chianciano circondato da una foresta e il regista lo invita ad andare con lui nel bosco per fare pipl e vedere il ghiro, che a suo dire, si avvicinava sentendo cadere l'urinasulle foglie: 21 Precisa Benz.i nella Gui411 11/b Rimini di Ftllini. dt., p. 37: cl.a Fannaàa di Colantonio è ancora al suo posto. E Ufigi.io del &mw:is12, di allora. era quel nomo compagno di scuola che in Amm=dè alla lavagna quando noi fux:iamo la pipl dentro i rubi di carta[...) ed è lo stesso che, sempre nel film, va a confess:aisida Don Baravelli». 22 Si trat12 della non aedibUili di chiè avverzo araa:ontare bugie (la favola esopica de Al lupo! Al lupo!).

n.

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p4n0FdJ;,,;

Lusingato come sempre dalla straordinarietà dei suoi discorsi andai con lui nel bosco e feci, con lui, pipl. Ma di ghiro nemmeno l'ombra. Siochè ne crassi il convincimento che, anche l]IILI/Jz, fosse una Sl/4 immaginifica ÌIMnzÌON.

Tuttavia, dopo la morte di Federico, lìtta, chiese notizie sulla presenza di un ghiro nel bosco alla figlia della titolare dell'albergo e costei di fatto confermò clic.endo: «No, era uno sooiattolino». Qunùl wlùl, Federico era stato sincero. Riferiva un fatto, non Y lo invmllZINZ. E mi assali il rimorso di averdubitato dellasua franchezza.

Le pagine saitte da Luigi "lìtta" Benzi risultano dunque illuminanti per comprendere la genesi di qu~ ste due saaordinarie sequel17.C cinematografiche legate alla pipl: non si ispirano a fatti realmente accaduti di cui l'amico Benzi fosse a conoscenza, ma «la loro invenzione è totale oppure Fellini trae spunti da vicende reali di cui lìtta non era informato». Del resto Luigi, dopo la visione di Amarcorde sollecitato dai giornalisti, ha sempre cercato di distinguere gli elementi di realtà dagli elementi di invenzione nel film. Alla domanda su che cosa ci fosse di vero negli episodi di Amarcord che riguardavano la sua famiglia, Luigi rispose: È duaro. ci sono tanti personaggi ed episodi mz/i che nel film subiscono una trtzifip,IIZÌlmr. ad esempio, mio padre era un'antifascista ma non ha mai dovulD subire la punizione dell'olio di ricino, néaveva sistemato il grammofono sul campanile per diffondere le nO!e dell'Iniemazionale... l]IIL/lofa ptzne fkO'invmziqnr, mio padre diceva «Me an'martX>l'd miga. mean so andé mai in 'Zima ad un campani!..

lla1ppdlo ~t,,pipi

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I miei genitori videro AmtRrord e non furono tanto convinti dell'operazione, sopramnro mia madre che dovette ass;srere alla su.a... morte anticipata, sullo schenno: «A m'ha f.at un bel serva.i, e tu amig!? M'ha f.at muri prima de' teimp!?». E mio padre: «E tu amigl'è mar!? 01Sel? Me ho mes un gmnofun in z.ima de campani!!? Fammi parla,e col tuo amico!». Invece le discussioni a tavola. coslfrequenti nel film, erano 11111mlidN: il dima era proprio quello, con mio padre che tirava via la tovaglia con rutto quello che e'era sopra, che allungava qualche schiaffone ai figli indisciplinati".

Ma la vera storia della pipl sul cappello del cavalier Biondi non aveva probabilmente nulla a che fu.re con il cinema Fulgor e con la famiglia Benzi, potrebbe essere arrivata da lontano e giunta alle orecchie curiose e ricettive di Federico tramite un racconto in famiglia riferito dal babbo Urbano. Se è la distani.a dalla pozza di urina a rendere la "pisciata" buffa e capace di suscitare il riso negli ascoltatori o negli spettatori, come disse Fellini a proposito delle reazioni divertite del pubblico di Roma, è verosimile ipotizzare che anche in questo caso la comicità della storiella venisse acuita proprio dal fatto di essersi verificata alttove. C'era una volta a Fano una sttada molto vivace e dinamica, caratterizzata, sin dalla fine dell'800 e dai primi del '900, da un gran numero di botteghe e negozi, da un tipico vivaio di piccole attività commerciali e artigianali che sorgevano su entrambi i suoi lati. Si trattava di via Cavour, che i f.mesi erano soliti definire "Il borgo di S. Leonardo" (El bori), su cui confluivano angusti e bui 23 Ghiranlelli (a aira di), Guidll 111/a Rimini di Ftllini, cit., pp. 4042. Benz.i racconta anche ai microfoni della Rai di questa mescolanza di realismo e invenzione nelle scene di À111117Ctmi, di-. Ft/Jini111111. Po!tKTt di Rimini,cit.

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F""'1Fdli,.;

vicoletti con basse casette popolari, povere e modeste, che costiruivano il quaniere detto "dei Piattelletti" (i Piatltt) e ancora oggi uno dei luoghi più caratteristici della città. Tra gli anigiani, molti simpatixl.anti anarchici, il sarto Augusto Pansieri e il barbiere Rie.cardo Tombari. Ambedue sposano le due sorelle Felicetti, leggendarie nel borgo per la loro bellez:za. Avranno due unici figli maschi: nel 1898 nasce Antonio Pansieri detto Tonino (1898-1987) e nel 1899 Fabio Tombari (18991989), che diventerà celebre per TUlltl Frusag/ia, nonché come autore di numerosi romanzi. I due cuginetti vivono ecresoono insieme, mantenendo fino alla mone un intimo e sttetto legame, comprensivo delle rispettive famiglie, con una vivace osmosi tra Fano e Rio Salso, definitiva dimora di Fabio. Vediamo i due cuginetti in una rara e tenera foto d'epoca che li ritrae bambini, con la testina rapata dallo zio barbiere e i cappottini conft>zionati dallo zio sarto. Tonino, appena diplomato maestto, a soli 17 anni viene chiamato al fronte, dove operò in qualità di tenente, sul Carso e sul Piave (sarà richiamato anche durante la seconda guerra mondiale in qualità di colonnello). Fabio nel 1919 è sottotenente al dt>posito del 94° Reggimento Fanteria della Caserma Paolini di Fano. Il papà di Tonino muore di crepacuore pochi mesi dopo la chiamata alle armi dell'unico figlio. Tornato, decorato, dal fronte, Tonino sposa, giovanissimo, Adele Pascucci, proprietaria terriera, sorellastra di don Evaristo Pascucci e nipote del vesoovo Geremia Pascucci. Nel 1922 nasce Rosina (1922-2017), nel 1924 Evaristo (1924-2018). Nei primi tempi la famigliola vive nella parte rea-ostante la facciata della Chiesa di S. Antonio Abate, di proprietà della famiglia di Adele. La pona di S. Leonardo, che introduce nel borgo di via

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Cavour, è atterrata poco prima della guerra del '15-' 18 eia Chiesa diS. Antonio,che sorge nel cosiddetto Trebbio, nella forma poligonale su disegno del riminese Gian Francesoo Bonamici, sulle rovine di un'altra antichissima, verrà rimaneggiata nel 1922 nella parte inferiore esterna e rivestita con una decorazione cementizia di stile neoromanico, mentre runa la parte retrostante, dovevivrà la famiglia Pansieri- prima di trasferirsi nella splendida villa Liberty di viale Gramsci-verrà rinnovata in stile edenico e ornata da due incantevoli terrazzi, dei quali, quello semicircolare, fa tuttora da suggestivo fondale architettonico per chi entra in via Cavour, percorrendo il borgo, a quel tempo animato da numerose botteghe artigiane, soprattutto nelle giornate di attività del vicino Foro Boario. Ali'epoca, dopo la prima guerra mondiale, il commercio è alimentato unicamente dalla produzione agricola della vallata metaurense, oltre che dalle attività marinare. Tonino lavora presso il Consorzio Agrario Cooperativo, dedicato all'esportazione dei prodotti agricoli di Fano. Il numero maggiore di esercizi commerciali è rappresentato dalla vendita al minuto di generi alimentari. Tonino stringe legami con operatori del settore provenienti dalla vicina Romagna, occupandosi della fornitura di granaglie, soprattutto olio e vino, e amministrando le proprietà agricole della moglie (entrerà col tempo a far parte del e.cl.A. della Cassa di Risparmio locale). Fabio si dedica all'insegnamento e alla scrittura. Nella dimora di via Cavour regnano indisaissi austerità. rigore morale, senso civico e disciplina: Rosina è una figlia modello, Evaristo è monello e discolo. Per lavoro il signor Antonio Pansieri era solito recarsi in treno verso Rimini e fu proprio in quella tratta ferroviaria Fano-Rimini e Rimini-Fano che egli fece la conoscenza

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FdlloFdlùù

di Urbano Fellini, il babbo di Federico e Ria:ardo, il quale era rappresentante di generi alimentari e veniva spesso nella cittadina marchigiana per commerciare in granaglie. Fu proprio durante quei ripetuti viaggi per lavoro, protrattisi per anni, che Antonio e Urbano ebbero modo di conosc.ersi, di confrontarsi e di raccontarsi l'un l'altro anche faccende private, che riguardavano le rispettive famiglie: in particolare, parlavano spesso, forse al fine di trovare reciproca consolazione, dei propri figli maschi, fonte per entrambi di auccio e di seria preoccupazione. I due babbi lamentavano nei loro ragazzi, Evaristo e Federico, un' indole analoga, irrequieta e turbolenta. Essi rilevavano come i loro figli, peraltro ben dotati, intelligenti e fantasiosi, non mostrassero propensioni o vocazioni precise: il futuro lavorativo dei due ragazzi, dunque, ai loro occhi appariva inceno e nebulow. Erano poco allineati, provocatori e si rendevano responsabili di singolari marachelle. Anche Evaristo, come Federico, faceva caricature dei docenti al ginnasio e pure lui si mostrava recalàtrante davanti alle esibizioni del sabato fascista, che spesso disenava. Insomma due figlioli sciagurati, svalvolati, SCl17.3. arte né parte, un po' ribelli rispetto al conformismo della provincia e in apparell7.3. non intenzionati a mettere la testa a posto. Il signor Pansieri raccontò in particolare al signor Fellini una ragazzata piuttosto incresàosa di cui Evaristo si era reso protagonista. Il ragazzino aveva preso l'abitudine di fare pipl dal terrazzino dell'abitato che dava su via Cavour, cercando di mirare per gioco sui malcapitati passanti che affollavano le botteghe del Borgo. Un giorno, malauguratamente, Evaristo dall'alto pisciò sul cappello di feltro nuovo di un signore, il quale lo aveva indosso mentre stava uscendo dal negoz.io del ciabattino, che si trovava

