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Italian Pages 1122 Year 1984
ENCICLOPEDIA VIRGILIANA
ISTITUTO DELLA
ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI
ROMA
�
PROPRIETÀ ARTISTICA
E
LETTERARIA RISERVATA
COPYRIGHT
BY
ISTinJTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.P.A. 1987
12840· 1 - Stabilimenti T ipolit ogralici
•
E. A riani • e • L 'Ane deUa Stampa • della S.p . A. Armando Paoletti - Fi renze
Stampato in lta/,o - Pnnted in ltoly
ISTITVTO DELLA
ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI
PRESIDENTE GIUSEPPE ALESSI
VICEPRESIDENTI GIANNINO PARRAVICINI - GIULIANO VASSALLI
CONSIGLIO SCIENTIFICO �IASSIMILIANO ALOISI; LUIGI AMERIO; ARNALOO M. ANGELINI; ROSARIO ASSUNTO; SAVERIO AVVE DlTfO; IGNAZIO BALDELLI; ALESSANDRO BERETIA ANGUISSOLA; GILBERTO BERNARDINI; VITIORE BRANCA; VINCENZO CAGLIOTI; MARIO CONTI; SERGIO COlTA; LUIGI DADDA; FRANCESCO DELLA CORTE; AUGUSTO DEL NOCE; ALOO DE MADDALENA; CIRO DE MARTINO; ALOO DURO; VITIORIO ER SPAMER; ALESSANDRO FAEOO; OOMENICO FAZIO; FRANCESCO GABRIELI; EUGENIO GARIN; MASSIMO SEVERO GIANNINI; LMO GRATION; TULLIO GREGORY; NATALINO IRTI; FRANCO LOMBARDI; GIO VANNI BATTISTA MARINI-BETIOLO MARCONI; GIUSTO MONACO; GIUSEPPE MONTALENTI; SABATINO MOSCATI; GIUSEPPE PADELLARO; BRUNO PARADISI; GIANNINO PARRAVICINI; MASSIMILIANO PAVAN; :VIARIO PEDINI; GIORGIO PETROCCHI; PIETRO PRINI; GIOVANNI PUGLIESE CARRATELLI; ERNESTO QUAGLIARIELLO; ANGIOLA MARIA ROMANINI; LUIGI ROSSI BERNARDI; CARLO RUBBIA; FRANCESCO SANTORO PASSARELLI; VITO SCALIA; DELFINO SIRACUSANO; FRANCESCO SISINNI; GIOVANNI SPAOO LINI; PAOLO SYLOS-LABINI; CORRADO TALIANI; ROBERTO TUCCI; GIULIANO VASSALLI; SALVATORE VILLAR!; ANTONINO ZICHICHI
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE FERDINANOO VENTRIGLIA, Direttore Generale del Banco di Napoli; GIANNINO PARRAVICINI, Presidente del Banco di Sicilia; PIERO BARUCCI, Presidente del Monte dei Paschi di Siena; MARIO FORNARI, Direttore Generale del l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni; GIUSEPPE LA LOGGIA, Presidente dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
DIRETTORE GENERALE VINCENZO CAPPELLETTI
COLLEGIO SINDACALE PASQUALE CAROPRESO - CARLO BELLANI; ALFREOO MAGGI; ANTONIO MAROTTI; TOMMASO PALMI· SANI. FERDINANOO IZZI, Delegato della Cone dei Conti
ENCICLOPEDIA VIRGILIANA
DIRETIORE FRANCESCO DELLA CORTE
COMITATO DIRETTIVO FERDINANDO CASTAGNOLI - MASSIMILIANO PAVAN - GIORGIO PETROCCHI
REDATIORE CAPO UMBERTO COZZOLI
REDAZIONE Preparazione dei testi: SERENA ANDREOTTI RAvAGLIOLI, ANTONIETTA BuFANO, MARISA CIMINO, NICOLA PARISE. Revisione: SIMONA BATTAGLIA, FILIPPO SALLUSTO. Segretaria della Presidenza e della Direzo i ne Generale dell'Istituto: CLARA PARUNA. Segreteria della Redazione: LUIGIA CECCHINI, AuRORA CoRVESI. Illustrazioni: FRANCESCO GuADAGNINI, MARIA LuiSA MoRRICONE MATINI, DoMENICO CAPORILLI, PAOLA SALVATORI CoTENJ. MARISA D 'AMico, segreteria. Hanno collaborato MARCELLO FAGIOLO e FEDERICA PiccJ RILLO.
COLLABORATORI DEL TERZO VOLUME MARrA GRAZIA AccoRSI, Università di Bologna fRANCESCO AooRNO, Università di Firenze MrcHAEL VON ALBRECHT, Università di Heidelberg GrAN CARLO ALESSIO, Università della Caillbn'a LUIGI ALFONSI, Università uttolica del Sacro Cuore, Milano MARIA LuiSA AMERIO, Università di Bari MADDALENA ANDREUSSI, Università di Roma LA Sa pienza MARIA GABRIELLA ANGELI BERTINELLI, Università di Genova ANNA GIULIA ANGELONE DELLO VICARIO, Napoli GIACOMO ANNIBALDIS, Università di Bari GrAMPIERA AltRIGONI, Università di Milano DAVID AsHERI, The Hebrew University, Gerusalemme BARRY BALDWIN, Universitil di ulgary, Alberta ENEA BALMAS, Università di Milano GIUSEPPINA BARABINO, Università di Genova GIOVANNI BARRA, Istituto Universitario di Magistero Suor Orso/a Benincasa, Napoli
ALDo BARTALUCCI, Università di Pisa ANTONIO M. BATTEGAZZORE, Università di Genova HuGo F. BAUZÀ, Università di Buenos Aires Huco BEIKIRCHER, Thesaurus linguae LAtinae, Mo naco di Baviera GIAN GuiDO BELLONI, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano AuRELIO BERNARDI, Università di Pavia RosELLA BERNARDINI, Università di Roma LA Sapienw MICHELE BEVILACQUA, Università di Bari UGo BIANCHI, Università di Roma LA Sapienza GERARDO BrANCO, Università di Parma PIERO BOITANI, Università di Roma LA Sapienza MAYOTTE BoLLAC K, Università di Li/le III GIORGIO BoNAMENTE, Università di Macerata MARIA BoNAMENTE, Università di Roma LA Sapienza FRANCESCA BoNANNI, Università di Roma LA Sapienza MARIO BONARIA, Università di Genova SANDRO FruPPO BoNol, Università di Pisa VII
MARIELLA BoNVICINI, Università di Bologna FRITZ BoRNMANN, Università di Firenze LuciANO BosiO, Università di Padova LoRENZO BRACCESI, Università di Venezia GIOVANNI BATTISTA BRONZINI, Università di Bari GIORGIO BRUGNOLI, Università di Pisa P. A. BRUNT, Università di Oxford GABRIELE BURZACCHINI, Università di Bologna ANTONIO CADEI, Università della Basilicata FRANCIS CAIRNS, Università di Liverpool GuALTIERO CALBOLI, Università di Bologna LuciA CALBOLI MoNTEFUSCO, Università di Bologna MARGHERITA CANCELLIERI, Università di Roma La Sapienza
FuLVIO (ANCIANI, Università di Trieste MARIO CANTILENA, Università di Venezia ANToNIO CAPIZZI, Università di Roma La Sapienza lùTA CAPPELLETTO, Università di Urbino FILIPPO CAPPONI, Università di Genova MARIA (ARACI VELA, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale, Cremona
UGo CARRATELLO, Università della Tuscia ANGELO CASANOVA, Università di Firenze GIOVANNI CASERTANO, Università di Napoli FILIPPO (ÀSSOLA, Università di Trieste FERDINANDO CASTAGNOLI, Università di Roma La Sa pienza
GIOVANNI CASTELLI, Asti PIERANGELO CATALANO, Università di Roma La Sapienza
ALBERTO CAvARZERE, Università di Padova FRANCO CAVIGLIA, Università di Roma La Sapienza MARCO CERRUTI, Università di Torino FRANçOis CHARPIN, Università di Limoges GIOACHINO CHIARINI, Università di Venezia ILEANA CHIRASSI CoLOMBO, UniverSità di Trieste LuciANO C1cu, Università di Sassan· PALMIRA CIPRIANO, Università di Roma La Sapienza MARIO CITRONI, Università di Firenze SANDRA CITRONI MARCHETII, Università di Siena MICHELE CocciA, Università di Roma La Sapienza EDOARDO CoLEIRO, Università di Malta GIOVANNI CoLONNA, Università di Roma La Sapienza LoRIS CoLUCCI, Università di Chieti CARLO CoRBATO, Università di Trieste CLEMENTINA CORBELLINI, Istituto Italiano per la Storia Antica, Roma
FEDERICA CoRDANO, Università di Roma La Sapienza DARIO M. Cosi, Università di Padova VIRGINIO CREMONA, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
LIA RAFFAELLA CRESCI, Università di Genova GIULIANO CRIFÒ, Università di Perugia VICENTE CRIST6BAL L6PEZ, Università di Madnd RosA MARIA D'ANGELO, Università di Catania GIOVANNI D'ANNA, Università di Roma La Sapienza lùTA DEGL'INNOCENTI PIERINI, Università di Firenze FANNY DEL CHICCA, Università di Cagliari FRANCESCO DELLA CORTE, Università di Genova GABRIELLA DEL MoNACO, Università di Napoli MARIA DE MARco, Università di Perugia VIli
CESIDIO DE MEo, Università di Bologna FRANCESCO D'EPISCOPO, Università di Napoli ANToNINO DE RosALIA, Università di Palermo (ARL DEROUX, Università di Bruxelles ARTURO DE V1vo, Università della Calabria OLIVIERO DILIBERTO, Università di Caglian· ENRICO D1 LoRENZO, Università di Salerno ANToNELLA D1 MAuRo ToorNI, Università di Roma La Sapienza
RosALBA DIMUNDO, Università di Bari IVANO DIONIGI, Università di Bologna MARIO D1 PINTO, Università di Nap ol i GENNARO D'IPPOLITO, Università di Palermo VINCENZO D'ORIA, Università di Ban · ÉTIENNE EVRARD, Università di Liegi RENATA FABBRI, Università di Venezia EMILIO FACCIOLI, Università di Firenze SILVANA FASCE, Università di Sassari MARIA LUISA FELE, Università di Caglian· ALESSANDRO Fo, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale, Cremona
GABRIELLA FoCARDI MONAMI, Università di Firenze )ACQUES FoNTAINE, Institut de France, Parigi ALESSANDRO FRANZOI, Università di Venezia EMILIO GABBA, Università di Pavia EMILIO GALVAGNO, Università di Catania GIOVANNI GARBUGINO, Università di Genova PAOLO GATTI, Thesaurus linguae Latinae, Monaco di Baviera
REMo GELSOMINO, Università di Siena SALVATORE GENNARO, Università di Catania MARIO GEYMONAT, Università di Siena PIERO A. GIANFROTIA, Università di Roma La Sapienza
PoMPEO GIANNANTONIO, Università di Napoli VALERIA GIANNANTONIO, Università di Chieti GIANCARLO GIARDINA, Università di Bologna DAVIDE GIORDANO, Università di Bologna )EAN Lou1s GIRARD, Università di Strasburgo Il FAUSTO GoRlA, Università di Torino WoLDEMAR GòRLER, Università del Saarland, Saar briicken
StMONETIA GRANDOLINI, Università di Perugia MARIA GRAZIA GRANINO, Istituto Italiano per la Sto na Antica, Roma
CESARE GRASSI, Università di Firenze MARIA TERESA GRAZIOSI, Università di Roma La Sa pienza
AULO GRECO, Università di Roma La Sapienza EMANUELE GRECO, Istituto Universitan·a Orientale, Napoli
IsABELLA GuALANDRI, Università di Milano ROBERTO GuERRlNI, Università di Siena )OSEPH HABBl, Accademia Irachena, Bagdad )OSEPH HELLEGOUARC'H, Università di Parigi N Sorbona
)ACQUES HEURGON, Institut de France, Parigi NICHOLAS HoRSFALL, Università di Londra GioRGIO )ACKSON, Università della Calabria RoBERTO )ACOANGELI, Pontificio Ateneo Salestano. Roma
PIETRO )ANNI, Università di Macerata SERGIO INGALLINA, Università di Genova �!ARIA GRAZIA IODICE DI MARTINO, Università di Roma La Sapienza A:-.TONINO ISOLA, Università di Cagliari liRO KAJANTO, Università di Helsinki . THOMAS EoMUND KINSEY, Università di Glasgow EGIL KRAGGERUD, Università di Osio IsABELLA LABRIOLA, Università di Bari VINCENZO LA BuA, Università di Bari WALTER KIRKPATRICK LAcEY, Università di Auckland, Nuova Zelanda ANTONIO LA PENNA, Università di Firenze DOMENICO LASSANDRO, Università di Bari RENATO LAuRENTI, Istituto Universitario Orientale, Napoli ECt;ARD LEFÈVRE, Università di Friburgo LurGr LEHNUS, Università di Genova LuciANO LENAZ, Università di Padova CLAUDIO LEONARDI, Università di Firenze LurGr RAFFAELE LEONE, Università di Lecce RoGER LESUEUR, Università di Toulouse-Le Mirai/ ADOLF LIPPOLD, Università di Regensburg ADDOLORATA LIUZZI, Università di Lecce RoBERT B. LLOYD, Randolph Macon Woman's Colle?,e. Lynchhurg, Virginia GrovANNI LOBRANO, Università di Sassari VALERIA LoMANTO, Università di Torino MASFRED LossAU, Università di Trevin· ALDo LUNELLI, Università di Padova 0RESTE MACRl, Università di Firenze GL-.NFRANCO MADDOLI, Università di Perugia GIGLIOLA MAGGIULLI, Università di Genova �lARIANO MALAVOLTA, Università di Roma Tor Verfl.tJla LAURA MANCINELLI, Università di Torino Gumo ACHILLE MANSUELLI, Università di Bolo[!.na TERESA MANTERO, Università di Genova GrA�IPIETRO MARCONI, Università di Roma La Sa· p1enza ZACCARIA MARI, Roma 1\1:-.0 MARINONE, Università di Torino EGoN MAR6TI, Università Attila ]O�se/. Szc[!.cd, UnJ!.hr:·rriJ ,\lARIO MARTI, Università di Lecce A:-.TONIO MARTINA, Università di Roma La Sapienza GIORGIO MASELLI, Università di Bari .\IARCELLO MASSENZIO, Università di Roma Tor Ver· fl..Jta PAOLO MASTANDREA, Università di Venezia ALF.XANDF.R GoRDON McKAY, Mcll1aster University, l/ami/ton, Ontario Rt:SSEL MEIGGS, Università di Ox/ord ,\lARIO MELLO, Università di Salerno FRA:-iCESCO MrcHELAZZO, Università di Firenze RosETTA MIGLIORINI FISSI, Università di Perugia CEI.F.STINA MILAN!, Università di Verona A:-.TOSINO M. MILAZZO, Università di Catania V1sorg., rev. and enlarged by H. Nettleship, 1881•, rev. by F. Haverfìeld, 18985; 11, Aen. 1-6, rev. by H. Nettleship, 1884•; 11� Am. 7-12, rev. by H. Nettleship, 18831; rist. Hiidesheim 1963. H. Godzer R Durand, Virgile, Bu coliques, Paris 1925; G�orgiques, Paris 1926; t.néide 1-6 (Goelzer-Bellesson), 1925; 7-12 (Durand-BeUessort), 1936; 1961-197010• .
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LESSICI E INDICI W. Ott, Metrische Ana(vsen zu Vergil
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RACCOLTE, PERIODICI, ENCICLOPEDIE
M
A&A
MHG
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Archaologischer Anzeiger. Berlin. Antike und Abendland. Beitrage zum Verstandnis der Griechen und Romer u nd ihres Nachlebens. Berlin. Anzei fiir die Altertumswissen schaft, hrsg. von der Oesterreichischcn Humanist. Gesellschaft. Innsbruck. Atti e Memorie dell'Accademia Virgi· liana di Mantova. Mantova. Atti della R. Accademia di Archeolo gia, Ler tere e BeUe Arti di Napoli. Napoli .
AAntH ung MP AAPal MPat
AArch AAT
Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae. Budapest.
Atti deU'Accademi� Pontaniana. Na poli.
Ani dell'Accademia di Scienze, Lettere ed Ani di Palermo. Palermo . Ani e Memorie dell'Accademia Pata vina di Scienze, Lertere ed Arti , Classe di Scienze morali, Lettere ed Ani. Pa dova. Acta Archaeolo�ica. Kobenhavn. Atti della Accademia delle Scienze di
AATC AAWM
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ADAW AE Aegyprus Acvum AFC AFFB AFLB AFLC
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Torino, Classe di Scienze morali, stori· che e filologiche. Torino. Atti e Memorie dell'Accademia To scana La Colombaria. Firenze. Abhandlungen der Akademie der Wis· senschaften in Mainz, Geistes· und so zialwisscnschaftliche Klasse. Wiesba· den. Anzeiger der Oesierreichischen Aka dcmie der Wissenschaften in Wien, Philos.-Hist. Klasse. Wien. Abhandlungen der Bayerischen Aka dcmie der Wisscnschaftm, Philos.· Hist. Klasse. Miinchen. L'Antiquité Classique. Louvain-la Neuve. Acta Classica Universitatis Scientiarum Debrecc:nicnsis. Debrecen. Acta Classica. Proc:eeding s of the Clas sical Association of South Africa. Cape TOWIL Acme. Annali della Facoltà di Filosofia e Lettere dell'Università statale di Mi lano. Milano. Abb,tndlungen der Deutschen Akade· mie der Wisscnschaften zu Berlin, KJ. fUr Sprache, Lit. und Kunst. Berlin. L'Année f:pigraphique. Paris. Aegyptus. Rivista italiana di Eginolo· gia e Papirologia. Milano. Aevum. Rassegna di Scienze storiche, linguistiche e filologiche. Milano. Anales de Filologia Cwica. Buenos Aires. Anuario de Filologia. Facultad de Fi· lologia. Barcelona. Annali della Facoltà di Lettere e Filo sofia di Bari. Bari. Annali della Facoltà di Lettere, Filo sofia e Magistero dell'Università di Cagliari. Cagliari. Annales de la Faculté des Lettres· et Sciences humaines de I'Université de Dakar. Paris. Annali della Facoltà di Lettere di Lecce. Lecce. Annali della Facoltà di Lettere e Filo sofia, Università di Macerata. Padova. Annali della Faailtà di Lettere e Filo sofia della Università di Napoli. Na poli. Annales de la F aculté des Lettres et Scicnces·humaines de Nice. Nice. Annali della Facoltà di Lettere e Filo sofia di Padova. Firenze. Annali della Facoltà di Lettere e Filo sofia, Università di Perugia. Perugia. Annali della Facoltà di Magistero del l'Università di Bari. Fasano. Annali della Facoltà di Magistero del l'Università di Cagliari. Cagliari.
AFML
Annali della Facoltà di Magistero del l'Università di Lecce. Bari. AFMP Annali della Facoltà di Magistero del l'Università di Palermo. Palermo. AHAW Abhandlungen der Heidelberger Aka demie der Wissenschaftcn, Philos.. Hist. Klasse. Heidelberg. AHMA Archives d'Histoire doctrinale et litté· raire du Moyen Age. Paris. AION larcheoll Annali dell'Istituto universitario Orientale di Napoli. Seminario di studi del mondo classico. Sezione di archeologia e storia antica. Napoli. AION (filol) Id., Sezione filologico-letteraria. Na poli. AION ilingl Allirv. Annali del Seminario di studi sul mondo classico dell'Istituto univer sitario Orientale di Napoli, Sezione linguistica. Pisa. AIPh Annales de l'lnstitut de Philosophie. Bruxelles. AIPhO Annuaire de l'lnstitut de Philologie et d'Histoire Orientales de I'Université Libre de Bruxelles. Bruxelles. Arv Ani dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Classe di Scienze mo rali e Lettere. Venczia. AJA American Joumal of Archaeology. New Yorlc. AJAH American Joumal of Ancient History. Cambridge, Mass. AJPh American Journal of Philology. Batti more. AKG Archiv fi.ir Kulturgeschichte. Koln. Akroterion Ak!'O(erion. Quarterly for the Classics in South Africa. Stellenbosch. Alterrum Das Altertum, hrsg. vom Zcntralinst. fi.ir Alte Gesch. und Archiiol. der Dt. Akad. der DDR Berlin. AMAre Ani e Memorie dell'Arcadia. Roma. AncSoc Ancient Society. Louvain. ANRW Aufstieg und Niedergang der rami schen Welt, a c. di H. Temporini-W. Haase, Berlin-New York 1972 ss. Antichthon Antichthon. Joumal of the Australian Society for Classical Studies. Sydney. A&R Atene e Roma. Rassegna trimestrale dell'Associazione Italiana di Cultura Classica. Firenze. Arcadia Arcadia. Zeitschrift fiir vergleichende Literarurwissenschaft. Berlin. ArchOass Archeologia Classica. Rivista della Scuola naz. di Archeologia, pubbl. a cura degli Istituti di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana e di Etruscologia e antichità italiche del· l'Università di Roma. Roma. Arctos Arctos. Acta philologica Fennica. Hel sinki. Arethusa Arethusa. A Journal of Wellsprings of Western Man. Buffalo, N.Y. Xlii
Argos
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Argos. Revista de la Asociaci6n argen· tina de Estudios clasicos. Buenos Aires. Analccta Romana Instituti Danici.
Odense.
Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere c Filosofia. Pisa.
Athenacum. Studi periodici di Lette· ratura c Storia dcii'Antichità. Pavia. Annales Univcrsitatis Budapcstincnsis .dc Rolando ESsioni declamatorie anche nel i pez•.o chiuso; la varietà formale dell'aria; !"nteresse per i pezzi d"in· sicme; !"uso interessante del!"armonia; !"incremento del redrarivo ac·
JOMMELU ej�nato (al qual< automaticamente corrisponderebbe l'innalzarsi della tel\$ione drammatica).
In tal modo era possibile inserire J. « riformatore,. in una linea ideale che sarebbe andata da Monteverdi sino a Gluck e, naturalmente, a Wagner, ponendolo al di sopra di qudla sona di zona depressa che era, per la musicologia tedesca del secolo scorso, il Settecento melodrammatico italiano. Si esaltavano cosl le diffe renze che avrebbero separato J. dalla tradizione ita liana, le quali oggi, alla luce di una più approfondita conoscenza dei 'maestri' di J. (Feo, Leo e Hasse in primo luogo, ma anche Vinci, Sarro, Durante, Man cini) e dei contemporanei e immediati successori !quali Sacchini e Piccinni, e poi Paisiello e Cimarosa) si rivelano molto meno accentuate di quanto non sembrassero ai tempi dell'Aben. Prospettando J. come un «Gluck italiano», secondo l'infelice defini zione che ebbe poi tanto successo, si dimenticava che se di «verità drammatica,. e «coerenza psicologica ,. si può parlare per il suo melodramma (termini, peraltro, estranei all'estetica del tempo), esse si attuavano in primo luogo nella ben architettata successione delle singole arie, fissate nel tessuto connettivo dei recitativi !accompagnati o no), e si esprimevano principalmente tramite la varietà e ricchezza di stilemi vocali diversi, legati ai singoli «affetti». Non è un caso, infatti, che nella maturità, q uando J. viene sperimentando tutte le possibilità che il linguaggio melodrammatico gli offre, continui a potenziare lo splendore vocale e la funzione strutturale della grande coloratura espressiva di tradi zione italiana, percorrendo un itinerario opposto ri speno a quello di Gluck. Ci sembra dunque che le tre Didoni non debbano necessariamente considerarsi come superiori l'una al l'altra in ordine di tempo, ma semplicemente come tre opere diverse fra loro in maniera significativa perché destinate a tre committenze differenti e nate in tre di \'ersi momenti della lunga attività di Jommelli. La musica dell'Enea nel Lazio ci è nota soltanto nella seconda versione. M. Verazi, autore della prima stesura del libretto e del rifacimento del 1766, è stato di volta in volta giudicato un conservatore o un rifor matore, un epigono metastasiano o un filo-francese, un "minore• privo d'interesse o un librettista imponante. In realtà egli opera cenamente nell'alveo della tradi zione metastasiana, ma sa tener conto delle esigenze del pubblico per il quale scrive; cosl nell'Enea l'argo mento. liberamente desunto da V., richiede pochi per sonaggi !Enea, Latino, Turno, Lavinia, Giuturna e �lezenzio); non mancano cori e pezzi d'insieme e scene d'cffeno, come quella introduttiva per soli e coro, e quella in cui l'ombra di Didone compare a La vinia ratto 1°, scena 8'; nella versione del 1755, come si ricava dal libretto, invece di Didone figurava il per sonag!(io di Aceste). Rispetto alla terza Didone, l'Enea m·/ LJ�io del 1766 è opera musicalmente più felice e intercssame. La sinfonia è nei consueti tre tempi (Al lOnaggio di rilievo: è detto crinitus. cpitno at tribuito ad Apollo tE 9, 638); suona una lira d'oro, �ndo Onzio I.larun�. T1111� l� o�rt, versione, intr. < not� di E. Ce ca modnna � t1 ftl. tra�ulu. Ftrcrw: 1966; G. Calbuli, u lin;,wuti tmn 1 rom. l!oln�na 19751; A. Wlosok, V"Rilt Dtdotrat.&it�. Ei" i i" tkr Atn�is. in StuJu, :um B,·t/roJt. :um Probl�m tks Tragsrh�" .,,;,,., l:p111. a c. di H. Gocl)!em•nns-E. A. Schmidt, Meisc:nheim a. GL.n !'lìb. 218-,0; V. Pòsdll. o.� D1chtltu"st Vtrt.th. BtfJ und J,r,J,d , J.-r A,m, lkrlin-Ncw York 1977'; F. Murru, Alcun� """"""'' frloltJt.tro-unguitttrh� • propostio J�ll'tXtavus cAJus, Glon•
S6, 1978, 144·": G. B. Come, Vtrgiuo, Milano 1984.
