Euripide: Cretesi 8881472791, 9788881472796

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Euripide: Cretesi
 8881472791, 9788881472796

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TESTI

E COMMENTI

Collana diretta da W. Arnott, B. Gentili

TEXTS

AND

COMMENTARIES 15.

ISTITUTO DI FILOLOGIA

CLASSICA

CENTRO INTERNAZIONALE SULLA CULTURA GRECA Università di Urbino

e G. Giangrande

DI STUDI

EURIPIDE

CRETESI

Introduzione, testimonianze, testo critico, traduzione e commento

a cura di

ADELE-TERESA

COZZOLI

$ istituti editoriali e poligrafici internazionali? pisa - roma

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l'adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta

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E-mail: [email protected] http/www.iepi.it ISBN 88-8147-279-1

QUESTO VOLUME È STATO PUBBLICATO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA” DIPARTIMENTO DI ANTICHITÀ E TRADIZIONE CLASSICA

E DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE DIPARTIMENTO DI STUDI SUL MONDO ANTICO FONDI M.U.R.S.T. 1999 (COOFINANZIAMENTO GIOVANI RICERCATORI)

A Giulia

Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.

PREMESSA

Questa edizione prende spunto dalla mia tesi di dottorato (1994-96), che ho svolto sotto la guida di Agostino Masaracchia, a cui va la mia riconoscenza per avermi indirizzato fin dagli anni universitari. Il materiale è stato successivamente riesaminato e rielaborato fino a raggiungere la sua forma definitiva. Sento qui la necessità di ringraziare alcune persone senza le quali questo risultato non sarebbe stato raggiunto: H. Maehler, oltre ad avermi dato preziosi consigli e suggerimenti, mi ha notevolmente aiutato nella ricollazione del papiro, e con lui W. H. E. Cockle; Bruno Gentili da sempre ha contribuito alla mia formazione con le sue appassionanti discussioni sui vari problemi della filologia e mi ha guidato nel lavoro mettendo a mia disposizione le sue competenze e il suo intuito, generosamente, solo come un grande Maestro sa e può fare; Franca Perusino con grande affetto mi è stata vicino in momenti delicati della mia vita personale e professionale; Gregorio Serrao, mio zio, mi ha sempre sostenuto in questi anni particolarmente difficili con i suoi incoraggiamenti e mi ha spesso illuminato con le sue acute osservazioni e obiezioni. Un caldo ringraziamento va ancora ad Eleonora Tagliaferro,

a Giovambattista D'Alessio e Maria (Gabriella) Colantonio che

con infinita pazienza ha collaborato nella complicata fase finale del controllo dell’intero testo. Naturalmente ogni imperfezione e inesattezza non può che essere imputata unicamente a me stessa. Desidero in ultimo ricordare che questo volume non sarebbe stato pubblicato senza il generoso contributo del Dipartimento di Antichità e Tradizione Classica dell’Università di Roma ‘Tor Vergata’ e del Dipartimento di Studi sul Mondo Antico dell’Università Roma Tre: per questo sono grata, in particolare, a Roberto Pretagostini, a Mario De Nonno e ad Antonio Martina. Il libro è dedicato a mia madre Giulia Serrao, che, amorevolmente in-

sieme a mio padre, ha assistito alla sua genesi e ai primi sviluppi, ma non ne ha potuto vedere la redazione finale.

INTRODUZIONE*

1. CRONOLOGIA, INTRECCIO, FORTUNA

Non 81 conosce la data di rappresentazione dei Cretesi né esistono ragioni esterne che permettano di stabilirla. È però communis opinio che i Cretesi appartengano alla fase più antica della produzione drammatica euripidea'. La datazione alta del 448, sostenuta da Wagner (1846, p. 733) con argomenti non facilmente condivisibili?, è ora solitamente abbassata al 438°, in base alla presenza di una parodo (fr. 1) con incipit anapestico, che 1 Cretesi condividerebbero con l'Alcesti e che in Euripide, in un periodo successivo, tenderebbe a scomparire. Generalmente si individua come terminus ante quem la rappresentazione dei due /ppoliti (428)'. Il personaggio di Pasifae potrebbe infatti costituire il primo esempio, ancora non perfezionato, di quel particolare modello tragico femminile che troverà elaborata applicazione prima in Medea, e, poi, nelle due Fedre?. Webster (1967, P. 2 ss.) col-

loca la tragedia tra il 455 e il 428, in un periodo di tempo piuttosto , esteso, che neanche l'esame metrico consente di comprimere ulteriormente*. Le analogie con un dramma quasi omonimo, le Cretesi, che furono rappresentate insieme all’ A/cesti nel 438, non forniscono utili supporti ai fini * La sigla D. A. è stata utilizzata per indicare il De abstinentia di Porfirio.

! Cfr. in primis Hartung 1843, p. 112. ? Vd. in proposito Cantarella 1964, p. 149 ss. 3 W. Kranz, Stasimon, Berlin 1933, p. 109; Rivier 1960 p. 156 e 1975, pp. 52, 59; Col-

lard-Cropp-Lee 1995, p. 58. * Webster 1967, pp. 66, 86. Il 428 come limite cronologico più basso può essere ancora

considerato valido, ma, a suo sostegno, non possono essere addotte solo le motivazioni pro-

poste da Webster, ossia un'ipotetica citazione di Pasifae nel primo /ppolito (cfr. W. H. Friedrich, Euripides und Diphilos: zur Dramaturgie der Spatformen, München 1953, p. 110 ss.) e nuovamente una menzione di Pasifae in Hipp. 337. > Cfr. Di Benedetto

1971, pp. 5 ss. e 24 ss. Per Pasifae vd. 3, $ 2.

© I trimetri rimasti sono privi di soluzioni. La tragedia rientra in quel gruppo di drammi frammentari in cui il metodo statistico, che già, per altri aspetti, difficilmente puó costituire una prova incontrovertibile, mostra ancora di più i suoi limiti. L'esiguo numero di frammenti conservati, l'estrema lacunosità di alcuni e la presenza di una sticomitia (fr. 2), dove solitamente le soluzioni tendono ed essere inferiori, sono tre insuperabili ostacoli per un'obiettiva indagine (M. Cropp-G. Fick, ‘Resolutions and Chronology in Euripides: the Fragmentary Tragedies', Bull. Inst. Class. Stud. London Suppl. 43, 1985, pp. 18, 82).

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Euripide, Cretesi

cronologici. Pohlenz (1954, I p. 248 ss.) aveva evidenziato un inizio simile tra 1 Cretesi e le Cretest: in entrambi 1 casi il presupposto dell'azione sarebbe costituito da amori illeciti, di Pasifae, nei Cretesi, di Aerope, nelle Cretesi.

Ora Collard-Cropp-Lee (1995, p. 58) assegnano i Cretesi al 438 ca. e trovano conferma all’ipotesi di Pohlenz nel fatto che le protagoniste, secondo la loro ricostruzione,

avrebbero

avuto

anche un destino

simile: sarebbero

state prima condannate e poi salvate in extremis, Pasifae, dall’intervento divino, Aerope, dalla compassione umana. Anche se la documentazione non permette di escludere che 1 Cretesi si concludessero con l'irruzione sulla scena di un deus ex machina, non si riesce a determinare quale potesse essere la sua funzione, perché è impossibile ipotizzare che Pasifae sia soppravvissuta alla condanna decretata da Minosse (cfr. test. 2, fr. 7, 45 ss. e comm. ad

I). Cadono dunque le argomentazioni di conferma alla proposta di Pohlenz di conseguenza, il 438 risulta difficilmente attendibile come data di rappresentazione. Cantarella (1964, p. 103 ss.) ha rilevato affinità lessicali, linguistiche e strutturali con l’/ppolito e ha proposto per i Cretesi una datazione molto vicina ai due Ippoliti, 11 433 ca. La tragedia presenta tuttavia, soprattutto nei frammenti più estesi (cfr. 1 e 7), talvolta anche uno stile ridondante e ‘barocco’ molto simile a quello che si riscontra nella produzione euripidea più recente. Perciò, in ultima analisi, il criterio stilografico da solo non consente

nessuna induzione sicura. Sono invece le chiare relazioni tematiche tra 1 Cretesi e l'Ippolito e, comunque, tra 1 Cretesi e le altre tragedie di questo periodo a confermare che le corrispondenze lessicali, evidenziate da Cantarella, non sono semplicemente imputabili alla τέχνη scaltrita di un tragediografo di professione, il quale utilizza gli ‘strumenti del mestiere’ in funzione di una rapida e facile versificazione’. L’insistente ricorrenza di un determinato lessico (ἔρως, μαίνεσϑαι, νόσος, ἑκών-ἑκοῦσα-ἑκούσιον, ϑεήλατος ecc.) è

dunque legata ad una fase ben precisa della drammaturgia di Euripide, quandoi suoi interessi sono primariamente volti all'indagine della patologia erotica e dei suoi effetti (cfr. infra 3, $ 1). E forse si può individuare anche un terminus post quem. Wilamowitz (1907, p. 75) aveva notato già notato una coincidenza metrico-stilistica con l’ Antigone di Sofocle, l’aferesi in fine verso di &&anagria®. Ma accanto a

questa, 1 Cretesi rivelano un’altra similarità con l’Antigone: Pasifae ed Anti^ È difficile fornire una soluzione univoca al problema delle evidenti ripetizioni euripidee, che sono state imputate a varie cause, non ultima la possibile presenza di una sorta di ‘formularità interna’ al trimetro giambico, che deve essere naturalmente intesa come una tendenziale regolarità metrica per alcune locuzioni verbali, per espressioni con nomi ed epiteti fissi, per nessi di vario genere (cfr. C. Prato, ‘Ricerche sul trimetro euripideo: metro e verso’, Quad. Urb. 14, 1972, p. 108 ss. e ‘L’oralità della versificazione euripidea’, in Problemi di metrica classica, Genova 1978, p. 91). δ Fr. 7, 34 σὺ toi μ᾽ ἀπόλλυς, σὴ γὰρ ἡ Ἑαμαρτία = Soph. Ant. 558 καὶ μὴν ἴση νῷν ἐστιν ἡ "Eauagtia.

Introduzione

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gone moriranno recluse dove non possano più vedere la luce del sole’; Minosse e Creonte decideranno questa punizione per non contaminarsi con l’uccisione delle colpevoli e con il loro sangue (cfr. 3, $ 2 e comm. ad fr. 7). È alquanto probabile che, in questo caso, Euripide abbia subito l’influsso di Sofocle (cfr. comm. ad fr. 7, 34)" e si sia ispirato ad una tragedia, l’ Antigone, che aveva incrementato consistentemente la popolarità di Sofocle ad Atene fino a fargli tributare una delle massime cariche politiche, la strategia. Gli anni quindi che vanno dal 442 al 432 costituiscono il periodo più probabile in cui collocare 1 Cretesi. Anzi si può ulteriormente restringere quest'arco di tempo. Se si accoglie l'ipotesi che nella tragedia c’è un riflesso o addirittura una critica alle teorie socratiche (cfr. 2, $ 3), allora si deve far

slittare per necessità la sua rappresentazione alla fine del decennio. In tal caso, la data del 433 ca. proposta da Cantarella risulta ancora la più attendibile!!. La tragedia prende il nome dal coro dei profeti cretesi di Zeus Ideo (cfr. fr. 1), convocati dal re Minosse per fornire il loro autorevole consiglio sulla prodigiosa nascita del Minotauro (cfr. test. 1), che ha diffuso terrore e apprensione in tutta Creta (fr. 4). Tra 1 personaggi, oltre a Minosse (fr. 7) e a Pasifae (fr. 7), doveva comparire anche Dedalo (fr. °9), che aveva costruito la vacca lignea (test. 1), e Icaro, che cantava una monodia (fr. 8 e comm. ad L). Una ξυνεργός di Pasifae è menzionata in fr. 7, 47 e deve essere identificata

quasi sicuramente con la nutrice, che verrà imprigionata insieme alla regina (test. 2). Probabilmente, spettava al coro dei saggi profeti il ruolo di mediatori e di pacificatori, e non certo ad Arianna, j^a cui la presenza, ipotizzata unicamente sulla base dell'iconografia etrusca del mito, non è sicura (vd. infra). Come aveva già intuito Frazer (Apollodorus. The Library I, LondonNew-York 1921, p. 305), la versione seguita da Euripide é rispecchiata da Apollodoro (test. 1). Alla morte di Asterio, re di Creta, si scatena una contesa per il potere tra Minosse e i suoi fratelli, tutti figli di Europa ma adottati dal re. Minosse riesce a prevalere dimostrando di avere l'appoggio divino, sostenendo cioè che qualsiasi cosa avesse richiesto agli dei, l'avrebbe ottenuta; egli prega quindi Posidone d'inviargli un toro dal mare e, in compenso, promette di sacrificarlo al dio. La bellezza del toro induce peró Minosse a sostituire fraudolentemente la vittima sacrificale con un'altra. Allora Posidone, irato, si vendica istigando a Pasifae, moglie di Minosse, una folle ? Fr. 7, 47 ss. = Soph. Ant. 806 ss. Per Pasifae si tratta probabilmente del cubiculum, per Antigone di una caverna.

1° Minosse inoltre doveva affrontare una περιπέτεια simile a quella di Edipo, il quale indaga le cause della pestilenza e decreta punizioni contro quell’ignoto colpevole che si rivelerà lui stesso. Ma “a meno che non sia confermata da nuovi reperti papiracei, l'analogia con la situazione iniziale dell’Edipo re non autorizza ulteriori deduzioni” (Avezzù 1998, p. 360). !! Si sa che Socrate mori (cfr. Plat. Crit. 5a e Apol. 17d) nel 399 all’età di 70 anni, di conseguenza, sarebbe nato nel 470/469 e, dunque, nel 433 avrebbe avuto 36 anni circa.

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Euripide, Cretesi

passione per il toro e rendendo al tempo stesso selvaggio l’animale, che inizia a devastare il territorio di Creta. La regina, in preda alla follia d’amore, chiede aiuto a Dedalo, in esilio a Creta, e questi costruisce una vacca lignea, in cui la donna possa unirsi al toro. Dall’innaturale accoppiamento nascerà il Minotauro. La versione del mito è, nelle sue linee fondamentali, molto an-

tica. Già in Esiodo (fr. 145 M.-W.) si trovano la preghiera di Minosse presso il mare, l’apparizione del toro bellissimo, la follia amorosa di Pasifae per l’animale, il concepimento e la nascita del Minotauro; in Bacchilide (Ditbyr. **26 Maehler) vengono ricordate la richiesta di aiuto di Pasifae a Dedalo a cui svela la sua ‘malattia’ (νόσος), la condiscendenza dell’artefice ateniese,

l’unione col toro all’insaputa di Minosse. Ma diversamente da Esiodo, la cui narrazione si concentra sul personaggio di Minosse, Bacchilide sembrerebbe aver dato maggior rilievo e spazio alla figura di Pasifae, alla sua folle passione e all’astuzia della donna nell’organizzare, con la complicità di Dedalo, l'inganno e l’espediente della vacca di legno. Più concentrato sulle vicende rappresentate nella tragedia, rispetto ad Apollodoro, è il racconto di Malala (test. 2), che, nonostante alcune imprecisioni, potrebbe dipendere in origine da una hypothesis dei Cretesi (Carrara 1978, p. 20 ss.). La tragedia si apre con la scoperta della nascita del Minotauro; l’infausto prodigio costituisce una palese e pubblica manifestazione della perdita di quel favore divino che Minosse si era vantato di possedere. L’origine del Minotauro rimane oscura almeno nella prima parte del dramma (cfr. fr. 2, 22 e 24 e comm.) e, solo in seguito, dopo la confessione della regina (fr. 7) il re e 1 suoi consiglieri arriveranno a conoscere chi siano effettivamente 1 genitori del mostro. Solo quando Pasifae svela l’empietà dello sposo contro Posidone, diventa chiara anche la colpa di Minosse. Alla prima sezione del dramma appartengono 1 brani conservati in P. Oxy. 2461 (frr. 2-5). Dopo la scoperta del misfatto, tra Minosse e Pasifae si sviluppa un agone, di cui si è conservato solo il discorso di difesa della regina (fr. 7). Pasifae viene condannata (fr. 7, 45 ss.) e muore. Secondo Malala (test. 2) la regina sarebbe

stata rinchiusa da Minosse nel cubiculum insieme a due schiave e con il cibo strettamente necessario; ivi si sarebbe ammalata e sarebbe poi morta (cfr. 3, $

2). Dal momento che Virgilio pone la regina cretese insieme a Didone tra le eroine, incontrate da Enea nell’Averno, le quali durus amor crudeli tabe peredit, è molto probabile che Pasitae, come Antigone nella tragedia omonima di Sofocle, alla fine del dramma si sia suicidata (cfr. supra e comm. ad fr. 7,

4812

Fr. °9 rappresenta l’unico verso appartenente ad un dialogo tra Minosse e Dedalo, che deve essere collocato o subito prima dell’agone o immediatamente dopo di questo. Quindi, Minosse, oltre a condannare Pasifae, puniva, in qualche modo, anche Dedalo (e suo figlio Icaro). Ma proprio sulle vi7 Verg. Aen. 6, 442 ss. Per Scherling (s.v. ‘Pasiphae’, RE XVIII 4, 1949, col. 2075), Virgilio e Malala attesterebbero due versioni leggermente differenti.

Introduzione

13

cende di Dedalo e di Icaro nella tragedia le testimonianze risultano confuse e contraddittorie.

Malala

(test. 2) riferisce che Dedalo

ed Icaro

sarebbero

morti entrambi durante un tentativo di fuga: Icaro sarebbe affogato, il padre Dedalo sarebbe stato sgozzato. Il racconto di Malala, in questo punto, sembrerebbe poco attendibile e potrebbe forse avere origini autoschediastiche,o addirittura essere la conseguenza di un’erronea interpretazione delle fonti utilizzate. Infatti Euripide difficilmente avrebbe potuto modificare la struttura portante del mito, che, in tutta la tradizione, al di là delle variabili particolari", prevede la fuga di Dedalo e di Icaro da Creta e la morte in mare solo del secondo personaggio. Se la testimonianza di Apollodoro (test. 1) concide con la versione se-

guita da Euripide, si deve supporre che la vicenda della tragedia si concludesse con l’ordine di Minosse di rinchiudere e di custodire il Minotauro nel Labirinto. Apollodoro è molto sintetico al riguardo, menziona solo alcuni oracoli che avrebbero indotto Minosse a questa decisione (test. 1, 19 ss. Μίνως δὲ ἐν τῷ λαβυρίνϑῳ κατά τινας χρησμοὺς κατακλείσας αὐτὸν ἐφύλαττεν)

e non ricorda quale divinità sarebbe stata consultata. Ma è piuttosto ovvio che Minosse, Διὸς μεγάλου ὀαριστής, si sia rivolto al padre Zeus con la me-

diazione e con l’aiuto dei profeti. La ricostruzione è molto probabile, perché con quest exphiit Euripide si ricollegava alla tradizione attica su Teseo e prefigurava

quell'antagonismo

Minosse/Zeus-Posidone/Teseo

che

in essa

risulta ben testimoniato. Sembrerebbe dunque che il Labirinto preesistesse alla nascita del Minotauro, ma non si può divinare né quando né perché fosse stato costruito!*. Allo stesso modo, rimangono senza soluzione altri due interrogativi: non è ricostruibile né la circostanza in cui Icaro cantava la monodia, né risulta se l'azione della tragedia comprendesse la fuga dei due ateniesi. A partire dal V sec. si nota un notevole incremento in Attica della raffigurazione iconografica di Icaro; secondo Kokolakis (‘Oi Κρῆτες τοῦ Eveuridov xai ἡ εἰκονογραφία τοῦ Ἰκάρον᾽, in Actes du 12. Cong. intern.

d’Archeol. II, ᾿Αϑῆναι 1988, pp. 115-120) si tratterebbe di una conseguenza D Sul mito come medium nel sistema della comunicazione greca, prevalentemente aurale almeno fino al V sec. inoltrato cfr. Gentili 1995, p. 98 ss., sulla scia di E. A. Havelock,

Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, trad. it. Roma-Bari 1973 (Cambridge Mass. 1963). Già Aristotele, Poet. 1453b 22 ss., segnala giustamente come non fosse possibile dissolvere i racconti tramandati nei dati fondamentali, ossia per esempio l’uccisione di Clitemestra da parte di Oreste, o ancora di Erifile da parte di Alcmeone, ma ricorda altresì

che il poeta doveva da se stesso trovare il modo di utilizzare al meglio la tradizione, ‘giocando'- diremmo noi - sulle ‘variabili’ del mito. Sul concetto di mythisme, anticipato da Aristotele, rimando a R. Jacobson-P. Bogatyrev, ‘Le folklore, forme spéciphique de la création’, in R. Jacobson, Questions de poétique, Paris 1973, pp. 59-72 e a M. Detienne, L'invention de la Mytbologie, Paris 1981, pp. 84-86. 4 [n base a Diodoro 4, 77, 3 (τῷ τέρατι τούτῳ πρὸς διατροφὴν λέγεται κατασκευάσαι Aaí-

δαλον λαβύρινϑον; cfr. anche Hyg. Fab. 40 e Ov. Metamorps 7, 155 ss.) si dovrebbe supporre che il Labirinto sia stato edificato appositamente per allevare il Minotauro; ma, in questo

caso, difficilmente potrebbe essere considerato opera di Dedalo, caduto ormai in disgrazia.

14

Euripide, Cretesi

del successo dei Cretesi, dove sarebbe stata mimeticamente rappresentata la fuga di Dedalo e di Icaro. Ma la coincidenza dell’ampia diffusione di un determinato motivo iconografico, in questo come in altri casi analoghi, non appare determinante. Nei Cretesi Euripide si è attenuto alla interpretazione attica del mito (test. 5). Non solo attica, ma anche tipicamente tragica, sarebbe inoltre la raffigurazione di Minosse come un violento e sanguinario tiranno secondo le testimonianze provenienti da Platone e dalla tradizione platonicaP. Questa immagine contrasta con quella più antica (attestata in Omero ed in Esiodo) dove invece emerge soprattutto la pietà religiosa e la giustizia del re cretese. Eppure tali aspetti così contraddittori appartengono alla figura del tiranno quale è stata concepita ad Atene dal V sec. in poi ^. La tradizione seguita da Furipide ha però sicuramente riscontri anche in ambito cretese, come si desume da Paus. 1, 27, 9 (cfr. ad test. 1), dove viene menzionata l’esistenza di un κρητικὸς λόγος.

L'arco cronologico del 442-432 ca., cui appartengono 1 Cretesi, è denso di eventi politici altamente significativi per Atene: la rivolta di Samo, la sollevazione dell’Eubea, la trasformazione della lega delio-attica da συμμαχία in ἀρχή. E certo in questo momento storico il favore di Posidone, ‘portiere

dell’Istmo”’!, divinità protettrice dell’ Attica insieme ad Atena, sarà stato en-

fatizzato nella propaganda ateniese!*. Tuttavia è improbabile che i Cretesi vadano interpretati esclusivamente come una tragedia di regime!’ Se Euripide condannava come auto-distruttiva la πλεονεξία del re cretese, con il suo messaggio si proponeva orizzonti più ampi, di stigmatizzare implicitamente 5 Per le caratteristiche di Minosse come prototipo del tiranno sulla scena cfr. fr. 7, 35 ss. e comm. ad È Ma già nella figura mitica di Minosse sono impliciti caratteri tirannici (cfr.

Calame 1990, p. 219 ss.). !6 Il tiranno raggiunge il potere simulando e ingannando, non di rado facendo ricorso a

trucchi e ad azioni sleali, ma spesso è anche dotato di una saggezza particolare ed è strettamente legato alla sfera del sacro (Catenacci 1996, p. 223 ss.). In proposito vd. B. Gentili, ‘Il tiranno, l’eroe e la dimensione tragica’, in Edipo. Il teatro greco e la cultura europea. Atti del convegno internazionale, Roma 1986, p. 118 ss. e, specificatamente su Minosse, Catenacci

1996, p. 76 s.

17 Call. 202, 29 Pf. ᾿Απίου πυλωρὸς αὐχένος.

!* L'intreccio tra tematica erotica e politica nei Cretesi è ora giustamente sottolineata da Avezzù 1998, p. 360.

I" Che il teatro avesse una funzione politica e sociale, dal momento che gli autori erano legati da chiari rapporti di committenza con la polis, è notorio (cfr. da ultimo O. Longo, ‘The Theater of the Polis’, in Nothing to do with Dionysos? Atbenian Drama in its Social Context,

Princeton 1990, pp. 12-19), ma è impossibile sintetizzare l’esperienza tragica euripidea con una generica ‘formula democratica’ come pure è stato proposto; il teatro euripideo è stato spesso ‘di fronda’, critico verso le forme della democrazia periclea e la cultura che essa esprimeva e a cui si ricollegava, e ancora più spesso è stato criticato dal pubblico; in caso contrario non si spiegherebbero insuccessi come il primo /ppolito e scandali come l’Eolo. Sui rapporti tra Euripide e la società periclea cfr. Di Benedetto 1971, in particolare pp. 5 ss., 73 ss.

Introduzione

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gli eccessi a cui poteva portare qualsiasi desiderio di potenza". Minosse era infatti tradizionalmente considerato il primo ad aver dominato sul mare e sulle isole greche dell’Egeo e la sua talassocrazia precedeva e, perciò, quasi poteva prefigurare quella ateniese (cfr. Herodt. 3, 122, 3 e Thuc. 1, 4)”. Oltre al risvolto politico, nel dramma sı riscontra una forte presenza della tradizione cretese, che tende a riaffiorare soprattutto negli interventi corali (vd. anche 3, $ 2). Ai profeti di Zeus Ideo è affidato il compito di rappresentare e di rievocare la memoria dell’antica religiosità dell’isola e il misticismo dei suoi culti (Zeus Ideo, Dioniso, Artemide ed Apollo). Si tratta di una felice tecnica ad incastro, grazie alla quale l’azione drammatica trova complemento nelle sezioni liriche”. Pasifae e Fedra diventano nelle Rane le πόρναι per antonomasia del teatro euripideo. Anzi, l’origine cretese delle due eroine suggerisce ad Aristofane un sofisticato gioco parodico sulle xontixai μονῳδίαι o πορνφῳδίαι euri-

pidee; il giudizio morale sui personaggi diviene infatti una metafora per evidenziare la corruzione metrico-musicale delle monodie che Euripide, secondo Aristofane, avrebbe scientemente realizzato soprattutto col ricorso frequente al ritmo cretico (cfr. comm. ad fr. 8). La tragedia era sicuramente rimasta ben impressa nella memoria teatrale del pubblico ateniese”, se sullo scorcio del V sec., e ancora nel IV sec., prima Aristofane nel Dedalo e Apollofane e Nicocare nei Cretesi, poi Alceo nella Pasifae e infine Eubulo nella Nannion vi alluderanno, e, quest'ultimo, addirittura verbatim (cfr. ad fr. 7, 6 SS.).

Molti dubbi permangono invece su una conoscenza di prima mano del testo dei Cretesi da parte di Plutarco. Nonostante si tenda ormai a rivalutare l'ampiezza delle letture plutarchee e delle sue nozioni culturali, tuttavia, nei

casi di fr. 2, 13, di frr. 6 e °9, si tratta sempre di versi dei Cretesi molto noti,

che hanno ormai assunto un carattere semiproverbiale e, dunque, la loro citazione non implica, in Plutarco, la necessità dell'esatta conoscenza del contesto, in cui erano inseriti (cfr. soprattutto comm. ad frr. 6 e °9). Neppure è possibile stabilire se Porfirio, ed Erotiano (testimoni di fr. 1), leggessero la tragedia nel suo complesso o solamente alcuni brani antologici. Va comunque segnalata una peculiare coincidenza: le sezioni più citate dopo Aristofane corrispondono con quelle che ci hanno restituito la pergamena di Berlino 13217

(I-II? sec. d. C.) e il papiro di Ossirinco

2461

(I-II sec. d.

C.). 2° D'altronde sappiamo anche che le posizioni assunte da Euripide nei confronti della politica attuata da Atene sono state differenti a seconda dei momenti storici e non sono né facilmente né legittimamente sintetizzabili in una semplice e univoca etichetta onnicomprensiva.

2! Cfr. Calame 1990, p. 234 ss. ? Un analogo procedimento compositivo è nelle Fenicie (cfr. Masaracchia 1998, p. 239 ss.).

25 Cfr. Avezzü 1998, p. 265 ss.

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Euripide, Cretesi In età bizantina comunque le uniche nozioni sul dramma sono rintrac-

ciabili in un riassunto, alla cui origine, attraverso

più fonti intermedie, va

collocata una Pypotbesis della tragedia, ormai completamente irriconoscibile nella versione fornita dal testo di Malala (test. 2).

In ambito latino, principale artefice della diffusione del mito di Pasifae e di Minosse è stato Áccio con il suo Minos, che, con ogni probabilità, di-

pendeva in parte dai Cretesi; oltre ad Euripide (fr. 6), un tragico latino, forse lo stesso Accio, è riecheggiato in Verg. Aen. 6, 25 s. e ancora a Virgilio (Ecf. 6, 45 ss.)

più che ai Cretesi ha attinto Ovidio, Ars am. 1, 289-292, in cui è ri-

scontrabile una pallida eco dell’&vtéeyxAnua di Pasifae. Al contrario però di quanto riteneva Cantarella (cfr. test. 6 Cant. e comm. p. 48 ss.) il termine di

confronto immediato di Ovidio rimane sempre Verg. Ecl. 6, 45 ss Accanto alle fonti letterarie esiste una rilevante tradizione iconografica, soprattutto etrusco-romana. In ambito romano appunto, famosissimo è il sarcofago di Pasifae^, di cui si sono conservati entrambi i bassorilievi dei lati corti e quello di uno dei lati lunghi. Sui due lati corti sono raffigurati rispettivamente, su uno, tre giovani di cui uno seduto su di un trono in una sala

d’armi e, sull’altro, un personaggio maschile accompagnato da una donna anziana che si reca al tempio di Posidone con offerte di frutta. Sul lato lungo, distribuiti in tre scene si susseguono alcuni momenti del mito: 1 -- Pasifae siede nella stanza con un amorino sulle ginocchia e si trova a colloquio con Dedalo; 2 — tre operai sono intenti alla lavorazione della giovenca sotto la supervisione di Dedalo e sullo sfondo si scorge una facciata di palazzo; 3 -Dedalo mostra a Pasifae la sua opera ormai terminata, tenendo aperto il coperchio della giovenca lignea, presso cui sono collocati una scala e un amorino, che invita Pasifae a salirvi. Si tratta di una Vorgeschichte delle vicende del mito trattato nella tragedia: la scena dell'offerta a Posidone rappresenta, evidentemente, il momento della formulazione della preghiera del re al dio; i tre giovani potrebbero essere gli eredi di Asterio, cioé Minosse, Mileto e Sarpedonte (cfr. Apollod. 3, 1, 2). La tradizione iconografica etrusco-romana non si esaurisce con questo sarcofago né si puó considerare unitaria. Nei più recenti studi^? è stato notato come quuella etrusca mostri tratti peculiari e completamente diversi dalla romana^, che al contrario dipende dal^ Ovidio ha infatti volutamente alluso ai versi virgiliani, attribuendo però al mito di Pasifae una funzione completamente diversa rispetto a quella assegnatagli dal poeta mantovano: la vicenda di Pasifae in Virgilio è simbolo negativo del furor amoris, di quel tipo di passione cioè, da cui, secondo l'ideale epicureo, il saggio deve tenersi lontano per raggiungere l'equilibrio interiore, mentre la stessa regina cretese diviene in Ovidio exemplum mitico di come, fon 1 mezzi adeguati, ogni tipo di amore possa e debba essere soddisfatto. ? Il reperto, databile alla fine del I sec. a. C., probabilmente proveniva da Villa Borghese cd ora si trova al Museo del Louvre. Cfr. Robert 1890, p. 18 ss.

?é Papadoupolos, s.v. ‘Pasiphae’, LIMC VII 1, 1994 p. 199 s. 7 Nell’iconografia etrusca sono raffigurate tre scene che non hanno diffusione in ambito romano: 1) Pasifae raffigurata con Minosse, Glauco e Poliido (cfr. Apollod. 3, 3, 1-2); 2)

Pasifae e il piccolo Minotauro 3) la scoperta da parte di Minosse del Minotauro neonato. Il

Introduzione

17

l’ellenistica. La tradizione etrusca sembra cioè più antica dell’ellenistica-romana e, quindi, può ricollegarsi, più o meno direttamente, a quella attica o ionico-attica’*. Non aveva perciò forse torto Kórte? quando notava l’analogia tra il racconto dei Cretesi e le raffigurazioni di una serie di sarcofagi etruschi provenienti da Volterra e da Perugia del III-II sec. a. C. Essi, sicuramente copie derivate da uno stesso modello, portano scolpita sul lato più esteso la medesima scena con picccole varianti: Pasifae coperta per lo più da un velo, la nutrice con in braccio il piccolo Minotauro, A vacca li nea o il toro, Dedalo legato con o senza Icaro accanto, Minosse in preda all'ira, una

giovane donna inginocchiata accanto al re in atto di scongiurare pietà per 1 colpevoli, spesso alcune figure riempitive come guardie, una furia ecc. Per la figura femminilein inocchiata è stata proposta da Kórte?? l’identificazione con Arianna, figlia di Minosse e di Pasifae: il suo intervento in favore di Pasifae proverebbe, per lo studioso, che non si tratti di una persona qualunque, bensì di un membro della famiglia regale. I rilievi etruschi, sempre per Korte, dipenderebbero dalla tragedia euripidea, come sembrerebbe dimostrare anche la scenografia d’impianto teatrale, e amplierebbero la conoscenza del dramma: l’ira del re contro la consorte e contro il Minotauro neonato; l'intervento di Arianna per mitigare la collera del padre; la vendetta del re contro Dedalo e suo figlio, Icaro; i| suicidio di Pasifae che disperava di ottenere il perdono

del marito?!.

Certamente

esiste la possibilità che, nel

dramma, qualche personaggio abbia svolto una mediazione tra Minosse e mito di Dedalo e l'episodio della sua fuga con le ali di cera appare nell'orificeria etrusca, o comunque destinata a mercati etruschi, già dalla fine del V sec. a. C. (cfr. G. M. A. Hanfmann, ‘Daidalos in Etruria’, Am. Journ. Arch. 39, 1935, pp. 189-194; G. Becatti, ‘La leggenda di De-

dalo', Mitt. Deutsch. Archäol. Inst. Róm., 60-61, 1953-54, pp. 22-36). Non è stata data ancora

una risposta univoca al problema delle modalità con cui miti greci - e specialmente quelli presenti nelle trattazioni tragiche — siano stati assimilati e fatti propri dalla cultura e dall'artigianato etrusco che li continua a riprodurre in avanzato III sec. a. C. negli ateliers indigeni (Cateni-Fiaschi 1984, pp. 39-53); ma se non é chiaro il modo di trasmissione, la via, attraverso cui queste tradizioni mitiche sono giunte in Etruria, non puó essere stata che l'area culturale lonico-attica grazie agli stretti e intensi rapporti con la civiltà dell'Etruria meridionale dal VI

sec. in poi (cfr. M. Torelli, Storia degli Etruschi, Bari 1984, p. 195 ss.). 7 Anche

una testimonianza letteraria potrebbe convalidare questa chiave di lettura:

᾿᾿ἔχφρασις di Aen. 6, 14 ss., dove Dedalo, in fuga da Creta, giunto a Cuma, dedica le sue ali e

costruisce il tempio di Apollo, effiggiandolo con le vicende salienti del mito cretese. La tradizione dell’arrivo di Dedalo a Cuma, e non in Sicilia, è un vero e proprio πρῶτον λεγόμενον

nella versione del mito di Dedalo (cfr. Norden 1926, p. 120 ss.); essa troverebbe una chiara giustificazione nella tradizione genealogica attica, dove Dedalo era collegato alla dinastia regnante a Calcide, metropoli di Cuma (cfr. ancora Norden 1926, p. 120 ss.). E la calcidese Cuma, al tempo di Virgilio, mostra tracce consistenti di una presenza e influenza etrusca che

ha profondamente segnato la sua storia. Cuma dunque potrebbe essere stata un tramite indiretto per la diffusione del mito cretese in area etrusca.