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nei paraggi della dimora dei Pasaicci-Pansieri. Il tizio, suonò al campanello della casa e fece annusare il cappello sporoo di urina alla signora Adele, la mamma di Evaristo, provocando inevitabili reazioni inconsulte in famiglia. Il signor Antonio in treno si era sfogato proprio oon Umano, raccontandogli questa birichinata del figlio e forse i due genitori nel racconto delle reciproche e parallele vicissirudini cercavano un modo per farsi forza a vicenda. Il disagio e le oonfidem.e dei due padri dovevano essersi protrane anche dopo la partenza di Federioo per Roma nel 1939, poiché ilsignor Fellini si lamentava del peroorso sconclusionato del figlio maggiore- forse di entrambi i figli, vista la successiva partenza per Roma anche di Ria:ardo - gli pesava molto che non srudiasse e che non avesse, almeno fino ai primissimi anni •40, una fonte seria di sostentamento. Anche Evaristo, a cui la provincia stava stretta, partl per Roma, ma, a differenza di Federioo, riusd a oonseguire brillantemente una laurea in agraria a Bologna. Tuttavia nell'urbe oominciò a frequentare un'anrice che lavorava a C inecittà, suscitando i malumori di suo padre Antonio. Ma nel dopoguerra, dai primi anni '50, sia Federico che Evaristo, superata l'irrequietezza adolescenziale, fecero nei rispettivi ambiti, una progressiva e straordinaria carriera: il primo preparò la propria ascesa internazionale oome regista, il seoondo divenne vicedirenore dell'Ente Maremma, ricoprendo anche importanti incarichi all'estero. I due giovani scapestrati avevano dunque scelto di lasciare il clima angusto e greno della provincia per cercare forruna nella capitale e solo molto più tardi si riconciliarono oon le proprie origini, oon quel mondo chiuso e soffocante, fano di pregiudizi e sonnolenza infantile, che pretendeva di d~ cidere il loro destino e che essi avevano rinnegato andan-

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F11noFdJi,,;

dosene. Quell'ambiente rulnuale asfittico e privo di vivacità aveva, tuttavia. contribuito, alimentando una voglia di rivalsa e di espressione, a generare e fu emergere in loro desideri e funtasia, aveva paradossalmente segnato il loro sua:esso, lasciando stupiti ed esterrefatti tutti coloro che avevano scommesso sul sicuro fallimento e su un futuro inconcludente per i due giovanotti. Evaristo tornò a Fano, in provincia, solo alla fine degli anni 70, sen1.a peraltro mai sanare del rutto il conflitto con la figura autoritaria di suo padre Antonio; Federico, soltanto nei primi anni 70, con Ama"ord, tenterà un riavvicinamento nostalgico con quel mondo riminese che lo aveva cosl profondamente segnato. Sia Federico che Evaristo avevano finalmente messo la testa a posto.

A sinistra l pica,/i C'Uginrtli An1onil1 Pamim e Fabio Tomlxzri, ron addos.so l cappo1tini C'Udii da Àllfl'SIO, il babbo sar1t1 di An1onil1, e con i azpel/i ralllli da Riamdo, il babbo di Fabio, barl,inr nrl borp. Àllfl'SID e Riamdo mmo anarmid e npubb/iami, come molli in via Giwu1: Al cmtro Amle PIISC'U«i con i due figli &sina rd Evaristo Pamini, bambini (anni '20) epoi r1lflZZZi (anni '40). A daini Tonino Pamim e suo figlio Evoristo in bicicln111.

Questa storia. che non si basa su alcuna testimonianza scritta, ma sulla mera trasmissione orale, mi è stata consegnata il giorno 12 gennaio 2020 tramite un

Jla1ppdlt, c/11pipi

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racconto fervido e appassionato- che mi sono presa la briga di registrare -, dalla voce della nipote fanese di Antonio Pansieri, figlia di Rosina, la signora Franresca Pansieri Vecchione, la quale ricorda con dovizia di pittoreschi particolari tutta questa vicenda. Francesca, a sua volta, durante la sua infanzia e giovinezza, l'ha sentitaspesso raccontare dai nonni materni, i quali non perdevano occasione, nelle loro discussioni in famiglia, di ricordare le chiacchierate confidenziali dei due padri di famiglia, la preoccupazione del signor Fellini «quello del treno», e, per converso, i brillanti e inattesi successi di suo figlio Federico, diventato nel corso degli anni '50 un regista di fama internazionale. Una scoria nella scoria dunque, un vero e proprio mise m abyme, come le bambole russe o le scacolecinesi 24, che non ha ancora finito il suo corso, che continua a reduplicarsi e che scorre ancora più viva che mai nei "binari" della memoria. Antonio raccontò quella marachella di Evaristo a Urbano e quest'ultimo deve averla necessariamente narrata in famiglia, forse davanti agli occhi divertiti di Federico, il quale memore di quella birichinata fanese non perse occasione di raccontarla, a sua volta, parecchi anni dopo, nel film Amarcord. 24 Lo s - espediente namrologico di reduplicalione di una storia o di una sequenza di eventi, in leuerarura è rinttaa:iabile nel Simposio di Platone e nell'Amitto di Shalcespeare. Il mm m llbymt veMe tnsposto per la prima volra da André Gide dall'araldia alle opere letterarie e alcuni aitici cinematografià lo lwmo individuaro nella costruzione 6lmia di 8 I12. Lo s - Fellini spiegò la presenza di un mm m llbymt nel suo capolavoro in maniera anra embrionale, di-. Cedema. uz lx/11uonfosiont, àL, p. 51: «Si capisce poi che anche il pezzo visto prima era un pezzo del film che stiamo facendo, come un tteno che bu112avanti continuamente pezzi di binario, come un gioco a incastri, a bambole russe, a scatole cinesi, n u,,'oscillazinne che èanche coinàdema e che non smene ma.i, fia sogno e realtà. Capito bene?-.

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FllltOFdlinJ

li borgr,di via Ozwuroggi (in primopillllo è bm visibile il tnrazdno snnidn:olarr:) e nn primi anni Vmli

Il babbo di Federico Urbano aveva numerosi clienti nella Marche e veniva spesso anche a Fano. Di recente il fanese Giovanni Ricchi, il cui nonno e babbo erano titolari di un noto negozio di prodotti alimentari siruato in piaxza XX settembre e apeno dal 1935, mi ha confennato di aver sentito ricordare più volte da suo nonno dell'arrivo festoso e allegro del fornitore Fellini nel loro negozio, per promuovere i suoi prodotti. Con il suo carattere estroverso, gioviale e brioso, il tipico romagnolo pittoresco e spiritoso, Urbano arrivava spesso in negozio canticchiando e scherzando. Per questi suoi tratti molto simpatici, che ispiravano la fiducia dei compratori, era stato definito il "Principe dei commercianti", come riferisce la nipote FrancescalS. Il vecchio signor Ricchi lo vide spesso giungere in negozio con il figlio, verosimilmente Riccardo, che lo accompagnava nel suo lavoro: Urbano sperava che almeno Riccardo, il quale studiava 25 Francesca Fabbri ne riferi.soe in (ultima consultazione 15 giugno 2020).

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ragioneria, potesse seguire le orme paterne e diventasse un piazzista. La delusione che babbo Urbano e mamma Ida dovettero provare quanto al fururo dei due figli, i quali disattesero completamente le loro aspettative, traspare in modo chiaro dalla biografia felliniana: Q)Ji Federico abita con mamma e sorella. mentre Riccardo e padre, rimasti a Rimini, se ne sono

a

andati a vivere in una camera ammobtliata. PmJZ la ,pmzn:radiavere un figlioprttt, la mamma/o vormJbt almeno llVIXXIZJ() come l'amico Benzi. Qlanto a Riccardo.futuro ~oruere, Upapà ttrmdiintn=zrlo IÙsuqsimo 11,vo,r,. loportaspesso in 11111gazzino,glifa J'tzbbo11111ntnl0 frm,villrlo in ln'Bl Ptlli, àt., e G. Angelucci, // UIJ>Ptllo di Ftl/Jni. in «La Vooedi Romagna,,, 2005. 38Fellirù, F11"unfi/m,àt., p. 117. 39 Jbidnn, p. 117-121. Del resto, comeracamtò a Fellirù il down Bario, uno deeli sketch da àroo più oomià consisteva nel far entrare un dokedenuo un cappello (p.121: «fuevamol'entratadel dolce nel cappell.o... molto, molto comica,,).

llrt1ppdl,, ~l4pipl

'127

all'apparenza.è già meraviglioso. già ricco, giàporente [..•J. I downs bianchi hanno sempre gareggiato tra loro per avere il oo:stume più sfuz.oso (la guena dei oo:stumi) [•••}. L'augmto al contruio, è fÌssalD in un solo tipo, che non cambia. né può cambiare d'abito: il dochard, il bambino, lo suaa:ione, ea:. La &miglia borghese è un a>rue!SO di downs bianchi, dove il bambino è gettato ndla rondizione dell'augusto. La madre dice: «Non f.are questo, non f.are quello•..•. Quando si chiamano i viàni e si invita il bambino a dire b poesia («F2i vedere ai signori.••• ): ecoo una tipica situazione da àlal". 11 down biana> spaventa i bambini per~ nppresenta b rq>ressione. Il bambino, al a>ntruio, si identifica. immediat:amenll! nell'augusto, nei limiti in aJi l'at!&U,S11>, assomigliando auna papera. alcua:iolo di un ca.ne, viene maitralta!D, è quello che rompe i piatti, si ro!Ob per terra. tira sea:hi di aaiua in f.iccia: ru!ID àò insomma, che un bambino vorrebbe f.are e che i vari downs bianchi adulti, b IIl2dre. b zia, gli impecmrono di f.are. Al a>ntruio, al àKo, tramite l'at!&U,S11>, il bambino può immaginarsi di f.are ru!ID àò che è proibito: vestiJ3i da donm. f.are le bocca ere. gridare in una pia:m. dire ad alta voce àò che pensa''.

Si realizza cosl attraverso questa potente immagine di AmarcflTd quello che la commedia da sempre e il cinema comico solo da pochi decenni tenta di perseguire e che il mero confronto con la vita quotidiana non è in grado di offrire: grazie all'arte comica il pubblico può meglio conoscere l'ambivalenza e la complessità dd mondo e imparare a correggere qualsiasi naturale irrigidimento, giudizio, schematismo o automatismo, indi40 l.ascena del padre Aurelio (down bianro)che insegue attorno a casa il figlio Tìtta (augusto) davanti ai vicini che guardano da spettatori fuori ca.mpo è anch'essa un tipica. situ2Zione da dra>. 4 l TU!ID dòche f.uàAlbeno Sordi ne/ 11iJrlloni uscito sulla piazza alb fine del veglione di Carnevale (si veda p.45 s.).

FilMFdlùu

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viduale o sociale che sia. Come Fellini ben sapeva. la commediasvolge una funzione irrinunciabile per la vita degli uomini.

Clown tqUi/ibristJ Ili CarM1aluli Fano tk/ 1957.