Il gtntr� �
i 1uoi ro,fi,i, GuALTIERO CALBOLt
iperboreo (Hyperboreus, 'Y�tQ�Eoç). - L'agg�t tivo viene usato da V. per indicare per antonomaSia, dal punto di vista geografico, l'es�remo nor�. ESS? h� riferimento al mitico popolo degli lperbore1., nom!Jlatl già da Esiodo (fr. 150, 21 Merkelbach-West) e Aristea (fr. 1 e 6 Bohon), presenti anche in un Inno omerico (7, 29) e, come attesta Erodoto (4, 32), negli Epigoni attribuiti a Omero. Da Pindaro (0/. 3, 28; Pyth. 10, 47) ed Erodoto (4, 13; 32-36; cf. HeUan. fr. 187 Ja· coby), in panicolare, risuha che la conn; A. C.nault,
L'art ti� V�rgtl� tlans I'E.n�itlt, Paris 1926; H. Mprland, D.-r Hyrta· citlt n i tltr Amm, SO 32. 1956, 69-80; NisJLJ, f.uryalus und antltrt Namm 111 du A�n�is. ìvi H, 1957, 87-109; /dii (Atn. IX 177) - &rg otltr Nympht?, ivi }5. 1959, 71-87: Zu tltr Bogtnschutun�ptSotlt ;, lkr Atnm, ivi >7, 1961. 58-67; E. Kr�ggerud, Ammstutlttrt (= SO. LEAHDRO PotvotNt (asc. suppl 22), Osloae 1968.
lppodame (Hippodame, 'llt1100étl.l'll· - V. usa la forma Hippodame n i vece del normale Hippodamia (da butoòaj.leta). Il proemio del 3° delle Georgiche (vv. 3-48) presenta spunti di un nuovo, intenzionale orientamento poetico, un abbozzo di cPriamel• (Ghiselli 1983, 44). V. cerca un'altra via qua mc quoque possim l tollcrc humo vtC· torque virutn vo/itare per ora (vv. 8-9), rivendicando, suU'esempio di Ennio (Var. 18 V.2}, il vanto di prio· rità: primus ego in patriam mecutn... l Aonio rediens deducam vertice Musas. Egli, « proprio perché ha scelto dove dirigersi, può rifiutare gran parte di ciò che è stato detto» (Conte 1980, 127), miti tragici e a am i volga/a; ... quoi non dictus Hylas dolorosi, omni •
puer.. l Hippodameque umcroque insignis ebumo, l accr equis?... (vv. 4-8); canterà invece un poema di ar·
gomento contemporaneo, l'epopea delle imprese di Cesare Ottaviano. Secondo la tradizione, Tantalo, ammesso alla mensa degli dei, voUe offrire come cibo il figlio Pelope. Demetra inavvertitamente ne mangiò 18
IPPODAME
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Presunta nubtl, flUI infernfl), che la rende una sostituta di Proserpin1; questo aspetto non � estranw alla n•tura di 1., perché Esiodo (Throg. 780-87) ricordacome Zeus invii la sua mess8jl11era ad attin11e� l'ac qua deUo Stige. Si deve, però, os�rva� CM Giunone non d�termina la mone di Didone, ma l'affretta soltanto, cosicché l'ufficio di l. ri· sulta più ampio di q�Uo riconosciutole dall"idemilicazion� Giuno· ne-Proserpina. Si può pensa� a Giunon� come divinità tutela� deUe donne (/uno Lucinfl) o com� Genio femminile, chiamata in occasione del trapasso ad aiutare Didone median� una dea mediatrice; questa spiegazione, tuttavia, non riesce a �ndc� conto sufficientemente del ruolo svolto da Iride. t possibile che un'inlrrprNfllio physicfl abbia favorito l'accosta mento Giunon�·l., nel momento n i cui la dca del ciclo c d�U'aria invia una sua ministra millr lrahtns vflrios fldveno sol� coforn (E 4, 701), in conse�uenza di varie suuestioni che si accentrano sul tema mitolo11ico dell'arcobaleno quale via degli dei c, quindi, cammino dell'anima verso l'aldilà. � V. non concepisc� una sede dei moni celeste, il v. 70� (difflpsus Cflfor alqu� in vmlos vtifl rut!sil) off� una rappresentazione mitica deUa mone che non esclude alcuna so luzione escatologica. L'inRusso, che i versi virgiliani esercite111nno sugli scrittori paleocristiani nella rappresentazione deU'angelo della mone, è dimostrato da un passo del o� anima di Tenulliano (53, 6; R.apisarda 1%4). D fano, tuttavia. CM I. si posi sul capo di Didone (E 4, 702 suprfl Cflpul aduiril) si ritien� derivato da lf. 2, 20, dov� il Sogno si posa sul capo di Agamennon� (May�r 1890-94, 332), o da Lucr. 3, 959 (Paratore 1978, ad f. ); l'identica espressione in E 3, 194 e '· IO risulta in�rita in un contesto del tutto differente. Anco111 lo stesso episodio. con il panicola� dd crine =oo da 1., ha ispirato il Petrarca nel d�scriver� la mon� di Lauu (Trionfo defltJ Morie l, 111-12 « Allor di quella bionda testo svel� l Mone con la sua mano un aurw crine•; Caccialanza 1895, 7) e l'Ariosto ncU'cpi sodio di Orri l o (Ori Fur. 15, 66·90).
Il patrimonio diffuso di credenze inerenti alla mi tologia dell'arcobaleno si nota anche nelle occorrenze virgiliane, in cui arcus significa il fenomeno atmosfe rico. V. impiega il termine, secondo l'uso ricorrente nella latinità, ora solo (E 5, 88) ora con un aggettivo (G l, 381); ingens risulta·Ja caratterizzazione virgiliana più ricorrente deU'arcobaleno (G l, 380; E 5, 658; cf. Stat. Theb. IO, 83 longus arcus). Delle credenze relative all'arcobaleno V. acco�lie quella secondo cui dall'arco celeste è annunciata la pioggia (G l, 380-81 el bibit ingens l arcus).
Si ricorda a proposito un verso di Empedod� (B �O. 1 332. 2 D. ·K6) c appare giustilicata la collocazione di l. fr1 le fanciuUe « ponatrici di pioAAi.. che compon11ono il coro deUe Nuvoft di Ari· stofane lvv. 298·99). La JXX:Sia latina conosce il motivo dcU'amu pluvius (Hor. Art 18). imbrcf" (Tib. l, 4, 44), nip," (Qvid. Mel. I l , 568), assumendo gli •AAettivi come indicatori del fenomeno celeste;
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IRLANDA Plauto (Cure. 136 bibit arcus: plu�t), tuttavia, che riporta l'eco di una credenza popolare, dimostra che il motivo non è di origine 1� tcraria; lo stesso motivo è sfruttato da Ovidio {M�/. l, 271 roncipzi lris aquas alimmlaqu� nubihus ad/t:TI) in una sapiente fusione di mitologia, credenze, ascendenze letterarie.
Di &onte a E 5, 88-89, in cui il serpente viene pa· ragonato all'arcobaleno (ceu nubibus arcus / mille iacit vanos... colores ), si è inceni se risalire ancora a Il. 1 1 , 26-28, dove si legge la similitudine fra i serpenti e il fenomeno atmosferico, o se pensare all'assimilazione universalmente attestata dell'arcobaleno col serpente celeste. BraL. - SuDa figura mitologica di l., per un'informazione generale: M. Maycr, s.v. lris, in Roscher. uxtkon n l 0890-94), 320-57; L. Prellcr-C. Robcrt, Gn�chisch� Mythologi�. Bcrlin 18944; J. A. Hild, s.v. /n$, Darcmbcrg-Sagtio 111 ( 1900), 573-76; Weicker, s.v. /n$, PW lX 2 (1916), 2037-43. Per l'etimolo�ia di 1.: H. Osrhoff, Etymologi sche Btitriige zur Mythologie und Religionsgeschichte, Archiv fiir Rc ligionswissenschah 44, 1908, 44-74. Per le rappresentazioni artisti· che: E. Pfuhl, Malt:Tei u. Zdchn. dt:T Gn'echen, Mtinchen 1923; F. Brommer, SatyNpi�l�. Bcrlin 1944; G. Gualandi, s.v. Iride, EM IV l (1961), 220-22; F. Brommcr, Die Skulpturen dt:T Parthenon-Gi��l. Katalog und UnteNuchung, Mainz 1963; G. Bccatti, Postille Pari�' noniche: i frontoni, ArchCiass 17, 1965, 54-H. Su l in Omcro: B. Amold, D� Iride d�a quaestionum specim�n 1, Gymnasium zu Nord hausen, Progr. 226, 1886, 1-20; C. Hcntze, Das Auftr�ten dt:T In$ im zweiten, driuen und fun/ten Gesange der 1/ias, Philologus 62, 1903, 321-28; G. Soutar, Natur� in Gruk Ponry. Studies partly rompara liw, Oxford 1939; L. A. SreUa, Mitologia grua, Torino 1956. Per il rapporto I.-Eros: S. Fasce, Eros. La figura � il cullo, Genova 1977, cap. 4, par. 3. SuDa mitologia dcU'arcobaleno: Ch. Rcnd. L'arc·en· i Rcv. Hist. Rei. 46, a�/ dans la /radition uligieuu de l'antqutii, 1902, 58-80; C. B. Boycr, Th� R.ainbow. From Myth lo Math�matics, Ncw York-London 1959. Sul tema dcU'angclo della morte: E. Rapi sarda, L'ang�lo d�lla mori� in Virgilio � in Tutulliano, Acta Philolo· gica 3, 1964, 309-12. Sul rema del capello reciso: F. Caccialanza, Il crin� /atal�. Torino 1895. l. in V.: C. Bailey, R�ligion in Virgil, Ox ford 1935; F. ). Worsrbrock, Element� �int:T Poetilt der Aeneù, Or bis Antiquus 21, Mtinsrer 1%3; W. Moskalew, Formular Languag� and Poeti< Design in th� A�neid, Mnemosyne Suppl. 73, Lciden StLVANA FASCE 1982.
Irlanda. - La conoscenza della lingua e letteratura latina si ebbe in l. dopo l'arrivo dei missionari cri stiani nel v secolo. Risulta provato che gli studiosi ir landesi nel VI sec. acquistarono familiarità con le opere di V., in specie Columbano (Bieler 1960; Q'. Cuiv 1981). Se un commento sulle Egloghe e le Geor giche fu compilato da Adamnano, abate di Iona, come si crede generalmente, esso prova che un irlandese in sulare nel VII sec. aveva accesso a diversi commenti su Virgilio. Echi virgiliani sono stati scopeni nella Vita Columbae (Briining 1917) dello stesso Adamnano. V. fu probabilmente un autore modello nei cumeula delle scuole monastiche irlandesi dal primo Medioevo in poi (Ryan 1972; Stanford 1976; v. GLOSSE IRLANDESI). Nel tardo Medioevo l'I. ebbe una traduzione del l'Eneide in volgare, l'anonimo Imtheachta Aeniasa («Le avventure di Enea»; Calder 1907; Poli 1981). n ma noscritto data all'incirca nel 1400, ma l'opera fu com posta probabilmente in una data parecchio anteriore. Enea era divenuto evidememente un eroe popolare tra gli Irlandesi a partire dal Xli sec. (Murphy 1932; Rowland 1970). La prima traduzione di una pane del l'Eneide in n i glese fu pubblicata dallo studioso anglo irlandese R Stonihursl nel 1582. La prima versione 24
completa fu opera di N. Brady nel 1726. Le opere di V. furono stampate la prima volta a Dublino nel 1707. V. continuò a essere un autore prediletto nelle scuole e nei collegi irlandesi nei periodi medievali e moderni (Stanford 1976). n maggior studioso di V. in Irlanda nel periodo moderno è stato J. Henry (v.). BtBL. - G. Caldcr, lmth�achta Aeniasa: Th� lnih A�neid, London 1907; G. Brtininj� . Adamnans Vita Columbae und lhr� Ableitun�en, Zer i schr. fiir Ceh ische Philologie I l , 1917, 213-304; G. Murphy,
Virgilian lnflumu upon the Vernacular Literature o/ Mediewl Ire· land, SrudMed n. s. 5, 1932. 372-81; L. Bieler, The Humanism o/St. Columbanus, in Mn. Columbani�ns. 1960, 95-102; R. ). Rowland Jr., Aeneas as a Hero in T�/fth-Cmtury lreland, Vergilius 16, 1970, 29-52; ). Ryan, lrish Monastiaim: Origins and &rly Dev�lopment, Shannon 1972; R D. Williams, )amn Henry's Am�itka i , Herma thena 116, 1973, 27-43; J. Richmond, )am�s Henry o/ Dublin: phisi· dan. wrtifier, pamphletur. wanderer and cianica/ scholar, Blackrock 1976; W. B. Startford, lreland on the Classica/ Tradùion, Dublin 19ì6; B. O'Cuiv, Medi�val lrish Scholart and Classica/ Litt:Talur�. Procecclings of thc Royal Irish Acadcmy, Scction C, 8 1 C, nr. 9,
1981; D. Poli, L'Eneide nella cuilura irlandese antica, in U/Uralure Comparai�: Problemi � Metodo. Studi in onor� di Euore Parator�. Bologna 1981, 997-1012.
WtLLIAM BEOELL STANFOR.O
ironia. - Notata già nell'antichità come figura della quale si serve sovente Virgilio. Quintiliano (9, 2, 48 s.) cita p. es. almeno tre passi dell'Eneide (4, 381; 10, 92; 1 1 , 383) dando la seguente definizione: quae diversum ei quod dicit intellectum petit (6, 2, 15), e in eo vero genere quo contrana ostenduntur (8, 6, 54). Anche Macrobio, che come molti commentatori della tarda antichità forse eccede non distinguendo la retorica dell'oratore da quella del poeta (cf. Quintil. 12, 1 1 , 26), pona come modello (5at. 4, 2, 3-9) un soWoquio di Giunone (E 7, 293-322) per illustrare tutti i modi, i. inclusa (vv. 297-98), di eccitare il patetico (Highet 1972, 3 ss.). E già Servio, secondo il quale si ha i. cum aliud verba, aliud continet sensus, ne trova quattro esem pi (ad Aen. 4, 93; 6, 520; 7, 190 e 556). Una definizio ne più moderna non si limita all'i. verbale, ma com prende anche un'i. di situazione; p. es., un carattere che sembra agire in circostanze propizie quando in realtà esse sono contrarie (i. tragica), o viceversa (i. comica). Si può dire che tutte e due, l'i. di espressione e l'i. di situazione, si trovano nelle opere di Virgilio. L'i. fondamentale delle Bucoliche consiste nel fano che la vita pastorale sovente non è idillica. Questo aspetto si presenta subito nella prima egloga, dove la condizione di Melibeo (dulcia linquimus arva, v. 3) è contrapposta a quella di Titiro (alta, v. 6) con varie sfumature (Alpers 1979, 69-71, 90-95; Putnam 1970, 56-57, 62-63, 72-76; Ettin 1984, 96 s.). Ironico è an· che il contrasto fra la vita pastorale e quella della città (Urbem, quam dicunl Romam, v. 19); questo tema, che percorre le Bucoliche, deriva essenzialmente dalla forma letteraria, affine al mimo, inventata da Teocrito. I due generi di vita sono messi in forte giustapposi zione nella B 9', dove V. sembra porre il quesito della loro compatibilità; i critici, anche se con qualche dub bio, ci vedono l'i. (Putnam 1970, 321; Leach 1974, 203-11; Alpers 1979, 140-54). Per di più, per ciò che concerne la natura nelle Bucoliche, se non i., almeno un paradosso nota Segai (1969, 430): «Nature... can be 'happy' as the lover (god or man) cannot», mentre
IRTACO
la Leach (1974) parla della «frustrazione» e «delu usus), che ha bisogno dell'aiuto di Giunone omnlpo /ens (v. 693; Pease 1935, ad /. ; Anderson 1969, 49): sione,. dei pastori. Lo stesso paradosso ironico si trova nelle Georgiche, tutte queste scene sono piene d'i. drammatica degna un'opera in cui l'i. sembra figurare meno, forse perché di un Sofocle o di un Euripide (Heinze 19153, 133 ss.; didascalica. Tuttavia un'i. alla base dd poema è che la Pease 1935, 8-11). Per di più lo stesso tipo d'i. tragica terra (Italia) è lodata come munifìca, come regna Sa si può ravvisare nd trattamento di altri caratteri del turnia (/audes ltaliae, 2, 136-76; 532-40); ma in realtà poema: Turno, Latino, Pallante, Camilla e anche Enea la vita della campagna è dura e piena di lavoro: Labor stesso; si potrebbe dire davvero che l'i., come figura omnia via/ l improbus el duris urgens in rebus egestas retorica e come modo drammatico, sia un aspetto do (1, 145-46; Otis 1964, 164; Wilkinson 1969, 87; Put minante nell'Eneide. nam 1979, 6, e cf. 304 s.). L'agricoltore che tenta BtaL. - N. W. O.,Win, Th� Dido �pisod� QS • /Tag�dy, C) 2, d'imporre la sua volontà e un suo ordine alla natura, 190f>-07, 283-88; R Heinze. Vi,gils �pisch� T�chnik, Leipzig 191�'; va incontro talvolta al fallimento, talvolta al successo. W. D. Prescon, Th� tk-wlopm�nt o/ Vi,gt1's QT/, Chicago 1927; P. NeU'episodio culminante del poema (l'epillio del 4°) la Ercok, V"g11iana alt"•· AAPal 16, 1931, 203-26; J. Marouzeau, Virgik s'•muu, Hum(Res) 7, 1931, 415- 17; A. S. Pease, Publi VtT riuscita di Aristeo sembra ironicamente giustapposta gt1i M•ronis A�neidos /;�, qwTtiiS, Cambridge 1935; O. L. Wilner, all'insuccesso di Orfeo (Otis 1964, 208 s.; Putnam HumoT in VtTgil's A�ndd, CW 36, 1942-43, 93-94; B. Fox, Th� 1979, 11-13, 315 s.; Miles 1980, 272 ss.). light tor«h in th� Anwii, Classical Outlook 40, 1962-63. 37-39; B. Nell'Eneide c'è un'i. alla base della leggenda stessa: Otis, Vi,gil, Oxford 1964; E. de Saint Iknis, Le souriT� d� ViTgil�. Latomus 23, 1964, 446·63; M. D. Madeod. HumOUT ;, v,rgil, PVS i Romani, ai quali Giove ha assegnato imperium sine 4, 1964-6�. 53-67; W. S. Anckrson, Th� QT/ o/ th� A�nrid, En�e fine (1, 279), traggono origine da un popolo sconfitto wood C�ffs 1%9; C. P. S.�al. V"gil's sixth Eclogu� •nd the prob/(m (vieti, v. 68, ecc.), affaticato (de/essi, v. 157, ecc.), e o/ m1, TAPhA 100, 1969, 407-35; L. P. Wilkinson, Th� G�o,gcs i o/ senza patria l.profugus, v. 2, ecc.). Quintiliano, Macra Vi,gt1, Cambridge 1%9; M. C. J. Putnam, Virf'1's pastoTal •"· Prin· 1970; G. Highet, Th� s�echts in VeTgi 's A�neid, ibid. 1972; bio e Servio (v. sopra) hanno notato che l'i. verbale ceton E. W. Leach. V"gil's Eclogu�s. lthaca 1974; R B. Lloyd. HumoT ;, abbonda nell'Eneide. Anche le parole tematiche del th� Am�id, C) 72, 1976-77, 2�0-57; P. J. Alpers, The sinR" o/ the poema, arma virumque (1, 1), si ripetono con sfuma Eclogues. lkrkdey 1979; M. O. Lcc, FQtben and sons in ViTi,il's A� tura ironica subito nd primo episodio, ma come rife nrid, Albany 1979; M. C. J. Putnam, ViTgil's �"' of t� �•rth, 1979; G. B. Miles, V,rgil's Geo,gics, lkrkdey 1980; G. rite a rottami di un naufragio (v. 119). Se ne ode l'eco Princeton W. Williarns, T�chnU,u� •nd dus i in th� A�n�id. New Haven 1983; per tutto il poema (2, 668; 4, 495; 6, 233 e 8 14; 9, 57, A. V. Ettin, ui�Tii/UU llfla th� p.siOTal, ibid. 1984, 96-115. 19 7 9, 30, 42, 80, 696 e 747; Lee 462, 620, 777; 1 1 , ROBERT B. LLOYO 181 ). L'i. verbale sovente si risolve man mano nello stile comico (v.; cf. Quintil. 6, 3, 68 Quid ironia? Irtaco (Hyrtacus, "YQtaxoç). - Padre di Niso (E 9, nonne etiam quae severissime /it ioà paene genus est?). 406; il patronimico Hyrtaàdes ai vv. 177, 234 e 319). Come si rileva dalla preghiera rivolta da Niso alla l discorsi di Giunone pr.s.:ntano .s.:mpi costanti: k s..., ironich� Luna (9, 404-09), l. era un valente cacciatore: qualità prc�c:-Mr d'impotenza !E 1, 37-49 Mm� in�pto dnilt= vict•m... ; Ercok 1931, 219; de Saint Denis 1964, 458; Uoyd 1976-77, 2Sl); le trasmessa al figlio, e comune anche alla madre di co -sue parolr caustici� rivoke a Venere (4, 93-104 Eg,�gi •m wro lau stui, la Ida l venatnx (vv. 177-78). tk-m . : cf. Setv. � 1.; Ercok 1931, 222; de Saint Iknis 1964, 458; Lo stesso 1., come suggeriscono Forbiger e Co Llovd 19ìf>-77, 251-52 ); il suo secondo soWoquio, ero del primo (7, nington, sarà il padre di lppocoonte (v.). 2�l·l22 H�u stirpnw invis•m... ; Macrob. Stlt. 4, 2, 4; Fox 1%2-63, Benché Niso e il suo amico Eurialo abbiano fatto la 3'11: • anrora k •..., parok nd concilio olimpico (IO, 63-95 Quid me loro comparsa già durante i ludi funebri (5, 294-338), •'"' nle>rti4 rogir / "'"'P"�... ; Marouznu 1931; de Saint Iknis solo nel � ci sono fomiti i dettagli sui personaggi e le 1%-1. 459-61; Mackod 1964-65, 63-64); in tutti q...,.,; passi l'i. ab loro famiglie: se ne è voluto dedurre che l'episodio del bonda. • non senza umorismo. Sembra di poter avvenire anche un'i. � sarebbe stato redatto prima di quello del 5°. umoristica e sarcastica ndk scene di battaglia, dove due guerrieri s'insultano. S.rvio la chiama UI'Qismos, definendola iOCJis Ctlf11 •m•ri Heinze (19153) invece vi ha osservato un procedi tu,U,,. o hom1is i>rrisio, e ne cita qualche .s.:mpio rarische TraJition in d�m lateinischen christlichen Schrifuum ( Stu d ia graeca et latn o urgensis, s.d. i a Gorhoburgensia 441. Acta universitatis Goth (1983): v. i luoghi indicati nell'inJex, s.v. Veri,ilius. E citato inoltre: K. Baycr, Vergilvitt>n, Miinchen 1958 (= Vt>rgil, ed. ]ACQUES FoNTAINE ). e M. Gouc, ibid. 1�81). '
b
Islanda. - Non si può affermare con sicurezza quando per la prima volta in l. si conobbero il nome di V. e le sue opere. Dagli inizi del loro insediamen�o fino alla fine del I X sec., gli Islandesi instaurarono rapponi con le nazioni più vicine, la Scandinavia, le
ISMARO Isole Britanniche e perfino la Gennania del Nord. Fu rono dunque diverse le strade attraverso le quali le correnti della cultura europea centrale e meridionale, convoglianti V., poterono raggiungere l'I. sia in ma niera diretta che mediante rifacimenti o traduzioni. Non vi è modo di stabilire come ciò sia avvenuto, ma probabilmente le sedi di cultura che sorsero in I. dopo che il Cristianesimo fu legalizzato nell'anno l000, e cioè due sedi episcopali e diversi monasteri, ebbero un ruolo impottante a questo riguardo, rome del resto lo ebbero nel generale sviluppo della vita spirituale nel paese. Si possono rintracciare remini scenze virgiliane nella letteratura medievale islandese, ma è impossibile stabilire se ve ne siano alcune dovute a conoscenza diretta delle opere del poeta. Dopo la Rifonna luterana nel XVI sec e il diffondersi deii'U manesimo in 1., sappiamo con cettezza che V. r appr e sentava una parte impottante nel programma di latino neIle vecchie scuole delle cattedrali nelle sedi episco pali, che rimanevano le principali fonti di cultura come nel passato. Furono questi indubbiamente i principali tramiti per far conoscere la poesia di V., tradizione mantenuta nelle scuole fino alla metà degli anni Sessanta di questo secolo. Nel Medioevo troviamo scarso materiale dall'Eneide nel Trojumannasaga (Storia dei Troiani), probabil mente scritto nel 1300 (Louis-Jensen 1981, xxx). In se�uito incontreremo V. mago, secondo la tradizione medievale, nel Vergiless-rimur o Glelludiktar, scritto prima del 1600, rima (pl. rimur) che appattiene alla poesia narrativa islandese (Th6r61fsson 1934, 330-32). Vi si narra di V. che, innamorato di una principessa, \·iene lasciato dondolare dentro un canestro a mezza via fra il suolo e la finestra della principessa; ella poi lo cavalca come un cavallo, e infine egli si vendica ddla principessa. Nel xvn sec. il poeta Stefan Olafs son ( 1619-88) ci porta nell'atmosfera delle Georgiche in uno dei suoi poemi sui cavalli, soggetto di notevole importanza nella sua poesia. Le sue Hestavisur XLV sono in effetti una quasi esatta traduzione di G 3, i5-88, sebbene composte in una metrica diversa !Thorkelsson 1885, 405). Verso la fine del xvm sec o nella prima metà del XIX l'Eneide divenne il tema di un altro poeta, probabilmente Jon Jonsson (175918461, il quale nel suo Rimur a/ Aeneasi sterka («R. di Enea il forte ») s'imbarcò in una traduzione in versi del poema epico, ma probabilmente non andò mai oltre il primo volume, in 2217 versi. Questo poema fino a O)!�i esiste solo come manoscritto, come nel caso di ah re versioni scolastiche delle opere di V. nel XIX se colo. .
.
