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Italian Pages 80 [79] Year 2017
Aurelio Porfiri
CI CHIEDEVANO PAROLE DI CANTO
La crisi della musica liturgica
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First eBook edition: December 2017
ISBN: 9789887851264
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Indice dei contenuti
Prefazione Introduzione Musica e liturgia alla deriva Forma mentis La bellezza nella musica liturgica Musica liturgica e musica leggera L'anticlericalismo del musicista liturgico Musica liturgica profumata Musica liturgica e clero Il mito del Concilio Vaticano II L'eresia populista nella musica di Chiesa La civiltà occidentale Non ti pago! God save the Queen! Le battaglie perse di Papa Benedetto XVI L'equivoco del canto popolare nella liturgia Il razionalismo liturgico Un improbabile incontro
Capito l'antifona? Se non avete ancora capito l'antifona... Tre motivi per amare il buon canto liturgico (e uno per odiarlo) Gli strumenti musicali nella liturgia La musica al mio funerale Delle italiche crisi vo narrando... Osteria del Vaticano Musicisti di tutto il mondo, unitevi! Cantantibus organis Un Concilio non conciliante Guerra Laicizziamo La perdita del centro Musica liturgica tra percezione ed uso Ma che vergogna è questa? In difesa della musica per la liturgia (e contro la musica nella liturgia) Il Verbo si è fatto carne L'organista celebrante Antifone d'ingresso Missa de Angelis La Messa di Sant'Albano
O Cristo splendore del Padre Le antifone del Messale Il bosco Lettera a Papa Francesco Bibliografia
Prefazione
La crisi della musica nella liturgia oramai ha toccato delle vette (o degli abissi, dovremmo meglio dire) drammatici. Siamo in una situazione che non fa intravedere una via di uscita facile o immediata. Ci sono molte iniziative buone e di persone che hanno a cuore l'importanza di questa grande arte a servizio della liturgia, ma purtroppo poco si muove ai vertici, poco si muove da parte di coloro che dovrebbero prendere decisioni importanti in questo campo. Il grande Papa Pio XII nella Musicae Sacrae del 1955 così diceva: " Fra i molti e grandi doni di natura dei quali Dio, in cui è armonia di perfetta concordia e somma coerenza, ha arricchito l'uomo, creato a sua "immagine e somiglianza" (cf. Gn 1,26), deve annoverarsi la musica, la quale, insieme con le altre arti liberali contribuisce al gaudio spirituale e al diletto dell'animo. A ragione così scrive di essa Agostino: "La musica, cioè la dottrina e l'arte del ben modulare, a monito di grandi cose è stata concessa dalla divina liberalità anche ai mortali dotati di anima razionale". Ma quando questa musica non è ordinata al suo giusto fine può anche pervertire e purtroppo questa perversione è entrata fin dentro le nostre chiese, spesso (non sempre) anche incoraggiata da un clero poco formato e preparato nell'apprezzare l'importanza di questo grande elemento della liturgia, un elemento che è parte integrante della stessa, non semplice ornamento auditivo. Aurelio Porfiri in questo suo testo ha voluto richiamare tutti ad un severo esame di coscienza, un salutare richiamo all'ordine per poter ripartire, quando tutto sembra perduto. Non è assente una certa vis polemica, ma in fondo è ruolo dei laici anche quello di avere il coraggio di denunciare con rispettosa libertà situazioni che mettono a rischio la salus animarum. Lui lo fa con coraggio e chiarezza, come del resto lo ha fatto sempre anche nei suoi scritti precedenti. Nei vari capitoli si affrontano in modo sintetico ma pregno alcuni degli snodi importanti, come quello della preparazione del clero (di cui già abbiamo parlato), degli strumenti musicali e molti altri. Verso la fine offre anche degli esempi di musica liturgica contemporanea che sa mantenere però la dignità della grande tradizione. Sarà utile ripetere che non mancano i compositori ma manca
la volontà di cambiare le cose perché si è smarrito il senso e la dignità della musica nella liturgia; questo è conseguenza del fatto che si è smarrito anche e soprattutto il senso e la dignità della liturgia stessa, del senso del sacro. Un testo utile per riflettere e per continuare la buona battaglia, un testo rispettoso delle persone ma fermo nei suoi principi che sono poi i principi della grande tradizione. Non un libro che guarda al passato, ma piuttosto un libro che guarda all'eterno. M° Mons. Valentino Miserachs Grau Maestro Direttore della Ven. Cappella Musicale Liberiana Preside emerito del Pontificio Istituto di Musica Sacra
Introduzione
Questi testi sono stati scritti pochi anni fa ma sono ancora molto attuali, anzi hanno un sapore ancora più pregnante ora che le cose sembrano andare peggio. La musica nella liturgia vive una crisi profonda, ma non è una crisi a se stante, ma è una crisi ripiena della situazione che si vive nella Chiesa, una situazione di grande confusione, di divisione, di incertezza. Quindi questi testi prendono ancora più senso ora che quando li scrissi, visto che oramai il disagio liturgico si è radicalizzato e si vive in perenne tensione, amplificata dai social media, fra una fazione e l'altra. Oramai la guerra è aperta. Questi scritti sono un monito, li vedo come un segnale per dare alcuni avvertimenti con l'intento che le cose possano migliorare, che le cose possano tornare ad avere una dignità che gli è fortemente necessaria e connaturata. Ecco il senso di questo testo, che vuole essere costruttivo anche se il tono a volte può sembrare sarcastico o molto critico. Ci sono ripetizioni che servono per reiterare alcuni concetti che mi sembrano importanti da tenere a mente. Vorrei essere come il medico che avverte che per guarire dalla cirrosi dovresti smettere di bere. Con i miei limiti, cerco di favorire un ritorno alla bellezza e alla purezza della musica nella liturgia, una bellezza e una purezza di cui, oggi più di ieri, abbiamo tanto bisogno.
Musica e liturgia alla deriva
La liturgia e la musica liturgica sono in profonda crisi. È inutile girarci intorno e fare i medici pietosi. Non a caso ho citato le due cose insieme, perché simul stabunt, simul cadent . E il problema non è la riforma liturgica in quanto tale, certamente è la direzione che la riforma liturgica ha preso; ma anche questo va circostanziato. Il problema certamente parte da lontano, da prima del Concilio, da un malinteso rapporto fra pastoralità liturgica e solennità della celebrazione. Si è creduto che l'esigenza della pastoralità, di favorire la partecipazione, prevaricasse su una esigenza di verità che necessariamente è anche bellezza. La musica liturgica ora è smarrita, una malata di malanni vari che vanno dalla progressiva effeminatezza di molte recenti produzioni alla predominanza dell'elemento ritmico primitivo, dal disprezzo della bellezza a scapito della funzionalità alla perdita di senso estetico/estatico, dal clericalismo invadente e soffocante alla bieca ignoranza del clero stesso e molto altro. Questi sono i mali della musica liturgica (e della liturgia). Si può avere una celebrazione degna e solenne nella forma ordinaria del rito romano e una celebrazione scadente nella forma straordinaria dello stesso; qui non si fa questione di passato o presente, ma si cerca di andare alla radice della liturgia stessa e del ruolo della musica in essa. I mali che ho citato ed altri che non ho incluso, stanno erodendo ogni senso di ciò che è bello, buono e giusto. Il laicato è spesso visto come una ruota di scorta da usare se non ci sono preti o suore disponibili per muovere le manine e "dirigere" il coro. E tutto questo mentre Papa Francesco si illude (purtroppo, dopo aver visto molto, devo usare questo verbo) di poter sradicare il bieco clericalismo che si è oramai metastatizzato nel ventre stesso della Santa Madre Chiesa. La musica liturgica è una cartina di tornasole, ma importante perché alcuni dei suoi mali sono i mali di cui soffre la liturgia e in conseguenza, la Chiesa tutta. Non sarà insensato dare uno sguardo a questi mali e cercarne le radici ipotizzando delle possibili soluzioni. Non ho elementi per essere ottimista ma la speranza cristiana deve spingerci a cercare di essere positivi, non nel senso dell'ottimismo a tutti i costi diffuso da suore spiritate e preti spiritosi, ma quell'ottimismo che fa i conti con il sano
realismo. Cerchiamo di guardare in faccia la realtà ed andare avanti.
Forma mentis
Uno dei problemi più grandi che si sono dovuti affrontare negli ultimi decenni nel campo della musica liturgica è quello del disprezzo per la forma. La forma si può intendere come quel rispetto ad una coerenza dell'ordine degli elementi musicali all'interno di una composizione al fine di una razionalizzazione del materiale sonoro e di una sua maggiore efficacia al momento dell'ascolto. In anni recenti la forma si è ridotta a quella della canzone, con strofe e ritornelli e poco altro. Martin Mosebach ha dedicato un interessante libro a questo tema (Mosebach, 2009) in cui, da scrittore, mette in luce le dinamiche perverse in azione nei recenti decenni. In fondo l'attacco alla forma musicale è in ultima analisi un attacco al rito, alla sapienza e funzione del fare rituale. Parlando del Concilio di Trento Luigi Martinelli, nel primo capitolo di un suo recente volume, afferma: "I padri conciliari avevano ben chiaro di come la necessità del rito sia radicata nella natura dell'uomo, infatti il rito è necessario perché l'azione rituale è il primo momento di organizzazione dell'esperienza che facciamo al mondo e fa capo ad una pragmatica trascendentale in base alla quale si vuole evitare la logica dei doppi pensieri facendo chiarezza tramite un'azione simbolica che ristabilisca il cosmos. Il rito è l'organizzazione dell'esperienza di senso dell'uomo nel mondo, quindi la conoscenza di sé che si costruisce intorno al corpo e in rapporto al mondo" (Martinelli, 2014). Alessandro Gnocchi del pari osserva: "La cerimoniosità rituale risponde alla natura liturgica dell’uomo: cosicché, per esempio, un San Francesco di Sales amava insegnare che le buone maniere sono il principio della santità o un Leon Bloy diceva che “solo le persone senza profondità non si fidano delle apparenze”. Ma oggi si manifesta un cristianesimo che si sente tanto più autentico quanto più si fa nemico del minimo fremito di reverenza per la forma. La pratica religiosa ormai si gloria di attingere solo alla sostanza finendo per rimestare nella materia lasciata a se stessa. La solita borghesissima rivolta antiborghese ha instaurato una sorta di eresia dell’informe che si nutre di esegesi del brutto come unica lettura del Vangelo. Eppure, la vita e l’insegnamento di Gesù, i gesti più veri di chi gli sta intorno sono uno spreco di bellezza, parto della devozione spirituale al mistero di tutto ciò che esiste. Negli eventi grandiosi e nelle cose minime, nei gesti regali e nelle piccole attenzioni quotidiane, i personaggi del Vangelo sono gentiluomini vocati alle
buone maniere" (Gnocchi, 2014). C'è una connessione fra l'abbandono della forma rituale e il disprezzo per la forma musicale, un disprezzo per il potere del creatore di fare senso della realtà e di ordinarla in modi sempre nuovi e sempre diversi. L'impoverimento della forma che si riduce a pochi schemi non denuncia un arricchimento ma una depauperazione. E questo impoverimento formale non riguarda solo la forma in senso tecnico, ma anche (e forse soprattutto) in senso emozionale. Oggi si cerca di solleticare facili emozioni più che cercare di scavare in profondità nel cuore dell'uomo, scavalcando facili sentimentalismi per ritrovare puri sentimenti. Forma rituale e forma musicale nella liturgia risentono di una crisi parallela, crisi che probabilmente verrà risolta soltanto in parallelo, se mai potrà esser risolta.
La bellezza nella musica liturgica
Pochi anni fa su tutti i telegiornali c'era stata la notizia della scomparsa di una annunciatrice televisiva, Maria Grazia Capulli. Tra le cose che furono dette di lei, una certamente era chiara a tutti dalle foto che venivano offerte: era una bellissima donna. Era questo forse un caso, lavorando la stessa in televisione? Direi di no. In effetti se si guardano i telegiornali delle varie reti nazionali e private, si vede come l'elemento della bellezza non è secondario nella scelta di un annunciatore o una annunciatrice. Si direbbe che non serve essere belli per poter leggere delle notizie, ma in realtà, così dicendo, si dimostrerebbe di non capire bene la natura umana. La bellezza attrae, e attrae in un modo che fa passare anche poi gli altri messaggi che si vogliono convenire. Certamente si può fare un cattivo uso di questo, ma non bisogna dimenticare che comunque questo bisogno di bellezza, fisica o metafisica, è nel cuore di tutti. Pensavo a questo quando riflettevo su come la bellezza nella liturgia e nella musica liturgica sia stata umiliata in tempi recenti, come essa si sia messa da parte a favore di un preteso "funzionale", come se il bello non potesse anche essere funzionale in se stesso. Si è messi in opposizione i concetti di bello e funzionale, facendo sembrare che se una cosa è bella non sarebbe allora adeguata alle esigenze della liturgia. Adeguato, secondo alcuni che ancora parlano molto di musica e liturgia, sono questi parti inferiori di cantarelli senza spina dorsale che ripentono stancamente formule trite e ritrite. La ricerca della bellezza che deriva da un approfondimento della forma viene messa da parte, se non osteggiata. Ma Dio è bellezza, come possiamo dimenticare questo? Altri, tra questi preti che provengono da seminari che mostrano tutti i segni di un evidente declino, se ne escono con la frase magica che, secondo loro, risolve il problema alla radice: la bellezza è soggettiva. Un momento, reverendi: forse il gusto è soggettivo ma la bellezza ha una sua oggettività. Io posso dire che non mi piace Michelangelo, è il mio gusto. Ma non posso dire che, perché non piace a me, che non sia bello. Ci sono dei criteri di giudizio che derivano dalla tecnica, dall'attenzione alla forma, dai procedimenti compositivi che comunque fanno intravedere se in un pezzo viene tenuto conto, e come, della bellezza. Se tutto è relativo è relativo anche che tutto è relativo. Benedetto XVI nella Sacramenctum
Caritatis (35) affermava: "«Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. [...] La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. [...] La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria». La bellezza di Cristo si riflette soprattutto nei santi e nei cristiani fedeli di ogni epoca, ma non bisogna per questo dimenticare o sottostimare il valore spirituale delle opere d’arte che la fede cristiana ha saputo produrre per metterle a servizio del culto divino. La bellezza della liturgia si manifesta concretamente attraverso oggetti materiali e gesti corporei, di cui l’uomo – unità di anima e di corpo – ha bisogno per elevarsi alle realtà invisibili e rafforzarsi nella fede. Il Concilio di Trento ha insegnato: «La natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa, come pia madre, ha stabilito alcuni riti [...] per rendere più evidente la maestà di un sacrificio così grande [l’Eucaristia] e introdurre le menti dei fedeli, con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio» (DS 1746). L’arte sacra, le sacre vesti e suppellettili, l’architettura sacra: tutto deve concorrere a far consolidare il senso di maestà e di bellezza, a far trasparire la «nobile semplicità» (cf. Sacrosanctum Concilium , n. 34) della liturgia cristiana, che è liturgia della vera Bellezza". In questo mirabile passaggio di Benedetto XVI viene messo anche in rilievo il ruolo della "nobile semplicità", una delle frasi più (volutamente) equivocate degli ultimi decenni. Prima di tutto, semplice vuole dire sine plica, perfetto. Non vuol dire banale, stupido o rimediato. E poi non dimentichiamo il valore di quel "nobile". Nobile significa aristocratico, ricercato, raffinato. La musica liturgica deve rispondere a queste caratteristiche di nobiltà, bellezza, ricercatezza, raffinatezza, e non cercare facili scappatoie nei facili tranelli del sentimentalismo banale e in canti che tradiscono effeminatezza e ricerca di un (troppo) facile consenso di popolo.
Musica liturgica e musica leggera
Credo non sia fuori luogo fare una premessa: chi scrive non ha pregiudizi di sorta verso la musica leggera, o pop, o commerciale. Questa musica ha una sua funzione ed è giusto che la assolva. Semplicemente questa funzione non è quella liturgica. Ora, qualcosa che sembrerebbe così facile da capire è invece non compreso da moltissimi operatori liturgici e musicali. Dopo il Vaticano II, si sono diffusi repertori che nulla hanno a che vedere con la tradizione musicale e un sano progresso della stessa. Si potrebbe obiettare che non c'è nulla di male e che la Chiesa non ha preclusioni verso nessuno stile. A queste obiezioni è fin troppo semplice rispondere e cercherò di farlo brevemente qui. Sul fatto che non c'è nulla di male si può obiettare che invece c'è molto di male, in quanto quegli stili che vanno sotto l'ombrello della denominazione "musica leggera" (ovviamente, come tutte le definizioni, molto deficitaria) hanno alcuni elementi che sono di per se in opposizione allo scopo dell'agire liturgico: a) Il prevalere dell'elemento ritmico; b) grande uso di sentimentalismo; c) associazioni extra liturgiche. In ogni brano musicale c'e' un elemento ritmico, naturalmente. Nel caso della musica pop e rock questo elemento diviene spesso prevalente con associazioni ad un certo primitivismo ritmico ascrivibile a suggestioni puramente dionisiache piuttosto che alla ragionevolezza e linearità dell'apollineo. Cosa si vuol dire? Pur se Friederich Nietzsche (Nietzsche, 2015) ci ha insegnato essere i due elementi inscindibili nella nascita della tragedia greca, il prevalere del dionisiaco favorisce caos, trance, disordine. Il ritmo preso a se stesso è mero invito all'uscire da se stessi verso il vuoto, non verso un pieno che dovrebbe essere lo scopo dell'azione liturgica. La suggestione ritmica fine a se stessa richiama quel primitivismo a sua volta richiamato dal Cardinale Celso Costantini, missionario in Asia, nei suoi libri sull'arte sacra come un pericolo per l'arte liturgica. Eppure questo elemento primitivo è prevalente nell'enfasi puramente ritmica a scapito di melodie ed armonie povere, che si ha in molti canti nella liturgia in anni recenti. Certamente l'elemento ritmico deve avere la sua importanza, ma non divenire l'elemento prevalente in modo costante per sollecitare quella parte dionisiaca che, pur se necessaria, va presa a dosi moderate, un poco come gli insaccati. Il
sentimentalismo poi è divenuto una vera e propria piaga, con canti che cercano di sollecitare non la nostra parte più nobile, emozioni e sentimenti, ma la corruzione e degenerazione degli stessi attraverso quella che possiamo chiamare "l'eresia del sentimentalismo", dove questa corruzione del sentimento, questo sentimento snervato e privato di forza, questo emozionarsi sopra una sabbia mobile, tradisce quello che dovrebbe essere il vero scopo della musica liturgica che è di farci perdere per ritrovarci in una sapienza superiore e più grande di cui quella umana è pallido riflesso, non di disprezzare la sapienza umana per perdersi in un vuoto che è più tipico dell'insegnamento buddista. Nel cristianesimo il vuoto è pieno. Il sentimentalismo è un pericolo grande eppure esso predomina in molte produzioni che vanno per la maggiore nelle nostre chiese, dando spazio a quello che Vittorio Messori chiamava "il Signore delle signore" (Messori, 2001). Purtroppo il prevalere di questo elemento ha di molto snervato le nostre assemblee facendole assomigliare spesso ad un nugolo di donnicciole piangenti più che al popolo di Dio in cammino verso il Regno. Da questi due pericoli, primitivismo e sentimentalismo consegue il terzo; la musica leggera inserita, anche con testi liturgici, nella liturgia provoca associazioni con elementi extra liturgici. Naturalmente, essendo umani, sappiamo che queste associazioni sono in qualche modo inevitabili ma il prevalere di esse grazie all'uso di musica nata con fini extra liturgici e sapientemente orientata dalle grandi corporation per fini commerciali, fa di queste associazioni un elemento prevalente piuttosto che accessorio. Insomma, i pericoli di usare musica ispirata ai moduli della musica leggera sono tali e tanti che consigliano di essere sempre vigili sulla musica che usiamo per le nostre celebrazioni.
L'anticlericalismo del musicista liturgico
Non si sorprendano nel leggere queste righe: non voglio avocare atteggiamenti eretici ma solo ritornare ad un sano realismo. Il musicista liturgico deve debitamente ossequiare e rispettare il clero ma essere ferocemente contro il clericalismo, anche se essi coincidono nella stessa persona. Il clericalismo è una peste del sacerdozio, anzi la morte dello stesso, come la definiva in un fortunato libro il padre George B. Wilson (Wilson, 2008). Il clericalismo è l'abuso della propria posizione e del proprio ruolo per acquisire privilegi o poteri che nulla hanno a che fare con gli stessi o che ne sono elementi accessori e non principali. Il clericalismo è la protezione mafiosa di membri del clero che hanno commesso azioni criminali o semplicemente azioni di forza o arroganza, è il sentirsi soggetti ad una certa impunità che va a coprire tutte le azioni compiute, anche quelle più nefaste. Il 22 marzo 2014, in un discorso ai membri dell'associazione Corallo, Papa Francesco ha detto: " Lei ha detto un’altra cosa, che anch’io menziono nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium . Ha parlato del clericalismo. E’ uno dei mali, è uno dei mali della Chiesa. Ma è un male “complice”, perché ai preti piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma tanti laici, in ginocchio, chiedono di essere clericalizzati, perché è più comodo, è più comodo! E questo è un peccato a due mani! Dobbiamo vincere questa tentazione. Il laico dev’essere laico, battezzato, ha la forza che viene dal suo Battesimo. Servitore, ma con la sua vocazione laicale, e questo non si vende, non si negozia, non si è complice con l’altro… No. Io sono così! Perché ne va dell’identità, lì. Tante volte ho sentito questo, nella mia terra: “Io nella mia parrocchia, sa? ho un laico bravissimo: quest’uomo sa organizzare… Eminenza, perché non lo facciamo diacono?”. E’ la proposta del prete, subito: clericalizzare. Questo laico facciamolo… E perché? Perché è più importante il diacono, il prete, del laico? No! E’ questo lo sbaglio! E’ un buon laico? Che continui così e che cresca così. Perché ne va dell’identità dell’appartenenza cristiana, lì. Per me, il clericalismo impedisce la crescita del laico. Ma tenete presente quello che ho detto: è una tentazione complice fra i due. Perché non ci sarebbe il clericalismo se non ci fossero laici che vogliono essere clericalizzati. E’ chiaro, questo? Per questo ringrazio per quello che fate. Armonia: anche questa è un’altra armonia, perché la funzione del laico non può farla il prete, e lo Spirito Santo è libero:
alcune volte ispira il prete a fare una cosa, altre volte ispira il laico. Si parla, nel Consiglio pastorale. Tanto importanti sono i Consigli pastorali: una parrocchia – e in questo cito il Codice di Diritto Canonico – una parrocchia che non abbia Consiglio pastorale e Consiglio degli affari economici, non è una buona parrocchia: manca vita". Il Clericalismo è uno dei mali della Chiesa, questo lo dice il Papa.... (Francesco, 2015). Io credo questo passaggio vada riletto attentamente. E soprattutto riletto attentamente, nel nostro caso, dai tanti musicisti di Chiesa che abbassano la testa ad ogni cosa che gli viene detta da un prete solo perché è un prete. Non perché sono preti possono distruggere la liturgia e la sua musica per farle divenire un raduno di disperati che eseguono canti da eunuchi (ma non quelli per il regno dei cieli...). Il laico, il musicista liturgico, deve ritrovare la sua dignità che gli viene dall'essere un cristiano come riconosceva san Leone Magno: Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam. San Leone Magno non parlava solo ai sacerdoti, ma a tutti i cristiani. Se un documento magisteriale dice una cosa e il prete ne dice un'altra, il prete sbaglia! Non si abbassi la testa e non ci si comporti come individui privi di testosterone (o ormoni specifici, nel caso delle donne). Uomo o donna che sia, il musicista di Chiesa ha una funzione importante che ha una sua dignità e che va salvaguardata dalle invadenze dello strapotere di un clero che spesso in musica liturgica è impreparato, ignorante, malamente indottrinato. Lo aveva detto Papa Francesco anche in una lettera del 18 aprile 2013 ai vescovi argentini, uno dei mali più grandi della Chiesa è il clericalismo. Non dimentichiamo che anche il Papa emerito Benedetto XVI aveva più volte richiamato questo pericolo. Si rispetti il clero, ma si combatta senza quartiere il clericalismo e si farà un favore anche a tanti sacerdoti la cui vocazione non è basata su ambizione personale e problemi psicologici mal curati, ma su un autentico bisogno di servire gli altri nel nome di Cristo morto e risorto.
Musica liturgica profumata
Credo di avere messo in luce in precedenza alcune delle piaghe che affliggono la musica liturgica negli ultimi decenni. Ce ne sono altre, che vedremo, almeno sommariamente. Certamente una delle più devastanti è la musica liturgica "profumata", quei cantarelli dalle movenze effeminate che hanno invaso le nostre chiese, per cui un Gloria ha le stesse movenze equivoche di un "Dal profondo a te grido" (cioè, malgrado il testo e la sua dignità, tutto è diretto a questa effeminatezza di fondo). Questo richiamo al sentimentalismo (che non dimentichiamo, è una perversione del sentimento) continuo e incessante, è molto più deleterio della carne rossa (nuovo nemico dell'alimentazione) e certamente ha effetti sull'animo molto più nocivi. C'è tutto un mondo ecclesiastico che favorisce questa tendenza effeminata. E non dobbiamo vedere questa tendenza esclusivamente come espressione di orientamento omosessuale, perché ci sono omosessuali che non sono effeminati e viceversa. Questa tendenza all'effeminatezza ha invaso le parrocchie, dove si sostituisce alla virilità del Cristo uomo, questa musica del " Signore per le signore" (Messori, 2001). Non si creda che ciò di cui parlo sia un problema marginale; ricordo di sacerdoti che si scandalizzavano di fronte alle mie affermazioni dicendo, con voce impostata all'acuto, che questo fenomeno riguardava solo una minoranza. Forse è vero, ma oramai è una minoranza molto rumorosa. Io credo in un cristianesimo virile (non in senso maschile esclusivamente), un cristianesimo di lotta, un cristianesimo di grandi e puri sentimenti e non di flaccidi sentimentalismi, un cristianesimo di autentici peccatori che cercano la strada del ritorno, un cristianesimo di grandi cadute e grandi riconciliazioni. Credo in un cristianesimo in cui il senso del peccato non è condanna, ma visione del limite per sapere che si può tornare indietro. Credo in cristianesimo la cui musica riflette questa forza, questa attesa e speranza, in cui si può gemere d'amore per l'amato ma non sempre essere in uno stato di attonito sdilinquimento. Questo cristianesimo sta svanendo piano piano e con esso la mia voce. Spero che ci sarà qualcuno che voglia portare avanti la buona battaglia,
affinché la nostra santa religione non divenga una melassa buonista buona per tutte le occasioni e per tutti gli usi.
Musica liturgica e clero
Uno altro dei mali più pervasivi che affligge la liturgia e la musica liturgica è senz'altro quello dell'ignoranza del clero in materia. Non so dire quante volte sento dire al clero che non capiscono di musica (in generale e liturgica in particolare). Io mi aspetterei nei seminari che ci fosse una educazione al gusto per la bellezza liturgica e per la sua musica: per niente! Moltissimi preti non sanno veramente nulla di musica liturgica, sono più ignoranti dell'ultimo scalcinato organista e, in queste esatte condizioni, vanno poi a dirigere parrocchie, seminari, riviste e via dicendo. Non che le suore siano poi molto meglio...il problema è veramente che non ci si preoccupa che il clero possa capire l'importanza e il ruolo che la musica ha nelle vite di ciascuno e all'interno di una celebrazione; si lascia i giovani preti irretiti in musiche compiacenti ed equivoche, musiche che riempiono un vuoto spirituale con sapienti (sapienti ma in senso perverso) giri armonici ed arzigogoli melodici atti a provocare sdilinquimenti e svenevolezze che trovano grande accoglienza nel panorama spirituale degli ultimi decenni. La preparazione del clero in musica (ma forse non solo..) è scaduta a livelli veramente preoccupanti e questi preti poi diverranno, monsignori, vescovi, cardinali e via dicendo. Come si può riformare la musica liturgica nella direzione del Concilio Vaticano II (quella vera, non quella presunta e ammantata del fantomatico "spirito del Concilio")? Come si potrà sperare che il "canto nuovo" finalmente risuoni in tutte le chiese quando coloro a cui è affidato il popolo di Dio non hanno orecchie per sentire?
Il mito del Concilio Vaticano II
Stiamo ben attenti a vedere le cose come stanno, non ci inganniamo o autoinganniamo. Gran parte dei mali che viviamo oggi nella musica liturgica sono presenti perché c'è una porta che è stata aperta sul vuoto e la cui chiave è stata il mito del Concilio Vaticano II, non il Concilio reale, ma quello usato dal latore della chiave, molto spesso con indosso una tonaca (nei casi migliori), per scardinare tutto quello che di buono e bello la Chiesa aveva ereditato. Il clericalismo, il grande nemico degli ultimi decenni, si è servito di questo grimaldello non per far del bene al "popolo", per cui sospetto non ha molto interesse, ma per rinforzare la propria posizione di potere. Cosa c'è di meglio che togliere al popolo la sua identità Cattolica, fatta soprattutto della sua tradizione? "Cantiamo qualcosa che sia il meno Cattolica possibile, un poco protestante, un poco new age , un poco sentimental romantica, così facciamo contento tutto l'arco costituzionale della modernità". Qualcuno, giorni fa, diceva qualcosa su Facebook divertente, ma anche molto triste: "fare l'organista in Italia è come vendere salami in un paese islamico". Forse è peggio. Le continue liti con sacerdoti che non sanno stare al loro posto e si arrogano il diritto di dirti cosa devi o non devi far cantare quando non hanno nessuna preparazione per prendere queste decisioni. Posso io cambiargli l'omelia? O suggerire come leggere il canone? Non me lo permetterebbero. Ma loro si sentono spesso in diritto di dirti cosa fare e cosa no, quando purtroppo non hanno la cultura sufficiente per potere orientare certe decisioni. Quando qualcuno si arrabbia (perché esistono anche quelli che guardano i preti negli occhi, non solo quelli che sono solo capaci di reggergli solo metaforicamente - i codazzi) ecco che loro ti buttano in faccia il mito del Concilio - questo lo ha detto il Concilio, questo lo vuole il Concilio - sperando nella ignoranza generale che c'è sul Concilio in quanto la gente, parliamoci chiaro, del Concilio conosce al massimo questa parola, "Concilio", e poco altro. Ma se tu i documenti li hai letti, ecco il terrore nelle loro espressioni, ecco le accuse dicendoti che sei retrogrado, lefebvriano, passatista, elitario, esclusivista...e solo perché vuoi seguire quel Concilio a cui loro si appellavano un minuto prima! Il mito del Concilio declinato in "spirito del Concilio", ha
devastato la liturgia e la sua musica, l'ha resa vittima di una catastrofe di proporzioni apocalittiche. Papa Francesco denuncia il clericalismo, ma poi per sconfiggerlo può molto poco e non è solo colpa solo sua: tutto il sistema si regge su questo potere che non è essenziale al clero ma che gli permette privilegi che senza di esso sarebbero inimmaginabili. Cari organisti, sarebbe forse il caso che cominciaste a pensare di andare a vendere salami in un paese islamico. Vedendo come siamo ridotti qui e con molta prudenza, ci sarebbe senz'altro più soddisfazione.
L'eresia populista nella musica di Chiesa
Nell'ultimo secolo si è inseguito un populismo liturgico che è realmente diverso dalla valorizzazione del popolo di Dio. Io sono il primo a riconoscere che il popolo di Dio deve essere liberato dalle strette del clericalismo e valorizzato nei ministeri che a lui sono propri. Questo è un dato di fatto sacrosanto. Il populismo è qualcosa di diverso, è l'uso del popolo per fini altri, fini che esulano dal bene del popolo. Tutto il parlare che si fa della Chiesa che deve far cantare la musica del popolo sono, per la maggior parte, fatti da persone che non sanno di musica ne tantomeno di popolo. Si fa passare per musica del popolo quella musica che viene indotta nella nostra cultura da potenti multinazionali che sanno come manipolare la percezione collettiva (dal loro punto di vista con tutte le ragioni, in quanto ciò che interessa è vendere). Questo processo era stato identificato lucidamente da Joseph Ratzinger ma naturalmente ancora si spaccia per musica di Chiesa il surrogato della musica pop. Purtroppo la soluzione che in Italia si è prospettata è stata spesso quella di proporre repertori partigiani, in cui il livello delle musiche è purtroppo qualcosa a metà tra il mediocre e l'inconsistente. Naturalmente ci sono ottimi compositori di musica liturgica in Italia, ma spesso tenuti ai margini e, se laici, tenuti proprio fuori se non si inchinano al passaggio delle tonache clericali (eufemismo, in quanto oramai la tonaca non la indossa praticamente nessuno nel clero). Il popolo interessa solo come nome, ma meglio tenerlo a bada e non permettere che possa disturbare quelli che sono poi giochi di potere intraecclesiali. Dietro i sorrisetti di circostanza il clericalismo ottura le coronarie anche delle conferenze episcopali, dove gruppi di pressione favoriscono i propri uomini e portano avanti i loro disegni di controllo. Tempo fa proposi alcuni canti per una editrice cattolica molto conosciuta. Era circa 20 anni fa. La persona che vide i canti, uno di quelli con il potere di spadroneggiare nel campo della musica liturgica, rispose che erano troppo "tradizionali", che tradotto significava che erano scritti propriamente quando si
favoriva e favorisce una scrittura "utile", pragmatica, sul modello americano dove non conta la nobiltà del pensiero ma la tirannia dell'utilità. A questo siamo tristemente ridotti....
La civiltà occidentale
Parliamo chiaro e senza giri di parole: i problemi della musica sacra, della liturgia, della Chiesa Cattolica, non sono problemi separati da un contesto, ma sono problemi intrinsechi allo stesso contesto e denunciano un elemento che non si può far finta di ignorare: la crisi della civiltà occidentale, una civiltà di cui la Chiesa Cattolica fu fautrice insieme alle componenti greche, romane e giudaiche e che oggi si trova in profonda crisi. Leggere la nostra crisi semplicemente come una crisi di questo o quel brutto canto, non coglie che in realtà la crisi è enormemente più vasta e noi ci troviamo, tutti insieme, su questo crinale che precipita verso il vuoto. Non crediamo di sfuggire a questo problema cercando di guardare il dettaglio, perché il problema è molto, ma molto più ampio. Il pensiero debole si è insinuato nella Chiesa e la rode dall'interno: i cantarelli sentimentalistici, le schitarrate, il rifiuto della tradizione non sono che sintomi di uno stesso male che sta portando tutto quello che siamo stati alla tomba, per lasciarci il nulla, il compimento del nichilismo più efferato. Difficile è agire quando il nemico ti sta dentro, accanto a te, la persona che ti dovrebbe essere amica, sorella, fratello, compagno, compagna. Oggi anche chi dovrebbe essere dalla tua parte è spesso girato dall'altra. E tu, che ti illudi che quel mondo fatto di belle armonie e di altrettanto belle forme sostanziali ancora possa avere un senso, sei sempre più solo e isolato, cercando di nuotare nella marea spesso volgare dei blogs, dei giornali e dei siti internet, cercando di entrare nelle Chiese ma se sono vuote, per non essere investito dalle cacofonie volgare e profane che erompono da microfoni a palla.
Non ti pago!
Parliamoci chiaro: una delle cause scatenanti di tutti i guai di cui si è parlato e di cui si parlerà, nel campo della musica liturgica, è la malsana idea che il lavoro del musicista liturgico competente non deve essere ricompensato. Ricordo tempo fa, un mio articolo fu contestato da una lettera sulla rivista Vita Pastorale in cui un sacerdote mi accusava di pretendere che i musicisti di chiesa dovessero essere pagati. In questo modo, arguiva il sacerdote, avrebbe dovuto pagare anche chi faceva le pulizie...e certamente! Bisogna pensare che chi fa un servizio che richiede una professionalità o un artigianato, specialmente se richiede lunga preparazione negli anni (come per la musica) ha il diritto di dover essere pagato. Certamente il musicista di chiesa non è pagato per andare in chiesa ma per svolgere un servizio che richiede professionalità molto avanzate. Il fioraio non lo pagate? Il fotografo non lo pagate? Il sacrestano non lo pagate? Eppure queste persone, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno studi di livello universitario alle spalle, anni e anni spesi sui libri con notevole dispendio economico. Lo stesso sacerdote ha uno stipendio, ha anche l'applicazione che gli viene dal numero di messe celebrate. Il canone 945 del codice di diritto canonico dice: " Secondo l'uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa, ricevere l'offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione ". Allo stesso modo perché non dovrebbe essere normale dare la giusta mercede all'operaio che svolge un servizio qualificato per la celebrazione? Il canone 1273 comma 3 lo dice chiaramente: "Nelle singole diocesi si costituisca, nella misura in cui è necessario, un fondo comune, con il quale i Vescovi possano soddisfare agli obblighi verso le altre persone che servono la Chiesa e andare incontro alle varie necessità della diocesi, e con il quale le diocesi più ricche possano anche aiutare le più povere" . Insomma, si pretende dai musicisti liturgici di essere professionalmente preparati, così devono essere professionalmente ricompensati. Il volontariato nella musica liturgica ha massacrato la tradizione, quanto c'era di bello, di buono e di vero nei tesori accumulati nei secoli. E purtroppo di fronte alla protervia ed ignoranza di tanto clero c'è poco da fare, in quanto si comportano da padroni non solo delle chiese loro affidate, ma della liturgia stessa che in realtà, come ci ha insegnato Benedetto XVI, ci è solo affidata, non proviene da noi.
Non ti pago! Quante volte i musicisti si devono scontrare con questo atteggiamento. Sarebbe il caso di scrivere un libro in cui si riportano gli innumerevoli abusi subiti in questo ambito, i cori scacciati, gli organisti umiliati, gli archivi svenduti: chissà che non sarebbe anche questo un notevole successo editoriale!
God save the Queen!
Negli ultimi decenni siamo stati bombardati di ecumenismo che ora ci esce da tutti i pori. Intendiamoci: l'ecumenismo è una cosa buona se inteso rettamente e non come una svendita di ogni cosa che odora di Cattolico per divenire come gli altri che poi, in alcuni casi, fanno lo stesso in casa loro per divenire come noi. Ma lasciando stare questi arzigogolati ragionamenti, volevo dire che proprio ieri ho tentato un esercizio ecumenico di cui mi sento orgoglioso, assistendo grazie a You Tube ad una celebrazione per il giubileo di diamante della Regina Elisabetta svoltasi nel 2012. La celebrazione, nella cattedrale londinese di San Paolo, vedeva la partecipazione di autorità di tutte le religioni, dei membri della famiglia reale ed era officiata dall'arcivescovo di Canterbury. Il tutto, alla presenza della augusta maestà. Ora, non si è potuto fare a meno di osservare alcune cose. La Regina è veramente una delle ultime che rappresenta in se stessa quel decorum, quel senso della nobiltà che un tempo era di esempio per tutti coloro che volevano elevarsi a più nobili atteggiamenti, piuttosto che la sbracatezza oggi comune anche a molti leader politici e religiosi. La sua compostezza e il suo regale distacco fanno veramente intravedere in lei il simbolo di una lunga storia e tradizione che in lei viene rappresentata. Venendo a cose più musicali, mi ha piacevolmente sorpreso vedere come tutti i membri della famiglia reale cantassero gli inni, o perlomeno cercavano di farlo. La Regina stessa seguiva gli inni e si univa al canto insieme al Principe Carlo e agli altri membri della congregazione. Da noi, dopo averci fatto due scatole così sulla partecipazione, spesso siamo costretti a vedere celebranti che se ne stanno sull'altare a guardare nel vuoto per aspettare che il canto finisca. Poi la musica. Devo dire che la fama della coralità inglese è interamente meritata. L'esecuzione era realmente splendida, con l'esecuzione di un anthem composto per l'occasione e cantato da un coro di voci bianche con voci veramente celestiali. Ma devo dire che tutta l'esecuzione era a livelli che da noi, purtroppo, sono difficilmente raggiungibili, malgrado tutto il nostro talento musicale e la nostra tradizione. Da noi i cori cantano in televisione sembrano voci che escono da una caverna per quanto sono flebili e quando si sentono bene, spesso vorresti che nella caverna ci ritornino.
Alla fine della celebrazione tutti si sono uniti nel canto dell'inno nazionale, God save the Queen, mentre la monarca osservava impassibile gli astanti come se in lei il tempo e le esigenze dell'eternità confluite nella storia umana, si congiungessero misteriosamente, per uno di quei disegni imperscrutabili della provvidenza.
Le battaglie perse di Papa Benedetto XVI
Chi scrive è certamente un grande ammiratore di Papa Benedetto XVI. Ho anche insegnato in Hong Kong un intero corso basato sulla sua concezione del ruolo della musica liturgica. Inoltre, il mio libro Il canto dei secoli (Porfiri, 2013) e il mio altro libro Canticum Novum (Porfiri, 2015) sono fortemente influenzati dal suo pensiero al riguardo. Quindi devo dire che ho una grande ammirazione per l'uomo e per il teologo e lo ritengo anche una persona di grande bontà e umanità. Ho avuto la fortuna di incontrarlo alcune volte, sono stato il suo organista per l'udienza settimanale del mercoledì fino al 2008, anno in cui mi sono trasferito a Macao. Quindi sono un ammiratore e osservatore attento e in questa veste devo dire che, purtroppo, il Papa emerito ha perso alcune delle sue battaglie. Fra queste quella della musica liturgica. Lui, che ha conoscenza e sensibilità per la musica liturgica, avrebbe sicuramente potuto incidere di più nel migliorare la situazione deplorevole in cui versa il canto liturgico in nella Chiesa Cattolica. E non voglio dire questo con una polemica contro il Concilio; infatti la mia osservazione è proprio a favore di valorizzare il vero canto liturgico per attuare le richieste della riforma liturgica. Quello a cui miro con le mie osservazioni e che si ritrovi la dignità del cantare durante la liturgia, sia che il canto sia riservato al coro (come è possibile in alcuni momenti), sia che intervenga l'assemblea (come è possibile in altri momenti). Purtroppo, tranne che per alcuni discorsi e incoraggiamenti che il Papa pronunciò durante il suo pontificato, l'influenza del suo pensiero non è stata veramente pervasiva e non ha cambiato molto la situazione a livello istituzionale. Anzi, a livello di alcune istituzioni le cose sono forse anche peggiorate dal pontificato precedente. Quello che posso vedere come elemento positivo è che il Papa Benedetto XVI con il suo pensiero ha incoraggiato tanti musicisti di Chiesa a perseverare in un opera di purificazione del loro agire nella liturgia. Purtroppo però, senza una efficace azione sui vescovi e sui sacerdoti in questo senso, la buona volontà e il retto sentire di tanti musicisti di Chiesa, non possono bastare.
L'equivoco del canto popolare nella liturgia
Credo che ci siano alcuni termini della questione musicale e liturgica che vanno chiariti ulteriormente per dare senso a quanto ho detto in precedenza e quanto dirò in seguito. Uno di questi riguarda senz'altro il canto popolare. Ora, bisogna distinguere fra canto liturgico e canto popolare. Il canto liturgico è proprio della liturgia, utilizza testi propri alla liturgia o testi che alla stessa possono essere riferiti anche indirettamente (opzione da non preferire rispetto alla prima). Il canto popolare è un canto che si fa interprete dei sentimenti religiosi del popolo, può avere un ruolo nella liturgia ma non predominare rispetto al padrone di casa, che è il canto liturgico. Ora, non significa che il canto liturgico è del coro e il canto popolare dell'assemblea, significa che il canto popolare non può sostituire in toto il canto liturgico. Ora, nel famoso VI capitolo della Sacrosanctum Concilium si dice quanto segue: " 116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30. 117. Si conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un'edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di S. Pio X. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole. 118. Si promuova con impegno il canto religioso popolare in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli". C'è una distinzione fra il canto liturgico, esemplificato nel gregoriano (ma canto liturgico può essere anche nelle lingue vernacolari), e il canto popolare. Esso viene concesso nelle celebrazioni liturgiche ma a certe condizioni. Quale è la differenza fra lo stesso e il canto liturgico? Il canto liturgico ha una funzione in
un certo senso più oggettiva, è il canto della Chiesa tutta, terrestre e celeste. Come direbbe Vittorio Messori, è un canto dell'et-et: terrestre e celeste, umano e divino, emozionale e oggettivo. Il canto popolare si fa più interprete dell'umanità concreta in preghiera in quel dato momento storico, con i suoi sentimenti e moti affettivi anche molto spontanei. Cosa succede quando un canto liturgico si veste da canto popolare? Cosa succede quando un testo liturgico viene musicato in modo da farne risaltare un facile emozionalismo? Ecco, questo è quello che spesso succede nelle nostre liturgie moderne, dove questo aspetto viene spinto all'eccesso, dove il popolare si contrabbanda per liturgico quando i due hanno diverse funzioni, quando il sentimentalismo si spaccia per sentimento, quando al popolo viene negato il nutrimento estetico di un canto veramente liturgico per dargli in pasto la fragile e provvisoria pastoia dei sentimentalismi.
Il razionalismo liturgico
In tempi recenti si è pensato di poter ridurre la liturgia ad una comprensione puramente razionale, come se l'elemento soprannaturale vi fosse come un opzione. Da questo discende che tutti i linguaggi liturgici (i codici comunicativi) vengono coinvolti in questa operazione di risistemazione intellettualistica che in realtà non aiuta la liturgia ad essere più efficace, ma la snatura nella sua natura più profonda. Si sarà notato come una delle parole che da una validazione a qualunque cosa è l'essere "scientifici". Se questa etichetta è posta correttamente ne consegue che la disciplina coinvolta può essere tranquillamente accettata. Ora, una comprensione "scientifica" della liturgia è possibile in alcuni suoi aspetti storici e giuridici ma non è possibile razionalizzare tutta l'azione liturgica, come se essa fosse soltanto un'attività intraumana e non riguardasse una entità soprannaturale. La liturgia non può divenire una riunione di condominio. Benedetto XVI lo ha detto nella sua omelia per la Messa crismale del 5 aprile 2007: " In persona Christi – nel momento dell’Ordinazione sacerdotale, la Chiesa ci ha reso visibile ed afferrabile questa realtà dei "vestiti nuovi" anche esternamente mediante l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici. In questo gesto esterno essa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi. Questo evento, il "rivestirsi di Cristo", viene rappresentato sempre di nuovo in ogni Santa Messa mediante il rivestirci dei paramenti liturgici. Indossarli deve essere per noi più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel "sì" del nostro incarico – in quel "non più io" del battesimo che l’Ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede. Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti e a noi stessi che stiamo lì "in persona di un Altro". " (Benedetto XVI, 2007) , Il sacerdote è lì in persona di un altro, noi tutti guardiamo ad un altrove. I linguaggi musicale ed artistici devono servire a fare in qualche modo presente questo altrove, non a consolare con nenie benevolenti gli astanti. Paul Feyerabend (Feyerabend, 2002) si è giustamente ribellato a questa idea che
il linguaggio scientifico è l'unica via alla verità della conoscenza, riconoscendo anche ad altri linguaggi, tra cui quello artistico e quello religioso, una legittima via alla conoscenza. Purtroppo noi siamo prigionieri di questo intellettualismo liturgico, di questa idea che le persone siano tutti animali perfettamente razionali che si evangelizzano a colpi di parole in greco e di momentanei bombardamenti di emozionalismi scomposti in dosi da cavallo. Quindi il razionalismo, apparente nemico del sentimentalismo, ne diviene poi un comodo servo. Questo è il ruolo della musica e dell'arte liturgica oggi. Ma quello che dovrebbe essere sarebbe un linguaggio capace di evocare la Presenza e metterci in grado di toccare, pur se fugacemente, la maestà e divinità che infinitamente ci supera.
Un improbabile incontro
Immagino che se un giorno avessi la possibilità di incontrare Papa Francesco gli parlerei di musica liturgica. Ora, se lo incontrassi di questi tempi, molti mi deriderebbero dicendo che Papa Francesco ha così tante cose da pensare, tanti corvi che svolazzano sopra la cupola, che certamente non si curerebbe di quello che un povero laico come me gli dice su musica e liturgia. A questa osservazione controbatterei che le cose sono collegate, quello che accade oggi nella Chiesa non è slegato da quello che accade da decenni nella liturgia e nella musica. Intendiamoci, scandali di ogni tipo accadevano da sempre nella Chiesa, anche quando c'era la musica liturgica più adeguata. Ma il fatto che ci sia una liturgia ed una musica liturgica adeguate e proprie rende anche i mezzi di santificazione più adeguati per fare in modo che sempre meno persone possano cadere nelle tentazioni che questo mondo, volenti o nolenti, presenta. Io non mi sorprendo delle rivelazioni dei libri che riferiscono sugli scandali finanziari e morali in Vaticano: bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi che le debolezze umane sono sempre lì, pronte a manifestarsi quando le occasioni si fanno propizie. Quello che mi viene da osservare al riguardo è che la considerazione per una liturgia ed una musica liturgica adeguate servono come antidoto a questi problemi, rafforzano le nostre difese spirituali e ci rendono più forti nel sostenere la buona battaglia.
Capito l'antifona?
Nei capitoli precedenti ho accentuato molto la parte destruens del mio argomentare ora, pur non abbandonando quell'atteggiamento totalmente, devo anche aggiungerci una parte construens . Mi si perdonerà ancora qualche fugace critica allo status quo , ma senza di essa non se ne esce. Nei giorni passati mi è capitato di vedere in Facebook dei posts di persone che chiedevano dei consigli per i canti della Messa di Natale. Ora, ovviamente si citavano i canto tradizionali come Tu scendi dalle stelle, In Notte Placida e via dicendo. Ma il problema non erano i canti menzionati, era l'idea dietro i consigli che è sbagliata. Nella Messa si devono cantare di preferenza le antifone del Messale, eventualmente altri canti. Questo "eventualmente" non deve avere un peso leggero, ma pesare come un macigno: se proprio non è possibile allora trovare un altro canto adatto. Ora mi si dirà che in una parrocchia non è possibile cantare ogni domenica canti diversi seguendo le antifone del Messale; a questa obiezione rispondo che non è vero. Porto un esempio personale: come forse i miei lettori sanno, ho vissuto e lavorato 7 anni in Cina. Ebbene, nelle mie scuole Cattoliche (ma con una percentuale di effettivi studenti Cattolici ben al di sotto del 10%), avevamo una Messa in inglese in cui tutte le domeniche si cantavano le antifone proprie, prese da repertori disponibili gratuitamente in lingua inglese. Le insegnavo alcuni minuti prima e la gente cantava...lì era bastata la ferma volontà di una persona, il vostro umile scrivente, per cambiare in qualcosa che non si era mai fatto. Da noi questo non è possibile? Certamente lo è! Ma noi siamo bloccati dall'ottuso clericalismo e dalla ignoranza diffusa che parte dai sacerdoti e spesso tocca molti laici impegnati nel servizio musicale e liturgico. L'ho già detto e lo ripeto: non si deve aspettare i sacerdoti quando si capisce che la loro preparazione è inadeguata, bisogna precederli e, se c'è bisogno, guidarli. Invece in Italia c'è spesso questo clericalismo atavico per cui il prete sa tutto, inclusi i canti giusti da proporre "per far cantare la gente". Credete uno che ha a che fare con la musica di chiesa da più di 30 anni: non è vero! Il primo passo è capire che bisogna recuperare la logica del Messale, del Liber Usualis. In altri paesi viene fatto nelle lingue vernacolari, noi siamo bloccati ad aspettare
l'imbeccata del prete di turno o della suora "che ha studiato". Invece ci vorrebbe un sano movimento di rivoluzione di stampo laicale, di cattolici non adulti ma nemmeno adulterati. Allora vedresti come si mettono paura...
Se non avete ancora capito l'antifona...
Devo ammettere che mi fa molto rabbia vedere altre nazioni molto più avanti di noi nel portare avanti progetti culturali di cui noi dovremmo essere gli alfieri. Questo perché so che l'Italia è piena di veri talenti, anche nel campo della musica e dell'arte liturgica. Come ho sempre detto, siamo soffocati dal clericalismo, irretiti dall'indolenza di certi uffici liturgici, atterriti dal livello di ignoranza liturgica e musicale che purtroppo attanaglia il nostro paese. Uno dei punti su cui si dovrebbe partire, lo voglio dire ancora, è cantare la Messa, non cantare nella Messa. Il Messale. Come ho detto in precedenza, ci sono vari vantaggi: le antifone di introito e comunione (che fine ha fatto l'offertorio???) sono altre letture bibliche, mettendo in risalto quell'enfasi biblica portata avanti dal Concilio Vaticano II. Le antifone circoscrivono la liturgia, le danno un colore unico, un senso proprio, una densità di senso che le denota. Le antifone, se ben composte, si prestano a vari tipi di esecuzione, dal monodico al polifonico e ogni cosa in mezzo. Le antifone sono brevi e facili da ricordare e via dicendo. Insomma, se non si riescono a creare aree di eccellenza in alcune parrocchie o programmi liturgico musicali adeguati, non è perché non è possibile, ma perché non si vuole. Negli ultimi anni comincio a pensare, Dio non voglia, che c'è una volontà da parte di qualcuno di fare in modo che le cose vadano così, una volontà di indebolire, effeminare, deprivare la tempra del cattolicesimo italiano, in modo che somigli a quelle religioni da decadenza dell'impero, più simile ai culti di Eliogabalo che alla forza di carattere dei grandi santi e delle grandi sante. Forse non ci si fa caso, ma la liturgia per compiere questo progetto, è uno degli snodi più importanti.
Tre motivi per amare il buon canto liturgico (e uno per odiarlo)
Il canto liturgico, quando concepito ed implementato correttamente, ha molti motivi per cui deve essere oggetto di grande apprezzamento. In questo breve scritto ne vorrei isolare almeno tre, consapevole che ce ne potrebbero essere altri. Primo, il canto liturgico è capace di elevare. Ma non ci eleva in un senso puramente emotivo o sentimentale, ci svuota di ciò di cui siamo pieni per riempirci di ciò di cui siamo vuoti (Sant'Agostino) e questa nuova pienezza è capace di mettere le ali dello Spirito e farci innalzare alle altezze divine. Per elevarci ci toglie da qualcos'altro, la miseria di questo mondo, l'ipocrisia in cui viviamo, le illusioni false e fallaci. Questo succede quando il canto liturgico è adeguato alla celebrazione e alla sua dignità, non quando esso è una rimasticatura delle atmosfere del mondo, da cui ci dobbiamo elevare. Secondo, il canto liturgico è capace di nutrire. Attraverso il buon canto liturgico il nostro senso estetico, il nostro desiderio di Bellezza (la cui somma espressione è Dio) si raffina, diviene più educato ed atto ad apprezzare i baluginii di bello dovunque essi sono. Inoltre offre sollievo nella sofferenza della vita, offre ristoro all'animo. Terzo, il canto liturgico è capace di unire. Non solo nel canto con un cuore solo ed un anima sola, ma attraverso l'ascolto attento di ciò che viene cantato dal coro, i nostri cuori si uniscono con in cuori degli altri fedeli nel canto di lode. Il pericolo dei canti emozionali è che essi separano, in quanto rinchiudono ognuno in un sentimentalismo individualista, non in una emozione comunitaria. Nel canto liturgico, quando è buono, l'io si prende le mani con altri io per costruire il noi che è la Chiesa. Quando ci si chiede chi ci separerà, ecco, io direi che è proprio quel tipo di canto che rinchiude nella solitudine della attualità per rifuggire la comunione nell'eternità. Ora, quale sarebbe il motivo per odiarlo? Il motivo è semplice. Se si vuole vivere
una vita monodimensionale, camminando con i paraocchi per non vedere che un eterno presente che mai cambia, un presente che non si apre all'Altrove, alla trascendenza, allo spirituale, ecco, questo è un buon motivo per odiare il canto liturgico, segno di quella trascendenza, di quel trionfo dello Spirito, di quell'immergersi nell'Altrove.
Gli strumenti musicali nella liturgia
Il caso degli strumenti musicali nella liturgia segue e conferma l'andamento solito nell'interpretazione dei documenti conciliari, nell'inveramento di quello "spirito del Concilio" che ha trasformato questo evento in una sorta di "super dogma" (Ratzinger & Messori 2005). Ora, è vero invece che il Concilio è la continuazione di una tradizione precedente, pur non potendo nascondere la sua importanza nell'ambito della storia recente della Chiesa. Alcuni studiosi ne amplificano la portata, per esempio il noto ecumenista Giovanni Cereti che così lo descrive: " Però debbo dire che il Concilio Vaticano II è stato di gran lunga il più importante di tutti, se si escludono forse i primi quattro concili ecumenici. E credo che sia stato anche un momento di rinnovamento per la Chiesa, la Chiesa Cattolica, non paragonabile a qualsiasi altro momento della storia" (Cereti & Porfiri, 2015) . Certamente ci troviamo davanti ad un conflitto di interpretazioni che segna il modo in cui i dati conciliari vengono letti e proposti all'attenzione della comunità cristiana. Ora, quello che la Sacrosanctum Concilium dice sull'uso degli strumenti musicali mi sembra abbastanza chiaro: " 120. Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli". Come solitamente si è fatto, si leggono i documenti tagliando le parti che meno convengono. Ecco la lettura di questo documento che viene fatta da coloro che non rispettano la vera tradizione: " altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino". Punto. Tutto il resto è dimenticato, come se fosse secondario all'assunto (per loro) principale. Ma in realtà, quella realtà letterale che pure qualcosa deve contare, si dice che l'organo è lo strumento principale ed altri strumenti ("poi...") possono essere aggiunti a certe condizioni: siano adatti all'uso sacro, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli. Vero è
che lo spirito vivifica e la lettera uccide ma non si può far dire ad un documento il contrario di quello che quel documento dice, favorendo strumenti come la chitarra ed altri consimili che non mi sembra, nel modo in cui vengono suonati, possano favorire quei criteri di cui si diceva in precedenza. In questo modo possiamo interpretare non solo la Sacrosanctum Concilium, ma anche tutti i testi magisteriali e biblici facendogli dire quello che vogliamo, esercizio che poi non è così difficile e in cui molti si dilettano.
La musica al mio funerale
Gli anni passano, passano molto velocemente e verrà il tempo in cui sarò messo di fronte alle mie eterne responsabilità. Si pensa che quando muore un musicista, specie uno che ha avuto a che fare la musica di Chiesa, il funerale deve essere una esaltazione del suo operato musicale per la liturgia. Oddio, non che sarebbe brutto, ma purtroppo spesso non è così. Ho visto funerali anche di grandissimi musicisti che purtroppo non davano gloria né a loro, né a chi gli veniva appresso. Comunque, sic transit gloria mundi...per quello che riguarda me stesso, niente applausi, non posso dare il bis anche se volessi. Non si suonino musiche melense di menestrelli cattolici alla moda, se proprio non vogliono cantare le mie composizioni si canti in canto gregoriano. Non voglio si cantino cose per far piangere la gente, chi vorrà piangere lo farà comunque e chi non dovrebbe piangere meglio non pianga. Dei pochi colleghi musicisti con cui sono stato compagno ( cum - panis), si abbia onore per la loro partecipazione alle mie esequie: il nostro ego è spesso più grande del nostro nos, immagino che gli si debba riconoscimento per la loro presenza. Le persone semplici che mi hanno accettato per quello che sono (un macello!) canteranno con il loro cuore l'inno che armonizzerà i suoni dell'organo e il melodiare delle voci. Se quel canto arriverà anche fino alla lontana Cina, spero che raggiunga quelle ragazze su cui ho contato, quelle ragazze a cui ho voluto insegnare la dignità di essere uniche e importanti anche attraverso quello che abbiamo fatto nella nostra attività corale, vincendo anche in me stesso il puttaneggiare proprio di molti musicisti, direttori di coro inclusi. Se uscendo dalla Chiesa sentirete dire di come ero buono, non ci credete; non ero buono, ero solo un peccatore che molto ha peccato. E non lo dico per sfoggiare la vanità del sentirsi peccatore, ma perché sono consapevole delle gravi colpe e mancanze verso coloro che mi hanno amato e che mi sono stati vicino.
Riguardo al prete, sia chi sia. Predica breve, austerità nel celebrare. Buono o cattivo, mi consolerà il sapere che malgrado anche i suoi peccati, la sua azione sarà efficace non per i suoi meriti, ma per l'azione divina. Chi mi ha amato non smetterà di farlo, canticchierà ogni tanto qualche mia melodia e io, laddove mi sarà concesso di stare, mi sentirò felice.
Delle italiche crisi vo narrando...
Da quanto esposto in precedenza, sembra chiaro che ci sono focolai di crisi molto estesi nel campo della musica liturgica, travisamenti o tradimenti della ragione d'essere della stessa e dei criteri di riforma posti in essere dal Vaticano II e dall'insegnamento del magistero. Ora, la situazione è drammatica ovunque, e fatevelo dire da uno che ha avuto a che fare anche con la Chiesa Cattolica all'estero per tempo estesissimo. Il criterio si è perso dappertutto, anche se bisogna dire che ogni paese ha il suo modo di vivere la crisi. Prendiamo per esempio l'Italia. La musica liturgica in Italia ha preso una botta micidiale dall'immediato dopo concilio, una specie di trauma in cui ancora si è coinvolti. Ricordo che negli anni '90 notavo come i repertori, con l'eccezione del rampante canzonettismo liturgico, erano rimasti gli stessi dell'immediato dopo Concilio e i canti di Picchi, Martorell, Stefani e via dicendo la facevano ancora da padroni nelle liturgie nostrane. Per carità, ce ne fossero di musicisti di quel tipo (specialmente i primi due) ma in realtà questo segnava una stasi della produzione liturgica, non si sapeva rispondere allo shock che il Concilio aveva provocato. Dal Concilio ed oltre si sono scontrate due tendenze, quella aperta alla riforma a tutti i costi incarnata dal gruppo Universa Laus e quella su posizioni più conservatrici incarnata dall'Associazione Italiana Santa Cecilia. Queste due visioni e tendenze hanno guidato il dibattito fino ai nostri giorni anche se, bisogna dire con onestà e senza nascondersi dietro un dito, i membri di Universa Laus sono penetrati molto più efficacemente nelle grazie della nostra Conferenza Episcopale, facendo praticamente, negli ultimi decenni, il bello e il cattivo tempo. La stasi di cui parlavamo in precedenza, è in qualche modo evoluta nella soluzione attuale quando, vicino al canzonettismo oramai divenuto tristemente mainstream, si è fatta largo una tendenza tipica degli imperi in decadenza, cioè il sentimentalismo sfrenato, l'effeminatezza manifesta, la tenerezza affettata che si è impadronita di tanta produzione liturgica, in cui l'oggettività del canto sacro è stata sostituita dalla caratura emozionale da cinematografo, su cui niente ci sarebbe da obiettare se non fosse che la liturgia non è un film. Come se ne esce? Obbiettivamente non lo so. Questo radicalizzazione dello scontro e questa
situazione può cambiare solo con un atto di forza da parte di un Pontefice (e non sarà questo, che ha altre gatte da pelare e non spiccato interesse per la liturgia) o con un movimento che viene dal basso. Non si conti su tutto ciò che è nel mezzo, perché non se ne caverà niente.
Osteria del Vaticano
Nel precedente scritto, ho suggerito che per uscire dalla situazione di grave disagio della musica liturgica si potrebbero intravedere due soluzioni: una dall'alto e l'altra dal basso. Cominciamo a parlare di quella dall'alto. Sarebbe utile un intervento papale per raddrizzare il livello e la qualità della musica nelle nostre liturgie? Per farla breve, allo stato attuale, no. Il problema è "il mondo di mezzo", come tolkianamente viene descritto quell'ambiente che si frappone fra i due livelli di alto e basso. E il mondo di mezzo clericale, intossicato da decenni di falsa pastorale liturgica, farebbe in qualche modo resistenza. Non era forse Benedetto XVI un Papa che apprezzava la tradizione musicale e liturgica? Ma non ha influito veramente in quel senso, se non in alcuni ambiti, senza mai veramente penetrare nelle parrocchie. Parrocchie retta da parroci formati in Seminari dove la musica liturgica è poco più di un optional, e se insegnata molto spesso senza dare agli stessi seminaristi parametri per giudicare cosa è appropriato alla liturgia e cosa non lo è. Si va avanti con i soliti canti sentimentali e si pensa la liturgia sia quello, un film lacrimevole degli anni '30. Ho già identificato in precedenza questo problema del sentimentalismo galoppante come una delle malattie terminali della liturgia, malattia che precede la liturgia ma che ne infiacchisce e indebolisce la forza ed efficacia. Io non credo che Papa Francesco, la cui formazione gesuitica non fa pensare ad una inclinazione per i problemi inerenti alla liturgia, farà mai nulla al riguardo e forse è un bene. Non essendo il suo campo si potrebbe affidare a consulenti che farebbero il danno ancora più profondo. E non mi riferisco certamente al Cardinal Sarah, per cui ho stima e rispetto profondi. Per una vera riforma, strano a dirsi, non mi metterei troppo nelle mani della gerarchia, anche perché negli ultimi tempi i problemi che hanno da affrontare sono così profondi che ogni cosa passa in secondo piano. Un articolo recente di Massimo Gramellini interpreta quella che è la sensazione generale: "L’ex abate di Montecassino, dicesi l’ex abate di Montecassino, è accusato di avere dirottato almeno cinquecentomila euro dalle tasche dei fedeli alle proprie. I soldi della carità si disperdevano nei conti correnti di suo fratello per poi convergere miracolosamente in un fondo a disposizione del sant’uomo. Una gigantesca
presa per il culto. Sarà pure vero che l’abito non fa il monaco, però qui non fa più neanche l’abate. Si è travolti da un senso di smarrimento nell’accorgersi che a fare sparire le galline dal pollaio non sono più le volpi ma i guardiani. (...) Ci lamentiamo da anni di una classe politica impresentabile. Però tra pedofili, ladri, crapuloni e venditori di indulgenze, non è che quella ecclesiastica se la passi molto meglio. Con buona pace dei tanti preti perbene che ogni giorno mandano avanti la baracca, questa Chiesa, che papa Francesco vorrebbe inquieta, ai piani alti si sta rivelando inquietante" (Gramellini, 2015). Insomma, Papa Francesco ha veramente molte gatte da pelare e problemi di immagine enormi. Il carisma di Papa Francesco riesce a far parare un poco di colpi ma la percezione che si ha in giro non è lontana da quello che Gramellini asserisce. Io non credo che un intervento dall'alto risolverebbe la situazione, anche perché le norme ci sono e anche i buoni esempi di musica liturgica, nel passato e nel presente.
Musicisti di tutto il mondo, unitevi!
Ho messo in luce in precedenza che una rinascita della musica liturgica dall'alto non è praticabile. Ci possiamo aspettare che dall'alto questo movimento venga accompagnato, come in fondo fu per il movimento ceciliano incoraggiato dal Motu Proprio di San Pio X nel 1903, o come il movimento a favore della messa antica, che ha visto prima l'incoraggiamento con l' Ecclesia Dei di Giovanni Paolo II e poi un palese riconoscimento con il Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Questi movimenti erano nati con un'ossatura fortemente laicale, pur se ovviamente contavano (e contano) numerosi consacrati nelle loro file. Ma senza i laici deperirebbero in poche ore (come del resto la Chiesa stessa, almeno come istituzione). Ora, non che non ci siano state aggregazioni laicali per portare avanti progetti diretti al restituire alla musica per il culto la dignità che gli è dovuta. Come dicevo in precedenza, ci sono state (e ci sono) associazioni che hanno tentato in vari modi di sostenere questi progetti. Mi sembra, e spero di non sbagliare, che l'associazionismo di questo tipo oggi ha un poco il fiato corto, divenendo queste istituzioni sistemi e come ogni sistema producendo barriere e confini di ogni tipo atti a proteggere chi è dentro e proteggersi da chi è fuori. Mi sembra che oggi si richieda l'azione di singoli ben informati musicisti, anche con collegamenti con realtà estere, visto che oggi è così facile averne. Si richiede una struttura liquida, una capacità di penetrazione che sa servirsi delle nuove tecnologie per bypassare resistenze che, come dicevo, sono molto forti specie nella "terra di mezzo". Non servirebbe neanche, con ogni probabilità, darsi una forma istituzionale, per evitare i rischi in cui facilmente sono incorsi altri tipi di organizzazione. Bisognerebbe cercare una unione che sia sulle idee, che possono essere poche ma chiare: rispetto e cura per la Tradizione, impegno per un giusto progresso, ripartire dal Messale, incoraggiamento per cori e organisti, prendere il buono dove si trova.
Cantantibus organis
Mentre scrivo queste righe, non posso non menzionare di trovarmi nel giorno in cui il calendario ricorda Santa Cecilia. Santa Cecilia tradizionalmente è patrona dei musicisti, anche se alcuni questionano la validità storica di questo patrocinio. Oggi, di buon mattino, ho visitato la Basilica di Santa Cecilia nella mia Roma e per pochi istanti ho sostato di fronte alla statua del Maderno, chiedendo alla giovane martire romana di benedire lo sforzo dei tanti che senza riconoscimento, senza mezzi, anzi spesso contro una diffusa ostilità, cercano di portare avanti un discorso sulla musica liturgica che non trovi rifugio negli opposti estremismi ma che cerchi di esser aderente alla Tradizione vivente della Chiesa, Tradizione spesso traditi proprio da coloro che dovrebbero custodirla. In precedenza ho presentato alcune delle difficoltà che la musica liturgica attraversa negli ultimi decenni, ma con ramificazioni che vanno indietro di secoli. Io non posso fingere ottimismo in un campo in cui mi sembra che ci sia un generale disinteresse da parte del clero, con poche ed isolate eccezioni, un clericalismo soffocante, specialmente in Italia, ed un clima da guelfi e ghibellini che non permette di poter sperare in sviluppi positivi, almeno nel breve periodo. Cecilia, la giovane martire romana, ci accompagni in questa via crucis in cui ci troviamo da tempo e ci conforti con la speranza che l'ultima tappa sia quella della risurrezione.
Un Concilio non conciliante
Pochi anni fa mi trovavo alla presentazione di un libro nella splendida cornice della sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini a Roma. Il libro che veniva presentato riguardava i diari del cardinal Pericle Felici, segretario generale del Concilio Vaticano II e figura chiave per capire un poco di più riguardo questo evento ecclesiale che ha segnato la vita della Chiesa negli ultimi 50 anni in modo profondo. Il libro, curato dall'Arcivescovo Agostino Marchetto, è stato presentato in una cornice prestigiosa ed alla presenza di nomi illustri della curia romana, fra cui il segretario di stato Cardinale Pietro Parolin e numerosi vescovi, cardinali, sacerdoti e laici. Il lavoro di Monsignor Marchetto sul Concilio si muove in una direzione diversa da quello della cosiddetta scuola di Bologna facente capo un tempo a Giuseppe Alberigo ed ora capeggiata da Alberto Melloni - scuola di Bologna che avalla l'interpretazione del Concilio come momento di rottura - così come mi sembra diversa da quella revisionista che fa capo a Roberto de Mattei e Brunero Gherardini che nei loro lavori cercano, in un certo senso, di depotenziare l'importanza del Concilio e di ricentrare sugli insegnamenti tradizionali l'impatto che esso ha avuto nella vita della Chiesa. Monsignor Marchetto, avallato anche dal gradimento autorevole di Papa Francesco, sembra sposare di più la tesi resa famosa dal predecessore dell'attuale pontefice ed attuale Papa emerito Benedetto XVI, quello del Concilio che va interpretato secondo l'ermeneutica della continuità, non quella della rottura. Ora, anche per ciò che riguarda la musica liturgica, l'impatto del Concilio è stato fragoroso, a dir poco. Certamente c'è stata una rottura violenta, andando di molto oltre le intenzioni dei documenti del Concilio (e assecondando così un misterioso "spirito" aleggiante dall'assise ecumenica). Io penso che l'interpretazione di Benedetto XVI e Monsignor Marchetto sia la più corretta, ma non mi nascondo che il Concilio è stato usato come una sorta di chiave per scardinare tante porte che in precedenza erano precluse, come ho detto sopra. Si è usato il Concilio, molto a sproposito, come un grimaldello per aprirsi varchi in ambiti che dovevano rimanere al di fuori della liceità musicale e liturgica. Questo ha portato come conseguenza tutte quelle disfunzioni che elencavo in
paragrafi precedenti. Il Concilio ha certamente segnato la Chiesa negli ultimi 50 anni in modi che sono sotto gli occhi di tutti. Per quello che riguarda i danni fatti nella musica e nella liturgia (con la scusa del Concilio e malgrado quello che i documenti dicevano) non sono ottimista ma sono possibilista. Come detto, la spinta al cambiamento non verrà dall'alto ma verrà da un movimentismo disorganizzato che si coagulerà intorno a poche idee riformistiche fondamentali. Aspettiamo quel momento con trepidazione.
Guerra
Ho detto in precedenza di come l'interpretazione del Concilio abbia radicalizzato alcune posizioni. Specialmente, ma non solo, nei campi organizzati, ci si fa guerra su quella o questa interpretazione. Va tutto bene, è giusto battagliare per le idee, il confronto aiuta anche a chiarirsi e ad affinare la propria posizione. Ma spesso questo confronto trascende e diviene attacco personale, diffamazione, minaccia. Questo è avvenuto anche nel campo della musica liturgica, dove gli alfieri di diverse sensibilità se la sono data di santa ragione. Purtroppo oggi esiste un mezzo che amplifica tutto questo in modo drammatico: internet. Quante volte accade di vedere nei blog attacchi personali violenti, feroci, offensivi. Ho visto questo in numerosi blog, con il tentativo dei moderatori di arginare coloro che, coperti dall'anonimato, si scagliavano violentemente contro le persone, non contro le idee. Ora, dovrebbe essere risaputo che in realtà l'anonimato esiste in modo relativo. Una semplice denuncia alla polizia postale farebbe risalire in 5 minuti al responsabile e, se ci sono gli estremi per un'azione penale, il poveretto si troverebbe in guai seri. Ho detto poveretto (o poveretta) e non a caso, in quanto si tratta spesso di persone di cultura varia che sfogano le loro frustrazioni esistenziali servendosi della religione e usufruendo dell'anonimato offerto da internet. Ripeto, le idee possono essere contestate e combattute a viso aperto, grazie a Dio abbiamo libertà di opinione. Ma il fanatismo religioso, di qualunque religione, porta a conseguenze tragiche, sia nel piccolo che nel grande. Ci inorridiamo, e giustamente, per i fatti di sangue delle ultime settimane e ci chiediamo come certe persone arrivino ad usare la propria religione per uccidere innocenti. Ma il fondamentalismo, anche se non violento, c'è in molte religioni, e la lingua ne uccide più della spada. Un proverbio africano dice: la lingua è il tuo leone, se la lasci libera ti divorerà. Si faccia attenzione che la violenza verbale è pur sempre violenza. E purtroppo non è costruttiva. Ripeto, si attacchino le idee, anche vigorosamente (e violentemente, se necessario), ma si faccia attenzione a rispettare la dignità delle persone che hanno il coraggio di portarle avanti, apertamente, senza nascondersi dietro lo schermo di un computer.
Laicizziamo
Bisognerebbe capire una cosa molto importante: purtroppo, e ripeto purtroppo, se uno vuole fare il musicista di chiesa in Italia, si viene molto sfavoriti dal fatto di essere laici invece che preti o suore. Questo può essere provato guardando quale è la situazione di molte cattedrali o chiese anche qui a Roma, dove se tu non sei un prete non ti si dà neanche la possibilità di dirigere il coro o di suonare l'organo in illustri istituzioni musicali e basiliche patriarcali. Uno si potrebbe chiedere: ma per essere un bravo musicista è necessario essere un prete? Certamente non è necessario, però questa è la situazione per esempio qui a Roma, è la situazione qui in Italia dove il clericalismo soffocante non permette anche a bravi laici preparati nel campo della musica liturgica, di potere fare quello che sanno fare bene, dando spazio agli amici degli amici, ai compari di congrega clericale, ai bravi mercanti di se stessi (dentro e fuori il tempio). Continuiamo a domandare: ma è vero che un prete può fare la musica in chiesa meglio di un laico? No, certamente non è vero. Ecco perché bisogna lottare con tutte le forze a disposizione contro il clericalismo soffocante che sta uccidendo non solo la vita della Chiesa cattolica, ma anche la bellezza della musica, la bellezza della liturgia, la dignità della celebrazione e anche il giusto spazio che i laici devono avere, come il concilio ha detto, nella vita della Chiesa. Naturalmente ci sono sacerdoti che sono e sono stati ottimi musicisti, non di radio di grande genialità. Ma questo talento non gli è venuto dall'essere preti, ma è venuto dallo studio, l'applicazione e il dono che Dio elargisce senza stare a guardare se indossi la tonaca (nei casi migliori) o no.
La perdita del centro
Il costante invito di Papa Francesco, di andare verso le periferie, ha certamente una sua ragione di essere ed un suo senso profondamente cristiano: bisogna avere grande attenzione per le situazioni di sofferenza e di disagio. Bisogna però stare molto attenti quando questo sforzo "periferico" ha una conseguenza non desiderata: la perdita del centro. Mi spiego; è cosa buona e giusta spostarsi verso la periferia quando si porta quello che si è acquisito al centro, ma se perdiamo il senso del centro, i valori fondanti, la ricchezza culturale e la Tradizione, cosa portiamo nelle periferie? Nella musica liturgica c'è una perdita del centro, non c'è dubbio. Tutto è periferia, tutto parla della decadenza di ciò che è ai margini. Preti arrivisti, musiche effeminate, ritmi tribali...siamo oramai nella fase di snodo e di caduta di un impero spirituale le cui conseguenze sono ancora da vedersi. Tutto ci parla di questa decadenza e la musica liturgica è una spia importante. Certamente ci sono state altre crisi nella Chiesa ma credo che questa sia, in molti sensi, la più devastante. Se, come alcuni pensano, il Concilio Vaticano II è stato uno degli eventi principali della storia della Chiesa, le crisi del post Concilio sono anche e di conseguenza fra le più terribili. Bisognerebbe avere il coraggio di ricentrarsi e richiamarsi ad una lunga tradizione, ma non è facile quando i capitoli di chiese e basiliche sono nelle mani di sacerdoti incompetenti in musica che danno responsabilità musicali ad accoliti, volontari, compagni di setta e preferendo comunque sacerdoti con la orribile scusa che li possono licenziare più facilmente. Il musicista liturgico oggi è valutato in quanto licenziabile. A cosa siamo ridotti...
Musica liturgica tra percezione ed uso
Io credo che talvolta alcuni problemi si fanno più grandi e ingestibili perché non si interviene per tempo a mettere alcuni paletti. Molte volte ho scritto di come ci siano fondamentali equivoci che si perpetuano sulla musica liturgica e il suo rapporto con la musica d’uso (o musica leggera, pop, popular che dir si voglia). Gli equivoci sono dati da una fondamentale ignoranza dei termini della questione, ignoranza anche tra teologi e liturgisti che spesso (non sempre) hanno una formazione e conoscenza musicale che dire carenti sarebbe già essere molto generosi. Non è colpa solo loro, spesso non viene loro fornita la capacità di discernere e come sappiamo in molto paesi l’educazione musicale non è una priorità, come nel nostro. Sappiamo anche come negli ultimi decenni la formazione musicale dei candidati al sacerdozio non è stata considerata così importante e io stesso posso testimoniare di aver avuto cordiali colloqui con famosi liturgisti che candidamente mi dicevano sapere poco o nulla di musica. Questa è la realtà, che piaccia o no. Dunque, si dice spesso che si deve concedere spazio alla musica pop nella liturgia perché essa è il linguaggio musicale del nostro tempo, linguaggio a cui tutti siamo abituati e che quindi riconosciamo come familiare. Certo, in questa affermazione c’è del vero e quello che è vero non può e non deve essere negato: la musica pop ha una straordinaria diffusione ed importanza nella vita di una enorme parte della popolazione mondiale. È certamente un repertorio familiare alla maggioranza. Su questo ci si deve trovare tutti d’accordo. Ma qui entrano in gioco le specificità della musica liturgica. Essa deve essere una porta sull’oltre, un ponte su quella rivelazione inaudita che si opera nell’atto liturgico. Quindi, non è qualcosa che la società contribuisce (intesa come generale cultura sociale) ma è qualcosa che la nuova società dei credenti riceve. Insomma, la musica liturgica non va vista a livello macro sociale, come qualcosa che deve essere familiare alla società nella sua totalità, ma piuttosto come qualcosa che serve a livello micro sociale, intesa come la comunità che si forma nell’azione liturgica e che è assorbita dalla novità cristiana come un nuovo popolo. La musica liturgica è specifica, non è generalizzata. Talvolta confondiamo i livelli e cerchiamo di evangelizzare al contrario la cultura mondana e la cultura cristiana. Dovrebbe
essere la seconda ad influire sulla prima. Ma come già si era detto in precedenza, la cultura cristiana è oggi vittima di una sorta di pensiero debole per cui la sua forza propulsiva è estremamente limitata. Certo è vero che la percezione di tantissimi è imbevuta delle atmosfere della musica pop, essa è nella memoria di ciascuno. Non si può negare questo fatto e non sarò certo io a farlo. Ma anche qui c’è da fare una distinzione fra memoria individuale e memoria collettiva. È certamente vero che la musica pop è parte della memoria individuale di moltissimi e come tale anche va a far parte di quel bagaglio collettivo che chiamiamo “memoria collettiva”. Ma a livello associativo la memoria collettiva connessa con la liturgia e con la musica per la liturgia non attinge alla musica pop, ma continua sempre ad attingere al canto gregoriano, all’organo e alla musica derivante dalla tradizione. Come faccio ad affermare questo? Molto semplice. Basta interrogare il mondo della pubblicità. I pubblicitari si rivolgono alla memoria collettiva della società, proprio perché essa è condivisa da così tanti dando così un target più ampio per il piazzamento del loro prodotto. Quando i pubblicitari vogliono evocare atmosfere religiose o di chiesa non ci fanno sentire la chitarra elettrica ma l’organo, non canti sincopati ma il canto gregoriano. Perché sanno che l’associazione nella nostra memoria collettiva è tra liturgia e organo, non tra liturgia e chitarra elettrica. Certo, mi si potrebbe ribattere che questo è un problema culturale e che negli anni cambierà. A questa obiezione potrei rispondere: ma perché non usiamo quello che abbiamo e che già funziona? L’aggiornamento conciliare non ha mai sottointeso la distruzione. E a proposito del cambiamento culturale, credo di poter fornire un esempio che la dice lunga su come questa memoria collettiva sia veramente profonda. Mi trovavo in Cina ad insegnare un brano di Franz Liszt, un Pater Noster che il compositore aveva composto usando scale modali, quelle usate nel canto gregoriano e nella polifonia rinascimentale, ad esempio. Il coro che eseguiva non aveva idea di cosa fosse un Pater Noster e nessuno di loro era cristiano. Alla fine, per mia curiosità, ho chiesto a cosa associavano quel tipo di musica e alcuni di loro mi hanno detto alle atmosfere di Chiesa. Ora, se anche gente cresciuta nell’irreligiosità può percepire le cose in questo modo….quindi non confondiamo i livelli e cerchiamo di capire non cosa piace o non piace, ma quello che è efficace e quello che non lo è. Sarà un vantaggio per tutti.
Ma che vergogna è questa?
Io non sono mai stato contro il Concilio Vaticano II, mi sono spesso espresso contro la cattiva ermeneutica del Concilio e ancora lo faccio, ma non ho mai pensato quello che alcuni pensano del Concilio, in special modo in riferimento alla riforma liturgica. Ma ogni volta che mi capita di assistere ad una Messa qui a Roma mi domando: ma è questo quello che voleva il Concilio? Sarà mai possibile che la Chiesa Cattolica ha scelto di degradare la bellezza della sua liturgia e della sua musica ad un livello così osceno che si fa fatica a restare in Chiesa? Mi si dice che a Roma non tutte le Messe hanno un contorno di musica oscena. Ora, io ne ho girate parecchie e potrei dire che quelle che si salvano saranno un 10% ad essere proprio molto ottimisti. Per il resto è una tragedia. E il problema è che è voluta. Io non ho mai sposato le teorie complottistiche che hanno avuto buona stampa anche in tempi passati, la massoneria che ha contribuito al disfacimento della solennità e dignità della liturgia e via dicendo, ma devo dire che nei fatti sembra veramente ci sia un complotto per fare in modo che la situazione sia questa e che non cambi. Sacerdoti che difendono a spada tratta i loro gruppetti di ragazzi che si sgolano ad un microfono con canti da debosciati mentre lasciano volentieri alla porta professionisti che hanno esperienza e che potrebbero aiutare a risollevare la situazione (ma i gruppetti di ragazzi fanno tutto gratis, naturalmente). Quando non ci sono i gruppi dei "ggiovani" ci sono naturalmente posizioni riservate solo a sacerdoti. Per dirigere un coro è necessaria l'ordinazione sacerdotale? Quindi per dire la Messa sarà valido il diploma del conservatorio? E si parla tanto del ruolo dei laici, ma fatemi il piacere e vergognatevi! L'olezzo del clericalismo a Roma è così soffocante che oramai non si sente più. Ci sono chiese che avrebbero risorse per sostenere organisti o maestri ma non vogliono, preferiscono mettere i soldi da parte e incassare i ricchi affitti che si accumulano poi nei conti correnti bancari. Ci sono congregazioni che gestiscono alberghi o locali di pregio e stranamente quando ci sono organisti o maestri che chiedono di essere riconosciuti come lavoratori (la mercede dell'operaio) i soldi
non ci sono mai, essi devono vivere in povertà e fare tutto gratis e grati della possibilità di poter fare musica in quella data chiesa. Ma che vergogna è questa? Si dice che certa musica dallo stile pop piace alla gente. Ma la Messa non è superclassifica show o MTV dove bisogna che il prodotto attrae il consumatore, la musica nella Messa ha esattamente la funzione di prenderci dal mondo in cui viviamo per elevarci ad un mondo soprannaturale, non lasciarci dove siamo. Ma i primi che difendono quegli stili non adeguati sono spesso (non sempre) i parroci, che purtroppo non hanno ricevuto una formazione adeguata nel canto liturgico o sono stati imbevuti di canti sentimentalistici che vanno per la maggiore. Un Maestro conosciuto, oramai con una certa età, mi ha detto che lui oramai ha fatto quello che ha fatto ma che gli dispiace per me e quelli come me ancora relativamente giovani che devono vivere (o morire?) in questo disastro in cui siamo oggi. Un disastro che non vede una via di uscita. Ricordiamo che malgrado le parole di Papa Benedetto XVI e quelle di Papa Francesco sul clericalismo, l'epicentro dello stesso è proprio il Vaticano anche per quello che riguarda la musica liturgica. Perché non mandano i sacerdoti nelle parrocchie a confessare e non danno fiducia ai tanti laici (e ancora ci sono, ma per poco) che potrebbero ridare lustro a tante istituzioni musicali oramai in decadenza. Come mai non notano che gli stupendi cori delle cattedrali inglesi sono quasi tutti diretti da professionisti laici e non da chierici? Io ammetto che mi vergogno di questa situazione, potevo aspettare una mediocrità in terre lontane ma al centro del cattolicesimo vivere questa situazione fa veramente perdere la fede. Ripeto, voleva questo il Concilio? Io continuo a dire di no. Allora, diciamocelo chiaro: chi è che lo vuole?
In difesa della musica per la liturgia (e contro la musica nella liturgia)
Ci sono molti tentativi di alzare il livello della musica nelle celebrazioni, più all'estero che da noi. La mia impressione è che ci sia una volontà superiore che vuole che le cose rimangano nel modo che sono, cioè penoso. Volontà superiore, non volontà del superiore. Io non mi riferisco al Papa, ma c'è un certo spirito rivestito di conciliarismo che ci fa credere che la direzione in cui stiamo andando sia ineluttabile, che siamo e saremo condannati a cantare, per chi ne ha la forza (di stomaco, più che di animo) i canti torci budella intrisi di sentimentalismo zuccheroso che farebbero andare in coma un diabetico in cinque secondi. Io invece so che è possibile fare diversamente e noto come ci siano tante persone in Italia che hanno fame e sete di questa bellezza nella liturgia, che non è solo il repertorio tradizionale, ma è anche il nuovo che proviene dalla celebrazione e che non ne è una appendice malata. Quando i documenti ci hanno invitato alla partecipazione attiva, sono sicuro che lo hanno fatto sempre intendendo come partecipazione qualitativa, non fare qualcosa tanto per dire io c'ero. Io vedo come ci siano anche giovani che sinceramente vorrebbero riscoprire il tesoro della liturgia e per via di questa atmosfera che tocca tanta parte della gerarchia e dei sacerdoti (de)formati alla musica liturgica in tempi difficili e in Seminari che probabilmente non hanno saputo dare una direzione chiara e in linea con la tradizione della Chiesa, sono costretti a vivere ai margini della vita ecclesiale, sempre aspettando che l'ultimo arrivato prete o suora di turno ci dica quello che si deve fare. Io credo nell'iniziativa dei laici e anche in una sana ribellione, in tempi come questi in cui ce ne è sinceramente bisogno.
Il Verbo si è fatto carne
Ho molto parlato in precedenza di come la musica liturgica attraversi una crisi senza precedenti, una crisi da cui sarà molto difficile uscire fuori. Per la musica liturgica non si vede una luce fuori dal tunnel, anzi si assiste alla radicalizzazione e normalizzazione della mediocrità, che è qualcosa di ancora peggio. Se ne ha l'analogo nella società, in cui alcune tendenze ed alcuni comportamenti vengono normalizzati come se essi fossero sempre stati da considerare accettabili. In questo senso dovrebbe parlarsi di senso del peccato che si è perso, anche nella musica liturgica: quello che decenni fa non sarebbe stato permesso anche nelle composizioni più mediocri è oggi considerato la norma, proposto e imposto da conferenze episcopali, uffici liturgici, associazioni più o meno in buona fede. Qualcuno si potrà chiedere se questo corrisponde ad una mancanza di buone composizioni e buoni compositori: io contesto fortemente questo. Ci sono buone composizioni e buoni compositori che sono per lo più emarginati se non appartengono a qualche cordata potente. Il problema è che tra quelli che vanno per la maggiore ben pochi hanno il talento del compositore, facendo così in modo che ci troviamo a navigare nella melma in cui ci troviamo. Ma ci sono esempi positivi, talvolta anche pubblicati da quelle case editrici che più contribuiscono alla mediocrità della produzione liturgico-musicale che scorazza per le nostre chiese. Un esempio positivo è per esempio la messa Il Verbo si è fatto carne, di Monsignor Valentino Miserachs. Certamente il nome di questo insigne musicista (e sacerdote, come si vede non ho preclusioni per gli stessi quando sono bravi e preparati) non sarà ignoto a coloro che si occupano di musica liturgica. Non molti sanno che, accanto alla sua produzione in lingua latina, c'è una cospicua produzione in lingua italiana che molto ben figurerebbe nelle celebrazioni liturgiche delle nostre chiese. Questa messa è il chiaro esempio di cosa un compositore dotato può fare anche con composizioni in lingua italiana che comprendano il canto dell'assemblea, la schola cantorum e l'organo. Non è vero che non è possibile combinare questi elementi, non c'è la volontà di farlo per non dispiacere certi settori e certe lobbies che godono di importanti protezioni. Questa messa, che oramai ha qualche anno dalla sua
pubblicazione, mostra una abilità profonda nel conciliare le esigenze del canto popolare con i diritti e i doveri di coro e organo. Le riarmonizzazioni presenti nel canto dell'offertorio sono sapientissime, così come il trattamento armonico in generale e l'uso del latino accanto all'italiano. Questa messa dovrebbe essere un modello per compositori liturgici che vogliono cimentarsi con la composizione, che non rifiuti le esigenze dettate da una sana riforma nella continuità con la grande tradizione.
L'organista celebrante
Un altro esempio di ottima musica liturgica fatta in epoca moderna e per le esigenze della nuova liturgia è senz'altro quello de "L'organista celebrante" (Franciscanum 1996), composto da Antoni Martorell, sacerdote catalano scomparso pochi anni fa. Quando parlo del Maestro Martorell, parlo di una persona a me carissima, che ho avuto l'onore di conoscere e frequentare nelle volte che egli veniva a Roma. Ricordo che fu mio ospite a cena in casa mia, una decina di anni fa e mi dedicò la sua ultima composizione corale prima di morire. Egli era un musicista vero e una persona dolcissima, umile, un sacerdote a tutto tondo che rifuggiva dalle stravaganze di molti, anche sacerdoti, con poco genio e molta sregolatezza. Questa raccolta di pezzi organistici, sollecitata dal suo confratello padre Fausto d'Antimi, offre variazioni su canti popolari in un uso nella nuova liturgia, come "Risuscitò", "Mistero della cena" ed altri. Nelle mani dell'ottimo compositore molti di questi brani vengono infatti nobilitati, divenendo molto più pregevoli che nella loro veste originale. Non è difficile capire che quando il materiale musicale è in mano ad un vero compositore tutto si eleva, tutto diviene artistico e capace di elevare gli animi alle cose celesti. Ricordo molti anni fa, ero l'organista per la festa dell'Immacolata ai Santi Apostoli qui in Roma. Ogni sera la Messa era celebrata da un cardinale e il coro era diretto da un vecchio cantore della Cappella Sistina, Gaetano Tardiola, oggi purtroppo scomparso. Ricordo che suonai la prima parte di "Mistero della Cena" tratta da "L'organista celebrante". In questa parte la melodia viene variata con sapientissimi passaggi armonici che facevano diffondere nell'aria quell'atmosfera di sacro e il senso di inaudito per quello che si andava compiendo sull'altare. Oggi il Maestro Martorell, è appena ricordato per "Purificami, o Signore" o per "Innalzate nei cieli lo sguardo". Fu invece un grande maestro, che lavorò per la vera musica liturgica nella celebrazione cercando di servire la Chiesa in tempi che erano, e sono, certamente non facili.
Antifone d'ingresso
Volendo proseguire nell'additare buoni esempi di musica liturgica composti in anni recenti, non posso fare a meno di menzionare un'altra persona a me particolarmente cara, il Maestro Alberico Vitalini. L'ho conosciuto e frequentato, visitandolo a casa e avendo con lui belle conversazioni telefoniche, in anni oramai lontani. Egli era un direttore d'orchestra che ha poi prestato un lungo servizio alla Radio Vaticana come responsabile dei programmi musicali. Quando io l'ho conosciuto era già molto anziano, ma ricordo la sua grazia e il suo garbo, una persona di una educazione di altri tempi. Pure se la vita non era stata tenera con lui per alcune traversie familiari, il Maestro conservava quel candore e quei modi da signore che incantavano chiunque ne veniva a contatto. Aveva composto numerosi brani sinfonico corali, purtroppo ad oggi abbandonati ed è un peccato, perché era un bel musicista. Si era dedicato anche alla musica liturgica, componendo numerosissimi brani per la liturgia italiana. Al tempo eravamo entrambi compositori per la Radio Vaticana, lui più per i brani in lingua italiana e io per quelli in lingua latina, che vengono ancora trasmessi. Avevo anche suonato per la premiere di alcune sue opere più impegnative, come il Viderunt Omnes e il Pater Noster . Ho avuto il privilegio, e il dolore, di suonare per il suo funerale nel 2006, nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina. Una persona che porterò sempre nel cuore. Il Maestro aveva pubblicato nei primi anni '80 (Edizioni Radio Vaticana), una raccolta completa di antifone di ingresso per la messa in Italiano da lui musicate. Queste antifone prevedevano piccoli interventi a due o tre voci nella parte salmodica, mentre l'antifona vera e propria era solitamente all'unisono accompagnata dall'organo. Cantare la messa, non cantare nella messa sarebbe l'obiettivo della vera musica liturgica. Certamente queste antifone, che sono molto ben fatte e dignitose, rispondono a queste esigenze e possono essere maneggiate da chiunque abbia un coro decente o anche un cantore che possa guidare l'assemblea. La parte organistica non è troppo difficile e le armonie sono belle, piene, robuste. Sarebbe bello di aver visto in seguito tanti tentativi come questo e di aver dato più spazio alla produzione di questo Maestro. So per certo che le sue musiche furono proposte per entrare a far parte di un più ampio
repertorio per la chiesa italiana ma, non essendo il Maestro membro di questa o quella cordata, sono state bellamente ignorate. Che tristezza, ma non per lui, ma per noi.
Missa de Angelis
La cosiddetta Missa de Angelis è ancora abbastanza diffusa nelle comunità anche parrocchiali, l'unico Ordinarium Missae che si è salvato dalla devastazione del repertorio tradizionale seguita alle improvvide riforme liturgiche degli ultimi 50 anni. Ci sono bellissimi Ordinarium Missae nel repertorio gregoriano ma essi ormai giacciono nella polvere del tempo per aspettare una risurrezione in tempi migliori, che speriamo possano presto venire. Uno dei tentativi, anche nelle liturgie papali, per coinvolgere l'assemblea nel canto, è stato quello di alternare le melodie della Missa de Angelis con dei versetti polifonici. In questo modo abbiamo avuto molte composizioni che hanno usato le melodie di questa messa. Certamente il risultato è superlativo quando la composizione era affidata ad un genio come era il Maestro Cardinale Domenico Bartolucci, che fu mio maestro e che considero uno dei miei modelli supremi. Questa versione, pubblicata da Edizioni Carrara nel 1974, è una delle varie versioni che il Maestro approntò della Missa de Angelis , a quattro voci dispari alternate al canto gregoriano, affidato all'assemblea. La mano maestra sa cucire contrappunti sulle melodie gregoriane limpidi, che esaltano ad ogni momento il testo, differenziando sapientemente lo spirito di alcune parti da altre. Questa Messa, che potrebbe essere affrontata da corali anche non agguerritissime, è l'esempio di come il canto gregoriano possa avere un posto d'onore nel corso della celebrazione. Altri compositori hanno tentato altri modi per alternare il canto gregoriano alla polifonia e questo del Maestro è uno di questi. Chiunque voglia capire cosa vuol dire essere compositore nella liturgia non può che studiare pazientemente, accanto alle opere dei grandi maestri del passato, le composizioni del Maestro toscano, musicista che ha dato lustro alla Cappella Sistina e al tesoro musicale della Chiesa tutta.
La Messa di Sant'Albano
Ho avuto la fortuna negli ultimi decenni di avere a che fare con realtà musicale e liturgiche al di fuori dell'Italia. Questo mi ha permesso una visione più ampia e meno contaminata e viziata dal clima nostrano, spesso litigioso, profondamente clericalizzato e alla fine abbastanza sterile. Nell'area anglosassone, pur se il virus della cattiva musica liturgica si è probabilmente insinuato da lì, ci sono ancora realtà pastorali ed una vivacità nella produzione musicale che merita attenzione. Esempi possiamo prenderne dal mondo britannico, anche se molte di queste composizioni sono composte per la liturgia anglicana che ha comunque molte somiglianze con la nostra. Per esempio la Messa di Sant'Albano ( The St Albans Setting, 1990, Kevin Mayhew Publisher) è un lavoro composto da Malcom Archer, un compositore britannico abbastanza conosciuto. Attualmente è responsabile del coro per il Winchester college ed ha più di 200 composizioni pubblicate per organo e per coro. La Messa in inglese, comincia con il Kyrie che in questa occasione è ripetuto per 3 volte, secondo l'uso antico e non semplicemente in forma responsoriale. Alla ripetizione finale un discanto a note tenute opzionale arricchisce il canto dell'assemblea. Il Gloria prevede, accanto all'organo e all'assemblea, l'impiego del coro a voci miste. La soluzione scelta per il Gloria è quella responsoriale per cui le prime parole dell'inno vengono ripetute come ritornello durante il brano. Io non penso questa sia una soluzione molto efficace in quanto il Gloria è un inno non un salmo responsoriale e la caratteristica è che deve essere cantato dall'inizio alla fine. Quindi considero questo uso improprio. Tolto questo aspetto, certamente il trattamento del testo e del coro è molto abile. L'acclamazione al Vangelo è composta con il testo quaresimale e non prevede musica per un versetto. Il Santo prevede pieno coro ed assemblea. Il Mistero della Fede è un breve verso cantato da tutta l'assemblea. Poi viene offerta la musica per il "tuo e il regno e la potenza e la gloria nei secoli" ed ecco l'Agnello di Dio con una melodia coinvolgente sostenuta dalle armonie dell'organo e dal canto polifonico del coro. La Messa è finita andate in pace, rendiamo grazie a Dio....ecco l'ultima parte in musica di questa Messa, con armonie solenni e robuste e l'organo nello splendore del suo ripieno.
Ecco come, anche se per situazioni liturgiche leggermente diverse dalla nostra, si può vedere che il coro non esclude il canto dell'assemblea ma lo completa, sorregge, guida e arricchisce. Purtroppo, quando l'ignoranza la fa da padrona, c'è poco da fare...
O Cristo splendore del Padre
L'innodia liturgica è un genere peculiare che, pur se non appartenente al nucleo primitivo della liturgia romana, si è affermato specialmente negli ultimi decenni come repertorio a cui attinger spesso e volentieri quando si può sottrarsi alle melmose pastoie della canzonetta liturgica. Un esempio ottimo di innodia liturgica è senz'altro quello di "O Cristo splendore del Padre" (2001, Edizioni Paoline) con testi di don Leo de Simone e musica di Monsignor Giuseppe Liberto, direttore emerito della Cappella Musicale Pontificia detta Sistina. Ho il piacere di conoscere il Maestro Liberto da oramai quasi 20 anni, dai tempi del suo arrivo a Roma e i nostri inizi non furono facili. Come ha riferito lui stesso, cominciammo litigando. Ma poi nel tempo si è sedimentata una bella amicizia fatta del comune interesse e amore affinché la liturgia possa avere la musica che è degna della stessa, non qualunque ritmo o atmosfera mutuata dalla musica leggera. Il Maestro Liberto ha dedicato la sua vita a ricercare questo "canto nuovo", credendo alla riforma liturgica e cercando di servirla con le sue composizioni. La sua scrittura musicale è certamente elegante, con quella capacità di contrappuntare gli accompagnamenti organistici facendo in modo che essi acquistino un interesse proprio, anche indipendentemente dalla linea melodica che comunque ha certamente la parte più importante. I 12 inni sono preceduti nel fascicolo edito dalle Paoline (che accanto a produzioni molto più attente al lato commerciale che a quello liturgico ha avuto il coraggio di puntare qui sulla qualità piuttosto che sull'accattivante) da varie introduzioni ed ogni inno ha delle indicazioni di tipo liturgico e musicale. Non si deve fare l'errore di far divenire la liturgia un contenitore di inni, come spesso accade in quelle di tipo anglosassone che sono però influenzate dalla tradizione protestante, ma certamente il loro uso può giovare ad un coinvolgimento maggiore dell'assemblea in unione con il coro. Per la cura, la perizia, la conoscenza della cosa trattata, questa raccolta è senz'altro un ottimo esempio di innodia liturgica a cui speriamo, anche per mezzo delle Edizioni Paoline e di altri editori cattolici, altri seguiranno.
Le antifone del Messale
Non si ripeterà abbastanza, anche se purtroppo la mia è voce che grida nel deserto (con tutto il rispetto per San Giovanni Battista) che nella Messa non basta il cantare tanto per sgolarsi, fosse pure tutta la Chiesa a cantare. Se si compie un peccato e tutti lo commettono, questo non rende buono il peccato. Non bisogna cantare durante la Messa, bisogna cantare la Messa. Per ottenere questo bisogna ritornare alla lezione del Liber Usualis , cantare le antifone del Messale. Ora, in lingua volgare si dovrebbero trovare delle soluzioni che qui da noi, purtroppo, non si vogliono trovare. Esatto, io non dico che non si possono trovare, ma proprio che non si vogliono trovare. Siamo legati mani e piedi ai guai atavici della Chiesa Cattolica del nostro paese, primo fra tutti quello del clericalismo, peste mortale del cattolicesimo. Un giorno vorrei scrivere un libro che ha come tema clericalismo e musica liturgica in Italia, sono sicuro che molti si sorprenderanno su come questa peste ha influenzato in senso negativo lo sviluppo della musica liturgica negli ultimi decenni. Certamente ci sono stati ottimi musicisti sacerdoti, alcuni anche geniali. Ma la manipolazione clericale della musica per la liturgia ha prodotto risultati nefandi. Questo, potete credere, è un problema soprattutto italiano, in altri paesi i laici sono impiegati in cori di cattedrali, uffici liturgici e ogni luogo dove è necessario avere competenze liturgiche, musicali o entrambi. Da noi esistono ancora regolamenti che vietano ai laici di occupare certe posizioni di tipo musicale (?!?) presso istituzioni musicali che fanno capo alla Chiesa Cattolica e in certe Basiliche viene fortemente scoraggiato l'impiego di maestri di cappella laici a cui si preferiscono sacerdoti che è molto più semplice poter mandar via. Questo malgrado tutti i discorsi di Papa Francesco su famiglia, dignità del laicato e via dicendo. Perché Papa Francesco alla sera, quando fa meno freddo, non si fa una passeggiata intorno a Santa Marta, ma da solo, e va a sentire le riunioni di certi capitoli per rendersi conto se i suoi insegnamenti sono applicati o no? Forse vedrebbe una realtà un poco diversa da quella che certi "filtri" d'oltralpe gli fanno vedere. Ma tornando alla Messa, come detto si devono cantare le antifone del Messale. Negli Stati Uniti sono stati fatti dei tentativi in questo senso, penso a quello del benedettino padre Columba Kelly, studente di dom Cardine, che ha adattato le
melodie gregoriane ai testi inglesi. Un altro tentativo che a me sembra molto promettente e ben fatto è quello di Adam Bartlett che ha composto melodie su stile gregoriano per le antifone di introito, comunione e offertorio per tutte le domeniche e feste dell'anno liturgico. Il suo Lumen Christi è uno strumento importante con cui è possibile cantare le antifone del Messale con melodie modali semplici alla portata di ogni assemblea ma che riproducono almeno in parte le atmosfere spirituali del canto gregoriano. Ho fatto uso delle sue composizioni quando ero a Macao e devo dire che c'era tutta un'altra atmosfera, ogni Messa aveva il suo tono e non ci si ritrovava con i canti indistinti che tanto vanno per la maggiore. Mussolini diceva che governare gli italiani non è difficile, è impossibile. Io posso vedere e capire perché faceva questa affermazioni osservando le difficoltà estreme nel costruire cose buone in un paese in cui, malgrado tutto, genio, talento e musicalità di certo non scarseggiano.
Il bosco
C'è una bella immagine usata dallo scrittore tedesco Ernst Jünger, quella del bosco. Per lui era compito dell'intellettuale che si sentiva a disagio nel mondo moderno, per la direzione presa dal mondo moderno, di ritrarsi nel bosco non come segnale di ritirata, ma come possibilità per ritemprarsi in attesa che ci siano condizioni migliori per operare. Queste condizioni, nel caso della musica liturgica, non verranno facilmente. Quindi è necessario che dal bosco in cui deve ritirarsi per proteggersi, il musicista liturgico che non voglia abdicare alla situazione corrente, debba fare delle puntate nella città assediata ed abbattere i nuovi bastioni (per usare un'immagine di Von Balthasar) che si sono eretti negli ultimi decenni. Ho fatto alcuni esempi, ma ce ne sarebbero un numero infinito, di buone composizioni liturgiche composte negli ultimi decenni. Non è questo che manca. Quello che è cambiato è l'idea di musica liturgica, una idea che si è fatta negli ultimi decenni povera, asfittica, arida, sterile. Ho cercato di elencare alcuni dei mali della musica liturgica. I problemi della musica nella liturgia sono la spia di una crisi molto più profonda della Chiesa. Dal bosco in cui ora mi trovo, spero che queste righe possono spingere tanti altri che si trovano insieme a me a darsi da fare e a cercare di compiere una vera rivoluzione per fare in modo che possiamo a tornare a cantare quel canto degno di Dio in spirito e verità.
Lettera a Papa Francesco
Santo Padre, io non posso immaginare le difficoltà nell'essere Papa. Si viene tirati da una parte e dall'altra cercando di far valere questa o quella ragione e il Papa, che si trova in mezzo, deve cercare di mantenere la bussola dritta. Non è semplice e io non posso che rispettare lo sforzo che Voi, come ogni Papa, cercate di fare per cavarvela al meglio. Io credo che Benedetto XVI, grande intellettuale, sia rimasto ad un certo punto schiacciato in questa macchina, fidandosi troppo di chi probabilmente era meglio non doversi fidare, piuttosto era meglio diffidare. Voi sapete tutto questo e cercate di non farvi troppo sviare da chi vi circonda, cosa però non completamente possibile in quanto un Papa non può farcela da a tirare avanti da solo. Santo Padre, vi raccomando la musica liturgica. Non è una parte non importante, è un tesoro che la Chiesa Cattolica e i Vostri predecessori crearono, coltivarono e consegnarono alla cultura mondiale, per elevare cristiani e non. Oggi è ridotta in uno stato miserando, spesso in mano a membri dello stesso clero che si sbranano per un lacerto di qualche cosa di cui neanche loro sanno cosa sia esattamente. Combattete il clericalismo, Santo Padre, questa nefandezza che macchia la Vostra, la nostra Chiesa Cattolica e la distrugge dal di dentro. Se volete un esempio di clericalismo, date un'occhiata a quello che vi accade intorno, anche nella musica liturgica, e vi renderete conto di come le vostre parole sono non solo inascoltate, ma neanche considerate. Distruggete questo clericume che vivacchia alle spalle della Madre Chiesa, che ha posti e privilegi solo per l'abito che porta, che si annida a volte nelle comodità dei capitoli delle cattedrali e delle basiliche. Fate in modo che la Chiesa sia ancora e per sempre una Madre non solo di fede ma anche di cultura, fate in modo che nella musica, nella pittura, nella scultura, non sia privilegiato chi indossa un abito religioso ma chi ha un animo religioso, a prescindere dall'abito che porta. Santo Padre, questa è la battaglia vera, non tanto avvicinare i lontani, ma proteggersi dai vicini.
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