STRAVAGANZE E BIZZARRIE DI DUE PERSONAGGI FANESI "STRATIFICATE'° IN AMARCORD

Nti Wlrilibri su Ftl/ini SQM Stilli rilllli INlri inamtri

conzintari, tirowtf,i. sa/dmbtm€hi, pos,qgilztorl eaz.. smuori di pr,,ci da a1i S1ZTtbbtSUIIIITÌIO ilpmonagjo di Zampanò. EsqM cmamnut qtlll,Si flllli aneddoti con 1111 loro NJCciolo di vmlà, pnd,i la Vmlà felliniana Mli nuasarillmnut Mli tslsle, ma è cmamnue a smuL Come 1111 pilllto di fasafll( o, metfio, una DiJ>pa intf= dow ogni liw/lo consm,,rz ilsuo SllpOre. ROSSt, 5ANCUINBT1, Ftl/inié-Ratsi, il1tsto llilt/lone, p. 33

/.A N'ERA MIGA ACSÈ

Molto è stato deno e serino sulla delusione dei riminesi dopo l'uscita del film .AmammJ nelle sale cinematografiche italiane, il I 8 dic.embre del 1973. Il capolavoro di Fellini aveva suscitato insoddisfazione e polemiche a non finire, come lostesso regista ebbe modo di rimarcare: «E poi pensa ad Amarcord. Ci ho messo cinquantacinque anni a fue quel film. E i riminesi hanno deno in dialeno: "La n'tramiga acsè", non era micacosl. Cosa potrei capire dell'America. allora?,.'. Luoghi, personaggi, situazioni l E. Cavalli, 10 Ftl/ini 1a TIZ«tllllllndo riamli, Guamdi, Rimini

1994.p. 35.

230

F11JJOFdlini

non corrispondevano a quanto i concittadini del regista si aspettavano di vedere, la ricostruzione del Borgo realizzata completamente a Cinecittà li lasciò perplessi, interdetti, talora imbarazzati, se non decisamente irritati: !riminesi, diciamoCX>Sl, un pomino più.come~ so dire, un pomino più ingenui, gli rimproveravano.dicevano: «Ma no, non è CX>Sl Rimini, la fontana non è quella, il mare è diverso!•. E non capivano che a Federico servivano degli scenari nei quali ambientare i suoi sogni'.

Fu spasmodico, e per alcuni aspetti convulso, il tentativo dapane di alcuni riminesi di ttovareconnessioni e collegamenti tra i personaggi, cos} come Fellini li aveva rappresentati, e i corrispondenti tipi di Rimini. Non mancò persino chi querdò il regista per aver infangato la sua onorabilità e buona repulllZione. Fu quello che accadde a Gradisca Morri, la sarta riminese che aveva ispirato l'omonimo personaggio di Amarr:ord e che cuciva proprio per la famiglia di Carlo Massa, il legittimo proprietario e gestore di quel cinema Fulgor tanto caro al regista3• La donna, regolarmente sposata e madre timorata, non fu molto contenta di essere rappresentata come una icona di seduttività e sensualità e finl per 2 Dall'intervista a Serg,io Zavoli conrenura in FtllinitzNL Poi~ ,Jj Rimini, cit. 3 Sulla storicità del personaggio lo stesso Luigi Benz.i aveva reso chiara testimonwua nelcorso di un'iniervista rilasciata il 14 aprile 20(Jl'tlne11, li Mulino, Bologna 1999, p. 220 (..A questi, si ag&iungono nomi propri derivati da quei luoghi al centro di auenti sa,ntti fra l'esercito il2liano e quello austro-ungarico come Oslavia, Odem,, Tolmino e il suo femminile Tolmina. Tolmezza, Pi1S#111U11, TarrmlO, Grrviisaz-). Si veda anche T. Dalb Valle, La RDTllllf!II' dei nomi. Dai figli della rivolllziane 11ifiglidella glt,l,altmrzwne, .Edizioni del Girasole, Ravenna 2005, p. 50. È evidente che, in.Amammi, Gradisca si è tramu12toa rutti gli effetti in un "nome parlante•, secondo la più antica tradizione comica e umoristico-vignettistica, come del RSto accade nello stesso film per Definitivo, il nome del barbiere della soena iniziale. Sul valore m~ tacinematogiafico del nome parlante Definitivo (qumordioesimo figlio di suo padre e nel contempo quattordiasimo film di Fellini) si rimanda a un mio sag&io sui rapporti tra il regista e i bambini di prossima pubbliaz.ione. 6 Ghirardelli (a cura di), Guida 111/a Rimini di Fe/Jini, cit., pp.40-42.

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dell'invenzione; rruo padre dic:2va .Mt 1111'mlzmmi mÌgt41M li/ISO lllldi mai in zimaad 1111azmpm,iJ•. I miei genitori videro Anuzrcorde non furono tanto convinti dell'operazione, soprattutto mia nwlre che dovette assistere alla sua... morte anticipata. sullo schenno: cli m'hll ftU 1111 btlsnvizi, t tu 11mitf? M'h11 ftU mllrl prima tk' ~imp.'?.. E mio padre: «E tu 11mif i? mal!? Cimi? Mt ho ma 1111 gramofan in zima tk campani/!? F11mmi parllltt col tuo 11mìcof•.

Dunque tanti ricordi, personaggi ed elementi reali modificati, mescolati e "impastati" tra loro o fusi con spunti fanwiosi a tal punto da risultare trasfigurati e da rendere difficile e complicata la distinzione tra verità e finzione, tra realtà e immaginazione. Un'operazione creativa "demiurgica" e artigianale, per alcuni aspetti non molto diversa da quella cosauzione di burattini che il regista presenta in più occasioni come un vivido e affe'Lionato ricordo della sua operosa infanzia e il frutto della sua solitaria fanwia: Le marionette che ho avuto da bambino rappresen-

tano i miei ricordi più tenaci e mi appaiono assai più nitide delle penane che allora popolavano la mia giovane esistenza. Forse la ragione s12 nel &no che mi erano più vicine di quanto non lo fosse la gente vera. e allora perché non dovrebbero esserlo anche come ricordi~ Creavo io stesso i penoll2gg,i del mio teatrino. Le marionette erano di car12pesta con la testa di gesso. Avevo circa nove anni quando cominci2i a costruinnele e a metterle in ~ -

I penoll2gg,i dei miei film per me sono creature viventi. Una vol12 che sono sl2ti creati per un film, anche per uno che non ho realizzato, acquisiscono una vi12 propria,e io continuo a immaginare storie

7 dwidler,lo, Ftdnit:o Ftllini, cit., p. 20 s.

p4n0FdJi,u

in cui coinvolgerli e a pensare a loro. Come le marionette della mia gioventù, sono per me molto più veri della gente reale". Da r.agazzo, quando costruivo le marionette, fu:evo due o tre teste per ognuna, a volle con vi.si diver.;i e a volle con lo stesso ma oon difrenmti espr45Sloni o un particolare. Le &cce sono state $efflpre molto importanti per me, anche quando non me ne rendevo anooraconto•.

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Un "collage" di tratti fisici e caratteriali, di fummenti della memoria, di singolari dettagli che si nutriva di una capacità di osservazione fuori dal comune: il regista, sin da bambino, era moroosamente attento ai particolari del volto, ai dettagli dell'acconciatura e dell'abbigliamento o ai difetti fisici ed.i personalità delle persone in carne e ossa con cui entrava in contatto e che la sua memoria incamerava, registrava e riciclava al momento debito. In uno straordinario racconto riportato in F= un film egli de-saive questa solitariaattività da "burattinaio" della prima infanziae la mette in relazione proprio ai processi creativi di età adulta e, in particolare, alla natura e alla composizione dei ricordi nei suoi film della memoria10: Dal giorno in cui sono na11> fino al mio ingresso a Gnecittà la mia vita mi pare si.utata vissuta da qualcun altro; da uno che, solo II traiti t IJUlllllk) mnu, mt lo IZSf'tl"'• decide all'improvviso di paneciparmi qualche fozmmnuo dn SU1Ji ri«ndi. Debbo quindi ammettere chei mirifilm tkllll mnMrill =nlllllDri«mlitomp/rfllmm~ invmlllti. E del reltO che difrerema &? &xo; da bambino cosawvo dtz solo dei buranini. Prima li disegnavosul cartone, poi li rit2gliavo, infine mettevo 8 lbidnn. p. 106. 9 Ibidnn. p. 110. lOFellini, F11"1111fi/m,cit, p.41 s.

235 insieme le teste con la aera o con l'ov.irta imbevuta di colla. Di fronte a casa nostra c'era un giov.motro con la barba russa, fàceva lo sailtore e veniva spesso a auiosare nel rnapno alimentare di mio padre esaltandosi davanti alle grandi furme nere e panciute di parmigiano. Per lw erano •pezzi di arte pura,,, e cercavadi convincere mio padre a pres121'giiene un paio: perispiram, dic:Eva. ma papà cambiava discorso. Un giorno mi vide in un angolino che f"lStro«hiavo ptr con/Omio e miinsegnò a usare il gesso liquidoe la~ stilina11 • Fabbricavo da me anche i colori schiaaiando i mattoni e riducendoli in polvere. In un vicoletto dove passavo sanpre perandare a ripeli?.ione (dovevo andare a ripetizione tutto l'anno perché a scuola non imparavo niente) c'era Amedeo, un ommo sdm111to cht canlicchiava a bassa IKKt e fàceva dei bellis:simi lavori in cuoio. Amedeo mi aveva preso in simpatia e mi regalava i ritagli che finivano 50t1X> il bancone. Più avanti c'erano due &ardii gemelli, fàlegnami (si dislingun,ano pmh/ uno sordo t J'alm, fisd,ia1J11}; anche nella loro bottega m i ~ paswe del tempo e portavo via delle tavolette di legno dolce. Insomma g ci ripmso miJIIZtt mtptT mtlafanfllSÌll tsmtprr Stil/a ktJua ai lavoro artigianalt. Non mi sono mai appassionato ad alai giochi all'infuori dei burattini, dei COlori e delle costruzioni in cartoncino, quei disegni in piantae prospeaiva che si ritagliavano e s~mcolbvano. M i ~ anchestardliusonel gabinetto peroreed ore. mettermi la àpria in f:aa:ia e mascherarmi con baffi di stoppa. barbe, sopraa:iglioni mefutofelià, e basettoni disegnati col sughero bruciato.

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11 Di questo scultore Fellini racmntò in termini entusiastià anche a Chandler (Owtdler, lo, Ftdtrla, Fti/ini, àt., p. 21): .C'era uno scultore che abitava di fronte a noi, e quando vide le mie marionette mi incorrzaià a continuare. Disse che avevo talento, il che erastimolante. Non c'è nulladi più prezioso degli incoraggiamenti ricevuti in giovane età. specie quando l'approvazione non è generica ma si riferisce a qualcosa di speàfico. Fu lui a mostrarmi come usare il materiale per fare le teste-.