Di ahra n1tura t l influenza che V. ebbe sul argon j dc�tli studenti delle scuole ecclesiastiche e po� attraverso di loro, nd lin�t��tio corrent< dd P vna), Esichio (s.v. "loJ.laQoç), Suida (s.v. 'loJ.ltctJ \Jx>;.toltca Vauc.ma 1/ot Btr•to· ltt {alli Syrha�l / ro11iu11.is ti spanos /ratrrna cattit fJe111liÌS, secondo taluni, rome
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ITHACA
Pea.se e Nissen (1915. 29). v'è un'e�gesi, secondo altri, come Bu scaroli e Guglielmino (1901, 17), v'è un'i. sinonimica (cosl in 2, 721-22 colla / vnt� super fulviqu� inuunor pdl� konis. secondo Forbiger p�ll� è e�gesi eli vtst�. mentre Sabbaelini considera i due termini come •variazione di una medesima ideaa). Si potrebbero citare mohe ahre valutazioni divergenti, talvoha oc casionali, altre vohe dovute a eliversità eli orientamenti generali: p. es. Forbiger quasi ignora l'i. sinonimica, e eli solito ne include le re lative espressioni nella categoria dell'e��esi; ahri, al contrario INorden, Guglielmina. e spesso anche Sabbadinil, tendono a classi ficare come i. sinonimica anche ceni casi in cui la seconda delle due i ri espressioni potrebbe plausibilmente essere interpretata come cha mento o integrazione della prima, e quineli come e�l(esi. E vi sono commentatori c� ne fanno un'unica categoria, come Grans· den ad Aen. 8, 38. A causa della suddetta diversità di valutazioni e classificazioni, è impossibile stabilire obiettivamente la frequenza dell'i. sinonimica sia in V., sia in altri au tori. Un elenco relativo all'Eneide è stato compilato da Guglielmino (1901, 1 1-37), ma da un lato vi sono stati omessi esempi come E 7, 52-53 filia... / iam matura i m p/enis nubi/is annis; 9, 450 Victores praeda viro, a Rutuli spo/iisque potiti, ecc., che vari commentatori interpretano come casi di i. sinonimica; d'altro lato vi sono stati inclusi esempi come l, 569 Seu vos Hespe riam magnam Saturniaque arva; 6, 152 Sedibus hunc re /er ante suis et conde sepulchro, ecc., dove altri vedono un'epesegesi. Beninteso, vi sono anche commentatori che concordano in parecchi casi, e, comunque, le suddette divergenze nelle classificazioni retorico-stili stiche non hanno molta importanza ai fini di una va lutazione propriamente estetica: prova ne sia che im magini efficaci e suggestive rimangono tali, sia che s'interpretino come i., sia come epesegesi, o altrimenti. Ciò owiamente non significa che le categorie retorico stilistiche, come quelle grammaticali, ecc., siano inutili (e inoltre le più non sono cosi indistinguibili fra loro come spesso l'i. e l'epesegesi), poiché, insieme con al tre categorie, servono a caratterizzare lo stile degli scrittori. Tuttavia tale caratterizzazione può costituire bensl la premessa per un giudizio estetico, ma non coincide con esso. Infatti tali categorie, per loro na tura, sono astratte e generali, mentre il giudizio este tico verte su ciò che è individuale, sia un testo, sia una pagina, sia un singolo verso. Insomma, altro è consta tare in uno scrittore l'impiego e la frequenza di de terminate figure retoriche, stilistiche, ecc., altro è va lutare il modo con cui queste sono espresse, cioè se e in quale misura risultino efficaci e valide. Bt&L. - Per la documentazione, v. H. Lausberg, Handbuch dt!T bie· rariuhen Rhttonlt, Miinchen 1960, 413 ss.. §§ 830-42. Per l'accop· piamento o l'accumulo dei sinonimi in latino. e per fenomeni con nessi o affini. cf. J. B. Hofmann · A. Szantyr, Latànische S\'ntax und Sttliuik, Miinchen 1%5, ri.•t. 19ì2, 782 ss.. e la copiosa bibliol(fafia ivi citata. Per trauazioni specifiche relative a V.. cf. F. Gul(liclmino, L'•tleratio• ne/1'/:.'n), fon dazione antica che sorgeva su un'altura, ma oggi in rovina», e sbocca infine, lasciando questa città e Tu scolo sulla destra, nella via Latina, ad Pictas, che si trova a 2 1 0 stadi da Roma. Nonostante la precisa de finizione del sito, si è avuta, tra gli studiosi, una note· vole varietà di localizzazioni: Flavio Biondo identifi cava Labici con Valmontone, il Cluverio con Zagarolo, lo Holstenius con Colonna (cf. CIL 15, 275), e così pure il Nibby (1819, 245). Fu il Rosa (cf. Hcnzcn
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1856) a proporre, grazie a una più giusta ricostruzione del percorso della via Labicana, l'identificazione con Montecompatri, in seguito da tutti accettata (Dessau 1913, 424; Ashby 1902, 257 ss.; Tomassetti 1926, 377 e 436 ss.). Secondo il Rehm (1932), l'attribuzione da pane di V. di Labici al territorio dei Rutuli costitui rebbe un'incongruenza determinata da una mancata revisione del testo: il territorio dei Rutuli, infatti, si estendeva lungo la costa, e tra esso e Labici c'era l'in· dipendente Aricia; Gabi, vicinissima a Labici, appar· teneva al territorio di Preneste. Labici come citd non � più nominata dopo la notizia della sua
distruzione, mentre, come si è visto, continua a essere documentata l'esistenza dd suu territorio, che da un ceno momento in poi ebbe
un suo centro politico ed economico attestato da un'iscrizione (ClL 14, 2770 � ILS 6217): una dedica a un arcan·us rei publicae LAvica· norum Quintanensium (di condizione seJVile, come la ma�ior parte i periale). dalla quale si è degli arcarii, che sono anestati solo in età m dedono che esso fosse ubicato al xv mi!(lio della via Labicana, dove sorgeva la statio ad Quintanas (nota dalla Tabula Peutingmana e dall'Itinerario Antonino). Numerosi bolli di manone ex praediis Quintanensiis, che, come si è dedono, di àl provenivano, allestano i tà è documentata tra l'esistenza nel territorio di figlinae, lo cui anvi il 114 e il 160 d. C. (Bloch 1947. 204-10; Steinby 1974-75, 78-801. Una seconda iscri1.ione su una base di statua dedicata a Massi miano (Dessau 1913) testimonia l'esistenza tra la fine del 111 e l'ini zio dd IV sec. d. C. di un ordo LAbicanorum Quintanensium.
quario nei contorni di Roma l, Roma Brn. - A. Nibby. Viau,io anti 1819, 245-59; G. Hen1.en, LAbrcum, Bui!. Inst. Corrisp. Arch. 1856. 154; T. Ashby, Ckmical Topography o/ the Roman Campagna l, PBSR l, 1902, 215 ss., tav. 5; H. Dessau, Additammta set·unda ad corporis vol. XIV, Eph. ep. 9, 1913, 424-26; J. Perin, s.v. LAbici. Onmast. totius LAtinitatis 11 (1920), 71; H. Philipp, s.v., PW xn l (1924). 255-57; G. Tomasseni. LA campagna romana antica, medie vale e moderna 111, Roma 1926, 377-459; B. Rehm, Das f,t'Ographi· uhre tal· ciaro dall'arotro hjUI pcrò è usato il verbo Wllf.Uetml. A Il. 874 Tib. Donato commcma che i Ruruli auerriri tf>JOI �rruJ nun mantbur pttratm ild ntam hotl/1 ud 14xm /trthollt umtnS rutt Il Rihheck (ad l l rimanda per l imma�tinc a St·hol. aJ Hor. Carm. ), 8. 2 } '""' 5cy· Stato il
'
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that lllxo m�ditllntur '""' / ctdtr� t:4mpil.
D passo di IO, 288·89 ha in8uito su Manilio in due luoghi entrambi relativi al mare (} 63 l �� ltpidum ptlllguJ lilaÌilJ vim l.nt.U�I ;, undlls, c �. 2 1 1 l.nguttqut JUÌJ N�ptu11u1 in und iJ); E Il, 67�9 ha inBuiro su Calpur· nio Siculo!Ed 2. 76 qw11rvi r 1 JÌ CC'IIJ iiJI.tr "'"JI.umi�J txrot{IIIZI htrh.a di t'SScrc e di sentirsi Lat ini.
Se anacronistico è il modo con cui V. caratterizza la vita quotidiana dei L (abitazioni. vestiario, ecc.), im prontata, pur con un velo di arcaismo, all'esperienza contemporanea, più vicino all'antica realtà del mondo latino (ma non certo di quello del Bronzo finale) è il tipo di organizzazione federale dipinto da V. sulla scorta di una tradizione storico-anti4uaria cresciuta
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soprattutto intorno a istituzioni giuridico-religiose che vantavano origini remote e di esse conservavano e tra smettevano nel tempo alcuni caratteri: prime fra tutte, da un lato, le tradizioni religioso-cultuali che legavano Roma a Lavinio, dall'altro la lega dei Prisci Latini, avente per centro Alba e il santuario federale di luppi ter Latiaris sul monte Cavo, intorno a cui l'ethnos la tino prende corpo in una vasta entità federativa che consentirà a Livio di affermare: omnes Latini ab Alba oriundi, I, 52, 2. Di discussa origine (cf. da ultimo so prattutto Alfoldi 1965, che vi ravvisa l'eredità d i un'antichissima formazione tribale), la lega latina era costituita da 30 popoli, i quali si riunivano per pren dere decisioni diplomatiche o militari di comune inte resse e per celebrare in un sacro banchetto, insieme alle altre genti del Lazio, le Feriae Latinae; Plinio (Nat. hist. 3 , 5, 69) ce ne conserva la Lista insieme a quella dei più famosi centri che in prima regione prae terea /uere. Anche se naturalmente non può esservi precisa corrispondenza fra gli alleati del Lazio virgi liano e le genti ricordate da Plinio, è fuor di dubbio che il modello federale della lega latina conservatOsi nella sfera religiosa fu presente a V. nel delineare la forma delle alleanze al momento dell'arrivo dei Troiani.
Dopo la distruzione di Alba Lonl(a. probabilmente Lavinio con· solidò la sua amica funzione di centro che fin dal Bronzo recente aveva controUato i rapporti transmarini del Lazio; per tutta la storia successiva Lavinio e Alba continuarono a essere i due principali santuari federali, ma un ruolo tRcmone era rivendicato anche da al· tri centri. come il bosco sacro di Diana a Nemi, nei pressi di Arida: nel VI sec. saril Roma stessa, con Servio Tullio. a fare dd tempio di Diana suii'Avcmino il centro del culto federale. Nonostante l'opposizione esercitata contro i Troiani prima della composizione del conflitto, e certo in ra gione del suo previsto esito storico oltre che della fu tura e precoce romanizzazione del Lazio, i L. non vengono mai caratterizzati da V. con aggettivi negativi: essi sono detti /ortes (E 7, 151), ardemis (secondo il cod. P Geymonat legge horrentisl Marie (10, 237), ce leres ( i l , 603), trepidi (12, 730); le lotte e i dissensi che in V., come in altri testimoni della tradizione an tica, dividono i L. dai Troiani o li oppongono a genti finitime, a cominciare dagli Etruschi (la cui consi stenza etnica, per l'epoca di Enea, è un altro dei tanti anacronismi virgiliani), sono chiaramente creazioni po steriori, non necessariamente peraltro tutte dovute a V.; esse comunque alludono, attraverso l'alterna con trapposizione e unione tra combattenti che saranno poi cementati da perpetua amicizia, alle secolari lotte e vicende che portarono all'egemonia di Roma sul La zio, alla non facile conquista romana delle popolazioni italiche, alla stessa guerra civile che negli anni vicini al poeta si risolve positivamente nella pax Augusta (Camps 19691.
V. e i L.: C. Saundcrs. \!,·rRil'.r primrtìv•• lta�\'. Nt•w York l'IlO; P. Coui"in. l'ìrRtlt· N tltd!t� prmntìr·1 lntmJuctron /() \'irRits A,•neJJ. Ox· ford 1969 Ctrad. it. Milano 19731; F. Della Corte. La muppa delf·f. neuiCUiano vidrices... lauros, i l. della vittoria; Asinio Pollione nel 39 sta ritornando dalla vittoriosa spedi·
sine tempora
drcum
zionc in Dalmazia contro i Panini c V. annuncia il trionfo che sarà celebrato il 25 ottobre (cf. Hor. Carm. 2, l, 15).
uurus tn"umphis proprie diCJJIUT (Plin. Nat. hist. 15, 39, 127); non solo il dux, ma anche rutti i soldati che seguivano il carro erano in coronati di alloro in vinù anche di un rito purificatorio (Paul-Fest. p. 104, 23 L. laureati milius uquebantur currum tn'umphanlis, ut quasi purgati a CJJedt humana intrarml Urbem). Servio Dan. fornisce invece un'altra versione che si ricoUega all'etimologia (ad Bue. 8, 12 cur Jamm triumphanus lauro coronentur, haec ratio est, quoniam apud veteres 11 laudt habuti nomm, nam laudum diubttnt), etimolo gia adottata anche da lsidoro (0.. 17, 7, 2 u"rus a verbo laudis dieta; hac tnim cum llludibus victorunr capita coronabttnt,.r) e da Cas· i siodoro, ma in senso inverso (ln psalm. 33, 2, l lllus... a lauro dda esi). lsidoro presuppone la voce più antica J.udea, da cui per sosti· ruzione della d con la r deriverebbe l.urta neU'accezione di c lauro• (cf. Caro De agr. 8, 2; B 7, 62) o anche di ccorona di alloro».
Di memoria teocritea (2, l e 23) è il ramo di alloro di B 8, 82, che viene bruciato per pratiche magiche (el /ragi/es incende bitumine lauros): tuttavia il gioco di parole Daphnis me malus uri/, ego hanc in Daphnide laurum (v. 83) appare meno chiaro del teocriteo MÀ .2 assoluta•, in cui il giovane Marx della tesi di dottor.to su Democrito ed Epicuro scor�eva l'ef fetto del dinamt•n dell'atomo osservato, sul piano sociale e politico, come rifu�io • incivile •. esilio dalla città dc�li uomini. di un uomo che non sa che farsJH,I, ,\l U'(:{l Prt:-1\lllrko Pi
�ormi (/(Jf RJ/'f'UJ!l iOH ).
LAZIO non:! si poueb� suppo.n che il territorio compre� la zon• dcJJ. Solforata (v. At.auNEA) e che arrivasse ai limiti ddl'agtT Ro m�"IIS. inglobando l'importante cemro •rcaico presso Castd d i De· cima; • nord·OW$t il confine è da porsi su una linea intbe s111a da lw C't>Sinuta e che si "'IIe tdenuhn�re. '«ltrn tm Cod�x Mt'dtctiiJ drs Vn-giftu.s, RhM n. F. 45, 1890. 622-36 (l'�izion• � limitata agli scolli alle Buroli chd; V. Zab�hin, Scholtastllrum Vn-gilianorum rrlliqui tlt in Pomponii LAt'ti rodtcibus Strlltll4t, Cocnobium Cryptoferratenso 1911, 4 s. • 12-2}; Sabbadini, Sul aHiiu Mediuo, cit., IlO; E. Rostagno, Il ro Jicr A·frdicro di Virgilio, Roma 19}1 (� lo studio eh• accompagna il facsimile), 16 • 5}; H. R Fairclough, Obs1!111otions on Sobbodini's Vt�riorum Edition o/Virgil, TAPhA 63, 19}2, 218; autorrvol• c•nno di G. Muzzioli, Due nuovi codici 11ulogrofi di Pomponio ufo (rontri· buto t�llo studio dr/14 scrillurtl umt�nisticll), IMU 2, 1959, 350 s. Sulla mutilazione del M�icoo: L. Detisl•. Mi!mor i t sur d'11nti�n1 S4crll· mtnl4tr4mphkt dell'ultimo secolo della repubblica e pur se creato di legittimare la dittatura legislatrice di Silla, intonata agli ideali senatorii (Gabba 1960, 224 ss.), conteneva cenameme alcuni dati e notizie sul primitivo ordinamento della comunità, notizie che erano salde nella tndizione annalistica. Però, ove si IIO(i che sia Cicerone (De Tep. ' 2, 3) sia Livio (specie in l, 42, 4) pongono principalmente in evidenza la creazione dell'ordinamento religioso c del iMs divi11Mm, la generalizzazione vir giliana. sia pure nell'emotività della carica poetica, sembra enfatiz· z:are l'opera di Numa come legislatore. E qui forse una spiegazione c'�. Nurna era passato alla storia come il re pacifico per eccellenza; con lui v'era stata, secondo la tradizione, un'era di pace e di ordine ispirato ai voleri divini. V., nel celebrare Augusto quale fondatore del secolo d'oro (E 6, 791 ss.), aveva bisogno di richiamare, cnfatiz· zandola, la diMII�T11a pax (Cic. De Tep. ' 2, 3) di Nurna, madre di diritto c di religione per la città. Ndla rassegna dcUc anime dei re romani (E 6, n7-817) V. omette solranto Servio Tullio, la cui riforma costituzionale era sa]. damcme viva nella tradizione romana (cf. per tutti Cic. De Tep. 2,
al
fine
·
·
21, 38-22, 40; Liv. l, 42, 4-44, ,). Ogni ipotesi di soluzione di
un
ulc problema sarebbe estremamente arrischiata. Alle diverse con
getture (su cui Paratore 1979, 349 s.) se ne aggiungerebbe un'altra ove si pensasse che il silenzio pouebbe avere lr sue radici in un'i· deologia antidemocratica o, forse meglio, anticomizialc cara al prin cipe, dato che il re Scrvio era passato alla tndizionc come il re de mocratico per eccellenza cd era stato l'aurore dcU'ordinamento c, in ulrima analisi, deU'asscmblea ceruuriata c quindi rappresentava in certo senso il simbolo dcU'intcrvento popolare, a cui ormai veniva a contrapporsi l'aMdoritas pnfu:ipii.
3) Alle leges publicae, ossia alle leggi di origine po polare, si riferisce invece E 6, 621-22 Vendidit hic auro
patriam dominumque potentem l imposuit; fixit leges pretto atque refixit, versi che ricalcano una frase di Va
rio Rufo. Come esattamente notava già Servio, i ter mini fixit et refixit ci riportano alla pubblicazione delle leggi comiziali che, com'è noto, incisae in aereis tabulis adfigebantur parietibus. V., come già Cicerone (con ri ferimento più materializzato a tabu/ae, in Phil. 12, 5, 12) e Vario (Macrob. Sat. 6, 39), usa figere aut refigere (« affiggere o cancellare•) per indicare la statuizione o l'abrogazione della legge. Detto questo dal punto di vista puramente formale e stabilito che il riferimento virgiliano è sicuramente alle leges publicae votate dalle assemblee popolari repubblicane, resta il problema storico relativo al riferimento sostanziale del v. 622 chi sia il peccatore punito nel Tanaro che la Sibilla indica a Enea colpevole perché per denaro fece approvare e abrogare leggi ljixit leges pretio atque refixit). Era opinione diffusa presso gli antichi commentatori che V. in tcodessc riferirsi ad Antonio. Scrvio, dalla ricorrenza di figere c Tefo· g� labllias relativamente allr leges di Antonio cassate dal senato in quanto per vim d C0111Ta IIMspicia latas in Cic. Phil. 12, '· 12, è in dotto a identificare il peccatore del Tanaro con Antonio. Maerobio \Sal. 6, 39) riferisce due versi di Va.rio (De moT/e): vmdid1i hic
Ulium popMUS agrosq� QMiritum l mpui/: fixit feges pTeliO a/que T4Jxit, contenenti una pesante invettiva contro Antonio. Ora non v'� dubbio che E 6, 622 derivi dal secondo verso di Vario, aru;i con lo stesso in gran pane s'identifichi. Ma, mentre nella prima pane dcU'invettiva di Vario può ben ravvisani un riferimento alla politica
di Antonio, in E 6, 621-22 colui che vmdidli... {J41ri4m domi11umqMe potmtem l imposMil non può essere identificato con Antonio, a cui tali accuse non potevano fondatamente essere rivolrc. Ma nemmeno ilfixit kges PTelio atque T4Jxit si adatta pienamente a fatti addebita· bili ad Antonio. E infatti lo stesso Cicerone (Phil. 12, '· 12), richia mato da Scrvio, accusa Antonio di aver fatto approvare leges peT IJim c co11/TII 11wpida, ma non di avere abrogato leggi: anzi il tcr· mine Tqigere leges è da lui riferito al senato, che le leggi di Antonio aveva abrogato.
n contesto virgiliano, quindi, � diverso da queUo di Vario, a cui,
almeno nella forma, pur s'ispira. Vario attribuisce ad Antonio tutti i
misfatti elencati (specialmente espropriazione deUc terre, proposte o abrogazioni di leggi per denaro); V. indica un'ampia categoria di peccatori: a) chi vende la patria; b) chi impone un tiranno; c) chi stabilisce o abroga leggi per denaro, c di tale categoria ne addita uno, che tutti quei peccati ha commessi. Se questi è Antonio, come pensavano i vecchi commentatori c come ritengono ancora studiosi moderni (Rostagni 1955), non è possibile dire. In via congetturale sembrerebbe doversi pensare a un indeterminato peccatore. La con danna virgiliana è comunque rivolta contro chiunque fa approvare o abrogare una legge per denaro. Certo, se il peccatore non è Anto nio, il verso virgiliano trae spunto daU'ultimo tumultuoso periodo della vita politica repubblicana e potrebbe avere, forse, un adden tcU.to più preciso neltopos, largamente diffuso neU. pubblicistica aristocratica di quel periodo, sugli eccessi deU'attività legislativa (per cui cf. il famoso examw tacitiano di A1111. 3, 27).
4) Come si è detto, non mancano luoghi dove a in· dicare l'ordinamento giuridico in generale o, se si vuole, le norme giuridiche in generale o nel loro com plesso, è usato il tennine leges. In E 4, 231 Giove or dina a Mercurio di ricordare a Enea come Venere gli avesse promesso che egli sarebbe stato tale da porre tutto il mondo sub leges. In 7, 203 si dice che i Latini, gente Saturnia, sono giusti non per vincolo o per legge, ma per loro natura e perché seguono il costume dell'antico dio: e qui non solo ricorre la distinzione, se pur in modo piuttosto tenue, fra ordinamento umano (o positivo) e ordinamento divino, ma è presente la contrapposizione &a /. e mos. A designare precisa mente l'ordinamento giuridico cittadino è usato poi il plurale leges in E 6, 810-11 dove, come già si è visto, il re Numa è presentato come il primo qui legibus ur
bem l /undabit.
5) Accanto ai luoghi sopra indicati vanno ricordati
G 4, 154 ed E 2, 159, dove il termine leges sta sempre a significare le leggi in generale o l'ordinamento (nel passo delle Georgiche quello perfetto delle api).
Con un significato tutto panicolarc leges ricorre nel passo in cui il re luba, offeso per essere stato respinto da Didone, uaccia un rapido schizzo della rqtina: /emiM, qMtJe 110stris erTa11s ;, fi11ibMs MT· bem l exigwm pTetio posMil, cui litw 11T1111dum / cuique foci leges de a,·mus, C011Mba i IIOSITII l Tef>pulit ac domi11Mm Amea11 ;, "JI."" recepii (E 4, 21 1 ss.). La frase cuiqMe foci ltges dl'dimus � variamente inter
pretata. I più l'intendono •a cui demmo i diritti sul luogo•, c in tal modo kges equivarrebbe a iuTa, ossia a diritti soggettivi. Qualcuno, pure fondatamente, intende • a cui demmo il diritto di far leggi in qud luogo• (dove Didone costruiva la città). E questa seconda spiegazione non sforzerebbe il significato di /., che non è mai usato a indicare un diritto soggettivo. Altro significato, puramente con· getturalc, potrebbe essere: c a cui demmo (= stabilimmo) le leggi da cui il luogo doveva essere regolato•. La spiegazione più valida sem brerebbe la seconda. Accezioni generiche c traslatby. s.v. H.-l.:alùioJ. PW vu 2 (19121. 2702·04. 2727-33; E. Ho· ni�tmann. s.v. L/r;e 2. ivi Xlii l ( 1 '1261, 149-202; P. RomancUi. s.v. L1hva, Oiz. Epi11r. rv ( 19581. 976-7!1; J. Desan�t< "S. comm. a Pli11e I'A11Mt.,m l.lll"'!> (•c siccità è nd profondo dd la�o•, Thtr. }68, cf. tv xtQO!fl, }69) il virgiliano �� 01wflumùtl1 siccii l /•uobus 11J bmum r11thi tt�/i1Ctll roqutbilnt (vv. 427-28) sembra SU!IIlerirc, K si tkn conto dtgli usi di L fino a questo punto considerati, una sona di umida vitaliù latente nei flumùw... 114 limu m.. . Jtpt/art• (un'ipotesi che troverebbe una sia pur tenue confcnna, K si ammr�tcssc che l'auto� di Cukx 165 - mtnus uJ in ilmo magno sub stdtrir iltstu -
avesse in mente il nostro luogo). Ma Swio vede l'indurimcnto dei leni fluviali dovuto al grande caldo che investe lo stesso L (Th�b. 4,
700 S.): Ji/fug= unJ.�. SqU4k,t /onmqw Utusqut, l �l CIIW /tr· wnti dllr�srunJ jlumin11 b'mo.
Non è da escludere che nel passo di Stazio influisca anche la memoria dell'ultimo testo virgiliano che dob biamo ora considerare - nel quale peraltro soggetto del durescere è il l. stesso (cf., per esempi posteriori, Th. l. L. vn 2, 1429, 69-73; in panic. Apul. Apol. 30, p. 35, 8 ss. Hdm: il/e (scii. Virgilius) enim... enume
rai... limum durabilem, ceram liquabilem): Limus ut hic durescil el haec ut cera liquescil / uno eodemque ignì, sic nostro Daphnis amore (B 8, 80-81; cf. Ricther 1970, 80-83, 149 s.; Tupet 1976, 223-32). Vi è qualche in certezza se si tratta di una sola e/figies (cf. v. 75), che sarebbe presumibilmente di cera (cf. Theocr. 2, 28 s.; anche Ovid. Her. 6, 91 ss.) - e allora cconvien pen
sare che... il limo appartenga ad altre piuticolarità e cirrostanze dell'incantesimo» (Albini 19553 ( = 18981), ad l. ) - o piuttosto di due immagini, come in Hor. Sat. l, 8, 30 ss. (l..Anea et elfigies erat, altera cerea... : le due figure sono qui contrapposte, s'intende a fine ma giro); ed è su analoga linea l'interpretazione del verso virgiliano che traspare da Serv. Dan. ad Bue. 8, 80 se de limo /aci/, Daphnidem de cera; negli Schol. Bern. (ad Bue. 8, 75) la elfigies risulta addirittura triplice (v. 75 elfigiem; v. 80 Limus... hic... haec... cera). La prima interpretazione è forse la più economica, anche te nendo conto del fatto che il durescere del/. e il lique scere della cera, causati dall'unico fuoco, devono avere la loro proiezione efficace, in forza dell'amore della donna, sul solo Dafni: secondo alcuni (p. es. Perret 1970, ad l.) in lui la «durezza di cuore,. dovrebbe sciogliersi, e un affetto sincero ronsolidarsi (ma v. pure Richter 1970, 149). Si può anche osservare: un solo fuoco (uno eodemque igni: per l'uso magico dd fuoco, cf. Theocr. 2, 23-26; 2, 54; anche B 8, 105-06; per il 'bruciare' d'amore, Theocr. 2, 40, cf. B 8, 83; Theocr. 2, 131-34) ha un effetto duplice e, nel previ sto e voluto risultato magiro, ronvergente: il liquescere è modellato su Theocr. 2, 28-29 (wç �où�ov �òv XY)QÒV tyw aùv batJ.IOVl �a.xw, l wç �a.xodt' un' ��oç 6 Muv· 6wç àu�Ixa dtÀcpLç; cf. anche v. 83; per lo sciogliersi della cera e lo struggersi per amore si possono tener presenti i versi - con foni richiami lucreziani - di B 8, 85-89?); il durescere dd l. può far pensare, nella intesa proiezione magica, a quella 'paralisi' che con clude la mirabile sintomatologia dell'innamoramento di Simeta in Theocr. 2, 110 àll' tnaYTJv bayùbl xaì.òv XI.>OO n6.vto6Ev [oa. È inoltre da notare che il pasaUelismo formula� c la �lativa rima
in B 8, 80, impregnando ma�icamcntc g� oucni p=cnti !hc i ... ha«, monosillabi in ani; cf. Tandoi 1981, }05), vog�ono garantire il risultato (si confronti, sul piano fonnalc, il c11rmen di Tarqucnna ap. Varro lk rt r. l,
2, 27; Tandoi 1981, }05
n.
