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Italian Pages 209 Year 2010
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Giorgio leranò
ARIANNA Storia di un mito
Carocci editore
Il volume fa parte della serie "Le tradizioni del mito" diretta da Massimo Fusillo e Davide Susanetti.
Elettra
In preparazione:
Guido Paduano Edipo
ristampa. luglio 2018 2' edizione riveduta. ottobre 2010 l' edizione. ""Studi superiori"". 2007 © copyright 2010 by Carocci editore S.p.A Roma l'
.•
ISBN
978·88·430·5553·1
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Prologo
9
I.
La Signora del labirinto
I.I.
!.4.
I misteri dell'isola L'enigma del labirinto La danza di Dedalo Purissima e luminosa
2.
La sposa di Dioniso
47
2.!.
47 52
2.4.
Un dio ambiguo L'assassinio di Arianna La tomba di Arianna e il Dioniso cretese Un matrimonio felice
3·
In viaggio con Teseo
3·!.
Le astuzie di una principessa Un playboy mitologico Da N asso a Delo Arianna-Afrodite
!.2. !.3.
2.2. 2.3.
3.2. 3-3· 3·4·
I5 I5 24 32 37
7
64 73
I IO I20
4·
Abbandonata sulla riva
129
4· 1 . 4.2. 4·3·
Idilli e pantomime I l lamento d i Arianna Tra paganesirno e cristianesimo
129 1 40 155
5·
Apoteosi e ritorno
1 67
5· 1 . 5.2. 5·3·
Il trionfo di Arianna «Lasciatemi morire» Nei labirinti del Novecento
1 67 1 75 1 84
Epilogo
203
Nota bibliografica
2 07
8
Prologo
Era partito sotto falso nome, in piena notte, come un fuggiasco. Per due mesi non si era fermato mai a lungo , sebbene avesse sfiora to luoghi incantevoli e intravisto donne di straordinaria bellezza. Ma ora aveva raggiunto la meta del suo viaggio. Una sera d'autun no, venendo dalla via Flaminia, si era ritrovato in piazza del Popo lo, e aveva sentito nel cuore una strana felicità: vedeva quel luogo per la prima volta, ma gli parve di essere tornato nella sua vera casa. Era il 29 ottobre 1 7 8 6 : a trentasette anni, Johann Wolfgang Goethe coronava il sogno di visitare Roma. Nel paesaggio che lo circondava, ritrovava i segni dell'antico, ma non come materia iner te, come scartafacci polverosi riservati alla curiosità degli eruditi. Li vedeva incastonati nella vita tumultuosa della città papalina, mesco lati all'ebbrezza pagana di quel carnevale romano a cui dedica mol te pagine della sua Italienische Reise. Per Goethe, il viaggio in Italia è la riscoperta dell'antico come forza vitale, come linguaggio della vita. A Palermo, nell'aprile del 1 7 8 7 , avrà una rivelazione. Visitan do un giardino sulla riva del mare, lo troverà «il più meraviglioso angolo di questa terra. Concepito sopra un disegno normale, ha tuttavia qualcosa di fiabesco; piantato da poco tempo, ci trasporta nel mondo antico». Le piante esotiche, i filari di «alberi strani», l'azzurra vaporosità del cielo , rammentano al poeta il favoloso giar dino dei Feaci, la terra felice del re Alcinoo, cantata da Omero. Corre quindi a procurarsi una copia dell' Odissea , per leggere avida mente il v r canto, quello in cui il naufrago Odisseo sbarca nell'isola dei Feaci: più tardi lo tradurrà anche in tedesco, quasi per gustarlo meglio, e più a fondo. «L'impressione di quel giardino incantato m'era rimasta troppo profondamente scolpita nell'anima; le onde di un celeste cupo nell'orizzonte a nord, che lottavano per penetrare nell'insenatura del golfo , lo stesso odore tutto particolare del mare
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vaporante, tutto mi richiamava alla mente non meno che ai sensi l'i sola beata dei Feaci» ' . L a mente, m a anche i sensi. È questa quasi fisica capacità di " sen tire " l'antico che fa nascere in Goethe l'ispirazione. La sensuale me moria di quel primaverile giardino palermitano farà infatti maturare in lui l'idea di scrivere una tragedia dedicata a Nausicaa, la princi pessa dei Feaci, vittima di un amore infelice per il navigatore Odis seo. Il quale, dopo averla illusa con ambigue promesse, riprenderà il mare verso ltaca, abbandonando la giovane principessa. Nausicaa, de solata, non potrà fare altro che uccidersi. Il progetto originario, così delineato nell'Italienische Reise, subirà poi alcuni mutamenti, e la tra gedia resterà comunque incompiuta 2• Alle misteriose alchimie dell'a more, e alla quiete sconvolta di un altro regno incantato, il parco che circonda la casa di Ottilia ed Edoardo, Goethe dedicherà poi un'ope ra di ben più ampio respiro, la poderosa geometria delle Affinità elet tive. Ma intanto, in quei giorni palermitani, la memoria di un'antica fanciulla abbandonata da un eroe viaggiatore si era scolpita nella sua mente. E, solo poco tempo prima di arrivare a Palermo, aveva visto ad Agrigento un sarcofago, da lui giudicato magnifico, ove era effigia ta la storia di Fedra, principessa di un altro regno oltremarino, la Creta del re Minasse. La memoria dell'antico, dunque, si fondeva naturalmente con l'in canto dei luoghi e le suggestioni del presente. La lezione dei poeti greci e latini non doveva essere filtrata da un atteggiamento libresco, ma temprata nel fuoco della vita. Il soggiorno italiano di Goethe pro durrà un'altra opera mirabile, le Elegie Romane, che riadattano alla lingua tedesca il distico elegiaco dei poeti erotici latini. Il dodicesimo di questi componimenti si apre con una visita di Eros, der Schalk, il piccolo farabutto, al poeta. Goethe giace nel letto con la sua Fau stina, l'eroina amorosa delle Elegie Romane, forse figura di una delle cortigiane frequentate in quegli anni, in cui si mescola comunque an che il ricordo dell'amata Christian e Vulpius, che lo attende in Ger mania 3, Mentre Faustina sta ancora dormendo, Eros ricorda al poeta che tutte le rovine, tutti i luoghi sacri che ha visitato a Roma, tutte le r. J. W. Goethe, Viaggzo in Italia , traduzione di Eugenio Zaniboni, Milano 1 9 9 1 , p p . 245·6. 2 . Per la gestazione e tutta la vicenda di quest'opera incompiuta rimando a J. W. Goethe, Nausicaa, a cura di S. Fornaro, Venosa 1 994. 3· Per i dettagli sul soggiorno di Goethe a Roma si può vedere R. Zapperi, Una vita in incognito, Torino 2000. La traduzione delle Elegie Romane adottata nelle pagi ne che seguono è quella di Roberto Fertonani.
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PROLOGO
forme della bellezza che egli tanto ammira nell'opera degli antichi, sono in realtà una sua creazione. È lui, Eros, il signore di ogni arte: lo, il maestro, sono giovane in eterno e amo i giovani . Non ti amo con la saggezza dei vecchi ! Animo, intendimi bene. L'antico era ancora nuovo quando quei felici vivevano. Vivi felice, e vivrà in te il passato.
«War das Antike doch neu, da jene gliickliche lebten . . . ». Bisogna ri scoprire l'antico nella sua novità, riviverlo nella felicità. Ancora una volta la lezione dei poeti di un tempo è filtrata dall'esperienza della vita. Catullo e Ovidio, Tibullo e Properzio non hanno cantato per gli eruditi. Così Goethe si fa eroe di un amore antico e nuovo al tempo stesso, ritraendosi nella XII elegia al fianco di Faustina, legittima erede di Lesbia e di Cinzia, che, ancora addormentata, appoggia la sua te sta riccioluta sul braccio del poeta. Celebra l'incanto di osservare il sonno della sua amante. Ma Faustina infine si approssima al risveglio. I suoi occhi divini, «die himmlische Augen», si aprono. E l'Elegia XII si conclude nell'atmosfera sospesa di questi versi: Maestose le forme, nobilmente disposte le membra . Se così bella era Arianna nel sonno potevi, Teseo, fuggire? Un solo bacio a queste labbra ! O Teseo, allontanati ! Guardala negli occhi, si sveglia ! - Ti tiene stretto in eterno.
Faustina, dunque, è qui paragonata ad Arianna. La cui storia, nella versione ormai diventata canonica, era ben nota a tutti i lettori di Goethe. Arianna, figlia del re Minasse, scappa dalla natia Creta con Teseo, dopo averlo aiutato a uscire dal labirinto di Cnosso porgendo gli il filo del suo gomitolo. Ma l'eroe ateniese l'abbandona nell'isola di Nasso: fugge silenziosamente con la sua nave, mentre la principes sa è addormentata sulla spiaggia. Al suo risveglio, Arianna troverà il dio Dioniso, pronto a sposarla e a consolarla della sua disperazione con la promessa di una vita impareggiabile. Questa era la versione più nota del mito, consacrata dalla letteratura, dalla pittura, dalla mu sica. Goethe riprende la storia tradizionale di Arianna, ammiccando ancora una volta alla memoria degli antichi poeti erotici. C'è, nei suoi versi, il ricordo di Properzio che, nella III elegia del I libro, paragona va il sonno di Cinzia a quello di Arianna abbandonata sulla spiaggia di N asso, mentre la nave di Teseo svaniva all'orizzonte 4• Ma c'è an4 · Sulle imitazioni goethiane di Properzio cfr. G. Herwig-Hager, Goethes Pro perzbegegnung, in H. Flashar, K. Gaiser (hrsg.), Synusia, Pfullingen 1 965 , pp. 429-5 3 .
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che il ricordo di quella serie infinita di immagini pittoriche che, fin dall'antichità, tramandavano, ripetendolo all'infinito, il sonno di Arianna, declinando in mille pose l'immagine della giovane fanciulla inconsapevole, con gli occhi chiusi davanti al destino del suo abban dono. E c'è forse, infine, la suggestione dei molti quadri in cui la se ducente pittrice Angelica Kauffmann, complice intelligente e intima amica di Goethe nei giorni romani, immortalò l'Arianna dormiente. Ma Goethe imprime alla favola antica una geniale variazione. Con una imprevedibile torsione del mito, la sua Arianna si sveglia. Apre gli occhi, mentre Teseo si sta allontanando. E lo incatena in eterno (ewig) con la magia del suo sguardo, lo immobilizza nell'incanto d'a more, lo sottrae al suo destino mitico, al suo ritorno solitario ad Ate ne: «Guardala negli occhi, si sveglia ! - Ti tiene stretto in eterno» («Blick ihr ins Auge. Sie wacht ! - Ewig nun halt sie dich fest» ) . È come se tutte le Arianne addormentatesi nella lunga storia della pittu ra europea si ridestassero nei loro quadri. Il mito antico torna a farsi attuale, si cala nella vita quotidiana di una coppia di amanti moderni. Il paesaggio leggendario dell'isola di Nasso si intreccia con la prosai ca cameretta in cui il poeta tedesco celebra il suo amore con Fau stina. Ma tutto si trasforma. Arianna apre gli occhi, e la sua immobi lità si trasferisce paradossalmente alla figura di Teseo, l'eterno vaga bondo. Il genio di Goethe dunque rinnova il mito. E, così facendo, ci ricorda che i miti, da sempre, sono fatti per essere rinnovati. Le sto rie degli eroi antichi non sono affidate a un testo immobile, a una versione unica e immodificabile. Già ai primordi della civiltà greca le narrazioni mitiche, perpetuate dalla fluidità del racconto orale, cono scevano trasformazioni e variazioni, si ramificavano in versioni sempre diverse e a volte contraddittorie. A questa originaria fluidità, i poeti letterati non hanno sottratto nulla: possono avere aggiunto, semmai, soltanto il gusto per le invenzioni, la passione per l'originalità, il di letto della sorpresa. Goethe non è dunque altro che l'epigono, da questo punto di vista, di una lunga sequela di racconti mitici in cui la storia di Arianna è stata sovente declinata secondo modalità diverse. Nelle Elegie Romane egli si diverte con un'elegante variazione sul motivo dell'Arianna abbandonata mentre dorme. Ma, come già si è accennato e come vedremo nelle pagine che seguono, le possibilità di raccontare la storia di Arianna ci appaiono varie e a volte contraddit torie fin dagli inizi. Se tuttavia la storia di Arianna condivide questa fluidità con la storia di tutte le altre figure mitiche, per altri versi la vicenda della principessa cretese appare caratterizzata da alcuni nuclei fondamenta12
PROLOGO
li, segnata da elementari e irriducibili caratteristiche. Di Arianna poco o nulla sappiamo al di fuori delle sue avventure e disavventure amo rose. La sua figura sembra talvolta uno scheletro senza carne, il suo mondo un sipario senza profondità. Gli attori principali del suo mito, Teseo e Dioniso, possono dividersi le parti nelle maniere più varie, a seconda delle diverse narrazioni, ma restano comunque i due perni principali di ogni racconto. Teseo, Dioniso, Arianna: questo triangolo amoroso (o di amore-odio) può essere declinato in varie forme. Ma esso in qualche modo costringe l'eroina entro una geometria prefissa ta. Per noi, salvo rare e poco decifrabili eccezioni, la figura di Arian na si illumina solo quando viene in contatto con uno degli altri attori del mito, o con entrambi contemporaneamente. A volte si ha la sen sazione che Arianna non abbia uno spessore, che sia soltanto una ma schera vuota. La sua avventura è chiusa nel breve tragitto tra Creta e Nasso; il suo passato prima dell'arrivo di Teseo al palazzo di Minosse è ignoto; il suo futuro non esce dai confini di una breve adolescenza, seppure magari trasfigurata, ma comunque cristallizzata, nella diviniz zazione al fianco di Dioniso. La poesia latina, Catullo e Ovidio soprattutto, sembra restituire all'eroina infelice lo spessore di un vissuto e una profondità psicologi ca. Per la prima volta, attraverso le opere dei latini, sentiamo la voce di Arianna, il racconto in prima persona della sua tristezza, il dolore e lo sgomento dell'abbandono. La principessa cretese diventa, per ec cellenza, la relicta, la donna abbandonata, e il suo lamento si avvia a diventare un topos letterario. Ma, anche per questa via, Arianna si irrigidisce infine in figura di un teatrino mitologico, poi perpetuato nei secoli dai drammi per musica e dal melodramma. Così come è sovente un'immagine monodimensionale quella che, soprattutto a partire dal Rinascimento, la eterna in un alternativo ma non meno topico scenario mitologico: il corteo del trionfo di Bacco, la gioia pa gana della festa dionisiaca, in cui Arianna è simbolica portatrice di amore, gioventù e bellezza. Del resto, sarebbe in ogni caso fuorviante tentare una storia di Arianna come se l'eroina cretese fosse un personaggio di romanzo o una persona reale. Erronea la pretesa di coordinare e concatenare in una sequenza logica i vari spezzoni delle sue avventure che, nati in tempi e contesti lontani, non necessariamente sono stati concepiti per armonizzarsi. Bisognerà piuttosto indagare nelle pieghe di testi diversi e talvolta frammentari, o che ad Arianna riservano comunque un bre ve e occasionale accenno. Seguire la strada tortuosa, il labirinto delle varianti, cercando di comprendere storicamente ogni narrazione, di proiettarla nel suo contesto, di leggerla secondo le poetiche dei di-
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versi autori, almeno là dove sia riconoscibile e individuabile la perso nalità di un autore. Se poi, dopo questa complessa operazione, la fi gura di Arianna continuerà ad apparirci sfuggente la colpa sarà da imputare ovviamente all'autore di questo libro. Ma forse anche, alme no in parte, alla natura incompiuta, volatile, dell'eroina stessa. L'eva nescenza del fantasma è forse la vera realtà di Arianna.
Awertenze
Tutte le traduzioni, ove non altrimenti indicato, sono dell'autore del presente saggio. Nelle citazioni dei passi antichi si sono adottati sem pre i numeri arabi. Si sono evitate, per quanto possibile, le abbrevia zioni, fatta eccezione per: Lime Lexicon iconographicum mythologiae classicae, Ziirich-Miin chen 1 9 8 1 -99. FGrHist F. Jacoby, Die Fragmente der Griechischen Historiker, Ber lin-Leiden 1 92 3 - 5 9 . =
=
U n ringraziamento particolare a Silvia Romani che, con grande corte sia, mi ha permesso di consultare la sua tesi di dottorato sul mito di Arianna. Grazie anche a Roberta Magnotti per le sue preziose osser vazioni. Questo libro è per Alessandro, che già conosce la favola del labirinto e forse, un giorno, avrà voglia di rileggersela.
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La Signora del labirinto
I. I I misteri dell'isola
Una processione di uomini sfila portando doni al Faraone. Possiamo ancora vederli, osservare i loro profili dipinti in alcune tombe egizie della XVIII dinastia. Venuti da una terra posta in mezzo al mare, que sti uomini trasportavano in Egitto merci di ogni tipo: vasi, tessuti, oro, argento, rame, lapislazzuli. Correvano per il Mediterraneo sulle loro navi e facevano spesso scalo nel Delta del Nilo: tanto spesso che uno scriba egizio, lamentando la decadenza del regno dei Faraoni, citò come un segno particolarmente triste e funesto il fatto che quei marinai intraprendenti non apparissero più all'orizzonte. Ma chi era no questi uomini? In una ventina di testi geroglifici, scritti tra il I 5 8o e il I 3 7 2 a.C . , essi vengono chiamati ke/tiu. Noi li conosciamo con il nome di cretesi ' . Creta, l'isola dove Zeus, il padre degli dei, fu nutrito e allevato, nascosto in grotte sacre, per salvarlo dal cannibalismo del padre Kro nos. Creta, un tempo sorvegliata da Talos, il gigante di bronzo che la percorreva a larghi passi e che solo gli incantesimi della maga Medea riuscirono a uccidere. Un luogo arcano e fatato per gli stessi greci. Capitale dell'isola era Cnosso: «Una grande città, nella quale regnava l nove anni Minasse, confidente del grande Zeus», cantava già Omero nell' Odùsea ( I 9 , I 7 8- I 79 ) . Ma nella splendida Cnosso sorgeva anche il più oscuro e misterioso di tutti i luoghi terreni: il labirinto, nei cui meandri Minosse aveva fatto rinchiudere il Minotauro, il mostro mez zo uomo e mezzo toro. Non voleva avere sotto gli occhi quel figlia stro deforme e ibrido, frutto dell'adulterio della regina Pasifae: la r. Cfr. S. Donadoni, Egei ed Egà.iani, in Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, a cura di D. Musti, Roma-Bari 1 99 1 , pp. 207 ss.
