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Copyright © 2013, il nuovo melangolo s.r.l. Genova - Via di Porta Soprana, 3-1 www.ilmelangolo.com ISBN 978-88-7018-
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Walter Benjamin
Capitalismo come religione Testo tedesco a fronte a cura di CARLO SALZANI
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INTRODUZIONE
POLITICA PROFANA, O DELL’ATTUALITÀ DI “CAPITALISMO COME RELIGIONE”
1. Il frammento 74, pubblicato per la prima volta nel 1985 nel volume VI delle Gesammelte Schriften, occupa i fogli 26, 27 e 28 del blocco per appunti numero 1.1 La prima parte, che occupa i primi due fogli, è priva di titolo; la secon-
1. W. BENJAMIN, “Kapitalismus als Religion”, in Gesammelte Schriften, a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1985, vol. VI, pp. 100-103 (qui di seguito le Gesammelte Schriften saranno abbreviate come GS seguito dal numero del volume). Il frammento è già apparso in traduzione italiana nei seguenti volumi: W. BENJAMIN, Sul concetto di storia, a cura di Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Einaudi, Torino, 1997, pp. 284-87 (traduzione riprodotta, con l’aggiunta di note esplicative di Stefano Franchini, in Il capitalismo divino. Colloquio su denaro, consumo, arte e distruzione, a cura di Marc Jongen, ed. it. a cura di Stefano Franchini, Mimesis, Milano, 2011, pp. 11925); Teologia politica 1. Teologie estreme?, a cura di Renato Panattoni e Gianluca Solla, Marietti 1820, Genova, 2004, pp. 19-22; W. BENJAMIN, Scritti politici, a cura di Massimo Palma, Editori Internazionali Riuniti, Roma 2011, pp. 83-89; e, in traduzione integrale, in Elettra Stimilli, Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo, Quodlibet, Macerata, 2011, pp. 177-80. Per la presente traduzione ho consultato queste traduzioni italiane, oltre alla traduzione francese di Christophe Jouanlanne e Jean-François Poirier (in W. BENJAMIN, Fragments philosophiques, politiques, critiques, littéraires, Presses Universitaires de France, Paris, 2011, pp. 110-14) e quelle inglesi di Rodney Livingstone (in W. BENJAMIN, Selected Writings, a cura di Michael W. Jennings, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, MA, 1996, vol. 1, pp. 288-91) e di Chad Kautzer (in Religion as Critique: The Frankfurt School’s Critique of Religion, a cura di Eduardo Mendieta, Routledge, New York, 2005, pp. 259-62).
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da parte si trova sul verso del foglio 28 e porta il titolo “Capitalismo come religione”, che i curatori hanno esteso all’intero frammento. Sul recto del foglio 28 si trova il frammento “Geld und Wetter (Zur Lesabéndio-Kritik)” (Denaro e tempo meteorologico [Per la critica di Lesabéndio]), che i curatori hanno deciso di pubblicare separatamente nell’apparato critico del volume IV/2, come nota all’aforisma “Steuerberatung” (Consulenza fiscale) di Strada a senso unico.2 La prima parte presenta uno svolgimento abbastanza strutturato, anche se bisogna sempre ricordare che si tratta di
2. Uwe Steiner considera questo terzo frammento parte di un appunto in realtà tripartito (“Kapitalismus als Religion”, in BenjaminHandbuch, a cura di Burkhardt Lindner, Metzler, Stuttgart, 2006, p. 167); vale quindi la pena riportarlo: La pioggia è il simbolo della sventura di questo mondo. Il sipario davanti al dramma della fine del mondo L’attesa angosciante del sole Far capolino attraverso tempo meteorologico e denaro In nessuno dei due c’è movimento in una sola direzione Lo stato utopico del mondo senza tempo meteorologico Il tempo stesso un limite per la relazione dell’uomo con lo stato del mondo apocalittico (maltempo), beatitudine (senza tempo, senza nuvole), il denaro indica un altro termine, ancora sconosciuto. Pioggia, temporale: parata della fine del mondo. Hanno con essa lo stesso rapporto che un raffreddore ha con la morte. Il denaro appartiene al regno della pioggia, non certo del sole. Lo spazio senza tempo del puro accadere planetario davanti a ciò: Il tempo meteorologico è il velo. Denaro in Die andere Seite di Kubin proprio come il tempo meteorologico. (GS IV/2, p. 941). In effetti la scelta dei curatori è anch’essa giustificata, in quanto parte di questo frammento finirà nell’aforisma di Strada a senso unico, nel seguente paragrafo: “Il denaro appartiene al regno della pioggia. Il tempo (Wetter) stesso è un indice dello stato di questo mondo. La beatitudine è senza nuvole, non conosce maltempo. E sta venendo un regno senza nuvole dei beni perfetti, su cui non cade denaro alcuno” (GS IV/1, p. 139).
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appunti personali e note di lavoro per un saggio che non sarà mai scritto, e che quindi mancano spiegazioni, elaborazioni e passaggi logici; la seconda parte consta invece di note molto meno elaborate e di riferimenti bibliografici. In base alla data di pubblicazione delle opere citate (la più recente, Politik und Metaphysik di Erich Unger, è del gennaio 1921) e alla lista dei libri letti da Benjamin in quell’anno, i curatori hanno datato il frammento alla metà del 1921.3 Michael Löwy sostiene che Benjamin avrebbe preso il titolo “Capitalismo come religione” dal libro di Ernst Bloch Thomas Münzer teologo della rivoluzione, pubblicato proprio nel 19214: nella conclusione della sezione intitolata “Calvino e l’ideologia-denaro”, Bloch scrive infatti che la riforma calvinista ha piantato i semi della distruzione del cristianesimo e ha introdotto “gli elementi di una nuova ‘religione’: il capitalismo inteso come religione [Kapitalismus als Religion] e chiesa di Mammon”.5 Löwy cita poi una lettera di Benjamin a Gershom Scholem del 27 novembre 1921, in cui Benjamin scrive: “recentemente, in occasione della sua prima visita, Bloch mi ha portato le bozze del ‘Münzer’ e io ho cominciato a leggerlo”.6 Löwy ipotizza dunque che la data di composizione del frammento debba essere spostata alla fine del 1921. Werner Hamacher non ne
3. Si veda la nota dei curatori alle pp. 690-91 del volume VI. 4. M. LÖWY, “Le capitalisme comme religion: Walter Benjamin et Max Weber”, in Raisons politiques 23 (2006), p. 203. La stessa ipotesi è sostenuta brevemente da J. VON SOOSTEN, “Schwarzer Freitag: Die Diabolik der Erlösung und die Symbolik des Geldes”, in Kapitalismus als Religion, a cura di Dirk Baecker, Kadmos, Berlin, 2003, p. 290, nota 6. 5. E. BLOCH, Thomas Munzer teologo della rivoluzione, trad. it. Simona Krasnovsky e Stefano Zecchi, a cura di Stefano Zecchi, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 120. 6. W. BENJAMIN, Gesammelte Briefe, a cura di Christoph Gödde e Henri Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1996, vol. 2, p. 213. Qui di seguito le Gesammelte Briefe saranno abbreviate come GB seguito dal numero del volume.
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è però così sicuro. Bloch e Benjamin si erano conosciuti in Svizzera, dove entrambi avevano passato la maggior parte degli anni di guerra, e avevano iniziato subito un intenso scambio intellettuale. Su richiesta di Bloch, Benjamin aveva già scritto una recensione (oggi perduta) del suo Spirito dell’utopia (1918), di cui il libro su Thomas Münzer egli considerava una sorta di “coda”. Hamacher sostiene quindi che anche l’ipotesi contraria potrebbe essere plausibile, e cioè che Benjamin avesse coniato la formula e che poi Bloch l’avesse utilizzata nel Münzer.7 Qualunque sia la direzione del “debito”, il rimando a Bloch, insieme al riferimento al Lesabéndio, permettono di dare al frammento una specifica collocazione all’interno del progetto a cui Benjamin si riferiva in questi anni come “Politik”. È possibile che sia stata proprio la recensione allo Spirito dell’utopia – ma più in generale il confronto intellettuale con Bloch – a spingere Benjamin a pianificare nei primi anni venti un ampio studio sulla politica, rimasto poi incompiuto, la cui struttura si lascia ricostruire attraverso una serie di accenni e osservazioni che si trovano nella corrispondenza di Benjamin, in special modo nelle lettere a Scholem. Il primo accenno si trova però in una lettera a Bernd Kampfmeyer del settembre 1920, in cui Benjamin afferma di voler scrivere un saggio sulla “Demolizione della violenza” (“Abbau der Gewalt”). In una celebre lettera a Scholem del primo dicembre 1920 Benjamin descrive il piano del progetto, e afferma che la terza parte della Politica sarà costituita da una critica filosofica del romanzo Lesabéndio di Paul Scheerbart,8 mentre la seconda parte si 7. W. HAMACHER, “Schuldgeschichte: Benjamins Skizze ‘Kapitalismus als Religion’”, in BAECKER (a cura di), Kapitalismus als Religion, cit., p. 92, nota 9. 8. P. SCHEERBART, Lesabéndio. Ein Asteroiden-Roman, Georg Müller, München, 1913. Fu Scholem a regalare a Benjamin il romanzo nell’aprile del 1917 come dono di nozze (cfr. G. SCHOLEM, Walter Benjamin. Storia di un’amicizia, trad. it. Emilio Castellani e Carlo Alberto Bonadies,
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sarebbe chiamata “La vera politica” (“Die wahre Politik”), divisa in due sezioni, “La demolizione della violenza” e “Teleologia senza scopo finale” (“Teleologie ohne Endzweck”).9 Il 29 dicembre scrive poi di aver completato “Il vero politico” (Der wahre Politiker”, anch’esso oggi perduto), che forse costituisce la prima parte del progetto.10 La sezione sulla “Demolizione della violenza” sembra coincidere con il saggio “Per la critica della violenza” (“Zur Kritik der Gewalt”), che Benjamin menziona per la prima volta nel gennaio del 1921 e che sarà poi pubblicato nell’agosto dello stesso anno, nel numero 3 dell’Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, unica parte del progetto ad apparire in stampa.11 2. Il frammento prende le mosse dalla celebre tesi esposta da Max Weber in due ponderosi saggi del 1904 e 1905, riuniti poi sotto il titolo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, secondo cui lo “spirito” del capitalismo, e cioè l’enfasi sul lavoro come valore in sé, è riconducibile all’etica della religione protestante, in particolare del calvinismo.12 Il capitalismo rappresenta dunque per Weber una secolarizAdelphi, Milano, 1992, p. 68) e a provocare quindi la “conversione” di Benjamin a Scheerbart. Sul romanzo esiste un altro frammento, “Paul Scheerbart: Lesabéndio”, che risale verosimilmente al 1919 (GS II/2, pp. 618-20). 9. GB 2, p.109. 10. GB 2, p. 119. 11. Cfr. anche GB 2, pp.148, 174, 360, 382, 385, GB 3, p. 9. Sulla genesi e struttura del progetto si veda U. STEINER, “Der wahre Politiker. Walter Benjamins Begriff des Politischen”, in Internationales Archiv für Sozialgeschichte der Literatur 25 (2000), pp. 48-92. 12. M. WEBER, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, pubblicato inizialmente nei numeri 20 (1904, pp. 1-54) e 21 (1905, pp. 1-110) dell’Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, e poi, in versione rielaborata, in ID., Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie, J.C.B. Mohr, Tübingen, 1920, vol. 1, pp. 1-206; trad. it. Anna Maria Marietti, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, Milano, 1991.
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zazione dell’etica protestante. Benjamin si distacca subito da questa tesi, affermando che il capitalismo non è solo una formazione “condizionata” dalla religione, non è cioè religione secolarizzata, ma è invece una religione in senso stretto, o piuttosto un “fenomeno religioso”. Al paradigma della secolarizzazione di Weber, Benjamin sostituisce quello della metamorfosi: “Il cristianesimo dell’epoca della Riforma”, egli scrive, “non ha favorito il sorgere del capitalismo, ma si è esso stesso trasformato nel capitalismo”. E tuttavia, allo stesso tempo, rifiuta di dare una spiegazione o una “prova” di questa affermazione, perché questo condurrebbe a una “smisurata polemica universale”, e si limita ad affermare che il capitalismo adempie alla stessa funzione delle “cosiddette” religioni del passato, e cioè quella di appagare le “ansie, pene e inquietudini” dell’essere umano. Una frase enigmatica chiude il primo paragrafo: “Non possiamo serrare la rete nella quale ci troviamo. In futuro, tuttavia, ne avremo una visione d’insieme”. Questo incipit contiene in nuce tutte le difficoltà che il frammento presenta al lettore: come serie di note e appunti di lavoro, esso è estremamente denso e spesso oscuro, e solleva più domande di quante risposte riesca a dare. Solo nel primo paragrafo, ad esempio, non viene spiegato quali siano le “ansie, pene e inquietudini” a cui le religioni (capitalismo incluso) danno risposta, non si capisce perché dimostrare che il capitalismo è una religione condurrebbe a una polemica universale, o perché perseguire questa polemica significherebbe imboccare una falsa strada; oscuri sono poi la metafora della rete in cui, letteralmente, “stiamo in piedi” (stehen, e non, come ci si potrebbe aspettare, “siamo presi”13), e il rimando a un vago momento successivo, futu-
13. Cfr. S. WEBER, “Closing the Net: ‘Capitalism as Religion’ (Benjamin)”, in ID., Benjamin – abilities, Harvard University Press, Cambridge, MA, 2008, pp. 250-51.
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ro (später), in cui sarà possibile gettare uno sguardo d’insieme sulla questione. L’aspetto più interessante del frammento è comunque l’individuazione di una specifica struttura del capitalismo come religione, sulla quale è possibile fare considerazioni ben precise. A partire proprio da quelle “ansie, pene e inquietudini” a cui il capitalismo darebbe risposta. La letteratura critica collega questa descrizione della religione all’ultimo paragrafo del frammento, in cui il capitalismo è paragonato al paganesimo, in quanto, come questo, non concepisce la religione come legata a interessi “morali” o “superiori”, ma piuttosto a interessi immediatamente “pratici”. Il capitalismo costituirebbe dunque, per Uwe Steiner, una “ripaganizzazione” della religione,14 a cui il giovane Benjamin oppone in questi anni un atteggiamento veramente “morale”, o finanche “religioso”. Questa congettura si lascia confermare, tra gli altri, da una passo di “Destino e carattere”, un breve testo scritto verosimilmente nel 1919, ma pubblicato proprio nel 1921.15 Qui Benjamin, descrivendo la sfera del destino, la caratterizza come estranea ai concetti di felicità, beatitudine e innocenza, e conclude: “Ma un ordine i cui unici concetti costitutivi siano sventura e colpa e all’interno del quale non si dia alcuna strada possibile per la liberazione (poiché nella misura in cui qualcosa è destino è sventura e colpa), un tale ordine non può essere religioso”.16 La critica di Benjamin non si rivolge quindi alla religione in sé (ad esempio come “oppio dei popoli”), ma a una determinata struttura, probabilmente paganeggiante, che accomuna il capitalismo alle “cosiddette” religioni del passato.
14. U. STEINER, “Kapitalismus als Religion”, in BenjaminHandbuch, cit., p. 169. La stessa tesai è sostenuta da N. BOLZ, “Der Kapitalismus – eine Erfindung von Theologen?”, in BAECKER (a cura di), Kapitalismus als Religion, cit., p. 196. 15. W. BENJAMIN, “Schicksal und Charackter”, in GS II/1, pp. 17179. Apparso in Die Argonauten 10-12 (1921), pp. 187-96. 16. GS II/1, p. 174.
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Questa struttura, scrive Benjamin, presenta tre caratteri fondamentali, che poi diventeranno quattro (ricordiamoci che questi sono appunti di lavoro, e che quindi il quarto tratto deve essere venuto in mente a Benjamin nel corso della stesura): 1. il capitalismo è una religione cultuale, senza dogmatica né teologia, e cioè puro rito; 2. questo culto è perenne e non conosce pause; 3. è un culto che non offre redenzione ma invece produce Schuld, nella sua doppia significazione di “colpa” e “debito”; 4. il Dio di questo culto è implicato nella colpa/debito ed è quindi tenuto nascosto. Il primo termine operativo di questa caratterizzazione è senza dubbio “culto”, da cui le altre tre caratteristiche in certo senso derivano. Un culto che eleva il guadagno di denaro a rito religioso, che non ha bisogno di legittimazione ideologica (non ha né dogmatica né teologia), ma si giustifica solamente mediante il proprio funzionamento, e che si concretizza nella forma di un utilitarismo che assume una connotazione sacrale: tutto assume un significato solo, e in modo immediato (unmittelbar), in relazione al culto utilitarista, vale a dire che ciò che non è considerato “utile” assume caratteri quasi “sacrileghi”. Il capitalismo non domanda quindi l’adesione a un credo, sono le azioni stesse, la pratica quotidiana, che assumono un carattere cultuale. Questo tratto rimanda ancora una volta al paganesimo, come anche l’iconografia “politeista” del capitalismo. Esso non presenta una teologia, ma possiede tuttavia dei santi: le immagini sulle banconote diventano immagini sacre, e dalla loro ornamentazione parla lo spirito del capitalismo. Quest’idea riappare proprio nell’aforisma “Steuerberatung” di Strada a senso unico, in cui la “serietà sacrale” che emana dalle banconote è descritta come l’“ornamentazione della facciata dell’inferno” (Fassadenarchitektur der Hölle).17 Dalla totalizzazione di senso del capitalismo deriva il secondo carattere di questa religione cultuale, che ne costi-
17. GS IV/1, p. 139.
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tuisce l’apoteosi, e cioè la durata permanente del culto: non esistono giorni “feriali”, cioè giorni in cui il culto non venga celebrato, ma ogni giorno prevede la celebrazione ossessiva del rito. Come nota, tra gli altri, Burkhardt Lindner, questo significa che la differenza tra tempo profano e tempo cultuale, tra sacro e profano, viene cancellata.18 A questo punto Benjamin usa un’enigmatica espressione francese, che i curatori delle Gesammelte Schriften hanno interpretato come “sans rêve et sans merci”, senza sogno e senza pietà. Steiner nota che quest’espressione non è una locuzione idiomatica francese, né trova una collocazione nel vocabolario benjaminiano di questi anni (la fascinazione di Benjamin per il sogno, e la sua connessione intrinseca ed essenziale con il capitalismo, risalgono agli anni trenta), e che quindi questa lettura non ha senso. Propone quindi di leggere “sans trêve et sans merci”, senza tregua e senza pietà.19 Questa è in effetti un’espressione idiomatica che, come nota Chad Kautzer, risale almeno fino al decalogo medievale della cavalleria, che imponeva al cavaliere di fare guerra agli infedeli “sans trêve ni merci”.20 Secondo Samuel Weber, Benjamin aveva sicuramente trovato quest’espressione in uno dei Tableaux Parisiens di Baudelaire, Le crépuscule du soir, che stava appunto traducendo in questi anni.21 La traduzione sarebbe stata completata proprio nel 1921, e pubbli-
18. B. LINDNER, “Der 11.9.2001 oder Kapitalismus als Religion”, in Ereignis. Eine fundamentale Kategorie der Zeiterfahrung. Anspruch und Aporien, a cura di Nikolaus Müller-Schöll, transcript Verlag, Bielefeld, 2003, p. 202. 19. U. STEINER, “Kapitalismus als Religion. Anmerkungen zu einem Fragment Walter Benjamins”, in Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte 72.1 (1998), p. 157. 20. C. KAUTZER, in Mendieta (a cura di), Religion as Critique, cit., p. 262, nota 2. Kautzer rimanda al catalogo della cavalleria redatto da Léon Gautier in La Chévalerie, Palmé, Paris, 1884. 21. S. WEBER, “Closing the Net”, cit., p. 255.
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cata poi presso l’editore Richard Weißbach nel 1923 con la celebre introduzione Il compito del traduttore. Il poema di Baudelaire in effetti sottolinea come nemmeno la sera porti riposo e “tregua” a coloro che hanno lavorato tutto il giorno; giacché la sera è l’ora in cui si svegliano “demoni malsani” che, “come uomini d’affari” (comme de gens d’affaire), riempiono la notte di dolore: Et les voleurs, qui n’ont ni trêve ni merci, Vont bientôt commencer leur travail, eux aussi, Et forcer doucement les portes et le caisses Pour vivre quelques jours et vêtir leur maîtresses. … e ladri, senza tregua e senza quartiere, presto anch’essi inizieranno a lavorare ed a forzare, lievi, e casse e porte, per poter campare qualche giorno e vestir le loro amanti.22
Come nel poema di Baudelaire, nel capitalismo non c’è ne tregua né perdono, il lavoro/culto non si arresta mai, nemmeno alle porte della notte; la pompa sacrale del rito (lavoro/consumo) è permanentemente dispiegata, senza limiti di spazio e di tempo. Il tempo del capitalismo, come il denaro (time is money), è diventato un equivalente universale, e quindi assolutamente uguale e indifferente. Da questo tempo “quantificato” (e che quindi perde ogni connotazione qualitativa) non c’è via d’uscita. 3. Il terzo tratto della struttura capitalistica presenta il termine centrale del frammento, Schuld, in tutta la sua
22. C. BAUDELAIRE, Oeuvres complètes, Bibliothèque de la Pléiade, Paris, 1961, p. 91; trad. it. a cura di Giovanni Raboni e Giuseppe Montesano, Opere, Mondadori, Milano, 2006, p. 194. 23. Questa demoniaca ambiguità si traduce in una demoniaca difficoltà per il traduttore: la maggior parte dei traduttori sceglie (forse giustamente) di sbilanciarsi sulla connotazione della colpa, e lascia la connota-
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“demoniaca ambiguità”: sia “colpa” che “debito”.23 La soteriologia del culto capitalista consiste per Benjamin nell’implicare sempre più l’essere nel gorgo (Sturz) di una colpevolizzazione che è allo stesso tempo un’indebitamento (o vice versa), fino ad implicare lo stesso Dio del culto in questo movimento che è in sé inestinguibile (come la colpa e il debito), ed è quindi disperazione e rovina dell’essere, non salvezza. Il sostantivo Schuld, nota Steiner, è un’astrazione verbale del modale sollen, “dovere”. Se inizialmente portava ancora il doppio significato di “qualcosa che si deve (fare) o che è dovuto”, l’uso moderno si restringe al secondo caso. Il passaggio semantico al significato di “colpa” potrebbe derivare da una contrazione dell’istituto del diritto germanico del guidrigildo – Wergeld, una delle parole chiave che si trovano nella seconda parte del frammento benjaminiano, secondo cui una trasgressione (inizialmente come violenza fisica) poteva venir compensata con un pagamento in denaro (per evitare la vendetta di sangue) – e della dottrina della chiesa medievale, che per ogni peccato esigeva una satisfactio operis. In questo modo si sarebbe stabilita la connessione tra Schuld e peccato, e quindi il passaggio semantico al significato di “colpa”. Tuttavia questa satisfactio (che si può rendere in tedesco come Vergeltung) mantiene una relazione con il denaro (Geld, da gelten, avere valore, ma anche far
zione di debito alla spiegazione parentetica di Benjamin (Bonola e Ranchetti, in BENJAMIN, Sul concetto di storia, cit.; Franchini, in Il capitalismo divino, cit.; Palma, in BENJAMIN, Scritti politici, cit.; Livinstone, in BENJAMIN, Selected Writings, cit.; Kautzer, in Religion as Critique, cit.; Jouanlanne e Poirier, in BENJAMIN, Fragments, cit.); Gianluca Solla è il solo che sceglie l’opzione contraria, e traduce Schuld semplicemente come “debito” (in Teologia politica 1, cit.); Samuel Weber propone di tradurlo come debt-as-guilt, “debito-come-colpa” (“Closing the Net”, cit., p. 253) ed Elettra Stimilli ricorre alla ripetizione dei due termini (Il debito del vivente, cit.). Ho qui scelto quest’ultima opzione, separando però, diversamente da Weber e Stimilli, i due termini con una barra, e non con una congiunzione o una virgola, per mantenerne il senso di unità e coincidenza.
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fede di qualcosa).24 Le lingue romanze non presentano la “demoniaca ambiguità” del tedesco: il latino culpa deriva forse dal tema *kalp, “occasionare”, “preparare”, che finisce per acquisire il solo significato negativo di “occasionare danno”. Debere deriva invece da de habere, “avere da qualcuno”, anche se, nota Émile Benveniste, anche il significato attuale di “debito” è tardo, perché inizialmente la designazione giuridica di debito come “ciò che si deve a qualcuno in quanto preso in prestito” era aes alienum. Il prefisso de di debeo non connota il prestito, ma invece l’avere qualcosa che si deve (dare) a un altro in quanto gli appartiene.25 Anche qui è possibile dunque ipotizzare un legame con la satisfactio, e quindi una “demoniaca” ambiguità. Schuld è un termine che ricorre di frequente nelle riflessioni di Benjamin di questi anni: fortemente influenzato dalla filosofia del neokantiano Hermann Cohen, Benjamin posiziona Schuld in una costellazione che include il concetto di “destino” (Schicksal) e l’ordine del diritto, che appartengono entrambi alla sfera del “mito”.26 Proprio dopo il passo già citato di “Destino e carattere” Benjamin scrive: “Il diritto innalza le leggi di destino, sventura e colpa a criteri della persona”.27 Questa colpa non è tuttavia quella della sfera etica, in quanto non c’è correlazione tra il destino e il concetto che nella sfera etica accompagna la colpa, e cioè
24. Cfr. U. STEINER, “Die Grenzen des Kapitalismus. Kapitalismus, Religion und Politik in Benjamins Fragment ‘Kapitalismus als Religion’”, in BAECKER (a cura di), Kapitalismus als Religion, cit., pp. 41-42. Steiner consulta il Deutsches Wörterbuch dei fratelli Grimm. 25. É. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européenne, Editions de Minuit, Paris, 1969, p. 185-86. 26. In varie opere, ma specialmente in Ethik des reinen Willens (Etica della volontà pura, 1907), Hermann Cohen (1842-1918) insiste sulla connessione tra Schuld, natura e storia naturale. Sull’influenza di Cohen sul giovane Benjamin si veda A. DEUBER-MANKOWSKY, Der frühe Walter Benjamin und Hermann Cohen: jüdische Werte, kritische Philosophie, vergängliche Erfahrung, Verlag Vorwerk 8, Berlin, 2000. 27. GS II/1, p. 174.
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l’innocenza (Unschuld). L’ordinamento del diritto è piuttosto “un residuo dello stadio demonico dell’esistenza degli uomini”.28 Un corollario di questo assioma è che “il diritto non condanna alla pena, ma alla colpa. Il destino è il nesso di colpa [Schuldzusammenhang] del vivente”.29 Queste tesi riappaiono nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe, scritto tra il 1919 e il 1922, e in Per la critica della violenza, in cui la “mera vita” è definita come “il portatore designato della colpa” (die gezeichnete Träger der Verschuldung).30 In questi passi la connotazione di Schuld pende senza dubbio dal lato della “colpa” (notiamo anche che Schuld come “debito” è spesso al plurale (Schulden), ma un frammento scritto qualche anno prima in Svizzera, nell’estate del 1918, aiuta a mettere in relazione l’ambito di mito e Schuld con la religione del capitalismo: Dove ci sono religioni pagane, ci sono concetti di colpa naturale [natürliche Schuldbegriffe]. La vita è, bene o male, sempre colpevole, la sua punizione è la morte. Una forma della colpa naturale è la sessualità, per il godimento e la produzione della vita Un’altra è quella del denaro, per la mera possibilità di esistere31
La relazione tra denaro e colpa all’interno delle religioni pagane contiene già la “demoniaca ambiguità” di una colpa che è in sé già sempre debito. Il culto capitalista, in quanto colpevolizzante/indebitante, appartiene all’ambito delle religioni pagane e, con la sua universalizzazione della colpa/debito, ricaccia l’umanità in uno “stadio demonico”; esso è quindi, scrive Joachim von Soosten, una ricaduta nella sfera del mito.32
28. 29. 30. 31. 32.
Ibid. Ibid., p. 175. GS II/1, p. 202. GS VI, p. 56. V. SOOSTEN, “Schwarzer Freitag”, cit., pp. 133-34.
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Benjamin non è però stato il primo a giocare sull’ambiguità del termine Schuld. Nella seconda dissertazione della Genealogia della morale (1887), intitolata “‘Colpa’, ‘Cattiva coscienza’ e simili”, già Nietzsche afferma che il “basilare concetto morale di ‘colpa’ (Schuld) ha preso origine dal concetto molto materiale di ‘debito’ (Schulden)” e riconduce genealogicamente l’origine dei concetti morali di colpa, coscienza e dovere alla sfera del diritto delle obbligazioni”.33 È “il rapporto contrattuale tra creditore e debitore, che è tanto antico quanto l’esistenza di ‘soggetti di diritto’”, che sta alla base della costruzione normativa dell’etica occidentale, “e rimanda ancora una volta, dal canto suo, alle forme fondamentali della compera, della vendita, dello scambio, del commercio”.34 Il senso di colpa sarebbe quindi la condizione di chi si sente in debito. Inoltre, Nietzsche mette in relazione la grandezza del concetto di dio e della divinità con il “senso di debito (Schulden)” nei confronti della divinità, al punto che “l’avvento del Dio cristiano, in quanto massimo dio che sia stato fino ad oggi raggiunto, ha portato perciò in evidenza, sulla terra, anche il maximum del senso di colpa/debito (Schuldgefühl)”.35 Ma già vent’anni prima Marx aveva dedicato un intero capitolo del primo libro del Capitale (1867) – il ventiquattresimo e penultimo capitolo sulla “cosiddetta accumulazione originaria”, che alcuni definiscono appropriatamente Schuldkapitel36 – alla centralità del concetto di Schuld/Schulden nel capitalismo, giocando anch’egli sull’ambiguità del termine. Ciò che rende il denaro “capitale”,
33. F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, trans. it. Ferruccio Masini e Sossio Giametta, Mondadori, Milano, 1988, p. 46. 34. Ibid., p. 47. 35. Ibid, p. 73. 36. HAMACHER, “Schuldgeschichte”, cit., p. 96; Stimilli, Il debito del vivente, cit., p. 219.
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cioè denaro che utilizza se stesso e si moltiplica, è per Marx il “debito pubblico”: Il debito pubblico […] imprime il suo marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è… il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita [sich verschuldet]. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. E col sorgere dell’indebitamento dello Stato [Staatsverschuldung], al peccato contro lo spirito santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico [Staatsschuld].37
Come nota Hamacher, con questa metamorfosi strutturale dal credito secolare-economico a credo sacramentale Marx fornisce la diagnosi della trasformazione del capitalismo in fenomeno religioso.38 Inoltre, come Nietzsche, e anticipando in certo senso Max Weber, Marx mette il Dio cristiano al centro di questa trasformazione: “il cristianesimo, col suo culto dell’uomo astratto, e in ispecie nel suo svolgimento borghese, nel protestantesimo, deismo, ecc., è la
37. K. MARX, Il capitale. Critica dell’economia politica, trad. it. a cura di Delio Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1989, vol. 1, p. 817. 38. HAMACHER, “Schuldgeschichte”, cit., p. 97. Hamacher mette poi in relazione questo passo con un passo del capitolo “La formula generale del capitale” sul concetto di valore: “invece di rappresentare relazioni fra merci, il valore entra ora, per così dire, in relazione privata con se stesso. Si distingue, come valore originario, da se stesso come plusvalore, allo stesso modo che Dio Padre si distingue da se stesso come Dio Figlio, ed entrambi sono coetanei e costituiscono di fatto una sola persona, poiché solo mediante il plusvalore di dieci sterline le cento sterline anticipate diventano capitale, e appena sono diventate capitale, appena è generato il figlio e, mediante il figlio, il padre, la loro distinzione torna a scomparire, ed entrambi sono uno, centodieci sterline” (MARX, Il capitale, cit., vol. 1, p. 188). Il meccanismo del plusvalore, nota Hamacher, è già in sé una teogonia dell’auto-indebitamento.
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forma di religione più corrispondente” a una società di produttori di merci.39 È ipotizzabile che Benjamin conoscesse queste due fonti, almeno di seconda mano.40 E tuttavia proprio Nietzsche e Marx, con l’aggiunta di Freud, sono bollati nel frammento benjaminiano come “gran sacerdoti” del culto capitalista. La scelta di questi tre nomi sorprende non poco,
39. MARX, Il capitale, cit., vol. 1, p. 111. A questa genealogia della colpa/debito va aggiunto Adam Müller (1779-1829), scrittore romantico cattolico e conservatore, che Benjamin include nella lista bibliografica del frammento. Stefano Franchini (Il capitalismo divino, cit., pp. 124-25, nota 24) suppone che Benjamin leggesse l’edizione del 1920 (A. H. MÜLLER, Zwölf Reden über di Beredsamkeit und deren Verfall in Deutschland, a cura di Arthur Salz, Drei Masken Verlag, München 1920). Tuttavia, alla pagina 56 seg. di quest’edizione (quelle indicate da Benjamin), non ci sono passi ricollegabili alla tematica del frammento. Franchini trova questo passo alla pagina 53: “Da quando si è diffusa l’arte tipografica, le cose brutte, false e insignificanti non svaniscono più, come invece accadeva in passato non appena venivano dette, e non si dissolvono più nell’aria comune, elemento al quale appartengono più che allo spirito: esse permangono, avanzano a interi plotoni, accrescendosi a ritmi accelerati, come mostrano le biblioteche dei nostri giorni, in marcia verso la disgraziata posterità. La stessa identica cosa si verifica rispetto alla sventura economica, che in passato veniva direttamente scontata dalla generazione che la subiva e se ne liberava, estinguendosi insieme a coloro che l’avevano patita, mentre in seguito, da quando ogni opera e ogni agire vengono espressi in oro, rotola verso i posteri sotto forma di pesanti, e sempre più pesanti, masse di debiti”. Michael Löwy (“Le capitalisme comme religion”, cit., p. 209) e Werner Hamacher (“Schuldgeschichte”, cit., p. 98) riportano questa pagina senza ulteriori commenti. 40. Sul milieu culturale in cui si muoveva Benjamin in questi anni si veda il saggio di Steiner già citato, “Der wahre Politiker”. A proposito del passo di Marx dal capitolo sulla “cosiddetta accumulazione originaria”, sempre Steiner (“Kapitalismus als Religion: Anmerkungen zu einem Fragment Walter Benjamins”, cit., p. 161) nota che Benjamin potrebbe aver letto riferimenti ad esso nelle Riflessioni sulla violenza di Geroges Sorel, che analizza brevemente questo capitolo – anche se non cita esplicitamente questo passo – nelle pagine subito precedenti a quella che Benjamin cita in “Capitalismo come religione”. Cfr. G. SOREL, Riflessioni sulla violenza, trad. it. Maria Grazia Meriggi, BUR, Milano, 1997, pp. 213 seg.
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visto che sono proprio quelli che Paul Ricoeur avrebbe definito, qualche decennio dopo, i “maestri del sospetto” e in certo senso i padri della modernità.41 Essi sono invece per Benjamin i gran sacerdoti del capitalismo perché iniziano, in tutta coscienza, a realizzarlo nella sua pienezza; e cioè, le loro teorie ne rappresentano la struttura religiosa in modo “mimetico” e ne spingono la logica immanente (della colpa/debito) fino alle estreme conseguenze.42 Qui due termini, costruiti in reciproca opposizione, sono fondamentali: Umkehr e Steigerung. Il primo significa letteralmente “cambiamento di rotta”, “svolta” (Kehre), e però presenta anche una forte connotazione religiosa, in quanto traduce anche il latino conversio e l’ebraico teshuvah, “conversione”. Questo ha portato alcuni interpreti a leggerlo (e tradurlo) come metanoia, cioè “conversione” (religiosa) nel senso di pentimento ed espiazione,43 ma questa lettura confina l’analisi benjaminiana a una disputa religiosa e riduce il suo attacco al capitalismo a una polemica tra vere e false religioni. Vedremo più avanti perché questa lettura punta nella “falsa direzione di una smisurata polemica universale” che Benjamin vuole evitare. Hamacher propone quindi di leggerlo come “cambiamento radicale”, “cesura”, e cioè rottura totale con la logica della colpa/debito, e Birger Priddat come re-volutio e crisis.44 Steigerung significa invece accresci-
41. Cfr. P. RICOEUR, Dell’interpretazione. Saggio su Freud, trad. it. Emilio Renzi, Il Saggiatore, Milano, 2002, p. 46. 42. STEINER, “Kapitalismus als Religion”, in Benjamin-Handbuch, cit., p. 171; LINDNER, “Der 11.9.2001 oder Kapitalismus als Religion”, cit., p. 218. 43. Cfr. per esempio le traduzioni italiane di Bonola e Ranchetti (in BENJAMIN, Sul concetto di storia, cit.) e di Solla (in Teologia politica 1, cit.), e quella francese di Jouanlanne e Poirier (in BENJAMIN, Fragments, cit.), che rendono Umkehr semplicemente come “conversione”. 44. HAMACHER, “Schuldgeschichte”, cit., p. 109; B. PRIDDAT, “Deus Creditor: Walter Benjamins ‘Kapitalismus als Religion’”, in BAECKER (a cura di), Kapitalismus als Religion, cit., p. 226.
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mento, aumento, incremento, e quindi potenziamento. Benjamin sostiene che le filosofie di Nietzsche, Marx e Freud realizzano un potenziamento della logica capitalistica della colpa/debito, e non costituiscono affatto una Umkehr, una rottura con essa. Per Benjamin l’Übermensch nietzschiano non espia la colpa/debito, ma la prende eroicamente su di sé, e in questo senso, nel suo eroismo tragico, porta a compimento nel modo più radicale l’essenza religiosa del capitalismo. Secondo Löwy, questo potenziamento non fa che intensificare la hybris capitalista, il culto della potenza e dell’espansione infinita.45 Proprio in opposizione al potenziamento di Nietzsche va letta la seguente definizione del frammento più o meno contemporaneo “Mondo e tempo” (ca. 1919-1920): “Mia definizione della politica: l’adempimento dell’umanità non potenziata [ungesteigerte]”.46 La logica del pensiero di Marx non è dissimile: anzi, il Manifesto del partito comunista descrive il socialismo esplicitamente come erede del capitalismo. I rapporti di produzione borghesi, scrivono Marx ed Engels, sono diventati troppo angusti per contenere le forze produttive, ne sono anzi diventate un impedimento, e queste quindi si “ribellano” ad essi: “Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo si rivolgono ora contro la borghesia stessa”.47 La logica delle forze produttive capitalistiche rimane immutata, è anzi essa stessa che richiede il cambiamento; inoltre la classe proletaria non costituisce un’alternativa alla borghesia capitalista, ma ne è piuttosto il prodotto: “La borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; essa ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi – i moderni operai, i proletari”.48
45. LÖWY, “Le capitalisme comme religion”, cit., p. 214. 46. GS VI, p. 99. 47. K. MARX, F. ENGELS, Manifesto del partito comunista, trad. it. Palmiro Togliatti, Editori Riuniti, Roma, 1990, p. 13. 48. Ibid.
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Il socialismo è quindi la logica capitalista senza capitalismo, e non fa che portare alle estreme conseguenze la logica degli “interessi semplici e composti”, che non è altro che la logica della colpa/debito.49 Per quel che riguarda Freud, Benjamin sostiene che il “represso”, e cioè il fondamento della teoria psicanalitica, equivale, per un’analogia che non viene sviluppata, al capitale. Quest’analogia viene comunque collegata alla generazione di interessi nel capitale, a sua volta assimilata alla repressione della “rappresentazione peccaminosa”. Come è stato fatto notare,50 soprattutto in Totem e tabù, e più precisamente nel mito dell’orda primigenia che conclude il capitolo “Il ritorno del totemismo nell’infanzia”, Freud pone all’origine, non solo della religione, ma dell’organizzazione sociale tout court, la colpa originaria (Urschuld) per l’uccisione del padre. Questo è “il grande avvenimento da cui è iniziata la civilizzazione e che da allora non ha cessato di tormentare l’umanità”, avvenimento che organizza la struttura sociale ad ogni livello: “La società si poggia su una colpa comune, su un crimine di cui tutti sono stati complici; la religione, sul senso di colpa [Schuldgefühl] e sul pentimento; la morale, sulla necessità di questa società, da una parte, sul bisogno di espiazione generato dal senso di colpa, dall’altra”.51 Questa struttura è in fondo, per Freud, un modo più o meno razionale di gestire il Schuldgefühl, che è e rima-
49. È certo che Benjamin in questi anni conosceva poco e male l’opera di Marx, e che probabilmente modella qui le sue critiche sull’anarcosocialismo di Georges Sorel e soprattutto di Gustav Landauer. Dopo la lettura, nel 1924, di Storia e coscienza di classe di Lukács, Benjamin cambierà idea sulla teoria marxiana, o almeno sull’opera di Marx, anche se questa critica del socialismo si riverserà da allora in poi sulla socialdemocrazia. 50. Cfr. le varie analisi di Steiner, tra cui “Die Grenzen des Kapitalismus”, cit., pp. 43-44. 51. S. FREUD, Totem e tabù, Fratelli Melita, La Spezia, 1991, pp. 155-56.
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ne ineliminabile. Anche la diagnosi freudiana, quindi, non arriva a liberare l’umanità dalla logica della colpa e dell’indebitamento, ma anzi la consolida e la pone a fondamento di ogni sistema sociale, religioso e politico, e quindi la assolutizza.52 4. Se Dio stesso è preso nella logica della colpa/debito (e per questo – quarto aspetto della struttura capitalista – deve essere tenuto nascosto), per Benjamin l’espiazione, la rimozione del peccato (Entsühnung), non può essere trovata nella religione del capitalismo. Ma nemmeno in una sua riforma (che, nota Hamacher, dovrebbe essere una riforma della Riforma53), in quanto in essa non sussiste alcun elemento che sia libero dalla logica della colpa/debito e che sia quindi “riformabile”. E nemmeno l’abiura costituisce una via d’uscita, in quanto l’abiura rimane in una relazione di dipendenza con la logica della struttura abiurata; inoltre l’abiura è solo individuale, non comunitaria, non impedisce quindi al dio del capitale di esercitare il suo potere sulla società.54 L’unica via d’uscita va quindi cercata in quello che Benjamin definisce, per tre volte, Umkehr. Il frammento non contiene indicazioni sulla natura di questa Umkehr, ma è possibile nondimeno fare alcune considerazioni a riguardo. Se è corretta l’ipotesi che colloca questo frammento all’interno del vasto e incompiuto progetto della Politik, allora si può pensare di identificare l’Umkehr con la politica: e cioè, solo una “vera” politica potrebbe costituire una rottura radicale con la logica della colpa/debito, solo una “vera” politica potrebbe contrastare la religione capitalista.
52. Per un’analisi approfondita delle teorie di Nietzsche, Marx, Freud e Max Weber in relazione al frammento benjaminiano si veda E. STIMILLI, Il debito del vivente, cit., pp. 175 seg. 53. HAMACHER, “Schuldgeschichte”, cit., p. 100. 54. Cfr. HAMACHER, “Schuldgeschichte”, cit., pp. 101-2; LÖWY, “Le capitalisme comme religion”, cit., p. 213.
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Sulla base di quest’ipotesi possiamo rileggere l’oscuro incipit del frammento: secondo Steiner, è forse per questo motivo che Benjamin rifiuta di fornire la prova dell’essenza religiosa del capitalismo e di entrare in una smisurata polemica universale, che verterebbe probabilmente sul significato/essenza di religione o della “vera” religione, e svierebbe (sarebbe un Abweg) dal vero compito “politico” dell’analisi.55 Il capitalismo come religione non può essere contrastato con un’altra, magari “vera” religione, ma solo attraverso la “vera” politica. Per Steiner le frammentarie note bibliografiche della seconda parte del frammento lasciano pensare che le riflessioni di Benjamin andassero proprio in questa direzione.56 Se i testi di Max Weber, Bruno Archibald Fuchs, Ernst Troeltsch, Gustav von Schönberg (forse) e Adam Müller possono rimandare, in modi diversi, al tema della struttura religiosa del capitalismo, i tre testi di Georges Sorel, Erich Unger e Gustav Landauer si centrano invece proprio sul suo superamento. E in effetti i primi due testi elencati, Riflessioni sulla violenza di Sorel e Politica e metafisica di Unger, vengono citati anche in “Per la critica della violenza”, l’unica parte del progetto a essere pubblicata. Il riferimento al libro di Sorel viene apposto a una nota: “Capitalismo e diritto. Carattere pagano del diritto”. La pagina citata si trova in un capitolo centrale delle Riflessioni, nella sezione “La forza e la violenza” del capitolo “Lo sciopero generale politico”: in questa pagina Sorel critica la “naturalizzazione” dell’economia capitalista, per cui un sistema economico frutto di una determinata evoluzione storica, e in quanto tale contingente, viene elevato al rango di legge naturale e assolutizzato in una “scienza”, che appare
55. STEINER, “Die Grenzen des Kapitalismus”, cit., p. 46. 56. STEINER, “Kapitalismus als Religion”, in Benjamin-Handbuch, cit., p. 172.
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“esatta” tanto quanto le scienze della natura fisica.57 Nel linguaggio di Per la critica della violenza, il capitalismo, e il diritto borghese che lo sostiene, sono quindi “mitici”, inscritti cioè in una “demoniaca” necessità che appartiene, come si è visto, all’ambito del destino e della colpa. È proprio la connotazione “mitica” che rende capitalismo e diritto “pagani”, e li esclude dall’ordine etico-morale e dalla “vera” politica. E tuttavia, proprio in “Per la critica della violenza” il libro di Sorel è citato per fornire un’istanza di politica che spezza il ciclo mitico di violenza e retribuzione: lo
57. Questa è l’intera pagina: “Giunta all’ultimo termine storico, l’azione delle volontà distinte scompare e l’insieme della società somiglia a un corpo organizzato che funziona da sé; gli osservatori possono allora fondare una scienza economica che appare loro esatta quanto le scienze della natura fisica. L’errore di molti economisti è consistito nel non vedere che tale regime, che sembrava loro naturale o primitivo, è il risultato di una serie di trasformazioni che avrebbero anche potuto non prodursi e la cui combinazione resta sempre assai instabile, perché potrebbe essere distrutta con la forza, così come è stata creata dal suo intervento: la letteratura economica contemporanea, del resto, è piena di lagnanze relative agli interventi dello Stato che turbano le leggi naturali. Oggi gli economisti non sono molto disposti a credere che il rispetto di tali leggi naturali si imponga in ragione del rispetto dovuto alla Natura: essi sono ben consapevoli che si è giunti tardivamente al regime capitalistico, ma ritengono che vi si sia pervenuti attraverso un progresso che dovrebbe incantare l’anima delle persone illuminate. In effetti, tale progresso si traduce in tre fatti notevoli: è diventato possibile costituire una scienza dell’economia; il diritto può sviluppare le sue formule più semplici, più sicure, più belle, perché il diritto delle obbligazioni domina ogni capitalismo avanzato; i capricci dei governanti dello Stato non sono più così evidenti e in tal modo si marcerebbe verso la libertà. Ogni ritorno al passato sembra loro un attentato contro la scienza, il diritto e la dignità umana. Il socialismo considera questa evoluzione parte di una storia della forza borghese e non vede che modalità dove gli economisti credono di scoprire eterogeneità: che la forza si presenti sotto l’aspetto di atti storici di coercizione o di oppressione fiscale, o di conquista, o di legislazione sul lavoro, o ancora, che sia tutta inclusa nell’economia, si tratta pur sempre della forza borghese operante, con minore o maggiore incisività, per produrre l’ordine capitalistico” (SOREL, Riflessioni sulla violenza, cit., pp. 217-18).
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“sciopero generale proletario” teorizzato da Sorel è, per Benjamin, ciò che porta il capitalismo “naturalizzato” a uno stallo insuperabile, è ciò che può causare la rottura catastrofica, la cesura, o, nel linguaggio di “Capitalismo come religione”, l’Umkehr.58 In Per la critica della violenza il libro di Unger viene citato per criticare il carattere di “compromesso” della politica liberal-democratica, ma vi è anche un rimando a una politica che tenga conto di “ordini superiori” e si svincoli quindi dal circolo “mitico” della violenza.59 In “Capitalismo come religione” il riferimento a Unger riguarda l’appunto “superamento del capitalismo per mezzo della migrazione”: la pagina citata sottolinea infatti come il capitalismo sia in grado di adattarsi a, e di integrare qualsiasi tipo di obiezione, contrasto e reazione; per poterlo “superare” l’unica possibilità è, per Unger, quella di uscire dal suo raggio d’azione, dall’“area della sua vigenza”.60 L’Umkehr assume qui connotazioni spaziali/territoriali e vi è forse possibile scorgere allusioni al sionismo. Anche la citazione da Aufruf zum Sozialismus (Appello per il socialismo) di Gustav Landauer si centra sulla necessità di una trasformazione, che qui è però intesa in senso spirituale: come Sorel, Landauer era un
58. GS II/1, pp. 193-94. 59. GS II/1, pp. 191, 193. 60. Il passo centrale della pagina è il seguente: “L’aggressione contro il ‘sistema capitalistico’ sarà eternamente vana nel luogo della sua validità. Il capitalismo è il più potente e profondo di tutti i sistemi e può integrare, nell’area della sua vigenza, ogni obiezione a esso contraria. Per poter organizzare qualcosa contro il capitalismo è soprattutto indispensabile uscire dal suo raggio d’azione, poiché al suo interno esso riesce a inglobare qualsiasi reazione. L’abbandono spaziale della zona di dominio capitalistico è dunque un precetto imprescindibile per tutte quelle sintesi che aspirino a una forma diversa di essenza materiale, e per quelle che tuttavia non via aspirano, questa soluzione significherebbe alla fine la liberazione da un potere che non è possibile eliminare ma nemmeno con cui è possibile convivere” (E. UNGER, Politica e metafisica, trad. it. a cura di Paolo Primi, Cronopio, Napoli, 2009, pp. 86-87).
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anarco-socialista, e, come Sorel, vedeva nel capitalismo contemporaneo una macchina che gira in modo automatico, a cui egli contrappone la necessità di una trasformazione dello spirito, che condurrà poi a trasformazioni sociali e materiali.61 Come fa notare Steiner, qualche pagina dopo quella cita-
61. Accolgo la congettura di Stefano Franchini (Il capitalismo divino, cit., p. 123, nota 23), che legge la prima edizione del 1911 (G. LANDAUER, Aufruf zum Sozialismus. Ein Vortrag, Verlag des Sozialistischen Bundes, Berlin, 1911), per cui alla pagina citata da Benjamin si trova il seguente passo: “Anche l’abolizione della proprietà sarà, in sostanza, una trasformazione dello spirito; a partire da questa rinascita scaturirà una massiccia ridistribuzione del patrimonio; e legata a questa nuova ripartizione troveremo la volontà, in tempi a venire, a intervalli determinati o indeterminati, di distribuire nuovamente la terra, di distribuirla ancora e ancora. La giustizia dipenderà sempre dallo spirito che governa tra gli uomini, e il socialismo viene completamente frainteso da chi ritiene che adesso sia necessario e possibile uno spirito, il quale si cristallizzi in configurazioni tali da affermarsi in termini definitivi e da non lasciare più nulla all’avvenire. Lo spirito è sempre in movimento e in creazione; ciò che crea sarà sempre insufficiente e in nessun luogo, se non nell’immagine o nell’idea, la perfezione sarà un avvenimento reale. Sarebbe uno sforzo vano e insensato voler creare, una volta per tutte, istituzioni giuste, che escludano automaticamente ogni possibilità di sfruttamento e strozzinaggio. La nostra epoca ha mostrato che cosa avviene quando al posto dello spirito vivente vengano poste istituzioni dal funzionamento automatico. Che ogni generazione badi con coraggio e radicalità a quanto è conforme al proprio spirito: anche in seguito ci saranno ragioni per fare le rivoluzioni, le quali, del resto, diventeranno necessarie quando un nuovo spirito dovrà volgersi contro i residui irrigiditi di uno spirito dileguatosi” (p. 144). Uwe Steiner (“Kapitalismus als Religion: Anmerkungen zu einem Fragment Walter Benjamins”, cit., p. 155, nota 20) cita invece la terza edizione di Aufruf sum Sozialismus, uscita nel 1920, alla cui p. 144 si trova il seguente passo: “Fritz Mauthner (Dizionario della Filosofia) ha mostrato che la parola ‘Gott’ (dio) è in origine identica a ‘Götze’ (idolo) e che entrambe significano il ‘Gegossene’ (ciò che è stato fuso). Dio è un prodotto creato dall’uomo, che prende vita, attrae a sé la vita degli uomini e alla fine diventa più potente di tutta l’umanità. L’unico ‘Gegossene’, l’unico idolo, l’unico dio, a cui gli uomini abbiano dato forma corporea, è il denaro. Il denaro è artificiale ed è viven-
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ta da Benjamin, nel libro di Landauer compare questa frase: “Sozialismus ist Umkehr.”62 L’Umkehr, il cambiamento di rotta che è anche conversione, cesura radicale, nuovo inizio, è dunque il cardine sul quale ruotano le riflessioni di Benjamin attorno alla “vera” politica. In Per la critica della violenza questa cesura storica (che non prende il nome di Umkehr) mira a fondare una “nuova epoca storica” e si articola sulla de-posizione (Entsetzung) dell’ordine mitico del diritto mediante quella che Benjamin chiama alternativamente (ed enigmaticamente) “violenza pura”, “violenza divina” o “violenza rivoluzionaria”, la cui funzione è però quella di interrompere il ciclo mitico della violenza.63 Ma un’ulteriore determinazione di questa Umkehr come “vera politica” può essere ipotizzata, ricorrendo alle note di un frammento forse contemporaneo (e quindi forse da inserire anch’esso nel contesto della Politik), il celebre “Frammento teologico-politico”.64 Il
te, il denaro genera denaro e denaro e denaro, il denaro ha tutto il potere del mondo. Chi è che non vede, chi è che ancora oggi non vede che il denaro, che il dio non è altro che uno spirito scaturito dagli uomini e divenuto cosa vivente, divenuto un mostro, che è il senso divenuto insensatezza della nostra vita? Il denaro non produce ricchezza, il denaro è ricchezza; è ricchezza per sé; non v’è altro ricco che il denaro”. La maggior parte degli interpreti (tra cui Michael Löwy e Werner Hamacher) accoglie questa seconda congettura. 62. LANDAUER, Aufruf zum Sozialismus, cit., p. 150. Cfr. Steiner, “Kapitalismus als Religion”, in Benjamin-Handbuch, cit., p. 173. 63. GS II/1, p. 202. 64. W. BENJAMIN, Theologisch-politisches Fragment, in GS II/1, pp. 203-4. I curatori delle Gesammelte Schriften hanno datato il frammento agli anni 1920-1921, seguendo la congettura di Scholem (Storia di un’amicizia, cit., p. 146) e contro l’idea iniziale di Adorno, che aveva dato il titolo al frammento e, in base a colloqui personali che aveva avuto con Benjamin, l’aveva datato al 1938 (T.W. ADORNO, Über walter Benjamin, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1990, p. 29). Il riferimento allo Spirito dell’utopia di Bloch nel primo paragrafo sembrerebbe avvallare l’ipotesi di Scholem e dei curatori.
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frammento è assai complesso e articolato, e fiumi di inchiostro sono stati versati per la sua interpretazione, ma quello che qui ci interessa è il fatto che in esso Benjamin fondi il “compito della politica mondiale” sull’edificazione dell’“ordine del profano”, e neghi ogni significato politico alla teocrazia (l’aver affermato questo sarebbe il maggior merito dello Spirito dell’utopia di Bloch). Affermando che la teocrazia non ha alcun significato politico, ma soltanto religioso, Benjamin separa la sfera del politico da quella della religione, e ci fornisce forse un’indicazione su come interpretare la via d’uscita dal capitalismo come Umkehr e “vera” politica: questa può solo essere una “politica profana”, una politica, cioè, che rompa con la logica religiosa tout court, e con quella capitalistica della colpa/debito in particolare. Inoltre l’ordine del profano, continua il frammento, “va eretto sull’idea di felicità”, e si pone dunque in completa antitesi al culto capitalista, il cui movimento è diretto invece al “raggiungimento di una condizione di disperazione cosmica”. Questa politica profana rimane però in relazione con la teologia (anche per questo si chiama “profana”): la filosofia della storia che nutre quest’idea di politica è una filosofia messianica. “L’ordine profano del profano”, scrive Benjamin, non è una categoria del regno messianico, ma rimane comunque una “categoria del suo più sommesso approssimarsi”: “infatti nella felicità tutto ciò che è terreno aspira al suo tramonto, ma solo nella felicità il tramonto è destinato a farsi trovare”. In altre parole, se l’ordine del profano non può in sé stabilire una relazione con il messianico, esso contribuisce alla venuta del regno messianico proprio nel suo essere secolare e profano. La felicità su cui si erige l’ordine del profano è “il ritmo della natura messianica”, cioè la felicità permette il compimento del tempo storico, dal momento che il regno messianico “non è la meta (Ziel), ma la fine (Ende)” della storia. Il compito della politica mondiale è ambire a un totale, messianico trapasso del saeculum, e il suo metodo, Benjamin conclude, deve chiamarsi nichilismo. 32
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Un’interpretazione contemporanea può essere avvicinata a questa lettura dell’Umkehr come “politica profana”: Giorgio Agamben ha messo “Capitalismo come religione” al centro di un suo saggio, che, senza riferimenti espliciti al “Frammento teologico-politico”, chiama “profanazione” il “compito politico della generazione che viene”. A differenza della secolarizzazione (il processo descritto da Max Weber, che ha portato alla nascita del capitalismo, o quello della teologia politica di Carl Schmitt, che deduce la sovranità dall’onnipotenza divina), la profanazione, scrive Agamben, non si limita a dislocare un concetto religioso in uno secolare lasciandone intatte le forze, ma invece “neutralizza” ciò che profana, lo disattiva per restituirlo a quello che egli definisce un nuovo “uso”, che non coincide con, anzi, è opposto a, il “consumo” che governa le nostre società. Non possiamo ulteriormente secolarizzare la religione capitalista, giacché essa è già frutto di una secolarizzazione, è già la religione secolare. La “vera” politica come politica profana dovrà piuttosto disattivare la sacralità di questa religione secolare per restituire all’uso comune il mondo che questa ha confiscato.65 5. Il messianesimo che permea la filosofia della storia e quindi la politica di Benjamin è la parte oggi meno “digeribile” della sua critica al capitalismo. Proprio in riferimento a “Capitalismo come religione”, per esempio, Norbert Bolz sostiene che la descrizione e il diagnostico di Benjamin presentano senza dubbio un grande potenziale, ma che il contesto filosofico in cui si inseriscono e soprattutto l’afflato politico-teologico che li permea sono “antiquati”.66 E nell’introduzione a una recente raccolta di “scritti politici” di
65. Cfr. G. AGAMBEN, “Elogio della profanazione”, in ID., Profanazioni, Nottetempo, Roma, 2005, pp. 83-106, in particolare p. 88. 66. N. BOLZ, “Der Kapitalismus – eine Erfindung von Theologen?”, cit., pp. 203 seg.
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Benjamin (che include “Capitalismo come religione”), Gabriele Pedullà, pur all’interno di una dovuta e necessaria chiamata a “ripoliticizzare Benjamin”, invita a renderlo, attraverso la critica, “nuovamente attuale: anche a costo di scoprire che, al di là del maggiore o minore successo di alcune formule […], gran parte delle sue ipotesi operative sono oggi inutilizzabili”.67 In fondo, come spesso viene fatto notare,68 il capitalismo descritto da Benjamin nel 1921 è assai diverso dal nostro “tardo” o “basso” capitalismo, e le sue formule eleganti ma oscure e anche un po’ vacue oggi non “servono” a molto. Questo sospetto di “inattualità” ha accompagnato la ricezione dell’opera di Benjamin almeno dagli anni Settanta, e cioè dalla celebre conferenza di Habermas per gli Ottant’anni della sua nascita, che proprio su quest’attualità si interrogava.69 Vent’anni dopo, in occasione del suo centenario, Irving Wohlfarth ha ripreso in certo modo gli argomenti di Habermas in un’ennesima chiamata a “riattualizzare” Benjamin.70 Proprio nei tanti sforzi di dimostrare o discutere “l’attualità di Walter Benjamin” – che è diventato un titolo da dare a convegni e volumi – emerge
67. G. PEDULLÀ, “Ripoliticizzare W. B.”, introduzione a BENJAMIN, Scritti politici, cit., pp. 33-34. 68. Sempre da Bolz, e, per esempio, anche da Priddat, “Deus Creditor”, cit., p. 209. 69. J. HABERMAS, “Bewußtmachende oder rettende Kritik. Zur Antualität Walter Benjamins”, in Zur Aktualität Walter Benjamins, a cura di Siegfried Unseld, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1972, pp. 173-223; trad. it. a cura di Leonardo Ceppa, “Walter Benjamin. Critica che rende coscienti o critica salvifica?”, in J. HABERMAS, Profili politico-filosofici, Guerini, Milano, 2000, pp. 199-237. La traduzione italiana non conserva nel titolo il riferimento all’“attualità” del pensiero di Benjamin, che è però il tema portante della conferenza. 70. I. WOHLFARTH, “The Measure of the Possible, the Weight of the Real and the Heat of the Moment: Benjamin’s Actuality Today”, in New Formations: A Journal of Culture/Theory/Politics, 20 (1993), numero speciale dedicato all’attualità di Walter Benjamin, pp. 1-20.
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un’ombra che dimostra, con la sua insistenza e ricorrenza, una fondamentale incertezza e finanche un disagio. Certo, gli studi benjaminiani sono ormai diventatati una vera e propria industria, e “Capitalismo come religione” in particolare ha conosciuto negli ultimi anni una rinnovata fortuna critica; e tuttavia anche chi vi trova, come Burkhardt Lindner, “un’ipotesi euristica feconda e pregna di attualità (aktualisierungsfähig)”,71 o, come Michael Löwy, una “étonnante actualité”,72 rischia, come Pedullà, Habermas e Wohlfarth, di conflare e confondere “attualità” e “utilizzabilità”. Questa confusione rientra pienamente nella logica di quell’“utilitarismo” che, per Benjamin, proprio dal culto capitalistico riceve la sua connotazione religiosa, sacrale, e a cui oggi non sfugge nemmeno la critica letteraria o filosofica. Non è qui che va cercata l’attualità di Benjamin e di “Capitalismo come religione”. Negli anni Trenta Benjamin avrebbe sviluppato un metodo per il suo lavoro, rimasto incompiuto, sulla “preistoria della tarda modernità”, a cui è stato dato il titolo postumo I passaggi di Parigi. Questo metodo, che si desume in gran parte dalle note frammentarie della sezione N dello schedario che ci è rimasto, si fonda proprio sul concetto di attualità, che però ha per Benjamin un significato ben particolare. Le immagini su cui si fonda la ricerca dello storico, scrive Benjamin, sono caratterizzate da un “indice storico”, il che significa che giungono a “leggibilità” (Lesbarkeit) solo in un determinato momento storico; la loro “riconoscibilità” (Erkennbarkeit) si inserisce cioè in una costellazione temporale, per cui il passato subisce una sorta di “teléscopage” attraverso il presente, ed è in questo modo reso “attuale”.73 Interrogarsi sull’“attualità” di Benjamin significa
71. B. LINDNER, “Der 11.9.2001 oder Kapitalismus als Religion”, cit., p. 214. 72. LÖWY, “Le capitalisme comme religion”, cit., p. 203. 73. Cfr. GS V/1, pp. 577-78, 588, note N3,1, N7a,3.
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adottare questo metodo riguardo ai suoi stessi scritti, significa leggerlo come lui voleva leggere la storia, significa adottare la sua “politica” ermeneutica riguardo ai suoi stessi testi. Certo il nostro capitalismo non è esattamente quello che Benjamin aveva davanti agli occhi, e senza dubbio il suo pensiero non aderisce interamente alla logica e all’orizzonte del nostro tempo, e in questo stanno, se proprio si vuole, la sua “inattualità” e quella di “Capitalismo come religione”. Ma proprio questa non aderenza, questa sfasatura culturale e temporale, consentono al suo tempo e al nostro di formare una “costellazione”, permettono al suo frammento di rompere il continuum dell’orizzonte del nostro tempo, e di aprire una via al pensiero. Il frammento benjaminiano, proprio grazie a questa sfasatura, è giunto oggi al suo momento di leggibilità, e sta alla nostra lettura, al nostro atto interpretativo, il compito di “riconoscerlo”, di “attualizzarlo”: questo significa riuscire a pensare oggi, per il nostro tempo, la necessità dell’Umkehr. A differenza del 1921, al capitalismo non esistono oggi alternative storiche. Dal dissolvimento del blocco socialista e dalla trasformazione del modello cinese in capitalismo di stato, il capitalismo, scrive Stefano Franchini, è ormai il nostro “orizzonte indiscutibile, ultimo e chiuso, insuperabile, che trascende il reale in quanto, a sua volta, impossibile da trascendere anche solo nel pensiero: humus vitale omogeneo, milieu privo di alterità, ordine del discorso dominante, unica utopia residua che si autoalimenta, esclusivo oggetto di venerazione”.74 Esso è la nostra religione perché in esso la nostra società “crede” (nel senso religioso del termine), “crede che esso sia il proprio destino. E crede che sia l’unica chance di plasmare il proprio destino”.75 Il “culto” capi-
74. S. FRANCHINI, “Le metamorfosi della divinità e le figure del capitale. Bozzetto di teologia economica”, introduzione a JONGEN (a cura di), Il capitalismo divino, cit., pp. 10-11. 75. D. BAECKER, “Einleitung”, in BAECKER (a cura di), Kapitalismus als Religion, cit., p. 7.
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talista informa oggi ogni aspetto della vita individuale, sociale, politica; i suoi riti, il suo fasto sacrale, i suoi idoli (la pubblicità, la moda, il marketing, il consumo) sono l’unica promessa di salvezza che la nostra società conosca, promessa che solo conduce a un’infinita e necessaria frustrazione, e non è quindi che disperazione. Il dogma utilitarista di un’economia pienamente naturalizzata si è imposto in ogni campo del produrre, del vivere, del sapere. Inoltre la logica del debito, ormai svincolata dalle connotazioni di classe che ancora presentava nel ventesimo secolo, è diventata la logica che sostiene e guida l’esistenza non solo di individui, famiglie, intere classi sociali, ma anche di ogni organizzazione economica e industriale, di stati sovrani e di organizzazioni sovrastatali, che sotto il peso del debito fanno default. La crisi permanente degli ultimi anni è una crisi di continuo e inestinguibile indebitamento, ma anche una crisi delle strutture etiche e morali che, alla precedente contaminazione tra etica e diritto, sostituisce quella tra etica ed economia. Il debito come colpa non solo elimina ogni aspirazione politica alla “felicità”, ma nella sua inestinguibilità abolisce ogni futuro in cui il debito e la colpa possano essere saldati. Oggi il capitalismo sembra improfanabile. L’idea di un’Umkehr, e cioè riuscire a pensare una via d’uscita dalla logica e dall’orizzonte religiosi che ci determinano, riuscire a pensare una politica profana e che profani la religione capitalistica, è il compito, non attuale, ma assolutamente necessario del nostro tempo.
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Im Kapitalismus ist eine Religion zu erblicken, d.h. der Kapitalismus dient essentiell der Befriedigung derselben Sorgen, Qualen, Unruhen, auf die ehemals die so genannten Religionen Antwort gaben. Der Nachweis dieser religiösen Struktur des Kapitalismus, nicht nur, wie Weber meint, als eines religiös bedingten Gebildes, sondern als einer essentiell religiösen Erscheinung, würde heute noch auf den Abweg einer maßlosen Universalpolemik führen. Wir können das Netz in dem wir stehen nicht zuziehn. Später wird dies jedoch überblickt werden. Drei Züge jedoch sind schon der Gegenwart an dieser religiösen Struktur des Kapitalismus erkennbar. Erstens ist der Kapitalismus eine reine Kultreligion, vielleicht die extremste, die es je gegeben hat. Es hat in ihm alles nur unmittelbar mit Beziehung auf den Kultus Bedeutung, er kennt keine spezielle Dogmatik, keine Theologie. Der Utilitarismus gewinnt unter diesem Gesichtspunkt seine religiöse Färbung. Mit dieser Konkretion des Kultus hängt ein zweiter Zug des Kapitalismus zusammen: die permanente Dauer des 40
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Nel capitalismo va scorta una religione, vale a dire, il capitalismo serve essenzialmente all’appagamento delle stesse ansie, pene e inquietudini alle quali un tempo davano risposta le cosiddette religioni. La prova di questa struttura religiosa del capitalismo – non solo, come intende Weber, come una formazione condizionata dalla religione, ma piuttosto come un fenomeno essenzialmente religioso – condurrebbe ancora oggi nella falsa direzione di una smisurata polemica universale. Non possiamo serrare la rete nella quale ci troviamo. In futuro, tuttavia, ne avremo una visione d’insieme. Già nel momento presente possiamo però riconoscere tre aspetti di questa struttura religiosa del capitalismo. In primo luogo il capitalismo è una religione puramente cultuale, forse la più estrema che si sia mai data. In esso nulla ha significato se non in una relazione immediata con il culto; esso non presenta alcuna particolare dogmatica, alcuna teologia. L’utilitarismo acquista, in questa prospettiva, la sua tonalità religiosa. Un secondo aspetto del capitalismo è connesso a questa concrezione del culto: la durata permanente del 41
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Kultus. Der Kapitalismus ist die Zelebrierung eines Kultes sans rêve et sans merci. Es gibt da keinen „Wochentag“ keinen Tag der nicht Festtag in dem fürchterlichen Sinne der Entfaltung allen sakralen Pompes der äußersten Anspannung des Verehrenden wäre. Dieser Kultus ist zum dritten verschuldend. Der Kapitalismus ist vermutlich der erste Fall eines nicht entsühnenden, sondern verschuldenden Kultus. Hierin steht dieses Religionssystem im Sturz einer ungeheuren Bewegung. Ein ungeheures Schuldbewußtsein das sich nicht zu entsühnen weiß, greift zum Kultus, um in ihm diese Schuld nicht zu sühnen, sondern universal zu machen, dem Bewußtsein sie einzuhämmern und endlich und vor allem den Gott selbst in diese Schuld einzubegreifen um endlich ihn selbst an der Entsühnung zu interessieren. Diese ist hier also nicht im Kultus selbst zu erwarten, noch auch in der Reformation dieser Religion, die an etwas Sicheres in ihr sich müßte halten können, noch in der Absage an sie. Es liegt im Wesen dieser religiösen Bewegung, welche der Kapitalismus ist das Aushalten bis ans Ende bis an die endliche völlige Verschuldung Gottes, den erreichten Weltzustand der Verzweiflung auf die gerade noch gehofft wird. Darin liegt das historisch Unerhörte des Kapitalismus, daß Religion nicht mehr Reform des Seins sondern dessen Zertrümmerung ist. Die Ausweitung der Verzweiflung zum religiösen Weltzustand aus dem die Heilung zu erwarten sei. Gottes Transzendenz ist gefallen. Aber er ist nicht tot, er ist ins Menschenschicksal einbezogen. 42
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culto. Il capitalismo è la celebrazione di un culto sans [t]rêve et sans merci.1 Non esistono “giorni feriali”, non c’è alcun giorno che non sia festivo, nel senso terribile del dispiegamento di tutta la pompa sacrale, dell’estrema tensione che abita l’adoratore. Questo culto è, in terzo luogo, colpevolizzante/indebitante. Il capitalismo è presumibilmente il primo caso di un culto che non espia il peccato, ma crea colpa/debito. In ciò questo sistema religioso è preso nel gorgo di un movimento spaventoso. Una coscienza spaventosamente colpevole, che non sa come espiare, si afferra al culto, non per espiare in esso questa colpa/debito, ma per renderla universale, per conficcarla a forza nella coscienza e, infine e sopra ogni cosa, per implicare Dio stesso in questa colpa/debito, al fine di suscitare in Lui stesso interesse per l’espiazione. Questa espiazione non ce la si può attendere dal culto stesso, ma nemmeno dalla riforma di questa religione (che dovrebbe potersi basare su qualcosa di certo in essa) o dalla sua abiura. L’essenza di questo movimento religioso che è il capitalismo implica perseveranza fino alla fine, fino all’ultima e completa colpevolizzazione/indebitamento di Dio, fino al raggiungimento di una condizione di disperazione cosmica in cui proprio ancora si spera. Qui sta ciò che nel capitalismo è senza precedenti: che la religione non è più riforma dell’essere, ma la sua completa rovina. L’estensione della disperazione a condizione religiosa cosmica dalla quale ci si attende la salvezza. La trascendenza di Dio è venuta meno. Ma Egli non è morto, è stato incluso nel destino umano. Questo transitare del pianeta Uomo per la casa della 43
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Dieser Durchgang des Planeten Mensch durch das Haus der Verzweiflung in der absoluten Einsamkeit seiner Bahn ist das Ethos das Nietzsche bestimmt. Dieser Mensch ist der Übermensch, der erste der die kapitalistische Religion erkennend zu erfüllen beginnt. Ihr vierter Zug ist, daß ihr Gott verheimlicht werden muß, erst im Zenith seiner Verschuldung angesprochen werden darf. Der Kultus wird von einer ungereiften Gottheit zelebriert, jede Vorstellung, jeder Gedanke an sie verletzt das Geheimnis ihrer Reife. Die Freudsche Theorie gehört auch zur Priesterherrschaft von diesem Kult. Sie ist ganz kapitalistisch gedacht. Das Verdrängte, die sündige Vorstellung, ist aus tiefster, noch zu durchleuchtender Analogie das Kapital, welches die Hölle des Unbewußten verzinst. Der Typus des kapitalistischen religiösen Denkens findet sich großartig in der Philosophie Nietzsches ausgesprochen. Der Gedanke des Übermenschen verlegt den apokalyptischen „Sprung“ nicht in die Umkehr, Sühne, Reinigung, Buße, sondern in die scheinbar stetige, in der letzten Spanne aber sprengende, diskontinuierliche Steigerung. Daher sind Steigerung und Entwicklung im Sinne des „non facit saltum“ unvereinbar. Der Übermensch ist der ohne Umkehr angelangte, der durch den Himmel durchgewachsne, historische Mensch. Diese Sprengung des Himmels durch gesteigerte Menschhaftigkeit, die religiös (auch für Nietzsche) Verschuldung ist und bleibt[,] hat Nietzsche prjudiziert. Und ähnlich 44
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disperazione, nell’assoluta solitudine della sua traiettoria, è l’ethos che Nietzsche determina. Quest’uomo è l’Übermensch, il primo che inizia coscientemente a realizzare la religione capitalista. Il suo quarto aspetto è che il suo Dio deve essere occultato, che non sarà permesso rivolgersi a Lui se non allo zenit della sua colpevolizzazione/indebitamento. Il culto viene celebrato davanti a una divinità immatura, ogni rappresentazione, ogni pensiero rivolto a questa divinità viola il segreto della sua maturità. Anche la teoria freudiana appartiene al dominio sacerdotale di questo culto. La sua concezione è interamente capitalistica. Per una profonda analogia che resta ancora da illuminare, il represso, la rappresentazione peccaminosa, è il capitale, su cui l’inferno dell’inconscio paga gli interessi. Il tipo di pensiero religioso capitalistico trova un’espressione grandiosa nella filosofia di Nietzsche. Il pensiero dell’Übermensch traspone il “balzo” apocalittico non nel cambiamento di rotta, nell’espiazione, nella purificazione e nella penitenza, ma in un potenziamento in apparenza continuo, ma che alla fine esplode in discontinuità. Pertanto potenziamento ed evoluzione nel senso di “non facit saltum” sono incompatibili. L’Übermensch è l’uomo storico che è giunto alla meta senza invertire il suo cammino, dopo esser cresciuto attraversando il cielo. Nietzsche ha pre-giudicato quest’esplosione del cielo per mezzo del potenziamento dell’umano,2 che è e rimane (anche per Nietzsche) colpevolizzazione/indebitamento religioso. E lo stesso vale per Marx: il capitalismo che non cam45
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Marx: der nicht umkehrende Kapitalismus wird mit Zins und Zinseszins, als welche Funktion der Schuld (siehe die dämonische Zweideutigkeit dieses Begriffs) sind, Sozialismus. Kapitalismus ist eine Religion aus bloßem Kult, ohne Dogma. Der Kapitalismus hat sich – wie nicht allein im Calvinismus, sondern auch an den übrigen orthodoxen christlichen Richtungen zu erweisen sein muss, auf dem Christentum parasitär im Abendland entwickelt, dergestalt dass zuletzt im wesentlichen seine Geschichte die eines Parasiten, des Kapitalismus ist. Vergleich zwischen den Heiligenbildern verschiedener Religionen einerseits und den Banknoten verschiedener Staaten andererseits. Der Geist, der aus der Ornamentik der Banknoten spricht. Kapitalismus und Recht. Heidnischer Charakter des Rechts Sorel Réflexions sur la violence p 262 Überwindung des Kapitalismus durch Wanderung Unger Politik und Metaphysik S 44 Fuchs: Struktur der kapitalistischen Gesellschaft o. ä. Max Weber: Ges. Aufsätze zur Religionssoziologie 2 Bd 1919/20 Ernst Troeltsch: Die Soziallehren der chr. Kirchen und Gruppen (Ges. W. I 1912) Siehe vor allem die Schönbergsche Literaturangabe unter II Landauer: Aufruf zum Sozialismus p 144 Die Sorgen: eine Geisteskrankheit, die der kapita46
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bia rotta diventa socialismo con interessi semplici e composti, che sono funzione del debito/colpa (si veda la demoniaca ambiguità di questo concetto). Il capitalismo è una religione di puro culto, senza dogma.3 Il capitalismo si è sviluppato in occidente come parassita del cristianesimo – come dev’essere dimostrato non solo nel calvinismo, ma anche nelle altre correnti cristiane ortodosse – in modo tale che, in ultima istanza, la storia del cristianesimo è essenzialmente quella del suo parassita, il capitalismo. Confronto tra le immagini sacre di diverse religioni da un lato e, dall’altro, le banconote di diversi stati. Lo spirito che parla dall’apparato ornamentale delle banconote. Capitalismo e diritto. Carattere pagano del diritto Sorel, Réflexions sur la violence p. 2624 Superamento del capitalismo per mezzo della migrazione Unger, Politik und Metaphysik p. 445 Fuchs: Struktur der kapitalistische Gesellschaft o qualcosa del genere6 Max Weber: Ges.[ammelte] Aufsätze sur Religionssoziologie 2 vol. 1919/20 7 Ernst Troeltsch: Die Soziallehren der chr. [istlichen] Kirchen und Gruppen (Ges.[ammelte] W.[erke] I 1912) 8 Vedi innanzi tutto le indicazioni bibliografiche di Schönberg, II 9 Landauer: Aufruf zum Sozialismus p. 144 10 Le inquietudini: una malattia dello spirito propria dell’epoca capitalista. Spirituale (non materiale) man47
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listischen Epoche eignet. Geistige (nicht materielle) Ausweglosigkeit in Armut, Vaganten- Bettel- Mönchtum. Ein Zustand der so ausweglos ist, ist verschuldend. Die »Sorgen« sind der Index dieses Schuldbewußtseins von Ausweglosigkeit. Die »Sorgen« entstehen in der Angst gemeinschaftmäßiger, nicht individuell-materieller Ausweglosigkeit. Das Christentum zur Reformationzeit hat nicht das Aufkommen des Kapitalismus begünstigt, sondern es hat sich in den Kapitalismus umgewandelt. Metodisch wäre zunächst zu untersuchen, welche Verbindungen mit dem Mythos je im Laufe der Geschichte das Geld eingegangen ist, bis es aus dem Christentum soviel mytische Elemente an sich ziehen konnte, um den eignen Mythos zu konstituieren. Wergeld / Thesaurus der Guten Werke / Gehalt der dem Priester geschuldet wird Plutos als Gott des Reichtums Adam Müller: Reden über die Beredsamkeit 1816 S 56ff Zusammenhang des Dogmas von der auflösenden, uns in dieser Eigenschaft zugleich erlösenden und tötenden Natur des Wissens, mit dem Kapitalismus: die Bilanz als das erlösende und erledigende Wissen. Es trägt zur Erkenntnis des Kapitalismus als einer Religion bei, sich zu vergegenwärtigen, daß das ursprüngliche Heidentum sicherlich zu allernächst die Religion nicht als ein »höheres« »moralisches« Interesse, sondern als das unmittelbarste praktische gefaßt hat, daß es sich mit andern Worten ebensowenig 48
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canza di vie d’uscita nella povertà, monachesimo errante e mendicante. Una condizione che è a tal punto senza vie d’uscita, è colpevolizzante/indebitante. Le “inquietudini” sono l’indice di questa colpevole coscienza di assenza di vie d’uscita. Le “inquietudini” nascono nell’angoscia per l’assenza di vie d’uscita che pertiene alla comunità, e non è individuale-materiale. Il cristianesimo dell’epoca della Riforma non ha favorito il sorgere del capitalismo, ma si è esso stesso trasformato nel capitalismo. Dal punto di vista metodologico si dovrebbe anzitutto analizzare quali connessioni il denaro ha stabilito con il mito nel corso della storia, finché non è arrivato a ricavare dal cristianesimo così tanti elementi mitici da poter costituire il proprio mito. Guidrigildo 11 / thesaurus delle buone opere / retribuzione che è dovuta al prete. Plutone come dio della ricchezza 12 Adam Müller: Reden über die Beredsamkeit 1816 p. 56 seg.13 Rapporto tra il dogma della natura risolutoria della conoscenza, che in questa sua qualità è per noi al contempo assolutoria e mortale, con il capitalismo: il bilancio come conoscenza che [a un tempo] assolve e liquida. Contributo alla comprensione del capitalismo come una religione è il tenere a mente che il paganesimo originario sicuramente ha concepito la religione in primo luogo non come un interesse “morale” “più elevato”, ma come quello più immediatamente pratico; in altre parole, che, come il capitalismo odierno, esso non 49
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wie der heutige Kapitalismus über seine »ideale« oder »transzendente« Natur im klaren gewesen ist, vielmehr im irreligiösen oder andersgläubigen Individuum seiner Gemeinschaft genau in dem Sinne ein untrügliches Mitglied derselben sah, wie das heutige Bürgertum in seinen nicht erwerbenden Angehörigen.
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aveva piena coscienza della sua natura “ideale” o “trascendente”, ma anzi considerava l’individuo non religioso o con credenze diverse come membro assolutamente certo14 della sua comunità, proprio nel senso in cui la borghesia odierna considera i propri appartenenti che non guadagnano denaro.
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NOTE
1. Le edizioni e traduzioni più recenti accettano la lettura trêve rispetto a rêve, spesso senza spiegazioni e commenti, quindi così la riportiamo. 2. Come fa notare Massimo Palma, (“Benjamin scrittore politico”, postfazione a Benjamin, Scritti politici, cit., p. 348), Menschhaftigkeit, che qui traduciamo come “l’umano”, è una costruzione per lo meno singolare: a differenza di Menschheit, costruito sul sostantivo Mensch (essere umano), e di Menschlichkeit, costruito sull’aggettivo menschlich (umano nel senso di “appartenente all’umano”), esso è costruito sull’aggettivo (assai raro) menschhaft, in cui il suffisso -haft allude a un’adesione o a una presa in carico del fatto di essere umani. 3. Con questa frase inizia la seconda parte del frammento. 4. Nel contemporaneo Per la critica della violenza Benjamin cita la seguente edizione: G. SOREL, Réflexions sur la violence, quinta edizione, Marcel Rivière et Cie, Paris, 1919; trad. it. Maria Grazia Meriggi, Riflessioni sulla violenza, BUR, Milano, 1997, pp. 217-18. 5. E. UNGER, Politik und Metaphysik, David Verlag, Berlin, 1921; trad. it. a cura di Paolo Primi, Politica e metafisica, Cronopio, Napoli, 2009, pp. 86-87. 6. B. A. FUCHS, Der Geist der bürgerlich-kapitalistischen Gesellschaft. Eine Untersuchung über seine Grundlagen und Voraussetzungen, R. Oldenbourg, Berlin-München, 1914. 7. M. WEBER, Gesammelte Aufsätze zur Soziologie der Religion, 3 voll., Mohr, Tübingen, 1920; trad. it. a cura di Chiara Sebastiani e Franco Ferrarotti, Sociologia delle Religioni, 2 voll., Utet, Torino, 1976. Uwe Steiner fa notare che l’opera è stata pubblicata in 3 volumi nel 1920-1921, e non in 2 volumi nel 1919-1920, come scrive Benjamin; ipotizza dunque che, al momento della stesura del frammento, fossero apparsi solo i primi due volumi (“Kapitalismus als Religion: Anmerkungen zu einem Fragment Walter Benjamins”, cit., p. 150). Per Stefano Franchini (Il capitalismo divino, cit., p. 123, nota 20) il rimando sarebbe invece al secondo volume, e tut-
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tavia il secondo volume si occupa di induismo e buddismo, e quindi il rimando a questo volume non avrebbe molto senso. 8. E. TROELTSCH, Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, Gesammelte Schriften, vol. 1, Scientia Aalen, Tübingen, 1912; trad. it. Giovanni Sanna, Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze, 1969. 9. Probabilmente G. VON SCHÖNBERG (a cura di), Handbuch der politischen Ökonomie, 3 voll., Laupp, Tübingen, 1885-1886; trad. it. a cura di Ludovico Eusebio e Gerolamo Boccardo, Manuale di economia politica, 5 voll., Utet, Torino, 1887. Il secondo volume, quello indicato da Benjamin, si occupa di economia politica. Gianluca Solla (in Teologia politica 1, cit., p. 21) ritiene che Benjamin rimandi al secondo capitolo, e non volume, ma non si vedrebbe di quale volume, e i capitoli inoltre non presentano una bibliografia specifica. 10. G. LANDAUER, Aufruf zum Sozialismus. Ein Vortrag (Appello al Socialismo. Un discorso), Verlag des Sozialistischen Bundes, Berlin, 1911. 11. L’etimologia di Wergeld, noto in latino come weregildus o compositio, lo considera un composto di wider (di contro, in cambio di) e geld (denaro, pagamento). Uwe Steiner (“Kapitalismus als Religion”, in Benjamin-Handbuch, cit., p. 169) nota che l’analisi di Georg Simmel in Philosophie des Geldes prende le mosse proprio dal Wergeld e, visto anche che Benjamin si era mosso nel circolo di Simmel quando era uno studente a Berlino, questa nota potrebbe essere un riferimento implicito all’opera di Simmel. Cfr. G. SIMMEL, Philosophie des Geldes, Duncker & Humboldt Verlag, Berlino, 1900; trad. it. Alessandro Cavalli, Renate Liebhart e Lucio Perucchi, Filosofia del denaro, Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1984. 12. Secondo Uwe Steiner (“Die Grenzen des Kapitalismus”, cit., p. 40) la fonte di questo appunto potrebbe essere il Faust (parte seconda) di Goethe, verso 5569. 13. A.H. MÜLLER, Zwölf Reden über die Beredsamkeit und deren Verfall in Deutschland (Dodici discorsi sull’eloquenza e sulla sua decadenza in Germania), a cura di Arthur Salz, Drei Masken Verlag, München, 1920. 14. Nella loro traduzione francese (BENJAMIN, Fragments, cit., p. 284, nota 123), Christophe Jouanlanne e Jean-François Poirier sostengono che il termine untrüglich (“infallibile”, ma in questo contesto “su cui non si può dubitare”) è probabilmente un errore di interpretazione dei curatori, e propongono invece di leggere untüchtig (incapace), per cui, nella loro traduzione, la frase suona: “ma anzi considerava l’individuo non religioso o con credenze diverse come membro incapace della sua comunità”. Il primo significato sembra però avere più senso quando si considerano le quattro caratteristiche del capitalismo che Benjamin elenca.
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