105).
n l. virgiliano - che è niger e in/ormis nell'oltre
tomba (mentre per caenum, oltre a E 6, 296, cf. G 4, 49; cf. Courcelle 1975, 502-19) - sembra avere una sua
coerenza con la visione della natura quale si esprime soprattutto nelle Georgiche: si va da un'ammirazione
227
LINCE non priva d'inquietudine dinanzi alla vastità palustre, alla percezione di una fecondità possibile e di un'at tenta umana operosità. Dell'aggettivo limosus vi sono due occorrenze, B l , 48 ed E 2 , 135; l'aggettivo è introdotto nella lingua poetica da V. (dopo Beli. Alex. 5, 2; Sall. lug. 37, 4).
BtaL. - Tra i com�nù, in parricolare. G. Albini, Bologna 19,!>3 (� 18981); J. Pe=t, Paris 1970, e A. Richter, La buiti mt� buco/i'/�. ibid. 1970, per le Bucolich�; R G. Austin, Oxford 1966', per E 2";
ibid. 1977, per E 6°. Per Arato, J. Manin, Arati Pbamom., Firenze 1956; per gli Araua ciceroniani, A. Traglia, Ciuronis P�tic4 Frag· mmta, Milano 1963. Srudi: ). André, us noms d'oisNwc m Latin, Paris 1967; P. Cour cdle, Conn11iJ.toi toi-mime. De Socrate lÌ saint Bmrard, ibid. 197'; A. M. Tupct, La magi� dant la po;si� latin� 1, ibid. 1976; M. Gi gante, ullura d�lla pn'ma bucolica, in wtura� V�r1,iliana� t, u Bu· coliche, Napoli 1981, 66-68; V. Tando� uuura dell'ottaw bucoliCII, v i i 304-06; F. Odia Corre, La mappa d�II'Enrid�. Firenze 198.P. PAOLO SERRA ZANETTI
lince (lynx). - V. annovera la L tra gli animali che fanno pane del coneo di Bacco: lynces Bacchi vaniu (G 3, 264; cf. Serv. Dan. ad Bue. 8, 3 animalia, tam quam pantherae, in tute/4 Liberi; Gloss. rv 451 12 est /era Liberi patris; Gloss. P/4c. v 30, 24 genus /erae agrestis variae, simi/is leopardo, Libero patri sacratum); lo fiancheggiano Properzio (3, 17, 7-8 te [scii. Bac chum]... non esse rudem testatur... / lyncibus ad caelum vecta An'adna tuis; e 4, 16, 8) e Ovidio (Met. 3, 668; 4, 24-25 biiugum... col/4 premis lyncum; 15, 413 lyncas dedit India Baccho ). La pelle delle l. è varia; perciò Probo nota (ad Georg. 3, 264): videtur ideo eas il/i ad sgnore, i ut per earum cobJrem indicetur in vino varias hominum esse mentes. Altrove (E l, 323) V. definisce macubJsa la pelle della L di cui è awolta la 6ma giovi netta (si tratta infatti di Venere), che si fa incontro a Enea. V. ricorda la L tra gli animali incantati dalla Musa di Damone e Alfesibeo (B 8, 3 stupe/actae carmine /yn·
ces), forse perché l'effetto richiama quello della voce di Orfeo (G 4, 5 10) che commuoveva persino le tigri; ma tigri e L sono aggiogate insieme al carro di Bacco. Attestato tanto al maschile (Hor. Carm. 2, 13, 40 timìdos... lyncas), quanto al femminile, come in tutti i passi citati di V., questo animale dovette costituire og getto di curiosità, essendo prevalentemente il suo hab1� tat estraneo all'Italia, poiché viveva in Asia e in Africa, anche se esemplari si trovavano in Europa; infatti ai giochi di Pompeo del 55 a. C. fu esibita una l. prove niente dalla Gallia, senza dubbio dono di Cesare (Aymard 1951, 109). L'animale, quem Galli rufium vo cabant (Plin. Nat. hist. 8, 28, 70) o /upus cervarius (8, 34, 84; cf. Steier 1927, 2474), poteva essere confuso con il cervo per le macchie della pelle, o col lupo, del quale aveva però dimensioni inferiori (Billiard 1928,
446).
Brn. - A. Steicr, s.v. lymc, PW xnr 2, 1927 (1962), 2474-79; R Billiard, L'agrit:�4. EMASUELE NAROUCCI
BtBL.
- La
Nel Carmen Saliare (fr. 6 More!) il dio del tuono è invocato col nome di Leucesios, che alcuni intendono come forma sabina di Leucetius (cf. Pisani 1960, 39) e altri come originaria forma latina ricollegabile alla glossa Lucerius Zniç (CGIL n 124, 34 G.; cf. Grien· berger 1910, 228). BtBL. - V. Gri�nberger, Dr i Fragmt'nl� salianscher V"u bt>i Varro und 5caurus, lnd. Forsch. 28, 1910, 199·232: V. Pisani, T�stf latini arcatd � volgari, Torino 1%0. GtOVANNI GARIIUGINO
Lucifero (Luafer). - D pianeta Venere ricevette presso gli antichi nomi diversi a seconda che sorgesse dopo il tramonto o prima dell'alba; quindi, se il ter· mine "EonEQOç viene traslitterato nel latino Hesperus, per il correlativo 'Ewoq>6Qoç abbiamo in latino Lua/er, calco seIl)antico di cpwoqx)QOç, vale a dire «l'appona tore di luce». Altro termine per indicare il pianeta è Eous, aggettivo sostantivato dal greco tci>oç, « mattu tino », « mattinale ». V. usa tre volte Eous, sempre in fin di verso: G l, 288 cum sole novo /e"as inrora/ Eous; E 3, 588 Po s/era iamque dies primo surgebat Eoo, e Il, 4 vota deum primo victor solvebat Eoo; Lua/er figura 4 volte: B 8, 17 Nascere, praeque diem veniens age, Luafer, al· i mum; G 3, 324·25 Lua/en· primo cum sidere /rp,ida rura l carpamus; E 2, 801 lamque iugsi summae surge· bat Lua/er ldae, e 8, 589-90 qualis ubi Oceani per/usus
Luci/er unda, l quem Venus ante alios astrorum dtlip,il ignis. In tutti i passi il contesto risulta chiaro e non sorgono specifici problemi astronomici; per quanto rÌ· guarda la scena conclusiva del 2o dell'Eneide , Servio Dan. nota (ad l. ) la felice coincidenza tra il sorgere dell'aurora e la partenza di Enea dalla patria distrutta; il commento aggiunge che Varro enim ail hone stellam Lua/eri, quae Veneris dicitur, ab Aenea, donec ad Lau· renlem agrum venire/, semper visam, et postquam per venil, videri desiisse: unde el peroenisse se agnovit. In riferimento alla simili10dine (cf. Il. 22, 317-21) di Pal lante con Lucifero, ancora Servio nota (ad 8, 590) che anche altre due stelle, nella costellazione del Toro e deli'Orsa Maggiore, appartengono a Venere, ma che Lucifero è la prediletta. Bt8L. - A. Wlosok. o;, Gouin Vmus in Vt·rgils A,·nds. Heidelberg 1967; A. Le Boeuffle. Lt·s noms latins d'aU'ni: prima di sognusi persino di pubblicare, è srato latifondista, militare e filosofo. Per trovare un modo di espressione soddisfacente è lungunenre andato a tentoni: i primi libri (26-29), vicini allo rudi· zk>ne uasnandato da Ennio, sono composri in metri drammatici, gli ukimi (30 e 1·21) esclusivama�te in esometri. Assumendo il verso dell'epica, la sotin davo provo della nobihì dei suoi fini, mo non perdevo per questo la semplicità di tono. ldentificoro con la conver sazione fomiliare (umro, lud� ��- l, 4, 9-13 ), scorrono come un 6ume fan goso, mesrolono il faceto e il serio, la finezza e la grossolanir•. il sopere e l'oscenirà. La soriro si definisce come ri6uro della grande poesia, non è JHXsis, ma JHXma (338-47 M.): l'introduzione di que sto termine in larino corrisponde alla consacrazione di un genere di composizione, il poem1 breve, di cui non ero stata oncora ricono sciuto la nobi.ià; nell'estetica di L corrisponde anche al rifiuto dcii· benro della rragedio e dell'epica. Le Satir� distr1JAAono l'immagine grtndiou degli eroi: nella loro visione Alcmene ed Elena divengono storpie, si coprono di YetTUche e ingrassano (S40-46 M.), Antiope è sporco (599-600 M.), Tieste sovreccitaro (870-71 M.), Merope idiota ( 1 169 M.), ApoDo è solo un bollerino belloccio (19-23 M.) e Net IWIO WlO sciocco incopoce di capire senza l'aiuto degli uomini (31
M. l. L condanno la ricerco deUo straordinario (S87, 608, 6SO M.), dell'inusuale, dd meraviglioso; rekga nd deposito degli occcsri so k v•t•·m fgbultu (612 M.) e rifiuti d'identificare il proprio ideak nd destino di esseri d'eccezione. La poesia ispirata che si abbevero alle fonti delle Camene (1008 M.) rivda i segreti dell'avvenire (1028 M.), canta le imprese di uomini illustri (621 M.), deve cedere il posro all'anualirà.
Un simile atteggiamento potta a bandire tutti i mo delli illustri di cui si nutre la creazione virgiliana: Omero è diseguale (480-83 M.), Pacuvio soporifero (875 M.), Ennio spesso sragiona (1190 M.), Accio è magniloquente (794 M.). In un universo laicizzato, in effetti è Roma a sostituirsi agli dei e agli eroi, e il pa triottismo diviene un obbligo morale, commoda praete
rea patriai pn'ma putare / deinde parentum, terta i po stremaque nostra (1337-38 M.): sostituendo la nozione di patria a quella di societas hominum, L. ha piegato in
maniera decisiva il contenuto che gli Stoici e Blossio di Cuma in panicolare (Cic. De off 3, 3, U) attribui vano agli officia. V. ceno approvava tale gerarchia di valori, che è illustrata in numerosi passi dell'Eneide (p. es. 4, 333--61), tuttavia non mostrava un debito speci fico nei confronti di L., bensl verso tutta l'ideologia che, derivata dal circolo degli Scipioni, si era diffusa nel pensiero romano del 1 sec. a. C. Inoltre la morale, come si configura nella satira, non serve a meditare la storia nel suo grandioso divenire, a stabilire nuove leggende, nuove mitologie e nuovi dei: serve essen zialmente a consigliare, rimproverare, giudicare i cit tadini nella vita quotidiana. Niente sfugge .alla sua analisi, nessun vizio, nessuna attività, nessun atteggia mento politico; secondo il verso di Orazio (,Sat. 2, l, 69), essa ha straziato potenti e popolo, tribù per tribù; al limite il poema diviene allora mezzo di battaglia aspra e violenta (Macrob. Sal. 3, 16, 17). Leggendo L., V. trovava una creazione o totalmente estranea o totalmente opposta all'estetica e alla. poetica delle Bucoliche, delle Georgiche e dell'Eneide; inconte· stabilmente le Satire non sono né fonte né modello della sua s i pirazione e non è neppure sicuro che siano state oggetto di imitazioni occasionali o di remini scenze. Il problema era stato posto già in antico: Ser· vio (ad Aen. 10, 104) scrive: lotus hic wcus de primo
Lucilii transiatus est, ubi inducuntur dii habere conci lium et agere pn'mo de interitu Lupi cuiusdam ducis in republica, postea sententias dicere. sed hoc q«ia indi gnum era/ heroo CIJmtine, mutavi/ et induxit primo lo quentem lovem de interruptis foeden·bus, cuius oratio nem interrupit Venus, posi secuta lunonsi verba sullt quibus redarguii Venerem: unde nunc luppiter illud quod omiserat, reddit, dicens: ·ergo quoniam pacem esse non sinitis, ea quae sum dicturus accipite. Questo testo
ha dato adito a varie interpretazioni: Servio parla d'i mitazione puntuale, hic focus, non contempla un'in fluenza globale delle Satire sull'opera virgiliana (Boli sani 1933 ); la glossa non consente nessuna generaliz zazione a priori; tutte le somiglianze che esistono nella lingua dei due poeti non componano necessariamente imprestiti da L. (Fordyce 1935, 186; Colombo 1935). L'elenco completo delle espressioni ripetute è illu minal)te; si può trattare di somiglianze di poco conto:
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LUCll.IO excoquere vt/tum o morbum (74 M. - G l, 87-88); dare se (420 M. - G l, 287); speclandi studio o vi sendi studio (976 M. - E 2, 63); audere pro commodo el regno e audere pro vita (694 M. - E 12, 814); supe rare promuntorium e superare /ontem (125 M. - E l, 244); drcum/e"e (64 M. - E 6, 229); tunica e mtira (71 M. - E 9, 616); mac/e virlule (225 M. - E 9, 641); dc/or assume forse il significato di « desiderio,. in 215 M. come in E 10, 398; l'uso di fultus con un ablativo e di numero con un cardinale (138 M. - B 6, 53; 166 M. - E 10, 329) denotano, secondo Servio Dan., la lingua dei veleres; così come additus, secondo Servio (469 M. - E 6, 90). Altr� somiglianu sono
dovute a proverbi o a espressioni prover·
biali divenute di uso comune: non omna i possumus omnes (218 M.
- B 8, 63), fonnula già anestata in 11. 4, 320; scio Amyclas tacendo pm'isst (958 M.; cf. E IO, 564) ricorda la sone di Amide nel Lazio distruna o causa �D'imprevidenza d�gli abitanti che avevano proi· bito la discussione di ogni misura politica e militare; anch� Afranio (274 R)) menziona il destino di questa città. Altre somiglianze sono giustificate dal fatto. che i due poeti utilizzano, con o senza inten zioni di parodia, lo stesso tipo di lingua, queUo deU'epica e d�U'ar caismo: circumf"'e (64 M. - E 6. 229) assum� il significato di « pu· rilicare• com� in Plauto I.Amph. 775); std quid ego haec (1000 M. E 2, 101) si rifà a Ennio I.Ann. 204 V1) e a Plauto (M..,.c. 218); 11dsentiri (432 M.) e 11dsentire (E 2, 130), Dici archrìum populi e Gr11ium populi (123 M. - E 6, 588), parct7e (719 M. - E IO, 532) nel senso di urvare, habendo (lOH M. - E 12, 88) possono classi/i· carsi n�o stesso gruppo. Mohe somiglianze si speg i ano con gli im prestiti che i du� poeti hanno trano dagli stessi versi di Ennio: ron silium summù de rebus habebant (4 M. - E 9, 227) è ispirato da Ann. 237·38 V'; haec ubi dieta pausam tkdit ore /cquendi (18 M. E l, 81 e 6, 76) da Scipio IO V.'; si quid pums nobù, me n /ratre /uùut (427 M. - E 2, 77) da Ann. 125 V.2; infine il verso di Ennio sparsis hastis longi s campus spkndet et ho"tl (Scipio vm V.2), scher nito da L. che voleva completarlo ho"n et alget (1190 M.), è ri preso da V. in E 1 1 , 601-02 tum late /e"ti'll-lOTiwt, ecc.
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LUDI l'ambiente naturale in cui V. fa svolgere coru, con l'arco e il ludus Troi4� (v. la precisa descririone: vv. 286-90) richiama �awnente il circo romano, anzi il Circo Massimo (v. ctacus), dove ulvolta si teneYUIO gare 11tletiche a Roma, prima della costruzione dello stadio di Domiz.iano (cf. Cass. Dio 60, 23, �). e quasi sempn! si svolgeva l'esibizione equestn!.
Già, dd
pugilato,
rato,
tiro
In tale prospettiva, la rassegna dei singoli episodi della descrizione virgiliana è interessante soprattutto per quanto riguarda i due (regata e /udus Troiae), dei quali nessun'altra descrizione è giunta dall'antichità. La sostituzione della gara omerica dei carri con quella delle navi viene comunemente spiegata, in ter mini realistici, con la circostanza che i Troiani non otevano avere con sé i carri; in termini poetici, con p la considerazione del carattere marittimo della prima metà dell'Eneide. Ma poiché la regata, non frequente negli spettacoli agonistici, figurava nel programma de gli Actia di Nicopoli (Steph. Byz. s.v. Ax1:wv: la n>.oiwv 6141ÀÀ.a è, appunto, una regata, non una nau machia come afferma Reisch 1893, 1214; e la regata si svolgeva a Nicopoli, non a Roma come curiosamente ritiene Briggs 1975, 275), si può pensare che anche o soprattutto per questo motivo V. l'abbia introdotta nella sua descrizione (v. inoltre Kraggerud 1968, 127 -30). Che poi questa rifletta un'esperienza diretta del poeta è difficile dire; e sembra, anzi, da escludere (contro l'affermazione di Mehl 1958, 1487 = 1%3, 565) non tanto per la scarsa dimestichezza che egli dimostra con gli aspetti tecnici della gara stessa, quanto per il ricorso sistematico alle analogie letterarie che poteva offrire l'omerica corsa dei carri (v. RE· GATA). Dalla corsa dei carri è mutuato, in particolare, il poco realistico svolgimento della gara navale: par tenza dalla spiaggia, alla quale si ritorna dopo aver voltato (a sinistra, come nelle corse del circo) intorno a uno scoglio scelto in funzione di meta. Su un'indubbia esperienza diretta riposa, invece, la tanto più reale e vivace descrizione dello spettacolo caro ad Augusto (si è visto) e, quindi, familiare alla Roma augustea: il /udus o lusus Troiae, da V. citato come /udus senz'altro (5, 593 e 674: v. wous) o con la più esatta denominazione di Troa i (v. 602). Trenta sei giovani cavalieri - ripartiti in tre schiere di dodici, ciascuna su due file e condotta dal rispettivo istruttOre - danno vita a un'esibizione equestre di grande spet tacolarità per le molteplici evoluzioni che si svilup pano in diverse e complicate figure e simulati movi menti militari. Quella di V. è la sola descrizione che si abbia del /udus Troiae, nella sua realtà spettacolare, ma anche nella sua ispirazione religiosa e poi, con Au gusto, storico-politica; come tale, è stata oggetto di innumerevoli analisi (v. TROIA: Ludus Troae). i Delle altre gare, la corsa a piedi e il tiro con l'arco si rivelano pura costruzione letteraria, come mostra anche la più vistOsa presenza - in esse - del modello omerico; ed è significativo, p. es., che non sia possi bile farsi un'idea precisa delle caratteristiche della corsa a piedi (è, a ogni modo, infondata l'ipotesi Williams 1960, 108 - che si tratti di un blauÀoç, cioè di una corsa doppia con svolta intorno alla meta). Nella descrizione del pugilato sembra, invece, con•
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fluire una personale conoscenza di tale spettacolo, non però nelle forme relativamente raffinate degli agoni greci, bensl in quelle tanto più violente e primitive che il pugilato presentava negli spettacoli gladiatorii (an che per l'uso del cesto). Sembra, dunque, troppo drastico il giudizio (Gardit= 1930, 127) che runa la descrizione virgiliana, escluso sohanto il lwius Troi4�, sia retorica e anificiak; ma, d'ahra pane, è ceno eccessiva la fiducia di Mehl (1958, 1489-93 = 1963, �67-72) nel signifiCIIto docwnemario dei molti particolari da lui r•ccoki e sistemati. Del n!Sio, che l'ime· resse di V. sia umano e poe1ico, non sportivo, baSI&llO a dimostrarlo le premiazioni, poco o punto rispenose delle più elementari 'regole del gioco' (come dei più elementari fani economici, quanto alla ge rarchia dei pn!mi: Willis 1941, 409-17).
3) Se, in conclusione, la descrizione di V. non sem bra offrire molto alla conoscenza della realtà agoni stica dei suoi tempi, anche da questa - oltre che dal l'esistenza del modello omerico - egli pur trasse ispi razione. Altre sono, naturalmente, le preminenti ra gioni poetiche che hanno indotto V. a interporre - fra la tensione drammatica del 4° libro e la tensione sto rica e politica del 6° - la rasserenante descrizione dei giochi funebri in onore di Anchise: parentesi, o meglio intermezzo, che ha nella caratteristica frequenza del l'aggettivo laetus la sua connotazione poetica fonda mentale (Heinze 19153, 169-70; Monaco 19722, 37·39), ma che il prodigio della freccia di Aceste, il carattere romano del /udus Troiae e i frequenti motivi eziologici riconducono all'ispirazione religiosa e stori co-politica del poema, e la peripezia dell'incendio delle navi reimmette organicamente nella vicenda ge nerale. I giochi, inoltre, non solo preparano successivi svolgimenti poetici (p. es., con la prima manifestazione dell'amicizia fra Eurialo e Niso), ma soprattutto rap presentano - per la loro n i tensa associazione religiosa con Anchise (Williams 1960, xn) - il «ritorno ad An chise ,. di Enea (Monaco 19722, 29-49; in part. 37 n. 1J ): chiusa la parentesi cartaginese, il protagonista re cupera cosi - con la memoria paterna e le idealità da essa incarnate - la linea direttrice del poema. Contro valutazioni critiche intese a sottolineare il carattere 'episodico' dei giochi in onore di Anchise, il loro significato poetico si rivela insomma variamente funzionale alla generale ispirazione del poema (Buch ner 1958, 1375-76 = 1963, 463; Kraggerud 1968, spec. 126-27 e 221-25), riceve dunque luce dal riconosci mento del significato anche strutturale dell'intermezzo 'ludico ', cioè dei suoi molteplici, intrinseci e (ancora una volta) funzionali rapporti con il libro che precede e quello che segue, e quindi con la complessa archi tettura dell'intera opera (Galinsky 1968). Così, la 'convenzionalità' della descrizione di giochi nel genere epico è da V. accolta e al tempo stesso superata (Gla zewski 1972, 95-96), cioè ordinata all'unità strutturale e poetica dell'Eneide. Anche nella prospettiva preva lentemente 'contenutistica', e storica, del presente ar ticolo non è, a ogni modo, senza importanza che la sensibilità artistica e poetica di V. sia riuscita a co gliere e a rappresentare efficacemente - nella descri zione di giochi prevalentemente greci nella sostanza e
LUDUS letterari nell'ispirazione - il senso religioso e sportivo, ludico e spettacolare, che caratterizzava le analoghe manifestazioni della tradizione romana. BraL. - Per ciascuna pane dell'articolo,nell'ordine della tnnazione, si danno k indicazioni bibliografiche essenziali; e si rinvia, per W. Suerbaum, ANRW un'infonnazione più sistematica. aUa bibl. 11 3 1 , l. 1980, spec. 22S-28. - D miglior quadro d'assieme del com· plesso sistema spenacolare romano � ancora quello di L. Friedlaen der, D.mtellung�n Qllt tkr Situng�tchicbu Romt n, Lcipz l92210, 1 - 1 62; per la distinzione, all'interno di rale sistema, dei l. dalle ahre manifestazioni resta fondamentale G. Wissowa, Rrlip,ion und Kultut br Rom"· Miinchen 1912'. 464-67; quanto alle occonenu: dd termine nell'opera virgiliana, v. anche LUDUS. - Per l'analisi della descrizione dei giochi in onore di Anchise v. in generale R Heinze, V�rgtll epùcbr Trchnik, l...cipzig-Berlin 1 9153, 145-70; A. Canauk, . L'11rt d� Vtrgde dttm l'fniùk. Paris 1926, 367 -87; K. Buchner, s.v. P. Vergilius Maro, PW VIli A 2 (19S8), 1375-77 ( � 436-38 dell'ed. italiana: K. Bilchner, Virgilio. a c. di M. Bonaria, Brescia 1963), con l'appendice di E. Mehl. Die uicbempirl� in der AneiJ alt tumg�· sclucbtliche Quelle, ivi, 1487-93 (� 565-72 dell'ed. italiana); E. Kraggerud, Aeneimudien (50, fase. suppl. 221. Osloae 1968, 118239; H. A. Harris. Th� Game� in Aenàd V. PVS 8, 1968-69, 14-26; G. Monaco. Il libro dei ludi, Palermo 1 9721 (e, naturalmente, i commenti al 5° dell'Eneide; &a i più recenti si ricordano quelli di R D. Williams. Oxford 1960, e di E. Pararore. Milano 1979). In parti colare, sulk questioni geograJiche dd souiomo di Enea in Sicilia: F. Della Cone, La mappa dell'Eneide, Firenze 19851• 91-102; su quelk storiche: G. K. Galinsky. Aeneat, Sidly. and Rom�. Princeton 1969. 63-102: sulle sin�le gare: v. gli articoli ad esse specificamente dedicati (nonché TIRO DEL GIAVELLOlTO, per quanto ri�tuarda la gara forse annunciata al v. 68. ma non dfenuata). - Per il confronto della descrizione virjliliana con k altre della tradizione epica v. in generale W. H. Willis, Athletic Conum in th� Epic. TAPhA 72, 1941, 392-417, e k citare trattazioni di E. Mehl e H. A. Harris (cf.. di quest'unimo, Gruk Athkm and Athlelli:f, London 1964, 48-63 ). Quanto allo specifico confronto della descrizione virgiliana con l'o· i no arti merica, restano fondamentali le analisi di R Heinze (sul pa stico e poetico) e di A. Cartaulr (per i sin!(oli riferimenti puntuali), con la più recente di E. Kra(!(!erud: v. inoltre B. Otis, Virgil. Ox ford 1963, 41 -61: casi particolari sono srudiati, p. es da G. Bel lardi, Un tumpio di 'imtiatio' in Virgilio, Mai2 14, 1962, 187-208 !con riferimento alla �ara di pugilato) c A. Kohnkcn, Der f.ndspurt dn Ody.ruut. Weukampfdttmellung bti Homer und Vup,il, Herrnes 109, 1981, 129·48. Per i rapponi delle descrizioni Stazio e Silio ltalico con quella vir�iliana v. H. Juhnke. Hom,.rùchn in romitchrr Epik f/avuchtr Z..it, Miinchcn 1972, 108·13, 216-18 e spec. 229·67; D. Vessey. Statius and the Thebaid, Cambridge 1973, 2!W-29. - Sul l'agonistica greca o Romo e nel mondo romano v. in �tenerale E. N. Gardiner. Athl�tiN o/ th� Ancimt Wor!J. Oxford 1930. spec. 46-52 c 117-27; L. Moretti, ltcri7.ioni agonùticht grrche, Roma 1953, 131-79; H. A. Harris, Sport in Grrrce and RomatVOI!fVa di Arato e con Plin. Nat. ht'st. 18 . 79, 347 ss.; un caso particolare è quello del v. 432, dove l'espressione orlu quarto indica il quarto sorgere della l. nuova, vale a dire il terzo giorno dopo il no vilunio (Rouch 1931, 241. Operazioni map,iche. Tra le realiz.zazioni principali della magia antica c'è quella di staccare, far cadere dal cielo la l.; a tale topos si riferisce anche il passo di B 8 69 CArmina ve/ caelo possunt deducere lunam. La rac: colta di erbe per filtri e pozioni magiche avviene soli tamente al chiaro di 1.: a tale regola non si sottrae Di done (Tupet 1970), come risulta da E 4, 513-14/alci
bus et messae ad lunam quaeruntur aenù l pubentes herbae nip,ri �, lacte venrni; a tale scena di magia Serv1o e Serv1o Dan. (ad l.) a�giungono un dettaglio: herbae enim aut pro lunae ratione tolluntur, aut in quas despumaverit luna. 2) DEA. - 'Astro dei ritmi della vita' per eccellenza.