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sposa di Minosse, presa da una voglia malsana, lo aveva concepito con un toro apparso miracolosamente dal mare. Così narrava il mito, e i greci sapevano a memoria la torbida leggenda cretese. Ma, fuori dalla leggenda, nella realtà di secoli lontani, i cretesi erano quei mari nai e commercianti che trattavano direttamente con i Faraoni d'Egit to. Un popolo ricco e raffìnato, che dominò il Mediterraneo orientale nella prima metà del n millennio a.C. Così, accanto ai misteri e agli orrori del labirinto, nella memoria dei greci rimase anche il ricordo dell'antichissima potenza marittima cretese. Lo testimoniano ancora, alla fìne del v secolo a.C . , le parole dello storico Tucidide: «È Mi nosse il personaggio più antico del quale sappiamo, per tradizione orale, che ebbe una flotta ed estese il suo impero su gran parte del l' attuale mare greco e dominò le Ci dadi e fu primo colonizzatore di gran parte di esse» (Tucidide r , 4, traduzione di Luciano Canfora) . La civiltà cretese, di cui Cnosso fu il centro, fìorì tra il zooo e il 1450 a.C. Essa è nota con il nome di minoica: un nome scelto dall'ar cheologo inglese Arthur Evans appunto per rendere omaggio alla leg genda di Minosse. Evans iniziò a scavare i resti dell'antica Cnosso esattamente nel 1 900, riportando alla luce i segni di una cultura raffì nata. Eleganti e colorate pitture murali ornavano le pareti del palazzo reale, le cui superfìci coperte si estendevano per oltre ventimila metri quadri. Cnosso sembrava un mondo incantato, un regno di Shangri La, opulento e pacifìco. Ma, in un anno imprecisato, dopo il 1450 a.C . , avvenne una svolta drammatica. La civiltà minoica fu piegata e abbattuta da un'orda di conquistatori, complici forse anche alcuni di sastri naturali, come l'onda anomala scatenata nel mar Egeo dall'eru zione del vulcano di Thera. Cnosso e tutta Creta caddero così in mano a un popolo che proprio in quegli anni si stava affacciando sul la scena della grande storia: i greci. Le prime popolazioni greche si erano già da qualche secolo inse diate nel sud della penisola balcanica. Si erano arroccate in una serie di cittadelle fortificate, sparse tra il Peloponneso, la Beozia e l'Attica. Questa prima civiltà greca è nota come civiltà micenea, dal nome di quello che ne fu il centro principale e più famoso, la peloponnesiaca Micene, nell' Argolide. Ma molte erano le città dei micenei: Tirinto, Orcomeno, Tebe, Pilo, luoghi che spesso nelle tradizioni dei secoli successivi divennero favolosi, rocche che ci si immaginava fossero sta te costruite dai Ciclopi. La potenza dei micenei crebbe progressiva mente e, verso la metà del n millennio, essi sono ormai tra i protago nisti principali della scena politica del Mediterraneo. Anche Creta è infìne costretta a entrare nella sfera d'influenza dei greci: la civiltà mi cenea prende il posto di quella minoica, di cui pure aveva subito a 16
I . LA SIGNORA DEL LABIRINTO
lungo l'influenza. La prosperità degli invasori durerà fìno al 1 200 a.C. circa, quando tutti i palazzi micenei, per ragioni ancora misteriose, vengono distrutti. I micenei ci hanno lasciato i primi documenti della lingua greca: essi non sono però scritti con l'alfabeto greco più tardo e canonico, adattato da quello fenicio intorno alla metà dell'viii secolo a.C . , ma con un sillabario in uso nel II millennio avanti Cristo, e noto conven zionalmente come Lineare B. Già prima della Lineare B, il mondo egeo conosceva altre scritture che servivano a esprimere lingue non greche. Queste scritture si concentrano soprattutto a Creta, dove na scono per usi amministrativi e burocratici 2• La Lineare B, in partico lare, è l'adattamento alla lingua greca di una scrittura mino i ca, la Li neare A ( r 9o0- 1450 circa ) . Nel momento in cui Creta entra nell'orbi ta dei micenei, questi ultimi ne assumono e riadattano la scrittura, usandola a loro volta per le operazioni della burocrazia regia. La Li neare A minoica non è stata ancora decifrata. Ma l'opera di un genia le dilettante, Michael Ventris, ci ha permesso di leggere la Lineare B micenea: una decifrazione che ha coronato una delle più straordinarie avventure archeologiche del xx secolo 3 . Fino alla fìne dell'Ottocento si avevano nozioni molto vaghe su ciò che era esistito in Grecia prima dell'età arcaica. Il II millennio a.C. era un'epoca favolosa, un mondo incrostato di leggende. Lo si poteva soltanto immaginare dietro il sipario colorato della saga eroi ca. Ma a un certo punto compare sulla scena dell'archeologia un per sonaggio avventuroso e spregiudicato, le cui imprese alzano il sipario su quel passato considerato mitico: Heinrich Schliemann. Nel r 87o, egli avvia gli scavi di Troia e stupisce il mondo trovando i gioielli che fa immediatamente indossare a sua moglie: i suoi scavi restituiscono una dimensione di verità alla leggenda, trasformano in realtà un luo go che si credeva esistesse solo nella fantasia poetica di Omero. Gli eroi omerici, Achille, Odisseo, Ettore bussano alla porta della storia. Nel 1 874, l'archeologo tedesco inizia a scavare anche in Grecia, nel Peloponneso: a Orcomeno, a Tirinto e soprattutto a Micene, la città in cui, secondo il mito, regnava Agamennone e si erano svolte le fo sche vicende della stirpe maledetta degli Atridi. Nel r 876, sulla rocca di Micene, scopre la necropoli regia, gli scheletri bardati d'oro che egli attribuisce, senza esitazione, agli eroi della leggenda. Le maschere 2. Sulla storia delle scritture egee si rimanda alla sintesi di L. Godart, L'invenzio ne della scrittura, Torino 1 99 1 .
3· Per una storia della decifrazione cfr. J . Chadwick, Lineare B . L'enigma della scrittura micenea (Cambridge 1 9672) , trad. it. Torino 1 9772•
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auree posate sul volto dei morti diventeranno una delle immagini più famose nel grande libro della civiltà umana. Negli anni successivi, gli scavi proseguono con criteri più scientifici di quelli usati dal vulcani co Schliemann e il quadro storico si delinea più chiaramente. La so cietà micenea appare, come i regni del Vicino Oriente, caratterizzata da una struttura fortemente centralizzata sotto un potere autocratico: i suoi centri urbani sono palazzi fortificati, da cui il potere regio con trollava una fitta rete di attività commerciali e militari che si dirama vano per il Mediterraneo. Rispetto alle grandi civiltà orientali, qualcosa sembra tuttavia mancare nelle rocche micenee. Non vengono trovate iscrizioni, non sembra esservi alcuna traccia di scrittura. Eppure gli archeologi ben sapevano che, nella stessa epoca, la scrittura era già nota e diffusa come fondamentale strumento del potere regio nell'area orientale, dalla Mesopotamia all'Egitto. Arthur Evans, che nel 1 890 era andato ad Atene per vedere di persona i tesori raccolti da Schliemann, era rimasto colpito dal fasto dell'oreficeria micenea e si era convinto che una civiltà così ricca dovesse avere un sistema organizzativo comples so e dunque necessariamente possedere una scrittura. Nel 1 900 Evans inizia scavi sistematici a Cnosso (mentre gli italiani scavano nel sud dell'isola, a Festo e Hagia Triada). E già il 30 marzo 1 900 spuntano le prime tavolette d'argilla vergate in varie scritture cretesi, comprese sia la Lineare A sia la Lineare B. Presto il mosaico si arricchisce di nuove e clamorose scoperte. Nel 1 9 3 9 l'archeologo americano Cari Blegen inizia gli scavi nella baia di Navarino, davanti all'isola di Sfac teria, dove ritiene possa sorgere la città di Pilo cantata da Omero come patria del saggio Nestore. Al primo colpo di vanga emerge su bito quella che sarà detta " stanza dell'archivio " : 6oo tavolette in Li neare B. Nel 1 95 2 , poi, Alan Wace scoprirà le prime tavolette dell'ar chivio di Micene. Da allora in poi le scoperte di iscrizioni si succedo no senza sosta. La Lineare B risulta essere diffusa in vaste zone del mondo egeo: compresa Creta, dopo che i micenei avevano conqui stato l'isola. La scrittura infine era stata trovata: ma cosa diceva, quel la scrittura? Gli strani segni sembravano indecifrabili. La svolta arriva in ma niera del tutto imprevedbile, grazie all'opera di un geniale dilettan te, Michael Ventris. Ventris non è uno specialista della cultura greca: è un architetto con la passione dell' archeologia. Suggestiona to da una conferenza di Arthur Evans a cui ha assistito quando era solo un ragazzo, inizia a pensare a come decifrare la Lineare B. Elabora sistemi sempre più complessi di classificazione dei segni, orientandosi anche sulla base degli ideogrammi usati dagli scribi 18
r . LA SIGN ORA DEL LABIRINTO
micenei per rappresentare sinteticamente alcuni oggetti (cavalli, agnelli, maiali, tripodi, vasi ecc . ) . Passo dopo passo, nel 1 95 2, Ven tris arriva a una conclusione sorprendente: la Lineare B è la più an tica scrittura del greco. Si fa aiutare da uno specialista, il glottologo di C ambridge John Chadwick, e insieme scrivono i primi articoli scientifici; poi Ventris muore nel 1 9 5 6 in un incidente d'auto. All'i nizio molti specialisti contestano la sua decifrazione ma le prove di ventano presto schiaccianti: i micenei parlavano greco ; i micenei erano greci. La Lineare B è una scrittura sillabica, in cui cioè a ogni segno corrisponde un gruppo formato da consonante e vocale oppure da una vocale semplice. È testimoniata soprattutto da una serie di tavo lette d'argilla su cui gli scribi incidevano i testi con uno stilo. Le ta volette venivano fatte asciugare al sole e conservate in cassette di le gno o ceste. Esse rappresentavano dunque l'archivio del re, al quale era attribuito il nome, già noto dal greco storico, di wanax (wa-na ka) . Dopo l'uso, alla fine di ogni anno, le tavolette venivano raschiate per essere riutilizzate: ci sono rimaste dunque le tavolette dell'ultimo anno di vita dei palazzi, conservate perché l'argilla è stata cotta dagli incendi che hanno distrutto le rocche micenee. Esse sono come la fo tografia degli estremi momenti di vita della civiltà micenea. L'ipotesi comune è che tutte le tavolette in Lineare B risalgano al periodo noto convenzionalmente come Tardo Elladico mb, e più precisamente in torno al 1 2 00 a.C . , quando avviene, per ragioni ancora discusse dagli studiosi, la distruzione dei palazzi micenei. Solo per Cnosso resta un dubbio: Arthur Evans aveva infatti datato la distruzione definitiva del palazzo di Cnosso intorno al 1 400, per cui anche le tavolette dovreb bero risalire a quell'epoca. Ma altri studiosi hanno proposto una da tazione contemporanea, o addirittura più recente, rispetto a quelle del continente greco. Cosa scrivevano, dunque, i micenei sulle loro tavolette d'argilla? Non opere letterarie o poemi mitologici, come nei grandi archivi del Vicino Oriente. Semplicemente registrazioni di merci, censimenti di uomini, rendiconti di attività amministrative. Alla fine il grande giallo archeologico della civiltà micenea si era risolto in una maniera che pareva deludente, anche se ampiamente prevista. Ciò nonostante, i te sti in Lineare B offrono indizi importanti per la ricostruzione non solo del mondo materiale ma anche della cultura e della religione mi cenea. Se non altro perché gli scribi registravano anche le offerte in onore degli dei, per cui le tavolette ci restituiscono il nome di molte divinità il cui culto era presente nei palazzi micenei. Noi sappiamo così quali divinità erano venerate dai signori dei palazzi, qual era il
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pantheon dei primi greci. Certo, in alcuni casi i testi micenei ci han no offerto più problemi che soluzioni: non abbiamo, nonostante tut to, un quadro organico della religione micenea 4. È indubbia tuttavia una sostanziale continuità rispetto ai culti greci di epoca storica. In larga parte, ritroviamo nelle tavolette in Lineare B le stesse divinità che alcuni secoli più tardi saranno protagoniste nel mondo omerico: Zeus, Era, Atena, Dioniso, Artemide, Posidone, anche un Enialio, termine che sarà noto più tardi come epiteto di Ares (a sua volta for se menzionato come tale nelle tavolette) e un Paiawon , che rimanda a Paion , in età classica epiclesi cultuale di Apollo nel suo aspetto di dio guaritore. Più difficile, invece, stabilire gli eventuali tratti di continui tà tra i culti minoici e quelli micenei, continuità che pure potrebbe essere evocata dalla sostanziale unitarietà, almeno apparente, del re pertorio iconografico delle due civiltà. Le tavolette micenee di Cnosso sembrano indicare un particolare fervore di attività intorno al santua rio di Amnisos, il porto della città. Tra le figure divine qui venerate vi è una Ereutija, da identificare senza dubbio con la dea Ilizia, nota nell'età classica come divinità preposta alle nascite e al parto. Nella zona di Amnisos, presso il fiume Karteros, è stata scoperta nel 1 92 9 anche una grotta che i minoici usavano come santuario; a sua volta Omero ( Odissea 1 9 , 1 88) parla di una grotta sacra a Ilizia ad Amni sos. E la centralità del culto della dea in questa località cretese è con fermata da altri autori antichi, come il viaggiatore Pausania, autore, nel II secolo d.C., della prima guida turistico-archeologica della Gre cia ( 1 , 1 8 , 5 ) . Tutte queste evidenze sembrano indicare una continui tà del culto di Ilizia ad Amnisos, che, dall'età minoica, attraverso quella micenea, arriva fino al r millennio a.C. Ma questa continuità riguarda anche altre figure del pantheon mi ceneo? Sempre tra le tavolette di Cnosso, in una registrazione di of ferte alle divinità, nella stessa serie di documenti dove è attestato an che il culto di Ilizia, compare un testo che ha affascinato e sconcerta to gli studiosi. Esso contiene la più antica attestazione della parola "labirinto " . Non solo: il testo parla più precisamente di una misterio sa " Signora del labirinto " . Ed è a questo punto che, nel nostro rac conto, nello scenario remoto della Creta del II millennio a.C . , fa la sua comparsa il personaggio di Arianna.
+ Fondamentali restano le osservazioni di A. Brelich, Religione micenea: osserva zioni metodologiche, in Atti e memorie del primo congresso internazionale di micenolo gia. Roma 27 settembre-; ottobre r967, Roma 1 968, pp. 9 1 9- 2 8 .
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r . LA SIGN ORA DEL LABIRINTO
La tavoletta (classificata con la sigla Kn Gg 702 ) presenta il se guente testo: pasiteoi l meri vAS I dapu2ritojo l potinija meri
VAS I 5
A Tutti gli Dei un vaso di miele Alla Signora del labirinto un vaso di miele
La traduzione della prima riga non è problematica: " Tutti gli Dei " , sono un'entità che ricorre più volte nelle tavolette cretesi. A essi si associano spesso altre divinità, come la già citata Ilizia (Kn Gg 705 ) . V a sottolineato, tra l'altro, che tra pasi ( " a tutti " ) e teoi (theois: " agli dei " ) non è presente alcun segno di divisione delle parole, per cui Tutti gli Dei vanno intesi come un'entità unica (un po' come il nostro Ognissanti). Nella seconda linea l'epiteto Potnia, Signora, è termine comune e più volte attestato nelle tavolette micenee. La corrispon denza tra il termine Dapu2ritojo e il greco Labyrinthoio (genitivo ar caico del sostantivo Labyrinthos) può invece non essere immediata e scontata. Alcune differenze sono spiegabili alla luce di caratteristiche proprie del sillabario miceneo, in verità una sorta di stenografia che non registra compiutamente ogni aspetto fonetico delle parole; altre divergenze hanno richiesto un supplemento di spiegazione. È così per esempio per quanto riguarda la corrispondenza tra la sillaba da del testo epigrafico e il la iniziale della parola Labyrinthos: la divergenza viene in genere spiegata alla luce di quell'alternanza tra delta e lamb da (dll) attestata anche altrove, soprattutto per parole di probabile origine pregreca (si pensi, per esempio, alla forma Olysseus, attestata come alternativa ad Odysseus) . Anche la corrispondenza tra il sillabo gramma convenzionalmente indicato come pu2 e la sillaba bu è pro blematica. Tuttavia essa è ritenuta probabile dagli studiosi. In sintesi: si ritiene oggi comunemente che l'iscrizione sia da leg gere come Labyrinthoio Potnia. Questa Signora del labirinto riceve l'offerta di un vaso di miele: la stessa offerta, si badi, riservata a tutti gli dei considerati nel loro insieme. È evidente, dunque, che si deve trattare di una figura divina dotata di notevole prestigio e autorevo lezza, benché essa non sia attestata altrove nelle tavolette micenee. L'uso del miele era del resto comune nelle offerte alle divinità: non solo esso ritorna in altre tavolette micenee; ma anche più tardi, nel r 5· L'abbreviazione convenzionale VAS indica la presenza sulla tavoletta di un pit· togramma che rappresenta un vaso.
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millennio, il miele era ritenuto un tipico nutrimento degli dei. Che la Potma Labyrinthoio sia una figura divina è del resto implicito nell'uso stesso del termine Potnia nelle tavolette micenee. Esso ricorre, oltre che a Cnosso, a Pilo e a Micene, ed è talvolta specificato da un nome o da un aggettivo. A volte tali specificazioni sono oscure e non imme diatamente comprensibili; altre volte il testo è più facilmente inter pretabile: per esempio, sempre in una tavoletta di Cnosso (Kn V 5 2 ) troviamo l'espressione a-ta-na-po-ti-ni-ja, ovvero "Atena Signora " . Questa espressione ha portato alcuni studiosi a ritenere che, ogni vol ta in cui sia menzionata una Potnia in un testo miceneo, si tratti sem pre della dea Atena. Così anche il po-ti-ni-ja i-qe-ja, "Signora dei ca valli", di una tavoletta di Pilo (Py An 1 2 8 1 ), è stato ricollegato all'A tena hippia, "equestre", di cui ci parlano alcuni testi (Pindaro, Olim piche 1 3, 8 2 ; Sofocle, Edipo a Colono 1 070) . Su questa base alcuni studiosi hanno ritenuto che anche la Potma Labyrinthoio fosse Atena 6 • Ma a tale interpretazione se ne è opposta un 'altra: quella che identifica la Signora del labirinto con Arianna. Questa ipotesi ha trovato un sostenitore autorevole in un insigne sto rico delle religioni, Karolyi Kerényi 7• In effetti apparirebbe più logi co trovare in un contesto simile Arianna, piuttosto che Atena: Arian na, nelle storie mitiche successive, è colei che conosce il segreto per uscire dal labirinto; ella in qualche modo detiene la chiave di quel luogo misterioso. E, d'altra parte, anche ammesso che Atena sia da considerare per eccellenza la dea del palazzo miceneo, così come lo è dei palazzi omerici, non ci sono motivi cogenti per attribuire al termi ne "labirinto ", nelle tavolette in Lineare B, il significato specifico di palazzo reale. Che il leggendario labirinto fosse in realtà il palazzo stesso di Cnosso è una vecchia e arbitraria idea di Arthur Evans 8, che ancora oggi le guide turistiche ripetono ai gitanti per aggiungere fascino alle loro spiegazioni. Ma il labirinto, come si vedrà tra poco, è qualcosa di più vago e, al tempo stesso, di più complesso. Né biso gnerà dare per scontato che il termine Potnia, nelle tavolette micenee, sia sempre e comunque da riferirsi ad Atena. Anche l'epiclesi hippza, in età storica, apparteneva non solo ad Atena ma anche, per esempio, 6. Cfr., ad esempio, L. Godart, Il labirinto e la Potnùz nei testi micenei, in "Ren diconti dell'Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli" , 50, 1 9 7 5 , pp. 141-52. 7 · Cfr. anche C. Gallini, Potinija Dapuritoio, i n "Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano" , 1 2 , 1 9 5 9 , p. 1 64. 8 . A. Evans, Mycenaean Tree a n d Pillar Cult, in "Journal of Hellenic Studies" , 2 1 , 1 9 0 1 , p p . IOO SS.
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I . LA SIGN ORA DEL LABIRINTO
a Era (Pausania 5 , 1 5 , 5 ) e, in versione maschile (hippios) , era tipica di Posidone. Né, d'altra parte, si capirebbe la necessità di specificare il termine Potnia con "Atena", nella tavoletta Kn V 5 2 , se per i mice nei Potnia fosse stato automaticamente sinonimo di Atena. L'ipotesi che identifica la Potnia Labyrinthoio con Arianna non può quindi essere scartata. Anzi, l'indissolubile connessione tra Arianna e il labirinto nella tradizione successiva sembra renderla pre feribile. Resta il fatto che le tavolette micenee nulla ci dicono esplici tamente di Arianna. Che l'eroina conosciuta in età storica con questo nome potesse essere l'erede di un'originaria divinità del labirinto è solo un'ipotesi. Dal punto di vista metodologico, inoltre, è sempre opportuno domandarsi fino a che punto sia corretto sovrapporre a figure dell'età micenea figure di secoli successivi. La "Signora del la birinto", in altri termini, non può essere identificata sic et simpliciter con l'eroina Arianna di epoca più tarda, così come è presumibile, per esempio, che la Atana citata nei documenti micenei avesse caratteri diversi dalla dea Atena del v secolo, signora della guerra e della sa pienza. Tuttavia questa misteriosa divinità del labirinto appare inseri ta in un contesto significativo, in cui affiorano motivi mitici che tro veremo in epoca più tarda integrati nella vicenda di Arianna. Le pur frammentarie notizie sulla religione micenea a Creta, in questo scor cio del n millennio a.C., sembrano comporre un quadro in cui l'i dentificazione della Signora del labirinto con una prato-Arianna ap pare probabile. Nel mondo della Signora del labirinto fanno infatti capolino due personaggi che avranno poi un ruolo fondamentale nella saga di Arianna: Dedalo e Dioniso. In una tavoletta, sempre di Cnosso (Kn Fp I ) , si trova l'espressione da-da-re-jo-de, che potrebbe essere intesa come Daidaleionde e significare quindi "al santuario di Dedalo " . Il testo rimanderebbe dunque alla figura mitica di Dedalo, considerato dalla tradizione non solo l'architetto del labirinto ma anche, come ve dremo, un devoto consigliere e servitore di Arianna: sarebbe stato lui a insegnare alla principessa l'astuzia del filo e, già nell'Iliade di Ome ro, lo vediamo intento a creare un spazio per le danze in onore di Arianna. Un'altra tavoletta micenea scoperta a Chanià, nella zona oc cidentale di Creta, attesta invece che Dioniso, lo sposo divino di Arianna, era già allora venerato nell'isola. Gli intricati rapporti tra l'e roina cretese e Dioniso saranno oggetto di un'analisi più articolata nel prossimo capitolo. Ma prima c'è da chiarire un'altra questione, altrettanto intricata e tutt'altro che secondaria: cos'è quel Labyrinthos di cui la misteriosa divinità cretese viene dichiarata Signora?