2? 1890, pp. 81-84 e tavv. XXIX-XXX. Cfr. anche Cateni-Fiaschi 1984, p. 45 ss. 9? Körte 1884, pp. 205-206 e 1890, p. 83. ?! Ahlers (1911, p. 44), sulla scia di Körte, individua la ξυνεργός di Pasifae (cfr. fr. 7, 47)

con Arianna e le attribuisce un ruolo analogo a quello di Ismene, perché erroneamente considera Arianna non la figlia di Pasifae, ma la sorella.

18

Euripide, Cretesi

Pasifae, ma difficilmente si può concordare con Körte e, quindi, attribuire tale funzione ad Arianna. 2.

LA

CRITICA

PRECEDENTE.

REALTÀ

DOCUMENTARIA

E

SOVRASTRUTTURE

IDEOLOGICHE

2.1. Il culto cretese di Zeus Ideo e Dioniso-Zagreo Nella parodo (fr. 1) compare una peculiare associazione cultuale di tre divinità: Zeus Ideo, Zagreo e j Madre montana. La testimonianza euripidea è — o meglio era — un unicum nella storia religiosa cretese, poiché presenta associato nel culto di Zeus, in forma subordinata, un personaggio divino interpretabile a tutti gli effetti come Dioniso-Zagreo. In passato si è talvolta ritenuto che si trattasse esclusivamente di un sincretismo letterario o poetico,

privo di qualsiasi riscontro con la realtà storica"; e, ancora di recente, il culto cretese viene sostanzialmente definito, con una formula piü sofisticata,

ma concettualmente analoga, come “un bozzetto manieristico” e ritenuto il risultato di una complessa stratificazione tra prassi cultuale ed elaborazione letteraria". Si è anche cercato di superare le peculiarità della parodo in altro modo. Dal momento che a Creta non erano state riscontrate tracce consistenti del culto di Dioniso e che, per di più oltre a Porfirio (Vit. Pyth. 17), solo Euripide e Strabone (10, 3, 11; cfr. infra) attribuivano al culto cretese di Zeus un carattere orgiastico, si tendeva a ridurre la triade ad una diade, con l’ovvia conseguenza di eliminare uno dei due scomodi personaggi divini (Zeus Ideo o Dioniso- Zagreo)". Ma, già a partire dagli anni '40, é stato rilevato come simili triadi culX Cfr.: K. Latte, De saltationibus Graecorum capita quinque, Giessen 1913, p. 53; Nilsson 1968 (1927'), p. 578 s. e 1967 (1940), p. 686.

? Cosi M. C. Gianmarco Razzano, ‘Sincretismi euripidei: la triade dionisiaca’, in Vir bonus dicendi peritus. Omaggio a G. Garuti, Foggia 1996, pp. 39-45. % Nilsson (1968, p. 578 s. e 1967, p. 686) supponeva che l'assenza del culto di Dioniso a Creta fosse imputabile semplicemente al fatto che di questa divinità a Creta non ci sarebbe stato bisogno: 1 principi e l'idea religiosa infatti, di cui era portavoce Dioniso, sarebbero stati assimilati da un'altra divinità, lo Zeus cretese. Anche Cook (1914, p. 644 ss.), sulla base dei

medesimi dati, si spingeva ad affermare che quella figura divina, la quale piü tardi avrebbe ricevuto il nome di Zeus, a Creta, in un certo momento, portava il nome di Zagreo. Secondo Cook, questo nome in origine designava, nella zona del monte Zagros tra l'Assiria e la Media,

un dio del tipo Gilgamesch-Nimrod; il culto sarebbe poi giunto a Creta dalla Mesopotamia

attraverso la Fenicia e qui si sarebbe sovrapposto a quello di un dio locale, che successivamente 1 Greci immigrati avrebbero chiamato Zeus. Dunque le due tesi, pur essendo notevol-

mente differenti, coincidevano peró nel risultato, poiché sostanzialmente le due figure divine venivano drasticamente ridotte ad una, sia che si interpretasse Zeus Ideo come il Dioniso cretese (Nilsson),

sia che

si realizzasse

un'arbitraria

identificazione

tra Zeus

Ideo

e Zagreo

(Cook). Cfr. anche Harrison 1922, p. 479. La tesi di Cook ha avuto illustri seguaci come Gu-

thrie (che l’ha ribadita più volte: ‘Early Greek Religion in the Light of Decipherment of Li-

Introduzione

tuali si trovano ben documentate

19

iin altre aree greche, da Lesbo, a Samo, alla

Pilo d’età micenea”; quindi, quella che prima si era ritenuta a torto una diade, tornava inequivocabilmente a presentarsi come una triade. Del resto le testimonianze del culto di Dioniso a Creta, distinto da quello di Zeus,

sono meno rare di quanto si è solitamente inclini a credere: iscrizioni e monete provano a partire dal VI-V sec. la presenza della figura di Dioniso a Creta, autonoma e indipendente da quella di Zeus”. Comunque a Creta un culto di Zeus e di Dioniso era attestato unicamente dal frammento dei Cretesi. L'anello mancante di questa catena è stato finalmente ritrovato. Il legame tra Zeus Ideo e Dioniso-Zagreo è ora documentabile con sicurezza grazie ad una recente e importantissima scoperta che permette di impostare

su nuove basi la storia del culto di Dioniso a Creta. Fa parte dei ritrovamenti della Canea, nell’area occidentale di Creta, una tavoletta integra (KH Gh 3) il cui testo è molto breve, ma altrettanto rilevante:

.1 di-wi-jo-de di-we 2 di-wo-ni-so,

ME+RI ME+RI 2

2

Sulla base di questa iscrizione risulta che Zeus e Dioniso sono venerati tutte e due nel santuario di Zeus e che le offerte di miele, registrate dallo scriba in tale tavoletta, prendono la strada del santuario di Zeus e devono essere suddivise tra Zeus e Dioniso”. La tavoletta della Canea dunque prospetta una situazione cultuale molto vicina a quella che nel V sec. a. C. era nota ad Euripide: Zeus (di-we = “per Zeus") e Dioniso (di-wo-ni-so = “per Dioniso”) sono associati nelle offerte cultuali registrate dallo scriba e Dioniso appare ricoprire un ruolo subordinato a quello di Zeus, poiché è al santuario di Zeus (di-wi-jo-de= ‘verso il santuario di Zeus") che le offerte vengono inviate; esattamente così come, nei Cretesi, il coro dei profeti, pur definendosi iniziato di Zeus Ideo, compie riti in onore di Dioniso-Zagreo (cfr. infra ad fr. 1). L’associazione cultuale Zeus Ideo-Dioniso/Zagreo-Madre montana, dunque, oltre a non essere isolata nel mondo greco perché trova forme di corrispondenza nelle triadi lesbia e forse samia, non solo risale certamente già al II millennio a. C. (cfr. supra n. 35), ma è addirittura un culto locale cretese di tradizione millennaria, come prova il documento proveniente dall'archivio della Canea?*. near B', Bull. Inst. Class. Stud. London 6, 1959, pp. 35-46; Orpheus and Greek Religion, Lon-

don 1966), p. 112; Tbe Greeks and their Gods, London 1968), p. 45).

55 Si tratta della nota triade lesbia di Zeus, Era e Dioniso documentata da Alc. fr. 129 V. e Sapph. fr. 17 V., della triade samia di Zeus, Era ed Eracle o Dioniso e infine della triade pilia ricorrente nella tavoletta micenea di Pilo PY Tn 316.

% Cfr. in proposito Verbruggen 1981, p. 119 ss. " Cfr. L. Godart-Y. Tzedakis, ‘Les nouveaux textes en linéaire B de la Canée', Riv. fi-

lol. class. 119, 1991, pp. 143-147.

3 Già Pugliese Carratelli 1990, p. 369 ss. aveva acutamente intuito che, nel frammento

20

Euripide, Cretesi Particolarmente interessante è anche il tipo di offerte menzionato nella

tavoletta, i μελίσπονδα"“"; si tratta infatti di un’antichissima forma di liba-

gione tipica nei riti cretesi dei Coribanti come attesta Porfirio D. A. 2, 20, 221,1 (= Theophr. Περὶ εὐσεβ. fr. 12 Pötscher). Inoltre il miele e le api com-

paiono insistentemente nel culto cretese di Zeus“. Nelle varie versioni sull’infanzia del dio sarebbero state le api (Verg. Georg. 4, 149; Ant. Lib. Metamorph. 19) ad allevarlo; anzi, secondo altre testimonianze, Zeus sarebbe stato addirittura nutrito col miele prodotto dall’ape Panacri sui monti dell'Ida dalle Δικταῖαι Media! (Call. Hymn. 1, 50 ss.; Diod. 5, 70, 5; Apollod. 1, 1, 6; Lact. Div. Inst. 1, 22). Alle testimonianze letterarie si suole affiancare

anche un ritrovamento archeologico appartenente ai reperti rinvenuti durante gli scavi di Cnosso: si tratta della riproduzione fittile di un alveare selvatico attorno a cui si avvolge un serpente, che viene interpretato come oggetto votivo o di culto (cfr. A. Evans, The Palace of Minos IV, London 1935,

p. 156 ss., figg. 118a-b, 119a-b). Lo stretto collegamento del culto dello Zeus cretese con le api rivela importanti risvolti antropologici e religiosi. Detienne (‘Orphée au miel", Quad. Urb. 12, 1971, pp. 7-23), estendendo1 risultati degli studi di LéviStrauss' sui miti sudamericani della ‘fanciulla folle di miele’ alla tradizione greco-romana su Orfeo e su Euridice, ha delineato con chiarezza la funzione del miele e delle api e i valori che essi esprimono. Da Aristotele in poi lo schema rappresentativo delle caratteristiche dell’ape è ormai fissato in un stereotipo, la cui origine risale senz’altro più indietro, almeno alla seconda metà del VII sec.*: la μέλισσα conduce sempre un'esistenza pura e casta aneuripideo, c'era un possibile riferimento a tradizioni cultuali locali. La relazione tra Dioniso e Zeus è documentabile del resto anche al livello etimologico (cfr. Kretschmer, Einleitung in die Geschichte der gr. Sprache, Göttingen 1896, p. 241 ss.): nessun dio fu così strettamente legato nell'onomastica a Zeus, neanche Apollo, "che conservò sempre il suo nome anche quando divenne il dio dell’aristocrazia dorica e fu considerato per eccellenza il figlio di Zeus” (così Privitera 1970, p. 20). ?? Sul valore e sul significato dei μελίσπονδα come tipo di νηφάλια rimando a F. Graf,

‘Milch, Honig und Wein. Zum Verständnis der Libation im griechischen Ritual’, in Perenni-

tas. Studi in onore di A. Brelich, Roma 1980, p. 209 ss.. Una successione diacronica dei vari tipi di νηφάλια nella storia religiosa umana è indicata da Theophr. Περὶ εὐσεβ. fr. 12 Pötscher

(= Porphyr. D. A. 2, 20, 2 s.). *° Per il legame nella tradizione cretese tra api-miele, i Cureti e il culto di Zeus Ideo cfr. Ransome 1937, pp. 91 ss., 123., e inoltre Kerényi 1976, p. 30 s. Oltre che con Zeus Ideo il miele è però strettamente connesso anche con Dioniso, cfr. ancora Kerényi 1976, p. 30 s.

*! Sono le Ninfe dei frassini della manna (ornielli) e questi alberi sono ricordati perché dei loro fiori le api sono ghiotte: essi trasudano infatti un umore zuccherino simile al lentum de cortice gluten di cui parla Virgilio, Georg. 4, 160. Cfr. in proposito Momolima Marconi, 'Μέλισσα dea cretese’, Athenaeum

18, 1940, p. 166 ss.

42 C. Lévi-Strauss, Dal miele alle ceneri, trad. it. Milano 1970 (Paris 1964), p. 110 ss.

45 La testimonianza più importante, in quanto sicuramente la più antica, è però sfuggita allo studioso: si tratta del giambo di Semonide contro le donne (fr. 7, 83 ss. Pellizer-Tedeschi), dove appunto la donna nata dall’ape è simbolo di purezza, di moralità, di grazia, di pro-

Introduzione

21

che per ciò che concerne l’alimentazione; si contraddistingue per una dieta esclusivamente vegetariana in quanto, rifiutando la caccia e il cibo proprio dei carnivori, dispone di un nutrimento particolare, che contribuisce a preparare e di cui essa stessa ne fornisce una parte. Questi insetti si attengono dunque ad una purezza intransigente e non solo rifuggono odori naseabondi ed elementi putridi, ma soprattutto “non cedono alle nozze né lasciano sfinire 1 corpi da Venere” (Verg. Georg. 4, 197 ss.), cioè la loro vita sessuale ἃ praticamente inesistente". Le api e il miele sono dunque paradigmi mitologici e antropologici di una vita pura, priva di qualsiasi contaminazione col mondo

esterno, e, in ultima analisi, 1i valori che essi rappresen-

tano alludono indirettamente al vegetarianesimo: le api auto-producono infatti il principale alimento necessario per la loro sopravvivenza. E questo sicuramente spiega la loro costante presenza in culti o in tradizioni che s'improntano ad un ossessivo rispetto di regole di purezza. Alimentazione vegetariana e rigida astensione da ogni tipo di contaminazione sono descritti come propri del culto dei profeti di Zeus Ideo nella parodo e 1 μελίσπονδα sono attestati nella tavoletta della Canea come offerte tipiche del culto cretese di Zeus*.. Il dato letterario dunque integra e rende esplicito quello fornito dalla testimonianza micenea. Su queste nuove basi si dovrebbe anche riconsiderare la questione dell'equivalenza tra Dioniso e Zagreo. Nei Cretesi non è menzionato Dioniso, ma Zagreo; anzi la testimonianza di Euripide è una delle sue più antiche attestazioni”. Una chiara identificazione tra quelle che solitamente vengono considerate due figure divine, Dioniso e Zagreo, si riscontra solo, piü tardi, nel III sec. a. C. con Callimaco. Allo stato attuale, in miceneo non sembrano

esistere attestazioni del teonimo Zagreo, anche se si à tentato d'interpretare sperità per la casa cui appartiene. Simbolo di purezza, in questo caso poetica, é l'ape anche in

Call. Hymn. 2, 110 (cfr. Pfeiffer 1973, p. 429 s.).

* Gli apicultori sanno bene che le api si tengono lontane da tutti gli odori molto forti,

siano essi i profumi o altro tipo di esalazioni (Arist. Hist. an. 9, 40, 626a 26 ss.; Theophr. De

causis plant. 6, 5, 1); tra le raccomandazioni di rito nell’ allevamento delle api, quindi, si ritrova spesso il consiglio di non avvicinarsi ad un alveare se non col capo rasato e senza por-

tare su di sé traccia di unguenti profumati. *5 Il miele, oltre ad essere tradizionalmente connesso con doti profetiche, nella mitolo-

gia cretese, compare nella storia di Glauco e Poliido (Hyg. Fab. 136; Apollod. 3, 3, 1), in cui ancora una volta i Cureti svolgono la funzione di saggi consiglieri del re Minosse in occasione della sparizione del figlio (cfr. Ransome 1937, p. 123). In particolare, va menzionato Soph. Μάντεις fr. 398 TrGF, dove, sempre in rapporto alle vicende di Poliido e di Glauco, si ricor-

dano esclusivamente libagioni di frutta, miele e olio. E le libagioni di miele menzionate da

Empedocle come forme antichissime di offerte cultuali (fr. 109 Gallavotti = 108 D.-K.) non potrebbero forse derivare da usi e tradizioni originarie cretesi, esportate in seguito nella colonia di Agrigento? Rimane al riguardo più di un lecito dubbio. Per gli influssi dei culti locali

sui filosofi presocratici, in particolare su Senofane, e sulle loro riflessioni teoriche cfr. e. g. G. Cerri, ‘Elea, Senofane e Leucotea', Ann. Ist. Or. Napoli 16, 1994, pp. 137-155.

* Le più antiche testimonianze sono tutte raccolte in appendice a fr. 210 Kern.

22

Euripide, Cretesi

in PY Aq 218. 3 da-i-ja-ke-re-u come nome sacerdotale attinente a Zagreo"; ma quest'ultimaiipotesi, seppure ineccepibile ἃ l'interpretazione fonetica, rischia di essere solo un'illusoria supposizione priva di conferme, perché il contesto induce piuttosto a ritenere che da-i-ja-ke-re-4 sia un nome indicante una funzione amministrativa e non cultuale (daiagreus = “divisore di terre"). L'equazione Zagreo = Dioniso, dopo Callimaco, è frequente in età

tarda e in determinati contesti, come, per esempio, nelle Dionisiache di Nonno^, Se peró, da un lato, prima di Callimaco, l'identificazione tra Dioniso e Zagreo non è documentata, dall'altro, non è documentabile neanche l’indipendenza dei due teonimi; anzi ora, dopo il ritrovamento della Canea, aumentano notevolmente le probabilità che Zagreo sia stato uno dei nomi di Dioniso |in vigore non solo al tempo di Euripide, ma forse anche precedentemente!’ . Maggior attenzione meriterebbe anche Callimaco, fr. 43 Pf. (= 50 Mass.), dove, | in appendice ad una serie di racconti etiologici sulle fondazioni di alcune città siceliote, si menzionano legami cultuali tra Creta ed Aliarto: ad Aliarto, presso la fonte Cissusa, secondo il racconto callimacheo,

veniva celebrata una festa cretese (Κρῆσσαν ἑορτήν) in onore di Dioniso”, chiamata (tà) Θεοδαίσια; inoltre particolarmente in questi due luoghi, a Creta e ad Aliarto, si trovava in enorme quantità l'incenso"'. Dal testo conservato nel papiro è possibile trarre solo queste informazioni; però molti versi più avanti (v. 117), Pfeiffer, su proposta di Hunt, ha collocato un frammento di tradizione indiretta, via Διώνυσον Ζαγρέα γειναμένη 2. Evidentemente la Musa (Clio), dopo aver menzionato i riti di Aliarto sull’abluzione “7 Cfr.: G. Pugliese Carratelli, ‘L’organizzazione del culto in Pilo miceneo', Parola d. passato 12, 1957, p. 86, e 1990, p. 397; G. Maddoli, ‘Studi sul Pantheon miceneo', Atti e memorie acc. toscana di scienze e lettere “La Colombaria" 27, 1963, p. 95.

*5 Per alcuni aspetti della problematica su Dioniso e su Zagreo (Zagreo potrebbe essere un dio ctonio primitivo identificato poi con Dioniso? Zagreo sarebbe un teonimo legato alla tradizione orfica? Come e perché Zagreo sarebbe stato identificato ad un certo punto con Dioniso? ecc.) rimando a Casadio 1990, pp. 286-288. *' Comunque al tempo di Euripide l'equazione Dioniso = Zagreo doveva essere lecita e

non era avvertita come abnorme (Pugliese Carratelli 1990, p. 406 ss.). Ma vd. contra Jouan-

Van Looy 2000, p. 325 n. 44. 9 Grazie a Plut. Lys. 28, 7 è possibile ricostuire l'aition callimacheo: si raccontava che con l'acqua della fonte Kwootoa, la quale sgorgava nei pressi di Aliarto, le nutrici avessero lavato Dioniso dopo la sua nascita e infatti l'acqua della fonte aveva un colore brillante come

quello del vino, era limpida e dolcissima da bere; non lontano da questa zona sorgevano gli alberi resinosi (Κρήσιοι στύρακες) provenienti da Creta; gli abitanti di Aliarto ritenevano questi Κρήσιοι στύρακες una prova inoppugnabile dello stanziamento in quel luogo del cretese Rada-

manti, anzi assicuravano di poter addirittura segnalare, nelle immediate vicinanze, anche la

sua tomba. 3! Sull'albero originario dell'Arabia e diffuso a Creta e sul suo collegamento col culto di Dioniso cfr. in particolare Plin. Nat. bist. 12, 124 e Athen. 14, 626f e ancora Plut. Lys. 28, 8.

Una esauriente documentazione in Pfeiffer ad Z: esistevano infatti nell’isola di Creta uno Στυράκον ὄρος

e un

᾿Απόλλων Στυρακίτης.

$2 L'Et. Gen. AB s. v. Ζαγρεύς (cfr. Massimilla 1996, ad Call. fr. 50, 117) cita il frammento callimacheo per esemplificare che Zagreo sarebbe stato il nome di Dioniso ctonio in uso presso i poeti.

Introduzione

23

di Dioniso neonato, ricorderebbe la tradizione cultuale cretese sulla nascita

di Dioniso-Zagreo, da cui essi sarebbero derivati. Dunque a Callimaco erano note feste in onore di Dioniso a Creta, menzionate sporadicamente

solo dai lessicografi? e dalle iscrizioni”*. Il frammento 43, 117 Pf. (= 50, 117 Mass.) si dovrebbe riferire esattamente al momento in cui Clio comincia a

narrare la tradizione cretese sulla nascita di Dioniso; dunque, proprio in rapporto a questo mito cretese sulla nascita del dio, ricorrerebbe l’appellativo peculiare Zagreo che Dioniso avrebbe ricevuto a Creta. Accogliendo questa ricostruzione, dalla testimonianza callimachea si dovrebbe dedurre che Zagreo come nome di Dioniso sia legato alla tradizione cultuale e mitologica cretese?. Ma Callimaco non è stato ritenuto un teste attendibile”. In realtà Callimaco ha potuto associare al nome di Dioniso quello di Zagreo in relazione a Creta esclusivamente in base ad una tradizione nota e ben diffusa, e certo anche piuttosto antica; e, quindi, come già riteneva Pfeiffer”, egli ha potuto menzionare feste cretesi in onore di Dioniso, semplicemente perché esistevano. In fr. 1 appare chiaro che Euripide descriva le tre cerimonie chiave di una iniziazione di tipo misterico?*: l’uso rituale di timpani (i riti dei tuoni) v. 9 Cfr. Hesych. 8 263, n 824 Latte e Sud. a 4266 Ad. * IC I 13, 9 (Cnosso); 5, 43 (Lato); 11, 2 (Litto); 5, 42 (Olunte). Un mese cretese Θεοδάσιος è attestato in 7C I 4 A. 7; 5, 2 (Lato).

55 Per Casadio 1990, p. 288 il nome di Zagreo, in origine nome di un dio ctonio primitivo, un avatar della morte, come si potrebbe supporre sulle limitatissime testimonianze precedenti ad Euripide, si sarebbe identificato poi con Dioniso; Zagreo come nome di Dioniso

avrebbe avuto fortuna solo presso 1 poeti che lo considerarono un preziosismo stilistico, ma,

tranne per il caso di Creta e di Delfi, non avrebbe avuto grossi legami col culto. È tuttavia necessario chiarire che, in almeno due casi, in cui compare Zagreo come nome di Dioniso non si puó semplicemente trattare di un preziosismo lessicale e poetico: in Euripide e in Callimaco il nome ἃ strettamente connesso con 1] panorama religioso cretese e quindi non ὃ illogico rite-

nere che il nome Zagreo compaia in questi due poeti come forma cretese del teonimo, dato

che in entrambi i contesti si fa riferimento a precise usanze religiose ed a particolari culti cretesi (cfr. in proposito B. Gallistl, ‘Der Zagreus-Mythos bei Euripides’, Würzb. Jabrb. Alter-

tumswiss. 7, 1981, pp. 235-247 e anche Collard-Cropp-Lee 1995, p. 69).

6. Forse proprio perché ancora si continua erroneamente a credere, sulla scia di Snell (1963, p. 375 ss.), che il poeta, poco interessato al dato storico, abbia selezionato le versioni

più rare dei miti col solo scopo di proporre indovinelli e di strabiliare i suoi destinatari. Ma

Callimaco modifica i suoi modelli poetici e non le sue fonti e sceglie sempre, tra le varie tradizioni, quella versione che puó essere confermata da Realien e che quindi considera la piü degna di fede come hanno ormai chiarito Pfeiffer 1973, p. 210, G. Serrao, 'Gli scritti sulla poesia ellenistica’, in Giornate di Studio su Gennaro Perrotta, a c. di B. Gentili e di A. Masaracchia, Roma 1996, p. 57 ss. e A.-T. Cozzoli, ‘Callimaco, fr. 282 Pf. (= 109 Hollis)", in Poesia

e religione in Grecia. Studi in onore di G.A. Privitera I, Napoli 2000, p. 227 ss. 7 Ad v. 86 ss.: "Haec solemnia Cretensia Dionyso celebrata esse ex inscriptionibus

non apparet, sed e Callimacho et Scholiis satis veri simile videtur". Cfr. ora anche Massimilla 1996, p. 353 ss.

35 Cfr. Cozzoli 1993, pp. 160-168 e comm. ad /. In passato si è tentato d'interpretare in

chiave orfica i riti menzionati in fr. 1, cfr. in proposito 2, $ 2.

24

Euripide, Cretesi

11; l’omofagia (i banchetti di carne cruda) v. 12; l’oribasia (il sollevare le fiaccole in onore della Madre montana) v. 13. E la tradizione letteraria si

trova perfettamente

rispecchiata nella documentazione

archeologica:

du-

rante varie campagne di scavi?" è stato individuato un centro cultuale molto

importante in una grotta situata a 1700 m. d'altezza sull’altipiano dell'Ida, dove sono stati rinvenuti numerose suppellettili, oggetti votivi e iscrizioni databili dall’VIII-VII sec. a. C. ad età romana? Nell’ultima campagna”! stato rintracciato anche materiale minoico negli strati più profondi della cenere che ricopre tutto il fondo della grotta; quindi ininterrotta, da età minoica fino ad età romana, è stata la frequentazione dell’antro. Di fronte all’entrata della grotta si trova una specie di altare in roccia naturale e l’antro, oltre a presentare una cavità più piccola e ristretta nella zona più interna, contiene una seconda grotta, di dimensioni ridotte, situata a 8 m. d’altezza

rispetto al livello dell’antro principale; tutto il fondo era ricoperto di ceneri e appunto tra le ceneri, sparse e ammassate anche all’esterno, sono stati rinvenuti gli oggetti votivi e le lampade che probabilmente servivano per le cerimonie. 1 ritrovamenti comprendono statuette in bronzo, patere e scudi. Gli scudi (datati al IX-VIII secolo) sono troppo leggeri perché si possa ipotizzare un uso effettivo; quindi probabilmente essi avevano una destinazione rituale. La loro origine è ancora avvolta nel mistero, poiché presentano caratteri e lavorazione tipici di aree del Vicino Oriente (Siria, Assiria) e una iconografia che mescola insieme elementi siri, ittiti, e fenici. Sulla base dei resti e delle testimonianze epigrafiche il centro sacrale è stato individuato come luogo principale del culto di Zeus Ideo; tuttavia è sicura la presenza almeno di una seconda divinità femminile venerata in foco, come mostrano

alcune statuette e frammenti di scudi che rappresentano una specie di dea delle fiere e della feconditä®. Un timpano in particolare attira l'attenzione: esso raffigura al centro un personaggio che ha afferrato per le zampe un leone e lo solleva sulla propria testa e posa contemporaneamente il piede sinistro sul collo di un toro, costretto perció ad inginocchiarsi sulle zampe anteriori; da ambo le parti due geni alati sono intenti a percuotere 1 timpani. 5? Gli scavi iniziarono nell'agosto del 1885, per incarico e a spese del sillogo di Candia, dietro iniziativa di F. Halbherr, sono poi continuati con Marinatos (M. Marinatos in ‘Cronique des Fouilles en 1956’, Bull. corr. bell. 81, 1957, p. 632 ss.) e dal 1982 sono stati ripresi sotto

la direzione di Sakellarakis (1988, pp. 207-214).

$^ I] resoconto di questa campagna di scavi in F. Halberr, ‘Scavi e trovamenti nell'antro di Zeus sul monte Ida in Creta’, Mus. it. ant. class. 2, 1888, pp. 689-768. Cfr. anche E. Kunze,

Kretische Bronzereliefs, Stuttgart 1931, p. 151 ss. e J. Boardman, The Cretan Collection in Oxford, Oxford 1961, pp. 79-88. 9 Cf. Sakellarakis 1988, pp. 207-214. 62 Per l'esistenza di iniziazioni già nel II millennio cfr. Chadwick 1973, p. 221 e ‘Potnia’, Minos 5, 1957, pp. 117-129. È ormai chiara la presenza in età micenea di una divinità femminile della fecondità, signora delle fiere, che assume varie denominazioni a seconda delle

zone e che detiene attribuzioni cultuali in seguito proprie di Demetra. Cfr. Godart-Sacconi 1996, pp. 99-113.

Introduzione

25

Il rito dei tuoni menzionato da Euripide trova conferma nel dato archeologico e probabilmente, come suggerisce ora Sakellarakis, nella toponomastica della zona circostante’. Esistevano quindi a Creta riti misterici collegati al culto di Zeus e con il testo euripideo e con i dati archeologici concorda anche Strabone (10, 3, 11), che, dopo Euripide, menziona cerimonie orgiastiche cretesi in onore di Zeus: Ἔν δὲ Κρήτῃ καὶ ταῦτα καὶ τὰ τοῦ Διὸς ἱερὰ ἰδίως ἐπετελεῖτο μετ᾽ ὀργιασμοῦ καὶ τοιούτων προπόλων, οἷοι περὶ τὸν Διόνυσόν εἰσιν οἱ Σάτυροι τούτους δ᾽ ὠνόμαζον Κουρῆτας, ... οἱ μετὰ τυμπάνων καὶ τοιούτων ἄλλων ψόφων καὶ ἐνοπλίου χορείας καὶ ϑορύβου περιέποντες τὴν ϑεὸν ἐκπλήξειν ἔμελλον τὸν Κρόνον καὶ λήσειν ὑποσπάσαντες αὐτοῦ τὸν παῖδα.

Spingersi oltre nel tentativo di ricostruire la forma peculiare di questi tipi di riti potrebbe comportare il rischio di formulare ipotesi prive di conferma”. Non è questo l’unico caso in cui Euripide ποιητὴς σοφός ha conservato

un quadro storico-religioso molto più vicino alla realtà di quanto si possa immaginare, rivelando nei confronti del mito una sensibilità molto vicina a quella degli alessandrini. Un situazione analoga riguarda certamente il secondo stasimo dell'Elena, dove si è spesso intesa l'identificazione tra la Madre degli Dei e Demetra come un sofisticato prodotto della fantasia euripidea”. È stato però dimostrato da Cerri (1983, pp. 155-195) che non si tratta di una “ricerca dotta, da parte di Euripide, di una variante rara e contaminatoria dei miti di Demetra e della Madre degli Dei, ma" della ‘celebrazione ed esegesi religiosa di un grande culto cittadino, che aveva la propria sede nel centro stesso della vita politica e commerciale della città", ossia nel Metroon dell'agorà di Atene5. E ora tra i nuovi testi dell’ archivio miceneo, rinvenuto a Tebe tra il 1993 e 1995, compare una triade cultuale molto significativa, composta da ma-ka, da ko-wa e da Zeus o-po-re-i, ossia da μήτηρ Γῆ, 9 Un monte in prossimità della grotta di Zeus Ideo è ancora oggi chiamato ‘Tympanatoras': il nome alluderebbe al rumore dei timpani che i Cureti percuotevano per nascondere i vagiti del dio neonato. Questo elemento del mito troverebbe corrispondenza nell'uso rituale dei timpani nei culti idei (cfr. Sakellarakis 1988, p. 207 ss.). * Non solo Harrison 1922, p. 479 ss., ma anche archeologi e studiosi attenti e controllati come Faure 1964, p. 110 ss., e Verbruggen 1981, p. 75 ss., non hanno saputo resistere alla

tentazione di ricostruire le cerimonie misteriche dell'Ida. Ma nelle fonti antiche 1] silenzio sui

riti iniziatici è stato mantenuto fino alle Mystery Cults, London-Cambridge Mass. 5 Cfr. da ultima M. C. Gianmarco Parola d. passato 261, 1995, pp. 116-135,

soglie dell'età cristiana (cfr. W. Burkert, Ancient 1987, p. 91 ss.). Razzano, ‘Sincretismi euripidei: Demetra auletris’, secondo la quale Euripide avrebbe introdotto una

Demetra-Madre degli Dei sotto l’influsso della figura ben documentata di Demetra Auletris

con lo scopo di giustificare e propagandare le nuove tendenze musicali del V sec. e di valoriz-

zare la loro funzione catartica.

$6 Già Kannicht 1969, p. 330 ss. aveva segnalato stretti rapporti tra Eleusi e il Metroon dell'agorà di Atene, luogo di culto della Madre

degli Dei assimilata

a Demetra;

in seguito

Cerri in due lavori (1983, pp. 155-195 e 1987-88, pp. 43-87) ha approfondito questa linea in-

terpretativa tragedia.

e ha

evidenziato

la funzione

dello

stasimo

nella

struttura

generale

della

26

Euripide, Cretesi

da Κόρη e da Zeus ὀπωρής, ‘protettore dei frutti’. Questa triade tebana del secondo millennio a. C. permette di ridefinire l’attestazione cultuale dello stasimo dell’Elena: riemergono ancora una volta dall'epoca micenea memorie cultuali antichissime, ma obliterate da tempo, se la tradizione storica

considera recente l’introduzione ad Atene del culto della Madre degli Dei identificata con Demetra. 2.2. Euripide ‘razionalista’ Nel 1907 Wilamowitz (p. 78) dava l’imprimatur definitivo per quella interpretazione della tragedia in chiave religiosa di cui le osservazioni di Robert (1890, pp. 21-23) e la congettura βούτας di Diels (fr. 1, 11)9 costituiscono gli antecedenti fondamentali. Robert, in base alla rappresentazione del mito sul sarcofago di Pasifae (cfr. supra cap. 1), ipotizzava che il mancato adempimento del voto fatto a Posidone da Minosse fosse stato causato da uno scrupolo religioso: il culto di Zeus Ideo sarebbe stato prima contrastato e poi accettato incondizionatamente dal re; e sarebbe stata proprio la sua adesione alla nuova regola dei profeti, verificatasi subito dopo la formulazione del voto, a determinare la decisione di non sacrificare il toro inviato

dal dio. Diels, introducendo nel testo della parodo al posto dei “tuoni di Zagreo" (Ζαγρέως βροντάς) il “bovaro di Zagreo" (Ζαγρέως βούτας), conno-

tava come orfico il culto mistico di Zeus Ideo e finiva così, implicitamente, ma arbitrariamente, per privilegiare l’aspetto religioso del dramma. Rimaneva però ancora da spiegare la prospettiva da cui Euripide avrebbe rappresentato il μῦϑος. Solo dopo il rinvenimento della pergamena di Berlino (cfr. cap. 4) che conteneva una parte dell'agone tra Pasifae e Minosse, Wilamowitz nell’editio princeps pronunciava il giudizio conclusivo: Pasifae avrebbe rappresentato il ‘punto di vista’ di Euripide e appunto a questo personaggio il poeta avrebbe assegnato la funzione drammatica di smascherare le ipocrisie religiose di Minosse e gli inganni di un misticismo di convenienza. Il re dunque avrebbe seguito in apparenza l’ascetismo del culto ideo e, messo alle strette nell’agone (fr. 7), avrebbe infine dimostrato la sua vera natura di ti-

ranno sanguinario. Insomma le opposizioni drammatiche tra i personaggi dovrebbero evidenziare un tacito j’accuse contro le contraddizioni di certa religione e contro 1 suoi rigorosi principii inconciliabili con la realtà della vita. Si salvava, così seppure in extremis, l’immagine di un Euripide coerentemente ‘laico’ e ‘razionalista’ ad oltranza, poeta dell’illuminismo greco”. Ma la ricostruzione Robert-Wilamowitz, oltre a basarsi su postulati indi67 Si tratta della tavoletta TH fq 121: in proposito rimando a Godart-Sacconi 1996, pp. 99-113.