236

Flll"1Fdli,,;

Frammenti della memoria riaffiorano inattesi e imprevisti, si compongono in maniera biu.arra nei film e finiscono per produrre qualche cosa di originale, una invenzione, un pastrocchio non rispondente ad alcunché di reale, esattamente come quei burattini, frutto di un meticoloso e paziente lavorio in solitaria, ma il risultato anche dell'incontro fonunato e fecondo con adulti generosi, disposti a regalare al piccolo Federico i loro consigli, i loro materiali, le loro arti, il loro tempo e soprattutto disposti a fargli dono del loro esempio come artigiani e lavoratori appassionati e talora persino del loro speciale incoraggiamento. C'è tuttavia un ulteriore elemento che Federico da bambino ricavava, come impalpabile arricchimento, dal confronto diretto con questi adulti fidati, generosi e ben disposti verso di lui (tra rui naturalmente il babbo Urbano, non a caso inserito nel brano all'interno del suo magazzino e geloso delle sue "panciute" e "artistiche" forme di parrnigiano12}: ai suoi occhi questi maestri e modelli positivi costituivano un oggetto privilegiato di osservazione, su di essi il piccolo "burattinaio" rivolgeva attenzioni particolari, li osservava saupolosamente e registrava con estrema acribia tratti buffi o dettagli significativi («c'era un giovanotto con la barba rossa,,, «c'era Amedeo, un tmtetto sdmtato che canticchiava a bassa voce-, «e'erano due fratelli gemelli, falegnami, si distinguevano perché uno mzSIJTdo e l'altrofischiava»), che si andavano poi a deposi12 Persino il parmigiano venduto con orgoglio dal padre Umano ri-

usd a solleticare la &nwia immaginifica di Federico, il quale, secon-

do quanto ripona C. Chandler (ibidnn, p. 283). abbozzò un breve raoconto per bambini con proagonisti vari furmaggi: •In uno c'è un piccolo c:ano f.uto di parmigiano reggiano con quamo ruote di provoloneimpantlllato inunastruladi buno.l due cavalli di ricotta =nodi liberarlo mentre il postiglione, che èdi mascaipone. trema perla paw-aagi1211do una fiusta.fma distrucedi mo=rella..

237 tare e stratificare nella sua memoria e nel suo immagina-

rio come una riserva di ricordi, pronti a riaffiorare nella costruzione di alruni peISOnaggi cinematografici. In una storica intervista rilasciata a Eugenio Scalfari, Fellini addirittura parlò di questo ricco, persistente deposito di memorie come di una potente barriera difensiva cono-o il timore della mone13: Hai plZUTYltUIJa ~ ! SI, ho ~ura della morte. Sri affa:io111110 agli Dt$ln, ai luoghi, u ,u dis111«hi

consoff=? Al contrario, me ne distaa:o con completa indilferema. È SlralUI, chi fu f"lUTYl tk/Ja ~ di so/ilQ UTQI di

difnui=iallrtlvmo la ripr,ilivitll dd gnti, dd luoghi, dq/i Dt$lli. Tu M! lo no, e sai perché? lo mi difendo attraverso lari~ titivitàdelle memorie. Ho uno 7.00C'Olo di memorie addirittura -ivo; mi seguono da per tutto, in ogni momento, slllnno rul mio cervt/Jo, MIIIZllli ai min occhi, mlrllM nn min jibn. Perciò mi importa poa> di conservare oggetti e luoghi e persone"; il

13 L'inll!IVista fu rilasciata al giornalista Eugenio Scalfari sul set de uzdttlltklluiDnru (E. Scalfari, uzsmz andavamo in V-.raVtMo, in «La RepubbUa., 1979). 14 Alla Chandler (Chandler, lo, FmDN mz/j non avwbbm, mai f11110. Non volevo certo unare i sentimenti delle persone reali della mia gioventù, una cosa che non ho mai voluto~ ....

Dunque Rimini viene ricreata, riplasmata sulla base dei ricordi del regista, non sempre esatti e rispondenti al vero, per due fondamentali ragioni: la prima è artistica, poiché il risultato di questa narrazione filmica, la vita racconltlltl, assume, agli occhi del suo autore, un carattere di verità e di realtà moltopiù fone rispetto aquello della vita davvero vissuta. La seconda ragione è pranca, dal momento che un Aman:ord strettamente autobiografico, spingerebbe i riminesi a volersi impossessare di quei personaggi, a riconoscersi in essi e ad attribuire a se stessi e agli altri concittadini caratteri e tratti cinematografici non necessariamente veri, con l'esito di suscitare in loro disappunto e irritazione. Ecco penantogli escamotage adottati per ovviare a queste necessità: "' Le figure sono state esagerate e le loro fobie enfatizzate. "' Vengono introdotti elementi umoristici. "' Vengono estrapolate caratteristiche - reali o immaginarie - da personalità altrui e appiccicate ai personaggi del film. "' I personaggi fanno cose che le persone reali non avrebbero mai fatto. In Aman:ord Fellini ha dunque deformato luoghi, situazioni e personaggi in chiave decisamente comica e caricaturale, al fine di evitare qualsiasi spiacevole iden23 Chandler, lo, Fedmco Fellini, dt, p. 210.

Ft11tt1Fdli,.;

tificazione e soprattutto per esprimere al meglio la sua vena creativa. Egli ha cos\ realizzato dei luoghi collage e delle vere e proprie marionette cinematografiche plasmando, incollando, appiccicando sulle sue creature filmiche caratteri propri di altre personalità, che sono stati attinti dalle esperien:re realmente vissute o dalla sua fervida immaginazione. Un'operazione in cui ricordi diretti, storie raccontate, esperien:re proprie o altrui si mescolano, si fondono e si ricompongono per dare vita a scenari e personaggi di sapore aristofaneo.

FANO Nl!GU "S'J'RA11" NASCOSTI DI ÀMARCORD

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, vorrei tentare di illuminare alcune situazioni e personaggi di Amarr:qrd, cercando di rintracciare ricordi fanesi depositati nella memoria del regista e poi confluiti nella sua fantasiosa costruzione filmica. Fellini conosceva bene Fano, sin dalla sua infanzia e adolescenza: durante l'a.s. 1931-32 suo fratello Riccardo aveva frequentato la quarta elementare presso il collegio fanese dei padri Carissimi, il padre Urbano veniva regolarmente a Fano per lavoro, Federico e i suoi amici erano soliti giungere a Fano in treno durante i giorni del Carnevale, Fabio Tombari, l'autore fanese di TUlla Frusaglia, era uno 24 scrittore molto caro a Fellini • Ma i rapporti con la città 24 Dagli anni '30 il romanzo I''TUSllflia era diventato un classico saapopolare, &nwioso, lunare e downesoo, e leatmosfere del libro in8wronoprobabilmentesulgiovane Fellini, ilqmle, in etàadul12, assieme a Tonino Guena, Sergio Zavoli e altri :utisti e scrittori, si dice fosse tra gli assidw frequentatori della Casatkl Rio, la dimora dello saittore &nese presw Rio Salso, di cui si tramanda il dima rultwalmente vivace e ricco di stimoli. Come ha evidenziato l'attore e studioso Matteo Giardini, in occasione della ristampa del

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adriatica continuarono anche in età adulta, come testimoniano due lettere saitte nel 1952, rispettivamente a Tonino Guerra e a Tullio Pinelli, durante le fasi preparatorie de I vitelloni - verranno discusse nel capitolo dedicato a questo film - e soprattutto i vari sopralluoghi effettuati a Fano per l'iniziale proposito di girarvi sia I vitelloni, che Vuzggio con Anita, ma persino alcune scene di 8 112. La presenza del mare Adriatico, la conformazione urbanistica delle antiche Fanum Fortunae e Ariminum, alcuni monumenti cittadini tra cui l'Arco di Augusto e la Rocca Malatestiana, le comuni origini romane, il collegamento tramite l'antica via consolare Flaminia, la dominazione dei Malatesta e quella papalina e alcuni costumi provinciali molto simili rendevano inevitabile il confronto tra Fano e la città natale del regista, anche alla luce dell'essere entrambe collocate in quell'area di confine tra Marche e Romagna, racchiusa tra le province di Rimini e Pesaro, che Fabio Tombaci per primo definl regione "marchignola" 25• Fano, con la sua naromanm di F:abioTombali La m11nu l'tl11111rta cura della Provincia di rumini, lo scrittore &nese «è stato, per diretta ammissione di Zavoli, Guerra e Fdliru, il primo a aeare il tipo del "lunatico", l'abitante di una regione "nwdiignola": mezzo contadino-mezzo angelo; coi piedi per terra, ma la testa nelle calde utopie, nei ridiiami strampalati del sogno,, (A. Biagioli, F11bill Tombori. "mlllrhig,wlo". in «Lo Specchio della città,,, ottobre 2003). 25 La definizione è da attribuire allo stesso Tombali, il quale da Fano. sua città natale, eraandato a vivere a ruo Salso, sul confine tra Marche e Romagna, tra Valnwecchia e Montefeltro. Sin dalle Crollll01t di Frwtzgw, suo capolavoro giovanile, divenne il cantore della civilli p~industriale attravmo quella sua città immaginaria, quel villaggio improponibile e un po' metafisico tra il mare e gli Appennini (il suo "ba:zzoffio") che ha molto da spartire con Ammro,d, la aearura del conterraneo Fdliru a cui lo aocomuna la visionarietà, la forza dei sogni, il sublime artigianato nel C01Struire bizzarri pmonaggi comici.

F""'1FdJw

turale e scenografica teatralità, con il suo sttaordinario Carnevale, con il suggestivo Teatro della Forruna, con le sue aristocratiche spiagge e rinomate strutture balneari e alberghiere, per Fellini doveva rappresentare uno scenario perfetto per ambientare i suoi film già a partire dai primi anni Cinquanta. Tanto più che Rimini era stata quasi completamente distrutta durante la guerra, molti dei luoghi dell'infanzia erano venuti meno, lasciando turbato e sconcertato il regista, la città era ridotta a un «mare di macerieo26 • Oltretutto, venne ricostruita come «una città americana,, («Questa che vedo è una Rimini che non finisce più,,27), «quindici chilometri di locali, di insegne luminose», in cui «la notte è sparita. («Allora avevo visto un mare di macerie. Adesso vedevo, con lo stesso sgomento, un mare di luce e di case,o2'). Fano, ai suoi occhi, poteva dunque costituire lo specchio di quel paese della memoria, il teatro immaginifico in cui poter incastonare i suoi ricordi 29 • 26 Fellini, Fllrr un film, cit., p. 34 s. 27 Con un'espressione molto simile e altrettanto amara. Cesaie Pavese ne Lll iuflll e i f a/lJ aveva descritto lo sgomento di fion1e alla uccisione di Santa (Einaudi, Torino 1950, p. 131: «Sentimmo un urlo, sentimmo correre. e unascaria di miua che non finiva più,,): la guerra è penetnla nei luoghi mitizzati dell'in&nzia pavesiana e ha definitivamente e tragicamente detwpato la magia e l'inanto dei suoi ricordi. 28 Fellini, Fllrr un film, cit., pp. 36 ss. 29 li tenlativo, più volte ipotizzato e desiderato, di sagliere Fano come luogo in cw ambientare alcuni film non riusò e Fellini tentò l'oper.izionecon Ostia, come si I ~ in F'lllr unfilm, cit., pp. 35-36: •Un mare nero: che mi feoevenire la nas:t21gia di Rimini; e che era anche unascoperta gioiosa, sq:reia. come pensare: vicino a Roma c'è un posto che è Rimini. Q).ies12di Ostia è, in&tti, un.• pas :ta sulla quale dirigo spesso la macchina. anche incnmapevolmente. A Ostia ho girato/ vitelloni perché è una Rimini inventa12: è più Rimini della vera Rimini. li luogo ripropone Rimini in maniera teatrale,

22,

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In una intervista rilasciata da Luigi Benzi alla Rai nel 1974, pochi mesi dopo l'uscita di Ama~ord, è contenuta una preziosa testimonianza che fornisce una prova inequivocabile circa il fantasioso collage di luoghi realizzato da Fellini a Cinecittà, dal quale emerge con forza proprio la memoriadi Fano: Lavicrndaèalfondatanella Rimini di allora, anchese Federirosi è ispirato, nella ricostruzione aOnedttà dell'ambiente, al Corso, ad esempio, di Fano. a sono anche delle fontane che mi dicono essere sulla piazza de L'Aquila degli Abruzzi. Ma la sostanza. i luoghi, i nego'Zi, ù qt111mo slllgioni, il nego-zio di Sanasi, sull'angolo della piazza. il cinema Fulgor, sono rutti elementi che indubbiamente dovrebbero, a mio modo di vedere, non lo so, dovrebbero indicare Rimini come fondo di quesra vicrnda. di quell'anno di vi12 attorno agli anni Tren12».