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1.2 L'enigma del labirinto
L'antro di un mostro. Il giardino di una villa aristocratica. Un motivo ornamentale. L'immagine dell'universo. La forma di un enigma irre solubile. Il labirinto è stato tutto questo, e molte altre cose ancora 9 : nel corso dei secoli la s u a immagine e i l suo significato sono mutati più volte. Spirali e meandri hanno viaggiato nel tempo e nello spazio, occupando le dimensioni più disparate, dipanandosi tra i regni più esoterici e i più innocenti giochi di bimbi, e finendo magari col crea re un legame occulto tra questi mondi così distanti. I bambini che già nell'antica Roma, come ricorda Plinio il Vecchio (Naturalis Historia 3 6, 85 ), giocavano su tracciati labirintici vegliavano forse, inconsape voli, la soglia di un mondo misterioso. Mentre gli allegoristi medieva li, che dalla figura del labirinto estraevano sensi riposti e arcani, sta vano forse giocando un gioco di cui loro stessi ignoravano la posta. Al di là di ogni speculazione e teoria, un dato è comunque incon trovertibile: non sempre alla parola "labirinto " corrisponde la stessa realtà o lo stesso concetto. Già gli antichi greci, quando parlavano di labirinto, intendevano cose assai diverse. L'etimologia stessa del termine è discussa. Per lungo tempo ha prevalso l'opinione, sostenuta anche da Arthur Evans, che "labirinto " fosse connesso con la parola labrys, attestata nel !idio, la lingua parla ta nella regione anatolica della Lidia. Questa parola viene tradotta da Plutarco ( Quaestiones Graecae 302a) con il greco pelekys, "doppia ascia" . Il labirinto sarebbe dunque la "casa della doppia ascia " . L'in terpretazione trova conforto nella presenza ricorrente, a Creta, del simbolo dell'ascia bipenne, a cui già i minoici, ancor prima dei mice nei, sembravano attribuire un particolare significato simbolico e reli gioso. La bipenne, inoltre, è anche simbolo dionisiaco: è proprio im pugnando una pelekys, per esempio, che il re di Tracia Licurgo inse gue il fanciullo Dioniso per ucciderlo; il mito era già noto a Omero (Iliade 6, 1 3 0-qr ) e la figura di Licurgo che brandisce la bipenne campeggia ancora nei mosaici di tarda età romana della Villa del Ca sale a Piazza Armerina. Altri studiosi hanno sostenuto un'ipotesi alternativa. Il termine "labirinto " sarebbe connesso a una radice indoeuropea che si ritrova in parole come il greco laas o il latino lapis ( '' pietra, sasso " ) . Il labi9 · Sul labirinto come tema universale due ottime sintesi sono H. Kern, Labirinti, Milano r 9 8 r e P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Milano 1 984.
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rinto sarebbe dunque "la casa di pietra " o "la casa nella pietra " . An che questa interpretazione trova conforto in quanto sappiamo sulla religione cretese, dove è attestata con certezza, fin dal II millennio a.C., la presenza di grotte sacre usate come santuario 10• Il labirinto sarebbe stato allora una di queste grotte o forse l'archetipo mitologi co della grotta-santuario ? In effetti, alcune notizie antiche sembrano indirizzare verso questa interpretazione. Il geografo Strabone ( 8, 6, 2 ), in età augustea, descrivendo un complesso di grotte di Nauplia, in Peloponneso, riferisce che tali grotte venivano chiamate "labirinti ci clopici " . In un lessico tardo, l'Etymologicum Magnum (s. v. labyrint hos) , troviamo la seguente definizione: «labirinto: nell'isola di Creta c'è un monte (oros) nel quale c'è una caverna (spelaion)». Un altro lessico di età bizantina, la Suda (s. v. Aigaion pelagos: II, p. 1 5 7 Ad ler), narra di come Teseo inseguì il Minotauro «nella terra dei labi rinti» (eis ten labyrinthon choran) e lo trovò infine nascosto in una grotta (spelaion ) : notizia che probabilmente il lessico riprende da Giovanni Malalas (morto nel 578 d.C.) il quale, nella Chronographia (4, 87), usa le stesse parole raccontando l'avventura cretese di Teseo. Il vescovo di Tessalonica, Eustazio, commentando l'Odissea (verso 3 2 1 ), qualifica a sua volta il labirinto come «una caverna» (spelaion) , «un antro» (mychos) e, poco più avanti, come «una sorta d i grotta sotterranea» ( eidos ti koilias hypogaiou) . Queste notizie dei lessicogra fi e degli eruditi di età bizantina rielaborano senza dubbio testimo nianze più antiche. E così fa, probabilmente, anche la pur isolata no tizia di un retore della tarda età romana, Imerio ( Orazio n i 9, 5 9), il quale ambienta le nozze tra Arianna e Dioniso non in un'isola dell'E geo, secondo la tradizione più comune, ma in una grotta di Creta. Da questo arido elenco di sparse testimonianze si evince un lega me consolidato tra grotta e labirinto. Quest'ultimo potrebbe dunque essere stato, in origine, un luogo sacro inserito in una dimensione re ligiosa ancorata a santuari rupestri. Un altro autore tardoantico, Por firio, scriveva nella sua operetta allegorica intitolata L'antro delle Nin fe (2o) : «Nei tempi più remoti gli uomini consacravano agli dei ca verne (spelaia) e antri (antra ) , quando ancora non avevano pensato di costruire templi, come a Creta la grotta dei Cureti dedicata a Zeus, in Arcadia a Selene e a Pan Liceo, a Nasso a Dioniso, e ovunque co nobbero Mitra si propiziavano la divinità in una grotta». Dunque, seIO. Sulle grotte-santuario cfr. W. Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica (Stuttgart I 97 7 ) , trad. it. Milano 2003, pp. 95 ss. Sul labirinto come grotta, cfr. P. Fauré, Fonction des cavernes crétoises, Paris I 964, pp. I 62 - 7 3 .
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condo Porfirio, la venerazione degli dei nelle grotte precede la co struzione dei templi. Inoltre Porfirio conferma sia l'esistenza di culti nelle caverne cretesi sia la relazione tra la religione dionisiaca e le caverne. Abbiamo varie notizie su grotte consacrate a Dioniso: ma per noi può forse essere interessante il fatto che Porfirio situi uno di questi sacri antri proprio nell'isola di Nasso, luogo di centrale impor tanza nella storia di Arianna. Più tardi l'immagine del labirinto diventerà quasi il simbolo di Cnosso e, come tale, verrà raffigurata molto spesso sulle monete co niate nella città cretese. In genere il labirinto è qui rappresentato come un complesso e multiplo tracciato a meandro. A volte tale raffi gurazione è associata al Minotauro, la cui figura può apparire al cen tro del labirinto stesso o sull'altra faccia della moneta. Le testimo nianze offerte dalla monetazione di Cnosso non risalgono oltre il v secolo a.C . , ma non vi è alcun dubbio che il tema iconografico del labirinto fosse molto più antico. Esso, infatti, è già individuabile nel mondo miceneo: splendido esempio ne è un motivo a meandro inciso sul rovescio di una tavoletta di Pilo (Py Cn 1 2 87 ) che registra, molto prosaicamente, un certo numero di capre. Forse questa incisione era solo il passatempo di uno scriba annoiato, che ingannava così il tem po tra una capra e l'altra. Né, d'altra parte, il motivo del labirinto è un'esclusiva del mondo egeo. Alcune tra le più antiche raffigurazioni, anzi, rimandano all'Oriente antico e, in particolare, all'ambito babi lonese. Ci sono due immagini di labirinti su tavolette mesopotamiche da tabili alla fine del n millennio a.C. e conservate l'una a Berlino e l'al tra a Leiden I I. Il tracciato è, in entrambi i casi, in forma di spirale. Le iscrizioni cuneiformi ci permettono di interpretare queste raffigu razioni: si trattava di rappresentazioni di viscere di animali che, come accade sovente nel mondo antico, gli indovini scrutavano per trame presagi. Ma i testi cuneiformi parlano anche di un "palazzo delle vi scere" che si è ritenuto possibile identificare con il mondo infero, an che sulla base del fatto che un demone mesopotamico dell'Aldilà, Humbaba, rivale e nemico dell'eroe Gilgamesh, era raffigurato come "uomo delle viscere" , con il viso composto da interiora. Si diceva che Humbaba abitasse in una foresta incantata, dove si intrecciavano sen tieri tortuosi e strade senza uscita. Queste evidenze del mondo babi-
r r. Per questi documenti cfr. K. Kerényi, Nel labirinto (Mi.inchen-Wien 1 966), trad. it. Torino 1983, pp. 3 2 ss.
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lonese 12 hanno convinto uno studioso come Karolyi Kerényi che «la birintico e infero sono una sola cosa, un unico principio» 13. Le stra de che conducono al regno dei morti, scrive Platone (Fedone r o 8a), sono tortuose: «È chiaro che il cammino non è come dice Telefo in Eschilo, il quale assicura che una strada diritta conduce all'Ade; e, invece, per me, essa non è né semplice, né una sola, perché, in tal caso, non ci sarebbe bisogno di guida e nessuno sbaglierebbe direzio ne, se così fosse. Pare, invece, che essa abbia molte diramazioni e bi forcazioni». Del resto, la tradizione che attribuisce a Minasse, signore di Cnosso, il ruolo di giudice negli Inferi è antica, e risale già a Ome ro. Neli' Odùsea ( r r , 5 6 8 -5 7 1 ), rievocando la sua discesa nel regno dei morti, Odisseo dice infatti: «Là vidi dunque Minasse, il figlio illu stre di Zeus, l che ai morti rendeva giustizia, stringendo lo scettro d'oro, l seduto: intorno chiedevano, a lui sovrano, sentenze, l seduti o ritti nella casa di Ade dalle larghe porte» (traduzione di Giuseppe Aurelio Privitera) . Il labirinto rappresenterebbe insomma le viscere della terra, l'immagine dell'Aldilà tradotta nella cifra enigmatica di meandri e spirali. Tuttavia, nota ancora Kérenyi, la specificità del labirinto ri spetto al mondo infero risiede nel fatto che il viaggio nel labirinto non è necessariamente un viaggio senza ritorno . Il labirinto è in realtà, al contrario di quanto potrebbe sembrare e in opposizione all'Ade, il luogo da cui si può uscire: uno spazio che presenta sem pre, nonostante le sue insidiose tortuosità, una via d'uscita. Il labi rinto, dunque, se per un verso rinchiude e imprigiona, per un altro verso indica un tracciato, segna un percorso. Esso, insomma, è un luogo di passaggio, uno scenario di transizione. Quest'idea fu rie cheggiata, tra gli altri, da Mircea Eliade, che vede nel labirinto un luogo legato alla dimensione iniziatica: «Penetrare in un labirinto e tornarne, è questo il rito iniziatico per eccellenza». Il labirinto, scri ve Eliade, è uno spazio sacro posto a difesa di un "centro " : «In un certo senso l'esperienza iniziatica di Teseo nel labirinto di C reta equivaleva alla spedizione in cerca delle Mele d'oro nel giardino delle Esperidi o del Vello d'oro in Colchide. Ognuna di queste prove metteva capo, morfologicamente parlando, alla penetrazione vittoriosa in uno spazio difficilmente accessibile e ben difeso, ove stava un simbolo più o meno trasparente della potenza, della sacrar2. Per cui si rimanda a F. M. T. Bohl, Zum babylonischen Ursprung des Laby rinths, in Miscellanea orientalia dedicata Antonio Deimel, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1 9 3 5 , pp. 6 · 2 3 . r 3 · Kerényi, Ne/ labirinto, cit. , p. 3 4 ·
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lità e dell'immortalità». Il labirinto dunque, argomenta Eliade, non è tanto un luogo fisico quanto un itinerario iniziatico, paragonabile ai viaggi tradizionalmente perigliosi dei pellegrini che vanno alla Mecca o a Gerusalemme: «La strada è ardua, sparsa di pericoli, perché in realtà si tratta di un rito di passaggio dal profano al sa cro, dall'effimero e illusorio alla realtà e all'eternità, dalla morte alla vita e dall'uomo alla divinità» ' 4 . Altre volte il labirinto è semplicemente un edificio. Numerosi autori, però, ne collocano l'origine non a Creta bensì in Egitto. Erodoto (n, 1 4 8 ) descrive minutamente un edificio che sorgeva nel l'oasi del Fayum, nella città che i greci chiamavano Crocodilopolis e che poi, sotto i Tolomei, prenderà il nome di Arsinoe. Questo la birinto, che secondo Erodoto era più mirabile delle stesse Piramidi, era formato da tremila stanze articolate su due livelli e affacciate su dodici cortili coperti. Lo storico greco non poté visitare il livello sotterraneo: esso, gli dissero i custodi dell'edificio, ospitava le tom be dei coccodrilli sacri e dei favolosi dodici re che avevano costrui to il labirinto. Ma del livello superiore Erodoto può offrire un reso conto da testimone oculare: «Sono opere più grandi dell'umano: i passaggi attraverso le stanze e i rigiri attraverso i cortili, che sono intricatissimi, causavano infinito stupore a quelli che dal cortile pas savano attraverso le stanze, e dalle stanze in porticati, e dai portica ti in altre stanze, e dalle stanze in altri cortili» (traduzione di Augu sta Izzo D'Accinni) ' 5 . D i questo labirinto egizio parlano anche altri autori d i età roma na. Diodoro Siculo, che scrisse alla metà del I secolo a.C., vi accenna nel I libro della sua Biblioteca storica, là dove parla del faraone Men des ( r , 6 r , traduzione di Gian Franco Gianotti) : «Costui non compì alcuna impresa militare, ma si fece erigere un sepolcro conosciuto col nome di labirinto, non tanto ammirevole per le dimensioni quanto inimitabile per la tecnica ingegnosa della costruzione; infatti chi vi entra non riesce a facilmente a trovare la via d'uscita, se non dispone di una guida esperta di tutto l'edificio». Il celebre labirinto egizio fu descritto non molti anni dopo anche da alcuni geografi: Strabone ( r 7 , r , 3 e 3 7 ) , vissuto in età augustea, e il poco più tardo Pomponio Mela ( r , 5 6 ) . Quest'ultimo lo ricordava come un luogo che aveva un r 4 - M. Eliade, Trattato di storia delle religioni (Paris 1948), trad. it. Torino 1 976, pp. 392 ss. r5. Su Erodoto e il labirinto del Fayum cfr. O. Kimball Armayor, Herodotus' Autopsy o/ the Fayum: Lake Moeris and the Labyrinth o/ Egypt, Amsterdam r985 .
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solo ingresso ma, all'interno, percorsi innumerevoli, con molte svolte e tortuosità, in un perpetuo succedersi di anfratti, che riportano sem pre sui propri passi. Diodoro aggiungeva però alla descrizione una notizia: il sepolcro del faraone Mendes avrebbe ispirato Dedalo, il leggendario artefice del labirinto di Cnosso. Scrive infatti Diodoro: «Alcuni sostengono anche che Dedalo abbia visitato l'Egitto e, colpi to dall'abilità ivi raggiunta nell'arte edilizia, abbia in seguito costrui to per Minasse, re di Creta, un labirinto simile a quello egiziano, in cui fu rinchiuso, secondo il mito, il cosiddetto Minotauro. Ma men tre del labirinto di Creta non è rimasta traccia, o perché raso al suo lo per ordine di qualche sovrano, oppure perché cancellato dal tem po, quello egiziano ha conservata intatta la sua struttura fino ai no stri giorni». Nel r secolo a.C., dunque, il labirinto cretese non è considerato un unicum, ma anzi un momento di una storia che ha la sua matrice in Egitto, civiltà che i greci consideravano per eccellenza la più antica e veneranda fra tutte. Mentre, viceversa, in confronto agli egiziani, come insegna il famoso aneddoto platonico della visita di Solone ai sacerdoti di Menfi, i greci erano un popolo giovane, la cui memoria storica si estendeva per poche generazioni: «Solone, Solone: voi greci siete sempre bambini. Un greco vecchio non esiste» ( Timeo z r b ) . La storia egizia si estendeva all'indietro fino a toccare un passato remo tissimo, la loro sapienza attingeva a fonti arcane, mentre il passato della stirpe greca non raggiungeva epoche così lontane. Per cui anche un edificio considerato antichissimo in Grecia, come il labirinto crete se, poteva in realtà essere ritenuto null'altro che la copia di un mo dello egizio. Diodoro, infatti, ritorna ancora pochi paragrafi più avan ti ( r, 9 7 ) sulla storia del labirinto, inserendolo tra i molti debiti che la Grecia ha nei confronti dell'Egitto. Dedalo si sarebbe ispirato all'E gitto non solo come architetto del labirinto ma anche per la sua atti vità di scultore, imitando «le proporzioni delle antiche statue egizia ne». Tra l'altro, sostiene ancora Diodoro, dall'Egitto sarebbero venuti anche i riti sacri in onore di Dioniso. Qualche decennio più tardi ritroviamo un lungo excursus sui labi rinti nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, il grande erudito e naturalista morto, per amore della scienza, nel 7 9 d.C., durante l'eru zione del Vesuvio, che era andato a studiare da vicino. Nel penultimo libro della sua sterminata enciclopedia, il trentaseiesimo, Plinio intro duce il tema della «natura delle pietre» (natura lapidum) , in cui «la follia dei costumi umani si esplica più che altrove». Il filo conduttore del discorso è l'arditezza con cui l'ingegno umano si è dedicato alla
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lavorazione del marmo. E, fra le molte e mirabili opere che sono sta te realizzate ricorrendo a questo materiale, la più straordinaria, per Plinio, sono i labirinti. Essi sono (Naturalis Historia 3 6, 84, traduzio ne di Rossana Mugellesi) «l'opera forse più portentosa in cui l'uomo ha profuso i suoi beni - comunque non sono qualcosa di inesistente, come pure si potrebbe credere». I labirinti, dunque, sottolinea Plinio, non sono realtà immaginarie, invenzioni della fantasia. Essi esistono realmente: prova ne è, ancora una volta, il famoso labirinto egizio de scritto da Erodoto, che Plinio fa risalire a 3 6oo anni prima e conside ra, secondo quella che egli definisce «l'opinione più diffusa», un tem pio in onore del Sole. Come Diodoro, anche Plinio (Naturalis Historia 3 6, 8 5 ) ritiene l'edificio egizio la vera matrice di ogni architettura labirintica: «Non c'è dubbio, comunque, che Dedalo prese questo come modello del labirinto che costruì a Creta, ma ne imitò soltanto la centesima parte che contiene giravolte e andirivieni inestricabili». Nella descrizione che Plinio offre del labirinto egizio si delinea l'immagine di un luogo arcano, terribile e spaventoso. «Vi sono aperte parecchie porte, che traggono in errore chi cerca di andare avanti e fanno tornare sempre agli stessi percorsi sbagliati» ( 3 6, 86) . Inoltre, «è quando si è già stan chi di camminare, che si arriva a quell'inestricabile andirivieni di per corsi; ci sono anzi anche sale conviviali cui si accede superando dei pendii, e poi si percorrono portici in discesa con novanta gradini. Al l'interno stanno colonne di porfido, statue di divinità e di re, e figure di mostri. Alcuni edifici sono organizzati in modo tale che, quando si aprono le porte, all'interno si leva un boato terribile e quando li si attraversa la maggior parte del percorso si svolge nelle tenebre» ( 3 6, 87-88). Quello d i Creta, aggiunge Plinio ( 3 6, 86), «fu i l secondo labirinto dopo quello d'Egitto, il terzo fu a Lemno ed il quarto in Italia, tutti coperti da tetti di pietra levigata». Quello di Lemno, precisa Plinio, è l'unico di cui restano ancora le vestigia, mentre i labirinti cretesi e italiani erano già scomparsi. Cosa fosse questo labirinto di Lemno non è chiaro: si è pensato a un errore, poiché Plinio attribuisce l'ope ra ad alcuni architetti di Samo (Teodoro e Reco), e poiché altrove ( 3 4, 8 3 ) egli definisce il tempio di Era a Samo un labirinto, ricordan do proprio Teodoro come uno dei suoi artefici. Plinio, insomma, avrebbe confuso Samo con Lemno: uno scambio tra due isole dell'E geo nord-orientale. Questo è probabile. Si può comunque ricordare, per quanto la circostanza possa essere priva di rilevanza, che, come vedremo meglio più avanti, una testimonianza antica fa di Lemno la 30