$ Per le conseguenze esegetiche che tale congettura, del tutto insostenibile, introduce nel testo cfr. infra comm. ad fr. 1, 11. 9 La valutazione di Wilamowitz s'inquadra in una temperie culturale ben precisa, con-

Introduzione

27

mostrabili, rivela palesi incogruenze. Già Croiset (1915, p. 232 ss.) riteneva logicamente impossibile che la conversione di Minosse all’ascetismo dei profeti si fosse verificata tra la formulazione del voto e il suo adempimento, poiché un toro viene pur sempre sacrificato a Posidone (test. 1), anche se non si tratta dello stesso animale promesso da Minosse al dio. E per di più il motivo del mancato sacrificio consiste nella bellezza dell’animale, di cui Mi-

nosse s'impossessa per accrescere il pregio delle sue mandrie”°. Tuttavia lo stesso Croiset è rimasto impigliato nella rete di questa lettura. Anzi, egli, nel tentativo di salvarla dall’inevitabile aporia, supponeva che proprio i profeti, dopo la conversione di Minosse al loro culto, gli avrebbero consigliato di destinare offerte incruente a Posidone come strumento di riconciliazione; e queste offerte sarebbero effigiate appunto su uno dei lati del sacorfago di Pasifae. E, cosi, l'idea che il nucleo fondamentale del dramma e il motivo propulsivo dell’intreccio sarebbero costituiti dall’ostilità iniziale di Minosse nei confronti della nuova religione di Zeus Ideo e di Zagreo ha ricevuto una sorta di tacito, ma indiscutibile consensus universorum. Non stupisce perciò che addirittura Webster (1967, p. 92), sulla scia di Hartung (1843, p. 103 ss.)

e di Croiset, continui ad ipotizzare la presenza nel dramma di un conclusivo deus ex machina, il quale, oltre a salvare Pasifae, avrebbe anche lo scopo

d’imporre l’adesione al nuovo culto e di fondarlo etiologicamente”!. Una vicenda parallela ha subito anche la congettura βούτας di Diels dopo la convalida di Wilamowitz: nonostante timide obiezioni, niente e nessuno ha potuto scalfirne l'attendibilità e βούτας-βούτης (fr. 1, 11) contro ogni verisimi-

glianza, rappresenta a tutt'oggi la scelta editoriale prevalente”. Si è inoltre verificata una sorta di attrazione nell’orbita dei Cretesi di frammenti euripidei, d’incerta collocazione, solo in base alla loro presunta conciliabilità col culto descritto in fr. 1 e con questa immagine del dramma. Si spiega così l'attribuzione alla tragedia sia dei frr. 943, 1009, 1023”? sia di fr. 912 TGF'. Tra questi l'unico a meritare una discussione più ampia è il fr. 912. Prima Valckenaer (1824, pp. 37-49), e subito dopo Welcker (1839, p. traddistinta dai saggi su Euripide di Verrall (Esrzpides the Rationalist, London 1895) e di Nestle (1901). A questo orientamento reagirà Dodds nel 1929 con il suo polemico Euripides the Irrationalist. Ma le posizioni di Dodds appaiono ancora condizionate dal presupposto che

l'irrazionalismo euripideo si definisca unicamente in contrapposizione ad una certa categoria

di razionalismo, rappresentata ora dal movimento sofistico, ora dalla concezione socratica.

Sull'interpretazione di Dodds rimando a Di Benedetto 1971, p. 47 ss.

70 Cfr. test. 1, 5 ss. τοῦ δὲ Ποσειδῶνος ταῦρον ἀνέντος αὐτῷ διαπρεπῆ τὴν βασιλείαν xagé-

λαβε, τὸν δὲ ταῦρον εἰς τὰ βουκόλια πέμψας ἔϑυσεν ἕτερον.

7! Cfr.: Schmid, Gg! 1940, p. 411 ss.; Pohlenz 1954, II p. 103. In questo panorama rimangono isolate le critiche di Rivier (1975, pp. 51-73) alla tesi Robert-Wilamowitz.

7 In primis Austin 1968, Collard-Cropp-Lee 1995, Diggle 1998 e ora Jouan-Van Looy 2000.

73 Già per Hartung 1843, p. 109 sarebbero i resti di una cosmogonia, ispirata alle dottrine di Anassagora, che doveva collocarsi dopo la monodia di Icaro. Il misticismo dei profeti sarebbe stato così quasi controbilanciato da una ventata di razionalismo filosofico.

28

Euripide, Cretesi

801) ne proposero l'attribuzione ai Cretesi unicamente in base al contenuto; in seguito Il frammento è stato incluso nella tragedia sia da Mette (1981-82, p. 168) sia da Jouan-Van Looy (2000, p. 332). Questo brano anapestico, oltre che da Clemente Alessandrino (Strom. 5, 70, 3-6, pp. 140-142 Le Boul-

luec) è tramandato anche da Satiro nella Vita di Euripide (37 III, p. 48 s. Arrighetti) insieme ad altri due, di cui uno è andato perduto per una lacuna meccanica nel papiro, mentre quello rimasto appartiene al Piritoo (fr. 593 TGF?). Secondo Leo (‘Satyros Bios Εὐριπίδον᾽, Nachricht. d. Gött. Gesel. d.

Wiss. Philol.-Hist. Klasse 1912, p. 279 ss. = Ausgewählte kleine Schriften II, Roma 1960, pp. 365-383) i tre brani euripidei apparterrebbero ad una sola tragedia, che andrebbe individuata appunto nel Piritoo; Arrighetti (Satiro. Vita di Euripide, Pisa 1964, p. 109 s.) ha però con valide argomentazioni revocato in dubbio la tesi di Leo e dunque nulla impedisce di ritenere che 1 frammenti derivino da tre tragedie diverse. L’attribuzione di fr. 912 TGF ai Cretesi si basa però solo sull’integrazione Κρησί proposta da Arnim nella lacuna contenente la menzione del titolo del dramma, da cui Satiro avrebbe

desunto la citazione del frammento; ma lo spazio di tale lacuna sembra effettivamente inferiore a cinque lettere e quindi resterebbe esclusa l’integrazione di Arnim. In ogni caso, difficilmente gli anapesti di fr. 912 TGF? possono essere collegati al brano della parodo già noto (fr. 1), perché esso presuppone un diverso contesto e implica uno sviluppo e una localizzazione dell’azione differente rispetto al fr. 1: si tratta infatti di un preghiera di accompagnamento per una ϑυσία a Zeus-Hades, che non può essere collocata nella reggia di Minosse, dove i profeti, dopo aver lasciato 1 sacri templi, erano già giunti all’inizio della parodo. Da quando Wilamowitz in Der Glaube der Hellenen aveva sentenziato l'assoluta indipendenza in epoca classica di Dioniso da Orfeo, la questione dei rapporti tra orfismo e Dioniso, grazie anche ad una nuova documentazione/*, si è notevolmente modificata. La connessione tra Dioniso ed Orfeo

— come è stato giustamente dimostrato”? — esiste nelle Bassaridi di Eschilo e nella trilogia di cui esse facevano parte, ma, a differenza del testo di Eschilo, dove effettivamente questo legame è testimoniato dalla trama, nei Cretes: solo a costo di un vero e proprio atto di violenza contro il testo tràdito si potrebbe riscontrare un’allusione alla gerarchia delle congregazioni orfiche. Le accuse di Pasifae contro il re, su cui si è sempre supposta un'adesione di Minosse alle regole ascetiche, vanno valutate semanticamente in relazione ad un codice ben determinato; esse servono a connotare la figura del tiranno, che, nella tradizione attica, il personaggio di Minosse ha sempre ricoperto sulla scena tragica (cfr.: test. 5 e cap.1; comm. ad fr. 7, 35 ss.). Si po^ Una sintesi della problematica e dello status degli studi in Di Marco 1993, p. 100 ss. 75 Cfr. Di Marco 1993, p. 100 ss.

Introduzione

29

trebbe invece tentare di valutare l’atteggiamento di Euripide nei confronti del dionisismo e, in genere, dei rituali misterici senza però pretendere di delineare lo sviluppo di un pensiero dionisiaco euripideo, poiché le posizioni assunte da Euripide, anche all’interno di una stessa tragedia, non di rado sono oscillanti e contraddittorie e difficilmente s) prestano ad essere espresse in definizioni univoche e lapidarie”°. Solitamente si proiettano all’indietro sulla produzione teatrale precedente le caratteristiche dionisiache di un solo dramma,

le Baccanti, che,

come è notorio, appartengono agli ultimi anni della vita del poeta. E appunto, per via analogica, si desumono da tali raffronti osservazioni e considerazioni sulle altre tragedie. Per quanto concerne i Cretesi, è stato attribuito al coro dei profeti di Zeus Ideo e al suo culto la medesima funzione

che hanno le Baccanti e quello di Dioniso nell'omonima tragedia”. Ma li le

Baccanti sono seguaci di un culto osteggiato, mentre qui i Cureti intervengono per scoprire le cause della sventura di Creta, mediano il conflitto tra Pasifae e Minosse, e forse sono anche invocati per purificare il paese dal miasma che lo ha colpito. Essi sono cioè i rappresentanti di un culto ufficialmente riconosciuto dall'autorità. Dunque in Euripide si trova rispecchiata la più fedele tradizione epicorica. Aristotele ci tramanda infatti che il cretese Epimenide, νεὸς Κοῦρος, chiamato ad Atene per purificare la città dalla con-

taminazione del delitto ciloniano, “non profetizzava sulle cose future, ma su quelle passate” che erano rimaste tuttavia oscure (Pol. 1, 2, 1252b 13). Nella memoria storica della polis era perciò ben radicata la concezione che il modus operandi tipico della mantica cretese consisteva proprio nel dedurrei mali presenti dai delitti o dalle colpe non ancora espiati del passato, come appunto aveva fatto a suo tempo Epimenide/*. Non si tratta quindi dell'ennesimo mito di resistenza al dionisismo, che ne propaganderebbe la validità”?, nonostante emerga in ogni caso una valutazione positiva del fenomeno: la saggezza, la ragione sono rappresentati nella tragedia dal coro dei profeti e questa εὐβουλία consiste nel rispettare gli obblighi verso gli dei e nell'accettare la loro volontà e le loro punizioni (cfr. fr. 7, 42 s., 50 s.). D'altronde questa caratterizzazione del coro ben si conforma alla sua natura e alle sue funzioni. Secondo la tradizione omerica ed esiodea (cfr. test. 5) 7 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 300 ss. 7 Per

l’Elena

e i suoi

rapporti

con

le Baccanti

rimando

a Cerri

1987-88,

pp.

43-67.

^5 Cfr. Mazzarino 1965, p. 46 ss. I Cureti svolgono lo stesso ruolo nel mito di Glauco e Poliido cfr. Apoll. 3, 3, 1, 17 ss. 7? Questa è sostanzialmente la valutazione del culto dionisiaco nelle Baccanti di Euri-

pide di R. P. Winnington-Ingram, Euripides and Dionysos, Cambridge 1948, p. 161 ss., se-

condo cui Euripide riconoscerebbe il potere di Dioniso e considererebbe come unica forma di difesa la comprensione e l'accettazione dei suoi riti da parte della πόλις. 5° Nella tragedia greca, e in particolare in quella euripidea, lo statuto del coro è piuttosto ambiguo: la voce del coro è espressione di un difficile e sempre instabile equilibrio che si dovrebbe realizzare tra la funzione ‘intradrammatica’ di un gruppo con un'identità partico-

30

Euripide, Cretesi

Minosse avrebbe intrattenuto una relazione privilegiata con il culto cretese di Zeus; oltre infatti ad essere figlio di Zeus, sarebbe stato anche Διὸς μεγάλου ὀαριστής. Wilamowitz (1907, p. 73), probabilmente influenzato anche da questa tradizione, ha supposto che il coro, legato al re da vincoli religiosi, avrebbe tentato nel corso dell’agone di stornare la punizione da Pasifae, sottolineando nei vv. 1-3 di fr. 7 il ruolo della diretta complice, la τροφός. Ma quest'ipotesi è inaccetabile perché nei versi in questione c’è chiaramente un riferimento a Pasifae e non alla sua complice (cfr. comm. ad ἰ.). Non sembra

quindi che la posizione del coro, nei Cretest, si discosti da quella che generalmente gli è propria, almeno nel teatro di Euripide: i profeti, da un lato, sono emotivamente partecipi agli eventi, dall’altro possegono il necessario distacco per considerare l’accaduto da una prospettiva imparziale e possono così orientare il giudizio del pubblico rappresentando una sorta di ‘spettatore interno’ al dramma. L’ostinata pertinacia dei filologi a rintracciare nel filone religioso il nucleo del dramma deriva forse anche dalla peculiare versione mitica, in cui Posidone ricopre il ruolo di una sorta di cupido vendicatore. ‘My feeling is” osserva Webster “that Euripides made Aphrodite responsible and gave her the prologue speech". In effetti in una versione secondaria e tarda, diffusa soprattutto in ambito romano?! (cfr. Schol. in Eur. Hipp. 432, p. 102 s. Schwarz e Hyg. Fab. 40), Afrodite si sarebbe vendicata della delazione, fatta da Helios, dei suoi amori con Ares, sulle discendenti del dio, Fedra e Pasi-

fae, oppure secondo un'ulteriore variante, la dea avrebbe punito Pasifae per aver negligentemente trascurato gli onori cultuali a lei dovuti. Ma è evidente che quest’ultima tradizione alternativa è stata influenzata dal mito di Fedra e d’Ippolito; e forse potrebbe avere addirittura origini autoschediastiche, dal momento che è attestata per la prima volta in uno scolio all’/ppolito in connessione appunto con la passione di Fedra. lare, soggetto a reazioni emozionali immediate, e quella ‘extradrammatica’ di una collettività

più in disparte rispetto all’azione. I numerosi studi sul ruolo della voce corale nella tragedia non possono naturalmente prescindere da Poet. 1456a 25 ss., su cui cfr. soprattutto B. Gentili, ‘Il coro tragico nella teoria degli antichi’, Dioniso 55, 1984-85, p. 27 ss. e D. J. Mastronarde, ‘Il coro euripideo: autorità e integrazione’, Quad. Urb. n.s. 60, 1989, p. 55 ss. Sul coro in ge-

nerale rimando a M. Hose, Studien zum Chor bei Euripides I, Stuttgart 1990, pp. 32-37, a V. Di Benedetto-E. Medda, La tragedia sulla scena, Torino 1997, p. 233 ss., a C. Calame, 'Per-

formative Aspects of the Choral Voice in Greek Tragedy: Civic Identity in Performance”, in

Performance Culture and Athenian Democracy, Cambridge 1999, p. 125 ss. e a M. Di Marco, La tragedia greca, Roma 2000, p. 154 ss.

8! Questa versione ha sicuramente origini ellenistiche e rivela ancora in età romana una certa fluidità. Il suo sviluppo è stato favorito dalla fortuna del cliché mitico dell’ Ippolito e, parallelamente, dal crescente interesse per Pasifae nel mondo latino (cfr. Verg. Ecl. 6, 45 ss., Aen. 6, 25 s.; Ovid. Ar. am. 1, 289 ss.). L'odio di Afrodite per le discendenti del Sole sarebbe stato causato dalla rivelazione di Helios ad Efesto del tradimento della dea con Ares; nella

tradizione romana più tarda le divinità greche vengono identificate con le corrispondenti latine, Venere, il Sole, Vulcano e Marte (Myth. Vat. 1, 43; 1, 47; 2, 120; 2, 121; 3, 11, 6-7), o addirittura con Venere, il Sole, Vulcano e Anchise (Serv. Dan. ad Ecl 6, 47).

Introduzione

31

Dunque, allo stato attuale, l’ipotesi di una presenza di Afrodite nei Cretesi si basa unicamente su di una sorta di petitio principit, si basa cioè sul fatto che, in materia di ἔρως, l'unica a detenere il potere assoluto dovrebbe

essere appunto la dea dell'amore. La tesi di un prologo di Afrodite (o di Afrodite e di Posidone), prima di Webster, era stata già sostenuta da Cantarella, che, contrariamente

all'evidenza delle testimonianze,

individuava la

sola colpa di cui si sarebbe macchiato Minosse nella insensibilità da lui mostrata all’esigenze di riservatezza della moglie per l’accaduto (fr. 7, 31 ss.). Se infatti si suppone che Euripide abbia attribuito ad Afrodite la responsabilità della passione di Pasifae e che sia stata esclusivamente la regina, con la sua negligenza, ad attirarsi l’ira della dea, non si riesce assolutamente a comprendere in che cosa consisterebbe la colpa di Minosse. La volontà di conciliare tutte le testimonianze sul mito, facendole confluire nell’intreccio dram-

matico, ha indotto Cantarella a trascurare sia le attestazioni esterne, test. 1 (τοῦ δὲ Ποσειδῶνος ταῦρον ἀνέντος αὐτῷ διαπρεπῆ τὴν βασιλείαν παρέλαβε, τὸν δὲ ταῦρον εἰς τὰ βουκόλια πέμψας ἔϑυσεν ἕτερον ὀργισϑεὶς δὲ αὐτῷ Ποσειδῶν ὅτι μὴ κατέϑυσε τὸν ταῦρον, τοῦτον μὲν ἐξηγρίωσε, Πασιφάην δὲ ἐλϑεῖν εἰς ἐπιϑυμίαν αὐτοῦ παρασκεύασεν) sia soprattutto quelle interne, fr. 7, 20 ss. (ti δῆτ᾽ ἂν τῇ[δ᾽ ἐμαινόμην νόσῳ; / δαίμων ὁ τοῦδε κἄμ᾽ ἐνέπλησεν κα]κῶν μάλιστα δ᾽ οὗτος οὐσεί — ]wv } ταῦρον γὰρ οὐκ ἔσφαξί[εν ὃν γ᾽ ἐπηύ]ξατο / ἐλϑόντα ϑύσειν φάσμα [πο]ντίω[ι ϑε]ῷ. / ἐκ τῶνδέ τοί σ᾽ ὑπῆλϑ[ε κἀ]πετείσίατο /

δίκην Ποσειδῶν, ἐς δ᾽ ἔμ᾽ Eoxmplev νόσον)), che inequivocabilmente impon-

gono di escludere questa ipotesi. 2.3. Il ‘secondo spettatore’ delle tragedie di Euripide: Socrate Croiset (1915, p. 225), delineando il contrasto tra razionalità e passione

nella figura di Pasifae, sosteneva che Euripide si sarebbe contrapposto a Socrate, per cui la virtù era σοφία, e a Prodico, secondo cui si sceglie, in un de-

terminato momento della vita, tra due cammini differenti, quello della virtù o quello del vizio. Pasifae sarebbe consapevole che la sua passione si scontrava con la ragione, ma l’avrebbe subita come necessità inviata dagli dei; e in

questo il poeta seguirebbe, almeno nella forma, la tradizione mitica. Dunque, un’allusione polemica contro la concezione socratica sarebbe presente, prima che nell’/ppolito, già nei Cretesi Anche se si dovrebbe evitare di “compromettere troppo con Socrate i personaggi euripidei’’*, la questione non è così facilmente eludibile perché comporta rilevanti implicazioni cronologiche (cfr. cap. 1). A partire da Nietzsche, che connotava il dramma euripideo quasi come diretta espressione dell’insegnamento socratico tanto da parlare addirittura di‘socratismo estetico’, il rapporto tra Euripide pensatore e Socrate filo#2 Cfr. Masaracchia 1998, p. 237.

32

Euripide, Cretesi

sofo” ha costituito uno dei principali parametri di valutazione della sua produzione drammatica"', persino da parte di chi come Dodds ha insistito sull’aspetto irrazionale della poesia euripidea. Da un lato, Socrate e Platone eliminerebbero completamente dalla loro concezione filosofica l’àxgaoia, dall’altro, Euripide ne rivendicherebbe l’importanza nella determinazione delle azioni umane; il filosofo teorizzerebbe e razionalizzerebbe, il poeta sceglierebbe l’irrazionale e metterebbe in discussione la teoria del filo-

sofo”.

E opinione comunemente accolta, al di lä delle sfumature particolari, che la parte iniziale della rbesis di Fedra riveli motivi antisocratici”, ma i riferimenti si limitano solo alle considerazioni iniziali, mentre il discorso suc$9 L'immagine è stata canonizzata dalla commedia, in primis dalle Rane di Aristofane (1491 ss., ma cfr. anche Nub. fr. 392, Teleclid. frr. 39, 40, Call. fr. 15 PCG). In proposito ri-

mangono fondamentali le osservazioni di Snell 1963, pp. 166-189.

** Cfr. Snell 1948, pp. 125-134 e 1963, pp. 60-61, Dodds 1973, p. 223 ss. ed anche 1929, pp. 97-104. La tesi di Snell era già prefigurata negli interventi sporadici di diversi filologi, tra cui Wilamowitz (Einleitung in die griechische Tragödie, Berlin 1910, p. 24 n. 1) e Nestle

(1901, p. 174 ss.). Il quadro degli studi sui rapporti tra Euripide e Socrate non si è molto mo-

dificato rispetto a quello degli inizi del secolo, e, tranne qualche caso isolato (cfr. soprattutto Di Benedetto 1971, p. 5 ss. e A. Carlini, ‘Due note euripidee’, Stud. class. or. 14, 1965, p. 205

ss.), si è invece principalmente arricchito solo nel numero degli interventi, contrari o favore-

voli alla tesi di un Euripide socratico o antisocratico. All’interno di questo spartiacque tra chi accetta l’allusione alla dottrina socratica nel discorso di Fedra e chi invece la nega, le posizioni sono molto articolate. Ci sono esponenti di uno scetticismo più completo riguardo al rapporto con la dottrina socratica come Barrett 1964, p. 227 ss., A. N. Michelini, Ewripides and the Tragic Tradition, Madison 1987, p. 304 e J. Moline, ‘Euripides, Socrates and Virtue’,

Hermes 103, 1975, pp. 45-67. Più possibilista si rivela invece R. P. Winnington-Ingram (‘Hippolytos: A Study in Causation', in Ewripide, Entr. Hardt IV, Vandoeuvres-Genève

1960, p.

177 s.) che ribadisce però la necessità di valutare sempre le parole di Fedra nell’ambito della situazione drammatica.

D. Claus, al contrario, (‘Phaedra and Socratic Paradox’,

Yale Class.

Stud. 22, 1972, pp. 223-228) individuerebbe nella rhesis di Fedra una polemica antisocratica inserita però nell'ambito di una morale aristocratica e non socratica e E. M. Craik (‘AIAQ in Euripides’ Hippolytos 373-430: Review and Reinterpretation’, Journ. Hell. Stud. 113, 1993, pp. 49-59) vi riscontrerebbe addirittura una reazione polemica complessiva contro le tesi di Prodico, contro quelle di Socrate e contro le teorie protagoree dei Δισσοὶ λόγοι. Da una nuova e interessante prospettiva affronta ora il problema dei rapporti di Euripide con la sofistica e con Socrate Conacher 1998, che comunque non mette assolutamente in discussione l’allusione alla concezione socratica nell’/ppolito (cfr. p. 26 ss.). 55 Cfr. Dodds 1973, p. 225, T. H. Irwin, ‘Euripides and Socrates’, Class. Philol. 78, 1983,

pp. 178-197, J. Walsh, ‘The Socratic Denial of Akrasia’, in The Philosophy of Socrates. A Collection of Critical Essays (ed. G. Vlastos), Notre Dame-Indiana 1986, pp. 235-263. 55$ Inoltre, come avevano acutamente notato Snell 1948, pp. 125-134 e soprattutto Dodds 1973, p. 225 e n. 4, insieme ai Cretesi e all’/ppolito riscontri sulla presenza di una contrapposizione tra ϑυμός e λογισμός sarebbero forse evidenziabili anche nel Crisippo, come proverebbero sia le testimonianze degli antichi interpreti, che associano questo dramma alla Medea, sia i pochi frammenti conservati della tragedia (frr. 840, 841 TGF?). Cf. anche Enomao, fr. 572 TGF. Per l'esatta esegesi di Medea vv. 1078-1080, dove solitamente si tende a

scorgere solo un contrasto tra passione e ragione, tra ϑυμός e βουλεύματα rimando a H. Diller, ᾿Θυμὸς δὲ κρείσσων τῶν ἐμῶν βουλευμάτων᾽, Hermes

94, 1966, pp. 267-275 e a Di Benedetto

1971, p. 39 ss. Il primo ha dimostrato che βουλεύματα (cfr. vv. 1044, 1048) indica il piano di

Introduzione

33

cessivo riguarda unicamente le vicende drammatiche della tragedia di Fedra e d’Ippolito. E riguarda esattamente la difesa di quella convenzione sociale, l'ai&dx, per preservare la quale Fedra prima accuserà ingiustamente Ippolito

e poi si ucciderà. Nella finzione drammatica dunque Euripide ha solitamente rispettato l'esigenza primaria del teatro, di salvaguardare cioè la funzione di quel determinato personaggio drammatico in quella determinata tragedia: quindi le parole, che questo pronuncia sulla scena, rispecchiano la sua caratterizzazione e vanno esaminate in funzione del ruolo che esso ricopre in quel dramma, anche se frequentemente i personaggi delle tragedie euripidee finiscono per esporre ed analizzare idee agitate e discusse nei circoli intellettuali dell'Atene del tempo. Il discorso di Pasifae, pur presentando sfumature analoghe a quello di Fedra nell’/ppolito, svolge nella tragedia una funzione differente che ne modifica nell'azione drammatica la prospettiva da cui deve essere considerato. Innanzitutto si tratta di una arringa di difesa, con cui Pasifae tenta di stornare la punizione e di giustificare il suo comportamento. Pasifae, sinceramente o insinceramente, tenta di dimostrare l’invo-

lontarietà della sua colpa attribuendone la causa alla divinità; ella ammette,

seppure 4 posteriori, che la sua azione è una follia, ma che ha agito solo perché soggetta al potere costrittivo del dio. Entrambe, Fedra e Pasifae, riconoscono quindi il male, ma mentre Fedra lo riconosce prima di agire, Pasifae solo dopo aver commesso l’azione nefanda. Nel discorso di Pasifae s'intrecciano infatti due ordini di motivazioni di cui bisogna tenere adeguatamente conto. Il primo consiste nel tentativo di Pasifae di dimostrarsi ἀναιτία (fr. 7, 29) e, di conseguenza, di provare che esiste un altro αἴτιος", il secondo motivo, strettamente correlato al primo, se non addirittura conseguente a questo, è di presentare il suo agire come οὐκ ἑκούσιον, involontario e quindi non punibile. Analogamente, nell'éyov λόγων delle Zrosane (vv. 914-1028)

Elena tenta di dimostrare ad Ecuba e a Menelao che non è stata lei la causa dei mali, perché le ἀρχαὶ κακῶν s’identificano con Paride: perciò la colpa sa-

rebbe piuttosto da imputare a chi generò Paride, a chi non l'uccise appena nato e infine a Paride stesso che fu giudice delle tre dee e diede la vittoria ad Afrodite. Ed Elena, come Pasifae, attribuendo la colpa della sua passione ad Afrodite, si dichiara incolpevole perché avrebbe seguito Paride contrariamente alla sua volontà. Ma Ecuba, come Minosse, rifiuta questa tesi, perché tutti gli atti che non siano compiuti sotto costrizione fisica sarebbero da

considerarsi volontari**.

vendetta contro Giasone e non è in contraddizione con il ϑυμός, ma che piuttosto le decisioni di Medea sono dominate dal ϑυμός; il secondo, partendo dalle conclusioni di Diller, ha sottolineato che la concezione non è assolutamente nuova, bensì è già omerica e arcaica, e che la

vera novità euripidea riguarda la creazione drammatica di un personaggio tragico capace di riflettere analiticamente sul potere del ϑυμός nell’attimo stesso in cui ne è dominato. 7 Sul problema dell'adulterio cfr. 3, $ 2.

** Per la valutazione della colpa di Elena nelle Troiane cfr. l'importante saggio della Basta Donzelli 1986, pp. 389-409.

34

Euripide, Cretesi

I limiti da assegnare al ‘tò &xobowv’ costituivano del resto argomento ampiamente dibattuto a livello pratico e a livello teorico, come ben rivelano, oltre all’Elena di Gorgia, sia il confronto con le Tetralogie di Antifonte®” sia l'aneddotica su Pericle e Protagora attestata in Plutarco (Peric. 36 = 80 A 10 D.-K.). Ma in questa atmosfera, in cui Socrate predicava οὐδεὶς ἑκὼν ἁμαρτάver, si andava affermando, grazie al movimento

sofistico, un nuovo e più

flessibile valore giuridico della colpa, non più rigidamente legato alla bipolarità tra αἴτιος e οὐκ αἴτιος. In questa atmosfera appunto trova piena giustificazione il messaggio tragico di Euripide. La concezione socratica (e platonica) si rivela inconciliabile sia con la posizione euripidea sia soprattutto con il codice della tragedia. Socrate infatti non prevedeva come attenuante dell'errore πη’ ἀνάγκη esterna di qualsiasi tipo”, mentre l'intervento divino, che

è sottolineato nelle parole di Pasifae e a cui si può ricondurre sostanzialmente anche la passione di Fedra (in base alle affermazioni di Afrodite nel prologo), si configura per entrambe come necessaria costrizione. La differenza fondamentale consiste nel fatto che l’àv&yxn divina rimane, per Fedra,

extra tragoediam"! e non è oggetto di discussione nella sua rhesıs. Nella tragedia la realtà si presta quasi sempre ad una duplice interpretazione

ed, in Euripide,

questa

ambivalenza

viene

esplicitamente

teorizzata

sulla base delle coeve disquisizioni sofistiche sull'ambiguità semiotica della parola e delle insidie del linguaggio, che utilizza segni dall'unico significante e dal diverso significato. In Hipp. 385-387 Euripide, per bocca di Fedra, constata come esistano due concetti addirittura opposti di aldo”? ‚che si presentano graficamente e foneticamente identici, e come a questa incertezza a livello linguistico ne corrisponda una più profonda nell’analisi delle situazioni e delle azioni: la valutazione degli eventi dipende dal καιρός, dalle circostanze, e spesso non esiste neanche la possibilità di fare adeguata chiarezza, perché entrambi gli antagonisti hanno una parte di ragione e, al tempo Cfr. Dolfi 1984, p. 121 ss. In particolare in base a By 7 sembrerebbe possibile rintracciare l’esistenza di un ἄγραφος νόμος secondo cui veniva considerato punibile anche il φόνος

ἀκούσιος (μήτε ἀδίκως punte δικαίως ἀποκτείνειν). Non stupirebbe quindi che l’unica forma di difesa prevista per gli imputati consistesse nel negare il proprio ἁμάρτημα e nel tentare di attribuirlo ad un altro colpevole (cfr. in proposito Decleva Caizzi 1969 p. 22 ss.). Ben si concilierebbe con queste posizioni la polemica di Antifonte sofista contro il concetto tradizionale e aristocratico di δίκαιον in 87 B 44 B 7 D.-K. (cfr. Decleva Caizzi 1969, p. 71 ss.), dove si fi-

nirà per sostenere che la giustizia non può semplicemente esprimersi nel τὸ μηδὲν ἀδικεῖν μηδὲ αὐτὸν ἀδικεῖσθαι.

9 Solo più tardi con Aristotele emergeranno distinzioni più articolate e più precise cfr. Eth. Nic. 3, 1109b 30 - 1110b 17, 3, 1136a 31-1136b 14, Rbet. 1, 1374b 5. In quest'ultimo passo della Retorica è usata la medesima terminologia di Poet. 1352b ss. Sul concetto di ἁμαρτία in Aristotele e nella tragedia greca cfr. Stinton 1975, pp. 221-254. ?! Per Aristot. Poet. 1454b 1-5 il deus ex machina è extra tragoediam; infatti il filosofo considerava ἄλογον il deus ex machina della Medea, che Euripide, contrariamente alla norma, aveva inserito nella struttura del dramma.

? Lo sdoppiamento è di ascendenza esiodea (Op. 317 ss.). Cfr. Barrett 1964, p. 230

Introduzione

35

stesso, una parte di responsabilità. Pasifae nella sua arringa mette in discussione il valore assoluto e tradizionale di ἑκούσιος e di αἴτιος che non si prestano a definire con precisione nessuna delle due parti in causa e non rendono possibile l’individuazione di un vero e univoco αἴτιος" . Le diverse circostanze comportano attenuanti per le azioni umane, sia che queste siano imputabili al potere costrittivo degli eventi, sia che invece siano determinate dalla pressione esercitata da un intervento esterno, € dunque esigono compromessi cui bisogna inevitabilmente piegarsi”*.*. Euripide, insomma, ha tentato di tradurre in chiave di mimesi tragica la scoperta sofistica dell’ambiguità della parola e della δόξα, che naturalmente comporta anche la successiva necessità di permutarle in tutti i contesti, perché si possano sincronicamente comprenderne e abbracciare tutti 1 valori, ognuno valido di per sé e vero nel suo proprio ambito”. 3. I CRETESI NELLA PRODUZIONE EURIPIDEA: DINAMICA E TRADIZIONE 3.1. Νόσοι ϑεήλατοι e νόσοι αὐϑαίρετοι

Secondo una concezione arcaica chi era soggetto a forti passioni era posseduto o malato e, nella mentalità primitiva, le due condizioni sostanzialmente si equivalevano”. Ancora Pasifae definisce la sua sofferenza come νόσος (fr. 7 vv. 20, 35), quindi èè un male non voluto (v. 10 οὐχ ἑκούσιον xaxóv), inviato dalla divinità (v. 9 ἐκ ϑεοῦ προσβολῆς, v. 30 πληγὴν δαίμονος ϑεήλατον); la regina perciò rinvedica la sua innocenza (v. 29 κοὐδὲν αἰτία),

negando nel modo più assoluto che all’origine della punizione divina possa esserci una sua colpa (cfr. v. 34 ... σὴ γὰρ j ξαμαρτία; ν. 40 ἐλεύϑεροι γὰρ xob-

δὲν ἠδικηκότες)". E la stessa prospettiva si trova presente in Bacchilide (** 26 Maehler). In entrambii casi si tratta di un arcaismo come osserva Dodds ? Per la fluidità del diritto attico nel V sec. cfr. Decleva Caizzi 1969, p. 22 ss. * Cfr. Di Benedetto 1971, p. 73 ss. Per il ruolo del καιρός in Euripide non si può esclu-

dere un’influenza simonidea (Di Benedetto 1971, p. 6 ss. e 296 ss.). ® Cfr. in generale tutta l’Elena e soprattutto Phoen. 499 ss., dove Eteocle afferma che “se le stesse cose fossero belle e sagge per tutti, non vi sarebbero ‘dibattito e dissenso fra gli uomini" e che "invece non v'è nulla di eguale e di simile tra i mortali, tranne le parole (trad. di Gentili 2000, p. 35)”. In proposito Bruno Gentili (2000, p. 35 s.) osserva che qui Euripide si esprime come un semiologo ante litteram: "Euripide già sapeva che i significanti restano gli stessi, ma 1 significati mutano col mutare (a livello diacronico ma anche a livello sincronico) delle situazioni". L'importanza delle ricerche sofistiche sul linguaggio e la loro influenza su Aristofane e su Platone sono ora sottolineate da G. Nieddu-P. Mureddu, Furfanterie sofisti-

che: omonimia e falsi ragionamenti tra Aristofane e Platone, Bologna 2000 (Eikasmos Studi 2), p. 1 ss. Euripide ha però assimilato e reso sulla scena sempre in modo originale le discussioni

coeve (cfr. in generale Conacher 1998). % Cfr. Dodds 1973, p. 221 ss. 57 Pohlenz 1954, I p. 250 ss. ipotizzava in questo caso una discussione sul libero arbi-

36

Euripide, Cretesi

(1973, p. ormai ha nico si è Per

223 s.): “per il poeta e per i suoi ascoltatori colti, questo linguaggio soltanto il valore di un simbolismo tradizionale. Il mondo demoritirato, lasciando soli gli uomini con le loro passioni”. Goossens” Euripide, polemizzando con Sofocle (Phaedr. fr. 680

TrGF), sulla scia del bipolarismo tra νόμος e φύσις, ridurrebbe ad una causa

puramente umana, fisiologica o psicologica, l’origine di tutte le νόσοι, sia ϑεήλατοι sia αὐϑαίρετοι. E dal momento che le vecchie spiegazioni mitologiche non sarebbero più soddisfacenti, i Cretesi rappresenterebbero l’absurdum cui potrebbe condurre un'acritica adesione alla tradizione"; essi sarebbero una bella e raffinata parodia. Contrariamente a Goossens, la De Ro-

milly! considera il concetto di amore irresistibile (νόσος), spesso invocato

come attenuante nella tragedia, semplicemente un topos retorico. La questione merita un approfondimento, perché nelle tragedie coeve di Euripide, o quasi, emerge un dibattito riguardo l'origine di ogni tipo di νόσος e la necessità di trovare una cura adeguata per lenire il dolore. Euripide èè stato sicuramente influenzato dalle teorizzazioni della medicina laica'?!, secondo cui, nella nozione di νόσος, si fanno rientrare, oltre alle

malattie fisiologiche, anche le crisi e i disturbi psichici ed emotivi!°. Nell'7ptrio, ma si tratta sempre della linea arcaica di pensiero che classificava il fatto erotico come follia (cfr. in proposito Di Benedetto 1971, p. 74 ss.).