in quanto esempio e simbolo del divenire ciclico come la definisce Eliade (19722, 158), la L. com� nume fa parte delle strutture religiose della maggior parte dei popoli; vari sono i nomi e le identificazioni che tale divinità ha ricevuto nella religione e nella mitologia greco-latina. Luna. Varrone IDe l. L. 5, 74) cita la dea Luna (propriamente «la luminosa ... antico femminile di un agge�ti:V� � ·'!O,*. l�uk-s-na >� (ouksna ) tra un gruppo d1 dtvmtta d1 ongme sabina 1 cui altari risalgono a Tito Tazio; ciò dimostra, indipendentemente dall'e.
LUO sanezza del dato, che il culto di Luna a Roma era as sai antico e precedente alla sua identificazione con Diana e con altre divinità di origine greca (Lunais 1979, 97). Nelle occorrenze di V. qui riportate la fa cies di persona divina risulta essere prevalente su quella astronomica tout court; cosi in G l, 396 nec /ra tris radiis obnoxia surgere Luna è chiaro il riferimento alla mitologia greca, che ha farto intercorrere tra il sole e la l. il rapporto tra fratello e sorella (altri popoli hanno istituito differenti parentele); la spiegazione del passo offre qualche difficoltà per l'espressione /ratn"s radù"s obnoxia, che nel commento di Heyne costitui rebbe un semplice epiteto (il passo indica quindi che non c'è la 1.), mentre in quello del Wagner viene in terpretata come un accenno descrittivo dei riflessi ros sastri del satellite sotto i raggi del sole cadente. Un altro dato mitografico si ricava da 3 , 391 ss. Munere
sic niveo lanae, si credere di;.num est, l Pan deus Arca diae captam te, Luna, /e/ellit l in nemora alta vocans; nec tu aspernata vocantem; a questo riguardo il corpus serviano (ad/.) riferisce che l'autore del mito di Selene
ed Endimione (non Pan, come in V.) è Nicandro·' la notizia è confermata da Macrob. Sal. 5, 22, 9 s.; sul dono della lana sono riportate due versioni differenti: in una il giovane pavit pecora candidissima el sic eam in suos inlexit amplexus, nell'altra niveis vellerrbus se àrcumdedit atque ila eam ad rem veneriam illexit. In E
9, 40� suspiciens altam Lunam, el sic voce precatur, . mvoca durante il combattimento notturno l'aiuto Ntso
della dea. Resta infine da discutere a Tenedo tacitae per amica silentia Lunae (2, 255), che rappresenta una delle cruces più dibattute dell'esegesi dell'Eneide·' la Piccola Iliade, che V. segue abbastanza fedelmente nel cors;o del 2°, tramanda (fr. I l Kinkell che la presa di Trota avvenne durante una notte di l.; V. invece in undici passi del libro (v. 251, 360, 397, 420, 590, 621, 693, 725, 732, 754, 768) accenna all'oscurità della none, e infatti proprio questa circostanza giustifica la scomparsa di Creusa (Paratore 1978, 300)'· sola eccezione è il v. 340 oblati per /unam.
Vw spiqaz.ioni sono stat< t�n���� ckU'ambi�tua npr�io"" /fiCl/Q� LunQ�, ma nessuna parrcb� pi�nam�nt� soddi. sfacent�: cosl �rvio (4d A�n. 2, 255) acc�Ma alla troria dd ��� cieli, ognuno cki quali �m�t� un suono scmp� m�no fon• a misura
ùmtCQ siknll4
eh• ci si avvicina aUa ttrra; Marouzeau (19}}, 64 s.; 1940, 264), Cram (1936, 253 ss.) e Ponte (1950, 44 ss.) suppongono eh� sil�ns sia equivaknte di • assente •, • che quindi la l. sia nascosta dali• nu· vok o in n i terlunio; Di Prima (1951) �nsa eh� la l. fosse all'ultimo quano, • che quindi non sia ancora sona 4uando i Gr«i salpano da Tenroo. D Geymonat ha scelto il nom� proprio Luna�, appoj�j�iando la tesi di Pagliaro (1951, 22 ss.) che vi v�d• non un genitivo, ma un dativo; il passo andrà quindi tradotto: • il silenzio eh� Luna am...
Altri nomi della dea. Accanto al nome Luna com paiono in V. altri appellativi della tradizione mitolo gica; solo in pane l'elemento astrale vi è messo in evi denza, data la polivalenza delle funzioni delle divinità (v. DELIA; DIANA; ECATE; FEBE; l.ATONA).
BtBL. - E. Diehl, V�•Ril Arn�is 11, Bonn 1911; J. Rouch. u prfvi. sion du lmtps dans v,.Ril�. R.-vue jt�n ,•• luo, Th l L vu 2 1 1'179). 1840 4S: �r Vir�1ho. Gl't f. uhr, a c dJ rG B Conte:·lA Barch1es1, Mtlono 1980: S Manottl, Il Fraf.mMtum Bt>ht�lllt d� nommr, 10 Alli Cf)IIJI.' 'll lt· bro c tf tc!lo', Urbmo 198-1, 39 ss. RosA MARIA D'ANGELO 282
LunRCALE. cano,
-
Rilievo deU'Ara Casah,
età sevc:nana. Cutà dd Vati·
Muse1 1/nt IJIIIttto Ard>rolt>JI,It.TI Gnum�nlul�. Roma 1946, 420-23; A Andren, Daonvsaus o/ Halaramassus on Roman .\fonumrnls, in llomm L llre da pane di Latino ne testimonia l'ufficio cti padre e cti re: cf. Tib. Don. ad l).
L'osservanza rituale, tuttavia, non mette il fedele al riparo da esiti infausti: è il caso di Laocoonte (2, 20 l ss.), il quale, dopo avere immolato, con la dovuta so lennità, un toro (che è l'animale ritualmente c adatto• al dio Nettuno: cf. 3, 1 18), viene travolto da un desti no atroce. Per contro in 3, 21 ss. l'offerta irrituale di un toro a Giove (secondo Serv. ad l. e Macrob. Sat. 3, l O, 3) varrebbe a spiegare l'inauspicità del sacrificio e l'impuro contatto di Enea con il corpo dell'insepolto Polidoro. Su un piano più generale, il fallimento dei riti propiziatori testimonia la rottura del tradizionale ordine religioso, la perduta alleanza divina. Nel poema virgiliano talune morti (Creusa, Miseno, Palinuro) as sumono il valore dell'immolazione di una vittima, sa crificata alla salvezza dei molti (5, 815 unum pro mul tis dabitur caput), e paiono rientrare in un continuo processo di vittimizzazione, volto a rifondare il per duto equilibrio della società. Valore sacrificate ha la stessa distruzione di Troia, necessaria, nell'economia provvidenziale della storia, all'edificazione dell'Urbe. In tre casi "'· � usato nel si,;nificaro di •uccidere• CE 2, 667; 8, 294; 10, 413); una volta inv�ce ricorre t. forma vocativa maclt (9. 641 Mad� nova virtut�. pu•r). con il valore di •�tloria a t� •· Taie espres sione . . acrompa�nata da virtute Co termini simili). � in uso nella lingua comune come formula d'incor•�t�tiamento � opprova· zione ICic. Ad Ali. 11, 29; Stlt. Thtb. 2. 4�1: Man. 12, 6, 71, e
probabilmente deriva da un naso, m.ctu1� (nom. e voc.J �110, pro prio dd lingu&88io religioeo, dove serve ad acrompi8Jlare ucrifici, 539 preghiere, offene (Cato rh agr. 132, 134; Non. 341, 36 M. L.; Serv. ad l.: Amob. 7, 31). Nell'intnpretazione di Servio � di al cuni ua i moderni (Conington 18985, 230: Wunsch 1914, 127) la derivazione - per omissione cti �sto - da questo nesso dà l"'j!ione di m•�t� come di vocativo piunoao che come imperativo o awtrbio (cf. Bin 1928, 199). •
BIBL .. - R. Wùnsch, Anm"lrungm :r.r ùtànismm Synlllx, RhM 69, 1914, 123·38; Th. Bin, M4t1� mo rmd lugthorig�s. ivi 77, 1928, r ;, Grulr •"" Rom., rTiit.ions •nd 199-201; K. K. Yerltes, Sllcr/i« nrly judiusm�. New Yorlt 1912; J. H. W. G. Liebeschuetz, Conti· i Rom•n R�ligion, Oxford 1979, 51-101; C. Ban· nr.ity •"" Changt n desa, S 'Ax.utwç, il poeta ncoeUenico K. Kavafis). Tuno ciò �. sono il profilo semantico, di grande rilievo anche per quanto riguarda l'analisi deU'impiego virgiliano dd 'derivato', ma� stus. Ciò che nell'uso virgiliano connota mtl�stus rispetto a tristis e a mistT è proprio il suo essere disponibile pressoché esclusivamente per situazioni più o meno strettamente connesse alla sfera del !uno; il che, mentre sembra deporre a favore del fano che il doctus V. mantenesse piena consapevolezza ddla connessione etimologica fra i due vocaboli, fa sl che implicitamente il ricorrere di m. c di ma�stus descriva, per cosi dire, quasi una mappa dci principali lutti di cui si fa cenno neUa poesia di V.: neUe Grorgich� la monc di Cesare, la peste del Norico, la monc di Euridice; ncU'Entid� il dolore per la fine di Troia, la mone di Enore, Polidoro, Sicheo. Anchisc, Pali nuro, Eurialo e Niso, Pallantc, Lauso. di truppe latine c arcadi in generale, nonché. anche se in modo più indiretto, di Creusa lE 2, 769), Didone (6, 434), Turno (12 44 e 682). Nettamente al di fuori di questo valore restano. a mio parere. soltanto B l, 36, che si col· loca in paraUclo col citato E 4. 82 �U'alludcre a una tristezza amo rosa (di Amarillide per Titiro); cd E 3, 482, dove Andromaca è mc sta per l'addio degli Eneadi (d. sfumature di nostalgia nella mcstizia del padre di Turno in 12, 44). Mi paiono invece già colorarsi di conn()(azioni luttuose i dolori umani di cui in l, 202 !tristezza, ti .
more, sospetto che gli altri siano morti, nel cuore di una parte degli cneadi naufra!(hi; d. l, 197); E Il, 226 c 12. I l O (costernazione di carattere politico-militare; d. 9, 471); 12, 30 e 601 (afflizione di
Amata).
Per l'impiego di maestus in connessione con il do lore per qualcuno che è morto, sintomatico l'insistente ricorrere del vocabolo all'inizio di E 11°, in riferi mento al lutto per la morte di Fallante (v. 26 mae stam... Evandri... urbem, e 147; vv. 35, 38 maesto...
immugit regia luctu, 52, 76, 92 maes/a phalanx Teucri que secuntur) e per gli altri lutti arcadi (v. 189); mae stae sono le arae innalzate per Polidoro e Anchise ai rispettivi funerali (3, 64; 5, 48), nonché le voces rivolte da Enea all'ombra del morto Ettore (2, 280), che, nel l'atto di annunciargli la triste sorte di Troia, appare all'eroe maestissimus (v. 2ì0; cf. v. 681 ); sfondo poli-
308
tico ha il lutto per la morte di Cesare prodigiosamente manifestato dalle statue nei templi (G l, 480 el mae s/um inlacn·mat /emplis ebur aeraque sudanl), mentre dolore amoroso e lutto si sovrappongono nei casi di 4, 515 (Orfeo piange Euridice nuovamente perduta) ed E 10, 191 (maestum... amorem: Cycno piange Fe tonte). Di grande finezza il quadro di dolore quasi fotografato in E 9, 471-72, dove, mentre il nemico avanza, con le teste di Eurialo e Niso infilzate sulle picche, i Troiani stani maesu;· simul ora virum praefixa
movebant l nota nimis miseris atroque fluenta i tabo:
nel cuore di questi eroi - rappresentati in un'epica fissità fatta di austero e agghiacciato sconfotto e di determinazione di fronte al dolore e al pericolo, in sa piente contrapposizione col moto del nemico e delle teste agitate - s'intrecciano, a mio giudizio insepara bilmente (ma il luogo è discusso), la costernazione per la situazione svantaggiosa (cf. 12, 110; Conington e Forbiger ad l. ) e lo sconvolgimento per gli amici morti e straziati (Paratore ad l.); e maestus per lutto e per compassione sarà il gemitus (9, 498-99) di loro, miseri, di fronte al lamento della misera (v. 475) madre per quella scena visu miserabile (v. 465). A volte maestus è usato per l'atteggiamento di un personaggio nei confronti della propria morte: è il caso dell'anima di Lauso (E 10, 819-20 tum vtia per auras l concessi/ maesta ad Manis corpusque reliquit), e di quelle di Erifìle (6, 445) e del guerriero Onite (1 2 , 514; Forbiger ad l.); a tale tristezza sembra mescolarsi quella per l a mancata sepoltura nei casi delle anime di Leucaspi e Licia (6, 333 maestos et mortis honore ca rentis), e di Palinuro (v. 340); per un sovrapporsi, forse, di un'infelicità già terrena, e come continuata nell'al di là, alla tristezza della condizione di defunti che li accomuna con gli addolorati personaggi ora ci tati, V. impiega maestus per i motti per suicidio (6, 434; cf. il maestus... furor che trascina Amata al suici dio in 12, 601). Alla luce di questa cospicuamente documentata valenza luttuosa di ma�stus, lo studio di alcuni casi panicolari può forse restituirei qualche nuovo aspetto dcUa sensibilità poetica virgiliana: in E 2, 769 Enea narra di av= invano, ma�stus, cercato Creusa, svanita; in 6, 156 m11estus... 110/tus esprime la preoccupazione provata da Enea alla notizia che dovrà scendere ai regna invi4 vivis; mntae sono le preghiere dcUe madri latine in ansia per l'incipiente guttn ( I l ,
482), c una simile ansia fa pian!(ere, manti, i patres (v. 454): mae stus, con le sue connotazioni drammatiche c luttuose. sembra essere
stato scelto, in questi passi. in quanto in grado di conferire colori ture sinistre c cariche di tristi presa11i all'angoscia di un personaggio per eventi futuri che si lasciano facilmente prevedere nefasti. IO. que sto, probabilmente, il caso, ancora, di 12 , 682, dove Turno, sma schcratone l'in�anno. abbandona Giutuma, lanciandosi verso la sua fine fitale; Giutuma rimane m��sta sul carro. Interessante, ancora, l'an�oscia di Mczenzio ferito, che multa super Llluso rogitat multum
qu� remtlltì / qui rer:oant maes/tque /eranl mandt�ta ptlrmtis (IO, 839-40). Questi ultimi passi, dove il sinistro e preoccupato presen
timento dell'animo si trova a immediato ridosso del momento in cui esso si troverà amaramente cunfermato - c cf. ancora quello di Il,
26. dove
En�a parla di m�esta Evandn· urbs, in riferimento all'avvc· nma morte di Pallante. di rui però l'urhs stessa non è ancora al cor· rente -. accostati a 4. 476, dow Didone. che ha deciso di morire, e di tenere tuttavia nascosto qut-sto suo intento. si rivolge ad Anna, c Anna è detta maesta. sembrano lasciar sospettare che, in qualche
MAGALlA raro caso, V. abbia quasi inteso proerut t dal di fuori, proprio con i l'uso di mustus, l'omb111 dd !uno su di un pcnomggio che anco111 ( e pes poco) si trova .J di qua di esso. Si chc in tal =o, all'inizio del 12" - che si conclude appunto con l'uccisione dell'eroe rutulo, uhimo caduto, la cui fine segna la definitiva >.va� della viccnd• cneadica -, .J.Iorché Latino ricorda a Turno, pes farlo desistere dal proposito di duellate con Enea, la mestizia dd di lui padtt (w.
43-4, mis�rNt p.r�ti s f IOffg1uvi, qwm 111mc ma�slum p.tria Ard� longt l dvidit i ), potremmo fo� leggere., an.Jogamc:rne, in questa
gli eventi fururi. uno spunto che V. avrebbe imeso venarc di una sfumatura profetica, prolilando, ac· C'aDro e insieme a qudla presente, anche la più profonda infelicità mestizia quasi u01 proie2ione veno
futura di questo pcnonaggio che appcno si aff1ccia neUa sua p.gina. BriL. - Krieg,
38-4 t e 45·49.
s.w.
matrto e
ma�stus. n i Th.
l. L VIli (1936-66), Al.ESSANt>RO Fo
magalia/mapalia. - La tradizione manoscrina, senza esitazioni, ci tramanda la grafia mapalia per G 3, 340, a per E l, 421 e 4, 259, probabile indizio che e magali V. ha adottato ora la grafia con la labiale ora con la gutturale. l due termini idem sgnificant i (Serv. ad Aen. 4, 259), ma il più vicino all'originale è magalia, da cui sarebbe derivato mapali a, influenzato da mappa. Gli autori an· tichi sono concordi sull'origine locale del termine; Servio è particolarmente circostanziato (ad Aen. l , 421): 'magalia ' vero antistoechon est; nam debuil ma·
garia dicere, quia magar... Poenorum lingua villam si·
MAcAUA.
gnificat. oggi la
La derivazione punic.a di m. appare anche più probabile, anche se ne è stata sostenuta l'origine puramente berbera e l'identità con la voce nuala («capanna») del berbero moderno (Marcy 1942). Sono le capanne delle popolazioni dell'Africa set· tentrionale, particolarmente dell'area numidico·libica, impiegate sia come abitazioni rurali o suburbane, sia come alloggi mobili nella vita nomadica.
Dalle fonti si ricava in maniera diretti o ndiretl i l che i m. erano fabbricati con materiale veget.Jc sia quanto aU'imdaiatU1'11 di sup· pono sia quanto .J rivestimento e .Jia copertura (Liv. 30, J; Lucan. 9, 94'; Plin. Na1. his1. 16, 70, 178; Sii. h. 17, 89). l cenni descr ttivi i lasciano intuire una cena varietà di forme: la pianti rotonda, con voi� approssimativamente cilindro·conico, � suggerita da Carone (Orig. 78 P.l: quasi rohort�s rotunda� Ima l'espressione oon è del tuno chiara, dato che rohors indica normalmente uno spazio sco· da fonti tarde (llier. in Amo1 pra4 990 A peno), e ripetuta /urnorum simt1u; lsid. Or 11, 12, 4 rotunda ll�difuio/4 ;, furnorum modo p.rw). La descrizione di Sallustio (lug. 18, 8) indica invece una pianta oblunga con pareti incurvare qiUisi navium am'n11�. Le 111ppresenllzioni figurate confermano queste due tipologie fondamentali: il tipo oblungo con tetto a carena o a spioventi è gii prte nd mosaico nilotico di Palestrina (di datazione controversa, ma non più tardo dell'et� siUana) e conferma la precoce diffusione deU'iconogralia, memre il tipo conico a sommitl Oessibile sembra affermani nel mosaico nordafricano sop111nuno dalla prima metà del 11 sec. d. C. (mosaico con scene nilotiche da El Alia. a Tunisi, Museo dd Bardo).
anche
- Panicolare del mosaico nilorico di Palestrina. Palestrina., Museo Prenestino 1/ot. Alman).
309
MAGALlA V. parla in tre luoghi di m., senza fornire elementi descrittivi, evidentemente considerando ben noto il si gnificato del termine, mentre ne rileva la pertinenza etnica: nelle Georgiche i mapalia sono le abitazioni del pastor Lybiae nomade, più oltre designato generica a secum l ... agii, leclum mente come A/er, che omni que kzremque (3, 339-45). Nell'Eneide compare invece la lezione magalia , la prima volta usata per designare le abitazioni preur bane - magali'a quondam, l, 421 - in corso di sostitu zione con le abitazioni stabili della nuova città che Didone sta alacremente edificando; e successivamente ripresa (4, 259) per indicare, in modo del tutto ana logo, l'accampamento precario dei Troiani fuori Car tagine, presso il quale Enea ha intrapreso la costru zione della città che pensa definitiva e che Mercurio viene a interrompere (Aenean /undantem arces ac tecta novantem l conspicit, vv. 260-61). Quindi, mentre nelle Georgiche è sottolineato il ca rattere nomadico e isolato dei mapali'a (raris... tectis) nelle sterminate piane libiche, nell'Eneide i magalz'a appaiono raccolti in una sorta di agglomerato subur bano, anzi, nell'economia della vicenda, preurbano (è interessante, rome dato urbanistico, l'accenno virgi liano a una fase d'insediamento provvisorio che pre-
1-iACALIA.