I . LA SIGNORA DEL L A B I R I N TO
tappa finale del viaggio di Arianna: Dioniso l'avrebbe condotta pro prio in quell'isola, sacra al dio Efesto e celebre per gli arcani culti misterici dei Cabiri. Il quarto labirinto, infine, quello italiano, sarebbe stato, secondo Plinio, la tomba del re etrusco Porsenna. Nessuno, nota Plinio ( 3 6, 9 1 ), avrebbe potuto uscirne «senza un gomitolo di filo» (sin e glomere lini) . La parola "labirinto " non ricorre peraltro solo nelle opere lettera rie ed erudite. Essa doveva essere, in qualche misura, un parola di uso comune. La ritroviamo infatti anche in alcuni documenti dove indica sempre una costruzione. Essa è attestata per esempio in una serie di testi papiracei trovati in Egitto e risalenti all'età tolemaica (m r secolo a.C.) in riferimento a edifici di vario genere ' 6 • Compare inol tre in alcune iscrizioni trovate a Didyme, in Asia Minore, dove la pa rola labyrinthos sembra riferirsi al locale tempio di Apollo. Edifici chiamati labirinti erano dunque noti in molte zone del mondo, sia all'interno sia al di fuori dell'area occupata dai greci. E benché, come si è visto, alcuni autori indichino esplicitamente che il labirinto di Creta era una grotta, anche nelle storie di Arianna si dà spesso per scontato che esso sia un edificio. Così, per esempio, il mitografo Apollodoro (Epitome r , 9), raccontando l'impresa di Teseo, può dire che l'eroe ateniese aveva legato un capo del celebre filo alla porta (thyra) del labirinto. E anche Plutarco ( Vita di Teseo 1 9, ro ) parla di una battaglia ingaggiata «alle porte ( en pylais) del labirinto». In veri tà, questa insistenza sulle porte ricorda singolarmente la tradizionale espressione greca " le porte dell'Ade", Pylai Haidou, e indirizzerebbe ancora una volta verso un'interpretazione infera del labirinto. In ogni caso, al di là di generici accenni, sul labirinto cretese gli autori anti chi non offrono alcun dettaglio. Nulla si sa sulla sua struttura archi tettonica: circostanza che viene spiegata da Plinio il Vecchio col fatto che del labirinto di Creta non resta più alcuna traccia. Nessuna incer tezza sorge invece sul nome del suo architetto, che le testimonianze antiche indicano concordemente nella figura dell'artefice miti co per eccellenza: Dedalo ' 7 . E, sia esso la " casa della doppia ascia " o la " casa di pietra", sia un palazzo o una grotta, il labirinto di Cnosso viene comunque sempre indicato come una prigione per il mostruoso uomo-toro, l'ibrido Minotauro. I 6. Per un'ampia documentazione e discussione su questi testi papiracei cfr. i vi, pp. 9 9 ss. I7. Sulla figura di Dedalo nel suo complesso resta prezioso il saggio di F. Fronti si-Ducroux, Dédale, mythologie de l'artisan en Grèce ancienne, Paris I 97 5 ·
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I .3 La danza di Dedalo
Una fanciulla riposa sulla riva del mare, nella lontana Fenicia. Le mandrie di vacche che aveva portato al pascolo oziano poco lontano. All'improvviso un toro bellissimo, dall'aspetto mite, appare tra le gio venche. Come incantata, la fanciulla si avvicina al toro e gli sale in groppa. Ma l'animale, con uno scarto improvviso, balza in mare e, portandosi via la terrorizzata ragazza, nuota tra le onde fino all'isola di Creta. Così inizia la grande saga cretese di Minosse. Con un toro che in realtà non è un toro, ma è il padre di tutti gli dei, Zeus, così perdutamente invaghito della fanciulla intravista sulla spiaggia da tra sformarsi in animale. La fanciulla è Europa, figlia del re fenicio Age nore ed eroin a eponima del Vecchio Continente. Le sacre nozze tra Zeus ed Europa furono consumate nell'isola di Creta e da quell'unio ne nacquero tre figli: Sarpedone, Radamanto e Minosse. Quando il marito umano di Europa - il re di Creta Asterio - morì, Minosse rivendicò il trono. Per legittimare la sua rivendicazione, racconta il mitografo Apollodoro ( 3 , r , 3 -4 ) , egli «sostenne che il regno gli spet tava per volontà divina e allo scopo di rendere credibile la sua prete sa affermò che ogni sua preghiera sarebbe stata esaudita. Così, men tre stava sacrificando a Posidone, lo pregò di fare emergere dagli abissi marini un toro e promise di immolarlo quando fosse apparso. Posidone allora gli inviò un magnifico toro e Minosse ottenne il re gno, ma inviò il toro al pascolo e ne sacrificò un altro» (traduzione di Giulio Guidorizzi). Zeus si trasforma in toro e attraversa il mare di cui il fratello Po sidone è signore assoluto; Posidone, a sua volta, invia sulla terra un toro divino. Troviamo fin d'ora, già congiunti, due elementi dominan ti della saga di Arianna: il toro, simbolo di una potenza sovrannatura le, e lo scenario del mondo marino governato da forze altrettanto ar cane. Minosse aveva preso in sposa Pasifae, figlia di Helios, il Sole, e di Perseide. Dal loro matrimonio nacquero Arianna e Fedra e, sem pre stando ad Apollodoro, tutta un 'altra serie di figli: Catreo, Deuca lione, Glauco, Androgeo, Acalle e Xenodice. Pasifae avrebbe pagato in prima persona il prezzo dell'affronto fatto dal marito a Posidone. Racconta ancora Apollodoro: «Posidone si adirò con Minosse perché non aveva sacrificato il toro: perciò lo rese selvaggio e fece in modo che Pasifae concepisse una passione per lui. Ed ella, invaghitasi del toro, si procurò la complicità di Dedalo, che era un architetto fuggito da Atene in seguito a un omicidio. Egli fabbricò una vacca di legno montata su ruote, la prese e la scavò all'interno, poi la rivestì con una 32
r . LA SIGNORA DEL LABIRINTO
pelle bovina; infine, dopo averla collocata nel prato in cui il toro sole va pascolare, vi fece entrare Pasifae. E il toro venne e si congiunse a lei come se fosse realmente una vacca. Così ella diede alla luce Aste rio, che fu chiamato Minotauro: egli aveva il muso di toro, mentre per il resto era umano. In obbedienza a certi oracoli, Minosse lo rin chiuse sotto custodia nel labirinto: il labirinto, costruito da Dedalo, era un edificio che con i suoi intricati meandri sviava dalla via d'u scita». Dall'innaturale connubio tra Pasifae e il prodigioso animale nasce dunque un mostro, un bambino dal corpo umano e dalla testa di toro, noto appunto come Minotauro, "il toro di Minosse " . La leggen da del Minotauro fu una delle più celebri dell'antichità, ripetuta mille volte dai greci: la sua prima attestazione è nei versi del poeta arcaico Esiodo (fr. 145 Merkelbach-West) . Il vero nome del mostro sarebbe stato Asterio, perché secondo alcuni il suo corpo era coperto di stel le. E toccò ancora una volta a Dedalo costruire una casa-prigione per il Minotauro: il labirinto, dove il bambino mostruoso crebbe finché Teseo non venne a ucciderlo, salvando la vita dei sette fanciulli e del le sette fanciulle ateniesi che erano stati destinati al sacrificio dalla crudeltà di Minosse. Dedalo, in realtà, figura non solo come costruttore ma anche come prigioniero del labirinto. Gli autori antichi testimoniano infatti che Minosse ve lo fece rinchiudere con il figlio Icaro o per la sua complicità con Pasifae oppure per l'aiuto offerto a Teseo e Arianna. È noto cosa accadde in seguito: la fuga dal labirinto con le ali di cera costruite dall'ingegnoso artefice, la sventatezza del giovane Icaro che vola troppo vicino al sole e precipita quando le sue ali si sciolgono. Dedalo, sopravvissuto, viene braccato da Minosse, assetato di vendet ta. E, come racconta Apollodoro (Epitome r , 14), il re di Creta «por tava con sé una conchiglia a spirale e prometteva di offrire una gros sa ricompensa a chi fosse riuscito a fare passare un filo dentro la con chiglia, convinto che con questo espediente avrebbe scoperto Deda lo» (traduzione di Giulio Guidorizzi) . Solo Dedalo, infatti, avrebbe potuto risolvere il rompicapo. Così avviene: l'ingegnoso architetto si smascherò consigliando al re siciliano Cocalo la soluzione, che consi steva nel legare il filo a una formica e farla passare in un foro pratica to nella conchiglia. Ma, conclude Apollodoro, la morte misteriosa e improvvisa di Minosse salvò Dedalo. È evidente che la conchiglia a spirale è un 'altra forma del labirinto, e il filo che l'attraversa è analo go a quello che Teseo svolge nell'isola di Creta. Il lessicografo Esi chio, del resto, alla voce labyrinthos aggiungeva la spiegazione «luogo a forma di conchiglia»; mentre, viceversa, la conchiglia poteva, in un 33
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epigramma, essere definita un «labirinto marino» (Antologia Patatina 6, 224) ' 8. Anche attraverso questa storia mitica, il labirinto si manife sta innanzitutto come dimensione simbolica, come spazio mentale che può assumere forme e apparenze diverse. Peraltro la tradizione cono sce anche una versione secondaria sulla fuga di Dedalo, secondo la quale Dedalo, Icaro e Pasifae fuggirono insieme da Creta su una nave. Icaro sarebbe morto durante quel viaggio, cadendo in mare presso l'isola che da allora, e ancora oggi, porta il nome di Ikaria (cfr. Diodoro 4, 77 e Pausania 9, I I , 4) ' 9 . Il nome di Dedalo, che rimanda al verbo greco daidallein , "lavo rare con arte", è già adombrato, come si è visto, nelle tavolette mice nee di Cnosso, nel riferimento a quel Daidaleion a cui vengono por tate offerte d'olio. Ma un'altra tradizione, che risale all'Iliade di Omero, attesta un suo ruolo di artefice direttamente al servizio di Arianna. Omero sta descrivendo lo scudo di Achille, opera mirabile forgiata da Efesto per l'eroe invincibile. Il fabbro divino, «lo zoppo famoso», ha istoriato lo scudo con una serie di scene che il poeta descrive minutamente. Una di queste scene rammenta l'opera che Dedalo aveva creato per Arianna a Creta: «E ancora incise un luogo di danza lo zoppo famoso, l simile a quello che un tempo, nella am pia Cnosso, l Dedalo costruì per Arianna dai bei capelli. l Qui gio vani e fanciulle ricchissime danzano l tenendosi per mano» (Omero, Iliade I 8 , 5 90-594 ) . Dedalo, notava i l vescovo d i Tessalonica Eustazio nel suo com mento all' Ilùz de (4, p. 2 6 8 van der Valk), si era fatto servitore di don ne innamorate: prima di Pasifae, costruendole la vacca di legno, e poi di Arianna. Anche se in questo caso, in verità, Omero non fa cenno alcuno all'amore (o agli amori) di Arianna. Il verbo qui usato per de finire l'opera di Dedalo è askeo, che indica primariamente, e nell'uso omerico, l'azione di lavorare con arte una materia grezza. Il prodotto del lavoro di Dedalo è un choros, che letteralmente significa "danza " . Come andrà inteso questo termine? C ' è chi ha pensato a u n oggetto, una scultura o un bassorilievo, che rappresentava una danza, anche sulla scorta del breve accenno dell'erudito Pausania (9, 40, 3 ) : questi, infatti, ricordava, tra le opere scultoree di Dedalo, l'esistenza a Cnos so di una «danza di Arianna (Ariadnes choros) , menzionata da Omero nell'Iliade, incisa a rilievo nel marmo bianco». Ma il contesto origina rio dell'Iliade sembra rendere preferibile una traduzione di choros r 8 . Su Dedalo e la conchiglia cfr. ivi, pp. 1 7 5 ss. 1 9 . Sulla prigionia e la fuga di Dedalo cfr. ivi, pp. 1 5 0
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ss.
I . LA S I G N O R A D E L L A B I R I N T O
come "luogo, spazio per la danza" 20• È noto, del resto, che il labi rinto fu a volte anche inteso e rappresentato come danza. Gli antichi conoscevano la geranos, "danza della gru ", che Teseo avrebbe esegui to per primo nell'isola di Delo, con le fanciulle e i fanciulli ateniesi che erano stati destinati al sacrificio a Creta, come atto di ringrazia mento per essere scampato al Minotauro: questa danza riproduceva coreograficamente i meandri e il cammino tortuoso del labirinto (Plu tarco, Vita di Teseo 2 1 ) . La danza della gru si svolgeva secondo modalità che ricordano quelle evocate da Omero nella descrizione dello scudo di Achille: i danzatori, sia maschi sia femmine, si tenevano per le mani, compo nendo una lunga fila che si intrecciava e si snodava in una serie di movimenti tortuosi. Ritroviamo la stessa coreografia, con lo snodarsi, mano nella mano, di una fila di danzatori, in una celebre raffigurazio ne su un vaso di epoca arcaica (Vaso François, 5 7 0 a.C . ) : qui Teseo guida la schiera dei giovani ateniesi verso Arianna che gli porge un gomitolo e una corona. Nell'età imperiale romana, il retore Filostrato il Giovane, descrivendo un'opera d'arte, notava che vi era raffigurato «un gruppo di danzatori, molto simile a quello che Dedalo, a quanto si dice, avrebbe dato ad Arianna. Che cosa rappresenta? Fanciulli (eitheoi) e fanciulle (parthenoi) che danzano stringendosi per le mani» (Filostrato il Giovane, Immagini r o , r 8 ) . Eustazio, nel suo commento all'Iliade (4, p. 2 67 van der Valk), sembra contaminare la geranos di Delo con il choros cretese di Arianna, quando dice che, secondo «gli antichi» (oi palaioi) , «un tempo uomini e donne danzavano separata mente. Per primi i sette fanciulli e le altrettante vergini salvati dal labirinto con Teseo eseguirono una danza mista, sotto la guida di De dalo, a Cnosso, città di Creta». Bisognerà tornare sulla "danza della gru " e sulle immagini del Vaso François quando si prenderà in esame nel dettaglio l'avventura di Teseo. La testimonianza america sembra comunque orientare an ch 'essa verso un'interpretazione del labirinto come danza. Dedalo, che edifica un labirinto-prigione per il Minotauro, costruisce anche il luogo di una danza-labirinto per Arianna. Le due dimensioni sem brano essere la realizzazione distinta di un 'unica idea mitologica. La connessione tra la danza e il labirinto è attestata in epoca arcaica an che dalla cosiddetta brocca di Tragliatella ( 6 3 0 a.C . ) 2 1 , dove sono 20. Cfr. M. W. Edwards, The Iliad. A Commentary. Volume v: books 1 7 -2 0 , Cambridge 1 9 9 1 , p . 2 2 8 . 2 1 . Cfr. J. P. Small, The Tragliatella Oinochoe, i n "Rheinisches Museum " , 9 3 , 1 9 8 6 , p p . 7 ' ss.
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raffigurati sette giovani guerrieri impegnati in una danza e due cava lieri. Alle loro spalle è disegnato un labirinto accanto al quale compa re l'iscrizione etrusca truia: questa parola rimanda al ludus Troiae, il "gioco troiano", una sorta di intricata circonvoluzione equestre che i giovani romani eseguivano nel Campo Marzio, secondo un rituale rin novato dall'imperatore Augusto (Svetonio, Vita di Augusto 4 3 ) . Esso trae il suo nome dal fatto di essere stato eseguito per la prima volta dai fanciulli troiani in viaggio verso l'Italia al seguito di Enea come momento delle celebrazioni funebri in onore di Anchise. Virgilio de scrive il momento aurorale di questa celebrazione, nel v libro dell'E neide (vv. 5 68-575, traduzione di Luca Canali), chiamando in causa esplicitamente come termine di paragone il labirinto cretese: Come si dice che un tempo il labirinto nell'alta Creta ebbe un percorso costruito con cieche pareti, e un ambiguo inganno con mille vie, per dove un ignoto e irreversibile errare confondeva le tracce del cammino; con uguali volteggi i figli dei Teucri aggrovigliano le orme, e intessono fughe e battaglie per gioco, simili ai delfini che nuotando pei liquidi mari solcano il mare Carpatico e il Libico e giocano tra le onde .
La danza dedalica descritta da Omero, la geranos e la scena del Vaso François sono accomunate dal fatto che i danzatori si tengono per le mani. Questa maniera di ballare non era comunissima nell'antica Grecia. Qualcosa di simile si ritrova nell'affresco di una tomba di Ru vo, in Puglia, databile al rv secolo a.C., che mostra una fila di donne che danzano tenendosi per le mani, con le braccia incrociate 2 2 • Trat tandosi di una scena che decorava una tomba, si può pensare al cho rus Proserpinae, che secondo Livio ( 2 7, 3 7, q ) , le fanciulle romane danzavano in onore della regina degli Inferi, tenendosi legate l'una all'altra tramite una corda impugnata nelle mani: tanto più che alcune testimonianze lasciano supporre l'uso di una corda anche per l'esecu zione della geranos a Delo. Ma, per quanto non comune, questo tipo di danza in fila serrata appare comunque essere molto antico. Le pri me testimonianze ci riportano proprio alle epoche più remote della civiltà cretese. Esso è infatti documentato da alcune figurine in cera mica di età minoica che rappresentano danzatori, trovate nell'isola di Creta, in una tomba di Kamilari (presso Pesto) e a Paleokastro. Ma la mitica danza dedalica è rappresentata nel modo migliore da un'anfora 2 2 . Cfr. G. Gadaleta, La tomba delle danzatrici di Ruvo, Napoli 2 002 .
I . LA S I G N ORA DEL L A B I RI N TO
micenea trovata in una necropoli, decorata con una fìla di ballerini che si tengono per mano 23. Il fatto che simili raffìgurazioni compaia no in genere in tombe potrebbe far pensare a una connessione di questo tipo di danze con contesti e riti funebri. E forse non è casuale che quest'ultima anfora micenea sia stata trovata proprio a Nasso, isola fatale per la principessa Arianna.
I .4 Purissima e luminosa
L'Arianna per cui Dedalo appresta un choros è, secondo Omero, kal liplokamos, "dai bei capelli", un epiteto che nell'Iliade è di solito ri servato a divinità come Demetra o Teti (Iliade 1 4, 3 2 6 e r 8, 407 ) . È forse per l'antica Signora del labirinto che il supremo artigiano crete se prepara una danza? Che Arianna in origine fosse una divinità, poi retrocessa al rango di eroina, è ipotesi avanzata da molti studiosi. Spesso la si è immaginata come un'antica e potente dea minoica della vegetazione, poi compromessa in un romanzo d'amore e di avventure come compagna di Teseo. Ma perché proprio una divinità della vege tazione e non di qualcos'altro? Le religioni antiche, e quelle egee in particolare, sono state sovente interpretate sulla base di una presunta centralità dei culti agrari. Questa tendenza era stata inaugurata da al cuni eruditi tedeschi del secondo Ottocento, come J ohann Manhardt ed Hermann Usener. Ma fu poi, soprattutto, la suggestiva eredità di James Frazer ( r 854- 1 94 r l, a rivelarsi determinante. Miti e riti sem bravano tutti riconducibili a un unico fenomeno religioso: la rappre sentazione, o la propiziazione, del rinnovamento dei cicli stagionali. Tutte le divinità erano, in origine, divinità della vegetazione; le loro vicende mitiche simbolizzavano le sofferenze dello spirito della natu ra. Era quella che un antropologo inglese, Andrew Lang, chiamava sprezzantemente «the Covent-Garden school of Mithology», alluden do al più grande mercato ortofrutticolo di Londra, che allora sorgeva al Covent Garden 24. 2 3 . Per questi reperti si rimanda al saggio (in greco moderno) di A. Mastrapas, Ydria me ithmoto kyathio apo to YKIYE III G nekrotapheio Kaminiou Naxou, in Atti e memorie del secondo congresso internazionale di micenologia. Roma-Napoli, r4-2 0 otto bre I99 I , Roma 1 996, vol. n, pp. 7 9 8 - 803 . 2 4 - Per una sintetica e chiara panoramica su questi sviluppi rimando a F. Graf, Il mito in Grecia , Miinchen-Ziirich r 9 8 5 , trad. it. Roma-Bari r 9 8 7 , pp. 2 r ss. (da cui
ricavo anche la citazione di Andrew Lang).