Che Fellini, nel costruire il suo metafisico borgo, si sia dunque ispirato al coiso Vittorio Emanuele di Fano - subito dopo la guerra sarà denominato Coiso Gia~ mo Matteotti - , non sembra essere una notizia balzana, al contrario pare del rutto fondata e degna, pertanto, di considerazione: si deve presumere che lìtta Benzi, il quale di solito, nel riportare ricordi o aneddoti, risulta un testimone lucido e attendibile, abbia desunto scrnograficae, pertanto, innocua. Èil mio paese.quasi pulito, nett2to. Masul dilna, in parte manioomialee in parte carnevalesco dei casini romani, si vedano le splendide paeine seri ne da B. Zapponi,// mw Ftlbn4 cit., pp. 65-67. 47 Da una testimonianza di TtnaBenz.i, discusso nel capitolo dedicato a/ 11ilt/JJJni (di-. p. 40 s.), sappiamo che il rqi.su durante le sfilate del carnevale veniva a Fano in tttno con i suoi amici riminesi.

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il buffo direttore della Musica Arabita41, lo sgangherato e improvvisato complesso musicale che, sin dal 1923, costituisce uno dei simboli più conosciuti - anche ali'estero -del carnevale fanese''· 48 Le notizie sulla origine storica della Musica Arahi12 si perdono nel tempo. U primo a>mplesso di cui resta traa:ia si chiamava -Bidonata• e utilizzava strane casse annoniche per sat:iRggiue i delicati strumenti dei nobili e b. sofisticata musica da camera. Alla meno peggio e seru:a troppa disàplina. si tra.evano riani da pentole, barattoli e bidoni al fine di falsi belle dei ricdii e potenti, anche se presto sorsero strumenti un po' meno rorzi: violini a~iera. oembali di lana. a>mie a>mette &ni a>n rubi di fmo. Tunavia. apoa> apoa> il gruppo di questi spensierati e bizzarri musicanti si assottigliò e 6nl per soomparire. Ugruppo musicale veMe di nuovo rioostltuito nel 1923 col nome di Mus~Arahi12da un gruppo di simpatici giovani capitanati da Grisante Travaglini e in seguito. a partire dal 1937, venne perfezionato, sotto b. direuonedi Enzo Ber.udi, fino a raggiungere la forma attuale (cfi-. La M11.1ia1Ambilll 111m[11rpn- mlZiDM 11 ~lb da... annmz, in cll Resto del Carlino», 23 febbraio 1968). 49 Nel 1954, dopo aver a>nosciuto in una trattoria di Potto Corsini l'allegraa>mitlva di Giulio Marini, un maoellaio &neseche suonava il darinettn nelb Musica Arahi12, lo saittore Curzio Malaparte rimase molto colpito dall'alle&fia e dall'estro del gruppo e, sul seuimanale • L ' ~ nelb rubrica -Battibecco•, bmen12ndo il carattere rissoso del.b politica italiana. dichiarò: ce se proprio ha da fSsere una politica da arrabbiati, siaalmeno unapolilica 111/Jbùti. a>me la musica di quest2allegra00mitlvamarchigiana. nmda un esttoantia>e lioo. ro. da un wnore (e da un amore) lieto e leale,,. Anche il giornalista e saittore Guido Piovene nel suo Y-uzp in IltUill, facendo un chiaro riferimento alb. MusicaArahi12, a1fermò: «Fano si van12 di aver inventato ilj=-con ceni suoi conoertidi musica sincopata incuistrumenti sono pentole,. Memorabile fu la tnsfer12 a Roma del complesso fol.. doriui00 &nese, invitato ad animare la festa delle matricole universitarie marchigiane: la Musica Arahi12, direaa da un impmggiabile F.mo Ber.udi, esibendosi anche per le vie del.bapiale, risllosse un grandesuaiessotra glistUdenti e pemno trai Nmtl e suscitò un enrusiasmoenonne per l'originalità dei suoi strumenti e per la bravwa di alamisoli.m,in particolare deldarinettistaGiulio Marini (F.nlUSillsmo 11 R.o11111 pn- lii "Mll.lial Arll/Jua-, in .U Resto del Carlino-. 29 aprile

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F11noFd1itù

La Musica Arabita, con i suoi bizzarri e saampalati strumenti e i suoi caratteristici e allegri rioni, in un clima scombinato, brioso e movimentato, ancora oggi dà il via ai festeggiamenti carnevaleschi, portando ovunque buonwnore e spensieratezza. Si tratta di decine di elementi scatenati e incontenibili, che si sono ben organizzati a partire dal 1937, allora guidati dall'inimitabile maestro Enzo Berardi, e che rappresentano tuttora un vanto del folclore cittadino. Come il mitico Berardi, anche il personaggio che appiccherà il fuoco in Amarcord, è travestito come un buffo direttore d'orchestra, indossa un cappello a cilindro, che agita festosamente con la mano, un frac nero, cono sul davanti fino alla vita e con due code nella pane posteriore, e tiene nella mano destra un artigianale bastone da frac, che egli in realtà utilizza in modo bizzarro e carnascialesco, cioè come miccia per accendere il falò e bruciare il pupo. Questa bizzarra figura, muovendo festosi e allegri passi di danza a suon di musica e rivolgendosi a braccia apene ve.rso la "sacra" pira, pronuncia una sorta di formula magico-liturgica («Eccola qua la primavera! E con sto fuoco, vecchietta mia, l'inverno in cielo ti porti via!»), trasformandosi di fatto in una grottesca caricatura comica, nella parodia del grandecerimoniere, del "sacerdote" che col suo scettro sovrintende a quell'arcano rito. Le sue movenu e il 1959).Andie nel 1963, dur.mte il Carnevale, la MusicaAnbitaandò in trasfeltl a Roma e si esibl probabilmente nel noto locale T11Vt11111 dty}i artisti di via ~a:a fondaro e gestito dal f:lllese Ameneo Del Vecdùoe molb> probabilmente fiequentaro da Fellini. Nella fotografia di gruppo del complesso, che è Staia pubblicata nel capitolosu La dola llittz. si riconoscono Enzo Beranli, Giulio Mariru, Amerieo del Vecdùo e pelSi.no Gigi Proietti (dr. p. 100). E se in Anwmmi Fellini, nel dare spazio al simpatico barbiere che compone al clarinfflo, si fosse riamlato proprio dell'estm10 darinenista f:lllese Giulio Marini?

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modo in cui viene rappresentato ricordano esattamente l'estrosa figura di Enzo Berardi, qui sotto raffigurato mentre dirige lasua MusicaArabita.

JlpmoMtzw ckaccmdr la fogartlZZ4 in Amarcord p,zremnr i.spif1lllJ a Enzq &rrzrdi e la MusimAr11bita nelk dm fo/lJ.

Le analogie evidenziate sono tanto più significative se si considera che, sia il rito della fogarazz.a che quello del carnevale di Fano, hanno il loro momento clou in un

264

FIIMFdli,,;

falò rituale50: in entrambi i contesti anravets0 il fuoco, si caccia via, si espelle dalla comunità, bruciandolo, un simbolico pupo, un capro espiatorio fonte di purificazione, che diviene emblema di tutto ciò che l'ha contaminata durante l'anno e l'inverno appena trascorso. Nel clima scherzoso e divertente che accompagna il rito del falò, si deve registrare il bruno tiro giocato dalla zio di Titta, il vitellone Lallo, al ritardato Giudizio, il quale si trova in cima alla pira per disporre la Sega Vecchia e al quale, a un certo punto, Lallo sottrae la scala, fàcendogli temere di finire bruciato sul rogo. Si tratta di uno scherzo consono al clima carnevalesco di tutta la scena, che tuttavia allude beffardamente proprio ad arcaici riti sacrificali, che in epoche remote prevedevano persino il sacrificio umano (come avveniva ai primordi dell'antico rituale greco del q,apµaK6ç). In questa scena di Amarcord Fellini ha dunque di nuovo "stratificato": sul falò bruciano simbolicamente la "strega" dell'inverno tipica della tradizione riminese e il "pupo" carnevalesco della tradizione fanese.

50 In realli diversi wno cJi elementi amevaleschi die aocomunano entrambi i riti: i ragazzini die sooppiano i petan:li, lasciandosi andare a una libertà di wlito non consentita, rievoca s!Rnall!'ZZe inf.antili comuni durante il amevale; il lanào di arance sulla pira da pane del pubblico ricorda aiuloghi e simbolià riti di feniliti (in particolare si veda a Fano il tradizionale getto di dolciumi); la presenza di una musica allegra e gioiosa die li aocompagna entrambi; una cena licenziosità verb21e, con battute a sfondo sessuale o parolaa:e, consentita wlo in un dilna amevalesco.

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Dtra l'BRSONAGGI PANBSI "mun A MENI"

IN A/tl.ARCORD

Dopo aver tentato di identificare le tracce fanesi depositate in Amarr:ord e dopo aver dimostrato come il fondale dd film sia costruito a strati, nelle cui maglie sono rimaste intrappolate anche alcune memorie legate a Fano, soprattutto quei ricordi associati alla briosa indole della cittadina, alla sua spiccata dimensione goliardico-amevalesca, teattale e dionisiaca - molto cara all'immaginario fdliniano e particolarmente viva nel contesto fanese, in cui la maschera, il travestimento comico, la po$ibiliià di diventare "altro dasé", in quanto elementi di rottura con la normalità, giocano un ruolo chiave51 - cercherò di individuare una analoga stratificazione nella costruzione di due personaggi del film, nei quali da anni la vox populi fanese ha colto alcuni tratti appartenenti adue noti concittadini. Il primo dei due personaggi è Ronald Colman, il proprietario del cinema Fulgor, il quale, impeccabile nella sua eleganza, con il cl~ico impermeabile dal bavero rialzato e i baffetti da attore hollywoodiano, fa la sua trionfale comparsa durante la festa della fogarazza, subito dopo il teattale ingresso da diva di Gradisca - rivolgendo il suo saluto con la mano e sorridendo beffardo e altezzoso. Fellini fu. chiaramente inruire di essersi, almeno in parte, ispirato alla figura di Carlo Massa, il figlio ddla signora Ida Ravulli, la bella e intraprendente riminese che nel 1914 aveva inaugurato il Fulgor. Il giovane Carlo, all'epoca sedicenne, una volta terminato il ginnasio, affiancò la madre nella gestione dd cinema 51 li tema è stato ampiamente sviluppato nel capitolo dedicato a I viulloni (di-. p. 37 ss.).

F11nt1Fdlini

e se neocruperà con dedizione fino al 1962, anno della sua prematura morte. Federico, da ragazzo, aveva fatto alle stelle del cinema numerose caricature, che, ispirate dalle locandine appese davanti al Fulgor (un suo amico le colorava) e firmate con "Fellas", venivano poi collocate nel ridotto del cinema: questo procurava a Federico e ai suoi amici l'ingresso gratuito in sala52 •

Carlo Massa da gù,vanrr da 11nriano.

È lo stesso regista a raccontarci i dettagli di questa vicenda in Fan un film:. Siccome, per via della Bottega dell'Ane, io ero diventato un persoMggetto abbastuiza noto, avevo &tto un contratto col proprietario del cinema Fulgor. Cmtw assomigliava a Ronald Colman e lo sapeva. PIITtllVtl l'impmnazbik anrhr d'nt111r, i balfetti, e manteneva una c01t11n1r immobiBJJ, per non perdere la somigUanza, come fumo quelli die sanno di assomigliare a ql121cuno. l lavori die &avo per lui - caricature di «divi», interpreti dei film in programmazione, messe nelle vetrine dei negozi a scopo di propaganda - gli erano dati in cambio dell'~ gratuito al cinema Fu.Igor[... ). Dopo

52 Chandler, lo, Fedma, Fellini. cit, p. 316 s.

Strdlldfd"Zir ~ , , _ ,i;41/Lpa»NlfKifibrni

le caricature, avevo ottenuto l'ingresso gnruiro per me. 1ì11:1.e mio frarello s._

Ora, questo rittano di Carlo Massa dipinto da Fellini non collima con le informazioni fornite dalla figlia del titolare del Fulgor, Marta Massa, che lo scorso 23 gennaio 2020 ho avuto il piacere di intervistare. La signora Marta, che, fino al 1980, quando il cinema fu ceduto dopo la mone di sua madre, ha vissuto l'avventura del FuJgorin prima persona, stando allac:1$3.con le sue sorelle, eche ora custodisce gelosamente le testimonianze di suo padre, avendone ereditato il fone attaccamento a questo magico luogo e l'orgoglio («il FuJgor non era di Fellini, come si suol dire, ma della famiglia Massa.), non ha riconosciuto nelle parole di Fellini e nella rappresentazione cinematografica di suo padre, molti elementi di verità. In un articolo pubblicato in occasione della riapertura del cinema Fulgor, programmata per il 20 gennaio 2018, la signora Marta ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni54: Ed è proprio col desiderio di r,odeJe della vista dei 61m che il giovane Federico si offre a Carlo M2SSa per reali=re d~i e aricall1re. «Mio padre era IINl pmon11 timida e rismJaJa - ricorda la signora Marra- maera IIJttlimm1edisponihikoon i raga:ajni che volevano frequentare isuoi spazi. Lui gli dava qualdie soldo, ma quello che loro volevano qwndo provavano a stare in cabina di proiezione, allacassa. era solo guadagnmi la vista dei film-. Lo msso Carlo M2SSa sa.là poi il soggetto a rui si ispira il Ronald Colman di AmllrctJrd. il gestore del Fulgor che nel 6lmè ritratto in imperme-mile a,n il colleno sollevaro, cappello a f.ilda larga e sigaretta appesa in boa:a. «Per disegnare

53 Fellini, Fil" 1111 film, cit., p. 30 s. 54 G.Echires, r.,Jgor. riap" iJdnmuzdi Fe/Jini. UNZSll!.tl mtrtllllMl milo, in •la Repubblica,,, 28 dicembre 2017.

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FilMFdlùu

ilsoggeuo ispirato a mio padre- dice Mana -Ftllini ha li.fil/li 11111/ta più fantasill dtl 111lilll. Lo stesso &no che lui abbia saino che mio pmhr si atttggiaw ptras111mig/iarra qutllaitoTr, Rt,na/d 0,/man,ptr mrnon è propriovm,. Mio padre non ha maifa- in llittz sud. Mi piaoe pensare che sia una delle tante az1Ìalllltt di Fdlinl,,. Come pure quando nel libro La mia Rimini, Fellìni descrive la moglie di Carlo M=a. madie di Mana: «Era alla cassa. staa:ava i biglietti e allattava. copra1do seno e bamboccio a>n uno sciallone a fiori da dove sì sentiva ciua:i2re e ogni tanto venivano degl;strilli,, saive il cineasu. «Mia mamma non ha mai allanaro in cassa,, ci dice MaJ12.

Dunque, nel racronto e nel film di Fellini, sarebbe contenuta, secondo Marta Massa (me lo ha ribadito a voce nel corso dell'intervista), una rappresentazione caricaturale del padre Carlo, il quale aveva certamente baffetti e cappello, e tuttavia non ha mai indossato l'impermeabile con il bavero sollevato o fuori stagione e non ha mai fumato. Inoltre aveva un carattere timido e riservato, era «una persona seria e distinta> e per la sua indole non avrebbe mai osato atteggiarsi a divo del cinema. Secondo la signora Marta la figura del padre «venne ridicolizzata da Fellini, mia madree i miei fratelli se ne indignarono»S5• Questa indignazione della famiglia Massa, sempre composta e mai sbandierata, trapela 55 Mana Massa mi ha anche raccontato un ricordo spiacevole legato a suo padre, il quale, in ooc:asione di una visita di Fellini al cinema Fulgor (prima del 1962), rim= molto male per l'atteggiamento altezzoso e pieno di superiorità mostrato dal regista e rammenta il commento &tto dal fratello ferrarese di sua madre a Carlo («Lascia perdere, è proprio un pataca!»). Secondo quanto riferito da Mana, Fellini non eramoho amato dai suoi concittadini, a parte il rapporto con la sua &miglia e con 'lìna Benzi, non aveva molte relazioni con i riminesi che lo consideravano volgare per i suoi scherzi e non sopportavano il suo andare "contro la morale".

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anche da un pawiggiQ dell'anicolo che Mana scrisse su «la Voce,, di rumini nel 2014: Negli anni tante parole sono stare spese sul Fulgor e, chiamiamoli c:osl, sui suoi •personaggi": molte non veritiere, arria:hite dalla &n12.Sia o di pun invenz.ione, giusto per saivere qualcosa, certe rispondenti alla real~ altre offensive. Ma non ci siamo mai scomposti~.

Ma se Ronald Colman di Amarcord non contiene i caratteri di Carlo Massa, per diretta ammissione di sua figlia, a chi si è ispirato Fellini nel cosouire il suo personaggio? Esso è soltanto il frutto delle sue fantasie, dei suoi eroi dei fumetti e dei suoi miti cinematografici, o~ pure la sua memoria aveva registrato anche una immagine e un volto reali?

A sinistra Giusq,~ Bu/prt/Jj t a datra ii 11m, Rl,na/dCo/man, altlJrt

holJJwoodiano. 56 M. Massa, La nostra s«onda indimnuiazhik t:llSl1, in •la voce. di !Umini, 3 novembre 2014 in oocasione del centesimo anno dalla inaugura:uonedel cinema Fulgor.

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F4lt0Fd/i,ù

Dopo l'uscita di Amarr:ord, a Fano si cominciò a diffondere la voce che il personaggio felliniano di Ronald Colman assomigliasse incredibilmente a un fanese di nome Giuseppe Bulgarelli, che fu per molti anni il direttore del cinema Corso di Fano, ubicato in Corso Matteotti, con l'ingresso proprio di fronte al collegio Sant'Arcangelo gestito dai padri Carissimi, lo stesso nel quale srudiò per un anno il fratello del regista Riccardo57• Giuseppe era di origini romagnole, era nato a Faen1.a il 9 settembre 1908, ma dal 1917 si trasfer} definitivamente a Fano con la sua famiglia. Nella cittadina adriatica si sposò nel 1935 con Elda Cucchi, da cui ebbe due figli, Gianfranco e Sergio. Abitava in via Corso Matteotti 3 1 (poi 127) e a partire dagli anni '40 fino al 1966, l'anno in cui andò in pensione, Bulgarelli, gesti le sale del cinema Corso con la qualifica di caposala. Come si evince dalle fotografie qui sotto riportate, Bulgarelli aveva i baffetti, era solito vestire in maniera piuttosto elegante, indossava spesso l'impermeabile anche col bavero rialzato, portava solitamente il cappello inclinato "sulle ventitré" e i fanesi lo ricordano sempre con la sigaretta in bocca. Pur essendo impiegato come dipendente, prima della ditta Pietrangeli e poi del Politeama, si atteggiava in modo tale da far credere di essere il proprietario del cinema, amava darsi delle arie ed essere considerato "tra quelli che contano".

57 Sul collegio dei padri Carissimi, vivmimo nei ricordi del regu12, si veda il capitolodedicato (p.159ss.).

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Di«foto di Gi,mppt Bu/gartlli.

A causa del suo piglio altez:zoso, burbero e un po' schivo, suscitava, soprattutto nei più piccoli di allora che oggi lo ricordano - una certa soggezione, anche se talora concedeva agli amici del figlio Gianfranco e anche a qualche allievo del collegio Sant'Arcangelo di enttare gratis in sala. Frequentava il bar del ristorante Frusaglia e persino il più vip Caffè Centrale, e pur f.icendo pane della media borghesia, ci teneva ad apparire ancora più altolocato. Dotato di una buona capacità oratoria, in città era rispettato e stimato e fu persino candidato ed eletto nella lista del Partito Liberale Italiano come consigliere comunale alle amministrative del 1964. Morl il 22 maggio 1971 e sulla sua tomba si legge ancora Giuseppe Cav. Bulgarelli. Non abbiamo purtroppo testimonianze dirette o indirette utili a dimostrare che Fellini avesse conosciuto, o anche soltanto incrociato, il direttore Bulgarelli e tuttavia l'ipotesi, rutt'altto che infondata o inverosi-

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FllltOFdlini

mile, si regge sulle numerose coincidenze individuate e sopranuno su quella poetica del collage e della stratificazione che Fellini adonava nella costruzione dei suoi personaggi-marionette: il suo genio comico in questo caso ha prodono ii tipo dell'a®"millantaw", un misto di altez:zosità, vanagloria e di esibita superiorità, che ci riporta alle origini del teatro greco-latino, al modello del soldato che millanta le sue imprese, al mi/es gloriosus di plautina memoria, di cui la maschera felliniana sembra essere una moderna rivisitazione. Peraltro, oltre alla sovrapposizione Massa-Bulgarelli-Colman, nella creazione di questo tipo deve aver giocato un ruolo significativo anche l'immaginario cinematografico caro a Fellini: il cappello lanciato dal giornalista Fred Mcmurray 511, gli 58 Durante 1~anlffl'istl televisiva ad Anna MariaTaiù (Dadid mlnllli e TNZZJJ, 6 febbr.uo 1981) Fellini rux:ontò come nacque a suo sogno di &re il giornalista: «Volevo &rea giomalistapen:hé mipiaa:va moltissimo Fred MacMumy, un attore ameriano che f.iceva quasi sempre a giornalista e che entrava nelle redazioni lanàando dalla portaUc:appelloecmmmdosnnp,rl'am,npanni. Eooo,ioaedoche pruicamente quel gesro l'irmmirazioM di quella panoramica che seguiva a c:appello di M3cMumy lancwo dalla porta fino 311'311aCcapanni che era 311':altra estremili della s = . abbia determinalo la miac:anieradi reg;m.. Questo rux:ontodesaivein maniera eflicace. amavaso quelc:appello che tutle le volte centraU suoobiettivo sen:r.a mai fallire abe~io. adesiderio di suocesso che apica>lo Federioo nuaiva. Nella stessa inlffl'istl Fellini parla del fucino e della soggezione eseràtatasu di lui d:al direttore del giornale romano «li Pia:oloin cui si ll'OYÒ a lavorare:«[... ) aveva la caramella fumé che gli dava l'aspeaoda peisomggiodei fumetti [ ••.). Aveva un gran c:appellone, uno sàarpone lwigo fino ai piedi, portava le ghette, c:appottone di cammello, arrivava 311e undici e mezzo di sera. sempre oon una soubrette nuova. era proprio ilflUCÙl(J IOttliL, il rr, ~lv, che tu voln,; - · Su McMumy si legga anche l'an:aloga oonfessione rimàala a diandler, lo, Fedrria, Fellini, àt., p. 46: cl.a voglia di diventare giornalista mi venned:al c:appello di Fred McMumy. L'immagine che ho dei giomali.sti mi viene esdusivamenie dai film ammami. Tuao

n.

a

Smllldfll1rr.r, I , - di dMfN'JD""tzi filnni

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impermeabili degli attori americani~, il bavero rialzato e il cappello calato sugli occhi - che gli mosaava solo wta parte del viso - di Robeno Rossellini60, gli ingressi gratuiti al cinema di Remo e Robeno Rossellini con wto stuolo di ragazzini (il padre, costruttore di cinema a Roma, aveva delle gratuità61 ). Dunque, il tipo comico creato da Fellini è il risultato di una straordinaria commistione. una miscellanea in rui si fondono assieme almeno tre diversi prototipi presenti nel suo immaginario, che trovano in questo soggetto wt'Wlica rappresentazione: la star hollywoodiana, il proprietario-~.

recentemente conferrnal'O Gianfranco Ban:alotta autore di Amk10 in ltalill nrl Novt«11to (A. Cuccio Editore, Roma 2013). 65 Chandler, lo, Fednico Fellini, cit., p. 139. Sulla figura di Annibale Ninchi si legga il capitolo dedicato a La dolu vila a p. 86 ss.

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L'arma ativatkl annnaOmo di FlllW Mf}J 11nni '50.

Il secondo personaggio di Amarr:ord a cui sono state attribuite da tempo "origini" fanesi è conosciuto nel borgo con un soprannome, si tratta dell'Avvocato, a cui nella prima sceneggiatura di Guerra e Fellini era stato affibbiato un buffo nome di battesimo, Olivo Olivetti66• Si tratta del signore distinto e colto, con fluenti capelli bianchi, lunghi baffi e cappello a tesa larga. che compare sin dalle primissime inquadrarure e che conclude la lunga carrellata dedicata alle "manine", introdotta dalla voce narrante di Giudizio, il "ritardato" mentale, il quale, come un angelo, annuncia l'arrivo della primavera nel borgo e, di fano, rompendo la cosiddetta "quarta. 66 Fellini, Guerra. Ammr111'd. cit., p. 16. Tia i nomi bazani doa1mentui in Romagna si registta una Oliva Oliveti e un Olivo di Forlimpopoli (dr. Dalla Valle, La Rmnllgna dn nomi, cit., p. 166s. e Pivato, li 1ll1TM ~ la storill, cit., p. 57). Si chiamava bizzarramente Olivio il ferroviere aJJ2rc:hiro padre di Moraldo Rossi, amico e aiu10 regista di Fellini (dr. Rossi, Sanguineo, &//ini6-Rmsi, iJsato vìulloM, cit., p. 52).11 cognomedell'anore Luigi Rossi, che interpreta nel film l'Avvocato, potrebbe aver favorioo questa asooci2zione.

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parete" apre, rivolgendosi verso il pubblico, la narrazione filmica67• L'avvocato, in quella prima sequenza, appare sul molo accanto al f.u-o e tiene a mano la sua bicicletta, il mezzo di traspono che, nel soggetto originario del film, viene associato a lui quasi ogni volta che la sua figura compare, come una sona di epiteto epico68, e che lo accompagna in molte scene di Amarr:ord. Nel film il personaggio è talmente tutt'uno con la sua bicicletta che il regista lo rappresenta accanto al proprio mezzo persino sul peschereccio in cui è salito per aspettare il transatlantico R.ex, si allontana da essa appoggiandola a un ippocastano, soltanto quando si scatena la tromba 67 È singolare che il personaggio •angelico" venga inquadraro nel suo primo piano men1re •soencle" dall'alto dopo aver afferrato con un balzo la manina. Anche ne / viltlloni, ne / rlowns e in Rmn4 compare il penonagio di Giudizio, con lo stes:so nome parlante - associato a lui per antiresi, dato che è considerato da rutti idiota, "privo di senno•, ma fo~ il nome potrebbe essere staro ispiraroda Tonino Guerra, che a Santarcangelo si in00ntrava 00n altri poeti dialettali presso i!Caffè Trieste nel sodalizio chiamaro ironicamente da alcuni concittadini •11 àr00lodel giudizio• (È drazltk'giudliz.r). Anche ne / viltlloni viene associato a un angelo, alla statua dorata rubata da FaustD e Moraldo. 68 Fellini, Guerra, Amarr (dal cono); p. 20: «spingendo la sua bicicletta a manoo (in piazza); p. 37: «con la bicicletta a mano- (davanti alla lapide); p. 38: -appoggia la bicicletta al corpo- (di fronte al palazr.o antico); p. 58: ctiene la bicicletta a mano- (davanti al Caffè del Commerào); p. 115: cè fenno con la sua bicicletta a mano-, «Appoggia la bicicletta al tronco dell'ippocastano• (tromba d'aria); p. 126: csi vede il manubrio della biciclen» (nebbia); p. 143: «È anche la prima volta che sono costretto a lasciare a casa la biciclen» (nevone); p. 152: «diversi con la bicicletta a mano. Tra questi l'Avvocatoo (funerale); p. 157: «con la bicicletta renuta a mano- (fotografie).

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d'aria (scena non presente nel film, ma solo nel primo soggetto), e, nel momento eccezionale del nevone, l'Avvocato dichiara di essere stato costretto a staccarsi momentaneamente dalla sua bici. Come se quella bicicletta fosse tutto ciò che egli possiede, il suo guscio, la sua dimora dotata di tutto ciò che gli serve, «completa di tutti gli aggeggi necessari,.67, si dice, per ben due volte, nella prima sceneggiatura. Il personaggio, che si aggira, sempre trasànandosi a mano la bicicletta, itinerando per il borgo e f.icendo discorsi in assoluta libertà, ricorda per alcuni aspetti il tipo del filosofo chiacchierone e itinerante, diventato un costante bersaglio di parodia e satira feroce a partire dalla commedia greca antica fino ali'opera di Luciano e anche nella tradizione comica latina. Basta pensare al Socrate preso di mira nelle Nuvole di Aristofane, il quale girava continuamente per le strade di Atene nel V sec. a.C. discettando o cavillando su questioni talora interpretate, dalla lente comica, come futili o di lana caprina, o all'anticonformista Diogene di Sinope, uno dei fondatori dellascuola cinica, vissuto ad Atene nel IV sec. a.C., il quale, dedicando la sua vita a predicare la semplicità e l'autosufficienza, non aveva null'altto se non la sua botte e difendeva con assoluta dignità la propria libertà di parola (1tapptJoia)70• Il personaggio descritto da Fellini 69 Cosl, con un epiteto di sapore omerico, si descrive la biciden:a dell'AvvocalX> in due passaggitldla soeneggiarura (di-. Fellini, Guerra,Amarrord, ciL, pp.10 e 13). 70 Sulla parodia e sulla stnti6cazione dei tratti comici nel tipo del filosofo (vagabondo, povero, sofim. cosmologo, cavilloso, itinerante, oggetto di sberleffo, etc.) si rimanda, per quanto riguarda Socrare, a G. Cerri, u Nuvole di Aristofonr t la mzilà storka di Somut, in Perusino F., Colanoonio M. (a cura di), I.a commdii, g,rau la s1orill, Arti del Seminario di srudio, Urbino 18-20 maggio 2010, ETS, Pisa 2012. pp. 151- 194; SampinoF., LJ"fll'ZlfÌO pilnz-

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FillloFdJi,.;

sembra cosauito proprio come la caricatura del filosofo chiacchierone, che girovaga e che impartisce le sue bizzarre e singolari le-Lioni, protendendo spesso il braccio in avanti e gesticolando con la mano. Non è forse casuale che la carrellata di sequenze con le "manine", che vagano in aria all'inizio del film e il cui libero moto aereo viene desaino da Giudizio («sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano anche là, sorvolano il cimitero [.. . ) sorvolano il lungomare [... ). Ahi al vagano, vagano, girollanz. gironzalano, gironzalon, vagano, vagano, vagano!»), si concluda proprio con l'immagine dell'Avvocato, il personaggio che nel film si aggira libero e "aereo"71 : egli sembra avere una libertà cosi totale da essere presente a ogni circostanza pubblica o evento significativo in paese e dichiarerà persino di essere l'unico abitante del borgo ad avere il privilegio di frequentare il Grand Hotel, di cui osserverà e racconterà con occhio distaccato e scenico i principali accadimenti. Egli, nel suo solitario e continuo girovagare, osserva, indaga e commenta tuno quello che capita sono i suoi occhi, il suo aneggiamento è di solito solipsistico e autoreferenziale, non entra in direna relazione con altri personaggi, se non per fare commenti su di loro, osservandone i vizi umani e le debolezze. Come quanfilosofico t parasocmtko Mik NIIVO~ d1 Aristofane. in «Dionysus ex m2duna., Ili, 2012, pp. 80-128. Sullaligura di Diogene il Cinico si leggano le Vi~ dd filosofi di Diogene 1.aerzio (cap. VI) e Navia LE., Diogtnes ofSinopc 7ht M11n in tht Tub, Greewood Pr=. Westport 1998.

711.ametafora dell'aria e delle nuvole e.raspesso utilizzata dai poeti comici greci proprio per colpire il sofista o l'intelleauale di turno, sbeffeggiato e anaccaro per la sua inconsistenza, per la là.tuitàe per la v:ma e inoondudenteattrazione veno i fenomeni celesti.