9 Euripide et Athènes, Bruxelles 1962, pp. 152-154. Cfr. anche Rivier 1960, pp. 45-72 che insinuava l’ipotesi dell’utilizzazione in chiave ironica del mito nei Cretesi. ” Pasifae, secondo

Goossens,

a conclusione

del dramma,

sarebbe stata perdonata,

e

l’unico colpevole punito sarebbe stato Dedalo insieme al figlio Icaro, cosicché la tragedia si trasformerebbe

in farsa. Non

condivisibile,

anzi addirittura errata, risulta la deduzione

di

Goossens riguardo alla sorte finale della regina cretese, che sicuramente veniva condannata

da Minosse e a conclusione del dramma moriva: cfr. cap. 1 e comm. ad fr. 7, 46 ss.

100 “[’excuse de l’invicibile amour dans la tragédie grecque', in Miscellanea tragica in

honorem J.C. Kamerbeek, Amsterdam 1976, pp. 309-321.

101 Già con Ipponatte φάρμακον ha assunto una chiara valenza metaforica (Hippon. frr. 43, 2; 48, 4; 147 Dg.; cfr. E. Degani, Studi su Ipponatte, Bari 1984, p. 167 ss.), ma solo con Euripide viene utilizzato nel significato di "cura / rimedio" in senso medico insieme ad altri ter-

mini, che saranno poi suscettibili di un’ulteriore restrizione tecnica. Nel corso del V secolo la

separazione tra mondo magico e scienza medica è ormai evidenziabile anche per la formazione o per la specializzazione di determinate famiglie lessicali (cfr. F. Graf, La magie dans [ antiquité gréco-romaine. Idéologie et pratique, Paris 1994, p. 41 ss.): se il campo semantico dei μάγοι, dei γόητες, degli ἀγύρται assume sempre più una valenza negativa e si restringe esclusivamente all'ambito magico, φάρμακον e vocaboli affini finiranno, più lentamente, per

costituire l'ossatura della lingua medica. Un significativo intreccio tra il linguaggio scientifico e quello poetico, sia nel senso dell’utilizzazione euripidea di nozioni e di termini medici, sia nel senso inverso dell’inserzione di un lessico poetico nel sistema semantico della prosa medica, è stato giustamente evidenziato da Giuliana Lanata per il trattato ippocratico Sul morbo sacro (‘Linguaggio scientifico e linguaggio poetico. Note al lessico del de morbo sacro’, Quad. Urb. 5, 1968, pp. 22-36). Per analogie lessicali tra le tragedie euripidee e i trattati del corpus ippocratico cfr. anche M. F. Ferrini, ‘Tragedia e patologia: lessico ippocratico in Euripide’, Quad. Urb. 29, 1978, pp. 49-62.

192 Cfr. V. Di Benedetto, // medico e la malattia, Torino 1986, pp. 3 ss., 62 ss.

Introduzione olito

φάρμακον 9) e νόσος μ

rappresentano

37

i due estremi di un'opposizione

dialettica che si snoda nel corso del dramma: la malattia che ha colpito Fedra è una νόσος ϑεήλατος; né la scienza medica né la magia sono in grado di for-

nire rimedi efficaci e neanche il λόγος che è l’ultimo espediente cui fa ricorso

la nutrice!®*. La testimonianza dell’/ppolito non è isolata, anzi il desiderio di

trovare un φάρμακον λύπης

(che naturalmente include anche il mal d’a-

more) compare nella produzione tragica di questa primo periodo con insistenza. Nel Ditti del 431 (fr. 339, 3-6 TGF?) si afferma che l’amore non è una malattia volontaria (v. 4 καὶ γὰρ οὐκ αὐϑαίρετοι / βροτοῖς ἔρωτες οὐδ᾽ ἑκουσία

νόσος) e che, perciò, desidera una cosa stolta chi pretende di curare la propria passione (vv. 5-6 σκαιόν τι δὴ τὸ χρῆμα γίγνεσϑαι φιλεῖ, / ϑεῶν ἀνάγκας

ὅστις ἰᾶσϑαι ϑέλει). Determinante è la presenza in questo frammento dell’aggettivo σκαιός che si trova anche nella Medea in un brano ideologicamente fondamentale per la concezione euripidea (v. 190 ss.): stolti (σκαιοί) e non saggi sarebbero stati gli antichi che hanno inventato canti e dolci suoni per allietare le feste e i conviti, ma non hanno pensato di curare il dolore con la musica e con la poesia!”. Un'evoluzione significativa si nota soprattutto nel Bellerofonte (fr. 292 TGF°)!”, dove compare la stessa problematica, però con 108 Sul valore centrale di φάρμακον nell'Ippolito cfr. B. E. Goff, The Noose of Words.

Readings of Desire, Violence and Language in Euripides! Hippolytos, Cambridge 1990, p. 48 e G. Ricciardelli Apicella, ‘Fedra: l'ol&óg e il φάρμακον᾽, in Scritti in memoria di Carlo Gallavotti, Roma, 1994, p. 148 ss. Significativa la ripresa teocritea nell'incipit dell’idillio 11 (οὐδὲν πὸτ τὸν ἔρωτα πεφύκει φάρμακον ἄλλο, / Νικία, οὔτ᾽ ἔγχριστον, ἐμὶν δοκεῖ, οὔτ᾽ ἐπίπαστον, / ἦ tai Πιερίδες) del v. 516 dell’Ippolito (πότερα δὲ χρυστὸν ἦ ποτὸν τὸ φάρμακον;). La sostituzione di

ἐπίπαστον ἃ ποτόν è determinata dal fatto che evidentemente Teocrito immagina il dolore d’a-

more come quello provocato da una ferita. E il medico Nicia, dedicatario del carme, rispon-

derà allusivamente a Teocrito richiamandosi anche lui, nell’incipit della sua composizione, ad

un verso euripideo tratto dalla Stenebea (663 TGF?). Il gioco allusivo dei richiami tra loro complementari di Teocrito e di Nicia ad Euripide non è certo fine a se stesso: Euripide, prima

che il Ciclope sperimentasse le capacità curative delle Pieridi, aveva dato l’avvio alla ricerca del φάρμακον contro il dolore d’amore; Euripide, prima di Teocrito, aveva probabilmente

compreso che la scienza medica non era in grado di fornire un rimedio adatto al mal d’amore. Sulla ricerca euripidea di una ‘catarsi dal dolore’ cfr. Di Benedetto 1971, pp. 223-238 e Cozzoli 1994, pp. 95-110, specificatamente per i rapporti con Teocrito e con gli autori dell’età ellenistica.

1 Implicita la polemica con la dottrina protagorea testimoniata da Platone, Theaet. 167c: cfr. Di Benedetto 1971, pp. 80 ss., 114 ss.; A. Capizzi, 1 Sofisti ad Atene. L’uscita retorica dal dilemma tragico, Bari 1990, p. 178 ss. 105 Si tratta di una ricerca costante del teatro euripideo, e, probabilmente, Euripide si trova già chiaramente orientato a vedere nella confessione l’unico φάρμακον in grado di rasse-

renare l'animo. Per la cosidetta ‘poetica del dolore’ nella drammaturgia euripidea rimando a Di Benedetto 1971, p. 223 ss. Lo sperimentalismo euripideo è probabilmente sotto l’influsso della coeva ricerca sofistica di una τέχνη ἀλυπίας (cfr. Cozzoli 1994, p. 95 ss.). Per 1 rapporti

tra pathos verbale e struttura metrica in Euripide cfr. F. Perusino, ‘Il pianto di Ecuba nelle Troiane di Euripide’, in Mousike. Metrica ritmica e musica greca in memoria di Giovanni Comotti, Pisa-Roma 1995, pp. 253-264.

!06 Cfr. Gentili 1995, p. 54 e Cozzoli 1994, p. 95 ss. 107 πρὸς τὴν νόσον τοι καὶ τὸν ἰατρὸν χρεών / ἰδόντ᾽ ἀκεῖσθαι, μὴ ἐπιτὰξ τὰ φάρμακα / διδόντ᾽,

38

Euripide, Cretesi

una formulazione dei concetti più articolata e sorretta da una chiara terminologia medica. Il brano presenta alcune difficoltà interpretative, anche se facilmente si può decodificare il suo significato generale: in stretta analogia con alcune concezioni dell'autore del De morbo sacro 18 (21 Jones)'”, si nega una differenza tra νόσοι ἐκ ϑεῶν e νόσοι αὐϑαίρετοι e si afferma che tutte le

malattie sono umane e curabili; dunque, si rifiuta la concezione tradizionale che siano gli dei ad inviare νόσοι agli uomini, perché la divinità non può desiderare e compiere nulla di turpe. Ma Euripide 51 spinge molto più avanti. Nella medesima tragedia infatti (fr. 286 TGF*), Bellerofonte, con una famosa requisitoria, tenta di negare l’esistenza degli dei: le città che rispettano pietosamente gli dei vengono aggredite e distrutte da altre, i tiranni malvagi ed empi prosperano, se gli dei esistessero non permetterebbero queste ingiustizie. Affermazioni simili non sono certo isolate, anzi più volte ricorrono nella tragedie euripidee, tuttavia non sono semplicemente ed esclusivamente un topos tradizionale come qualcuno ha affermato!”, bensì s'inquadrano in una temperie culturale ben precisa. Svincolare il concetto di νόσος dalla divinità, o comunque solo metterne

in discussione la sua origine divina, corrisponde alla ricerca di una maggiore autonomia dell’individuo!!°, alla fiducia crescente nelle sue capacità; insomma indica la tendenza e la necessità di liberarsi dal determinismo della divinità. E presuppone, nella società ateniese, la crisi!!! della vecchia concezione di öixn''?, dove le alterazioni, provocate dalle colpe umane, dell'ordine stabilito da Zeus, venivano puntualmente punite, e così si assicurava il ripristino dell’equilibrio minacciato. Alla tutela dell’equilibrio e dell’isonomia, ἐὰν μὴ ταῦτα τῇ νόσῳ πρέπῃ. νόσοι δὲ ϑνητῶν al μεν elo’ αὐϑαίρετοι, / αἵ δ᾽ ἐκ ϑεῶν πάρεισιν, ἀλλὰ τῷ νόμῳ / ἰώμεϑ᾽ αὐτάς. ἀλλά σοι λέξαι ϑέλω, / εἰ ϑεοί τι δρῶσιν αἰσχρόν, οὐκ εἰσὶν ϑεοί. All'uso di un lessico specialistico (ἰδόντ᾽ ἀκεῖσϑαι, μὴ ἐπιτὰξ τὰ φάρμακα / διδόντ᾽, ἐὰν μὴ ταῦτα τῇ νόσῳ

πρέπῃ) si accompagna anche l’elencazione delle varie fasi di analisi della nuova prassi medica: esame-diagnosi-prescrizione. Cfr. anche fr. 154 Austin = Hyps. col. 29/30 Cockle.

198 Il pensiero ippocratico, nonostante la presenza di residuali concezioni arcaiche, tuttavia sicuramente ignora o rifiuta ogni intervento particolare della divinità nel processo della malattia.

199 Cosi intendono Collard-Cropp-Lee 1995, p. 114. 11? Cfr. Citti 1990, p. 96 ss. !!! Per la decadenza della nozione arcaica di δίκη che deriva da una scissione tra nomos e

physis cfr. Vlastos 1947, p. 178. ! La nozione di reciprocità e di equilibrio, che costituisce nel pensiero arcaico l’elemento comune alle varie formulazioni di ‘giustizia’ si applica ai diversi settori socio-politico, giuridico, medico, amoroso. Cfr.: Vlastos 1947, pp. 156-168, J. P. Vernant, ‘Structure géomé-

trique et notions poetiques dans la cosmologie d'Anaximandre', Eirene 7, 1968, pp. 5-23, A.

Capizzi, La repubblica cosmica, Roma 1982, p. 271 ss. per le cosmologie dei presocratici; G.

A. Privitera, ‘La rete di Afrodite. Ricerche sulla prima ode di Saffo’, Quad. Urb. 4, 1967, p. 33

ss., Gentili 2000, p. 32 ss., M. G. Bonanno, ‘Osservazioni sul tema della ’giusta reciprocità’

amorosa da Saffo ai comici’, Quad. Urb. 16, 1973, p. 110 ss. per δίκη in amore; infine E. A.

Havelock, Dike. La nascita della coscienza, trad. it. Roma-Bari 1981 (Cambridge Mass. 1978),

p. 355 ss. per Eschilo. Per il concetto di δίκη in generale cfr. H. Lloyd-Jones, The Justice of Zeus, Berkeley 1971.

Introduzione

39

esigenza primaria delle società aristocratiche e timocratiche, si contrappone la concezione dinamica del più maturo regime democratico, dove s'incrementa ὁ si favorisce l’attivismo del singolo e si permette a chi ne abbia le ca-

pacità di emergere!!?,

Dal 455 al 428 l’interesse euripideo si orienta infatti non solo su temi Mitici, che possono comportare l’applicazione del criterio della δίκη erotica!!*, ma che permettano di evidenziarne anche la problematicitä'”. Nella Medea si assiste al confronto tra due opposte concezioni di δίκη, quella della protagonista e quella borghese di Giasone!!°. Nella maggior parte delle altre tragedie si esemplifica una passione che dovrebbe e potrebbe rientrare nei canoni della giusta reciprocità amorosa, ma che, al tempo stesso, si scontra

contro i valori tradizionali della società o addirittura contro i suoi tabù (e. g. l'incesto). Nei Cretesi è stato portato sulla scena il paradigma mitico più evidente della contraddittorietà che implica l'automatica accettazione di tale norma: si tratta, in questo caso, di una passione del tutto innaturale e solo il ricorso ad un espediente esterno, la τέχνη di Dedalo, permette all'amante,

Pasifae, di soddisfarla. Il μῦϑος rappresentato nei Cretes: non è quindi né l'espressione dell'ironico distacco dalle concezioni religiose tradizionali da parte di un Euripide illuminista come pensava Goossens, né un'ennesima riproposizione di luoghi comuni come affermava la De Romilly. Esso costituisce invece semplicemente un tentativo di sottolineare anche a livello ero-

tico l'inadeguatezza di quel criterio che fino ad allora era stato un valido

strumento interpretativo della realtà!!.

3.2. Pasifae: tra mito e storia Il confronto tra Fedra e Pasifae, accomunate dalla stessa origine e provenienza familiare, è stato inevitabile. E Pasifae è sempre apparsa una figura meno complessa e tormentata di Fedra!!*. Non si tratta però di un giudizio del tutto imparziale, perché nel personaggio di Pasifae sono presenti aspetti 1? "Thuc. 2, 37, 1. In proposito vd. D. Musti, Demokratia. Origini di un’idea, Roma-Bari

1995, p. 99.

"4 Ora ritenuto fortemente riduttivo della volontà dell'individuo cfr. in proposito Citti 1990, p. 96 ss. La dilatazione invece della sfera dell'éxoóovov è ormai ben evidente nell'agone tra Ecuba ed Elena delle Troiane (Basta Donzelli 1986, pp. 389-409). 15 Cfr. in particolare le Cretesi, la Stenebea, il Bellerofonte, i due Ippoliti, la Fenice, il Peleo, il Tieste, 1’ Alope, l'Alcmena, l'Eolo. Per la cronologia approssimativa di queste tragedie vd. Webster 1967, p. 3 ss.

116 Cfr. Gentili 2000, p. 32 ss. 17 Anche se non esisteva ancora un concetto, altrettando valido, in grado sostituirlo.

Per l’oscillazione di Euripide tra il rifiuto di una giustificazione religiosa degli eventi e l’attrazione per il suo potere rassicurante cfr. Di Benedetto

1971, p. 300.

! Cfr. Di Benedetto 1971, p. 80. Per K. J. Reckford, ‘Phaedra and Pasiphae: the Pull

Backword', Trans. Am. Philol. Ass. 104, 1974, pp. 307-328, Creta e il background cretese pese-

40

Euripide, Cretesi

fortemente innovativi, sinora forse trascurati a causa della limitata docu-

mentazione. Prima di Fedra, Euripide ha portato sulla scena la figura di un’adultera del tutto particolare. Secondo la consuetudine del diritto attico la donna (moglie, madre, figlia o concubina) non è naturalmente ritenuta un soggetto giuridico; quindi il colpevole di adulterio è sempre l’uomo (μοιχός). Ma la tradizione mitica permette di rovesciare la norma costituita: l’unico soggetto capace d'agire è, in questo caso, Pasifae!!”, dal momento che l’adultero non è un essere umano. Insomma si realizza una situazione in cui μοιχός potrebbe essere definita solo la donna, anche se la legge prevede punizioni violente unicamente per l’uomo e la lingua greca non ha sviluppato neanche una terminologia corrispondente al femminile di uguale rilevanza giuridico-sociale!?°, Infatti la legislazione attica in materia di adulterio consente al marito di tutelare il diritto ad assicurarsi una prole legittima e, quindi, concede alla parte lesa di punire la violazione perpetuata contro il proprio οἶκος anche infliggendo la morte al colpevole colto in flagrante; mentre per la donna solitamente le pene si limitano a pubbliche manifestazioni di disonore!?!. Ma, una volta che sia stato accertato il caso d’adulterio, non è permesso più all'uomo di condividere lo stesso οἶκος con l'adultera!^^, ritenuta oltretutto im-

pura; alla colpevole non è concesso partecipare ai riti sacri e alle cerimonie della πόλις, però, allo stesso tempo, non le può essere inflitta come punizione la morte. Anzi nel codice del diritto familiare è addirittura vietata l’uccisione dell'adultera da parte del κύριος dell'olxoc!?. Eppure nella storia mitica dell'Attica era rimasto impresso il ricordo di punizioni particolarmente severe. Eschine!?* menziona la vicenda dolorosa di una fanciulla sedotta e murata viva dal padre insieme ad un cavallo in un’abitazione solitaria, onde ancora quel luogo era noto come

Flag’ ἵππον καὶ κόρην. La storia, narrata

dall’oratore come un evento realmente verificatosi, riguarda in realtà una delle Codreidi, Limonide, il cui mito era raccontato anche da Callimaco nel

quarto libro degli Αἴτια (frr. 94-95 Pf.). I principi fondamentali del codice giuridico-familiare attico, se non sincronicamente almeno diacronicamente, sono quindi rispettati nella tragedia. La punizione inflitta da Minosse a Pasifae, pur contravvenendo al νόμος μοιrebbero inevitabilmente sul personaggio di Fedra: la storia mitica e familiare sarebbero evocate dunque nell’/ppolito come premonizione del fallimento morale di Fedra.

11? Sulla πανουργία di Pasifae cfr. comm. ad fr. 7, 46. 120 Esiste limitatissime.

sia

μοιχάς

sia

μοιχεύτρια,

ma

le

attestazioni

delle

due

espressioni

sono

121 La legge risale a Draconte (Aristot. Athen. Pol. 4, 1 e IG T, 104). Cfr. Lys. 12, 49; Demosth.

Contra Aristocr. 53, 55 e Contra Neaer.

87.

122 Chi contravviene a questa disposizione perde i diritti politici (cfr. J. W. Jones, The Law and Legal Theory of tbe Greeks, Oxford 1956, p. 182). 13 Cfr. Aeschin. Contra Timarch. 1, 183. 124 Contra Timarch. 1, 182.

Introduzione

41

χείας in vigore, è comunque legittimata da una prassi più antica, come attesta la storia di Limonide; e, analogicamente, Minosse rinchiude Pasifae forse

nella stanza del talamo nuziale, punendo insieme a lei anche i mediatori dell’adulterio, la nutrice, Dedalo e il figlio Icaro.

Certo Pasifae non comporta le contraddizioni di Fedra anche perché la sua figura mitica si ricollega all’antica tradizione cretese e alla religione preolimpica del mediterraneo: l’eroina, discendente del Sole, è compagna e

madre di un animale selvaggio,!? e il suo nome, Πασιφάη ‘Per tutti splendente’ è un appellativo cretese proprio della regina alla stregua del corrispettivo maschile ᾿Αστέριος (cfr. test. 1). Nei Cretesi, Euripide ha tentato una riedizione del mito in una versione accessibile al pubblico attico, ha cercato cioè di tradurre vicende strettamente legate all'ambiente cretese in una forma in cui le questioni dibattute risultassero quanto meno familiari al suo uditorio. In verità la figura di Minosse era già stata assimilata dalla cultura ateniese! Ma nella variante mitica, che si era già affermata e consolidata e che era destinata ad un successo e ad una diffusione più estesi, la storia di Dedalo e del Minotauro era connessa con le vicende di Teseo ed appunto l’eroe attico veniva presentato come uccisore del Minotauro e liberatore di Atene dal pre-

dominio cretese!” Così se quasi nulla è stato tramandato dell'originario e

più antico ciclo cretese! questo fenomeno deve forse imputarsi non solo alla fortuita casualità, ma alle tendenze atticocentriche, che hanno

sostanzial-

mente dominato fino alla soglie dell’età ellenistica. 4. PERGAMENA

BEROLINENSIS 13217 (PACK°-MERTENS 437)

È un unico foglio membranaceo, rinvenuto da Rubinsohn il 27 gennaio 1905 in Ashmunein, ed era conservato fino al 1945 nella collezione berlinese.

L’editio princeps si deve a Wilamowitz (1907, pp. 73-79). La pergamena (14, 5 x 10, 5 cm.) è molto sottile ed è scritta anche sul verso; spesso, la scrittura

ha perforato la membrana o si è sovrapposta a quella del recto creando lacune meccaniche o rendendo piuttosto difficile la lettura del testo, come è

ben visibile p. es. a vv. 18, 19, 22, 42 ecc. Wilamowitz e Schubart (1907, p. 73), in base al ductus, la datavano al I

sec. d. C., menzionando come prototipi analoghi le membranae descritte da 15 Sulle peculiari caratteristiche della stirpe femminile del Sole cfr. in generale K. Kerényı, Töchter der Sonne, Zürich 1944, e, in particolare per Pasifae, p. 173 ss. Pausania 3, 26, 1

ricorda in Laconia presso Talame un santuario di Ino con un oracolo, dove si ergono statue di Helios e Pasifae e soggiunge che Pasifae è solo l’èrixAnow di Selene e non il nome di una divinità locale (cfr. anche Plut. Agid. 9 e Cic. De div. 1, 43).

128 Cfr. supra capp. 1 e 2, $ 2 e comm. ad fr. 7, 35 ss. A7 Per l'importanza di Teseo nella cultura ateniese e per l'appropriazione attica del ciclo cretese rimando a Calame 1990 rispettivamente pp. 143 ss. e 403 ss.

75 Cfr. Cantarella 1964, p. 157 ss.

42

Euripide, Cretesi

Marziale (cfr. e. g. 1, 2; 14, 186 ss.). Sul problema della datazione è ritornato

in seguito Schubart!?, sollecitato da alcune obiezioni mosse da Hunt. Egli, pur concordando in generale con Hunt sul fatto che, solitamente, per documenti simili alla pergamena di Berlino si opta per una datazione più bassa (III sec. d. C.), ritiene però che, in questo caso particolare, si possa preferire una data più alta. Il tipo di scrittura e il ductus infatti sono direttamente confrontabili con quelli documentati in rotoli papiracei del I secolo d. C., tra cui si possono ricordare i frammenti del quarto libro di Tucidide contenuti in P. Oxy. 16 (1898, cfr. p. 39 ss.). Inoltre, per Schubart, la testimonianza di

Marziale andrebbe collocata cronologicamente non al principio ma alla fine del processo di evoluzione tecnologica del materiale scrittorio, quando questa innovazione si è definitivamente affermata nell’editoria antica; perciò la comparsa di questi codici membranacei (membranae) potrebbe risalire già al primo periodo imperiale. Turner (The Typology of Early Codex, University of Pennsylvania 1977, p. 40 s.) la data invece al 150-200 d.C. Nella pergamena sono segnati l’elisione e l’interpunzione (dicolon), ma in modo discontinuo e con alcuni errori; inoltre sembrerebbe individuabile

ai vv. 8 e 33, per uno spirito ed un accento circonflesso, l’intervento di una seconda mano. Una correzione si riscontra al v. 44. Le battute di Pasifae e di Minosse sono entrambe segnalate con sigle, ma, le une, col nome indicato quasi per intero, le altre, almeno una volta con le prime tre lettere iniziali; un

terzo personaggio prende parte alla scena, è segnalato semplicemente con un segno convenzionale (V), ed è stato identificato da Wilamowitz col corifeo.

Le battute di quest’ultimo personaggio sono evidenziate dalla paragraphos. Il testo, in definitiva, è ben leggibile e non presenta molti errori, tranne per quanto riguarda 1 tre versi lirici iniziali (1-3) stravolti da una corruzione non

facilmente sanabile. La pergamena dopo l'editio princeps non è stata riesaminata. L’esigenza di una rilettura si comincia a sentire già subito dopo la seconda guerra mondiale, quando però risulta scomparsa, assieme ad una parte cospicua della collezione papirologica berlinese!?°. Il materiale disperso durante la guerra verrà via via ritrovato, ma della pergamena dei Cretesi manca qualsiasi notizia; Maehler (Archiv Papyrusforsch. 1984, 30, p. 5 n. 2), ancora nel 1984, conferma che nulla di nuovo si sa al riguardo e paventa che essa possa essere andata definitivamente perduta. Anche nelle loro recentissime edizioni Collard-Cropp-Lee (1995, p. 72) e Jouan-Van Looy (2000, p. 329 n. 50) fanno menzione del foglio membranaceo come definitivamente perduto. Ma la pergamena è però fortunosamente ricomparsa nel luglio del 1992}, Il dottor Günter Poethke (Agyptisches Museum und Papyrussamm'? Schubart 1911, p. XXIII tav. 304. Cfr. anche Schubart 1962, pp. 103-106. © Cfr. M. Hombert, 'L'état des études de papyrologie au lendemain de la guerre”,

Chronique d’Égypte 23, 1948, pp. 181-182. 1 Così mi riferisce per lettera (23. 7. 1996 e 9. 2. 1998) il dottor Poethke.

Introduzione

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lung, Staatliche Museen zu Berlin) l’ha rinvenuta negli scantinati del Museo Nazionale di Varsavia. Il dottor Poethke, con cui sono entrata in contatto

grazie alla gentile mediazione del prof. Maehler, mi fa sapere che a tutt'oggi la pergamena, anche se in ottimo stato di conservazione, non è accessibile al pubblico. Di essa egli mi ha cortesemente inviato la riproduzione fotografica del recto e del verso, tratta da negative d’archivio degli inizi del secolo corservate a Berlino. Di queste nitide riproduzioni mi sono servita per la presente edizione. 5. P. Oxv. 2461 (PAcK°-MERTENS 451) Il papiro di Ossirinco 2461, pubblicato per la prima volta nel 1962 da Turner, è conservato alla British Library (numero d’inventario 3044); esso comprende cinque frammenti molto mutili in scrittura rotonda capitale di media grandezza'”, senza punteggiatura e segni diacritici eccetto l’uso sporadico della diastolé e della paragraphos utilizzata - secondo Turner - per delimitare sistemi lirici. Inoltre si trova, nella medesima teca, un piccolo frammento quadrangolare di 1 cm. circa per lato, con tracce di scrittura, collocato nel vetro in alto a destra sopra il fr. 2 (= F1 vd. Tavv. I e II), non segna-

lato né da Turner né dagli editori successivi, perché inutilizzabile. In base alla scrittura, che ricorda il commento a Callimaco P. Oxy. 2262", è possi-

bile datare il papiro approssimativamente alla seconda metà del II sec. d. C. Il frammento più esteso (fr. 2) è di cm. 5, 5 di larghezza per 9, 3 di altezza. Il papiro è stato da me riesaminato con l’aiuto e la consulenza del prof. H. Maehler e del dott. W. H. E. Cockle. Per motivi di chiarezza ho utilizzato sigle differenti per indicare la numerazione dei frammenti del papiro riprodotta nelle tavole fotografiche (I e II) e quella della mia edizione, che

non coincidono: la corrispondenza con la numerazione dei frammenti come viene segnalata nelle tavole fotografiche è indicata laddove risulti neccessaria per la discussione con la lettera maiuscola in parentesi (F) seguita da numero arabo. Turner aveva individuato il fr. 997 TGF* nel v. 12 del fr. 2 del papiro (= F1, 12)!54 e dato che questo verso era stato trasmesso da Plutarco nella Vita di Teseo (15, 2), aveva attribuito l'intero papiro, seppure con alcune riserve, al

13? Per il tipo di scrittura cfr. Turner 19717, p. 20. 133 Su questo commentario a Callimaco cfr. Pfeiffer 1973, p. 398 ss. 134 Turner 1962, p. 100. Turner aveva pensato anche alla possibilità che si potesse trattare di frammenti attribuibili ai Cretesi, ma l'aveva subito esclusa, perché il contesto plutar-

cheo, in cui ἃ inserita la citazione del verso di Euripide, riguarda le imprese di Teseo. Egli

aveva inoltre ipotizzato che il dialogo si svolgesse tra Teseo e Arianna.

44

Euripide, Cretesi

Teseo euripideo. Solo successivamente Mette!” ha riconosciuto nel fr. 4 del papiro la parodo dei Cretesi, fr. 472, 12-15 TGF? (fr. 1, 12-15). La relazizione tra i frammenti del papiro, seppure non affrontata da tutti gli editori della tragedia (Cantarella, Collard-Cropp-Lee), è questione da cui non si può prescindere. Turner, dopo aver tentato di collocare il fr. 2 (=F1) dopo il fr. 3 (= F2)i in modo da far combaciare esattamente la col. II, 6 con l'i-

nizio del fr. 2, si é reso conto che il risultato era deludente: la colonna del fr. 2 (= F1) sporge eccessivamente verso il margine sinistro (per chi guarda), come si puó vedere dalla fotografia (tav. I). Inoltre la sporgenza risulterebbe ancora più accentuata perché bisogna considerare, oltre il limite virtualmente evidenziato dallariproduzione fotografica (tav. I), lo spazio di una lacuna di tre lettere circa d

2, 10). Turner quindi cautamente avverte che le

fibre consentono questa collocazione, ma non la richiedono necessariamente, e che, in base a motivi interni, egli ritiene comunque questa ricostru-

zione del tutto improbabile'^*.

La lettura al microscopio di fr. 3, col. II 8 (=F2 col. II, 8) conferma,

senza ombra di dubbio, un dato sfuggito a Turner: la lettera x iniziale è seguita in alto a destra da un piccolo omicron (0); la sigla quindi indica un intervento del coro. Il u iniziale fr. 3, col. II 9 (2 F2 col. II, 9) é stato di conse-

guenza interpretato come un'altra sigla indicante un altro personaggio". Posizionare dunque il fr. 2 (= F1) sotto il fr. 3 (= F2 col. II) diviene, per gli editori successivi a Turner, ancora più rilevante ai fini della ricostruzione della tragedia, poiché significa identificare automaticamente i personaggi della sticomitia di fr. 2 con il Corifeo e con Minosse (= u). Lloyd-Jones (1963, p. 448) si limita ad affermare che il piccolo fr. 3 col. II dovrebbe essere collocato 1n modo che la sua seconda colonna sia posizionata prima dell'inizio dell'esteso fr. 2 e che, pertanto, secondo questo ordine, intende analizzare 1 due frammenti. Egli inoltre legge uno iota dopo u di fr. 3, col. II 9, dove effettivamente si notano tracce di scrittura senza soluzione di continuità rispetto al u, anche se non chiaramente identificabili come relative a v (cfr. in-

γα)ὃ, In base a questa lettura, Lloyd-Jones interpreta le due lettere come si-

gla riferibile all’iniziale del nome del secondo personaggio della sticomitia, ui(voc). Ma una giuntura diretta dei due frammenti è del tutto impossibile. 155 Mette 1963, p. 256. D$ Con tale collegamento, secondo Turner, non sarebbe rimasto lo spazio sufficiente per introdurre i personaggi e il dialogo della sticomitia di fr. 2 (=F1) che dovrebbe seguire. Ma un inizio ex abrupto della sticomitia non sarebbe del tutto impossibile, purché si ipotizzasse che uno o tutte e due i personaggi siano stati già introdotti in precedenza (cfr. e. g. Col-

lard-Cropp-Lee 1995, pp. 61, 71 ma vd. infra e ad fr. 2). 57 Lloyd-Jones 1963, p. 448. E probabilmente in linea con le sigle x? e μ si legge un secondo χ (vd. ad fr. 3).

138 Cfr. anche Mette 1964, p. 140 s., il quale, basandosi sulla lettura del papiro di Turner, a differenza di Lloyd-Jones, considerava x la lettera incipitaria del verso e non la nota personae. E su questa ipotesi di lettura del tutto improbabile Mette ha basato le sue proposte di integrazione.

Introduzione

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Neanche Austin la prende in considerazione e anzi, per evitare la sporgenza eccessiva oltre il margine sinistro della colonna dei trimetri giambici di fr. 2 colloca questo frammento sotto fr. 3, col. II spostando il primo più in basso e verso destra. Egli, con tale soluzione, riesce a recuperare uno spazio di non piccola estensione (‘‘non.. parvo intervallo interiecto", p. 53), che dovrebbe

eliminare il problema dell'eccessiva sporgenza a sinistra del margine interno di fr. 2 ( F1); in fr. 2, 3 si dovrebbe dunque postulare una lacuna iniziale di 8 lettere, maggiore di quella valutata da Turner in 6 lettere circa. L'intervallo ipotizzato da Austin non risolve il problema, perché, come egli stesso confessa, non è possibile dimostrare con certezza il collegamento tra i due frammenti; dopo una così estesa interruzione infatti non si può seguire né prevedere con approssimazione accettabile l'andamento delle fibre papiracee verticali?. Ed ora il prof. Maehler mi assicura che le fibre verticali del fr. 2 (= F1) non trovano neanche corrispondenza diretta nella continuazione delle fibre verticali di fr. 3 (2 F2); quindi non esiste nessuna indicazione tecnica che permetta di realizzare questo collegamento. Per tali motivi e per altri discussi più avanti (cfr. infra) in questa edizione si è preferito conservare per i frammenti del papiro il vecchio ordinamento di Turner che rispecchia unicamente le loro dimensioni; del resto 1 due frammenti in questione non sono stati collegati neppure nel vetro di protezione del papiro. Nel fr. 2 c’è una sticomitia tra due personaggi (A e B). Chi sono i misteriosi interlocutori di questo dialogo? Il primo personaggio vuole apprendere, vuole chiarire i connotati di questa vendetta divina (fr. 2, 5-9); dunque

chiede informazioni e non sa assolutamente nulla al riguardo. Il secondo personaggio B, risponde alle domande di A, anche se le sue risposte risultano piuttosto vaghe; sembrerebbe dunque che B sia qualcuno che vive e opera nella reggia di Minosse e per menzionare i genitori del piccolo mostro si serve della terza persona plurale (oi τεκόντες v. 22). Ma l’espressione utilizzata per indicare i genitori del Minotauro rimane molto generica, e rivela che l’interlocutore B non sa ancora che il Minotauro è figlio del toro; il nostro misterioso personaggio B quindi può solo supporre che il mostro sia figlio di Pasifae e del re Minosse. L’accoppiamento bestiale della regina col toro sarà infatti scoperto molto più tardi (fr. 7, 30 ss.), mentre ancora il prodigio di questa orrenda nascita è oscuro e proprio per chiarirne le cause sono stati chiamati i profeti di Zeus Ideo. Il fr. 3 sicuramente conteneva almeno due colonne di versi: nella col. I s'individuano tracce di cola lirici, so13? Le giunture, che si possono ritenere sicure sono solo quelle dove i frammenti si collegano direttamente e dove le fibre coincidono; quanto più aumenta l'intervallo tra le sezioni da collegare tanto più decresce in modo direttamente proporzionale la probabilità che il collegamento sia corretto. Turner (Greek Papyri. An Introduction, Oxford 1968, p. 62 s.) valuta

in 5 cm. circa il limite massimo al di là del quale l'osservazione delle fibre non permette più di ricostruire la posizione tra i frammenti di un rotolo. Austin non menziona la distanza che se-

parerebbe i due frammenti, ma dalle sue parole (“non ... parvo intervallo interiecto") sembrerebbe ci si avvicini molto al limite di 5 cm. fissato da Turner.