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In questo contesto si comprende perché potesse apparire ovvia l'i potesi di un influente storico delle religioni, lo svedese Martin Nils son ( 1 874- 1 967 ) , secondo il quale Arianna era un'antica divinità della natura venerata nelle isole dell'Egeo, una dea della vegetazione il cui culto risale all'epoca mino i ca 2 5 • Anche un autorevole studioso del dionisismo, Henri Jeanmaire, aderiva a questa ipotesi: «In Arianna si deve riconoscere una grande figura dell'antica mitologia egea, proba bilmente già appartenente al pantheon minoico; secondo tutte le ap parenze, essa era una di quelle dee della vegetazione il cui culto [. .. ] aveva preceduto quello di Dioniso» 2 6 . Un elemento che connetteva la figura di Arianna a questa dimensione era rintracciato in un 'isolata notizia di Plutarco ( Vita di Teseo zo, I ) , secondo il quale Arianna si sarebbe impiccata nell'isola di Nasso. Questo dato, secondo Nilsson, andava a sua volta ricollegato ad altre testimonianze antiche che par lavano della morte di Arianna: la notizia omerica sull'uccisione dell'e roina per mano di Artemide, il racconto della sua morte per parto nell'isola di Cipro, e infine la tradizione che narrava di una sua se poltura ad Argo (versioni del mito su cui ritorneremo nei capitoli successivi) . «Nessun 'altra eroina ha patito la morte in così tanti modi come Arianna, e queste differenti versioni possono essere spiegate solo se hanno avuto origine in un culto in cui la sua morte veniva celebrata», concludeva Nilsson 27 . Come ogni altro demone della ve getazione, insomma, Arianna aveva attraversato una vicenda di morte che simbolizzava il periodico assopirsi della natura nel periodo inver nale. Alla morte poteva eventualmente seguire una primaverile resur rezione, rappresentata dall'apoteosi al fianco di Dioniso, il quale a sua volta veniva considerato un'ipostasi dello spirito della natura, in quanto divinità che muore e risorge, come attesta la peraltro oscura tradizione relativa all'uccisione del dio infante da parte dei Titani. Inoltre, un elemento non secondario della notizia plutarchea risie deva nelle modalità della morte di Arianna. L'impiccagione è un trat to che accomuna molte eroine e divinità della tradizione greca. Se condo Pausania ( 3 , 1 9 , I O ) sarebbe morta così, nell'isola di Rodi, an che Elena, una figura che Nilsson accomuna ad Arianna come ipo2 5 . Cfr. M. Nilsson, The Minoan-Mycenaean Religion and Its Survival in Greek Religion, Lund 1 95 0 ' , pp. 5 2 3 ss.; Id., The Mycenaean Origin o/ Greek Religion, Ber keley-Las Angeles 1 97 2 ( reprint), pp. 1 7 1 ss. Cfr. anche Id., Griechische Feste von religioser Bedeutung, Leipzig 1 906, pp. 3 8 2 -4 2 6 . H. Jeanmaire, Dioniso (Paris 1 9 5 1 ) , trad. it. Torino 1 97 2 , p. 2 2 3 . 2 7 . Nilsson, Minoan-Mycenaean Religion, cit. , p . 5 2 7 : «No other heroine suffered
death in so many ways as Ariadne, and these different versions can only be explained as originating in a cult in which her death was celebrateci».
I . LA S I G N O R A D E L L A B I R I N T O
stasi di un'antica divinità della vegetazione. Il racconto di Pausania attribuisce la morte di Elena a Polisso, che voleva vendicarsi per la morte del marito Tlepolemo, caduto sotto le mura di Troia: «Costei, dunque, volendo vendicare su Elena, come dicono, la morte del mari to, come l'ebbe in suo potere le mandò contro, mentre era al bagno, delle ancelle in sembianze di Erinni. Queste donne afferrarono Elena e la impiccarono a un albero. Perciò i Rodiesi hanno un santuario di Elena Dendritide» (traduzione di Salvatore Rizzo) . Il fatto dunque sa rebbe avvenuto nell'isola di Rodi e a questa morte per impiccagione gli abitanti del luogo collegavano il culto di Elena dendritis, ovvero "dell'albero " (dendron) . Peraltro la stessa dea Artemide era venerata nella singolare forma di divinità apanchomene, "impiccata" (Pausania 8, 2 3 , 6-7 ) . E bisognerà ricordare anche il destino di Fedra, sorella di Arianna e sposa di Teseo, di cui era nota la morte per impiccagione, nel momento in cui il suo amore incestuoso per il figliastro lppolito era stato svelato 2 8 • Le fìgure femminili di impiccate sono spesso state ricondotte al l'archetipo primigenio di un'antichissima divinità dell'albero. Si tratta di un modello interpretativo che a volte è tuttora operante: ancora nel 1 995 , per esempio, lo studioso Henry J. Walker dà per scontato che Arianna sia una dea della vegetazione, «a vegetation goddess» 2 9 . Ma davvero tutte queste arcane immagini di eroine e divinità possono essere ricondotte a un'unica matrice, quella dei riti di fertilità della terra? Le storie di Dioniso conoscono almeno un'altra fìgura di im piccata: Erigone. La vicenda si riferisce al primo avvento di Dioniso in Attica, alla sua epifania nel borgo di Ikarion, presso Atene. Qui il dio, venuto a portare agli uomini il dono del vino, fu ospitato dal pastore !cario e si innamorò di sua fìglia Erigone. Poco dopo la fan ciulla gli partorì un fìglio, Stafìlo (Grappolo), e Dioniso, prima di proseguire il suo viaggio, lasciò in dono ad !cario un otre di vino. La bevanda miracolosa che dona ai mortali l'oblio di tutti i dolori era ancora ignota tra gli uomini. Quando !cario la offrì ai suoi compaesa ni, questi ultimi, che non ne avevano mai provato gli effetti, si ubria carono e, credendo di essere stati avvelenati, uccisero il profeta di Dioniso. Erigone, trovato il cadavere del padre, chiese vendetta al dio e poi, disperata, si impiccò ad un albero. Dioniso, allora, sconvolse la mente delle fanciulle ateniesi, che una dopo l'altra si impiccarono. Per porre fìne a questi suicidi, gli ateniesi consultarono l'oracolo di 28. Cfr. anche Gallini, Potinija Dapuritoio, cit. , pp. 1 66 ss. 29. H . J. Walker, Theseus and Athens. Anthropologic Interpretation o/ the Myth , Oxford 1 9 9 5 , p. ' 5 ·
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Delfi: la Pizia profetizzò che la follia sarebbe cessata con la punizione degli assassini di !cario. Compiuta la giusta punizione, ad Atene ven nero istituiti riti in onore di Erigone, l'Aiora, la "festa dell'altalena", durante i quali le fanciulle della città si dondolavano appese agli albe ri. Questo rito veniva ripetuto ogni anno, all'inizio della primavera, durante la festa dionisiaca delle Antesterie 3 °. Anche in questo caso, il dondolarsi delle fanciulle appese a un albero è stato spesso interpretato come rito di propiziazione della fe condità della terra. Ma se l'albero può rimandare ai culti della vegeta zione, non vi è alcun elemento specifico per ritenere che l'azione di dondolarsi avesse una qualche funzione riguardante la fecondità del suolo. Kerényi, con eguale ragione, ha potuto parlare del dondolio come di «una naturale azione magica» che «tramite un artificio favo risce il raggiungimento da parte di colui che dondola di una condi zione particolare di sospensione, di una sorta di estasi» 3 ' . Questo spiegherebbe la presenza del rito dell'Aiora in una festa dionisiaca come le Antesterie. Connessione attestata anche da una scena dipinta su un vaso del v secolo a.C. dove è un satira dionisiaco a spingere una ragazza sull'altalena 3 2 . Arianna ed Erigone vivono esperienze analoghe. Di entrambe si narrava una morte per impiccagione; inol tre, un'oscura notizia conservata nell'anonimo Certamen Homeri et Hesiodi ( r 4 , p. 2 2 4 Allen) sembra collegare l'impiccagione di una fanciulla della Locride a una festa locale in onore di Arianna, le Ariadneiai. Ma l'affinità riposa soprattutto sul fatto che Erigone e Arianna furono entrambe donne amate Dioniso: a entrambe il dio avrebbe concesso l'onore di essere trasformate in stelle (Erigone nella costellazione della Vergine, Arianna in quella della Corona Borealis) ; d a entrambe egli avrebbe avuto u n figlio d i nome Stafilo. Ma anche il tema del dondolio riconduce alla saga cretese. Fedra fu immaginata mentre si dondola (aiouromenen ) in eterno su un'alta lena, nel regno dei morti, sotto gli occhi della sorella Arianna, seduta su una roccia: questa la scena che, nel v secolo a.C . , il celebre pittore Polignoto dipinse nella Lesche dei Cnidii a Delfi, e che secoli più tardi il viaggiatore Pausania ( r o, 2 9 , 3) ha visto e descritto. Come commenta Pausania, per quanto la scena fosse graziosa, le mani di Fedra, strette intorno alla corda dell'altalena, ricordavano la sua mor te per impiccagione. La figura della fanciulla (o della dea) sull' altale30. Cfr. K. Kerényi, Dionz5o (Miinchen-Wien r 9 7 6 ) , trad. it. Milano r 9 9 2 , pp. I54
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3 r . lvi, p. r 5 6 . 3 2 . lvi, p. 2 8 3 e fig. 42b.
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na è peraltro molto antica: una statuina di terracotta d'epoca minoica raffigura una ragazza che si dondola su un'altalena appesa a due pila stri sormontati da uccelli sul punto di spiccare il volo 3 3 • L'immagine è stata trovata in una tomba di Hagia Triada, nel sud di Creta. Il dettaglio dei due uccelli appollaiati sui pilastri è difficile da interpre tare: solo per via di suggestione, ovviamente, verrebbe voglia di acco stare l'immagine minoica con la Fedra di Euripide (lppolito, vv. 8 2 7 - 8 2 8 ) che, impiccandosi, vola nell'Ade come un uccello. In ogni caso, nel grande dipinto delfico di Polignoto, Arianna e Fedra sono due impiccate, per le quali l'altalena è un gioco a cui sono votate (costrette? ) nell'Aldilà. Il dondolio, dunque, con quel re stare sospesi nel nulla, e quel suo moto perpetuo e automatico, ha anche un'altra dimensione, una dimensione funebre, che si affianca a quella dell'estasi, indicata da Kerényi? La festa dell'altalena, l'Aiora, si svolgeva nelle Antesterie ateniesi in concomitanza con i giorni in cui si supponeva che gli spiriti dei defunti tornassero sulla terra. Un momento religioso in cui il dionisiaco si connette direttamente con l'infero, secondo il celebre ed enigmatico dettato del sapiente Era clito: «Ade e Dioniso sono un unico dio» (fr. 6o Diels-Kranz) . Lo stesso Kerényi, del resto, conformemente alla sua idea del labirinto come luogo infero, ha ritenuto che Arianna fosse in origine una divi nità dell'Aldilà, una signora del regno dei morti. Dal punto di vista etimologico, l'interpretazione del nome Ariad ne appare univoca. Esso deriva da un prefisso intensivo ari combina to con l'aggettivo hagne. Hagnos è un termine greco di difficile tradu zione: «Abitualmente si suole tradurre "altamente santa", ma l'agget tivo santa non può che indurre in errore il lettore cristiano. Anche la traduzione "pura", che sarebbe abbastanza aderente all'originale, non soddisfa perché il concetto di purezza è per noi inseparabile dalla moralità. Con le parole "non toccata", "intangibile " ci avviciniamo al significato vero, ma dobbiamo intenderlo nel senso di un'intangibilità propria di chi è sottratto all'umano, alla sua buona come alla sua cat tiva natura» 34. Arianna è dunque "la purissima", ma la sua purezza è da intendersi come segno che contraddistingue ciò che è sovrannatu rale. La forma Ariadne deve essere dunque in realtà una versione re cenziore di un originario Ariagne. Lo conferma una glossa del tardo erudito Esichio, il quale ci informa che, presso i cretesi, in luogo di hagnon si diceva adnon. Ma la dea pura, hagne, per eccellenza è, nota Kerényi, Persefone, sposa di Ade e signora dei morti. 3 3 · Ivi, p. 1 5 6 . 34· W. F. Otto, Dioniso (Frankfurt 1 9 3 3 ) , trad. i t . Genova 1 997, p. 1 9 2 .
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Non sarà u n caso, forse, che la stessa Persefone s1a stata, come Arianna, vittima di un ratto da parte di Teseo: un ratto in questo caso mancato, poiché il Signore dei morti intervenne per salvare la sua sposa, trasformando l'eroe ateniese in una statua di marmo (Pau sania ro, 2 9, 9 ) . E, forse, non è casuale neppure che nella vicenda di Arianna ritornino fìgure mitiche tutte connesse alla radice perse- , che «sembra doversi ricondurre alla sfera semantica della terra e dell'ol tretomba» 3 5 . La madre di Pasifae si chiamava Perseide. E anche la notizia del poeta epico Nonno di Panopoli che, nella tarda età roma na, nel XLVII libro delle sue Dionisiache, attribuisce a Perseo la morte di Arianna potrebbe dunque rinviare a una dimensione mitologica molto più antica. Perseo, l'uccisore di Medusa, era, del resto, anche l'eroe a cui le Ninfe avevano donato l'elmo magico di Ade, il signore dei morti, al quale era attribuita la virtù di rendere invisibile chi lo portava. Una tradizione che risale a un 'età relativamente antica: Per seo lo indossa già nel ritratto che gli viene dedicato nello Scudo pseu doesiodeo (vv. 2 2 2 - 2 3 4 ) . I l motivo dell'impiccagione sembra dunque rinviare alla dimensio ne infera di Arianna più che alla sua originaria natura di dea della vegetazione; anche se, ovviamente, i due elementi sono tutt'altro che inconciliabili, come dimostra la diade formata da Demetra e Persefo ne, madre e fìglia, l'una divinità della natura e l'altra regina dell'Ade. Ma l'immagine di un'Arianna impiccata, o collegata al dondolio del l' altalena, se inserita in un più vasto contesto mitico-rituale, apre co munque numerose strade. Una è quella indicata dalle pagine, ormai classiche, che un grande etnologo e storico delle religioni come Erne sto De Martino ha dedicato al «simbolismo dell' aioresÙ» 3 6 . Il tema trattato da De Martino è quello delle feste della taranta in Puglia, frenetici rituali di danza facilmente interpretabili come riedizione mo derna di antiche cerimonie orgiastiche di stampo dionisiaco. Già i viaggiatori secenteschi notavano come lasciarsi dondolare dagli alberi fosse una delle attività tipiche dei tarantati. Risalendo dai rituali mo derni alla civiltà greca, De Martino rileva come tutte le testimonianze antiche sul dondolio riconducano a un mondo adolescenziale e virgi nale, sovente a un territorio di fìgure femminili bloccate sul margine tra l'infanzia e l'età adulta, o comunque a un orizzonte di amori irri solti e infecondi, privi di appagamento. I simbolismi dell'impiccagio ne e dell'altalena, scrive De Martino, «appaiono nel mondo greco in contesti mitico-rituali destinati visibilmente a dare orizzonte di deflus3 5 · G. Casadio, Storia del culto di Dioniso in Argolide, Roma 1 994, p . z 6 r . 3 6 . E. D e Martino, La terra del rimorso, Milano r 9 6 r , p p . 209 ss.
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so e di risoluzione a reali disordini psichici di adolescenti e di spose a vario titolo infelici, di fanciulle rimaste impigliate nella situazione in fantile e recalcitranti davanti alla scelta di uno sposo possibile, e infì ne di donne percosse da conflitti scatenati dalla passione per un im possibile amante» 3 7 . La fanciulla sull'altalena è una menade che vive una sua forma di estasi dionisiaca, diversa ma parallela a quella che si può esperire nel la danza; ma può essere anche la vergine che sublima nel dondolio la pulsione di morte che la spingerebbe a non uscire dal cerchio chiuso dell'adolescenza. Questa pulsione è quella che anima, per esempio, le Cariatidi, le "fanciulle del noce" spartane. Nel santuario di Artemide Cariatide, al confìne tra Laconia e Arcadia, si svolgevano infatti danze annuali di vergini (parthenoi: Pausania 3 , 1 0 , 7 ) ; ma una leggenda narrava che, in un tempo remoto, tutte le vergini impegnate nella danza, prese da un'improvvisa follia, sarebbero corse a impiccarsi a un albero di noce (karya: scolii a Stazio, Tebaide, v. 2 2 5 ) . Siamo an cora una volta in un ambito dionisiaco: Caria, l'eroina eponima del luogo, sarebbe stata trasformata in noce da Dioniso, che si era inva ghito di lei, perché le sorelle le impedivano di frequentarlo 3 8 . Caria, come Erigone, è una sposa mancata del dio, una sposa sottratta a Dioniso. Le vergini Cariatidi, a loro volta, ne condividono la sorte, impiccandosi all'albero prima di contrarre matrimonio. Sembra allora profìlarsi la possibilità di una lettura erotico-iniziatica di queste im magini di fanciulle sospese a un albero sia nelle storie mitiche sia in rituali come l'Aiora: nell'ambivalenza tra impiccagione e dondolio, tra morte per soffocamento e sensazione estatica provocata dalla sospen sione da terra, le fanciulle vivrebbero simbolicamente il diffìcile pas saggio dall'adolescenza all'età adulta. L'impiccagione assume il significato simbolico di morte se considerata in rapporto alla condizione che le ragazze dovranno presto abbandonare, ma segna anche un nuovo inizio se considerata in relazione alla vita sessuale cui esse avranno accesso attraverso il matrimonio. Si tratta peraltro di due esiti contigui, tra i quali sono possibili spostamenti e variazioni: ad esempio il de-
37· Ivi, p. 2 r 6. Sul rapporto tra impiccagione e verginità si vedano ora anche i due saggi di D. Bertolaso: Antigone: il corpo soffocato di una vergine, in Il corpo tea trale fra testi e messinscena, a cura di A. Andrisano, Roma 2006, pp. 49-64 e Il corpo chiuso. Verginità e suiczdio nella tragedia di Sofocle e nei trattati di ginecologia ippo cratica, in Tra negazione e soggettività. Per una rilettura del corpo /emminzle nella storia dell'educazione, a cura di A. Gagnolati, Milano 2007, pp. r 3 -4 r . 3 8 . Servio, Commento alle Bucoliche di Virgilio 8, 2 9 . Cfr. S. Rizzo, Pausanza, Vzaggio in Grecia. Libro Terzo: Laconza, Milano 1 99 5 , pp. 2 3 2 - 3 .
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stino tragico d i Fedra, che sceglie d i morire impiccandosi, p u ò essere evoca to dalla rappresentazione dell'eroina sull'altalena. Facendo sì che l'impicca gione originaria si tramuti in un movimento oscillatorio sull'altalena, la festa dell' aiora permette alle ragazze ateniesi di superare la fase momentanea di crisi e di evitare il destino di Erigone 3 9 .
Il dondolio dell'altalena, del resto, offre una forma di estasi che ha anche, palesemente, un risvolto erotico. Non a caso, in alcuni vasi antichi che rappresentano il rito dell'Aiora, Eros in persona si alterna al Satira, figura già di per sé fortemente caratterizzata in senso ses suale, nello spingere le fanciulle sull'altalena. Forse anche l'usanza di sollevare la sposa nel momento in cui varca la soglia della casa coniu gale non è estranea a questa antica simbologia della sospensione 40. Arianna sembra restare impigliata in questa ambivalenza tra vergi ne e sposa. La sua impiccagione è associata all'abbandono da parte di Teseo, dunque all'esperienza di una femminilità non risolta, a un pas saggio iniziatico incompleto, che non riesce a farla approdare dal re gno dell'adolescenza alla condizione di sposa. D'altra parte, l'incontro con Dioniso fa di Arianna l'incarnazione mitica, quasi per eccellenza, della sposa, per quanto si tratti di un matrimonio sottratto al tempo e alla storia umana, proiettato in una dimensione divina. In verità, nes sun aspetto sembra poter esaurire la complessità della figura di Arianna. E se, da un lato, possiamo figurarcela come una signora del mondo sotterraneo, dall'altro ella appare anche come immagine della luminosità celeste. Un suo nome alternativo era Aridela, "la lumino sa", come testimonia il tardo lessicografo Esichio (s. v. Aride/a) 4 ' . Questo nome sembra rimandare alla discendenza solare d i Arianna, da parte di madre nipote del dio Helios. Il nome stesso di Pasifae ha una valenza analoga: Pasifae è "colei che illumina ogni cosa", colei che porta la luce ovunque. La sorella di Arianna si chiamava invece Fedra: cioè, ancora una volta, etimologicamente, "la luminosa ", "la splendente " . Come vedremo, inoltre, più di una testimonianza antica fa riferimento alla trasformazione di Arianna in una costellazione. Lo stesso nome del Minotauro, Asteria, rimanda alla luce della volta stel lata. E Plutarco ( Vita di Teseo zo, z) riferisce la tradizione, derivata da Esiodo, secondo cui Teseo abbandonò Arianna per una fantomati ca Egle (Aigle), il cui nome parimenti significa "splendore" . In questa 39· C . Brillante, Il mito di Elena, Torino 2002 , pp. 6 r - 2 . 4 0 . Cfr. ivi, p . 62. 4 r. Per le varianti del nome di Arianna, soprattutto nelle iscrizioni sui vasi (Aria ne, Ariede, Arieda, Ariane, Arianne ecc . ) , cfr. A. Marini, Il mito di Arianna, in "Atene e Roma", 1 3 , 1 9 3 2 , p. 7 r n. r .
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chiave è stata letta la connessione che talvolta si intravvede tra Arian na e Artemide. Se Artemide appare spesso come ipostasi della divini tà lunare, anche ad Arianna-Aridela, "la molto luminosa", è stata at tribuita una natura simile. Kerényi, anzi, afferma categoricamente che Arianna «era certamente la Grande Dea Lunare del mondo egeo» 4 2 • Ma, d'altro lato, l'appartenenza alla stirpe del Sole pone Arianna in rapporto con alcune fìgure arcane e misteriose dotate di straordinari poteri magici: discendenti di Helios sono anche Circe e Medea. Circe sarebbe stata sorella di Pasifae, mentre Medea era fìglia di un fratello di Pasifae, Eeta. L'una zia e l'altra cugina di Arianna, insomma, alme no secondo le genealogie più accreditate. Ma soprattutto entrambe esperte di fìltri e incantesimi, e anch'esse, forse, antiche divinità del mondo egeo. Alla fìne, ciò che sembra emergere è l'assoluta incertezza in cui ci muoviamo nel tentativo di ricostruire le fasi più antiche della storia e del culto di Arianna. Probabilmente essa fu un tempo una grande dea, forse la Signora del labirinto venerata nel palazzo miceneo di Cnosso. Ma ben presto il suo ruolo fu un altro: quello di sposa e seguace di un dio ancora più grande, l'arcano Dioniso, signore dell'e stasi e dell'ebbrezza.