310
-
Mosaico con
seme
cede, nel medesimo sito, l'edificazione e istituzionaliz zazione della città). La duplicità di funzioni dei m. nomadici o stanziali; isolati o raggruppati - è presente anche in altre fonti (Serv. Dan. ne è informato: casas
Poenorum pastorales... : suburbana aedificia, ad Aen. l,
421). Ma, alla luce di questa diversità di funzioni dei m. , mi sembra che l'alternanza in V. di mapalia e magalia, i rife quest'ultima lezione impiegata esclusivamente n rimento a Cartagine, non possa essere imputata solo a opportunità metrica, come segnala Servio: 'magalia ' 'ma' producit; mapalia vero corripit (ad Aen. 4, 259). Infarti sappiamo (Plaut. Poen. 86) che Magari'a (Mt yaQ«ondo gli scol.iasti, sarebbero serviti da modello a Tco crito (Id. 2, I.OJ), debito� penino del nome di un personaggio (T=ili). t;. presumibil� che V. sia da rolks- al mimografo. Nei frammmti rimastici di So� abbiamo: un titolo che sembra allu dere a una pratica di esorcismo contro spiriti malefici (•le donn� che dicono di scacciatt la dc .. = Ec:ate), o d'invocazione, o d'inttt· �nto sugli astri ( = la luna: cf. B 8, 69); aettnin alla sogla (cf. v. 92), al bitume (cf. v. 82), forse a T�tili ( Amarillidcl, a una mi scda di tr� sostan%C (d v. 74), a un cane che abbaia (cf. v. 1071, a Ecat� �ina dei moni (v. 98?) che chitdc sacrifici di cani, a un rito preparatorio pi ù anro i lato in cui qualcuno dirige e ahri eseguono (cosl in B 8', do� i personaggi sono solranto due): compaiono una tavola (cf. v. 64, l'aha�). il bitume � l'alloro apotropaico (cf. v. 82), una c���tnetta da sacrificar� (cf. v. 107, il cane da guasdia), il fuoco � l incmso (cf. v. 65); c'� un dialogo (cf. w. 105·08), oppure un in vito a pr�are (le int�rprct.azioni sono diverse a seconda dcU� possi bili ricostruzioni del t�to); i confronti attuabili sembrano dimo strare un in/lusso diretto di Sofrone su V. (O�IIa Con� 1963, 390). Sofrone comunque è il primo a tratt- un tema di m. popolare con intendimento anistico; e rosl faranno Tcocrito e V. (cf. Lavagnini 1935 ). Più sicur� le analogi� con Tcocrito: Simeta compie il rito assistita da un'ancdla, T�tili, che riceve l'ordin� di recitar� alcun� fonnul� i orno al fuoco (cf. B. 8, 6�). prec�uto da (cf. B 8, 78). Il rito è nt un'invocazion� a Sdene, a Ecat� � alla ruota magica rymx, nel ritor· nello (v. 17), che ricorre per di«i volt� (num�ro eh� potrebbe es se� m���tiro [H�im 1893, 511J, ma il primo �rso int�rcala� anti· cipa 1'azion� di m. [d. Sutphen 1902. 3221: ed è prcsumibil� c.he la ruota venga contempora�nt� utilizuta; l'ultimo rrfr•i" è un in· vito a desistere: (come in B 8, 109); in V. l'invocazione fonnula� è inv� diretta ai azrmrna (per no� volt�. non dieci). I primi riti sono preparatori, di purilicazione � apotropaici: si bruciano farina d'orzo, alloro � crusca (8 8, 65 � 82, farro, alloro, in�so. verbene, billll),lle mentre, a scopo difensivo. è fatto risuonare il bronz.o Ud. 2, 36), dopo che � stata usata (v. 2) l.ona rossa (8 8, 64, morbida l.ona); però l'azion� � dimta anche su Del6 che � • bruciare d'imore•, come indicano i w. 21 e 26 (8 8, 831; la cera (Id. 2, 28; B 8, 80, alltilla e cera ancitetich�l si sciogli� al fuoco. � non è neces sario pensare a un'effil!ie rome in B 8, 75, E -4, 508. Hor. Sal. l, 8, }0, Ovid. H�r. 6, 91; la rotazion� dd 'rombo' (v. 30, strumento a forma geometrica legato a una cordi�Ua. di� dalla 'ruota': cf. lngallina 1974, 165-70) costringerà l'amant� a ritornare, come spiega Simeta al v. J l; cosi in Id. 2, 4).46 la triplic� libajlione è acromp���tnata dalla fonnula (8 8, 7}-78, triplice l�gatura con for· mulal e i w. 50-51 dichiarano l'effetto dell'ippomane su DeiJi co stretto a tornare a casa (in B 8, 91·93 sono i riti suUa SOI!Iia a far torna� indietro DatniJ: l'ippomane (v.) è qui un'�rba, cM viene bru ciata, o m�scolata con Lo salamandra pestata lv. 58), per farn� un •
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filtro da ber�. o l'un�uento da spalmare sull'architrave dcUa pona i del (vv. 59-60; B 8, 91-93 �""via� sulla soglia), e, n�lla simbolol!a rt i o qui dichiarata, sul corpo del traditore (v. 621, di cui si brucia una frangia di mantello (v. H; B 8, 91·93 �""vtu sonerrate), per aggiunge� un'azion� di m. contagiosa. n rito t�rmina, durante la none, con un'uhima azione difensiva, quella di 'sputare' (cf. Tib. l. 2, 56), cM fa il paio con l'ano iniziale d�) v. 2 (8 8, 102, distoglier� lo sguardo).
V. rinunzia all'introduzione, conducendo il lettore
in medias res.
311
MAGIA Ai preparativi (l" strofa, v. 64 ss.) e alla celebra zione (2" strofa), in tricolia (notare i tre imperativi e il 'certificato' delle tre referenze dei carmina), seguono riti di m. imitativa e ancora insistenti sul concetto della tema, per fili-colori-nodi-movimenti (31 strofa), per l'uso dei materiali (creta/cera, alloro, farro: 4" strofa, v. 80 ss., tenendo conto dell'espunzione del v. 76). Per tre giri (il tre è numero magico e sacrale per eccellenza, associato in m. all'usuale triplicità di Ecate: Papyn· Graecae Magicae 4, 2522-30) viene portata in torno all'altare l'effigie di Dafni, circondata da una cordicella composta da nove fili (non solo «tre», come spesso s'interpreta ai vv. 73-74) aventi tre colori, legati in successione cromatica (forse bianco, rosso e nero [R.ichter 1970, 147), in rapporto alla triplicità di Lu na = bianco, Diana = rosso (cf. B 7, 32], Ecate = nero, livelli cromatici presenti nei fenomeni atmosfe rici, nelle eclissi e nei rituali in m.); vengono gettati nel fuoco un pezzo di argilla e uno di cera (alcuni hanno pensato a statuette), alloro impregnato di bi tume, mentre all'intorno - quindi anche nel fuoco si sparge farina di farro mista a sale; l'allusione va cosi spiegata: Dafni viene «legato nei sentimenti,. con un katadesmos, giacché il nodo è tecnica usuale della m. (Saglio 1907), ma alla forza dell'atto si aggiunge quella della parola, di Amarillide che deve dire «stringo i le gami di Venere» (v. 78), in aderenza alle leggi imita tive (qui la donna è invitata a parlare, alla maniera della Testili teocritea, ma V., superando il modello, dà forse vita a un dialogo vero e proprio in chiusa) ; Dafni dovrà bruciare d'amore per la protagonista, cosi come si scioglie la cera e ardono l'alloro (notare il rapporto etimologico, forse a scopo di m.) e il farro, e deve restare col cuore di pietra nei confronti di altre donne, cosi come s' indurisce l'argilla.
ll v. 80 DtdotraRi;Ji,·. in AA. VV.. Studràt re di A. J'raglta, Roma 1979, 4} 1-62; E. Coleiro. An lntmdu('/1()11 IO v,.,[l.il's Bumlll�. Amsterdam 1979; O. Bianco. La pmtc•ua dt Dtdone, ne l'rpozoo zia dd Norico ron l'apparire. Sl)·giir tmirsa ltnrbns. della f>o lth.!r ) si comunicano a ogni personaggio le cui voci sono trattate tutte alla mede sima maniera, e non presentano inAessioni espressive che possano differenziarle l'una dall'altra. Molto rara mente la melodia vocale si anima e cerca eli spaziare più liberamente, di accendersi, come avviene p. es. nello sfogo di Didone « Perfido, celar dunque spera sti», o nel lamento della madre di Eurialo (es. l ).
di sfuggire tanto alla retorica del grandioso quanto a quella del sentimentale. L'indicazione «Sinfonia eroica per orchestra, coro e soli» vuoi mettere in risalto il ruolo primario dell'orchestra, ma la scrirtura sinfonica si rivela scialba e ripetitiva, non ceno prodiga di ef fetti convincenti, se non talvolta in brevi episodi, come, p. es., nell'annuncio di Mercurio a Enea, in cui l'orchestra si colorisce di petulante vivacità, o nell'epi sodio della morte di Didone, in cui accompagna il monologo della protagonista e poi il coro. Nella scrittura vocale, la spiccata propensione per il Tran�tulllo
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MALLIO TEODORO Più interessante è la scrittura del coro, solitamente omofonica e spesso in ottave e unisoni: un manierismo 'moderno'' frequentissimo nelle paniture del primo Novecento e molto usato anche dai compositori di tendenze veriste negli episodi corali dei melodrammi. Nei cori talvolta M. applica tecniche desunte dal tardo-cinquecentesco madrigale 'espressivo', come l'uso dello pseudo-contrappunto (che dà l'impressione dell'imitazione fra le voci, pur !imitandola di fatto al solo incipil di ciascuna e poi subito abbandonandola in favore della scansione omofonica del resto), o come la divisione delle voci in due gruppi contrapposti e concenanti. Un effetto ricorrente e che talvolta non manca di efficacia è quello della divisione del coro in due voci che cantano contro due che vocalizzano senza testo, come p. es. nel dialogo fra Enea e An chise, sostenuto da un coro muro di anime; in altri casi la 'arcaizzante' scrittura corale a due contro due si fonde col 'moderno ' vezzo di dare al coro non ar monie piene, ma linee melodiche raddoppiate in ot tava: si veda p. es. il coro che commenta l'incontro di Venere col figlio (es. 2). Molto simile nello stile alla Vergili Aeneis è il poe metto La Temt (che mette in musica una scelta di versi da G 1°). Ritornano qui srilemi desunti dalla po lifonia vocale del tardo Rinascimento, e soluzioni già sperimentate nella «sinfonia eroica>> del 1944, come l'uso di unisoni quali sottolineature della melodia, di accompagnamenti indipendenti dalle voci, di armonie voluramente vuote e dissonanti, di cori divisi in voci vocalizzanti e voci declamanti, come nell'episodio 8° (preceduto da un austero andante fugato strumentale), centro ideale della composizione c momento di note vole effetto.
Flavio Mallio Teodoro, al cui consolato del 399 è de dicato un carme di Claudiano. L'opera, assai lacunosa, dopo una sintetica sezione prosodica contiene una breve rassegna dei pedes e dei metra e quindi si sof ferrna sui metri dattilico, giambico, trocaico, aoape stico, antispastico, ionico maggiore e minore. La fre quenza delle citazioni virgiliane muta in relazione con il tema discusso. Nel capitolo de syllaba (GL VI, 586-87) l'esemplificazione risale esclusivamente a V.: E 3, 147 Nòx era/ illustra l'allungamento della sillaba che esce in consonante doppia; B 10, 69 omnia vinci/ Amor quello della sillaba cui segue una pausa; E 3, 617 Cjdopis quello della sillaba alla cui vocale breve succedono occlusiva + liquida. B 2, 65 o Alexi, ed E 3, 211 insulae Ionio sono citati per provare che sia una vocale lunga sia un dittongo possono valere come brevi se si trovano davanti a vocale io iato. Da E 2. 664 Hòc era/ si deduce che il pronome costituisce una sillaba lunga. mentre da 4, 22 solus hic si ricava che corrisponde a una sillaba breve. Diversamente che nella sezione prosodica, nei capitoli dedicati ai metra i passi virgiliani sono scarsissimi: irtfatti gli esemp� per lo più fiuizi, si riferiscono a versi che V. non ha usato. Tuttavia non solo E l, l è citato come modello di esametro eroico (p. 590, l) ma adattamenti di 6, 206 esemplificano pentametro e rrimetro dattilico (p. 591, 15-17. 25-27) e adattamenti di 9, 503 forniscono versi anapesrici di diversa estensione (p. 596, 17 28)
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Mallio Teodoro (Malftus Theodorus). - L'autore del trattato De metris è probabilmente identificabile con
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332
milum. - La voce m., «pomo», «melo» (dorico J.uUov) designò in epoca classica il frutto a polpa con semi o nocciolo (fatta eccezione per l'uva, le pere e le prugne; André 1956, 196), e divenne poi termine specialistico per indicare la mela. Anche in V. doveva probabilmente riferirsi a più generi di frutta, poco di-
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MALUM stinguibili se non per l'attributo, qualora esso accom pagnava la voce, indicante del frutto una caratteristica appanenente alla sfera sensoriale (colore e consi stenza). M., voce che compare nelle Bucoliche, è generica mente il «pomo •. frutto dalla forma tonda, a cui i poeti attribuivano una simbologia erotica, forse pro prio in vinù della pienezza tondeggiante; quale do no sacro a Venere, nella poesia alessandrina serviva a esprimere dichiarazione d'amore. Coridone dice di cogliere lui stesso per l'amato Alessi cana... tenera lanugine ma/a (B 2, 51), pomi di pelle chiara, copeni di tenera peluria, come evidente manifestazione di amore; la provocante Galatea colpi sce con un pomo Dameta (3, 64 Malo me Galatea pe ti/), cosl come in Teocrito Clearista aveva colpito con pomi il capraio (5, 88), e Galatea Polifemo (6, 6); e di riflesso Menalca dona al suo puer un canestro colmo di pomi maturi colti da un albero selvatico (B 3, 70-71 silvestn' ex arbore lecta l aurea ma/a decem ), promet tendone altrettanti per il giorno dopo, cosl come in Teocrito (3, 10) c'è un dono uguale che viene pro messo ad Amarillide; Atalanta, ammaliata dagli Hespe rtdum... ma/a (B 6, 61), arresta la sua corsa e cede al l'amore (cf. Theocr. 3, 41); Damone ricorda il suo colpo di fulmine per Nisa, quando, fanciullo lui e bambina lei, la incontrò n i un focus amoenus, in un frutteto, mentre coglieva roscida ma/a (.8 8, 37). Tutti questi personaggi vivono «un amore da pomi», come diceva in senso negativo Teocrito ( I l , IO ìieato lf où j.lciÀOlç).
quam diversi generis, Persica et granata... ). Anche se
forse non ancora coltivati in Italia ai tempi di V., è probabile che fosse giunta al poeta fama di questi frutti tenera lanugine, cosl come · aveva cenamente avuto notizia, attraverso fonte botanica, di un altro m. dal succo acre e dal gusto persistente: il m. della Me dia, efficace antidoto ai veleni (G 2, 126 ss. Media /eri
tnstis sucos tardumque saporem l /elicis mali, quo non praesentius ullum, l pocula si quando saevae in/ecere novercae l ... auxilium venzl ac membris agii atra ve nena). V., ricalcando fedelmente Teofrasto (Hist. plani. 4, 4, 2), definisce l'albero ingens arbos, molto
simile nell'aspetto all'alloro, dal quale si distingue solo per il profumo; le foglie sono perenni, il fiore è persi stente (G 2, 131-34).
Il 'melo medico', che Teofrasto (Hiu. pl4nt. 4, 4, 2) dice origina rio dalla Media e dalla Penia, appaniene certamente al genere cr� trus, c viene di solito identificato col cedro (8ubani 1870, 76; Hchn 19111• 449· 51), ma anche col limone e, data la considerevole altezza lingem Qrbosl. con l'arancio (Richter 1957, 202). Queste due ipotesi non sono accertabili perché del limone si hanno testimonianze in Italia ben quattro secoli dopo V. (Pall. De QR'· 4, IO, 16) e l'arancio viene imponato dagli Arabi solo veno il • secolo. Il melo medico è sicuramente l'Qrbor citri, il cedro ((itrus ceJrQ Lk.), poic� ancor oggi si trova nel Gilin iraniano, una pane deU'amica Media, una pianta di cedro corrispondente bene alla descrizione di Teofrasto
(Hchn 19111, 450). n cedro e il pesco erano enumerati fra i mQlorum fl.merll nel 4° libro deUe TrQI/azioni ordinQ/t di termini greà di Cloazio, riponate da Macrobio ISQt. 3, 19, 2), che dice la pesca di orijtine peniana, ma già da tempo coltivata dai Romani (vidn Ptm'cum Q Clotztio ;,. l� ma/a num"atum, quod nom�n originiJ sutu ltnuit, lieti iam du Jum nostri soli gemten sit) e, per dimostrare l'identificazione della malus virjtiliana con il cedro, raffronta la descrizione del poeta con quanto dd cedro narrava Oppio nel suo libro su Gli Q/ben dti bo schi ISQI. 3, 19, 4·5). Non è detto che V. conoscesse direttamente pesco c cedro in quanto alberi non ancora acclimatati, ma di essi era infonnato anravcno notizie tratte dalle fonti.
Il m. virgiliano è stato ldi preferenza identificato con la mela cotogna (il cui -a bero originario dalla Persia o dal Turkestan fu introdotto in Grecia prima del IV sec. a. C.; Hehn 19118, 248-53). a cominciare da Ser vio (ad Bue. 2, 5 1 ma/a dici/ Cydonea, quae lanuginis piena suni) e quindi da botanici e critici moderni (Pa Non è possibile un'identificazione degli Hesperidum glia 1879, 238; Savastano 1931, 107; de Saint-Denis 1964, 242): cosl per i cana mala (B 2, 51), gli aurea ma/a. Erano pomi di colore acceso, d'oro, come taluni ma/a (3, 71) e gli Hesperidum... mala (6, 61; Bubani autori tramandano (Catuli. 2, 12 aureolum... ma/um; 1870, 74). È tuttavia difficile vedere nel frutto del co Ovid. Met. 1 1 , 113), coltivati; si dice, infatti, fossero togno ( = Pirus cydonia L.) il pegno d'amore, perché stati colti o da Venere o da Ercole in un giardino, un esso ha sapore acre e tannico, immangiabile anche a poman·um, all'estremità occidentale del · mondo, in piena maturità, tanto è vero che Gargilio Marziale un'isola vicino al Marocco. Se ci sono elementi tali da consigliava di separare la cotogna dagli altri frutti, pensare alle arance (il colore e il luogo), nel mito il perché non li guastasse con la sua asprezza (De hort. frutto ha funzione simbolica, indicante, per il colore 25 diligentioribus ree/issime visum est praemonere ne acceso, amore e fecondità. Ancora di aurea ma/a si parla in B 8, 52-53 (aurea cum ceteris pomis cydoneum misceatur. Sibimet censent reponendum, austeritatem eius timen/es quae co"um durae l ma/a ferant quercus): anche qui non è il caso pere so/et, ut necesse est, qurdquid de proximo ad/ueril). di ricercare un frutto panicolare, perché il soweni l pomi di Coridone cosparsi di leggiadra peluria mento delle leggi di natura fa sl che le dure querce potrebbero forse essere le pesche, sconosciute a Ca producano o frutti preziosi oppure frutti maturi e tone e Varrone, ma giunte all'inizio del t sec. d. C. quindi coloriti d'oro (Serv. Dan. ad l. : 'aurea' ve/ spe dalla Cina e dalla Persia, attraverso l'Asia Minore e ciosa, ve/ matura et aurei roloris ). È probabile che l'ac la Grecia, in Italia, dove furono coltivate nei giardini costamento quercus/malus derivi a V. da lettura teo (Colum. De re r. 10, 409-10 Quin e/ram eiusdem gentis critea (Id. 8, 79), dove con differente tematica si suc i dicare de nomine dieta l exiguo properant mitescere Persica cedono le mele alle querce: Teocrito, per n malo). I Romani conoscevano più di 25 varietà di m. l'ordinamento naturale, diceva che alla quercia sono (Cato De agr. 7, 3; 133, 2; Plin. Nat. hist. 15, 14, 47), ornamento le ghiande e al melo le mele. Se in B 8, 52-53 l'innesto sembrerebbe volutamente e anche le pesche erano indicate genericamente come m. (Plin. Nat. hist. 15, 11, 39 ma/a appellamus, quam· fantastico, in G 2, 33-34 V. indica come realizzabile 333
MALUS un altrettanto impossibile innesto (mutatam... insita ma/a l /erre pirum), cioè il connubio fra pero e melo. Allo stesso modo la malus, «l'albero del melo», si trova innestata col platano (2, 70), secondo un acco
stamento che doveva derivare a V. da Diofane (l sec. a. C.), com'è stato tramandato nei Geoponica (10, 20) attraverso Didimo.
BtBL. - P. Bubani, Flora virgiliana owero suU� pianu memionate da Virgilio, Bologna 1870 IKoenigstein 1974'); E. Paglia, Virgiliosrim ziato, AAM 1877·78, Mantova 1879; A. Cartault, btude sur In Bu· roliques de Virgil�. Paris 1897; V. Hehn, Kulturpfomun und Hau rtiere in ihrem Obergang aus Asien nach Griechen!IJnd und ltalien sowie in das ubn'ge Europa, Berlin 19118 (Hildesheim 1963); R Bil· liard, L'Agricultuu dans /'antiqutié d'apr�s /es G�orgiques de Virgile, Paris 19.28, 498; L. Savastano, Studi virgiliani, Acireale 1931; J. An· dré, Lexique dts termes de botaniqu� m !IJtin, Paris 1956; E. de on inédite en alt-xandrins rim�s de la Saint-Denis, Sur une traducti deuxièm� églague vergilintne, REL 42, 1964, 230-45; E. Abbe, The p!IJnts o/ Virgil's G�ori(ics. Comme•ttary •nd woodcuts, Ithaca-New GIGLIOLA MACCIULLI York 196�. 134.
milus. - L'agg., antonimo di bonus, pare avesse per gli antichi una connotazione cromatica; m. era il co lore nero (lsid. Or. lO, 76 malus appellatur a nigro /elle, quod Graeci I'ÉÀav dicunl). M. forma i compara tivi e i superlat ivi dal tema pei-. Compare in 16 passi virgiliani, malum neutro sostantivato in 28, il compa rativo peius in G l , 200, i superlativi pessime (vocativo dell'aggettivo sostantivato) e pessima (aggettivo) ri spettivamente in B 3, 17 e in G 3, 248, l'avverbio male in 7 passi. n termine è gi à presente in epoca antica, forse nell'iscrizione di Dueno (non è certo se si debba leggere malo(s) o mano(s)) e sicuramente nelle Leggi delle dodici tavole (8, l): qui malum carmen incantas
si/.
Assume sempre connotazioni negative, con una va sta gamma di impieghi che stanno a indicare la per versione, il vizio, o quello che non è adatto. Investe la sfera famigliare con le novercae (G 3, 282), che rap presentano l'opposto dell'affetto materno; qualifica il terreno (ager) che non è fertile e non risponde alla fa tica dell'uomo (G 2, 243); è in iunctura con le male dette malattie, i conla?,ia (B l , 50), o con la robigo (G l, 150).
Dalla valutazione concreta si passa a quella morale:
ogni atteggiamento dell'uomo che non sia conforme a una retta condotta è m., p. es. chi finge (simulans, E l , 3521; e viene usato nelle apostrofi ingiuriose (B 3, 17). I mentis/Gaudia (E 6, 278-79; cf. Sen. Epist. 59, 3) sono il piacere che dà ai malvagi compiere un crimine; i gaudio possono essere bona se rivolti al bene, sono m. quando tendono al vizio. M. è qualificazione delle belve che, non dotate di ragione o spinte dall'atmosfera nociva, divengono fe roci: così la tigre (G 3, 248), o la vipera o il serpente (v. 416; Serv. ad l.). Gli st rumenti che servono a compiere atti deplore voli e dannosi sono m.: così la falce quando recide le giovani viti (8 3, li). M. è riferito a persone, con significati e sfumature diverse: B 8, 83 Daphnis me malus urit. e?,o hanc in Daphnide laurum: Dafni che ora tradisce la fauuc chiera è un « fedifrago,.. E l . 3 5 1 -52 !Py.gmaltonl /ac334
tum... diu celavi! et aegram f multa malus simulans vana spe lusit amantem: ingannatore è Pigmalione,
che, dopo averle ucciso il marito Sicheo, cela lunga mente il delitto alla sorella Didone; secondo Servio (ad /.) è m. perché le riferisce una notizia falsa, le dice che il marito ora è lontano, ma ritornerà; Tib. Donato spiega questa menzogna con la necessità per Pigma lione di prendere tempo per impadronirsi del tesoro di Sicheo; non è necessario, a mio avviso, intendere m. avverbialrnente, come ritengono Conington e Nettle ship. E 3, 396-98 Has autem te"as Italique hanc litoris
oram / ... e/fuge: cuncta malis habitantur moenia Grais: Enea non deve sbarcare sui lidi dell'Italia sud
orientale, perché abitati dai Greci « prepotenti,.. Se condo Servio Dan. (ad l. ) , l'epiteto malis ha valore per Enea, nemico dei Greci, ed è aggiunto a Grais come malae è aggiunto a novercae. Per Tib. Donato l'agget i o indica che i Grai erano nemici, oltre che di Enea, tv anche di Eleno. Williams (ad l. ) trova naturale questo attributo sulla bocca di un Troiano dopo la distru zione della sua città. Paratore (ad /.) osserva che i Grai erano mali per definizione. E 4, 611 accipit� haec meritumque malis advertit� num�n: le di,;. nità, secondo Didone, debbono rivolgere, contro gli «empi • che lo hanno meritato, la loro potenza. Paratore, seguendo Servio (quod
mali mer�ntur), osserva che malis dipende W.ò xanium e da advertitt> come dativo d'agente e di rdazione; qui il tennine si gnifica «empi•. «Cattivi», non «COse cattive•, come ritengono Co· nington e Nettlcship.
M. è riferito a parti del corpo: B 7, 27-28 aut, si ultra placitum laudarit, baccare /rontem l dngite, ne vali noceal ma/a lingua futuro: Tirsi invita i pastori di Arcadia a coronare con l'edera il nuovo poeta (cioè lui
stesso), cosl che Codro scoppi d'invidia, o, se lo lo i vita a cingergli la fronte di eli derà più del giusto, li n criso perché una lingua invidiosa (mala) non nuoccia al futuro poeta (l'elicriso era una pianta che si usava contro i malefici, che qui sono le lodi eccessive). Ser vio annota: 'ma/a lingua' /asdnatoria, nocendi sci/icet studio (cf. Schol. Bern. ad. l.). Conington e Nettleship confrontano con Catullo (7, 12): mala fascinare lingua. Fa riferimento a situazioni psicologiche B 8, 41 Ut vidi, ut perit; ut me malus abstulit error! L'amore di Damone per Nisa, andata invece sposa a Mopso, è mal riposto. Secondo Servio e gli Schol. Bern. (ad l. ) , error equivale ad amor; malus quindi significa « folle », « pericoloso •>. Il verso è riportato in forma identica nel poemeuo Cirt's (v. 430). Malus ermr ritorna come iunctura in E IO, 109·10 uu /atiJ ltalum castra ub1idion� Unentur / SÌI/c errore malo Troitu: monitisqu� sini· stris: se ora l'accampamento dei Troiani è stretto d'assedio è perche così vo�liono i fati degli !tali oppure è per un errore funesto dci Troiani o per oracoli sinistri. Per Coninl(ton e Nenleship l'errore consisteva nd fano che Enea aveva abbandonato l'accampamento in un momento assai critico.
Malum, aggettivo sostantivato, ha vari significati; è da tenere presente che spesso la distinzione tra un si gnificato e l'altro non è nella. In senso generico, ri corre in E 3, 660·61 ea sola voluptas l solamenque mali: Polifemo divenuto cieco trova nel gregge l'unico
MALUS confono; Servio annota: hinc Quintilianus (Deda
mat.l, 31 dixil 'magnum caedtalis solatium esi habere rem videntis'. Esaminiamo alcuni passi in cui ricorre m. soscancivaco: E 4, 174 F�ma. malum qua non aliut vtlo�rebbe stato comprensibile), ma per andare verso terre straniere e città i comprensibile per la disperata ignote (e ciò è assolutamente n amante).