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Euripide, Cretesi

prattutto in base allo stile oltre che alla struttura metrica difficilmente ricostruibile; nella col. II, dopo v. 7, si trova la paragraphos seguita immediatamente dalla sigla X° e dunque c’è un cambio di personaggio e la nuova persona non può che essere il corifeo. Nel fr. 4 l'ektbesis segnala una variazione di sistema metrico; secondo la prassi normalmente documentabile nei papiri si dovrebbe trattare (di un passaggio da versi lirici (più brevi) a versi recitativi (trimetri giambici)!*°. Questa prassi sembrerebbe essere rispettata anche nel nostro caso, nonostante l’ultimo dei tre cola lirici (v. 3) che precedono la paragraphos sia stranamente in linea con i trimetri (un’èxteow anticipata?); dunque nel fr. 4 si trovano cola lirici seguiti dalla paragraphos e poi da trimetri in ekthesis e s'intravede, accanto al primo trimetro della serie, una traccia del lemma relativo al nuovo personaggio. Queste sono le possibilità di ricostruzione del papiro e delle scene se si devono prendere in considerazione i dati tecnici. Se invece si accoglie la linea seguita finora dagli editori che optano prevalentemente per colloocare fr. 2 dopo fr. 3, col. II si è inevitabilmente costretti ad attribuire la sticomitia di fr. 2 al corifeo e a Minosse!*!, ma, in tal modo, rimane un'aporia che non è fa-

cile eludere. Già Page (1967, p. 32 s.) aveva infatti giustamente notato che Minosse non poteva essere uno dei personaggi di fr. 2 perché il re, riferendosi ai genitori del piccolo mostro (v. 22), non si sarebbe mai potuto esprimere in terza persona con l'espressione oi texòvtec. Se Minosse si fosse rivolto in terza persona ai genitori del piccolo mostro, evidentemente, avrebbe già dovuto sapere che il padre era il toro, che Pasifae era la madre e presenterebbe al corifeo un'idilliaca scena in cui un toro selvaggio e una donna si prenderebbero cura del loro mostricciattolo. Ma Minosse sicuramente non poteva conoscere ancora 1 fatti perché la tragedia finirebbe prima d’iniziare e la presenza dei profeti sarebbe stata inutile e soprattutto perché il fr. 7 assicura che, solo in una fase successiva del dramma, gli eventi e le persone implicate in essi (Pasifae, il toro, Dedalo e Icaro) verranno rivelati con chiarezza. L’analisi del contesto, oltre ai dati

tecnici, porta dunque decisamente ad escludere che B sia Minosse. 6. LA

TRADIZIONE

INDIRETTA

Nell’analisi della tradizione indiretta sono stati presi in considerazione solo i due testimoni di fr. 1, Porfirio ed Erotiano, perché, soprattutto per Porfirio, non esiste un'edizione di riferimento (cfr. infra) e, perché, il testo

di fr. 1, oltre a presentare particolari difficoltà esegetiche, risulta corrotto in diversi punt. "Ὁ Cfr. Turner 19717, p. 81. ^ Austin 1968, leggermente diversa la scelta di Collard-Cropp-Lee 1995, anche se Minosse rimane uno degli interlocutori di fr. 2 (cfr. anche Jouan-Van Looy 2000, p. 512). Vd. comm. ad fr. 2.

Introduzione

47

6.1. Porphyrius, De Abstinentia carnis Il D. A. è stato recentemente edito in tre volumi (1977-1979-1995) da un'équipe formata da J. Bouffartigue, M. Patillon, A. Ph. Segons e L. Bris-

che sostanzialmente ripropone l'ipotesi di Schwyzer senza rilevanti

son'^

modifiche!*’. Ma lo stemma codicum da loro proposto è stato messo in di-

scussione da Lamberz (1979, pp. 321-332)'^, il quale ha dimostrato che G*, ritenuto vetustissimus da Schwyzer e datato ancora da Bouffartigue e Patillon tra il XIV e il XV secolo, può essere, con maggiore precisione, collocato alla fine del XV secolo in base alle caratteristiche della filigrana. Dunque si delinea un arco di tempo cronologicamente possibile di almeno 100 anni circa tra V datato sullo scorcio del XIV secolo, e G*, della fine del XV, cosicché, in linea di massima, è possibile che G* sia derivato, direttamente o in-

direttamente, da V. Quindi V potrebbe essere il capostipite di tutta la tradizione e, in questo caso, dovrebbe essere utilizzato da solo per la costituzione del testo; ma ciò non è stato ancora dimostrato!*. Le obiezioni sono

state parzialmente accolte dagli editori nell’ultimo volume del D. A. (Patil-

lon-Segons 1995, pp. LVII-LIX) contenente il libro IV'*. In particolare, per

2 I] D. A. è stato trasmesso da 19 codici. Le edizioni di Nauck (1860 e 1886) si basano unicamente sulla collazione di due codici (G^ e G4). Un riesame di quasi tutti i codici si deve invece a Schwyzer in occasione della sua edizione di Cheremone (1932). Schwyzer, sebbene si basasse su dati parziali, era giunto a conclusioni di massima: il Vaticanus gr. 325 (V) del XIV secolo, considerato codex optimus, sarebbe il codice principale della tradizione, ma non il capostipite; antico è pure il Monacensis gr. 461 (G*), datato a cavallo tra il XIV e il XV secolo; tuttavia tra la confezione dei due codici non sembrava che fosse intercorso uno spazio di

tempo sufficiente affinché anche G* potesse essere derivato da V. In conclusione dall’indagine di Schwyzer risulta una tradizione bipartita, con due iparchetipi V e il supposto Ψ, dove

V sarebbe stato un codice molto deteriorato rispetto a V. I nuovi editori sono riusciti a stabilire solo che il codice in base a cui Vettori aveva emendato F (cfr. infra n. 144) deriva da V

(pp. LXXII-LXXIII). 1? La recensio del D. A. non è stata completata: non sono stati ricollazionati tutti i codici, bensi solo una parte (11 su 19) e non viene neanche chiarito dagli editori il criterio in base al quale sono stau selezionati 1 codici da esaminare (cfr. Lamberz 1979, p. 325). Né e

stata precisata la relazione tra la tradizione del D. A. e quella delle Sententiae, che ad un certo punto interferiscono l'una con l'altra, come dimostra la confezione particolare di B*.

^ Già Lamberz nella sua edizione delle Sententiae di Porfirio aveva stabilito (1975, p. XII s.): 1 - che l'editio princeps di Porfirio ad opera di Pietro Vettori (1548) è basata sul Laurentianus 80, 15 (F); 2 - che il Monacensis gr. 171 (G*) e stato trascritto per mano dello stesso Vettori dal Laurentianus; 3 — che in margine a G* Vettori ha aggiunto alcune emendazioni, tratte da un altro codice, che poi verranno recepite parzialmente nella sua edizione; 4 - che un successivo copista ha inserito sotto le annotazioni del Vettori in G° altre lezioni dopo aver

collazionato il Vaticanus Barberinianus 252 (V5); 5 - che in seguito il Monacensis fu acqui-

stato, insieme agli altri codici in possesso del Vettori, dal principe Carlo Teodoro di Palatinato e di Baviera, e che, alla morte di questi, il codice fini nella Biblioteca Reale di

Monaco. ^5 Rimarrebbe, per Lamberz, da verificare se G* derivi da V, cioè se V in tutto il testo

del D. A. presenti, rispetto a G* e agli altri manoscritti, Trennenfebler significativi.

^6 Sulla base del IV libro -- secondo gli editori - l'iparchetipo W presenterebbe una serie

48

Euripide, Cretesi

il frammento dei Cretesi nell’apparato di M. Patillon-A. Ph. Segons (1995, p. 32 s.) vanno indicate alcune spiacevoli inesattezze e precisamente: 1) al v. 4 manca la necessaria segnalazione che προλιπών nel testo di Porfirio è naturale correzione da προλείπων sulla base di Erotianus, Voc. bipp. Coll. I 4, 17, p. 11 Nachmanson'"; 2) al v. 5 οἷς non è congettura nuova degli editori, ma essa fu già a suo tempo proposta da Bentley (Epist. ad Mill. 1836, p. [63]), che del resto viene citato in apparato per altri interventi su questo testo euripideo; 3) al v. 3 5. la trasposizione di τμηϑεῖσα δοκούς dopo στεγανοὺς παρέ-

χει non risale a Wilamowitz ma è di Austin. Inoltre al v. 2 si legge in apparato “ἀνάσσων Erotianus: ἀνάσσω V": gli editori dunque giustificano la scelta di ἀνάσσων nel testo euripideo tramandato da Porfirio, attribuendo ad Erotiano la paternità di questa lezione. La soluzione testuale appare impeccabile; purtroppo Erotiano tramanda unicamente i vv. 4-8! Tutti 1 manoscritti del D. A., relativamente al passo euripideo, sono stati da me ricollazionati (alcuni in microfilms) e sono qui indicati con le medesime sigle dell’edizione di Bouffartigue e Patillon. V Vaticanus gr. 325 (XIV sec.) fol. 323v. Codici dipendenti da V: M Marcianus gr. 392 (XV sec.), foll. 287r-287v; L Lipsiensis gr. 25 (XVI sec.), foll. 218-219; K Leidensis B.P.G. 33D, olim Meermannianus (1540 ca.), fol. 39v; P* Parisinus gr. 2083 (XVI sec.), foll. 109-108v; G* Monacensis gr. 91 (XVI sec.), foll. 298v-299r; E* Scorialensis R-I-5 (XVI sec.), fol. 65v. Codici derivati da W (deperditus):

G* Monacensis gr. 461 (XV sec.), fol. 184; GP Monacensis gr. 39 (XVI sec.), foll. 197-198; F Laurentianus 80,15 gr. 171 (XVI sec.), foll.103-104-109; fol. 91v; P^ Parisinus gr. 2084 (XVI (XVI sec.), fol. 60v; V® Vaticanus

(XV sec.), foll. 81v-82; G* Monacensis B* Bodleianus Auct. F. 4, 6 (XV sec.), sec.), foll. 73r-73v; T Taurinensis B-I-12 Barberinianus gr. 252 (XVI sec.), foll.

109v-110r; E ® Scorialensis y-I-10 (XVI sec.) fol. 159v. Codici derivato dall'editio princeps:

B Bodleianus Auct. F. 3.17 (XVI sec.), fol. 55v; H Harleia-

nus 6296 (XVII sec.) appartenuto a J. G. Graevius (cf. A. C. Clark, "The Library of J. G. Graevius', Class. Rev. oct. 1891, p. 271), forse di mano del Meursius come l'Harleianus 6309!4; A Bruxellensis 2937, olim 4146 (XVII di Trennenfebler scarsamente significativi (omissioni o grafie errate) e solo in tre casi, poco

rilevanti, sembrerebbe offrire la lezione buona contro V. Dunque Ψ potrebbe essere derivato indirettamente da V, attraverso uno o piü esemplari che erano un cattiva copia di V, e il ramo

di V un testo prodotto al livello industriale in modo poco accurato. Essi precisano inoltre che

ogni qual volta nell'apparato è proposta una lezione di un testimone diverso da V, questa lezione ha solo valore di congettura. Non sembra peró che la loro collazione per il IV libro sia stata molto accurata cfr. infra. 147 Si tratta di una correzione facilmente intuibile ed è già presente nell'edizione porfiriana del Valentinus. Non risale quindi ad Hartung come si legge in Austin fr. 79, 4 ad

ἰ 48 La traduzione latina del Felicianus è annuciata nel frontespizio di H, ma manca cosi come il manoscritto è privo della parte finale del quarto libro del D. A. (ca. quattro folii), ivi compreso il cap. 19 (cfr. in proposito Catalogue of the Harleian Manuscripts in the British Museum,

1808, III p. 355 s.)

Introduzione

49

sec.) appartenuto ai Gesuiti d'Anversa, cf. fol. 2, (fol.1 “Hic Ms.... nititur ex Florentina ed. nihil enim variat’’), foll. 121v-122r, in cui va menzionato a v. 7 ταυροδέτῳ κρηϑεῖς e a v. 11 βροτάς.

L'analisi parziale dei manoscritti, relativamente a Porph. D. A. 4, 19 (fr. 1), evidenzia questi risultati: 1 — esistono errori e grafie comuni a tutta la tradizione del D. A. (V ed V). r. 21? oüc; v. 3 ἑκατὸν πτολιέϑρου; v. 4 προλείπων; v. 11 μὴ; v. 16 πάνλευκα;

2 - la tradizione della famiglia V è pressocché unitaria eccetto il caso particolare di L che mostra alcune rilevanti differenze rispetto a V e agli altri codici della stessa famiglia (τ. 2 οὗς, corretto da una seconda mano in ὃς; v. 1 γῆς, Εὐρώπης; v.

2 Ζηνός; v. 11 βροτάς; v. 13 ὀροοδαδας)

3 -- in margine a G* sono state annotate le seguenti varianti dal Vettori: r. 2 ὃς; v. 1 mat; v. 2 ἀνάσσων; v. 11 βροτάς; v. 12 δαίτας; v. 13 τ᾽ ὀριοδᾶδας.

Da notare che βροτάς é in L, che per altro si distacca dagli altri codici della

stessa famiglia di V per una serie di varianti, di cui alcune si ritrovano nell'editio princeps e nei manoscritti da essa derivati (cfr. supra B) 4 - la famiglia W presenta unitariamente al v. 1 παῖς τῆς τυρίας, mentre la lezione della famiglia V è παῖ τῆς τυρίας che, inteso come glossa, viene gene-

ralmente espunto per ragioni metriche e di significato. In questo caso Ψ sembra rispecchiare un testo precedente alla famiglia V, dove la glossa è stata forse uniformata alla struttura sintattica del verso. Potrebbe trattarsi dunque di un Trennenfehler di G* (e di tutta la tradizione di W) rispetto a V, certo, significativo, ma l’errore non è segnalato né in apparato né tanto meno viene menzionato nell’introduzione dagli ultimi editori di Porfirio. 6.2. Erotianus, Voc. hipp. Coll. s. v. ἀτρεκέως

I manoscritti di Erotiano sono stati da me esaminati solo parzialmente? e limitatamente ai versi euripidei (vv. 4-8) e, per questi (come per quelli di Porfirio), nel caso in cui vengano citati, ho conservato le sigle dell’antica ma tutt'ora insostituita edizione di Nachmanson

(1918). I codici di Erotiano,

secondo Nachmanson, si suddividerebbero in due famiglie e deriverebbero da un unico archetipo. Fondamendale per la costituzione del testo sarebbe il capostipite della prima famiglia A (Vaticanus gr. 277) che sembra derivare in linea diretta dall’archetipo. I versi euripidei sono stati tramessi da A con numerose corruttele rispetto alle condizioni di conservazione nel primo testimone (Porfirio). In A infatti si legge: 14 R. 2 = Porph. D. A. 4, 19, r. 2, cfr. fr. 1. 1% Non ho potuto esaminare il Vallicellanus gr. 78 (Vall), il Cantabrigensis gr. 2049 (K), l'Oxoniensis d'Orville (O), ma non credo che questi possano modificare in modo

vante il quadro generale della trasmissione del testo di fr. 1.

rile-

50

Euripide, Cretesi

καὶ Εὐριπίδης ἐν κλεισί φησιν’ ἥκω ζαϑέους ναοὺς προλιπών

οὗς αὖϑις εὖνις τμηϑεῖσα δοκοῦς τετανοὺς παρέχει χαλ(ύβεις) πελέκεις καὶ ταυρολέτω κολληϑεὶς ἀτρεκεῖς ἁρμούς.

Trascurabili le varianti degli altri codici della prima famiglia, che sono tutti codices descripti poiché derivati da A. C Vindobonensis medicus gr. 43 ταυρολέγω; V Vaticanus gr. 1878 ταυρολέτῳ - ὁρμάς;

W Vaticanus

gr. 1133 ἁρμάς; B Parisinus gr. 2651 ταυρολέτω -- ἁρμάς.

Nella seconda famiglia di cui non possediamo il capostipite aumentano notevolmente le corruzioni. H Parisinus gr. 2151 xoà (sequitur lacuna 3 litt.) — τορολέτω — ἁρμάς; G Parisinus gr. 2615 χαλ — τορολέτω-- ἁρμάς; F Parisinus gr. 2614 yaà (F' in margine χαλεπούς) — ταυρολέβω F! (in margine ταυρολέτω) — ἁρμάς (F' in margine -μούς); L Bruxellensis gr. 11345-11348 xoX*7* (L! in margine) ἢ χαλαυτούς — τορολέβω (post corretionem togoλέτω); E Scorialensis gr. y.- I.- 9 προλιπόν — χαλ — τορολέβω— ἁρμάς; M Marcianus gr. App. cl. V 15 xaX — τορολέτω — ἁρμάς; D Parisinus gr. 2177 χαλ(ύβεις) — τορολέτω -ἁρμάς (D! in margine ταυρολέτῳ— ἁρμούς)

Se il testo euripideo risulta fortemente corrotto in Erotiano, probabilmente anche a causa delle successive riduzioni subite dal Lessico, tuttavia, in

due punti, questo secondo testimone fornisce lezioni attendibili e superiori a quelle di Porfirio: v. 4 προλιπών e, forse, v. 7, dove sotto xoAAndeig si potrebbe celare il dativo κόλλῃ congetturato da Hermann. PREMESSA

AL TESTO

Da questa edizione sono stati esclusi alcuni frammenti in passato attribuiti ai Cretesi. E si tratta esattamente di Eur. frr. 912, 943, 1009, 1023, 922 TGF., di adesp., 60, 231 TrGF, adesp. 34 TGF', Soph. fr. 14 TrGF. Alcuni di questi sono ormai univocamente ritenuti non più appartenenti ai Cretesi

(cioè Eur. frr. 943, 1009, 1023 TGF', adesp. 34 TGF! e 234 TrGF, Soph. fr. 14 TrGF). Adesp. 60 TrGF (Ξ Aristoph. Pax 140) τί δ᾽ fjv ἐς ὑγρὸν πόντιον πέσῃ

βάϑος; è chiaramente di natura paratragica, come evidenziano soprattutto le peculiarità stilistiche e prosodiche (cfr. Kannicht-Snell, TrGF ad L). Dagli Scholl. Aristoph. Pax 141! è segnalato un possibile riferimento o al mito di Icaro o a quello di Bellerofonte. Diversamente da quanto proponeva Canta151 141. b a-B., p. 31 Holwerda τοὺς teayixodg παίζει διὰ τὰ περὶ Ἰκάρου λεγόμενα. διαβάλλει τὰ περὶ ᾿Ικάρου παρὰ τῶν τραγικῶν λεγόμενα. ἢ ἐπεὶ δοκεῖ ὁ Βελλεροφόντης τὴν τοῦ Προίτου

Introduzione

51

rella è più probabile, che le allusioni contenute in Pace v. 140 s. riguardino una o addirittura entrambe le tragedie di Euripide sul mito di Bellerofonte (il Bellerofonte e la Stenebea), perché proprio alla Stenebea si allude poco prima al v. 125 (= 669 TGF^). Ancora più aleatoria, allo stato attuale, è la possibilità, sostenuta in passato solo da Cantarella, di attribuire ai Cretesi il fr. 922 TGF?. Turner aveva ritenuto di poter individuare il fr. 922 TGF? (assegnato ora al prologo di un’ipotetica Lamia, ora a quello del Busiride) nel fr. 19 di P. Oxy. 2455 (1962, pp. 47-48), che contiene una nota raccolta di bypotbeseis euripidee. Il titolo del dramma menzionato dovrebbe essere però plurale, come indica la formula ]ov ἀρ[χή. Turner elencava quattro possibili titoli, 1 Temenidi, i Theristai, o piuttosto 1 Cretesi e le Cretesi. Austin invece (1968, p. 90) sulla scia di Snell, integra [Βούσιρις σάτυροι] ὧν ἀρχή (cfr. anche p. 94, Σκείρων [σάτυροι ὧν] ἀρχή). Ma la formula standard della

tradizione grammaticale nelle bypotheseis dei drammi satireschi sembra che non possa essere stabilita con sicurezza. Haslam (‘The Authenticity of Euripides Phoenissae 1-2 and Sophocles Electra 1’, Gr. Rom. Byz. Stud. 16, 1975, p. 151 e n. 9) collegando questo frammento di hypothesis (fr. 19) con il fr. 17 dello stesso papiro, appartenente alla bypotbesis delle Phoenissae, legge diversamente, su suggerimento di W. E. M. Cockle, e vi identifica l'incipit delle Phoenissae. I motivi che mi hanno indotta ad escludere dai Cretes: il fr. 912 TGF' sono stati già esposti in precedenza (cfr. 2, $ 2). Qui inoltre mi limito a ricordare che nelle testimonianze viene riportato l’apparato solo quando 1] testo accolto diverge da quello dell’edizione di riferimento oppure quando le varianti risultano di qualche utilità per l’interpretazione dei Cretest.

γυναῖκα μετὰ τὴν τῆς Χιμαίρας ἀναίρεσιν ἐπανελθὼν εἰς Κόρινθον ἀπατῆσαι ὡς ἕξων γυναῖκα, καὶ ἐπιβιβάσας τοῦ Πηγάσου εἰς μέσην ῥῖψαι τὴν ϑάλασσαν.

SIGLORUM

CONSPECTUS

littera incerta numerus litterarum quae in papyro perierunt littera in papyro deperdita littera deperdita in papyro, sed alio fonte tradita littera a scriba deleta littera delenda littera a viris doctis addita textus corrupte traditus P. Oxy 2461 (II saec. p. Chr. n.) Perg. Berolin. 13217 (I-II? saec. p. Chr. n.) fragmenta dubia Cantar(ella), Nauck! = TGF, Nauck? = TGF?, PCG = Poetae Comici Graeci (edd. R. Kassel, C. Austin) TrGF = Tragicorum Graecorum Fragmenta (edd. R. Kannicht, S. Radt, B. Snell), Wil(amowitz)

TESTIMONIA

De argumento

1 Apoll. Bibliotheca 3, 1, 3-4, pp. 190-192 Ciani-Scarpi "Aotegiov δὲ ἄπαιδος Anodavöovros Μίνως βασιλεύειν ϑέλων Κρήτης ἐκωλύετο. φήσας δὲ παρὰ ϑεῶν τὴν βασιλείαν εἰληφέναι, τοῦ πιστευϑῆναι χάριν ἔφη, ὅ τι ἄν εὔξηται, γενέσϑαι. καὶ Ποσειδῶνι ϑύων ηὔξατο ταῦρον ἀναφανῆναι ἐκ τῶν βυϑῶν, καταϑύσειν ὑποσχόμενος τὸν φανέντα. τοῦ δὲ Ποσειδῶνος ταῦρον ἀνέντος αὐτῷ διαπρεπῆ τὴν βασιλείαν παρέλαβε, τὸν δὲ ταῦρον εἰς τὰ βουκόλια πέμψας ἔϑυσεν ἕτερον. ϑαλασσοχρατήσας δὲ πρῶτος πασῶν τῶν νήσων σχεδὸν ἐπῆρξεν. ὀργισϑεὶς δὲ αὐτῷ Ποσειδῶν ὅτι μὴ κατέϑυσε τὸν ταῦρον, τοῦτον μὲν ἐξηγρίωσε, Πασιφάην δὲ ἐλϑεῖν εἰς ἐπιϑυμίαν αὐτοῦ παρασκεύασεν. ἡ δὲ ἐρασϑεῖσα τοῦ ταύρου συνεργὸν λαμβάνει Δαίδαλον, ὃς ἦν ἀρχιτέκτων, πεφευγὼς ἐξ ᾿Αϑηνῶν ἐπὶ φόνῳ. οὗτος ξυλίνην βοῦν κατασκευάσας καὶ ταύτην ἐπὶ τροχῶν βαλὼν κοιλάνας Evdotev, ἐκδείρας τε βοῦν τὴν δορὰν περιέρραψε, καὶ

ϑεὶς ἐν ᾧπερ εἴϑιστο ὁ ταῦρος λειμῶνι βόσκχεσϑαι, τὴν Πασιφάην ἐνεβίβασεν. ἐλϑὼν

δὲ ὁ ταῦρος

xAndevra

ὡς ἀληϑινῇ

Μινώταυρον

οὗτος

Boi συνῆλϑεν.

εἶχε ταύρου

ἡ δὲ ᾿Αστέριον

πρόσωπον,

ἐγέννησε τὸν

τὰ δὲ λοιπὰ

ἀνδρός:

Μίνως δὲ ἐν τῷ λαβυρίνϑῳ κατά τινας χρησμοὺς κατακλείσας αὐτὸν ἐφύλαττεν. 6-7 ϑαλασσοκρατήσας -- ἐπῆρξεν secl. fortasse recte Hercher, probb. Frazer, CarrièreMassonie qui sententiam ex Herodt. 3, 122 vel ex Thuc. 1, 4 petitam censuerunt, sed de tauro Cretensi et Neptuni ira cf. etiam Paus. 1, 27, 9 Κρησὶ τήν τε ἄλλην γῆν xai τὴν ἐπὶ ποταμῷ Τεϑοίνι ταῦρος ἐλυμαίνετο ... xai τοῦτον οἱ Κρῆτες τὸν ταῦρον ἐς τὴν γῆν πέμψαι σφίσι Ποσειδῶνά φασιν, ὅτι θαλάσσης ἄρχων Μίνως τῆς Ἑλληνικῆς οὐδενὸς Ποσειδῶνα ἦγεν ἄλλου ϑεοῦ μᾶλλον ἐν τιμῇ || 10-11

ἐπὶ τροχῶν ante βαλών transp. Papathomopoulos coll. E 722 Ἥβη δ᾽ ἀμφ᾽ ὀχέεσσι ϑοῶς βάλε καμπύλα κύκλα: οὗτος ξυλίνην βοῦν ἐπὶ τροχῶν κατασκευάσας καὶ ταύτην βαλὼν codd. E 5.

Argumentum fabulae in Apollodori Bibliotheca latere viri docti putant. Apollodori narrationem respiciunt Pediasimus De duodecim Herc. lab. 7, 94, Anonymus Upsaliensis vv. 8093 (pp. 412-413 Knós), Zen. 4, 6 (CPG I, p. 85), Tzetzes Chiliades 1, 478-506 (de eis qui ex

Apollodoro vel ex eius fontibus eam deprompserunt vide praesertim A. Diller, ‘The Text History of the Bibliotheca of Pseudo-Apollodorus', Trans. Proc. Am.

Phil. Ass. 56, 1935, pp.

296-313, J. Carrière-B.Massonie, La Bibliothèque d'Apollodore, traduit, annotée et commentée, Paris 1991, pp. 17-19).

54

Euripide, Cretesi

2 Io. Malal. Chronographia 4, 16, 45-58, p. 61 s. Thurn ὁ

Ἔν δὲ τοῖς προειρημένοις ἀνωτέρω χρόνοις τῆς Κρήτης ἐβασίλευσε πρῶτος Μίνωος, ὁ υἱὸς τῆς Εὐρώπης: ὅστις xai ἐθϑαλασσοκράτει πολεμήσας

᾿Αϑηναίοις καὶ νόμους ἐτίϑη: περὶ οὗ, φησί (scil. Θεόφιλος), Πλάτων ὁ σοφώτατος ἐν τοῖς περὶ νόμων ὑπομνήμασιν ἐμνημόνευσεν. ἐν οἷς χρόνοις ἦσαν ὁ Δαίδαλος καὶ ὁ Ἴκαρος, ϑρυλούμενοι ἕνεκεν τῆς Πασιφάης, γυναικὸς τοῦ Μίνωος βασιλέως καὶ τοῦ Ταύρου τοῦ νοταρίου αὐτῆς" ἐξ οὗ ἔτεκε μοιχευϑεῖσα υἱὸν τὸν κληϑέντα Mivotavoov, μεσάσαντος τῇ μοιχείᾳ τῆς πορνείας τοῦ Δαιδάλου καὶ τοῦ Ἰκάρου. ὁ δὲ Μίνωος βασιλεὺς τὴν Πασιφάην ἀποκλείσας ἐν «τῷ» κουβουκλείῳ μετὰ δύο δουλίδων παρεῖχεν αὐτῇ τροφήν, καὶ εἴασεν αὐτὴν ἐκεῖ, μηκέτι ἑωρακὼς αὐτήν. καὶ ἐκείνη ϑλιβομένη, ὡς λυϑεῖσα τῆς βασιλικῆς ἀξίας, νόσῳ βληϑεῖσα ἐτελεύτα: ὁ δὲ Δαίδαλος καὶ ὁ Ἴκαρος ἐφονεύϑησαν: ὁ μὲν Ἵκαρος φεύγων τῆς φρουρᾶς, ὡς πλέει, ἐποντίσϑη. ὁ δὲ Δαίδαλος ἐσφάγη. περὶ δὲ τῆς Πασιφάης ἐξέϑετο δρᾶμα ὁ Εὐριπίδης ὁ ποιητής. * EV 159, 9-13 hunc textum summatim exponunt:"Ou Μίνως ἐβασίλευε τῆς Κρήτης. ὃς εἶχε γυναῖκα Πασιφάην, ἥτινι Ταῦρος 6 αὐτῆς νοτάριος ἐμίγη. Kai ἐγέννησε τὸν Μινώτανρον, μεσίτης δὲ τοῦ γάμου Aaidaiov ἐγένετο. ὁ δὲ Μίνως τὴν Πασιφάην ἀποκλείσας ταύτην ἀνεῖλεν, καὶ ὁ ᾿κάρος κατὰ τὴν φυγὴν ἐπνίγη, καὶ τὸν Δαίδαλον ἐφόνευσεν. 6 αὐτοῦ coni. Cantar., cf. Philocor. FGrHist 328 F 17, Demon FGrHist 327 F 5 et Palaeph. De incred. II, qui Taurum, militiarum Cretensium ducem, ardentem in Pasiphaen

fuisse docent || 8 τῷ add. Chilmeadus || 11 ἐφρουρήϑησαν coni. Cantar. Ad Cretes Bentley hunc locum Malalae iure rettulit, quia Euripidem de Pasiphae alteram tra-

goediam docuisse minime constat (cf. testt. 3, 8 et Porphyr. D. A. 4, 19 ad fr. 1)

De Icari monodia 3 Schol. Aristoph. Ran. 849a af, pp. 112-113 Holwerda 849a.

ὦ Κρητικὰς μὲν συλλέγων povo@diac:

a. οἱ μὲν εἰς τὴν τοῦ Ἰκάρου “Konol”. ϑρασύτερον γὰρ δοκεῖ εἶναι τὸ πρόσωπον.

β. Ἔν γὰρ τοῖς Κρησὶν μονῳδίαν ἐν τοῖς Ἴκαρον μονῳδοῦντα ἐποίησε. ϑρασύτερον γὰρ δοκεῖ εἶναι τὸ πρόσωπον

Cf. etiam Io. Tzetz. Comm. in. Aristoph. Ran. 849 s. ab, p. 940 s. Koster. De monodia vide fr. 8.

De Europae raptu

4 Io. Malal. Chronographia 2, 7, 51-53, p. 23 Thurn ἐξ ἧς (scil. Εὐρώπης) ἔσχεν ὑιὸν τὸν Μίνω, καϑὼς καὶ Εὐριπίδης ὁ σοφώ-

Testimonia

55

τατος ποιητικῶς συνεγράψατο, ὅς φησι, Ζεὺς μεταβληϑεὶς εἰς ταῦρον τὴν Εὐρώmv ἥρπασεν. 2 φησειν ὅτι» add. Blaydes, Cantar., Austin.

Utrum ad Cretes locus spectet an ad Frixum I an ad Frixum II incertum (cf. fr. 820

TGF*; de quo disputaverunt Webster 1967, pp. 131-136, Mette 1981-82, nr. 1157, P. Oxy. 3652, p. 22 s.). Parum veri simile est post ὅς φησι primum versum fabulae, mutato ordine ver-

borum, esse agnoscendum, ut proposuit Corbato.

De Minoe in scaenis atticis vituperato

5 Plat. Minos 318d 6-319b 6 ΣΩ.

Oloda

οὖν τίνες τούτων

ἀγαϑοὶ βασιλῆς ἦσαν; Μίνως

καὶ ‘Paòà-

μανϑυς, οἱ Διὸς καὶ Εὐρώπης παῖδες, ὧν οἵδε εἰσὶν οἱ νόμοι.

ET. Ῥαδάμανϑύν

γέ φασιν, ὦ Σώκρατες, δίκαιον ἄνδρα, τὸν δὲ Μίνων

ἄγριόν τινα καὶ χαλεπὸν καὶ ἄδικον. ΣΩ. ᾿Αττικόν, ὦ βέλτιστε, λέγεις μῦϑον καὶ τραγικόν. ΕΤ. Τί δέ; οὐ ταῦτα λέγεται περὶ Μίνω;

ΣΩ. Οὔκουν ὑπό γε 'Ounoov καὶ Ἡσιόδου: καίτοι γε πιϑανώτεροί εἰσιν ἢ σύμπαντες οἱ τραγῳδοποιοί, ὧν σὺ ἀκούων ταῦτα λέγεις. ΕΤ. ᾿Αλλὰ τί μὴν οὗτοι Μίνω λέγουσιν; ΣΩ. 'Eyo δή σοι ἐρῶ, ἵνα μὴ καὶ σὺ ὥσπερ οἱ πολλοὶ ἀσεβῇς. οὐ γὰρ tod” ὅτι τούτου ἀσεβέστερόν ἐστιν οὐδ᾽ ὅτι χρὴ μᾶλλον εὐλαβεῖσθαι, πλὴν εἰς ϑεοὺς καὶ λόγῳ καὶ ἔργῳ ἐξαμαρτάνειν, δεύτερον δὲ εἰς τοὺς ϑείους ἀνθρώπους" ἀλλὰ πάνυ πολλὴν χρὴ προμήϑειαν ποιεῖσϑαι ἀεί, ὅταν μέλλῃς ἄνδρα ψέξειν ἢ ἐπαινέσεσϑαι, μὴ οὐκ ὀρϑῶς εἴπῃς. τούτου καὶ ἕνεκα χρὴ μανϑάνειν διαγιγνώσκειν χρηστοὺς καὶ πονηροὺς ἄνδρας. νεμεσᾷ γὰρ ὁ ϑεός, ὅταν τις ψέγῃ τὸν ἑαυτῷ ὅμοιον ἢ ἐπαινῇ τὸν ἑαυτῷ ἐναντίως ἔχοντα. ἔστι δ᾽ οὗτος ὁ ἀγαϑός. μὴ γάρ τι οἴου λίϑους μὲν εἶναι ἱεροὺς καὶ ξύλα καὶ ὄρνεα καὶ ὄφεις, ἀνθρώπους δὲ un ἀλλὰ πάντων τούτων ἱερώτατόν ἐστιν ἄνθρωπος ὁ ἀγαϑός, καὶ μιαρώτατον ὁ πονηρός. Ἤδη οὖν καὶ περὶ Μίνω, ὡς αὐτὸν “Ὅμηρός τε καὶ Ἡσίοδος ἐγκωμιάζουσι, τούτου ἕνεκα φράσω, ἵνα μὴ ἄνθρωπος ὧν ἀνϑρώπου εἰς ἥρω Διὸς ὑὸν λόγῳ ἐξαμαρτάνῃς. Ὅμηρος γὰρ περὶ Κρήτης λέγων ὅτι πολλοὶ ἄνθρωποι ἐν αὐτῇ εἰσιν καὶ ἐνενήκοντα πόληες, τῇσι δέ, -- φησίν -- ἔνι Κνωσὸς μεγάλη πόλις, ἔνϑα τε Μίνως / ἐννέωρος βασίλευε Διὸς μεγάλου ὀαριστής (1178-179). Vide 3-4.

etiam:

Plat.

Minos

320e

2- 321

b4, Ephor.

FGrHist

70 F

147, Plut. Thes.