42 . Kerényi, Dioniso, cit. , p . 1 2 9 .
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La sposa di Dioniso
2. 1 Un dio ambiguo
Dioniso è il dio inafferrabile. Ambiguo più di ogni altro, può essere dolcissimo e terribile, gioioso e funesto. Il suo regno è quello della follia e dell'ebbrezza. Egli è il signore delle illusioni e degli inganni, il maestro dei travestimenti e delle maschere. «Quando il mondo stabile degli oggetti familiari, delle figure rassicuranti, vacilla per diventare un gioco di fantasmagorie in cui l'illusorio, l'impossibile, l'assurdo si fanno realtà, Dioniso è lì presente» Non stupisce quindi che il dio, per lungo tempo, si sia fatto gioco anche degli eruditi. Fino a non molti anni fa, infatti, la maggior parte degli studiosi ha creduto a un fantasma, che si vorrebbe quasi suscitato dalla divinità beffarda per confondere le sue tracce. Si dava per scontato che Dioniso fosse una divinità recente, arrivata in Grecia, presumibilmente dall'Oriente, in epoca relativamente tarda, non prima dell'viii secolo a.C. Ma questa asserzione, talvolta perentoria, era basata su un pregiudizio: se la Grecia, come aveva insegnato Johann Jacob Winckelmann, era il luo go dell'equilibrio e dell'armonia, del canone e della razionalità, Dio niso non poteva essere un dio greco. La sua religione appariva in contrasto con l'immagine regolata e composta della grecità che si era andata costruendo a partire dal neoclassicismo di marca winckelman niana. Il suo culto, attraverso l'uso smodato del vino, la musica osses siva, le danze sfrenate, permetteva al fedele dionisiaco di essere pos seduto dal dio e di uscire da se stesso: lo portava a perdere, seppure temporaneamente, la nozione della propria identità individuale e sor .
r. J.-P. Vernant, Il Dioniso mascherato delle Baccanti di Euripide, in J.-P. Ver nant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia due (Paris 1 986), trad. it. Torino 1 99 1 , p. 239·
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ciale. Era una dimensione che i greci definivano attraverso una serie di parole correlate: orghia e orghiasmos designavano l'atmosfera sacra e solenne, ma al tempo stesso frenetica e allucinata, del rito: entusia smo, enthousiasmos, indicava letteralmente l'azione per cui il dio si impadroniva dei corpi e delle anime dei suoi fedeli: estasi, ekstasis, era, altrettanto letteralmente, il " porsi fuori " da se stessi. Ma che Dioniso non fosse un dio greco era, appunto, un ingan no. Il primo a smascherarlo fu forse Friedrich Nietzsche, che intuì la centralità di Dioniso nell'esperienza greca. Ancora giovane docente di Filologia classica all'Università di Basilea, comprese che la Grecia era dionisiaca tanto quanto apollinea. E affidò questa sua intuizione a una serie di scritti che culminarono nella celebre e controversa opera sulla Nascita della tragedia ( 1 87 2 ) . Ma lo stile ispirato e oracolare di Nietzsche espose l'opera agli strali dell'establishment filologico, pri mo fra tutti l'allora altrettanto giovane Ulrich von Wilamowitz-Moel lendorff 2 • E Wilamowitz, non a caso, fu tra i più autorevoli sosteni tori della teoria che individuava l'origine del culto dionisiaco in zone di confine della grecità: la montuosa e selvaggia Tracia a nord, l'eso tica Frigia a oriente. Era da queste periferie, secondo Wilamowitz, che Dioniso sarebbe entrato in Grecia, non prima dell'viii secolo a.C. 3. Questa idea che Dioniso fosse una divinità tarda e sostanzial mente non greca rimase a lungo un dogma, quasi fanaticamente con servato e celebrato, nonostante le felici intuizioni di altri studiosi, come Walter Otto: profondamente influenzato da Nietzsche, Otto, già nel 1 9 3 3 , era fermamente convinto che il culto dionisiaco affon dasse le sue radici nel n millennio a.C. e invitava a cercarne l'origine a Creta 4. Il dogma prevalse finché la decifrazione della Lineare B non cam biò la situazione. Su una tavoletta scoperta nel palazzo miceneo di Pilo (Py Xa 1 0 2 ) e pubblicata nel 1 9 5 6 si poteva leggere senza ombra di dubbio il nome di Dioniso: di-wo-nu-so-jo, nella forma arcaica del genitivo (-aio anziché -ou) che è propria del miceneo e che sopravvis2. I testi chiave di questa disputa sono raccolti in La polemica sull'arte tragica, a cura di F. Serpa, Firenze r 97 2 . 3 · Der Glaube der Hellenen , Berlin r 9 3 r - 3 2 , vol. n , p. 6 r . Peraltro l a prima for mulazione organica della teoria sull'origine tracica di Dioniso si trova, paradossalmen te, proprio nell'opera di Erwin Rohde, che era stato amico di Nietzsche e lo aveva difeso contro Wilamowitz nella polemica sulle origini della tragedia: cfr. E. Rohde, Psyche (Freiburg r 890-94 l , trad. it. Roma-Bari r 9 8 2 , pp. 372 ss. 4· Cfr. W. F. Otto, Dioniso (Frankfurt r 9 3 3 ) , trad. it. Genova r 99 7 , soprattutto le pp. 5 8-70.
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se poi nella lingua omerica e in alcuni dialetti greci. Ma il pregiudizio era duro a morire e non fu superato nemmeno dalla scoperta di una seconda tavoletta di Pilo (Py Xb 1 4 1 9 ) , pubblicata nel 1 960, che re cava inciso il nome di Dioniso nella stessa forma del genitivo: anche il primo editore dei documenti in Lineare B, John Chadwick, si mo strò perplesso davanti a queste testimonianze e non escluse che in realtà si potesse trattare del nome di una persona e non di un dio, di un antroponimo e non di un teonimo 5 • E questo nonostante sul ver so della seconda tavoletta si leggesse la parola wo-no-wa-ti-si che i più collegavano alla parola greca oinos, "vino " : e Dioniso, come tutti sa pevano, era ben noto ai greci come divinità del vino e dell'ebbrezza. A dissipare ogni dubbio ha provveduto una nuova scoperta. Dagli scavi nel palazzo miceneo di Chania ( antica Kydonia), sulla costa oc cidentale dell'isola di Creta, nel 1 9 90 è affiorata una tavoletta (Kh Gh 3) in cui compare ancora una volta il nome di Dioniso: diwijode diwe meri 2 diwonuso meri 2 Al santuario di Zeus, a Zeus due misure di miele A Dioniso due misure di miele
Si tratta di un'offerta di miele 6 : il contesto dunque è chiaramente cultuale e non vi può essere più alcun dubbio sul fatto che Dioniso (il cui nome compare qui nella forma del dativo) fosse venerato come divinità in epoca micenea. Non solo: egli appare già associato con Zeus che, nel 1 millennio a.C., sarà la divinità suprema del pantheon greco e che la tradizione mitica riteneva padre dello stesso Dioniso. Questa tavoletta è venuta alla luce, nel sito dell'antica Kydonia, insie me ad altri quattro testi che sono i primi documenti in Lineare B trovati sull'isola di Creta al di fuori di Cnosso. Louis Godart ha rite nuto probabile che a Kydonia non solo vi fosse un palazzo miceneo, ma che esso avesse in qualche modo soppiantato Cnosso come capi tale dell'isola, divenendo il nuovo centro amministrativo e religioso di Creta. Il palazzo di Cnosso, sostiene Godart, sarebbe stato distrutto definitivamente nel r 3 7 0 a.C. e i micenei invasori si sarebbero quindi
5· Documents in Mycenaean Greece, Cambridge r 9 7 3 , pp. r27 e 4 r r . 6 . Sul miele in rapporto a Dioniso e sulla leggenda d i Zeus allevato dalle api a Creta cfr. K . Kerényi, Dioniso (Miinchen-Wien r 97 6 ) , trad. it. Milano r 9 9 2 , pp. 47 ss.
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spostati più a ovest, nell'odierna Chania 7 . In ogni caso, la tavoletta di Chania attesta senza ombra di dubbio la presenza del culto dionisiaco nell'isola. Dioniso vi appare qui già collegato a Zeus, come sempre è stato e sarà nei racconti mitici dei greci. I quali narrano concordemente che il padre degli dei lo aveva partorito unendosi con Semele, figlia di Cadmo, il re fenicio fondatore di Tebe. Il mito della nascita di Dioni so, riecheggiato da molti autori antichi e brevemente riassunto nella Biblioteca di Apollodoro ( 3 , 4, 3 ) , raccontava che Zeus si era inva ghito della mortale Semele, suscitando la gelosia della sua sposa divi na, Era. Quest'ultima, subdolamente, avrebbe convinto la donna te bana a chiedere a Zeus di mostrarsi a lei in tutto il suo fulgore so prannaturale. Il padre degli dei cedette infine alla richiesta. Ma Seme le non fu in grado di reggere il tremendo splendore dell'epifania divi na e morì incenerita dal fulmine, strumento e manifestazione della potenza di Zeus. Morendo, la donna generò prematuramente Dioni so, che Zeus cucì all'interno della sua coscia come in un secondo grembo materno. Questo mito trova un diretto parallelo nelle tradi zioni indiane della Upanishad, dove si narra la storia del dio Soma, cucito nella coscia del dio lndra. Il parallelo è particolarmente signi ficativo, poiché Soma è, in qualche misura, l'equivalente indiano di Dioniso (il termine soma indica una bevanda inebriante) , mentre ln dra è, come Zeus, una divinità celeste. La connessione tra Zeus e Dioniso è, nel documento miceneo, evidente anche dal punto di vista etimologico: come già si supponeva, il nome di Dioniso appare collegato a quello di Zeus dalla comune radice di-wo; il miceneo ha in questo caso confermato pienamente le ipotesi dei glottologi. Il nome di Dioniso (Dios nysos) potrebbe si gnificare "il figlio di Zeus " : da notare che un altro "figlio di Zeus " , di nome Drimios, è citato in una tavoletta di Pilo (Py Tn 3 r 6 ) e, anche in quel caso, oggetto di un culto comune (la consacrazione di una coppa d'oro) con Zeus ed Era, nella tradizione successiva nota come la sposa legittima del signore dell'Olimpo. C'è chi ritiene che anche questo Drimios potesse in realtà essere Dioniso 8 . Vi è, insomma, la certezza di un culto di Dioniso a Creta nel n millennio a.C. È quasi superfluo dire che dei dettagli di questo culto non sappiamo nulla e che quindi, come sempre, ogni ipotesi di rico7· L. Godart, La caduta dei regni micenei a Creta e l'invasione dorica , in Le origi ni dei Greci, cit. , pp. 1 7 3 ss.; Id., L'invenzione della scrittura , cit . , pp. 1 9 2 ss. 8. C. Gallavotti, La triade lesbia in un testo miceneo, in "Rivista di Filologia e Istruzione Classica" , 34, 1 95 6 , pp. 2 2 5 - 3 6 .
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struzione più dettagliata è destinata a rimanere tale 9 . Si è voluto rico noscere la coppia Arianna-Dioniso nelle figure incise su alcuni anelli d'oro di epoca minoica, ritrovati a Isopata, presso Cnosso Io: ma il riconoscimento è puramente congetturale. Gli scavi nel santuario di Dioniso ad Ayia lrini, nell'isola di Ceo, hanno mostrato che già in epoca micenea il luogo era destinato al culto. A Ceo sarebbe sbarcato anche Minosse (Bacchilide I , vv. I I 2 - I 2 7 ) , padre del primo re dell'i sola, Euxanthios: ma è difficile identificare con certezza, tra gli ida letti del I I millennio a.C. scoperti nel santuario di Ayia lrini, le figure di Dioniso e di Arianna, o quantomeno di una proto-Arianna minoi co-micenea, come si è tentato di fare I I. Eppure, se considerata da una prospettiva dionisiaca, anche la figura del Minotauro potrebbe apparirci in una nuova luce. Nella Creta del II millennio, il toro aveva un significato religioso particolare e, come è noto, numerose raffigu razioni evocano rituali di tauromachia. D'altra parte, un'epifania in forma taurina appartiene di diritto alla natura di Dioniso. Sia chiaro : nulla ricollega direttamente il Minotauro alla dimensione dionisiaca, e anzi le testimonianze antiche dicono esplicitamente che il toro con cui Pasifae si unì era stato evocato da Posidone (cfr. CAP. I ) , dio del mare. Resta il fatto che il toro è una delle tipiche epifanie dionisia che. Dioniso viene celebrato come il "dio dalle corna di toro ", tauro keros theos, nelle Baccanti di Euripide (mentre un epiteto analogo, boukeros, si ritrova in Sofocle, fr. 9 5 9 Pearson) . Ritroviamo talvolta questa iconografia nell'arte ellenistica: già a Prassitele veniva attribui ta una statua di Dioniso con le corna taurine. E anche nei canti cul tuali Dioniso è spesso invocato come toro: si va dal primo Inno ame rica (vv. I , I 7 , 20) fino all'ellenistico Peana a Dioniso di Filodamo (v. 2, Collectanea Alexandrina p. I 65 Powell) . Le donne dell'Elide, nel Peloponneso, invocavano ogni anno il Dioniso tauros perché sorgesse dal mare (Poetae Melici Graeci, Carmina Popularia 87 I P age) e tra gli epiteti rituali del dio vi sono nomi come tauropos e taurometopos, "dal volto di toro " . Dioniso, insomma, è un dio-toro; e come tale, 9· Si vedano tutte le cautele metodologiche in C. Antonelli, Dioniso: una divinità micenea, in Atti e memorie del secondo congresso internazionale di micenologia. Roma Napolz; r 4 - 2 0 ottobre r 9 9 r , Roma I 996, vol. I, pp. I 69-76. Per alcune riflessioni sul dionisismo in età micenea, anche in rapporto alla figura di Arianna, si rimanda co munque a }. Puhvel, Eleuther and Oinoatis: Dzonyszac Data /rom Mycenaean Greece, in Mycenaean Studies. Proceedings of the Third International Colloquium /or Mycenaean Studies Held at Wingspread, ed. by E. L. Bennett }r., Madison I 964, pp. I 6 I -70. IO. Così T. B . L. Webster, From Mycenae to Homer, London I 964\ pp. 5 2 e 62. I r . Così R. Eisner, The Tempie at Ayia Irini: Mythology and Archaeology, in
"Greek, Roman and Byzantine Studies" , I J , I 97 2 , pp. I 2 J - 3 3 ·
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nelle Baccanti di Euripide, appare al suo nemico Penteo (vv. 9 2 2 e I O I 7 ) È suggestiva, dunque, l'ipotesi, avanzata da alcuni studiosi, che lo stesso Minotauro fosse un doppio di Dioniso: «Questo Dioniso Minotauro sarebbe stato il signore del Labirinto di Cnosso, fratello e sposo di Arianna che lo avrebbe tradito all'arrivo dell'affascinante Teseo: la messa a morte truculenta del dio cornuto sarebbe stata commemorata col rito della tauromachia (e solo in un secondo tempo questa ambigua storia si sarebbe sviluppata nella nota leggenda del Minotauro)» 1 2 • Siamo sempre nel campo delle ipotesi e delle sugge stioni. Il percorso della misteriosa relazione tra Dioniso e Arianna re sta molto accidentato, ricco di zone d'ombra. Dioniso, nella saga di Arianna, conserva, come si conviene alla sua natura, un ruolo ambi guo, talvolta indecifrabile. .
2.2 L'assassinio di Arianna
Odisseo è disceso nel regno dei morti, su consiglio di Circe, per ascoltare dall'ombra del profeta Tiresia la verità sul suo destino. L'in dovino ha appena pronunciato le sue ultime parole, con quelle oscure allusioni all'ultimo viaggio di Odisseo, e la sua ombra è già svanita. Si è consumato anche il fugace e malinconico incontro di Odisseo con il fantasma della madre. Di lì a poco apparirà il morto Achille, chiuso nella sua tristezza, dichiarando di preferire la sorte anonima di un vivo qualunque a quella di un grande eroe defunto. Ed ecco che in torno a Odisseo appaiono gli spettri di alcune celebri donne della leggenda. Tra esse vi è anche Arianna, riguardo alla quale Omero ( Odissea I I , 3 2 I - 3 2 5) riferisce una storia oscura: «Vidi Fedra e Pro cri e la bella Arianna, l figlia di Minasse funesto, che un giorno Teseo l volle condurre da Creta al colle della sacra Atene, l ma non ne go dette. Prima infatti l'uccise Artemide, l a Dia cinta dai flutti per de nuncia di Dioniso». La menzione di Arianna si inserisce dunque nel cosiddetto "Cata logo delle eroine" che inizia al verso 225 dell'xr canto dell' Odissea. Una sezione del poema omerico su cui pesa da tempo il sospetto di essere una tarda interpolazione, sospetto avvalorato dall'opinione di uno dei massimi filologi classici, Ulrich von Wilamowitz-Moellenr 2 . G. Casadio, Storia del culto di Dioniso in Argoltde, Roma r 994, p. r 67 , n. 6 r , dove è possibile reperire anche un'ampia bibliografia sulla questione.
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dorff ' 3 . In particolare, secondo Wilamowitz, i citati versi su Arianna sarebbero l'aggiunta di un tardo interpolatore di ambito ateniese ' 4 , che forse intendeva assolvere l'eroe cittadino Teseo dall'accusa di avere abbandonato proditoriamente Arianna, rigettando ogni colpa sulla volontà degli dei. Il sospetto di un'interpolazione risulta aggra vato dal fatto che il genitivo del nome di Dioniso compare qui nella forma attica (con la "o " breve e la desinenza in -ou) e non secondo la sua forma più antica, che abbiamo già visto nelle tavolette micenee e che ci aspetteremmo anche in Omero. In realtà, considerando anche la stratifìcazione linguistica e testua le dei poemi omerici, non è necessario pensare che questi versi siano particolarmente recenziori: né quelli su Arianna né l'episodio in cui sono inseriti, il cui taglio catalogico appare perfettamente conforme agli stilemi della poesia più arcaica ' 5 • Né andrà considerato un indi ce di recenziorità la presenza stessa di Dioniso, per quanto egli sia citato assai raramente nella poesia america. Nei poemi di Omero, Dioniso compare in tutto quattro volte: oltre al passo appena citato, lo si ritrova un 'altra volta nell' Odùsea (24, 74) e due volte nell'Iliade ( 6 , 1 3 2 e q, 3 2 5 ) . La spiegazione tradizionale di questa latitanza di Dioniso in Omero, cioè il suo ingresso relativamente tardo nel pan theon greco, è caduta di fronte alle scoperte delle tavolette micenee. Anche l'ipotesi, altrettanto tradizionale, che la poesia epica ignorasse Dioniso perché divinità "plebea" ed estranea al mondo aristocratico non regge a un'analisi attenta e contrasta con le numerose testimo nianze che indicano un rapporto tra culti dionisiaci e comunità ari stocratiche già in età arcaica (e pur senza contare appunto la sua pre senza nella religione dei palazzi micenei) . Al contrario, i passi omerici sembrano testimoniare l'esistenza di una vasta e articolata epica dio nisiaca, incentrata su episodi come la saga di Licurgo, cui si accenna nel vr libro dell'Iliade, che non viene incorporata nei poemi omerici perché aveva già la sua sede altrove, e magari in opere composte da poeti di sicura ascendenza aristocratica come Eumelo di Corinto ' 6 . Un ulteriore elemento di recenziorità potrebbe essere ravvisato nell'epiteto che accompagna il nome di Minasse: il re di Creta è defi nito oloophronos, "funesto ", e questo rinvierebbe all'ambito culturale 1 3 . Homerische Untersuchungen, Berlin 1 884, pp. 147·5 r . 1 4 . lvi, p . 149: . 1 5 . Per uno status quaestionis cfr. l'equilibrato commento di A. Heubeck in Omero, Odissea, vol. III, libri IX-XII, Milano 1 9 8 3 , pp. 2 7 8 ss. 1 6 . Per tutto questo rimando a G. A. Privitera, Dioniso in Omero, Roma 1 970 (in particolare, per il passo omerico su Arianna, cfr. pp. 87 ss.) .