L'uso transitivo di m. (d'altra parte già attivato nella lingua letteraria da Plauto; cf. Diom. GL 1 314, 25 K.; Arus. VII 491, 20 K.) si registra in V. col duplice valore di exspectare (E 2, 194 e 3, 505 (sulla cui riso nanza reciproca, Paratore ad 3, 505!; 6, 71; 7, 128, 319, 596; 10, 629; 1 1, 166; 12, 61 e 62) e di imminere, testimoniato da Nonio (349, 25 M. = 554 L.) a propo sito di 7, 596-97 Te, Turne, ne/as, te triste manebit / supplicium. A questa accezione non è, forse, estranea (oltre all'usus poetico strettamente latino) l'influenza del modello omerico e dei tragici greci, presso i quali JlÉVEtv ha talora il valore di «attendere» (cf. Il. 8, 565; 15, 620; Aesch. Choeph. 103; Soph. Trach. 1240). Numerosi, del resto, sono gli esempi virgiliani di verbi con doppia funzione, intransitiva/transitiva, spesso a imitazione della lingua dei neoteroi (cf. Lunelli 1 969 ,
85-89; 165).
Nel significato infine di «essere destinato per•, «es sere preparato per» m. può dirsi - nel bene - della nobiltà che è riservata a chi attende al «divino,. lavoro dei campi (G l , 168) e della gloria che è dovuta alla madre per aver generatO un eroe quale Eurialo (E 9, 299) o anche, con riferimento a realizzazioni materiali, del tempio che sarà edificato in onore della Sibilla
MANI cumana (6, 71); nel male, può dirsi della guerra che, nelle ironiche parole di Giunone, farà da pronuba a Lavinia (7, 319), della sventurata morte che attende Turno (v. 596), del fato ingiusto che incombe su Lauso e Pallante (10, 438), della fine immatura di quest'ultimo (11, 166) e infine della tragica sotte che, nelle parole della regina Amata, accomuna lei e il gio vane re dei Rutuli (12, 61-62). NeU'ambito di quest'ultimo valore panicolare rilevanza hanno le espressioni, tra loro assai simili, di E 2, 194 nostroJ �a fata mant!r� nepoteJ e 3, 505 maneat noJiroJ ea cur11 nepOieJ. In V. non si trovano composti di maneo.
BtBL. - K. Van der Heyde, L'aJpect verbal m 14tin. Probl�meJ et rJu!tau, e REL I l , 1933, 69·84: Publi Vugili Maronù Ameido1 liber qu11rtuJ, ed. by A. S. Pease, Cambrid�e !Mass.) 1935 (rist. Darm· i du umpJ dtzm leJ lan stadt 1%7); G. Guillaume, L'llrchitectonque Acta lin� uistic a 3. 1942-43, 69-118; A. Lundli, Ae· gueJ dtmqueJ, i riw: Jtoria di '"'" p llro /4 poetica (Vana neoterica), Roma 1%9; H. Weinrich, Tempw. Le funzioni dei tempi nel teuo, trad. it. Bologna 1978 (ed. orig. Stuttgan 1964).
DOMENICO LASSANDRO
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MARIANGELA ScARSI
mani. (manes). - Molteplici sono le accezioni in cui V. intende il termine m.: è tuttavia difficile stabilire quanto egli interpreti delle trasformazioni intervenute nel suo uso, e quanto invece il significato di m. non risultasse indefinito (almeno in pane) agli orecchi dei suoi contemporanei e dei suoi stessi predecessori. Anzitutto, può osservarsi che V. non cita mai espressamente la formula più consueta (anche ai suoi tempi) di di manes: potrebbe trattarsi di pura oppor· tunità poetico-letteraria, tuttavia appare applicato assai di rado anche il significato della formula suddetta, in dicante una categoria di esseri a sé stanti, connessi con lo stato posi mortem e collegati con la categoria affine dei di parentes (o parentum), ambedue le categorie es sendo oggetto di culto familiare, appunto, col rango di di(v)i (Cumont 1949, 57 ss.; Dumézil 19742, 365 ss.). In V., i m. tendono, in generale, a perdere uno statuto definito (ammesso che l'abbiano mai avuto: ma almeno le Dodici Tavole sono esplicite nello stabilire che deorum manium iura sane/a sunto: cf. Cic. De leg. 2, 9, 22). Per il poeta, essi appaiono come una collet tività indistinta, collegata meno a un culto familiare che a una zona infera. Per descrivere la spelonca di Caco, V. parla di in/ernae sedes n i cui i m. rabbrividi scono inmisso lumine (E 8, 244-45). Non di rado, il loro nome designa, per metonimia, gli stessi Inferi (Manis imi, 4, 387; 11, 181; 12, 884; pro/undi, G l, 243, a volte dai moderni editori è usata la maiuscola, a volte la minuscola: manes/Manes). Forse, un uso rav vicinabile al culto privato tradizionale dei m. potrebbe rinvenirsi laddove V., associando le suddette categorie, parla di manes parentum, o patrum (E 10, 827; 11, 688); anche in questo caso, non è però facile capire quanto i parentes, per V., costituiscano una sottospe cie dei m. e non, come nell'accezione più corrente, un genere distinto, ancorché coordinato, con i m., né si può ammettere (Bailey 1935, 258) che l'espressione manes parentum equivalga a quella di di parentes, do vendosi in questi particolari m. ammettere quella equivalenza manes = di(v)i che V. sembra trascurare
quando allude ai m. in generale. Piuttosto, la tendenza a localizzare i m. in un regno sotterraneo comporta che, nel loro insieme, questi possano venire equiparati a di in/eri. Quando Giuno11e tenta di suscitare l'ostilità dei Latini verso i Troiani, si rivolge anche a forze in framondane (E 7, 312 flectere si nequeo superos, Ache ron/a movebo ). Qui, sotto il vago termine Acheron, sembra sussistere un'equivalenza manes = di in/en· (Bailey 1935, 261): lo comprova la corrispondente af fermazione di Venere, che, quando riferisce a Giove il comportamento della dea antagonista, riproduce lo stesso contrasto fra di superi e inferi osservando che Giunone nunc etiam Mams... / ... movet (10, 39-40); poco prima Venere aveva osservato che i Troiani, per raggiungere la loro meta, seguivano gli oracoli quae supen· Manesque dabant (v. 34). La più ampia articola zione dell'accezione di m. come di inferi può cogliersi nell'esposizione del mito di Orfeo ed Euridice: qui i m. appaiono sia come sudditi del regno di Dite (G 4, 469), sia come numina del mondo sotterraneo (v. 505), sia come inflessibili esecutori del destino posi mortem (v. 489). Anche in questo caso, tuttavia, la 'divinità' dei m. appare labile, priva com'è di un culto corrispondente e più letteraria che autenticamente re· ligiosa. n vecchio culto legato alle 'tombe di famiglia. sopravvive n i V., ma fortemente trasformato dall'in fluenza greca. In tale ambito i m. riacquistano un più preciso significato religioso, comunque distinto da quello che hanno come confusi abitatori degli Inferi: in E 6, 500 ss. Enea si rivolge a Deifobo, una delle ombre evocate durante la sua discesa nell'Averno, ma trattandosi di un 'eroe', ricorda di avergli eretto un tumulo recante il suo nome e le sue armi, nonché di aver chiamato per tre volte a gran voce i suoi m. (v. 506 magna manzs ter voce vocavi). Naturalmente, l'individuazione eroica si accentua quando V. riporta figure meno recuperabili alla tradi zione romana, quali Ettore (E 3, 303-04) o Polidoro: n i questo secondo caso (v. 63) è richiamato il culto delle arae (v. ALTARI) ai m. del defunto, ma a titolo puramente individuale e senza implicazioni parentali. Il problema del rapporto fra acculturazione greca e trasformazione del culto repubblicano, diviene più complesso quando V. considera la figura di un ante nato mitico come Anchise. Qui, tutte le nuove prero gative 'eroiche' del defunto sono implicate assieme a quelle tradizionali romane, ma senza che tra le une e le altre vi sia una netta demarcazione. Anchise è chiamato divinuJ parenJ (E �. 47) in un'accezione più mitico-poetica che non riconducibile al culto repubblicano dei di parentn; inoltre, V. usa per Anchise l'espressione cintrem mannve (4, 427), che qui ha quasi il valore di un'endiadi IBayet 1961, 44): in 2. 586-87 Enea, intenzionato a uccidere Elena, dice: animumque ex plnse iuvabit / ultriciJ famam el cinereJ Jatùme meorum; se si acco glie la variante flammde ($erv., cod. N, Ribbeck) o flammdm (Stc· phanusl, i nnereJ sarebbero i m. dei suoi antenati. Ma Anchise, per V., è anche JanctuJ parenJ (5, 80; cf. v. 603); in questa occasione, i tervenuto nel concetto di può scorgersi il mutamento semantico n e• JanctuJ: il termine, che neUe Dodici Tavole era usato per .. ancir 11li iura inerenti al culto dei di manel. è ora usato da V. per indicare
il carisma di
un
defunto eccezionale, che perciò
stesso merita tributi 339
MANIERISMO normalmente
riferiti agli dc� come la formulazione di IXJ/a (E �, o l'offeno di vino puro (v. 77).
H)
Va infine osservato come in V. il concetto di m. tenda, oltreché a individualizzarsi, anche a 'soggetti· vizzarsi', sulla scorta di dortrine spiritualistiche dei suoi tempi. È il caso del quisque suos patimur mants (E 6, 743) che V. pone in bocca ad Anchise. Non possono certo venire «subiti,. i m. della tradizione, il cui accesso al livello dei vivi, rigorosamente interdetto, era ritualmente consentito solo in particolari occasioni festive. I m., di cui V. parla in questa occasione, de vono dunque riferirsi a una 'qualità' del destino per sonale, che s'identifichi simbolicamente nei m. o che si esprima attraverso di essi. Già gli antichi, in sede interpretativa, tentarono di anribuirc alle porole di V. questa o queUa dottrina mistcriosofica: per Macrobio i Somn. Scip. l, IO, 17) l'idea del corpo 'tomba' dcU'a· (Comm. n nima, che rende lo stato del vivente analogo a queUo di chi sog giorni negli Inferi; per Servio (ad A...... 6, 743), l'idea di una me· tempsicosi coMcssa al prevalere di uno dei due m. che resterebbero con l'anima dopo la mone in sostituzione dei due geni i che l'ac compagnavano in vito, c precisamente di queUo • malvagio'. DeUc due interpretazioni, la seconcla si presta a una critica più radicale: essa giustilìca la pluralità dei m. anche di un singolo defunto, ma traduce la loro ornbi8uità ri8uardo ai viventi in un'ambivalenza mo rale che non trova riscontro neUa trodizione anteriore. Tn1 l'ahro, non appare plausibile l'equiparazione gmii � mann; l'erudizione antiquaria (Piut. Quant. Rom. �2; Plin. Nlll. hist. 29, 14, �8) regi stro l'esistenza di una dea Gmila Mana composta clai due nomi uniti per antitesi, come accade per Panda Cela, Patulcius Clusivius, ecc. n &yan� (1963, 173), che propende per la prima interpreta· zione, nota infine l'inverosimiglianza deU'idea che V. introducesse la metempsicosi unicamente per eiame una spiegazione cosi imperfetta. BtBL. - C. Bailey, Religion in Virgil,
Pup�tua, Paris 1949; J. Bayet.
Oxford 1935; D.
Cumom, Lux
us undres d'Anchiu: di�u. héros,
ou mptnt}. in Gedenkscbrift fiir G. Rohdt, Tubingcn 1961, 39-56; P. &yancé. La rrligion dt Virgilt, Paris 1963; G. Dumézil, La rtligion romaint archoi'qut. ibid. 1974'.
ombre
ENRICO MONTANARI
Manieriamo. - LETTERATURA. - La fortuna di V. in età manieristica è largamente condizionata, sia in sede di definizione estetica sia in sede di esemplifica zione poetica, dalla crescente fortuna esercitata, a partire dal quarto decennio del Cinquecento, dalla Poetica aristotelica e dalla preoccupazione di dare una giustificazione etica al problema dell'arte. Mentre il giudizio espresso su V. dai trattatisti del primo Cin quecento, quali il Vida, il Trissino, il Daniello, risente i azione platonizzante e umanistica, ancora dell'ispr quello formulato dai teorici di epoca manieristica ap· pare invece più determinato dalla volontà di provare l'adesione del poeta latino alle regole poetiche e ai principi normativi desunti dall'opera aristotelica. Que sto carattere del culto virgiliano è documentato, in primo luogo, dai vari commenti in latino della Poetica posteriori al 1536, nei quali V. è fatto oggetto di grande ammirazione perché ritenuto rispettoso del principio dell'imitazione e delle unità di tempo e di azione, e viene quindi n i dicato. insieme a Omero. come modello perfetto per gli autori contemporanei. Movendo dall'assunto che la poesia è imitazione, F. 340
Robortello, nelle sue In /ibrum Anstotelis de arte poe tica explicationes ( 1548), giunge a sostenere che V. nell'Eneide dipinse gli atti, i costumi, gli affetti me/io rum et praestantiorum, e che è giusto perciò cercare eli emularlo, in quanto est inveterata opinio /uùse olim quandam heroum aetatem, qui multo sapientiores erant et praestantiores, quam homines nostrae aetatis.
Passando poi 1 considerare i modi stessi dcU'imitaziooe, il Ro
boneUo loda V. per aver realizzato ncU'Enridt una sintesi perfetta di n•rrato i c imtiatio, anticipando in tale elogio quanto fari poi an che P. Venori nei suoi Commtnlarii in primum /ibrum A.rislottlis J� arte pottarum (1�60). V. meritava, però. la massimo considerazione: ahrcsl per il fatto che, secondo le pasolc del RoboneUo, IICtion.., hane, quae una tSI ti simpkx, sibi proposuìl ;, Aentitk, e anche: se: aveva ampliato il contesto e orrichito c la favola di episodi secondari, ciascuno di questi lam aple coniungitur cum primari4 IICtiont, ucun· Jum wrisimtlt, ut vid�111ur omnino ex psa i pendere.
Taie opinione era fermamente condivisa da V. Maggi e B. Lombardi, che nelle In An'stotelis /ibrum de poetica communes explicationes (1550), commen tando la trama del capolavoro virgiliano, cosi conclu dono; haec summa fabulae: quae postea episodiis intro ductis venit amplificando. Se il riferimento a V. appare come una costante del lavoro esegetico dei commentatori dd testo aristote· lico, esso è altresi continuamente proposto dai teorici dell'estetica del secondo Cinquecento, che assolutiz· zano il modello del poeta latino, liberandolo da quanto di puramente esemplificativo e dimostrativo c'era nelle interpretazioni dei glossatori del tempo. Cosi G. C. Scaligero, nei Poetices libri septem (1561), mostra ormai di preferire a Omero V., che, proprio perché vissuto in età posteriore rispetto al poeta greco, aveva potuto usufruire di modelli tanto nel poema epico come nel genere bucolico e georgi co, e quindi aveva potuto meglio disciplinare la sua ispirazione naturale, cosi da raggiungere una più ra ra sobrietà e di dettato poetico e di stile. Anche A. Minturno nel De poeta ( 1559) e nell'Arte poetica (1563), pur sottolineando la grandezza di Omero, ri conosce l'indiscussa superiorità di V., «sommo ed ec cellentissimo poeta», dotato di vasta cultura e perfe zione artistica, rispettoso delle unità aristoteliche, in quanto le vicende narrate nell'Eneide si svolgono in un solo anno e si riferiscono a un'unica azione, la venuta cioè di Enea in Italia dopo la distruzione di Troia. Il giudizio del Minturno non differisce troppo, a ben vedere, da quello espresso qualche anno prima da B. Varchi nelle sue Lettioni (155J l sulla poetica e la poe sia, dove viene tessuto un elogio di V., che fu «tanto dotto, tanto grave, tanto eloquente», unica voce poe tica degna di «contrappesarsi a Omero, Teocrito, Esiodo» e più grande del poeta greco quanto a « gra vità, onestà e umanità ». Nel vasto panorama della critica cinquecentesca non mancarono, tuttavia. voci di dissenso nei confronti di V., accusato talora di allontanarsi dai criteri di vero simiglianza poetica e dall'ufficio pedagogico proprio dell'arte. Tra i detrattori va ricordato innanzi tutto L. Castelvetro. che nella sua Poetica d'An'stotele vulgari:: ::ata e sposta ( 1570) condanna in blocco V. troppo
MANIERISMO poco «r assomigliatore• e quindi non poeta, irriguar doso nei confronti del principale compito dell'artista, che è quello «di speculando rassomigliare la verità de gli accidenti fonunosi degli uomini e di porgere per rassomiglianza diletto agli ascoltatori». Molte sono ncll'Enrid� le •digressioni vitiosc•. cioè false c non documentate storicamente, tra le quali quelle contenute nei libri 4° c 6°, c la maniera narrativa virgilian.o appare piuttosto • pusionatu che • indifferente •, c universaleggiatu più che c panicolarcggiatu, c quindi poco vcriticra. T uni questi giudizi sono estremamente indicativi deU'attenzione riservata ·al pocta latino, la cui produzione poctica vcniw puntiglio samcntc sottoposta al vaglio di un'intdligcnu critica troppo spesso condizionata da prcccni astratti c schemi prefissati c poco libera, quindi, di applicani aU'csamc diretto dcUc opere in maniera indivi duale c originalc. � perciò naturale che negli ultimi decenni del se colo si cominci ad avvenire un ceno fastidio nei confronti di tale indiri220 cst�ico c che di conseguenza sorga il bisogno di riaggan ciani ai motivi più vitali della trattatistica pLuonizunte. Si affermano, infatti, le nuove interpretazioni virgi liane, fomite da F. Patrizi nella Poetica (1586) e da G. Bruno negli Eroici furori (1585), volte non più a scan dagliare il contenuto, ma ad apprezzare con rinnovato entusiasmo il furore creativo e le peculiarità poetiche delle opere di Virgilio. La conseguenza immediata di questa rinnovata ammirazione per il poeta latino è co stituita dalla grande fonuna di cui hanno goduto, in età manieristica, le opere virgiliane, che non solo contano in quel periodo numerosi tentativi di volga rizzamento, ma che diventano anche il più costante punto di riferimento per l'esplicarsi dell'esercizio poe tico attraverso i vari generi, dalle egloghe alla dram maturgia pastorale, dal poema didascalico a quello epico. L'imitazione delle Bucoliche viene perseguita prima di tutto nelle egloghe, nelle quali l'intonazione classica si combina con accenti ora idilliaci, ora didascalici, e in cui la forma dialogata cede gradualmente il passo a lunghi, e talvolta monotoni, soliloqui lirici. Toni patetici e insieme drammatici caratterizzano le quattordici egloghe pescatorie, in volgare, di B. Rota, ridondanti di reminiscenze virgiliane, filtrate, tuttavia, attraverso la mediazione sannazariana. Cosi il Sileno della 6" egloga di V. viene sostituito nell'I l " del Rota da un altro personaggio mitico, Tritone, che canta fa vole marittime; alle tradizionali gare di canto tra pa stori subentrano quelle tra pescatori (21 egloga). La vena elegiaca del Rota affiora, n i oltre, nei tristi mo nologhi di pescatori solitari, che effondono nella notte le loro pene amorose (8" egloga), o rievocano con sen sualità tutta barocca il dolce passato (41 egloga), e n elle immagini languide e teatrali che infiorano il dia logo di due amanti infelici, Aminta e Dafni ( 12" egloga). «Miste» definisce B. Baldi le sue venti egloghe, nelle quali i pescatori risultano mescolati ai pastori e in cui, auspice il modello teocriteo, sono introdotti ra gionamenti tra donne e tra donne e uomini. In questi componimenti bucolici s'infittiscono gli echi vir�iliani: si confrontino la 7• egloga del Baldi c la 2• di V., che prcscntano molti punti di contano. L'attacco dcUa prima., c Il pcscator Alcon
d'amore ardea l dc la bcUa Tihrinu, ricorda quello virgiliano, For mosum p411or Corydon •rtkb.t Alron; i vv. 84-87 cio già non oono l difforme c brutto, sc mi dice il vero l il tranquillo dd mar, in rui pescando l spccchiar mi soglio•, ricchcggiano i vv. 25-26 N« sum i st•rrt .tko in/ormis: nup" m� in litorr vid1; l e11m pl.aiium wnts mu�; parimenti Alconc emula Coridonc neU'dcnro dci doni da of frire aUa sua amata. Anche per la 6• egloga la fonte acclarata � V.: i primi vcni (1-12) rapprcscntano infatti un'imitazione mollo cstcsa di B 4, 1-3; il lamento funcbre per la mone di Fertantc Gonzasa � affinc a queUo intonato dai pastori Menalca c Mopso (8 5") per la dipanita di Dafni; Glicone pure, come il Menalca virgiliano (vv. 67-71), dcvc placasc l'anima di Ferrante, che minacciosa ai aggira intorno al proprio sepolcro, con un'offerta di vino c lane (vv.
112-19).
Nella seconda metà del Cinquecento, comunque, la fonuna dell'egloga non rappresentativa veMe offu scata ben presto dallo sviluppo del dramma pastorale, un istituto poetico che permetteva di conciliare le esi genze teatrali proprie della società di eone e le soll� citazioni classicistiche dei letterati del tempo, e che n sultava molto vicino al modello virgiliano, come pro vano I'Aminta del Tasso e il Pastor fido del Guarini. Il Tasso (v.) nella sua favola pastorale non solo riu tilizzò versi del poeta latino (sin dalla scena l" del l'atto 1° la scritta apposta al v. 190 sull'uscio della grotta dell'Aurora, «Lungi, ah lungi ite, profani», ri calca il famoso emistichio di E 6, 258 Procul o procul este, pro/ani), ma rimodellò poi alcuni suoi persona�i su quelli delle Bucoliche, pur se alla purezza e sempli cità del mondo pastorale virgiliano sostitul un'atte più raffinata, un tono poetico manierato e descrittivo. Cosl il Satiro tassesco è una reincamazione del pastore Co ridone (in panicolare i vv. 35-38 e 53-55 della scena 11 dell'atto 2° sono una reminiscenza di B 2, 25-26); il dialogo tra Tirsi e Dafne, che rappresenta il punto culminante dell'opera, riproduce motivi e situazioni del colloquio tra Titiro e Melibeo, con la sostanziale differenza che l'interlocutrice di Tirsi è una donna
astuta e ben esperta nelle arti segrete del sentimento amoroso. In tema ancora di affinità si può notare, p. es., come il vagheggiamento nostalgico del felice e ozioso passato fatto da Tirsi (2, 2, 169-74) muova dalla rievocazione del celebre O Meliboee, deus nobis haec otia fecit (B l, 6), e come una stessa atmosfera arcadica avvolga i personaggi persi nel ricordo della giovinezza e dei tempi andati. Anche nel Pastor fido del Guarini, composto tra il 1580 e il 1585, e pubblicato nel 1590 e di nuovo, in edizione definitiva, nel 1602, il riferimento a V. è co stante, ma il modello, in alcuni episodi, viene reinter pretato in chiave eminentemente etico-spiritualistica, del tutto in linea con l'influenza esercitata nel campo dell'arte dal moralismo controriformistico del tempo. Illuminante, a tal proposito, risulta la lcuura del coro deU'ano esaltazione deU'eù dcU'oro condotta da V. neUa 4• egloga si trasforma in vera c propria mitizzazionc di un'c· poca priva di corruzione. in cui l'amore era un sentimento puro, vis suto nel pieno ris�to deUe norme del viverc.sociAie: l'onore e l'o· ncstà. Questo brano, concepito dal Guarini in polemica contrappo· sizionc al coro dell'ano 1° deU'Amint•. riusandone tunc le parole: m rima basta a carancrizzarc la personalità dcU'autore, chc, se pure in piu unti ridabora le fonti, non trabsciA in altri, in omaggio alla
4°, nel quale l'idilliaca
�
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MANIERISMO moda classicistica imperante, di attenersi scrupolosamente al princi pio dell'imitazione. I �rsi •Altro pensiero appunto l i sommi dei non hanno: appunto questa l l'almo riposo lor cura molesta. (1, l , 259-61) risultano decisamente tratti da E 4, 379-80 Scilim is supms 14bor �st. ttl curti quittos l sollicillll; l'infeli� Minillo, innamorato della sdegnosa Amarilli, invoca, a testimoni dd suo dolore, «le pill!lle. i monti l e questa selva a cui l sl spesso il tuo bd nome l di risonare insegno• (1, 2, 9-12), riprendendo direttamente /ormos11m rtS01Ulrt dous Amt�ryllida si/vas (8 l, 5); il terrore provato da Montano per le parole di Carino, «Oh qual mi sento orror vagar per l'ossa• (5, 5, 127) è simile a quello di Enea alla vista delle gocce di sangue di Polidoro calanti daU'asbusto divdto, Mihi fngidus hor ror l mtmbrtl qUtZtl i (E 3, 29-30).
Se grande è risultato, in definitiva, nel Cinquecento il favore accordato alle Bucoliche, altrettanto viva si è manifestata l'ammirazione tributata poi alle Georgiche, che hanno ricevuto da questa fruizione panicolare una nuova forma di attualizzazione entro il genere e la cornice del poema didascalico, il cui successo va attri buito n i pane al gusto classicistico e in pane al fine pedagogico e didattico assegnato all'opera poetica proprio in età manieristica. Dei due poemi didascalici composti nella prima metà del Cinquecento, Le Api (1539) di G. Rucellai e LA Coltivazione (1546) di L. Alamanni, il secondo merita maggiore attenzione per ché più m i pregnato di religiosità e intonazione ma gniloquente. L'imitazione delle Gtorgicht viene realizzata con meticolosa dili genza specialmente nei libri 1°, 2°, 6°: cosl la conclusione dd 1°, cMa tempo viene ornai che 'l fren raccoglia l al buon corsier• (vv. 1138-39), ricalca quella di G 2, 542 ti am i ltmpus tquom /umanta i solvtTt rolla; la descrizione della mucca (2, 563-72) è interamente modellata su quella fornitaci da V. (G 3, .51-59). Talvoha, però, l'Alamanni ridabora la propria fonte con un gusto già decisamente barocco, mediante uno stile verboso e teso all'amplificazione retorica degli episodi. In panicolare V. dedica dieci versi {3, 79-88) al ri tratto dd cavallo, mentre l'Alamanni si dilunga in una dettagliata rappresentazione dell'animale, facendo ricorso a una lussuseggiante lj(gclsky. Vc•rt,tl and f.urly -c. l'lì2: G. lli)lhet. 'l'be speet'bc•.f in Verxrl's Latm Poe'lrv, \X'i,baclen Ac·nerd. Prince1on l'lìl; R. D. \X'illiams, J'he A.-nerd e>f VrrR,rl. Lon don l'li2: S. V. Tracy, 'f'he .\lùr«·l/u, PaHugc·. C) 70, 1':1ì4-75,
}70
37-42; E. N. Genovese, Deatbs in the Aeneid, PadJic Co851 Philol. IO, 1975, 22-28; M. Caltabiano, La morte del ronsok Ma,.-�1/o, Conrr. lst. St. Ant. Univ. Can. Milano }, 1975, 65-81; R G. Austin, P. Vergili Maronis Aeneidos Liber Sextus, Oxford 1977; P. F. Burke, Roman Rites /or tbe Dead and Aenàd 6, CJ 74, 1979, 220-28; W. Kicrdorf. Laudatio funebris, Meisenheim am Gian 1980. 146; R J. Edgewonh, J'be Purple Flower lmage in tbe A�ner'd, Philologus 127, 198}, 143-48; G. Brugnoti, Il Museo di Doni�. Studi Danteschi :;:;, 1983 a, 1-22; Reges Albanorum, in Alli Conv. vi rgil. Brindisi n�/ Bi mi/l. de/14 morte (Brindisi 15-18 oli. /98/), Napoli 1983 b, 157-90; W. Schmid, Vergii-Probleme, Goppingen 1983 !Gòppinger Akade mische Beitriige. 120).
GIORGIO BRUGNOL!
Marchesi, CoNCETTO. - Latinista (Catania 1878Roma 1957). Nell'attività filologico-letteraria del M., V. occupa un luogo relativamente scarso, anche per ché il suo temperamento vulcanico e il suo gusto 'ba roccheggiante', più che 'classico' propriamente, lo ponarono a privilegiare, e in verità quasi a scoprire, la cosiddetta • latinità argentea». Lettore mirabile di poesia, ovviamente M. non poteva, però, non misu rarsi con V.; e lo fece primamente nell'apposito capi tolo della Storia della letteratura latina (la cui editio princeps è del 1925). Qui M. già rivendica la maggior poesia e delle Bu coliche e delle Georgiche, soprattutto, rispetto all'E neide, in cui avvene il prevalere, o almeno la minac cia, dell'impoetica praticità e retorica nell'esaltazione augustea dell'Impero (in M. agivano, infatti, e comun que, ricordi e spunti del romanticismo 'giacobino', al fieriano e post-alfieriano). Nega, d'altronde, le finalità propagandistico-allotrie sia delle Bucoliche (celebra zione di Ottaviano, gratitudine ad Asinio Pollione e alla cerchia del princeps per la restituzione del suo domestico poderetto mantovano, ecc.) sia delle Geor giche (restaurazione dell'agricoltura italica giusta il programma, e gli haud mollia iussa, di Mecenate). E delle Bucoliche ammira specie la melanconia storica della l " e della 9• egloga e la melanconia paesistico ambientale, o esistenziale, dell'insieme, donde, a giu dizio del M., lo stacco profondo rispetto al modello teocriteo, quando la più pane dei filologi solo, e co munque troppo, indugiava nel parallelo fra il poeta si racusano e il poeta latino, che il suo modello usava come una fonte e il cui testo sovente addirittura para frasava. In questo il M. aveva indubbiamente ragione - e anche tono, in quanto. scarsamente ·�reco', o scarsamente bilingue, per la sua stessa formazione alla scuola dd Sabbadini, per le sue abitudini o tendenze di leuerato italiano, non rilevò mai bastantemente il carat tere 'bilingue' della letteratura latina, il rappono dialenico-storico fra grei�no, ritenendo che la dcscri zi(lne dell'amore tra Equiran e la sua c.l.1ma risenta più fnn(.·mente ddl'intluso s ddl'idt'l'C amp�110. ma chlbcilmenre r nuo\1 evcnruaL dau pucronno modthcare d a moko un quadro an cw V t p�te �lo come sfondo, o rume mocco.
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MARINO via, sia panecipe di una comune latinità, sia mediato dall'Ariosto o da Tasso, è sempre il serbatoio di non perCettibili sentenze, di lapidarie iconologie trapassanti al morale, un'autorità mitologico-geografica, un bestia rio e un erbario di descrittiva efficacia. Tra gli importanti temi conttttuali o narrativi virgilWù rom· paiono ndi'Adon� il tema deU'amo..., universale (7, 237-49, da G 3, 242·83) e queUo dei giochi funebri (20, 23·61, da E 5, 485-521); più frequenti le situuioni narrative di ponaut limiuua, le immagini d.,. scrìnive, sopranurto naruralisriche, d'impianto metaforico, come il falco che dilania la colomba, la similirudine tra fiore e primo appa· rire deUa barba, i fiumi sotterT'II.Ilei, la tempesta cielo·terra, ecc. ( l , 39, 5 . da E I l , 721-23; l , 41, 5 , da 8, 160; l, 97, 2. da G 4, 365: l, 1 18. 3·120, da E l, 103: l, 164, 7·8, d a 2, 471-75; 2, 32, l da 7, 462-66; 3, 2, 6, da B 3, 93; 3, 23, 3 e poi 7, 165, 6 e 16, 79, 6, da E 12, 67: 3, 75. 4 e poi 5, 56, 6, da B 9, 42; 5, 148, 1·4, da E 9. 436; 6, 172, l, da B 3, 93; 7, 109, 7-8, da 4, 30; 7, 154, da E 6, 706-09; 7, 220, 8, da B 6, 23·24; 8, 22, 7·8, da E 4, 172; 8, 1 04·06, da 4, 124: 12, 60, 4, da 7, 350; 14. 95, 7·8, da 9, 410-19; 14. 97, 1-6, da IO, 348; 14, 113, 3-4, da 9, 435·37; 14, 123, da IO, 390; 16, 184, 5, da l , 403; 18,18 da 12, 103·06: 1 8, 59, 6, da 4, 150: 18. 101, 5. da I l , 809· 12; 18. 107, l, da 2, 268-95; 18, 187, da 4, 684-85: 20, 57, da 5, 512; 20, 138, 8. da B l, 25; 20. 338, 3. da E 7, 808-09). Oppure permangono i conn()(ati, non solo virgilianl ma ormai topici. della geogno.lìa e icono.logia e prassi mitologica, o le immagini me1aforiz.zate d.,Jla geografia reale, come la facc: d'amor", la fucina di Vukano, la regga i di Nettuno, ecc. (1, 38 da E IO, 270-73; l , 68-70, da 8, 424·38; l , 92-104, da G 4 , 363-79; l , 96, 1·5, da 4, 395 e 436; 3, 55, 4. da 3, 391·93; 3, 75·76, da E 5, 854-56; 4, 179, 1-4, da B 2, 32-36; 6, 131, 1-4, da E 3, 22·40: IO, 88, 5, da 6, 705·15: 10, 97, da 6. 894·97; IO, 145, da l, 740; Il, 98, 5·106. 8, da 4, 173-90; Il, 139, 4, da IO, 198; 12 124, 6, da G 2, 137; 13, 13·14, ,
GtOVANBA"lTISTA MARINO. Antipona ddi'Atlon�. Vm.,lia 1623 1/ot. Bihliot«a Ap01tolica Vaticana). -
Meriterà semmai di esse.., rilevata, c più ampiameme accenata, la re1e lesstcale virgiliana, sia delle EgkJgh� !>osch"M-"'. sia degli !Jilli pastoralt, cu1 appanmgono auettJVJ come rauco. roco. arguto, la. scJVO, e una buona pane della rìca e preCISa flora del M.: giacinto. ibisco, ligustrì. tamerici, alno, serpillo, cardo, ane1o, amomo. ecc.
Dopo la Sampogna, V. ricompare nell'Ado11e, men· tre, considerando le altre opere poetiche del M., ri sulta con rari e irrilevanti moùvi nella Strage degli in· nocenti e negli Epitalami e pare mancare nella Galle· rio. A proposito dell'Adone, però, conviene prima pre· cisare (Pozzi 1976) che nel poema a un'ispirazione fondamentalmente ovidiana s'intrecciano molte altre fonti antiche: «soprattutto Claudiano, ma anche Apu· leio e Lucano fra i latini,. e i «greci alessandrini come Apollonio Rodio, Achille Tazio, Nonno Panopolita, Bione, Mosco, lo ps. Anacreonte, Museo e cosi via ... Per il V. presente nell'Adone è bene accogliere anche l'awiso (Pozzi u 1976, 91 e 94) che .ctutti gli autori latini epico-lirici afiorano f nell'Adone,. ma che « nes sun peso n i tanta comunanza e diffusione hanno le lievi differenze che separano l'una dall'altra le cita· zioni dei classici maggiori,.; V. è dunque solo uno de· gli dementi di queste fondamenta classicistiche, rutta·
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4, da E 6, 243-49; 13, 15, 8, da B 8, 73; 16, 184, 5, da E l, 403: 17, 110, 3, da G 4, 336; 17, 120, da 4, 387-529; 18, 165, 4, da E 6, 441; 1 9, 223, 8, da G 4, 394-95), o il Mincio, le coma dd Po. il pac!J-., Appennino. ecc. (l, 99, 5, da B 7, 13; 1, 100, 1·2 e poi 9, 78, 4 e 20, 148. 8, da G 4, 371; l, 101, 4, da E 12, 703; 2, IH, 2, da 4, 367: 1 7, 144, 7·8. da 12. 411-15; 17, 164, 7, da 5, 193; 17, 166, 2, da 3, 270; 18, 3 1 , 2, da G 4, 461-62). Ci sono poi i ctrerna.ro i polio, •spargea la strada•. l'onda che larra, le c liquide vie •· le piante de1 fiumi, le alpi spumose, ecc., cioè le uadutioni quasi lenerali, o con trasferimenti acuti, di icastici sin·
ti), ta�. i costrutti virgiliani le insieme più gmeralmente latineggian i nechegguunenti verbali Cl, 17, 5 = E l, 90; l. 20, 5·6, da 4, 584; l, 49, 4 = E 6, 724; t. 56. 8, da 7, 588: l , 97, 5 = E 9. 125, 1. 118. 3 = E l, 105; l, 138, 5 = B IO, 71; 2, 14, 2 = E 6. 552; 3. 56, 7 = E l, 318: J. 104, 1·2 = E l, 327; 4, 105, 1·2 e poi 18, 12, l = E 3, 57; 4, 183, 7-8 = E l, 203: 5. 58. 8 = E 9, 349: 6, 132, 7 = B 2, 47; 7, 138, 4 e poi IO, 265, 2 = E 5, 142; IO, 265, 2 = E 2, 780; I l , 96, 7-8 = G 2, 43-44, I l , 143. 5-6 = E 6. 853: 14, 407, 8 = E 2. 250; 17, 129, 2 s E 2, 120·21; 18. 143, 8 E l, I l ; 18. 1 63, 8 = E 4. 65 1-62; 19, 13, 4 = B lO, 39; 20, H, 3 = E 5. 512). •
Qualche traccia virgiliana anche nelle prosastiche
Dtcerie sacre; temalicamente e lessicalmente assente, V. persiste, in circa una dozzina di luoghi, come auctori· las di mitologie assimilate al vero (profano e anche re·
ligioso) e maestro, talvolta direttamente citato, di una favolosa scienza della natura e di una storia mitizzata. I resti e i person�gi virgiliani sono assimilati quali brani di una realtà non poetica ma effettuale, conse gu.enremenre all'aueggiamento mariniano che privilegia la poesia - arte - sulla natura. La stessa immagine di un V. auctoritas e poeta per antonomasia si ritrova sparsamente nelle lettere: V. è
MARIO l'esempio principe che legittima l'imitazione (I, p. 256 (246)), la fonte indiscutibile in fatto di iconologia eroico-mitologica (1, p. 148 (444)), cosl come gli exempla tratti dall'Eneide conf e riscono decoro all'at tuale operare del poeta (1, pp. 166-67 (463)) e 231 [486)). A quest.a canonica esemplarità si affianca però l'ironica affettività grazie alla quale Enea è trattato come un vecchio familiare: « calzo cette scarpe che paiono quelle di Enea, secondo che io lo vidi dipinto nelle figure d'un mio Virgilio vecchio in tabellis » (1, pp. 198-99 [555)), e ancora: cDiavol è, il mio signor Enea saria stato fresco, con tutto il suo passapotto della Sibilla se non recava seco il ramo dell'auro» (1, p. 113 [534)). Affettività e ironia (e come esempio d'ironia 'classi co-virgiliana' si possono citare anche i w. 379-81 del Lamento, dove il pastore-poeta Aminta-M. teme che il rivale, il • vir11iliano' Menalca, sia prefe.rito: « pe.rò eh'ci si dà vanto, l al nobil suon de' suoi canori accenti / di torre i piedi a i fiumi, e dargli a i monti») che siglano anche il tardo (1620) e più personale riferimento vir giliano di una lettera ad Antonio Bruni (n, p. 35 [369)). In questa «lettera bella., costruita secondo la retorica del soggetto e del mezzo (cosl il Pieri 1976), ci appare sintetizzato l'atteggiamento mariniano nei confronti di V., sempre «il poeta» ma utilizzato spesso casualmente, con disinvoltura e talvolta con ostentazione, segno di un passato superabile e supe rato. Atteggiamento in cui convivono tanto la reve renza e l'ammirazione che lo spingono a esottare l'a mico alla visita del sepolcro del poeta «perché quelle ceneri sono ane ad infondere nobilissimi spiriti di poesia a chi degli scritti dell'uno e dell'altro è cosl de voto» (l'altro è il Poliziano), quanto la demitizzazione ironica ottenuta con l'abbassamento tonale e lessicale del ricordo di quando egli stesso «almeno una volta alla settimana andava a riverir quelle ossa con estremo suo gusto •. BtBL. - Di mohi cesci mariniani non esistono ne c ri�trnerazione costituita daU'eros. El 6' è un breve 'con�tcdl)', ln cui M.. tornando al t�ma vC"cchiaia-mon�. pare aftidarc aUa sua opera la propria soprawivenza presso i posteri.
Su pressoché tutti i più importanti aspetti di questa raccolta si è intrecciato un fino dibattito, con grande varietà di ipotesi e interpretazioni discordanti. Il pro blema del signilicato dd corpus è legato a quello delle
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intenzioni delle E/. 3" e 5": oggi si tende a non credere più, come talora è avvenuto, che abbiano intenti ironi co-satirici, e ci si orienta a considerare la raccolta come un'opera in qualche modo interessata da que stioni filosofico-morali (Bertini 1981 ). Contro la lettura che vorrebbe fame un carmen rontinuum (Spaltenstein 1977, e 1983, 65 ss.), pare valere la netta suddivisione n i distinti episodi, contestualmente col fatto che M. s'ispira profondamente ai modelli 'classici', i quali propongono sillogi elegiache di composizioni separate. Il peso degli auclores su M. ha originato l'idea di con siderarne l'opera come un centone, aperto a tutte le fonti, con presunto intento sapienziale (Agozzino 1970). I limiti di questa prospettiva sono stati più volte segnalati (p. es., Spaltenstein 1983, 47 ss.), e ap pare preferibile ritenere che più semplicemente, !ad dove non si tratti d'intenzionale 'allusività', vada ap prezzato un generico, per quanto ampio, retaggio della tradizione nella formazione del linguaggio poetico di Massimiano. In questo quadro non si è mancato di segnalare l'importante ruolo avuto da V. (soprattutto Heege 1883; Lekusch 1894), e si è giunti addirittura a identi ficare in M., al confluire di tematica ed espressione formale, una poco persuasiva componente «virgiliano didonica» (Agozzino 1970, 65 e passim). Quest i i principali paralleli fra i due autori: E/. l, 23 - B 10. 57 e G l, 140; l, 67 ss. - B 3, 64-65; l, 127 - B l , 77; l , 151 - G 2 , 3 1 5 ; l , 153 - G 3, 67 (Mazzoli
1983-84, 126); l, 173 - E 6, 745; l, 205 - E I l , 274; 2, 53 - E l, 452; 3, 13 - E 5. 807; 3. 5 1 - E 4, 90; 3, 62 - E l i , 240-41; 3, 73 - E i, 349; 3, 75- E 6, 697; 4, 51 - E 4, 550; 5, 13 - E 4, 370; 5, 65 - E 4, 296 (Heege 1883, 13 ss.). A volte, naturalmente, l'in
flusso di V. sulla poesia di M. va al di à l di semplici analogie o coincidenze di espressione, e la investe in maniera più ricca o più complessa. Per es., tutto l 'e pi sodio di Sinone (E 2, 57 ss.) è presente dietro il mo tivo dell'inganno greco in E/. 5, 5-6 e 39 ss.; e in 5 , 147-48 sembra di poter cogliere uno stravolgimento in direzione erotica (o forse erotico-filosofica, se si ac cettano le oggi più accreditate n i terpretazioni del si gnificato del 'pianto funebre' della ragazza greca) del celebre E 6, 852-53 (Agozzino 1970, 325). In due manoscritti di M. alle sue elegie fa imme diatamente seguito una breve raccolta di 6 carmi (del primo dei quali compaiono frammenti di varia lun ghezza in altri codici massimianei), comunemente detta Appendix Maximiani. t stata talora attribuita a M. (Romano 1968-69), ma sul problema è ancora ac cesa la discussione; anche nell'App,·ndix non mancano paralleli con V. (\XIeyman 1926; Fo 1984-85). BtBL. - Maximiani T:lc·pJa.ino. &>ln�tna l; corrente è anche la parola coniunx, che però è generica in quanto può alludere anche a unioni concubinarie o comunque non riconosciute dal diritto (9, 138; 10, 722; 12, 17, 80, 937; cf 8, 688; B 8, 181.
MATRIMONIO Varie ause possono ostaco� la conclusione di un m. già pat· tuito: presagi e segni celesti (E 7, �8. 96-97, 268·70; 12, 27-28); l'intervento di un nuovo pretendente (3. 325-32; 7, 421-24; 9, 136-38; IO, 79); il diS�ccordo deUa madre deUa sposa, eh., può arri· vare a SOtrrarla e occuharla, io nome dd proprio iUJ mat�rnum (7, 358-72, 386-88; 400·03; 12, 30). ln ogni modo, la rottura di un fidanzamento, indipendentemente dai motivi che la giustificano, è sempre rappresentata da V. come causa di mali (3, 330-32; 7, 432·33; 9. 136-}9).
Fra i requisiti giuridici necessari per la conclusione del m., V. ricorda l'età (E 7, 53; cf. G 3, 60) e il con· senso del paterfamilias (E l . 345; 1 1 , 355-56; 12, 27; cf. 4, 125-26; 7, 359), che assume un particolare ri· lievo nel senso che il m. viene spesso presentato come una consegna della donna al marito compiuta dal pa· dre di lei; non pare invece dare grande peso alla ne· cessità dello slalus libertatis di entrambi i coniugi, i vi (E 3, 329 e dato che socialmente le unioni fra scha Servio ad l. ) o quelle del padrone con una schiava (E 3, 319; cf. 297, e Servio e Serv. Dan. ad /.) potevano non differire affatto da un m. legittimo. Evidente· mente V. non vede un ostacolo alle nozze nell'appar· teneoza dei coniugi a città o popoli diversi - fatto che invece pe.r il diritto romano, com'è noto, comportava illegittimità dell'unione qualora non vi fosse stata un'espressa concessione del conubium -; anzi, gli ac· cenni a m. fra stranieri sono abbastanza frequenti (2,
781-84; 3, 327-28; 4, 35-38, 47-49, 103-04, 2 1 1 - 1 4, 534-36; 6, 523·25; 7, 98, 268-70, 358-72, 424; 8, 510·11 e 635; IO, 719-20; 12, 271-72), anche se più di una volta sono, o vengono ritenuti, sfortunati (6, 93-94; 7, 318-22, 361-62, 578-79; 8, 688) e appaiono
quindi preferibili le nozze &a concittadini o comunque fra appartenenti allo stesso popolo (3, 297; 9, 600; 1 1 , 5 8 1 ; 12, 24-25 e 29).
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S· stituite da auri "-sti di carattere analo�o e il rccitativo finale di Di done è in(arcito con nuovi versi. Due: int�rme1..zi compresi sono l'u nico titolo di L'mt{'' pos dell'effeminatezza dei Troiani (su cui Eur. Or.
1369) nell'invettiva rivolta ai Troiani dal cognato di Turno, Numano Remolo: el tunicae manicas el habenl redimicuLz mtrae i (9, 616).
In due casi l'epiteto di Meoni è quindi usato come metOnomasia per Etruschi (v. LIDI): la prima volta quando Evandro rivela a Enea il vaticinio secondo cui gli Etruschi non potevano essere guidati da un con dottiero di origine italica (0 Maeoniae delecta iuventus l ... nulli /as ltalo tantam subiungere gentem: l exter nos optate duces, 8, 499-503; Enea avrebbe cosl tro vato pronti alle armi antichi alleati, con cui aveva combattuto sotto Troia); la seconda, quando le schiere etrusche prendono coraggio da un fonunato e clamo roso duello di Tarcone (Ducis exemplum eventumque secuti l Maeonidae incurrunt, 1 1 , 758-59). Che si tratti di metonomasia (Conington 1883, ad l. ) è ancor più evidente nel secondo contesto in cui M. si alterna a Tyrrheni (l l, 727 e 73 3), ma non va dimenticato che Tarcone (v.) è un eroe di origine misia, secondo al cune varianti del mito figlio (Cato &. 45 P.) o fratello di Tirreno (Lycophr. 1248), il che significa che la de nominazione di Meoni serve a richiamare l'attenzione sulla continuità del rappono Lidi-Etruschi, ribadito nella menzione di Cere: urbis Agyllinae seder, ubi Ly
dia quondam l gens, bello praecLzra, iugis insedit Etru scis (8, 479-80), in diretta connessione con il succitato colloquio di Enea con Evandro.
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Meotide, PALUDE (Maeotia palus, i) Mauimç Àti!VTJ). È l'odierno Mar d'Azov, un'appendice del Ponto Eusino (Mar Nero), le cui acque, penetrando attra verso il Bosforo Cimmerio (stretto di Kerc) che separa la Crimea dalla regione del Caucaso, danno origine a questo piccolo mare interno (55.000 kmq) di forma triangolare, con una lunghezza massima da sud-ovest a nord-est di 420 km e largo 200 km.
La profondità., che mcdiam�nte osciU. tra i 3.5 e i 6 m. non su· pera i 13 m. Le sue COSI� basse presentano impaludamenti c sono
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MEPHITIS frequenti le lajlune. Panicolarmente scarsa la salinità ( 1 1°/ool. che scende a valori ancora inferiori nd golfo di Taganrog all'e· stremo nord, dove sfocia il Don. il Tanai dejlli antichi. Rimane con· gelato dalla metà di novembre a quella di aprile, mese in cui, per effetto del disgelo, le acque si alzano per riabbassarsi durante l'e· state. In luj!lio e 180Sto soffiano foni venti da �t. in autunno da nord-est e sud·est. provocando in tal modo variabilità di correnti.
La denominazione Maeotia palus, che troviamo estesa alla regione circostante in E 6, 799 (Maeotia tellus), derivava da quella dei Meoti (Maui>tm), po polazione insediata sulle rive della Meotide. Questo mare, per la presenza del Tanai che vi si getta con un corso inverso a quello del Nilo, ma posto, secondo l'opinione dei geografi più accreditati (Strabo 2, 4, 6, pp. 107-08), sullo stesso meridiano, finiva per indicare il limite più settentrionale del mondo abitato cono sciuto. V. costruisce un'immagine che probabilmente è ispirata da tale connessione dei due fiumi fatta dai a tellus l geografi: Huius in adventum... l ... et Maeoti
et septemgemini turbant trepida ostia Nili (E 6, 798-
800). Il riferimento alla M. è chiaramente indicato al l'inizio dell'excursus dedicato alla Scizia (Al non, qua Scythiae gentes Maeotiaque unda. . . , G 3, 349), regione della quale la M. costituiva il limite orientale. Essa nella sua forma e ampiezza assumeva la funzione di netta frontiera naturale. Questo aspetto risultava mag giormente accentuato dal fatto che nell'antichità, per errori di valutazione, la M. era ritenuta molto più estesa di adesso. Erodoto, p. es., le dava una forma vagamente rettangolare e sul suo angolo nord-ovest fa ceva sfociare il Tanai, la cui riva occidentale, enorme mente allungata, costituiva di fatto il proseguimento della costa occidentale della Meotide. V., che pur ha presente i dati della tradizione antica sulla natura 'la custre' della M., con l'uso del termine und4 sembra assumere una posizione più sfumata in proposito. C'è chi (Martin 1966, 292-93) , a livello di ipotesi, nel Maeotia unda di G 3, 349 vuoi vedere solo un diver sivo escogitato da V. per indicare il Ponto Eusino su cui si affacciano gli Sciti. Un'indicazione in tal senso. se non vi fosse inccnezza nella tradi· ziune manoscritta, avrebbe potuto forse �sere fornita da Ovidio che. ri('Vocando l'inverno tra�corso a Tomi, sc-rive: lont.IOr anliquù viJa M�toliJ hirms fTrist. 3. 12. 21. dvc Moeotìs t una correzione ai codici che hanno mrotiJ e il Lachmann correAAe in Tomitis. Ma con qudl'unda V. semhra 4uasi sintetizzare poeticamente l'atipicità di qu�-sto mare al quale Aristotele �\le/. l. 14, 353 a), riconoscendo i continui e consistenti apponi alluviali, pronosticava il proscitijla· mento.
81&1 .. - Herrmann. s.v. Maù•tis. PW xtv l ( 19281, 5'10·92: S. E. Ly· koudis, s.v. 'A:;u