16,

56

Euripide, Cretesi De nefando Pasiphae amore

6 Liban. Apologia Socratis 177 (5, 116, 16-19 Förster) οὐχ ὁρᾶτε τὸν Μίνω δεινὰ πάσχοντα ἐπὶ τῆς σκηνῆς καὶ τὴν οἰκίαν αὐτοῦ διὰ τοῦ τῆς Πασιφάης ἔρωτος ἐν αἰσχύνῃ γεγενημένην;

7 Liban. Oratio 64 pro Saltatoribus, 73 (4, 467, 4-7 Förster) Λέγε δεῖν xai νῦν κεκλεῖσθϑαι μὲν ποιηταῖς διδασκαλεῖα, κεκλεῖσϑαι δὲ τοῖς ὑποκριταῖς τὸ ϑέατρον, ἵνα μὴ τραγῳδὸς εἰσελϑὼν Πασιφάην μιμήσηται τὴν ἐξοκείλασαν εἰς ἀλλόκοτον ἔρωτα μηδ᾽ αὖ κωμῳδὸς τὰς παρὰ τῷ Μενάνδρῳ τικτούσας καὶ πολλὰ ἕτερα. De fabulis salticis primo saeculo post Chr. n. ad Pasiphaen pertinentibus cf. Svet. Nero 12, 5 et Martial. De spect. 5

Index Euripidis fabularum 8 IG 1152, 27 = Inscr. Graec. Urb. Rom. 4, Moretti 1508, 27

Κρῆτες Moretti dubitanter saeculo secundo post Chr. n. titulum adscribit.

FRAGMENTA

Κρῆτες 1 Φοινικογενοῦς {παῖ τῆς Τυρίας} τέκνον Εὐρώπης καὶ τοῦ μεγάλου Ζηνός, ἀνάσσων Κρήτης ἑκατομπτολιέϑρου, ἥκω ζξαϑέους ναοὺς προλιπών,

οἷς αὐϑιγενὴς τμηϑεῖσα δοκὸς

5

Χαλύβῳ πελέκει στεγανοὺς παρέχει καὶ ταυροδέτῳ κόλλῃ κραϑεῖσ᾽ ἀτρεκεῖς ἁρμοὺς κυπαρίσσου. (1)1-20 Porphyr. D. A. 4, 19 μιχροῦ με παρῆλϑε καὶ τὸ Εὐριπίδειον παραϑέσϑαι, ὃς τοὺς ἐν Κρήτῃ τοῦ Διὸς προφήτας ἀπέχεσϑαί φησι διὰ τούτων. λέγουσι δ᾽ οἱ κατὰ τὸν χορὸν πρὸς Μίνω᾽ [1-

20] || (II) 4-8 Erotianus Voc. hipp. Coll. I 4 s.v. ἀτρεκέως: καὶ Εὐριπίδης ἐν Κρησί (κλεισί: coni. Bentley) φησι [4-8 ] | (III)12 Hesych. ω 218 Schm. ὠμοφάγους δαῖτας || (IV)13-15 P. Oxy. 2461, 4 πί ἹἸμητρί ἸκαιχουῦἨς ]axxos || (V)19-20 Hieronymus adv. Iovin. 14 Euripides in Creta

Iovis prophetas non solum carnibus sed coctis cibis abstinuisse refert 1 Eur. Hyps. 1 iii«I +67, 21 ss. Cockle Τυρία παῖς / Εὐρώπα || 1-2 Eur. Alc. 1136 ἾΩ τοῦ μεγίστου Ζηνὸς εὐγενὲς τέκνον || 2 Aristoph. Av. 570 ὁ μέγας Ζάν || 3 B 649 Κρήτην ἑκατόμπολιν |

Hor. Ep. 9, 29 centum nobilem Cretam urbibus | Ov. Ars am. 1, 297 centum quae sustinet ur-

bes /... Creta | cf. fr. ^10

4 Eur. Troad. 1 ἤκω λιπὼν Αἴγαιον ἀλμυρὸν βάϑος | Eur. Andr. 1232

ἥκω Θέτις λιποῦσα Νηρέως δόμους | Eur. Hec. 1 ss. ἤκω... / λιπὼν cf. 98 s. Εκάβη, σπουδῇ πρός σ᾽ ἐλιάσϑην / τὰς δεσποσύνους σκηνὰς προλιποῦσ '(a) | Eur. Bacch. 1-13 ἥκω... / λυτὼν cf. etiam Call.

191, 1 s. Pf. | Eur. Bacch. 120 ss. ὦ ϑαλάμευμα Kovetytwv ζάϑεοί τε Κρήτας) Διογενέτορες ἕναυλοι Il 5 Eur. Alc. 980 τὸν ἐν Χαλύβοις ... σίδαρον 1 xai - Τυρίας (I) del. Bothe, τέκνον Εὐρώπης maluit secludere Merkelbach, παιδὸς Tugiag

Grenfell-Hunt P. Oxy. 852, p. 87 Εὐρώπης (1) L Edd.: ,Εὐρώπας (I) codd. || 2 Ζηνός (I) L Edd.: Zavés (I) codd. | ἀνάσσων (I) G* G^ G* B* P^ T V* E^ Edd.: ἀνάσσω (I) ceteri || 3 ἑκατομπτολιέϑρου (I) Valentinus, Edd.: ἑκατὸν πτολιέϑρου (I) codd. || 4 xoorov(II) Edd.: προλείπων (I) ||

5 otc (I) (II) codd.: οἷς Bentley | av

εὖνις (II)

δοκός Vulcanius et Scaliger, Nauck, Cantar.:

δορὸς (II), δοκούς (I), ἀν᾽ ὄρος Arnim || 6 στεγανοὺς παρέχει post Χαλύβῳ πελέκει ego transposul: στεγανοὺς παρέχει Χαλύβῳ πελέκει (I) (II), τμηϑεῖσα δοκοὺς (v. 5) post Χαλύβῳ πελέκει (v. 6) transp. Wil., post στεγανοὺς παρέχει (v. 6) Austin, τμηϑεῖσα ἀν᾽ ὄρος post στεγανοὺς παρέχει (v. 6) Arnim | χαλ(ύβεις) (II) A D, χαλ H G F E M, aliter alii | πελέκεις (II) τετανοὺς (II), στεγανὰς Bentley || 7 ταυροδέτῳ κόλλῃ κραϑεῖσ᾽ coni. Hermann: ταυροδέτῳ χρηϑεῖσ᾽ (I), ταυρολέτῳ A vel τορολέτῳ HLMO κολληϑεὶς (II), ταυροδέτῳ κόλλῃ ζευχϑεῖσ᾽ Wil., xoXAnfteio” Bentley, aliter alii Il 8 κυπαρίσσου (I): κυπάρισσος Bentley, nonnulli Edd.

58

Euripide, Cretesi ἁγνὸν δὲ βίον teivouev ἐξ οὗ Διὸς ᾿Ιδαίου μύστης γενόμην, καὶ {μὴ} νυκτιτόλου Ζαγρέως βροντὰς τάς t ὠμοφάγους δαῖτας τελέσας Lumte i τ᾽ ὀρείᾳ δᾷδας ἀνασχὼν

10

ι καὶ Kov entwv p, άκχος, ἐκλήϑην ὁσιωϑείς. πάλλευκα δ᾽ ἔχων εἵματα φεύγω γένεσίν τε βροτῶν xai νεκροϑήῆκας « » οὗ χριμπτόμενος,

15

τήν τ᾽ ἐμψύχων βοῶσιν ἐδεστῶν πεφύλαγμαι.

20

9 Aesch. Prom. 536 s. ἀδύ τι θαρσαλέαις / τὸν μακρὸν τείνειν βίον ἐλπίσι | Aesch. Ag. 1362 ἦ καὶ βίον τείνοντες | Eur. Med. 670 ἄπαις γὰρ δεῦρ᾽ ἀεὶ τείνεις βίον; || 11 Eur. Ion 717 νυκτιπόλους

ἅμα σὺν βάκχαις | cf. etiam Plut. De E delph. 389a Διόνυσον δὲ καὶ Ζαγρέα καὶ Νυκτέλιον xai 'Iooδαίτην αὐτὸν ὀνομάζουσι || 12 ὠμόφαγα de piscibus servatis non coctis cf. Xenocr. (PhMG I) p.

133 | Theocr. Id. 7, 31-33 ἦ γὰρ ἐταῖροι / ἀνέρες εὐπέπλῳ Δαμάτερι δαῖτα τελεῦντι / ὄλβω ἀπαρχόμενοι || 13 Eur. Hel. 1301 s. ὀρεία ... /... μάτηρ ϑεῶν, Hipp. 144 || 16-17 Eur. IT 381 ss. ἥτις βροτῶν

μὲν ἤν τις ἅψηται φόνον, / ἢ καὶ λοχείας ἢ νεκροῦ ϑίγῃ χεροῖν," βωμῶν ἀπέργει, μυσαρὸν ὡς ἡγουμένη || 19-20 Call. 191, 61 s. Pf. de Pythagoreis κἠδίδαξε νεστεύειν / τῶν ἐμπνεόντων

9 τείνων Nauck | 11 μὴ del. Rhoer | βροτὰς (I) 1, G* B ed. pr., βούτας (vel βούτης) coni. Diels probante Wil,

nonnulli Edd.

recc., aliter alii || 12 τοὺς ὠμοφάγους

Nauck?

preeunte

Bergk coll. Hesych. o 218 Schm. ὠμοφάγους δαῖτας (sic!) τοὺς τὰ ὠμὰ κρέα μερίζοντας xoi ἐσθίοντας (cf. etiam ὃ 110 Latte δαίτας" μεριστάς) | δαῖτας Hartung, Nauck!: δαίτας (I) codd.,

δαίτας (acc. plur.) Nauck?, δαῖτας (nom. sing.) Cantar. || 13 untei τ᾽ ὀρείᾳ δᾷδας Scaliger: μητρί τ᾽ ὀριοδᾷδας (I) codd., μητρί τ᾽ ὀρείῳ δᾷδας Nauck || 14 μετὰ Κουρήτων Wil. | post Kove. aliquid excidisse suspicatus est Wil., «ἐνόπλοισι χοροῖς» e. g. coni. West || 16 πάλλευκα Edd.: πάνλευκα

(I) codd. || 17 post βροτῶν lac. statuit Wil. qui temptavit «ψυχῆς xe λύσιν», post γένεσίν Austin qui «τ᾽ αἰεὶ ϑάνατόν» e. g. coni. | νεκροϑήκας Wecklein, nonnulli Edd.: νεχροϑήκης (I) codd., ve-

κροϑήκαις Mi. || 18 «τοῖσι μυσαροῖς» οὐ xo. Diggle, οὐ xo. ante πεφύλαγμαι transp. Schmidt || 19 t

del. Vil.

Fragmenta

59

2

.J.ol

VEM

71..[.-..]..[..}].} Ἱέστη ταῖς ἀτί

Ἰκουσᾳί .]9..[ Ἰασαν τὴν ὃ

5

Inv μέλλουσα .[ ]vo χρὴ προσί . ] «τί > WU

Joowı προσβί[ολ]ὴν[

Ἰῶν σου βούλομαι [μαϑεῖν πάρα. TM ].. πησεαπεοί ]....0v00[ ]t..00....[

B, tav ρου

10

μέμικται καὶ βροτο ὕ διπλῇ φύσει. |

A [ἤκ)ουσα καὶ πρίν: πῶς δ᾽ Öl ; B στέ]ρνοις ἔφεδρον κρᾶτα τ[αυρωπὸν φέρει. A [τετρ]ασκελὴς γὰρ ἢ δίβαμίος ἔρχεται;

15

8 Cf. fr. 7, 9 ἐκ ϑεοῦ γὰρ προσβολῆς ἐμηνάμην || 12 Isocr. Hel. 28 καὶ κρατήσας (scil. Θήσευς) φύσεως ἐξ ἀνδρὸς μὲν καὶ ταύρου μεμιγμένης | Accius Minos (vel Minotaurus) fr. 463 R? ex taurigeno semine ortum fuisse an humano ... | Verg. Aen. 6, 25 s. mixtumque genus prolesque biormis / Minotaurus ... cf. etiam Hesiod. fr. 145, 15-17 M.-W. et Diod. 4, 77, 3 {| 14 Soph. Ina-

chus fr. ** 269 a, 38 TrGF φύει κάρα ταυρῶ.1. (= κάρα ταυρωπόν ?) || 15 [Eur.] Rhes. 215 δίβα-

μος εἶμι P. Oxy. 2461, 1 primus edidit Turner 1962 (pp. 100-103); ipsa inspexi | 3 παρἼέστη vel προσ]έστη Cantar. || 4 ἄκουσα [x]oóc vel οὐχ ἑκοῦσα [x]oóc dubitanter Cantar. || 6 post a lineolae sinistorsum ascendentis pars ima dispicitur, A[ vel potius v[, ἐξικόμην μέλλουσα : Allßadas

ἐκχέειν e. g. Mette || 7 οὔτω χρὴ e. g. Cantar. | ante τί lineolae dextrorsum ascendenus pars summa, {.]vt[ Austin, Ko χρὴ nooolalır[ıetv Turner, de quo supplemento valde dubitat LloydJones, ἀγιωτά)τωει» χρὴ : προσ[π]ίτίνειν ϑεῶν βρέτει e. g. Mette || 8 Ἰροῖσι ego dispexi auxilio viri

docti Maehler: ϑ]εοῖσι dubitanter Turner coll. fr. 7, 9, sed hoc supplementum reicit Lloyd-Jo-

nes, quod hic dativum illic genitivum legitur | προσβ[ολ]ὴν Turner δοκῶ ϑ]εοῖσι προσβίολ]ὴν [véμειν e. g. Cantar., τί τοῖς ϑ]εοῖσι : προσβί[ολὴν ποιεῖ τινα e. g. Mette || 9 Ἰῷν oov βούλομαι [μαϑεῖν πάρα Turner, nonnulli Edd. | in. ξένος yàg] v vel ἄπειρος) àv. e. g. Turner, πόσις γὰρ] óv Cantar. || 10 ante x litterae vestigia: X ?,- ϑαλπῃ vel -μελπῃ e. g. Turner |] . . πῃ σ᾽ ἀπεοίικ coll. fr. 7,

11 Turner, ratus ἀπεοικότα esse supplendum: ἀπεόργασιν Page, sed vox nova | 11 ante ovoo[ vestigia litterae in & quadrare videntur, ante oo hasta horizontalis, gemini apices et parvus arcus dispiciuntur, post oo litterarum vestigia valde extenuata, quae ad ζηχμ vel ad Eaxy convenire possunt, sed omnia incertissima || 12 = fr. 997 TGF? (Plut. Thes. 15, 2 cf. ad fr. 6) iam

Kórte 1884 ad Cretes rettulerat | μέμυκται pap.: μεμίχϑαι Plut. | Turner suspicatus est nominativum pro dativo (verba διπλῇ φύσει in Plut.) in Euripidis versu esse coniciendum, i.e. δυτλὴ φύσις || 13 [ἤκ)ουσα καὶ πρίν’ πῶς δ᾽ ó[ Webster apud Turner | πῶς δὲ [ϑηρὸς οὖν δέμας; e. g. Cantar., sed littera οἱ clare dispicitur || 14 στέρνοις Barrett apud Lloyd-Jones | z[avooxóv Diggle, τίαύρειον Turner, τ[αυρώδες Lloyd-Jones | fin. φέρει Turner: πρέπει Cantar., φορεῖ Diggle || 15

[τετρασχελὴς γὰρ ἢ &iBau(oc ἔρχεται; Turner, qui scribit γ᾽ ἄρ (Snell)

60

Euripide, Cretesi

B ...]Aovg [μ]ελαίνη δασκί

An

κ]αὶ ti πρὸς τοῖσδ᾽ ἄλλο [

;

B μύ]ωπος € ... ov κέρκον [

.J. ο[ «ον 1. E... KpooBóboc A B

...]etl....].ı δωμάτων ...].f....]vov

Α

[

τοῖς τεκο[ῦσι

Jen . .1ν μῆλοίν

Β

20

25

Ἱμπ. ov. [

16 διπ]λοῦς [μ]ελαίνῃ δασκί nonnulli Edd., [S$ix}ovs coni. Page (suspicans errorem scribae ortum e v. 12, coll. Aesch. Ag. 1258), rec. Austin, διπ]λοῦς [μ]ελαίνῃ δασκίίους (vel Saoxlia) χαίτῃ πόδας e. g. Lloyd-Jones, [διπ]λοῦς, (ujeXaivgy δάσκίιος γενειάδι) Cantar. coll. Aesch. Pers. 316 et Soph. Trach. 13, probat Page, sed in. [δίπους pro (διπ)]λοῦς scripsit, (δίπ]ους δάσκίιος χαίτῃ δέμας Diggle | 5'aox( Barrett apud Austin || 17 fj κ)αὶ; Barrett apud Austin (de fj x]ay cf. Denniston 1954, p. 285), κακὸ]ν Turner, ele]v, Page, véo]v Austin | [μηνύσεις ἔτι; fin. e. g. Cantar., [σημαίνειν ἔχεις; Barrett, [φὴς πεφυκέναι Mette || 18 (μύϊωπος Barrett apud Austin, ταυρ]ωπὸς vel ἄνθρωπος Turner sed utrumque longius spatio, e v. 14 scimus Minotaurum ca-

put taurinum habere, proinde aliquid aliud (v. 17 ti πρὸς τοῖσδ᾽ ἄλλο) de Minotauro infante afferri suspicor, οἴστρου κέρκον [ἐπίκουρον φέρει) coni. Barrett apud Austin ("ad tabanorum aculeum arcendum caudam habet Minotaurus”), κέρκον [ἀπελατῆρ᾽ ἔχει) Snell apud Austin sed ἀπελατῆρ(α) novum, potius ἀπελάτην || 19 [ . ..τ{... αὐτο)ῦ γῆρυν [ἤκουσας ποτέ; Cantar., [ . .]. [ταύρο]υ γῆρυν [ ἢ φωνὴν βροτοῦ; Mette, [ἔσ]τίιν δὲ ταύρο]υ γῆρυν [ fj βροτοῦ κλύειν; Page Il 20

μύκημ᾽ ina) φορβάδος [μόσχον δίκην e. g. Page, fixovoa μύχημ᾽ ὥστε) φορβάδος [βοός. Cantar. | 21 [nJaorfög) δὲ u[n]roóc ἢ βοὸς Page, [πάρ]εστίι τῷ])δε u[n)toóc ἢ βοὸς Snell apud Turner sed [πάρ]εστί longius spatio | σίφε τέτροφε; Gentili, σίκύμον τρέφει D'Alessio, σίφ᾽ ἐθήλασεν Page,

φίμικρὸν τρέφει Collard, θ[ηλὴ τρέφει Diggle (cf. etiam 1997, p. 107) collato argumento Melanippes Sapientis, θ[ηλάζεται Luppe apud Diggle, σίθένος Snell apud Turner || 22 [to]gp[ov]ow οἱ

vexóvteg ov

[ dubitanter Turner, hoc supplementum certum fere Page putat, nonnulli Edd.

probb. | post ov ante lacunam lineola dextrorsum ascendens dispicitur, οὐ χίάτοιδ᾽ ὅπως e. g. Page || 23 ]ex( an Ἰεφί (Austin) ? | ] .: fortasse ] n | δωμάτων: dispexi auxilio viri docti Maehler, iam bene viderat Page, ] γιλωμάτων [ Turner, nonnulli Edd. || 25 ]v μῆλοίν ego distinxi coll. Sim.

fr. 562 Page || 26 ante σι parvus arcus dispicitur, Ἰμπυσι. ( Austin

Fragmenta

61

3

Col. I 1. σις ὅτ᾽ ἐπιπνεῖ

.1ος Λυκίας ἄπο ]. wie παῖ

"AnoAJMo]v ὦναξ ]. a μέλπων ]. v .ασε μέγαν

5

Ἰφοις εὐ]πάτειρα

1 Eur. Hipp. 563 δεινὰ γὰρ τὰ πάντ᾽ ἐπιπνεῖ || 8 Men. Dysc. 968 εὐπάτειρα πάρϑενος Νίκη cf.

Eur. Hipp. 68 s. εὐπατέρειαν αὐλάν, Ap. Rh. 1, 570 s. εὐπατέρειαν "Ἄρτεμιν

P. Oxy. 2461, 2 col. I. Versus lyrici videntur | 1 Ἰεσις ὅτ᾽ ἐπιπνεῖ Turner coll. Hipp. 563: ]. σισοτ᾽ exuxv " pap., véu]eow Cantar. fortasse recte || 2 . Joc Λυκίας Turner | axo dubitanter Parsons apud Lloyd-Jones, avo Turner || 3 Ao]tóu xot recte Austin, Λαγτῶιε Lloyd-Jones || 4 "AxoA]Mo]v ὦναξ Turner, sed dubitat Austin || 5 ]. a μέλπων Turner || 6 post w hasta verticalis

cum lineola in summa parte dextrorsum ascendente dispicitur, vestigia litterae ad τ vel ad e vel ad a quadrare videntur, littera y valde incerta, oe uégan vel ue τὰν Austin, σὲ μέγαν Cantar. ||

7 Ἰφοις: possis ἀδελ)φοῖς vel potius Δελφ]οῖς || 8 £$]náxega Turner

Col. II oxnx[

αὐτηί

τοιονδί

ἐπ᾿ ε..

πί.]. ὠπί

5

xai ϑεῶί[ν ἐπελ.[ X° [

n. [ χ

P. Oxy. 2461, 2 col. II. 1 | σκηπίρ vel σκηπίτ Cantar., maluerim σκηπίτ coll. fr. 7, 26 || 3 τοῖον δί vel τονόνδ᾽ [ Cantar. || 6 καὶ te@[v Maehler || 7 éxeX9 [ Cantar. || 9 post u litterarum ve-

stigia valde extenuata, lineola dextrorsum ascendens et hasta horizontalis

62

Euripide, Cretesi 4

]..[... ]- f ] v.. Uol

ἄπειρον μι

Κρήτης anal φόβος τὰ Bei, a τοῖσι σώφροσιν βροτῶν, πολλὴ γὰρ .[ ἐμοί Öl

5

P. Oxy. 2461, 3 | 2 post v litterae vestigia incertissima, quae neque ad a neque ad o apta esse censet Turner, vagwf Maehler || 3 ἄπειρον ju[ ego dispexi et distinxi auxilio viri docti Ma-

ehler, sed littera v incerta, nam vestigia litterae etiam ad v spectare possunt, áxeigov μι Austin || 4 initum episodii indicat paragraphos, ignota persona loquitur, ante Κρήτης enim litterae vestigia ad notam personae pertinentia dispiciuntur | litterae q vestigia incertissima, etiam ad ω vel ad e pertinere possunt, ἀπ᾽ αἰΐας e. g. Turner, ἁπάσης Barrett apud Austin || 5 = adesp. 356 TrGF (Plut. De audien. poet. 12, 34a, cf. etiam Stob. 3, 204, 6 W.-H.) recte Barret apud Austin || 7 ante lacunam tantum litterae apex extat, ὃ ?

P. Oxy. 2461, 5

Fragmenta

63

6

σύμμικτον εἶδος κἀποφώλιον τρέφος (I) Plut. Thes. 15, 2 τοὺς δὲ παῖδας εἰς Κρήτην κομιζομένους ὁ μὲν τραγικώτατος μῦϑος ἀποφαίνει τὸν Μινώταυρον ἐν τῷ Λαβυρίνϑῳ διαφϑείρειν, ἢ πλανωμένους αὐτοὺς καὶ τυχεῖν ἐξόδου μὴ

δυναμένους ἐκεῖ καταϑνῇσκειν, τὸν δὲ Μινώταυρον, ὥσπερ Εὐριτίδης φησί [1], cf. fr. 2, 12 | (II) Plut. De curios. 520c ὥσπερ οὖν ἐν Ῥώμῃ τινὲς τὰς γραφὰς καὶ τοὺς ἀνδριάντας καὶ νὴ Δία τὰ κάλλη τῶν ὠνίων παίδων καὶ γυναικῶν ἐν μηδενὶ λόγῳ τιϑέμενοι περὶ τὴν τῶν τεράτων ἀγορὰν ἀναστρέφονται, τοὺς ἀκνήμους

καὶ τοὺς γαλεάγκωνας

καὶ τοὺς τριοφϑάλμους

καὶ τοὺς στρουϑοκεφά-

λους καταμανϑάνοντες καὶ ζητοῦντες εἴ τι γεγένηται [1] Isocr. Hel. 28 καὶ κρατήσας (scil. Θήσευς) φύσεως ἐξ ἀνδρὸς μὲν καὶ ταύρου μεμιγμένης |

Verg. Aen. 6, 25 5. mixtumque genus prolesque biformis / Minotaurus σύμμεικτον Nauck, Ziegler | κἀποφύλιον i. e. “sui generis" Housman coll. Aesch. fr. 287 TrGF | xo£qoc coni. Nauck fortasse recte cf. Soph. fr. 154 TrGF, ubi etiam varia lectio βρέφος praebetur, et Verg. Aen. 6, 25: βρέφος (I), τέρας (IL), cf. Isocr. Hel. 27 τὸ τέρας τὸ τραφὲν μὲν ἐν Κρήτῃ et Diod. 4, 77, 3 τῷ τέρατι τούτῳ πρὸς διατροφὴν λέγεται κατασκευάσαι Δαίδαλον

λαβύρινϑον

64

Euripide, Cretesi 7

οὐ γάρ τιν᾽ ἄλλην φημὶ τολμῆσαι ade σὺ δεὲ κακὸν» ἐκ κακῶν, ἄναξ,

φρόνησον εὖ καλύψαι. Πασιφά(η) ἀρνουμένη μὲν οὐκετ᾽ ἂν πίϑοιμί oc πάντως γὰρ ἤδη δῆλον ὡς ἔχει τάδε. ἐγ[ὦ] γὰρ εἰ μὲν ἀνδρὶ προύβαλον δέμας τοὐμὸν λαϑραίαν ἐμπολωμένη Κύπριν,

5

ὀρϑῶς ἂν ἤδη μάχ[λο)]ς ovo’ ἐφαινόμην. γῦν δ᾽, ἐκ ϑεοῦ γὰρ προσβολῆς ἐμηνάμην. ἀλγῶ μέν, ἐστὶ δ᾽ οὐχ ἑκο[ύσ]ιον κακόν.

10

ἔχει γὰρ οὐδὲν εἰκός" ἐς τί γὰρ βοὸς βλέψασ᾽ ἐδήχϑην ϑυμὸν αἰσχίστῃ νόσφ;

ὡς εὐπρεπὴς μὲν ἐν πέπλοισιν ἦν ἰδεῖν, πυρσῆς οἰνωπὸν οὐ μὴν τοιῶνδε

δὲ χαίτης καὶ παρ᾽ ὀμμάτων σέλας ἐξέλαμπε περ[καί͵νων γένυν; δέμας γ᾽ εὔρ[υϑμον --ὦ ν]υμφίου. λέκτρων οὕνεκ᾽ eic) πεδοστιβῆ

ῥινὸν καϑισ....[ ἀλλ᾽ οὐδὲ παίδων .

15

rau. Ἱπόσιν

ϑέσϑαι τί δῆτ᾽ ἂν τῇ[δ᾽ ἐμαινόμην νόσῳ;

20

6-12 Eub. fr. 67 PCG ὅστις λέχη γὰρ σκότια νυμφεύει λάϑρᾳ, / πῶς οὐχὶ πάντων ἐστὶν ἀϑλιώτατος; / ἐξὸν ϑεωρήσαντι πρὸς τὸν ἥλιον / γυμνὰς ἐφεξῆς ἐπὶ κέρως τεταγμένας / ἐν λεπτοπήνοις ὑμέσιν ἑστώσας, οἷας / ᾿Ηριδανὸς ἀγνοῖς ὕδασι κηπεύει κόρας, / μικροῦ πρίασϑαι κέρματος τὴν ἡδονήν, / καὶ μὴ λαϑραίαν Κύπριν, αἰσχίστην νόσων / πασῶν, διώκειν, ὕβρεος οὐ πόϑου χάριν. / Ἑλλάδος ἔγωγε τῆς ταλαιπώρου στένω / fj Κυδίαν ναύαρχον ἐξεπέμψατο || 6-8 Ov. Ars am. I 309 s. sive placet Minos, nullus quaeratur adulter; / sive virum mavis fallere, falle viro || 10 Eur. fr 339, 3 s. TGF° xai γὰρ οὐκ αὐϑαίρετοι / βροτοῖς ἔρωτες οὐδ᾽ éxovoia νόσος || 15 Hesych. x 1970 Schm. περκαίvew' διαποικίλλεσϑαι | Call. Hymn. 5, 75 s. ἄρτι γένεια / περκάζων, cf. etiam schol. Flor. ad. fr. 2, l. 18 Pf.

Perg. Berol. 13217. Primi ediderunt Schubart et Wilamowitz (BKT 1907, pp. 73-79). 1-3 Wil. chorum loqui suspicatus est coll. vv. 42-43 (cf. etiam vv. 50-51) | 2 6«£ κακὸν» ἐκ κακῶν

coni. Wil: ovö’sxxaxwv P. *éx xaxov! corruptum statuerunt Page et Austin, κατὰ κακὸν Page, δεὲ κάκ᾽» ἐκ κακῶν Cropp, δὲ κακῶν κεάκιστ᾽» vel δὲ κεάκιστα» κακῶν Diggle | 3 φρόντισον Wil., Edd. cf. vv. 50-51 || 8 μάχίλο]ς Hunt et Wil. probante Schubart, uag[yo]s Wil. (ed. pr.) || 15 Wil. coll. Hesych. x 1970 Schm. || 16 εὔρ[υϑμόν ἐστι ν]υμφίου. Wil., ἦν τοῦ Bucherer, Croiset,

ὧδε Page, ὥστε Cropp | post νυμφίου signum interrogationis prop. Schmidt | 17 λέκτρω[ν οὕνεκ᾽ εἰς) Wil., [οὖν πόϑῳ᾽ c] Cantar., ὥστ᾽ ἐρᾶν Croiset || 18 καϑιστάναι Roberts, ῥινὸν καϑεερίσίηι σῶμα Κύπρις ἄχϑε)ται Wil., aliter alii || 19 . [ litterae vestigia in φί quadrare videntur, φίύτορ᾽ εἰκὸς ἦν Wil. coll. v. 11, yelfiv ἕκατί νιν Schmidt, qui ante lacunam litt. vestigia x et o dispici posse putat, o[ödex’ εἰκὸς ἦν] Collard, ἐς σπορὰν ἔδει) Cropp || 20 τί δῆτα tfild” ἐμαινόμην νόσῳ; Wil., τί δῆτα τῇ[δε μαιϊνόμην νόσῳ; Cantar., τί δῆτ᾽ ἂν τῇ[δε μαι]νοίμην νόσῳ; Page

Fragmenta

65

δαίμων ὁ τοῦδε κἄμ᾽ ἐνέπλησεν κα]κῶν,

μάλιστα δ᾽ οὗτος οισεί

)ov:

ταῦρον γὰρ οὐκ ÉoqaE[ev ὃν γ᾽ ἐπηύ]ξατο ἐλθόντα ϑύσειν φάσμα [πο]ντίῳί[ ϑε]ῷ. ἐκ τῶνδέ τοί σ᾽ ὑπῆλϑε xd]meteio[ato]

δίκην Ποσειδῶν, ἐς δ᾽ ἔμ᾽ ἔσκηψί[εν νόσον]. κἄπειτ᾽ ἀυτεῖς καὶ σὺ μαρτύρῃ ϑεοὺς αὐτὸς τάδ᾽ ἔρξας καὶ καταισχύνας ἐμέ. κἀγὼ μὲν ἡ τεκοῦσα κοὐδὲν αἰτία ἔχρυψα πληγὴν δαίμονος ϑεήλατον, σὺ δ᾽, εὐπρεπῆ γὰρ κἀπιδείξασϑαι καλὰ

25

30

τῆς σῆς γυναικός, ὦ κάκιστ᾽ ἀνδρῶν, φρονῶν, ὡς où μεϑέξων πᾶσι κηρύσσεις τάδε. σύ τοί μ᾿ ἀπολλύς, σὴ γὰρ ἡ Elanlapria, ἐκ σοῦ νοσοῦμεν. πρὸς τάδ᾽ εἴτε ποντίαν κτείνειν δοκεῖ σοι, κτε[ν᾿ - ἐπίστασαι δέ τοι μιαιφόν᾽ ἔργα xai σφα[γὰ]ς ἀνδροκτόνους: εἴτ᾽ Mpooitov τῆς ἐμῆς ἐρᾷς φαγεῖν σαρκὸς, πάρεστι: μὴ λίπῃς ϑοινώμενος.

35

26 Eur. Hipp. 438 ὀργαὶ δ᾽ ἔς 0° ἀπέσκηψαν ϑεᾶς | Eur. Med. 1333 τὸν σὸν δ᾽ ἀλάστορ᾽ εἰς Eu’ ἔσκηψαν ϑεοί | Bacch. ** 26, 8 Maehler νόσον || 30 Eur. Hipp. 393 s. ἠρξάμην μὲν οὖν / ἐκ τοῦδε,

σιγᾶν τήνδε καὶ κρύπτειν νόσον | Th. Magister Ecl. voc. attic. 178, 3 Rischl ϑεήλατον τὸ ϑεόϑεν ἐλϑόν. λέγεται δὲ ἀεὶ ἐπὶ κακοῦ, οἷον 'ϑεήλατος πληγή᾽ | Soph. fr. 680, 3 TrGF νόσους δ᾽ ἀνάγχη τὰς ϑεηλάτους φέρειν || 33 Eur. fr. 460, 2-4 TGF? εἰ δ᾽ οὖν γένοιτο, χρὴ περιστεῖλαι καλῶς κρύπτοντα καὶ μὴ πᾶσι κηρύσσειν τάδε" / γέλως γὰρ ἐχϑροῖς γίγνεται τὰ τοιάδε || 34 Eur. Hipp. 725 ἥπερ (scil. Κύπρις) ἐξόλλυσί με | Soph. Ant. 558 καὶ μὴν ἴση νῷν ἐστιν ἡ ’Eauagria || 35-36 Soph. OT 1411 s. καλύψατ᾽ ἢ φονεύσατ᾽ ἢ ϑαλάσσιον / ἐκρίψατ᾽ ἔνϑα μήποτ᾽ εἰσόψεσϑ᾽ ἔτι | Eur. Cyc. 300 ἱκέτας δέχεσϑαι ποντίους ἐφθαρμένους | Eur. Hec. 797 ἀλλ᾽ ἀφῆκε πόντιον || 38 A 34-36 εἰ δὲ σύ γ᾽ εἰσελθοῦσα πύλας καὶ τείχεα μακρὰ / ὠμὸν βεβρώϑοις Πρίαμον Προιάμοιό τε παῖδας / ἄλλους τε Τρῶας,

τότε κεν χόλον ἐξακέσαιο ad quem locum Eust. 442, 13-15, p. 698 van der Valk ὁ λόγος ἁρμόσει ποτέ παρῳδηϑεὶς καὶ ἄλλοις προσώποις πάνυ ϑυμουμένοις. ὁποῖον καὶ τὸ εὐξάμενον ἔφεσιν αὐτῷ ἐγγενέσθαι ἥπατι ἀνθρώπου | X 346-347 at γάρ πως αὐτόν με μένος καὶ ϑυμὸς ἀνείη / bu” ἀποταμνόμε-

γον κρέα ἔδμεναι, οἷα ἔοργας, cf. Ω 212 5. | Xen. Anab. 4, 8, 14 τούτους, ἤν πως δυνώμεϑα, καὶ ὠμοὺς δεῖ καταφαγεῖν cf. etiam Hell. 3, 3, 6 ὅπον γὰρ ἐν τούτοις τις λόγος περὶ Σπαρτιατῶν, οὐδένα δύνασϑαι κρύπειν τὸ μὴ οὐχ ἡδέως ἄν καὶ ὠμῶν ἐσϑίειν αὐτῶν

21 δαίμων: corr. Wil., — δαιμον P. | ἐνέπλησεν Wil., ἐπλήρωσεν vel £(uéctocev e. g. Diggle || 22 οἷς E[ögao’ &vayvos] ὥν Wil., οἷς ξίδρασ᾽ ἔνορκος] ὥν Croiset, otoe[zat ψόγον βροτ)ῶν Page, οἷς ἐϊχρῆν οὐ πιστός] ov Austin || 23 ὅν γ᾽ ἐπηύξατο Austin (ὄν iam Page), ὡς κατηύ]ξατο Wil., ὄνπερ ηὔϊξατο Diggle || 24 Wil. || 25 Wil. || 26 ἔσκηψίεν νόσον] Collard, ἔσκηψίεν νόσος] Austin coll. vv. 12, 20, 35, ἔσκηψ[εν πάϑος] Wil., Eoxnylev τάδε] Page || 27 κἀπιμαρτύρῃ Wil., Austin || 28 post

ἐμέ interpunx. nonnulli Edd., signum interrogationis posuit Diggle || 31 post καλά interpunx. Arnim || 32 ante ὦ κάκιστ᾽ et post φρονῶν interpunx. Wil., nonnulli Edd. recc., post ἀνδρῶν in-

terpunx. Cantar. || 33 post τάδε signum interrogationis posuit Arnim || 34 ἡ ᾿Ε[αμ]αρτία Wil. coll. Soph. Ant. 558 || 35 ewe P.: et ue Cantar. || 36 ῥίπτειν δοκεῖ σοι, dite: Wil. coll. Soph. OT 1411 s. || 37 oga[yà)g Wil. || 39 μὴ ᾿λλίπῃς Schmidt et Murray apud Austin

66

Euripide, Cretesi ἐλεύϑεροι γὰρ κοὐδὲν ἠδικηκότες

40

τῆς σῆς ἕκατι ζημ[ία]ς ϑανούμεϑα. (Xo.)

πολλοῖσι δῆλον [ὡς ϑεήλατον] κακὸν τόδ᾽ ἐστίν: ὀργηί ]. ς, ἄναξ.

(Mw.)

ág' ἐστόμωται μί

Ἰβοᾷ.

χωρεῖτε, λόγχη ο]υμένη λάζυσϑε τὴν πανο[ὕργον, o); καλῶς ϑάνῃ, καὶ τὴν ξυνεργὸν [τήνδε, δωμάτων δ᾽ ἔσω [ἄγο]ντες αὐτὰς EolEat' ἐς ]notov,

45

[ὡς μ]ηκέτ᾽ εἰσίδίωσιν ἡλίου κ]ύκλον.

[

]

ἄναξ, ἐπίσχίες τὸ πρ[ἄγ]γα

(Mu)

* φρο)ντί[δος] γὰρ ἄξιον

΄. . [...]

. δ᾽ο(...]

εὔβουλος

50 βροτῶν.

κ[αὶ δὴ] διίέδοκται] μὴ ἀναβάλλεσθϑαι δίκην.

44 Eur. IT 287 δειναῖς ἐχίδναις εἰς ἔμ᾽ ἐστομωμένη; 40 κοὐδὲν Austin coll. v. 29: καιουδεν P. || 41 ζημίία)ς Wil. ϑανούμεϑα Wil., sed primae litterae valde incertae: covovuetta P., dicolon in fine versus || 42-43 chorum loqui suspicatus est Wil., Edd. recc. cf. supra vv. 1-3 || 42 suppl. Wil. cf. v. 30 || 43 ὀργῆϊι μὴ λίαν εἴξη)ις, Wil., ὀργῆς ( ἐξάνες δειν]ῇς, Austin, ὀργῆ[ι μηδὲν ἠσσηϑῇ]ς, Cantar. | post ἄναξ dicolon || 44 in margine nota personae erasa est, fortasse nomen Mi(voc) (Wil.) vel βασιλ(εύς) (Schubart) | u[&ooov ἣ ταῦρος] βοᾷ Herwerden, ufivos, ὡς δεινὸν] βοᾷ Bucherer | supra om dispiciuntur litterarum vestigia (. o), fortasse varia lectio (i. e. βοᾷς) || 45 Aöyanlı δ᾽ 16° ἴτω φρουρο]υμένη Page || 46 ravo[beyov, óc Wil. | κακῶς Collard-Cropp-Lee quamvis hanc emendationem damnasset Wil. || 47 τήνδε Wil.,

τῆσδε Cantar. || 48 suppl. Wil.

κρυπτ]ήριον Herwerden, sed novum, φρο)]ύριον legit et suppl.

Bucherer coll. [Plat.] Ax. 365e et Soph. Ant. 891, φρακτ]ήριον Schmidt | iva σωτ]ήριον Radermacher et Arnim || 49 [óc μ]ηκέτ᾽ εἰσίδίωσιν ἡλίου x]uxAov Wil., [οὐ μ]ηκέτ κτλ. Radermacher et

Arnim | post «]uxAov dicolon || 50-51 chorum loqui suspicatus est Wil. cf. vv. 1-3 et 42-43 | 50 Schubart || 51 [νηλ]ὴς δ᾽ οἰὔτις] Wil., probb. nonnulli Edd., sed [νηλ]ὴς brevius spatio videtur, [ἐν óoy]f) e. g. prop. Bucherer coll. v. 43 et Eur. fr. 760 TGF? (ἔξω γὰρ ὀργῆς πᾶς ἀνὴρ σοφώτε-

ρος), [ϑάσσ]ῳν in appendice critica Cantar., [ϑερ)μὸς Collard apud Diggle | post βροτῶν interpunx. Wil. || 52 Minos

loqui statuit Hunt | Roberts.

Fragmenta

67

8

ἀλλ᾽, ὦ Κρῆτες, Ἴδας τέκνα Aristoph. Ran. 1356, ubi Schol. a. l. (p. 150 Holwerda) versum ex Euripidis Cretibus depromptum esse testatur ἀλλ᾽, à Κρῆτες: τοὺς Kgfitag (coni. Fritzsche: Κρῆτας codd.) λέγει. ἔστι δὲ ἐκ “Κρητῶν Εὐριπίδου. Cf. etiam test. 3 de Icari monodia ἀλλ᾽ euripideum esse censuit Nauck

99

τέκτων γὰρ ὧν ἔπρασσες οὐ ξυλουργικά Plut. Praec. ger. rei publ. 15, 812e ὁ δ᾽ ἀπληστίᾳ δόξης ἢ δυνάμεως πᾶσαν αὑτῷ τὴν πόλιν ἀνατιϑεὶς καὶ πρὸς ὃ μὴ πέφυκε unde ἤσκηται προσάγων αὑτόν, ὡς Κλέων πρὸς τὸ στρατηγεῖν, Φιλοποίμην δὲ πρὸς τὸ ναναρχεῖν, ᾿Αννίβας δὲ πρὸς τὸ δημηγορεῖν οὐκ ἔχει παραίτησιν ἁμαρτάνων, ἀλλὰ

προσακούει τὸ τοῦ Εὐριπίδου [1] Bacch. fr. 26, 5-8 Maehler τεκτόνίω]ν σοφω(τάτῳ / φράσε Δαιδάλῳ

°10

Io. Malalas Chronographia 14, 12, 71-73, p. 280 Thurn ὦν ἡ Κρήτη νῆσος «μεγάλη» ἥτις εἶχεν ἐν μέσῳ ϑαλάσσης ὑπαρχούσας πόλεις ἑκατόν, καϑὼς περὶ τῆς αὐτῆς νήσου ἐξέϑετο ὁ σοφώτατος Εὐριπίδης. Cf. fr. 1, 3 Κρήτης ἑκατομπτολιέϑρου 1 «μεγάλη» add. Thurn ex Sl, sed in Malalae textu parum veri simile fuisse puto | hunc Malalae locum respicere verba Κρήτης ἑκατομπτολιέϑρου (fr. 1, 3) censuit Dindorf, probb.

Cantar. et Austin, initium fabulae in his verbis latere suspicatus est Carrara

68

Euripide, Cretesi PROSODIA

ET METRA

Prosodia Contractio in eodem verbo: ew: Ζαγρέως fr. 1, 11.

Muta cum liquida in mediis verbis ‘positionem’ non faciunt his locis: fr. 1, ἀτρεκεῖς 8, ἐκλήϑην 15; fr. 7 λαϑραίαν, Κύπριν 7, πέπλοισιν 13, κ]ύκλον 39;

accedunt haec: fr. 1, 17 te βροτῶν; fr. 2, 17 ti πρὸς; fr. 7, 6 ἀνδρὶ προύβαλον; fr. 8 τέκνα; sed fr. 1 ἑκατομπτολιέϑίρου 3, ἁγίνὸν 9, νεκίροϑήκας 17, πεφύλαγἱμαι 19; fr. 2, 14 ἔφεδίρον; fr. 7 pay[ho]g 8, εὔρ[υϑίμον, 16, &(vén'Anoev 21. Metrorum conspectus

fr. 1: dimetri anapaestici; vv. 3, 7, 15, 19 paroemiaca; v. 14 monometer

fr. 2: trimetri iambici

fr. 3 coll. I, II v. 7: lyrica fr. 4: vv. 4-7 trimetri iambici fr. 6: trimeter iambicus

fr. 7: vv. 1-3 lyrica (trim.iam.+dim.iam.+dim.iam.); vv. 4-52 trimetri iambici fr. 8: v. 1356 Aristoph. Ran. ut docm.+ cret. (---u-- ou ὦ) intellegendus est, sed Euripidis verba (ὦ Κρῆτες, Ἴδας τέκνα, tà) ex creticis metris tracta esse videntur (C- o --o uo?) fr. ?9: trimeter iambicus

NUMERORUM

TABULAE

Editio nostra cum Cantarelliana, Austiniana e Collardiana (CroppianaLeeiana) comparata

test. test.

—Uv -h& un

test. test.

3abc 2

Collard* (-C.-L.)

Q*

test.

1

Austin

ON

test. test.

Cant.

4

NH

haec editio test.

472 (= 472 TGF”) 472bc K 472bc K 472cK

472 a (2996 TGF}) 472e

K

472 fK (= 471 TGF°) 988 (= 988 TGF°)

* Littera K, quam Editores post numerum fragmenti posuerunt, editionem Kannichtianam nondum vulgatam indicat.

INDEX

AUCTORUM

Apollodorus Bibliotheca 3, 1, 3-4: test. 1 Aristoph. Ranae 1356: fr. 8 Frotianus, Voc. hipp. Coll. s.v. ἀτρεκέως: fr. 1, 4-8 Hesych. ὦ 218 Schm.: fr. 1, 12 Hieromynus adv. Iov. 14: fr. 1, 19-20 IG

1152, 27 = 1508 Moretti: test. 8

Io. Malalas Chronographia 2, 7, 51-53, p. 23 Thurn: test. 4 Io. Malalas Chronographia 4, 16, 45-58, pp. 61-62 Thurn: test. 2 Io. Malalas Chronographia 14, 12, 71-73, p. 280 Thurn: °10 Liban. Apologia Socratis (decl.1) 177, 5, 116, 16-19 Förster: test. 6 Liban. Oratio 64 pro Saltatoribus, 73, 4, 467, 4-7 Förster: test. 7

Plat. Minos 318d 6-319b 6: test. 5 Plut. De cur. 520c: fr. 6 Plut. Praec. ger. rei publ. 15, 812e: fr. °9 Plut. Thes.15, 2: fr. 2, 12 Plut. Thes. 15, 2: fr. 6

Porphyr. D. A. 4, 19: fr. 1, 1-20 Schol. Aristoph. Ran. 849 s., pp. 112-113 Holwerda: test. 3

INDEX

VERBORUM

asterisco (*) notata sunt vocabula aliunde non cognita

βοῦς: βοὸς 2, 21; 7, 11 βροντή: βροντάς 1, 11

ἁγνός: ἁγνὸν 1, 9 ἄγω:[ἄγο]ντες 7, 48 ἀδικέω: ἠδικηκότες 7, 40 αἴτιος: αἰτία 7, 29 αἰσχρός: αἰσχίστῃ 7, 12 ἀκούω:

βροτός: βροτοῦ 2, 10; βροτῶν 1, 17; 4, 5; 7, 51

βρῶσις: βρῶσιν 1, 19 γάρ: 2, 15; 4, 6; 7, 1, 6, 9, 11, 23, 31, 34,

[Mx]ovoa 2, 13

40, 50; 9 γε: γ᾽ 7, 16, 23

ἀλγῶ: 7, 10 ἀλλά: ἀλλ᾽ 7, 19 ἄλλος: ἄλλο 2, 17; ἄλλην

7, 1

Gv 7, 4, 8, 20 ἀναβάλλω: ἀναβάλλεσθϑαι 7, 52 ἄναξ: ὦναξ 3 col I 4; 7, 2, 43, 50 ἀνάσσω: ἀνάσσων 1, 2 ἀνδροκτόνος: ἀνδροκτόνους 7, 37 ἀνέχω: ἀνασχὼν 1, 13 ἀνήρ: ἀνδρὶ 7, 6, ἀνδρῶν 32 ἄξιος: ἄξιον 7, 50

ἄπειρος vd. ἤπειρος ἀπό: ἄπο 3, col. I 2 ἀπόλλυμι: ἀπόλλυς 7, 34 ᾿Απόλλων: ΑπολΊ]λ[ο]ν 3 col. I 4 ἀποφώλιος: κἀποφώλιον 6

ἄρα: ἀρ᾽ (a) 7, 44 ἀρνέομαι: ἀρνουμένη 7, 4 ἁρμός: ἁρμούς 1, 8 ἀτρεκής: ἀτρεκεῖς 1, 8 αὐϑιγενῆς: 1, 5 ἀυτέω: ἀυτεῖς 7, 27 αὐτός: 7, 28, αὐτάς 48 βάκχος: 1, 15 βίος: βίον 1, 9 βλέπω: βλέψασ᾽ (a) 7, 12

βοάω:Ἱβοᾷ vel Ἰβοᾷς 7, 44 βούλομαι: 2, 9

γένεσις: γένεσιν 1, 17 γένυς: γένυν 7, 15 γῆρυς: γῆρυν 2, 19 1, 10

γίγνομαι: γενόμην

γυνή: γυναικός 7, 32 δαίμων: 7, 21, δαίμονος 30 δαίς: δαῖτας 1, 12 δάκνω: ἐδήχϑην 7, 12 δάς: δᾷδας 1, 13 δάσκιος(9): δασκί 2, 16 δέ: 1, 9; 2, 21; 7, 36; δ᾽ 1, 16; 2, 13; 7, 2, 9, 26, 36, 51

δέμας: 7, 6, 1ό n (9): δή] 7, 52 δῆλος: δῆλον 7, 5, 42 δῆτα:

δῆτ᾽ (α) 7, 20

δίβαμος: δίβαμίος 2, 15 δίκην: 7, 26, 52 διπλοῦς: διπλῇ 2, 10, διπ)]λοῦς 16 δοκέω: δοκεῖ 7, 36, δίέδοκται) 52 δοκός: 1, 5 δῶμα: δωμάτων

(9)

2, 23; 7, 47

ἐγώ: ἐμοί 4, 7; 7, 6 &y[0], 29 (κάγω), ἐμέ

21 (κἄμ᾽), 26 (ἔμ᾽), 28, (μ᾽) 34

72

Euripide, Cretesi

ἐδεστός: ἐδεστῶν ei: 7, 6

ἔφεδρος: ἔφεδρον 2, 14 ἔχω: ἔχων 1, 17; ἔχει 7, 5, 11

1, 19

εἶδος: 6 εἰκός: 7, 11

Ζαγρεύς: Ζαγρέως

εἷμα: εἵματα 1, 16

ζάϑεος: ζαϑέους

εἰμί: ἐστί 7, 10, 43; ἦν 7, 13; ὧν 2, 9; ?9; ovo (α) 7, 8 εἴργω: Éo[Eat. 7, 48 εἰσοράω: εἰσίδίωσιν 7, 49 εἴτε: 7, 35, εἴτ᾽ 38

Ζεύς: Ζηνός

* ἑκατομπτολίεϑρος:

ἥκω: 1, 4 ἥλιος: ἡλίου 7, 49 ἤπειρος (2): ἄπειρον 4, 5

ἐκ: 7, 2, 9, 25, 35; ἐξ 1, 9 oov

ἑκατομπτολιέϑ-

1, 3

ἕκατι: 7, 41 ἐκλάμπω: ἐξέλαμπε 7, 15 ἑκούσιος: éxo[vo]vov 7, 10 ἐλεύϑερος: ἐλεύϑεροι 7, 40 ἐμπίμπλημι: ἐνέπλησεν 7, 21 ἐμπολάω: ἐμπολωμένη 7, 7 ἐμός: ἐμῆς 7, 38 ἐμόν (τοὐμόν) 7 ἔμψυχος: ἐμψύχων 1, 18 £v: 7, 13 ἐξαμαρτία: ᾿ ξ[αμ]αρτία 7, 34 ἔπειτα: κἄπειτ᾽ (α) 7, 27

ἐπεύχομαι: ἐπηύξατο 7, 23

ἐπέχω: ἐπίσχ[ες 7, 50 ἐπιδείκνυμι: ἐπιδείξασϑαι (κάπιδείξασϑαιυ) 7, 31

ἐπιπνέω: ἐπιπνεῖ 3, col. I 1 ἐπίσταμαι: ἐπίστασαι 7, 36 ἐπιτείνω: xá]xexeto[axo]

7, 25

ἐράω: ἐρᾷς 7, 38 ἔργον: ἔργα 7, 37 ἔρδω: ἔρξας 7, 28 ἔρχομαι: ἐλϑόντα 7, 24

ἐς: 7, 11, 26, 4802), εἰς 17 (9)

1, 11 1, 4

1, 2, Διός 1, 10

ζημία: Guu[ia]c 7, 41

ϑεήλατος: ϑεήλατον ϑεῖον: Bela 4, 5

7, 30, 42 (2)

ϑεός: ϑεοῦ 7, 9, ϑε]ῶι 24; ϑεῶ[ν 3, col. II 6; ϑεοὺς 7, 27 ϑνήσκω: ϑανούμεϑα 7, 41 ϑάνῃ 46 ϑοινάω: ϑοινώμενος 7, 39 ϑυμός: ϑυμὸν 7, 12 ϑύω: ϑύσειν 7, 24

Ἰδαῖος: ᾿Ιδαίου 1, 10 Ἴδη: Ἴδας 8 καί: 1, 2, 7, 11, 14, 17; 2, 12, 153,17; 3 col. II 6; 6 κἀάποφωλιος; 7, 14, 21, 28, 37, 47, 52, κἄπειτ᾽ 27, κἀγώ 29, Xovóév 29, 40, κἀπιδείξασϑαιϑ31, xA]neteio[lato] 25 κακός: κακόν 7, 10, 42, κακῶν κα]κῶν 21, κάκιστ᾽ (a) 32

καλέω: ἐκλήϑην καλός: καλά

1, 15

7, 31

καλύπτω: καλύψαι 7, 5

ἐσθίω: φαγεῖν 7, 38

καλῶς:

ἔσω: 7, 47

καταισχύνω: καταισχύνας 7, 28 κέρκος: κέρκον 2, 18 κεράννυμι: κραϑεῖσ᾽ 1, 7 κηρύσσω: κηρύσσεις 7, 33 κόλλη: κόλλῃ 1, 7 Κουρῆς: Κουρήτων 1, 14 κράς: κρᾶτα 2, 14

εὔβουλος: 7, 51

εὖ: 7, 1 εὐπάτειρα: 3, col. I 8 εὐπρεπής: 7, 13, εὐπρεπῆ 31 εὔρυϑμος: εὔρίυϑμον 7, 16 Εὐρώπη: Εὐρώπης 1, 1

7, 46

7, 2,

Index verborum

Κρής: Κρῆτες 8

73

νῦν: 7,9

Κρήτη: Κρήτης 1, 3; 4, 5

νύμφιος: ν]υμφίου 7, 16

κρύπτω: ἔκρυψα 7, 30 κτείνω: κτείνειν, Xve[i]v (e) 7, 36

κύκλος; κ]ύκλον 7, 49 κυπάρισσος: κυπαρίσσου Κύπρις: Κύπριν 7, 7 λάζυμαι: λάζυσϑε

1, 8

1, 1, τῆς 7, 38, 41, τὴν 1, 18; 2, 5; 7, τάς 1, 12, τᾶς 2, 3, τό 7, 7 (τοὐμὸν) τά 4, 5 ὅδε: τοῦδε 7, 21, [τήνδε] 47, τῇ[δ᾽ τῶνδε 25; τοῖσδ᾽ 2, 17; τόδ᾽ 7,

λαϑραῖος: λαϑραίαν 7, 7 Λατώϊος (2): ].bie 3 col. I 3 λείπω: λίπῃς 7, 39 λέκτρον: λέκτρω[ν 7, 17

λόγχη(}): λόγχη! 7, 45

τάδε

7, 1, 5, 33, τάδ᾽

7, 9, ἐμαιζνόμην

20

μαρτύρομαι; μαρτύρῃ 7, 27 μ]αστ[ὀς]: 2, 21

μάχλος: μάχίλο)]ς 7, 8

1, 2; μέγαν 3, col. I

ὀργή (N: ὀργηί7, 43 ὄρειος: ὀρείᾳ 1, 13 ὀρϑῶς: 7, 8 ὅς: οὗ 1, 9: ὅν 7, 23; οἷς 1, 5 ὁσιόω: ὁσιωϑείς 1, 15 ὅτε: ὅτ᾽ (e) 3, col. I 1 où:

μέλας: [μ]ελαίνη«ι»(Ὁ) 2, 16

οὐδέ: 7, 19

μέλλω: μέλλουσα 2, 6

οὐδείς: 7, 11 οὐδέν xovdev 29, 40 οὐκέτι: οὐκέτ᾽(Ὁ 7, 4

1, 18; 7, 11, 16, 33, οὐχ 9, οὐκ 23; 9

μέλπω: μέλπων 3, col. I 5

uév: 7, 2, 4, 6, 10, 14, 29

οὕνεκα:

οὕνεκ᾽ (a) 7, 17

οὗτος: 7, 21

μετέχω: μεϑέξων 7, 33 un: 7, 39, 53 μηκέτι: μ]ηκέτ᾽ 7, 49 μῆλοίν (9): 2, 25 unv: 7, 16

μήτηρ: μητρί 1, 13; p[n]reòg 2, 21 μιαφόνος: μιαιφόν᾽ (a) 7, 37 μύστης: 1, 10 μύωψ: μύ]ωπος 2, 18 1, 4

παίς: (xai) 1, 1, παῖ 3, col. I 3; παίδων 7, 19 πάλλευκος: πάλλευκα 1, 16 πανοῦργος: πανο[ὕργον 7, 46 πάντως: 7, 5 παρά: παρ΄ (a) 7, 14 πάρειμι: πάρεστι 7, 39 παρέχω: παρέχει 1, 6 πᾶς: πᾶσι 7, 33

νέμεσις (2): ]εσις 3, col. I 1 * νεκροθϑήκη: νεκροϑήκας vogtw: νοσοῦμεν 7, 35

1, 17

νόσος: vO0ov(?) 7, 26; νόσῳ

γυκτιπόλος: νυκχτιπόλου

20, 43,

7, 28, 35

6 μείγνυμι: μέμικται 2, 12

ναός: ναούς

46, 51;

οἰνωπός: οἰνωπόν 7, 15 ὄμμα: ὀμμάτων 7, 14 ὁράω: ἰδεῖν 7, 13

Avxia: Avxiac 3, col. I 2

μέγας: μεγάλου

ὁ: 3 col. I 4; 7, 21; τοῦ 1, 2; οἱ 2, 22, τοῖς 24; τοῖσι 4, 5; ἡ 7, 29, 34, 9; {τῆς}

7, 46

μάλα: μάλιστα 7, 21 μαίνομαι: ἐμηνάμην

Ἑυλουργικός: ξυλουργικά °9 ξυνεργός: ξυνεργόν 7, 47

1, 11

7, 12, 20

πεδοστιβήῆς: πεδοστιβῆ 7, 17 πείϑω: πίϑοιμι 7, 4 πέλεκυς: πελέκει 1, 6 πέπλος: πέπλοισιν 7, 13 * περκαίνω: xeo[xai]vov 7, 15

74

Euripide, Cretesi

πληγή: πληγήν 7, 30

τελέω: τελέσας

πολῦς: πολλῇ 4, 6; πολλοῖσι 7, 42 πόντιος: [πο]ντίω[ι 7, 24, ποντίαν 35

τέμνω: τμηϑεῖσα 1, 5 [teto]aoxeAng: 2, 15 τίϑημι: ϑέσϑαι 7, 20

Ποσειδῶν: 7, 26 πόσις: πόσιν 7, 19 πρᾶγμα:

mto[ay]ua 7, 51

πράσσω: ἔπρασσες 9 πρίν: 2, 13 προβάλλω: προύβαλον 7, 6 προλείπω: προλιπών 1, 4 πρός: 2, 17, 35 προσβολή: προσβ[ολ]ην 2, 8; προσβολῆς 7,9 πυρσός: πυρσῆς πῶς:

toÀuéo: τολμῆσαι 7, 1 tot

7, 25, 34, 36

τοιόσδε: 7, 17 τοιῶνδε τρέφος: 6

τρέφω: τέτροφε vel τρέφει (2) 2, 21,

ὑπέρχομαι: ὑπῆλϑ[ε 7, 25

δινόν: 7, 18 7, 39

σκήπτω: Eoxny[ev 7, 26 σός: σή 7, 34; σῆς 7, 32, 41 στεγανός: στεγανούς 1, 6 στέρνον: στέ]ρνοις 2, 14 στομόω: ἑστόμωται 7, 44 σύ: 7, 2, 27, 31, 34; σου 2, 9; σοῦ 7, 35; σε 7, 4; 7, 25 o’(e); σοι 7, 36

σύμμικτος: σύμμικτον 6

σφαγή: opalyals 7, 37 σφάζω: ἔσφαξίεν 7, 23 σώφρων: σώφροσιν 4, 5 ταυρωπός (7): τ[ἰαυρωπόν 2, 14 Ἐταυηρόδετος: ταυροδέτῳ 1, 7

ταῦρος: , tav ρου 2, 12; ταῦρον 7, 23 te:

τίκτω: TEXOVTEG 2, 22; τεκο[ῦσι 2, 24; τεκοῦσα 7, 29 τίς: 2, 17: 7, 11, τί 20 τις: uv (a) 7, 1

τρ]έφί[ου)]σιν 22 Τύριος: {Τυρίας} 1, 1

7, 14

2, 13

σάρξ: σαρκός σέλας: 7, 14

1, 12

1, 17; 1 1, 12,

13,

τέκνον: 1, 1; τέκνα 8 τέκτων: 9 τείνω: τείνομεν 1, 9

18

φαίνω: ἐφαινόμην 7, 8 φάσμα: 7, 24 φεύγω: 1, 16

φημί: 7, 1

φόβος: 4, 5 * Φοινικογενής: Φοινικογενοῦς 1, 1 φορβάς: φορβάδος 2, 10 φρονέω: φρόνησον 7, 3, φρονῶν 32 φροντίς: φρο]ντί[δος] 7, 50 φυλάσσω: πεφύλαγμαι 1, 19 φύσις: φύσει 2, 12

χαίτη: χαίτης 7, 14 Χάλυβος: Χαλύβῳ 1, 6

xon: 2, 7

χρίμπτω: χριμπτόμενος χωρέω: χωρεῖτε 7, 45

1, 18

ὦ: 7, 32 ὠμόσιτος: ὠμοσίτου 7, 38 ὠμόφαγος (2): ὠμοφάγους 1, 12 wc: 7, 5, 13, 33, 42 (2); 46 ®]c, 49

TRADUZIONE

O figlio di Europa, prole di Fenice, e del grande Zeus, o tu che regni su Creta dalle cento città ! Io qui giungo lasciati i sacri templi, a cui la trave indigena di cipresso, tagliata da scure dei Calibi e unita con colla di toro, offre precise giunture di copertura. Pura vita conduco da quando divenni iniziato di Zeus Ideo e avendo celebrato 1 tuoni di Zagreo vagante nella notte e i banchetti di carne cruda e avendo sollevato le fiaccole in onore della Madre

essendomi così santificato fui chiamato Bacco dei Cureti.

10

Montana, 15

Indossando vesti tutte bianche,

dei mortali fuggo le nascite e le sepolture
non accostandomi,

e mi astengo dal cibarmi di esseri animati.

20

. alle...

. . . .

accingendosi... bisogna... attacco... essendo voglio da te (sapere.

. inverosimili (?)...

A-.. B - È un misto di duplice natura, di toro e d'uomo. A - Lo sentii dire anche prima; ma come... ? B -- Attaccata sul petto una testa [di toro porta.

10

76

Euripide, Cretesi

A -- Su quattro zampe o su due piedi [cammina ? B -- doppio (doppi ?) irta di nera (pelugine ?)

B>u>u>u»>

A -- e che cosa oltre a ciò ... ? B -- (contro ?) il tafano ... la coda. -... la voce ...? -.. di un (animale) che pascola ... — La mammella della madre o di una vacca [lo ha nutrito ?

15

20

- Lo nutrono 1 genitori ... -... della casa ... ? . al genitori ...? .. mandria (?) ...

(La vendetta ?) quando spira ... dalla Licia

...O figlio di Leto (9) .. Apollo signore .. cantando

... te grande „a Delfi (ai fratelli?)

... figlia di nobile padre

e degli dei ... Coro Minosse

continente (?) ...

... (da) Creta

paura le cose divine [incutono agli uomini saggi .. molta infatti ... . a me ..

25

Traduzione

77

6

prole d’aspetto promiscuo e sterile. 7

Coro Infatti nessun’altra dico che avrebbe osato queste cose; ma tu, o Signore, un male nato dai mali,

pensa bene di nasconderlo. Pasifae Anche se negassi non ti convincerei; perché è ormai completamente chiaro come stanno le cose.

5

Se avessi concesso il mio corpo ad un uomo,

procurandomi un amore furtivo, giustamente sarei apparsa lasciva. Ma ora, giacché sono impazzita per l’attacco di un dio,

soffro e il mio male non è volontario. Infatti non v'è nulla di verisimile: attratta da che cosa del toro fui sconvolta nell'anima dalla turpissima malattia ? Perché avvolto nei pepli spiccava per bellezza e dalla fulva chioma e dagli occhi emetteva un bagliore violaceo, mentre la prima barba ombreggiava il suo mento? Non certo il corpo armonioso ... di uno sposo. E per siffatto accoppiamento nella pelle (di una vacca) che si muoveva .. neppure di figli ... (per) rendere lo sposo. Perché dunque sarei caduta in questa folle malattia ? Il demone vendicatore di costui ha riempito anche me di mali,

10

15

20

soprattutto costui ...

non immolò quel toro che pure aveva promesso di sacrificare al dio del mare, appena fosse prodigiosamente apparso. Per questi motivi si è rivolto contro di te Posidone 25 e ti ha punito e contro di me ha inviato una malattia. Ed ora tu gridi e chiami come testimoni gli dei proprio tu che hai compiuto questi misfatti e mi hai svergognato. Ed io che l’ho generato, anche se per nulla colpevole, ho nascosto il colpo inferto dal volere divino. 30 Ma tu queste cose di tua moglie, o il più sciagurato degli uomini, ritenendole nobili e belle sì da essere mostrate,

le divulghi a tutti come se non ne dovessi essere partecipe. Tu sei la mia rovina, tua è infatti la colpa,

per causa tua io sono malata. Perciò se vuoi uccidermi in mare, uccidimi;

35

78

Euripide, Cretesi sei certo esperto in azioni sanguinarie, in scannamenti e delitti; se poi desideri cibarti della mia carne cruda, fallo pure;

non trascurare 1 tuoi banchetti. Libera dunque e pure da colpe morirò per un castigo che spettava a te.

40

Coro È chiaro a molti che [inviato dagli dei] è questo male; ira ( ?) .., o signore. Minosse Si è affilata dunque la lingua ... grida (gridi?) Avanzate lancia (?) ...

45

prendete la scellerata perché faccia una bella morte e questa sua complice, conducetele dentro la casa e rinchiudetele nel (sotterraneo ?)

affinché non vedano più il disco del sole.

[

Coro Signore frenati; perché il fatto è degno di riflessione; ... di buon consiglio tra 1 mortali.

50

Minosse Ed è stato già deciso di non differire la punizione. 8

O Cretesi figli dell'Ida °9

Tu che sei un falegname non hai fatto opere di falegnameria °10

... l'isola di Creta che aveva in mezzo al mare cento città soggette, come appunto su quest'isola scrisse il sapientissimo Euripide.

COMMENTO

L'attribuzione del frammento ai Cretesi è merito di Bentley (1836 p. [55] ss.), che ha individuato sotto il corrotto ἐν κλεισί del testo di Erotiano ἐν Κρησί e ne ha, quindi, rivendicato l’appartenenza ai Cretesi (cfr. test. 3, fr.

8). I coreuti si rivolgono al re, dichiarando di aver lasciato il tempio di Zeus Ideo (v. 4); si deve dunque immaginare che il loro incontro con Minosse avvenga nella reggia (Bentley 1836, p. [58]). Ma non è assolutamente necessaria

la presenza del re già sulla scena prima del loro arrivo, cioè prima della parodo (fr. 1). Né l’invocazione incipitaria del coro a Minosse (fr. 1, 1 ss.), ne la testimonianza di Porfirio (D. A. 4, 19, cfr. ad fr. 1: λέγουσι δ᾽ οἱ κατὰ τὸν

χορὸν πρὸς Μίνω) ne costituiscono una prova. Anzi è molto probabile che Minosse entri in scena dopo l’invocazione del coro, forse preceduto da qualche altro personaggio di corte (cfr. Introd. cap. 5). Tutte le tragedie di Euripide, tramandate integralmente posseggono un prologo; è molto probabile quindi che un prologo esistesse anche nei Cretesi, ma, allo stato attuale

della nostra documentazione, la parodo (fr. 1) sembra costituire il primo frammento del dramma che risulta attestato (cfr. anche °10).

I Cretesi, da cui prende nome la tragedia, sono 1 profeti (προφῆται) di Zeus Ideo (cfr. Porphyr. D. A. 4, 19 ad fr. 1). In Eur. Bacch. 551 προφῆται di

Dioniso vengono definite le Baccanti ed in [Eur.] Rbes. 970 ss. compare un Βάκχου προφήτης dimorante in un antro sotterraneo (su cui vd. Diggle 1994,

p. 320 ss.). Προφῆται è vocabolo tecnico della terminologia sacrale e designa gli ‘interpreti ispirati della parola divina” (Casadio 1990, p. 280); la medesima accezione sacrale comporta il verbo προφατεύω in Pind. fr. 150 Maehler (uavreveo, Μοῖσα, προφατεύσω δ᾽ ἐγώ). I profeti sono in sostanza i Cureti come essi stessi si definiscono nella parodo (v. 14), cioè i sacerdoti-profeti del culto cretese di Zeus. Le loro tradizionali capacità divinatorie sono attestate anche in relazione al mito di Glauco e di Poliido (Apollod. 3, 3, 3). Per

ulteriori precisazioni vd. Introd. 2, $ 1. 1 Φοινικογενοῦς {παῖ τῆς Τυρίας} τέκνον Εὐρώπης.

V e 1 codici dipen-

denti da V dopo Φοινικογενοῦς hanno παῖ τῆς Tugias; G* e tutta la famiglia

di V presentano la variante παῖς. Già Bothe (1844, p. 168) aveva espunto come glossa παῖ τῆς Τυρίας, mentre Merkelbach (1954, p. 373) preferiva eliminare dal testo téxvov Εὐρώπης, poiché riteneva più facile l’interpolazione di un un nome proprio rispetto a quella di un etnico. Ma in tal modo si51 priva la genealogia di Minosse del primo riferimento (Europa, v. 1), che è esatta-

80

Euripide, Cretesi

mente complementare al secondo (Zeus, v. 2), come sottolineano a ragione

Collard-Cropp-Lee (1995, p. 68). Nonostante l’analogia con Hyps. 1 1 + I4 67, 21 s. Cockle (Tvoía παῖς / Εὐρώπα), |invocata da Cantarella (1964, p. 63) a favore del testo trädito, la variante (παῖς) attestata univocamente nel secondo

ramo Ψ sembrerebbe rispecchiare una fase precedente alla normalizzazione del testo ormai avvenuta nella famiglia di V (xai) e, di conseguenza, indicare che si tratti di una glossa: ció confermerebbe l'ipotesi di Bothe. Secondo la tradizione, qui seguita da Euripide, Europa é figlia di Fenice (cf. e. g. Ξ 321 s.), ma altrove ἃ detta figha di Agenore (cfr. Apollod. 3, 1, 1); per il ratto di Europa e per il suo trasferimento a Creta vd. Apollod. 3, 1, 1. La passione per i tori accomuna Io, Europa e Pasifae (Apollod. 2, 1, 55 3, 1, 1; Mosch. Eur. 44 ss.).

2 Ζηνός. Sebbene la forma Zavóg sia tramandata univocamente da tutta

la tradizione, con l'unica eccezione di L, é sicuramente preferibile la correzione Ζηνός, che é forma già omerica e poetica, e, tradizionalmente, tragica; al contrario Zavòs non compare mai in Euripide. Ζηνός non sembra, in questo caso, aver attinenza con tradizioni cultuali cretesi, nonostante il vocali-

smo con ἢ sia proprio anche dell’area cretese (P. Chantraine, Morpbologie historique du Grec, Paris 19617, p. 197 s.; C. D. Buck, The Greek Dialects, Chicago 1955, p. 34). Ζηνός si alterna, in i questa parodo, con Διός (v. 10, Διὸς

'Ióaiov): ma la forma Διός al v. 2 sarebbe stata impossibile metri causa. 3 Κρήτης ἑκατομπτολιέϑρου riprende l'omerico Κρήτην ἑκατόμπολιν (B

649). E circa 100 erano in Creta, secondo gli archeologi, gli agglomerati urbani già attivi in pieno VII sec. a. C. In x 174 le città cretesi sono 90: la ‘contraddizione omerica' fu oggetto di varie discussioni già in antico (Aristot. fr. 146 Rose’, Ephor. FGrHist 70 F 146, Strabo 10, 4, 15). La talassocrazia di Creta e l'enorme estensione dei suoi domini era forse menzionata anche nell'incipit della tragedia, cfr. in proposito 510 e comm. ad È 5-8 Il significato dei versi ὃ chiaro, 1] testo invece, apparentemente, sembra meno perspicuo, anche se, in ogni caso, é troppo categorico 1l giudizio espresso da Wilamowitz (1907, p. 77 n. 1 "Ausserdem sind die Worte τμηϑεῖσα δοκούς hinter αὐϑιγενής überliefert: dann lässt sich der Satz nicht

verstehen"). C'é un albero originario del luogo, il cipresso, che tagliato in travi e unito con collante di toro fornisce esatte compagini per il tempio. Gli altri editori, a partire da Nauck, conservano solitamente il tràdito oc, intendendo il pronome relativo come riferito grammaticalmente a ναοὺς e il verbo παρέχει costruito con doppio accusativo (obüc e στεγανοὺς), di cui il secondo

dovrebbe

avere valore predicativo e senso passivo (στεγανοὺς coperti).

Sulla scia di Bentley (1836, P. [63]), tutti ad eccezione di Nauck, correggono

i] tradito κυπαρίσσου in κυπάρισσος, e, poi, o traspongono τμηϑεῖσα δοκοὺς dopo στεγανοὺς παρέχει (Austin, Collard-Cropp-Lee, Diggle, Jouan-Van Looy) o addirittura congetturano qualcos'altro al posto di δοκοὺς e insieme ipotizzano di spostare τμηϑεῖσα subito dopo αὐϑιγενὴς (Arnim). Infatti la successione δοχοὺς στεγανοὺς non è ammissibile, tanto che lo stesso Bentley

introduceva στεγανὰς al posto di oteyavovg. E. Fraenkel (Aeschylus. Aga-

Commento

memnon

81

II, Oxford 1962, p. 188 ss.), basandosi sul testo e sull’interpreta-

zione di Nauck, discute puntigliosamente i valori di oveyavóc. Mentre in Aesch. Ag. 358 (δίκτυον στεγανόν) l'aggettivo ha un chiaro valore attivo e si riferisce alla notte che ricopre con la sua tenebra tutta Troia fin dalle sommità, se collegato a termini come οἶκος, δόμος, πύργος o ancora ναός ha valore pas-

sivo (fr. 115, 2 adesp. TrGF; Call. Hymn. 6, 54; Thuc. 3, 21, 4; Eur. Cretes fr. 472, 5 ss. TGA); la nozione espressa da στεγανός implicherebbe dunque l’immagine di un tettoia di protezione. Queste osservazioni non sono state del tutto ininfluenti, perché tra gli esempi dell'aggettivo con significato passivo vengono annoverati anche 1 vv. 5 ss. dei Cretesi (“ναούς ... which the timber, cut into rafters, oteyavovs παρέχει). Sia Austin, sia Collard-CroppLee si richiamano infatti alla dotta nota di Fraenkel, ed anche Cantarella (1963, Ρ. 64), che invece intende στεγανοὺς con valore attivo, non rinuncia

però a citare il commento dell’Agamennone, nonostante la sua interpretazione sia completamente opposta. Quasi tutti non traducono però in modo preciso il punto più delicato del testo che è rappresentato dalla costruzione di παρέχει con doppio accusativo (cfr. supra): Austin parafrasa 1 versi “δὰ fanorum tecta aedificanda cupressi praebent"; Collard-Cropp-Lee (1995, p. 68 s.) ricorrono ad un traduzione a senso (“its roof... furnished by cypress") come Seek (Euripides, Fragmente, der Kyklop, Rhesos, München 1989, p. 201

“die der heimische Balken der Zypresse deckt") e Jouan-Van Looy (2000, p. 323 "auquel l'arbre indigéne ... fournit les poutres du toit ..., donne des emboitages solides, le cyprès”). Il testo infatti reso in modo letterale risulterebbe piuttosto contorto (e. g. "i quali [scz/. templi] il cipresso indigeno ...

rende coperti"). Ma παρέχειν in Euripide non ricorre mai in questa costruzione ed è di norma quasi sempre seguito o preceduto da un complemento

di riferimento al dativo; nelle altre attestazioni, inoltre, a differenza di τίϑημι

(cfr. Call. Hymn. 6, 54 ταῦτα [scil. δένδρεα] δ᾽ ἐμὸν ϑησεῖ oteyavòv δόμον), il verbo, nel senso di ‘rendere, disporre, fare’, presenta come soggetto o una persona o un nomen actionis (cfr. e. g. Xen. Cyr. 1, 2, 5, Oec. 21, 4; Plat.

Phaedr. 274e e Cratyl. 405b) e solitamente mai un oggetto. Evidentemente il luogo della corruzione deve essere individuato altrove, appunto nel primo accusativo che dipenderebbe da παρέχει e che ci si è ostinati, soprattutto dopo Fraenkel, a voler preservare a tutti 1 costi. Per cominciare a restituire una sequenza sintattica e un significato plausibili è necessario, innanzitutto, accogliere al posto di oc (v. 5), chiaramente corrotto, οἷς di Bentley, e conservando il tràdito κυπαρίσσου (v. 8), congetturare invece, come Nauck, con il Vulcanio e lo Scaligero, δοκός (v. 5), che del resto ben si potrebbe celare

sotto doxovg e δορός, rispettivamente di Porfirio e di Erotiano. In ultimo, per quanto concerne l’ordo verborum, lo spostamento di στεγανοὺς dopo Χαλύβῳ πελέκει permette di conservare la rima interna di v. 6 e di costituire una struttura più limpida nella frase, senza produrre alterazioni troppo pesanti. Dunque, a differenza di quanto riteneva Nauck e di quanto poi Fraenkel aveva cercato di documentare, στεγανοὺς che specifica ἀτρεκεῖς ἁρμοὺς,

non ha valore passivo, ma attivo, e va inteso esattamente come in Aesch. Ag.

82

Euripide, Cretesi

358 ‘che ricopre’. Il periodo è in definitiva costruito con una sovrapposizione d’immagini che descrivono come in una sequela di fotogrammi una serie di azioni (il cipresso indigeno viene tagliato in travi da scure la quale è, a sua volta, forgiata con il ferro dei Calibi, e le travi sono unite con un collante, il quale a sua volta è stato prodotto dalle parti vischiose del toro per fornire esatte compagini di copertura), di cui interessa cogliere soltanto il prodotto finale (la precisa e compatta copertura di travi di legno del tempio); il tutto è realizzato con una sintassi ardita e, nel complesso, ne risulta uno stile concettoso e di gusto piuttosto ‘barocco’ (vd. anche infra ad fr. 7). 5 αὐϑιγενὴς. Il cipresso, albero tradizionalmente abbondante sull’isola di Creta (Theophr. Hist. plant. 4, 1, 3 e 2, 2, 2; cfr. anche Plin. Nat. bist. 16, 60, 141 s.; Nicand. Ther. 586; Verg. Georg. 2, 84; Hermipp. fr. 63, 14 PCG) è strettamente connesso col culto di Zeus (Paus. 2, 15, 2), perché del suo legno

era fatto lo scettro del dio (Hermipp. FGH 3 10 F 24; Iambl. De Vit. Pytb. 28, 155), ma è anche rinomato per la sua resistenza alle intemperie (Theophr. Hist. plant. 5, 4, 2; Plin. Nat. bist. 16, 78 s., 212-216), e, perciò, utilizzato fre-

quentemente nella costruzione di templi (Eur. Hyps. fr. 58, 10 Cockle κυπα-

οισσόροφον; Pind. Pyth. 5, 39 κυπαρίσσινον μέλαϑρον con il comm. ad È di P. Giannini in B. Gentili, P. Angeli Bernardini, E. Cingano, P. Giannini, Pin-

daro. Le Pitiche, Milano 2000", p. 523 s.). Significativo è inoltre il ruolo del cipresso in culti ctoni e misterici (cfr. M. Guarducci, ‘Il cipresso dell’oltretomba’, Riv. filol. class. 100, 1972, pp. 322-327): un bosco di cipressi sorgeva a Creta presso l’antica dimora dei Titani (Diod. 5, 66, 1-2); la fonte che deve essere evitata secondo le indicazioni di viaggio fornite nelle cosidette laminette ‘orfiche’ è segnalata dalla presenza, nelle vicinanze, di un cipresso (cfr. Pugliese Carratelli 1993, nrr. 142, 143, IC1, 103, IC6, 707 e comm. ss.).

p. 27

6 Χαλύβῳ πελέκει: Χάλυβος è un vero e proprio aggettivo di materia, vale di ferro per la cui lavorazione erano famosi appunto i Calibi, popolazione del Ponto (cfr. Aesch. Prom. 715 οἱ σιδηροτέκτονες ... Χάλυβες; solita-

mente in Euripide Χάλυβος aggettivo a due terminazioni della prima classe, fr. 751a TGF* e Alc. 980). Il sintagma Χαλύβῳ πελέκει è in opposizione a αὐϑιγενὴς (v. 5) ... κυπαρίσσου

(v. 8). Per oteyavovs cfr. supra.

7 καὶ ταυροδέτῳ κόλλῃ κραϑεῖσ᾽. Si tratta dell'unico caso di enjambe-

ment in tutta la parodo. Generalmente si tende ad accogliere la congettura di Hermann (presso Lobeck 1829, p. 622) come compromesso tra le differenti lezioni tramandate da Porfirio (ταυροδέτῳ κρηϑεῖσ᾽) e da Erotiano (ταυρολέτῳ A, τορολέτῳ HLMO κολληϑεὶς). Poco convincente il tentativo di eliminare dal testo euripideo l’hapax ταυροδέτῳ (Bentley dubitanter p. [62] e

Cantarella 1964, pp. 24, 64 s.). L’aggettivo ha sicuramente una valenza passiva (= ταύρῳ δεδεμένος), riscontrabile usualmente anche negli altri composti

in -detog (cfr. infra); tuttavia risulta difficile comprendere il significato con cui Euripide ha adoperato in questo verso ταυρόδετος. La menzione di Zagreo e la pratica dell’omofagia (v. 11 s.), hanno suggestionato gli interpreti e

Commento

83

li hanno spinti a formulare ipotesi, poco aderenti al testo, sull’esistenza di riti particolari celebrati dai προφῆται di Zeus. Partendo dal significato letterale di ταυρόδετος, cioé ‘legato col toro’, si è immaginato che un rito di

σπαραγμός dell'animale precedesse la costruzione del tempio e che poi, in qualche modo, il sangue del toro lacerato venisse mescolato alle sue compagini; da qui si è passati ad attribuire, un po’ troppo disinvoltamente, a tavΟόδετος il valore di ‘legato, mescolato col sangue di toro’ (cfr. Harrison

1922, pp. 480, 482; Burkert 1977, p. 419 “mit Stierblut versiegeltes Mysterienhaus aus Zypressenbalken”; Verbruggen 1981, p. 76 “et engluées de sang de taureau”; Casadio 1990, p. 281). Ma già Cook (1914, p. 649 n. 5) proponeva d'intendere ταυρόδετος come riferibile al glutinum taurinum ed ora il sintagma poetico ταυροδέτῳ κόλλῃ trova un importante riscontro nell'equivalente prosastico ταυροκόλλῃ, attestato in Polyb. 6, 23, 6 (cfr. Cozzoli 1993, p. 159 s.). I composti con -detog esprimono il legame dell'oggetto, cui si riferiscono, ‘assieme’ o ‘mediante’ la materia che è rappresentata nel primo elemento del composto; quindi il loro campo semantico è piuttosto vasto e, a seconda dei casi, ora prevale il primo concetto (quello di unione), ora il secondo (quello di mezzo). Questi composti sono abbastanza numerosi e ben attestati sin dall’età arcaica: Alc. fr. 350, 2 V. (λάβαν ... χρυσόδεtav); Aesch. Sept. 160 (χαλκοδέτων σακέων); Soph. Ant. 945 (χαλκοδέτοις αὐλαῖς); Herodt. 3, 41 (σφρηγὶς ... χρυσόδετος); Eur. Phoen. 114 (χαλκόδετα ...

ἔμβολα), 805 (χρυσόδετον ... ἀλκήν); Aristoph. Av. 219 (ἐλεφαντόδετον φόομιγγα); Theocr. ep. 5, 4 (κηροδέτῳ πνεύματι μελπόμενος); Antip. Sid. A. pl. 4, 305 (κηρόδετον ... μέλι). Ma già in alcuni di essi è evidente un graduale inde-

bolimento del valore espresso dal secondo elemento -δετος, cosicché si è verificato uno slittamento semantico verso semplici aggettivi ‘di materia’; questa evoluzione è pienamente operante in Eur. 17 1043 χαλινοῖς λινοδέτοις, dove λινοδέτοις equivale a λινοῖς, in modo del tutto analogo alla sineddoche e

alla ridondanza

di ταυροδέτῳ κόλλῃ (cfr. Diggle 1994, p. 342 s.).

8 ἀτρεκεῖς ἁρμοὺς: il cipresso impermiabile e resistente all’intemperie

(cfr. supra), il collante di toro e le precise giunture prospettano l’immagine una struttura templare solida e sottratta ai guasti inesorabili del tempo. 9 ἁγνὸν δὲ βίον. L'éyvóc βίος comporta una serie di prescrizioni rituali indicate ai vv. 16-20: indossare bianchi mantelli, evitare qualsiasi contatto con le nascite e con le morti, astenersi dal cibo animato. La prassi ascetica dei profeti di Zeus Ideo ricorda le caratteristiche degli ’Ogquxoi βίοι, men-

zionati da Platone (Leg. 6, 782c = test. 212 Kern, cfr. anche test. 213 Kern), che un tempo, in qualche luogo della terra, conducevano alcuni uomini: essi, al contrario di altri che praticavano i sacrifici umani, non osavano assaggiare nemmeno la carne bovina e le loro offerte agli dei consistevano unicamente in ἁγνὰ ϑύματα (πέλανοι, μέλιτι καρποὶ δεδευμένοι), dal momento che ritene-

vano empio mangiare carne e macchiare di sangue le are degli dei. Analoghe prescrizioni per raggiungere l’àyveia si riscontrano nelle regole pitagoriche di cui parla Diogene Laerzio nella vita di Pitagora (8, 33 = test. 214 Kern). Non stupisce dunque che il culto cretese di Zeus Ideo sia stato spesso inter-

84

Euripide, Cretesi

pretato, a partire da Kern (1916, p. 554 ss., in particolare, p. 563), in chiave orfica, anche se dubbi e dissensi non sono mancati (cfr. e. g. A. J. Festugière, ‘Les mystères de Dionysos’, Rev. Bibl. 44, 1935, p. 340 ss. = Études de Religion grecque et bellénistique, Paris 1972, p. 38 ss. e Casadio 1990, p. 294 ss.). solo acquisizione recente una più obiettiva valutazione delle testimonianze platoniche e di quelle di ascendenza pitagorica, alla luce della quale ne é conseguito un notevole ridimensionamento del ruolo e dell'importanza dell'orfismo nella cultura greca (E. A. Havelock, Alle origini della filosofia greca. Una revisione storica, Roma-Bari 1996, pp. 121 ss., 151 ss.). Teofrasto

nel περὶ εὐσεβείας fr. 12 Pötscher (= Porphyr. D. A. 2, 20 s.), dopo aver sottolineato che le offerte più antiche erano incruente, menziona due fondamentali testimonianze che dovrebbero confermare le sue affermazioni: le κύρβεις delle leggi ateniesi, che sarebbero state una copia dei rituali coribantici cretesi (ai τῶν ἄττα πρὸς ἀλήϑειαν stoph. Av. 1354, p. ed Empedocle (fr.

Κρήτηϑέν εἰσιν τῶν Κορυβαντικῶν ἱερῶν οἷον ἀντίγραφα cfr. Theophr. περὶ εὐσεβείας fr. 12 Pötscher, Scbol. Ari239 s. Dübner, Phot. x p. 360 Naber s. v., Plut. Sol. 12), 109 Gall. = 118 D.-K.). Nel caso delle κύρβεις ateniesi il

collegamento con Creta é menzionato expressis verbis, per Empedocle, invece, il rapporto con Creta, anche se non esplicitato nel testo, é comunque possibile: in Agrigento, patria di Empedocle, sono sicuramente presenti elementi etnici cretesi (J. Bérard, La Magna Grecia, trad. it. Torino 1963 [Paris 1957], pp. 232 s., 225 ss.) e tradizioni locali di origine cretese possono aver influenzato le speculazioni empedoclee (cfr. Introd. 2, $ 1, p. 21 n. 45). Le offerte incruente a Creta, da un lato, sono effettivamente retaggio di antiche tradizioni

cultuali,

risalenti

al II millennio,

come

dimostra

l'attestazione

della tavoletta della Canea (cfr. ancora Introd. 2, $ 1); dall’altro, esse non

sono incompatibili con altre tradizioni cultuali non necessariamente orfiche. Famoso era infatti a Delo l’altare di Apollo γενέτωρ denominato anche ‘dei

pi o ἀναίμακτος, perché erano proibite offerte di sacrifici animali (T heophr. περὶ εὐσεβείας fr. 13 Pötscher = Porphyr. D. A. 2, 28, Aristot. fr. 489 Rose? )

e nella stessa Atene, all’ingresso dell’Eretteo, esisteva l’altare di Zeus Hypatos, su cui, secondo Paus. 1, 26, 5, ἔμψυχον ϑύουσιν οὐδὲν, πέμματα δὲ ϑέντες

οὐδὲν ἔτι οἴνῳ χρήσασϑαι νομίζουσιν (cfr. Sokolowski, LSCG

nr. 109). Le

prescrizioni del culto di Zeus Ideo sono del resto norme sacrali abbastanza comuni di cui si conoscono varie attestazioni nel mondo greco (vd. e. g. Sokolowski, LSCG nrr. 55, 56, 59, 91, 119, 124, 139, 154; Sokolowski, LSCGS nrr. 91, 106, 115; Sokolowski, LSCAM nrr. 12, 14, 16, 35, 69, 91). In conclu-

sione, una lettura panorfica dell’ascetismo dei profeti è alquanto improbabile; è stato forse l’orfismo, in un certo momento, ad appropriarsi di regole più antiche connotandole di nuovo valore e significato (cfr. E. Tagliaferro, “᾿Αναίμακτος ϑυσία -- λογική ϑυσία. A proposito della critica al sacrificio cruento’, in Sangue e antropologia culturale III, Roma 1983, p. 1579 ss.). I

riti dunque di vv. 10-15 non presentano peculiarità diverse da quelli dionisiaci ricordati da Euripide nella parodo delle Baccanti (v. 72 ss.). teivopev: per il repentino cambio del numero verbale limitato sempre alla prima per-

Commento

85

sona cfr. e. g. fr. 7, 40 s., Eur. Herc. 858, Bacch. 669, IT 349 s., Ion 1250 s.,

Troad. 904. 10 Διὸς Ἰδαίου μύστης. La divinità principale della triade che compare nella parodo è Zeus Ideo. L’associazione Zeus-Dioniso è ora attestata a Creta, a partire dal II millennio a.C., in una tavoletta micenea di recente pubblicazione CH gh 3 (cfr. Introd. 2, $ 1), in cui offerte di miele in onore di Zeus e di suo figlio Dioniso vengono inviate al tempio di Zeus. Sul rapporto privilegiato di Dioniso con Zeus, evidenziato anche a livello etimologico e sulla continuità della presenza di Dioniso nella cultura greca da Omero in poi già si era espresso Privitera (1970, pp. 20 ss., 13 ss.). Nell'an-

tro di Zeus sull'Ida é stata individuata la presenza almeno di una seconda divinità; 51 tratta di una 'signora delle fiere' analoga alla μήτηρ ὀρεία ricordata a v. 13 (cfr. infra). La parodo sembra dunque rispecchiare da vicino la realtà cultuale cretese, probabilmente ben nota anche agli spettatori ateniesi. Non bisogna infatti dimenticare che un cretese, Epimenide, era stato appositamente chiamato ad Atene per liberare e per purificare la città dall'empietà del delitto ciloniano commesso dagli Alcmeonidi (Plut. Sol 12, 1). 11 νυκτιπόλου

Ζαγρέως.

Νυκτιτόλος

corrispondente

a νυκτέλιος,

men-

zionato in Plutarco (De E delph. 3894) come appellativo di Dioniso accanto

a Ζαγρεύς e a 'Iooóaítnc, è tipico di riti dionisiaci e bacchici: sono infatti chiamate νυχτιπόλοι le Baccanti in Eur. Zon 717 e ancora il vocabolo ricorre in Heraclit. 14 D.-K. associato assieme ad altri termini che si ricollegano tutti al culto bacchico (μάγος, βάκχος, λῆναι, μύστης). Limitate sono le testi-

monianze del teonimo Zagreo e si trovano tutte raccolte da Kern in appendice al fr. 210 (cfr. anche W. Fauth, s.v. ‘Zagreus’, RE IX A 2, 1967, col. 2221

ss.), ma sono solo tre le attestazioni anteriori ad Euripide: la prima, appartenente ad un Alcmeonide di autore sconosciuto (fr. 3, p. 33 Bernabé = 3 Davies), in cui Zagreo è invocato insieme a γῆ come πανυπέρτατος ϑεῶν; le altre due si trovano in Eschilo, fr. 5 TrGF, in cui compare Zagreo come un altro teonimo di Plutone, e fr. 228 TrGF, dove Sisifo fuggendo dagli Inferi saluta Zagreo e il molto ospitale padre, ossia Ade. Dalle testimonianze anteriori ad Euripide dunque il nome Zagreo non sembrerebbe avere un chiaro referente cultuale: ora è rivolto ad Ade, ora al figlio di Ade. Zagreo è comunque una divinità a carattere ctonio. L’identificazione Zagreo-Dioniso, esplicita solo con Call. fr. 43, 117 Pf. (= 50, 117 Mass.), ha certo creato numerosi problemi

sul rapporto tra Dioniso e Zagreo e tra Zagreo e Zeus Ideo soprattutto relativamente a questo brano (cfr. Introd. 2, $ 1). L’Et. Gen. AB s.v. Ζαγρεύς (ad

Call. fr. 50, 117 Mass.) spiega, citando Callimaco, che Zagreo è il nome di Dioniso ctonio presso i poeti. Zagreo è forse già in Euripide l'appellativo di Dioniso. Altra questione è il problema dell’origine del teonimo: si tratterebbe di un preziosismo poetico (Casadio 1990, p. 288); o più probabilmente, sulla base della più recente documentazione del culto di Dioniso a Creta, di un appellativo locale e tradizionale cretese (cfr. Introd. 2, $ 1); meno attendibile, allo stato attuale, si dimostra l’ipotesi di un collegamento con ambienti cultuali orfici, poiché il nome di Zagreo non compare né negli

86

Euripide, Cretesi

Inni orfici, nei frammenti, né nei molti riferimenti al mito presenti nelle opere dei Neoplatonici, ma è applicato al Dioniso orfico unicamente in epoca tarda da Nonno di Panopoli (cfr. M. L. West, Orphic Poems, Oxford 1983, pp. 153-154 e Casadio 1990, p. 287 s.). βροντὰς è lezione tràdita, ma

essa è stata variamente corretta nelle prime edizioni del D. A. e, specialmente, dei frammenti euripidei (βιοτάς, βρονταῖς, Bora ecc.). Tra le conget-

ture grande successo continua a riscuotere quella di Diels βούτας / βούτης (1889, col. 1081), consacrata, prima, dall’autorevole intervento di Wilamo-

witz (1907, p. 77 n.1), accolta, poi, da Kern negli Orph. fragmenta (1922, p. 230; cfr. anche 1916, p. 563) e riproposta, ora, nelle più recenti edizioni dei Cretesi (Austin 1968, Collard-Cropp-Lee 1995, Diggle 1998, Jouan-Van Looy 2000). βοὐτας!βούτης costituirebbe una forma sinonimica di βουκόλος,

cioè del termine tecnico cultuale relativo ad un preciso grado iniziatico nelle congregazioni orfiche; perciò, nel testo di Euripide, scompaiono 1 ‘tuoni di Zagreo' e, al loro posto, s'introduce il ‘bovaro’ di Zagreo. Accettando questa congettura nei Cretesi, dunque, risulterebbe attestata la presenza di congregazioni orfiche già a partire dall’età classica, mentre tutta la documentazione, soprattutto epigrafica ad esse relativa, non risale più indietro del periodo ellenistico (Cozzoli 1993, p. 161 n. 35). In realtà βούτης ha sempre

conservato il significato di ‘bovaro’, ‘pastore di buoi’ (e non solo in Euripide), senza mai prestarsi ad una interpretazione metaforica; casomai è βουκόλος che nel corso del V sec. comincia a caricarsi di un valore sacrale sino a

specializzarsi, ma non prima del III sec., come appellativo tecnico-cultuale della religiosità orfica. È quindi del tutto plausibile, come è stato affermato da Casadio (1990, p. 288) che se fossero esistiti anche in epoca classica dei bovari officianti nella sfera del culto dionisiaco, essi avrebbero dovuto portare 1] nome di βουκόλοι e non di βοῦται, perché un termine tecnico del culto

non si presta ad essere sostituito facilmente da un suo sinonimo. Filologicamente perde dunque valore la proposta di correggere βροντάς in βούτας. L'esigenza d'intervenire sul testo nasce non solo dalla durezza sintattica dell'espressione τελεῖν βροντάς, ma soprattutto dall'oscura ed enigmatica forma

di questa celebrazione dei tuoni rituali, di cui peraltro non sono mancati tentativi di spiegazione: J. E. Harrison, Themis. A Study of a Social Origin of Greek Religion, Cambridge 1927", pp. 56-66; Faure 1964, p. 113 s.; Kerényi

1976, p. 83; Burkert 1977. p. 419; Verbruggen 1981, p. 81; Casadio 1990, p.

289 s. Tutte queste esegesi si basano sulla testimonianza porfiriana (Vit. Pyth. 17) dell'iniziazione di Pitagora ai misteri di Zeus Ideo da parte di Morgo, uno dei Dattili Idei, con una λίϑος xegavvia, ‘una pietra di fulmine": la celebrazione dei tuoni consisterebbe in una purificazione con un rito, in cui la pietra di fulmine rivestirebbe un ruolo particolare. E peró preferibile chiarire βροντάς considerando l'analogia acustica avvertita tra 1] fenomeno naturale del tuono (βροντή) e il suono prodotto dal timpano (piuttosto che dal rombo come riteneva R. Pettazzoni, / misteri, Bologna 1924, pp. 19-24). Le due fenomenologie acustiche erano già assimilate in antico come provano Aesch. Edon. fr. 57, 7 ss. TrGF, ψαλμὸς δ᾽ ἀλαλάζει- / ταυρόφϑογγοι δ᾽ ὑπο-

Commento

87

μυκῶνταί / ποϑεν ἐξ ἀφανοῦς φοβεροὶ μῖμοι, / τυπάνου δ᾽ εἰκών, Hot” ὑπογαίου

/ βροντῆς, φέρεται βαρυταρβής, (cfr. anche: Pindar. Dithyr. 2, 9 s. Maehler ὁόμβοι tvxávov; Eur. Bacch. 156 βαρυβρόμων ὑπὸ τυμπάνων), Hero Automatopoietica 20, 4-5, xai γὰρ ἐν τοῖς ϑεάτροις ... ἀγγεῖα ἀποσχάζονται βάρη ἔχοντα, ἵνα φερόμενα ἐπὶ διφϑέρας ξηρᾶς καὶ περιτεταμένης καϑάπερ ἐν τυμπά-

νοις τὸν ἦχον ἀποτελῇ, e, infine, Lucr. 2, 618 tympana tenta tonant; la celebrazione dei tuoni riguarda dunque l'uso del timpano nei riti iniziatici di Zeus Ideo e dei Cureti come aveva già intuito Cook (1914, p. 650), rituale ben documentato sia archeologicamente dai ritrovamenti di timpani nella grotta di Zeus sull’Ida (cfr. Introd. 2, $ 1) sia letterariamente dallo stesso Eu-

ripide che Cureti di (Aristoph. questione

attribuisce Creta per Vesp. 119, rimando a

in Bacch. 120-134 l’invenzione del timpano proprio ai nascondere i vagiti del piccolo Zeus al padre Crono Strabo 10, 3, 11, p. 468c e Lucr. 2, 610 ss.). Su tutta la Cozzoli 1993, p. 161 ss.

12. τάς τ᾽ ὠμοφάγους

δαῖτας τελέσας.

Bergk

(Poetae

Lyrici Graec

Il,

Lipsiae 1882^, p. 32), in nota al fr. 18 di Mimnermo (- 16 Gent.-Pr.) aveva proposto

di correggere

τάς 1’ ὠμοφάγους

δαῖτας

in τοὺς ὠμοφάγους

δαίτας

sulla base di Hesych. ὦ 218 Schm. che glossa à. ὃ. τοὺς τὰ ὠμὰ κρέα μερίζοντας καὶ ἐσϑίοντας (cfr. Hesych. ὃ 110 Latte daitas: μεριστάς). Il suggerimento

fu subito accolto da Nauck nella sua seconda edizione, ma la correzione non convince. Innanzitutto difficilmente si può attribuire un duplice significato a τελέσας, cioè quello di ‘compiere/celebrare’ in rapporto a βροντάς e quello di ‘iniziare / compiere un'iniziazione' in rapporto a τοὺς à. è.; in secondo luogo ‘l’iniziazione dei divisori omofagi’, introdotta all'interno dei riti idei, impone una ricostruzione del tutto improbabile delle varie fasi della cerimonia in onore di Zeus cretese. L'áyvóc βίος— preciserebbe il coro dei profeti di Zeus Ideo— ha inizio nel momento in cui essi entrano in rapporto col culto del dio; ne divengono poi misti attraverso una triade di riti che sanciscono formalmente e solennemente il loro passaggio alla condizione di ὅσιοι, e, solo allora, acquistano l’appellativo di βάκχοι. Le cerimonie enumerate sarebbero: 1) la celebrazione dei riti dei tuoni di Zagreo (cfr. supra); 2) l’iniziazione dei sacerdoti omofagi (δαῖται ὠμοφάγοι); 3) il sollevare le fiaccole in

onore di Rea. Ma queste celebrazioni sono ricordate dai coreuti come compiute non nel loro ruolo attuale di profeti del dio, bensì ancora in qualità d’iniziandi, ed ora, da profeti, essi ripercorrono all’indietro il cursus che li ha condotti alla situazione presente. Accogliendo la correzione di Bergk, quindi, all’interno dei riti che sono finalizzati alle τελεταί dei misti si dovrebbe ipotizzare un’altra τελετή, quella dei ‘sacerdoti omofagi’, di cui sarebbero autori gli stessi iniziandi di Zeus Ideo; in una fase delle cerimonie, e solo in questa, i futuri profeti svolgerebbero una doppia e contraddittoria funzione d'iniziandi e d’iniziatori. Dunque, sostanzialmente si arriverebbe all’assurdo di dover affermare che iniziandi, non ancora divenuti misti, ricoprano il ruolo di soggetti attivi (uvoraywyoi) in una cerimonia d'iniziazione

che per di più fa parte integrante della propria. Evidentemente si tratta, come riteneva anche Wilamowitz in prima istanza (differente la sua seconda

88

Euripide, Cretesi

ipotesi, cfr. Wilamowitz 1959, II p. 183 s.), di un autoschediasma di qualche scoliaste, passato poi nella lessicografia. Un tentativo di conciliare testo euripideo e glosse esichiane risale a Cantarella (1964, pp. 24 s., 65, 143), che,

accogliendo a v. 11 la congettura βιοτάς del Valentinus (ed. di Porfirio D.A., Cambridge 1655), proponeva al v. 12 δαῖτας (nom. sing.) come un altro appellativo dei profeti di Zeus. Ma la soluzione adottata da Cantarella si presta a due obiezioni: da un lato βιοτάς al v. 11 andrebbe inteso nel significato di ‘vitto/cibo’ non documentato rispetto a quello comunemente attestato di ‘modo

di vita/

mezzi

di sussistenza’;

dall'altro,

βιοτή

nell'accezione

di

‘vitto/cibo’ o addirittura di ‘modo di vita/ sostentamento’ non può essere qualificata come ὠμόφαγος poiché l'omofagia, in queste cerimonie, costituisce un rituale episodico limitato ad un momento sacrale, che doveva considerarsi unico e al di fuori dalla rigida pratica vegetariana della quotidianità. Per spiegare l'origine delle glosse va considerata la difficoltà d'intendere l'aggettivo ὠμόφαγος con valore e significato passivo, mentre solitamente ἃ

attestato nel significato attivo; tuttavia non pochi composti di dipendenza regressiva con suffisso -oc hanno entrambi i significati, sia attivo che passivo, e Da contrapposizione viene spesso marcata da accentuazione oppositiva, in questo caso, ὠμοφάγος

attivo — ὠμόφαγος passivo (cfr. J. Vendryes,

Traité

d'accentuation grecque, Paris 1945, pp. 192-195). Di questa opposizione (ὠμοφάγος - ὠμόφαγος) non esistono testimonianze da parte dei grammatici, ma, oltre ad un significato passivo almeno implicito attestato in Eur. Bacch. 139 ὠμοφάγον χάριν, un valore sicuramente passivo di ὠμόφαγος è docu-

mentato in Senocrate (I sec. d.C.;

Ρ̓

ΜΟῚ, p. 133); si tratta, nell'ultimo caso,

di un neutro plurale (ὠμόφαγα) riferito a cibi (pesciolini) conservati in sala-

moia che si possono ‘mangiare crudi’. In fr. 7, 38 l’aggettivo ὠμόσιτος presenta un’analoga utilizzazione; ricorre cioè nella sua accezione meno comune (passiva), anche se per ὠμόσιτος non è ipotizzabile un’accentuazione

oppositiva che ne distingua i due valori (cfr. comm. ad /.). Comunque il glossema (‘coloro che dividono le carni crude in porzioni e le mangiano”) tradisce una fonte grammaticale impregnata di conoscenze omeriche, una fonte a cui dovevano essere ben note le discussioni aristarchee sul valore di δαίς (cfr. Pfeiffer 1973, p. 191 ss.); Aristarco, come sappiamo dalle citazioni degli scoli (Eustath. 44 A 5, p. 19, 45 e ad B 467, p. 256, 8 Stallbaum; Athen. Epit. 1, 12f), interpretava etimologicamente δαίς dalla stessa radice di δαίοpar come ‘porzione di cibo equamente ripartita’ e, perciò, riteneva possibile riferire 1] termine solo ad esseri umani di consuetudini ormai civili. Inoltre la correzione proposta da Bergk cade definitivamente in base a due ulteriori constatazioni: il sintagma δαῖτα τελεῖν appartiene al livello di una terminologia sacrale ormai ben stilizzata, come prova la sua occorrenza nel contesto religioso della celebrazione della festa delle Talisie in Theocr. 714. 7, 31 ss. (cfr. I. s. ad fr. 1, 12); mentre μεριστής sinomino e glossema di δαίτης in He-

sych. è 110 Latte è piuttosto tardo ed è attestato col valore non sacrale di ‘divisore di beni/ arbitro/ mediatore’ nel Nuovo Testamento (cfr. e. g. Luc.

12, 14).

Commento 13. ιμητρ

τ᾽ ὀρείᾳ δᾷδας ἀνασχών.

Per l'associazione di omofagia,

89 uso

dei timpani e oribasia nei culti dionisiaci e orgiastici cfr. Eur. Bacch. 135155. Il ee con la ‘madre montana’, la Μοῦσα (