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ateniese, dove Minasse godeva di pessima fama. Ma lo stesso epiteto ricorre nel canto precedente ( Odissea I o, I 3 7) in riferimento a Eeta, il re della Colchide che custodiva il favoloso Vello d'oro. Eeta era il padre di Medea, Minasse il padre di Arianna: entrambi furono ab bandonati dalla figlia che scappò con un eroe venuto da oltremare (Giasone nel primo caso, Teseo nel secondo) e di cui invano avevano tramato la morte. In questo senso, probabilmente, erano entrambi "funesti " . Vi è qui forse, in filigrana, la riproposizione di uno schema mitico molto antico, e sulle analogie tra Arianna e Medea bisognerà tornare ulteriormente. Si potrebbe anche pensare che Minasse sia de finito "funesto " per il suo stretto legame con il mondo degli Inferi: ma, nello stesso canto in cui parla di Arianna ( Odissea I I , 7 I 0-7 I 5 ) , Omero presenta l a sua attività di giudice infernale insistendo più sul l' aspetto della saggia amministrazione di una giustizia ultraterrena che su quella dimensione di orrore che invece dominerà in Dante: «Stavvi Minòs orribilmente e ringhia . . . » ' 7 • L'aspetto senza dubbio più singolare e d enigmatico della testimo nianza america è quel riferimento all'assassinio di Arianna, che sareb be stato perpetrato da Artemide su istigazione di Dioniso. La notizia non ricorre mai altrove nella tradizione, e appare in netto contrasto con la versione canonica della leggenda, che attribuiva invece a Dio niso il ruolo di salvatore di Arianna. Egli l'avrebbe raccolta, dopo che era stata abbandonata da Teseo, nell'isola di Nasso, consolando il suo dolore, e stendendo su di lei la luce divina della sua immortalità. Il riferimento all'assassinio di Arianna da parte di Artemide disturbava già gli antichi. Alcuni gruppi di manoscritti dell' Odissea tramandano infatti, al verso 3 2 4, una lezione alternativa: esche (trattenne) in luogo di ekta (uccise) . Artemide dunque avrebbe trattenuto, e non ucciso, Arianna. Questa lettura alternativa era attribuita dai commentatori antichi al celebre grammatico e filologo alessandrino Aristofane. An che prescindendo da quale sia stata esattamente l'azione di Artemide (ma la lezione ekta ha buone probabilità di essere quella genuina ' 8 ) , resta comunque oscuro il ruolo di Dioniso. Omero dice che Artemide sarebbe intervenuta in seguito alle martyriai di Dioniso. Il termine martyriai non ricorre altrove in Omero ma, come ciascuno sa, signifi ca propriamente "testimonianze " . Questo significa che Arianna è sta-
1 7 . La questione della duplice immagine del Minosse omerico, saggio e funesto, se la ponevano peraltro già i commentatori antichi: cfr. Scholia a Omero, Odissea 3 2 3 , p. 506 Dindorf. 1 8 . Come nota M. L. West, Hesiod, Theogony, Oxford 1 966, p. 4 1 8 , esche, "trat tenne" , è «clearly a conjecture to harmonize with the usual version».
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ta uccisa in seguito a un fatto di cui Dioniso è stato "testimone" ma non direttamente protagonista ? Oppure bisognerà attribuire a marty ria un senso leggermente diverso, quello di un'accusa che Dioniso ri volge alla fanciulla sulla base di un torto da lui stesso subito? Già gli antichi erano in imbarazzo di fronte a questa singolare versione della storia di Arianna. I commentatori dell' Odùsea, nel cer care una spiegazione plausibile del testo america, attingono proba bilmente ad altre tradizioni perdute, offrendoci così notizie preziose sul mito di Arianna. Tutta una schiera di filologi e di eruditi, almeno a partire dal m secolo a.C. e fino alla più tarda età bizantina, si è consumata gli occhi chiosando le opere dei grandi autori antichi con certosina pazienza. Dai grandi studiosi della Biblioteca di Alessandria d'Egitto sono discese folle di commentatori (scoliasti), sovente anoni mi e oscuri, le cui note (scholia, scolii) ai testi antichi ingombrano i margini di molti manoscritti medievali. Eruditi e scoliasti sono spesso, per noi, gli ultimi testimoni di un mondo perduto: essi hanno letto libri che noi non leggiamo più. Un dotto come Eustazio, vescovo di Tessalonica, ma nativo di Costantinopoli, già più volte citato come commentatore di Omero, doveva avere a disposizione una biblioteca di testi greci più vasta di quella di cui noi disponiamo oggi. Morì intorno al r 1 94: quindi a molti secoli di distanza dalla Grecia pagana, ma comunque prima della grande catastrofe della Quarta Crociata, quando, nel 1 2 04, gli occidentali, guidati dai veneziani, conquistarono e devastarono Costantinopoli, provocando anche la perdita e la di spersione di molti testi dell'antica letteratura greca. Anche Eustazio, comunque, ebbe modo di vedere all'opera i "franchi", secondo il nome collettivo che i bizantini davano a tutti gli occidentali. In una sua opera, il De capta Thessalonica, narra la conquista di Tessalonica nel I I 85 a opera dei normanni. La barbarie degli occidentali accre sceva la sua fede nella letteratura classica, alfiere di nobili valori etici e strumento di ammaestramento morale utile anche per i tempi cri stiani. Commentando il passo dell'Odùsea, Eustazio offre due spiegazio ni differenti della morte di Arianna. Secondo la prima spiegazione, Artemide avrebbe ucciso l'eroina cretese in quanto colpevole di em pietà (asebeia). Arianna si sarebbe infatti unita sessualmente a Teseo nel tempio della dea Atena, un comportamento che i greci considera vano offensivo per la divinità. La martyria, la testimonianza, di Dioni so sarebbe consistita nella denuncia di questo comportamento empio. Dopo aver ucciso il Minotauro ed essere scampato al labirinto, infat ti, scrive Eustazio, Teseo, «presa Ariadne e i fanciulli e le vergini che erano con lui, salpa nel cuore della notte. Approdato a Dia, un'isola 55
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sacra a Dioniso posta di fronte a Creta, e che veniva chiamata anche Nasso, si unisce ad Arianna. Ma Atena appare e gli ordina di !asciarla e di salpare verso Atene. Egli obbedisce e se ne va. Ma Dioniso, te stimoniando (katamartyresas) l'empietà della donna, che si era unita con Teseo nel tempio della dea, ne provocò l'assassinio. A quanto pare, la donna abbandonò la vita con una morte improvvisa. Altri menti, Teseo non avrebbe lasciato così facilmente la sua benefattrice. Ed è evidente che la morte sia giunta inavvertita, poiché colei che presiede a questo tipo di morte è Artemide». Eustazio dunque, oltre a interpretare il testo, aggiunge un elemen to che è del tutto assente nel racconto omerico: l'apparizione di Ate na. Questo elemento si ritrova anche nello scolio ad Odissea I I , 3 2 I (Dindorf 5 0 6 ) , dove l'intervento della dea viene espresso con parole analoghe: «Atena, apparsa a Teseo, gli ordina di lasciare Arianna e di dirigersi ad Atene». Che l'apparizione di Atena non sia un'invenzione dei commentatori bizantini ma una variante antica del mito sembra confermato dalle raffigurazioni presenti in due specchi etruschi pro venienti da Palestrina e databili l'uno al v e l'altro al IV secolo a.C. ' 9 . Entrambi gli specchi mostrano lo stesso gruppo di personaggi mitici: da un lato Artemide, identificabile anche attraverso l'iscrizione in etrusco che la designa, che sostiene tra le braccia una fanciulla, con la testa adorna di un diadema. La fanciulla è designata da un'iscrizio ne come Evia, che si ricollega evidentemente a Evios, uno dei nomi divini di Dioniso. Questo nome, dunque, indica una donna consacra ta a Dioniso e l'opinione comune è che si tratti per l'appunto di Arianna. Di fronte ad Artemide sta lo stesso Dioniso, barbuto, desi gnato da un'iscrizione con il suo nome etrusco, Fufluns. E accanto a lui c'è appunto Atena (Menarva, in etrusco) . Insomma, la scena sem bra quasi un commento visuale alla versione riferita da Eustazio sulla morte di Arianna. Anche se, come nota Giovanni Casadio 2 0, «la tra dizione figurativa lascia insoddisfatta la nostra curiosità riguardo alla cagione della morte di Arianna e alla natura della sua relazione con Dioniso». I vasi cioè non possono spiegarci il dato di fatto essenziale: perché Dioniso ha voluto la morte di Arianna? Eustazio, come abbiamo visto, dava la sua spiegazione: egli attri buiva l'uccisione di Arianna da parte di Artemide a un peccato di empietà, asebeia: l'aver consumato un atto sessuale con Teseo nel tempio di Atena. Anche questa motivazione non ha nulla a che fare I 9 . Ha richiamato l'attenzione su queste testimonianze Casadio, Dioniso in Argo lzde, cit. , pp. I 32 ss.
20. Ivi, pp. I 3 3 -4.
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con il moralismo di un vescovo cristiano, anzi rispecchia un sistema di credenze ben consolidato nella Grecia antica. Già Erodoto ( 2 , 64) ricordava il divieto di unioni sessuali in uno spazio consacrato e i conseguenti riti per purifìcare un santuario in cui fosse stato commes so un atto di questo genere. E le storie mitiche annoverano varie vi cende in cui un eroe o un'eroina sono stati puniti per avere violato questo divieto. Pausania ( 7 , 1 9 , 1 ) narrava la furia omicida di Artemi de nei confronti di Melanippo e Komaito, due giovani di Patrasso che avevano commesso empietà consumando i loro rapporti sessuali nel tempio della dea. Celebre anche la storia di Aiace Oileo, che vio lentò la profetessa Cassandra nel tempio di Atena a Troia, provocan do l'ira di Pallade. Tra l'altro, già Teognide (vv. 1 2 3 1 - 1 2 3 4) affìanca il comportamento sacrilego di Aiace Oileo a quello di Teseo, come esempio della rovina a cui può condurre la passione erotica. Sia Aia ce sia Teseo, dice Teognide, pagarono il fìo di avere ceduto alla follia (mania) di Eros. Probabilmente qui il poeta arcaico allude ad altri episodi della saga di Teseo (come la sua punizione nell'Ade per avere tentato il ratto di Persefone) . Comunque, resta il fatto che sia l'eroe ateniese, secondo Eustazio, sia Aiace Oileo commisero empietà conta minando un tempio di Atena con un atto sessuale. Aiace fu ucciso dalla dea stessa, mentre nel caso di Teseo la vendetta si abbatté sulla donna, Arianna, e fu demandata ad Artemide. Perché Artemide? Eustazio sembra attribuire ad Artemide, dea vergine e cacciatrice, il ruolo di Signora della morte o, quantomeno, delle morti femminili 2 ' . Le sue frecce, letali come quelle del fratello Apollo, uccidono silenziosamente, colpendo in maniera inaspettata e improvvisa. Con le sue frecce, Artemide aveva ucciso la ninfa Calli sto, letteralmente "la bellissima", che si era unita con Zeus tradendo la promessa di verginità fatta alla dea cacciatrice. Alcuni autori anti chi sostenevano però che, anche in questo caso, Artemide aveva agito non per vendicare la mancata promessa di verginità ma per compia cere un'altra divinità dell'Olimpo, Era, moglie gelosa di Zeus: questa la versione del mito di Callisto che si ritrova per esempio in Pausania ( 8 , 3, 6) e nel mitografo Apollodoro ( 3 , 1 oo ) . E almeno in un se condo caso Artemide agì per conto di un'altra divinità. È la storia di Coronide, amante di Apollo e madre del dio guaritore Asclepio. Se condo la versione riferita da Pausania ( 2 , 2 6 , 6) «Coronide, incinta di Asclepio, sarebbe stata con Ischi, fìglio di Elato; Coronide allora sa2 r . Cfr. anche, in generale, H. King, Bound to Bleed: Artemis and Greek Wo men , in Images o/ Women in Antiquity , ed. by A. Cameron and A. Kuhrts, London Sidney 1 9 8 3 , pp. 109-27.
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rebbe stata uccisa da Artemide, che voleva vendicare l'affronto fatto ad Apollo, mentre Ermes avrebbe strappato il bambino alle fiamme, quando la madre già ardeva sulla pira» (traduzione di Domenico Mu sti). Artemide, dunque, agisce per vendicare il tradimento subito dal fratello Apollo, la cui amante si era unita con un mortale 2 2 • Questo ruolo di Artemide come braccio vendicatore al servizio della gelosia degli dei è confermato dalle parole della ninfa Calipso nell' Od!Ssea. Quando Ermes scende dall'Olimpo per ordinare alla ninfa di lasciar partire Odisseo, poiché la volontà divina era che egli tornasse a ltaca, Calipso reagisce con rabbia e amarezza all'idea di perdere l'eroe tanto amato, che per anni aveva trattenuto nella sua isola incantata. Dice dunque Calipso a Ermes ( Od!Ssea 5, I I 8- I 24) : «Siete malvagi, voi dei, e invidiosi più di ogni altro. l Voi che non permettete alle dee di condividere il letto con gli uomini, l aperta mente, se una si trova un caro marito. l Così, quando l'Aurora dalle dita rosate si scelse Orione, l voi v'adiraste, o dei che vivete beati, l finché in Ortigia Artemide trono d'oro, la casta (hagne) , l con le sue miti frecce (aganois beleessin) lo raggiunse e l'uccise». Le frecce di Artemide sono "miti, gentili " : un epiteto formulare, l'aggettivo aga nos, usato sovente da Omero per descrivere l'azione rapida e silenzio sa dei dardi mortali della dea. E anche in questo caso Artemide agi sce da esecutrice per soddisfare una gelosia divina. Come dimostrano le storie di Callisto, Coronide e Orione, non era un caso isolato, dun que, che Artemide mettesse in azione la sua mano omicida per conto di altre divinità. La versione del mito offerta da Eustazio e dagli specchi etruschi non sottintende dunque necessariamente un rappor to speciale e personale tra Arianna e Artemide, come alcuni studiosi hanno ritenuto 2 3 . È vero che, come già si è detto, sia Arianna sia Artemide compaiono nella figura dell'impiccata. Ma il ruolo che qui Artemide sembra svolgere appare essere più che altro quello generico di giustiziera divina. Il commento di Eustazio aggiunge comunque una seconda possi bile interpretazione del passo dell' Od!Ssea. Questa seconda interpreta zione viene attribuita, in maniera generica, ad «autori più recenti» (neoteroi) . Scrive Eustazio: «Gli autori più recenti dicono che Dioni so, apparso dopo che Teseo era salpato, abbia donato ad Arianna
2 2 . Una relazione tra Coronide e Arianna era peraltro sostenuta da Kerényi, Dio· niso, cit., pp. r r 3 - 7 ·
2 3 . Cfr. ad esempio C. Gallini, Potinzja Dapuritoio, in "Acme. Annali della Fa coltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano" , 1 2 , 1 95 9 , pp. r 66-7 e 176.
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una corona d'oro e l'abbia consolata unendosi sessualmente con lei. Ma Artemide l'avrebbe uccisa perché era venuta meno alla sua vergi nità. Arianna, poi, sarebbe stata posta tra gli astri: sia lei, sia la coro na». In questo caso, dunque, Artemide, la dea vergine, avrebbe agito in prima persona, punendo Arianna in quanto aveva rinunciato alla sua verginità. E Dioniso non apparirebbe come complice dell' assassi nio ma come consolatore di Arianna. Questa versione del mito si ri trova in forma più o meno simile anche negli scolii anonimi all'O dissea ( I I , 3 2 I , Dindorf 5 06) . Con un'aggiunta rispetto al commento di Eustazio: la stessa dea dell'amore, Afrodite, sarebbe apparsa per consolare l'eroina cretese: «Mentre Arianna era addolorata, Afrodite le si mostra e la esorta ad avere coraggio; infatti sarebbe stata la spo sa di Dioniso e sarebbe diventata famosa. Allora il dio si manifesta e si unisce a lei, e le offre in dono una corona d'oro, che gli dei poi collocarono tra gli astri per riguardo a Dioniso. Dicono che fu uccisa da Artemide perché aveva perso la verginità. Il racconto si trova in Ferecide» (traduzione di Paola Dolcetti) . Rispetto ad Eustazio, dunque, l'ignoto scoliaste aggiunge la figura di Afrodite, il cui ruolo nella saga di Arianna è peraltro noto e ben consolidato. La presenza della dea in questo contesto non stupisce: a Cipro Arianna era addirittura identificata con Afrodite. Su questi aspetti del mito torneremo più dettagliatamente nel capitolo successi vo. Quello che interessa ora è invece il fatto che lo scoliaste chiami in causa l'autorità di Ferecide (FGrHist 3 F I48; fr. I 8 Dolcetti) . Ben ché siano noti altri autori dello stesso nome (Ferecide di Siro e Fere cide di Lero ) , è probabile che qui si parli di Ferecide di Atene, sto riografo e genealogista vissuto nell'Atene del v secolo a.C. 24 . È noto anche dalla Vita di Teseo di Plutarco ( I 9 , I e 2 6 , I ) che Ferecide si occupò delle avventure del massimo eroe ateniese. La versione che interpretava l'uccisione di Arianna come punizione da parte della dea Artemide per avere perso la verginità era dunque già sicuramente dif fusa nel v secolo a.C. Gli scolii all' Odissea, come Eustazio, registrano versioni diverse della morte di Arianna. Secondo quella più antica, Artemide avrebbe ucciso Arianna per un peccato di empietà, asebeia, che però questa volta sarebbe consistito nel fatto che l'eroina si era unita a Teseo in un tempio (temenos) di Dioniso (scolii ad Odissea I I , 3 2 5 , p. 5 07 Dindorf) . La colpa di Arianna, dunque, resterebbe la stessa: empietà. Però, rispetto a Eustazio, cambierebbe il luogo del misfatto: Dioniso 24. Su questo autore cfr. ora Ferecide di Atene, Testimonianze e /rammenti, a cura di P. Dolcetti, Torino 2004-
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si adirerebbe e denuncerebbe Arianna perché la fanciulla si era unita a Teseo nel suo stesso tempio, e non in quello di Atena. Poi gli sco liasti aggiungono una versione alternativa, che anch'essi attribuiscono ad autori più recenti (definiti neoteroi come in Eustazio): «l neoteroi dicono che Arianna, dopo essere stata abbandonata da Teseo, fu ra pita (harpagenai) da Dioniso» (Scholia B. Q . ) oppure, più precisa mente, «si sposò (gegamesthai) con Dioniso» (Scholia V. ) : in questo caso, con l'uso del verbo gameo, al ratto viene attribuito il carattere di un vero e proprio matrimonio, conformemente a una tradizione assai diffusa. Questa versione del mito, in cui Dioniso incontra Arian na a Nasso dopo che l'eroina era stata abbandonata da Teseo, è quel la poi diventata canonica. È una versione dunque ben nota e che non ci stupisce per nulla. Quello che stupisce, invece, è un'altra cosa: gli scolii aggiungono subito dopo che, su questo punto, i neoteroi con corderebbero con Omero. Ma come è possibile, visto che Omero rac conta una storia totalmente diversa? Insomma: ci troviamo di fronte a un vero e proprio rompicapo. Come mettere ordine in questo labirinto di storie mitiche che si in trecciano intorno all'uccisione di Arianna? Forse va considerata an che la maniera in cui l'ombra di Arianna compare a Odisseo nel re gno dei morti. La principessa cretese non è isolata ma integrata in una piccola schiera femminile che comprende anche Procri e Fedra. Le tre eroine sono associate non senza una ragione: del resto, anche nella rappresentazione dell'Aldilà dipinta a Delfi, nel v secolo a.C . , dal grande pittore Polignoto, Procri appariva vicina a l gruppo forma to da Arianna e Fedra (Pausania r o , 2 9 , 4-6). Conosciamo la storia di Procri da un serie di autori antichi che la riportano con alcune si gnificative varianti: oltre ai soliti mitografi tardi, Igino (Fabulae r 89 ) e Apollodoro ( 3 , 1 5 , r ) , ne parlano Ovidio nelle Metamorfosi ( 7 , 670- 862) e altri autori minori 2 5 . Pro cri, figlia del mitico r e d i Atene Eretteo, si caratterizza sostanzialmente per la sua infedeltà al marito, Cefalo. Il primo tradimento lo avrebbe consumato con un tale Pte leone o con il marito stesso, che si sarebbe travestito per saggiare la fedeltà della sua sposa. Un secondo tradimento lo avrebbe consumato con Minosse che, secondo il racconto di Apollodoro ( 3 , 1 5 , r ) , ci ap pare qui ammantatato da oscuri poteri magici, " funesto " , oloophro nos, avrebbe detto Omero: «Minosse si innamorò di Procri e la con2 5 . Cfr. il commento di J. Frazer, tradotto in Apollodoro, Bzblioteca , Milano 1 995 , pp. 3 8 r -2 . Sulla figura di Procri si soffermano inoltre sia Eustazio sia gli scolii aii'Odissea nel commento al passo che stiamo considerando.