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do assiste al passaggio della "quindicina": chiude la scena proprio l'inquadratura dell'Avvocato, che, dando le spalle al negozio di oggetti sacci e con lo sguardo rivolto verso il suo ipotetico pubblico, compie un gesto di pietà e umana comprensione - allarga le braccia come Marcello nel finale de La dolce vitti12 - verso quella che ai suoi occhi saggi deve apparire come un'umanità peccatrice e bisognosa di redenzione. Entra spesso, invece, in relazione con le cose, in particolare con i palazzi e i monumenti, di cui egli fornisce, utilizzando un eloquio ricercato e pieno di erudizione, informazioni storiche, archeologiche, architettoniche: sembra compiacersi di denagli presenti sui monumenti, che soltanto lui è in grado di individuare e che talora sente l'urgenza di riferire sonovoce ai suoi interlocutori al di là dello schermo, come quando, nella prima sceneggiatura, sussurra «Garibaldi», indicando una lapide posta sono il davanzale di una finestra73, o «Dodicesimo secolo» e «Bifora», con lo sguardo rivolto in alto verso i particolari architettonici di un antico palazzo. L'Avvocato era forse da giovane un professore universitario, come si desume dalla vecchia fotografia presente sullo scaffale di un fotografo, che veniva menzionata nel finale del primo soggeno7'. Oltre alle conoscenze storico-artistiche, in cui si respira un ceno orgoglio per le figure imponanti dellastoria patria come Garibaldi, l'Avvocato padroneg72 Lo stesso gesto, allargare le brac:cia tenendo le mani spalancare, compariva in una vignetta satirica realizzata da Fellini ai tempi del «Marc'aurelio,. Quel gesto, conuapposto a due fie«e rivolte rispettivamente a destra e a sinistra, veniva chiosato dal giovane disegnatore con un «Non so» (e dunque YSl>Spendo il giudizio•). 73 Fellini, Guerra, Amarctmi. cii., p. 37. 74 Jbidm,, p. 157: «l'Avvocato con la bicidena tenuta a mano che indossa una toga da professore universitario>.

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F111tt1Fdlini

gia con una certa fierezza anche la letteratura italiana, dato che in due circostanze menziona alcuni suoi grandi autori e tenta persino di disporne un canone («Dal divino Dante, a Pascoli e D'Annunzio sono numerosi gli alti ingegni che hanno cantato questa terra., «Dante Alighieri qui, Leopardi qui• indicando con la mano due altezze diverse, in cui Dante occupa la posizione più elevata). Ma le sue conoscenze spaziano anche in ambito scientifico: oltre a padroneggiare un linguaggio forbito e altisonante, spesso in linea con la retorica fu.scista75 (la «nostra popolazione» afferma «ha nelle vene sangue romano e celtico», «i suoi innumerevoli figli che hanno onorato con segni di eternità l'arte, la scienza, la politica, la religione, la[...)») e i lessici specifici delle singole discipline, l'Avvocato si misura spesso con ifenomeni naturali e in particolare con quelli atmosferici (le "manine", la tromba d'aria, la nebbia, la neve), li osserva, ne descrive cause ed effetti («la nostra cittadina è in una zona di bassa pressione soggetta a formazione di banchi di nebbia talora spessissimi come oggi» 76), ne calcola le dimensioni («un metro e novantacinque centimetri•~ e sembra persino avere nozioni statistiche circa le manifestazioni di quei fenomeni eccezionali nella storia («Dal 1900 a tutt'oggi si sono abbattute sull'Adriatico trentadue trombe marine. Praticamente una all'anno. Nel '22 e nel '24 niente-71, «furono eccezionali il 1541, il 1694, il 1728 e il 1888 quando, fatto più unico che raro, nevicò il 13 luglio»). Dunque 75 Jbidnn, p. 51. Egl;. del resto, du1211te la parata di rqjme. fa il saluto romano e indossa -una el~tedivisa-, in cuisi riconoscono nel film la camicia e la aa-nttt nera. 76 Ibidnn, p. 126 s. (la nebbia). 77 lbidnn, p. 144 (il nevone). 78 Jbidnn, p. 116 (la tromba d'aria).

erudizione storico-letteraria e padronanza retorica che si combinano a spiccati interessi naturalistici e a una evidente predisposizione per l'osservazionedei fenomeni: anche in questa duplice caratterizzazione l'Avvocato assomiglia al Socrate aristofaneo e più in generale al tipo del filosofo o del "sofista" (croq>\O'"tllç), spesso presentato come detentore di un sapere interdisciplinare, retorico e insieme cosmologico-naturalistico, e preso di mira o parodiato dai poeti comici greci. È talmente nota questa sua culrura che spazia in tanti ambiti, che qualcuno arriverà persino a chiedergli, durante l'attesa per l'arrivo del Rex, quale sia il peso del mastodontico transadantico («Avvocato, quanto peserà?»). Ma in Amarrurd anche l'Avvocato, come il filosofo della tradizione comica, viene spesso preso in giro e bersagliato dai sui concittadini, i quali si fanno beffe di lui, gli rivolgono violente pernacchie e lo colpiscono ripetutamente a palle di neve tra le gallerie ghiacciate della piazza, senza peraltro farsi vedere in fuccia da lui. Egli riceve dai compaesani, forse da parte di adolescenti malandrini o di goliardici vitelloni, un trattamento simile a quello che viene riservato al professore di greco Fighetta dal compagno ginnasiale di Tina, durante l'interrogazione in classe sul poeta Archiloco. La reazione dell'Avvocato è quasi sempre composta, risponde alle pernacchie rivolgendosi ai burloni che lo bersagliano con un lessico altisonante e vagamente paramilitare («Fatti vedere. Sono disposto ad accettare le tue provocazioni a viso aperto» 79, «Come sentite, con la nebbia i miei denigratori aumentano e ciò dimostra il grado della loro vigliaccheria»SO) e talora, con fue paranoico, cerca il suo "contestatore" immaginario nascosto tra la folla. 79 Ibidmr. p. 20. 80 Ibidmr, p. 127.

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FllltOFd/i,ù

Da questa analisi dei caratteri dell'Avvocato emerge come Fellini abbia inteso chiaramente costruire una caricanua incollando sul personaggio diversi tratti, quelli del filo1ofo itinerante, di cui egli costituisce una evidente rivisitazione moderna, ma anche quelli del giuristtf1, dell'uomo di legge, a cui rimanderebbe il suo soprannome, senza che, peraltro, si faccia mai riferimento nel film o nella sceneggianua a suoi specifici interessi giuridici. Ma egli assomiglia soprattutto a un pro.fosso~ tra le nuvole, a un intellettuale colto e un po' eccentrico, il quale utilizza un linguaggio roboante, magniloquente e altamente enfatico, che è spesso in linea con l'immaginario fuscista e con la retorica dcli'epoca, e che talora suona alle orecchie della gente comune strambo o bizzarro, come quando in mezzo alle gallerie di ghiaccio prodotte dal nevone, si preoccupa di non ostacolare e regolare il traffico pedonale («Purtroppo non posso dilungarmi perché stando fermo impedisco la libera circolazione dei miei paesani»~. Egli, pur possedendo una vasta culnua, non ricava da questo suo status né autorevolezza né apprezzamento. Tutt'altro, la sua erudizione finisce per farlo apparire ridicolo, la sua condizione finisce per isolarlo e per renderlo oggetto di beffa e di scherno da pane dei suoi compaesani, più o meno giovani, che trovano buffi certi suoi tratti "autistici" e talora "paranoici". Dunque Fellini proietta e stratifica nel personaggio dell'Avvocato la sua visione dell'uomo adulto con indosso la maschera dell'intellettuale: egli si nutte di una culnua sterile, di fatue memorie storiche 811.atoga chea>mpareindosoo all'Avvocato ndlafotografiaacui

si acxenna sul finale della prima sceneggiatura, sembra ria>rdaie vag;unente la maschera tragicomica dell'~ugli di manzoniana memoria. 82 //,idm,, p. 20.

285 e vive, grazie a esse, dentro un suo mondo parallelo, un castello di carta che egli stesso si è cosouito13• Agli occhi del borgo egli finisce per apparire un "diverso" e forse proprio in virtù di questa diversità, sebbene vagamente altolocata e aristocratica, il regista lo isola dal resto della comunità affidandogli il ruolo di vooe narrante, con la quale si rompe la quarta parete parlando direttamente col pubblico. Un ruolo che in Amarcord egli condivide, del resto, con altre tre figure sttambe, marginali e oggetto di scherno, alle quali il regista fa rompere, in maniera analoga anche se più limitata, la finzione scenica: si tratta, tuttavia, in questo caso di tre personaggi poveri e disadattati, dei veri e propri derelitti sociali, sbeffeggiati e presi di mira proprio per la loro diversità. Giudizio, l'angelo-idiota che all'inizio del film annuncia al pubblico l'arrivo della primavera; il povero senzateno, che prima cli addormentarsi sono il portico all'addiaccio, rivolgendosi al busto in pietra del re e al pubblico, dice: «Buonanotte Vittorio! Buonanotte a tutti!»; e infine il ritardato Biscein, il venditore ambulante" che sul finale, dopo il matrimonio di Gradisca, congeda i suoi compaesani ma anche gli spettatori del film («Vi saluto! Andate a casa! Sl, vi saluto!»). Fellini, dunque, accosta l'Avvocato, per la sua sttamberia e bizzarria, proprio a questi personaggi marginali e vagabondi~, da cui il re83 Fellini parla in termini analog;hi dei suoi professori del ginnasio e del liceo: cNonostante questi attq:giamenti nevrotici, schizoidi, o lo~ anche per questo, erano proprio bulli, patetici, e mi &avano una gran simpatia. Parlavano oon aaienti e dwetti che non avevamo mai sentiro.. FeUini, /ntm/ÌSta sui d/f011/l, cit, p. 22. 84 Anche lw, oome l'Avvocato, si aggira per il bo'lO oon il proprio mezzo, nel suoaso un biroccino oon aJi vende fiu02secca e altre luperie. 85 Sulla cmtralià. del "divmo• nel cinema di Fellini si rimanda aUo splendido anioolo delaitico Goffredo Fo6 (Fofi G., Fa/ma, Ftllini,

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gista è sempre stato molto attrano, poiché essi, esattamente come i bambini e come i down 16, possiedono mezzi speciali per menersi a contano con la realtà, colgono delleverità lampanti e dispongono di «conoscenze che noi abbiamo perduto»17• 0a'V211ti a un innocente mi arrendo subito e mi giudico pesantemente. I bambini, gli animali, gli si,mdi con cui ti fissano ceni cani, l'estrema modestia, che cene volte ravviso nei desideri di gente umile, hanno il potere di turbarmia.

Ci si potrebbe. a questo punto, chiedere se dietto il personaggio dell'Avvocato Fellini abbia "occultato" trani appartenenti a persone realmente esistite, di aii conserauutm di malli e matgbuzlJ. in «Internazionale,,, 18 gennaio 2020): «In generale c'è una scusa aamz.ione ve,so le ligure reali e concrete di quella diversità che pure sta in mezzo a noi, e che invece Fellini ama. In La mia Rimini c'è un elenco dei pizzi di paese. degli sciancali, dei ritudati, dei mostri, alcuni quasi da Cottolengo, che poi nei suoi film vengono continuamente fuori: la vecdtina nana, la monachella nana, il &echino SO!l1IO di Amam,,d che sogna. che noconta. "Giudizio• (l'attore Bagolini) in/lli~lloni, eccetera•••Tutti pmomggi che popolano la provincia italiana di quegli anni, e che erano presenti nelle esperienze di rutti, ma traSCUratidal noconto ànematografico anche realista; che non diventavano pmomggi degni di aamz.ione poetica, degni di aamz.ione ànematografica,,. 86A proposito della "paz:ua" del bambino, OOiSl Fellinidisse aGrazzi. ni (Fellini, /nlmlisJasul dnnna, àt., p. 25 s.: «Mi ha.sempre attirato questo pica>lo pazzo OOiSl buJfo con lesue smorfie, lasua prepotenza, la sua ferocia e quell'aspeno di in.nooema animalesca.. Sul down si leggein Fellini, F'