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vinse a concederglisi: ma per una donna che si univa a Minasse era impossibile sopravvivere. Infatti Pasifae, poiché Minasse si dedicava a molte altre donne, lo aveva stregato e quando egli si univa a un'altra eiaculava nel suo grembo bestie velenose, cosicché tutte perivano. Ma Minasse possedeva un cane veloce e una freccia che colpiva sempre il bersaglio; in cambio di questi doni Procri si unì a lui dopo avergli fatto bere la radice Circea perché non potesse farle del male. In se guito, temendo la moglie di Minasse, Procri tornò ad Atene e, dopo essersi riconciliata con Cefalo, andò a caccia insieme a lui (infatti era una donna cacciatrice); mentre lei inseguiva una preda nella boscaglia Cefalo lanciò una freccia senza averla vista, la colpì e la uccise» (tra duzione di Giulio Guidorizzi) . L a scena in cui Cefalo s i dispera accanto a l cadavere d i Procri appare su vasi greci del v secolo 26 e il mito fu narrato anche da Fe recide (frr. 1 5 2 e 1 5 3 Dolcetti). Secondo la versione di Apollodoro, la freccia è un dono di Minasse. Secondo Igino (Fabulae r 89 ) , però, Procri avrebbe ricevuto non da Minasse ma da Artemide un cane e una lancia infallibile. Viene adombrata, in qualche modo, una puni zione di Procri da parte di Artemide: in quanto traditrice e fedifraga, essa subisce, seppure indirettamente, la punizione mediante un'arma magica fornita dalla dea casta e pura. Inoltre, Procri è cacciatrice, e questo è un ulteriore elemento di contatto con Artemide, dea della caccia, che, però, secondo il racconto di Igino, rifìuta di accoglierla nella sua schiera di seguaci in quanto non più vergine. Procri, infìne, appare connessa direttamente al mondo cretese, lo stesso da cui pro viene Arianna, tramite la sua relazione con Minasse. Che accanto ad Arianna, nei versi dell'Odùsea, compaia anche la sorella Fedra non desta ovviamente alcuno stupore. Ma forse non è solo questione di parentela. Anche Fedra infatti è protagonista di una vicenda di tradimento, che fìnirà per scontare con la morte. La vi cenda fu consacrata da Euripide nel suo lppolito, rappresentato alle Grandi Dionisie ateniesi nell'anno 428 a.C. La tragedia racconta l'a more incestuoso di Fedra, sposa di Teseo, per il figliastro lppolito, nato dalla relazione tra il re d'Atene e la regina delle Amazzoni. Quando questo amore viene svelato a lppolito, Fedra, per la vergo gna, si impicca. Il motivo dell'impiccagione, come abbiamo visto, ri corre nella vicenda mitica di entrambe le sorelle: anche Arianna, se condo una versione secondaria del mito riportata da Plutarco ( Vita di
26. Cfr. Lime
s.v.
Kephalos.
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Teseo 20 ) sarebbe morta impiccata. Il rapporto tra Arianna e Fedra, e il modo in cui quest'ultima subentrò alla sorella nelle grazie di Teseo, sono peraltro abbastanza oscuri, e le fonti antiche sorvolano su que sto passaggio della vicenda mitica che invece attirerà la morbosa cu riosità dei moderni. Quello che qui interessa non è però la concor renza tra le due sorelle per l'amore di Teseo quanto la vicenda di lppolito. lppolito, oggetto dell'insano amore di Fedra, è posto sotto la protezione della dea Artemide: votato alla castità e alla caccia, egli è consacrato in tutto alla dea vergine e cacciatrice. Benché, dunque, la prima autrice della rovina di Fedra sia, anche nell'Ippolito euripi deo, Afrodite, dea dell'amore, è evidente che ancora una volta l'om bra di Artemide si allunga su un membro della famiglia di Minosse. Ella è la protettrice di lppolito che, anche in virtù della sua consa crazione ad Artemide, giudica orrende le brame amorose di Fedra. Procri e Fedra sono dunque due donne che tradiscono il marito. Sono due eroine caratterizzate dall'incapacità di controllare i propri impulsi erotici. Entrambe sono, in modo diverso, in relazione con il re di Creta, Minosse. E per entrambe Artemide sembra rappresentare una potenza nemica, nella sua virginale avversione al mondo dell'eros: una forza contraria che, quantomeno indirettamente, le conduce alla morte. Spesso, come si è visto, Artemide interviene per soddisfare la rabbia gelosa di una divinità. E, almeno in un caso, quello di Coronide, si tratta di un dio, Apollo, che è stato tradito per un amante mortale. Si può inserire anche il caso di Arianna nello stesso schema mitologico? Si può pensare che Omero sottintendesse una versione del mito in cui Arianna fu punita da Artemide perché aveva tradito il suo sposo divi no, e cioè Dioniso? Un'indicazione in questo senso sembra venire an cora una volta dall'Ippolito di Euripide. Nel momento della sua entrata in scena, Fedra è in preda alla frenesia erotica. La malattia d'amore la sconvolge e la divora. Stravolta e sofferente, posseduta dal delirio, inca pace persino di reggersi in piedi, ella si esprime attraverso frasi scom poste e disarticolate, che la nutrice cerca invano di interpretare. Nel delirio, Fedra riconnette la sua sventura alla tragica eredità della sua famiglia. Ricorda prima il destino della madre, Pasifae, e poi quello della sorella, Arianna. Sono solo due brevi accenni a storie mitiche che il pubblico di Euripide conosceva nella loro integrità e, anche, nelle loro complesse varianti (Ippolito, vv. 3 3 7 - 3 3 9 ) : FEDRA NUTRICE FEDRA
Povera madre mia, che amore fu i l tuo . . . L'amore del toro, a questo pensi, figlia? E tu, infelice (talaine) sorella, sposa (damar) di Dioniso
2 . LA SPOSA DI DIONISO
Pasifae tradì Minosse con il toro di Posidone: un tradimento dello sposo legittimo, come sarebbe stato quello di Fedra nei confronti di Teseo, e anche un amore innaturale e perverso, come quello incestuo so della matrigna per Ippolito. La vicenda di Pasifae dunque si inscri ve perfettamente nel paradigma che governa il destino di Fedra. Ma in che senso le avventure, o disavventure, di Arianna prefìgurano la sorte della sorella? Qui Fedra cita la sorella soltanto come sposa (da mar) di Dioniso, senza alcun accenno a Teseo. Inoltre Arianna viene definita infelice, talaina. Qui vi è qualcosa che contrasta con la ver sione canonica del mito di Arianna: secondo questa versione, infatti, è proprio nel matrimonio con Dioniso che l'eroina cretese ritrova la felicità perduta quando Teseo l'aveva abbandonata nell'inospitale iso la di Nasso. Forse Euripide alludeva qui a un'altra versione del mito? Una versione in cui Arianna pativa una sorte infelice per avere la sciato il legittimo sposo, Dioniso, così come ora Fedra era sul punto di tradire suo marito? È questa l'opinione di molti studiosi e di molti commentatori del testo di Euripide. Ed è stato notato come anche Seneca nella sua Fedra (vv. 762-763 ) , forse dipendente dalla prima redazione dell'Ippolito di Euripide, per noi perduta, parlasse di Arianna come di colei che aveva preferito Teseo a Dioniso 2 7 . Euripide, insomma, sulla scorta d i u n a tradizione nota già a Ome ro e poi riecheggiata da Seneca, seguiva una versione del mito in cui Arianna era originariamente la sposa di Dioniso. Teseo, secondo que sta versione, sarebbe arrivato dopo, spezzando il sacro legame tra l'e roina cretese e la divinità dell'estasi. Arianna sarebbe dunque stata punita per avere tradito Dioniso con un mortale. La condanna sa rebbe stata eseguita da Artemide, esattamente come era avvenuto per Coronide che, allo stesso modo, aveva tradito un dio, Apollo, per un mortale. Questa ipotesi era già stata sostenuta a metà dell'Ottocen to 2 8 , ma ha trovato anche di recente molti autorevoli sostenitori. Martin Litchfìeld West, per esempio, ha sostenuto che, nei versi del l' Odissea, «il ruolo giocato da Dioniso diventa più comprensibile se si assume che Arianna era già la sua sposa a Creta prima dell'arrivo di 2 7 . ( ''Fra tutte le genti si è diffusa la storia di colui che la sorella di Fedra preferì a Dioniso" ) . Su tutto questo cfr. in particolare W. S. Barrett, Euripides, Hippolytos, Ox· ford 1 964, pp. 2 2 2 - 3 . 2 8 . L'ipotesi risale a u n illustre studioso ottocentesco di mitologia, Ludwig Prel· ler, per la cui visione della figura di Arianna si rimanda a L. Preller, Griechische My· thologie. 1. Theogonie und Gotter, Bonn r 86o, repr. Berlin-Zi.irich 1 964, pp. 68o·4. Cfr. Casadio, Dioniso in Argolide, cit . , pp. r 3 8 ss. per una discussione articolata e per la bibliografia in merito all'ipotesi di Preller e alla sua fortuna.
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Teseo» 2 9 . Su questa base si potrebbe dunque riportare alla luce una dimensione del mito in cui Arianna e Dioniso erano la coppia origi naria. Così, per esempio, Thomas Bertram Lonsdale Webster sinte tizzava la parabola del personaggio di Arianna: «La Signora del Labi rinto è la dea Arianna, per cui Dedalo (lui stesso un dio, secondo me, a Creta) creò uno spazio per le danze; ella era la sposa di Dioniso, che gli fu rubata da Teseo e poi uccisa da Artemide per le rimo stranze di Dioniso. [ . ] La storia canonica di Teseo e della figlia di Minosse sarebbe allora una versione tarda, che tendeva ad abbassare Arianna dal livello divino a quello eroico» 3°. Questa dimensione ori ginaria della figura di Arianna avrebbe peraltro come scenario princi pale non l'isola di Nasso, ma la veneranda e arcana terra di Creta: perché anche tutta l'oscura vicenda di tradimento e di morte, di em pietà e di espiazione a cui Omero allude nell' Odissea sembra essersi svolta ancora sul suolo cretese. . .
2.3 La tomba di Arianna e il Dioniso cretese
Arianna, racconta Omero, fu uccisa da Artemide «a Dia cinta dalle acque». Ma dov'è questa fantomatica isola di Dia? I commenti anti chi si esprimono in maniera contraddittoria e confusa. Gli scolii al l' Odissea ( r r , 3 2 5 , p. 5 07 Dindorf) parlano di «un'isola Dia presso Creta, che ora è chiamata Nasso. Essa è sacra a Dioniso». Eustazio, a sua volta, parla di «Dia, un'isola sacra a Dioniso posta di fronte a Creta, e che veniva chiamata anche Nasso». C'è qui un'evidente so vrapposizione tra due luoghi: da un lato, un'isoletta posta di fronte alle coste di Creta, al largo di Cnosso, e nota con il nome di Dia; dall'altro l'isola di Nasso, nell'arcipelago delle Cicladi, che non è af fatto vicina a Creta, ma che talvolta viene egualmente indicata nelle testimonianze antiche con il nome di Dia. Nella versione che divente rà canonica, e sarà ripresa nei testi latini e nella Vita di Teseo di Plu2 9 . West, Heszod, Theogony , cit. , p. 4 r 8 : . 30. Webster, From Mycenae to Homer, cit. , p. 50: >. 4 3 · Public Poetry, in A Companion to the Greek Lyrù: Poets, ed. by D. E. Ger ber, Leiden-New York-Ki:iln 1 997, p. 286: «Theseus will be irresistible to Ariadne and this will guarantee the success of the mission to Crete and save the young Athe nians». 44· Per un'analisi dettagliata di questi frammenti e i problemi relativi all' attribu zione cfr. Milis, Theseus, cit., pp. 245 - 5 2 (con ampia bibliografia specifica) . 45· U . Diotti, Il Teseo di Sofocle, i n "Dioniso" , 4 0 , 1 966, p. 5 9 · 4 6 . Milis, Theseus, cit. , p p . 254-5 .
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preso da amore per Periboia; e poiché Teseo gli si opponeva con gran vigore, preso dall'ira, tra le altre ingiurie che lanciò contro il giovane gli disse anche che non era fìglio di Poseidone, perché non sarebbe stato in grado di ricuperargli l'anello che portava al dito, se l'avesse gettato in mare. E, secondo la leggenda, Minosse, detto que sto, gettò in mare l'anello. Ma Teseo, sempre secondo la leggenda, emerse dal mare con quell'anello e con una corona (stephanos) d'oro che Anfìtrite gli aveva donato» (traduzione di Salvatore Rizzo) . La storia, come si vede, ricalca in larga parte il poema di Bacchilide. Ma vi sono alcune significative divergenze. In primo luogo, in Bacchilide, Teseo non riemerge dal mare con l'anello di Minosse: l'anello viene dimenticato, e l'attenzione si sposta sui doni divini di Anfìtrite, tra i quali Pausania ignora il manto purpureo. In secondo luogo, Pausania dice che la corona ricevuta da Anfìtrite era d'oro. Questo dettaglio viene ripreso nella descrizione dell'avventura sottomarina di Teseo che troviamo negli Astronomica di Igino ( 2 , 5 ) e che in larga parte coincide con il racconto di Pausania: «Teseo si gettò in mare, e subi to fu circondato da una folla di delfìni che, con le loro evoluzioni, lo condussero lievemente attraverso i flutti fìno alla Nereidi. Dai quali egli ricevette l'anello di Minosse, mentre Teti gli donò una corona tempestata di gemme (coronam [. .. ] compluribus !ucentem gemmis) che lei stessa aveva ricevuto da Venere come dono nuziale». L'avventura sottomarina è un'altra forma di viaggio iniziatico, pa rallela alla discesa nell'antro infero del labirinto. L'incontro con le Nereidi, le Ninfe marine, fa nascere in Teseo la paura, perché esso è il momento di passaggio in cui il giovane eroe può perdersi per sem pre. Nella fìgura delle Ninfe si riflette infatti l'ambivalenza delle ac que come spazio simbolico: le acque sono luogo di passaggio e di rigenerazione che sovente scandisce l'iniziazione a un nuovo status; ma le acque sono anche il luogo della dissoluzione e dell'annullamen to, il luogo da cui non si ritorna 47 . Analogamente, le Ninfe possono essere divinità benevole, a cui talvolta è affìdata la funzione di cre scere i fanciulli, ovvero di essere, come dicevano i greci, kourotrophoi: esse crescono i kouroi, allevano i giovani eroi. Ma le Ninfe possono anche rapire bambini e fanciulli, e causarne la morte; perciò esse in cutono paura. Può dimostrarlo il caso del fanciullo Ila, che era parti to con Giasone alla ricerca del Vello d'oro nella spedizione degli Ar gonauti: la Ninfe, incantate dalla sua bellezza, lo trascinano nei gor ghi di una fonte (Teocrito, Idillio q; Apollonia Rodio, Argonautiche 47. Si vedano le pagine di M. Eliade, Trattato di storia delle religioni (Paris 1 94 8), trad. it. Torino 1976, pp. 200 ss.
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I, I 2 2 I - I 2 3 9 l - A differenza d i Teseo, che riemerge dal mare, Ila scompare nella profondità delle acque: la sua vicenda non si conclude con un'acquisizione positiva di maturità, con una reintegrazione a un livello diverso nella società umana, ma sfocia in un distacco totale dalla realtà degli uomini, in una regressione nel mondo senza tempo e senza storia delle Ninfe. E non a caso, nel folklore della Grecia moderna, le Nereidi sono diventate creature terribili, incantatrici ma lefiche che rapiscono i fanciulli 48 • Ma se quello iniziatico è il paradigma complessivo che governa l'avventura sottomarina di Teseo, le declinazioni di questo paradigma possono poi essere diverse a seconda dei luoghi e dei tempi. Ci sono, infatti, divergenze significative tra le versioni di Bacchilide, da un lato, e quelle di Pausania e Igino dall'altro. Questi ultimi sostengono che Teseo ricevette da Anfitrite una corona d'oro o tempestata di gemme. Come quella che, più tardi, ritroveremo tra le mani di Arian na. Come quella che, infine, sarà trasformata in costellazione. Ma questa non è affatto la stessa corona che Teseo riceve da Anfitrite nel poema di Bacchilide: qui si tratta invece di una ghirlanda di rose. Quest'ultima è la corona di Eriboia, non quella di Arianna. Il dono della ghirlanda, in Bacchilide, è infatti associato a quello del manto purpureo, che è assente sia in Pausania sia in Igino. Manto purpureo e ghirlanda di fiori sono oggetti ricorrenti nei rituali nuziali 49 . Alle spalle del racconto di Bacchilide sembra esserci dunque il matrimo nio tra Teseo ed Eriboia 50• Quella con Arianna sarà tutta un'altra storia, una storia di violenza e di abbandono. Arianna avrà un solo vero sposo, il dio Dioniso. Teseo sarà invece colui che la tradirà.
3·3 Da Nassa a Delo
Perché Teseo ha abbandonato Arianna in Nasso? Visto il carattere dongiovannesco dell'eroe, la risposta più semplice è quella indicata da Plutarco: «perché si era innamorato di un'altra» ( Vita di Teseo 20, I ) . A riprova di questa affermazione, Plutarco allega un verso di 48. ]. C. Lawson, Modern Greek Folk/ore, New York r 964, pp. r 3o ss. 49· Mi permetto di rimandare ancora a Ieranò, Il Ditirambo XVII di Bacchilzde, cit. , pp. r 64-8, per tutte le testimonianze relative. 50. Alcune delle considerazioni qui sopra sviluppate sulla figura di Eriboia e il suo rapporto con Arianna si trovano, in forma più articolata, in G. Ieranò, Il filo di Eriboia , in Bakchylides: r o o Jahre nach seiner Wiederentedeckung, hrsg. von A. Ba gordo und B. Zimmermann, Miinchen 2000, pp. r 83 - 9 2 .
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3 · IN VIAGGIO CON TESEO
Esiodo (fr. 298 Merkelbach-West) , che diceva come Teseo abbando nò la giovane cretese perché traviato da un «terribile amore» (deinos eros) per Aigle 5 ' ; secondo un certo Hereas, storico megarese di epo ca incerta, citato solo da Plutarco in questo passo (FrGrHist 486 F I ) 5 ' , il tiranno Pisistrato avrebbe addirittura espunto dalle opere di Esiodo questo verso, considerandolo poco lusinghiero per gli atenie si 5 3 . Anche nel Catalogo delle donne (fr. I47 M-W) Esiodo trattava degli amori di Teseo e in particolare di Aigle, per la quale l'eroe ave va proditoriamente «infranto il giuramento» che lo legava ad Arian na. L'argomento era affrontato anche nei Canti Ciprii (Kypria) 54, un poema epico per noi perduto, che narrava in undici libri gli antefatti della guerra di Troia: qui, a quanto pare, la storia di Teseo e Arianna era narrata dal vecchio re Nestore allo spartano Menelao per conso larlo del ratto di Elena da parte di Paride. Sembra dunque di doversi dedurre dal contesto che il ruolo di Teseo fosse simmetrico a quello del fedifrago Paride, che si era portato via, oltre il mare, la moglie di Menelao 5 5 • Nestore doveva confortare il re di Sparta ricordandogli che il mondo è pieno di mascalzoni, come Paride e come Teseo. Questa versione del mito appare dunque consolidata nei poemi epici di età arcaica. Eppure, ancora una volta, il mito di Arianna si biforca e sembra perdersi in rivoli labirintici. Alcune notizie antiche, infatti, ci mostrano un Teseo costretto, contro la sua volontà, a cede re Arianna a Dioniso. Diodoro Siculo (4, 6 I ) racconta così quello che avvenne a Nasso: «l miti narrano che a quel tempo Dioniso fece un'apparizione sull'isola, e per la bellezza di Arianna portò via a Te5 r . Nell'edizione di R. Merkelbach e M. L. West questi versi esiodei sono inseri ti tra i frammenti (294- 3 0 1 ) deli'Aigimios, opera attribuita a Esiodo o a Cercope (l'at tribuzione dubbia si ritrova in Ateneo II, 503a). I due editori ritengono che la storia di Arianna fosse contenuta nell'Aigimios sulla base di un altro passo di Ateneo, già citato in precedenza ( 1 3 , 5 5 7b ) , dove si parla di una menzione di Arianna da parte di Cercope. Ma dallo stesso passo si ricava che Esiodo ha parlato degli amori di Teseo anche nel Catalogo delle donne (fr. 147 M-W). È in realtà probabile che Arianna com parisse in entrambe le opere: cfr. ]. Schwartz, Pseudo-Hesiodea, Leiden 1 960, pp. 2 6 1 -4; G. Huxley, Early Epic Poetry, Cambridge 1 969, pp. 1 07-9; Milis, Theseus, cit. , p. 1 5 , n. 5 3 · 5 2 . S u Hereas cfr. Piccirilli, Megarzka, cit. , p p . 50 ss. 5 3 · Cfr. anche Walzer, Theseus and Athens, cit., p . 36. 54- A. Bernabé, Poetae Epici Graeci, Stuttgart 1 98 8 , p. 40. Sulle Teseidi epiche in generale cfr. Huxley, Early Epic Poetry, cit., pp. II 3 - 2 2 . 5 5 · Cfr. A. Severyns, L e cycle épique dans l'école d'Aristarche, Paris-Liège 1 92 8 , p p . 2 8 1 - 3 ; F. Jouan, Euripide e t les legendes des Chants Cypriens, Paris 1 966, pp. 3 84-8; Milis, Theseus, cit. , pp. 15-6 conclude: