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Italian Pages 696 [748] Year 2003
INDICE Presentazione di A. Calderone, M. Caltabiano, G. Fiorentini .............................................................
9
Bibliografiadi Ernesto De Miro .........................................................................................................
17
PER UN PORTOLANO FENICIO, di ENRICO ACQUARO .....................................................................
21
ANFORE COMMERCIALI DAL CENTRO INDIGENO DELLA MONTAGNA DI RAMACCA (CATANIA), di ROSA MARIA ALBANESE PROCELLI ...........................................................................
37
IL GRUPPO DI SCILLA DI SPERLONGA RICOMPOSTO, di BERNARD ANDREAE ..........................
51
LA CE1AMICA GRECA TRA IL V E IL IV SEC. A.C. RINVENUTA IN ITALIA, di P. E. ARIAS t..
61
NOTE SULLA COROPLASTICA RINVENUTA NELL'AREA INDIGENA DELL'ANTICA BASILICATA (VT-Ill SEC. A.C.), di M. BARRA BAGNASCO .....................................................................
69
DEDALO E ICARO A HIMERA, di N. BONACASA ..............................................................................
81
I TIRANNI DI SELINUNTE, di L. BRACCESI .....................................................................................
91
QUARTIERI DI ETA ELLENISTICA E ROMANA A CATANIA, di M. G. BRANCIFORTI ...................
95
EQS RAPITRICE E LE ARULE DI GELA, di A. CALDERONE ............................................................
121
UNA STATUETTA IN MARMO DA AGRIGENTO, di V. CALl .........................................................
131
MESSANA. TYCHE/FORTUNA SULLE MONETE DELLA CITTA DELLO STRETTO, di M. CACCAMO CALTABIANO ................................................................................................................
139
RECENTI RICOGNIZIONI NEL TERRITORIO DI ROW MILICI, di B. CAMPAGNA ......................
151
UN CAPITELLO IONICO A QUATTRO FACCE NEL MUSEO REGIONALE DI MESSINA, di L. CAMPAGNA ..................................................................................................................................
167
RIITROVAMENTI MONETARI A FRANCAVILLA DI SICILIA (ME), di A. CARBE .........................
181
NOTA DI TOPOGRAFIA CRISTIANA AGRIGENTINA. A PROPOSITO DEl C.D. IPOGET MINORI, di R.M. CARRA BONACASA .................................................................................................... 203 NUOVE ISCRIZIONI "TIRRENICHE" DA LEMNO, di M. CPJSTOFANI t ........................................ 219 HIMERA TRA REALTA ED IMMAGINAZIONE, di A. CUTRONI TUSA .............................................
223
LE CERAMICHE DELLA PUGLIA PREROMANA. UNA PROPOSTA DI CLASSIFICAZIONE GENERALE, di E.M. DE JULIIS ....................................................................................................
235
NECROPOLI IN CONTRADA STORNELLO DI RAVANUSA (AGRIGENTO), di A. DENTI ...........
247 271 ILVNODESTR,diL.DEAVO . .
LA STANDARDIZZAZIONE DEl BLOCCHT NET TEMPLT "GEMELLI" DI AGRIGENTO, di J.A.K.E. DE WAELE ..................................................................................................................... 275 PICCOLA PLASTICA BRONZEA INDIGENA DI AREA SICANA, di C.A. Di STEFANO ...................
285 293ERAILSTODMZRAUN"TEL?,diA.DVI .
ARCHITETTURA DOMESTICA D'ETA ELLENISTICA IN CALABRIA. ELEMENTI TECNICI E STRUTTURALI, di D. FALCONE .....................................................................................................
301
LA PANTELLERIAN WARE DAL QUARTIERE ELLENISTICO-ROMANO DI AGRIGENTO. ASPETTI DELLA PROBLEMATICA E PROPOSTA PER UNA TIPOLOGIA, di G. FIERTLER ... 321 DIONISO, IL SATIRO E IL "MULO" IN UN VASO PLASTICO DA RAVANUSA, di G. FIORENTINI 339 NUOVE RICONIAZIONI IN MAGNA GRECTA E IN SICILIA, di S. GARRAFFO ..............................
351
CONTRIBUTO ALL'INQUADRAMENTO CRONOLOGICO E STILISTICO DI ALCUNI VAST ATTICI DEL PRIMO RELITTO DT GELA, ED IPOTEST SULLA ROTTA DI DISTRIBUZTONE, di F. GIuDIcE ..........................................................................................................................
363
TRA STBART, THURIT E COPIAE: QUALCHE IPOTESI DI LAVORO, di E. GRECO ...................... 369 RECENTI SCAVI A MONTE ROVETO E ROCCA FICARAZZE DI CASTELTERMINI (AG), di D. GULL! .........................................................................................................................................
375
THREE LEKYTHOI BY THE PAN PAINTER IN PROVIDENCE, di R. Ross HOLLOWAY ..............
401
LE PROPRIETA FONDIARIE DELLA DIACONIA ROMANA DI S. MARIA IN COSMEDIN NEL SECOLO VIII. UNA LETTURA DELL'EPIGRAFE DI DONAZIONE DEl FRATELLI EUSTAZIO E GIORGIO, di A. IANNELLO ..................................................................................................
405
KOTYLAI CORINZIE DA VIA VENEZIA A GELA, di C. INGOGLIA ...................................................
417
BOULEUTERIA DI SICILIA, di H. P. ISLER ......................................................................................
429
KOUROTHROPHOS DA MOZIA, di S. LAGONA .......................................................................
435 UNA
439 LUIGSAVNO:PRLUSINEDZOCLAMESIN,diV.ROA
PER UNA PROPOSTA DI UBICAZIONE DELLA TAYPIANH XQPA (STRABONE VI, 1, 3), di G.F.LATORRE ...............................................................................................................................
455
ARMI MINIATURISTICHE DA IALYSOS, di M. MARTELLI CRISTOFANI ...........................................
467
6
CERAMOGRAFIA CORINZIA E CERAMOGRAFIA ATTICA: RELAZIONI E CONFLUENZE, di M.G. MARZI ................................................................................................................................... RESTI PREISTORICI A DOSSO TAMBTJRARO (MILITELLO IN VAL DI CATANIA) E L'ETA DEL RAME NELLA SICILIA ORIENTALE, di B.E. MCCONNELL ...............................................
489
STUDI, INDAGINI, RICERCHE E ATTIVITA DI TUTELA DEl MONUMENTI DELLA VALLE DEl TEMPLI NELL'ULTIMO DECENNIO, di P. MELI ..............................................................
499
IL THESMOPHORION DI BITALEMI (GELA): NUOVE SCOPERTE E OSSERVAZIONI, di P. Oiiwma ..................................................................................................................................
507
ANTEFISSE DI PROVENIENZA CAMARINESE CERTA 0 PRESUNTA, di P. PELAGATTI ...........
515
SUL COMMERCIO DEl MARMI IN ETA IMPERIALE: IL CONTRIBUTO DEl CARICHI NAUFRAGATI DI CAPO GRANITOLA (MAZARA), di P. PENSABENE ................................................. 533 ANCORA IN TEMA DI AGER PUBLICUS SICILIANO IN ETA CICERONIANA, di A. PINZONE .... 545 LUCERNE IN SIGILLATA AFRICANA DALLE CASE ROMANE DI AGRIGENTO, di A. POLITO .......................................................................................................................................
553
MANFRIA:CONSIDERAZIONI SULLA FACIES DI CASTELLUCCIO, di E. PROCELLI ..................
571
LA LIBERAZIONE DI HERA IN UN VASO ATTICO DA LENTINI, di G. PJZZA ............................
579
LE MISURE DELLE COSTE DI SICILIA SECONDO I GEOGRAFI ANTICHI, di F.P. Rizzo .......
591
DUE NOTE A I.G. XIV 352, di G. SCIBONA ........................................................................................
599
A PROPOSITO DI DUE OSCILLA FIGURATI DA MONTE SARACENO, di A. SIRACUSANO ...........
605
ANFORE DA TRASPORTO NORD-EGEE IN OCCIDENTE NEL PERIODO ARCAICO E CLASSICO: L'ESEMPIO DI GELA, di G. SPAGNOLO .............................................................................
617
UN VENTENNIO DI RICERCHE A FRANCAVILLA DI SICILIA, di U. SPIG0 ...............................
643
UN'ARULA CON ZOOMACHIA DA MESSINA, di G. TIGANO ..........................................................
665
I CTJLTI DI IMERA TRA STORIA E ARCHEOLOGIA, di M. TORELLI .............................................
671
AKRAGAS - L'UBICAZIONE DELLA PORTA DELL'EMPORIO, di G. TRIPODI .............................
685
CONSIDERAZIONI SUI VAST INDIGENT CON APPLICAZIONI PLASTICHE DELLA SICILIA OCCIDENTALE (VII-V SEC. A.C.), di C. TROMBI ........................................................................
693
DALL'URBANISTICA ALLE TERRACOTTE: MOTIVI GRECI NELLE MANIFESTAZIONI CULTURALIPUNICHE, di V. TUSA .............................................................................................
711
FROM PALMA DI MONTECHIARO TO THE ISLE OF MAN: THE USE OF THE TRISKELES IN ANTIQUITY AND AFTER, di R.J.A. WILSON ..........................................................................
721
MINIMA AGRIGENTINA, di F. ZEVI ................................................................................................
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PRESENTAZIONE Chi ha avuto la fortuna di avere da lunghi anni un maestro, un collega e un amico come Ernesto De Miro non puO nascondere l'emozione e insieme l'imbarazzo di esporre adeguatamente non solo quanto egli ha realizzato nella sua intensa e ricca attività scientifica e professionale, ma soprattutto quanto egli ha saputo dare e continua a dare con l'esempio, con la dottrina, con la carica di umana simpatia e squisita generosità nei confronti di allievi, colleghi e di tutti coloro che hanno avuto modo di stargli accanto, sia nella sua attività di funzionario preposto alla tutela e valorizzazione della Sicilia centro-meridionale, sia di docente e studioso nell'attività accademica presso 1'Università di Messina. L'occasione di onorarlo con una raccolta di studi di archeologia mediterranea offerti da allievi, colleghi e da numerosi amici studiosi, vuole essere, da un lato, espressione di immensa stima, di profondo affetto e di apprezzamento per quanto egli ha profuso in lunghi anni di lavoro per l'archeologia (nella ricerca e nella tutela) e per l'Universita; dall'altro, va intesa come momento di cornpiacimento e di augurio per ii fertile lavoro che, come archeologo, studioso e docente egli continua intensamente a svolgere. Ne sono esempio l'attuale attività di ricerca archeologica sul campo in collaborazione con la Soprintendenza Beni Culturali di Agrigento; le sue opere monografiche sugli scavi di Agrigento antica recentemente pubblicate e in corso di pubblicazione; ii suo costante impegno nell'attività di ricerca archeologica a Leptis Magna in Libia; l'apertura ad allievi e studiosi della sua ricca biblioteca personale da circa un biennio allestita in apposita sede ad Agrigento, fucina per un alacre e continua attivita di studi e di ricerche: iniziativa, quest'ultima, che non compare nel curriculum ufficiale, ma che forse pifi di ogni altro compito istituzionale rivela la personalità, ii concreto impegno intellettuale e la figura urnana di Ernesto De Miro. Questa miscellanea di studi in suo onore Si potuta realizzare con l'aiuto, l'impegno e la pazienza di molti. In ragione di ciO, un ringraziarnento va innanzitutto all'Assessorato Beni Culturali e Ambientali della Regione Siciliana che, con grande disponibilità, ha voluto realizzare questa iniziativa includendola tra le proprie edizioni. Grande impegno e pazienza ha richiesto poi tutta l'attività redazionale, curata con particolare zelo e disponibilità dalle dottoresse Valentina Call e Santina Sturiale, insierne all'architetto Gaetano Tripodi. A loro va la nostra piü viva riconoscenza. Esprimiamo gratitudine, infine, a tutti gli studiosi, colleghi e amici che con entusiasmo hanno voluto aderire a questa iniziativa - e con particolare commozione ricordiarno quelli che, purtroppo, non sono pifl tra noi quali, con enorme pazienza, si sono adattati ai lunghi tempi editoriali di questa opera, purtroppo prolungatisi phii del previsto. ANNA CALDERONE MARIA CALTABTANO GRAZIELLA FI0RENTINI
Ernesto De Miro. archeologo e soprintendente
Ci sembra doveroso riconoscimento per i lunghi anni di lavoro impegnati nella salvaguardia e nella valorizzazione del patrimonio archeologico siciliano - anche con momenti difficili e di gravi rischi personali - dedicare parte della premessa a questa raccolta di Studi in onore di Ernesto De
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Miro, a un resoconto sia pure sommario, dell'intensa e incisiva attività da lui svolta come Soprintendente archeologo della Sicilia centro-meridionale. In tal senso assume particolare significato e rilevanza ii fatto che la presente pubblicazione sia stata promossa e realizzata dalle edizioni dell'Assessorato Beni Culturali e Ambientali della Regione Siciliana cui rinnoviamo ii nostro ringraziamento. Per l'attuale protezione della Valle dei Templi di Agrigento, che vede vincolata l'intera area della città antica, delle necropoli e del territorio extra urbano, dall'Acropoli all'emporio sulla costa (Decreti interministeriali 16/05/1968 e 07/10/1971), determinante è stato l'impegno di Soprintendente di Ernesto De Miro con l'attuazione di forme di difesa attiva per la realizzazione del Parco Archeologico, la cui prima e indispensabile fase, relativa all'acquisizione dei terreni al pubblico demanio, yenne assicurata proprio in quel periodo grazie agli ottenuti cospicui stanziamenti assessoriali (circa 30 miliardi di lire) di cui tuttora si avvale la Soprintendenza per la creazione del Parco. Ma già durante la direzione De Miro era stata definitivamente assicurata un'ampia superficie di circa 450 ettari, corrispondente alla massima parte dell'area della città antica, della necropoli romana, dell'Asklepieion e di vaste zone del territorio archeologico rese cos! anche indenni dall'invadente edificazione abusiva. Parallelamente alla tutela della Valle dei templi, veniva svolta una intensa attività di ricerca archeologica diretta dallo stesso De Miro che - dopo gli scavi del Marconi e poi del Griffo pertinenti soprattutto le aree sacre dei templi maggiori - impostO un programma organico di interventi che ha previsto: l'ampliamento e il sistematico approfondimento delle ricerche in importanti zone monumentali pKL o meno già note, portando in luce vasti settori dell'abitato greco-romano (ii c.d. Quartiere ellenistico-romano) individuando e distinguendo fasi di complessi organici di santuari nel settore occidentale della Collina dci Templi; la ripresa e l'estensione degli scavi degli edifici pubblici civili e delle necropoli greche, mai in precedenza sistematicamente indagati; l'individuazione e l'esplorazione di una nuova area della necropoli romana a Sud della Collina dei templi; e, ancora, la ripresa sistematica dello scavo della necropoli paleocristiana in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana dell'Università di Palermo. A seguito e in ampliamento di tale articolata attività di ricerca, sono stati avviati e realizzati nuovi impegnativi programmi di indagini (tuttora in corso) riferibili soprattutto a: 1) Scavo del complesso del Bouleuterion e di altri edifici pubblici nella zona di S. Nicola, con la individuazione di importanti "snodi" dell'articolazione urbanistica della città antica e con la scoperta di una imponente area sacra di eta romana; 2) l'individuazione e lo scavo del monumentale complesso del Santuario di Esculapio tutt'attorno al tempio già noto (e ritenuto isolato), con la messa in luce di un ampio penmetro di temenos, vasti ambienti e portici; 3) l'avvio di regolari indagini sistematiche del villaggio indigeno di Cannatello, alla foce dell'omonimo flume a Est di Agrigento - scoperto parzialmente agli inizi del secolo dal Mosso e in seguito totalmente obliterato e a rischio di completa distruzione per l'invadente edificazione moderna - del quale si è portato in luce un ampio settore, con capanne e cinta muraria, che ha restituito anche le prime testimonianze contestualizzate di ceramica micenea sulla costa agrigentina. Anche nel territorio della provincia di Agrigento l'attività del Dc Miro si è posta come obiettivo preliminare e inderogabile la tutela archeologico-ambientale, impegnandosi in una articolata azione di protezione vincolistica e di interventi espropriativi (si citano, in particolare, i siti di Eraclea Minba, Sambuca di Sicilia, Rocca Nadore e Monte Cronio di Sciacca, Montevago, Palma di Montechiaro, Licata, Ravanusa, San Giovanni Gemini, Naro S. Angelo Muxaro, Favara, etc.). In detto territorio l'indagine archeologica ha seguito e accompagnato l'attività di tutela, con un programma organico, che ha interessato aree culturali omogenee e secondo precise tematiche di ricerca che hanno tenuto presente, fondamentalmente, i seguenti indirizzi: - individuazione ed esplorazione dci centri indigeni e greci del territorio di influenza akragantina, a verifica dci processi di ellenizzazione tra il Salso e il Platani, di penetrazione greca e di persistenza indigena lungo le valli dci due fiumi. In questo senso le ricerche, nell'ambito del territorio di ellenizzazione rodio-cretese, hanno sempre previsti programmi correlati con i centri della provincia di Caltanissetta coinvolti dai medesimi processi culturali. In tale quadro rientrano gli scavi condotti 10
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sulla costa e nell'immediato entroterra tra Gela e Agrigento (Manfria, M. Desusino, Montagna di Licata, Casalicchio Agnone, Palma di Montechiaro) e quelli dei centri interni della Valle dell'Himera (da Licata a Ravanusa e Vassallaggi, Sabucina e Capodarso) e della Valle del Platani (Eraclea Minoa, Ribera, Sant'Angelo Muxaro). - programmi di ricerca e di studi particolarmente dedicati dal De Miro ai centri delle culture indigene nell'ambito della "Sikania", i cui scavi hanno rivelato eccezionali risultati scientifici in un'area culturale che interessa zone pertinenti ii territorio delle due provincie di Agrigento e Caltanissetta (scavi di Ribera, S. Angelo Muxaro, Milena, Marianopoli, Polizzello); - oggetto, nello stesso periodo, di particolare attenzione ii territorio tra ii Platani e ii Belice con regolare attività di scavi ed esplorazioni (Eraclea, Sciacca, M. Nadore, Sambuca- Monte Adranone, Montevago, Menfi); l'indagine preistorica, aiquanto marginale in passato, ha avuto in quegli anni nuovo impulso, rivelando interessi e orizzonti di studio destinati a successivo fortunato sviluppo (Palma di Montechiaro, Licata, Ribera, Aragona, etc.); - nuovo interesse e stato dedicato anche alla ricerca dei centri e delle fasi di eta romana e paleocristiana, oltre che ad Agrigento, a Naro, Palma di Montechiaro, Favara, Canicattl, Castrofilippo, etc. Per quanto riguarda l'attività di studi e ricerche personalmente dirette dal De Miro nel territorio della provincia di Agrigento, un posto particolare occupano ii centro di Eraclea Minoa (di cui è stata espropriata l'area dell'intera città antica, resa fruibile con opere di agibilita e con l'allestimento di un Antiquarium in loco) e ii centro greco-indigeno di Monte Saraceno di Ravanusa le cui ricerche, come in altro centro della Valle deIi'Himera (Capodarso), sono state condotte dal De Miro in qualità di Soprintendente e di Direttore dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Messina, con una collaborazione delle due Istituzioni tradotte in una formale Convenzione tra Assessorato Regionale Beni Culturali e Università. Contemporaneamente allo svolgimento delle ricerche, si e proceduto alla acquisizione di gran parte dell'area della città antica di M. Saraceno (Acropoli e terrazzo superiore) e i risultati di oltre vent'anni di scavo sono di imminente esposizione nell'inaugurando Museo di Ravanusa. In provincia di Caltanissetta, dopo gli scavi di Griffo Adamesteanu e Orlandini che rivelarono l'interesse e le potenzialita del territorio geloo e del suo entroterra, avviando a largo raggio, con notevole successo, ricerche mirate a Gela e nel suo territorio, la Soprintendenza diretta da E. De Miro attuô un impegnativo programma di interventi che, da un lato, assicurO continuità e regolarita alle ricerche iniziate e ne intraprese altre in siti archeologici prevalentemente noti solo attraverso ricognizioni o saggi preliminari, di recente e antica data; dall'altro, pose in essere in tutto ii territorio della provincia adeguati provvedimenti di tutela (vincoli ed espropri) dei principali siti archeologici, • partire da Gela (ove si acquisl al demanio dci Beni Culturali l'intera collina dell'Acropoli di Molino • Vento, l'area dell'Emporio presso la foce del flume, la zona di Capo Soprano di cui si amplià ii yincob, prima limitato al solo tratto delle mura) alla collina di Bitalemi ad est del flume medesimo, al complesso catacombale di grotticelle presso Manfria, a Ovest di Gela, per risalire nelle valli del Salso, del Gela e del Maroglio: Monte Desusino, Sabucina (ove venne definitivamente bloccata l'attività di cava mediante vincoli ed espropri), Vassallaggi, Gibil Gabib, Castellazzo e Balate di Marianopoli, Monte Bubbonia, Monte Desueri, Polizzello, Sofiana-Aizacuda, Tenutella di Butera, etc. Anche nell'ambito del territorio suddetto la ricerca si articolO secondo specifici indirizzi ed obiettivi: - ricerche mirate alla conoscenza della ellenizzazione dci centri indigeni lungo le valli dci summenzionati fiumi e del territorio compreso tra ii Gela e ii Dirilbo: particolare nuovo impulso ebbero gli scavi in territorio di Marianopoli, mentre nella zona orientale furono riprese le ricerche a Grotticelle, Biviere (Passo di Piazza); - scavi nei siti indigeni interni della Sikania, con particolare riferimento ai gib, ricordati centri di Polizzello, Milena e al centro indigeno ellenizzato di M. Raffe: in questi ultimi due siti, gli scavi yennero condotti con la collaborazione dell'Istituto Archeologico dell'Università di Catania. A Polizzelbo 11
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le ricerche del De Miro portarono a risultati eccezionali per la conoscenza della cultura indigena con la scoperta e messa in luce dell'intera cittadella dell'Acropoli, occupata da un complesso di edifici di straordinario interesse; - ricerche finalizzate all'approfondimento e valorizzazione delle testimonianze di eta romana imperiale, tardo-romana e paleocristiana della Sicilia centro-meridionale. Con tale obiettivo vennero potenziati gli scavi nel territorio di Gela (Manfria-Grotticelle, Biviere-Casa Mastro) e a Philosophiana (Sofiana-Mazzarino): centro, quest'ultimo, connesso topograficamente e storicamente con ii complesso della Villa del Casale di Piazza Armerina, le cui ricerche vennero organicamente riprese e potenziate con progetti abbinati o correlati. L'attività della Soprintendenza con la direzione di Ernesto De Miro anche in provincia di Enna ha tenuto sempre presente l'articolazione territoriale, secondo la quale sono state programmate e realizzate le attività di tutela e di ricerca, e cioè: area gravitante sull'alto corso del Gela, con i centri di Montagna di Marzo - Piazza Armerina, Monte Navone, direttamente collegati con ii territorio di Sofiana; 11 territorio di Aidone con 11 centro isolato e dominante di Morgantina; il comprensorio di Enna-Pergusa-Calascibetta-Rossomanno; il settore orientale della provincia con i centri di Troina, Agira, Cerami e Centuripe, gravitanti verso il territorio del Simeto. Nell'ambito di questi comprensori venne potenziata l'attivita di tutela: ai vincoli archeologici preesistenti in misura e per superfici limitate si aggiunsero nuovi provvedimenti di vincoli e di espropri piü rispondenti alle effettive nuove esigenze (si citano, per esempio, i siti di Piazza Armeri na, Aidone-Morgantina, Cozzo Matrice presso Pergusa, Rossomanno, Centuripe). Gli scavi archeologici, come su accennato, furono condotti in rispondenza delle suddette aree culturalmente omogenee, coinvolgendo anche tradizionali collaborazioni quali l'Università di Catania per il territorio di Centuripe; le Università americane di Princeton, Illinois e Virginia per Morgantina dove, a concessione conclusa, subentrarono gli scavi della Soprintendenza di Agrigento in collaborazione con l'Istituto di Archeologia dell'Università di Messina. Venne ripreso anche lo scavo nel complesso della Villa Romana di Piazza Armerina, mettendo in luce importanti nuovi settori relativi ad ambienti di servizio (scuderia, magazzini e ambienti gravitanti verso l'accesso dal flume Gela). Curati direttamente dalla Soprintendenza furono anche gli scavi nel territorio di Enna-Pergusa (Cozzo Matrice), Montagna di Marzo e Rossomanno (Valguarnera). In tutto ii territorio di giurisdizione delle tre provincie, l'attività della Soprintendenza diretta da Ernesto De Miro fu particolarmente feconda di opere di valorizzazione, fruizione e di realizzazioni museali. Dopo il Museo di Agrigento, al cui ordinamento scientifico Ernesto De Miro si era particolarmente dedicato, vennero realizzate nuove stnitture didattiche di supporto sulla Collina dei Templi, come l'Antiquarium di Villa Aurea per mostre temporanee e attività divulgative multimediali, e altri antiquaria ilustranti aspetti particolari dell'archeologia agrigentina, in relazione a percorsi tematici della zona archeologica (Antiquarium di iconografia storica, Antiquarium di Agrigento paleocristiana). Interventi di valorizzazione si sono accompagnati alle ricerche anche nell'ambito della provincia: oltre ad Eraclea Minoa (cui si è già accennato), strutture didattiche essenziali sul posto vennero realizzate a Sciacca (M. Cronio) e a Monte Adranone (Sambuca di Sicilia). Negli stessi anni vennero acquisiti immobili da destinare ad antiquaria anche a Favara, Palma di Montechiaro, con la sistemazione della Grotta Zubbia, S. Angelo Muxaro, Naro; a Licata, la sistemazione del complesso dello Stagnone, e con la progettazione e il finanziamento del nuovo Museo Archeologico nel plesso monumentale della Badia, in seguito completato e inaugurato. Anche nelle altre due provincie gli interventi di conservazione e valorizzazione realizzati o avviati da Ernesto De Miro sono stati di determinante importanza per la conoscenza e la divulgazione del patrimonio archeologico del territorio: dalla sistemazione del "Parco dell'Acropoli di Gela" a quello delle fortificazioni di Capo Soprano (con modifiche migliorative delle opere di protezione), all'ampliamento e alla risistemazione del Museo di Gela, arricchito dei reperti delle numerose campagne di scavo sistematico dell'Acropoli e di altre zone e siti del territorio; venne realizzato il ben docu12
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mentato Museo di Marianopoli, acquisiti gli immobili per gli Antiquaria di Sabucina e Gibil Gabib, poste le basi per quello di Milena. Si avviO e si portà a compimento la costruzione del grande Museo Archeologico di Caltanissetta in località S. Spirito: opera di cui rimaneva da finanziare solo l'allestimento museografico e che purtroppo e rimasta ad oggi inutilizzata. In provincia di Enna, a Piazza Armerina, data l'importanza e la complessità della Villa Romana del Casale, particolare attenzione fu posta, con ingenti impegni finanziari e tecnici, alle opere di salvaguardia, rinnovando le strutture di protezione con materiali ignifughi e di minore impatto ambientale. Sempre a Piazza Armerina venne avviata la realizzazione del Museo Archeologico, con il restauro e la ristrutturazione funzionale della sede monumentale di Palazzo Trigonia di proprietà della Regione Siciliana ed era in corso di progettazione l'arredo espositivo. Purtroppo, anche questa importante realizzazione museale non ha poi avuto seguito. Migliore fortuna ha avuto un'altra realtà museale, già allora completata nella ristrutturazione e nell'arredamento essenziale: il Museo di Centuripe, recentemente inaugurato. Tra le opere museali che si devono all'iniziativa e al determinante impegno del De Miro, vanno ricordati II Museo di Morgantina nel plesso monumentale dei Cappuccini nel Centro Storico di Aidone e il Museo Archeologico in Palazzo Varisano di Enna. Si tiene a fare presente che della grande esperienza, concreta capacità realizzativa e del qualificante livello scientifico espressi dal De Miro nell'attività di alta divulgazione del patrimonio archeologico, la Soprintendenza ha potuto continuare ad avvalersi, grazie alla sua generosa disponibilità, per importanti eventi espositivi, temporanei e permanenti, realizzati dopo le sue dimissioni dall'Amministrazione dei Beni Culturali: si citano la Mostra internazionale "Veder Greco" che, nel 1988, fece confluire ad Agrigento vasi attici delle necropoli agrigentine dai pii importanti musei stranieri (Europa e Stati Uniti) in conneSSione con ii Convegno Internazionale "Akragas I" organizzato dalla Provincia Regionale di Agrigento; le mostre tematiche sulle "Necropoli Agrigentine" e su "I punici ad Agrigento", nel 1990; la mostra "I Micenei ad Agrigento" nel 1993; la mostra La Sicilia dei due Dionisi nel 1999, in connessione con il Convegno internazionale "Akragas II". Per tutte le suddette iniziatiye ii Prof. Ernesto Dc Miro ha liberalmente offerto la sua alta consulenza alla progettazione e coordinamento scientifico dde manifestazioni. Non sfuggirà a chi legge, che Sia informato sulla recente normativa regionale riguardante il sistema dei Parchi Archeologici e dei Musei di Sicilia, come - ben lungi dall'ipotizzare frantumazioni del territorio in una proliferazione di enti con autonomia giuridico-amministrativa - l'attività di Soprintendente di Ernesto De Miro, dispiegata su un territorio corrispondente a tre delle attuali Soprintendenze, nell'articolata programmazione di ricerca, acquisizione e valorizzazione del patrimonio archeologico-ambientale, aveva con lungimiranza individuato le aree, i siti e i comprensori territoriali culturalmente omogenei, attivato le forme di qualificate divulgazioni, creato i poli museali di riferimento di vaSte aree territoriali e le strutture didattiche locali (Antiquaria); gli itinerari tematici e interdisciplinari (itinerario della viabilità greco-romana e itinerarlo paleocristiano di Agrigento): attività ed opere di cui tuttora puà avvalersi l'Amministrazione dei Beni Culturali quale base di partenza per i previsti programmi di valorizzazione del patrimonio archeologico nella Sicilia centromeridionale, a partire dal Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento. G.E.
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Ernesto De Miro: docente e studioso A questa miscellanea di studi che colleghi, amici ed allievi hanno voluto offrire ad Ernesto De Miro per rendere omaggio alla sua intensa attività di maestro e studioso, si è voluto dare ii titolo: Archeologia del Mediterraneo. Ii titolo intende rispecchiare ed essere segno tangibile di quanto la sua figura di studioso abbia Spaziato. Partendo da analisi e ricerche incentrate, in gran parte, su temi e problemi di Magna Grecia e di Sicilia, De Miro e sempre andato oltre i limiti geografici indicati dalle aree di suo interesse ed impegno, approdando ad una lettura che tiene presente, e soprattutto valuta, l'Occidente all'interno del piü ampio circuito Storico, economico e culturale costituito dal Mediterraneo. In queSta direzione si e sempre mosso ii suo magistero nei confronti di noi tutti suoi allievi dell'Ateneo messinese. Con ii suo rigore metodologico, ci ha insegnato che ogni dato archeologico puô essere letto ed interpretato correttamente solo se considerato quale particella della piü ampia e onnicomprensiva cultura dell'antichità. Ernesto De Miro è giunto all'Università degli Studi di Messina quasi in punta di piedi, nel 1968, quando la nostra Università, estrema ed attenuata appendice di quel movimento che avrebbe segnato in maniera indelebile la cultura giovanile della seconda metà del 2000, viveva anch'essa una stagione di grande trasformazione. Incaricato prima, e dal 1986 ordinario dell'insegnamento di Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana, Ernesto De Miro ha sempre osservato quasi a distanza quelle trasformazioni che si stavano producendo in quegli anni sotto i nostri occhi. Ma ii suo non era disimpegno, bensl l'atteggiamento discreto di chi fa tesoro di tutto quanto vede e sente per esprimere, dopo aver maturato e meditato, ii suo pensiero ed ii suo giudizio forte ed incisivo. Ancora giovane docente univerSitario, cos! allora egil si poneva dinanzi alla "nuova università", senza rinunciare mai al proprio forte rigore nei rapporti con la classe studentesca. Un'impronta, questa, che si e sempre piü rafforzata negli anni, e che ha caratterizzato sino ad oggi ii suo magistero anche nei rapporti con i suoi allievi. Ed e proprio ii rigore - un affettuoso ma fermo rigore - quello che ha sempre Segnato la sua presenza in Facoltà, con gli studiosi, con gli allievi, con i colleghi. Contemporaneamente al suo ingreSso nell'accademia, nel 1968, Ernesto De Miro assumeva la carica di Soprintendente ai Beni Archeologici di Agrigento, Caltanisetta ed Enna. I due incarichi suonavano come riconoScimento del suo valore scientifico e si configuravano come tappe di un circolo virtuoso. Di esso, beneficiavano entrambe le realtà: ad Agrigento, la Soprintendenza ed ii territorio; a Messina, la Facoltà e noi tutti suoi allievi. Per noi, in particolare, grande era ii privilegio di poter accedere a risorse scientifiche e di ricerca cos! ampie e ben governate quali erano quelle che lo stesso De Miro, in quanto Soprintendente, poteva metterci a disposizione. Tanto piü in anni in cui il territorio della Soprintendenza di Agrigento era ancora quello vasto (Agrigento, Caltanissetta ed Enna) precedente la riforma della legge 81 del 1986. Grazie a quel collegamento, invidiabile ed invidiatoci da molti colleghi, con la Soprintendenza di Agrigento, è stato possibile formare una vera e propria Scuola Messinese. Sotto la sua costante guida, di studioso e di operatore culturale, Si SOflO formati numeroSi allievi che hanno potuto beneficiare di quella esperienza di ricerca sul campo, assolutamente indispensabile alla formazione di un vero archeologo. Forse solo oggi ci rendiamo pienamente conto di quanto grande sia stato quel nostro privilegio. A questo punto, ci si potrebbe forse aspettare che, da allieva, debba richiamare le tappe salienti del suo percorso scientifico. Ma riassumere in poche righe l'attività di studioso di Ernesto De Miro risulterebbe certamente restrittivo ed incompleto. Meglio, allora, far parlare la sua ampia bibliografia, cartina di tornasole dei molteplici interessi e competenze dello studioso che spaziano dalla preistoria alla tarda eta romana. Una particolare sottolineatura merita il grande impegno con il quale Ernesto De Miro si è battuto per l'ampliamento dell'offerta didattica della Facoltà di Lettere dell'Università di Messina nel campo specialistico dell'archeologia. Mi riferisco al prestigioso Dottorato in Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana, istituito sin dal 1991, che ha dato, e continua a dare, a tanti giovani meritevoli l'opportunità di poter maturare ed affinare le proprie capacità di studiosi. A lui, infine, si deve il merito di aver avviato l'Università di Messina ad una regolare esperienza di 14
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ricerca anche all'estero, danto vita alla Missione Archeologica a Leptis Magna in Libia, che sotto la sua direzione opera ormai da phi di un decennio. Grazie ad essa, si è andata formando una équipe di giovani studiosi e collaboratori oggi altamente specializzati su temi e problemi dell'Africa romana e pre-romana. Per tutti noi allievi ii suo ruolo attivo di Maestro continua ad essere fonte di idee e di progetti, e sempre punto di riferimento continuo ed indispensabile.
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A.C.
In un tempo qual'è quello odierno in cui 1'TJniversità italiana e chiamata a rinnovarsi profondamente e i suoi docenti a far fronte ad impegni sempre phi diversi e onerosi, è con consapevolezza phi profonda che mi chiedo come Ernesto De Miro sia riuscito ad assolvere e a conciliare durante i lunghi decenni della sua attività presso 1'Ateneo messinese i compiti e le gravose responsabilità concernenti ii suo doppio ruolo di Soprintendente Archeologo e di Docente universitario. In una Sicilia in cui ancora oggi la distanza Messina-Agrigento rappresenta un viaggio lungo e disagevole di almeno cinque ore, E. De Miro si è assoggettato settimanalmente a ricoprire quella distanza. Lo sostenevano oltre alla volitività del suo carattere, la passione dello studioso e la tenacia dell'uomo che con grande determinazione ha tutelato, difeso, valorizzato una parte coSpicua del patrimonio culturale della Sicilia, impegnandosi costantemente a interpretarlo e a farlo conoscere. Lo soStenevano, io credo, anche ii piacere e la volontà di trasferire ai giovani allievi oltre alla dottrina archeologica, quei principi e valori in cui egli Stesso era cresciuto e in cui ha continuato a credere. Rigoroso e poco incline a perder tempo nelle cose inutili, ma al tempo stesso signorile nel tratto e sempre generoso del suo, E. De Miro è Stato abituato a pretendere preparazione e conoscenza dagli studenti, serietà e lungo impegno dai suoi laureandi, capacità e professionalità dai Suoi collaboratori. Pretese che sono tanto phi necessarie e indispensabili alla crescita culturale e umana dei giovani in una città meridionale dove la didattica e la ricerca scientifica sono rese phi difficili dall'assenza di servizi e di adeguate strutture di contorno. A E. De Miro l'Università di Messina deve la naScita di una Scuola archeologica formatasi sul campo, con esperienze maturate nella partecipazione alle missioni di scavo, nello studio, nella schedatura e nell'edizione dei materiali messi a disposizione dalla Soprintendenza agrigentina, grazie al doppio ruolo ricoperto dal suo Professore. Una Scuola archeologica che ancora oggi con la Soprintendenza di Agrigento vanta un legame privilegiato grazie all'amicizia e alla generosa disponibilità di Graziella Fiorentini e di Giuseppe Castellana, e alla vigile attenzione e continua operosità scientifica di E. Dc Miro. Dell'importanza di una stretta collaborazione fra l'Università e la Soprintendenza E. De Miro è stato sempre convinto assertore, sperimentandola personalmente ma proponendola anche all'attenzione di quanti operano all'interno di queste due grandi Istituzioni: circa venti anni fa, proprio a Messina, insieme a G. Resta, allora Preside della Facoltà di Lettere, egli fu promotore di un Convegno che metteva a fuoco l'esigenza di una collaborazione da cui le due Istituzioni potessero trarre reciproco vantaggio. In queSta direzione, ancora oggi in Sicilia, tanta strada rimane da percorrere. Emblematica espressione della stretta collaborazione fra l'TJniversità di Messina e la Soprintendenza di Agrigento, ed esemplare nei risultati raggiunti, sono due iniziative di indagine sul campo: gli scavi decennali a Ravanusa e l'annuale missione archeologica in Libia. In entrambe le iniziative gil archeologi messinesi sono stati affiancati dal personale tecnico della Soprintendenza, anche quando con Mostre sono stati resi pubblici i risultati delle indagini scientifiche. A partire dal 1985/86 E. De Miro ha avviato la pubblicazione dei Quaderni di Arcl'zeologia dell'Universitd di Messina, utile a documentare - come scriveva nella presentazione del suo primo numero G. Resta, il "fervore di interessi, la densità dell'impegno, la varietà dei campi di ricerca, la qualita del lavoro, le sue finalità storico-culturali e non asfitticamente tecniche". Laureatosi in Storia antica (allievo di Santo Mazzarino), questa formazione storica ha costituito 15
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per E. De Miro quasi la trama della sua figura di studioso aperto ad una visione globale e quanto piii possibile documentata dei problemi, e sensibile all'utilizzo storico dell'archeologia. Si deve certo a questa sua propensione e al lungo amichevole rapporto con gli storici antichi la realizzazione di numerosi incontri organizzati in collaborazione, dai Convegni agrigentini dedicati alla storia di Akragas (11988, 111999) all'incontro messinese del 1996 su Origine e incontro di culture nell'antichitd. Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studi e prospettive di ricerca all'interno del Progetto strategico CNR su "Ii sistema Mediterraneo". Da questa intesa credo che derivi quella che considero una delle maggiori peculiarità degli studi archeologici a Messina: la loro forte connotazione storica e ii costante interesse a cogliere ragioni e modalità di macrofenomeni non documentati dalle fonti letterarie, quale quello dei processi di acculturazione greca del mondo indigeno e ii rapporto osmotico fra queste due culture, origine di sempre nuovi e fecondi sviluppi. Allo spirito di collaborazione e alla lungimirante consapevolezza della forza che deriva alle pubbliche Istituzioni dalla integrazione degli interessi e delle competenze dei suoi operatori si deve anche una delle pii importanti iniziative correlate al magistero universitario di E. De Miro, l'istituzione nel 1991 del Dottorato di ricerca in Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana, nato dal consorzio delle tre Università Siciliane, e proiettato oggi ad approfondire e valorizzare ii ruolo di intermediario e propulsore culturale svolto dalla Sicilia nel Mediterraneo antico.
E nella mia attuale veste di Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Antichità e con quella maggiore consapevolezza che solo l'età matura consente di raggiungere a proposito delle difficoltà e delle asperità che contraddistinguono il percorso di ciascun uomo che desidera contribuire a migliorare il mondo in cui vive, che oggi desidero dire grazie a E. De Miro. M.C.C.
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BIBLIOGRAFIA DI ERNESTO DE MIRO
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ARTIc0LI
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La Sicilia tra Magna Grecia e Hiberia,
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Leptis Magna, Area del Foro Vecchio. Ricerche dei livelli fenicio punici attraverso i monumenti romani e tardorornani, in Missioni Archeologiche Italiane, Roma 1998, pp. 179-181. Missione archeologica dell'Universitd di Messina a Leptis Magna, 1997, in Libya Antiqua 1998, pp. 170-171. Agrigento, in Ciudades Antiquas del Mediterranei, Barcellona-Madrid 1998, pp. 110-111. Archai della Sicilia greca. Presenze egeo-cipriote sulla costa rneridionale dell'isola. L'emporion miceneo di Canna-
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(Actes de la recontre scientifique en hommage a Georges Vallet organisée par le Centre Jean-Bérard, l'Ecole francaise de Rome, l'Istituto universitario orientale et l'Università degli studi di Napoli Federico II, Roma-Napoli 15-18 novembre 1995), Roma 1999, pp. 71-81. S. Angelo Muxaro. Aspetti di una problematica, in Natura, inito, storia nel regno sicano di Kokalos (Atti del Convegno 25-27 ottobre 1996), CanicattI 1999, pp. 131-145. L'organizzazione abitativa e dello spazio nei centri indigeni delle Valli del Salso e del Platani, in Il sistema mediterraneo. Incontri di genti in Magna Grecia e Sicilia (Atti del Convegno Messina 1996), Messina 1999, pp. 187-193. Un emporion miceneo sulla costa sud della Sicilia, in Epi ponton plazomenoi. Simposlo italiano di Studi Egei dedicato a Luigi Bernabà Brea e Giovanni Puglese Caratelli (a cura di V. La Rosa, D. Palermo e L. Vagnetti), Scuola archeologica italiana di Atene, Roma 1999, pp. 439-449. Lekythos da Gela con atelier di ceramista, in Koinà, Miscellanea di Studi archeologici in onore di Piero Orlandini (a cura di M. Castoldi), Milano 1999, pp. 307-312. Ancora sulla lastra plumbea del Museo Archeologico di Agrigento, in Monumenta Humanitatis (Studi in onore di Gianvito Resta), Messina 2000, pp. 115-121. Agrigento nella prima eta imperiale, in Damarato, Studi di antichità classica offerti a Paola Pelagatti (a cura di 1. BerlingO H. Blanck, F. Cordaro, P. G. Guzzo, M. C. Lentini), Milano 2000, pp. 380-386. Siracusa, Gela, Akragas nel periodo dionigiano. Fonti storiche e nuovi dati archeologici, in Poikilma. Studi in onore di Michele Cataudella, Padova 2001, pp. 361-367. Pro fib storico dell'arte figurata romana in Sicilia e la tradizione ellenistica, in Tradizione ellenistica nella Sicilia romana: continuità e discontinuità (Atti del Convegno, Palazzo Arcivescovile-Sala del trono, Agrigento 21-22 novembre 2001), Palermo 2002, pp. 49-60. Leptis Magna. L'emporio punico e l'impianto romano: punti fermi di cronobogia, in L'Africa Romana. Lo spazio marittimo del Mediterraneo occidentale: geografia storica ed economia (Atti del XIV Convegno di studio, Sassari 7-10 dicembre 2000), Roma 2002, pp. 403-414. La Sicilia e l'Egitto nelperiodo ellenistico romano. Dati e considerazioni, in Studi in onore di Sebastiana Consolo Langher, in c.d.s. Rassegna archeobogica 1998-2001, inKokalos XLV-XLVI, 1999-2000, in c.d.s. Statuetta marmorea di Esculapio dall'area della Basilica Vetus di Leptis Magna, in Miscellanea in memoria di Lidiano Bacchielli, in c.d.s. Etruschi e Italici a Monte Adranone, in Studi in memoria di Mauro Cristofani, in c.d.s. Il teatro di Eraclea Minoa nel quadro dei teatri minori di Sicilia, in Studi in memoria di Luigi Bernabà Brea, in c.d.s. Indigeni, greci epunici. Momenti e riflessione, in Salvatore Calderone (1915-2000). Lapersonalita scientifica (Convegno Internazionale di Studi, Messina 19-21 febbraio 2002), in c.d.s. Le due Naxos. Alcune riflessioni, in La due Naxos: un caso di omonimia? (Atti del Seminario di studi, Naxos 29-30 ottobre 2002), in c.d.s.
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tello, in La colonisation grecque en Méditerranèe occidentale
MONOGRAFIE
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ENRICO ACQUARO
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PER UN PORTOLANO FENICTO Ii contributo di Ernesto De Miro agli studi di antichità puniche si caratterizza autorevolmente nell'ambito di un filone ben definito della sua attività di ricerca in Nord-Africa 1 e in Sicilia 2. E in particolare un intervento tenuto in occasione del Convegno di Marsala del 1987 che lucidamente delinea le modalità del suo approccio al mondo punico, che si coniugava allora in modo consequenziale con le urgenze conservative del comprensorio moziese. Sono in particolare le saline a guidarne la caratterizzazione: "Mozia e la costa lilibetana con l'istmo artificiale, le saline testudinate e i mulini a vento rientrano nel senso immediato di quel paesaggio Che è il denominatore comune degli insediamenti fenici (si pensi a S. Antioco-Sulcis in Sardegna). Questo paesaggio unitario, per quanto tentato e aggredito, si è miracolosamente in buona parte salvato4". A1l'amico e maestro dedichiamo le considerazioni Che seguono, in continuità ideale con ii suo intervento del 1987. L'itinerario che qui si propone per grandi linee non vuole certo essere comprensivo di tutte le realtà ambientali del Mediterraneo fenicio 1 , bensi intende proporre solo alcune emergenze di recente rivisitazione suscettibili di meglio definire quel paesaggio fenicio cui si accennava. Vista la sterminata bibliografia di riferimento 6 è sembrato opportuno limitare l'apparato critico ad opere di sintesi recenti o particolarmente significative.
1. GRECIA
Far della Grecia, in particolare dell'Egeo 7, Un punto di primo riferimento per le motivazioni economiche e commerciali della proiezione fenicia nel Mediterraneo, consente di mettere a fuoco sin dall'inizio del nostro itinerario le strategic dei Fenici e la loro vocazione di sperimentatori di tecnologie, propositori di consumi e suscitatori di mercati. Dal crollo dell'impero miceneo l'interazione fenicia con II mondo greco e ampia e senza riserve: empori misti si aprono nel Levante come nell'Egeo ellenico. Elementi orientali, fra cui in primo luogo fenici, trovano presto posto nella stessa siStemazione mitologica delle saghe di fondazione dei piü antichi insediamenti; merci e trasferimenti di tecnologie saranno comuni in piü casi alle due etnie, con una prevalenza per quest'ultimo aspetto della prestigiosa tradizione cananea e vicino orientale. La proiezione in Occidente vede operare sui mercati del metalli del primo Far West comunità miste che nei nuovi territori troveranno motivo di accentuare diversità etniche e rivalità economiche. Nel V secolo a.C. Cartagine ed Atene stringono rapporti funzionali sia al comune impegno antisiracusano sia alla provvigione e al collocamento di den-ate agricole per cui l'interesse di Atene è vivissimo. Da qui le massicce importazioni di vasellame attico nei centri punici e, viceversa, la presenza di ceramica da trasporto punica ad Atene. In questo sfondo di circuiti commerciali comuni, che dovrà registrare una graduale flessione ateniese dalla fine del IV secolo a.C., si colloca quindi la diffusa presenza di ceramica attica che drena nella sua dispersione in Occidente un insieme di prodotti egei di manifattura rodia, eredi di quella tecnologia orientale che tanto originalmente ha operato nel campo della pasta vetroSa policroma. Anche le monete di Cartagine giocano un ruolo significativo nel segnalare ii rapporto della metropoli africana con la Grecia. Presenti in numero non piccolo nelle collezioni del Museo numismatico di Atene, e vero che la loro provenienza risale nella quasi totalità al mercato antiquario londineSe, ma è anche vero che è possibile segnalare di alcune la provenienza da siti della Tessaglia, dell'Epiro e del Peloponneso 1. 21
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I. I. Sporadi meridionali La presenza vicino-orientale e fenicia nelle Sporadi meridionali interessa le isole di Samo, Coo e Rodi, tutte e tre funzionali agli itinerari commerciali fenici 1. Samo, la piü vicina all'Asia Minore, elabora tra l'VllI e ii VII secolo a.C. una cultura composita debitrice in larga misura del Vicino Oriente e del mondo egeo-anatolico. E l'Heraibn che registra le pii chiare presenze orientali. Sono soprattutto gli avon, introdotti a Samo sin dalla fine dell'VIII Secob a.C., che mostrano l'opera di diverse botteghe orientali: fenicie, nord-siriane ed assire. Tre pettini, datati alla fine del VII secolo a.C. e attribuiti ad una bottega tartessica fenicizzata del Basso Guadalquivir spagnolo, sembrano confermare nella sostanza una notizia di Erodoto 1 ° che vuole ii samio Coleo viaggiatore a Tartesso e portatore da quel centro nell'isola di un'incredibile fortuna. Ii pozzo G dell'Heraion restituisce bronzi cipnioti, siriani, fenici e aramei, dedicati fra ii 670 e ii 640/630 a.C. La componente aramea si nileva, anche in rapporto all'analoga presenza ad Ischia, come uno del fattori vicino-orientali phui vitali accanto a quello fenicio nella prima fase di diffusione nell'Egeo e nel Mediterraneo occidentale. Un frontale, rinvenuto ancora a Samo, porta a conferma di questo ruolo 11 nome di Hazael, re di Damasco. Coo, situata com'era sulla grande rotta commerciale che dalla Grecia e dal Mar Nero, costeggiando 1'Asia Minore, portava a Rodi e quindi a Cipro, in Siria ed in Egitto, e una delle isole piui conosciute dell'Egeo per i suoi trascorsi stonici e per la sua archeologia. Sino al 366 a.C., anno della fondazione della città di Coo, ii ruolo di centro primanio dell'isola fu svolto dall'abitato di Cos-Meropide, posto all'estremità nord-onientale dell'isola. La bassa collina del "Serraglio", abitata senza interruzione dal 2300 a.C. sino ad oggi, accolse una necropoli frequentata dal X alla fine dell'VIII secolo a. C. La presenza cipriota e qui hen evidenziata dalla ceramica insieme ad un tipo particolare di portaunguenti, solitamente fatti nisalire ai Fenici e che p01 accolsero un repertorio decorativo d'ispirazione attica. Diretto e ii niferimento ai Fenici intorno alla fine del IV secobo a.C. grazie ad una bilingue grecofenicia dedicata ad Astarte-Afrodite da un figlio di un re di Sidone 11• L'iscrizione commemora la costruzione di una struttura portuania che doveva contribuire a rendere ancora piui sicuro l'approdo nel porto della città di Coo, ponto di forma regolare e chiuso da un isolotto che lasciava due aperture facilmente difendibili. Gli scavi hanno contribuito a definirne le strutture con l'individuazione nella stessa località di MarmarotO di un tratto del molo occidentale e di resti, sul fondo, degli antichi arsenali per la manutenzione deile navi da guerra. L'isola di Rodi dista nella sua estremità nord-orientale meno di venti chilometni dalla costa anatolica. L'isola ha svolto un ruolo di tutto rilievo nella civiltà greca ed egea 12 anche nelle sue proiezioni occidentali. Tre sono I centri situati su punti vitali del phi antico traffico marittimo: laliso e Camiro sulla costa occidentale, Lindo sull'occidentale. Fin dall'VllI secobo a.C. le tre fondazioni hanno prodotto e diffuso nicchezza ed attivato prestigiosi canali commerciali, con ruoli che schematicamente sembrano individuare nei singoli centni canattenistiche dominanti diverse: politiche in laliso, produttiveartigianali a Camiro, religiose a Lindo. Ampia e di antica data è la proiezione di Rodi in Occidente: per circa tre secoli a partire dal 1400 a.C., in pieno peniodo miceneo, l'isola e considerata protagonista degli scambi fra l'Egeo e ii settentnione della Penisola italiana attraverso lo scalo di Taranto. A coloni di Rodi e di Creta si deve la fon dazione di Gela nel 689-688 a.C. 13 Elementi fenici sono presenti sin dagli inizi nella formazione delia stessa cultura rodia, come nel mito della presenza ad laliso di Fenici al fianco di Cadmo e ii nicordo di alcune astuzie grazie able quail i Greci niuscinono a cacciare i Fenici residenti sempre a laliso. Per quanto niguarda l'archeologia, il coinvolgimento dei Fenici nell'isola è confermato da una Sere di ninvenimenti a Camiro, Lindo e laliso. Per quest'ultima località si è ipotizzata la presenza di ceramisti fenici che avrebbero operato su modelli importati dalla Siria e dalla stessa Fenicia, dando luogo intorno alla fine dell'VIII secolo a.C. ad un'importazione mediterranea di unguentari. Agli mizi del secobo successivo e per tutto il V secobo a.C. Rodi e nitenuta centro pnimanio del vasetti minia22
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turisti in pasta vitrea policromi ad amplissima diffusione. Ritenuti abitualmente fenici ', i vasetti sono ora phi correttamente attribuibili ad un produzione greco-orientale 15, in cui Rodi ha un posto di rilievo soprattutto a partire dalla fine del VI secolo a.C. La necropoli ad incinerazione di laliso ha restituito un frammento ceramico con quattro segni graffiti in scrittura fenicia, datato intorno al 625 a.C. Ii graffito sembra da porsi in connessione con ii commercio fenicio del vino. Le estese necropoli di laliso e Camiro registrano una frequentazione che va dal X secolo a. C. sino in eta classica, mentre quella di Lindo, presso ii villaggio di Lardos, è utilizzata fra l'VIII e ii VII secolo a.C. A quest'ultima data risale una coppa fenicia in argento da Camiro, coppa che insieme alla gran copia di oggetti importati da Cipro, dall'Egitto, dalla Ionia e dalla penisola greca testimonia l'alto grado di bènessere raggiunto dall'isola, in particolare fra 1'VIII e il VI secolo a.C. In questa rete commerciale l'intermediazione fenicia sembra aver svolto un ruolo importante soprattutto nei riguardi degli elernenti di corredo di cultura egittizzante. Intermediazione, e, in qualche caso, diretto coinvolgimento d'importazione fanno emergere l'elemento feniclo e nord-siriano nel rinvenimento di una serie di ex-voto depositati nel celebre santuario dedicato ad Atena a Lindo, da avori nordsiriani e fenici ad una statuetta in bronzo, probabile prodotto siriano dell'VIII secolo a.C. Nel complesso, per le Sporadi meridionali, come anche per Creta 16 e per 1'Attica, e possibile ipotizzare la presenza di comunità stabili di artigiani fenici attivi dab IX all'VIII secobo a.C. Furono con ogni probabilità proprio queste comunità, di ceramisti e bronzisti, in di era dominante la componente cipriota, a determinare la creazione di una "industria" rodia orientalizzante. Ii sistema economico abl'origine di questo fenomeno, condotto dai Fenici e dab Levante, è dei phi evoluti: creare la domanda del mercato con l'importazione e poi soddisfarla sul posto con l'impianto di attività che hanno phi diffuso riscontro e facilità di colbocamento in mercati phi remunerativi d'Occidente. 1.2. Eubea
L'Eubea 17 fronteggia be coste orientabi della penisola balcanica. La positura in diagonabe, con a nord be coste orientali della Beozia e a sud quelle dell'Attica, è tale da controllare ii passaggio marittimo fra Atene e 1'Egeo settentrionale. L'Eubea è ii terminale occidentale delle rotte che toccano le numerose isole che si pongono fra la Grecia centrale e Cipro, la foce dell'Oronte, la Siria settentrionabe e la Fenicia. Non altrettanto favorevole e la proiezione verso Occidente, a causa del rischi che comporta ii superamento del Capo Malea: tuttavia è proprio in Occidente che si registrano prestigiose presenze euboiche, a Pithekoussai 18 nel golfo di Napoli, nella penisola salentina e nella Sicilia orientale. Presenze che su questo lungo percorso aggregano anche immigrazioni fenicie con mediazioni rodie. La spinta verso un cos! ampio orizzonte dei commerci dovette venire all'Eubea da una comunità marittima che già nel X secobo a.C. operava dalla Tessaglia alle Cicladi settentrionali. A questa somma di esperienze nautiche le risorse naturali dell'Eubea dànno ulteriore supporto economico, dab grano al legname, dall'industria ceramica che poteva contare sugli ottimi giacimenti di argilla della pianura Lelantina, alla bavorazione dei metabbi quale emerge dable scone di bronzo e dalle matrici per fusione di Lefkandi. Fu Corinto ad ereditare i successi euboici sia in Oriente sia in Occidente e a tramandare tale azioni alla memoria storica, facendo in parte dimenticare ib primo, esaltante, ruobo euboico, cui si deve la ripresa ad ampio raggio debla centrabità debba Grecia verso gli altni paesi mediterranei fra ii IX e l'VIII secobo a. C., sfruttando le profonde connessioni con ib mondo fenicio. E Soprattutto ib sito di Lefkandi con be sue tre necropobi a restituire l'ampia trama commerciale tessuta dagli Euboici, rete che entrO fin dabl'inizio e con reciproco interesse neb phi antico ed esteso sistema fenicio di commerci ad ampio raggio mediterraneo. E Al Mina a dare appieno la misura di quanto fosse abbora operante il commercio euboico e rodlo neb Levante. I magazzini deb centro commerciabe subl'Oronte, in cui b'ebemento greco si affianca ad una popobazione in prevalenza fenicia, offrono un'apertura notevole able esportazioni greche verso gli imperi orientali. E non a caso tali esportazioni, tra la fine del IX e gil inizi dell'VIII a.C., sono prevalentemente eubeo-calcidesi, a ripro23
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va della sostanziale sovrapposizione deile reti commerciali levantine ed euboiche, che determineranno analoghe dinamiche nella trasmissione in Occidente. Tramite gil empori di Al Mina e di Tell Sukas I prodotti euboici con e senza intermediazione fenicia investono parecchi siti della Palestina, della Fenicia, di Cipro, di Cilicia e deii'aramea Unqi. B possibile che proprio in Oriente gli Bubei abbiano appreso delle possibilità offerte dal ricco mercato occidentale ed abbiano deciso nell'VIII secolo a.C. di recarvisi sulla scia del portolani vicino-orientali, aramei e fenici. L'alto grado di lavorazione del metalli raggiunto in Eubea faceva apprezzare appieno le potenzialità minerarie dell'Occidente mediterraneo. La ricognizione euboica e la comunità vicino-orientale operante a Rodi dovevano volgersi a regioni come l'Etruria tirrenica e la Sicilia orientale. Da qui la fondazione di Pithekoussai, ad Ischia, in cui i'aito numero di materiale vicino-orientale ha fatto ipotizzare ii riflesso deli'attività di comunità semitiche attive a Rodi sin dalla metà del IX secolo a. C. Fra ii 770 a.C. e ii 700 a.C. gil Eubei giunti nel golfo di Napoli, con i successivi incontri del VII seColo aC. con le popolazioni indigene della Campania, del Lazio e dell'Etruria, furono i pifl tenaci diffusori di quella comune cultura orientalizzante che fu all'origine deiia ioro prolezione in Occidente. I Fenici, a loro volta partecipi di tale diffusione, non mancano di far giungere alla loro prime colonie occidentah, come Sulcis e Cartagine, prodotti euboici, mediati o no dalla fondazione ischitana. In questa mutua trasmissione di culture le rotte fenicie ed euboiche si fanno, quindi, portatrici di elementi sostanzialmente comuni, che consegnano all'Occidente una prima sintesi di valori comuni greco-levantini, maturati nella vivace dinamica commmerciale egea post-micenea. 2. SICILIA
Un itinerario dei centri fenici e punici della Sicilia si confronta e si integra costantemente con la variegata e attiva presenza greca ed indigena. Qui, come in Sardegna, l'intervento di Cartagine, che vi consolida le proprie posizioni intorno al 510 a. C., costituisce la discriminante politica che segna ii passaggio dall'azione delle fondazioni fenicie alla pianificazione di un impegno politico e militare a modifica della mappa occidentale dell'isola. Ha origine cos! come risultato politico degli scontri in Sicilia tra Fenici e Greci la costituzione di una vera e propria provincia punica, che comprende l'area occidentale dell'isola sino al flume Alico e che tale rimarrà sino alla fine della prima guerra punica e al passaggio sotto Roma. Dopo la fase di frequenza commerciale che vede I Fenici diffondere I propri traffici in tutta i'isola, dopo il boro attestarsi a seguito della massiccia colonizzazione greca di Sicilia nei centri di Panormo, Solunto e Mozia, la politica d'intervento di Cartagine si esplica nell'isola con sollecitazioni e reazioni che attraversano in piu casi 11 fronte interno delle stesse colonie greche. 2.1.
Marsala
La storia di Lilibeo punica 19 si svolge in sincronia ed ideale continuità con quella della vicina Mozia e partecipa delbo stesso paesaggio caratterizzato da una distesa di lidi sabbiosi e di lagune. L'insediamento occupava l'area dell'odierna Marsala e fin dalla fondazione trae motivo della propria rilevanza strategica dalla posizione sul promontorio di Capo Boeo o Lilibeo, già sede di una frequenza preistorica che interessa l'intera valle del Mazaro, dall'Eneolitico finale sino all'età del Bronzo. La distruzione di Mozia del 397 a.C. fit all'origine della pianificazione della città. Le poderose fortificazioni poste a difesa del nuovo centro diedero all'indomani della boro realizzazione la piena misura della propria solidità e capacità di resistenza agli assedi. Lilibeo fu l'unica piazzaforte cartaginese della provincia siciliana a resistere a Pirro. Le operazioni della prima guerra punica, l'assedio e 11 blocco romani non riuscirono ad aver ragione della città, che fu abbandonata dalla guarnigione cartaginese solo nel 241 aC. Con Roma ii sistema difensivo di Capo Boeo diviene presidio e base della presenza romana contro Cartagine, che tentO in pifl occasioni di rioccuparlo. Testimonianze archeologiche documentano la consistenza dell'impianto lilibetano in consonan 24
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za con i resoconti delle vicende belliche riportati dalle fonti storiche : del sistema difensivo restono tratti isolati, sufficienti tuttavia per permetterne la ricostruzione e la datazione come primo impianto al IV secolo a.C.; dell'impianto portuale sono riconoscibili almeno due approdi e la necropoli ha restituito dati lungo ii versante orientale della città. L'area fortificata di Lilibeo descrive un quadrilatero limitato per due lati dal mare; una solida muraglia, preceduta ad una trentina di metri da un fossato largo in media 28 metri, difendeva ii centro dalla parte della terraferma. Ii fossato aveva anche la funzione di raccordare I tre porti alla città: ii primo a Punta dell'Alga, con probabile canale e specifica struttura difensiva; ii secondo a nord-ovest del Capo Boeo, utilizzato dagli Spagnoli nel 1575; il terzo nel Porto delle Tartane, in prossimità del punto utilizzato sino all'ottocento. L'impianto urbano risale anch'esso al TV-Ill secolo a.C. I resti di questa prima fase, all'origine del sistematico rinnovamento edilizio del II secolo a.C., consistono in ambienti a pianta rettangolare con fondamenta sulla roccia e di modeste dimensioni. Una vasta area ad oriente del centro urbano, compresa fra il margine esterno del fossato, l'attuale cimitero e la contrada Salinella, era occupata dalla necropoli: anch'essa databile a non prima della metà del IV secolo a. C., attesta ii rito sia dell'inumazione sia dell'incinerazione Frequenze puniche a Favignana, nelle isole Egadi, completano per l'area 11 rilevamento di portolani punici. Tombe rupestri con iscrizione neopunica, ceramica e monete testimoniano l'inserimento dell'isola nelle rotte commerciali puniche: il confronto per ii controllo di queste vie fu l'atto che pose fine alla prima guerra punica con la vittoria di Roma. 2.2. Mozia La fenicia Mozia 20 , distrutta dai Siracusani nel 397 a.C. e riconquistata subito dopo dai Cartaginesi, sorgeva sull'isola di S. Pantaleo al centro dello Stagnone di Marsala. La piccola isola accoglie sin dalla fine dell'VIII secolo a.C. la colonia fenicia, una colonia che facilmente assimilO le frequenze indigene preesistenti. L'impianto urbano risultO dei piü funzionali, tale da imporsi all'ammirazione degli stessi Greci: un argine di collegamento con la terraferma, una cinta muraria turrita e con porte monumentali, un'area portuale e un bacino di carenaggio, quartieri civili, "industriali", santuari, necropoli. La distruzione del 397 aC. coglieva I Moziesi impegnati in un ennesimo ampliamento con la ristrutturazione della cinta muraria e la conquista di alcuni metri del litorale. Una strada assicura fin dal primo impianto ii collegamento con 11 litorale prospiciente: con origine alla porta nord attraversava lo stagnone congiungendo l'isola alla località di Birgi. Punto vulnerabile delle fortificazioni moziesi, fu a pill riprese smantellata e p01 ricostruita da assedianti ed assediati. Consistent le rovine che ne segnano ancora oggi il tracciato sotto il livello delle acque. La città occupava interamente i quaranta ettari dell'isola ed era cinta da mura che corrono lungo ii litorale lambendo ora in alcuni punti le acque dello stagnone. La linea fortificata data II suo primo impianto agli inizi del VI secolo aC.: i numerosi rifacimenti giungono sino alla veglia della distruzione siracusana modificando in alcuni tratti l'andamento con rafforzamenti degli spessori e restauri nell'ordito litico. Quattro porte dovevano aprirsi nelle mura: solo due sono ancora visibili, a nord e a sud, collegate da una strada che percorreva il centro nel senso della lunghezza. Le cortine occidentali della porta meridionale difendono il cothon. Un canale, con stretto gomito, metteva in comunicazione ii cothon con le acque dello stagnone. Solo in questi ultimi decenni inizia a delinearsi l'intenso reticolo urbano. Gli interventi di scavo hanno interessato sia la parte centrale dell'isola sia alcune zone periferiche nord-orientali e meridionali. Abitazioni al centro e a meridione, quartiere industriale a nord-est per la lavorazione ceramica e della porpora testimoniano un'organizzazione edilizia in continuo progresso. Ad oriente della porta sud e a pochi metri dalla cinta muraria, un largo tratto frammentario di mosaico, a ciottoli bianchi e neri con motivi a meandri che inquadrano scene di lotta tra animali, attesta una fase edilizia che con ogni probabilità In contemporanea o di poco successiva alla distruzio25
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ne siracusana. La tecnica impiegata nonché le figurazioni riprodotte riportano ad esperienze cornpositive fenicie, attestate ampiamente in Spagna. Alle spalle della porta nord si trova ii complesso del Cappiddazzu, con prima frequenza alla seconda metà del VII secolo aC. Diverse le fasi edilizie individuate, tutte rientranti peraltro in funzionalità sacre. Ad occidente e ii tofet. L'area sacra, approssimativamente triangolare, s'impiantO all'inizio del VII secolo a.C. su un modesto rilievo calcareo presso ii litorale. Fra ii tofet e la porta nord si estende la necropoli, in uso dalla fine dell'VIII agli inizi del VI, epoca quest'ultirna in cui la cinta muraria tagliO l'area sepoicrale. Due reperti indicano in modo emblematico le aree di cultura che interagiscono nella colonia fenicia: una statua acefala in roccia vulcanica ripescata nello stagnone e una statua in marmo di auriga rinvenuta nel centro urbano, a poca distanza dal complesso del Cappiddazzu. Diverse le aree culturali di provenienza. Mentre, infatti, per l'una, datata alla meta del VI secolo a.C., l'ispirazione egittizzante e guida di un'origine dalla madrepatria fenicia, per l'altra, della seconda metà del V secolo a.C., è con ogni probabilità la scultura siceliota a concorrere al decoro della città. Frammento vicino-orientale in Sicilia, Mozia vi trasferisce quasi inalterata una cultura urbana evoluta che puo proporsi come schema di lettura per altri centri fenici d'Occidente. La sua cultura materiale sembra volgere la propria originale creatività artigianale al solo mercato interno. Sono cos! in particolare le stele votive e, in parte, le terrecotte e la ceramica vascolare a sfruttare le sue capacità, mentre per altre categorie i commerci si volgono, com'è naturale, al mercato greco di Sicilia.
3. SARDEGNA
L'insediamento in Sardegna delle fondazioni fenicie avviene in aree geografiche che la cultura protosarda aveva profondamente antropizzato e già portato ad un elevato grado di integrazione economica. Nascono cosi, fra la metà del IX e la seconda metà del VII secolo a.C., Cagliari, Nora, Bitia, Monte Sirai, Pani Loriga, Cuccureddus di Villasimius, Tharros, che si propongono come punti focali per ii riassetto del territorio e per le sue nuove potenzialità. Con la fondazione delle colonic fenicie le esperienze orientali, che da sempre avevano raggiunto in pluralità di origini e di mediazioni la Sardegna, sono progressivamente filtrate dalle pii stabili agenzie cittadine. Con la Cartagine del VI secolo a.C. e la sua egemonia politico-militare le colonic fenicie di Sardegna sono inserite in un nuovo circuito commerciale che le lega strettamente al Nord Africa. Ii controllo territoriale diviene con Cartagine una capillare esigenza di reddito economico, che deve per trarne ii massimo profitto superare la dinamica del confronto fra città ed hinterland. Da qui le guarnigioni a presidio delle stesse colonic fenicie, la penetrazione all'interno lungo le direttrici fluviali, l'interesse per il versante nord-occidentale, ben esemplificato dai recenti ritrovamenti di Olbia e di Monteleone Roccadoria, in provincia di Sassari. Laboratorio privilegiato della prima esperienza coloniale fenicia, banco di prova dell'efficienza del sistema tributario cartaginesi, l'isola conserverà a lungo l'impronta dell'uno e dell'altro fenomeno. Tali le radici storiche di una civiltà che opera a lungo in Sardegna lasciandone profonde tracce sino ad interessare gli stessi studiosi di tradizioni popolari. 3.1. Sulci Sulci / Sulcis è ii calco romano del nome della città punica siky che sorgeva sull'isola di Sant'Antioco, di fronte a San Giovanni Suergiu 21 . L'irnpianto del centro fenicio-punico, poi romano, coincide in larga parte con l'abitato dell'odierna cittadina di Sant'Antioco. L'isoletta si collegava con un istmo in parte artificiale alla terraferma: la viabilità dell'istmo, ottenuta utilizzando l'allinearnento di alcuni isolotti alluvionali del rio Palmas, e l'apertura nell'ultimo
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tratto occidentale di un canale sono opera d'ingegneria riferita abitualmente ai coloni fenici. Ai Romani si deve la costruzione di un ponte a due arcate che supera l'ultimo braccio di mare che divide le due isole. La fondazione fenicia documenta la sua attività di emporio già alla fine della prima metà dell'VIII secolo a.C., con piena affermazione tra ii 730 e ii 700 a.C. Per questa prima fase sono guida gli scavi nell'area del Cronicario cittadino, che restituiscono alla colonia fenicia l'immagine di un emporio di rilevante importanza, legato come appare all'area fenicia della Costa del Sol iberica, all'euboica Pithkoussai, nell'isola di Ischia, e al prestigiosi siti della costa siriana, come Al Mina e Tell Sukas. L'egemonia cartaginese ridisegna in parte l'orizzonte del commerci, ma non ne attenua la consistenza. Da ultimo, l'intenso processo di romanizzazione iniziato nel III secolo a.C. si sovrappone e assume le stesse esperienze civiche puniche note dalla documentazione epigrafica: i sufeti, l'assemblea del popolo e il senato. I resti dell'insediamento fenicio e punico s'individuano in tutta la zona costiera di Sant'Antioco, dal cimitero moderno fino alla località di Is Prunis. La città si sviluppa alle spalle dei porti, con una linea di fortificazioni che si appoggiava alle colline retrostanti, 11 Monte de Cresia e l'altura occupata da un fortino sabaudo; altre fortificazioni dovevano trovarsi sul fronte del mare. Due le aree cimiteriali, l'una a nord-est dell'altura del fortino, l'altra alle pendici occidentali del Monte de Cresia. Ii tofet e stato individuato a nord, in località Sa Guardia 'e is pingiadas. Duplici gli approdi: quello meridionale, volto verso il golfo di Palmas, e quello settentrionale, costituito dallo stagno di Sant'Antioco. La vastità dell'impianto urbano, i servizi portuali con il notevole impegno in opere d'ingegneria, le strutture che permangono in evidenza, l'antichità di origine e di frequenze commerciali greche e il lungo permanere in autonomia politica e culturale degli esiti della civiltà punica fanno di Sulci un centro del piü significativi della colonizzazione fenicia in Sardegna. 3.2. Tharros
Quanto rimane di Tharros 22 Si dispone sul Capo San Marco, che si protende per circa tre chilometri nel mare chiudendo ad occidente ii golfo di Oristano. Due zone rilevate sono collegate da una sottile striscia di terra: da nord verso sud, s'individuano la collina di su inuru mannu, separata da una breve depreSSione dalla collina della torre spagnola di S. Giovanni, e l'estrema punta del Capo, costituita da una piattaforma rilevata con a nord-est l'altra tone, la "tone vecchia". La zona orientale della penisola è interessata dall'accumulo di materiale alluvionale portato dal Tirso nel suo sbocco al golfo; 11 litorale occidentale e fortemente eroso da venti e dal mare. La penisola, da cui ii centro fenicio e poi romano trae motivo della sua floridezza, produsse nell'antichità un sistema economico integrato fra le culture cerealicole, la pesca degli stagni, le saline, un'intesa attivita pirometallurgica e la prolezione mediterranea dei suoi approdi. La poSizione del Sito, posto com'è sulle due grandi vie naturali di penetrazione verso l'interno, il Campidano verso sud-est e la valle del Tirso verso nord-est, guidà la strategia insediativa della prima frequenza fenicia dell'VIII Secolo a.C. A quest'area, e a controllo delle rotte iberiche e tirreniche di cui Tharros fu buon punto di riferimento, si volse dal VI secolo a. C. l'azione di Cartagine. E con Cartagine che Tharros assume un aspetto urbaniStico funzionale ad un centro con responSabilità amministrative e strategiche primarie nel Sinis. Due sembrano essere stati I primi riferimenti del frequentatori fenici, entrambi in raccordo con i già attivi insediamenti paleoSardi: ad occidente della torre di S. Giovanni e sulla collina di su muru mannu. Necropoli di incinerati, seguite p01 da cimiteri di inumati in tombe ipogeiche, dovevano Servire questi nuclei, rispettivamente a sud-est della tone di S. Giovanni e a nord-ovest della collina di su muru mannu. Con il VI secolo a. C. ii centro supera di slancio e unifica l'embrionale topografia di fondaco dei due poli per assumere con le sue realizzazioni in arenaria l'aspetto urbano che lo caratterizzerà nei secoli a venire. A settentrione una cortina di blocchi in arenaria a basso bugnato riprende e comple27
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ta in un organico disegno da est ad ovest la linea fortificata già abbozzata nell'antemurale occidentale. Con un'avvertita tecnica al negativo sono definite le prime canalizzazioni per le acque di deflusso; s'imposta e si risolve ii problema della rete di rifornimento idrico con l'apertura di nuovi pozzi e la messa in opera delle tipiche cisterne "a bagnarola". Alla fine dello stesso secolo risale ii tempio "monumentale". Ii basamento ricavato nel bancone roccioso nei pressi del litorale orientale testimonia ii grado di raggiunta dignita di cui la città viiole dotarsi anche per ii sacro. Su questa griglia di arenaria si dispiegO in seguito la città romana che ricoprl con basolato e strutture "ciclopiche" ancora in basalto l'intera area urbana sino alle fortificazioni settentrionali. I monumenti emergenti di Tharros punica si rifanno per indagine di scavo, per tecnica costruttiva e per metrologia (l'impiego del cubito punico nel suo valore standard di m. 0,46) ad un'epoca chiave per la storia urbanistica del centro: ii VT-v secolo a.C. In questa prospettiva rientra anche quanto di monumentale e stato espresso dal tofet : le stele, i troni vuoti, gli altari. I monumenti o complessi monumentali in grado di meglio caratterizzare tale sforzo unitario dell'urbanistica di Tharros punica sono, da sud verso nord, ii tempio monumentale, il tofet e le fortificazioni settentrionali di su muru mannu, con ii sottostante porto. Forse ii maggior scalo commerciale sulla rotta spagnola-africana; interlocutrice privilegiata di un'ampia dialettica culturale e commerciale con ii Tirreno; sede dell'attività di prestigiosi maestri lapicidi che seppero dare all'arenaria modellati originali sia per l'architettura negativa sia per i monumenti votivi del tofet, improntati ad una tradizione vicino-orientale diretta e vitale, ma anche consentanea alla piü antica tradizione paleosarda; sede di maestri incisori che seppero determinare la produzione di scarabei in diaspro verde, sintesi di diverse esperienze culturali maturate nell'ambito del mondo fenicio d'Occidente, la città del Sinis si rivela un centro attivo di diffusione nei confronti di gran parte dell'ecumene punico. 4.
PENISOLA
La Penisola Iberica conserva piü di ogni altra regione memoria delle prime motivazioni economidie che spinsero i Fenici verso l'estremo Occidente: il reperimento e il commercio dei metalli 23 Per raggiungere tale obiettivo i Fenici adottarono uno schema d'occupazione che la storia e l'archeologia mostrano sorprendentemente uniforme, da Villaricos a Cadice e oltre24 Da qui i grandi centri peninsulari dell'VIII secolo a.C. che collegano la loro fondazione all'attività del tempio tirio di Melqart; da qui le fattorie agricole che danno ai coboni l'autonomia necessaria per approfittare al meglio dei commerci con l'entroterra minerario e che si pongono come punti di raccolta e di prima lavorazione dello stesso minerale. Ii rapporto e l'intercambio con l'elemento indigeno sono assicurati e potenziati nella possibilità di proiezione in profondità dalla scelta di siti posti alla foce di corsi d'acqua, oggi per gran parte lontani dallo sbocco al mare a seguito della secolare adduzione alluvionale. Se le fattorie della Costa del Sol esauriscono in pochi secoli la loro vocazione per ripiegarsi per lo piü sull'esclusiva attività agricola, i grandi insediamenti come Cadice, Malaga, Almuflécar, con le istallazioni per la salazione del pesce sono testimoni del rinnovato interesse che Cartagine mostra alla fine della prima guerra punica con l'impegno dei Barcidi. Di questo rinnovato interesse è nuovamente protagonista lo sfruttamento minerario, cui si aggiunge un programma, attentamente perseguito, di piu diretto coinvolgimento delle comunità bocali, dalla politica delle alleanze e dei matrimoni al mercenariato e alla rinnovata veste urbana che alcune città assumono. 4.1. Ibiza L'arcipelago delle Baleari comprende oltre le isole maggiori di Majorca e Minorca, anche due isole minori, Ibiza e Formentera. Quest'ultime p0550110 contare sul toponimo greco, Pitiuse. Abitate sin 28
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dalla preistoria, costituivano scali chiave per le rotte mediterranee che intendevano raggiungere la costa iberica e, da ii, l'Atlantico. Sull'isola di Ibiza 21 la frequenza fenicia è attestata sin dal VII-VI secolo aC. L'impianto di quella che sara la romana Ebusus si trova nel versante meridionale dell'isola, sotto l'attuale città di Ibiza, su una penisola rocciosa che domina con i suoi 82 m. una grande baja, al cui centro sono tre piccole isole (oggi congiunte), che ne controllavano l'accesso. La ricerca archeologica di questi ultimi anni ha evidenziato la presenza in molte località dell'isola di una serie di abitati contemporanei o di poco posteriori e, lungo la costa, di una rete di stazioni di vigilanza in stretta relazione con la città di Ibiza, come lila Grossa, Punta J. Tur Esquerrer, Puig den Jondal, Cap des Llibreli e Puig de Sa Taiaia de Jesds. Ii ricorso alla prospezione geologica ha costituito un contributo fondamentale per la ricostruzione del paleoambiente ibicenco. Ii mare, addentrandosi nella vasta baja che andava dalla spiaggia di Talamanca all'area del Prat de Ses Monges, arrivava in epoca fenicia a lambire ii tratto oggi percorso dalle mura rinascimentali ed un'unica isola costituita dalle attuali lila Plana, lila Gross e Es Botafoc si trovava quasi al centro dell'insenatura. Ii primo nucleo della città, e successivamente l'acropoli, doveva sorgere alla sommità del Puig de Vila, con la possibilità di collegarsi con un leggero pendio verso nord alla baja e al porto riparato dai venti dominanti. I secoli dal V al III a.C. vedono Ibiza pienamente integrata e funzionale alla politica di Cartagine nel Mediterraneo occidentale, volta com'è a gestire le relazioni con le comunità iberiche del sud-est peninsulare e gli empori focesi di Ampurias e di Marsiglia. Alla fine di queSto periodo risalgono le notazioni di alcuni autori classici sul decoro urbano e le munite difese del centro, come al III secolo a.C. possono datare alcuni resti murari rinvenuti all'interno del Castello. Fra ii IV e ilil secolo a.C. Ibiza svolge un ruolo di primo piano anche rispetto all'isola di Majorca con l'occupazione di punti strategici coStieri e con una profonda azione di acculturazione sugli indigeni. Le oltre tremila tombe del Puig des Molins costituiscono ii pifli diretto riscontro della lunga vita di Ibiza. La collina di roccia calcarea si pone circa 500 metri ad occidente dell'acropoli fortificata della città antica e moderna: una profonda sella separa la cittadella dalla necropoli, che utilizza un'area di circa 50.000 metri quadrati. Se si fa eccezione per la fase piü antica della necropoli, che si data fra ii VII e ii VI secolo a.C. e che ha restituito la pratica della incinerazione, la totalità del sepoicri ibicenchi documenta l'uso dell'inumazione. Ampio e diversificato e l'orizzonte che emerge dall'esame del contesti tombali, utile per ricostruire, pur con qualche riserva derivante dall'accentuata specificità funeraria di alcuni oggetti di corredo, la fisionomia economica e commerciale del centro. Con i suoi 4.000 abitanti, tale è la stima fatta sulla consistenza demografica della città punica al momento della sua massima espansione, Ibiza documenta contatti privilegiati con Cartagine. L'attività di un zecca cittadina, che batte moneta in argento e in bronzo con la figura del dio Bes a partire dal 300 a.C., è la riprova della vitalità dell'economia. L'ampia diffusione di monete ibicenche nella penisola iberica, nel Nord Africa, in Sardegna e nella penisola italiana, in particolare a Pompei, insieme al recupero in mare di navi adibite al trasporto di anfore olearee e vinarie di tipo ibicenco sia nelle stesse acque baleariche sia in queue della Francia meridionale: sono questi gli elementi di giudizio che contribuiscono a conferire alla città un ruolo di attiva proposizione economica, ruolo che dovette godere, alla pari di Cadice, di una accentuata autonomia nel passaggio da Cartagine a Roma. Significativa appare al riguardo la registrazione del rinvenimento nell'isola di monete di Marsiglia, di Cadice, di Malaga, di Tingis, di Cirene, della Numidia, di Imera, della Sardegna. A fronte della mancanza di qualsiasi dato certo sulla presenza e natura di luoghi o edifici sacri sull'acropoli ibicenca, è possibile trarre dati utili da due monumenti per ricostruire l'ambiente del sacro nell'Ibiza punica: il santuario della lila Plana; e ii santuario in grotta, la Cueva de es Cuiram. Unita alla terraferma da poco phi di un secolo, 1'Iila Plana e oggi interamente coperta da un'intensa urbanizzazione. Ad una prima frequentazione dell'area dalla seconda metà del VII alla meta 29
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del VI secolo a.C., seguono una seconda e terza fase, quest'ultima con termine intorno alla fine del V secolo a. C. Ii culto si evolve e si accentra intorno ad un deposito votivo scavato nel terreno. La grotta di Es Cuiram si pone a nord-est dell'isola, tra San Vicente e Cala Mayans, nel comune di San Juan Bautista. Di difficile accesso, si pone a 200 metri sJ.m. e a 1 km dalla Cala di Sa Vincente. Gli scavi hanno restituito, fra l'altro, una grande quantità di terrecotte e due iscrizioni votive puniche in bronzo. La frequenza della grotta come luogo di culto, un tipologia non nuova nel mondo punico con ii parallelo siciliano della Grotta Regina, si data fra ii IV e ii II secolo a.C. e si vuole dedicata al culto fertilistico della cartaginese Tanit. Da ultimo, un sito da pochi anni e divenuto centrale per la ricostruzione della prima storia dell'isola, Mola de sa Caleta. Otto chilometri a sud-est della città di Ibiza, occupa un penisola con un'elevazione di circa 15 metri s.l.m., fra l'insenatura e ii colic di es Jondal e l'estremità occidentale della spiaggia del Codolar. L'antico stanziamento, posto allo sbocco a mare di un torrente, ha subito, soprattutto nel versante occidentale delia costa, una profonda erosione che ha ridotto di molto la primitiva estensione dell'abitato. Il luogo, occupato intorno alla metà del VII secolo a.C. ed abbandonato nel primo quarto del VI secolo a.C., restituisce significative indicazioni su una vocazione commerciale eminentemente di intermediazione, come si deduce dall'alta percentuale d'importazione della ceramica a tornio e mano e dallo stoccaggio e smistamento di grandi quantità di galena argentifera proveniente dalla Cataluna. La fusione e la lavorazione del ferro, che si aggiunge alle maggioritarie attività di pesca, di allevamento e di coltivazione del grano, sembra volgersi alla sola fabbrica di utensili d'impiego locale. E la stessa conformazione geologica della zona a fornire i nuclei ferrosi utilizzati in alcune officine fusone del centro. I motivi che portano gli abitanti di sa Caleta ad abbandonare il sito dopo 30-50 di vita e a confluire con ogni probabilità nella comunità che occupO ii Puig de Vila s'individuano non tanto in termini di crisi commerciale ed economica, quanto nella necessità di concorrere con altri coloni al potenziamento di un altro nucleo già esistente ed evidentemente capace di produrre maggiori garanzie di servizio e sostentamento agricolo. 4.2. Cadice26
Come e piü di altri siti fenici la lettura dell'insediamento di Cadice 27 nel suo primo impianto deve tener conto della geografia storica, del contesto ambientale e, soprattutto, delle modifiche che quest'ultimo registrO nei secoli. La baja dove sorge Cadice costituisce al riguardo un'unità paleoambientale in cui opera un fenomeno di progressiva antropizzazione analogo a quello registrato in altri siti mediterranei, come, ad esempio, Cagliari. L'archeologia e l'analisi in progressione della cartografia antica hanno rilevato nella baia la interazione di due fenomeni: un'erosione profonda sul versante oceanico ed un potente accumulo all'interno. Quanto rimane del primo insediamento di Cadice è un allineamento di rocce arenarie che si pongono alla foce del Guadalete, limitata ad occidente dal porto e a sud-est dal canale di Sancti Petri. Le correnti oceaniche, il flusso delle maree e l'adduzione della foce del Guadalquivir, nell'ostacolare il deflusso del Guadalete, hanno provocato un considerevole e continuo accumulo nel versante orientale della baja, oggi quasi del tutto interrato. Le alterazioni pfu rilevanti del paesaggio che vide l'arrivo dci Fenici riguardano, quindi, l'interramento del primitivo porto e la formazione degli isolotti di San Sebastjano e di Sancti Petri. All'epoca dell'impianto fenicio nella baia, il cui controllo assicurava l'accesso alle risorse minerarid ed agricole del vicino regno indigeno di Tartessos, l'arcipelago gaditano era formato, secondo la descrizione di Plinio e di Strabone da tre isole: una minore, chiamata Erythea, Aphrodisias e isola di Giunone ; una maggiore ed allungata chiamata Katinoussa la terza, Antipolis, che corrisponde oggi al sito della città di San Ferdinando, sulla terraferma. Nell'isolotto di Erythea, oggi sotto l'urbanizzazione moderna che copre il promontorio del quar30
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tiere di Torre de Tavira, e collocato ii sito della prima città con resti di mura che risalgono al VI Secob a.C.; ad oriente, nelle vicinanze della Punta del Mao si propone la bocalizzazione di un probabile tempio di Astarte. Nell'isolotto di Katinoussa, particolarmente esposto all'erosione marina, a nord-ovest, doveva collocarsi ii tempio di Cronos, ii punico Baal Hammon, presso l'attuale impianto del Castillo de San Sebastia'n, a fronteggiare ii tempio di Astarte posto sull'altro versante del porto-canale. Nell'estrema punta di sud-est, nell'attuale isolotto di Sancti Petri, la prima terra gaditana che i naviganti fenici provenienti da Oriente dovevano avvistare, era ii tempio di Eracle Gaditano, ii tempio del fenicio Meiqart, conosciuto in tutto il mondo antico e che godette indiscusso prestigio sino a Traiano ed Adriano. La terza delle isole, Antipolis, cos! chiamata per il carattere disperso della sua occupazione rispetto al primo nucleo cittadino, conserva tracce di grandi accumuli di murex trunculus e si rapporta cos! all'attività di stabilimenti per la lavorazione della porpora. Ii porto era costituito da un canale naturale, di cui si conserva la sola apertura de La Caletta e Separava il nucleo piü antico della città, posto su Erytreia, dalle necropoli fenicio-puniche rinvenute nella zona delle Puertas de Tierra e Punta de La Vaca. Tale è l'ambientazione geografica della fondazione di Cadice, che Diodoro considera la colonia fenicia piü importante d'Occidente, anche piü della stessa Cartagine. Qui, secondo le fonti classiche, intorno al 1104 a.C. su indicazione di un oracolo i coloni di Tiro, dopo piü tentativi, fondarono la città e un tempio dedicato ad Eracle-Melqart. Cadice è una delle poche colonie fenicie d'Occidente che le fonti classiche accreditano di un articolato mito di fondazione. Ii divario fra l'indicazione delle fonti e il dato archeologico è di circa trecento anni, visto che quest'ultimo non consente di far risalire la presenza dei Fenici nell'area oltre ii 770-760 a.C. Le necropoli occupavano all'inizio la sommità di piccole dune, di emergenze naturali e dei vicini isolati: sino al VII secolo a.C. la tipologia piü frequente era quella della sepoltura di incinerati con i resti deposti nella stessa fossa di cremazione. Mel VI secobo a.C. si adotta 11 rito della inumazione in sepolture individuali costituite da lastre in pietra ben tagliate, sepolture che dai primi del V secolo a.C. sino alla fine del IV secolo a.C. si raggruppano con pareti contigue. Albo stesso secolo risale l'uso di sarcofagi antropoidi. La storia e l'archeologia documentano l'importanza di Cadice e l'influenza del suo commercio, con I suoi rapporti privilegiati con le coste africane dell'Atlantico, lo sfruttamento dei banchi di tonno e 11 commercio dell'avorio e dell'oro. Probabile metropoli di Lixus, Mogador e del centri del Marocco atlantico, Cadice batte moneta in bronzo ed in argento solo a partire dagli inizi del III secobo a.C., a testimonianza forse del flusso commerciale rivolto pill al reperimento e smercio di materie prime che alla ridistribuzione di beni di consumo già elaborati. I tipi pifli ricorrenti sono quelli di Eracle-Meiqart e dei tonni, simboli della religiosita e dell'economia del centro, cosi strettamente fra loro collegati. Naturale, quindi, che Cadice dovesse poter contare, soprattutto per i primi tempi della sua vita volti in particolare ai commerci con Tartessos, su approdi utili sulla terraferma. Ii Guadalquivir, infatti, che nell'antichità sfociava pochi chilometri a sud di Siviglia, collegava lb territorio gaditano con la Meseta. I suoi affluenti raggiungevano le regioni pill interne dell'Andalusia: 11 Tinto e l'Odiel portavano ai centri minerari del Rio Tinto e 11 Guardiana arrivava sino all'Estremadura. In questa ottica doveva rientrare l'insediamento orientalizzante scoperto 4 chilometri a settentrione dell'abitato moderno di Puerto de Maria, in località Castillo de Doña Blanca 28• L'insediamento era nell'antichità un centro costiero, situato com'era presso l'antica foce del Guadalete e alle pendici della Sierra de San Cristóbal. La ricerca ha indicato per Il sito un'estensione di circa 6 ettari; la sua lunga storia è testimoniata da una potenza stratigrafica dai 7 ai 9 metri con una cronobogia che va dab secobo VIII alla fine del III secobo a.C., data quest'ultima della distruzione ad opera di Asdrubale o Annibale. A meridione e la zona della necropoli, con una superficie di circa 100 ettari, mentre il porto si p0neva sul fianco orientale del centro, sfruttando in parte un'insenatura naturale. 31
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L'abitato già nella prima metà del VIII secolo a.C. mostra l'esistenza di una cinta muraria entro cui si pongono edifici rettangolari o quadrati che si raggruppano intorno a vie strette. Le mura, conservate sino ad un'altezza di 2,5 metri, ha impianto a casamatta e si rapportano a schemi fenici.
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5. MAGREB TUNISINO Per la storia dei Fenici in generale, e dell'espansione fenicia in Occidente in particolare, ii Nord Africa costituisce un punto di riferimento privilegiato 29• Ii territorio africano, cui si volge alla fine del IX secolo a.C. la frequentazione e colonizzazione fenicia e su cui Cartagine dal VI in poi eserciterà in primo luogo la propria espansione territoriale 30, si pone come naturale punto di appoggio per 11 traffico dei metalli tra Oriente ed Occidente. Le stesse recenti scoperte della Penisola Iberica indicano con sempre maggiore incidenza 11 ruolo di appoggio, di raccordo e di smistamento che nella complessa e dilatata attività commerciale fenicia fu riservata fin dall'inizio alle coste africane. La consistenza territoriale che Cartagine diede in seguito alla propria presenza africana e la successiva funzione di metropoli dell'Occidente fenicio derivano da questo ruolo primario che la regione dell'odierno Magreb tunisino fu chiamata in particolare a svolgere. Le stesse risorse del territorio, che iniziano ad essere pienamente remunerative dal VI secolo a.C. anche grazie all'impiego pifl razionale degli investimenti dei possedimenti d'oltremare non SOflO che cause concomitanti e comunque sistematicamente attivate solo in epoca successiva alla prima colonizzazione. Cartagine e ii suo territorio costituivano uno dei principali approdi della rotta di ritorno verso oriente. Da questo impianto ii ruolo di interlocutrice privilegiata dei commerci e i differenti gradi di punicizzazione che le regioni del Nord Africa conobbero. I territori dell'odierno Marocco e dell'Algeria occidentale continuarono per lungo tempo, fino a quando furono investiti dalla politica espansionista di Cartagine, a vivere delle loro culture preistoriche 3 ' strettamente legate alla comune origine iberica con l'istallazione di fondachi fenici largamente distanziati. Ii Magreb tunisino, al contrario, fu investito per primo da una capillare azione di acculturazione, in cui l'elemento indigeno, dapprima confrontato, fu poi profondamente coinvolto pur con alterni esiti. Quanto al territorio della Tripolitania, si ha l'impressione di trovarsi di fronte a fondazioni che non derivano dal primitivo movimento di espansione da oriente verso occidente, ma da una successiva fase di ritorno da occidente fra l'VIII e ii VI secolo a.C. 5.1. Cartagine
L'archeologia 32 in questi ultimi anni grazie a scavi in profondità nel cuore dell'abitato arcaico ha indicato come prima data di frequentazione del sito la metà dell'VIII secolo a. C.: si ha tuttavia la netta impressione che con ii progredire delle ricerche la differenza fra questa data e la datazione delle fonti (814 a. C.) andrà sempre pifl diminuendo. La fondazione di Cartagine avvenne, in accordo con le fonti classiche, su un territorio non raggiunto da alcuna precedente antropizzazione. L'istmo che collegava la penisola scelta dai coloni tirii si prestava con le vaste lagune ad una difesa verso l'interno agevole e facilmente rafforzabile da opere fortificate. Se le linee geografiche essenziali possono ancora rapportarsi alle scelte insediative della città, ii terreno e oggi profondamente mutato, principalmente per la deviazione del corso della Medijarda, la stessa che ha privato Utica del suo porto. La città si trova in un golfo, su un promontorio lambito dal mare e da un lago; l'istmo che raccorda ii promontorio all'Africa e largo circa quattro chilometri e mezzo; a nord 11 promontorio guarda il mare e in quella direzione, a poca distanza, si colloca Tunisi. Dati preziosi sono forniti da Polibio e da altri storici classici in connessione con la caduta del 145 a. C., dati ancora pifl utili se si rapportano alla distruzione totale che segul alla caduta, alla colmata e alla successiva riedificazione di epoca romana sino alla conquista vandalica. Ma prima di giungere 32
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alla Cartagine delle guerre puniche, la nuova fondazione di Tiro dovette compiere un cammino lungo e graduale che solo l'archeologia è in grado di ricostruire. A sondaggi condotti fra la collina di Byrsa e ii mare si deve la scoperta delle prime strutture urbane riferibili alla fine dell'VIII secolo a.C. Si è cos! potuto anche definire l'area occupata dal nucleo piü antico del centro: all'incirca triangolare, con ad ovest la collina di Byrsa, dove si ipotizza l'acropoli, p01 rasa al suolo per l'impianto della colonia augustea, ad est ii mare, a sud la baja di el-Kram e a nord le colline di Dermècl'i e DouImês, per una superficie di circa 100 ettari. Le tombe si aprivano ai fianchi delle colline circostanti e alle pendici della stessa Byrsa. Se già in quest'epoca appaiono definite le componenti essenziali della città, con le aree artigianali e commerciali, ii tofet e le necropoli, l'area dei porti non era ancora definita, ma doveva prevedere l'ancoraggio in una insenatura del lago di Tunisi. Fra la fine del V e gli inizi del III secolo a.C. la città si espande soprattutto a nord, sud e ad est, con nuovo limite a settentrione segnato dalle necropoli di Saida-Borclj-DiecLid. Ad oriente, verso il mare, s'impianta un quartiere d'abitazione con strutture modeste: un'area libera da costruzioni, larga circa 30 metri, separa il quartiere da un circuito murario che corre a qualche metro dalla riva e doveva arrivare sino alla zona dei porti. Una strada perpendicolare alla linea di costa attraverSa ii quartiere per raggiungere una porta monumentale, fiancheggiata da torn. Zone industriali ed artigianali, in particolare officine metallurgiche, di vasai e di lavorazione della porpora si dislocano ai limiti dell'abitato. A nord e ad oveSt ii nuovo insediamento guadagna poco spazio sull'impianto delle antiche necropoli, fatta eccezione per il versante orientale della collina di Junon. Ancora piü a nord delle colline delle necropoli settentrionali, grazie in particolare alle indicazioni delle fonti classiche, s'ipotizza l'esistenza gib, in quest'epoca di un borgo con un abitato ancora disperso e con larghe zone coltivate ad orto. A sud, la concentrazione d'impianti "industriali" è tale da ritenere che in quest'epoca l'abitato non ha ancora raggiunto ii tofet, limitato ad oriente da una zona lagunosa in cui non s'individuano ancora interventi d'ingegneria portuale. La Cartagine di quest'epoca ha restituito tracce di un grande impegno di urbanizzazione: è in questi anni che si pone mano alla realizzazione di un primo teSSuto regolare della città, prendendo come base un duplice orientamento, quello ortogonale del quartiere a mare e quello " a ventaglio" delle pendici pendici meridionali ed orientali della collina di Byrsa. Nell'età delle guerre puniche lo sviluppo urbano subisce una notevole accelerazione, con apice negli anni successivi alla guerra annibalica. E la Cartagine che resiste alle legioni di Scipione quella che appare con maggior evidenza al visitatore, la Cartagine degli inizi del II secolo a.C. Sono soprattutto la collina di Byrsa e l'estrema zona meridionale ad essere investite da tale sviluppo. I quartieri ad oriente, lungo ii mare, registrano alcuni cambiamenti: è chiusa la porta monumentale delle mura, che guadagnano non poco spazio sulla linea di costa; e ridotto ii terreno di rispetto fra le abitazioni e ii paramento interno delle mura; gli edifici hanno impianto puus ampio e ricco. E tuttavia ii cosiddetto "quartiere di Annibale" rinvenuto nelle pendici meridionali di Byrsa a conservare le tracce pill significative e monumentali del periodo. La sistemazione dei porti, che data alla stessa epoca del quartiere di Byrsa, conferma l'impegno del nuovo piano urbanistico, maigrado i pesanti rovesci militari subiti nella guerra contro Roma. A prescindere dalla sistemazione monumentale del porti, in realtà tutta la costa di Cartagine si presta agli ancoraggi, cos! come l'ampia riva sabbiosa di La Marsa ("ii porto"), 3 km a nord del nucleo antico della città e a ridosso del quartiere suburbano di Megara, ancora entro ii circuito delle mura. Qui la riva in dolce pendenza è tutt'oggi comodo approdo per la diportistica nautica. Ad occidente del porto commerciale e ii tofet, che non fu certo ii solo luogo sacro della città. Le fonti accreditano l'esistenza di un tempio dedicato ad Eschmun, posto sulla collina di Byrsa e un tempio di Apollo, 11 punico Reshef, nei pressi dello stesso porto. Anche le necropoli, come ii tofet, hanno scandito con le loro oltre duemila tombe, la storia del centro punico e per lungo tempo, sino alla campagna dell'UNESCO, sono state le principali fonti archeologiche per la ricostruzione della civiltà di Cartagine. 33
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Ancora alla Cartagine del 111-11 secolo a.C. si rifanno le ipotesi piü accreditate sui valori demografici. La città, con una probabile estensione dai 300 ai 400 ettari, poteva contare, secondo le diverse interpretazioni, dai 120.000 ai 400.000 abitanti. Quanto alla composizione etnica, estremamente var, s'ipotizza una maggioranza di discendenti dalle unioni fra indigeni e punici, mentre sempre presente appare essere stata la componente tiria, rafforzata alla pari di Utica dall'esodo della popolazione di Tiro a seguito dell'assedio e della conquista di Alessandro Magno nel 331 a.C. Le minoranze allogene ospitate a Cartagine sono ii riflesso dell'intensa attività commerciale svolta dalla città nel Mediterraneo: dai Greci di Grecia, d'Oriente, di Sicilia e di Cirene agli Etruschi e agli Italici, soprattutto Campani. Restano, inoltre, da considerare la cospicua componente libica e i mercenari, iberici, celti, bruzi e sardi di cui Cartagine si servi fino all'ultimo e i numerosi schiavi. Per gli abitanti che occupavano il territorio direttamente dipendente dalla città, la chora di Polibio, che comprendeva con ogni probabilità anche ii Capo Bon, sembra verosimile assumere 1 'indicazione di 700.000, se a questa si dà l'interpretazione unicomprensiva della popolazione di Cartagine e del suo territorio. Alla relativa densità degli abitanti della chora, distribuiti in grossi agglomerati agricoli, fa riscontro nel restante territorio africano sottomesso a Cartagine una certa rarefazione della stessa con l'aggiunta di ampie zone steppose. Ii numero complessivo di abitanti residenti nell'intero territorio cartaginese è calcolabile intorno al milione. 5.2. Kerkouane Ii sito 33 si pone fra due capi che dominano ii mare, ii capo Jebel Sidi Labiadl'z, a nord, e ii capo di Kelibia, a sud; alle spalle si distende una vasta pianura percorsa da formazioni calcaree consolidate. La geografia del Capo Bon in cui si colloca la città punica ha prodotto ricchezze e prosperità economiche pifi volte ricordate dagli storici greci e romani. Kerkouane, tuttavia, esposta com'è ai venti e con la povertà del proprio terreno, non sembra partecipare appieno all'ambientazione ricordata dalle fonti storiche. Ii nome antico del sito, scoperto nel 1952, rimane sostanzalmente sconosciuto, anche se è da registrare fra le tante possibilità quella dell'identificazione con l'antica Tamezrat. Fondata nel VI secolo a.C., fu abbandonata nel corso del III secolo a.C., dopo aver probabilmente sublto nel 310 a. C. una prima distruzione ad opera di Agatocle di Siracusa ed una seconda, definitiva, dovuta alla spedizione africana di Attilio Regolo nel 256 a.C. Gli scavi, tuttora in corso, hanno restituito buona parte dell'abitato eroso nel settore di nord-est dal mare, settore oggi protetto da un muro di contenimento eretto nel 1971. La città, che copre una Superficie di circa sette ettari, è difesa da due linee parallele di mura con fondamenta in mattoni crudi, andamento subcircolare e separate da una strada larga in media 10 m. Ancora una larga via doveva costeggiare all'esterno il tracciato delle mura, quasi rettilineo nei pressi della scogliera. Due sono le porte oggi rilevabili sul terreno: una ad occidente ed una a meridione. Tracce di scale in muratura addossate alla cinta esterna nei settori nord e sud e vani aperti nei pressi delle porte e delle postierle, destinati a contenere con ogni propabilità rampe lignee, testimoniano la presenza di un camminamento di ronda che percorreva la sommità delle mura. Quanto alle fasi di costruzione, è probabile che la cinta esterna sia stata edificata in un secondo momento a ridosso della prima, elevata con tecnica a "spina di pesce" e di cui restano alcuni tratti in piena funzionalità. Questa seconda fase, quella che dovette far seguito alla distruzione di Agatocle e cadere sotto gli assalti di Regolo, prevede non solo il restauro delle fortificazioni abbattute, ma anche un ripensamento radicale ed ampio dell'intero sistema poliorcetico. La distruzione del 256 a.C. investe, dunque, questo doppio circuito murario intonacato e ricoperto di calce, come appare ancora oggi in pifl punti. La città all'interno del circuito delle mura appare ben costruita, con strade larghe in media 4 m e risponde ad un piano urbanistico regolare, salvo alcune eccezioni. Numerose piazze e slarghi, diversi per ampiezza e funzioni, completavano ii tessuto urbano. 34
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I materiali impiegati nelle costruzioni mostrano un'originale sintesi di differenti moduli provenienti sia dal mondo greco sia da quello vicino orientale. Sono in primo luogo le abitazioni a restituire tale indicazione: nelle piante e negli elementi di base si riconoscono motivi fenici e dell'Africa libica, mentre I servizi e la decorazione sono improntati a modelli greci. La tipologia piü corrente a Kerkouane d quella della casa a corte centrale, con riscontri piü prossimi a Cartagine e in Sardegna. Uno dei vani phil ampi ospita la sala da bagno con lo spogliatoio, la Vasca a sedere, adduzione e scarico realizzati con tubazioni in piombo. La ricca e quasi affiorante falda freatica spiega sia ii ricorso frequente a questa struttura sia lo scarso numero di cisterne. Per l'architettura religiosa, risalgono al 1976 l'individuazione e lo scavo di un santuario posto nel quartiere orientale della città, con pianta rettangolare e ingresso monumentale orientato a sud-est. Quattro aree sepoicrali servivano la città: due si trovavano a ridosso della cinta urbana, lungo la scogliera, a nord e a sud. La necropoli settentrionale era riservata alla sepoltura di inumati infantili in vasi deposti in fosse, la meridionale ad inumati adulti. Le altre due necropoli si aprono nelle colline calcaree che si pongono a nord e ad ovest della città. Quanto all'impianto portuale, le ricerche non hanno finora individuato alcuna struttura. I pescatori di Kerkouane, la cui attività è documentata nel centro con ii rinvenimento di attrezzature marinare, dovevano con ogni probabilità utilizzare due piccole spiagge poste qualche metro a nord del sito. Ii numero degli abitanti è stato stimato intorno alle 2100 unità, ii livello sociale medio. Sc la lingua utilizzata e il culto sono punici, considerevole risulta la componente autoctona libica, come appare dalla pratica funeraria e dall'onomastica. L'economia regiStra una serie di attività artiginali tradizionali per il mondo punico, dalla lavorazione della porpora, come documenta un deposito di murex presso ii Settore settentrionale delle mura, al taglio della pietra e alla ceramica. Gli scambi cornmerciali indicano l'Attica, Corinto, la Sicilia e la penisola italica, con probabile tramite cartaginese.
* Gela,31-3-1995. Cfr. ad esempio E. Dc MIR0-G. FI0RENTINI, Leptis Magna. La necropoli greco-punica sotto ii teatro, in QAL 9, 1977, pp. 5-75. 2 Cfr. ad esempio E. Dc MIRO, Considerazioni generali, in I Cartaginesi in Sicilia al tempo dei due Dionisi (= Kokalos 28-29, 1982-1983), pp. 178-79 e la sua bibliografia sulle ricerche di Monte Adranone, ora raccolta in G. FIORENT1NI Monte Adranone, Roma 1995, pp. 35-37. E. Dc MIR0, Intervento, in G. PI5AN0 (ed.), Da Mozia a Marsala. Un crocevia della civiltk mediterranea (Marsala, 4-5 aprile 1987), Roma s.d., pp. 163-164. Ibid., p. 164. Dall'itinerario proposto restano infatti esciuse la stessa Fenicia, Cipro, Malta e le aree nord-africane della Libia, Algeria e Marocco, 6 E in pratica quella contenuta nella raccolta informatica edita in E. AcouARo, Bibliotheca Phoenicia. Ottomila titoli sulla civiltà fenicia, Roma 1994 e nel successivo aggiornamento in corso di realizzazione, che indicizza altri 1800 titoli. Cfr. C. BONNET, Mond egée, in V. KRINGS (ed.), La civilisation phenicienne & punique. Manuel de recherche, Leiden-New York-Koln 1995, pp. 646-662. Cfr. M. OECONOMIDES, Las series de monnaies puniques du Muse'e numismatique d' Athènes, in Numismatique et histoire e'conomiquephenicienne et punique, Louvain-la-Neuve 1992, pp. 87-92. Cfr. S. DIErz-I. PAPACHRIST0000LOS (edd.), Archaeology in the Dodecanese, Copenaghen 1988. 10 Hdt., IV, 152. Cfr. M. SZNYCER, Lapartiephénicienne del'inscription biliguegreco-phenicienne de Cos, in AD 35, 1990, pp. 17-30. 12 Cfr. da ultimo, G. GRAZIADIO, Egina, Rodi e Cipro: rapporti inter-insulari agli inizi del Tardo Bronzo? in SMEA 36, 1995, pp. 7-27. 13 Cfr. da ultimo, R. PvINI, FeXcoç, Torino 1996. 14 Cfr. da ultimo, M. L. UBERTI, I vetri preromani del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, Roma 1993, pp. 65-81. Cfr. D. FEnnspJ, I vasetti di vetro policromo delle necropoli felsinee conservati al Museo Civico Archeologico di Bologna, in StEgAntPun 7, 1990, pp. 95-139, non citatn da M. L. UBERTI, op. cit., insieme a D. F. GROSE, The Toledo Museum of Art. Early Ancient Glass. Core-formed, Rod-formed and Cast Vessels and Objects from the Late Bronze Age to the Early Roman Empire 1600 B.C. to A.D. 50, New York 1989. 16 Cfr. ad esempio, M. SZNYCER, L' inscription phenicienne de Tekke, près de Cnossos, in Kadmos 18, 1979, pp. 89-93 e da
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C. BONNET, L'interprlte de Crétois (phen. mis [h]krsym). De Mari aux Phéniciens de Kition en passant par Ugarit, in SMEA 36, 1995, pp. 113-123. Cfr. M. POPHAM-L.H. SACKEIT, Letkandi I. The Iron Age, I, London 1979-80; D. RIGDWAY, L'alba della Magna Grecia, Milano 1984; P. DucirEy-A. ALTHERR-CHARON (odd.), Erétrie: 20 années de fouilles archeologiques suisses en Grèce (DossAParis, 94), Digione 1985. 8 Cfr.da ultimo, G. BUCHNER-D. RIGDWAY, Pithekoussai, I (= MontAnt, IV), Roma 1993; S.N. COLDSTREAM, Pithekoussai, Cyprus and the Cesnola Painter, 1nAPOIK[A. Scritti in onore di Giorgio Buchner, Napoli 1994, PP. 77-86; R.F. D0cTER-H.G. NIEMEYER, Pithekussai: the Carthaginian connection on the archaeological evidence of Euboeo-Phoenician partnership in the 8th and 7th centuries, ibid., pp. 101-115. ' Cfr. C. A. Di STEFANO, Lilibeo punica, Marsala 1993. 20 Cfr. A. CIAScA-A. CUTRONI TUSA-M.L. FAMA-A. Sp,ueO GIAMMELLARO-V. TUSA, Mozia, Roma 1989. ' Cfr. C. TRONCHETTI, S. Antioco (= Sardegna Archeologica, Guide e Itinerari, 12), Sassari 1989. 22 Cfr. E. AcQUARO -A. MazzoLxai, Tharros, Roma 1966. 23 Cfr. M. E. AUBET, Tiro y las colonias fenicias de Occidente, Barcelona 1994; fL. LOPEZ CASTRO, Hispana Poena. Los Fenicios en la Hispania rornana, Barcelona 1995. 24 Cfr. da ultimo, S. M0scATI I Fenici in Portogallo, in PAL 1994, pp. 473-483. 25 Cfr. M.E. AUBET SEMMLER, El santuario de Es Cuiram, Ibiza 1982; E. HACHUEL-V. MART, El santuario de Illa Plna(Ibiza). Una propuesta de ancilisis, Ibiza 1988; J. H. FERNANDEz, Excavaciones en la necropolis del Puig des Molins (Eivissa), I-Ill, Ibiza 1992: J. RAMON, Elyacirniento fenicio de So Caleta, in I-Vfornadas de Arqueologia fenicio-pdnica, Ibiza 1991, pp. 177-196; In., La colonizacion arcaica de Ibiza. Mécanica y proceso, in G. ROSSELLO (ed.), La PrehistOria de les illes de la rnediterrdnea occidental, Palma de Majorque 1992. 26 Cfr. da ultimo, S. MoscATI, La grande Cadice dci Fenici, in PAL 1996, pp. 1-22. 27 Cfr. B. R. CORZO SANCHEZ, Cddiz fenicia, in I-IVfornadas de ArqueologIa fenicio-pzlnica (Ibiza 1986-89), Ibiza 1991, pp. 79-88. 28 Cfr. D. Ruiz MATA, Los fenicios en la bahIa de Cadiz, segéin el Castillo de Doña Blanca, ibid., pp. 89-100. 29 Cfr. M. H. FANTAR, Carthage. Approche d' une civilisation, 1-2, Tunis 1993. 30 Cfr. da ultimo, S. MOSCATI, L'espansione di Cartagine sal ten4tonio africano, in Ri-IL 1994, pp. 203-214. 31 Cfr. Ira gil altri, G. CAMPS, Reflexions sur l'onigine protohistorique des cites en Afnique du Nord, in L. SETi.10..A (ed.), La città mediterranea. Atti del Congresso Internazionale di Ban, 4-7 maggio 1988, Napoli 1993, pp. 73 -81. 32 Cfr. da ultimo S. LANCEL, Carthage, Paris 1992. Cfr. M. H. FANTAR, Kerkouane une citépunique an Cap-Bon, Tunis 1987.
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ultimo,
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ROSA MARIA ALBANESE PROCELLI
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ANFORE COMMERCIALI DAL CENTRO INDIGENO DELLA MONTAGNA DI RAMACCA (CATANIA) Come contributo all'analisi della distribuzione delle anfore commerciali di eta arcaica e classica in Sicilia, presentiamo in questa sede un quadro sintetico delle principali categorie anforarie importate nel centro indigeno della Montagna di Ramacca (Catania) 1• La definizione delle diverse classi e basata sull'analisi tipologica: ma è noto come sia talora problematica un'attribuzione puntuale alle diverse fabbriche produttrici, soprattutto quando si analizzano esemplari in condizioni estremamente frammentarie, come sono spesso quelli provenienti da contesti abitativi. Si e quindi avviato un progetto di analisi petrografiche di campioni di alcune categone 2 non solo ai fini della identificazione del centri produttori, ma anche per una convalida oggettiva degli stessi raggruppamenti tipologici di questi contenitori. Una corretta classificazione delle paste (basata sulla tessitura, qualità e distribuzione degli inclusi) appare infatti difficilmente realizzabile solo tramite la visione macroscopica dei materiali, di necessità Soggettiva. Quest'ultima puO essere anzi talora fuorviante, visto che i criteri autoptici si basano spesso sulle caratteristiche cr0matiche della pasta, che possono variare per motivi di differente cottura nei prodotti dello stesso atelier o in uno stesso esemplare. La maggior parte delle importazioni attestate nel centro della Montagna di Ramacca per ii periodo arcaico proviene dalla Grecia, con una presenza maggioritaria delle corinzie A e una minore percentuale di prodotti attici e greco-orientali. A partire dal V sec. a.C. insieme alle corinzie A' e B diventano consistenti le produzioni coloniali greco-occidentali, mentre meno rilevante appare la presenza del contenitori della Grecia orientale (Chios, Samos) e dell'area dell'Egeo settentrionale (Mende e centri vicini). Estremamente limitate sono le importazioni non greche (etrusche e puniche). Non e attestato sinora nessun esemplare di produzione massaliota. Per quanto riguarda le aree di ritrovamento, le anfore commerciali della Montagna di Ramacca provengono quasi tutte dall'abitato, a parte qualche reperto sporadico dalla necropoli. Ii contesto pifi antico e dato dalla casa RM, dove sono stati ritrovati due esemplari: una corinzia A, presumibilmente destinata a contenere olio, ed una c.d. "levantina", forse vinaria (v. infra) 1 . Gli altri contenitori provengono, in stato frammentario, da livelli di insediamento. La datazione proposta per gli esemplari qui discussi è formulata sulla base del contesto, quando è possibile, o di riscontri tipologici. 1. ANFORE CORINZIE A B A'
Le anfore corinzie A costituiscono i piü antichi contenitori oleari rappresentati nel sito. La seriazione tipologica permette di seguire la continuità dell'importazione di prodotti corinzi dalla fine del VII-inizi del VI alla fine del IV sec. I materiali di contesto e le caratteristiche morfologiche permettono di collocare tra la fine del VII e gil inizi del VI sec. a.C. l'anfora corinzia A dalla casa RM, che reca un graffito cruciforme al collo (fig. 1). Alla classe A appartengono inoltre frammenti attribuibili al VI e alla prima metà del V Sec. a.C. E attestata anche una varietà a breve labbro estroflesso (Tav. I, 1), che è rappresentata meno frequentemente in contesti di VI sec. a. C. della Sicilia e dell'Italia meridionaie6. Nel corso del V e del IV sec. a.C. l'importazione di anfore corinzie A e A' appare consistente. La maggior parte dei frammenti appartiene al momento di sviluppo della classe A' databile dalla meta 37
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alla fine del V sec. a.C. (Tav. I, 2). Importazioni della classe A' sono documentate sino al corso avanzato del TV sec. a. C. (Tav. I, 3). 2. ANFORE CORINZIE B - CORCIRESI
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Tale categoria, destinata a contenere vino 9, è ben rappresentata da esemplari distinguibili in due gruppi principali (A e B) sulla base delle paste. Essi corrispondono alle indicazioni fornite da C. Koehler per la classe'° e sono stati confermati dalle analisi petrografiche 11 A. Alcuni esemplari sono caratterizzati da una pasta fine, giallina, tendente al beigeverdino o al beige-rosato, con ingobbio analogo. Gli inclusi di colore bruno, rosso e grigio sono generalmente di minute dimensioni, tranne in alcuni esemplari, in cui raggiungono dimensioni medie analoghe a queue proprie della classe corinzia A e A'.
Fig. 1. Montagna di Ramacca, casa RM, anfora cornmerciale.
Fig. 2. Poggio Forche (Ramacca). Frammento di anfora commerciale.
B. Altri esemplari sono a pasta arancionerosata, con ingobbio dello stesso colore o piü chiaro e inclusi analoghi a quelli del gruppo precedente. Sono inoltre attestati esemplari in un impasto rossastro apparentemente diverso da quello corinzio, che si era incerti se attribuire a eventuali imitazioni occidentali della classe, proposte per esemplari della seconda metà del V sec. a.C. in area ionica magnogreca 12 Ma i campioni con queste caratteristiche sinora analizzati petrograficamente sono risultati compatibili con prodotti corinzi 13, 11 che conferma la difficoltà e il pericolo di proporre attribuzioni sulla base della sola visione autoptica delle paste. Una buona parte dei frammenti della classe corinzia B - corcirese sono attribuibili alla metà (Tav. I, 4) e alla seconda metà (Tav. I, 5) del V sec. a.C. 14 Sono documentati anche i tipi a bocca ovale prodotti dall'inizio alla fine del IVinizi del III sec. a.C. 15 A quest'ultimo periodo appartengono anche gli esemplari caratterizzati da una fascia di "paddling marks" alla spalla l6, che si possono considerare tra le pi1 recenti importazioni di questa classe nel sito. Non mancano nelle anfore di queSta categona iscrizioni dipinte in rosso sul collo (una A in
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un esemplare), che sono comuni in tutto ii periodo di produzione delle corinzie B, anche se diventano piLi diffuse nel IV e III secolo. Meno comuni appaiono invece i graffiti, come in un frammento in cui si legge una H 17, 3. ANFORE ATTICHE
Le anfore attiche, a destinazione olearia, sono tra le pifi arcaiche importazioni nel sito nelle forme piü evolute della classe SOS 18, 11frammento piü antico è attribuibile al gruppo Late II del primo quarto del VI sec. aC. 19 . Due frammenti di anfore SOS del VII e degli inizi del VI sec. a.C. provengono anche da altri siti del territorio di Ramacca2° Altri frammenti sono pertinenti ad anfore a la brosse del VI sec. a. C. 21, tra cui e un piede (Tav. I, 6) vicino al tipo Agora 1503, collocabile nell'ultimo quarto del secolo22.
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4. ANFORE LACONICHE
E scarsa la documentazione di questi contenitori (sinora in tutto sei esemplari frammentari), pertinenti al tipO 2 Pelagatti, caratterizzato da collo e spalla non verniciati, che si colloca nella Seconda metà del VI sec. a. C. 23 Ad un momento finale dello stesso secolo puO datarsi un esemplare di cui si conserva 11 fondo (Tav. I, 7) e in parte della spalla, con iscrizione graffita (Tav. I, 8) 24• 5. ANFORE GRECO-ORIENTALI
Le importazioni greco-orientali sono scarsamente attestate. Qui si danno solo alcune indicazioni sulle fabbriche sinora identificate. 1. Chios Due frammenti (Tav. II, 1) appartengono alla serie unslipped con bulging neck, durata dalla seconda metà del VII fino al terzo quarto del V sec. a.C., con alcune modificazioni intorno al 460 a.C. consistenti in una fascia rigonfia limitata alla parte superiore del collo ("bulbous type"). Intorno al 430 a.C. questa forma fu a sua volta rimpiazzata da un nuovo tipo di recipiente privo di rigonfiamento al collo 25 Sulla base della tendenza all'allungamento del piede propria dell'evoluzione della produzione chiota, un altro frammento (la y . II, 2) puà collocarsi verso la fine del V sec. a.C.26 2. Samos Sono attribuibili a questa fabbrica alcuni frammenti databili ad VI-V sec. a.C., tra cui un piede con impressione "nu" alla base, effettuata prima della cottura 27 . Alla produzione della seconda meta del V sec. a.C. appartiene un'anfora con labbro inspessito e collo interrotto da una risega (la y. II, 3), in argilla arancione con diffuse particelle micacee, confrontabile con esemplari databili tra la fine del terzo quarto e gli inizi dell'ultimo quarto del V sec. a.C.28 3. Mileto A questa produzione sembra attribuibile un frammento di sottile labbro sottolineato da listello, caratterizzato da una pasta piuttosto dura, pifl granulosa di quella samia, di colore rosso-arancione (2.5YR 6/6), con abbondanti particelle di mica (Tav. II, 4). Esso potrebbe collocarsi nel VI e comunque non oltre gli inizi del V sec. a.C., per il riscontro con esemplari del deposito del tempio di Aphaia ad Egina, collocati in un momento precedente al 480 a.C. Anfore di questo tipo SOflO inoltre attestate nel livello di distruzione del 494 aC. a Kalabaktepe a Mileto 29 39
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6. ANFORE C.D. "LEVANTINE" La pasta dura rossastra (2.5YR 4/4-4/6), con inclusi biancastri e nerastri e diffuse particelle micacee, consente di attribuire due esemplari a questa categoria, isolatamente documentata in Occidente in contesti di VII sec. a.C., per la quale si ipotizza una produzione localizzata in un'area del Mediterraneo orientale interessata da influenze fenicie (Rodi, Cipro?) 10. Un esemplare, conservato solo per la parte inferiore del corpo, proviene dalla casa RM ed è databile sulla base del contesto alla fine del VII-inizi del VI sec. a. C. L'altro, sporadico (Tav. II, 5), e caratterizzato da un aggetto al collo e da impronta del pollice alla base delle anse. Esso sembra collocabile tipologicamente non oltre la fine del VII sec. a.C.
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7. AnFORE DEL GRUPPO DELL ' EGEO SETTENTRIONALE Tra le importazioni attestate in Sicilia nel V sec. a.C. sono dei contenitori prodotti nell'area dell'Egeo settentrionale, la cui identificazione appare piuttosto problematica. La differenza nelle paste, già percepibile alla visione autoptica, dei frammenti di Ramacca attribuibili dubitativamente a questa area, suggerisce che si tratta di un gruppo disomogeneo, che cornprende possibilmente prodotti di pifl fabbriche localizzate in centri dell'area nord-egea. Alcuni campioni sottoposti ad analisi petrografiche hanno confermato queste impressioni, permettendo la distinzione di due tipi di paste, la cui differenza e a livello di tessitura, mentre l'argilla sembra avere una provenienza geologica dalle stesse aree31. A. Un primo gruppo, caratterizzato generalmente da pasta bruno-rosata o bruno-arancione, sembra attribuibile tipologicamente ad anfore di Mende, che ha prodotto contenitori vinari esportati soprattutto nel corso del V e IV secolo32. Si tratta di alcuni frammenti, caratterizzati da breve labbro distinto esternamente da una solcatura, con parete esterna obliqua e interna bombata (Tav. II, 6), databili dal secondo all'ultimo quarto del V sec. a.C.; e di alcuni frammenti di piede (Tav. II, 7). QueSti ultimi, tenendo conto del progressivo aumento dell'altezza e della svasatura del piede nella seconda meta del V secolo, possono collocarsi nell'ultimo quarto del V sec. a.C., in un periodo precedente al momento dello sviluppo esemplificato dalle anfore di Mende del carico del relitto di Porticello, datato tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a. C. B. Un secondo gruppo (Tav. II, 8) sembra apparentato a forme dell'area nord-egea, senza che sia possibile proporre un'attribuzione puntuale. Questa situazione rispecchia la varietà di fabbriche esistenti nella "production area" dell'Egeo settentrionale dove ateliers di centri diversi producevano anfore con caratteri morfologici simili, in un "regionalismo di forme", cui corrisponderebbe un sisterna regionale di markings 15. 8. ANFORE GREc0-occrnENTAu A LABBRO BOMBATO E COLLO CILINDRICO (CD. "loNlo-MAS5ALI0TE") Le produzioni c.d. "ionio-massaliote" (caratterizzate da labbro bombato ripiegato verso l'esterno, con cavità centrale e listello nella parte inferiore), sono ben attestate nel sito tra la fine del VI e il V sec. a. C. 36 Esse sono rappresentate da due principali classi di impasto. A. Un gruppo è caratterizzato da una pasta dura e ruvida, di colore variante dal beige-giallino al beige-rosato ( 7.5YR 6/6-7/6, 10YR 7/3-7/4), con grossi inclusi rossi teneri (apparentemente sirnili ad ocra), che arrossano fortemente il corpo cerarnico circostante, spesso provocando la lesione della parete. Tale classe sembra identificabile con la produzione di Locri, docurnentata dalla seconda meth del VI al V sec. a. C. 40
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Al. Anfore c.d. "ionio-corinzie". Come indizio per la possibile continuità di produzione di certe fabbriche greco-occidentali tra VI e V sec. a.C. è utile notare la presenza di inclusi rossastri teneri, apparentemente simili a quelli citati, in frammenti di anfore a labbro bombato sottolineato da ampio listello all'inizio del collo, attribuibili al gruppo c.d. "ionio-corinzio" o di "forma corinzia B" 38 In tale categoria, di cul si pUO sospettare una produzione greco-occidentale (in siti magnogreci e/o sicelioti da identificare) a partire dalla prima metà del VI secolo, potrebbero essere visti i precedenti delle serie "ionio-massaliote", diffuse dall'ultimo quarto del VI sec. a.C. Della classe "di forma corinzia B" sono attestati a Ramacca pochi frammenti (Tav. III, 1), di cui uno, a pasta rosata ruvida in superficie e con abbondanti inclusi, presenta un listello alto e aggettante verso l'esterno nella parte inferiore, che sembra caratteristico degli esemplari piü arcaici della forma. Per l'attribuzione ad ateliers non-corinzi di queste anfore arcaiche di "forma corinzia B" interessante appare la non affinità con l'area geologica di Corinto, almeno sulla base della letteratura sinora fruibile, di due frammenti di Ramacca, sottoposti ad analisi petrografica. B. Un altro gruppo di anfore c.d. "ionio-massaliote", rappresentato da pochi esemplari, è caratterizzato da pasta arancione-rossastra con ingobbio biancastro, contenente abbondanti inclusi bianchi e particelle micacee (Tav. III, 2). Il luogo o i luoghi di produzione di questa classe non sono ancora identificati, anche se appare significativo che anfore con impasto di questo tipo abbiano soprattutto una distribuzione tirrenica, sia magnogreca sia siceliota, per cui si potrebbe pensare a produzioni di area tirrenica meridionale (campana?). Un ingobbio biancastro ricopre le anfore ioniomassaliote di Velia, attribuite a produzione locale, la cui pasta è descritta come variante dal "Ton rotlich-gelb 5YR 7/6 bis rosa 5YR 7/4" '°. Anfore a pasta "rougeâtre ou orangée" con inclusi bianchi calcarei, di fabbricazione italiota, sono segnalate dall'area calabro-ionica41. 9. ANFORE GRECO-OCCIDENTALT A LABBRO BOMBATO E COLLO RIGONFIO (CD. "PSEUDO-CHIOTE")
Sotto questa definizione si raggruppano tutti gli esemplari a collo rigonfio e labbro bombato, sottolineato sia da risega, sia da listello 42 Le anfore c.d. pseudo-chiote costituiscono nel corso del V e della prima metà del IV sec. a.C. una delle classi piü numerose a Ramacca. Le differenze negli impasti denotano chiaramente che queste serie erano prodotte da parte di piü centri italioti e sicelioti. All'interno di questa categoria sono distinguibili alcuni gruppi principali sulla base della morfologia e delle caratteristiche della pasta. A. Ii gruppo piü cospicuo (ca. 60 frammenti), a labbro bombato sottolineato da risega e con fondo allungato a piccola base convessa, è caratterizzato da una pasta di colore beige-arancione e beigerosato (7.5YR 6/4-7/4, 10YR 7/3-7/4), a superficie ruvida, con abbondanti inclusi di piccole, medie e grandi dimensioni, visibili anche in superficie, di colore marrone-rossiccio o marrone-nocciola e bianchi (Tav. III, 3). Tipici di questa categoria sono inoltre alcuni inclusi rossi teneri, simili a quelli notati nel gruppo A delle c.d. "ionio-massaliote" (supra). La forma e le caratterististiche tecniche permettono di attribuire questa categoria alla produzione di Locri, destinata probabilmente a contenere vino e documentata dal V agli inizi del III sec. a.C. 43 Anfore di questa fabbrica sono ben diffuse in Sicilia, soprattutto nell'area centro-orientale. Essa corrisponde al type A della classificazione Cavalier per le anfore di questa forma di Lipari. Tale tipo, già documentato negli strati di décTiarge ai piedi del muro di piazza Monfalcone intorno al 500 a.C., e attestato soprattutto nel V secolo '. A Ramacca esemplari di questo gruppo provengono da contesti di V e IV sec. a.C. Elementi di recenziorità nello sviluppo tipologico della forma, assegnabili al IV-III sec. a.C., sono rappresentati dall'assottigliamento e allungamento del labbro e da una inflessione pifi marcata all'interno di esso, dovuta probabilmente all'esigenza di alloggiare phi stabilmente ii coperchio 45 . L'incavo alla parete interna del labbro si riscontra già negli esemplari di fabbrica locrese del relitto di Porticello, dove è anche documentata la varietà "pseudo-chiota" morfologicamente analoga al seguente gruppo B 46
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B. Alcuni esemplari a labbro bombato con listello, inflesso all'interno, sono caratterizzati da pasta arancione-rossastra con ingobbio biancastro. Essa sembra corrispondere alla variante "a pâte rouge" con "engobe blanchâtre" della classificazione Cavalier per le anfore "pseudo-chiote" di Lipari. Qui tale classe è documentata soprattutto nella necropoli in tombe della prima metà del V sec. a. C. e perdura fino agli inizi del IV sec. Anfore affini, considerate di produzione regionale, sono state individuate a Roccagloriosa, dove sono attestate nel corso del IV sec. a.C. 48 Una categoria simile è documentata a Pithecusa e nella terraferma campana tra la prima metà del V e la fine del IV sec. aC.49
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C. Alcuni frammenti sono caratterizzati da una pasta dura arancione-rossastra (2.5YR 6/6), con superficie esterna bianco-giallina o bianco-verdina (Tav. III, 4), che non sembra ottenuta solo tramite ingubbiatura 50; gli inclusi sono bianchi, apparentemente calcarei. Si tratta forse di una produzione siceliota, anche se non si hanno ancora elementi decisivi per proporne una localizzazione. La forma assottigliata del labbro, insellato all'interno e con listello poco marcato, e una caratteristica comune a alcuni tipi di anfore greco-occidentali di eta classica avanzata. Dal punto di vista morfologico questi frammenti non sembrano databili prima del corso avanzato del V sec. a.C. D. Diverso dai gruppi precedenti, e sinora isolato tra le anfore del nostro centro per le caratteristiche di fattura, è un frammento di piede emisferico a pasta arancione scura (5YR 5/6), con piccoli inclusi bianchi, marrone-rossicci e nerastri e particelle micacee (Tav. III, 5). La forma trova riscontro in esemplari da 1-limera e dallo scarico Gosetti di Pithecusa classificati trale pseudo-chiote51.
10. ANFORE ETRUSCHE
Tra le produzioni non greche, e stato riconosciuto sinora, su base tipologica e tramite analisi petrografica, un solo frammento di labbro di anfora etrusca (Tav. III, 6). La sua esiguità permette solo di proporre un dubitativo e generico riferimento alla forma 112 Py e EMA Gras, attestata in Etruria in contesti che vanno dalla fine del VII alla metà del VI sec. a. C. 52 Tale cronologia coinciderebbe con quella di due isolati frammenti di bucchero nero etrusco (di olpe o oinochoe e di kantharos) ritrovati nell'abitato di Ramacca53.
11. ANFORE PUNICHE
Sono documentati solo pochi frammenti attribuibili a produzioni puniche di eta classica.
12. ANFORE DEL TIPO DELLA TOMBA
469 LIPMu
Tra le importazioni piü recenti documentate nel sito sono i contenitori vinari collegabili a vane fabbriche regionali greco-occidentali, la cui forma, derivata dalle corinzie B di eta classica, darà a sua volta origine alle serie greco-italiche. Alcuni frammenti in pasta dura rosso-arancione o rossomattone con ingobbio biancastro si rapportano alle anfore "du type de la tombe 469" di Lipari, dove sono molto comuni nella seconda meta del IV sec.a.C., anche se sono documentate già nella prima meta del secolo, come indica la presenza nello Strato di déchaige ai piedi della fortificazione della contrada Diana Che la forma sia attestata già prima della metà del IV secolo è dimostrato anche dall'evidenza nota dal carico del relitto di El Sec (Mallorca), datato al secondo quarto del IV sec. a.C. In esso sono state considerate di possibile provenienza siceliota un gruppo di anfore in argilla roSSiccia, distinte in tre va42
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rianti (C 1, C 2, C 3, di cui la prima con labbro sottolineato da un listello). Per esse, e in particolare per la variante C 3, e stata notata la affinità con le anfore del tipo della tomba 469 di Lipari 55. Un tipo affine, di produzione calabro-campana, e stato identificato a Roccagloriosa, dove si trova in un contesto del 325-300 a.C.56 13. AFORE RODIE
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Di questi contenitori vinari, e stato sinora ritrovato solo un frammento della forma piü diffusa con "rolled rim", che diventa comune dagli inizi del III e continua ad essere prodotta fino agli inizi del II sec. a. C. Esso costituisce una delle importazioni pifl recenti nel sito, insieme a qualche frammento attribuibile ad anfore delle serie greco-italiche pifl antiche, diffuse in Sicilia in periodo timoleonteoagatocleo 511. La presenza isolata di questi prodotti suggerisce una datazione agli inizi o alla prima meta del III sec. a.C. per ii momento finale dell'insediamento sulla Montagna di Ramacca. Tale ipotesi coincide anche con afire evidenze, come quella numismatica n• Per esigenze di brevità, non si affronta in questa sede una disamina delle possibili modalità di acquisizione delle anfore commerciali nel centro della Montagna di Ramacca. E un problema che investe pifl in generale i fenomeni di redistribuzione di derrate agricole dalle colonie verso il retroterra indigeno, i cui complessi meccanismi ancora in buona parte ci sfuggono. Per gli inizi del VI sec. a.C. la casa RM offre un buon esempio della importazione di prodotti alimentari greci e coloniali nel sito e della dipendenza dell'economia locale da apporti esterni, anche nell'ambito dei beni di sussistenza. Questa abitazione contiene cinque recipienti da derrate, liquide (le due anf ore commerciali) e solide (tre pithoi, di cui due di produzione indigena e uno greco-coloniale). La presenza di quest'ultimo contenitore indica che le colonie greche gestivano la distribuzione di loro prodotti, oltre alla ridistribuzione di derrate alimentari provenienti dalla Grecia propria. Per quanto riguarda l'andamento dei consumi, è evidente che in periodo arcaico e prioritario il hisogno di olio (indispensabile non solo per l'alimentazione, ma per usi medicinali e per l'ifluminazione), come indicano le anfore corinzie A e attiche, importate dalla fine del VII-inizi del VT sec. a.C. I contenitori vinari sono invece diffusi, a parte qualche isolata presenza precedente, soprattutto a partire dalla seconda metà del VI e nel V secolo. Questi dati coincidono con l'evidenza nota anche da altri centri siciliani dell'interno. La richiesta di vino si spiega nell'ambito delle pratiche conviviali di modello greco recepite dalle elites indigene soprattutto dalla fine del VI secolo. La consistente importazione di questa bevanda nel V secolo potrebbe anche essere connessa con la presenza ormai stanziale di Greci nel sito. E significativo comunque che l'apporto di vino è talora di pregio (Chios, Mende), ma in percentuale prevalente proviene da produzioni regionali locali, magnogreche e siceliote. Per quanto riguarda i circuiti di circolazione di questi prodotti, è interessante notare che quasi tutte le categorie anforarie rappresentate a Ramacca si ritrovano nella vicina Leontinoi 60, alla quale si puO attribuire in buona parte la responsabilità della redistribuzione di denate nel retroterra. Un'altra colonia indiziata per la distribuzione di prodotti nelle aree ai margini della Piana di Catania è certamente Katane, ma non è possibile avere dei riscontri in tal senso, in attesa dello studio dei reperti provenienti dai livelli arcaici e classici dell'abitato, messi in luce negli scavi recenti dell'area del Monastero dei Benedettini. Occorrerà certamente approfondire la discussione sulla definizione dei luoghi e degli agenti (Greci do indigeni?) degli scambi e sulle modalità delle transazioni. La presenza di monete a Ramacca dalla metà ca. del V sec. a.C. non indica necessariamente l'attività di "mercanti" greci, potendo avere un valore di semplice tesaurizzazione. Oggi l'evidenza e l'edizione crescenti di anfore cornmerciali da centri indigeni, oltre che coloniali, in Sicilia rende incoraggianti le indagini sui meccanismi relativi agli scambi di prodotti agricoli, che dovevano essere tra le "merci" prioritarie nei traffici a lunga e breve distanza. 43
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NOTE Questi contenitori provengono dagli scavi effettuati nel sito dal 1978 in poi sotto la direzione di E. Procelli. Per la distribuzione in Sicilia di alcune categorie anforarie arcaiche qui prese in considerazione: P. PELAGATTI, L'attivitb della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale. Parte I, in Kokalos XXII-XXIII, 1976-77, tomo II, 1, pp. 519-550; E., L'attivitk della Soprintendenza alle Antichitk della Sicilia orientale. Parte II, in Kokalos XXVI-XXVII, 1980-81, II, 1, pp. 694-731; EAD., Le anfore commerciali, in Atti Taranto 1994, Taranto 1995, pp. 403-416; M. GRAS, Trafics tyrrhdniens archaIques, Rome 1985; In., Archeologia subacquea e commerci in eta arcaica, in G. VOLPE (a cura di), Archeologia subacquea (VIII Ciclo di Lezioni, Certosa di Pontignano, Siena, 1996), Firenze 1998, pp. 477-484; R.M. ALBANESE PROCELLI, Appunti sulla distribuzione delle anfore commerciali nella Sicilia arcaica, in Kokalos XLII, 1996, pp. 91-137; EAD., Echanges dons la Sicile archaIque. Amphores commerciales, interme'diaires et redistribution en milieu indigene, in RA, 1997, 1, pp. 3-25. Per i primi risultati di queste analisi petrografiche, condotte dal Prof. A. Pezzino e dal Dr. P. Mazzoleni del Dipartimento di Geologia dell'Università di Catania: P. MAZZOLENI - A. PEzzINo, Appendice, in R.M. ALBANESE PROCELLI, Contenitori da derrate nella Sicilia arcaica e classica: per una definizione dell'evidenza, in (Atti Convegno) Die Agais und das westliche Mittelmeer, Vienna 1999, in c.d.s. Per I'autorizzazione al prelievo del campioni sottoposti ad analisi si ringrazia la Dott.ssa M.G. Branciforti, Direttore della Sezione III della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Catania. E. PROCELLI - R.M. ALBANESE, Ramacca (Catania). Saggi di scavo nelle contrade Castellito e Montagna negli anni 1978, 1981 e 1982, in NSA 1988-89, I Suppi., Roma 1992, p. 45 ss. Per la p05 recente discussione sullo sviluppo delle anfore corinzie A, A' e B: C. G. KOEHLER, A Brief Typology and Chronology of Corinthian Transport Amphoras, in V.I. K.sss - S. Ic. MONAK.HOV (edd.), Greek Amphoras, Saratov 1992, pp. 265-279; I.K. WHITBREAD, Greek Transport Amphorae. A Petrological and Archaeological Study, Athens 1995, p. 255 ss. E. PROCELLI - R.M. ALBANESE, Ramacca (Catania), cit., p. 52, fig. 63c. Cfr. C.G. KOEHLER, Corinthian A and B Transport Amphoras, Ph. D. Diss. Princeton Univ. 1979 (Ann Arbor 1980), pp. 13 e 96, n. 18, tavv. 3 e 13. Per forme analoghe in Sicilia, ad es.: M.C. LENTINI, Naxos: esplorazione nell'abitato proto-arcaico orientale. Casa a pastOs n. 1, in Kokalos X.X.X-XXXI, 1984-85, II, 2, p. 835, n. 49, tav. CLXXXV, 3; S. VASSALLO, Ricerche nella necropoli orientale di Himera in località Pestavecchia (1990-1993), ibid., XXIXIX-XL, 1993-1994, II, 2, p. 1249, fig. 3, 1, t. 153. Per la rarità di dipinti e graffiti nelle corinzie A: C.G. KOEHLER, Corinthian A and B, cit., pp. 65-69. Segni graffiti e incisi sono presenti nelle anfore di questa classe da Naxos (MT. MANNI PIRAINO, Naxos. Frammenti fittili inscritti, in Kokalos XXXIII, 1987, pp. 42-43, cat. 27, 28, 29, di cui il n. 28 con segno cruciforme) e da Camarina (al locale Museo, cfr. PELAGATTI, Opp. citt. in nota 1). Una lettera dipinta sul collo si trova in anfore corinzie A da Poira (V. LA ROSA, Un frammento fittile da Capodarso e il problema delle sopravvivenze micenee in Sicilia, in CASA 8, 1969, tav. XX, 5) e da c.da Maestro (G. DI STEFANO, Camarina VIII: l'emporio greco arcaico di contrada Maestro sull'Inninio, inBA44-45, 1987, fig. 13). 6 Camarina: M.C. LENTINI, Camarina VI. Un pozzo tardo-arcaico nel quartiere sud-orientale, in BA 20, 1983, p. 25, n. 163, figg. 17 e 19. Maestro: G. Di STEFANO, Camarina VIII, cit., p. 131, fig. 3d. Poira: V. LA RosA, Un frammento fittile da Capodarso, Cit. Cozzo Presepe: J. DU PLAT TAYLOR ET sin, The Excavations at Cozzo Presepe (1969-1972), in NSA 1977, Suppi., p. 371, n. 417, fig. 141; Porto Cesareo: F. D'ANDRIA, Cavallino (Lecce): ceramica ed elementi architettonici arcaici, in MEFRA 89, 1977, 2, p. 541, nota 71, fig. 19.3. Per un esemplare: E. PROCELLI - R.M. ALBANESE, Ramacca (Catania), cit., p. 75, n. 136, figg. 81, 91. Cfr. C.G. KOEHLER, Corinthian Developments in the Study of Trade in the Fifth Century, in Hesperia 50, 4, 1981, p. 456, fig. lb-c, metà V sec. a.C. Per importazioni in Sicilia di anfore corinzie A' nel V sec. aC., ad es.: M. CAVALIER, Les amphores du We an IVe siècle dons les fouilles de Lipari, Cahiers Centre S. Bérard XI, Naples 1985, p. 28 ss., cat. 5-6; p. 60 ss., cat. 45-52; p. 73 ss., cat. 94-96; p. 78 ss., cat. 108-109; p. 84, cat. 124; P. PELAGATTI BY ALII, Naxos (Messina). Cli scavi extra-urbani oltre ilSanta Venera (1973-75), in NSA 1984-85, p. 366, cat. 110, fig. 50, t. 81; Megara Hyblaea: G.V. GENTILI, Megara Hyblaea (Siracusa). Tombe arcaiche e reperti sporadici nella proprietk della "Rasiom" e tomba arcaica in predio Vinci, in NSA 1954, p. 96, n. 10, fig. 19, t. E. Quest'ultimo contesto permetterebbe forse di rialzare almeno agli inizi del V sec. la documentazione e quindi l'inizio della produzione della classe A': cfr. del resto C.G. KOEHLER, Corinthian Developments, cit., p. 456, nota 27, con allusione a cambiamenti nella forma del corpo delle anfore corinzie A, che preludono alla forma A', dalla metà del VI sec. a. C. 8 Cfr. C.G. KOEHLER, Corinthian A and B, cit., nn. 60-65; M. CAVALIER, Les amphores, cit., p. 31, cat. 8, fig. 3d, tav. I\Tb; p. 79, cat. 109, tav. XXIV, fig. 22a. Di questa classe e stata individuata una fabbrica a Corfti, grazie alla scoperta di una fornace che produceva anfore di tipo corinzio B dal V alla seconda meta del III sec. aC. Analisi delle argille indicano che anfore di questa classe sono state prodotte anche a Corinto. Cfr. da ultimo I.K. WHITBREAD, Greek Transport Amphorae, cit. p. 258 ss., con bibl. prec. '° Per la diversa qualita delle argille nel corso della produzione di questa classe: C.G. KOEHLER, Corinthian A and B, cit., p. 3; E.'m., Amphoras on Amphoras, in Hesperia 51, 3, 1982, p. 288, nota 12; EAD., A Brief Typology, cit. Inclusi di quarzo e "E Scatter of fine grey, red or white grains" caratterizzano uno degli impasti ("fabric B") delle anfore corinzie B di Sabratha: N. KEAY, in M. FULFORD - M. HALL (edd.), Excavations at Sabratha 1948-1951, II, 1, Tripoli 1989, p. 6. 11 Per la distinzione di due fabric classes, rappresentate anche da frammenti tipologicamente attribuibili ad esemplari coevi, databili intorno alla meta del V sec. aC.: P. MAZZOLEM - A. PEzzIN0, Appendice, cit. 12 Si tratta di anfore in pasta bruna o rosso-arancio con inclusi biancastri, ritenute di possibile produzione coloniale italiota: CH. VAN DER MERSCH, Le materiel amphorique, in H. TREZINY (ed.), Kaulonia I, Cahiers Centre I. Bérard XIII, Naples 1989, p. 101, nn. 502-504, con bibl. prec. sulla distribuzione. 13 P. MAZZOLENI - A. PazzINo, Appendice, cit.
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Cfr. C.G. KOEHLER, Corinthian Developments, cit., p. 454, tav. 99c, fig. la, metà V sec. aC.; EAD., Corinthian A and B, cit., p. 35 ss., nn. 229-230, 460/440 a.C.; N. DI SANDRO, Le an fore arcaiche dallo scarico Gosetti, Pithecusa, Cahiers Centre J. Bérard XII, Naples 1986, p. 37, cat. sg 86. In Sicilia anfore con due listelli all'inizio del collo sono attestate ad es. a Lipari (M. CAVALIER, Les amphores, cit., p. 63, n. 55) e a Lentini (cfr. KOEHLER, Corinthian A and B, cit, p. 45, nota 6). Per importazioni della Seconda meta delV sec. a.C. in Magna Grecia: CH. VAN DER MERSCH, Le materiel amphorique, cit. pp. 99-101, nn. 494-501, fig. 65. Per l'evoluzione delle anfore corinzie B - corcireSi a bocca ovale: KOEHLER, Corinthian A and B, cit., p. 36 SS.; EAD., Amphoras on Amphoras, cit., pp. 290, nn. 1 e 4, 291-2, nn. 17-18, tav. 79; PH. DESY - P. DE PAEPE, Torre San Giovanni (Ugento): les amphores commerciales hellénistiques et republicaines, in StAnt 6, 1990, pp. 187-234. 18 KOEHLER, Corinthian A and B, cit., p. 38, nn. 249, 253. 17 Cfr. ibid., pp. 38 s. e 65 ss. 10 Cfr. E. PROCELLI .- R.M. ALBANESE, Ramacca (Catania), cit., p. 122, nn. 44-45. 19 Per la classificazione fondamentale delle anfore SOS: A.W. JOHNSTON - R.E. JONES, The "SOS" amphora, in ABSA 73, 1978, p. 108, n. 62. Per l'ulteriore suddivisione del Late Group: M.A. Rizzo, Le anfore da trasporto e il commercio etrusco arcaico, 1. Complessi tombali dell'Etruria meridionale, Roma 1990, pp. 16 ss., 93-94, cat. XI, 1-2, figg. 166-167, 366; A.W. JOHNSTON, Pottery from Archaic Building Q at Kommos, in Hesperia 62, 3, 1993, p. 357. 20 Due frammenti di labbro: l'uno, del tipo Late, da Ramacca-Perriere; l'altro, vicino al Middle Group (675-625 aC.), da Poggio Forche (Fig. 2). ' Per due frr.: F. PROcELLI -. R.M. ALB.ANESE, Ramacca (Catania), cit., p. 122, nn. 29, 153. 22 B.A. SPARKES L. TALCOTT, The Athenian Agora XII. Block and Plain Pottery of the 6th, 5th and 4th Centuries B.C., Princeton 1970, p. 341, fi. 1503, 520-500 aC. Cfr. S.R. ROBERTS, The Stoa Gutter Well, a Late Archaic Deposit in the Athenian Agora, in Hesperia 55, 1, 1986, p. 67, n. 418, fig. 42, tav. 18, 535 aC. 23 p PELAGATTI, Ceramica laconica in Sicilia e a Lipari: materiali per una carta di distribuzione. Supplemento alla cai'ta di distribuzione (1991), in P. PELAGATTI C.M. STIBBE (edd.), Lakonikà, in BA, Suppl. n. 64, II, 1992, p. 134 ss., con elenco della distribuzione in Sicilia e bibi. prec. 24 Per anfore del tipo 2 con iscriziofli graffite alla spalla: H.W. JOHNSTON, Amasis and the Vase Trade, in AA. VV., Papers on the Amasis Painter and his World, Malibu 1987, p. 130, fig. 2; P. PELAGATTI, Ceramica laconica, cit., pp. 138 e 156, note 104-106. Ibid., p. 186, al n. 256: citazione dell'esemplare con graffito da Ramacca. 25 Peril tipo con "collo rigonfio": V. GRACE, Wine jars, in C. BOULTER, Pottery of the Mid-Fifth Century from a Well in the Athenian Agora, in Hesperia 22, 2, 1953, pp. 104-105, nn. 150-152; J.K. ANDERSON, Excavations on the Kofina Ridge, Chios, in ABSA XLIX, 1954, pp. 139 e 169, n. 51, fig. 8; U. KNIGGE, Der Sudhugel (Kerameikos IX), Berlin 1976, pp. 23-24, tipO C/2; CH.K. WILLIAMS, Corinth 1977, Forum Southwest, in Hesperia 47, 1, 1978, p. 18, fig. 5, C-1977-106; S.R. ROBERTS, The Stoa, cit., p. 67, nn. 419-420, fig. 42, tav. 18; S.I. ROTROFF - J.H. OAKLEY, Debris from a Public Dining Place in the Athenian Agora, in Hesperia, Suppi. XXV, Princeton 1992, pp. 31-32, n. 351. Per l'evoluzione della produzione chiota, inoltre: V. G p..sc, Amphoras and the Ancient Wine Trade, Princeton 1961, figg. 43-44; H.B. MATTINGLY, Coins and amphoras. Chios, Samos and Thasos in the fifth century B. C., inJHS CI, 1981, pp. 78-86; I.K. WHITBREAD, Greek Transport Amphorae, cit. p. 135 ss. 26 Cfr. J.K. ANDERSON, Excavations, cit. p. 142, fig. 9g; J. BOARDMAN, Excavations in Chios 1952-1955. Greek Emporio, Oxford 1967, p. 178 ss., fig. 126, n. 948. Per esemplari chioti della seconda meta del VI-seconda meta del V Sec. aC. in Magna Grecia, dove Sinora le segnalazioni Sono scarse: CM. VAN DER MERScH, La materiel amphorique, cit., pp. 94, n. 473, 101-102, fin. 505-508. 27 E. PROCELLI - R.M. ALBANESE, Ramacca (Catania), cit., p. 73, n. 114, fig. 35; A.W. JOHNSTON, Emporia, emporoi and Sicilians. Some epigraphical aspects, in Kokalos XXXIX-XL, 1993-94, I, 1, p. 165. Ii Segno "flu" inciso prima della cottura si riscontra in anfore Samie dell'Agora di Atene e di Egina: loc. cit. Per una proposta di attribuzione di alcuni di questi esemplari a produzione nord-greca: M . L. LAWALL, Shape and Symbol: Regionalism in 5th Transport Amphora Production in Northeastern Greece, in C. GILuS ET ALE (edd.), Trade and Production in Premonetary Greece, Goeteborg 1997, pp. 119, 125, nota 39. 21 Cfr. y R. GRACE, Sansian amphoras, in Hesperia XL, 1, 1971, pp. 77-78, fig. 3, 3, 94, n. 9, tav. 15, 9, 425-400 aC.; U. KNIGGE, Der Südhg gel, cit., pp. 25 e 151, n. 288, tav. 64. Per esemplari di questo tipo in Sicilia e in Magna Grecia, ad es.: N. ALLEGRO KY ALII, Himera 1989-1993. Ricerche dell'Istituto di Archeologia nell'area della città, in Kokalos X.XXIX-XL, 1993-94, II, 2, p. 1132, tav. CXXX, 2, t. 27; V. GASSNER, Insuba II: Spatarchaisch-Fruhklassiche Amphoren aus den Grabungen 1990191, in G. GREc0 - F. KRINZINGER (edd.), Velia. Studi e ricerche, Modena 1994, p. 112, n. 25, fig. 144. Per le produzioni Samie, v. ora: P. DUPONT, Archaic East Greek trade amphoras, in R.M. COOK - P. DUPONT, East Greek Pottery, London - New York 1998, pp. 168, 175, fig. 23.9. 29 Per l'identificazione della produzione: P. DUPONT, Amphores commerciales archaiques de la Grèce de lEst, in PP CCIVCCVII, 1982, p. 203 ss.; A.W. JOHNSTON, Aegina, Aphaia-Tempel XIII. The storage amphorae, in AA 1990, 1, pp. 47-49, nn. 107 e 109, fig. 7; lo., Pottery, cit., pp. 366-368, fin. 120-128. Per la distribuzione in Etruria nel VI Sec. aC.: G. COLONNA, Anfore do trasporto arcaiche: lb contributo di Pyrgi, in AA.VV., Ii commercio etrusco arcaico, Roma 1985, p. 10, fig. 12; M. SLASKA, La anfore do trasporto a Gravisca, ibid., p. 19; F. BOITANI, Cenni sulla distribuzione delle an fore da trasporto arcaiche nelle necropoli dell'Etruria meridionale, ibid., p. 25; C. MORSELLI - F. T0RT0RIcI, La situazione di Regisvilla, ibid., p. 34, fig. 8, nn. 7-8. Un esemplare da Genova: M. MILANESE - T. MANNONI, Gli Etruschi a Genova e ilcommercio mediterraneo, in SE LII, 1986, p. 133, fig. 8, 2. Per ii confronto del citato ft. da Ramacca con forme prodotte a Mileto nel secondo - terzo quarto del VI Sec. aC., v. ora: P. DUPONT, Archaic East Greek, cit., p. 174, fig. 23.8b, cui si rimanda per una discuSsione generale Sulla produzione milesia e sulla diStribuzione in Sicilia (Camarina, Naxos). 30 Cfr. M.A. Rizzo, La an fore do trasporto, cit., pp. 24, 43, cat. I, 3, figg. 5, 27, 348, 350, tav. I, 2, con discusSione sull'origine
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e sulla distribuzione della classe. Essa corrisponde alle anfore in "purple ware" attestate a Kommos nel deposito del "Building che presenta materiali precedenti la fine del VII sec. aC.: A.W. JOHNSTON, Pottery, cit., pp. 371-372, nfl. 139-142. 31 Cfr. P. MAZZOLENI - A. PEzzINo, Appendice, cit. 32 Per la produzione di Mende: V. Gnce, Wine jars, cit., pp. 106-107, nn. 161-163, fig. 5, tav. 40; Eiw., Amphoras, cit., fig. 43; U. KNIGGE, Der Sudhugel, cit., pp. 24-25, nn. 296-297, tavv. 65, 5 e 66, 5; CH.K. WILLIAMS, Corinth 1977, cit., p. 19, fig. 5, C-1977-131; S.I. ROTROFF - J.H. OAKLEY, Debris, cit., pp. 32 e 125, n. 352, tav. 60. Anfore di Mende sono abbastanza diffuse in Sicilia e in Magna Grecia nel corso del V Sec. a. C. Ad es.: Naxos: P. PELAGATTI ET ALII, Naxos, cit., p. 337, t. 23, cat. 24, p. 354, t. 62, cat. 59, figg. 49-50. Camarina: P. ORSI, La necropoli di Passo Marinaro a Camarina, a c. di M.T. LANZA, in MAL, s. misc. IV, Roma 1990, tav. IIb, sep. 569; Pithecusa: N. Di SANDRO, Le anfore arcaiche, cit., pp. 82-83, sg 197-200, tav. 16; Velia: V. GASSNER, Insula II, cit., p. 115, n. 44, fig. 145. C. JONES EISEMAN - B. SIsMoNoo RIDGWAY, The Porticello Shipwreck. A Mediterranean Merchant Vessel of 415-385 B.C., Texas University 1987, pp. 37 ss., type 1, Mendean, cat. C1-C13, fig. 4-2. Per ilfr. a tav. II, 7, cfr. ad es.: E. HADJIDAKI, Underwater Excavations of a Late Fifth Century Merchant Ship at Alonnesos, Greece: the 1991-1993 Seasons, in BCH, 120, 2, 1996, pp. 575-576, cat. A1-2, figg. 11-12, 420-400 a.C. l P. DUPONT, Archaic East Greek, cit., p. 145. M.L. LAWALL, Shape, cit., p. 114 ss. 36 Cfr. PROcELLI-ALBANESE, Ramacca, cit., p. 123, n. 137, fig. 91. Per la produzione locrese di anfore ionio-massaliote, di cui esistono resti di fornace della seconda metà del VI sec. a. C.: M. BARRA BAGNA5cO, Due tipi di anfore di produzionelocrese, in Klearchos 125-128, 1990, pp. 29-61, tipo a; EAD., Anfore locresi: documenti a favore di una produzione locale tra VI e IV sec. a. C., in M. VENDRELL-SAZ ET ALII (edd.), Studies on Ancient Ceramics, Barcelona 1995, pp. 77-78, fig. 1, a-c, forma con "orlo a cuscinetto rigonfio". 38 Per la definizione di queste anfore definite variamente "corinzie B arcaiche" (da ultima: C. G. KOEHLER, A Brief Typology, cit.); "ioniche" (P. PELAGATTI, L'attività della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale, in Kokalos XXW-XXVII, 1980-81, II, 1, p. 722); di "forma corinzia B", ma a pasta non corinzia (M. SLASKA, Le anfore massaliote in Etruria meridionale, in M. BATS (ed.), Les amphores de Marseille grecque, Et. mass. 2, Lattes et Aix-en-Provence 1990, p. 231); "ionio-corinthiennes" (M. PY, Culture, économie et sociéteprotohistoriques dans la region nimoise, Rome 1990, p. 534), v. inoltre: M. G p.xs, Les amphares commerciales archaIques, in AA.VV., Leuca, Galatina 1978, p. 175; In., Amphores commerciales et histoire archaIque, in DArch 5, 1987, p. 44; ID., in BATS (ed.), op. cit., p. 273. ° Cfr. da ultimi: R.M. ALBANESE PROcELLI, Appunti, cit., p. 112; EAD., Echanges, cit., p. 12; M. GRAS, Archeologia subacquea, cit., p. 480; P. DUPONT, Archaic East Greek, cit., p. 209, n. 32. 40 C.A. FIAMMENGHI, Velia. Acropoli. Un saggia di scavo nell'orea del tempio ionico, in G. GsLco - F. KRINZINGER (edd.), Velia, cit., pp. 81-82; V. GASSNER, Insula II, cit., pp. 108-110, cat. 1-16. 41 CH. VAN DER MERSCH, Le materiel amphorique, cit., pp. 95-97, nn. 482-484. 42 Per le caratteristiche della serie, soprattutto nel suo sviluppo di eta classica avanzata: ID., Vms et amphores de Grande Grèce et de Sicile, Naples 1994, p. 65 ss., "amphores MGS II", con bibl. prec. La produzione locrese di anfore pseudo-chiote e documentata da scarti di fornace: M. Bxiucs BAGNA5c0, Due tipi di anfore, cit., p. 78, figg. 1 d-f, 2-3, anfore con "orlo a mandorla". Per la destinazione vinaria: op. cit., p. 79 (ove non si esciude anche un contenuto olerario); CH. VAN DER MERSCH, Vms et amphores, cit., p. 68. Un'anfora di tipo bocrese dal relitto di Porticelbo è "lined": C. JONES EISEMAN - B. SISMONOO RIDGWAY, The Porticello, cit., p. 49, cat. C31. Ibid., p. 51 si precisa perd che "a resinous lining" pud caratterizzare non solo anfore vinarie, ma anche contenitori di conserve di pesce. ' M. CAVALIER, Les amphores, cit., p. 65ss., cat. 62-81; p.75, cat. 103-104 b; p. 80, cat. 115-116; pp. 85-86, cat. 127, "amphores de type chiote". 41 Cfr. P. ARTHUR, Amphorae, in M. GUALTIERI - H. FaAccHIA, Roccagloriosa I, Naples 1990, p. 281, nn. 371-373, fig. 191. 46 C. JONES EI5EMAN - B. SIsMoNoo RIDGWAY, The Porticello, cit., pp. 48-51, "type 3, West Greek", cat. C29, C30, "pinkish white surface, 5YR 8/2"; cat. C3 1, "very pale brown surface, 1 DYR 7/3", di fabbrica locrese. '° M. CAVALIER, Les amphores, cit., pp. 39ss., cat. 20-35; 70ss., cat. 82-93; 76, cat. 105-107; 81, cat. 117-118. 48 P. ARTHUR, Amphorae, cit., p. 281, nn. 365-370, fig. 190. ° N. DI SANOR0, La anfore arcaiche, cit., pp. 59-60. 50 Bisognerebbe verificare se l'aggiunta di acqua di mare possa determinare un cambiamento nel colore degli impasti, facendo si che argille rosse diventino di colore gialbo. Per questa possibilità cfr.: 1K. WHITBREAD, A Microscopic view of Greek Transport Amphorae, in R.E. JONES - H.W. CATLING (edd.), Science in Archaeology, Athens 1986, p. 51. Himera: N. ALLEGRO - S. VAssiuLo, Himera. Nuove ricerche nella cittd basso (1989-1992), in Kokalos XXXVIII, 1992, p. 98, cat. 43. Pithecusa: N. Di SswoRo, Le anfore arcaiche, cit., p. 65, tav. 13, sg 151. 52 M. PY, Les amphores etrusques de Gaule me'ridionale, in AA.VV., Ii commercio, cit., p. 74, fig. 3; M. GaAs, Trafics tyrrheniens archaiques, Rome 1985, p. 329, fig. 46 b. Cfr. M.A. Rizzo, Le anfore do trasporto, cit., pp. 20-21, 104, cat. XIII, 3, 138, cat. XXI, 2. Cfr. GaAs, Trafics, cit., p. 492. M. CAVALIER, Las amphores, cit., pp. 51-52, cat. 36-37; 81 ss., cat. 119-121; 87 s., cat. 129-131. Delle due varianti di pasta attestate a Lipari ("de couleur noisette sans engobe" e "rouge brique" con "engobe blanchâtre": ibid., p. 82) a Ramacca sembra pt/i attestata la secofida varietà. D. CERDA', in A. ARRIBA5 - M.G. Tm.s - D. CERDA ' - J. DE LA Hoz, El Barco de El Sec (Costa de Calvia Mallorca). Estudios de los Materiales, Mallorca 1987, p. 420 ss., nn. 425-437, fig. 100. P. ARTHUR, Amphorae, cit., p. 279 ss., fin. 362-363, "tipo tomba 23".
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V.R. GRACE, Notes on the Amphoras from the Koroni Peninsula, in Hesperia XXXII, 3, 1963, pp. 322 ss. e 333, fig. 1, 6-9; EAN., Amphoras, cit., fig. 62. Per analisi petrografiche delle produzioni rodie: T.K. WHITBREAD, Greek Transport Amphorae, Cit.
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p. 53 ss. 58 Cfr. Cu. VAN DER MERSCH, Vms et amphores, cit, p. 76 ss., forma MGS V. V. TiuelANo, La Montagna di Ramacca e l'antica città di Eyke, Catania 1980, p. 97 ss. 60 Cfr. A. MTJSUMECI, La anfore da trasporto, in L. GRAsso - A. MUSUMECI - U. Seiao - M. URSINO, Caracausi (CASA, 28, 1989), Catania 1996, pp. 131-141.
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Tav. I
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1-8: Montagna di Ramacca, abitato. Anfore commerciali. 48
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Tav. II
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BERNARD ANDREAE
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IL GRUPPO DI SCILLA DI SPERLONGA RICOMPOSTO Ii gruppo di Scilla dell'Antro di Tiberio a Sperlonga (fig. 1) ricomposto da circa settemila frammenti (figg. 2-6), fu esposto per la prima volta nella grande mostra "Ulisse. Ii mito e la memoria" al Palazzo delle Esposizioni a Roma dal 22 Febbraio al 22 Settembre 1996 1 Dopo la mostra ii gruppo ha trovato ii suo posto definitivo nel Museo della Civiltà Romana a Roma. La ricomposizione fu eseguita da Silvano Bertolin nel laboratorio di Casarsa con l'aiuto di caichi di tutti i frammenti superstiti in marmo artificiale, doe con resina epossidica e 90% di polvere di marmo rinforzata con fibre di vetro e con tubi di alluminio. La ricostruzione è stata completata con lavori scultorei dello stesso Bertolin secondo le direttive di chi scrive. Sembra che questo gruppo sia rappresentato in un conio dei medaglioni contorniati del quarto e del quinto secolo d.c. 2 (fig. 7). Si vede Scilla, che attacca la nave di Ulisse, la quale è pera girata di 900 rispetto alla posizione nel gruppo di Sperlonga. PerciO si potrebbe dubitare che ii conio davvero Si rifaccia alla stessa composizione. Esiste perO una particolarità, che si spiega solo con questa supposizione. Nel medaglione Si vede a destra un compagno di Ulisse che cade a capofitto. La posizione di questa figura e Strana, perché cade dal vuoto. La figura si comprende solo sapendo che e ispirata dal gruppo originale, dove questo uomo cade dalla nave (fig. 2). Quando l'incisore ha girato la nave di 90° per renderla in forma bidimensionale, nella superficie dell'immagine ha dovuto spostare la figura cadente dall'altro lato, perche altrimenti sarebbe stata coperta, anche se adesso non è piü chiaro da dove cadesse l'uomo. cia prova che ii medaglione ripete in fondo la stessa composizione. Ii confronto con un medaglione contorniate del quarto/quinto secolo dopo Cristo prova che questa composizione era altrettanto famosa come il gruppo del cosiddetto "Toro Farnese" o ii gruppo del Laocoonte, incisi anch'essi sulle medaglie contorniate 3 . Ma il gruppo plastico di Scilla si presenta diversamente. La nave passa sul lato destro di Scilla (sinistro di chi guarda), mentre sul medaglione contorniato si avvicina, e su un rilievo gallico-romano del secondo secolo dopo Cristo a Vienne 4 si allontana verso sinistra, proprio perché l'artista voleva far apparire la nave dal lato phi largo nella superficie dell'immagine. I settemila frammenti del gruppo furono trovati nel settembre 1957 intorno alla base cubica nel bacino al centro della Grotta di Sperlonga . Fino a poco tempo fa non si sapeva da quale cava provenissero i due grandi blocchi da cui fu scolpito ii gruppo di Scilla e della nave. Ma quando nel mese di luglio 1994 abbiamo esposto, coll'aiuto di un elicottero dell'arma dei Carabinieri, un calco della statua di Ganimede in cima alla Grotta di Sperlonga, mi é venuto ii dubbio se ii marmo di tutte le sculture di Sperlonga non fosse lo stesso in cui fu scolpita questa Statua. A causa delle vene rosastre queSto marmo venne chiamato dai marmorari romani medievali e rinascimentali "pavonazzetto", ma in antichità ii suo nome era marmor phrygium, perché la cava si trovava a Iscehissar in Frigia presso la odierna città di Afyon nella Turchia centrale vicino alle antiche città di Dokimeion o di Synnada, di cui casualmente prende anche il nome. Ad occhio nudo si vede che il rilievo di Venere Genitrice 6 a Sperlonga, connesso cosi da vicino al programma iconologico delle sculture della Grotta di Tiberio per via dell'adozione di questo imperatore nel casato dei Giulii, è ricavata da un blocco dello steSso marmo frigio come la scultura di Ganimede. PerciO era probabile che anche altre sculture dell'ensemble fossero del medesimo marmo. E noto che solo la minima parte del marmo delle cave di Dokimeion 7 è colorato, mentre la massa è di un marmo bianco bellissimo perché diafano. 51
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Fig. 1. Sperlonga, Museo Nazionale. Gruppo di Scilla, ricomposizione del frammenti originali di Mario Moriello, a cura di Baldassare Conticello.
Le analisi della pietra eseguite nei laboratori del Vaticano e dell'Istituto di Geologia dell'Università La Sapienza di Roma hanno portato al seguente risultato: ii marmo delle sculture di Sperlonga (e anche quello del Laocoonte) e identico alle prove di marmo raccolte nella cava stessa di Afyon. Per66 si puO partire dal fatto che ii marmo usato a Sperlonga e quello frigio, risultato del resto non molto sorprendente, dal momento che la provenienza del marmo del Ganimede e del rilievo della Venere Genitrice da questa cava è sicura, e perche ii marmo pavonazzetto, proveniente da una cava del demanio imperiale dai tempi di Tiberio, era molto usato in eta imperiale. Nondimeno questa scoperta e molto importante non solo perché conferma la data tiberiana delle sculture di Sperlonga, ma perché ha portato al ritrovamento di un elemento decisivo per la ricostruzione del gruppo, e cioè alla scoperta, nel museo di Afyon, di un busto di Scilla proveniente proprio dalla cava di Iscehissar 8. Questo busto (fig. 8) è rimpicciolito ad un quinto della grandezza originale ma presenta lo stesso identico movimento, che si deve dedurre per Scilla dai frammenti di Sperlonga. In questo busto di una giovane donna graziosa, paffuta, quasi pacioccona si intravede il mito. Scilla era una bella ragazza, di cui si era innamorato il dio Glauco. Per gelosia Circe avvelenO l'acqua nella piccola baja, dove Scilla era solita bagnarsi. Fin dove arrivava l'acqua, doe dalla cintola in giLi, Scilla si trasformO in mostro. Le gambe diventarono due code di pesce e dalla vita proruppero le protomi di sei cani feroci. La denominazione di Scilla per questo piccolo torso non puO essere dubbia per via della corporatura atletica, del fianchi abbastanza larghi per l'attacco di due protomi canine su ciascun lato, inol52
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Fig. 2. Roma, Museo della Civiltà Romana. Gruppo di Scilla, ricomposizione di tutti i frammenti superstiti con integrazioni di Silvano Bertolin, a cura di Bernard Andreae, visione frontale.
Fig. 3. Roma, Museo della Civiltà Romana. Gruppo di Scilla, ricomposizione di tutti I frammenti superstiti con integrazioni di Silvano Bertolin, a cura di Bernard Andreae, visione da destra.
tre per via dei capelli sciolti ed umidi, dell'attacco del pugno aizato a sinistra della testa, e dell'attacco, sulla tempia destra, del timone che Scilla vibra con la mano sinistra sopra la testa. Ii fotomontaggio con una fotografia ingrandita 9 faceva già vedere come questo tipo di Scilla s'inserisse perfettamente nel gruppo. Ii fatto che ii busto fu trovato nella stessa cava, da dove proviene ii marmo per ii gruppo grande, ci fa pensare che ii busto sia ii frammento di una copia rimpicciolita, come se ne conoscono anche di altri gruppi, per esempio del famoso gruppo del Pasquino, d'altro canto copiato su Scala UflO a uno anche per Sperlonga. Dato che ii busto di Scilla a Sperlonga è quasi completamente distrutto, ii piccolo busto di Afyon puO dare almeno un'idea della forma originale. Visto che il gruppo non si puO intendere senza ii busto di Scilla, l'abbiamo ricostruito alla guisa del torso di Afyon, che fu ingrandito da S. Bertolin cmque volte e s'inseriva senza alcuna alterazione nella composizione del gruppo. L'andamento delle braccia e provato dal frammento superstite del braccio sinistro, che si alza per vibrare ii timone di tribordo Strappato dalla nave, e della mano destra di Scilla che afferra la testa del nocchiero. Da questi elementi Superstiti si ricava anche la proporzione di tutto il busto die non si dovrebbe alterare di proprio gusto. La piii importante scoperta per la ricomposizione dell'intero gruppo Si puO definire l'identificazione di due frammentini informi (fig. 9), che attaccano l'uno all'altro e che combaciono da un lato con la coda siniStra di Scilla e dall'altro con ii frammento della base (fig. 10), che porta la coda de53
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Fig. 4. Roma, Museo della Civiltà Romana. Gruppo di Scilla, ricomposizione di tutti i frammenti superstiti con integrazioni di Silvano Bertolin, a cura di Bernard Andreae, visone dal retro.
Fig. 5. Roma, Museo della Civiltà Romana. Gruppo di Scilla, ricomposizione di tutti i frammenti superstiti con integrazioni di Silvano Bertolin, a cura di Bernard Andreae, visione da sinistra.
stra. Con questo frammento fu possibile fissare tutte le parti del gruppo nello spazio, perché tutti I frammenti combacianti sono attaccati alle due code. Vorrei sottolineare che in questa ricostruzione 11011 Si doveva inventare nulla, si dovevano solo colmare le lacune nei corpi, i movimenti dei quail sono accertati da frammenti combacianti fra di loro. Per far capire che cosa s 'intende con l'espressione "colmare le lacune", si veda ii piede destro del quinto compagno avvinghiato dalla coda destra (fig. 4). Di questo piede si è trovato solo un frammento della punta con due dita, le quali non toccano terra o un'altra parte del gruppo. Ma che ii piede penda nell'aria, si pub dedurre anche dalla posizione della gamba rinvenuta intera e che si attacca alla coda destra. Silvano Bertolin ha plasmato un piede, in cui si poteva inserire ii frammento. Si vede come sia importante esteticamente ii rifacimento del piede destro, perché esiste anche la gamha sinistra (con ii piede), spinta in alto per ii dolore feroce che l 'uomo deve subire. Queste due gambe - con i rispettivi piedi - sono molto importanti per capire ii movimento complesso della figura. In altri casi, per esempio nel caso del piede sinistro del terzo compagno (fig. 3), 0 nel caso dei piedi del timoniere (fig. 5) abbiamo rinunciato ad una integrazione, perchd ii movimento e evidente anche senza ii piede. Ripeto: tutti i frammenti collegati tra loro combaciano con le code, che da parte loro sono fissate esattamente nello spazio. Perciô i movimenti di tutti questi corpi - con non meno di ventotto tra braccia e gambe e dodici zampe canine - sono provate al cento per cento. Mancano alcuni piedi e molte mani, ma tutte le articolazioni sono conservate tranne ii gomito sinistro del terzo compagno 54
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(fig. 2), di cui esistono perà la mano sinistra fino al polso e ii braccio sinistro con la spalla, in modo che sia possibile colmare la lacuna con un gomito plasmato dallo scultore in guisa degli altri gomiti conservati. Mancano anche le teste dei primi tre compagni sulla fronte del gruppo (figg. 1, 2). Ci siamo visti costretti ad integrare queste teste tramite dei caichi della parte inferiore della testa del quarto e della parte superiore della testa del quinto compagno (figg. 3, 5), perché, se mancano queste teste, non si capisce se I cani le hanno già divorate (ma non c'era 11 tempo per un simile atto) o se sono andate perdute. Non era facile questa decisione, ma ci è sembrata necessaria, per rendere comprensibile ciô che succede. In questo senso ci è sembrato anche opportuno, di dare alla figura di Ulisse sulla nave una testa, anche se di questa testa non sia rimasto niente. Fig. 7. London, British Museum. Medaglio- Per intendere ancora meglio per quale motivo era imne contormato. portante colmare le lacune, si guardi 11 quarto compagno prima e dopo l'operazione della integrazione dei corpi (figg. 1, 3). Il quarto compagno forma con la coda sinistra, che lo avvinghia, una doppia spirale. Le tante lacune nel marmo non permettono, a chi guarda, di individuare bene il movimento. Chiuse le lacune il movimento diventa evidente. Non era invece necessario integrare la testa, perché si capisce senza meno che la parte superiore è rotta. Ii terzo compagno, la famosa figura volante (figg. 2, 3), è ricomposta da piü di cento frammenti combacianti. Ii cane lo morde nel collo e l'infelice si aggrappa alla zampa del mostro che lo aggredisce. Nella nostra ricostruzione non è stato inventato niente tranne la testa (copia peraltro, come si e detto, delle parti esistenti della parte inferiore della testa del quarto e della parte superiore della testa del quinto compagno). Per esemplo, la posizione del braccio destro è provata dall'attacco del puntello sul collo del cane. Un frammento della zampa sinistra del cane combacia con la parte inferiore del torso e coll'orlo superiore con le spalle dell'uomo, e permette con ciO d'integrare la figura cosiddetta volante. Lo stesso vale anche per ii secondo compagno (contando da sinistra a destra in senso antiorario). Il suo movimento (fig. 2) si capisce solo se le gambe sono ricostruite. Egli cade nell'acqua con una panciata e viene afferrato alla spalla destra. La gamba siniStra è ricomposta quasi fin alla punta del piede (fig. 4) da frammenti esistenti. Della gamba destra è conservato l'attacco del dito grande sulla roccia (fig. 6). L'andamento di questa gamba perciô non puO essere dubbio, e, per far capire meglio la figura, abbiamo deciso di ricostruire la gamba destra, anche se esistono solo pochi frammenti. Non era facile individuare ii movimento complesso del primo compagno che cade a capofitto (fig. 2). Chiuse le tante lacune del suo corpo s'intravede questo capitombolo singolare. L'uomo è stato spazzato via dalla nave e cade testa in gifi sopra ii cane che si stende verso il timoniere. La domanda quale fosse il movimento della gamba destra, e stata risolta, quando si scoprI l'attacco del puntello sul dorso del cane. Adesso si capisce subito che questo compagno viene afferrato al volo e che la coscia con uno sbalzo cade sul dorso del cane, come la parte mobile di un correggiato. Nella prima ricostruzione del frammenti originali di Sperlonga (fig. 1)11 cane, la cui posizione è fissata da frammenti combacianti, risulta troppo in alto rispetto alla poppa della nave troppo bassa. Pare che gli scultori abbiano incontrato un problema, quando accostarono Scilla e la nave scolpite da due blocchi separati. Sappiamo, dalle scaglie trovate sul fondo della piscina intorno al basamento, che il gruppo fu scolpito sul posto da due blocchi trasportati a Sperlonga da Dokimeion in Frigia. Per congiungere il cane al timoniere nell'unico punto dove Scilla e la nave si toccano, gli scultori dovettero praticare con rapida scalpellatura un incavo sul dorso del timoniere, nel quale si posa la branca destra del cane. Con ciô si poteva definire esattamente l'altezza della nave. E solo, se la poppa e tanto alta, la mano di Scilla puO affenare ii timoniere per i capelli (fig. 2). 56
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L'ultima figura da ricomporre era Ulisse sul ponte delta nave (figg. 4, 5). Di questa figura esistono, ma non è poco, solo le braccia e le gambe, con cui si poteva ricostruire II movimento dell'intera figura. Net momento in cui gli viene strappa- to it nocchiere dal timone, in modo che la nave rimane senza guida, Ulisse salta a poppa, vibra l'ultima lancia contro it mostro e stende it braccio destro, per afferrare l'unico timone rimasto, quello di babordo. Con questo gesto egli salverà la nave. It terzo colpo di fortuna - completamente maspettato dopo it ritrovamento del frammento cornbaciante tra coda sinistra e base e dopo la scoperta del busto di Scilla di Afyon è stato it ritrovamento di un mosaico a Gubbio (fig. 11) in questi ultimi anni. Venimmo a conoscenza di questo straordinario rinvenimento solo quando la rico(•. struzione del gruppo era quasi finita. Questo mo- saico rappresenta evidentemente la stessa composizione. Purtroppo manca anche qui it busto di Scilia. Si vede perO ii terzo compagno aggrappato con it gomito piegato alla zampa del cane, che to morde net collo. Si vede it secondo compagno afferrato alla spalla e pescato dall'acqua. Nella rappresentazione bidimensionale la figura è osservata da un punto di vista motto basso, ma è evidentemente la stessa anche se 11 movimento delle braccia è invertito. Manca it primo cornpagno, perché AF qui la scena è adattata alle condizioni di una rappresentazione piana. Ii mosaicista ha girato la nave piü a sinistra per far vedere una porzione maggiore del lato largo, piü di quanto si potesse vedere in uno scorcio del gruppo plastico visto di fronte. Lasciando it nocchiere at suo posto it mosaicista ha abbassato it bordo delta nave e ha messo Ulisse in modo illogico in primo piano. Ulisse ha già superato it nocchiere, si rivolge verso Scilla Fig. 8. Afyon (Turchia), Museo Archeologico. Busto e l'aggredisce, con la lancia vibrata col braccio de- di Scilla dalla cava di Iscehissar. stro alzato. Questo cambiamento rispetto at grupp0 originale si rende neceSsario quando un'opera a tutto tondo viene rappresentata in un'unica visione SU una superficie piatta. Per rendere comprensibile ii movirnento di Ulisse, it mosaiciSta gli fa vibrare un giavellotto. Da tutto cia si puO dedurre che it mosaico ripete la stessa composizione a tutto tondo che Si 6 trovata scolpita in una copia in marrno a Sperlonga. Questo fatto e importantissimo per la datazione delta composizione originaria, perché it moSaico di Gubbio si data all'inizio del primo secolo avanti Cristo, cioè cento anni prima dell'esecuzione delta verSione in marmo di Sperlonga, avvenuta dopo it 4 e prima del 26 d. C. Doveva perciO esiStere una versione originate anteriore at mosaico di Gubbio, certamente del secondo secolo avanti Cristo, da cui dipendono sia it moSaico che la copia in marmo. I grandi puntelli, che net gruppo di Sperlonga sono necessari per fungere da sostegni per ii fragile marmo, provano che l'originale del secondo secolo avanti Cristo doveva essere di bronzo. Sappiamo che eSiSteva un simile gruppo bronzeo, it quale nella tarda antichità fu trasportato a Costantinopoli, esibito nell'ippodromo accanto all'obelisco di Teodosio e distrutto dai crociati
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Fig. 9. Sperlonga, Museo Nazionale. Frammenti del gruppo di Scilla combacianti con la coda sinistra.
Fig. 10. Roma. I frammenti fig. 9 inseriti nella ricomposizione del gruppo al Musco della Civiltà Romana.
nel 1204, che del bronzo fuso coniarono monete. Di questo originale parleremo pifl avanti. Torniamo prima alla ricostruzione. Quando abbiamo ricostruito la figura di Ulisse sul ponte della nave, avevamo paura che egli coprisse la figura del quinto compagno. Questa figura (fig. 4) è una delle phi avvincenti. E avvinghiato dalla coda serpentina di pesce ed aggredito da un cane feroce. Chiuse le altre lacune si evidenzia ii suo movimento. Mentre ii cane lo morde sul cranio l'uomo con ii dito della mano sinistra gli strappa un occhio e lo acceca con ii palmo della mano. La nostra paura fu infondata. La figura viene incornidata in modo grandioso dalle gambe divaricate di Ulisse (fig. 4). La composizione di questo gruppo spettacolare è tanto interessante perché l'artista ha scelto un istante gravido di sviluppi; un attimo fecondo, cosi l'avrebbe chiamato Les sing Phi Si vede, phi si deve aggiungere nei pensieri, e phi si aggiunge, phi si deve credere di vedere. Ii momento in cui l'artista ha fissato tutto ciO che Si vede svilupparsi davanti agli occhi, e ii momento del salvataggio della nave, quando Ulisse afferra ii timone. Un attimo prima Scilla, avendo già buttato gift dalla nave cmque compagni, ha afferrato ii nocchiere. A questi le gambe vanno in aria, perché ha in sé ancora l'inerzia del movimento della nave. L'aphlaston di poppa si avvicina velocemente e urta contro la mano di Scilla, che nel proSSimo batter d'occhio deve lasciar andare ii nocchiere. Questi si aggrappa con la mano sinistra alle coordinate della nave e forse riuscirà a tenersi attaccato alla poppa. Ma non è sicuro, perché si nota nei suoi occhi dilatati, con le pupille dipinte, ii terrore con cui guarda sotto di se nell'abisso di Cariddi (fig. 5). In questo momento i tre compagni d'Ulisse, che essa aveva buttato davanti alle sue protomi canine (fig. 2), si trovano in tre fasi successive alla caduta. Si leggono i tempi da destra a sinistra, cioè in senso orario. Ii terzo compagno di destra, caduto per primo, vola in alto tirato su dal cane che lo morde sul collo. Ii secondo compagno e caduto con una panciata sulla scogliera. Ii cane si china per afferrarlo. Ii primo compagno in questo momento cade a capofitto e viene afferrato dal cane al volo. Alle spalle di Scilla (fig. 4) ci sono le code, che prendono la preda e la offrono ai cani. Ii quarto
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Fig. 11. Perugia, Soprintendenza Archeologica. Mosaico con rappresentazione di Scilla da Gubbio. compagno (fig. 3) e volto verso ii lato sinistro di Scilla, ii quinto verso ii lato destro. S'intravede la sua faccia contorta tra le gambe di Ulisse (fig. 5), che prende la guida della nave mentre gil viene strappato ii nocchiere. Adesso ci sarebbe molto da spiegare sull'arte del grande bronzista ellenistico sconosciuto, che creà questo gruppo; sarebbe da parlare molto di Atandoro, Agesandro e Polidoro, che lo scolpirono in marmo come del resto ii famoso gruppo del Laocoonte. Ci sarebbe da dire molto sui resti dei cobri che si trovano sui marmi. Cia si deve lasciare alla pubblicazione finale, alla quale sto lavorando. Volevo dare qui una prima notizia in onore di Ernesto De Miro, che vive ed insegna nella città dello stretto di Messina, dove gil antichi collocarono la scogliera di Scilla e ii gorgo di Cariddi. Ii gruppo di marmo per volontà dell'imperatore Tiberio era esposto a Sperlonga. Ii gruppo bronzeo, che servi da modello all'incisore del medaglioni contorniati (fig. 7), dell'app?ique di Vienne, del mosaico di Gubblo, della ceramica ellenistica a rilievo di Rodi doveva essere esposto a Rodi in quanto monumento ai caduti nella guerra contro I pirati verso ii 180 a. C. Se possiamo credere a non meno di cinque testimoni oculari 11, di cui abbiamo delle descrizioni dettagliate, 11 gruppo Sin dal sesto secolo dopo Cristo si trovava a Costantinopoli ed era esposto sulla spina dell'ippodromo accanto all'obelisco di Teodosio. Di questa esposizione esiste una testimonianza nella famosa gemma mediobizantina del museo di Istanbul 12, che rappresenta una corsa di quattro quadrighe intorno alla spina. Si vede l'obelisco al centro e alla sua destra un monumento, che potrebbe essere proprio 11 gruppo di Scilla. Essendo la larghezza della gemma solo un centimetro e mezzo, ii disegno del monumento nell'originale è alto un millimetro, ma si vedono il braccio sinistro alzato e tre cani che prorompono dalla vita del mostro. C'è chi crede di poter individuare in questo disegno la figura di una Cibele cavalcante su un leone. Ma siccome la gemma è di epoca mediobizantina, non puô rappresentare nessun altro ippodromo se non quello di Costantinopoli ed e noto che sulla spina di questo ippodromo accanto all'obeli59
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sco era esposto ii gruppo di Scilla e non un gruppo di Cibele sul leone. Sarebbe anche molto strana in quell'epoca la rappresentazione di una Cibele sul leone. Perciè tutti i Bizantinisti da me interpellati hanno dichiarato che l'interpretazione piLi probabile del disegno sarebbe una rappresentazione del gruppo di Scilla, che comunque era esposto in questo luogo. La ricomposizione del gruppo di Scilla del tipo rodiese Sperlonga-Costantinopoli fa riconoscere un capolavoro di scultura ellenistica di un'importanza epocale. Come abbiamo cercato di dimostrare altrove 13, l'originale rodio e stato creato come monumento della vittoria della guerra contro I pirati intorno al 180 a. C. a Rodi. A ricomposizione ultimata si vede ancora meglio che questo capolavoro della famosa bronzistica di Rodi sembra essere stato un importante predecessore storico-artistico dell'Ara di Pergamo, monumento della vittoria della guerra contro i Galli nel 166 a. C., di cui finora non si potevano evidenziare le radici nell'arte ellenistica. Ma questo è un altro tema 14
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NOTE B. ANDREAE - C. PAPJSE Pasicca (edd.), Ulisse. Il n'iito e la mernoria (Catalogo della Mostra Roma 22 febbraio-22 settembre 1996), Roma 1996; ibid., B. CoNTIcEILo, Ii gruppo di Scilla e della nave, pp. 280-315; ibid., B. ANDREAE - S. BERTOLIN, Scilla: schede, pp. 298-305. 2 B. ANDREAE - C. PARISE PRasIcce (edd.), Ulisse, cit., p. 154, cat. nr . 2.69. B. ANDREAE, Laocoonte e la fondazione di Roma, Milano 1989. B. ANDREAE, in B. CONTICELLO - B. ANDRrRE - P. C. BOL, Die Skulpturen von Sperlonga, in Antike Plastik 14, 1974, p. 85. B. C0NTIcELL0, in B. CONTICELLO - B. ANDREAE —P. C. BOL, Die Skulpturen, cit., p. 13, p. 19 nrr. 67-87. 6 G. JAco p!, L'Antro di Tiberio a Sperlonga, Roma 1963, p. 118, fig. 112; B. ANDREAE, Praetorium Speluncae. L'antra di Tiberio a Sperlonga ed Ovidio, Soveria Mannelli 1995, p. 128, fig. 69. J. RODER, "Macmar Phrygium", Die antiken MarmorbrOche van Iscehissar in Westanatolien, in JDAJ 86, 1971, pp. 251-321; D. MONA - P. PENSABENIE, Marmi dell'Asia Minore, Roma 1977, pp. 29-77; R. GE0LI, Marinora Romana, Roma 1988, pp. 169-171; H. MIELsCH, Buntmarmore ens Rom im Antikenmuseun3 in Berlin, Berlin 1985, p. 24, fig. 7. 8 B. ANDREAE - C. PARISE PREsIccE (edd.), Ulisse, cit., pp. 290 s., figg. 7-9, pp. 362 ss., cat. 5.14. B. ANDREAE, Praetorium, cit., pp. 90 s. figg. 46-47. ° J. G. E. Lassio, Laakaon, Berlin 1776. 11 B. ANDREAE, in B. C0NTIcELLO - B. ANDREAE - P. C. BOL, Die Skulpturen, cit., p. 83, n. 53. 12 B. ANDREAE - C. Pse PREsIccE (edd.), Ulisse, cit., p. 365, cat. 5.17. B. ANDREAE - B. CONTICELLO, Skylla und Charybdis. Zur SkyllaGruppe von Sperlonga, Abhandlungen Akaden3ie, Mainz 1987 (tr. it.), in PP 42, 1987, pp. 343-394. 14 Su questo tema è in corso di stampa un mio articolo con 11 titolo Dec hellenistische Hochbarock und Michelangelo. Varganger und Nachfolger des Pergamanaltares, in Belvedere, Zeitschrift für Bildende Kunst 2, 1997.
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PAOLO EMPJc0 ARIAS
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LA CERAMICA GRECA FRA IL V E IL IV SEC. A.C. RINVENUTA IN ITALIA Esiste un periodo della pittura vascolare greca attica che offre ancora oggi, assai spesso, una inquietante serie di problemi; e quello che va dalla fine della guerra sfortunata del Peloponneso e l'inizio di una politica ricostruttiva nei confronti della supremazia marittima di Atene alla riconquista di un cosiddetto impero che in realtà durerà assai poco. Fra le officine attiche del Ceramico si insinua, insomma, una ricerca scientifica, che possiamo definire anche pittorica, con una tendenza sempre pifl decisa verso una struttura stilistica espressiVa; essa tuttavia conserva ii controllo necessario attraverso la permanente tradizione classica. Un'epoca che fa seguito alle prime colonie attiche in Magna Grecia e si manifesta in alcuni pittori vascolari finora ancora inseniti nella grande serie attica degli inizi del IV secolo a.C. Forse il pittore vascolare pifl significativo, in questo senso, e quello di Suessula 1, seguito da quello di Meleagro; ambedue oggi tornano all'attenzione degli studiosi attraverso una piü intensa e controllata attnibuzione di pro dotti delle loro officine, rinvenuti a Spina,. Qui parleremo del pittore di Suessula, (fig. 1) in attesa che un altro studio sul pittore di Meleagro, che sta per essere compiuto, dia risultati concreti. Denominato dal Beazley 3 dal toponimo della località campana, Suessula, vicina alla antica Acerra 4 non ha ancora trovato la collocazione che merita, ed e forse giunto ii momento di aifrontare in parte con un certo coraggio, una analisi della sua posizione cronologica e stilistica, ormai giunta ad un punto critico. Ii vaso principale della sua officina, come tutti sanno, e appunto quell'anfora a due anse di forma rastremata verso il basso, oggi al museo del Louvre a Parigi, dove è rappresentata una complessa scena di lotta fra divinità greche e giganti, giustamente famosa5. Già nel 1966 Pierre Devambez 6 in un articolo su di un dettaglio di quella scena (cioè sulla presenza, considerata spesso anomala, per l'episodio immerso nella Gigantomachia) si è fermato sul dettaglio della figura di una amazzone, colpita a morte dall'incombente gigante, ed ha messo in rilievo l'assurdità della notizia antiquaria corrente, che la grande anfora sia stata rinvenuta a Me/os. La ben nota isola delle Cicladi, tristemente famosa per il crudele assedio subito da Atene in un momento decisivo del grande conflitto fra la Polis e la politica persiana, è proprio fuori luogo. I dubbi avanzati su quella provenienza, diceva ii Devambez, si accrescono quando si rifletta che quel cimelio "al pari del cratere di Ta/os e quello di Pronomos, appartiene ad una categoria assai poco rappresentata nelle nostre collezioni (intendeva dire: del Louvre) e che dovette essere infatti assai limitata, doe quella dei grandi lussuosi vasi che, nonostante 11 marasma economico, alcune officine attiche continuavano a creare, a lato di una produzione corrente di natura mediocre, per alcuni clienti nicchi, sul volgere del V Sec. e del IV Sec. a.C., quando sono state raccolte le altre opere del pittore di Suessula la cui provenienza e nota. E possibile che, in questa triste epoca, ci si sia imbattuti in compratori di vasi di tanto pregio, fuori d'Italia dove invece sono state raccolte le altre opere la cui provenienza ci è nota? Ed è verosimile credere che se ne Siano trovati in quella piccola isola di Me/os che (dopo l'epoca lontana in cui traeva i suoi guadagni dal commercio dell'ossidiana) non aveva fatto altro se non vegetare, e la cui situazione intorno al 400 a.C. era stata assai poco splendida?". E qui si allude alla feroce spedizione ateniese del 415 a.C. I dati dell'acquisto dell'anfora, cosiddetta di Me/os, avvenuto il 30 luglio del 1874 non sono molto precisi. Si sa che era stata comprata quando Leon Heuzey era conservatore del Museo del Louvre. Ii Devambez non crede all'esistenza di un collezionista riccone che tiene in casa un vaso cos! prezioso negli anni 70 nella cittadina di Angers, dove venne conclusa la vendita, e conclude: "E dunque dall'Italia, in realtà, che proviene la nostra anfora che era in quel tempo quasi 61
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la nutrice degli amatori dell'antichità". La descrizione minuta di questa anfora a f.r. (alt. cm 68) è stata aifrontata phi volte e quindi anche dalla ricostruzione della complessa scena di questa lotta gigantesca a suo tempo inserita nello scudo della Athena Parthenos di Fidia, realizzata in un famoso saggio di Arnold von Sails 7 . Ancora oggi quello studio, per quanto sia stato integrato da altri cornmenti, resta fondamentale per capire proprio questo straordinario soggetto mitologico. Ma l'intervento del Devambez non si limita al problema della provenienza dell'anfora parigina; perché si ferma su di un particolare piuttosto strano, sul quale molti studiosi hanno espresso qualche perplessità: si tratta della curiosa presenza, ad un certo punto, della figura soccombente di una Amazzone assalita da un Gigante. La scena nel suo compiesso comprende Zeus e -. / . Poseidon (sui due lati opposti) Atena con Apollo ed Artemide Dioniso Ares Ermete Ecate Deme ter e Kore Ma fra le divinita nominate e chiara I mente identificabili ne manca una importantissi flma perche sposa di Zeus e indicata in una fonte piuttosto tarda e poco conosciuta come parteci p ante e addirittura vittirna di un Gigante Era / \( jLa disposizione dei personaggi a struttura pi / ramidale e piuttosto semplice Ii gruppo principa le comprende Zeus orgoghosamente in piedi da -----j1 vanti al suo carro che colpisce un gigante a sua - volta oggetto della accurata mira di un eroe come .--- Eracle a sinistra in ginocchio; e reso in un atteggiamento che ricorre assai spesso in Gigantomachie rappreSentate su vasi phi antichi del nostro, specialmente quelli del pittore dei Niobidi. Ii gi-- •- gante oggetto del duplice attacco è Porfirione, re di quegli esseri selvaggi, citato anche in una iscrizione posteriore alla grande opera della Parthenos fidiaca (fig 2) Sulla destra appena un p0 piu in basso di questi personaggi una figura femmrnile caratterizzata indubbiamente come una amazzone colpita dalla lancia del gigante, sta per crollare accasciata dal dolore; e senza copricapo, indossa Fig. 1. Parigi Louvre. Lato a deli anfora da Melos una sottile e brevissima clamide a tunica che si con Zeus che assale Porfinone. estende su di una coscia, ha calzari alti tipici di personaggi di origine asiatica; cerca di afferrare, ancora a sinistra con la punta delle dita, ii piccolo scudo lunato che sta per sfuggirle di mano, mentre ii braccio destro Si abbandona sul capo cercando invano di afferrare una lancia. L'identificazione di una amazzone è, diremmo, chiarissima. Le ipotesi fatte sono state moite, e le prime sembrano proprio insostenibili. Lo Heydemann riteneva che fosse Ens, simboio delia discordia, ma conosciarno già questa figura simbolica, mai resa come amazzone ma come personaggio che compare per esempio nel Giudizio di
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Paride o simbolo di Mania" e fornita di frusta, mentre la presenza dello scudo lunato non c'entra affatto con questa ibrida rappresentazione di Ens. Esciudendo anche l'idea del Farnell che vedeva addirittura nella figura femminile una Gigantessa, non altrimenti nota, ed ancor meno di Gorgone figlia di Ghe (ben diversamente caratterizzata dovunque) si è presa per buona la identificazione con Erythra, una figlia di Porfirione, immaginabile presenza riferibile ad una fonte poetica perduta, dove si parlava appunto delle vicende del gigante (Furtwangler). Non si deve dimenticare tuttavia che sullo scudo della Parthenos era rappresentata all'esterno una Amazzonomachia a rilievo, mentre all'interno era la Gigantomachia; questo porterebbe a pensare a qualche intrusione, da parte di qualche artigiano di un elemento mitologico diverso da quello principale (la Gigantomachia). Perché l'incertezza della vera fonte figurativa di questo dettaglio (che sembra emanare da una necessità narrativa) aumenta, se e possibile, in questa situazione anomala, immaginando Simile soluzione, un'unica via che ii Devambez trova per risolvere il non facile problema e la rilettura di due fonti letterarie anzitutto quella della Biblioteca dello Pseudo - Apollodoro e poi quella, Fig. 2. Dettaglio del lato dell'anfora parigina attridubbiamente affascinante, di Aristofane (Ay es, v. buita al pittore di Suessula. In alto Zeus che assale 1633) dove Pistetero afferma: "Era, io la lascio a Porfirione, a ds. figura di amazzone che sta per crolZeus mentre la giovane Basileia bisogna darmela lare mentre ii gigante con la mano abbassata cerca in moglie" 8 Il Vian 9 richiamando una rappresen- di afferrarla. tazione figurata sul cratere del pittore di Altamura ora a Londra, ha confermato l'esistenza di una figura di Era che afferra un giovane Gigante sul suo elmo e che con la mano destra tiene evidente una chiave del tempio, mentre sul suo volto appare una espressione di dolore quasi amoroso. E qui compare l'importanza della notizia di Apollodoro; "Porfinone, durante la lotta si precipitO su Eracle e su Era; Zeus gli ispirO il desiderio di Era, ed essa chiamO aiuto mentre egli strappava il suo peplo, e tentava di violarla. Zeus allora fulminô Porfirione ed Eracle lo soppresse con la sua freccia". In questa descrizione, indubbiamente sommaria ma significativa, potrebbe vedersi la ragione, non capita dal pittore vascolare, della presenza di questa figura fernminile che sta per crollare, ma conserva nella espressione dolorosa e romantica, nonché nel dettaglio sottile di quel panneggio disteso sul suo corpo ed al quale sta per arrivare la mano di Porfirione. Ma l'anfora di Suessula non è isolata nella produzione del nostro pittore, del quale occorre ora occuparsi con maggiore attenzione. Secondo il Beazley 1° erano da attribuirsi al pittore vascolare al 1963, 14 vasi, phi qualche frammento ("probably" egli dice) di cratere a campana di Cambridge, dell'Agord di Atene, di Wunzbung (questo, al solito, derivato da un filo rosso che per decenni ha legato quel Museo di W. ai frammenti numerosi di vasi provenienti da Taranto). Qui appare una scena di Gigantomachia appartenente ad un cratere con volute 11• Il centro delle identificazioni "beazleyiane" e costituito da alcuni vasi della collezione Spinelli di Suessula, uno dei quali ora a Boston altri a New York mentre quello da Napoli a quel Museo è stato rinvenuto nel 1935. Queste quattro anfore con anse tortili sembra propnio che appal-tengano alla stessa officina cumana che cos! grande importanza ha assunto negli studi di Ettore Gabnici effettuati agli inizi del secobo in quella città euboica 12 . Due dei vasi da Suessula ora a New York contengono scene di combattimento fra un greco e una amazzo63
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Am mnFig. 3. Ferrara, Museo Archeologico Nazionale di Spina. Lato A del cratere a volute della tomba 136 di Valle Pega. Sul collo scena dionisiaca. Al centro, sotto: probabile Creusa con Ascanio, Aiace, Cassandra, eiclolon di Atena Iliás, Priamo, Andromaca, Astianatte, Neottolemo, Ecuba. 64
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ne, e sembra proprio che rispecchino nei dettagli del contendenti e pifi ancora nella struttura dei movirnenti, particolari atteggiarnenti del personaggi che formano la grande Gigantornachia. Lo dice addirittura anche Gabrici, anche senza un cornrnento in proposito del Beazley ii quale prudentis simo sempre ha molto rispetto dei giudizi di Ga brici. L anfora di New York con scena di congedo r-' i5j: di un guerriero, al fianco del suo cavallo, in cui si j distingue una certa policrornia delle figure e certa j rnente dello stesso pittore di quella del Louvre. Ii nove Settembre 1954 vemva scoperta in Val 7JJ1 -'1RU le Pega dopo diversi rinvenimenti di tombe sul r dosso A, la Tomba 136 della zona sotto controllo. Nel corredo compariva in grandi frammenti ii cratere (figg. 3-4) convolute su alto piedelavorato a parte con sul lato A la scena della cosiddetta Ilioupersis e sul lato B quella di una lotta fra Lapiti e Centauri. Ii cratere e stato da me pubblicato nel 1955 13: ambedue questi motivi figurati - notissimi nella ceramica greca di stile tardo severo fra i quali spicca quello sulla idria Vivenzio del Museo Nazionale di Napoli del pittore di Kleophrades e quello della centauromachia ampiamente ripreso nella cerarnica figurata della stessa epoca ispirata sia alla tradizione della pittura parietale pollgnotea sia al grandi vasi che ne derivano - sono un patrirnonio cornune della grande officina del Ceramico ateniese che si riporta alla tradizione della grande arte di Polignoto e di Fidia. Gli echi di questa corrente dominante nel Cerarnico non Fig. 4. Ferrara, Museo Archeologico Nazionale di SOflO scomparsi neanche nei prirni decenni del Se- Spina. Lato B del cratere a volute della tomba 136 di colo successivo. E crediarno che anche la presen- Valle Pega con scena di centauromachia. za di arditi scorci che abbondanternente fioriscono sull'anfora del pittore di Suessula siano da coblegarsi, insieme con quelli che si colgono sui vasi del pittore di Meleagro, del pittore di Pronomos, ed in genere dei maggiori artigiani della prima metà del IV secolo. Quando stavo studiando ii cratere rinvenuto a Spina, scrissi al Beazley chiedendogli un parere; ero stato colpito, come tuttora lo sono, dabla struttura di questo imponente cratere con volute, decorato soltanto nella meta superiore da fregi figurati; oggi non si tratta piü di ritenere questa forma una assoluta novità. Ii Beazley mi rispose con la solita ormai sperimentata cortesia e premura, che non se la sentiva di pensare ad un prodotto di una officina non greca. Certamente ancora adesso non è possibile pensare ad una officina diversa, ma la situazione di queste notevoli espressioni di ceramica greca su suolo non attico ma italiota e profondamente mutata. Ii confronto va subito non tanto al creatore di forma simile a quello della Tomba 136A di Spina proveniente da Gela ed ora New York ma corre verso hen pii originale e rara forma di cratere "di tipo dinoide" senza dati di provenienza, ma capitato nella cobbezione del Museo Paul Getty di Malibu. L'attribuzione del cratere di Spina al pittore di Atene 12255 (Beazbey ARV2 , 1435) in base al confronto col cratere a calice dell'Avana non regge assolutamente (fatto dab Mc Phee cfr. R. Olmos, Catalogo Mus. Avana, Madrid 1993, n. 96, p. 202-204). Purtroppo per quanto riguarda Cuma, sappiamo che quegli scavi condotti dal sostituto di Gabrici, che era lo Stevens, hanno dato dei materiali abbondantissimi sistemati in armadi dove non e riII
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masto, a suo tempo, alcun segno di corrispondenza con i dati di scavo; questo ha reso noto nel 1967 ii Trendall. £ quindi resta non facile certamente oggi la sistemazione cronologica, e di conseguenza stilistica, di una notevole quantità di materiali sicuramente provenienti da Cuma. Ma a questo punto riteniamo davvero che sia affidato a qualche giovane studioso (locale o addirittura straniero che abbia voglia di cimentarsi in un compito cos! arduo) una revisione accurata del problema cumano che concerne soprattutto la prima metà del IV secolo a Cuma. La questione si complica quando pensiamo che nel 1928 Karl Schefold intraprese una accuratissima indagine, completa per quel tempo, su vasi provenienti dalla grande colonia greca di Panticapeo (Kertsch) in Crimea 14; in quella occasione Jo Schefold fece un vaghissimo accenno alla affinità pittorica e stilistica delle ceramiche italiote; questione che non è stata ancora, ci sembra, ripresa come meriterebbe. Crediamo invece che il nostro Pittore, trattando uno schema di grande tradizione attica appartenga ad una officina italiota che da decenni attende di essere pienamente indagata dagli studiosi della pittura vascolare Cumana. Siamo in un momento assai singolare della attività delle officine campane; e se non ci fosse stata quella circostanza cos! inquietante circa le vetrine dei magazzini dei materiali degli scavi cumani, ci troveremmo in una condizione ben migliore. Comunque sia abbiamo ancora tante cose da dire su questo pittore come su quello che si sta per affrontare nei riguardi del pittore di Meleagro. Ii compito di trasmettere in ambienti lontani da Atene le immortali conquiste della pittura parietale e della scultura della grande scuola fidiaca, sembra ad un certo punto che passi nelle officine delle colonic di occidente e soprattutto in quelle che stanno intorno alle regioni centro meridionali della Magna Grecia; Jo Stesso pittore di Pronomos 15 cos! ricco di richiami culturali di grande ispirazione sembra proprio avvertire questa esigenza. Ii culto della memoria di un grande passato attraversa questi pittori che non sono "mediocri", come qualcuno ha osato dire, perché hanno avuto ii coraggio di credere in un momento fulmineo della grande arte ateniese (intorno alla metà del V secolo e poco dopo di questa) dell'Atene Periclea. NOTE Su questo pittore, anzitutto J. D. BEAZLEY, Attic Red Figured Vase Painters, Oxford 1963, pp. 1344 - 1346. Si veda quanto ho appena accennato in SIFC a proposito del cratere con volute della tomba 136 a V.P. a Spina, 1995. Sulla località campana di Suessula antica, vicina ad Acerra, e sine suffragio cfr. ora M. R. BORRIELLO , s.v. Cancello, in G. Neaci G. VALLET, Bibliografia topografica, Roma - Pisa 1985, pp. 340 -344, nonché nostra n. 1. Sulla coilezione di vaSi, bronzi e monete della tarda eta del ferro e successive necropoli che formano ii nucleo della collezione del marchese Spinelli iniziata con gli scavi del proprietario nel 1879, ed ora nel suo nucleo, assai ridotto dopo gli eventi beilici, al Museo Nazionale di Napoli si veda I'introduzione di M.R. BORPJELLO, CVA LXVI, (vol. IV di Napoli), Roma 1991, pp. 1-2. Sulla scena di Gigantomachia che deriva da una consolidata tradizione figurata anche precedente a quella di Suessula, cfr. la rappresentazione sullo scudo della Athena Parthenos di Fidia, F. VIAN, Repertoire des Gigantornachies, Paris 1951, p. 86 nr. 392; per P frammento di Wurzburg, p1. XLVI, nel volume di commento al Repertoire, p. 149 ss. dove si parla della scena dell'interno dello scudo della Parthenos, e del rapporto fra ii frammento di W. e l'anfora di Suessula, anche in seguito all'articoin fondamentale suiproblema fidiaco, A. VON Ssus, inJDAI 55, 1940, pp. 90-169, e particolarmente pp. 125-126, 133. 6 P. DEVAMBEZ, L'Amazone de l'amphore de la Gigantomachie do Louvre et le Boucher de la Parthenos in Chairisterion, Athenai 1966, pp. 102-106. A. VON SALIS, cit., specialmente alie pp. 125-126, 131, figg. 20, 25. 6 Su Apollodoro ora cfr. Apollodoro, I mitt greci, Milano 1996, I, 6, 35, 2, p. 25. "Porfirione invece durante la mischia, si lanciP contro Eracle ed Era. Ma Zeus suscitO in lui 11 desiderio di Era, ii gigante le strappO le vesti cercando di violentarla e la dea chiamava aiuto. AJlora Zeus scaglia un fulmine ed Eracie lo colpi con una freccia e lo uccise". Devambez non manca di osservare la situazione obbiettiva di quel personaggio che sembra tentare di allungare la mann su quella gamba sinistra della cosiddetta Amazzone. Se cos! stanno le cose e da pensare che il pasticcio sulla incomprensione della figura di Era possa nsalire addjnjttura alla scena dell'interno dello scudo della Parthenos che come è noto, riproduce appunto una lotta contro le amazzoni e non una Gigantomachia che, invece, era sulla parte esterna dello scudo della dea. F. Vrta, La guerre des Gèans, Paris 1952, pp. 197-198, pp. 208 209; p.226; p. 228. Jo. in LIMC VII, 1994, pp. 443-444. Per il cratere del pittore di Altamura in cui Era tiene la chiave del tempio nella destra ed ha un atteggiamento, dice il Devambez "quasi seducente" si veda anche F. VIAN, Repertoire, cit., p. 69. 10 J D. BEAZLEY, Attic Red Figured Vase Painters, cit., pp. 1344-1346.
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A. VON SALIS, cit., P. 133, fig. 25. E. GABRICI, Cuma, in MonAL 22, 1913, cc. 682-684 nonché, importante, l'anfora di Boston (coil. Borelli) di cui CASKEYBEAZLEY, Att. Vasepaintings, Oxford 1954, pp. 87-88, p. 173. 13 La tomba 136 VP dosso A col grande cratere decorato soltanto da figure nelia parte superiore e, nel resto, da semplici strigiiature verticali dipinte di nero cfr. P. F. ARIAS, in RIA 1955, cfr. F. BERTI - G. Guzzo (edd.) Spina, Storia di uno città di Greci ed Etruschi, (Catalogo Mostra 1993/94), Ferrara 1993, nfl. 440-537, pp. 302-307. Non c'è bisogno quasi di aggiungere che questo imponente cratere trova ora qualche riscontro nella forma sia con queilo non decorato da Gela, ora a New York, ma soprattutto con quello di Malibu del pittore di Meleagro; cfr. L. Buaa, Greek vases in the P. Getty Museum, Malibu, California 1991, pp. 107- 130 e specialmente le figure 2-3, p.1 12. 14 K. SCHEFOLD, Untersuchungen an Kertscher Vasen, Berlin 1934 (nonché ID., Die Kertscher vasen, Berlin 1930. Ma per avere una idea del problema del quale accenniamo va anche tenuta presente la ricerca ampia di H. METZGER, Las reprèsentations dens la cèramique attique du IVsiecle, Paris 1951, p. 51 n. 1, p. 349, n. 3. Ilrapporto della "imagerie" del IV secolo con la Magna Grecia è appena sfiorato, e tanto meno queilo deiio stile di Kertsch con quello delia Magna Grecia. E giustamente, perchb l'Attica indubbiamente dominante nelle colonie della Russia Meridionaie appare in Magna Grecia in momenti diversi. Oggi i rapporti andrebbero indubbiamente meglio chianti. E tuttavia si vedano le importanti allusioni contenute nel recente libro di J. BOARDMAN, The Greeks Overseas, London 1980 nel capitolo pp. 192 -198. Se ricordiamo questo pittore cos! affascinante non è certo per contrastare il carattere attico della sua ricca esperienza artistica, ma per ribadire (e ce n'è bisogno) che egh, sensibile alla policromia trionfante neila Magna Grecia e specialmente nella zona centrale sia in Campania e in Apulia, andrà ancora studiato per quanto riguarda il cratere di Ruvo; e senza dimenticare tuttavia un suo assai malnidotto cratere a campana della stessa officina rinVenuto nella Russia meridionale. Cfr. per il cratere di Ruvo P.E. ARIAS - B.B. SHEFTON, Greek Vase Painting, London-New York 1961, p. 377 ss. e pis. 218-219; peril cratere a campana di Baksy, B.B. SHEFTON in The Eyes of Greece (Misc. Webster), Cambridge 1982, pp. 4-140. 11
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MARCELLA BAR BAGNASCO *
NOTE SULLA COROPLASTICA RINVENUTA NELL'AREA INDIGENA DELL'ANTICA BASILICATA (VT-Ill SEC. A. C.) Non è difficile trovare argomenti che si prestino a essere inseriti in una miscellanea di scritti in onore del Prof. De Miro, considerata la varietà dei temi che Egli ha approfondito nella sua attività di archeologo. Pensando, in particolare, ai suoi studi sul mondo indigeno, ho scelto - come mio omaggio personale - di fare ii punto sullo stato delle ricerche per quanto riguarda le terrecotte provenienti dagli scavi sinora condotti nell'antica Basilicata.
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1. INTRODUZIONE
La Basilicata rappresenta oggi campo di particolare interesse per mettere a fuoco aspetti dell'ambiente italico, grazie all'incremento che ha avuto la ricerca archeologica su questo specifico problema negli ultimi decenni. Tuttavia, tra i numerosi materiali messi in luce e studiati, la coroplastica si è vista assegnare un ruolo minore, un'attenzione un p0 ' limitata, fatta eccezione per alcuni complesSi - specie aree sacre - che sono stati pubblicati in modo phi o meno esauriente'. Sembra quindi Utile puntare l'attenzione sui principali problemi collegati a questa produzione che, attraverso ii tempo, sempre phi venne coinvolgendo il mondo indigeno, secondo quanto indica la massiccia presenza di tenecotte circolanti. Dico subito, anticipando quanto vedremo phi diffusamente in seguito, che gli apporti indigeni alle invenzioni iconografiche di questi ex voto furono piuttosto limitati. La religiosità locale, nata aniconica, cedette un po' supinamente alla suggestione degli exvoto in argilla, prodotti a stampo nelle città coloniali: si trattava infatti di oggetti piacevoli sotto il profilo estetico, di basso costo, e che potevano facilmente essere assimilati a istanze devozionali indigene. Non è mia intenzione - e sarebbe qui troppo lungo - analizzare in maniera sistematica i molteplici temi e iconografie che circolavano nell'area prescelta: mi limiterO ad alcune osservazioni generali sui contesti di provenienza e sui luoghi di produzione, ricavando poi conclusioni relative ai modi di accettazione dci fittili di origine greca nel mondo indigeno. Una prima osservazione è che il ventaglio di temi presenti in eta arcaico-classica è assai phi limitato rispetto a TV-Ill sec. a. C.: l'osservazione deve essere perà valutata con prudenza, in quanto, allo stato attuale delle ricerche, i trovamenti riportabili all'età phi antica sono decisamente inferiori come numero. Una seconda considerazione di carattere generale è ii perdurare di alcuni temi dall'età arcaica all'ellenistica, ovviamente con trasformazioni a livello iconografico. I casi phi evidenti sono rappresentati dalla figura femminile in trono e da quella di offerente, nonché dalla madre con bambino, la kourotrophos. La for-tuna di questi soggetti, anche nel mondo greco, si lega al loro valore universale, che i singoli contesti di volta in volta qualificavano: ad esempio, la figura in trono e Afrodite o Persefone a Locri e Crotone, oppure Hera, a Poseidonia e al santuarlo di Foce del Sele. In particolare, la figura femminile in trono appartiene a una rappresentazione mentale, comune a quasi tutte le civiltà, di dea madre, simbolo di fertilità sia nella vita agricola che nel contesto domestico. Non a caso sono le statuette di figure in trono che si rinvengono con maggior frequenza nelle case, phi spesso nella stanza destinata alle attività femminili, connotate talvolta dalla presenza del telaio. Qui divengono elemento di protezione dell'oikos, secondo un concetto generale che comprende le persone, la prosperità economica, lo sviluppo e la continuità della famiglia2. 69
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2. CONTESTI DI PROVENIENZA
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Alla continuità di presenza, attraverso ii tempo, delle statuette di terracotta in tutto ii mondo indigeno della Basilicata fa riscontro la continuità del contesti di provenienza. Tuttavia, lo stato attuale della ricerca consente di analizzare in modo pifi approfondito la situazione del secoli pifi recenti, grazie al numero superiore di reperti riconducibili a questo periodo. In ogni modo, anche se la quantità dei documenti è decisamente inferiore per l'età piLi antica, e possibile porre in evidenza due analogie tra realtà di eta arcaico-classica e di eta ellenistica. Anzitutto, permangono tre i contesti di provenienza della coroplastica e cioè aree sacre, tombe e abitati. In secondo luogo, in nessun periodo sembra di poter enucleare temi creati appositamente per determinati contesti: non esistono, per cos! dire, temi con valenza specifica. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, ricordo che fin dall'età arcaica gil stessi tipi di fittili presenti in alcune tombe, sono stati restituiti anche dalle aree sacre. Basti citare ii caso del due esemplari di protomi e delle tre dee in trono presenti sia nelle sepolture di bambino ad Alianello (figg. 1, 2) che nella stipe di Garaguso 4.
*Eii m
•Ii*i
Fig. 1. Policoro-Museo. Alianello-Cazzaiola, tomba Fig. 2. Policoro-Museo. Alianello-Cazzaiola, tomba 612, protome femminile (2.23). 612, figura femminile in trono (2.24). Come è logico, ii contesto che offre una documentazione pifi ricca rimane sempre l'area sacra. In particolare, la presenza di moltissime terrecotte con figura femminile seduta trova giustificazione leggendovi una rappresentazione miniaturizzata ispirata alle grandi statue di culto, in materiali pifi pregiati, che costituivano ii punto centrale della sacralità del vari santuari. Per la Basilicata indigena un interessante documento in tal senso e rappresentato dalla statuetta in marmo - alta appena cm 21,8 - rinvenuta, unitamente alla riproduzione in scala ridotta di un tempio, a Garaguso . I ritrovamenti phi significativi per l'età arcaica e classica sono certamente quelli di Garaguso e Timmari, mentre per ii periodo TV-Ill sec. la Basilicata indigena offre una ricca gamma di santuari, di varia connotazione anche a livello delle strutture 6 - da quello federale di Rossano di Vaglio a quel70
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ii "circondariali" di Timmari, S. Chirico Nuovo, Chiaromonte, Colla di Rivello, ecc. - all'interno del quali sono state scoperte centinaia e centinaia di statuette 7. Poco frequente e invece la deposizione di fittili in tombe di eta arcai ca, contrariamente a quanto aiene - n dal VII secolo - per altri mate-' riali derivati dal mondo greco: armi, bacili, ornamenti in bronzo, ferro e 8 ambra, per citare I principali Non è soltanto limitato ii numero delle terrecotte rinvenute, ma anche quello delle zone di provenienza. Ad esempio, le statuette sono completamente assenti dalle necropoli di Chiaromonte (Contrada Serrone e Sotto La Croce), di Latronico (Colle dei Greci), e di Guardia Perticara. Nella necropoli di Mianello (Valle dell'Agri) - l'unica ad aver fornito sette esemplari - le terrecotte sono co- munque in numero cos! limitato, rispetto agli altri materiali, da far percepire la loro presenza come un fatto eccezionale e limitato a tombe inFig. 3. Metaponto-Museo. fantili'. Nella generale scarsità di esemplari di eta arcaica, la valle dell'Agri Pomarico Vecchio, abitato, presenta dunque un episodio che potrebbe testimoniare maggiori scam- testa femminile arcaica. bi culturali e commerciali, anche grazie alle caratteristiche naturali, phi aperte, ad esempio, rispetto alla vicina valle del Sinni. Bisogna perO dire che talvolta terrecotte greche non ebbero difficoltà a raggiungere anche località interne, come ci documenta ii materiale dell'ultimo quarto del VI sec. a. C., rinvenuto nel santuario di Garaguso, nell'alta valle del Cavone. Tra IV e III secolo, nella Basilicata interna, la coroplastica viene ad avere, anche a seguito di una maggiore penetrazione dci modi culturali greci, quella stessa diffusione capillare che conosciamo nelle città coloniali, ad iriiziare da queue phi prossime di Taranto, Metaponto ed Eraclea. Rispetto ai secoli precedenti, la documentazione dai contesti necropolari diventa piLi ampia, ma permane limitata numericamente - e concentrata in tombe infantili - in rapporto alla massiccia presenza di statuette nelle aree Venendo al terzo contesto, rappresentato dalle abitazioni, bisogna anzitutto dire che l'indagine sull'edilizia privata non è ancora cos! sviluppata come quella sui santuari e sulle necropoli. Ii quadro attuale presenta pochi rinvenimenti, ed e provvisorio e suscettibile di profonde variazioni. Per l'età arcaica un esempio di evoluzione dci dati e costituito dai recenti rinvenimenti di Pomarico Vecchio e di Roccagloriosa, che mostrano nei due centri l'esistenza di coroplastica di tipo greco - rispettivamente metapontina e siceliota - fin dalla fine del VI see. a. C. (fig. 3). Per ii IV-III sec.a.C. un po' phi ricca e la documentazione di terrecotte figurate all'interno delle case, a prova dell'introduzione di questi oggetti, nelle pratiche devozionali di tipo privato. Si passa da una o phi statuette, come e noto, ad esempio, a Pomarico Vecchio 12, a Oppido Lucano, a TolveValle Chirico, a Banzi-Mancamasone 13, al caso macroscopico dci complessi gentilizi di Roccagloriosa, dove si è rinvenuta una stipe con numerosi fittili 14 3. CENTRI DI FkBBRIcAzI0NE DELLE STATUETTE E DIFFIJSIONE DEl TIPI Mentre per diversi tipi di manufatti in argilla, quali tegole e ceramica comune, è stata ormai assodata l'esistenza di centri di produzione indigeni (da Cozzo Presepe, a Pomarico a Pisticci, e Montescaglioso), per quanto riguarda la coroplastica 11 problema è ancora aperto. Per inquadrare in modo corretto la questione, dobbiamo rispondere - per le statuette in terracotta - a due interrogativi. Da un lato il luogo di invenzione, di creazione, del tipo e, dall'altro, il luogo di fabbricazione. Sono due aspetti che non necessariamente coincidono: un tipo creato in un determinato centro poteva infatti essere prodotto a centinaia di chilometri di distanza, mediante la matrice ac71
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quistata nella bottega di creazione, oppure in modo piü indiretto ricalcando un positivo 15, con ii conseguente esito di un fittile identico al primo, ma differente per tipo di argilla e per dimensioni Allo stato attuale degli studi, i dati consentono piu spesso di rispondere alla prima domanda e cioe quale fosse ii luogo di creazione dei prototipi. Infatti, nella maggior parte dei pezzi messi in luce in Basilicata è chiaramente identificabile l'origine coloniale, tanto che è possibile avanzare confronti puntuali con materiali di centri sicuramente creatori quali Taranto, o Metaponto o Eraclea, per citare solo i casi piü frequenti, anche se sono numerosi gli esempi di materiali derivati dall'area tirrenica17 A fronte della massa di materiali di aspetto greco, o "grecizzante", i prodotti definibili locali per caratteristiche particolari sono ancora relativamente pochi. Al riguardo è possibile distinguere due filoni. Da un lato, i pochissimi pezzi che dovevano essere una totale invenzione locale, ad esempio, una serie di oggetti o modellati a mano, o per i quali era sufficiente una matrice molto semplice. Dall'altro, creazione di origine greca, interpretate localmente in un linguaggio semplificato. Al primo filone appartengono i votivi di tipo anatomico, il cui uso era limitato a santuari con Valenze iatriche, pifi diffusi nel mondo italico che in quello greco. Modellati a mano erano, ad esempio, le mammelle, le dita e le gambe rinvenute nel santuario di Chiaromonte, cos! come i serpenti messi in luce nello stesso santuario, o altri animali serpentiformi dal santuario di Rossano di Vaglio 1. Inoltre, non vanno dimenticati altri oggetti che ricordano forse tradizioni locali, e che dovevano riflettere l'estro momentaneo di un artigiano. Tra gli esempi pifl antichi vanno citate una figura maschile seduta da Timmari, modellata a mano, che potrebbe essere il piü antico pezzo del santuario' 9 e alcuni oggetti messi in luce a Pomarico Vecchio, quali il caratteristico peso da telaio antropomorfizzato e un pestello desinente in testa di serpente 20• Esempi di terrecotte modellate con matrice molto semplice sono alcuni sostegni di foculo decorati con teste e altri motivi, rinvenuti in vane località2l. Inoltre un piccolo disco con due astragali a rilievo (uno di piatto e l'altro di profilo), sempre da Pomarico; una curiosa testina, con volto appena abbozzato e abbondanza di motivi plastici, aggiunti a formare una doppia corona intorno al capo, rinvenuta di recente nel santuario indigeno di S. Chirico Nuovo (loc. Pila), nel potentino 22; e alcune statuette di Rossano di Vaglio, dette di tradizione popolare, realizzate in modo "espressionistico", con poca definizione dei particolari e resa volutamente marcata di altri 23 Ricordo infine quella serie di oggetti non centrali, ma secondari per le espressioni del culto - quali tutte le off erte sostitutive, dagli animali, ai frutti, ai dolci, ai pani - che per la semplicità della forma potevano essere ideati in loco. Al secondo filone di creazioni beau, ispirate perô a modelli greci, appartengono alcune figure tipo Tanagra dal santuario di Chiaromonte, in cui l'eleganza originaria del tipo, puntualmente presente in esemplari coboniali, e specie tarantini, e meno leggibile, per una sproporzione del cobb, eccessivamente grosso e lungo, e per una resa massiccia dei panneggi. Ma bisogna anche ricordare la testa maschile, pifi legata alle tradizioni italiche, rinvenuta nel santuario di Rossano di Vaglio 24, e vane statuette della stipe di Timmari, ad esempio alcuni tipi tanagrini 25• Diverso e piü articolato ii panorama che si prospetta per quanto concerne la fabbricazione. Per l'età arcaica la relativamente scarsa richiesta di terrecotte, che dovevano rappresentare un segno distintivo e di prestigio limitato a poche persone, non dovette sollecitare impianti finalizzati a questa particolare attività. Con probabilità si preferiva acquistare la coroplastica direttamente nei centri coloniali. La mancanza di apprestamenti produttivi in loco è spiegabile con un'assenza di domanda, piuttosto che con un'incapacità tecnica, che sappiamo non reale, vista l'esistenza di altre attività connesse con l'argilla, quali, ad esempio la ceramica, anche con la creazione di particolari motivi decorativi, rielaborati bocalmente26 Tra IV e III sec. a. C. l'interesse per la coroplastica aumentO, tanto che be statuette in terracotta si diffusero a livelbo capillare, accrescendo anche l'utilizzo all'interno delle case, per la celebrazione di culti domestici. Questo fatto dovette indubbiamente spingere vari centri ad avviare una produzione autonoma, che possiamo immaginare variamente articolata 27• Purtroppo, manchiamo ancora delle informazioni - dalle analisi delle argille, a studi finalizzati che forniscano precisi dati quantitativi, nonché le necessarie misure per stabilire sequenze di gene72
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Fig. 4. Policoro. Chiaromonte-S. Pasquale, santuario, Fig. 5. Policoro. S. Arcangelo-S. Brancato, tomba 23, matrice di figura femminile (3.45.2). figura femminile seduta (3.40.24). razioni 20 - indispensabili per stabilire l'esistenza di aree di fabbricazione. Dobbiamo quindi servirci di indizi di vario genere che possano permetterci di arrivare, sia pure in via di ipotesi, a qualche conclusione. Anzitutto elementi legati alla lavorazione, quali la presenza di matrici, o di statuette mal cotte o sformate, oppure resti di fornaci, come talvolta si è verificato nei centri della costa 29• Inoltre l'osservazione delle caratteristiche globali delle terrecotte dei vari contesti. Una certa omogeneità di caratteristiche stilistiche e tecniche - aSpetto dell'impasto, modo di rifinitura, ritocchi particolari, loro frequenza o assenza - nonché ii confronto con altri prodotti in argilla sicuramente locali, pufl consentire di leggere quella "aria di famiglia" 10, che puO autorizzarci a ipotizzare una fabbricazione in sito. Posso, ad esempio, proporre sul materiale del santuario di Chiaromonte, nella valle del Sinni qualche osservazione, che deriva da una ricognizione preliminare e da uno studio a livello di catalogo in via di completamento 31 . Vari elementi concorrono ad ipotizzare la fabbricazione locale degli ex voto. Anzitutto il rinvenimento, non molto distante dal santuario, di un piccolo lotto di matrici (fig. 4), e poi, nel santuario stesso, altri due spezzoni di matrice meno leggibili e alcune statuette di figure femminili sedute, appartenenti ad almeno due generazioni, in cui gli originali pifl piccoli risultano ottenuti mediante matrici calcate direttamente sui positivi 32• Anche per il ricco materiale del santuario di Rossano di Vaglio - dove sono state recuperate alcune matrici- - e per parte della coroplastica della stipe di Timmari dalle protomi, ai busti, alle figure sedute - viene proposta la possibilità di una produzione locale. Non mancano dunque - sia pure in modo limitato - prove di una produzione locale di terrecotte, se non in tutti, almeno nei pressi dei santuari phi importanti. In qualche caso poteva trattarsi delle stesse botteghe nelle quali, fin dal VI sec. a. C., esisteva una tradizione nella modellazione dell'argilla sfruttata per realizzare le terrecotte architettoniche - soprattutto antefisse, e frammenti acroteriali di cui abbiamo una buona documentazione da vane località34. In ogni modo, non in tutti i centri interni Si dovette sentire l'esigenza di avviare una produzione di statuette: per richieste numericamente limitate - penso alle necesSità di culti domestici, o dei po73
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chi esemplari deposti nelle tombe - e da supporre ii proseguire dei sistemi in uso in eta precedente con l'acquisto nei centri produttori, greci o indigeni e difficile dire. Altrettanto difficile e cercare di ricostruire come avvenisse la vendita, se doe i locah acquistassero direttamente aila fonte, recandosi nelle città greche della costa - soprattutto a Taranto, Metaponto, Eraclea, ma anche Poseidonia, a seconda della maggiore vicinanza - oppure se la vendita fosse mediata da mercanti che facevano ii giro dei santuari 35 o dei rivenditori iocah a offrire le loro merci, allo stesso modo di quanto è intuibile per prodotti differenti, quah, ad esempio, gli oggetti metallici. D'altra parte è noto, sia per ii mondo greco che per quello romano 36 come presso I grandi santuari si sviluppasse una serie di aree finalizzate a rispondere afle esigenze dei peiiegrini, quail luoghi per dormire e mangiare, ma anche hotteghe, dove si fabbricavano e si vendevano gli ex voto da dedicare nei santuario stesso. E dunque probabile che anche neiia Basilicata, a margine delle piLi importanti aree sacre, si fosse sviiuppata la produzione di ex voto in terracotta. E indubbio che gh scambi in vane direzioni - verso la costa e verso l'interno - dovettero essere facilitati dalle profonde valli fluviali che solcano la Basilicata e che costituivano aiiora naturali vie di comunicazioni. In tal modo si giustifica la diffusione degh stessi tipi, e spesso di esemplari derivati daiie steSse matrici, in aree molto lontane. Numerosi sono i tipi che potrei citare a prova di questa capillarità di penetrazione: ml hmito a ricordarne aicuni, scelti come campione di reaità different, anche a livello di iettura immediata. Ii primo esempio e rappresentato da un particolare tipo di figura femminile seduta, caratterizzata da un himation - che poteva avvoigere completamente la figura risalendo anche sul capo, o lasciare uscire le braccia (fig. 5) - e completata da vari attributi (una patera appoggiata alle ginocchia, un tympanon posto in genere sui fianco sinistro, 0 Ull animale in varia posizione, pii spesso un'anatide, ma anche colomba o leprotto). A creare una Serie molto ricca di varianti contribuiscono anche i volti e le acconciature, caratterizzate spesso da un'alta crocchia. Sulla base dei rinvenimenti, e possibile seguire l'ampio raggio afl'interno del quaie si diffusero esemplari con queSto Soggetto, identici, o trasformati con piccoli interventi 17. Cos!, ad esempio, lo stesso tipo con nefla mano destra una patera e un piccolo cigno nella sinistra, compare identico nei santuari di Timmari, di Rossano di Vaglio e di Chiaromonte 38• La diffusione in un'area cos! vasta di queSto tipo, trova spiegazione nei fatto che si tratta di un'immagine piuttosto generica, che puO essere fatta propria da rappreSentazioni religiose di varia ispirazione. Posso anche ricordare aicuni busti femminih, che Si ritrovano in alcune città greche e in vari santuari della Basilicata: ne cito uno in particolare, che è alto una ventina di cm ed e caratterizzato dalla parte inferiore ricoperta da un panneggio fermato da grosse fibule (fig. 6). Ne abbiamo documentazione sulla costa tirrenida - a Laos - a Chiaromonte nella valle del Sinni, a Grumento e Armento in val d'Agri, fino a Timmari. La fabbricazione del tipo nel territorio di Laos è provata dai rinvenimenti presso una fornace ed esemplari derivati dallo steso prototipo sono presenti sia tra i materiali della Stipe di Grumento che tra I pochi fittili scoperti nel Santuario di Armento. Compare tra la ricca serie del busti di Timmari: infine, alcuni frammenti sono riconoscibili anche tra i fittili del santuario di Chiaromonte Un altro tema, certo di meno facile comprensione, rispetto a quelli ricordati, ebbe ugualmente diffusione in un'area estesa, anche se con un numero meno rilevante di esemplari. Si tratta di dischi, con diametro che puo raggiungere i trenta cm, che recano al centro una testa femminile, vista frontalmente, e ai lati di queSta figure ausiliarie, tra cui speso eroti. Ii tema, creato in area tarantina, e preSente ad Eraclea, si ritrova anche nel mondo indigeno, in vari contesti: lungo la valle del Bradano, nei santuari di Timmari e di Lucignano; nell'alto e basso BaSento, nel santuario di Rossano di Vaglio e nell'abitato di Pomarico Vecchio; nella Basilicata Nord occidentale, nel santuario di Fontana Bona di Ruoti; nella valle del Sinni, nel santuario di Chiaromonte; e infine in area tirrenica, a Roccagloriosa 40• Con probabilità, la fortuna di queSto tema e dovuta all'essere un piccolo oggetto piatto, facile da trasportare e che poteva venire appeso ad una parete, in differenti contesti, come fanno fede i fori che compaiono sempre al disopra della testa. AJla sua diffusione contribul anche ii collegamento 74
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con ii mondo di Afrodite, divinità che in ambito indigeno era spesso assimilata a Mefitis. Dobbiamo infatti ricordare le molteplici valenze della dea, legata alla fertilità, al mondo terreno e sotterraneo, cui non erano estranei rituali connessi con passaggi di status, celebrati anche nel mondo indigeno. Paiono plausibili due differenti ipotesi per spiegare l"'origine" greca di molti tipi. Le botteghe lucane potevano ospitare artigiani itineranti, provenienti dalle poleis della costa che si stanziavano, per brevi o lunghi periodi, portando con se matrici, create in area greca. Oppure, nelle botteghe potevano lavorare plastai locali, forse formatisi presso i centri della costa, che riproponevano - tramite matrici acquistate, o ricavando le matrici direttamente sui positivi greci - la replica locale della produzione di area coloniale. Al presente, tuttavia, le poche prove esistenti, di cui ho già detto, depongono solo in favore di una produzione locale. Quanto alla qualita della produzione, la coroplastica di IV-III sec. a. C. rinvenuta nelle vane località della Lucania, è spesso molto meccanica e L! ai ii rli o,,ro
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brerebbe che, in questo tomb di tempo, i figuli lavorassero per una clientela dalle possibilità economiche molto omogenee, che privilegiava deter- Fig. 6. Armento-Serra Lustrante, santuario, busto minati tipi di ex-voto, accomunati non solo dalle (3.44.1). valenze religiose, ma anche dal basso costo. Si staccano dagli altri alcuni pezzi - piLi numerosi a Timmari, ma presenti anche a Grumento S. Marco, a Chiaromonte (fig. 7) e anche a Pomarico Vecchio (fig. 8) - che rispecchiano una produzione phi raffinata, e presumibilmente, phi costosa. Mi riferisco, ad esempio, ad alcuni grandi busti - a Timmari possono raggiungere i 40-50 cm - nei quali le maggiori dimensioni dovettero di phi sollecitare la fantasia e la capacità del coroplasta, con la resa phi curata dei particolari - dai capelli a ciocche fiammate, alle bocche carnose - e con l'aggiunta di elementi posticci quali collane, ricchi orecchini, simili a quelli noti nell'oreficeria tarantina, e grandi fibule a bottone41. 4. Sicmicvro RELIGIOSO A fronte della quantità di terrecotte diffuse in tutta l'antica Basilicata, specie in eta ellenistica, sorge naturale il desiderio di comprenderne il significato puntuale. Come ho detto phi sopra, si tratta nella maggior parte dei casi di modelli coloniali. Ora, già in ambito greco la molteplicità di valenze insite nelle rappresentazioni, rende difficile proporre una spiegazione univoca, che individui con precisione, sulla base dei fittili, la divinità venerata nei vari contesti 41 . Di conseguenza, l'interpretazione si complica ancor piLi quando le terrecotte di tipo greco si ritrovano in ambito indigeno. Qui dobbiamo chiederci anzitutto se l'accettazione degli stessi fittili implichi anche l'accettazione delle stesse credenze religiose, o piuttosto un interesse limitato alle valenze simboliche phi esteriori43. Non è agevole proporre una risposta netta: certamente, con ii IV sec. a. C., si era ormai raggiunta una forma di integrazione tra mondo greco ed indigeno a tutti i live Ili 44 per cui era possibile che que75
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Fig. 7. Policoro. Chiaromonte-S. Pasquale, santuario, testa femminile di busto (3.45.8).
Fig. 8 .Metaponto-Museo. Pomarico Vecchio, abitato, testa femminile di busto.
sta assimilazione toccasse anche la sfera religiosa, pur tenendo conto che le tradizioni cultuali sono tra gil elementi che permangono phi a lungo. Tuttavia, una spiegazione forse piLi vicina al reale va vista nella già ricordata polisemanticità degli ex voto in terracotta, che spesso comportavano un'ampia gamma di significati, chianti dai vari contesti. D'altra parte, l'accettazione dei fittili greci in area indigena era facilitata dall'esistenza di flumerosi elementi comune ai due mondi, ad iniziare da pratiche legate alla fertilità sia della terra che in ambito familiare. Non a caso, le phi diffuse sono terrecotte a soggetto femminile, avvicinabili alle divinità greche preposte alla fertilità umana e dei campi - Demetra e Kore - in unione con valenze ctolie tipiche di Afrodite. Un'altra area di incontro tra mondo greco e indigeno era costituita dalle credenze legate al mondo sotterraneo e dalle concezioni salvifiche. In particolare queste ultime, limitate in eta arcaica a ceti aristocratici, si erano con ii IV secolo ampiamente diffuse in tutti i hvelli dell'ambiente indigeno, accettando e recependo soprattutto i collegamenti con la sfera dionisiaca. In questo senso, mi sembra molto interessante, sotto almeno due punti di vista, ii già citato rinvenimento fatto di recente a Pomanico Vecchio, di un dischetto in argilia con la rappresentazione di due astragali a rilievo. Esso, da un lato, mostra appunto l'accettazione delle dottrine orfico-dionisiache l'astragalo ha un preciso contatto con i'uccisione di Dioniso e la sua rinascita - e, dall'altro, testimonia con probabilità di una fabbricazione locale di terrecotte figurate I riferimenti religiosi al mondo maschile sono assai meno numerosi e, tuttavia, sono presenti pressoché in tutte le aree sacre. Cito aicuni esempi: nel santuario di Rossano di Vaglio compaiono alcune figure stanti, di valenza generica; a Timmari, accanto ad una rappresentazione di Eracle - divinità adatta al mondo agnicolo-pastorale - phi frequenti sono statuette di giovinetti ed eroti, che sono stati rinvenuti anche a Chiaromonte, ancora una volta riportabili alla sfera di Afrodite. 45.
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Infine, esistono anche altri exvoto legati al mondo della natura, da riproduzioni di animali ad altre di fiori, frutti e dolci, che costituiscono le offerte sostitutive, meno costose e pifl durature di oggetti reali46 In conclusione, l'analisi della sola coroplastica offre importanti indizi, ma non consente di ricostruire in modo completo le forme di religiosità indigena, né permette di individuare in modo puntuale le divinità venerate nelle vane aree. In tal senso, di scarso aiuto sono i pur numerosi attributi, ancora una volta di valenza abbastanza generica e interscambiabili. Del resto, sarebbe addirittura errato proporsi di stabilire un collegamento univoco tra una determinata rappresentazione e una specifica divinità: penso che dobbiamo piuttosto tenere presente che nd mondo indigeno ci troviamo di fronte a forme di culto di tipo sincretistico 47, in cui cOncorrevano aspetti diversi. Esigenze pifi propriamente indigene - culti della natura, e quindi della fertilità in tutte le sue accezioni, talvolta abbinati a forme salutistiche o mantiche - Si fondevano con altre derivate dal mondo greco, tra le quali grande importanza dovevano avere le dottrine orfico-pitagoriche, e i relativi aspetti salvifici e di rinascita.
Fig. 9. Policoro-Chiaromonte-S. Pasquale, santuario, testina femminile (3.45.7).
NOTE * testo dattiloscritto e stato consegnato nell'aprile 1997 e la bibliografia 6 aggiornata a questa data. Tra le pubblicazioni successive dedicate alla Basilicata in cui compaiono anche statuette in terracotta, ricordo in particolare: AA. VV., Ii sacro e l'acqua. Culti indigeni in Basilicata, Catalogo della mostra, Roma 1998, in cui M. Tagliente dà notizia del santuario di S. Chirico Nuovo (vedi mia nota 22). AA. VV., Ornamenti e lasso. La donna nella Basilicata antica, Catalogo della mostra, Roma 2000. AA. VV., Archeologia dell'acqua in Basilicata, Lavello (PZ) 1999. A. Russo TAGLIENTE, Armento. Arcizeologia di un centro indigeno, in BArcheologia 35-36, Roma 2000. 1 Ricordo ad esempio, i casi dei santuari di Timmari: F.G. Lo P0RT0, Timmari. L'abitato, le necropoli, la stipe votiva, Roma 1991; di Rossano di Vaglio: D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano. Ii santuario della Mefitis. Rapporto preliminare, Galatina 1992; di Ruoti: E. FsaBRIcoTTI, Ruoti (Potenza). Scavi in località Fontana Bone, 1972, NSA 1979, P. 347 ss.; di Grumento: P. B0TTINI, Grumento, San Marco-stipe votive preron'zana, in AA. VV., Da Leukania a Lucania. La Lucania centro orientale tra Pirro e 1 Giulio-Claudii, Roma 1992, p. 96 ss.; di Colla di Rivello: G. GREco (ed), L'evidenza archeologica nelLagonegrese, Matera 1982, p. 39 ss.; e dell'abitato di Roccagloriosa: H. FsccHL-M. CIPRIszzT, Le terrecotte figurate, in M. GUALTrERI-H. FivcCHIA (edd.), Roccagloriosa I. L'abitato: scavo e ricognizione topografica (1976-1986), Napoli 1990, p. 109 ss. 2 M. BARRA BAGNA5c0, La coroplastica votiva, in E. LIPP0LI5 (ad), Arte e artigianato in Magna Grecia, Napoli 1996, p. 186. Accanto a moltissimi altri materiali, i fittili nelle tombe sono solo sette: nei due esemplari presentati interessante è lo stesso volto utilizzato per due temi diversi, rispettivamente la figura seduta in trono a la protome. Per Alianello: M. TAGLIENTE, Segni di trasformazione in una realtO indigena di confine della Val d'Agri, in AA. VV., Studi so Sins Eraclea, Archaeologia Perusina 8, Roma 1989, p. 113 ss.; M. BARRA BAGNASCO, La coroplastica, in AA. VV. Catalogo della mostra I Greci in Occidente - Greci, Enotri a Lucani nella Basilicata meridionale, Napoli 1996, p. 94 ss.; Per Garaguso: M. Hsz'zo, R. HANOUNE, J.P. MOREL, Garaguso (Matera). Relazionepreliininare sugli scavi del 1970, in NSA 25, 1971, pp. 424-438. Nei fittili dei due contesti forte è l'influenza stilistica del mondo ionico, nei volti larghi e carnosi dalle superfici tondeggianti a con occhi a mandorla fortemente rialzati, che trovano confronti puntuali con fittili rinvenuti a Sins, per le protomi di Garaguso: B.
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NEUTSCH, Documenti artistici del santuario di Demetra a Policoro, in Atti Taranto 1980, p. 164 ss., tav. XXXI; per i volti di Alianello: ibid. tav. XXIX. Essa, creata prendendo forse a modello, o comunque ispirata ad Un tempio con la sua statua all'interno, divenne a sua Volta ispiratrice di meno costose opere in terracotta, come mostrano due statuette simili, ma in terracotta, scoperte nella stessa area: M. SESTIERI BERTARELLI, Ii tempietto e la stipe votiva di Garaguso, in ASMG 1958, pp. 67-78. Si passa da aree con strutture p10 o meno monumentali-piO spesso sono piccoli oikoi quadrangolari-ad altre connotate soprattutto da stipi molto ricche di materiali: M. BARRA BAGNASCO, I Culti, in AA. VV., Greci, Enotri e Lucani, Napoli 1996, p. 183. Per Timmari: F.G. Lo PORTO, Timmari, cit.; per Chiaromonte: M. BARRA BAGNASCO, Il santuario di Chiaromonte, in AA. VV., Catalogo della mostra I Greci In Occidente-Greci, Enotri e Lucani, Napoli 1996, pp. 186--187; per S.Chirico Nuovo: A. B0TTINI, Atti Taranto 1995, pp. 630-63 1; per Colla di Rivello, G. Gmco, L'evidenza, cit., p. 39 ss. 8 A. BOTTINI-M. TAGLIENTE, Nuovi documenti sul mondo indigeno della Val d'Agri in eta arcaica: la necropoli di Alianello, in BA 24, 1984, p. 115. M. TAGLIENTE, La necropoli di Alianello, AA.VV., Siris-Polieion, 1986, p. 167 ss.; S. Bi.snco, Le necropoli enotrie della Basilicata meridionale, in BA, 1-2, 1990, p.7 ss. '° Anche in località, dove l'esistenza di aree sacre ha cnnsentitn di conoscere la presenza di centinaia di fittili, le tombe coeve, pur con ricchi corredi, mostrano scarsi documenti di coroplastica. Un esempio e offerto dalla necropoli di Timmari dove è presente una sola statuetta: F.G. Lo PORTO, Timnzari, cit., tomba 25 bis, p. 10 ss. " Si tratta, a Pomarico Vecchio, un sito interno sulla sinistra del Basento, di due statuette femminili tardo arcaiche, simih a queue dell'area metapontina: M. Bs.ms BAGMASCO, La coroplastica, in M. Bjnns.A BAGNASCO (ed.), Pomarico Vecchio I, Galatina 1997, p. 218 ss., a a Roccagloriosa di un frammento in cui e riconoscibile una figura femminile seduta con la caratteristica collana a giri multipli: M. GUALTIERI-H. FRAccHIA (edd.), Roccagloriosa I, cit., p. 112. 12 M. BARRA BAGNAScO, La coroplastica, in M. BinuA BAGNASCO (ad.), Pomarico Vecchio I, cit., p. 215 ss. 13 Per Oppido, dove è stata reduperata una figura panneggiata: E. Lissi CARONNA, Oppido Lucano (Potenza). Rapporto preliminare sulla seconda campagna di scavo (1968), in NSA 1980, p. 240; a Tolve-Valle di Chirico, in un complesso di IV secolo, nell' oikos al centro del cortile, e stato rinvenuto un modellino fittile di bovino e una statuetta femminile: A. Russo TAGLIENTE, Edilizia dornestica in Apulia e Lucania. Ellenizzazione e società nella tipologia abitativa indigena tra VIII e III sec. a. C., Galatina 1992, p. 172; a Banzi Si tratta di statuette femminili stanti e sedute, di un erote e di una rappresentazione di Helios, rinvenuti all'interno del cortile, in un'edicoletta: ibid., p. 157. 14 In partico1are nel complesso A, accanto ad un altare, Si 6 individuata una stipe: M. GUALTIERI-H. FRAccHIA (edd.), Roccagloriosa I, cit., p. 101 ss. 15 E ciO poteva avvenire con facilità nel mondo antico, vista la mancanza di tutela dell'invenzione deIl'autore, un'impostazione giuridica decisamente moderna. Per lo sviluppo di questi concetti a per la distinzione tra surmoulage: interno ed esterno: A. MULLER, La coroplathie: un travail de petite fille? Las figurines de terre cuite de l'atelier a la pubblication: question de methode, in RA 1994, 1, passim ep. 184. 16 Per ii problema, con tutti i possibili sviluppi: M. BONGHI JoviNo (ed.), Artigiani e botteghe nell' Italia preromana. Studi sulla coroplastica di area etrusco-laziale-campana, Roma 1990, pp. 19-59 e passim. Per tutti gli aspetti della produzione coroplastica, utilissimo ii recente ampio studio sulle terrecotte di Thasos: A. MULLER, Las terres cuites votives du Thesmophorion. De l'atelier an sanctuaire, in Etudes Thasiennes XVII, Paris 1996, p. 27 ss. 17 Mi limito a ricordare le gih citate statuette arcaiche rinvenute a Pomarico Vecchio, (supra, nota 11), databili alla seconda metà del VI sec.a.C., identiche a tipi ben noti in vari santuari metapontini, sia dell'area urbana che di San Biagio alla Venella. Purtroppo non è possibile stabilire le caratteristiche del contesto cui appartenevano le statuette: sembra logico pensare ad una qualche area sacra, in cui già in eta arcaica erano stati accettati simboli della religiosita greca. Per la diffusione di prototipi derivati da Poseidonia: M. CIPFJANI, Il deposito votivo. La terrecotte figurate, in M. GUALTIERI-H. FRACCHIA (edd.), Roccagloriosa I, cit., p. 114ss. 18 Per Chiaromonte: M. BARRA BAGNASCO, Il santuario di Chiaromonte, cit., p. 222, figg. 3.45.16, p. 274 e 3.45.18; 3.45.19, p. 275; a Rossano particolare e la figura definita, con qualche dubbio chimera, dal largo volto tondeggiante e lungo collo, su uno stilizzato busto femminile: D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano, cit., p.58, fig. 56 a. ' F.G. Lo Porto, Tionmari, cit., n. 1, pp. 74-75, Tav. XXII, 1. 20 M. BARRA BAGNASCO, Pomarico Vecchio (Matera)-Scavi in un abitato indigeno (1989-1991), in NSA 1992-93, 1996, n. 137, p. 215, fig. 52. 21 Ad esempio, a Pomarico Vecchio: BARRA BAGNASCO, in NSA cit, nn. 118, 119, p. 210, fig. 48; C. LETTA, Piccola coroplastica metapontina, nel Museo Archeologico provinciale di Potenza, Napoli 1971, (supporto con torcia, o spighe) n. tav. XXXII, 4, p. 154; XXXIII, 1, p. 155. 22 Devo alla cortesia dello scavatore, il dott. M. Tagliente, la segnalazione di questo pezzo inedito. 23 D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano, cit., p. 51, Egg. 50 a, b. 14 Ibid., p. 55, fig. 55. 25 Si tratta di figurine, ispirate a modelli tarantini, ma rese in modo pits pesante e dozzinale, ma anche di grossi busti, in cui sono evidenti elementi indigeni: F. G. Lo PORTO, Timnsari, cit., pp. 130 a 91. 26 M. TAGLIENTE, Segni di trasformazione cit., p. 113 ss. Inoltre in alcune località, a specie a Serra di Vaglio, doveva già essere attiva la fabbricazione di terrecotte architettoniche: cfr. infra, nota 34. 27 Accettando l'ipotesi di una diffusa produzione locale, viene ad essere meglio giustificata l'esistenza nei santuani, o nelle tombe, di molte Statuette identiche a anche la presenza di repliche di generazione inferiore alla prima: è logico, cioè, che un
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centro produttore sfruttasse a fondo matrici, ed eventuali prototipi, ricavandone decine e decine di esemplari, secondo un uso proprio della fabbricazione in serie della coroplastica, hen noto per i centri del mondo greco ed etrusco-campano. Inoltre, un argomento a favore di una fabbricazione locale va visto nella difficoltà di trasportare un numero rilevante di statuette attraverso le non facili strade antiche: molto pifl semplice era limitare ii trasferimento di alcune matrici o di poche statuette, che sarebbero stati i modelli per una produzione in loco. 28 Abbinando analisi delle argille, necessarie a garantire I'impiego di materia prima locale, e il fatto che determinati fittili rinvenuti in area indigena sono di generazione inferiore agli esemplari noti nelle colonic si potrebbe stabilire un'esecuzione in area indigena. 29 L'esempio pifl chiaro e rappresentato da Eraclea, dove si e identificato un quartiere dedicato alla lavorazione delle statuette, da ultimo: L. GIARDINO, Herakleia, in E. LIPPOLIS (ed.), Arte e artigianato, cit., p. 35 ss. ° L'argomento è stato ampiamente sviluppato, per le protumi arcaiche della Grecia, dove la suddivisione in gruppi 6 fondata su affinità stilistiche, in F. CROISSANT, Les protornés ferninines arclsaiques, in BEFAR 250, Paris 1983, passim; per Locri: M. BeRA BAGNASCO, Protorni in terracotta da Locri Epizefiri, Torino 1986, p. 131. 31 Grazie alla disponibilità della Soprintendenza della Basilicata, e in particolare del direttore del Museo di Policoro, dott. S. Bianco, ci è stato assegnato lo studio di tutto il materiale del santuario, che 6 stato suddiviso, per classi di materiali tra vari miei laureandi. La tesi sulla coroplastica è opera di Elena Quiri (Università Torino A.A. 1996-97), che ha proceduto al paziente lavoro di ricerca degli attacchi, di identificazione dci tipi e di catalogazione di circa un migliaio di frammenti. Per una prima sintesi con osservazioni preliminari: M. BAirles BAGNASCO, Ii santuario di Chiaromonte, cit. 32 Le matnici meglio leggibili si riferiscono al tipo della figura seduta con alta crocchia, rinvenuto in vane località della Basilicata e anche nel santuanio di Chiaromonte; degna di nota anche la testina ellenistica dalla stessa area, completamente grigia per cottura difettosa (fig. 9): M. BARRA BAGNAScO, L'età lucana. La coroplastica, in AA. VV., Greci Enotri e Lucani, Napoli 1996, p. 221; si puG anche ricordare la piccola matrice per protome scoperta nella casa C di Oppido Lucano: E. LIssI CARONNA, Oppido Lucano (Potenza) Rapporto preliminare sulla quarta campagna di scavo (1970). Materiale archeologico rinvenuto nel tsrritorio del Comune, in NSA 1990-91, p. 231. °° Per Rossano: D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano, cit., p. 56. E possibile che alcuni ambienti, marginali all'area sacra vera e propria, venissero utilizzati per la vendita degli exvoto prodotti nelle vicinanze. Per Timmari: Lo PORTO 1992, passim. l E nota in Basilicata, fin dall'età arcaica, l'esistenza di figuli locali dedicati soprattutto alla fabbricazione di antefisse figurate, di cui abbiamo resti non solo a Serra di Vaglio, ma anche in alcuni santuari. La realtà meglio documentata è offerta dai rinvenimenti di Serra di Vaglio. Per l'età successiva, sono state rinvenute antefisse presso i principali santuari, a Timmari, dove è anche proposta la possibilità di un'esecuzione locale: F.G. Lo PORTO, Timmari, cit. p. 68; a Rossano di Vaglio: H. DILTHEY, Sorgenti, acque e luoghi sacri in Basilicata, in AA.VV., Attività archeologica in Basilicata 1964-1972. Scritti in onore di Dinu Adamesteanu, Matera 1980, p. 546. Peril IV sec. a. C., vari documenti da Oppido Lucano, dove sono state scoperte terrecotte architettoniche e un frammento di matrice per antefissa, dalla casa B, e una matrice per testina: E. Lssi CARONNA, Oppido Lucano (Potenza). Rapporto preliminare sulla terza campagna di scavo (1969), in NSA 1983, p. 334. A Serra di Vaglio, accanto ad esemplari chiaramente metapontini, e certa un'eseduzione locale: G. GReco, Serra di Vaglio: une testimonianza dell'antica civilta lucana, in Atti del XXII Congresso geografico italiano 1975, p. 111; inoltre la realizzazione di varianti di terrecotte architettoniche e documentata dalla scoperta di una fornace destinata alla loro produzione: G. GREc0, Bilan critique des fouilles de Serra di Vaglio, Lucanie, in RA 2/1988, p. 280 ss. Se per l'età pifl antica e stata proposta una denvazione da modelli greci, tra IV e III secolo anche per le antefisse i modelli comprendono adattamenti locali, come si vede negli esemplari di Rossano di Vaglio, piuttosto che in quelli della villa di Tolve: M. TAGLIENTE, Moltone di To/ye. La decorazione architettonica, in AA. VV., Do Leukania a Lucania. La Lucania centro-orientale tra Pirro e i Giulio Claudii, Roma 1992, p. 42 ss. Al proposito e opportuno nicordare lo sviluppo di fiere e mercati in connessione con le pifl importanti aree sacre (M. TORELLI, La romanizzazione dei territori italici. Ii contributo della documentazione archeologica, in AA. VV., La cultura italica, Atti del Convegno della Soc. Ital. di Glottologia, Pisa 1978, p. 83), tanto che 6 possibile panlare di "un'industria del pellegrino": F. GHINATTI, Manifestazioni votive, iscrizioni e vita economica nei santuari della Magna Grecia, in Studio patavina 1981-82, II, pp. 263. 36 Spesso gli exvoto in terrecotta venivano prodotti in laboratori del santuario stesso e quindi rappresentavano un'altra foote di ricchezza: G. B0DRI GIGLIONI, Pecunia fanatica. L'incidenza econornica dei temp/i leziali, Rivista storica italiana 1977, p 45 ss. Nell'area sacra di Rossano di Vaglio non sono ancora state identificate le fornaci, ma la presenza di matnici fa ipotizzare una produzione locale: D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano, cit., pp. 53-54. " Mel santuanio di Timmari, dove ii tema e documentato da una nicca serie di fittili, accanto ad esemplari derivati da matrici diverse, è stato evidenziato come dalla stessa matrice fosse possibile ricavare piu di una variante, grazie all'applicazione di differenti attnibuti: Lo PORTO 1992, p. 123. 38 F.G. La PORTO, Timmari, cit., n. 123, p. 123, tav. LIV; D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano, cit., tav. V. P. Borni, Grumento, S. Marco. Stipe votiva cit., p. 97; AA. VV., Greci, Enotri, Lucani cit., n. 3. 44. 1., p. 268 e 270; F.G. Lo PORTO, Timmari, cit., n. 39, p. 95,. tav. XXXIII; '° Di recente 6 stato redatto un utile catalogo degli esemplani pifl significativi: A. CIVALE, I dischi fittili votivi con volto fernminile, Tesi di specializzazione in archeologia e storia dell'arte greca, Università degli studi della Basilicata, Matera, A.A. 1993-94, inedita. Per gli esemplari di Chiaromonte: M. BARE.s BAGNASCO, Il santuario di Chiaromonte, cit., p. 187. Peril frammento rinvenuto a Pomarico Vecchio: M. BARRA BAGNASCO, La coroplastica, in M. BARRA BAGNASCO (ed.), Pornarico Vecchio I, cit., p. 222 ss. ' Per Timmari: E.G. Lo PoRno, Timmari, cit., nn. 61-70, p. 103 ss.; per Grumento: P. BOTTINI, Testimonianze archeologiche
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di cold antichi nelterritorio di Grurnenturn, in AA. VV., La vergine del grano, Matera 1983, p. 123. Per Chiaromonte, cfr. labella testa frammentaria: AA. VV. Greci, Enotri, cit., n. 3.45.8, pp. 271 e 274. La difficoltà di lettura Si lega al fatto che, specie 1ei santuari, ii repertorio degli exvoto era.tholto vario, comprendendo anche rappresentazioni di altre divinità, accanto a quella "titolare" oltre, ben inteo, a figure di offerenti e di oggetti van, come e stato di recente chiaramente evidenziato per ii thesmophorion di Thasos: A. MULLER, Les terres cuites cit., p. 513. M. TAGLIENTE, Ceramiche figurate nel mondo indigeno della Basilicata. Ii caso di Ripacandida, in C. GELAO (ad), Studi in onore di Michele D'Elia, Archeologia, Arte, Restauro e Tutela, Archivistica, Spoleto 1996, p. 42. " Studiando ii caso del sito indigeno di Pomarico Vecchio (M. BARRA BAGNASCO (ed.), Pomarico Vecchio I, cit., p. 34, avevo sottolineato come, tenendo in considerazione solo l'organizzazione urbanistica e le vane classi di materiali, si avesse limpressione di essere in presenza di un piccolo centro greco. Solo I'analisi dci dati della necropoli-dalla nicchezza quantitativa dei corredi, al nito rannicchiato-aveva invece rivelato la connotazione indigena. Sono anivata a questa conclusione anzitutto per la mancanza di puntuali confronti, nonché per la resa naturalistica dei due astragali (uno di piatto, l'altro di profilo) che sarebbe stato semplice calcare direttamente su ossa animali: M. Biuerck BAGNAScO, La coroplastica, in M. BARRA BAGNASCO (ad.), Pomarico Vecchio I, cit., p. 217. 46 Modellini di frutta si ritrovano in vari contesti: piü spesso si tratta del melograno a del fico, le cui caratteristiche dovevano, anche in area indigena, richiamare aspetti di fertilità e quindi di continuità della vita. Ma altrettanto frequenti sono la mela e la mandorla (per Rossano di Vaglio: D. ADAMESTEANU-H. DILTHEY, Macchia di Rossano, cit., p. 60; per Timmari: F.G. Lo PORTO, Timmari, cit., pp. 153-154). Un' interessante documentazione è costituita dal ritrovare, anche in area indigena, ad esempio a Pomarico Vecchio (M. BARRA BAGNASCO, Pomarico Vecchio, cit., n. 113, p. 209, fig. 46) frammenti di queue matrici a disco, in terracotta-cosi frequenti nel mondo coloniale, e specie a Taranto-che servivano per realizzare focacce particolari da donare alle divinità. Per I'importanza di tutte le offerte alimentari e per i lono complessi significati nell'ambito delle cenimonie rituali: V. MEIRAN0, Offerte alimentari in terracotta, in BollStorBasil 1996, p. 67 ss. Completamente abbandonata e la concezione di culti nettamente separati come si aveva nel mondo green: M. TORELLI, Greci e indigeni in Magna Grecia: ideologia religiosa e rapporti di classe, in Studi Storici 18, 1977, pp. 45 -61.
Le fotografie - ad eccezione dci nn. 3 e 8, delI'autore - sono della Soprintendcnza Archeologica della Basilicata, e sono state pubblicate (cfr. numeri in parentesi) nel Catalogo della Mostra: I Greci in Occidente. Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale, Napoli 1996.
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NIc0LA BONACASA DEDALO E ICARO A HIMERA Riprendo in questa sede ii tema già aifrontato in un breve intervento presentato a Sant'Angelo Muxaro, ii 27 Ottobre 1996, dal titolo Ii Dedalo ateniese di Himera 1• Oggi, come in quell'occasione fortunata e speciale, dedico queste pagine all'amico Ernesto De Miro, wànax ospitale della chora sicana di Kokalos. L'aspetto che possiamo definire "occidentale", della complessa saga di Dedalo e Icaro, sara preponderante giacche come significato primario, in Sicilia, esso figura tra i molti valori del binomio storia-mito di Deda10 2 L'indagine mirerà a ricostruire i fatti, attraverso i monumenti, alla ricerca del valore intrinseco di codesto significato, che si annida nella presenza di Dedalo e del figlio suo Icaro, a Himera. Due protagonisti del sogno di volare che da sempre abita l'uomo, ii mito, la letteratura e l'arte: dall'antichità fino a Bruegel, fino a Picasso. Ii loro volo è augurale e liberatorio, ii primo nella Storia dell'uomo d'Occidente. Ii volo che accomuna, ii volo che distingue, ii padre consapevole che porta a termine la missione, lontano dal figlio, e questi che azzarda e cede alla suggestione del Sole e precipita in mare 1. Ii mirabile artefice, pieno di metis, si avvale di un modello preso dal mondo animale, tenta ii volo e riesce. Questa invenzione strumentale rappreSenta l'assoluta novità del mito greco, che vede, appunto, per la prima e unica volta, come suo protagonista, la persona di un costruttore. Ii Labirinto era una prigione, realtà e metafora a un tempo; ebbene, ii medesimo ingegno che aveva concepito quel capolavoro insidioso fa ora da guida a Dedalo nel tentativo temerario di fuggirlo. La necessità è la causa del volo, ma 11 fine singolare non è soltanto l'approdo, il poSarsi su terreno fermo e sicuro, e piuttosto il carattere di sfida che corona ii successo riportato da Dedalo con la sua techne geniale, è la netta sensazione di prodigio che salva dal Labirinto, cioè dalla morte 4. Questo è anche il messaggio del Dedalo creteSe in Sicilia, saga e storia, realtà e metafora. Passiamo, ora, al secondo tempo di questa ineguagliata memoria dell'uomo: ii momento classico del Dedalo ateniese, sempre alato, sempre vincitore, sempre volto a Occidente. Insomma, un modello attico di Dedalo, in sostituzione del filo-sicano Dedalo della chora agrigentina. Un Dedalo che Si iscrive nella prospettiva politica del rapporto Atene-Segesta e che tocca inevitabilmente le coste della Sicilia settentrionale, non escludendo Himera come noi crediamo . Analogo al primo ma pifl maturo, ugualmente luminoso ma phi complesso, e il messaggio del nuovo Dedalo, denso di allusioni politiche - la futura alleanza di Himera con Siracusa e nell'aria, ma non al presente - e portatore di segni inconfondibili del potere economico ateniese in Sicilia, di contro all'effimero delle saghe patrimonio delle culture precedenti6 Questo, queSto secondo è senza dubbio ii Dedalo di Himera. Nel 1970, in appendice al volume Himera I, Achille Adriani aveva pubblicato una sua ricerca dal titolo Nuova versione del mito di Dedalo e Icaro su arule irneresi? 7, presentando, appunto, alcune delle numerose arule fittili - con la rappresentazione di una figura alata e ammantata, in groppa a un toro, che tiene tra le braccia un giovanetto nudo (fig. 1) - rinvenute tutte nell'abitato di Himera e databili tra ii 430 e ii 409 a.C., in base all'esito degli scavi I . Lo stesso Adriani, nel suo studio accurato degli esemplari imeresi, dopo avere ritenuto improbabili altre eventuali soluzioni, avanzO l'ipotesi, assai accattivante, che la scena figurata illustrasse un momento del mito di Dedalo e Icaro, in una versione forse locale. Due anni dopo, nel 1972, John Boardman, recensendo il volume Himera I, sostenne, fin troppo rapidamente, che la figura alata sembrava a lui femminile e priva di barba, che poteva essere Eos 81
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Fig. 1. Himera, Antiquarium. Arula fittile con Dedalo e Icaro, dall'abitato. Gruppo I. che rapisce Kephalos o Tithonos, in quanto ii giovanetto sarebbe vivo, e che unico motivo inspiegabile restava ii toro. Eos, continuava ii Boardman, dovrebbe cavalcare un cavallo, ma forse vi fu un motivo speciale e locale per una differente scelta, ii toro invece del cavallo, per questa particolare raffigurazione di Eos. Aggiungeva, infine, anche per la vicinanza o per l'assonanza dei nomi EosHemera-Himera, che Eos doveva essere onorata a Himera; ma non spiegava perché ciO sarebbe av-
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venuto soltanto alla fine della vita della colonia e non prima, perché ii nome di Eos non figurasse nel pantheon delle divinità imeresi certamente note, perché la nuova iconografia documentata dalle arule fosse sicura o almeno probabile in base a confronti archeologici, ovvero a testimonianze scritte. A parte l'osservazione di fondo che di Eos e Selene, sedute su cavalcature, possediamo scarsissimi esempi, e nessuno puO essere ragionevolmente coliegato con le arule figurate imeresi, noi non condividiamo quasi nessuna delle affermazioni del Boardman, anche perché esse si fondano sull'esame mediato dei soggetti delle arule. Esattamente a dieci anni di distanza, nel 1982, nel suo lungo lavoro Tipologia e analisi delle arule imeresi 10, Oscar Belvedere riesaminO le arule in questione, rifiutà l'ipotesi di lettura dell'Adriani, accettO solo alcune delie proposte del Boardman, dubitO che ii giovinetto sia rappresentato vivo, riconfermà che le ali appartengono aile figura maggiore, avanzô per un momento i'ipotesi che potesse trattarsi di Eos che trasporta ii cadavere del figiio Memnon (e, comunque, resterebbe da spiegare la presenza e ii significato del toro), e, infine, accennO alla possibilità di associare la figura alata deile arule imeresi a Selene e, quindi, al toro, se non fosse - precisiamo noi - che Selene rapisce Si Endimione addormentato ma è sempre aptera, e, p01, che questa iconografia si afferma soitanto in eta ellenistica. Vero è, vogliamo ricordarlo, che Selene, ma anche Pasifae ed Europa, sono divinità lunari minori, connesse col toro come ipostasi di Zeus; ma l'ipotesi fu subito prudentemente accantonata dal Belvedere. In sostanza, l'autore, nello stesso contesto, ha giudicato l'interpretazione dell'Adriani suggestiva, anche se si presta a gravi obiezioni, riteneva arduo proporre un'interpretazione alternativa, e considerava ancora aperta la soluzione del problema, si diceva alia fine convinto che trattavasi di un mito connesso in modo particolare con la città e con i suoi culti, riecheggiando in questo i'Adriani. Lo stesso studioso, nel 1990, a Giardini Naxos, presentando le sue Riflessioni sulle arule di Himera 11 , ha ripreso l'argomento senza sostanziaii modifiche. Non mi risulta che, in questi ultimi anni, alcuno sia tomato sul probiema, diffusamente, se si toglie il ricordo che delie arnie imeresi è in alcune riflessioni di G. Caputo 12, nelle utilissime liste di F. Brommer 13, in una nota apodittica contro la lettura Adriani di K. Schauenburg 14, nell'accurata voce Daidalos et Ikaros redatta per ii LIMC da J.H. Nyenhuis' 3 e neii'attenta catalogazione di H. Van der Meijden 16; poco o nulla ho potuto ricavare, per ii nostro tema, dalla lettura dell'intrigante volume delia Morris 17 Ed a questo punto, noi riteniamo che sia giunto ii momento per una rivisitazione del problema, convinti come siamo che troppe cose, e alcune del tutto fuori posto, sono state dette su questo gruppo di anile, tanto difficiii e ambigue da interpretare oggi, quanto invece gradite e popoiari furono in antico. Le arule imeresi, che ho ripreso a studiare, sono in numero di 16, fra intere e frammentarie, cornpresi i tre frustuli noti dagli scavi di P. Marconi al Tempio "della Vittoria" 11 . Vanno distinte in due gruppi prodotti da due diverse matrici, una di modulo maggiore (fig. 1), individuabile con certezza in 6 esempiari, e l'altra di modulo minore (fig. 2), nota da 5 riiievi fittih, questi uitimi tecnicamente e stilisticamente phi accurati rispetto agli esemplari del primo gruppo. Tanta frequenza significa per certo che ii tema, ii significato e l'importanza della scena dovevano avere vaiore e incidenza neila vita rehgiosa, sociale e crediamo anche politica di Himera, pur appartenendo, codeste anile, in maggioranza, aila sfera privata del cuito. Questo rende ovviamente ancor phi difficiie e contrastata la ioro iettura e aitrettanto ardua i'interpretazione. Conviene muovere, dunque, da una delle quattro ipotesi finora avanzate, quaie che sia ii personaggio principale - Eos, Selene, Pasifae o Dedalo - precisando che ii motivo unico di incertezza, per tutte e quattro le ipotesi, e costituito dalia presenza e dal vero significato del toro (ii mare, Poseidon, Creta, o aitro?) 19 Se si toghe Europa, mai alata peraltro, e qui a Hirnera addirittura insieme ad Amore, secondo ii Marconi" - ii quaie rinvenne tre frammenti deiie nostre arnie proprio neilo scavo condotto attorno al grande Tempio dorico "della Vittoria" - non ci risuita che altre divinità fernminih della mitologia greca abbiano cavaicato ii toro; e, passando ad altra qualita di livello iconografico, quand'anche per ipotesi azzardata si voiesse sia pure lontanamente pensare a Pasifae, invece del toro, riuscirebbe in83
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comprensibile ii giovanetto nudo raffigurato nella scena 21 . Veniamo ad Eos. Per legittima asserzione del Boardman, che noi abbiamo accuratamente verificato, Eos dovrebbe essere in groppa ad un cavallo 22, ma non lo è; e del tutto gratuita e inaccettabile ci sembra la giustificazione dello stesso studioso, ii quale attribuisce ad un arbitrio locale, imerese, la scelta del toro invece del cavallo, posto che il giovanetto sia Kephalos o Tithonos, oppure anche Memnon 23; e, tuttavia, proprio Memnon è quasi sempre raffigurato adulto. Esaminiamo, per ipotesi, l'identificazione della grande figura alata con Selene. Intanto, Selene che rapisce Endimione e sempre aptera e tale iconografia si afferma as84
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sai tardivamente, in eta ellenistica 24; poi, la cavaicatura di Selene è di norma ii cavallo e quando è presente ii toro questo è un toro marino, nella scia delle invenzioni mitologiche ellenistiche minori. E, comunque, in questo caso, ii giovanetto sarebbe rappresentato vivo e addormentato, dettaglio questo che assai difficilmente si confà alla figura giovanile in questione. Ma pub averlo Selene preso con sé, e in groppa ad un toro, stando a codesta iconografia del tutto nuova nel V secolo a.C., e per giunta esplicitata in una sola colonia, occidentale, e da monumenti minori del culto? Non lo crediamo possibile. Insomma, per quanti sforzi noi abbiamo fatto nel tentativo di immedesimarci nelle ipotesi altrui, diverse da queue dell'Adriani, siamo stati costantemente respinti o da un'ovvia obiezione o da un'intrinseca contraddizione. Alla fine, siamo venuti nella determinazione che l'ipotesi Adriani non solo è suggestiva, ma rispcinde ad una logica interna alla raffigurazione ed al riflesso che del mito di Dedalo essa ci tramanda. Anche se restano da chiarire, comunque, alcuni significativi aspetti diacronici del mito stesso. PerciO, la prima cosa che occorre fare, ripercorrendo in parte il lucido ragionamento dell'Adriani, è quella di controllare quale aspetto della saga di Dedalo la tipologia imerese riflette, e se questo aspetto è genuinamente antico ovvero è frutto di una lettura attardata delle imprese e delle peregrinazioni di Dedalo, e quindi satura di contenuti ideologici nuovi. Infatti, accettando la datazione delle arule al periodo 430-409 a.C., ci sarebbe da chiedersi se si tratta della semplice interpretazione €1gurata di un episodio del mito o non piuttosto di una trasposizione allegorica comunque originata dal travagliato peregrinare di Dedalo e dello sfortunato suo figlio. Ora, a parer nostro, se e scontato il fatto incontestabile della autonomia locale, civica vorremmo dire, delle arnie imeresi 25 , la cui scena figurata non ha confronti nel mondo greco, ebbene, questo particolare taglia seccamente la via a ipotesi interpretative forse anch'esse suggestive ma certo mattuali per calarci nella realtà politica e cultuale imerese. A questo punto dobbiamo lamentare l'assenza, a Himera, di altri monumenti coevi delle nostre arule e, comunque, di almeno altrettale, notevole rilevanza iconografica 26 Oggi, noi stessi, dopo molte incertezze, proponiamo di ritornare alla lettura dell'Adriani, perché ci sembra impossibile avanzare altre ipotesi che abbiano un qualche fondamento di logicita, al pan di quella che vede raffigurato nella scena delle arule di Himera un momento significativo, imerese e perciO siceliota e occidentale, della leggenda di Dedalo e Icaro 27 In un preciso momento della storia politica di Himera, da collocarsi nel breve periodo finale della sua vita, non precisabile con esattezza, ma che possiamo immaginare press'a poco corrispondente al terzo venticinquennio del V secolo a.C., periodo in cui la città, già affrancatasi dal prepotere degli Agrigentini, dovette darsi reggimenti democratici, gravitando prudentemente tra le rinnovate alleanze ateniesi in Sicilia, fino al patto di Gela del 424 (che accettava in "pansiculismo" di Ermocrate), è questo, secondo la nostra ipotesi odierna, l'unico clima possibile in cui poté maturare una rivisitazione autonomistica del mito di Dedalo, e codesto periodo coincide con il massimo fiorire dell'attività industriale imerese e proprio in rapporto con l'aprirsi della città al commercio attico 28• Perciè, com'è ovvio, e da escludere il momento successivo dell'ultima scelta imerese a favore di Siracusa contro Atene, contribuendo alia sanguinosa disfatta dell'Assinaro, nel 413 a.C. Ma si tratta, lo ripetiamo, di un'ipotesi di lavoro che noi stessi, per primi, ci proponiamo domani di approfondire. Intanto, qui, la presentiamo come un'ipotesi probabile e strettamente coliegata alle vicende politiche imeresi. Dedalo, dunque, l'Eretteide liberatore, l'eroe attico per eccellenza pieno di metis, inventore e patrono delle arti, il protos euretes, complice di Teseo nell'uccisione del Minotauro 29, rinnoverebbe ad Himera ancora una volta quel suo destino di testimone, come era accaduto ad Agrigento al tempo di Falaride e poi di Terone 30, ma con finalità del tutto diverse. Là attualizzava la radicale e mai trascurata politica locale dei tiranni 31, qui, ad Himera, evocava il patrocinio libertario ateniese a riconfermare la piena autonomia della vecchia colonia di Zanlde 32• F. non escludiamo che i coroplasti imeresi, autori delle nostre arule, abbiamo derivato da originaii a rilievo di grande modulo, noti nelia stessa città, questo interessante motivo, la cui complessità 85
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sintattica e la cui qualità di esecuzione presuppongono un modello attico, un archetipo forse pittorico della metà del V secolo o di poco posteriore Non è certo un caso, del resto, che ii maggior numero di testimonianze figurate relative a Dedalo ci vengano dalla pittura campana, e che, senza dubbio, i pittori pompeiani hanno derivato da modelii pittorici ellenistici e romani di grande abilità compositiva e tematica, come ha ben dimostrato, in un raffinato e utilissimo studio, Peter Heinrich von Blanckenhagen 14. E c'è di piü. In tutte le pitture note, a partire dallo splendido quadro (oecus "A", parete sud) della Villa Imperiale di Pompei38 (fig. 3), Dedalo e sempre pesantemente ammantato, mentre Icaro è costantemente nudo; e altresI, in almeno tre o quattro dipinti, e presente la statua del dio Poseidone, ii signore del mare che partecipa muto alla scena. Ma quello che pifl sorprende, proprio nei dipinti pompeiani, certo derivati da complessi originali ellenistici, dov'è rilevante 11 senso della spazialità, e 11 fatto che pure la città di Cnosso vi compaia ben quattro volte. Segno palese di estrazione filologica che il repertorio ellenistico ha trasmesso sottolineando la provenienza e fors'anche la nascita cretese del padre e del figlio volanti, una volta cessato il prepotente interesse attico di eta classica36. Cosl noi stessi non esciudiamo, accettando il suggerimento dell'Adriani, un grande e importante modell0 37 . Da questo archetipo iniziale, pittorico, e probabile che derivino in prima istanza, uno o phi rilievi circolanti in Sicilia e ad Himera, e che questi, localmente ed in un secondo momento, abbiano dato origine allo schema delle nostre arule. Nel modello pittorico attico i tre dettagli iconografici tradizionali del motivo - toro = mare-Poseidon, vecchio ammantato in lutto = Dedalo, giovanetto nudo e morente = Icaro - non solo dovevano essere tutti presenti, come nelle arule imeresi, ma yennero trasmessi ai successivi modelli ellenistici che li hanno reinterpretati ed hanno aggiunto di nuovo le figure femminili che piangono la caduta di Icaro, secondo il tipico repertorio patetico dell'Ellenismo, iterato certo dalla pittura pompeiana 38; e, del resto, codeste figure femminili sarebbero state inconcepibili e incomprensibili nell'archetipo di V secolo. Infine, com'è ovvio, nei vari modelli ellenistici, forse tutti pittorici, la naturale ipostasi toro = mare = Poseidon è stata semplicemente sostituita da una figura di Poseidone, che in alcuni esemplari di pittura campana e addirittura la statua del dio39. Concludiamo questa nostra breve discussione ricordando che sussistono almeno tre buoni moti vi per supporre che le anile rappresentano Dedalo e Icaro in un momento subito successivo alla Caduta del giovanetto. I) Cultuale: perché ii mito si radica con le sue origini cretesi nel dorismo di Himera e puô essere stato gestito da comunità interessate, preponderanti solo in un preciso momento di vita della città. II) Politico: perché esso segue alla liberazione del giogo agrigentino ed è connesso col periodo della vicinanza politica con Atene, patria del mitico Dedalo. III) Sociale: perché coincide con il massimo fiorire dell'attività industriale imerese e proprio in rapporto con l'aprirsi della città al commercio attico. Manca, a tuttora, ii movente letterario, il phi antico possibile, certo, che colleghi Dedalo a Himera. Ma lo studio di queste arule ci ha richiamato alla mente il vecchio lavoro di A.W. Byvanck 40, che presupponeva una versione siceliota, imerese, della leggenda di Dedalo - nel quadro delle antichissime presenze minoico-cretesi in Sicilia - versione probabilmente diffusa da un poema della metà del VI secolo di Stesicoro di Himera, l'Omero lirico dell'Occidente, il quale, è probabile, insieme al "folle volo" abbia cantato il sole e il mare, dunque Poseidon 41 . E, a questo punto, non possiamo non ricordare che noi stessi, in diverse occasioni e per altra via, abbiamo postulato che la decorazione fittile dei templi arcaici di Himera, e, addirittura, parte dei dcli scultorei frontonali del Tempio dorico "della Vittoria " 42 dovessero riflettere, com'è naturale, i grandi temi delle composizioni liriche di Stesicoro imerese. Un Dedalo, quello stesicoreo, che doveva riecheggiare un modello antichissimo, probabilmente cretese, e in tutto diverso da quello attico e, quindi, del ben phi tardo Dedalo imerese, da noi appena sopra postulato, ma pur'esso, come il primo, saldamente ancorato alla Sicilia. 86
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NOTE N. BONACASA, Il Dedalo ateniese di Himera, in Natura, mito e storia nel regno sicano di Kokalos (Atti del Convegno - Sant'Angelo Muxaro, 25-27 Ottobre 1996), Agrigento 1999, pp. 227-234. 2 V. TINE', Cocalo, Dedalo e Minosse. Archeologia e mito nell'interazione tra Greci e Indigeni in Sikania, ibid., pp. 211-225. A. BoArro, Della guerra e dell'aria, Genova 1992, pp. 60-62 C. Serris FRUGONI, Historia Alexandri elevati per griphos ad aerem, Roma 1973, pp. 98, 129-130; P. SCARPI, Daidalos e ii Labyrinthos, in BFilGrPadova 1, 1974, pp. 194-2 10; S. STUCCHI, La statua marmorea trovata a Mozia: per una nuova lettura del monumento, in La statua marmorea di Mozia (Atti della Giornata di Studio, Marsala 1 Giugno 1986), Roma 1988, p. 83 ss.; BOATTO, Della guerra e dell'aria, cit., pp. 63-64; D. WILLERS, Dedalo, in I Greci 2,1 Torino 1994, pp. 1295-1306; K. LUCK-HUYSE, Der Traum vom Fliegen in der Antike, Stuttgart 1997, pp. 39-77. G. MADDOLI, Il Vie il Vsecolo, in La Sicilia antica II, 1, Napoli 1980, pp. 67 ss., 74 ss. Per l'arrivo di Dedalo sulle pitt svanate coste italiane: J. BERARD, La Magna Grecia (ed. it.), Torino 1963, p. 407 ss.; L. BRACCESI, Statue di Dedalo e Icaro nell'area del Delta padano, inStRomagn 19, 1968, p.43 ss.; ID., Grecitd di frontiera, Padova 1994, p.72 ss.; W. ALZINGER, Daidalika in Tirol?, in Forschungen und Funde. Festscrift B. Neutsch, Innsbruck 1980, p. 45 ss.; K. SCHEFOLD, Goetter-und Heldensagen der Griechen in der frueh-und hocharchaischen Kunst (2. Aufl.), Muenchen 1993, p. 73; D. PJDGWAY, Daidalos and Pithekoussai, in AION N.S. 1, 1994, p. 69 ss.; F. ZEVI, Gli Eubei a Cuma. Dedalo e l'Eneide, in RivFillstrCl 123, 1995, p. 178 ss.; C. CRUCIANI, Giasone e Dedalo al Sele, in Ostraka V, 11996, p. 23 ss.; S. DE VIDO, Orizzonti politici e culturali dell'area el/ma (Atti Seconde Giornate Inter. di Studi sull'Area Elima, Gibellina, 22-26 Ottobre 1994), Pisa-Gibellina 1997, p. 549 ss. 6 Sofocle, con le sue tre tragedie, Daidalos, Kamikoi, Minos, cfr. TrGF 4, Sophocles, S. Radt (ed.), Goettingen 1977, pp. 171-173, 310-312, 348 = frgg. 158-164a, 323-327, 407; S. P. MORRIS, Daidalos and the Origins of Greek Art, Princeton 1992, pp. 215-216), e anche lei patrocinatrice di un "atticismo" culturale e politico-economico. Cfr. G. VANOTTI, Sofocle e l'Occidente, in I tragici greci e l'Occidente, Bologna 1979, p. 112 ss.; S. BIANCHETTI, Falaride e pseudofalaride. Storia e leggenda, Firenze-Roma 1987, p. 55. AomAi'n, Nuova versione del mito di Dedalo e Icaro su arule imeresi?, in Himera I, Roma 1970, p. 385 ss., figg. 22-26. 8 E. JOLY, IMateriali, Le terracotte, ibid., pp. 296, 298-299. J. BOARDMAN, Recensione a Himera I, in ClassRev N.S. XXII, 1972, pp. 294-295 a 0. BELVEDERE, Tipologia e analisi della arule imeresi, in Secondo Quaderno imerese, Roma 1982, pp. 103-106, B-12, tavv. XXIV, 1,34; XXV; XXVI, 1; XXVII. 0. BELVEDERE, Riflessioni sulle arule di Himera (Atti del Seminario di studi, Giardini-Naxos 18-19 ottobre 1990) 1993, p. 65ss. G. CAPUTO, La rappresentazione del toro e l'antico interesse a questo tema nella terra di Cocalo (Atti I Simposio Inter. Protostoria Ital., Orvieto, 21-24 Settembre 1967), Roma 1969, p. 44. 13 F. BROMMER, Denkmaelerlisten zurgriechischen Heldensagen, Marburg 1976, p. 63. 14 K. SCHAUENBURG, Zwei seltene mythologische Bilder auf einer Amphora, in Classica et Provincialia. Festschrift fuer E. Diez, Graz 1978, p. 172, nota 26. J. H. NYENHUIS, Daidalos et Ikaros, in LIMC 111,1, Zurich-Muenchen 1986, pp. 319-320, n. 50, a. 16 H. VAN DER MEIJOEN, Terrakotta-Arulae aus Sizilien und Unteritalien, Amsterdam 1993, pp. 122-123 (IV, 4.7.5.), 317-319 (MM, 5-18). 17 S.P. Momis, Daidalos, cit., pp. 36 ss., 195 ss., 215 ss., 271 ss. IS P. MARCONI, Himera. Lo scavo del Tempio della Vittoria e del temenos, Roma 1931, pp. 111-114, figg. 90-92. Altralettura ipotetica, ma secondaria, avanzata dal Marconi: Afrodite epitraghia ad Eros giovanetto. Sul tema iconografico di Europa, cfr. R. PINCELLI, Europa, in EAA, III, 1960, p. 542 ss.; M. ROBERTSON, Europa, in LIMC, IV, 1-2 1988, pp. 76-92, nm. la-225, tavv. 32-48. 19 E, altresi, questa incertezza si cobra di disappunto perche nell'ambito della ricerca odiema, non sappiamo, e non sapremo mai - se togli 11 ricordo genenico della fonte: Skylax, Periplous. Geographi Graeci minores, p.321 (ad. Gail), n. 15 (= J. OVERBECK, Die antiken Schriftquellen, Leipzig 1868, p. 14, n. 105) - che cosa Dedalo avesse scolpito nel suo magnificato altare dedicato a Poseidon, un altare unico per bellezza (cfr. S.P. Moa.ais, Daidalos, cit., pp. 74, 244). Certo, è ipotesi probabile che vi avrà rappresentato (ma come?) e onorato ii dio del mare. 20 MARCONI, Himera, cit., pp. 112,114. 21 Ii quale sarebbe vivo, per ii Boardman, a dubitativamente per ii Belvedere. Entrambi, ad ogni modo, lo riconducono a forme di ispirazione attica, seguendo in questo l'Adriani. 22 J BOARDMAN, Recensione a Himera I, cit., p. 295; G. CRESSEDI-G. COLONNA, Eos, in EAA III, 1960, p. 354; C. WEISS, Eos, in LIMC III, 1-2 1986, pp. 747-789, nn. 2-342, tavv. 562-583. 23 G. CRESSEDI, Cefalo, in EAA II, 1959, p. 451 s.; E. PARIBENI, Tithonos, in EAA VII, 1966, p. 882 s.; RED., Memnone, in EAA IV, 1961, p. 999 s.; A. KOSSATZ-DEISSMANN, Memnon, in LIMC VI, 1, 1992, p. 448 ss.; E. Slrvr&siToNI-B0uNIA, Kephalos, in LIMC Vii, 1992, p. 1 ss. 24 E. PARIBENI, Selene, inEAA VII, 1966, p. 169; Tn. Ksers, Hekate, Heidelberg 1960, p. 102 ss. 25 ADRIANI, Nuova versione del mito di Dedalo e Icaro, cit., p. 392-394; 0. BELVEDERE, Tipologia e analisi delle arule imeresi, cit., p. 104. 76 Ma le grandi botteghe dci coroplasti di Himera, intorno a quel tomb di tempo, avevano ultimato o stavano per ultimare la terza e ultima dacorazione acroteniale del Tempio B: Nikai, figure abate, etc. N. BONACASA, L'area sacra, in Himera I, pp.
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166 s., 177 ss.; ID., Ipotesi sulle sculture del Tempio della Vittoria a Himera, inAparchai I, Pisa 1982, PP. 303-304; ID., Laproduzione scultorea ad Himera nel V secolo a. C., in Praktika tort XII Dieth. Syn. Klas. Archaoiloghias ( Athina 4-10 Sept. 1983)111, Athina 1988, p. 16; ID. Nuove ipotesi sulla coroplastica templare decorativa a Hirnera, in Naxos 1953-1995 - Dallo scavo al Museo (Attj Tavola Rotonda, 26-27 Ottobre 1995), Messina 1998, p. 131 ss.; ID., Riflessioni su tre nuovi acroteri imeresi, in Koinci, Miscellanea di Studi Archeologici in on. di P. Orlandini, Milano 1999, p. 297 ss. 27 A meno che dietro codesto "ritorno" ideale di Dedalo non sia ipotizzabile una riconferma indiretta del dorismo imereSe, forse mantenuto in vita da una minoranza di cittadini. Se cosi, nel ritorno a formule politiche oramai superate di dorismo - unitamente all'alleanza con Siracusa - si potrebbe annidare una delle probabili concause della tragica fine di Himera nel 409 aC. 21 N. BONACASA, L'area sacra, cit., pp. 177-179; ID., Da Agrigento a Hirnera: la proiezione culturale, in Agrigento e la Sicilia greca (Atti Settimana di Studio, Agrigento 2-8 maggio 1988), Roma 1992, p. 133 ss.; K. MEISTER, La rottura degli equilibri, ibid., p. 113 ss.; A. SrAzlo, Moneta, economia e società, ibid., p. 219 ss.; N. ALLEGRO, Tipi della coroplastica imerese, in Quader-no Irnerese, Roma 1972, p. 39 ss.; ID., Louteria a rilievo da Hirnera, in SecQuadim, pp. 121-123, 162-166; 0. BELVEDERE, Tipologia e analisi delle arule in2eresi, cit., pp. 111-112; N. ALLEGRO, Quartiere Est, I materiali, in Himera II, Roma 1976, I, pp. 501-503; A. CALDERONE, Riflessi della politico ateniese in Occidente: I Sicelioti e il mito di Trittolemo, in QuadlAUMessina 7, 1992, p. 33 ss. ° G. BECATTI, La legenda di Dedalo, in RM LX-LXI, 1953-54, pp. 22-36; G. RIZZA, Dedalo e le origini della scultura greca, in CrASA 2, 1963, pp. 5-49; F. FRONTISI-DUCROUX, Dédale. Mythologie de Partisan en Grèce ancienne, Paris 1975, pp. 29 ss., 64 ss., 89 ss., 135 ss., 151 ss., 171 ss.; R. CORCHIA, Genealogia dedalica e scultura arcaica: un "canone" in forma di mito?, in MEFRA 93, 1981, p. 533 ss.; S.P. Mosatis, Daidalos, cit., pp. 150 ss., 195 ss., 215 ss., 271 ss.; K. SCHEFOLD, Goetter-und Heldensagen, cit., p. 172. 30 R. HOLLAND, Die Sage von Daidalos und Ikaros, Leipzig 1902, pp. 1-38; G. PUGLIESE CARBATELLI, Minos e Cocalos, in Kokalos II, 11956, p. 89 ss.; F. PFISTER, Goetter und Heldensagen der Griechen, Heidelberg 1956, pp. 108, 110-111, 227, 232; E. MANNI, Sicilia pagana, Palermo 1963, pp. 53 ss., 67 ss., 80 S.; J. BERARD, La Magna Grecia, cit., pp. 381, 402, 405-411, 443; S. BIANCHETTI, Falaride e pseudofalaride, cit., pp. 28-32, 41 ss., 72 ss.; R. SAMMARTANO, Dedalo, Minosse e Cocalo in Sicilia, in Mythos 1, 1989, p. 201 ss.; BONACASA, Da Agrigento a Himera, cit., p. 133 ss; 0. MumAY, Falaride tra mito e stoi-ia, ibid., p. 47 ss.; R. VAN COMPERNOLLE, La signoria di Terone, ibid., p. 61 ss.; AA.VV., Dizionario dei culti e miti nella Sicilia antica I, Palermo 1996, pp. 85-86; C. CASERTA, Gli Ernmenidi e le tradizioni poetiche e storiografiche su Akragas fino alla battaglia di Himera, (SEIA 12, 1995), Palermo 1999, pp. 9 ss., 81 ss., 101 ss., 123 ss., passim. 31 La restituzione da parte di Terone delle ossa di Minosse ai Cretesi segnb un momento di pace con l'elemento indigeno ., a produsse il ricompattamento del secolare rapporto Agrigento-Creta. BIANCHETTI, op. cit., pp. 31-32, 41 ss.; Bonacasa, art. cit inAgrigento e la Sicilia greca, pp. 137, 139 ss. 32 Si potrebbe obiettare che, forse, e piü semplicemente, nelle nostre arule, il toro potrebbe non alludere al mare e Poseidon, tomba del figlio di Dedalo, ed essere invece una tardiva ipostasi di Creta. Insomma, alla fine, codeste anile potrebbero significare il pietoso ideale ritorno di Dedalo, del vecchio padre in lutto che stringe a sé ii figlio morto, perché e morto, e senza ali perché Si S000 sciolte al sole. E allora il toro sarebbe ipostasi per eccellenza del sito originario dei due, Creta. Ma noi stiamo per la prima ipotesi, quella che coinvolge 11 personaggio Dedalo, ateniese, alludendo pure all'autonomia di Himera. ADRIANI, Nuova versione del mito di Dedalo e Icaro, cit., p. 390; 0. BELVEDERE, Tipologia e analisi delle arule imeresi, cit., p. 104.; ID., Riflessioni sulle arule di Himera, cit., pp. 67-68. II particolare ricorre anche per altri rilievi, dietro ai quali sorio staii intravisti originali attici, forse pittorici. Per 11 Dedalo ateniese, raffigurato nel Partenone e nello scudo dell'Athena Parthenos: G. BECATTI, Problensi fidiaci, MilanoFirenze 1951, pp. 111-112; F. PREISSHOFEN, Phidia-Daedalus auf dem Schild des Athena Parthenos? Ampelius 8, 10, in JdI 89, 1974, p. 50 ss.; M. ROBERTSON, The South Metopes: Theseus and Daidalos, in Parthenon Kongress Basel, Mainz a. R. 1984, pp. 206-208, tavv. 15-16; S.P. Momtis, Daidolos, cit., pp. 261-263. In generale, sultema del viaggio di Dedalo e sulle vane tipologie delle sue raffigurazioni, dopo l'articolo di J.H. NYENHUIS, Daidalos et Ikaros, cit., in LIMC III, 1, p. 313 ss.; cfr. tra gli altri: J. BORCHHARDT, Myra. Eine lykische Metropole, Berlin 1975, pp. 221-222, 228; S. STUCCHI, La statua mannorea di Mozia e ilviaggio aereo di Dedalo, in RendPontAcc 59, 1986-87, pp. 3 ss., 18 s., 28 ss.; M. SCHMIDT, Daidalos und Ikaros auf Kreta, in Kotinos. Festschrift E. Simon, Mainz a. R. 1992, p. 306 ss.; M.A. Rizzo-M.MARTELLI, Un incunambolo del mito greco in Etruria, in ASAtene N.S. XLVIII-XLIX, 1988-89 (1993), p. 7 ss., figg. 7, 9, 38; L. BACCHIELLI, Dedalo mette le ali a Icaro, in Studi per P. Zampetti, Ancona 1993, p. 23 SS.; STUCCHI, La posizione del braccio destro della statua di Mozia ed on torso di Cirene, in La stile severo in Grecia e in Occidente. Aspetti e pro blemi, Roma 1995, p. 79 ss.; G. HAFNER, Der Schoenste seines Jahrhunderts, ibid., p. 61 ss. P .H. VON BLANCKENHAGEN, Daedalus and Icarus on Pompeian Walls, in RM 75, 1968, p. 106 ss. u K. SCHEFOLD, Die Waende Pompejis, Berlin 1957, pp. 46, 89, 266, 269, 290; P.H. VON BLANCKENHAGEN, Daedalus and Icarus, cit., pp. 107-108 ss. Per altre raffigurazioni, C. M. DAWSON, Romano-Campanian Mythological Landscape Painting, New Haven 1944, pp. 80-81, 84, 89, 99, 104-105, 107-108, 119-122, 140-142; U. PAPPALARDO, I mosaici della "Villa Imperiale" a Pampei, inAtti IVColloquio AISCOM (Palermo, 9-13 Dicembre 1996), Roma 1997, p. 541 ss.; F. PARISE BADONI, Ikaros: rappresentazione di un mito greco in ambiente romano, in I temi figurativi nella pittura parietale antica (Bologna 20-23 Settembre 1995), Bologna 1997, pp. 103-105. 36 G. BECATTI, La legenda di Dedalo, cit., p. 29 ss.; S.P. MORRIS, Daidalos, cit., pp. 215 ss., 271 ss. v ADRIANI, Nuova versione del mito di Dedalo e Icaro, cit., pp. 387, 390. 38 P.H. VON BLANCKENHAGEN, Daedalus and Icarus, cit., pp. 132-135. A questo punto, occorre precisare che Poseidone già al cadere del primo arcaismo non appare piL sotto forma di toro, ipostasi ceduta ben presto alle personificazioni di fiumi e di fonti, per assumere quella di cavallo e, p01, di cavallo marino. Ma presto il dio e raffigurato, a partire dal tardo arcaismo, sotto forme umane a in seguito, definitivamente, di tipo statuario. La
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statua, dunque, che compare nelle pitture pompeiane e in altri monumenti, ha un preciso motivo d'essere. P. COURCELLE, Quelques symboles funeraires du Ne'o-Platonisme latin, in PEA XLVI, 1944, p. 65 ss.; R. HAMPE, Daedalus und Icarus aufSpaetroemischer Sigillatakanne, in Mansel'e annagan, Ankara 1974, p. 25 ss.; C. BERARD, Une representation de la chute d'Icare a Lousonna, in ZSchwaAKuGesch 23, 1963-64, p. 1 ss.; ID.-M. HOFSTETTER, De'dale et Icare: tradition on renouveau?, in Bronzes hellenistiques et romains (Actes 5. Coil. Inter. Bronzes Ant.), Lausanne 1978 (1979), p. 121 SS.; S. CALDERONE, Ii mito di DedaloIcaro nel simbolismo funerario romano, in Romanitas, Christianitas. J. Straub zum 70. Geburtstag, Berlin 1982, pp. 749-767; J.H. NYENHUIS, Daidalos et Ikaros, cit., in LIMC III, 1, pp. 315-316, 317 ss.; H. SICHTERMANN, Die Antiken Sarkophagreliefs 12, 2. Die Mythologischen Sarkophage, Berlin 1992, pp. 100-102, ncr. 25-26, tavv. 23-25. ° A. W. BYVANCK, De Magnae Graeciae Historia Antiquissima, Leiden 1912, p. 15. Per le due tragedie di Sofocle (Daidalos, Minos), che qui merita richiamare, cfr. n. 6. 41 J VURTHEIM, Stesicoros' Fragmente und Biographic, Leiden 1919; W. FERRARi, Stesicoro imerese e Stesicoro locrese, in Athenaeum XV, 1937, p. 244 ss.; The Oxyrhyncus Papyri X.XXII, 1967, nn. 2617-2619; M.L. WEST, Stesichorus, in ClQuart XXI, 1971, p. 302 ss.; D.L. PAGE, Stesichorus: the Geryonels, in JournHellStud XCIII, 1973, p. 138 ss.; ID, Lyrica Graeca Selecta, Oxford 1973, p. 30 ss.; C. M. BowFs.4, Greek Lyric Poetry (II ed.), Oxford 1961, trad.it . La lirica greca, Firenze 1973, Pp. 107-109, 126 ss., 131 ss., 171 ss. 182-185. 42 P. MxecoNl, Himera, cit., pp. 66-70; N. BONACASA, Ipotesi salle sculture del Tempio, cit., p. 291 ss.; P.H. BRIZE, Die Geiyoneis des Stesichorus und die fruehgriechische Kunst, Wuerzburg 1980, pp. 1 is., 39, 64 s.
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LORENZO BeccEsI
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I TIRANNI DI SELINUNTE Per Selinunte, la tradizione ci conserva memoria di due tiranni: Terone e Pitagora. Ma, oltre ii loro nome, avarissime sono le notizie in nostro possesso. Del primo, Terone, siamo informati da Polieno 1, raccoglitore di celebri stratagemmi. Egli ci dice che i Selinuntini subiscono una grave sconfitta da parte dei Fenici di Sicilia, e che, in quella occasione, mentre timorosi sono asserragliati dentro la loro città, Terone, figlio di Milziade, presi con sé trecento schiavi, si offre di andare a seppellire i caduti mentre ancora i nemici controllano le campagne circostanti. I suoi concittadini sono tutti contenti di tanto ardimento; ma egli, condotti gli schiavi fuori della città, ii convince a farvi ritorno nel cuore della notte per massacrare i propri padroni usando le stesse scuri con le quali avrebbero dovuto preparare i roghi funebri. Cia che avviene puntualmente, consentendo cos! a Terone di operare ii colpo di stato che lo rende tiranno in Selinunte. Del secondo, Pitagora, siamo informati, seppure molto incidentalmente, da Erodoto 2 Ii contesto e quello relativo alla narrazione della sfortunata spedizione siciliana del principe spartano Dorieo; sconfitto, dopo ii 510, nei pressi di Erice, dai Fenici e dagli Elimi di Segesta, loro alleati, che 10 uccidono radendo al suolo Eraclea, la colonia da lui appena fondata. In quella occasione solo uno dei suoi compagni si salva, e questi, Eurileonte, prima si insedia in Minoa, quindi aiuta "i Selinuntini a liberarsi del tiranno Pitagora", infine si tramuta egli Stesso in tiranno. Cosa che perO i Selinuntini non gli perdonano; infatti l'uccidono nonostante che, supplice, egli si Sia rifugiato presso l'altare di Zeus Agoraios.
Questo è quel pochissimo che sappiamo dei due (o dei tre?) tiranni di Selinunte. Di Terone conosciamo unicamente l'occasione della sua ascesa al potere, di Pitagora solo la causa della sua caduta. Entrambi esprimono un potere assoluto, ma non sappiamo se i due regimi tirannici siano da considerare distinti, ovvero come estrinSecazione del medesimo governo tirannico durato due generazioni. In ogni caso la tirannide si accompagna a staseis e lotte intestine delle quali superstite eco pare cogliersi nella documentazione epigrafica 3 . In ogni caso anche qui la tirannide si cobra, nella tradizione posteriore, delle consuete e stereotipe note di vituperio che coinvolgono indiscriminatamente tutti i suoi componenti. Come è ii caso di Terone, la cui conquista del potere si accompagna alla condanna per l'appoggio derivatogli dall'elemento servile; ovvero di Eurileonte, la cui morte si giustifica anche se sacrilega, anche se avvenuta in spregio alla norma sacra che SanciSce l'inviolabilità dei supplici. Delle due tirannidi di Terone e di Pitagora riusciamo a datare solo la seconda perché ancorata agli eventi che seguono alla disfatta di Dorieo, avvenuta dopo ii 510 a.C. Ma a quando datare la tirannide di Terone? Tutto indunebbe a credere che si ponga in eta anteriore a quella di Pitagora, poiché ne saldiamo la genesi a una guerra combattuta dai Selinuntini contro i Fenici. Guerra che puO datarsi solo in eta precedente perché non conosciamo fra elemento selinuntino ed elemento fenicio, o punico, altre contese in epoca successiva, e per tutto ii secolo che corre fra la sconfitta di Dorieo e la distruzione di Selinunte. In particolare, legandosi ii colpo di stato operato da Terone ai postumi di una sanguinosa sconfitta, la critica 4 ha inferito che questa, con tutta probabilità, sia da ravvisare in quella subita dai Selinuntini ai tempi della spedizione di Pentatbo di Cnido: databile nella cinquantesima olimpiade, e quindi nel quadriennio 580/576. La critica, inoltre, seppure senza correlarne fra loro le vicende, ha inferito che entrambi i tiranni fossero di sentimenti fibopunici: l'uno perché avventuratosi indisturbato nella campagna selinuntina presidiata dai Fenici 3, l'altro perché di "segno contrario" a Eurileonte, ii quale certo tentava di proseguire l'azione di Dorieo 6• Cosl stando be cose, nulla albora impedisce di congetturare che i nostri tiranni, tanto Terone 91
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quanto Pitagora, abbiano preso ii potere dopo le due sconfitte inferte, per iniziativa di Fenici e di Elimi, ai Selinuntini e ai loro alleati, approdati da Cnido o da Sparta rispettivamente ai tempi di Pentatlo e di Dorieo. In entrambe le occasioni la sconfitta, sia propria, sia del potente alleato, determina in Selinunte un sovvertimento interno che si traduce nell'instaurazione di una tirannide che è spalleggiata da forze esterne. In entrambe le occasioni la ricaduta degli eventi appare proprio speculare perché analoghe sono le dinamiche che portano al fallimento delle spedizioni transmarine e al colpo di stato all'interno della città. Solo Eurileonte ci appare un tiranno di segno decisamente contrario: ostile, anziché amico, dei Cartaginesi. Alla luce di questa considerazione e bene riflettere nuovamente su tutti gli eventi del quali e protagonista, cos! come ci sono tramandati da Erodoto. Si erano imbarcati con Dorieo come compagni nella fondazione della colonia anche altri Spartiati, Tessalo, Parebate e Celea ed Eurileonte, I quali, quando giunsero con tutta la spedizione in Sicilia, morirono vinti in battaglia dai Cartaginesi e dagli abitanti di Segesta. Del fondatori della colonia solo Eurileonte sopravvisse a questo disastro. Egli, presi con sé I superstiti dell'esercito, occupà Minoa, colonia dei Selinuntini, e aiutO I Selinuntini a liberarsi del tiranno Pitagora. Ma poi, dopo averlo abbattuto, egli stesso tenth di impadronirsi della tirannide di Selinunte e ci riuscl, ma per poco tempo perché i Selinuntini si ribellarono e Jo uccisero, sebbene egli Si fosse rifugiato presso l'altare Documento acquistato da () il 2023/07/06.
di Zeus Agoraios.
Ha nome Eraclea la colonia di Dorieo abortita sul nascere. Ii toponimo, aSsente in Erodoto, ci e conservato da Diodoro . Totale e la disfatta del principe spartano, ma non tutti i suol compagni penscono con lui. Si salva, infatti, Eurileonte che guida I superstiti della sfortunata spedizione a Minoa. La città e ancora colonia di Selinuntini, e molto probabilmente, e proprio in questa occasione che muta 11 suo nome in Eraclea Minoa 8 . Eurileonte si inserisce quindi, come protagonista, negli affari interni di Selinunte, e aiuta i Suoi abitanti a disfarsi del tiranno Pitagora. Ma poi egli stesso si trasforma in tiranno e per questo motivo viene ucciso. Come decodificare questi accadimenti, tutt'altro che lineari e talora anche apparentemente contraddittori? Se i Selinuntini accolgono a Minoa Eurileonte con i superstiti della spedizione spartana, dobbiamo ritenere scontato (e già l'abbiamo considerato un dato acquisito) che essi abbiano cornbattuto al fianco di Dorieo, esattamente come avevano combattuto, settant'anni prima, al fianco di Pentatlo. Cosl stando le cose, la sconfitta di Dorieo determina, contemporaneamente, tanto l'asserragliamento di Eurileonte a Minoa, quanto Ii colpo di stato di Pitagora a Selinunte. Di qui, come sempre in questi casi, saranno p01 fuggiti I cittadini di parte avversa: doe non disponibili a inteSe con 11 nemico. Avremmo cos! giustapposti due schieramenti politici: quello del tiranno e quello degli esuli politici, suoi oppositori. Ma dove potevano riparare questi ultimi fidando in aiuti per la propria battaglia? Se concentriamo l'attenzione sui dati in nostro possesso, è facile concludere che anche essi si siano diretti a Minoa, dove avrebbero convinto Eurileonte a marciare su Selinunte per abbatterne il tiranno. Fin qul tutto potrebbe avere una sua logica giustificazione. Ma perché poi i Selinuntini, sbarazzatisi di Pitagora, decidono di sbarazzarsi anche di Eurileonte, accusandolo, a sua volta, di essere divenuto un tiranno? Chiaramente il motivo è pretestuoso. Altra è la yenta. La risposta, a ben vedere, ci è fornita dagli accadimenti successivi: dal fatto che, nel 480 a.C., al tempo della battaglia di Imera, I Selinuntini sono alleati del Cartaginesi 9. Ma che cosa e accaduto nel frattempo? E successo che i Selinuntini, già schierati al fianco di Dorieo, sono ora costretti a invertire rotta politica se vogliono sopravvivere in una terra che confina con la Sicilia punica. E semplice realismo politico: destinato a evitare alla città di spenimentare altri insuccessi e altri regimi tirannici imposti dall'esterno. Cambia cosI, di necessità, anche il loro atteggiarnento nel riguardi di Eurileonte: prima accolto da liberatore e da amico, quindi, divenuto personagglo scomodo, ucciso come tiranno. Ma come si inserisce l'episodio nel quadro altalenante dei rapporti fra Greci e Fenici, e quindi fra Greci e Cartaginesi? E proprio difficile dirlo, anche perché ignoniamo l'esatta cronologia della sconfitta di Donieo che puO collocarsi tanto in data prossirna al 510 a.C. (quando appnoda in Sicilia) quanto in data sensibilmente posterione 1O• Solo un elemento è sicuno e, per quanto appanentemente 92
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marginale, induce alla riflessione. Erodoto 11 ci informa che, nel 480 a.C., Gelone, ii tiranno di Siracusa, rimprovera agli Spartani di non avere appoggiato i Greci di Sicilia nella loro lotta contro ii barbaro, pagata appunto con ii sangue di Dorieo. L'anno è ii medesimo che vede Gelone e Terone di Agrigento trionfare a Imera sui Cartaginesi e sui loro alleati selinuntini. Dobbiamo allora pensare che la lotta iniziata contro Dorieo si sia prolungata, fra alterne vicende e mutevoli alleanze, fino a questa data? Non lo possiamo esciudere. Chiarita cos! l'opposta connotazione del tiranni di Selinunte, possiamo, almeno SU Un punto, giungere a una conclusione che ci pare difficilmente confutabile. Cioè che a Selinunte, laddove si cccettui ii non-selinuntino Eurileonte, l'operato dei tiranni è rivolto all'intesa, anziché alla lotta, con l'elemento elimo, fenicio o cartaginese. I tiranni, diversamente da quanto avviene in eta successiva a Siracusa o Agrigento, non calano in forma provvidenziale sul teatro degli umani eventi per sconfiggere ii barbaro, bensI, viceversa, perché sorretti o imposti dallo straniero. NOTE Polyaen. 1, 28, 6. Herod. 5, 46, 2. Su cui vd. ora G. NENCI, Erodoto, Le Stone, Libro V, Milano 1995, p. 220. IGDS 28(=IS 152). Cos! già E.A. FREEMAN, The History of Sicily from the Earliest Times, II, Oxford 1891, PP. 81-82. Vd. ora per tutto ii problema, con documentazione anche su ipotesi alternative, N. LURAGHI, Tirannidi arcaiche in Sicilia e Magna Grecia, Firenze 1994 [con omessa I'indicazione "tesi di dottorato di ricerca in stonE antica, ciclo IV, Università di Roma (La Sapienza), di Trieste e di Venezia"], p. 52, nn. 6 e 7. Cos!, ancora di recente, G. MADDOLI, Ii Vie il V secolo, in E. GABBA - G. VALLET (edd.), Storia della Sicilia, II, Napoli 1979, pp. 1-102, part. 12, nonché D. ASHERI, Carthaginians and Greeks, in CAH 2, IV, 1988, pp. 739-780, part. 757. Cosi ora anche N. LURAGHI, Tirannidi, cit., P. 54. Diod. 4, 23, 3. Vd., in generale, la documentazione raccolta da F. BASSO, s.v. Enaclea Minoa, in BTCGI, WI, 1989, pp. 234-240. Come testimonia, con risalto, Diod. 11, 20. Vd. sul problema, con ampia documentazione, le equilibrate conclusioni di B. VIRGILTO, Commento storico al quinto libro delle "Stone" di Erodoto, Pisa 1975, PP. 146 ss. Herod. 7, 158, 2.
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MARIA GRAZIA BRANcIF0RTI QUARTIERI DI ETA ELLENISTICA B ROMANA A CATANIA La ricerca archeologica condotta a Catania negli anni 1987-1996 ha permesso L'acquisizione di nuovi dati, utili alla conoscenza dell'impianto urbano di eta ellenistica e romana. I risultati piü sighficativi provengono da scavi che, condotti presso l'ex monastero dei Benedettini e in via Crociferi, hanno interessato un'area collinare, ritenuta l'acropoli della polis calcidese, e dagli scavi effettuati all'interno dell'ex Ospedale San Marco, ubicato immediatamente a nord dell'Anfiteatro, in una zona pianeggiante della città nota finora come area extraurbana occupata, in eta tardo romana, da necropoli. Se ne ricava un panorama di notevole interesse in riferimento alla città ellenistica, ai suoi quartieri di abitazione, alla continuità in eta romana dell'impianto urbano greco ed alle modificazioni da esso subite per la costruzione di grandi edifici pubblici. I risultati di tale ricerca archeologica, peraltro di difficile e complessa esecuzione anche per la iimitatezza delle aree indagabili, peraltro sottoposte nei secoli a radicali trasformazioni urbanistiche con la conseguente distruzione dei contesti stratigrafici, si integrano alle notizie dei ritrovamenti dei secoli XVIII e XIX, documentati ii pifl delle volte in maniera sommaria ma in alcuni casi, pochi per la yenta, con puntuali descrizioni delle strutture rinvenute. Si pub cercare di ricostruire un quadro generale e fissare alcuni dati topografici essenziali e, pure in assenza di una documentazione esaustiva di tutti i ritrovamenti effettuati in antico, dare una lettura per fasi dell'impianto urbano, riconoscendo le aree destinate alla residenza privata in eta tardo ellenistica-repubblicana e proto imperiale, e valutando le modificazioni verificatesi, nel corso del II secolo, in occasione della costruzione del Teatro con l'annesso Odeon, dell'Anfiteatro e dei grandi edifici termali di eta imperiale. Ii maggiore contributo viene certamente dallo scavo condotto all'interno dell'ex monastero di S. NicolO 1'Arena 1, dove è stato possibile condurre l'esplorazione archeologica su ampie aree; si e potuto cos! comprendere quanto profondamente fosse stata alterata, la morfologia dei luoghi con la realizzazione, nel medievo e in eta moderna, di poderose operazioni di livellamento con la conseguente asportazione di strutture emergenti e con l'interramento di aree originariamente depresse per la natura acclive del luogo2. Dopo un breve intervento del 1978, condotto negli ambienti posti a ridosso del muro orientale di cinta, gli scavi dal 1982 al 1996 hanno interessato essenzialmente tre aree: i grandi cortili che circondano ad est e a sud l'edificio monastico compresi gli ambienti di piano terra tra ii primo chiostro ed ii cortile orientale, parte degli ambienti a ridosso del muro di cinta prospiciente via Teatro Greco ed i cantinati posti sotto l'ala nord del secondo chiostro 1. Lo scavo del 1978, effettuato all'interno degli ambienti settecenteschi nella porzione sud delle "scuderie" addossate a! muro di cinta che prospetta su piazza Dante, permise per la prima volta di verificare la presenza di strutture riferibili a phi fasi, inquadrabili dall'età greca arcaica a quella medievale, e di recuperare preziosi documenti risalenti alla colonizzazione calcidese 4 . Le fasi di vita identificate trovarono ampio riscontro nei successivi scavi condotti nella superficie ben phi ampia dei cortili che circondano ad est e a sud l'edificio monastico. Cli strati phi profondi di tutte le aree indagate hanno confermato un'imponente frequentazione di eta preistorica da inquadrare essenzialmente tra ii neolitico tardo (facies di Diana) e l'eneolitico recente (facies di Malpasso) dal momento che le fasi phi antiche (facies di Stentinello) e queue pus recenti (cultura di Castelluccio, di Pantalica e del Finocchito) sono attestate solo da sparuti frammenti ceramici e strumenti litici sopravvissuti in stratificazioni successive; in particolare tra ii neoli95
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tico tardo (facies di Diana) e l'eneolitico recente (facies di Malpasso) sul versante orientale della collina dovette svilupparsi un insediamento capannicolo, che probabilmente si estendeva sino al pifi basso terrazzamento di via Crociferi come lascerebbero intendere I ritrovamenti in piazza Dante, all'angolo tra le vie Carlo Ardizzone e Casa di Nutrizione, e soprattutto in via Crociferi dove, al disotto del livelli greci, sono stati individuati spessi depositi della facies di Malpasso in tutta la vasta area esplorata . Nel cortile orientale, al di sopra di una succeSSione stratigrafica, riferibile alle prime testimonianze relative alla colonia calcidese, è atteStata una prima fase urbanistica di eta arcaica, con abitazioni distrutte nel primo quarto del V secolo aC., a cui si sovrappose una seconda fase urbanistica, da riconnettere alle notizie delle fonti sulla distruzione operata da lerone nel 476 a.C. e sulla riedificazione della città, per opera di Dionigi I nel 403 a.C., secondo un nuovo schema che non tenne conto dell'orientamento dell'impianto precedente 6• Intorno alla metà del III sec. a.C. l'area ebbe una nuova fase edilizia, conseguente probabilmente all'occupazione romana del 263 sec. a.C., allorché un complesso di abitazioni, in uso sino alla fine del I sec. d.c., si dispose scenograficamente sul fianco orientale della collina in tre terrazzamenti degradanti da sud-ovest verso nord-est 7 . Tutte le strutture sopradette furono p01 inglobate in un edifido di notevoli dimensioni per 11 quale si pUO ipotizzare una destinazione pubblica fin dal suo primo impianto alla fine del II sec. d.C.: il lato orientale, l'unico finora messo in luce per tutta la sua estensione di 76 metri, e costituito da una successione regolare di vani addossati al terrapieno che si forme con le rovine delle costruzioni pifi antiche. Tale edificio, le cui strutture peraltro sono state intercettate anche in saggi di limitata estensione eseguiti nel cortile meridionale ed al di sotto del corndoio orientale del primo chiostro, fu costruito quindi tenendo conto oltre che del naturale declivio anche delle preesistenze che non furono eliminate'. Col suo lato orientale prospetta su una strada di impianto greco che, pavimentata con grandi basole a contorno poligonale in eta augustea, era ancora in uso al momento della sua costruzione. Ii primo nucleo del quartiere ellenistico-romano, messo in luce negli anni 1982-1985 nel settore a sud dell'ingresso principale dell'edificio monastico, al momento dello scavo risultô fortemente danneggiato dal passaggio di una fognatura moderna, con la conseguente perdita delle connessioni strutturali con un altro nucleo posto a quota inferiore 1, oltrecché dalla costruzione del grande edificio di eta imperiale romana e da un insediamento abitativo di eta medievale che ne obliterarono una porzione consistente 10. Pur consapevoli del limiti insiti nella presentazione di una ricerca ancora in fase di svolgimento, Si vuole dare notizia del complesso abitativo di eta ellenistico romana messo in luce a seguito dell'indagine condotta su una vasta area e con una attenta analisi delle complesse successioni stratigrafiche. L'ambiente meridionale del primo nucleo, vano A di m. 3 in senso EQ a sud e di m 3,10 EQ a nord x m 2,65 NS a est x m. 2,40 NS ad ovest, a pianta trapezoidale, che a sud riutilizza quale fondazione una struttura dell'impianto greco precedente, ha un semplice pavimento di cocdiopesto con tracce di colorazione in rosso (fig. 1, A) 11; si conserva la decorazione pittorica dello zoccolo, alto m 0,60, di colore bruno tendente al blu e di parte della zona superiore della parete a fondo bianco tnpartita da bande venticali brune che, agli angoli del vano, si accoStano (fig. 2). La superficie finemente lisciata dell'intonaco restituisce l'effetto marmorino. La tripartizione decorativa si mantiene in un secondo strato, sovrapposto al primo, dove essa e costituita da ampi pannelli rettangolani, che alternano un fondo rosso ad uno con ovoli gialli delineati in rosso, in contrapposizione ai rettangoli inscnitti in ogni pannello, anch'essi decorati ora in rosso ora con ovoli gialli delineati in rosso (fig. 3). Ad est del vano A si conserva parte di un ambiente, vano B, sopravvissuto alla costruzione del muro orientale del grande edificio (fig. 1, B); del vano B è stato possibile riconoscere l'ingresso che prospetta a nord su un cortiletto con pavimento in cocciopesto con due fasce di basole orientate in senso nord sud; 11 vano B, che sembrerebbe pertinente ad una seconda fase della casa, dal momento che 11 suo muro perimetrale nord fu impostato a diretto contatto con le basole del cortile, indicherebbe come ii nucleo abitativo ad est aveva una estensione maggiore di quella ora verificata; confer-
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Fig. 1. Pianta generale dei tre nuclei abitativi nel cortile orientale dell'ex monastero di S. NicolO l'Arena.
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Fig. 2. Strato pili antico di intonaco nel vano A del primo nucleo. merebbe tale ipotesi la presenza di alcuni lacerti di muri di III sec. a.C. individuati all'interno di un ambiente del grande edificio la cui costruzione avrebbe, dunque, determinato la distruzione della parte orientale della casa ellenistica. Ii cortile (fig. 1, C), in parte porticato, come farebbe supporre la presenza di un colonnina in mattoni unica sopravvissuta in uno spazio poi travolto da strutture di eta medievale, presenta un pavimento in cocciopesto, definito, come già detto, ad est e ad ovest da due fasce di basole in pietra lavica (fig. 1, C); nella seconda fase della casa esso fu trasformato in un piccolo viridarium: la decorazione pittorica della parete meridionale riproduce, infatti, un giardino visibile al di là di una balaustra di canne legate a reticolo (fig. 4). i numerosissimi frammenti di intonaco recuperati nello strato di crollo, che ha colmato ii vano A e il cortile stesso, presentano una decorazione con alberature, rami e foglie, su fondo azzurro riferibile probabilmente alla parte superiore della parete. ii motivo decorativo dello zoccolo del vano A, evidente imitazione del rivestimenti parietali in marmo 12, si ripete anche in uno stretto ambiente dim 4,30 x 1,57 S -1,64 N, vano D, purtroppo ampiamente danneggiato dalla fognatura moderna, comunicante ad est col vano A (fig. 1, D). Ii pavimento di queSto ambiente, che fungeva da disimpegno, è un cocciopeSto ben battuto, ricco di minuti frammenti ceramici nell'impasto e ritoccato col colore rosso. Ii quinto ambiente riferibile a questo nucleo, vano E, ad ovest del vano D, è quello maggiormente danneggiato in eta moderna: l'unica porzione non interesSata dalla costruzione dell'edificio monastico settecentesco, e Stata attraversata dal condotto fognario (fig. 1, B). Si è conservata una esigua porzione del pavimento in signinum lisciato e ritoccato col colore rosso che, alla distanza di m. 1 dalle pareti, preSenta il motivo del punteggiato regolare con tessere bianche diposte su file parallele distanti m 0,10 le une dalle altre. L'unico lacerto sopravvissuto dell'elevato, riferibile allo zoccolo dell'angolo sud-est del vano, conservava in poSto l'intonaco dipinto ad aifresco con ii motivo degli ovoli gialli delineati in rosso del tutto simile a quello dello zoccolo del vani A e D. 98
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Fig. 3. Strato piü recente di intonaco ncl vano A.
Fig. 4. Decorazione pittorica della parete meridionale del cortile C del primo nucleo.
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Ad una quota inferiore, neil'area prospiciente l'ingresso dell'edificio monastico, si trova ii secondo nucleo costituito da almeno otto ambienti con pavimento in opus signinum e pareti aifrescate. Questo nucleo ebbe almeno tre diversi momenti d'uso attestati, in quasi tutti gil ambienti che lo costituiscono, da tre strati sovrapposti di intonaco dipinto e dalla presenza di pilastri a base quadrata e colonnine fittili poi ingiobati in strutture murarie le quail determinarono la divisione in piccoli vani di grandi ambienti originariamente dotati di colonnati interni (fig. 1, vani G, H ed I). L'ambiente di SO, vano F, a ridosso delie fondazioni dell'edificio settecentesco, presentava tre successivi strati di intonaco dipinto (fig. 1, F). Dopo ii distacco dei due phi recenti e stato possibile esaminare lo strato phi antico, rimasto in situ: in esso, al di sopra di uno zoccolo alto m 0,60 di colore nero, mediante sottih fasce brune sono riprodotte lastre marmoree separate le une dalle aitre da lesene che agli angoli del vano Si accostano e ii cui aggetto, derivante nella realtà dalla smussatura dei bordi defla lastra, è reso pittoricamente da linee anch'esse brune, che definiscono un stretto rettangolo, poste tra due linee verticali a tratto phi largo (fig. 5). Nello strato mediano, al di sopra di una zoccolatura nera spruzzaghata di piccole macchie gialle e rosse, doveva svilupparsi una parete rossa in cui fasce di colore giallo ocra delimitavano riquadri decorati con volatili e oggetti di anedo 13 Lo strato piui esterno, al di sopra di una zoccolatura alta m 0,58, determinata sul fondo bianco della parete da larghe fasce rosse segnanti campi quadrati e rettangolari spruzzati di rosso, presenta tre ampi riquadri rettangolari alternati a due phi stretti delineati da fasce rosse. Nei grandi riquadri, accostati nell'angolo nord est del vano, che si conservano per una altezza massima m 2, è rappresentato ii motivo di una tenda, con frangia dipinta in rosso, delimitata da ciascun lato da bande brune che suggeriscono la rappresentazione di una finestra con larghi stipiti. Solo sulla parete settentrionale si conserva parte di uno del riquadri rettangolari piccoli, che si alternavano a quelli maggiori, decorato con un girale d'acanto rosso e verde tra due sottili linee brune 14• 11 pavimento del vano e un signinum costituito da cocciopesto ben battuto e ritoccato in rosso - sono visibih in alcuni tratti le tracce di cobre - nel quale sono inserite piccole tessere blanche, allineate tra di loro, disposte in file parallele ai muri e distanti m 0,10 l'una dall'altra, che a 1 metro dalle pareti, all'interno di un riquadro formato da una fila di tessere blanche accostate al lati, sono poste alla distanza di m 0,05 (fig. 6). Ii pavimento del vano G (fig. 1, G) è decorato col motivo del meandro a rete con svastiche alternate a quadrati con una tessera al centro, che si distende a tappeto, delimitato da un'ampia fascia a punteggiato regolare (fig. 7); quest'ultimo e interrotto da un riquadro ornato da un reticolato di losanghe in corrispondenza di un passaggio tra due pilastri che originariamente metteva in comunicazione ii vano G coll'attiguo vano H sul cui pavimento continua ii motivo del punteggiato regolare (fig. 1, H). La parete meridionale del vano G, nello strato recenziore, presenta nello zoccolo una decorazione analoga a quella dei vani A C, D ed E del primo nucleo (fig. 8); al di sotto di esso attraverso le lacune degli strati sovrapposti si intravede la decorazione phi antica della parete costituita, come nel vano F, da una zoccolatura nera e al di sopra di essa da un campo bianco. Ai lati di una colonnina fittile aifrescata in nero, inserita in un momento succesSivo in una parete che chiude a nord ii vano I, dapprima munito di colonnato e p01 trasformato in un disimpegno tra I vani G e H a sud ed il cortiletto K a nord (fig. 1, I e K), l'ultimo Strato di intonaco presenta, al di sopra di uno zoccolo nero, parte di un riquadro in nero su fondo bianco; ii motivo decorativo è costituito da quadrati accostati, delimitati da una doppia cornice ad S oblique ed angoli continui, campiti da grandi fiori a quattro petali lanceolati, ornati da una fila di puntini al centro e da altre due disposte all'esterno di ogni petalo. Un doppio riquadro a fondo bianco, delineato in nero, decora la parete dall'altro lato della colonna affrescata pure in nero (figg. 9 e 10). Al di sotto dello strato mediano, rinvenuto in pessimo stato di conservazione e di cui è stato possibile riconoscere parte di due riquadri posti ai lati della colonna, l'uno rosso e l'altro azzurro, l'intonaco, con superficie levigatissima e stralucida per l'uso di polvere di marmo, è a fondo bianco con ampia fascia orizzontale bruna poSta tra lo zoccolo ed un riquadro delimitato da una sottile linea roSsa. Tale intonaco si asSocia ad un pavimento in signinum con punteggiato regolare di tessere bianche movimentato nella parte centrale da due riquadri iscritti di crocette, costituite da quattro tesserine bianche disposte attorno ad una nera, e da scaglie policrome sparse (fig. 11). 100
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Fig. 6. Strato piü recente di intonaco net vano F.
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Fig. 5. Strato piü antico di intonaco net vano F del secondo nucleo.
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Fig. 8. Decorazione delta parete meridionale del vano G. -.
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Fig. 9. Parete settentrionale del vano I del secondo nucleo.
La faccia nord di questa parete, che costituisce ii lato meridionale del cortile K, è decorata sullo zoccolo, bordato superiormente da un'ampia fascia orizzontale bianca, da ampi pannelli rettangolari neri su fondo rosso, con ghirlandine orizzontali stilizzate (fig. 12). I vani F, G, H ed I costituiscono l'ala meglio conservata di una casa con ambienti che gravitano attorno ad un peristilio trapezoidale, di m. 7,20 NS X 4,50 EO, con pavimento in cocciopesto delimitato sui quattro lad da file di mattoni e basole poste tra ii cortile a cielo aperto e I corridoi del portico. Anche questo nucleo, sulla cui parte occidentale si e sovrapposto il monastero benedettino, fu fortemente danneggiato ad oriente per la costruzione del grande edificio: all'interno di due ambienti-botteghe di eta imperiale sono stati individuati lembi dei pavimenti in cocciopesto del vano H e di un'altro vano (fig. 1, J) di cui si conserva un lacerto della parete settentrionale (fig. 1, 1). Ii pavimento in signinun-i con reticolato di losanghe nel vano M, proSpiciente il lato orientale del coy-tile K (fig. 1, M), potrebbe essere messo in relazione con un altro signinum, anch'esso con reticolato di quadrati, che, sebbene separato dal cortiletto da un'ampia fossa, pua essere inteso come ii pavimento del lato nord di un peristilio, su cui proSpettavano altri ambienti ad est quali il vano L (fig. 1, L), fortemente danneggiato dalle costruzioni di eta medievale che, a Seguito del crollo del lato settentrionale del grande edificio, occuparono la vasta area a nord di esso (fig. 13). Non vi sono dati che attestino con certezza il proSpettare di questi due nuclei abitativi sulla strada NS, basolata in eta augustea, oggi in vista per una lunghezza totale di 56 metri nella parte centrale del cortile orientale del complesso benedettino (figg. 1, T e 14); dO puO affermarsi invece per un terzo nucleo che, posto alla quota pifl bassa finora indagata (- m 3,90 dal piano attuale di calpestio), e connesso al primo impianto della strada basolata; nell'estremità NO del cortile è stata messa in luce una parte riferibile all'atrio colonnato, con pavimento in cocciopesto (fig. 1, P), delimitato da un corridoio pavimentato con marml policromi in opus scutulatum a motivi geometrici (figg. 1, Q e 15). Di questo nucleo si ipotizza uno sviluppo planimetrico verso nord (chiesa di S. NicolO L'Arena) e verso oveSt (lato orientale del pnimo chiostro del monastero) mentre a sud e ad
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Fig. 10 Particolare del motivo decorativo della parete settentrionale del vano I.
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Fig. 12. Decorazione della parete meridionale del cortile K del se condo nucleo.
Fig. 13. Lato settentrionale del peristilio del secondo nucleo.
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Fig. 15. Lato settentrionale del peristilio del secondo nucleo. est, aree in cui e stato possibile scavare in profondità, esso mostra un ampliamento, effettuato tra ill sec. a.C. ed ill sec. d.c., fino alla strada, con L'aggiunta di ambienti posti a livelli differenti (- 3,40!3,90) e comunicanti col portico (fig. 1, R ed 5), pavimentati in mattoni rettangolari (m 0,50 x 0,30 x 0,08); la pavimentazione in laterizi copre un sistema di canalizzazione che, mediante tubi di piomho, portava L'acqua in punti di raccolta sulla strada E forse da riferire a questa fase la realizzazione nell'estremità sud est di un ambiente con pavimento in tessellatui'n le cui tessere bianche e nere sono state rinvenute non pifl adese alla malta di allettamento (fig. 1, N). Confronti puntuali per ii motivo del meandro di svastiche e quadrati, presente nel vano G, p0550110 stabilirsi con pavimenti in edifici di III sec. a.C. come nel vano 3 della casa del Capitello dorico, nel vano 2 della casa Pappalardo o nel vano 3 della casa della Doppia Cisterna a Morgantina 16, o con ii pavimento del corridoio 2a della Casa a peristilio di monte lato, per ii quale H. P. Isler non esciude una datazione a! III sec. a.C. 17• L'associazione meandro di svastiche e di quadrati con reticolato è presente Siracusa nel quartiere ellenistico romano di Acradina bassa in abitazioni rinvenute nel 1912°. In qualche caso esso e associato ad una decorazione parietale dii stile come nel vano 1 di un complesso di II-I sec. a.C. individuato nel 1950 in piazza della Vittoria" e nella casa 2 del quartiere ellenistico romano sovrapposto alla necropoli arcaica dell'ex Giardino Spagna, sempre a Siracusa 20, e a Solunto pure in contesto di 11-1 a. C. 21; 11 motivo del reticolato di losanghe che si distende a tappeto è attestato, oltre che a Siracusa 22 anche a Marsala nell'atrio di una abitazione di 11 sec. a.C. 23 e ad Agrigento, associato ad un punteggiato regolare 24 Si tratta di motivi che insieme al comunissimo punteggiato regolare, documentato a Morgantina 25 e a Marsala 21 in abitazioni di III sec. a.C., sono utilizzati in numerosi pavimenti in signinum di Siracusa e Solunto e posti genericamente tra quelli in yoga già dalla prima metà del III sec. a. C. 27 105
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L'associazione ad una parete di I stile di un pavimento decorato con meandro-reticolato e punteggiato, presente pure nel tablino della villa di Grotta Rossa sulla via Flaminia e in un vano della Casetta repubblicana A di Ostia", pone ii problema della cronologia del complesso catanese. La Morricone Matini, circa la datazione di pavimenti con siffatta decorazione, da lei compresi nell'ampio raggruppamento dei signina con ornato lineare o punteggiato inquadrati tra il III ed ill a. C., precisa come la datazione degli stessi debba basarsi sulle associazioni anche con i tipi delle murature oltre che con gil stili delle pitture parietali 29; a tal proposito vale la pena sottolineare come ii problema dell'associazione tra pavimenti e struttura dell'alzato induca ad una hen piü ampia riflessione sulla permanenza, in un contesto quale quello catanese, della tradizione costruttiva greca; per nulla diversi sono, infatti, in ordine alla tecnica di costruzione, i muri delle case ellenistico - repubblicane da quelli del precedente impianto greco; in entrambi i casi i muri sono costruiti mediante l'uso di pietre laviche di medie dimensioni forse originariamente legate da una malta di terra che al thomento dello scavo si presentava come semplice terra tra le pietre; nei muri delle case ellenistiche, dello spessore di m 0,60, gli strati di intonaco dipinto, fungono quasi da "armatura" per la mediocre quailtà della muratura interna 30. Inoltre, poiché i'associazione pavimento-decorazione della parete va fatta tenendo conto naturalmente del motivo decorativo presente nello strato di intonaco piü antico, si osserva come in tutti gli ambienti del primo e del secondo nucleo esso abbia una decorazione molto semplice con zoccolature monocrome nere e parte superiore a fondo bianco con semplici fasce brune verticali che delimitano riquadri; nell'unica parete che si conserva per una maggiore altezza, queiia settentrionale del vano F, e evidente una decorazione, tradizionaimente definita di I stile, attestata nel mondo ellenistico orientale dal 300 al 60 a.C. circa". Ci si trova in quei panorama cuituraie, squisitamente greco, che decora la casa privata in maniera sobria sicché , come bene enunciato da I. Baldassarre, la decorazione pittorica, che ......risulta strettamente integrata al quadro architettonico....., non deriva " da un programma decorativo eccezionale, del tipo di quelli che in Grecia venivano attuati solo negli edifici pubblici" 32 Ad ambiente siceliota viene inoitre ricondotta la tradizione dell'impiego del signinum: al di là della soluzione che si possa dare al problema delia sua origine 11, tale tipo di pavimento puO essere considerato "tipico lavoro di maestranze occidentaL" di eta elienistica Tali considerazioni traggono conferma dai dati di scavo: i livelli stratigrafici esaminati in saggi eSeguiti sotto ii pavimento del vano E, a ridosso del muro meridionale del vano A, tra l'edificio dell'impianto greco di IV secoio e la casa ellenistica 35 , ed al di sotto del pavimento in cocciopesto conservatosi all'interno del grande edificio 36 hanno permesso di datare alla metà del III sec. a.C. la costruzione del primo impianto che, in tutti e tre i nuclei, posti ad un disliveilo costante di m 0,80 l'uno rispetto all'altro, presenta vani con pavimenti in signinum e cortiletti con cocciopesto non decorato riquadrato da mattoni e da basole laviche. Le pareti di tutti gli ambienti, di cui in percentuale maggiore o minore si sono conservate porzioni dell'intonaco, sono quasi nella totalità decorate con una zoccolatura in nero, raramente in blu molto scuro, da cui si innalza una parete bianca con ripartizioni in pannelli rettangolari definiti da sottili fasce brune e Separati l'uno dall'altro da stilizzate cornici. Non vi sono elementi sufficienti per affermare che i tre nuclei nel periodo compreso tra la metà del III ed il II sec. a.C. formassero un'unica abitazione; ognuno di essi e una struttura chiusa con organizzazione dei vani intorno ad uno spazio interno aperto a cui si doveva accedere dalla strada 11 . I muri sono orientati, come nell'impianto arcaico, in modo che, attraverso stretti passaggi tra un nucleo e l'altro, le acque piovane potessero defluire verso ii basso. In eta medio repubblicana essi subirono delle trasformazioni, quali l'accrescimento degli spazi ahitativi a discapito delle aree aperte con l'eliminazione anche di portichetti colonnati e con ii collegamento del tre livelli tra di loro. La realizzazione di nuove pareti divisorie, e le modifiche strutturaii in generale, posero la necessità di una nuova decorazione; mentre della fase intermedia (II-I sec. a.C.) poco si puO dire allo stato attuale, in quanto è ancora in corso ii restauro degli affreschi oltrecché lo studio dei materiali rinvenuti nelle successioni stratigrafiche, certamente omogenea è la decorazione dell'intero complesSo, divenuto un'unica ahitazione nell'ultima fase quando le zoccolature 106
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Fig. 16. Strada nord-sud nel cortile orientale del complesso benedettino. riproducono rivestimenti parietali in marmo (fig. 1, vani A, C, D, E, F, I e portico del cortile K); e le pareti vengono decorate secondo un gusto dill-Ill stile: la parete sud del piccolo viridarium del primo nucleo presenta la raffigurazione di un giardino, la parete settentrionale del vano F viene decorata con ii motivo di una tenda stilizzata, sulla zoccolatura del vano ricavato dalla chiusura del portico meridionale del cortile K del secondo nucleo viene sovrapposta una ricca decorazione con fiori stilizzati; anche i pavimenti SOflO ora pifl "lussuosi" come nel caso del pavimento del portico orientale del peristilio, ornato da scutulae 111 . In quest'ultima fase, che porremmo tra ii I sec. a.C. e ii I sec. d.C., o pifl precisamente ad eta augustea, è evidente ii prospettare della casa sul lato occidentale della strada lastricata L'estensione complessiva di mq 704, la presenza di affreschi tipologicamente omogenei in tutti i vani, la cura manifesta nella continua manutenzione a cui venivano sottoposti i pavimenti, sono indicatori del ceto sociale alto dei proprietari: la nuova casa, ingrandita e "rimessa a nuovo", con il portico del cortile settentrionale pavimentato in marmo, prospetta su una bella strada ora basolata, che poco pifl a sud incrocia l'altra via pubblica che con forte pendenza conduce al Teatro distante poche centinaia di metri (fig. 16). Come a Solunto 4 ° la casa si aprirebbe dunque su una via trasversale mentre sulla via principale, di recente messa in luce all'interno di alcuni degli ambienti del complesso benedettino prospicienti via Teatro Greco, si affaccia un edificio caratterizzato da una Successione regolare di aperture che potrebbero intendersi quali ingressi a botteghe, con prospetto caratterizzato da un paramento a blocchi lavici squadrati 41 . La grande strada basolata, con una larghezza finora accertata di m. 6, ha una forte pendenza da est verso ovest; mentre alla quota di m - 4,50, nell'estremità occidentale dello scavo e Stata rinvenuta in ottimo stato di conservazione procedendo verso est essa appare sempre piü sconnessa danneggiata dalla costruzione di un edificio medievale e dalle poderose opere di livellamento di cui si è già detto. Nel Settore sud eSt dei grandi cortili dell'ex monastero benedettino si ipotizza l'incrocio, su assi perfettamente ortogonali, con la strada NS in vista nel cortile orientale. 107
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Fig. 17. Casa della Tavola Imbandita nei cantinati dell'ex monastero di S. Nicolà I'Arena. Questo importante segno urbanistico, quasi coincidente con l'attuale via Teatro greco, che è posta leggermente pRi a sud di quella romana, e stato mantenuto nei secoli: lo attestano i numerosi strati di acciottolato che, senza soluzione di continuità, si sovrappongono coprendo un arco temporale che dall'età tardo romana giunge silo ad eta medievale (XIII-XIV secolo). Un nucleo abitativo di eta tardo ellenistica, attestato da un vano con pavimento in signinum e pareti aifrescate, e Stato rinvenuto nel 1991, purtroppo ampiamente danneggiato in epoca recente, al di sotto dell'oecus occidentale di una domus a peristilio messa in luce nell'area occidentale dell'ex monaStero benedettino e delle cui fasi d'uso è finora meglio conosciuta la seconda, riferibile alla prima metà del II sec. d.c. 42 Della domus si conservano cinque ambienti che si aprono sul lato meridionale di un peristilio definito da un portico con colonne intonacate. I raffinati motivi del mosaico in bianco e nero, che decorano ii portico del peristilio e alcuni dei vail dove sono utilizzati come bordure di pavimenti in sectile, bene si inSeriscono nel gusto per le complesse e decorative geometrie tipiche della prima metà del II Secolo d.C. Del vano di eta ellenistica Sottostante la domus, detto al momento del rinvenimento "della Tavola Imbandita", si conserva ii pavimento in signinum con un fitto punteggiato regolare di tessere bianche. Sulle due pareti meglio conservate (alt. min. m 0,40/max. m 0,70) sono rappreSentati due tavoli disposti illusionisticamente lungo le pareti; il motivo del tessuto sospeso, che riproduce le tovaglie ricadenti sul pavimento, occupa la zona dello zoccolo: le tovaglie di colore giallo chiaro, in cui sottili linee brune restituiscono non solo le ample e morbide pieghe ma anche la leggerezza del tessuto, sono decorate da coppie orizzontali di nastri rossi poste una all'orlo e l'altra a metà altezza; il piano del tavoli e coperto da un tappeto rosso orlato da un'ampia fascia blu e da una bianca, leggermente pii stretta, rifinita con una corta frangia rossa, che si sovrappone alle tovaglie e che ricade per un breve tratto su di esse. Nella parete meridionale è visibile la rappresentazione del piede di un candelabro, del tipo con base su pieducci, posato sulla tavola (fig. 17). 108
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Ii motivo del tessuto sospeso o drappeggiato, tovaglia o tenda che sia, presente in uno zoccolo del cubicolo 31 della casa del Fauno, è inteso da A. Laidlaw dii stile; 1'A. condivide così, in un certo senso, l'inquadramento tipologico del Mau che, pur avendo considerato tale ambiente tra quelli di Pornpei decorati secondo ii gusto tipico del II stile, ammise che tali affreschi potessero essere riferibili ad un momento in cui i due stili furono utilizzati quasi in concorrenza l'uno con l'altro La decorazione del nostro ambiente nell'ultirna fase e prima della sua distruzione per la costruzione della domus, potrebbe essere stata eseguita, come nel quartiere orientale, all'inizio del I sec. a.C. Se la costruzione del complesso monastico benedettino in questa parte dell'acropoli ha in qualche misura favorito la conservazione di ampi lacerti della città ellenistica e rornana, le edificazioni in eta medievale, la ricostruzione della città dopo il terremoto del 1693, ii poderoso abbassarnento di quota effettuato nelle principali arterie urbane, i lavori per le nuove reti fognarie, idriche, elettriche, realizzate sia tra la fine dello scorso secolo e gli inizi di questo che dopo l'ultirno conflitto mondiale, la costruzione di nuovi edifici in sostituzione di chiese e conventi 45 e con l'occupazione, talvolta, di giardini di pertinenza di residenze aristocratiche e di complessi monastici 46, disposta nell'ambito di un complessivo progamma urbanistico di risanamento e di ammodernarnento hanno apportato gravi danneggiamenti alle stratigrafie archeologiche con la conseguente perdita, a volte purtroppo definitiva, di informazioni sulla città antica. Nel 1918 nel ricostruire un muro nel giardino del Reclusorio delle Verginelle, tra la via Teatro greco e piazza Dante, furono rinvenuti resti di edifici che per la presenza di colonne fittili furono intesi di indubbia destinazione termale 48 (fig. 18, b) A tali resti, a cui vanno certarnente riferite anche le strutture rinvenute nel 1851 in occasione della costruzione di "talune corsee nella parte posteriore del Reclusorio Verginelle" 5° e nel 1857 alla ripresa degli stessi lavori 51, G. Libertini mise in relazione un complesso di costruzioni individuato nel 1923 in piazza Dante, - dalla descrizione da lui fornita sembrerebbe una domus a peristilio -, che egli ipotizzava potesse continuare "anche oltre ii muro del convento dei Benedettini presso ii quale e dentro il cui cortile si rinvennero avanzi di pavimento, due grandi cisterne a cupola e tracce di canali diretti verso est." A tale domus di piazza Dante, facente parte di un'insula, sarebbero riferibili alcuni ambienti con pavirnento in cocciopeSto e in signinum decorato col motivo delle crocette di tessere bianche 52 oltrecché nel giardino della Questura, ubicata negli anni '30, nel convento della Trinità Su un terrazzarnento di quota inferiore, nell'area a nord del Teatro, durante la ricostruzione di parte del convento dei Filippini 54 furono ancora rinvenuti resti di un ambiente con pavimento in "opus segmentaturn" che G. Libertini mise in relazione all'edificio termale di eta imperiale a cui riferire ii calidarium noto come "La Rotonda" 51 , dove egli stesso identificava livelli di eta ellenistica romana con ambienti a pianta quadrangolare 56 (fig. 18, c). Negli anni 1988-1993 nel corso dei lavori intrapresi dal cornune di Catania per la messa in posa di un tratto del collettore fognario in via Crociferi, strada che segna in senso nord sud il terrazzamento di quota inferiore ad est della "Rotonda" e del Teatro rornano, si è presentata l'occasione per un intervento di scavo che ha dato risultati importanti per la conoscenza della topografia di Catania in eta greca e romana (fig. 18, 5). E stata individuata una strada la cui presenza e attestata almeno dalla fine del V Sec. a.C. e che tra l'ultirno venticinquennio del I sec. a.C. e il prirno ventennio del I sec. d.c. ebbe una sisternazione a grandi basole poligonali (fig. 19). In eta greca tardo classica ed ellenistica essa conduceva ad un'area nella quale era una importante stipe votiva: è noto come a piazza S. Francesco (fig. 18, d), alla fine degli anni '50, sia stata rinvenuta parte di una favissa che per gli ex voto in essa contenuti è stata attribuita da G. Rizza, al santuario di Demetra, che nel V sec. a.C. avrebbe sostituito ii piü antico culto di Hera 57. La destinazione sacra di questa propagine sud orientale dell'acropoli sarebbe inoltre attestata dai ritrovarnenti degli anni '30 quando in occasione dei lavori di restauro dell'edificio della Banca d'Itaha, oggi sede della Questura, in via Manzoni (fig. 18, e) strada esistente ad una quota intermedia tra via Crociferi e ha piü bassa via Etnea ad entrambe parallela, fu ritrovato un bassorilievo raffigurante Dernetra e Kore, che unitarnente ai capitelli ionici in pietra lavica rinvenuti nella rnedesirna area, fu 109
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I - via Etnea 2 - via A. di Sangiuliano 3 - via S. Euplio 4-via A. Manzoni 5 - via Cociferi 6 - via Teatro Greco I;. ., 8 - via Garibaldi 9 - Piazza Duomo -
h - chiesa di S. Maria dell'Elemosina i - ex casa Mancini e chiesa di S. Giovanni di Fleres 1 - ex convento dei Minoriti m - Cattedrale n - ex convento S. Chiara \ \ \\__ o - ex Ospedale S. Marco \ - p - ex palazzo Spitaleri, oggi edificio de La Rinascente q - piazza S. Domenico \ \\\ r - piazza S. Maria di Gesü s - Castello Ursino
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a - Complesso monastico di S. Nicoib 1'Arena b - Reclusorio delle Verginelle c - Convento dei Filippini d - Piazza S. Francesco d'Assisi e - ex Banca d'Italia, oggi sede delta Questura in via Manzoni f - ex palazzo Tremestieri
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Fig. 18. Pianta generale di Catania.
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Fig. 19. Via Crociferi. Strada basolata di eta augustea. considerato già da G. Libertini ii segno della presenza di un'area dedicata a Demetra 58; tale ipotesi sarebbe stata confermata dai rinvenimenti successivi in piazza S. Francesco e in via Crociferi dove, in occasione dei recenti scavi, sono stati rinvenuti, in livelli stratigrafici di IV sec. a.C., frammenti di terrecotte architettoniche dipinte e statuette fittili di figura femminile con fiaccola e porcellino oltre che un poderoso muro, datato, per i materiali rinvenuti nella trincea di fondazione, alla metà del VI sec. a.C. posto al di sotto di un ninfeo che, per ii motivo decorativo del mosaico della vasca, pua porsi tra ill ed il II sec. d.c. (fig. 20). In eta romana sulla strada a grandi basole poligonali, larga m 4, che conduceva dal Teatro all'Anfiteatro, prospettavano edifici con pavimenti in mosaico muniti di portici colonnati. La recente ricerca ha permesso di verificare infatti la presenza, lungo il margine orientale della strada, di un edificio, posto su un piano terrazzato pifl basso di 2 metri rispetto all'attuale via Crociferi, i cui muri perimetrali dal lato ovest sono anche muri di contenimento alla strada stessa. L'edfficio antico, costruito su livelli degradanti da nord verso sud e da est verso ovest, è costituito da una serie di vani con pavimenti in mosaico con raffinato motivo geometrico policromo a chevron, o in bianco e nero o in sectile; i vani prospettano su un corridoio, aperto ad est, la cui parete di fondo è articolata da una successione di nicchie, poste alla distanza di m. 4 l'una dall'altra; da una di queste, attraverso una scala rivestita in marmo con pianerottolo decorato da un mosaico geometrico in bianco e nero, si raggiungeva la strada. La strada basolata e la costruzione dell'edificio col criptoportico rientrerebbero in un programma generale di eta augustea di monumentalizzazione delle pendici orientali della collina 51. Vale la pena ricordare con Holm che tra la via Lincoln - oggi via A. di Sangiuliano - e la via Gesuiti, "all'angolo della strada che interessando questa (via di Sangiuliano) porta dall'Anfiteatro al Teatro, presso e sotto il palazzo già appartenuto al duca di Tremestieri (fig. 18, f), furono scoperti "pareti rivestite di marmo, pavimenti di mosaico, frammenti di colonne nonché una statua di Ercole, rotta, ma abbastanza completa che oggi [al tempo dell' Holm] si trova al Museo Biscari" 60 Il rivenimento di un pavimento in scutulatum e l'analisi della strutture murarie in opus coementicium ad esso connesso, che già nel 1841 avevano indotto C. Gemmellaro a confutare l'ipotesi della presenza in quel luogo di un tempio di Ercole e ad affermare piuttosto l'esistenza di un edificio termale 61, f, preso nuovamente in considerazione da C. Sciuto - Patti in occasione della scoperta, pochi anni dopo, di quindici muri paralleli intersecati ad angolo retto da altri tre che si estendevano in senso N-S per m. 56, dei quali uno e stato messo in luce nel corso dei recenti scavi. L'A. li interpretô come sostruzioni di Horti pensili "luogo di delizia da dove si avrebbe goduto il magnifico quadro della sot111
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Fig. 20. Via Crociferi. Muro della metà del VI secolo a.C. al di sotto del ninfeo di eta romana imperiale. tostante città col suo litorale da una parte e l'ampia piana terminata in fondo dai colli Iblei sino a S. Croce, e dall'altra lo imponente spettacolo che offre ii famoso Vulcano e le sue incantevoli contrade e in tutto terminato da un esteso orizzonte"62 I rinvenimenti, che lasciarono ipotizzare a ridosso della attuale via Crociferi la presenza di edifici di culto poi reinterpretati come edifici termali o Horti pensili, confermerebbero comunque un dato importante: da un lato e dall'altro della strada basolata prospettavano edifici di un certo lusso, giardini e fontane. In un'area pianeggiante, a poca distanza dal luogo dove nell'inverno tra ii 1910 e ii 1911 furono rinvenuti dall'Orsi un pavimento musivo ed una fornace dill sec. d. C. 63 (fig. 18, g), e pifl precisamente nel tratto di via Etnea su cui prospetta la chiesa di S. Maria dell'Elemosina 64 (fig. 18, h), si ebbe ii rinvenimento un ambiente con pavimento in signinum 65 (fig. 21) che, insieme a quelli noti già alla fine del secolo scorso, ubicati poco pifi ad est presso l'ex casa Mancini e la chiesa di San Giovanni di Fleres 66 (fig. 18, i), ed al rinvenimento, negli anni '30, nel cortile del convento dei Minoriti di un piccolo ninfeo, con pavimento in sectile "di qualche giardino.....secondo G. Libertirn .. ...che face112
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va parte di una abitazione privata romana di eta imperiale"di cui, peraltro, fu individuato pure un ambiente con pavimento in mosaico geometrico policromo (fig. 18, 1) 67 testimonierebbe la presenza in eta ellenistico-romana di un quartiere di abitazione nella parte phui bassa della città alla base delle pendici orientali della acropoli. La cintura delle necropoli individuata a sud est e quindi da spiegare con la contrazione dell'area urbana di eta ellenistica e romana che in epoca tardo imperiale risulta invasa da cimiteri L'individuazione, nel 1896, di un sepoicreto in via A. di Sangiuliano (fig. 18, 2), a poca distanza dalle case ellenistiche descritte, e la Segnalazione di sepoicri nella via del Corso (oggi via Vitt. Emanuele) "a levante della Cattedrale" (fig. 18, m) indusse infatti 1'Orsi a ipotizzare la distribuzione delle necropoli di eta tardo imperiale lungo un arco che da sud-est circondava Fig. 21 Via Etna. Ambiente con pavimento in signila città antica a nord e a nord-ovest a poca dimum presso S. Maria dell'Elemosina. stanza dal sistema difensivo di eta medievale e moderna69 I successivi rinvenimenti nel 1916 chiarirono come alcuni nuclei delle necropoli tardo romane si fossero inseriti tra fabbriche piui antiche "ridotte già allo stato di rudere, quando avvenne l'adattamento loro al nuovo uso cemeteriale". A11'area delle necropoli dovette dunque preesistere un quartiere di abitazioni di cui iii individuato un interessante lacerto in una cameretta con copertura a botte e pareti affrescate: ii pavimento "diligentemente stuccato" e la decorazione sobria della metà meridionale del vano con riquadri delimitati da fasce rosse, la presenza di festoni dipinti al piede della volta, di una figura di un uccello trampoliere a lungo becco e i frammenti di una figura maschile con petaso giallo con alette rosse (Mercurio) fecero attribuire l'ambiente alla tarda eta repubblicana o ai primi anni dell'impero 7. Tra l'età tardo ellenistica-repubblicana e la prima eta imperiale altre dimore private esistevano anche alle pendici meridionali dell'acropoli, non lontano dal Teatro: due camere, con pavimenti in mosaico sovrapposti ad uno con decorazione "di pietre bianche e nere" anch'esso posto al di sopra di un altro "dipinto" [signinum?], furono rinvenute nel 1863 nei pressi del convento di Santa Chiara 71 (fig. 18, n). Lacerti di questi pavimenti furono portati nel palazzo dell'Università e nel Museo albra esistente presso ii monastero dei Benedettini insieme a frammenti di un altro mosaico scoperto nel 1869 demolendo una casa nella piazza del Castello IJrsin0 72 (fig. 18, s), probabilmente sul lato orientale della stessa non invaso dalla colata lavica del 1669. La ricerca archeologica effettuata tra ii 1994 e 111996 all'interno dell'ex Ospedale San Marco73 (fig. 18, o), si è rivelata di particolare importanza per ii problema della ubicazione dei quartieri di abitazione e delle necropoli sul versante nord orientale dell'acropoli. L'edificio barocco sorge nei pressi e, in piccola parte al di sopra dell'Anfiteatro romano. L'area indagata, posta tra la zona urbana e quella extraurbana antica, rientra in un contesto topografico particolarmente importante per la cui ricostruzione be strutture rinvenute forniscono un notevole contributo permettendo la formulazione di nuove ipotesi circa L'estensione dell'abitato antico che, sub lato settentrionale, si riteneva non dovesse estendersi oltre L'Anfiteatro come avrebbero indicato le numerose necropoli rinvenute immediatamente a nord di esso L'indagine archeobogica ha evidenziato la presenza di un'area abitativa di eta repubblicana e proto-imperiale, probabilmente travolta per la costruzione dell'Anfiteatro, che fu successivamente inva113
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sa dalle necropoli quando, in eta tardo romana, per ii restringimento della citta esse si spinsero a ridosso del grande monumento gia abbandona - to75 -. L'ex Ospedale San Marco, che si affianca alla chiesa di S. Euplio nei cui sotterranei è nota, fin - 4 dal XVIII la presenza di stanze sepo1cra1i e di c -• " - - , una ampia zona di sepoicri scavati e poi di nuovo ss confina a nord col palazzo che ospi ricoperti - ta i grandi magazzini de La Rrnascente (fig 2 P) 4 ] dove nel 1959 furinvenuta una necropoli datata da G Rizza ad eta tardo romana 78 Tale necropoli e le camere ipogeiche di S. Euplio rientrerebbero Fig. 22. Ex Ospedale S. Marco. Edificio di eta tardo nell'area sepoicrale posta a nord-ovest dell'Anfiellenistica nel cortile meridionale. teatro che, nota già dal XVIII secolo 79 e in parte descritta da P. Orsi 80, è stata meglio definita dopo gli importanti ritrovamenti degli anni cinquanta '. Essa rientra nel pii ampio circuito che cingeva la città antica, dal Bastione degli Infetti 82 attraverso la zona del Lago di Nicito 83 e della selva del Frati Minori Riformati di S. Maria di Gesü 84fino al tratto meridionale di via A. di Sangiuliano 85 e di via Vitt. Emanuele 86, L'edificio funerario, messo in luce negli anni 1994-1996 all'interno dell'ex Ospedale San Marco, conteneva dieci tombe del tipo a forma con cassa costruita in mattoni o tegoloni piani e con copertura in mattoni o lastre in pietra lavica, sigillata da pietre e malta, secondo lo schema adottato anche nel tratto di necropoli sottostante La Rinascente a cui queste si collegano per tipologia e per cronologia. Si e confermata la presenza di due assi viari, ortogonali tra loro, che potevano definire L'isolato o gli isolati destinati, nel VI sec. d. C., a monumenti o edifici funerari. A poca distanza dalla necropoli, in un'area compresa tra questa e 1'Anfiteatro, al di sotto di una successione di Strati in terra battuta riferibili a livelli stradali di eta medievale, ed al di sotto di un poderoso strato di riempimento, sono stati rinvenuti tre ambienti facenti parte di un edificio dotato di impianto di riscaldamento, come attestano i tubuli in terracotta, a sezione quadrangolare, applicati su uno strato di malta idraulica ed incassati nelle pareti 87 . Due dei tre ambienti, comunicanti mediante una porta di cui si e rinvenuto ii piano della soglia (a —3,20), non presentavano, al momento del rinvenimento, il rivestimento dei pavimenti dei quali si conservano il nucleus in cocciopesto dello spessore di m 0,07, che sulla faccia superiore manteneva le impronte lasciate dalle lastre di marmo, ed ii rudus, dello spessore di m 0,13; al di sotto, l'ipocausto, con colonnine di mattoni quadrati alternate ad altre in mattoni circolari. Del terzo ambiente, sopravvive la pavimentazione con lastre irregolari di marmo, connesse tra loro da abbondante malta (a —3,27) (fig. 22). Il muro orientale di uno dci vani conserva parte del rivestimento marmoreo. Non sono apprezzabili, allo stato attuale, le dimensioni complessive dell'edificio, del quale si suppone un sviluppo verso sud, verso est e verso ovest. Esso fu impostato, nella prima eta imperiale (I-TI sec. d.C.), su strutture pii antiche che utilizza come sostruzioni. La parete settentrionale di questo edificio si appoggia ad una poderosa struttura muraria orientata in senso nord-sud, dello spesso di m 1,20, costruita in opus coen-'zenticium con pietre laviche e abbondante malta (a m —2,85 circa) che, per i materiali rinvenuti nella trincea di fondazione, e riferibile pure ad eta romana imperiale. Essa appare senza dubbio cronologicamente posteriore ad un'altra struttura (a m - 3,35/3,50), individuata nel settore nord-est dell'area di scavo, della quale si è messa in luce la parete occidentale di I stile, decorata da grandi riquadri in stucco a rilievo disposti su almeno tre assise 111 . Tale struttura, che mostra di proseguire verso nord oltre ii limite della trincea di scavo, e il documento archeologiCo pifi antico rinvenuto. Della parete, messa in luce fino alla quota di - m 5, non è stata esplorata la parte inferiore per la eccessiva ristrettezza dell'area in cui è stato possibile approfondire lo scavo. 114
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Fig. 23. Piazza S. Domenico. Ritrovamenti degli anni '60.
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Che ii versante nord orientale della collina di Montevergine fosse sede di un quartiere di abitazione già in eta ellenistica pub ricavarsi anche dalla presenza di una grande dimora messa in luce negli anni '60 nel terrazzamento di quota superiore in un'area occupata in eta tardo antica dalle necropoii 89 L'area, su cui furono costruiti i complessi monastici del PP. Domenicani e dei PP. Cappuccini (fig. 18, q), è stata sottoposta in eta moderna a massicce trasformazioni con la costruzione negli anni '30 dell'edificio della Camera di Commercio al posto della chiesa di S. Maria della Speranza, con l'ampliamento della parte terminale dell'antica salita del Cappuccini, con l'eliminazione dell'omonimo edificio conventuale e con l'abbassamento complessivo del piano stradale 90 Di tale ritrovamento purtroppo non si e in grado di riferire dati precisi. Le planimetrie e le fotografie ritrovate nell'archivio dell'ex Soprintendenza ai Monumenti di Catania mostrano un casa con vani disposti ai lati di un peristilio (fig. 23), con pavimento in tarsie marmoree, confrontabile con ii portico del terzo nucleo messo in luce nel 1996 presso l'ex monastero di S. Nicolà 1'Arena (fig. 24). In conclusione si ritiene che la distribuzione di quartieri di abitazioni alle pendici dell'acropoli, posti, nei casi finora verificati, in isolati delimitati da strade che indicano l'esistenza di un impianto ortogonale, possa risalire ad eta greca. La deduzione della colonia augustea potrebbe avere promosso la costruzione di nuovi edifici, segni tangibili del potere, e la monumentalizzazione di aree pubbliche ma non un nuovo impianto urbanistico che presupporrebbe un atto violento di distruzione e riedificazione, peraltro non riferito dalle fonti ne attestato dai risultati della ricerca archeologica. NOTE G. DATO, La città di Catania, Roma 1983, pp. 73-79. La ricerca archeologica condotta nell'ex monastero di San Nicolà L'Arena, ceduto dal Comune all'Università degli studi di Catania nel 1977, e stata all'inizio mutuata dalla necessità di verificare l'effettiva estensione e consistenza delle realtà archeologiche presenti nel sottosuolo interessato dai lavori finalizzati al recupero architettonico del monumento e alla sua utilizzazione quale sede della Facoltà di Lettere (cfr.AA.VV. Quattro progetti per ii monastero di san Nicolà L'Arena, a cura dell'Università degli Studi, Catania 1988; G. Da Cr'j.o, Un pro getto per Catania. Ii recupero del monastero di San Nicolà L'Arena per l'Università, Genova 1988). M. FRASCA, Tra Magna Grecia e Sicilia: origine e sopravvivenza delle coppie-amuleto a figura umana, in BA 76, 1992, pp. 19-24; E. PROCELLI, Appunti per una topografia di Catania pregreca, in Kokalos XXXVIII, 1992, pp. 69-79. G. RIZZA intervento, in Insediamenti coloniali greci in Sicilia, nell'VIII e nel VII sec. a. C., in CASA 17, 1978, pp. 113-114; ID., Catania. Scavi e scoperte negli anni 1975-1978, in CASA 18, 1979, pp. 104-105, tavv.X.XIV-X.XIX; F. GIUDIcE, E. PROCELLI, R.M. ALBANESE, M. FRASCA, Catania. Scavo all'interno del muro di cinta del n'iOnastero dei Benedettini, in CASA 18, 1979, pp. 129-141; G. RIZZA, Leontini e Katane nell'VIII e VII Sec. a. C., ASAA LIX, 1981, p. 317; Jo., S.V. Catania, in BTCGI V, 1987, pp. 165. E. PROCELLI, Appunti per una topografia di Catania pregreca, in Kokalos XXXVIII 1992, pp. 69-78 con bibliografia aggiornata; sul rinvenimento della tomba della facies di S. Cono-Piano Notaro nel settore sud-est delI'area del cortili delI'ex monastero di S. Nicolô l'Arena cfr. anche G. RIZZA, Scavi e ricerche in Sicilia dal 1980 al 1984 in Kokalos XXX-XXXI 1984-1985,11, 2 pp. 851, 853; i risultati dell'indagine archeologica effettuata dalla Sezione Archeologica della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Culturali di Catania in via Crociferi e in piazza S. Francesco d'Assisi tra il1987 al 1993 con la direzione di chi scrive, sono in corso di pubblicazione. Ha collaborato alla conduzione dello scavo la dott.ssa A. Taormina. 6 Le diverse fasi dell'insediamento greco e le sue relazioni con le poche testimonianze sopravvissute nel territorio urbano catanese sono argomento di una ricerca, in corso di pubblicazione, del prof. M. Frasca che ne ha già dato una notizia preliminare (cfr. M. FRASCA, Tra Magna Grecia, cit., p. 22). Ii profilo orografico originario si ricava dall'andamento del depositi preistorici e dei livelli di entrambe le fasi greche individuati in saggi condotti al di sotto di alcuni pavimenti di eta ellenistica. 8 Del grande edificio e delle sue relazioni con la strada basolata, certamente una della acquisizioni piti rilevanti di questo scavo, si darà notizia in altra sede; sebbene oggetto di studi già da anni, alcuni elementi architettonici e stratigrafici, messi in luce da pochi mesi nel corso dell'ultima campagna di scavo conclusasi nel luglio del 1996, hanno in qualche misura posto la necessità di riconsiderare tutti i dati finora esaminati. I lavori per la costruzione della fognatura moderna, effettuati daIl'Ufficio tecnico dell'Università degli Studi, nel tratto relativo all'attraversamento del cortile meridionale furono seguiti dal dott. F. Procelli che ebbe modo di verificare la presenza di strati preistorici; per tutta la trincea che fu scavata davanti al marciapiede che definiva ii prospetto meridionale del monastero dal prof. F. Giudice, fino a quando, oltrepassata l'area dell'ingresso principale, I lavori non furono fermati e non fu presa la decisione di procedere ad una indagine archeologica data la grande quantità di frammenti di intonaco dipinto e di cocciopesto venuti fuori dallo scavo "a sezione obbligata" della trincea stessa. 2
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0 Si tratta di poderose strutture in opera cementizia intese come fondazioni di un grande edificio orientato in senso nord-est sud-ovest; anche di esso si darà notizia in altra sede. Ii rilievo dello scavo archeologico presso l'ex monastero dei Benedettini nel corso degli anni e stato curato da G. Salmen, L. Muni ed 0. Pulvirenti dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Catania, da S. Rizza, C. Torrisi, C. Gulisano e L. Grasso su incanico della Sezione Archeologica della Soprintendenza BB.CC.AA. di Catania. L'elaborazione che si preSenta in questa sede relativa alle case di eta ellenistico repubblicana 6 di C. Torrisi. 12 Ii motivo degli ovoli gialli delineati in rosso imitante ii marmo cosiddetto "giallo antico" trova ampia diffusione nel sec. a. C. Esso e utilizzato, ma come ripresa di una moda decorativa piü antica nel triclinio della casa di Leda a Solunto (II fase) (cfr. M. DE Vos, Pitture e mosaico a Solunto, inBABesch 1975, p. 201), Per ii loro cattivo stato di conservazione lo strato superiore e quello intermedio furono distaccati insieme. Pertanto dell'affresco intermedio, in fase di restauro, non si pub ancora dare una descrizione completa. 14 E in atto ii restauro di questo e di tutti gli affreschi che si era proceduto a distaccare. Essi in buona parte sono gid stati montati su supporti in vetroresina ed alluminio a nido d'ape, dello spessore di 12 mm., separato dall'intonaco antico da un doppio strata di tela "calicot" o "cencio della nonna" precedentemente sfibrata e purificata con diversi lavaggi al fine di rendere completamente reversibile l'operazione di adesione al supporto mobile. Mediante ii rilievo e lo studio dei frammenti recuperati negli strati di crollo si sta procedendo alla ricostituzione, su supporto informatico, delle decorazioni parietali. tale intervento e affidato ai restauratori Antonino Nicotra, Mario Arancio e Raffaella Greca e al sig. Pietro Mobile della Sezione Archeologica della Soprintendenza di Catania. 15 Un ambiente pavimentato con mattoni rettangolari del tutto simile al nostro 6 stato messo in luce di recente nella contrada Pagliuzza di Caltavuturo; esso viene riferito ad una fase della fine del II-metà del I sec. a.C.; cfr. E. M. PANCUCCI, D. Pcucci, S. VAssAlLo, Il ripostiglio monetale e l'insediamento rurale in localitd Pagliuzza, in Di terra in terra. Nuove scoperte archeologic/se nellaprovincia di Palermo, Palermo 1991, PP. 144-146, fig. 6. 6 B. TsAKIRGI5, The decorated pavements of Morgantina II. the opus signinum, in AlA 94, 1990, p. 427 cat. n. 2, fig.2 (casa del Capitello dorico), p. 431 cat. n. 33, p. 435 cat. n. 74 (casa della Doppia Cisterna) e p. 439. H. P. ISLER, Monte lato: la sedicesima campagna di scavo, in Sicilia Archeologica XIX, 1962, 1986, p. 38. P. Oizsi, Scoperte ne/la Sicilia orientale della meta del 1911 ella meta del 1915. Case ellenistiche e romane S. Lucia, in NSA 1915 p. 191. G. V. GENTILI, Siracusa (piazza della Vittoria). Resti di abitazioni sotto l'edificio occidentale delle Case Popolari, in NSA 1951, pp. 156-159. 20 G. V. GENTILI, Siracusa. Le costruzioni ellenistiche e romane, in NSA 1951, p. 280-282. 21 11 pavimento con relativa disascalia e nella fig. 120 della "Storia della Sicilia", Napoli 1979, vol. II. 22 G. V. GEN'TILI, Siracusa (piazza della Vittoria), cit., p. 157. 23 C. A. Di STEFANO, Lilibeo. Testimonianze archeologiche del IV sec. a. C. al Vsec. d. C., Palermo 1984, pp. 104-105, figg. 59-60. 24 J pavimento con relativa disascalia e nella fig. 121 della "Storia della Sicilia", Napoli 1979, vol. II. 25 B. TSAKIRGJS, The decorated pavements, cit., p. 438. 26 C.A. Di STEFANO, Marsala, ricerche archeologiche dell'ultimo quadriennio, in Kokalos XXVI-XXVII, 1980-1981, tomo 11,2, pp. 874, tav. CCXXX (resti di un pavimento di un edificio della fine del III sec. a. C. rinvenuto nel 1977 in viale N. Sauro). 27 C. PALMERI, L" opus signinum" in Sicilia, inBCA Sicilia 1983, P 173 fig. 3 e p. 175. E. STEFAMI, Rome. Grottarossa (vocabolo Monte delle Grotte). Ruderi di una villa di eta repubbicana, in NSA 1944-1945, pagg. 52-72; G. BECATTI, Mosaici e pavimenti marmorei in Scavi di Ostia IV, nn. 23-25 pp. 19-20 tav. IV. 29 M. L. MORRRJCONE MATINI, Moseici antichi in Italia. Studi monografici. Pavimenti di signinum rep ubblicani di Roma e dintorni, Roma 1971, p. 24 e p. 35. 30 J P.ADAM, L'arte di costruire presso i romani. Materiali e tecniche, Milano 1989, pp. 76-82; C. F. GIuLIANI, L'edilizia nell'antichitd, Roma 1990, p. 165. ' Una decorazione simile si trova nel vano III della casa di Monte Porcello a Centuripe inquadrata dal Libertini nel primo venticinquennio del I sec. a. C. per la presenza in altri ambienti di decorazioni di III stile (G. LIBERTINI, Centuripe, Catania 1926, pp. 56-57 tav. I). 32 J BAJoAssAIuo.E,Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a. C., in Darch 1984, p. 72. Per l'origine punica del signinum cfr. B. T5AURGI5, The decorated pavements, cit., p. 426 e L. PEDR0NI,L'introduzione del signinum e del tessellato in Sicilia, inRAAN LXIII 1991-1992, pp. 649-662. Sull' associazione tra pavimenti in signinuns, in tessellatum e pitture dii stile attestata in Sicilia negli anni intorno al 300 a. C. cfr. F. COARELLI, La culture figurative in Sicilia neisecoli IV-III a. C., in Stone della Sic/lie, Napoli 1979 pp. 171-174. D. vets BOESELAGER, Antike Mosaiken in Sizilien, Roma 1983, p. 80. Mel saggio, condotto nel 1982 da chi scnive, sotto il pavimento del vano E, formato da un nucleus dim. 0,09 e da un rudus di m.0,23, fu intercettata una complessa stratigrafia. Nei pnimi quattro strati di pochi centimetri di spessore ciascuno (US 120, US 121, US 122 e US 123), che alternavano sottili depositi argillosi pressoché sterili a depositi di terra molto compatta, furono ninvenuti oltre ad alcuni frammenti di baciletti acromi, anche minutissimi frammenti di lucerne del tipo Howland 29A (fine del IV sec. a. C. - metà del III a. C.) ed un frammento di bottiglia a v. n. con palmetta stilizzata che trova numerosissimi confronti in Sicilia nella produzione della seconda metà del IV Sec. (si veda per es. L. BERNABO BREA - M. CAVALIER, MeligunisLipara II, Palermo 1965, tomba 223 e tomba 441, tav. CXII, 1 a - d, e p. 159 tav. CXVIII, 4f pp. 74-75; anche A.M. Bisi, La ceramica ellenistica di Lilibeo, in ArchClass XIX 2 1967, p. 280 tav. LXXXIV, 2). La relazione preliminare della campagna di scavo del 1982, eseguita da R. M. Albanese, M.G. Branciforti e M. Frasca, è in corso di stampa in CASA. Si ningrazia il dott. M. Fra-
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sea per Ic anticipazioni sui risultati dei saggi effettuati tra ii muro meridionale del vano A e ii muro settentrionale dell'edificio greco utilizzato come elemento di fondazione. 36 Ii pavimento in cocciopesto rinvenuto all'interno dell'ambiente 5 del grande edificio fu costruito immediatamente al di sopra di un edificio relativo alla seconda fase urbanistica greca (403-263 a. C.). Si veda per ultimo E. Dr Miro, Ricerche sulla casa in Magna Grecia e in Sicilia, (Atti del colloquio - Lecce, 23 - 24 giugno 1992), Lecce 1996, pp. 31-38 con bibi. precedente. Lo scavo in questo settore, diretto da chi scrive, con la preziosa collaborazione della dott.ssa A. Taormina e G. Monterosso, si e concluso soltanto da alcuni mesi. I dati cronologici a cui si fa qui riferimento derivano dall'esame dei materiali effettuato durante le stesse operazioni di scavo. Se ne darà al pin presto un' edizione completa da parte delle stesse G. Monterosso e A. Taormina. Ii rifacimento di due case di eta ellenistica rinvenute nell'area della stazione ferroviaria a Siracusa fu messo in relazione dall'Orsi alla deduzione della colonia augustea allorché esse furono riunite in un'unica dimora; cfr. P. ORsI, Scoperte nella Sicilia orientale dalla meta del 1911 alla meta del 1915. Casa romana entro la stazione, in NSA 1915 p. 191. l V. TusA,Solunto nel quadro della civiltà punica della Sicilia occidentale, in Sicilia Archeologica 17 1972, p. 30. 41 Lo scavo all'interno delle ex scuderie prospicienti via Teatro greco, iniziato nel mese di febbraio di quest'anno, e diretto da chi scrive, e ancora in corso. Collaborano alla conduzione della ricerca la dott. ssa A. Taormina e la dott.ssa G. Monterosso. 42 Il rinvenimento, in occasione di un saggio effettuato per verificare le fondazioni del monastero benedettino e per eliminare uno scarico fognario realizzato in epoca moderna, fu segnalato dal prof. arch. G. Pagnano, che qui si ringrazia, allora direttore del lavori di restauro dci cantinati, ubicati sotto i corpi di fabbrica dell'impianto cinquecentesco. Della domus di eta imperiale e stata data una notizia preliminare da parte di chi scrive in occasione del IV Colloquio dell'Associazione Italiana per lo Studio e la ConServazione del Mosaico svoltosi a Palermo ii 9-13 dicembre 1996 (M. G. BicrcIFORTI, Mosaici di eta imperiale a Catania, Atti IV Colloquio AISCOM Palermo 1996, pp. 165-188. A. LAIDLAW, The first style in Pompeii: painting and architecture, Roma 1985, pp. 31-34 e p. 184, pl. 42. Come ii palazzo della Camera di Commercio, a nord-ovest di piazza Stesicoro, costruito negli anrii '30 al posto della chiesa di S. Maria della Speranza annesa al convento dei PP. Cappuccini poi eliminato negli anni '60 per la costruzione dell'edificio deli' E. S. E. con la conseguente creazione della via S. Maria la Grande; come nel caso di un palazzetto costruito pure negli anni '60 al posto della chiesa di S. Nicolella nella omonima piazza, o dell'edificio de La Rinascente sulla via Etnea al posto di palazzo Spitaleri. 46 Cosi avvenne per la splendida "Flora" dei PP. Benedettini di S. NicolO L'Arena caratterizzata anche da numerose rarità botaniche, posta al di sopra della colata lavica del 1669; l'area fu destinata nel 1880 al nuovo Ospedale S. Marco (cfr. G. DATO, La città di Catania, Roma 1983, p. 108 nota 67), cos! per 1 giardini dci PP. Minori Riformati di S. Maria di Gesü, dove si estendevano le grande necropoli di eta romana di primo impero, per citare solo alcuni dei casi pifl eclatanti. ' B. GENTILE-CUSA, Piano regolatore pel risanamento e per lbmpliamento della città di Catania, Catania 1888; G. DATO, La citth e ipiani urbanistici. Catania 1930-1980. 48 Nota di G. Libertini in A. HOLM, Catania antica, traduz. di G. Libertini, Catania 1925, p. 32. Peril Reclusorio delle Verginelle e per l'allargamento di via Quartarone cfr. inoltre G. DATO, La città di Catania, Roma 1983, p. 90 e p. 110 nota 100. La pianta che si presenta 6 stata elaborata da P. Nobile della Sezione Archeologica della Soprintendenza di Catania. ° C. ScIuTo PATTI, Notizia sui ruderi recentemente scoperti in Catania di pertinenza del Ninfeo, in Giornale del Gabinetto Letterario dell'Accademia Gioenia, vol. II lase. 30 1856, pp. 231-234. SI C. Sciuto-Patti,Sugli avanzi dun Ninfeo scoperti in Catania, in Giornale del Gabinetto Letterario dell'Accademia Gioenia, vol. IVfasc. 21 1858, pp. 114-131. 52 Nota di G. Libertini in A. HOLM, Catania, cit., pp. 33-34. Non troverebbe ancora conferma, invece, quanto precedentemente sostenuto dal Florio Castelli circa le comunicazioni esistenti tra l'area del Reclusorio delle Verginelle con le Terme della Rotonda, la chiesa di S. Maria la Concezione e la chiesa dell'Itria, che attesterebbero l'esistenza di un grandissimo edificio termale a nord del Teatro (cfr. G. FL0RI0 CASTELLI, Memorie storiche intorno la distruzione dei vetusti monumenti di Catania, Catania 1866, p. 23). ° G. LIBERTINI, Catania. Scavi nel cortile del palazzo della R. Questura, in NSA 1937, p. 82. La Casa di Poveri dell'Oratorio (Filippini) fu costruita nel 1788 (cfr. G. DATO, La città di Catania, Roma 1983, p. 121). G. LIBERTINI,Catania, scoperte vane. Scoperte fort ute in via Crescenzio Galatola, in NSA 1931, p. 367. 56 G. LruERnNI,Scoperte recenti niguardanti l'età bizantina a Catania e provincia. La trasformazione di on edificio termale in chiesa bizantina (La Rotonda) , in Atti dell'VIII Congresso Internazionale di Studi Bizantini, Roma 1953, p. 168 fig. 1. 51 G. RIZZA, Stipe votiva di un santuario di Demetra a Catania, in BA 1960, pp. 247-262; In., S. v. Katane in "The Princeton Encyclopedia of Classical Sites"; R. MARTIN, P. PELAGATTI, G. VALLET, G. VozA, La città greche alla voce Catania, p. 540 in Stonia della Sicilia vol. I, Napoli 1979. 58 G. LIBERTINI, Rilievo demetriaco da Catania, in Bollettino Storico Catanese IV 1939, pp. 124-128. °' M. G. BBANCIFORTI, Mosaici di eth imperiale a Catania, in atti del IV Colloquio AISCOM, Palermo ii 9-13 dicembre 1996 in corso di stampa). 68 A. HOLM, Catania, cit., pp. 35-37. Già L'A. ipotizzava l'esistenza dl una strada in eta romana che conduceva dall'Anfiteatro al Teatro. 61 C. GEMMELLARO,SOpra an resto di antico pavimento, in Giornale del Gabinetto Letterario dell'Accademia Gioenia, tomo VT, 1841, p. 62. 62 C. ScIUTO-PATTI, Sugli avanzi del Tempio di Ercole in Catania. Cenni cnitici, in Giornale del Gabinetto Letterario dell'Acca-
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demia Gioenia, nuova serie, vol. I, 1853, p.192; inoltre J. A. BOLTSHAUSER, Nouveau guide de Catane et de ses environs, Catane 1874, p. 33. 63 P. ORsI, Nuove scoperte nella provincia di Catania, in NSA 1912, pp. 412; D. VON BOESELAGER, Antike Mosaiken in Sizilien, Roma 1983, Pp. 112-113 taf. XXXV, 69. V. MESSINA, Monografia della Regia Insigne Parrocchiale Chiesa Collegiale di Catania, Catania 1898. 65 L'edificio di via Etnea davanti la chiesa di S. Maria dell'Elemosina 6 inedito; sono altresI ignote le circostanze del nflvenimento; l'unica testimonianza finora trovata e la planimetria conservata nell' archivio della Soprintendenza di Catania che viene presentata rilucidata da L. Grasso della Sezione Archeologica dato II suo cattivo stato di conservazione. 66 A. HOLM, Catania, cit., p. 57. 67 G. LIBERTINI, Catania. Avanzi romani nel cortile del Palazzo del Governo, in NSA 1937 pp. 79-81. Sepolcri si trovavano sulla piazza di Santa Maria di Novaluce (oggi piazza Bellini) nei pressi di Sant'Orsola e vicino alla badia di S. Agata (cfr. A. HOLM, Catania, cit., pp. 63-64). 69 P. ORsI, Catania. Ipogeo cristiano dei bassi tempi rinvenuto presso la cittk, in NSA 1893, pp. 385-390; Jo., Catania. Antico sepolcreto riconosciuto in via Lincoln entro l'abitato, in NSA 1897, pp. 239-242; per le mura di Catania cfr. G. PAGNANO, Il disegno delle difese, Catania 1993. 70 P. ORSI, Catania. Scoperte vane di antichitk negli anni 1916 e 1917. Scoperte in via Vitt Emanuele, in NSA 1918, pp. 53-64. 71 A. HOLM, Catania, cit., p. 51. Del ninvenimento nei pressi di Santa Chiara, diode notizia anche G. Strafforello che riferi del trasferimento del frammenti di mosaico presso il Museo del PP Benedettini insieme a quelli rinvenuti nella piazza del Castello Ursino (cfr. G. STRAFFORELLO, La Patria. Geografia dell'Italia, Torino 1893, p. 265. 72 ibid., p. 265. L'Ospedale di S. Marco, istituto di pubblica assistenza fondato dal Senato cittadino nel 1336, fu edificato nell'attuale area nel 1720 su progetto di Alonzo di Benedetto (G. SORGE, Lineamenti di storia dell'ospedalità civile catanese, Catania 1940, pp. 1-57; G. DATO, La città di Catania, Roma 1983, P. 37 e nota 3). I nisultati della ricerca archeologica all'interno dell'ex Ospedale San Marco sono in corso di pubblicazione da parte di chi scrive e da parte della dott.ssa G. Monterosso e della dott. ssa Agata Taormina che hanno collaborato alla conduzione dei lavori. A. HOLM, Catania, cit., pp. 25-26. ibid., nota del trad. pp. 22-23. 70 J PATERNO CASTELLO, Viaggio per tutte le antichitd di Sicilia, Napoli 1781, p. 43. ' A. HOLM, Catania, cit., pp. 22-23 e P. 62. Anche l'Orsi osserva come nella piazza Stesicorea e nei dintorni della porta omonima " conosciuti come luoghi di provenienza di parecchi titoli cnistiani" nientrasse la zona sepolcrale di Catania dall'età ellenistica fino all'alto medioevo (P. ORSI, Catania. Ipogeo cristiano dci bassi tempi rinvenuto presso la città, in NSA 1893, p. 390). Interessante inoltre la breve notizia niportata da P. G. Cesareo Sul rinvenimento di altre stanze, simili a quelle esistenti sotto la chiesa di S. Euplio, in occasione della costruzione dell'edificio del Monte di Pietà, nella via omonima. Alcune delle casse in marmo bianco rinvenute in tale circostanza sarebbero state trasfenite presso ii Museo Biscani (cfr. P. G. CESAAEO, Memorie archeologiche di Catania, Catania 1926, pp. 31-32). 78 fl RizzA, Necropoli romana scoperta a Catania in via S. Euplio, in ASSO LIV e LV, 1958 e 1956, pp. 249-51 e tav. XVI. I grandi magazzini de La Rinascente furono costruiti al posto di palazzo Spitaleni le cui scuderie erano già state trasformate nel 1913 nel Cinema Hall opera dell'arch. P. Lanzerotti. I. PATERNO CASTELLO, Viaggio, cit., pp. 38-41. A. HOLM, Catania, cit., pp. 58-64. 80 P. ORSI, Catania. Scoperte vane di carattere funerario, in NSA 1915, pp. 215-225. ' G. LIBERTINI, Catania. Necropoli romana e avanzi bizantini nella via Dottor Consoli, in NSA 1956, pp. 170-189; G. RIZZA, Mosaico pavimentale di una basilica cemeteniale paleocnistiana di Catania, in BA XL 1955, pp. 1-11; In.,Un Martynium paleocnistiano di Catania e ii sepolcro di lulia Florentina, in Oikoumene. Studi paleocnistiani in onore del Concilio Ecumenico Vaticano II, Catania 1964, pp. 593-612. 82 G. LIBERTINI, La topografia di Catania antica e le scoperte dell'ultimo cinquantennio, inASSO XIX, 1923 p. 59. 83 J PATERNO CASTELLO, Viaggio, cit., p. 38; A. HOLM, Catania, cit., pp. 60-61 (necropoli a nord-ovest del convento dei Domenicani); P. ORSI, Catania. Scoperte al nuovo Istituto di Fisiologia in via Androne, in NSA 1918, pp. 65-68. Altni ninvenimenti di tombe sono stati registrati nel 1959 all'interno di un immobile tra via Plebiscito, via Orto del Re e via S. Vito come attestato da rilievi esitenti presso l'archivio della Sopnintendenza di Catania. 84 J• PATERNO CASTELLO, Viaggio, cit., pp. 39-41; A. HOLM, Catania, cit., pp. 58-60. In tale zona il Libertini ipotizzO peraltno la sede delle necropoli della città greca del V secolo a. C., non condividendo l'opinione dell'Orsi die le collocava pifl a nord, nell'area del costruendo Onto Botanico, per il ninvenimento in essa, nel 1915, di sarcofagi in calcare che non flu possibile salvane per la mancata tempestiva segnalazione da parte dell'Università alla R. Sopnintendenza di Siracusa, e di materiali databili tra il VI ed il V secolo a. C. recuperati dal Dc Fiore (P. ORsI, Catania. Scoperte vane di antichità negli anni 1916 e 1917, in NSA 1918, pp. 68-70; G. LIBERTIM, La topografia di Catania antica e le scopente dell'ultimo cinquantennio, in ASSO XIX, 1923 pp. 59-60). 85 Oltre alle notizie relative alla necropoli in piazza S. Maria di Novaluce (A. HOLM, Catania, cit., p. 63) e presso la birnenia Sangiorgi (P. ORsI, Catania. Antico sepolcreto niconosciuto in via Lincoln entro l'abitato, in NSA 1897, pp. 239-242) si vd. pure, per la cosiddetta Cappella Bonaiuto, intesa dall'Orsi quale parte di un edificio tenmale poi trasformata in cappella gentilizia, I. PaNO CASTELLO, Viaggio, cit., pp. 34-35; F. MtJNTER, Viaggio in Sicilia, trad. di F. Peranni, Palermo 1823 vol. II, p. 16 ; per ultimo AA.VV., La Sicilia di Jean Houel all'Enonitage, pp. 171-172 e Pp. 309-310 schede nn. 135 e 136 (il monumento dal curatone delle schede 6 enoneamente nifenito come "sepoicro presso l'ospedale S. Marco a Catania"); per G. Agnello trattasi di
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chiesetta bizantina poi trasformata in cappella gentilizia (cfr. G. AGNELLO, La basilichetta tichora del Salvatore a Catania, in RAC Anno XXIII n. 1-4, 1947, PP. 147-168; Ia., L'architettura bizantina in Sicilia, Firenze 1952, PP. 116-129).
Cn supra nota 67. F. CAIR0u Giuuo, L'edilizia nell'antichitb, Roma 1990, p. 160.). 88 A. LAIDLAW, The first style in Pompeii: painting and architecture, Roma 1985, p. 31 e pl. 67 a. Per l'area cimiteriale presso 1 PP. Domenicani di S. Maria la Nueva cfr. anche A. NIBBY, Itinerario delle Antichità della Sicilia, Roma 1819, pp. 36-37 ° cfr. supra nota 44. L' ex convento dei Cappuccini gilt ospitava la caserma Marselli.
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ANNA CALDERONE
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EOS RAPITRICE E LE ARULE DI GELA
E del gennaio del 2000 la notizia del rinvenimento a Gela di tre bellissime arule 1 . Esse si distinguono nel repertorio delle arule di Occidente per la pregevole fattura, la dimensione insolita di due di esse, e per la raffigurazione esibita da ciascun arula. La prima, alta m 1, 16, presenta la Gorgone in corsa con Pegaso e Krysaor. La seconda, anch'essa di grandi dimensioni (alt. m 1,14), mostra la raffigurazione di tre personaggi femminili resi frontalmente, delimitata in alto da una zoomachia, disposta su un campo piii ridotto. La terza arula, infine, alta cm 60, rappresenta la divinità Eos che rapisce uno dei fanciulli da lei amati. Le tre arule provengono da scavi condotti nell'area di Bosco Littorio, alla destra della foce del flume Gela. Qui è stato messo in luce un settore interessato da strutture arcaiche in mattoni crudi conservate per buona parte della loro altezza. Sulla base della disposizione dei vani e dell'ubicazione del complesso, situato sulla costa e nei pressi della foce del flume, fuori dalla cinta muraria, è stato ipotizzato che tall resti siano pertinenti all'emporio della città, impostato forse al momento stesso dell'occupazione rodio-cretese del sito 2. Tante sono le domande che ii rinvenimento delle tre anile pone: l'inusuale dimensione dei tre esemplari, la cronologia, lo stile e l'ambiente artistico che ii ha prodotti, e cos! via. Non è mio intendimento in queste pagine tentare delle risposte; risposte, queste ultime, che ci aspettiamo piuttosto dall'edizione definitiva del risultati dello scavo. Molto pifi modestamente, l'oggetto di questa mia breve nota e la sola arula con la rappresentazione del ratto di un giovane amato da parte di Eos con l'obiettivo di svolgere alcune consideraWIPM 4. -4 ziorn di carattere iconografico ed iconologico sul :tema figurato. Nell'arula, la dea Eos dalle grandi all, resa nel- l'atteggiamento del volo, tiene tra le braccia il gbvane amato. Ii giovane e di piccole dimensioni ri- -spetto a quelle della dea. Pur se non è possibile allo VM. stato delle informazioni entrare nel merito della cronologia del pezzo, sembrerebbe trattarsi di un'a- rula i cui tratti stilistici del rilievo orientano per ' una datazione nella seconda metà del VI sec. a. C. :1. Quest'arula ripropone nella forma e nella raffi- gurazione un'arula sempre da Gela (fig. 1), rinvenuta nell'area del complesso religioso e artigiana- le del cosiddetto "Ex Scalo Ferroviario" 1 . Quest'ultima, e stata rinvenuta negli anni ottanta, _, reimpiegata nella parete di una canaletta che cor- re lungo il lato nord del vano 5 dell'edificio III. Essa, purtroppo mutila sul fianco sinistro, è alta cm 56, misura quindi molto vicina a quella recen- temente rinvenuta al Bosco Littorio. La raffigurazione, inserita in una cornice aggettante, mostra Fig. I. Alula da Gea con Eos chc i apisce un fanciulla figura di Eos, nello schema della "corsa in gi- lo (Foto Soprint. Caltanissetta). V
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Fig. 2. Arula da Selinunte con Eos che insegue un fanciullo
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(MonAL 32, 1928,
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tav. XXXVI).
nocchio", ad ali aperte e caizari alati, che regge con ii braccio sinistro un fanciullo. Per un arcaismo piuttosto alto, specie nel volto del fanciullo, insieme al rendimento del panneggio della dea Eos di un fase piLi avanzata, Ernesto De Miro ne ha proposto una datazione al 550-530 a.C. 5 Diversamente, invece, per i tratti stilistici del volto del fanciullo moito vicini a quelli tipici del volti delle statuette fittili tardo-arcaiche, la stessa arula e stata datata dalla van der Meijden alla fine del VI-inizi del V sec. 6 Entrambi gil studiosi concordano, perà, nell'identificare con Kephalos ii fanciullo rapito da Eos. Le due anile, quella dall'Ex Scalo Ferroviario e quella dal Bosco Littorio, oltre ad essere molto vicine per le misure, sono entrambe prodotto di artigianato locale, anche se la prima sembra di qualità e fattura leggermente inferiore rispetto alla seconda. Ricordo inoltre che lo stesso mito della dea Eos e raffigurato ancora su una terza arula, proveniente dal santuario della Malophoros di Selinunte, datata nel primo venticinquennio del V sec. a.C. (fig. 2). Qui la figura femminile è rappresentata nell'atto di inseguire 11 giovane. La presenza di questa raffigurazione sulle tre anile siciliane costituisce un fatto insolito, dal momento che, come sappiamo, il tema è invece ampiamente diffuso su manufatti di altro genere, vasi figurati, lamine, grupp1 fittili ecc. Ma proprio per questa ragione, e nella considerazione delia funzione escatologica delle anile, connesse alla sfera della religiosita privata e delle relative pratiche rituali 8, 11 riproporsi del medesimo tema figurativo sulle anile siceliote del VI e V sec. a.C. contribuisce a fare maggior luce sulla iconobogia delbo stesso mito della dea Eos che rapisce il giovane amato. Ii mito fa la sua comparsa nell'imagerie greca a partire dalla metà del VI sec. a.C., divenendo nel V sec. a. C. uno dei temi preferiti daila produzione vascolare attica a figure rosse 122
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- Com'è noto dalle testimonianze letterarie, la dea Eos, personificazione dell'aurora, si invaghl della bellezza di molti giovani che insegul e rap!. Tra quelli che ci solo stati trasmessi nelle raffigu/ razioni oggi note, gli studiosi, anche sulla base degli attributi rappresentati, hanno riconosciuto ii giovane cacciatore Kephalos o l'efebo Tithonos, quest'ultimo talvolta accompagnato dalla lira. / Al riguardo, perO, vale la pena osservare che, ad eccezione del pochissimi casi di immagini Vascolari nei quali ii giovane e chiaramente definito da un'iscrizione, il personaggio oggetto dell'interesse di Eos e raramente identificabile con precisione. Sappiano, poi, che Pausania (I, 3, 1 e III, 18, 12), nel descrivere i gruppi acroteriali della Stoà Basileios ad Atene 1° e ancora nel descrivere ii trono di Bathykies, indicando in Kephalos ii personaggio rapito a causa della sua bellezza, definisce Hemera quale divinità rapitrice. La sostituzione di Eos, l'aurora, con Hemera, ii giorno, è tuttavia una versione nota soltanto a Pausania12 Circa la tipologia figurativa, le attestazioni relative al mito della dea rapitrice di fanciulli p0550no essere classfficabili essenzialmente in due tipi: nel primo, ii fanciullo è retto fra le braccia dalla figura femminile che fugge (fig. 3); nel secondo, la figura femminile insegue ii giovane (fig. 4). Un I terzo tipo e presente soltanto su pochi vasi di IV Fig. 3. Lekythos attica a f.r. da Gela (LIMC in, s.v. sec. a.C., dove la figura femminile è raffigurata mentre alla guida di un carro rapisce ii fanciullo Eos, n. 270). (fig. 5)13. Dei due tipi principali, ii secondo è ampiamente diffuso sulla produzione vascolare di V sec., e particolarmente su quella attica. Eccezioni sono soltanto due rilievi selinuntini del primo venticinquennio del V sec. a.C.: una metopa dall'Acropo li 14 e l'arula dal santuario della Malophoros richiamata sopra. PILi rare e piü variamente distribuite su diversi manufatti sono invece le attestazioni iconografiche del primo tipo. Oltre al sopra richiamato caso dell'acroterio della Stoà Basileios, che è stato ricostruito nello schema della dea con ii fanciullo fra le braccia, esso compare, infatti, su pochi vasi attici a figure rosse, su due rilievi "melii", su una lamina aurea, e su alcuni gruppi fittili e marmorei 15 A questi casi oggi dobbiamo aggiungere le due arule di Gela. Un dato, la cui significativita ai fini della nostra riflessione sara chiara pifl avanti, consiste nel fatto che in tutte le attestazioni iconografiche del primo tipo, se si esciudono quattro casi in cui il giovane regge una lira 16, l'amato rapito non e mai connotato da attributi. La mia ipotesi è che le due versioni figurative, le cui prime attestazioni appartengono a momenti diversi - al VI sec. il primo, al V sec. il secondo - riproducano altrettante versioni del mito, anch'esse cronologicamente distinte fra loro, almeno alle origini, anche se successivamente compresenti. Una diversità cronologica, questa, spiegabile dall'ambito geografico e culturale nel quale le due versioni del mito ebbero maggiore diffusione. L'ipotesi mi viene suggerita dal fatto che le raffigurazioni del primo tipo sono presenti a partire dal VI sec., almeno per quello che ne sappiamo, su manufatti etruschi. Ma provo ad essere pift chiara. Nell'iconografia etrusca del rapimento la divinità rapitrice e l'etrusca Thesan, omologa della divi123
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Fig. 5. Lekythos apula a f.r. (LIMC III, s.v. Eos, n. 284). re ulteriormente anche ii signfficato e la funzione del mito, nel quadro di una stretta connessione, appunto, tra tema figurativo e tipo di manufatto: le arule. Queste ultime, di cui ho altrove sottolineato ii carattere di oggetti strettamente connessi alla prassi rituale di culti che si dovevano svolgere o in ambito domestico o in santuarietti urbani, o, in misura minore, in aree sacre e in necropoli, che solitamente esibiscono temi e miti ii cui comune denominatore sta nel fatto di essere piü o meno direttamente allusivi all'aldilà27 Ii mito di Eos si inserisce, poi, nel gruppo di queue stone mitologiche, la cui interpretazione metaforica della speranza di una sorte beata dopo la morte si manifesta in termini pifl espliciti attraverso l'uso simbolico delle immagini di ratto. Miti nei quali un mortale è stato prescelto da una divinità, per essere poi trasferito in una realtà diversa da quella terrestre, che sono stati giustamente e con buone argomentazioni da pifl parti connessi con l'esigenza dello spirito greco di dare un'immagine nuova del destino che aspetta i mortali dopo la morte. Stone mitologiche, dunque, che possono divefire "facile e trasparente metafora della speranza di conseguire, attraverso la benevolenza divina, una nuova vita oltre la morte"28 A proposito dei miti di ratto nel loro complesso, Christiane Sourvinou-Inwood ha sottolineato, 125
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tuttavia, come ii rapimento abbia costituito di solito un modello iconografico privilegiato per significare ii rischio del contatto tra uomini e dei 29 Nel contesto di una cultura religiosa che ha chiara cognizione della incolmabile distanza che separa gil uomini dagh del, l'eccessiva vicinanza con la dlvinità è per i primi non meno pericolosa deil'oltraggio. Di questa tradizione mitica fanno parte tanti racconti che si concludono tristemente: spiendide fanciulle che, senza coipa, pagano con la perdita delia vita o della natura umana ii desiderio suscitato neila divinità (esempi sono quelli di mo, di Callisto, o di Semele). La rappresentazione di queste vicende assumerebbe cos! la forza simbolica di un monito: i'impossibihtà di superare i hmiti imposti agli essere umani. Va perO rilevato che, a differenza di queste vicende mitiche, nel caso dei giovinetti rapiti da Eos essi sopravvivono. Ii contatto con la forza divina ii iascia indenni, ed anzi li eieva aiio status di privilegiati. Ecco dunque le ioro vicende divenire scopertamente paradigma di quella benevolenza divina che soia puO concedere ail'uomo di vincere la morte e conquistare la beatitudine uitramondana Ed è proprio questa i'importante accezione del significato del miti che si richiamano al tema dell'aidilà, come quello del ratto delia principessa attica Orizia da parte di Borea, o quello del rapimento degh amati da parte di Eos Borea, ii Vento del Nord, che PUO essere causa di distruzione, ma anche portatore di abbondanza, o Eos, la dea astraie preludlo della iuce del giorno, diventano guida di un viaggio che porterà l'anima verso ii iuminoso mondo ultraterreno. Ma c'è ancora una seconda accezione, a mio parere di particolare riievanza, del significato delia storia mitologica della dea Los: sempre ii mortale prescelto dalla dea e un fanciullo. Al di là del fatto che possa trattarsi del troiano Tithonos o deli'attico Kephalos - la cui genealogia, come s'è detto, ha rivestito un forte significato nell'assunzione del mito nella tradizione figurativa rispettivamente etrusca ed attica - o di qualsiasi altro giovane di cui ci resta soltanto ii nome ricordato dalle fonti, sempre, infatti, la dea Los si innamora e rapisce giovani non ancora entrati nell'età adulta. Ii significato, allora, della particolarità di questo mito starebbe nel fatto di aifrontare e tentare sl una risposta al "dramma" delia morte, ma non di quella che colpisce genericamente tutti gli uomini, ma di quella che riguarda, in particolare, I giovani, I fanciuili. Sappiamo che 11 tema delia morte e sempre presente neila religiosita del mondo greco. Nel tentativo di definire l'aldilà, la cultura greca e sempre preoccupata dalia necessità di trovare una spiegazione alia caducità della vita terrena. Ma se questa giustificazione è relativamente "facile" a proposito degli uomini adulti, legata aiia brevità della vita e al naturale invecchiamento, ovvero, per i meno anziani, al ruolo di guerrieri cui si connette sempre ii rischio della morte, ben phi difficile è darsi una giustificazione della morte che colpisce in eta ancora giovane. Il mito di Eos ne offre la risposta e la giustificazione: indissolubimente legati quali sono neila cultura greca, due facce delia stessa medaglia, Thanatos si rovescia nel suo opposto Eros. Al dramma della morte, che tutto conclude ed a cub è sempre difficiie doversi piegare, specie aliorché essa coipisce un giovinetto, l'uomo greco sostituisce la vicenda di una nuova vita, ii cui inizio è segnato dal suo esatto contrarbo: i'amore Alia morte, che segna la "fine" dell'esperienza terrena e ii distacco dai propri can, si oppone cos! la metafora del giovinetto rapito daila dea innamorata - una dea che non a caso e definita da Omero "portatrice di luce" (Ii. 19,2) - che promette una nuova vita. Se questo e ii messaggio reilgioso ed ideologico del mito di Eos, non è casuale che ii tema venga raffigurato sulle arnie, e in particoiare su quelie della seconda metà del VI secolo provenienti da Gela. Non dimentichiamo, infatti, che proprio questo tipo di manufatto, a differenza di molti aitri propri della cultura materiale greca, Si colloca nel solco della continuità dei temi religiosi esposti con quelli del passato. Se, doe, ancora in piena eta arcaica, esisteva coincidenza fra le immagini della dimensione pubblica della religiosita, veicolata dagli edifici sacri, e quelle della dimensbone privata, veicolata dalle arnie, con la fine del VI sec. le dimensioni privata e pubblica procedono lungo direzioni diverse: mentre quest'ultima segue un processo di sofisticazione ed arricchimento dei temi prescelti, la prima rimane, invece, fedeie custode delie passate tradizioni. E l'arula, la cub funzione cuituale e principalmente connessa alla sfera phi intima della religiosità privata, ne costituisce la phi evidente testimonianza 32 Tutt'altro che semplici arredi per soddisfare 11 gusto estetico dci committenti, le arnie con ii mito 126
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di Eos svolgono dunque una precisa funzione religiosa e apotropaica. Ad esse doveva essere affidato ii compito o di dare conforto alla famiglia per la morte di un giovane congiunto, ovvero di allontanarne II pericolo. Ed è in questo quadro, dove a questo particolare tipo di manufatto è affidato ii rispetto della continuità con ii passato e della permanenza del motivi figurativi pifi antichi, che propongo di vedere nel tema raffigurato sulle due arule geloe la versione pifi antica del mito: quella del rapimento del giovinetto Tithonos. Siamo tornati cos! alla questione cui ho accennato sin dall'inizio di questa nota a proposito dell'esistenza di due versioni del mito: la prima, la puut antica, con Tithonos; la seconda putt recente, con Kephalos. L'idea che si tratti di due differenti versioni ml viene suggerita dal fatto che i due personaggi non siano soltanto diversi tra loro per una putt precisa specificazione del ruolo di Kephalos in quanto cacciatore, rispetto a Tithonos, genericamente definito come giovinetto; ciO che conta invece e che dietro questa loro diversità stiano società diversamente strutturate, con le loro rispettiye culture. In sostanza, dietro ii phi antico personaggio Tithonos starebbe una società arcaica dove la condizione di giovinetto, al di là della dimensione generazionale, è ancora abbastanza generica e indistinta, senza quelle rigide articolazioni proprie di una società fortemente strutturata. Una società phi arcaica, questa, che ci riporta alla Troia omerica, ma che potrebbe portarci ancora phi indietro nel tempo, nell'antico Oriente. Successivamene, sara invece con 11 V sec. che la polis greca avrà quasi la necessità, nell'accogliere le stone mitiche del passato, di reinterpretarle, sofisticandone molti aspetti e articolandole meglio nel rispetto di una società ora ben phi strutturata. Ecco allora apparire la seconda versione del mito, con, da un lato, il giovinetto che diviene il cacciatore attico Kephalos (fig. 6), mentre, dall'altro, all'arcaico Tithonos, generico giovinetto, viene assegnato ora quel ruolo di efebo, che l'attributo della lira ora, alcune volte, meglio segnala (fig. 7)33. Giovani, quindi, al cui mob, efebo l'uno, cacciatore l'altro, viene assegnato l'iniziale e fondante momento costitutivo dell'articolazione sociale nel mondo greco antico 34. Ed è sempre ora che, accanto alla amplissima diffusione del mito di Eos, trova fortuna anche la vicenda mitica della principessa attica Orizia rapita da Borea.
Fig. 6. Stamnos attico a f.r. da Capua (LIMC III, s.v. 64).
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Fig. 7. Lekythos attica a f.r. (LIMC III, s.v. Eos, n. 268). 127
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Ora, a partire dagli inizi del V Sec. a.C. le due versioni del mito di Eos coesistono, e con esse le rappresentazioni del due giovinetti, ii primo Tithonos, riveduto e meglio specificato nel suo ruolo rispetto all'articolazione sociale, ii secondo, l'attico Kephalos, che finisce per godere di maggior fortuna. Le rappresentazioni si diffondono ora in tutto 1'Occidente. Ed e proprio adesso che sull'arula sopra richiamata dal santuario della Malophoros di Selinunte del 480-470 a.C. l'iconografia per ii tema prescelto e proprio quella dell'inseguimento del giovane. Avremmo qui riprodotta la versione attica del mito, con Kephalos oggetto dell'amore della dea, Secondo lo schema corrente sulla ceramica attica35. Appartiene del resto al V sec. quella vera e propria "ossessione" che, come ha osservato Boardman, i ceramografi ateniesi mostrano per tutte le scene di inseguimento 36 Scene queste ii cui successo nelle regioni occidentali, cui era destinata gran parte della produzione ceramica attica 17, va attribuito al fatto che in esse fosse evidente ii riferimento a queue concezioni salvifiche che proprio in quegli anni segnalavano preoccupazioni esistenziali e spirituali ben diverse da quei valori aristocratici della società arcaica cui le immagini sulla ceramica figurata sino ad allora ne erano state ii riflesso. Ed ecco che proprio adesso la valenza salvifica del rapimento e fortemente dichiarata nella scelta del tema iconografico sulla lekythos funeraria del Museo del Louvre; o, ancora, in ambiente indigeno magno-greco, sulla cimasa del candelabro etrusco e sul cratere a calice del pittore di Pisticci, oggetti facenti parte del corredo funerario delle due monumentali sepolture di Ruvo del Monte 061110 A seguito della grande eco suIl'eccezionale rinvenimento, le tre arule sono state oggetto di alcune mostre. Cfr., per la mostra di Palazzo Bellomo a Siracusa, R. PsssvINI, Tiranni e culti della Sicilia in eta arcaica (Siracusa 2001), Caltanissetta 2000. 2 Si veda G. FI0RENTINI, Gela. La città antica e ii suo territorio, Palermo 1985, p. 22; e ancora R. PANvINI, Ghelas. Storia earcheologia dell'antica Gela, Torino 1996, p. 54-57. Cfr. G. SPAGNOLO, Recenti scavi nell'area della vecchia stazione di Gela, in Quaderni Messina 6, 1991, pp. 55-70; G. FIomNTIM, Gala, cit., p. 30. G. SPAGNOLO, Recenti scavi, cit., p. 64, tav. XLII,3. Sull'arula conservata al Mus. Arch. di Gela, inv. 36195, vedi R. PrwNI (a cura di), Gela. Ii Museo Archeologico. Catalogo, Gela 1998, p. 184, V.24. E. DE MIR0, Coroplastica geloa del VI e V sec. a. C., in Hestiasis. Studi offerti a Salvatore Calderone, vol. II, Messina 1986, pp. 393-394, tav. VI. 6 H. van der MEImEN,Ten-akotta-arulae aus Sizilien und Unteritalien, Amsterdam 1993, p. 90, e p. 304. Per una datazione alla fine del VI sec. anche dell'arula da Bosco Littorio, si veda F. GILOTTA, La Nike di Karlsruhe e le are di Gala, in Prospettiva 98-99, pp. 155-159, oltre che per le interessanti considerazioni storico-artistiche. E. GABRIcI, Il Santuario della Malophoros, in MonAl 32, 1928, coll. 195-197, tav. XXXVI. 8 Sulla funzione privata delle arnie e sul significato della immagini in esse rappresentate, si veda A. CALDERONE, Il mito greco e le arule siceliote di VI-Vsec. a. C., in F.H. MASSA PAIRAULT (ed.), La mythe grec dans l'Italie antique. Fonction at image (Actes du colioque international Roma 1996), Roma 1999, pp. 163-204. Per una raccolta eSauStiva delle testimonianze sulla dea Eos e i suoi amati, Si veda C. WeIss, s.v. Eos, in LIMC Ill. 1, 1986, p. 758 ss., con un ragionato ed utilissimo commento sulla comparsa, lo sviluppo a le varianti della immagini relative al mito. Per una visualizzazione della foo-tuna delia immagini relative alla divinità Eos sulla ceramica attica nel corso del V sec. a alla "velocità" con cui questo tema raggiunge quasi contemporaneamente 11 mercato della Magna Grecia, si veda ii grafico (a cura di F. BARRESI) ad ii relativo commento di F. Giuoicn, Il viaggio della immagini dall'Attica versa l'Occidente, in F.H. MASSA PAIRAULT (ed.), Le mythe grec dens 11talie antique. Fonction et image (ActeS du colloque international, Roma 1996), Roma 1999, pp. 267 -280 (per il grafico pp. 298-299). Lo studioso a tal proposito sottolinea che la fortuna dell'immagmne di Eos, insieme a quella di altre divinità e di altri temi, sia nella produzione globale attica che nelle esportazioni in Magna Grecia e Sicilia, rivela una "volontà di propaganda che accelerava il processo di diffusione in Occidente si da far coincidere 11 momento della produzione di un certo tema con quello della distribuzione" (p. 273). La vittoria di Atene sui Persiani e "l'atmosfera di prodigio" ad essa connessa, propagandata ad Atene, avrebbe raggiunto in tempo reale anche l'Occidente "sotto la spinta degli stessi Ateniesi che intendono comunicare le proprie difficoltà o propagandare i propri successi" (p. 280). 10 H .A. Thompson, Buildings on the West Side of the Agora, in Hesperia 6, 1937, p. 66 ss. Sul trono di Amyklai, si veda 11 recente ed esaustivo lavoro di A. FAUSTOFERRI, Il trono di Amyklai e Sparta. Bathykles al servizio del potere, Perugia 1996, ed in particolare, per l'episodio del rapimento di Kephalos da parte di Hemera, Ic pp. 119-120, 242 ss.
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La preferenza per Hemera rispetto ad Eos, per la Faustoferri, potrebbe aver avuto un significato connesso "con la diversa funzionalità esplicata dalle due donne: Hemera, infatti, in quanto personificazione della luce solare, si contrappone al momento iniziale del giorno" (ibid., p. 120). La studiosa, poi, molto cautamente esprime una Suggestione, non confortata tuttavia da alcuna fonte scritta - come viene correttamente sottolineato - che potrebbe far "ric000Scere Hemera nella dea con fanciullo nelle braccia ed Eos nella dea che insegue" (ibid., p. 120, n. 14). 13 Per questa classificazione, proposta sulla Scorta delle testimonianze iconografiche, cfr. C. Waiss, cit., p. 759-775. 14 Per la nota metopa selinuntina si vedano V. TUSA, La scultura in pietra di Selinunte, Palermo 1983, pp. 123-124, e E. Dc MIRO, La scultura architettonica selinuntina del periodo severo, in Sikanie. Storia e civiltd della Sicilia greca, Milano 1986, p. 233, figg. 273-274. Cfr. C. WEISS, cit., pp. 773-775, con relativi riferimenti bibliografici; la Weiss include nello stesso tipo anche l'iconografia del tema raffigurato sul trono di Amyklai. 6 Si tratta dei vasi a figure rosse, nn. 268, 269, 271, 272 del catalogo di C. WEISS, cit., pp. 773-774. Si veda R. BLOCH, s.v. Eos/Thesan, in LIMC, 111, 1, pp. 793-795. 11 A. ANDREa, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund-Leipzig 1940, pp. 36-37, tav. XI, 40. 9 L'ipotesi di A. ANDREN, ibid., p. 36 e stata accolta e sostenuta da F. CosRLu, Il Foro Boarlo. Dalle origini alla fine della repubblica, Roma 1988, p. 223 ss., anche nel quadra della lettura dell'intero piano figurativo del complesso di S. Omobono. Di diversa opinione e F.H. MASSA PAIRAULT, Iconologia e Politica nell'Italia antica, Milano 1992, pp. 62-63, che propone di riconoscere nell'abbraccio dei due personaggi l'immagine dell'hospitium offerto da Carmenta a Matuta, ovvero l'immagine di Fortuna e Matuta sorores. 28 L. CERCHLA.I, I Campani, Milano 1995, p. 160, tav. XXXII, 1. 21 E quanto e stato evidenziato da Luca Cerchiai, ibid., pp. 159-160. Sul Fondo Patturelli Si veda F. COARELLI, Venus lovia, Venus Libitina? Il santuario del Fonda Patturelli a Capua, in L'incidenza dell'antico (Studi in memoria di E. Lepore), Napoli 1995, vol. I, pp. 371-387. 22 A. B0TrINI, Il candelabro etrusco di Ruvo del Monte, in BA 59, pp. 1-14. 23 Ibid., p. 10. In tal senso parlano le immagini del mito di Eos sui vasi attici rinvenuti in numerosi contesti indigeni magno-greci, come quello della necropoli peuceta di Rutigliano, richiamato da A. BOTTTNT, Archeologia della salvezza, Milano 1992, p. 111. C. WEISS, cit., p. 776. 25 E quanto si ricava dall'Inno Omerico ad Afrodite, 218-238. La dea non aveva riflettuto tuttavia che sarebbe stato necesSario chiedere per lul anche la giovinezza. E infatti quando sulla bella testa di Tithonos apparvero I primi capelli bianchi, la dea non condivise pill con lui il giaciglio, ma lo curô come un bambino. E quando la vecchiaia lo privE anche dei movimenti, la dea lo nascose in una stanza e chiuse la porta. La successiva trasformazione in cicala di Tithonos, nelle cui membra non era rimasta alcuna forza, la si ricava da uno scolio all'Iliade 11. 1, e da uno scolio a Licophrone, Alexandra, 18. Per un'analisi strutturale del mito, ed interessanti considerazioni sulla immortalità della vecchia eta e l'assenza nell'Inno Omerico della trasformazione di Tithonos in cicala, si vedano H. KING, Tithonos and the tettix, inArethusa 19, 1986, pp. 15-35, e Ch. SEGAL Titbonus and the Homeric Hymn to Aphrodite: a comment, ivi, pp. 37-47. Per una raccolta delle fonti letterarie ed iconografiche su Tithonos, cfr. A. KOSSATZ-DEISSMANN, S.V. Tithonos, inLIMCVIII,1, pp. 34-36. Su Memnone ela sua sorte, Tiles. Theog. 984. 26 Su quest'amore siamo pill informati, dal momento che il mito originario pill semplificato riguardante l'amore di Eos nei confronti di Kephalos subl successivamente una elaborazione e contaminazione con II mito di Prokris, figlia di Eretteo. Per lui, infatti, rivaleggiarono in Attica Eos e Prokris. Il mito e presentato nella forma pill completa da Ov. met. 7, 701-704. Per un'esauStiva e commentata raccolta delle fonti letterarie ed iconografiche sull'eroe attica, si veda E. SIMANTONI-BOURNIA, s.v. Kephalos, in LIMC VI, 1, pp. 1-6. 27 A. CALDERONE, Il mito greco, cit., passim. e pp. 203-204. 28 A. BOTTINI, Archeologia,cit., p. 111; ad Eos che rapisce lo studioso dedica una particolare attenzione alle pp. 106-115. Sul mito di Eos che rapisce si veda I. de LA GENIEsn, Un faux autentique du Musée du Louvre, in Studies in Honour of A.D. Trendall, Sidney 1979, pp. 75-80, tav. 19. Cfr. ancora A. B0TrINI, Ii candelabro, cit. p.10 e note 64-67. 29 C. SouRviNou-INwooD, Menace and Pursuit: Differentiation and Creation of Meaning, in Images et Societe en Grèce ancienne. L'iconographie comme mEthode d'analyse (Actes Colloque international Lausanne 1984), Lausanne 1987, p. 51, e pp. 41-58 per il significato delle scene di inseguimento, rappresentazioni metaforiche del matrimonio. L'equivalenza tra matrimonio e morte, traguardi differenti ma entrambi ugualmente traumatici e di transizione, cui nessuno pull sfuggire, costituisce poi valenza significativa sulla diffusione delle scene di inseguimento. ° Sul punto cfr. I. CHIssssl COLOMBO, La salvezza nell'aldilà nella cultura greca arcaica, in StudClas, 15, 1973, pp. 23-39; S. KAEMPF-DIMITRLADOU, Die Liebe der Gotter in der Attischen Kunst des 5. Jahrhunderts v. C/sr., Bern 1979, pp. 16-21, e 36-41. ' In questa direzione si pone l'interessante lettura del significato del mito di Eos rapitrice proposta da E. VERMEULE, Aspects of Death in Early Greek Art and Poetry, California 1979, pp. 162-165. 32 Cfr. A. CALDERONE, Il mito greco, cit., passim. Sulla produzione ceramica attica del V sec. a.C. non è tuttavia sempre facile definire con certezza i due personaggi amati. La differenziazione iconografica tra i due giovani, secondo cui Kephalos e sempre il cacciatore e Tithonos 11 fanciullo che alcune volte tiene tra le manila lira, proposta da L.D. CASKEY S.D. BEAZLEY, Attic Vase-Paintings in the Museum of Fine Arts, II, Boston-Oxford 1954, pp. 37-38, non è sempre applicabile con certezza. Come rileva, infatti, E. PARIBENI, in FAA VII, pp. 882-883, s.v. Tithonos, 11 giovane cacciatore raffigurato su una pelike dell'Ermitage e contraddistinto dall'iscrizione TithonoS. a Richiamare gli studi che hanno contribuito a definire e a meglio comprendere il ruolo ricoperto dagli efebi e dai cac-
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ciatori nella società greca sarebbe cosa ardua, e certamente incompleta. Mi limito tuttavia a richiamare ii volume di A. BRELICH, Paides e Parthenoi, vol. I, Roma 1969, e ancora quello di P. VIDAL-NAQUET, Ii cacciatore nero, (trad. ital.), Roma 1988, e da ultimo A. SCHNAPP, Le chasseur et la cite, Parigi 1997, anche per l'attenta analisi delle fonti letterarie e delle immagini dipinte
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sulla ceramica. Si vedano a tal proposito le considerazioni di H. van der MEIJDEN, Terra kotta-arulae, cit., pp. 90-92. 36 J BOAP.DMAN, Athenian Red Figure Vases. The archaic period, London 1975, p. 224. ' Una conferma in tal senso la fornisce ii dato delle numerose attestazioni sulle anfore nolane di V sec. a.C. di immagini dell'inseguimento dell'amato da parte di Eos, inquadrabili cioè nella seconda tipologia: forma e motivo figurativo presenti esclusivamente nell'Italia etrusca. Tale dato, ricavabile dal catalogo di C. WEIss, cit., pp. 759-770, dalla studiosa è stato giustamente interpretato come indicatore sia del particolare apprezzamento degli Etruschi per ii mito di Eos, sia del fatto che, nella produzione, i pittori vascolari attici si rivolgevano al gusto del committente (p. 776). 38 La valenza salvifica del tema su oggetti di uso funerario, come abbiamo visto supra, n. 28, e stata sottolineata, per la lekythos parigina, da J. de LA GENIERE, Un faux autentique, cit., e per i due esemplari di Ruvo del Monte, da A. B0TTINI, Archeologia, cit., pp. 106-108.
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UNA STATUETTA IN MARMO DA AGRIGENTO * Tra i reperti archeologici conservati nei magazzini del Museo Archeologico Regionale di Agrigento particolare interesse desta una statuetta in marmo 1, rinvenuta all'interno di un pozzo neli'area sacra trail Tempio di Zeus eli Santuario deile Divinità Ctonie di Agrigento 2 (figg. 1-2). La figura, eseguita a tutto tondo, siede su un seggio di forma cubica in atteggiamento ieratico, con le gambe unite e ii busto eretto; ii corpo è avvoito da un himation a larghe pieghe oblique che lascia scoperto ii lato destro del torso e copre la spaiia sinistra ricadendo suila parte posteriore. Daila frattura sembra che ii braccio sinistro fosse accostato al corpo e con ii gomito piegato, mentre II braccio destro doveva essere sollevato e reggere verosimiimente quaiche elemento oggi perduto, forse un attributo metailico, come è suggerito dalia presenza di un foreilino suiia faccia superiore del seggio, accanto al fianco. Nonostante la frammentarietà e le dimensioni miniaturistiche, la piccola scultura ha carattere monumentaie. La singolarita del pezzo consiste neil'eccezionale grado di stabilità e di coerenza che esso possiede, offrendo un'immagine soiida, rigorosamente articoiata nelia distribuzione delie par-ti. Già ad una prima osservazione e possibile cogliere una profonda sensibihtà stihstica e un'armo-
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Fig. 1. a, b. Statuetta marmorea. (Museo Arch. Reg. Agrigento AG/S 6865).
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Fig. 2. a, b. Statuetta marmorea. (Museo Arch. Reg. Agrigento AG/S 6865).
nia dei volumi, espresse attraverso le linee oblique delle pieghe della veste aderente al corpo, dalla quale emergono le forme sottostanti; la stoffa dell'himation che drappeggia le gambe si addensa sul lato sinistro in un fascio di pieghe sottili verticali con orlo ondulato. Ii modellato vigoroso ed equilibrato del busto rivela una mano sensibile ed esperta; ii rilievo anatomico è reso con eleganza plastica e volumetrica, chiaramente visibile nella vita lievemente assottigliata, e nella schiena, segnata al centro da una lieve depressione. Lo stesso si puO dire per la parte inferiore del corpo: le gambe, infatti, sono modellate al di sotto del panneggio con raffinatezza ed abilità tecnica. La figura non è affatto simmetrica nè statica, tutt'uno con il suo sedile, come appare a prima vista: la gamba sinistra leggermente arretrata rivela un dinamismo interiore. Essa appare realizzata per una visione non soltanto di pieno prospetto, come sembra indicare la modellazione della parte posteriore della figura. Le caratteristiche formali connotano la statuetta come maschile; la maestà della posa e la provenienza da un'area sacra consentono di ipotizzare che rappresenti una divinità. Tuttavia la mancanza della parte superiore, oltre all'assenza di attributi, ci priva di elementi esegetici fondamentali. Pertanto l'analisi tenterà di approfondire attraverso riflessioni e paragoni stilistici i problemi relativi all'iconografia, cronologia e produzione artistica. La statuetta si inserisce nell'ambito delle sculture in marmo di piccole dimensioni provenienti da aree sacre dell'Italia meridionale e della Sicilia, come la statuetta da Garaguso e be peplophoroi da Selinunte, ascrivibili tra la fine del VI e ii V sec. a. C. L'iconografia della figura in trono discende da tipi orientali. I precursori phi arcaici, per la posizione maestosa e la struttura imponente del trono, sembrerebbero ravvisabili nelle statue sedute del 132
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VI sec. a.C. provenienti dalla via sacra di Mileto 4 . Le grandi statue milesie, tuttavia, sono essenzialmente figure statiche, di struttura massiccia e pesante, frutto di una concezione stilistica profondamente diversa da quella dell'esemplare di Agrigento. Lo stile della nostra statuetta e, invece, assimilabile ad alcuni rilievi attici della fine del VI sec. aC. Possiamo richiamare, per la consistenza armonica delle figure ed il rendimento dei panneggi, ii rilievo 702 dell'Acropoli di Atene con suonatore di flauto e fanciulle . E inoltre interessante confrontare la disposizione e ii rendimento dell'l'thnation della figura agrigentina con ii panneggio del kouros 633 dell'Acropoli di Atene 6, databile alla fine del VI sec. a.C. Sebbene il kouros indossi anche ii chitone, possiamo notare significative somiglianze sotto ii profilo tecnico-stilistico nella disposizione dell'l'zimation costituito da pieghe oblique sottolineate da incisioni, sotto le quali traspare la massa muscolare. Ma il raifronto tipologico stilistico phi rispondente con la nostra scultura e costituito da un gruppo di statue provenienti dall'Acropoli di Atene, anch'esse di dimensioni minori del vero, identificate come scribi o tesorieri di Atena, datate tra ii 510 e il 500 a.C. I L'impostazione delle figure ateniesi richiama in maniera straordinaria quella dell'esemplare agrigentino. In particolare sottolineiamo la somiglianza con lo scriba 146 (fig. 3), per la medesima impostazione della figura seduta e soprattutto per la tip ologia dell'himation a pieghe oblique ed aderenti e quella del seggio1 Nonostante tali affinità, il confronto perO, non fornisce utili indizi sull'identità della nostra figura. Le tre statue dell'Acropoli, infatti, sono dotate di un attributo che determina la loro identificazione, ovvero una tavoletta posta sulle ginocchia, interpretata come lo strumento di lavoro dello scriba, assente nell'esemplare agrigentino. Diversamente, la somiglianza iconografica della nostra piccola scultura con la statua del Dioniso seduto 3711 del Museo Nazionale di Atene 9 (fig. 4), datata intorno al 510 a.C., potrebbe orientarci circa la sua identificazione. Anche dal punto di vista tecnico-stilistico il Dioniso di Atene presenta analogie assai significative nella ponderazione e tipologia della veste. La figura indossa lo stesso tipo di himation, molto aderente al busto e alle gambe, senza il chitone. Tale affinità risulta oltremodo significativa se si considera che nelle contemporanee raffigurazioni generalmente Dioniso indossa sempre il chitone sotto l'himation 10. A queste considerazioni si puè aggiungere il confronto con la coeva produzione ceramica in cui si rileva un interessante riscontro non soltanto iconografico ma anche stilistico tra In figura di Dioniso rappresentata nei vasi dei pittori del Gruppo di LeagrosH e la nostra statuetta. Ritroviamo punti di contatto nelle proporzioni e nella resa del panneggio, ma soprattutto nella medesima sensibilità stilistica: si vedano in particolare due anfore da Agrigento in cui Dioniso è avvolto in un panneggio coStituito da larghe pieghe oblique 12 Ma ii confronto phi immediato è con una hyciria con consesso di divinità, anch'essa attribuita al gruppo di LeagroS, ed una oinochoe con Dioniso, Atena ed Hermes, attribuita alla Keyside Class 13 in cui ii dio è rappreSentato assiso su un tipo di sedile di forma cubica, analogo a quello della figura di Agrigento. Alla luce di quanto appena detto, saremo quindi tentati di identificare il personaggio della nostra statuetta con Dioniso. Identificazione resa phi probabile dal luogo di rinvenimento del pezzo, un'area consacrata alle divinità ctonie Demetra e Kore, con le quali, com'è noto, il dio condivide la sfera cultuale 14 Tutto ciO non esclude, s'intende, la possibilità di altre interpretazioni. Indubbiamente, il tipo iconografico di Dioniso nella sua accezione ctonia è assimilabile alla figura di Hades 15, la cui presenza nell'area sacra di Agrigento è ancora phi suggestiva. Com'è noto, Hades è il rapitore e successivamente lo sposo infero di Persefone 16 con la quale condivide la sfera mitico-rituale. La tradizione letteraria relativa al hieros gamos della coppia divina in Sicilia, fa riferimento all'antico mito che assegnava la città di Agrigento o l'intera isola come dono di nozze a Persephone da parte di Zeus 17• Altre testimonianze letterarie' 8 ricordano alcune celebrazioni in onore di Persephone legate al momento immediatamente successivo alla theogamia dei due SOvrani inferi come gli anakalypteria, ovvero la presentazione dei doni nuziali19 133
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Fig. 3. Scriba, Acro. 146 (da H. Payne-C. Mackwort Young).
Fig. 4. Dioniso, Museo Naz. di Atene 3711 (da LIMC II, 2).
L'iconografia del dio infero documentata nella ceramica attica della fine del VI e della prima metà del V sec. a.C. mostra singolari analogie tipologico-stilistiche con la nostra statuetta: sovente ii dio e rappresentato vestito con himation e chitone, ma altrettanto frequenti sono le raffigurazioni della divinità vestita soltanto con himation2° Ii richiamo stilisticamente piü vicino alla nostra scultura rimane quello con i vasi dei pittori del gruppo di Leagros. Volendo perà fissare qualche phi preciso confronto richiamiamo un'anfora con Hades stante con lo scettro 21 (fig. 5) e, inoltre, un'anfora del pittore di Acheloo con Hades seduto su una roccia, rappresentata a guisa di cubo, avvolto nell'himation e con lo scettro in man0 22 (fig. 6). La tipologia di Hades in trono è ampiamente attestata in Occidente dall'inizio del V sec. a.C. E naturale che innanzi tutto si affaccino alla memoria le note raffigurazioni sui pinakes rinvenuti nel santuario di Locri Epizefiri 23 e nella stipe di Francavilla di Sicilia 24 Queste opere attestano la vaSta circolazione dei motivi religiosi nell'ambiente culturale occidentale e testimoniano ii grande sapere artistico acquiSito dagli artigiani locali. Un esempio tipico si ha su uno dei phi completi pinakes locresi dove Hades è seduto in trono accanto alla sposa Persefone 25 (fig. 7). Riteniamo assai significativo ii confronto iconografico con la piccola scultura di Agrigento, simile nell'atteggiamento ieratico del dio in trono, oltre che per la disposizione dell'l'zimation con il quale è veStito. Ciononostante, sotto l'aspetto stilistico, la nostra statuetta denota una rigidita arcaica e un robusto plasticismo che nei rilievi fittili è temperato da un maggiore linearismo decorativo. Tuttavia, poichd la figura di Hades sia dal punto di vista cultuale che da quello iconografico puô essere assimilata ad altri tipi di divinità di carattere ctonio, l'identificazione della nostra statuetta rimane ancora incerta, anche se possiamo comunque ritenere che si tratti di una divinità strettamente legata alle due poSSenti divinità femminili. 134
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Fig. 5. Anfora del Vaticano 372 (da LIMC IV, 2).
Nella letteratura antica, talvolta, Hades è indicato con vane denominazioni eufemistiche che traggono spunto dal ruolo di sovrano degli inferi che egli rivestiva. Tra questi appellativi ricordiamo quello di Zç TcataxovLoc riportato nell'Iliade 26 e quello di Zeiç x*OvLoc in Esiodo, Eschilo e Sofocle27. Naturalmente, tenuto conto di tali denominazioni, ii culto di Hades e stato assimilato a quello di uno Zeus dai caratteri inferi, che la tradizione letteraria ha variamente indicato come Eubouleus, Meilichios, Klymenos o Eukles 28 . Analogamente, la sua iconografia trae ispirazione da quella di Zeus e in assenza di attributi ne rende controversa l'identificazione. A questo proposito ricordiamo
Fig. 6. Anfora di Monaco 1549 (da LIMC IV, 2). 135
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la nota metopa del tempio E di Selinunte e ii problema dell'identità delle figure in essa rappresentate, Zeus ed Hera oppure, secondo un'altra esegesi, la coppia Persefone-Hades 29 . Non intendendo entrare nel merito della queStione, ci preme perO sottolineare ii ripetersi del tipo iconografico della figura maschile vestita di himation e seduta su un trono di roccia ben sagomato nell'ambiente artiStico occidentale. F Cos!, riguardo la noStra scultura, nella mancanza di pifl puntuali termini di comparazione e in considerazione della indiscutibile importanza i del culto ctonio, risulta oltremodo suggestiva la presenza nell'area sacra agrigentina dell'immagine di un perSonaggio divino che condivide la sfera mitico-rituale demetriaca 30• Resta in ultimo da definire ii luogo di fabbrica di queSta creazione artistica. Si sa che ii problema dell'esistenza di una plastica locale in marmo in Occidente e stato a lungo dibattuto dagli studiosi che hanno sostenuto tesi contrapposte 31 Fig. 5. Pinax da Locri (da LIMC II, 2). Ii principale argomento a favore dell'importazione e considerato l'assenza di marmo locale in Sicilia ed Italia meridionale. Tuttavia queSta circostanza non fu certamente un ostacolo allo sviluppo delle officine di scultori che hanno realizzato in Occidente grandiose opere architettoniche lavorando la pietra locale sin dalla fine del VI sec. a.C. Certamente, il marmo a grana cristallina della nostra scultura potrebbe indicare una provenienza dall'Oriente greco ed anche le piccole dimensioni farebbero pensare che possa essere stata trasportata con facilità dalla madrepatria insieme ad altri manufatti. Tuttavia, nonostante la noStra statuetta non trovi diretti riscontri iconografici con la locale produzione coroplastica coeva, dal punto di vista tecnico-stilistico, essa appare in stretta dipendenza dall'artigianato artistico che Si 6 sviluppato in Occidente. L'espressione artistica e formale, l'organicita e la forza plastica della struttura sembrano potersi giudicare propri della corrente del tardo arcaismo. La nostra scultura e il frutto di una convergenza di correnti culturali che risentono di influssi ionici ed attici Sapientemente rielaborati nella compresenza di valori plastici e disegnativi. In Occidente, nel periodo tardo arcaico, l'influsso attico subentrO alle influenze ioniche che a yevano dominato in tutto il VT sec. a.C. Quest'influsso si manifestO Soprattutto nella ricerca del volume, senza perO escludere la delicatezza della superficie. Si tratta indubbiamente di un'opera fortemente pervasa di spirito greco che rivela la presenza operante di artigiani colti, la cui esistenza e ampiamente documentata in Sicilia dalle sculture in pietra che decoravano gli edifici sacri delle principali città. In questo particolare periodo la creatività degli artisti occidentali consentl di elaborare nuove forme iniziando quel processo di allontanamento dai modi arcaici che avrà piena espressione in eta severa e sfocerà in uno stile originale. Pertanto, per la realizzazione della nostra scultura, l'autore è riuscito a concretizzare l'eleganza propriamente ionica in un naturalismo solido ed equilibrato. I caratteri di stile e cronologia che abbiamo osservato, la costruzione della figura, l'interesse per i volumi e la forza plastica, gli elementi fusi senza contrasti, ci inducono a ritenere la piccola scultura il prodotto di un ambiente artistico di alto livello. Ii valore dell'opera non appare certamente sminui -
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to dalla possibilità che essa sia la riproduzione in Scala ridotta di una scultura di ben maggiori dimensioni. Le maestranze che hanno eseguito questa piccola scultura hanno dimostrato di possedere una estrema sensibilità e duttilità artistica come rilevato a proposito delle piccole peplop1'ioroi selinuntine32 Com'è noto, ii settore occidentale della collina dei templi di Agrigento consacrato alle divinità ctonie ha vissuto tra la fine del VI e il V Sec. a.C. 11 suo piü intenSo momento di vita, quando ii cornplesso degli edifici sacri fu inserito in un regolare schema urbanistico a strade ortogonali e l'area assunse un aspetto monumentale Si potrebbe immaginare, dunque, che questo sia ii periodo in cui la piccola scultura fu dedicata nel santuario insieme agli altri anathemata.
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NOTE * Desidero esprimere profonda gratitudine al prof. Ernesto Dc Miro e al Soprintendente BBCCAA di Agrigento, dott.ssa Graziella Fiorentini, per avermi offerto l'opportunità di studiare e pubblicare la statuetta qui presentata. Ii mio ringraziamento va inoltre ai sigg. Pitrone e Nocito, autori delle foto che qui pubblico su concessione della Soprintendenza medesima; ringrazio anche ii personale del Restauro della Soprintendenza e del Museo Archeologico Regionale di Agrigento, per la disponibilità e la cortesia usata nei miei riguardi. Le foto della tav. 2 sono state realizzate da chi Scrive. Numero d'inventario: AG/S 6865. Dimensioni: alt. residua 16 cm; alt. seggio 9,1 cm; larg. seggio 8,1 cm. Materiale e tecnica: marmo bianco cristallino a struttura granulare con tracce di minerali micacei di colore verdastro. Lisciatura accurata; in alcuni punti si intravede ancora ii lavoro di raspa. Stato di conservazione: la figura e priva della parte superiore del busto; mancano i piedi e ii plinto su cui essi poggiavano; presenta piccole abrasioni superficiali; tracce di fuliggine; ossidazione dif fusa per la presenza d'acqua nell'ambito del sedimento; impronte organiche di limivori. 2 Il rinvenimento avvenne durante la campagna di scavo del 1971 condotta dal prof. Ernesto Dc Miro. Lo studioso, riprendendo le prime ricerche effettuate nell'area già da P. GRIFFO, Topografia storica di Agrigento antica. Note ed appunti (Atti dell'Accademia di Scienze, lettere e arti di Agrigento, 1948-52), Agrigento 1953, p. 9 ss., ne ha approfondito l'indagine con Successive campagne di Scavo. Cfr. E. Da Mien, Recenti scavi nell'area del santuario delle divinità ctonie ad Agrigento, in SicArch, 5, 1969, p. 5 SS.; To., Attivitd della Sopritendenza alle Antichità della Sicilia centro-meridionale negli anni 1968-72, in Kokalos, XVIII-XIX, 1972-73, p. 228 SS.; To., Attivitd della Sopritendenza alle Antichitd della Sicilia centro-meridionale negli anni 1972-76, in Kokalos, XXTI-XXIII, 1976-77, II, 1, p. 424 ss. e ancora ID., Nuovi santuari ad Agrigento e Sabucina, in Il tempio greco in Sicilia. Architettura e culti (Atti della I riunione scientifica della Scuola di perfezionamento in Archeologia classica dell'Università di Catania), Catania 1976, pp. 94-100; To. La casa greca in Sicilia, in Miscellanea di studi in onore di E. Manni, II, Roma 1979, p. 709 ss. Tali studi trovano la loro compiuta realizzazione nella recentissima monografia, lo., Agrigento, I Santuari urbani. L'area sacra tra Porta V e ii Tempio di Zeus", Philias charin, Roma 2000, dove la Statuetta e pubblicata dalla sottoScritta nel catalogo dei materiali in forma preliminare, p. 301, no 2141, tav. XLIV. Cfr. la statuetta in trono da GaraguSo in M SESTIERI BERTARELLI, Il tempietto e la stipe votiva di Garaguso, in ASMG II, 1958, pp. 67-78, tav. XX1V. Cfr. i frammenti di figure femminili panneggiate da Selinunte in V. TUSA, La scultura in pietra a Selinunte, Palermo 1983, n. 31, 32, 33, 35, 36, tav. 41-43, p. 186. Cfr. I. BOARDMAN, Greek sculpture. The arcaic period, London 1978, figg. 94-95. Cfr. ibid., fig. 257. Cfr. H. PAYNE-C. MACKWORTH YOUNG, Archaic Marble Sculpture from the Acropolis, London 1936, tav. 102 e p. 176. Cfr. ibid., tav. 118, 1-5, p. 177 e p. 144. Per una breve descrizione del gruppo si veda anche B. S. RIGDWAY, The arcaic style in greek sculpture, 1929, pp. 137-138. Per un'analisi phi approfondita delle sculture ci veda H. ScHRADER, Die archaischen Marmorbildwerke der Akropolis, 1939, pp. 207-212. Sul problema dell'identificazione delle figure si veda anche H. CAHN, Dokimasia, in RA, 1, 1973, pp. 15-16. Lo scriba 146 dell'Acropoli di Atene Si conserva per un'altezza di 29,3 cm; cfr. H. PAYNE-C. MAcKWORTH YOUNG, Archaic Marble Sculpture, cit., tav. 118, 2. Cfr. B. S. RIGDWAY, The arcaic style, cit., figg. 38-39. Anche nella letteratura antica l'abbigliamento di Dioniso e caratterizzato sin dall'etd arcaica dal chitone lungo fino ai piedi, ad es. in Pausania, 5, 19, 6. Cfr. I. D. BEAZLEY, The Development of Attic Black-Figure, Berkeley-Los Angeles 1951, pp. 81, 115. 2 Cfr. CVA I tavv. 11, 12, 13 e 28 (ABV 367, 94); CVA I tavv. 24,25 (ABV 374, 192). Cfr. ma hydria con consesso di divinità, ABV 364, 52; si veda anche una oinochoe con Atena tra Dioniso ed Hermes, ABV 426, 20. Pindaro (Isthm. 7, 3-5) definisce ii dio aXxoxposov atiQsbQOç Acss6teoc. A questo propoSito si veda B. Moenux, De'meter et Dionysos dons la septiéme Istmique de Pindare, in REG 83, 1970, pp. 1-14. Nella letteratura antica la componente ctonia del dio e messa in evidenza dal Suo accoStamento con Hades: cfr. He-
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raid., Diels Vorsokr. 5, 22 B 15; Clem. Alex. Protr. II, 34, 4; Etymol. Magn. p. 406, 46. Sull'argomento cfr. H. METZGER, Dionysos chthonin d'après les monuments figures de le période classique, inBCH LXVIII-LXIX, 1944-45, pp. 296-339. 6 SulI'argomento cfr. G. SF.AiMENI GASPARRO, Misteri e culti mistici di Demetra, Roma 1986, pp. 91-99; C. GIUFFRE SCIBONA, La sposo di Persephone a Locri: tipologia e ideologia della coppia nelle religiosita demetriaca, in QuadMess 2, 1986-87, Messina 1988, pp. 73-90. c Schol. Pind. 01. II, 15. 18 Schol. 01. VI, 160; Plutarco Timol. 8; Diodoro V 2, 3-4. 19 Sull'argornento cfr. S. TOUTAIN, Le rite nuptial del'anakalypterion, 1nREA 42, 1940, pp. 350 ss. 20 Cfr. ABV 328, 7; ABV 384, 25; ABV 267, 19; ARV 583, 1. Cfr. ABV 368, 107. 22 Cfr. ABV 383, 12. 23 Cfr. P. E ARIAS, L'arte locrese nelle sue principali manifestazioni artigianali. Terrecotte, bronzi, vasi, arti minori, in Atti Toronto 1976, pp. 479-549, tavv. LXX, 2; LXXI, 2; LXXII; LXXIV, LXXV, 1-2. 24 Cfr. U. SPIGo, Nuovi contributi allo studio di forme e tipi della coroplastica delle cittC greche della Sicilia ionica e della Calabria meridionale, inAtti Taranto 1986, Taranto 1993, tav. XXVIII, 1. 25 Cfr. P. E ARIAS, L'arte locrese, cit., pp. 527-528, tav. LXXV, 2. 26 Horn. Ii. 1457. 27 Acs. Erga 465; Aesch. Agam. 1386; Soph. Oed. Col. 1606. 28 Si vedano le considerazioni di C. GIUFFRE SCIBONA, La sposo di Persephone, cit., pp. 75-76 e 89-90. 29 Cfr. V. TuSA, La scultura in pietra, cit.,n. 13, p. 120 s.,tavv. 12, 15-16. 30 Per ii culto di uno Zeus chthonio a Locri non lungi dal Persephoneion, cfr. BARRA BAGNASCO, La stipe e le terrecotte di Zeus a Locri Epizefiri, in AA.VV., I Greci in Occidente. Santuari della Magna Grecia in Calabria, Napoli 1996, p. 55 31 Un quadro complessivo dell'atteggiarnento della critica nei confronti della scultura in marmo in occidente, con bibliografia precedente è in S. SETTIS, Idea deil'arte greca d'Occidente tra Otto e Novecento. Germania e Italia, in Atti Taranto 1988, pp. 135-176. Si veda anche ii recente lavoro di R. BELLI PASQUA, La scuitura in marrno, in E. LIPPOLIS (ed.) I Greci in occidente. Arte e Artigianato in Magna Grecia, Napoli 1996. Cfr. V. TUSA, La scultura in pietra, cit. p. 186. Per la bibliografia relativa all'area, si veda supra nota 2.
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MARIA CACCAMO CALTABIANO
MESSANA TYCHE/FORTUNA SULLE MONETE DELLA CITTA DELLO STRETTO
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L'ultimo quarto del V sec. aC. rappresenta per la Sicilia numismatica un periodo di grande fioritura artistica. La qualità stilistica dei coni realizzati dagli incisori siciliani, ritenuti veri e propni capolavoni nelia storia deli'arte antica 1, viene esaltata dalla presenza di numerose firme di maestri, che incidono ii propnio nome sulia moneta. Famosi fra tutti gil artisti siracusani, che si cimentano pnincipalmente nella visione frontale delle teste delle divinità 2, e nelia rappresentazione spaziale della quadriga in corsa, colta nei diversi momenti della gara 3 . La bellezza dei modelli suscita l'emulazione delle zecche isolane, e anche Messana si impegna nel rinnovamento delle tipologie e della qualità antistica dei suoi coni, pur nimanendo sostanzialmente legata ad una visione statica delia biga di mule, che impedisce i'arditezza delle rappresentazioni del veicolo in corsa spenimentate dalle altre città siciliane. MESSANA AURIGA DI UNA PARIGLIA DI MULE
Intorno al 425 a.C. la consueta tipologia della biga di mule di Messana era stata rinnovata sostituendo aii'auriga seduto su un carro da corsa, un auniga eretto a guida di un piccolo carro trionfaie4. Qualche anno piü tardi la trasformazione era divenuta pifl radicale e al guidatore maschiie era subentrata la personificazione stessa delia città, chiaramente identificata come MEANA dal nome che l'accompagna 5 (Tav. I, 1-2a). Sui coni iniziali la divinità cittadina si presenta associata, al rovescio, a un giovane Pan seduto su roccia (Tav. I, 2b), sostituito ben presto dali' immagine tradizionale delia lepre in corsa6. Con Messana alla guida della biga di mule si sperimentano nuove visioni spaziali che facendo ruotare ii carro di tre quarti verso sinistra, rendono visibili entrambi gil animali, e donano - in una visione prospettica - volume aila figura dell'auriga e profondità alla scena; soltanto in un caso l'incisore si cimenta neila rappresentazione del veicolo al galoppo, tipica delle coeve quadrighe che carattenizzano le emissioni isolane 7. L'introduzione di un'auriga femminile a guida del cocchio di Messana non rappresenta in Sicilia un caso isolato. Aitna per prima, neli'isolata emissione realizzata dal dinomenide Hiaron, aveva posto alla guida delia quadriga cittadina la dea Atena in unione sul rovescio con lo Zeus Aitnaios 8. Sulle emissioni che segnano la ripresa verso ii 460 a.C. dell'attività delia zecca di Sehnunte era comparsa Artemide quale heniochos delia quadriga occupata da Apollo, che l'affianca saettando con l'arco9 (Tav. II, 10). Intorno al 450 a.C., la città indigena di Henna aveva fatto condurre dalla dea Demetra la quadriga presente al diritto delle sue piccole litre in argento 10, e, quasi contemporaneamente aila comparsa neila città dello Stretto della personificazione di Messana, si erano mostrate alla guida delia quadriga la dea Atena sui tetradrammi di Camanina 1 ' ( Tav. II, 11), Demetra su quelli di Segesta'2 (Tav. I, 8), e la Nike sui tetradrammi coniati sia a Gela 13 (Tav. II, 13) che ad Acragas 14 (Tav. II, 12). Per ultima, dopo ii 413 a.C., la dea Persephone con la fiaccola in mano companiva quale auriga su un gruppo di tetradrammi siracusani' 5 (Tav. II, 14). Rispetto alla natura palesemente divina delle altre conduttrici, l'oniginalita di Messana sembrerebbe consistere nell'aver affidato ii ruolo di auniga a un'entità meno importante nispetto ad Atena, a Demetra o a Persephone, divinità sicuramente fra le phi nilevanti del pantheon greco. In realtà sotto le vesti di Messana, come sottolineano sia la sua connessione con il dio Pan, presente sul rovescio delie prime monete, che gh importanti attnibuti che le si accompagnano anche in Seguito, sembra 139
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celarsi una personalità divina di primo piano che - in assenza di specifiche testimonianze letterarie - gli elementi iconografici e ii confronto con altre realtà meglio documentate concorrono a ricostruire.
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La PERSONIFICAZIONI DELLE DEE CITTADINE Le personificazioni delle Città, protettrici soprannaturali e loro incarnazioni divinizzate, a livello di tipologia monetale si caratterizzano come un fenomeno tipicamente magno-greco e siciliano 16 . A differenza di quanto si suole ritenere da parte degli studiosi, che - Soprattutto a livello storicoreligioso - hanno preso in considerazione quasi esciusivamente ii notevole incremento e la diffusione territoriale assunti in eta ellenistica dalle personificazioni delle Città sotto forma di Tyche p0leos 17, ii documento monetale dimostra come le prime attestazioni rimontino già alla fine dell'età arcaica. Ii fatto stesso che ii nome delle città coincida con quello delle personificazioni presenti sulle monete, pone ii problema se l'esistenza di un'entità divina, strettamente correlata con la polLs e sua diretta emanazione, fosse già presente nel patrimonio culturale dei colonizzatori greci al momento dell'impositio nominis alle città che andavano fondando. In ogni caso la comparsa sia in Sicilia che nell'Italia Meridionale di personificazioni di divinità cittadine sulle monete, ii documento piü uffidale e di maggiore diffusione ed impatto visivo realizzato dalle poleis greche, ne sottolinea l'alto hvello di funzione rappresentativa, e di conseguenza l'importanza e ii ruolo - al tempo stesso sacrale e politico - che ad esse veniva attribuito già nel V sec. a. C. Le città di Cuma in Campania"', Velia in Lucania 19 e Terina 2° nel Bruttium, intorno al 480 a.C. presentano sulle proprie monete le immagini delle entità soprannaturali da cui hanno preso nome: Kyme 21 (Tav. II, 15), Hyele 22 (lay. II, 16) e Terina 23 (Tav. II, 17), ciascuna delle quali è identificata sulla moneta dal nome che le e stato inciso accanto. In Sicilia e Segesta 24 la prima a rappresentare al diritto dci suoi nomoi (480 a.C. ca.) la testa della progenitrice Aigeste 25 adottando un criterio che si manterrà invariato fin quasi alla fine del V sec. a.C. Qualche decennio piü tardi la città di Himera identifica la sua "ninfa" eponima nella bellissima figura stante con himation dispiegato dietro le spalle 26 (Tav. II, 18); in seguito sostituisce a tale immagine la ninfa nell'atto di sacrificare presso un altare, all'interno di un temenos in cui scorre la fonte alle cui acque si bagna un satiro 27 (Tav. II, 19-20). Ultima a comparire, sulla monetazione della città cui ha dato i natali, è Camarina (415 a.C. ca) 28: trasportata sul dorso di un cigno, con il velo che le si gonfia ad arco sul capo, ella vola verso le acque dell'amato Hipparis per unirsi allo sposo 29 (Tav. II, 21); la sua funzione di "nutrice" del popoio camarinese era già stata esaltata da Pindaro sessant'anni prima in un verso famoso della V Olimpica Nel decennio 430-420 a.C. anche I Cirenei, nel monumentale gruppo scultoreo dedicato a Delfi, avevano posto Kyrene a guida della quadriga del re Batto incoronato da Lybia 31 : nella tradizione locale la "ninfa" era stata regina della Libia e madre di Aristeo che aveva generato da Apollo 32 Ii caso cirenaico Si presenta particolarmente interessante dal momento che la rappresentazione della dea cittadina alla guida della quadriga, appare concettualmente la pifi prossima al tipo monetale di Messana quale auriga della biga di mule. Al tempo stesso, attraverso ii ruolo di Kyrene quale regina del territorio e progenitrice del popolo cireneo, e possibile recuperare - e quindi valorizzare ii ruolo giocato dalla "ninfa" Kyrene in ambito politico in relazione al potere monarchico dci Battiadi. L'esempio concorre a gettare nuova luce sulla funzione legittimatrice che la dea cittadina esercitava in relazione al potere del Cap0 33 , richiamando alla mente l'esempio phi famoso della promozione del culto di Atena da parte di Pisistrato. Espulso da Atene, ii tiranno era ritornato in città accompagnato da araldi che sollecitavano gli Ateniesi ad accoglierlo con onore perché la dea lo aveva onorato sopra tutti gli uomini e gli aveva affidato la sua cittadella La medesima valenza politica legata al culto della dea poliade sembra emergere agli inizi del V sec. a.C. anche dal potenziamento della figura di Kyme ad opera di Aristodemo ii Malaco, che aveva assunto il potere nella città campana verso il 504 a. C. 35 . Kyme è senza dubbio la figura phi emble140
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matica della complessa realtà ideologica correlata con la divinità cittadina in eta arcaica. La sua natura materna, oltre ad essere richiamata dal significato di "Gravida", insito nel suo nome che la designa come "colei che e ripiena del frutto del concepimento" 36, viene esaltata dal simbolo della conchiglia che le si accompagna costantemente al rovescio delle monete di Cuma: un mitilo che nell'antichità era noto con un nome analogo a quello di Kyme, kymion 17. Altro attributo di Kyme, frequentemente presente sulla moneta cumana, è ii seme 38, ii cui simbolismo allude ai ritmi della vegetazione, e sintetizza l'alternanza dei cicli di vita e di morte: della vita che si svolge nel mondo sotterraneo e di quella che si manifesta alla luce del giorno. Ne emerge ii profilo di una divinità della natura feconda, datrice di vita in quanto essa stessa madre, legata col mondo ctonio come ribadiscono sulle monete cumane diversi simboli, da quello del Cerbero a quello del serpente, dell'ippocampo e dell'anatra 39. Essa appare legata da un rapporto "materno" con Parthenope, "colei che ha l'aspetto di fanciulla", il cui nome corrisponde storicamente all'antica denominazione di Neapolis 40, e che richiama il rapporto esistente tra la colonia e la madrepatria Cuma, venendo a ricreare la coppia divina Madre/Figlia facilmente identificabili con Demetra e Kora 41
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ANALOGIE TRA LA DEA CITTADINA E FORTUNA
La comprensione dell'importanza e del ruolo delle dee cittadine nella grecità coloniale d'occidente già in eta arcaica, e agevolata dal confronto con analoghe figure italiche, meglio documentate e studiate, che vanno sotto ii nome di Fortunae, l'equivalente latino - anche se per grandi linee - della figura greca di Tyche. Gli studi di J. Champeaux 42, che hanno preso le mosse dall'esame del culto della Fortuna Praenestina, ci hanno sensibilizzati alla concezione di una divinità legata alle sorti della città, da cui dipendevano a un tempo la nascita e la crescita umana e della natura, il destino personale, la fortuna e la prosperità dell'intera cittadinanza. Ii pifl antico documento archeologico della presenza di Fortuna a Praeneste e fornito dai fregi delle sime fittili del templi presso S. Rocco e S. Lucia databili già alla fine del VI sec. a. C. poco prima della comparsa delle divinità cittadine sui documenti monetali. In esse la dea appare significativamente in qualita di auriga e compagna sul carro del trionfatore, con una funzione legittimatrice del potere del Capo, analoga a quella che abbiamo vista svolta da Atena nei confronti di Pisistrato o, pii tardi, dalla figura di Kyrene in relazione al re Batto. Nella poliedrica natura di Fortuna è possibile riconoscere i tratti della Dea madre di tipo mediterraneo, Signora sovrana della fecondità primordiale e dei segreti del destino, immagine prodigiosa e potente della Terra Madre. Quale divinità che vegliava sulla fertilità agraria e sul ciclo solare, Fortuna poteva vigilare anche sulla crescita e la vita fisiologica dell'uomo, presiedendo in particolare ai passaggi delle classi d'età, che consistevano per i giovani nel superare le tappe della pubertà e diventare adulti, dopo essersi trasformati nel passaggio precedente da pueri in iuvenes Ii simbolismo monetale che si sviluppa a Messana in relazione alla divinità cittadina sembra presentare interessanti parallelismi con le caratteristiche ora ricordate della Fortuna italica. Particolarmente significativo e innanzitutto l'abbinamento della dea Messana con l'immagine del giovane Pan 41. II dio viene qui rappresentato in figura intera e con aspetto giovanile, mentre sulle precedenti emissioni della città era comparsa soltanto la sua testa barbuta, di divinità matura ornata di robuste coma caprine 46 Caratterizzato da sembianze efebiche Pan siede su una roccia: egli afferra con la destra una lepre ritta innanzi a lui sulle zampe posteriori, mentre nella sinistra stringe il lagobolon, il bastone ricurvo impiegato nella caccia all'animale (Tav. I, 2b). Viene qui rappresentato il momento finale della caccia dopo una lunga corsa, che si è conclusa con la cattura dell'animale, 11 dio siede stanco sulla roccia, tenendo ben stretta la lepre che cerca ancora di sfuggirgli piegando il capo all'indietro. La caccia alla lepre era una pratica venatoria riservata ai pifl giovani, che all'aiuto del cane ma soprattutto alla velocità delle loro gambe e alla precisione del lancio del bastone dovevano 11 buon esito del loro impegno 47 . La caccia diventava di conseguenza una specie di prova iniziatica, in cui il 141
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giovane poteva dimostrare la sua intraprendenza, insieme alla resistenza fisica e alla combattività del carattere, idonee a segnare ii suo passaggio di eta. Ii mutamento giovanile dell'iconografia del dio a Messana potrebbe di conseguenza essere stato determinato dal ruolo che Pan veniva ad assumere accanto alla grande dea cittadina, quale modello emblematico e protagonista di un momento di grande portata sociale, quale era quello del passaggio dei giovani alla loro maggiore eta, che comportava l'assunzione di tutti i compiti e delle responsabilità tipiche del cittadini di pieno diritto. Ii dio, d'aitro canto, rivestiva un ruolo importante anche in campo militare: col terrore che ii suo urlo e la sua sola presenza erano in grado di incutere nei nemici, la sua immagine assumeva un valore fortemente simbohco deil'audacia e del coraggio che la città auspicava per i suoi giovani. L'aspetto piLi interessante, e perciO tanto piLi prezioso nella sua funzione di indicatore storico, è che neil'ampia casistica concernente l'iconografia di Pan, i'abbinamento proposto dalle monete di Messana rimane apparentemente isolato. Nella maggior parte dei documenti pervenuti 11 dio si trova, infatti, rappresentato da solo o in contesti di tipo dionisiaco 48 . Pits rare sono le scene che lo ritraggono in unione con una divinità femminile, Afrodite o Persephone, ail'anodos delle quail Pan è chiamato ad essere partecipe spettatore. Riconducibih a pochi esempi sono, invece, i casi in cui il dio viene raffigurato al servizio di una grande dea, Demetra o Kybeie 49 . Neil'Italia meridionaie, agh inizi del IV sec. a. C., la città di Pandosia - su un'emissione di stater in argento e relativa frazione in bronzo - associa ii giovane Pan, rappresentato neile vesti di eroico cacciatore accompagnato da cani e armato di due lance, aila bella testa frontale di Hera 51 (Tav. II, 22). Per quanto l'esempio sia unico i recenti studi condotti sufla figura di Hera e suiie carattenistiche che ii suo cuito viene ad assumere iocaimente, hanno messo in luce come aila dea si accompagnasse spesso un giovane paredro nel ruolo di figlio, di compagno o di giovane servitore s. Non diversamente, dai primi tempi del suo cuito, associato a Fortuna era un giovane dio, figlio, paredro o servitore della sua divinità, venerato spesso come dio fanciuiio (puer), e raffigurato anche Sotto i tratti di un Apollo imberbe dai lunghi capelii 52 . Neli'accoppiare la dea Messana al giovane Pan la città dello Stretto seguiva, dunque, con ogni probabilità un esempio ben consolidato.
LA DEA CITTADINA E PERSEPHONE
La zecca di Messana, dopo aver rappresentato Pan per intero, ne ripropone la sola testa in piccoie immagini abbinate - sul rovescio dei tetradrammi - alla iepre in corsa, mentre al diritto - alla guida del carro mulare - permane la divinità cittadina. Queste teSte, caratterizzate da piccole coma sulla fronte, sono tutte di bellezza apoilinea (Tav. I, 3b-4) e appaiono simili aile teste coeve deiie divinità fluviali sulle monete di Geia o di Camarina L'intenzione evidente dei diversi inciSori sembra quelia di esaltare nefla beliezza e giovinezza del dio Pan ii principio vivificatore e rigeneratore delia natura. Coerentemente con tale concetto di rinascita e di fecondità prevaigono suiie monete in cui la biga mulare e condotta da MEANA le simbologie di tipo agranio associate all'immagine della lepre. La spiga di gran0 54 (Tav. I, 5), la spiga in unione con la colomba in volo 55 (Tav. I, 6), il fascio di tre o quattro spighe 56 (Tav. I, 7) sono immagini che richiamano alla mente gil attributi peculiari di Persephone, di Demetra, o di Afrodite, le dee che detengono I segreti della fertilità agraria e del rinnovamento primaverile della vegetazione. Su uno dei piü famosi pinakes di Locri Persephone siede in trono accanto ad Hades, ii signore degli Infeni, tenendo in mano tre spighe di grano 57 (Tav. I, 9). Nei mito Persephone e stata rapita dal dio dell'Oltretomba che l'ha costretta a vivere sei mesi neli'oscurità, concedendole di trascorrere la rimanente parte dell'anno sulia terra, dove al suo apparire torna a rffiorire la natura. Ella diviene quindi immagine del perpetuo ricominciamento, espressione di una concezione cichca del divenire, che grazie all'idea di una monte e di una rinascita senza fine rappresenta anche per i'uomo un segno di Speranza in una vita nuova. La pertinenza del simbolo delie tre spighe di grano sia alia dea di Messana che a Persephone, ol142
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tre ad innaizare Messana su un piano analogo a quello di Persephone, ci sembra evidenzi come le competenze e le funzioni agrarie siano comuni ad entrambe, con cia richiamando un piLi ampio parallelismo che e stato già evidenziato dagli studiosi anche in altri campi tra Persephone e la Fortuna Praenestina 58 L'appellativo di Primigenia (Primogenita), tipico di Fortuna, equivale nel significato al termine greco Protogonos, epiteto rituale di Persephone/Kore nei Misteri celebrati in onore di Demetra e Kore 59 . L'appellativo esprime l'essenza cosmica della Giovane Figlia Primordiale, quale era appunto intesa Persephone, e ii senso profondo della sua relazione con la Madre Demetra, di cui condivide pienamente la natura divina, in quanto Figlia originaria della Madre originaria.
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MESSANA DEA DEl SOLSTIZI?
Allorché la città di Messana sostituisce sui tetradrammi alla visione della biga ferma di mule quella del veicolo al galoppo, muta nell'area di esergo anche ii simbolo, rappresentato non phi da due delfini aifrontati ma da una spiga 60, quasi a sottolineare un mutamento di situazione rispetto a quella che si era voluta rappresentare in precedenza. Analoga intenzionalità, questa volta in relazione alla scelta dello schema iconico, e evidente - a distanza di un secolo - allorché la città dello Stretto ripropone la testa di Messana sui bronzi emessi nel penultimo decennio del IV sec. a.C., nella prima eta agatoclea 61 . Anche in questo caso la dea Messana viene associata a una biga "ferma" di mule, mentre nel medesimo periodo i tetradrammi di Agatocle fanno rivivere il tema della quadriga "al galoppo" dell'epoca dei maestri firmanti62. L'intenzionalità della scelta iconica di una biga "ferma" potrebbe forse spiegarsi considerando come la divinità cittadina, ad analogia di Fortuna, oltre a presiedere ai vari momenti di passaggio a carattere sociale, come quello dei giovani alle classi superiori di eta o quello degli schiavi allo stato libero, avesse soprattutto un carattere cosmico che la poneva in stretta relazione col solstizio d'estate. Essa avrebbe contribuito a regolare il corso e ii decorso del Sole, aiutando l'astro a superare ii difficile momento in cui sembrava dovesse rimanere fermo nel cielo. Ii culto di Fors Fortuna a Roma, celebrato ii 24 giugno, era quello di una divinità cosmica legata alle acque e che presiedeva al solstizio estivo, o ad entrambi i soistizi, guardiana degli equilibri cosmici e sovrana del ciclo solare nella sua intierezza63. NATURA DELLA DEA CITTADINA
J. ChampeauX 64 ha ritenuto che già nel primo terzo del V sec. a.C. sia a Siracusa che ad Himera Tyche fosse giunta alla sua esistenza religiosa, elemento che - secondo la studiosa - confermerebbe la priorità della Grecia d'Occidente sulla Grecia propria. Phi di recente F. M. Pairault Massa 65 ha evidenziato come proprio nel periodo arcaico, in coincidenza con l'importazione dall'oriente, da Cipro e dall'Egitto, degli oggetti che costituiscono i corredi delle tombe principesche del Lazio e dell'Etruna, si definiscano il concetto e l'ideologia incarnati nella dea Fortuna. La forte persistenza di elementi mediterranei anche in eta greca, rinvigoriti dall'apporto delle grandi dee dell'oriente preellenico, potrebbe avere agevolato l'affermazione delle divinità cittadine in Sicilia e in Italia Meridionale, ancor prima del consolidarsi di quei "culti emporici della costa laziale e dell'Etruria che si niferiscono a divinità spesso assimilate a Fortuna e sono quasi sempre trasposizioni o interpretazioni dell'Afrodite orientale e dei suoi culti" 66 L'ampiezza dell' evidence numismatica, relativa alle personificazioni delle città già nella prima metà del V sec. a.C., pone il problema se tale data sia da innalzare e da riportare forse alle origini stesse delle città, se teniamo conto del genere femminile delle denominazioni delle poleis, e dello stadio avanzato dei caratteri del loro culto all'epoca in cui disponiamo già della documentazione monetale. Di queste figure di dee delle città comunemente chiamate "ninfe" 67, che alcuni frustuli di tradi143
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zione definiscono regine e protettrici delle città che da loro hanno preso nome alcuni storici delle religioni hanno evidenziato la dipendenza dalla figura orientale di Afrodite/Astarte, dea della fertilità che governava i ritmi della natura e proteggeva la fecondità umana, ed era al tempo stesso Signora e patrona del territorio che ella stessa era in grado di difendere Altri ritengono piuttosto che Afrodite sarebbe stata la dea che I Calcidesi avrebbero sovrapposto alla Gran Madre indigena, preesistente all'attività colonizzatrice dei Greci Le due ipotesi probabilmente si integrano a vicenda, lasciando intravedere la possibilità di continui apporti culturali dall'oriente ' e ii costante arricchimento di tradizioni e contenuti che i Greci avevano forse trovato preesistenti al loro arrivo. Di Himera è certo suggestivo notare - a riprova dell'identità della divinità che si cela sotto le veSti della ninfa, nonché dell'antichità del suo culto - come ii nome sembri un appellativo derivato da una delle funzioni tipiche di Afrodite, quella di SuScitare negli esseri viventi l'himeros. Ii desiderio amoroso era considerato causa-prima di ogni processo generativo e vitale e del perpetuo rinnovarsi dell'esistenza, in un divenire ciclico di cui non si conosceva l'inizio e la fine, e al quale presiedeva Tyche/Fortuna con 11 suo instancabile corso. Non a caso, ad Himera, uno dei simboli che si staglia nel campo dei tetradrammi, accanto alla figura sacrificante della dea cittadina, e proprio la ruota immagine simbolica del ciclico divenire (Tav. II, 20). 69•
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Ii mondo su cui regna la dea della città di Messana e dunque quello del cambiamento, simboleggiato dal carro che ella guida, un veicolo mulare identificabile con l'antico carro agricolo, utilizzato nei rituali del matrimonio e della morte, nei riti magici di fertilità e di fecondità , immagine di un viaggio che e beneaugurale per i destini della città e che si identifica con l'eterno fluire della vita stessa. 74
NOTE Cfr. S. GARRAFFO, Il rilievo monetale trail VI e ilfVsecolo a. C., in G. PUGLIESE CARRATELLI (ed.), Sikanie, Milano 1985, pp. 269-275. 2 K.P. ERHART, The Development of the Facing Head Motif on Greek Coins and its Relation to Classical Art, New YorkLondon 1979. Per una valutazione storica delle influenze iconografiche esercitate dai modelli siracusani in ambito orientale vd. M. CACCAMO CALTABIANO, Tipi monetali siracusani in Asia Minore, in G. RIZZA (ed.), Sicilia e Anatolia. Dalla preistoria all'età ellenistica, Catania 1996, pp. 103-114; EAD., Monetazione e circolazione monetaria, in La Magna Grecia e l'Oriente Mediterraneo fino all'età classica, Atti XXXIX Convegno di Studi sulla Magna Grecia 1999, Taranto 2000, pp. 291-328. Cfr. C . C. VERMEULE, Chariot Groups in Fifth-Century Greek Sculpture, inJHS 75-76, 1955-1956, pp. 104-113; M. CACCAMO CALTAB1ANO, I decadrammi di Euainetos e Kimon per una spedizione navale in Oriente, in Studi per L. Breglia, I, suppi. al nr. 4 BNumRoma 1987, pp. 119-137. M. CACCAMO CALTABIANO, La monetazione di Messana. Con le emissioni di Rhegion dell'etd della tirannide, AMuGS XIII, Berlin-New York 1993, pp. 96-100. Ibidem, pp. 101-103, 279-287 n. 508-539. Vd. anche M. CACCAMO CALTABIANO, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae (= LIMC), VI, Zurich-München 1992, s. v. Messana p. 558. 6 Ibidem, pp. 103-106 nfl. 508-509, vd. anche tav. 84 nr.1. II commento alle pp. 103-106. Ibidem, pp. 118-120,123-124, 295-305 tavv. 87-88 nrr. 603-630. 8 C.M. K1?.. Y, Archaic and Classical Greek Coinage (= ACGC), Oxford 1976, p. 212 tav. 49 nr. 837. Vd. C. BOEHRINGER, Hieron's Aitna und dos Hieroneion, in JNG 18, 1968, pp. 67-98. G.E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, (= MGS), Roma 1949, tav. XXXI nrr. 13-14; SNG Copenhagen, The Royal Collection of Coins and Medals. Danish National Museum I: Italy-Sicily (= SNG Copenhagen I), Copenhagen (1942) rist. 1981, rirr. 597-599; SNG New York, The Collection of the American Numismatic Society, Part 4: Sicily 2 (Galaria-Styella)(= SNG ANS 4), New York 1977, nfl. 688-692; SNG Paris, Bibliotheque Nationale Cabinet des Médailles. Collection Jean et Marie Delepierre (= SNGDelepierre), Paris 1983, nfl. 605-609. 10 G.K. JENKINS, The Coinage of Enna, Galaria, Piakos, Imachara, Kephaloidion and Longane, in Le emissioni dei centri siculi fino all'epoca di Timoleonte e i loro rapporti con la snonetazione delle colonie greche di Sicilia (Atti del IV Convegno Napoli 1973), Roma 1975, pp. 77-103 (in partic. pp. 77-83), tav. IV, a-f. U. WESTERMARK-K. JENKINS, The Coinage of Kamarina, London 1980, pp. 43-50, 176-196 nfl. 130-157. 12 p LEDERER, Die Tetradrachmenpragung von Segesta, Munchen 1910, pp. 45-52; G.E. Rizzo, MGS, tav. LXI, nrr. 18-21; L. MILDENBERG, Kimon in the Manner of Segesta, in A. CAHN - G. LE RIDER (edd.), Actes du Ville Congres International de Numismatique, New York-Washington 1973, I, Paris-Bale 1976, pp. 113-121; SNG G.B. III. The Lockett Collection, III, Part 2: Sicily-
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Thrace (= SNG Lockett III, 2) London 1939, nr. 855; SNG G.B. TV Cambridge. Fitzwilliam Museum, Leake and General Collection, 1-V Part 2: Sicily -Thrace (= SNG Fitzwilliam 2), London (1947) rist. 1972, nr. 1148. 13 G. K. JENKINS, The Coinage of Gela, AMuGS II, Berlin 1970, pp. 255-257 ncr. 454-462, pp. 265-266 nr. 483, p. 268 nr. 487. 14 G.E. Rizzo, MGS, tav. III, nrr. 3-5. SNG New York. The Collection of the American Numismatic Society, Part 5: Sicily 3 (Syracuse-Siceliotes) (= SNG ANS 5), New York 1988, nrr. 276-280; G.E. Rizzo, MGS, tav. XLIII, nrr.13-15, 20-21. 16 L'osservazione era già stata formulata da M. Gue.oucci, Epigrafia Greca, II, Roma 1969, pp. 628-630. L. VILLARD, in LIMC VIII, Zurich-Düsseldorf 1997, s. v. Tyche pp. 115-125. Pur rivolgendo maggiore attenzione alla Tyche di eta ellenistica In studioso nota come Tyche condivida diversi attributi con figure divine come Afrodite, Artemide, Demetra o Cibele, ma anche con numerose personificazioni di città che si confondono spesso con la Tyche locale. N.K. ROTTER, Campanian Coinages, 475-380 B.C., Edinburgh 1979, pp. 124-125 ncr. 22-23 (gruppo 3); p. 125 nrr. 25-27 (gruppo 4); p. 126 nrr. 32-43 (gruppo 6). La cronologia proposta dallo studioso e degli anni 470-460/55 aC.; per una data precedente, del 480 aC., dettata da motivi metrologici, iconografici e storici vd. M. CAccAM0 CALTABIANO, Kyme Enkymon: riflessioni storiche sulla tipologia simbologia e cronologia della monetazione cumana, in ArchStMess XXX, 1979, pp. 19-56, in part. p. 48 ss. R.T. WILLIAMS, The Coinage of Velia, London 1992, pp. 20-21. Per un tentativo interpretativo dell'identità della divinità femminile velina vd. P. EBNER, Della Persephone sullo statere velino e del suo incisore, in RivitNum 51, 1949, pp. 3-18. 20 C.M. KRAAY, ACGC, pp. 178-179 tav. 41, ncr. 707-717; SNG Copenhagen I, nr. 1994. 21 A.G. Mcnsy, in LIMC VI, Zurich-Munchen 1992, s.v. Kyme II pp. 162-163. 22 L. RoNcoNI, La ninfa Hyde, in AttiAcPatav 95, 1982/83, pp. 65-72; M. CAccAM0 CTewso, in LIMC V, Zürich-Munchen 1990,s. v. Hyele pp. 553-554. 23 M. CAccAM0 CALTABIANO, in LIMC VII, Zurich-Munchen 1994, s. v. Terina pp. 892-893. Circa la pertinenza delle au, che caratterizzano la personificazione di Terina, a una Tyche vd. L. VILLARD, in LIMC VIII, cit., p. 117; ma si ricordi che esistono anche attestazioni di divinità femminili (quale Atena) con le all (P. DEMARGNE, in LIMC I, Zurich-Munchen 1984, s. v. Athena p. 1019) e viceversa anche quelle di Nikai aptere (A. GOULAKI - VouTins, in LIMC VI, Zurich-Munchen 1992, s. v. Nike, p. 881 ncr. 370-376 e p. 902). 24 G.E. Rizzo, MGS, tav. LXI nr.18; SNG Lockett III, 2, nrr. 851-853; SNG Fitzwilliam II, nrr. 1134-1142; SNG ANS 4, nrr. 615-622; SNG Copenhagen I, nrr. 570-574; SNG Agrigento, Museo Archeologico Regionale (= SNG Agrigento), Roma-Pisa 1999, nfl. 570-571. 25 C. ARNOLD Biuccui, in LIMC I, Zürich-Munchen 1981, s. v. Aigeste pp. 355-357. In particolare, Si è talvolta riconosciuta Demetra o Persephone nell'auriga posta alla guida dei tetradrammi (ibidem, p. 356 ncr. 7-8, vol. I, 2 tav. 273), cfr. L. BEscRI, in LIMC IV, Zurich-Munchen 1988, s. v. Demeter pp. 857 e 889, che ritiene che nell'iconografia della dea sul cacro possa sopravvivere una tradizione arcaica. 26 C. ARNOLD J BIuccHI, La monetazione d'argento di Himera classica. I tetradrammi, in NumAntCl XVII, 1988, pp. 85-100; SNG ANS 5, nrr. 1339-1340; SNG Agrigento, nr. 497. 27 SNG Copenhagen I, nr. 306; SNGANS 4, nrr. 164-167. Vd. anche M. CAcc,uvlo CALTABIANO, in LIMC V, Zurich-Munchen 1990, s. v. Himera pp. 424-425. 20 U. WESTERMARK-K. JENKINS, Kamarina... cit., pp. 66-71, nrc. 78-79, 205 ncr. 158-166 (didrammi), ncr. 167-169 (dracme), nrr. 170-174 (litre). Vd. anche M. CAccArolo CALTABIANO, in LIMC V, Zurich-Munchen 1990,s. v. Kamarina pp. 948-949. 29 M. CACCAMO CALTABLANO, in LIMC, V, Zurich-Munchen 1990, s. v. Hipparis pp. 432-433; EAD., Immagini/parola, gram/narica e sintassi di un lessico iconografico monetale, in La 'parola' delle immagini e delle forme di scrittura, Pelorias n. 1, Messina 1998, pp. 67-69. 30 Pind. Olymp. 5, 4. ' Pans. 10, 15, 6. L'opera viene attribuita dal Periegeta ad Amfione di Cnosso, che avrebbe lavorato ad Atene verso lametà del V sec. a. C. come scolaro di Ptolikos, Parts. 6, 3, 5. M. CACCAMO CALTABIANO, Messana, cit., pp. 102-103. 32 M.A. ZAGDOUN, in LIMC, VI, Zürich-Munchen 1992,s. v. Kyrene pp. 167-170. F. CHAMOUX, Cyrene sous la monarchie des Battiades, Paris 1953, pp. 77-82, 126-127, 171-172, 275-277, 380-385. Lo studioso, tuttavia, non valorizza il niolo di Kyrene nel consolidamento della monarchia dci Battiadi. l Herodt. 1, 60, cfr. Arist. Athen. Polit. 14, 4. La stessa tipologia delleglaukes ateniesi con testa di Atena al diritto e civetta al rovescio, sia nel caso la loro introduzione sia stata opera di Pisistrato che, piL verosimilmente, di Ippia ed Ipparco (sulla cronologia vd. C . M. icns.s y , The Archaic Owls of Athens: Classification and Chronology, in NumChron 6, 16, 1956, pp. 43-68: 525 a.C.; ID., ACGC, pp. 60-61; W. WALLACE, The Early Coinages of Athens and Euboia, in NumChron 7, 6, 1966, pp. 9-13: 510 aC.; E. RAVEN, Problems of the earliest Owls of Athens, in C. KicsM - K. JENKINS (edd.), Essays to St. Robinson, Oxford 1968, pp. 40-58), evidenzia l'importanza attribuita dai regimi tirannici ad una legittimazione del potere assicurata dalla divinità ii cui nome coincideva con quello stesso della città. A proposito delI'ideologia politica dci Pisistratidi vd. anche S. BOARDMAN, Herakles, Peisistratos and Sons, in RA 1972, pp. 60-69. n Tramite il potenziamento del culto della dea (di cui era probabilmente ii sacerdote, come lascerebbe intuire l'appellativo di Malacos, 'molle', 'effeminato', giustificato forse da un travestitismo di natura religiosa) Aristodemo contava forse di rafforzare ii proprio potere politico, M. CACCAMO CALTABIANO, Kyme Enkymon... cit., pp. 46-48; EAD., Aristodemo di Cuma e la religione nel potere dei tiranni, in Religione e città del mondo antico, Atti CERDAC 11, 1980/81, Roma 1984, pp. 271-279. 36 Etym. Magn. 545, 13-16s. v. Ki.ni e Serv. ad Aen. III v. 441 e VI v. 2. Vd. M. CACCAMO CALTABIANO, Kyme Enkymon, cit., 24-26. Nella glossa dedicata a Kyme dall'Etymologicum Magnum, cit., il nome della città italiota e fatto derivare da una pp.
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Kyme basilis, che avrebbe governato su quel luogo (ibidem, pp. 26-29), espressione che crea un interessante legame con Kyme eolica, madrepatria della città campana, che avrebbe preso anch'essa nome da una donna, 1'Amazzone Kyme, vd. EAD., Trinakia Pelorias. Rapporti fra tipi monetali e tradizioni religiose a Messana, in RSN 64, 1985, pp. 22-24; EAD., Considerazioni sullatipologia della monetazione cumana, in Studi su Kyrne eolica, in CronAStorArt 32, 1993 (1998), pp. 49-50. Oribas. Synop. 4, 27: minores cocleae iciest, quas Graeci cyrnia vocant. Vd. M. CACCAMO CALTABIANO, Trinakia Pelorias, cit., pp. 22-24. 38 N.K. RUTTER, Campanian Coinages, cit., pp. 128 or. 65; 133 ncr. 111-113; 134 nr. 133; 135-141 nrr. 145-202. 206 e tavv. 3, 65; 5, 111-113; 14, 133; 7-10, 145-202. 206. Analoga presenza si registra ad Himera sui tetradrammi con divinitk sacrificante, dove il seme 6 posto in alto a sinistra, vd. P.R. FIcA'm.E - M. HIRMER, Die griechische MOnze, Munchen 1964, p. 45 tavv. 21-22 ncr. 68-69. N.K. RUTTER, Campanian Coinages, cit., pp. 130, 76. 80. 83-84 e tav. 4 nrc. 76 (Cerbero), 80 (ippocampo), 81-82 (serpente marino), 83-84 (anatra) etc. A proposito del simbolo di Cerbero in riferimento a una divinità cittadina, intereSSanti le osservazioni di C.M. EDWARDS, Tyche at Corinth, in Hesperia 59, 1990, pp. 529-542 sulle connessioni con l'oltretomba della Tyche di Corinto, in quanto ci sembrano coincidere con le nostre osservazioni sulla natura ctonia di Kyme. Cfr. N. VALENZA MELE, in G. NENCI-G. VALLET (edd.), Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle Isole Tirreniche XII, Pisa-Roma 1993, s. v. Napoli, pp. 165-166; F. RAVIOLA, La tradizione letteraria su Parthenope, in AA. VV., Hesperia I. Studi sulla Grecità d'Occidente, Roma 1990, pp. 19-60. 41 Vd. M. CACCAMO CcrTABIio, in La monetazione di Neapolis nella Campania antica, Atti del VII Cony. del Centro Intern. Studi Num. Napoli 1980 (1986), pp. 85-86. 42 J CHAMPEAUX, Fortuna. Recherches sur le culte de La Fortune a Rome et dons le monde romain. Des origines a La mart de Cdsar, Coil. de 1'Ecole Franc. de Rome, n. 64, I: Fortuna dons La religion archaique, Rome 1982; II, Les transformations de Fortuna sous La République, Rome 1987; EAD., Los fortunes italiques: de l'archaisme a La moderrzité, in La fortune dell'età arcaica nel Lazio ed in Italia e loro posterità, Atti 30 Convegno di Studi archeologici. Palestrina 15/16 ottobre 1994, Palestrina 1997, pp. 15-37. Vedi anche, ibidem, G. SFAMENI GASPARRO, Iside Fortuna: fatalismo e divinità sovrane del destino nel mondo ellenisticoromano, pp. 301-323. G. COLONNA, Culti dimenticati di Praeneste libera, in Le fortune dell'et6 arcaica, cit., pp. 87-103. J. CHAMPEAUX, Fortuna, cit., p. 52. Vd. anche F. RAUSA, in LIMC VIII, Zurich-Düsseldorf 1997, s. v. Fortuna, cit., pp. 125-141. M. CACcAM0 CALTABIANO, Messdna, cit., pp. 81-82, 85, 256, 262-263 ncr. 381. 383. 423-424. Per i significati simbolici delia caccia alla lepre cui si dedicavano gli efebi vd. P. SCHMITT-A. SCHNAPP, in Image et société en Gréce ancienne: les representations de La chasse et du banquet, in RA 1982, pp. 57-74; A. SCHNAFP, Eros en chasse, in La cite des images. Religion et Société en Grèce antique, Lausanne 1984, pp. 67-83. Vedi anche J.K. ANDERSON, Hunting in the Ancient World, Berkeley-Los Angeles 1985, p. 183 (Index s. v. Hare hunting), attento phi agli aspetti tecnici e afl'iconografia della caccia che al suo significato simbolico e 0. LANE Fox, Ancient Hunting: From Homer to Polybios, London-New York 1996. I. Boanre., in LIMC VIII, Zurich-Dusseldorf 1997, s. v. Pan pp. 923-941. 40 Ibidem, p. 933 ncr. 191-196 (Afrodite/Eros) e p. 936 ncr. 242-243 (Persephone/Pandora). Vd. anche A. DELIVORRIAS Et An, in LIMC II, Zürich-Munchen 1984,s. v. Aphrodite pp. 128 nrc. 1343-1353, 129. I. BOARDMAN, Herakles, cit., p. 933 nr. 198 (Demetra) op. 936 nr. 241 (Kybele). 50 SNG New York, The Collection of the American Numismatic Society, Part 3: Bruttium - Sicily 1 (Abacaenunz - Eryx) (= SNG ANS 3), New York 1975, nrc. 600 (statere) - 601 (sesto); R.R. HOLLOWAY, Art and Coinage in Magna Graecia, Bellinzona 1978, pp. 19 nrr. 1-2, 61, 142. Vedi anche J. BOARDMAN, Herakles,. cit., p. 937 ncr. 246-260 (Pan cacciatore) e pp. 938-939 nrc. 269-279 (Pan sulle monete). L'abbinamento della dea Hera con ii giovane Pan potrebbe giustificarsi alla luce di aicune tradizioni che ritenevano che la dea, prima delle nozze con Zeus, si sarebbe unita a un dio adolescente, un giovane amphithales, simbolo della feconditb "zampillante" cfr. P. LEVEQUE, Bilan des travaux. La personnalité d'Héra, in J. DE LA GENIERE (ed.), Hera. Images espaces cuLtes, Actes du Colloque International de Lille 1993, Collection du Centre I. Bérard, 15, Napoli 1997, pp. 267-268. J. CHAMPEAUX, Fortuna I, cit., pp. 113-114. 52 M. CACCAMO CAITxeIAN0, Messana, cit., pp. 295-299 ncr. 603-608, p. 299 ncr. 610-613. A Camarina è rappresantato i'Hipparis vd. U. WESTERSMARK-K. JENKINS, Kamarina, cit., pp. 197-204 nrc. 158-166 (alia tav. 28 una visione d'insieme delie testine siciiiana di Apollo e delle divinità fluviali); a Gela ii flume Gelas S. K. JENKINS, Gela, cit., pp. 254-255 ncr. 454-456, 258 nrc. 463-464 e nr. 465 (testa di tre quarti), 268-269 nr. 489, 271-278 ncr. 497-534. ! M. CACCAMO CALTABIANO, Messana, cit., p. 279 nr. 511. Ibidem, pp. 121-122, 300-303 ncr. 614-617, 620-624. 56 Ibidem, pp. 294-295 nrc. 600-602. Vd. P. ORLANDINI, Le arti figurative, in Megale Hellas, Milano 1983, pp. 462-463 nr. 470; G. GtJNTNER, in LIMC VIII, Zurich-Düsseldorf 1997,s. v. Persephone p. 966 or. 172. Assai peculiare, e apparentemente privo di confronti nel mondo occidentale, e l'attributo delia palma tenuta in mano dall'auriga delia biga ferma di mule (Messana?), abbinata sui bronzi massinesi di eta agatoclea alla testa della diyinità cittadina (M. CACCAMO CALTABIANO, Messana, cit., pp. 146-147, 322-325 ncr. 783-804). In un vecchio articolo H. F. MUSSCHE, Le rameau do palmier et La gerbe d'épis, in AntCl 24, 1955, pp. 431-437 metteva in evidenza la rarità di tale attributo in relazione alle statue di Tyche e ne riconoscava l'origine orientale, sottolineando come la paima nella cuitura delia Mesopotamia, quale simbolo di fectilità e fecondità, avesse giocato il medesimo cuolo del cesto di spighe. La personificazione di Messana, come si evince dai simboli che le si associano, sembrerebbe corrispondere all'urbaniz-
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zazione di una dea della fecondità agraria, succeduta forse nel culto a una divinità preesistente, collegata con la città di Zandc, e della quale si potrebbe trovare una traccia nel ricordo di una sorgente Zancle, cui sarebbe stato correlato ii nome p10 antico dellapolis (Steph. Byz. s.v. Z07K1.p). Un legame con l'elemento acquatico, dunque, fecondatore e purificatore, che è anche noto per Terina, per Camarina e per Himera, in una dimensione non soltanto reale e umana ma anche metafisica e spintuale di rinasdita e nigenerazione. Di un aspetto ctonio, tipico di Persephone e comune anche alla dea Messana, potrebbe essere espressione l'immagine del cavallo marino presente su alcuni coni del medesimo periodo (M. CACCAMO CALTABIANO, Messana, cit., pp. 294 nr. 599, 303 nr. 625, vd. anche 305 nr. 632 (hemidracma): ii cavallo marino è infatti una delle principali component di quel tiaso che nell'immaginario greco rappresentava la nuova realtà, ii nuovo mondo che ii defunto raggiungeva nel suo viaggio verso l'oltretomba. I CHAMPEAUX, Fortuna I, cit., pp. 119-131. 60 Ibidem, pp. 125-126. 61 M. CACCAMO CALTABIANO, Messana, cit., pp. 123-124, 304 nr. 630. 62 Ibideni, pp. 146-147, 322-325 nrr. 783-804. 63 SNG ANS 5, nrr. 632-643; M. IERAIaDI, The tetradrachms of Agathocles of Syracuse: a preliminar study, in AJN 7-8, 1995-1996, pp. 1-73. A distanza di qualche decennio, negli anni del governo di Iceta a Siracusa, anche a Messana la biga - guidata ora da Nike, e non p10 dalla divinitI. cittadina - sara una biga in corsa e non un veicolo stante (M. CACCAMO CALTABIANO, Messana, cit., pp. 150-152, 332-333 ncr. 878-894. 64 J CHAMPEAUX, Fortune I, cit., pp. 211-223. Sulle analogie e le differenze di funzioni di Fortuna a Roma e in Etruria vd. M.J. STRAZZULLA, Fortuna etrusca e Fortuna romana: due cicli decorativi a confronto (Roma, via S. Gregorio a Bolsena), in Ostraca, 11, 2, 1993, pp. 317-349. 65 J CHAMPEAUX, Fortune I, cit., pp. 454-479. 66 F.H. PAIRAULT MASSA, Alla ricerca delle immagini di Fortuna, in Le fortune dell'età arcaica, cit., pp. 105-135. 67 Ibidem, p.,105. Si veda ad esempio l'opera di L. LAcRoIx, Fleuves et Nymphes éponymes sur Las monnaies grecques, in RBNum 99, 1953, p. 53 SS.; ID., Monnaies et colonisation dons l'Occident Grec, Bruxelles 1965, pp. 115-129. A pp. 115-116 10 studioso, con riferimento al documento monetale, nota che divinità fluviali e ninfe delle acque erano considerate potenti divinità. 69 Kyme, l'eponima della città campana, e definitaBasilis da 1'Etymol. Magn. 545, 13s. v. Kyme (cfr., supra, n. 36); analogamente Isidoro di Siviglia 15, 1, 77 fa di Kyrene una regina della Libia cia fondatnice di Cirene. 70 E. MANna, Sicilia pagana, Palermo 1963, p. 105 ss. in campo storico religioso ha difeso l'importanza del sostrato indigeno, mentre A. BRELICH, La religione greca in Sicilia, in Kokalos 10-11, 1964-65, p. 35 ss., senza esciudere che possano esservi elementi locali nella storia dei culti greci in Sicilia, ha ritenuto che i Greci si fossero "sovnapposti" ovunque alla cultura e alla religione locali. 71 Gil apporti culturali orientali, a proposito del culto di Fortuna, sembrano evidenti soprattutto in relazione all'ideologia della regalita. A Pyrgi, porto di Caere, una duplice iscrizione in etrusco e fenicio celebrava agli inizi del V sec. a.C. ii potere regale di Thcfarie Velianas, affermando che quel potere gli era stato conferito da una dea, l'etrusca Uni, identificata con Astarte, con evidente analogia con ii ruolo legittimatore della medesima divinitO aCipro, dove i re di Paphos erano sacerdoti di Astartee venivano sepolti nel suo santuanio, cfr. C. GROTTANELLI, Servio Tullio, Fortuna e l'Oriente, in DArch 5, 1987, pp. 71-110. Con prefcrenziale niferimento a Cipro e al culto di Afrodite lo studioso evidenzia come nel mondo fenicio sia attestato non solo uno stretto legame cultuale Ga il monanca e una dea "ma anche 11 p10 preciso tema della divinità femminile che confenisce al re 11 potere regale, nuova realtà della monanchia tirannica del VI sec. a.C." Per ii mondo etnusco e romano ii Grottanelli (pp. 86-90) identifica in Fortuna colei che confcniscc l'egemonia a protegge lei stessa ii re, perché ne e l'amante. 72 L'ipotcsi è stata da me avanzata in LIMC V, Zurich-Munchen 1990, s. v. Himera pp. 424-425. Per Himenos, attributo di Afrodite insieme ad Heros, vd. A. HERMARY, in LIMC V, cit., s. v. Hiineros pp. 425-426. C. ARNOLD BIUCCHI, La monetazione d'argento di Himera..., cit., p. 98 ncr. 13-14. Per la ruota quale attnibuto di Tyche vd. L. VILLARD, in LIMC VIII, cit., p. 116. Per ii significato simbolico della biga di mule vd. M. CACCAMO CALTABIANO, Ii tipo monetale dell'apene nell'area dello Stretto, inSteMat 12, 1988, pp. 41-60.
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BIAGINA CAMPAGNA
RECENTI RICOGNIZIONI NEL TERRITORIO DI ROD! MILICI Scopo di questo breve contributo e quello di presentare una sintesi dei risultati di una ricognizione archeologica effettuata nel territorio di Rod! Milici, un piccolo comune sito nella zona nordorientale della Sicilia, 55 Km ad Ovest di Messina'. L'indagine sul terreno, avviata e realizzata nel 1995, ha avuto come risultato la redazione di una Carta archeologica 2 del territorio, della quale si riportano, in questa sede, le notizie preliminari. Prima di esporre in dettaglio le caratteristiche dell'indagine e i risultati, mi sembra opportuno spiegare le ragioni che hanno giustificato ii recente interesse per questo sito.
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STORIA DEGLI STUDI E DELLE RICERCHE
Ii territorio di Rod! Milici è stato oggetto di indagini solo a partire dal 1950, anno in cui, in seguito ad alcune ipotesi formulate da Ryolo, allora ispettore onorario della zona e appassionato studioso di fonti antiche, fu ipotizzata l'ubicazione di "Longane" proprio in questa zona 3 . Lo stesso Ryolo e Bernabà Brea esploraron0 4 le campagne circostanti ii paese, alla ricerca di indizi che avvalorassero quanto ipotizzato fino ad allora esciusivamente sulla base di pochi dati forniti dalle fonti letterarie e archeologiche. L'esistenza della città Longane, infatti, menzionata appena dagli storici greci 1 , era stata confermata archeologicamente solo da una moneta e un caduceo (noti già nel secolo scorso) conservati al British Museum'. Altri indizi erano stati inoltre forniti dall'Orsi 7 circa l'esistenza di una necropoli in Contrada Mustaco (Tav. II, n. 1) dove erano state rinvenute casualmente alcune tombe a fossa rivestite di lastre piane e coperte con tegole o grossi ciottoli. I corredi, sebbene ricostruibili solo parzialmente, dimostrarono la coesistenza di ceramica acroma d'uso comune accanto a vasi a v.n. (imitazione attica?). Tra i materiali di corredo era utilizzato anche vasellame bronzeo (lebeti) la cui tipologia richiamava quella di alcune hydriai geloe della metà del VI sec. a.C.8 Partendo dallo studio delle fonti e da queste labili indicazioni archeologiche si avviarono pertanto alcune indagini sistematiche sul terreno che portarono innanzitutto al rinvenimento di tratti di muri ancora affioranti sull'altopiano ai piedi di Monte Pirgo, presso casa D'Alcontres (Tav. II, n. 3). Altre importanti evidenze archeologiche si notarono sulla vetta di Pizzo Cocuzza (Tav. II, n. 2), cinta per tutto ii perimetro da una fortificazione a grossi blocchi non squadrati. In seguito al rinvenimento di tali evidenze archeologiche, nel dicembre del 1951 la Soprintendenza Archeologica di Siracusa iniziO una vera e propria campagna di scavo, diretta da F. Carettoni, sulla sommità di Pizzo Cocuzza e nell'area della casa D'Alcontres. Su Pizzo Cocuzza (m 576 s.1.m.) si portO cos! alla luce l'intero perimetro di un "fortilizio" in opera megalitica che in taluni tratti si conserva per un'altezza di tre filari. La struttura fu datata da BernabO Brea alla fine dell'Età del Bronzo, sia per la presenza di numerosi impasti che per la tipologia, vicina a quella dell'anactoron di Pantalica5. Nell'area di Casa D'Alcontres (Tav. II, n. 3) fu messo in luce un edificio a pianta rettangolare (m 13 x 7), con muri realizzati con piccoli blocchi squadrati privi di malta. AI1'esterno dell'edificio vi era inoltre un muro di sostegno, a grossi blocchi squadrati, che delimitava ii piccolo terrazzamento sul quale sorgeva la struttura. Bernabà Brea datO l'edificio, probabilmente pertinente ad una piccola
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area sacra, all'età arcaica, sia per la cronologia dei pochi materiali rinvenuti che per la tecnica di costruzione Sulla sommità di Pizzo Ciappa (Tav. II, n. 4) vennero scoperti anche importanti resti di una fortificazione ad "aggere", realizzata prevalentemente con blocchi irregolari e con conci squadrati agli spigoli. Ii muro di fortificazione, riportato alla luce per una lunghezza di m 340, delimitava tutti I lati della collina, esciudendone ii lato settentrionale, difeso naturalmente grazie ad un ripido pendio. All'interno della fortificazione, provvista in alcuni punti di "porte torn", si sviluppavano pochi ambienti a pianta rettangolare, immediatamente addossati alle mura. La presenza di almeno due pendii a strapiombo, l'adattamento dei muri all'andamento naturale e alle caratteristiche geomorfologiche del rilievo, la realizzazione della fortificazione con la faccia esterna in grossi blocchi di pietra a volte regolari e l'interno riempito di piccoli ciottoli e terra, sono tutte caratteristiche che si riscontrano in numerose fortificazioni ad aggere di molti altri centri indigeni ellenizzati della Sicilia 1. La cronologia di questa struttura fu stabilita, infatti, grazie al confronto con altre fortificazioni simili della Sicilia 11, intorno alla metà del V sec. a. C. Nei livelli sottostanti l'impianto di questa opera di difesa furono inoltre rinvenuti frammenti di impasti 13 riferibili alla Prima Eta del Bronzo (XVIII-XV sec. aC.) e precisamente alla facies di RodlTindari-.Vallelunga 14• In un'area topograficamente distante dalla precedente, a Nord-Est dell'attuale centro di Roth Milid, sul pendio di Monte Gonia (o colle della Grassorella) (Tav. II, n. 7), furono individuate 11 e scavate alcune tombe del tipo a grotticella artificiale. Nel corso della campagna di scavo si notO innanzitutto la presenza di sepolture appartenenti a due orizzonti culturali cronologicamente differenti. Lungo il pendio sud-est del Monte Gonia, furono portate alla luce tre tombe (nn. 21, 23 e 24) 16, con pianta circolare e soffitto a volta, riferibili alla Prima Eta del Bronzo 17 .Per quanto concerne i materiali, solo la tomba 2118, ha restituito il corredo, tipologicamente affine ai suddetti frammenti rinvenuti su Pizzo Ciappa e dunque appartenenti alla stessa facies di Rod!-Tindari-Vallellunga 19• Lungo i versanti sud-occidentale e sud-orientale di Monte Gonia e in Contrada Paparini (Tav. II, n. 8) (una valletta che limita a Nord-Ovest il Monte Gonia) 2° furono invece rinvenute venticinque Sepolture a pianta rettangolare o trapezoidale con soffitto piano, databili all'Età del Ferro. Nei corredi delle tombe dell'Età del Ferro, rinvenuti intatti nella maggior parte delle sepolture, era presente soprattutto ceramica incisa, simile tipologicamente a quella di alcune necropoli coeve locresi 21 . L'orizzonte culturale, affine a quello di un'altra necropoli a grotticelila scavata da Orsi in contrada Uliveto nella vicina Pozzo di Gotto, sembrava differire dalle altre necropoli siciliane (ad esempio quella di Finocchito) e risentire piuttosto di contatti con l'area ionica della penisola. Nel corso delle campagne di scavo, condotte negli anni '50, brevi sopralluoghi nelle campagne circostanti permisero ii rinvenimento di frammenti relativi al TV-Ill sec. a.C. e di alcune monete di bronzo nell'area immediatamente a Nord di Pizzo Ciappa, nel pianoro tra Monte Lombia e Rocca Bianca (Tav. II, n. 5) 22• In seguito a tall rinvenimenti, sebbene sporadici, fu ipotizzata 23 una frequentazione dell'area a Nord di Pizzo Ciappa, lungo ii IV e III sec. a. C. Negli anni '70, alcune indagini condotte dal Genovese 24 nell'area a Nord di Monte Gonia, precisamente nella contrade Pietre Rosse e Mangiaramigna (Tav. II, n. 14), hanno dimostrato l'esistenza di una frequentazione relativa al III sec. a. C. Di notevole interesse e stata inoltre la scoperta di un'altra importante fortificazione "ad aggere" su Monte S. Onofrio 25 una piccola altura che sorge a ridosso del flume Patri, poche migliaia di metri a Est di Monte Ciappa. Questa vetta era stata probabilmente cinta di mura di difesa, cos! come quella di Monte Ciappa, con lo scopo di creare degli avamposti immediatamente a ridosso della costa e in prossimità di corsi d'acqua per permettere ii controllo e la difesa dei territori circostanti, nel corso del V sec. a.C.
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Nuovi DATI Veniamo adesso alla ricognizione archeologica del 1995. L'indagine ha interessato un territorio di Kmq 23; l'area prescelta costituisce infatti un'unità geografica e morfologica ben precisa (Tav. I), in quanto tra due torrenti, ii Patrl o Termini a Est e ii Mazzarà a Ovest; a Sud ha inizio la catena dei monti Peloritani (comuni di Novara di Sicilia e Eondachelli Fantina), a Nord ii territorio confine con ii comune di Castroreale e dista dal mar Tirreno, in linea d'aria, ca. Km 2. Ii lavoro di ricognizione in superficie che, come è noto, implica una discreta leggibilita del terreno, e risultato infatti molto positivo, in quanto nel territorio di Rod! Milici la maggior parte delle aree "archeologiche" ricade in zone non urbanizzate e pertanto destinate a coltivazione di ulivi, vigne, agrumi e grano; parecchie sono inoltre le aree non coltivate, nelle quali la visibilità è tuttavia sufficiente. Si e proceduto pertanto con ricognizioni sistematiche in un'area di ca. Kmq 23, svolte nell'arco di un anno circa, prediligendo i mesi autunnali da Settembre a Dicembre; in questo periodo infatti il terreno presentava buone condizioni di visibilità sia nel caso di aree coltivate (soprattutto i campi di grano) che di aree incolte. La scelta tattica delle zone da indagare e stata spesso dettata dall'osservazione della fotografia aerea che ha consentito una lettura razionale del territorio, scegliendo oculatamente le aree da privilegiare. Mediante la copertura del terreno a piedi, sono state individuate anomalie, variazioni morfologiche, presenza e concentrazione di evidenze archeologiche, aree di frammenti fittili 26• La raccolta dei materiali e stata effettuata in maniera sistematica e totale nelle aree a bassa densità (1-2 rep./m 2 ). Nelle aree a media intensità (5-6 rep /rn2 ) e ad alta intensità (phi di 6 rep./m2) si è cercato di prelevare tutti i frammenti tipologicamente classificabili nonché almeno un campione per ogni classe di materiali presente. Tutti i dati raccolti, sia quelli provenienti da studi e sporadici rinvenimenti precedenti che quelli relativi alle zone da me indagate, vengono in questa sede presentati in forma preliminare; si è cercato, infatti, procedendo con una prima sintesi storico-topografica, di riportare i dati phi significativi ricavati nel corso delle ricognizioni, omettendo lo studio sisternatico dei reperti rinvenuti in superficie, nonché le considerazioni definitive sulle probabili destinazioni dei siti in questione. Queste notizie prelirninari verranno riportate qui di seguito con una suddivisione cronologica dalla Prima Eta del Bronzo all'Età romana. 1. Eta del Bronzo
Le evidenze relative al popolamento del territorio durante l'Età del Bronzo, come si è detto, erano in parte già state localizzate in due aree topograficamente delimitate e distanti tra loro, la sommità di Pizzo Ciappa e i pendii di Monte Gonia (Tav. II, nn. 4 e 7). Adesso sono state ulteriormente arricchite e meglio definite, grazie all'acquisizione di nuovi dati. Frammenti di impasti della prima Eta del Bronzo, tipologicamente vicini ai materiali presenti nelle tre tombe a grotticella di Monte Gonia, sono stati rinvenuti anche a Sud Ovest dell'attuale centro di Rod!, sulla sommità di Monte Lombia (la y. II, n. 6) (m 423 s.l.m), in un'area di ca. m 50 x 70 (lay. III, fig. 3, a-f). La presenza di impasti databili alla prima Eta del Bronzo anche su Monte Lombia consente cos! di arricchire ii quadro degli stanziamenti in questo territorio, individuando un'altra area di frequentazione, precedentemente attestata, come s'è detto, solo nei livelli sottostanti la fortificazione di Pizzo Ciappa e sul Monte Gonia. Infatti tali frammenti permettono di ipotizzare l'esistenza di un piccolo insediamento (forse un avamposto di quello esistente immediatamente a Sud, su Pizzo Ciappa) su un'altura molto scoscesa, difesa naturalmente, dalla quale si poteva sorvegliare la pianura sottostante e dunque tutto il territorio che si estende fino alla costa tirrenica. Le caratteristiche del ritrovamento, solo materiale fittile di superficie, non permettono osservazioni phi dettagliate; tuttavia la tipologia degli impasti, simile a quella dei frammenti rinvenuti al di 153
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sotto della fortificazione di Pizzo Ciappa, suggerisce la presenza di un piccolo nucleo abitativo, già a partire dal XVIII sec. a.C., in questa fascia di territorio che, dai monti Peloritani, immediatamente a Est del flume Mazzarà, giunge nei pressi della costa. Per quanto concerne invece l'area a Nord-Est dell'attuale centro urbano di Rod!, le ricognizioni archeologiche hanno consentito innanzitutto l'individuazione di altre tombe a pianta circolare, per lo phi già scavate, sia in Contrada Paparini (Tav. II, n. 8) che su Monte Marro (la y. II, n. 15), un'altura che sorge Km 1 a Nord di Monte Gonia. Uno degli obiettivi della ricognizione e stato poi quello della focalizzazione di un probabile abitato relativo alla necropoli di Monte Gonia. Ma l'indagine sul relativo pianoro non ha dato esiti positivi per la totale assenza in superficie di impasti, forse a causa dei notevoli sbancamenti effettuati in quest'area per l'impianto degli uliveti. Contrariamente, sulla sommità di Monte Marro (Tav. II, n. 15), in una piccola area di m 20 x 30 ca., Si SOflO rinvenuti, nel corso delle ricognizioni, tre frammenti di ossidiana e numerosi frammenti d'impasto (Tav. IV, fig. 3, a-f; fig. 3, n-p), purtroppo non sempre tipologicamente classificabili per la totale assenza di orli, ma riferibili in parte alla prima Eta del Bronzo. L'ipotesi della presenza di un piccolo nucleo abitativo sulla sommità di Monte Marro e la totale assenza di indizi riferibili ad un abitato su Monte Gonia non possono certamente far pensare all'esistenza di un'unica area abitativa sul pianoro di Monte Marro, cui sarebbero riferibili anche le tombe rinvenute lungo le pendici di Monte Gonia. E phi probabile invece ipotizzare la presenza di due piccoli nuclei abitativi anche in questa fascia di territorio che si prolunga a Ovest del flume PatrI. Ii rinvenimento di impasti molto simili in due aree distanti e geologicamente differenti, precisamente a Sud-Ovest (Pizzo Ciappa e Monte Lombia) e a Nord-Est (Monte Gonia e Monte Marro) dall'attuale centro di Rodl permette di fare le seguenti ipotesi: - nella prima area, quella di Sud-Ovest, dovevano esistere due piccoli abitati, differenti ma probabilmente affini, sorti nei punti phi elevati, come Pizzo Ciappa e Monte Lombia. Le necropoli relative, non ancora localizzate, non potevano perà essere del tipo a grotticella artificiale a causa della morfologia del terreno, privo di costoni tufacei nei quail scavare le sepolture 27 - nella seconda area, quella di Nord-Est, gli abitati si sviluppavano probabilmente sui pianori delle due colline phi elevate, Monte Gonia e Monte Marro. Le tombe a grotticella artificiale scavate sul versante orientale di Monte Gonia e le altre tombe a pianta circolare di Contrada Paparini e Monte Marro rientrano tutte in un'area geoiogicamente differente, che bene si prestava, per i costoni tufacei presenti lungo I pendii, alla realizzazione di questa tipologia tombale. Alla luce delle considerazioni e delle ipotesi fatte, si puà pertanto parlare con certezza di un popolamento di queste aree già a partire dal XVIII sec. a.C., aggiungendo un altro tassello a quanto si conosceva della costa tirrenica nord-orientaie della Sicilia. Per quanto concerne infine la diffusione della facies di Rod!-Tindari-Vallelunga in Sicilia, mentre un tempo si pensava che fosse ristretta solo alla cuspide nord-orientale della Sicilia 20, con i limiti estremi ad Ovest nel sito di Vallelunga (CL) 21 e a Sud-Ovest nell'abitato di Boccadifalco (PA) 11, le nuove acquisizioni permettono di ampliare notevolmente il panorama. Recentemente essa sembra attestata, infatti, in altri complessi3l distanti dall'area nord-orientale della Sicilia, dove si credeva fino a poco tempo fa che tale orizzonte culturale, nettamente opposto alla cultura di Castelluccio 32, non fosse mai penetrate. 2. Età del Ferro Le evidenze archeologiche relative alla frequentazione del territorio durante l'Età del Ferro, come si è detto, riguardavano precedentemente la necropoli a grotticella artificiale messa in luce lungo I pendii meridionale e occidentale di Monte Gonia e nella valletta di Contrada Paparini (Tav. II, nn. 7 e 8). Dalla ricognizione archeologica emerge innanzitutto che in tutto il costone tufaceo emergente da Monte Gonia flno a Monte Marro, sono ancora parzialmente visibili numerosi tagli artfficiali, non 154
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sempre ben riconoscibili perche alterati sia da cave moderne di pietra che da numerosi scavi clandestini. Altro importante dato è quello della presenza, soprattutto in Contrada Paparini (la y. II, n. 8) di tombe della prima Eta del Bronzo adiacenti a tombe dell'Età del Ferro. Infatti sepolture, di dimensioni maggiori, a pianta quasi circolare e con soffitto a volta, si trovano accanto a piccole sepolture a pianta quadrata e con soffitto piano. Inoltre, già nel corso degli scavi di BernabO Brea era stata notata la presenza regolare di tombe dell'Età del Ferro rispetto a quella sporadica di tombe dell'Età del Bronzo. Ii fenomeno descritto ci sembra degno di nota perché attesta una continuità d'uso di determinate aree in un arco di tempo notevolmente ampio. Particolarmente intereSSante appare inoltre l'individuazione, lungo il pendio meridionale di Monte Gonia, di un anomalo allineamento di blocchi di calcare conchiglifero irregolarmente sbozzati, per una lunghezza, in direzione Nord-Sud di m 190; questo allineamento, che ha una larghezza variabile tra m 0,90 e m 1 e si conserva per un'altezza variabile tra m 0,40 e m 0,90, prosegue nella parte finale in direzione Est per m 11,40, formando un angolo retto (Tav. III, figg. 1-2). Questa importante evidenza archeologica puo probabilmente essere riferita ad una sorta di recinzione dell'intera necropoli dell'Età del Ferro, che si estendeva lungo 11 pendio occidentale di Monte Gonia. Ciô induce a formulare l'ipotesi dell'esistenza di una necropoli bene organizzata, provvista altresI di un grande muro a secco che delimitava parte del pendio sud-ovest di Monte Gonia. Pertanto questi nuovi dati potrebbero suggerire un notevole ampliamento e sviluppo dell'abitato protostorico rispetto a quello preistorico, sebbene non Sia stata ancora individuata l'ubicazione del rispettivi abitati. Nonostante la tipologia dei pochi abitati dell'Età del Ferro noti in Sicilia suggerisca la concentrazione dell'abitato in un poSto elevato e precisamente definito rispetto all'ubicazione della necropoli, in questo caso la sommità di Monte Gonia, in tutta l'area indagata non si sono rinvenuti frammenti d'impasto. La ricognizione neli'area che si estende tra Monte Gonia e la base di Monte Marro non ha dato esiti positivi; la totale assenza di dati non puO escludere perO in maniera assoluta la presenza di un abitato sulla sommità di Monte Gonia, Soprattutto perché l'area, come s'è detto, e interamente adibita ad uliveto ed ha quindi subito notevoli cambiamenti dovuti ai profondi scasSi per l'impianto degli alberi. E ipotizzabile, tuttavia, che, nonostante gil esiti negativi della ricognizione in superficie, solo ii pianoro di Monte Gonia si prestava ad ospitare un abitato correlato alle necropoli delle pendici. Tale ipotesi ovviamente potrà essere confermata solo da uno scavo archeologico. Cosl come si è già visto per 1'Età del Bronzo, l'unica area in cui Si SOflO rinvenuti numerosi frammenti di impasto riferibili all'Età del Ferro, è ii pianoro che si estende sulla sommità di Monte Marro (Tav. II, n. 15), ca. Km 1,5 a Nord dalla necropoli. La posizione dominante e ben difesa del pianoro, immediatamente a ridosso di un corso d'acqua e con la possibilità di controllo in direzione della costa, ben si prestava ad un altro piccolo nucleo abitativo, confinante con quello localizzabile su Monte Gonia. Al momento dunque ii problema dell'identificazione delI'abitato 33 relativo alla vasta necropoli individuata rimane ancora insoluto, cos! come per numerosi altri centri della Sicilia, dci quali si conoscono esciusivamente le necropoli. Inoltre l'individuazione, come già detto, di ulteriori sepolture a grotticella artificiale, lungo le pendici di Monte Gonia, lascia pensare a diversi piccoli nuclei abitativi probabilmente confinanti. 3. Etdgreca
Nel territorio di Rod! Milici le testimonianze di eta greca si concentrano in due aree, topograficamente distanti tra di loro: l'altopiano che da Contrada Pirgo giunge fino alla Rocca Bianca (Tav. II, nfl. 3, 4, 1, 6, 5) e ii pianoro di Monte Marro (Tav. II, n. 15). Le principali evidenze archeologiche, databili dalla metà del VI al V sec. a.C., si trovano nella pri155
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ma zona ovvero in quella a Sud-Ovest dell'attuale centro urbano di Rod!. L'area, gib, interessata da evidenze dell'Età del Bronzo 14, viene frequentata successivamente solo a partire dal VI sec. a. C. Dalle notizie desunte dagli scavi precedenti sembra, infatti, che in tutto questo territorio non sia attestata una continuità d'uso tra I livelli della facies di Rod!-Tindari-Vallelunga e quella del VT-V sec. a.C. Le prime indicazioni di una frequentazione dell'area provengono, come già detto 15, dalla necropoli di Contrada Mustaco (Tav. II, n. 1), ubicata in un piccolo terrazzo posto a valle e a Nord-Est dell'altopiano di Contrada Pirgo, da cui dista in linea d'aria ca. m 500. La recente ricognizione ha restituito solo numerose tegole. Tutte d'impasto grezzo rossiccio con listello a profilo curvilineo, esse non permettono di stabilire in maniera puntuale la cronologia. Tegole dello stesso tipo, infatti, sono state rinvenute in contesti stratigrafici databili sia al V sec. a.C., come ad Rimera 36, sia in livelli archeologici di VI sec. a.C., del territorio geloo. Purtroppo la ricognizione non ha consentito l'esatta localizzazione dell'abitato cui doveva essere connessa la necropoli di Contrada Mustaco. La topografia del territorio e la presenza del già richiamato edfficio realizzato in blocchi squadrati presso Casa d'Alcontres (Tav. IT, n. 3)38 ne suggerirebhero, tuttavia, l'impianto proprio nell'area circostante ad esso. Tale area è delimitata e sovrastata a Nord dal rilievo di Monte Ciappa (Tav. II, n. 4), sulla sommità del quale si trova la fortificazione ad aggere, sopra menzionata 39. Nonostante l'esiguita dei dati, la lettura topografica di quanto ancora oggi è visibile consente, tuttavia, di avanzare alcune ipotesi circa la destinazione di questo piccolo centro, attivo nel corso del V sec. a.C. Mi preme sottolineare, infatti, alcuni criteri che, a mio avviso, sono stati determinanti per la nascita dell'insediamento: la scelta del luogo dettata senza dubblo da criteri difensivi per la distanza dalla costa, la posizione strategica e l'utilizzo di luoghi già in parte naturalmente fortificati. A questi requisiti risponde certamente la topografia dell'altopiano di Pirgo, una grande distesa pianeggiante delimitata a Est e ad Ovest da pareti scoscese che scendono a valle verso i due corsi d'acqua, rispettivamente del PatrI e del Mazzarà. La grande fortificazione ad aggere di Pizzo Ciappa, una sorta di "acropoli" che dominava tutta l'area a Nord, verso la costa tirrenica, consentiva un ulteriore controllo del territorio. E molto probabile che inizialmente l'area abitata corrispondesse solo allo stretto spazio delimitato dal muro di cinta di Pizzo Ciappa, come si evince dal rinvenimento di strutture con frammenti databili al V secolo all'interno della fortificazione. L'estensione limitata della superficie delimitata dalla fortificazione di Pizzo Ciappa potrebbe far ipotizzare che, in un secondo momento, cessate forse le preoccupazioni difensive, l'abitato si estese anche nell'altopiano sottostante dove l'area, molto piLi ampia e meno impervia consentiva un maggiore sviluppo dell'insediamento. L'ipotesi perà, non è confermata dai dati archeologici; l'edificio di Casa D'Alcontres, ubicato in una zona centrale dell'altopiano costituisce, infatti, l'unica testimonianza certa relativa al VT sec. a.C. La ricognizione, svolta in tutta quest'area ha restituito solo pochi indizi, limitati alla presenza sporadica di frammenti di tegole. Per quanto riguarda altre testimonianze di eta greca, nel territorio di Rod! Milici, le recenti ricognizioni hanno fornito nuovi dati. Sul piccolo pianoro, nell'area a Nord di Pizzo Ciappa, sulla sommità di Monte Lombia (Tav. II, n. 6), infatti, oltre ai frammenti di impasto relativi alla prima Eta del Bronz0 411 sono stati rinvenuti frammenti di anfore da trasporto, ceramica acroma e un frammento di un piede di coppa ionica (Tav. III, fig. 3, g e fig. 4) databile alla prima metà del VT sec. a.C. Un'altra area interessata da frequentazione greca e la sommità di Monte Marro (Tav. II, n. 15), a Sud-Est dell'attuale centro urbano di Rod!. Numerosi sono infatti i frammenti di ceramica a v.n. (Tav. IV, fig. 1, g-l). CiO suggerisce l'ipotesi che, nel corso del V sec. a.C., l'area fosse occupata da un piccolo insediamento. L'assenza in superficie di tracce relative ad opere di difesa farebbe pensare ad un piccolo avamposto, difeso naturalmente, sito in posizione molto favorevole per il controllo della 156
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pianura sottostante. La vicinanza, immediatamente ad Est di un corso d'acqua, dell'attuale fiume Patri, ne determinO probabilmente la scelta. Le caratteristiche topografiche e la notevole distanza tra i due insediamenti, quello sull'altopiano di Pirgo e quello di Monte Marro, suggeriscono l'ipotesi di una loro completa autonomia. Ii primo, certamente piü vasto e piü importante rispetto a quello di Monte Marro, godeva di una simile posizione strategica, ma si era sviluppato in un'area topograficamente piü articolata. La presenza di alcune alture che proteggevano 11 territorio, di una necropoli contigua in un piccolo pianoro sottostante e di un'area sacra (?), lasciano, infatti, ipotizzare una scelta e un'organizzazione pifl razionale di tutta l'area. Per quanto riguarda la possibilità che l'insediamento rientrasse nella sfera di influenza di Zankle, la città phi importante della costa nord-orientale dell'isola, i dati archeologici non forniscono alcun dato. I due nuclei, al di là della loro estensione e articolazione, avevano probabilmente la stessa funzione: il controllo della vicina fascia costiera tirrenica, facilmente raggiungibile.
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4. Eta ellenistica Un quadro meno articolato, attestato solo da rinvenimenti sporadici in diversi punti del territorio, è possibile delineare per l'età ellenistica41. Nuove attestazioni relative al IV sec. a.C. si ricavano solo grazie al rinvenimento, nell'area circostante Monte Lombia (Tav. II, n. 6)42, di monete di bronzo; si tratta di esemplari emessi dalle zecche di Tindari, di Abakainon e di Siracusa, rispettivamente nella 2" metà del IV secolo le prime due, nel III secolo la terza. Durante il IV sec. a.C. l'area rientrava probabilmente nella sfera d'influenza di Abakainon, il centro indigeno localizzato nell'attuale comune di Tripi, pochi Km a Sud-Ovest di Rod1 43 . Come ci conferma Diodoro (Diod. XIV, 78, 5), Abakainon fu privata di parte del territorio, quando Dionigi il Vecchio, con un gruppo di esuli Messeni, fondO nel 396 a.C. Tindari. A conferma della fonte letteraria ii nuovo dato numismatico spinge a ritenere che il territorio in questione fosse dominio del due grossi centri, di Abakainon prima e di Tindari dopo. L'ipotesi, già ricordata 44, di un possibile spostamento dell'insediamento di eta classica localizzato sull'altopiano di Pirgo, verso aree phi vicine alla costa, e confermato pienamente dai nuovi dati. L'assenza, su Pizzo Ciappa, di materiali databili dopo il V sec. a.C. dimostrerebbero ii completo abbandono dell'area fortificata ed una frequentazione dell'area immediatamente a Nord. Poche sono le testimonianze di III sec. a.C. Le sporadiche notizie, già riportate 45 , circa la frequentazione in questo periodo di Contrada Pietre Rosse e Mangiaramigna (Tav. II, n. 14) sembrano ora confermate, grazie alla ricognizione archeologica. Numerosi frammenti di tegole, reimpiegati in muretti a secco e frammenti di due grossi pithoi sono stati, infatti, rinvenuti (Tav. IV, figg. 2-4) in Contrada Scorciacapre (località"Vadduni 'o 'fundu") (Tav. II, n. 12), poche centinaia di metri a Est delle contrade Mangiaramigna e Pietre Rosse. La tipologia del materiali rinvenuti suggerisce pertanto l'ipotesi dell'esistenza di piccole fattorie in aree in cui la conformazione topografica, piccole terrazze pianeggianti a ridosso di una stretta vallata, appare ancora oggi particolarmente adatta ad attività agricole. Si trattava con molta probabilità di insediamenti rurali che si andavano sviluppando nelle aree pianeggianti phi vicine alla costa, cos! come accade in molti altri centri della Sicilia e della Magna Grecia 46 nel momento in cui le città greche, alla fine del IV sec. a.C., attraversarono un periodo di decadenza economica. 5. Eta ron'zana La ricognizione archeologica ha consentito di delineare la presenza di insediamenti di eta romana in due aree, rispettivamente in Contrada Scorciacapre (Tav. II, n. 13) e in Contrada Sulleria (Tav. II, n. 18). L'area di frammenti fittili di Contrada Scorciacapre (Tav. II, n. 13), nonostante la modesta con157
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centrazione, testimonia, tuttavia la presenza di un insediamento databile tra I sec. a.C. e jill sec. d.c. I materiali di superficie, soprattutto frammenti di ceramica acroma, anfore da trasporto, ceramica da fuoco e sigillata italica (Tav. V, flgg. 1-3), suggeriscono l'esistenza di un piccolo nucleo rurale. La presenza, in quest'area, di alcuni grossi blocchi squadrati, che delimitano un'area terrazzata, potrebbe rispecchiare una sistemazione precedente. Un'altra area di frammenti fittili, molto pili ampia della precedente, è stata individuata in Contrada Sulleria (Tav. II, n. 18), all'interno di una grande e fertile vallata, ancora oggi intensamente coltivata a grab. I materiali rinvenuti in superficie, numerose tegole a listello alto e stretto, frammenti di ceramica da fuoco, anfore da trasporto e qualche frammento di sigillata (Tav. V, figg. 4-5) ricadono in un arco cronologico che va dal sec. a.C. all sec. d.C. Inoltre l'abbondanza di tegole e coppi di eta imperiale, l'assenza di elementi di lusso (tessere di mosaici, vetri) indica la presenza di edifici rurali che, a mio avviso, non si possono definire "fattorie" per le modeste estensioni rispetto a queue di altre aree della Sicilia. CiO che accomuna questi due siti e dunque ii carattere agricolo suggerito sia dalla topografla dei due stanziamenti che dalla prevalenza di materiali tipici degli insediamenti rurali, quali frammenti di anfore, di ceramica da fuoco e di macinc in pietra lavica. I dati di eta romana forniti dalla ricognizione suggeriscono di formulare l'ipotesi di un collegamento tra l'area di contrada Sulleria e una villa romana, portata alla luce già da molti anni in località S. Biagio 47, pochi Km a Nord. E probabile, pertanto, che tutta la grande vallata di Contrada Sulleria costituisse ii retroterra agricolo della villa, nella quale dovevano esistere diverse unità produttive, anche di minore portata, tra le quali doveva rientrare anche l'area di contrada Scorciacapre (Tav. II, n. 13). In Sicilia questi agglomerati rurali, spesso di notevoli dimensioni 48, si sviluppano in eta tardoantica con carattere sia di latifondo che di retroterra agricolo delle yule a carattere residenziale, dislocate in vane zone della Sicilia Segnaliamo infine gil sporadici rinvenimenti di materiali di eta tardo-romana (soprattutto frammenti di tegole) in una piccola area in prossimità del flume Patri (Tav. II, 11. 20) e su Pizzo cocuzza (Tav. II, 11. 2), probabilmente piccoli nuclei agricoli isolati. Ii quadro da 1101 delineato, sebbene ricco di presenze, e ancora molto frammentario e problematicosia per la casualità dci rinvenimenti che per la frammentarietà dci materiali. E opportuno segnalare, tuttavia, che questi dati, sebbene ancora lacunosi, possono suggerire importanti e mirate strategic di ricerca per la comprensione di numerose problematiche legate alla frequentazione di questa fascia della costa tirrenica, ancora oggi poco nota. Infatti, mentre sono già abbastanza conosciuti gil orizzonti cuiturali preistorici e protostorici riguardanti ii vicino arcipelago eoliano, l'area compresa tra le future città greche di Zankle e Himera presenta ancora molti punti oscuri. Sarebbe molto interessante, ad esempio, capire se l'unica fades dell'Età del Bronzo attestata sia quella già nota di Rodi-Tindari-Vallelunga o se coesistano pifl orizzonti cuiturali. La frequentazione, p01, nel corso dell'Età del Ferro, attestata solo dal rinvenimento delle tombe a grotticella artificiale potrebbe essere ulteriormente chiarita se si localizzasse e si mettesse in luce l'abitato relativo. Ancora i notevoli indizi sulla frequentazione dell'area in eta greca, andrebbero ulteriormente approfonditi, alla luce anche della problematica suli'incontro tra ii centro indigeno e i'elemento greco che, dai centri costieri limitrofi, penetrava verso l'interno. Ulteriori ricerche nel territorio dovranno pertanto essere ormai supportate da sistematici scavi archeologici che potranno confermare e approfondire le ipotesi di lavoro finora formulate. Questa prima sintesi dci dati ricavati dalla ricognizioni archeoiogiche, in vista di una futura pubblicazione della Carta archeologica completa del ten4torio, vorrebbe in ultimo fornire uno strumento di conoscenza a quanti operano per la tutela di questo territorio
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NOTE 1GM 253 III NE-SE (Tav. I). Le ricognizioni dirette sul territorio, precedute da ricerche bibliografiche e completate da schedatura dci reperti, documentazione grafica e fotografica, erano finalizzate alla redazione di una Carta archeologica generale del territorio di Rod! Milici, oggetto della Tesi di Specializzazione in Archeologia classica presso 1'Università di Lecce, discussa da chi scrive, nell'anno accademico 1995/1996. Ryolo Di Maria (D. RYoLo Di MARIA, Il Longano eta sua battaglia, in ASS, S. III, IV, 1950-1951, pp. 347-348; D. RYOLO Di MARIA, Ubicazione della sicula città di Longane, in "Atti VII Congr. Naz. di Storia dell'Architettura, Palermo 1950", Palermo 1956, pp. 255-256; D. Ryolo Di Maria, Longane, in AA.Vv. Longane, Roth Milici 1967, PP. 7-37) partendo dallalettura del testo di Diodoro (XXII, 13,2) era giunto alla conclusione che l'antica Longane doveva sorgere nell'area a Ovest del torrente PatrI o Termini, a Est dell'attuale abitato di Rod! Milici. L. Bam'rteO BREA, Sulla città di Longane, in ASS III, IV, 1950-195 1, pp. 392-393. In Philist. FGrHist 553 F 38 ap. Steph. Byz. s. v. Ao)ly(bvq troviamo "Aoyjcbvij royio TibG EMEXCUg"; la menzione del flume Aoyyávoo, presso ii quale avvenne la battaglia tra lerone lie i Mamertini nel 269 a.C. (Polyb. 1,9,7 e Diod. XXII,13,2 in cui Aoircivog va conetto in Aoyyávoc) ha dato adito a numerose discussioni circa la connessione con la città di Longane. 6 Per quanto riguarda la moneta trattasi di una litra d'argento che reca al dltesta di Eracle giovane con leontè, volto a destra e intorno, delimitata da una fila di perline, la leggenda AOFFANAION (retrograda), sul r/la testa di una divinità fluviale volta a sinistra; la moneta e stata datata al penultimo decennio del V sec. a.C. (R.S. POOLE-P. G.AP,DNER-B.V.HEAD, British Museum Catalogue of Greek Coins, Sicily, London 1876, P. 96, nr. 1; B.V. HEAD, Historia numorum, 1887, p. 132; A. HOLM, Geschichte des sizilisches Munz-wesens (Geschichte Siziliens III), 1898, p. 603, nr. 121; G.F. HILL, Coins of ancient Sicily, Westminster 1903, p. 92; S. MIRONE, Le monete di Longane a Longone, in RIN, XXIX, 1916, pp. 450-460; G.E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma - Libreria dello State, 1946, pp. 64-65, p. 261, p. 267, nr. 23 e tav. LIX, 29; S. CoNsoLo LANGHER, Contributo alla storia dell'antica monetazione bronzea in Sicilia, Milano 1964, pp. 113 ss., p. 134, p. 143; L. BEmcsO BREA, Che cosa conosciamo dei centri indigeni della Sicilia che hanno coniato monete prima dell'età di Timoleonte, in "Le emissioni dei centri siculi fino all'epoca di Timoleonte e i loro rapporti con to monetazione delle colonie greche di Sicilia". Atti IV Cony. Centro Internaz. di Studi Numismatici, Napoli 1973" AIIN XX, 1975, Suppl., PP. 6-9 a tav. XI; G.K. JENKINS, The Coinage of Enna, Galaria, Piakos, Imachara, in Le emissioni dci centri, cit.., pp. 77-78, pp. 99-101; A. CurR0NI TUSA, Recenti studi sulla monetazione della Sicilia antica, inKokalosXXll-XXIII, 1976-1977, PP. 315-316). Ii caduceo di bronzo (lungh. cm 46,5), acquistato dal British Museum nel 1875 e proveniente da un sepolcro della Sicilia (M. FRAENKEL, Berichte, Erwefungen des Britischen Museum im Jahre 1875, Archaol. Ztg. XXXIV, 1876, Pp. 39-40; H. ROEHL, Inscriptiones graecae antiquissimae, praeter Atticas in Attica repertas, Berolini, 1882, P. 150; E.S. ROBERTS, An Introduction to Greek Epigraphy, Cambridge 1887, I, 206; G. KAIBEL, IG XIV, 1890, nr. 594; H.B. WALTERS, Catalogue of the Bronzes Greek, Roman and Etruscan in the Department of Greek and Roman Antiquities. British Museum, London 1899, p. 48, nr. 319) reca sullo stelo l'iscrizione AONEENAIUE EMILIHMO2J01. Ii caduceo, dallo stelo a sezione cilindrica, termina in fondo con un bottone conico; alla sommità due serpenti, con le teste contrapposte e gli occhi e la bocca incisi, i cui corpi si fondono in basso a formare un anello. Secondo Bernabô Brea lo strumento, insegna del keryx di Longane, e databile nei primi decenni del V sec. aC. per il confronto con un caduceo simile degli Imacharesi, conservato nel Museo di Palermo (A. ROMANO, in Giornale di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia, 1835, tomo 53, Pp. 717 ss.; A. ROMANO, in Giornale di Scienze Lettere ad Arti per la Sicilia, 1836, tomo 57, pp. 152 ss.; A. SALINAS, in ASS, S III, 1865, p. 140; G. KAIBEL, IG XIV, 1890, nr. 583) e per ]a forma già nota nelle figurazioni vascolari attiche (L. BERNABO BREA, Sulla cittoi di, cit., p. 390). P. Oirsi, Necropoli sicula a Pozzo di Cotta in quel di Castroreale, in BPI XLI, 1915, pp. 83-84. 8 Il confronto, stabilito dopo da L. BERNABO BREA, Sulla città di, cit., P. 394), riguarda sia una hydria proveniente dalla necropoli di Gela in contrada Spinasanta (P. O pai, Gela. Esplorazione di una necropoli in contrada Spinasanta, in NSA 1932, P. 141) che nfl acquisto del Museo di Gela, proveniente da Cape Soprano. L. BEIOSABO BREA, Sulla città di, cit., pp. 394-397. 10 L. BERNABO BREA, Sulla cittoi di, cit., P. 395. 11 Per una rassegna delle piti importanti fortificazioni ad "aggere" in Sicilia vedi R.M. BONAcASA CARRA, Le fortificazioni ad aggere della Sicilia, in Kokalos XX, 1974, pp. 91 ss. Una fortificazione tipologicamente motto vicina a quella di Pizzo Ciappa è stata scoperta sulla sommità pianeggiante di Monte S. Onofrio, sito pochi km a Est del flume Patrl (G. VOZA, L'attività della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia orientale, in Kokalos XXII-XXIII, 1976-1977, pp. 579-581 e tav. CXVI). Anche qui la fortificazione, adattata all'andamento del terreno, è a doppia cortina con riempimento di piccoli blocchi; al law esterno del muro sono addossate due torri quadrangolari. La tecnica muraria, molto simile a quella della fortificazione di Pizzo Clappa, fa ipotizzare una datazione al V sec. aC. 12 R.M. BONACASA CARRA, La fortificazioni, cit., p. 112. 13 L. BEimxBO BREA, La città di Longane, in A.A. Vv., Longane, Rod! Milici 1967, pp. 41-45. L. BernabO Brea, Che cosa conosciamo, cit. p. 9. 14 I materiali rinvenuti nel corso dello scavo sull'acropoli di monte Ciappa negli anni '50 non sono stati ancora pubblicati, ma notizie preliminari fornite da BERNABO BRNA (L. BERNABO BREA, La citt6 di, cit., pp. 41-49 e L. BEirNABO BREA, CIsc cosa conosciamo, cit. p. 9) attribuiscono i frammenti ad una facies da lui definita di Rodi-Tindari-Vallelunga relativa proprio al Bronzo iniziale (XVIII-XV sec. aC.). IS Nel dicembre del 1951, grazie al rinvenimento fortuito di vasi in quest'area, nel corso di lavori di sistemazione agrico1
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la, fu fatto un sopralluogo che porte alI'identificazione delle tombe (L. BEaaaaO Bs.aA La necropoli di Longane, in BPI LXXVI, 1967, p. 181). 16 BEaaAaO BREA, La necropoli, cit. pp. 239-253. ' A queue pubblicate dal Bernabô Brea, vanno aggiunte anche alcune tombe individuate da Genovese in contrada Scorciacapre (TAV. II, n. 9) (P. GENOVESE, Testimonianze archeologiche e paletnologiche nel bacino del Longano, in SicA X, 33, 1977, p. 27 e tav. 14,1; P. GENOVESE, Testimonianze protostoriche nel territorio dei comuni di Rodi Milici e Terme Vigliatore, in SicA XII, 40, 1979, P. 73). 18 L. BERNABO BREA, La necropoli, cit., p. 243 e fig. 29. 19 L. BernabO brea, La Sicilia preistorica y sus relaciones con Oriente y con la peninsula iberica, in Ampurias XV-XVI, 1953-1954, p. 176; L. BEREaO BREA, Dall'Egeo al Tirreno all'alba dell'etC micenea. Archeologia e leggende, in Magna Grecia e mondo miceneo, in ASMG XXII, Taranto 7-11 ottobre 1982. Taranto 1983, pp. 19 e 29; L. BERNABO BREA, Gli Eoli e l'inizio dell'Etb del Bronzo nelle Isole Eolie e nell'Italia meridionale. Archeologia e leggende. Napoli 1985, pp. 126-127; S. TUSA, La Sicilia nellapreistoria, Palermo 1983, pp. 273-281. 20 L. BEs.i.BO BREA, La necropoli, cit., pp. 180-253. 2! P. ORsI, Le necropoli elleniche calabresi di Torre Galli e di Canale lanchina, Patariti in MonAL XXI, 1926, pp. 211-376, tavv. IX-XIX. 22 D. RYOLO Di MARIA, Longane, in AA.VV., Longane, RodI Milici 1967, p. 34. Tra le monete di bronze, vengono dal Ryolo segnalati solo due esemplari, coniati rispettivamente dalla zecca di Tindari e di Siracusa. La prima, probabilmente emessa tra ii 395 e ii 345 a.C., reca sul d/testa di Elena volta a sx con corona e dietro stella a 8 raggi e cerchio di puntini, in alto la legenda TONAAPI; sul r/uno dei dioscuri a cavallo con elmo, clamide e cerchio di puntini. La seconda sembra appartenere alla zecca di Siracusa e probabilmente ad un tipo del III sec. a. C.; reca sul d/ testa di Atena volta a sx con elmo e dietro ii fulmine, sul r/clamide e cerchio di puntini. 29 D. RYOLO Di MARIA, Longane, cit., p. 9. 24 P. GENOVESE, Testirnonianzeprotostoriche, cit. 1979, pp. 74 e 77, tav. 3. 25 Ii centro archeologico di monte S. Onofrio, in seguito alle segnalazioni di Genovese, 6 stato oggetto di una campagna di scavo da parte della Soprintendenza archeologica di Siracusa (G. VOZA, L'attivitb della Soprintendenza, cit., pp. 579-581 e tav. CXVI), che ha riportato alla luce la fortificazione ad aggere. Anche qui la fortificazione, adattata all'andamento del terreno, è a doppia cortina con riempimento di piccoli blocchi; al lato esterno del muro sono addossate due torri quadrangolari. La tecnica muraria, molto simile a quella della fortificazione di Pizzo Ciappa, fa ipotizzare una datazione al V Sec. aC. In ragione di cia ii Genovese (P. GENOVESE, Testimonianze archeologiche, cit., p. 46), in disaccordo con quanto detto da Ryolo, ipotizzava che in questo territorio potrebbe essere ubicata l'antica Longane. 28 I siti e le aree di frammenti fittili individuati sono stati posizionati momentaneamente sulla carta aerofotogrammetrica (1:10.000) del comune di Rodi Milici (TAV. II), in questa sede riportata in riduzione 1:20000. Si ringrazia il prof. A. Zanghi, studioso di storia medievale di Rod! Milici nonché presidente del locale Archeoclub, per la segnalazione di molti dei siti indagati e studiati da chi scrive. 27 Possiamo ipotizzare l'esistenza di un diverso rito di sepoltura, ad esempio quello ad enchytrismos, solo dal confronto con le sepolture coeve di Naxos (P. PELAGATTI, Naxos - Relazione preliminare delle campagne di scavo 1961-1964, in BA XLIX, 1964, pp. 3-19.; E. PROcELLI, Naxos preellenica. La culture e i inateriali dal neolitico all'etC del ferro nella penisola di Schisà in Cronache di Archeologia 22, 1983, pp. 9-82.). 28 Frammenti inquadrabili in questa facies erano stati rinvenuti fino a qualche anno fa solo in alcune località della proVincia di Messina e precisamente: nella tomba 21 di monte Gonia e nei livelli preistorici sotto la fortificazione di Pizzo Ciappa a Rod! Milici, nella stazione di Tindari (M. CAVALIER, La stazione preistorica di Tindari, in BPI XXI, 1970, p. 75 e fig. 13b) e nelle sepolture ad enchytrismos di Naxos (P. PELAGATTI, Naxos - Relazione, cit., pp. 3-19; E. PROcELLI, Naxos preellenica, cit., p. 9-82). 29 In una tomba a Vallelunga, erano state rinvenute, associate a ceramica castellucciana, delle tazze profonde con altissime anse ad ascia a ad orecchie equine, inizialmente prive di confronto (L. BERNABO BREA, La Sicilia preistorica, cit., p. 176, tav. XI). 30 J Bovio MARCONI, Il villaggio di Boccadifalco e la diffusione del medio-bronzo nella Sicilia nord-occiden tale, in Kokalos X-XI, 1964-1965, pp. 523-524 e tavv. XXXII-XXXVT. ' E. PROCELLI, Naxos preellenica, cit., pp. 72-73 e note 160-171. 32 L. BERNABO BREA, La Sicilia prima dei Greci, Milano 1958, p. 114. L'identificazione della città indigena di Longane (L. BERNABO BREA, La Sicilia, cit., p. 183. D. RYOLO DI MARIA, Longane, cit., pp. 9-11; L. BERNABO BREA, La necropoli, cit., p. 42; L. BErnzABO BREA, Che cosa conosciamo, cit. p. 8), con l'insediamento cui si riferisce la necropoli a grotticelle di monte Gonia, e ancora un problema aperto; infatti le evidenze pifl importanti, relative al VI e V Sec. a. C., Si trovano in un'area molto a Ovest da quella in questione, ragion per cui non è certamente sull'altopiano di Pirgo che va ricercato l'abitato indigeno dell'eta del Ferro, poi ellenizzatosi nel corso del V sec. aC. Vedi supra, pp. 4 e 8-9. Vedi supra, p. 2. 36 As. Vv., Himera II. Campagne di scavo 1966-1973, Roma 1976, pp. 441-444 e fig. 12,3. Per la bibliografia sulla tipologia delle tegole ii alcune aree della Sicilia, vedi A.s.Vv., Himera II, cit., p. 442, nata 141. 38 Vedi supra, p. 3. Vedi supra, p. 4-5. 40 Vedi supra, p. 8.
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' Per i rinvenimenti sporadici di ceramica di IV-III sec. a.C. e di alcune monete bronzee a Rod!, nell'area tra Monte Lombia e Rocca Bianca vedi supra, p. 5. 42 C. ALIBRANDI-A. ZANGHI, Rodi Milici nel 400 anniversario dell'autonomia 1947-1987. Una terra da riscoprire, a cura del1'Amministrazione Comunale di Roth Milici, Rod! Milici, p. 52, figg. 11-12. F. VILLARD, Tripi. Ricerche ad Abacenum, in NSA 1954, pp. 46-50; M. CAVALIER, Abacenuni, Scavi nell'area urbana, in BA 1954, p. 89 e figg. 4-6; L. BerrrroO BREA, Che cosa conoscianw, cit., 1975, 9-11. Vedi supra, p. 5. vedi supra, p. 6. 46 G. VALLET, in AsVv., Storia della Sicilia I, Napoli 1979-1980, pp. 335-338. Per ii popolamento in Sicilia dopo le guerre puniche si veda R.J.A. WILSON, IN Papers in Italian Archaeology IV, 1 B.A.R. S-243, Oxford 1985, pp. 318-319. La villa di S. Biagio (G.V. GENTILI, in FA VIII, 1952 nr. 2524; D. VON BOESELAGER, Antike Mosaiken in Sizilien, Rome 1983, pp. 90-97; R.J.A. WILSON, Sicily under the Roman Empire, Worminster 1990, pp. 199-203), edificata in eta tardo-repubblicana e rimasta in uso almeno fino al VI Sac. d.c., attraversO un momento di massimo splendore tra I sec. aC. e II sec. d.c. 48 G. BEJOR, Gli insediamenti della Sicilia romana: distribuzione, tipologia e sviluppo da un primo inventario dei dati archeologici, in A. GIARDINA, Le Merci, Gli insediamenti (Società romana e impero tardoantico III), Roma e Ban, 1986, pp. 473 ss. Per una descrizione globale di tutte le ville romane in Sicilia vedi R.J.A. WILSON, Sicily under, cit., pp. 189-236. ° Si riportano in questa breve nota solo due importanti aggiornamenti bibliografici, successivi alla consegna del teSto, relativi alla pubblicazione degli scavi di Longane del 1951-52 (L. BERNABO BRNA, Longane, in Quaderni di Archeologia I, 1, 2000, pp. 7-57) a alla prima campagna di scavo svolta dal Dipartimento di Scienze dell'Antichità dell'Università di Messina sulla sommità di Monte gonia di Rodi Milici (A. SIRAcuSjo - B. CAMPAGNA - D. FALcONE, Resti di un complesso rurale ellenistico sul Monte Goniapresso Rodi Milici, in Quaderni di Archeologia I, 2, 2000, pp. 5-40).
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Ubicazione dei siti e delle aree di frammenti fittili (carta aerofotogrammetrica del comune di Rod! Milici. Scala 1:20.000).
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3 1-2. Allineamento di blocchi lungo ii pendio meridionale di Monte Gonia; 3. Frammenti fittili dal pianoro di Monte Lombia; 4. Profilo del frammento di coppa ionica da Monte Lombia (scala 1:4). 164
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1-2. Frammenti fittili da Contrada Scorciacapre; 3. Profili del frammenti da Contrada Scorciacapre (scala 1:4); 4. Frammenti fittili da Contrada Sulleria; 5. Profihi del frammenti da Contrada Sulleria (scala 1:4). 166
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LORENZO CAMPAGNA
UN CAPITELLO IONICO A QUATTRO FACCE NEL MUSBO REGIONALE DI MESSINA
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Net Museo Regionale di Messina Si conserva un capitello ionico in terracotta con le quattro facce uguali e le volute poste secondo le diagonali dell'abaco 1 . Questa conformazione costituisce uno degli elementi che caratterizzano it tipo di capitello ionico piü diffuso in Sicilia in eta ellenistica, it capitello cosiddetto "ionico-siceliota"; rispetto a questo tipo, tuttavia, l'esemplare messinese presenta diversi motivi particolari nella morfologia e nella decorazione, che invitano ad esaminarlo in modo piü approfondito. It capitello (inv. A 229; figg. 1-2, Tavv. I-IT) e realizzato in argilla arancio-rosata dura, fessurata, con frequenti inclusi scuri e grigiastri medi e grandi; la superficie e rivestita da un ingobbio rosato chiaro, liscio e abbastanza spesso. Mancano una voluta per intero e circa metà di una seconda, di un'altra sono abrase entrambe le facce; si conservano soltanto due delle palmette verticali ai lati dell'echino, appartenenti a due facce diverse. Estese lacune si evidenziano net sommoscapo, nell'astragalo, net canale e sugli ovoli dell'echino; l'abaco, motto rovinato, conserva it bordo originate soltanto in un breve tratto, sulla faccia superiore rimangono solo poche parti dell'originario piano d'attesa2. Ii capitello ha un'altezza complessiva di cm 29,5, comprendente anche it sommoscapo della colonna, lavorato insieme (alt. capitello: cm 16,8; alt. sommoscapo: cm 12,7), ed e attraversato al centro per tutta la sua altezza da un ampio cavo circolare, tendente ad allargarsi lievemente verso l'alto (diametro alla base: cm 23,5; diametro superiore: cm 25,5 circa). Ii sommoscapo si articola in una fascia usda inferiore pifl stretta (diam. cm 37,37; alt. cm 5,6) e in un collarino sagomato a cavetto (diam. cm 42,81; alt. cm 4,7), sormontato da un astragalo a perle sferiche e fusarole a disco (alt. cm 2,4). L'echino (alt. cm 7,3) e decorato da un kyina ionico con tre ovoli su ogni faccia, dei quali i due ai lati erano in origine parzialmente coperti dal calice delle palmette. Ii calice e mal conservato su tutte le facce e non è riconoscibile nei particolari: sembra si trattasse di un elemento arcuato stretto ed alto, nascente dall'angolo inferiore tra la voluta e l'ovolo del kyma. Le palmette, verticali (alt. cm 10), si impoStano sul calice all'altezza delta parte superiore degli ovoli e raggiungono it limite inferiore dell'abaco: esse solo costituite da nove digitazioni a spigolo vivo con l'estremità superiore rivolta all'esterno. Le volute (alt. cm 17) presentano tre spire ricadenti sullo stesso piano verticale, con nastro a sezione concava delimitato da un listello a spigolo vivo, che sembra proseguisse anche sopra it canale a costituirne il margine superiore; l'occhio è a bulbo sporgente (diam. cm 4,30; distanza tra i centri delle volute: cm 31). Al raccordo tra le volute contigue Si trova, nella parte superiore, una foglia d'acanto stretta e allungata, con la nervatura centrale ed i lobi laterali delimitati da linee incise; un'altra foglia si trovava nella parte inferiore, nascente dalla base delta voluta, ma è poco conservata in tutti i casi. Ii canale (alt. cm 7,5), su un piano arretrato rispetto all'echino, è a profilo rettilineo e presenta una linea incisa con andamento concavo verso l'alto, terminante prima del punto di raccordo con le volute. L'abaco è basso (alt. cm 1,9; largh. cons. cm 44), con i lati concavi; la conformazione degli angoli non è pifl riconoscibile. Dall'unico breve tratto conservato Si puO restituire un bordo profilato a gola con estremità superiore lievemente sporgente. Non è stato possibile rintracciare alcuna notizia relativamente at luogo e all'epoca del rinvenimento del capitello 3 . La data del suo ingresso nelle collezioni del Museo non è nota, ma è sicuramente precedente at 1929: l'esemplare è infatti registrato nell'inventario redatto in quell'anno, senza indiëazioni sulla provenienza '. Un eventuate rinvenimento netcorso degli interventi di sbancamento che segnarono la ricostruzione di Messina nei decenni successivi at sisma del 1908, sarebbe stato probabilmente segnalato da Paolo Orsi - cui Si devono in quegli anni tutte le notizie sui pochi scavi archeologici e sui pit[ numerosi recuperi fortuiti 5 -, o avrebbe almeno lasciato traccia nella documentazione d'archivio. L'altra possibilità è che it capitello si trovasse già net vecchio Museo Civico 167
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Fig. 1. Messina, Museo Regionale. Capitello ionico a quattro facce (i. A229). Pianta e prospetto.
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Fig. 2. Messina, Museo Regionale. Capitello ionico a quattro facce (inv. A229). Veduta angolare.
cittadino, rimasto in vita fino al terremoto, all'indomani del quale i materiali superstiti furono portati nella sede attuale. In base ai documenti pervenutici, nel Museo Civico risultano diversi capitelli, ma le indicazioni fornite, sempre molto scarne, non consentono di riconoscere chiaramente tra que sti ii nostro esemplare. Di uno di essi, tuttavia, portato al Civico nel 1886, quando fu recuperato insieme ad altri materiali durante lo sbancamento di un'area nella zona sud della città, possediamo una brevissima descrizione: nella relazione sui rinvenimenti nell'area in questione, A. Salinas lo indica come "un gentile capitello ionico a volute angolari, con palmettine rivolte in su" 6, La coincidenza delle caratteristiche morfologiche indurrebbe, almeno a titolo di ipotesi, ad identificare ii nostro capitello in quello menzionato dallo studioso, anche Se, naturalmente, non Si puO escludere che quest'ultimo fosse un esemplare distinto, andato perduto in seguito senza lasciare tracce 7. In ogni caso, la mancanza di dati sicuri sul contesto di rinvenimento non permette di avanzare alcuna ipotesi sulla Struttura architettonica cui l'esemplare apparteneva. E probabile che esso si innestasse su una colonna non a fusto pieno, bensl realizzata con elementi in terracotta, come laterizi ad arco di cerchio o dischi cavi al centro: la presenza del cavo centrale nel capitello e generalmente interpretata, in casi analoghi, come alloggiamento di un'armatura di sostegno e di raccordo con un fusto di questo tipo 8; in Sicilia eSempi di colonne costituite da elementi fittili sono ben attestati in eta ellenistica, nei peristili di abitazioni di Tindari e di Morgantina, o nella stoà di Halaesa 1 . In particolare, e probabile che il collare liscio di diametro inferiore che ii nostro capitello presenta sotto il sommoscapo vero e proprio a cavetto, servisse all'incasso nel fusto sottostante. Non è possibile purtroppo andare oltre questa considerazione piuttosto generica; non abbiamo, cioè, elementi concreti per stabilire se la conformazione a quattro facce fosse dovuta ad una posizione angolare del capitello, o se invece tale conformazione fosse estesa a tutti i capitelli dello stesso ordine, secondo la disposizione attestata per ii tipo ionico-siceliota 10. I capitelli ionico-sicelioti di eta ellenisticahl, pur nella varietà di rendimento dei singoli motivi decorativi, presentano alcuni caratteri distintivi ricorrenti, rispetto ai quali ii capitello del museo di Messina mostra differenze piuttosto significative, che ne fanno quasi un unicum nel panorama delle attestazioni del tipo finora note. L'elemento phi rilevante a questo proposito è costituito da una diversa conformazione delle volu169
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te: nell'esemplare messinese esse sono costruite secondo un tracciato chiaro e relativamente regolare, definito da spire a nastro concavo delimitate da un sottile listello a spigolo vivo, e da un grande occhio a bulbo sporgente, e si svolgono ognuna su un unico piano verticale. Nella maggior parte dei capitelli ionico-sicelioti, invece, le volute hanno una forma ben diversa, con spire a nastro piatto o convesso, ispessito, che aggettano progressivamente ed individuano al centro un occhio cavo ("en come de belier"): ii confronto con attestazioni del tipo da Centuripe, Solunto, Monte lato - per citare solo gli esempi meglio noti -, pone in evidenza immediatamente le differenze 12• Anche nel trattamento di altri elementi della decorazione si rilevano nel nostro esemplare soluzioni poco frequenti. Per alcuni di essi, come per ii kyma ionico dell'echino 13 o per l'insieme di calice e palmette 14, si tratta solo di differenze nel rendimento stilistico. In altri elementi, invece, si evidenzia l'adozione di modanature non comuni: poco attestata è la profilatura a cavetto che caratterizza ii collarino, in luogo della semplice fascia liscia 15. analogamente, la conformazione dell'abaco, basso e sagomato a gola liscia, si differenzia dalle soluzioni adottate nei capitelli ionico-sicelioti 16• Particolare risalto va dato anche ad un altro elemento della decorazione, il coronamento del sommoscapo con l'astragalo a perle e fusarole: molto raro negli esemplari dell'isola, il motivo è invece ricorrente nei capitelli di alcune aree dell'Italia meridionale, soprattutto l'area campana e quella apula, e puO costituire un indizio della presenza nel nostro di tratti stilistici derivati da altre tradizioni 17• Phi in generale, rispetto alla tendenza avvertibile in modo phi o meno accentuato in tutti gli esemplari ionico-sicelioti, a disarticolare gli elementi costituenti del capitello e ad enfatizzare invece i valori decorativi e gli effetti luministici, l'esemplare del Museo di Messina - prescindendo dalle asimmetrie e dalle irregolarita che si rilevano su ogni faccia - risulta piuttosto caratterizzato da una maggiore compattezza della conformazione d'insieme e sobrietà nel trattamento dei singoli elementi. A considerazioni analoghe porta il confronto con i capitelli ionici a quattro facce dell'Italia peninsulare, nella quale sono riconoscibili diverse elaborazioni regionali del tipo con caratteristiche proprie, dall'area campana' 8 a quella centro-italica 19, fino ai non numerosi esempi dell'Italia settentrionale 20 . La possibilità che tali elaborazioni dipendano, almeno in parte, dagli esemplari siciliani costituisce un tema ancora da esplorare; i caratteri morfologici e stilistici adottati, comunque, si differenziano in modo piuttosto evidente rispetto a quelli del capitello messinese. Nel quadro delle formulazioni siceliote ed italiche del capitello ionico a quattro facce, si possono perO segnalare alcuni esemplari nei quali il trattamento del canale e delle volute mostra maggiori affinità con ii nostro, e che, significativamente, provengono da zone abbastanza vicine a Messina. Si tratta di un capitello in pietra da Tindari conservato al Museo di Palermo 21 e di alcuni esemplari frammentari in terracotta rinvenuti a Reggio Calabria, noti oggi soltanto attraverso un disegno di ricostruzione pubblicato da P. Orsi 22 . In entrambi i casi, apparentemente molto simili tra loro, le volute sono costituite da spire a nastro lievemente concavo disposte su uno stesso piano e bordate da un listello piuttosto rilevato; rispetto al capitello messinese, tuttavia, lo schema delle volute è molto semplificato ed inoltre l'occhio non è costituito da un bulbo distinto, ma dalla semplice terminazione delle Spire I caratteri morfologici e stilistici per i quali il nostro esemplare si differenzia dalle soluzioni phi ricorrenti nei tipi ionico-siceliota e ionico-italico, inducono a tentare di riconoscervi la presenza di motivi di origine diversa. A questo proposito, l'accento va posto, a nostro avviso, sia sulla particolare morfologia delle volute, sia anche sulla conformazione d'insieme e sui rapporti proporzionali tra le parti. Relativamente al primo aspetto, ii tracciato della voluta definito da un listello sottile, che ne accompagna le spire a sezione concava fino a contornare per intero il grande occhio sporgente, sembra richiamare da vicino un tipo ben preciso di voluta, quello che caratterizza i capitelli attici a partire dal tardo V sec. a.C., ed in particolare alcune attestazioni di IV e III sec. 24 La conformazione generale del capitello messinese, tuttavia, è ben diversa da quella degli esemplari attici cui si è fatto riferimento. Le sue caratteristiche essenziali sono determinate da due fattori: innanzi tutto da uno sviluppo contenuto in larghezza, per cui la distanza tra i centri delle volute è inferiore al diametro del sommoscapo e le volute sono quindi piuttosto serrate al corpo centrale; in 170
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secondo luogo, dalla posizione relativamente alta delle volute stesse rispetto all'insieme echino/ canale: la linea orizzontale che unisce I centri di queste, passa per la meta superiore dell'echino. Ne risulta una struttura compatta e quasi contratta, che sembra abbastanza isolata rispetto ai tipi di Capitello elaborati tra eta tardo-classica ed ellenistica nelle diverse aree del Mediterraneo. Anche tra I capitelli ionici "peloponnesiaci", nei quali, come è stato ampiamente sottolineato, è phii avvertibile sin dalle prime attestazioni la tendenza ad una struttura contratta 25, non è facile trovare esempi simiii: in questi esempiari, infatti, le volute, sebbene maggiormente serrate al corpo del capitello, sono in genere collocate phi in basso e la linea che unisce I centri passa per la metà inferiore deli'echino 26 Una conformazione di questo tipo, relativamente aila posizione delie volute, e attestata in ambito occidentale, siceliota e magnogreco. Nei capitelli delia Sicilia meridionale analizzati da D. Theodorescu quasi trent'anni or sono 27, sin dagli esempi phi antichi in eta tardo-arcaica e poi ancora nel V e IV sec. a. C., le volute sono collocate piuttosto in alto rispetto al corpo centrale; in particolare, due esempiari del Museo di Palermo, che lo studioso coilocava tra le attestazioni phi tarde del gruppo, nell'ultimo terzo del IV sec. 28, presentano caratteristiche proporzionali abbastanza vicine, sotto questo profilo, a queue del capitello messinese. Una conformazione simile, d'aitra parte, si riconosce in alcuni capiteili ionici di Locri, che G. Gullini ascrive al periodo tra la metà del V e la metà del IV Sec. a. C. 29: anche in questi casi, infatti, le volute sono Situate piuttosto in alto rispetto all'echino. Ii richiamo a questi esemplari permette di inquadrare la conformazione del capitello messinese negli sviiuppi del capitello ionico in Italia meridionale a partire dall'età tardo-classica - sviluppi noti, per altro, ancora in modo piuttosto lacunoso e discontinuo -, ed aiuta forse a comprenderne meglio le caratteristiche. Si puO aggiungere, inoltre, che nei capitelli locresi citati si trovano già le palmette disposte verticalmente ai lad dell'echino, che saranno poi un elemento costante del tipo ionico-siceliota. Non sfuggono, d'altra parte, le differenze piuttosto nette tra questi esemplari ed ii nostro, differenze Sia di carattere strutturale - struttura "normale" a due facce e pulvino in un caso, struttura a quattro facce uguali nell'altro -, sia relative al rendimento stilistico delle singole componenti. A questo proposito, gli esemplari siciliani e locresi Si collocano ancora nel solco di tradizioni del tardo arcaismo e di eta classica, mentre alcune soluzioni adottate nel nostro riflettono tratti stilistici phi aggiornati; abbastanza indicative, sotto questo profilo, sono le dimensioni e la forma del canale. Nei capitelli del museo di Palermo e di Locri, infatti, ii canale è ancora a profilo convesso e molto alto rispetto all'echino 30; ii margine inferiore, nei primi, ha un andamento concavo, sottolineato da un iistello curvo, mentre in quelli di Locri è rettilineo, come nel nostro. Ma soprattutto, rispetto ad entrambi I casi nell'esemplare messinese ii canale e significativamente ridotto in altezza fino a raggiungere quasi le stesse dimensioni dell'echino (alt. canale: cm 7,5; alt. echino: cm 7,3). La riduzione dell'altezza del canale caratterizza, in generale, ii capitello ionico dell'età ellenistica avanzata, almeno dalla fine del III see anche l'andamento rettilineo del margine inferiore, d'altra parte, diventa phi comune a partire dallo stesso period o 32 Rispetto a queSto quadro, tuttavia, in alcune aree del Peloponneso sono attestati già dagli ultimi decenni del IV sec. a.C. esempi nei quali ii canale è interamente rettilineo e ha un'altezza pan, o anche inferiore, a quella dell'echino, come indicano i capitelh di alcuni edifici di Epidauro e di Ohmpia 33 . IE probabile che la presenza di queste caratteristiche nel nostro capitello sia dovuta all'influenza di modelli peloponnesiaci, fenomeno, queSto, tutt'altro che isolato in Italia meridionale; è significativo, peraitro, che proprio nell'ambito della tradizione peloponnesiaca deli'ordine ionico si diffonda ii capitello ionico a quattro facce e volute in diagonale, la cui phi antica attestazione risale, com'è noto, agli esemplari del tempio di Apollo a Bassae. G. Roux ha ampiamente ihlustrato, phi di quarant'anni or sono, la diffusione di questo tipo di capitello nell'architettura del Peloponneso di IV e III sec. a.C., dalla quale deriverebbe, secondo una tesi ampiamente condivisa, la sua introduzione in Italia meridionale e in Sicilia 34. Queste considerazioni permettono, in definitiva, di riconoscere nel nostro esemplare non tanto la dipendenza da un modello ben definito di capitello ionico, quanto piuttosto la compresenza di motivi stilistici di origini differenti. Da un lato, infatti, nella conformazione generale, soprattutto nella 171
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posizione delle volute, si ravvisano caratteristiche simili a queue individuabili nelle elaborazioni di area magnogreca e siceliota a partire da eta tardo-classica; dall'altro, nel rendimento dei singoli elementi, sembrano recepiti tratti appartenenti ad altre tradizioni, di derivazione attica nel trattamento delle volute, peloponnesiaca nella forma del canale, rettilineo inferiormente, e nelle sue contenute dimensioni in rapporto all'echino. In questo quadro si pua forse tentare di spiegare la presenza nel capitello messinese di un elemento abbastanza insolito: la linea incisa con andamento concavo verso l'alto che divide in due parti orizzontali ii canale. Se non si tratta di una semplice decorazione, senza alcun significato particolare, V1 si potrebbe riconoscere un motivo simile a quello presente in alcuni capitelli del relitto tardoellenistico di Mandia: in questi esemplari, la cui fabbricazione in Attica non sembra piü dare adito a dubbi, ii canale e delimitato inferiormente da un listello con andamento concavo phi o meno accentuato, che individua tra ii canale stesso e l'echino una zona non decorata, interpretata come reminiscenza del cuscinetto dei capitelli ionico-attici di eta arcaica e classica 35 . E possibile, in altri termini, che ii solco concavo nel nostro capitello rappresenti, come negli esemplari del relitto, un richiamo a modelli attici, nei quali, scomparso l'antico cuscinetto, si conservava solo una sorta di bipartizione del canale tramite un listello concavo; probabilmente, nel nostro caSo, ii motivo sara stato ripetuto senza un preciso riferimento al suo originario significato La compresenza, dunque, nel nostro capitello, di tratti morfologici e stilistici di origini diverse, definisce un insieme con caratteristiche peculiari, che non trova riscontri realmente significativi tra le attestazioni attualmente note in Sicilia e in Italia meridionale. Un dato di un certo interesse e offerto, invece, dalla presenza di motivi simili in capitelli rinvenuti in centri punici e numidici del Nord-Africa: in particolare, alcuni esemplari a due facce e pulvino, da Thugga e da Cartagine, ed uno a quattro facce da Thuburbo Maius, mostrano affinità con 11 nostro nella posizione alta delle volute in rapporto all'insieme di echino e canale e nel tracciato delle spire Anche in questi casi, appartenenti tutti al periodo anteriore alla caduta di Cartagine o a quello di poco successivo, piuttosto che la dipendenza da singoli modelli sono riconoscibili componenti stilistiche di diversa derivazione, soprattutto attiche e peloponnesiache. Le affinità con ii nostro capitello invitano a considerare, almeno a titolo di ipotesi, la possibilità che queste component siano state mediate nel Nord-Africa dalla Sicilia o dall'Italia meridionale; nella decorazione architettonica dei centri punici e numidici, del resto, gli apporti da queste aree risultano tutt'altro che irrilevanti 38 Per la datazione del nostro esemplare, gli unici elementi di valutazione di cui disponiamo, sono di natura stilistica; i dati di rinvenimento sono, come si è visto, incerti e, comunque, poco significativi. Si possono a questo proposito, seppure con cautela, avanzare alcune considerazioni. Gli esemplari del museo di Palermo e di Locri, cui si e fatto riferimento, rispecchiano una fase di elaborazione del capitello ionico in Sicilia e Magna Grecia tra il tardo V Sec. e l'avanzato IV sec. a.C.; rispetto ad essi, ii capitello messinese mostra alcuni tratti comuni, ma presenta anche, come si è viSto, elementi propri ad elaborazioni successive, come ii canale di altezza pari all'echino, a profilo non phi convesso ma rettilineo, e con il margine inferiore pure rettilineo; a questi si p0550110 aggiungere altri indizi di una datazione phi recente, quali l'assenza del listello inferiore di delimitazione del canale e l'abaco basso e dal profilo semplificato Un altro elemento da valutare ai fini della datazione, potrebbe individuarsi nelle differenze piuttosto consistenti messe in evidenza rispetto al tipo "canonico" di capitello ionico-siceliota. E probabile, come è stato ribadito anche di recente, che la creazione del tipo sia da attribuire alle maestranze attive nella Sicilia orientale sotto lerone 1140; la cronologia delle singole attestazioni, tuttavia, rimane un problema aperto, anche perché della maggior parte di esse non si conosce il contesto di provenienza. Un'eccezione significativa, sotto questo profilo, e rappresentata dai capitelli della casa a peristilio 1 di Monte lato: indagata sistematicamente in tempi recenti da H. P. Isler, la casa è stata datata tra la fine del IV e gli inizi del III Sec. a.C. Come è stato phi volte sottolineato, tale datazione risulta forse troppo alta, almeno per la fase monumentale portata in luce dallo scavo, mentre e phi 172
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verosimile una data non anteriore agli inizi del II Sec. a. C. J capitelli di Monte lato riflettono una fase nella quale ii tipo ionico-siceliota non solo è già definito in tutte le sue caratteristiche morfologiche, ma appare anche sottoposto ad un'esaltazione delle sue possibilità decorative attraverso un processo di arricchimento degli elementi ornamentali. Sulla stessa linea si pongono altri esemplari di Centuripe e Lilibeo, per i quali perô non disponiamo di elementi certi di datazione 42; tuttavia, considerazioni di carattere generale sullo sviluppo monumentale di queSti centri - soprattutto Solunto e Lilibeo - in eta tardo-ellenistica, indurrebbero a riferire anche tali esemplari al periodo tra la fine del III ed il I sec. a. C. Rispetto a queSti esempi, i caratteri stilistici del capitello di Messina sembrano ascrivibili ad un momento precedente, probabilmente nella fase iniziale dell'elaborazione del tipo ionico-siceliota. Alla luce di queste osservazioni si potrebbe proporre una datazione nel corso del III sec. a.C., orientativamente verso la meta. In merito a questa indicazione cronologica occorre, tuttavia, fare alcune considerazioni. La posizione isolata, da un punto di vista formale, del capitello potrebbe essere dovuta, come abbiamo proposto, al fatto che esso appartiene ad una fase iniziale, quasi di sperimentazione, della serie ionicosiceliota. Tuttavia, i caratteri stilistici sostanzialmente eclettici, ibridi, su cui si è posto l'accento nell'esame dell'esemplare, inducono a valutare anche un'altra possibilità: che esso sia ii prodotto di una bottega artigiana che lavora su un repertorio tradizionale, reiterando motivi desunti da ambiti e tempi differenti; potrebbe cioè trattarsi dell'adattamento di un modello di capitello già ben definito, da parte di maestranze che rimangono legate piuttosto ad un repertorio di motivi decorativi di piu antica formazione. Secondo questa eventualità, che al momento non è possibile, a nostro avviso, esciudere, la datazione effettiva dell'esemplare potrebbe essere anche pifl tarda rispetto a quella suggerita dall'analisi stilitica fin qui condotta. Un importante elemento di valutazione sarebbe rappreSentato dal conteSto architettonico cui ii capitello era destinato; l'attività di maestranze di questo tipo si comprenderebbe infatti meglio in relazione ad una committenza privata piuttosto che alle realizzazioni dell'architettura pubblica ed ufficiale. Purtroppo, nel nostro caso, i dati di rinvenimento sono, come già si e detto, estremamente incerti e, comunque, molto generici, al punto che risulta del tutto impossibile identificare la struttura architettonica cui ii capitello apparteneva 44; date le sue dimensioni - di un formato medic, -, pifl che ad un edificio pubblico si potrebbe pensare che appartenesse ad una struttura di carattere privato, ma si tratta naturalmente di un'impressione che non è possibile in alcun modo confermare. Volendo affrontare la questione da un altro punto di vista, quello dell'uso della terracotta in luogo del phi frequente ricorSo alla pietra, i dati certi non sono phi numerosi: l'attività delle botteghe che realizzavano manufatti architettonici in terracotta nella Sicilia ellenistica, ed il loro rapporto con la produzione lapidea, costituisce un campo ancora tutto da esplorare. In base alla documentazione edita sembra si possa riconoscere nell'isola un'area abbastanza circoscritta per la diffusione di questi manufatti, identificabile con la sua parte nord-orientale; un dato, questo, che andrà adeguatamente verificato ed interpretato 45 . Ma relativamente al tipo di committenza per cui tali botteghe lavoravano, gli elementi a nostra disposizione sono del tutto insufficienti. Allo stato attuale, infatti, si puO rilevare che i pochi capitelli fittili - sia di tipo ionico, che corinzio-siceliota - di cui sia nota la provenienza, appartengono a contesti di architettura privata, domestica o funeraria, mentre non esiste alcun esemplare sicuramente riferibile ad un edificio pubblico; si potrebbe aggiungere che anche per gli esemplari di provenienza sconosciuta, le dimensioni medio-piccole lasciano ipotizzare nella maggioranza dei casi un'appartenenza ad edifici di carattere privato. Si tratta, comunque, di un numero piuttosto esiguo di attestazioni, per cui risulta problematico comprendere se tali prodotti fittili fossero destinati effettivamente solo ad alcune tipologie edilizie Lo stato attuale della documentazione, dunque, non permette di dare una risposta ai problemi che abbiamo sollevato. Queste considerazioni, tuttavia, servono a dare la misura delle difficoltà di inquadramento stilistico e cronologico che si presentano nell'esame di esemplari isolati; e fanno luce, d'altra parte, sulle gravi lacune che rimangono da colmare nelle nostre conoscenze sulla decorazione architettonica di eta ellenistica in Sicilia. 41
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NOTE Ringrazio la Direzione del Museo Regionale di Messina e la dott.ssa M.A. Mastelloni, dirigente tecnico per la sezione archeologica del Museo, per avere autorizzato la pubblicazione del capitello ed averne agevolato in ogni modo lo studio. Sono inoltre grato alla prof.ssa M.P. Rossignani per avere accettato di leggere questo testo e per i suggerimenti che ha voluto darmi. I rilievi sono di R. Burgio, le fotografie dell'autore. Benché noto da tempo, l'esemplare è rimasto sostanzialmente inedito. Brevi menzioni si trovano in G. CULTRERA, Siracusa. Scoperte nel Giardino Spagna, inNotSc 1943, IV, fasc. 1, p. 121; A. VILLA, Icapitelli di Solunro (SIKELIKA, 3), Roma 1988, p. 32; H. LAUTER, L'architettura dell'ellenismo, trad. it. Milano 1999, p. 55, tav. 32a. Una scheda molto sintetica è inoltre in G. CoNsoLI, Messina. Museo Regionale (Musei d'Italia Meraviglie d7talia, 15), Bologna 1980, p. 62, n. 162 (fig. a p. 61). 2 Sul capitello e stato effettuato in epoca imprecisata un intervento di restauro con integrazione di parte delle lacune in cemento rivestito con malta - come si vede in una fotografia conServata nell'archivio dell'Istituto Archeologico Germanico di Roma (neg. n. 1932.1054) ed in una dell'archivio del Museo Regionale di Messina (neg. n. 2821), eseguita nel 1958 ed è verosimile che nello stesso momento Siano state apposte sulle pareti del cavo centrale del pezzo quattro grappe e due tiranti incrociati in ferro, tuttora esistenti. Le integrazioni sono state invece aSportate con un nuovo intervento cui è stato recentemente sottopoSto jl pezzo (1996), curato dai restauratori prof. Ernesto e Carmelo Geraci, che ringrazio per le informazioni che hanno voluto fornirmi. G. CULTRERA (Siracusa. Scoperte net Giardino Spagna, cit., p. 121) cita ii capitello come proveniente da Tindari, Senza addune alcun argomento; alla luce delle ricerche effettuate, tuttavia, tale provenienza non risulta documentata in alcun modo. Si veda anche la breve menzione nella guida del Museo pubblicata nello stesso anno dall'allora direttore, E. MAUCERI (It Museo Nazionale di Messina, Roma 1929, p. 68). In propoSito, G. ScIBONA, S.V. Messina, Storia della ricerca archeologica, in BTCGI vol. X, Pisa-Roma 1992, part. pp. 21-23. 6 A. SALINAS, in NotSc 1886, p. 462. Lo stesso esemplare 6 menzionato anche nella guida al Museo Civico redatta nel 1902 da G. LA CORTE CAILLER (Il Museo Civico di Messina, edizione a stampa del manoscritto a cura di F. CAMPAGNA CICALA, Chiaravalle 1981, p. 151). Occorre tenere conto, a questo proposito, che il capitello rinvenuto nel 1886, secondo quanto afferma Salinas era realizzato in pietra, non in terracotta; se effettivamente si trattava dello stesso esemplare, dovremmo pensare ad un'imprecisione da parte dello studioso. Cfr. K. RoNczewsla, Kapitelle aus Tarent im Museum von Ban, in AA 1928, coll. 37-38; G. LUGU, La tecnica edilizia romana, Roma 1957, vol. I, pp. 548-549; R. I. A. WILSON, Brick and tiles in Roman Sicily, in A. McWHIRA (ed.), Roman Brick and Tile. Studies in Manufacture, Distribution and Use in the Western Empire (BAR International Series 68), Oxford 1979, p. 11; H. LAUTER-BUFE, Die Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, Mainz am Rhein 1987, p. 14; LAUTER, Architettura dell'ellenismo, cit., p. 57. I capitelli ellenistici in terracotta rinvenuti in Sicilia - sia ionico-sicelioti che corinzio-sicelioti - presentano (almeno in tutti i casi in cui è possibile accertarlo) ii cavo al centro; per i riferimenti bibliografici relativi, cfr. infra, nota 46. WILSON, Brick and tiles, cit., p. 11. 10 Si vedano a questo proposito i capitelli ionico-sicelioti della casa a periStilio 1 di Monte Iato: K. DALCHER, Studia letina VI. Das Peristylhaus 1 von laitas: Architektur und Baugeschichte, Zurich 1994, pp. 49-51, 53-55, 69-70, tavv. 20-22, 55-56. La denominazione si riferisce ad un tipo di capitello, i cui tratti distintivi rispetto al capitello ionico normale sono, oltre le quattro facce uguali e le volute disposte secondo le diagonali dell'abaco, una particolare conformazione della volute e delle palmette ai lati di esse. Non dissimili, almeno per le caratteristiche morfologiche d'insieme, sono i capitelli ionico-italici: le due definizioni pongono piuttosto l'accento sulle aree in cui questo tipo e maggiormente attestato, la Sicilia da un lato, alcune regioni dell'Italia meridionale e centrale dall'altro. Sulle due classi di capitelli, in generale, cfr. R. DELBROCK, Hellenistische Bauten in Latium, vol. II, Strassburg 1912, pp. 155-157; CULTRERA, Siracusa. Scoperte net Giardino Spagna, cit., p. 124; V. ZIINO, Introduzione at capitello composito, in Palladio V, 3, 1941, pp. 97-111; M. NAP0LI, Ilcapitello ionico a quattro facce a Pompei, in Pompeiana. Raccolta di studi per ilsecondo centenario degli scavi di Pompei, Napoli 1950, pp. 230-265; E. CASTEELS, Les chapiteaux ioniques a quatre faces d'Ordona, in BBelgRom 46-47, 1976-77, pp. 13-33; inline, al recente studio di A. VILLA (I capitelli di Solunto, cit., pp. 27-35) si deve un primo tentativo di sistemazione tipnlogica complessiva. Una suddivisione di tutti i capitelli ionici a volute diagonali, basata sulla disposizione delle palmette ai lati dell'echino - orizzontali secondo lo schema canonico o verticali - si trova giS nello studio citato di E. Casteels, che perO non considera affatto il ricco corpus degli esemplari siciliani. Per un quadro riassuntivo delle area in cui sono attestati i tipi ionico-siceliota e ionico-italico, Si veda inoltre R. I. A. WILSON, Roman Architecture in a Greek World: the Example of Sicily, in M. HENIG (ed.), Architecture and Architectural Sculpture in the Roman Empire, Oxford 1990, p. 74, fig. 5.9, necessitante perb di alcuni aggiornamenti. 12 Centuripe: VILLA, I capitelli di Solunto, cit., p. 30, nota 78, tav. XLI, ic, e p. 31, nota 85, tav. XL, 6; Solunto: ibid., pp. 109-115, nn. 149-165, tavv. XXVI-X.XX; Monte lato: DALcHER, Studia letina VI, cit., pp. 53-55, 69-70, tavv. 20-22, 55-56. Un'analoga conformazione delle volute caratterizza la maggior parte dei capitelli corinzio-sicelioti: cfr. in proposito LAUTER-BUFE, Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit., p. 2. Nell'echino dei capitelli ionico-sicelioti e molto phi frequente il kyma con ovoli tagliati nella parte superiore, invece che interi come nel nostro caso; un rendimento simile si ritrova in un capitello di semicolonna da Siracusa (CULTRERA, Siracusa. Scoperte nel Giardino Spagna, cit., p. 79, fig. 36, con cinque ovoli su ogni faccia, anziché tre) e nei capitelli della casa a peristiho 1 di Monte Iato (DAI.CHER, Studia letina VI, cit., tavv. 20-22).
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11 Abbastanza simili solo in un capitello da Solunto (VILLA, Icapitelli di Solunto, cit., p. 111, Ci 153, tav. XXVII, 5-6), nd quale perO le palmette non sono rigorosamente verticali, ma leggermente inclinate, e in un esemplare frammentario in terracotta da Tindari (inedito; conservato nei depositi dell'Antiquarium locale). 15 Nei capitelli ionico-sicelioti ii collarino a cavetto e adottato in alcuni esemplari da Tindari (inediti, del quail uno esposto al Museo di Palermo, inv. 5602, per cui cfr. infra, nota 21; gil altri sono conservati nei depositi dell'Antiquarium di Tindari), in uno frammentario da Halaesa (G. CARETTONI, in NotSc 1961, 293-294, fig. 32), nonché in parte del capitelli deila casa a peristilio 1 di Monte lato (cfr. DALcHER, Studia letina VI, cit., p. 69, cat. A 20/126 e A 95/97, tavv. 20, 55). Si veda inoitre un esemplare da Heraclea Minoa, con ii sommoscapo decorato da rosette a quattro petali a rilievo (Museo di Agrigento, inv. 1877; cfr. E. Von MERcruIN, Antike Figuralkapitelle, Berlin 1962, pp. 61, 62-63, 68, n. 178, fig. 337; VILLA, I capitelli di Solunto, cit., p. 31, nota 83, tav. XJJI, 4; WILSON, Roman Architecture in a Greek World: the Example of Sicily, cit., nota 20). Nei capitelli corinzio-sicelioti, ii sommoscapo a cavetto e attestato in un solo caso: cfr. LAUTER-BUFF, Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit., p. 22, cat. n. 31, tav. 12 a-b (da Siracusa). 16 L'abaco dci capiteili ionico-sicehoti, invariabilmente liscio, presenta molto spesso una modanatura ad ovolo, pifl o meno alta, o a profilo lievemente concavo ed alto o ancora, ma meno frequentemente, a cyma reversa. 17 Nei capiteili ionico-sicelioti le attestazioni del sommoscapo decorato con l'astragalo a perle e fusaroie sono limitate - a giudicare dai dati disponibili - all'esemplare da Heraclea Minoa già citato (supra, nota 15) e ad un altro di provenienza incerta, conservato pure al museo di Agrigento (inv. C1878; DELBRUCK, Hellenistische Bauten in Latium, cit., pp. 156-157; VILLA, I capitelli di Solunta, cit., p. 31, nota 83, tav. XLII, 5). Le soluzioni piü ricorrenti sono invece gli astragali lisci, ovvero uno o pifl listelh, o ancora le due modanature abbinate. Per ii tipo corinzio-siceliota, nessuno dci capitelli censiti da H. LATJTER-BTJFE (Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit.) per la Sicilia, presenta tale caratteristica, che invece si riscontra in un interessante esemplare figurato da Selinunte: cfr. V. Tu5A, Capitello figurato ellenistico da Selinunte, in BelA XXXIX, s. IV, 1954, n. III, pp. 261-264. Per l'area campana si vedano, a titolo esemplificativo, I capitelli di Pompei, dove ii motivo e molto ricon-ente sia negli esemplari ionico-italici (N pou, Ii capitello ionico a quattro facce a Pompei, cit., passim), che corinzio-italici (LAUTER-BUFE, Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit., tavv. 27-32); cfr. inoltre: capitelli ionico-itaiici di Torre Annunziata (L. FERGOLA, Un capitello ionico-italico da Torre Annunziata, in RivStPomp II, 1988, pp. 49-56) e Mirabella Eclano (I. SGOBBO, in NotSc 1930, p. 408, fig. 6); capitelli corinzieggianti del tempio dorico-corinzio di Paestum (VON MERCKUN, Antike Figuralkapitelle, cit., pp. 66-67, n. 175, figg. 311-320). Per l'area apula, oitre i capitelli ionico-itahci di Ordona (CASTEELS, Les chapiteaux ioniques a quatre faces d'Ordona, cit., pp. 14-20, figg. 2-3, tavv. I-V), cfr. numerosi capitelli corinzieggianti di Taranto (Von MERcKLIN, Antike Figuralkapitelle, cit., pp. 49 ss., in part. nn. 137, 157, 160, 165, figg. 235, 262, 264-268, 272-273, 287-290), di Brindisi (ibid., pp. 63-64, n. 170, a-b, figg. 292-299) cdi Lucera (ibid., p. 59, n. 161, figg. 274-278); i capiteili ionici e corinzieggianti del tempio di San Leucio a Canosa (P. PENSABENE, Ii tempio ellenistico di San Leucio a Canosa, in Italici in Magna Grecia. Lingua, insediamenti, strutture (Leukania, 3), Venosa 1990, pp. 281-285, figg. 12-13, tavv. CXII-CXIX). Per le caratteristiche dci capitelli ionico-italici di Pompei e deli'area campana si veda MAPOLI, Ii capitello ionico a quattro facce a Pompei, cit.; FERGOLA, Un capitello ionico-italico, cit. Al capiteili dell'area campana si potrebbero accostare gil esemplari a quattro facce rinvenuti ad Ordona - gh unici in area apula -, che presentano caratteni morfoiogici e stilistici simili, ma appartengono già alla prima eta imperiale: cfr. CASTEELS, Les chapiteaux ioniques a quatre faces d'Ordona, cit. 11 Cfr. ad esempio, per i'area laziale, i capitelli di Anagni (M. MAZZOLANI, Anagnia, Forma Italiae, Regio I, vol. VI, Roma 1969, p. 86, fig. 104) e di Castel S. Ella presso Nepi (Zilno, Introduzione al capitello composito, cit., p. 109, fig. 19), dci quali non si conosce ii contesto originario di appartenenza, o ancora quelli rinvenuti nel santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (F. FASOLO, G. GULLINI, Ii Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma 1953, pp. 131-132, fig. 198, tav. XIX, 1; p. 170, fig. 248, tav. XXIII, 8; p. 296, tav. XXV,2), e, a Roma, un esemplare dagli scavi del tempio di Cibele sul Pelatino (P. PENSABENE, Nuove acquisizioni nella zona sud-occidentale del Palatino, in Archeologia Laziale TV [Quaderni del centro di studio per i'ercheologia etrusco-itahca, 5], Roma 1981, pp. 114-116, fig. 6, tav. XX,11). A questi assocerei i capitelli, molto simili ma purtroppo mal noti, del portico del santuario di Monterinaldo nel Piceno, per cui cfr. L. MERCANDO, L'ellenismo nel Piceno, in P. ZANKER (ed.), Hellenismus in Mittelitalien (Kolloquium in Gottingen, 1974), I, Gottingen 1976, pp. 171-172 e note 97, ft.-g. 79-80). Per i'Etniria, si vedano ad esempio I capitelli da Tarquinia e da Vulci, per cui CULTRERA, Siracusa. Scoperte nel Giardino Spagna, cit., p. 122, figg. 74-77. Esulano da questo tema aicuni capiteili di Rome databih a partire dail'età augustea, che pur mantenendo lo schema a quattro facce e volute diagonali, mostrano già l'influenza del capitello ionico normale di tipo ermogeniano, affermatosi a Rome sin daila fine del II sec. a. C. : cfr. in proposito D. E. STRONG, Some early examples of the composite capital, in JRS L, 1960, p. 120, note 9 e P. PENSABENE, Scavi di Ostia, VII: I Capitelli, Rome 1973, p. 214, note 26. 20 Tre questi spicca in perticoiere ii gruppo dci cepiteili di Aquileia, per cui cfr. G. CAVALIERI MANASSE, La decorazione architettonica romana di Aquileia, Trieste, Pola. I. L'etd repubblicana, augustea e giulio-claudia, Padova 1978, pp. 44-50, cat. nn. 2-9,12, tavv. 1-5. 21 Ii capitello (mv. n. 5602) e ettueimente esposto nel cortile del Museo; une breve menzione si trove in VILLA, I capitelli di Solunto, cit., p. 34, note 105. 22 Cfr. P. OR5I, Reggio Calabria - Scoperte negli anni dal 1911 al 1921, in NotSc 1922, p. 171, fig. 20. I capiteiii, la cui ubicazione attuale 6 purtroppo ignote, 5000 steti recuperati nel 1921 in occasione del rinvenimento fortuito di un edificio identificeto come teetro o come odeion, al quele probabilmente appertenevano; per un riesame dci resti deli'edificio cfr. F. MART0mno, Ii porto e l'ekidesiasterion di Reggio nel 344 a. C. Ricerche di topografia e di architettura antica su una polis italiota, in Rivista Storica Calabrese n.s., a. VI, 1-4, 1985, pp. 231-257, senza alcun elemento nuovo sui capitelli.
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Le misure dei pezzi date dall'Orsi nel testo, p. 171, non corrispondono al disegno di ricostruzione della figura 20, che restituisce un capitello di proporzioni phi schiacciate ed allungate; esse indicano invece un capitello proporzionalmente phi sviluppato in altezza, con un rapporto tra diametro del sommoscapo ed altezza molto vicino, pur nella differenza di dimensioni assolute, a quello del capitello messinese. L'impossibilità di vedere i pezzi non ml ha permesso purtroppo alcuna verifica diretta. Va inoltre segnalato un capitello a quattro facce conservato al Museo di Villa Giulia, proveniente da Vulci, che, pur non essendo nel complesso assimilabile al nostro, presenta perO anch'esso le volute disposte su uno stesso piano, non aggettanti, con nastro a sezione concava ed occhio a bulbo: L. T. SHOE, Etruscan and Republican Roman Mouldings (Memoirs of the American Academy in Rome, vol. XXVIII), Roma 1965, p. 201 e tav. LXIII, 6. Al capitello fa riferimento anche Cultrera (Siracusa. Scoperte nel Giardino Spagna, cit., p. 122), ma la foto relativa, da lui presentata alla fig. 73, non sembra conispondere assolutamente al capitello, che dovrebbe invece essere quello raffigurato alla fig. 74, coincidente con ii profilo dell'esemplare presentato dalla Shoe; riterrei dunque probabile che ci sia state nel testo di Cultrera un'inversione delle figure 73 e 74. 24 Particolarmente indicativi due capitelli dall'Asklepieion di Atene, per cui cfr. R. MARTIN, Chapiteaux ioniques de l'Asklepieion d'Athènes, in BCE LXVIII-LXIX, 1944-1945, pp. 343-345, figg. 3-5, tav. XXVII (attribuito alla stob ovest e datato alla fine del V-inizi del IV sec. a. C.); pp. 346-347, fig. 6, tav. XXVIII (dubitativamente attribuito ad un rifacimento di eta romana, ma sui modelli originali, della stoà orientale del santuario); i capitelli del Pompeion (inizi del IV sec. a. C.; cfr. W. HOEPFNER, Kerameikos X. Das Pompeion und seine Nachfolgerbauten, Berlin 1976, pp. 58-62, 134-135, figg. 76, 81); o, ancora, uno di fabbricazione attica da Epidauro (G. Roux, L'Architecture de l'Argolide aux IVe et Ille siècles avant J.-C. (BEFAR 199), Paris 1961, pp. 340-34 1, tav. 90, 1, attribuito alla fine del IV-inizi del III sec.). Si vedano inoltre i capitelli ionici delle semicolonne addossate ad un pilastro, del tempio in calcare di Atena a Delfi (prima meta del IV sec.: ibid., pp. 351-352, tav. 94.1; J.-P. MICHAUD, Fouilles de Delphes, t. II. Le Sanctuaire d'Athéna Pronaia (Marmaria), 4. Le Temple en Calcaire, Paris 1977, pp. 63-64, 111-112, figg. 89-91, tav. 27). In eta tardo-ellenistica, nella delimitazione delle spire della voluta Si sostituiscono nei capitelli attici nuovi elementi, come ad esempio l'astragalo liscio tra due sottilissimi listelli: cfr. in proposito L. S. MERITT, Athenian Ionic Capitals from the Athenian Agora, in Hesperia 65, 1996, 2, p. 140 e tav. 47. 25 Si veda in proposito Roux, Architecture de l'Argolide, cit., part. pp. 339, 343, 345, 349-350. 29 Cfr. ad esempio un capitello dal santuario di Apollo Pizio ad Argo, in Roux, Architecture de l'Argolide, cit., tav. 25, e diversi esemplari di Epidauro, ibid., tavv. 68,1 (tempio L), 75,1 (Propilei Nord), 85,1 (portico di Cotys), 93,2 (proscenio del teatro). 27 D. THEODORESCU, Chapiteaux ioniques de la Sicile meridionale (Cahiers du Centre Jean Bdrard, 1), Napoli 1974. 20 THEODORESCU, Chapiteaux ioniques, cit., capitelli n. VI, pp. 20-21, tav. VIII, fig. 15, tav. XVI, fig. 16; n. VII, pp. 21-22, tav. IX, fig. 17, tav. XVII, fig. 18 (al museo di Palermo, provenienti entrambi da Selinunte). 29 Cfr. G. GULLINI, La cultura architettonica di Locri Epizefiri, Taranto 1980, pp. 133-134, tav. XIX, 2-3. Si tratta, in particolare, di alcuni esemplari conservati nella collezione Scaglione e di un altro rinvenuto casualmente in contrada Stragh; per i primi si veda anche E. Lissi, La collezione Scaglione a Locri, in ASMG n. s. IV, 1961, p. 75, nn. 21-22, tavv. XXII-XXIII, per il secondo, L. COSTAMAGNA, C. SABBIONE, Una città in Magna Grecia, Locri Epizefiri, Guida archeologica, Reggio Calabria 1990, p. 152, fig. 213. 30 THEODOREScU, Chapiteaux ioniques, cit., pp. 20, 33. 31 Si veda ii capitello ionico del Portico di Filippo a Delo, degli ultimi decenni del III sec. a. C. (EAA. Atlante dei conspiessi figurati, Roma 1973, tav. 333, n. 33); la riduzione dell'altezza del canale, fino a raggiungere proporzioni pari o inferiori a quelle dell'echino, si generalizza nel corso del II Sec. a. C.: cfr. in proposito Vitruve, De L'Architecture, livre III, texte établi, traduit et commenté par P. GROS, Paris 1990 pp. 166-168; N. FERCHIDU, Recherches sur les elements architecturaux, in AA.\TV., Dos Wrack. Der antike Schiffsfund von Mandia, II, Köln 1994, p. 204. 32 R. MARTIN, A. LEZINE, A propos des elements architecturaux de Mandia, in Karthago X, 1959-1960, p. 151; THEODORESCU, Chapiteaux ioniques, cit., p. 33, nota 71. Si vedano, ad esempio, i capitelli del Philippeion di Olimpia (EAA. Atlante, cit., tav. 327, n. 21), e, ad Epidauro, quelli del tempio L e del Propilei Nord (Roux, Architecture de l'Argolide, cit., tav. 68, 1; tav. 75,1: datati entrambi al primo trentennio del III Sec. a. C.). Caratteristiche simili si pOssono ric000scere anche negli esemplari delle regioni nord-occidentali della Grecia e dell'odierna Albania, purtroppo in gran parte inediti; abbastanza indicativi in proposito sono i capitelli della stoà nord dell'agord di Cassope, datata alla seconda metà-fine del III sec. a. C., per cui cfr. 1. I. AAKAPH, 'Avaaaçoii sic KaoacOl-n/v Hpe/3éqc, in Praktika 1954 (Athenai 1957), p. 204, figg. 3-4; ID., KaoaoL-nj. Nscô reps; 'Avaaeaçréc 1977-1983, Ioannina 1984, p. 23, tav. 5a; W. HOEPFNER, E.-L. SCHWANDNER, Hans und Stadt im klassischen Griechenland, Munchen 1994 (Neubearbeitung), p. 96 e figg. 85-86. Nella prima meta del III sec. a. C. il canale rettilineo si riscontra anche nei capitelli di edifici di altre aree: cfr. in particolare i capitelli del Propylon di Tolomeo II a Samotracia (A. FBAZER, Samothrace X. The Propylon of Ptolemy II, Princeton 1990, tav. LI, fig. 55). Roux, Architecture de l'Argolide, cit.; cfr. inoltre: MARTIN, LEZINE, A propos des elements architecturaux de Mandia, cit., p. 153; T. SEMERARO, in EAA. Atlante, cit., p. 22; F. RUMSCHEID, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, Mainz am Rhein 1994, I, p. 102, nota 220; B. WESENBERG, S.V. Capitello. La Grecia fino alla fine dell'Ellenismo, in EAA Supplemento 11(1971-1994), vol. I, Roma 1994, p. 856. Tuttavia, la presenza di capitelli angolari a quattro facce uguali e volute in diagonale nel Monumento delle Nereidi di Xanthos (P. COUPEL, P. DEMARGNE, Fouilles de Xanthos, III. Le Monument des Néréides, Paris 1969, pp. 77-78, tavv. 34-35 e
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XXXII-XXXIII) lascia aperta, secondo R. Martin e A. Lézine (Apropos des kléments architecturaux de Mandia, cit., p. 153, nota 73) la possibilità di un'origine diversa, non peloponnesiaca, di questo tipo di capitello. Cli-. in proposito MARTIN, LEZINE, Apropos des elements architecturaux de Mandia, cit., pp. 151-152. Sul relitto in generale si veda, da ultimo, AA-VV., Das Wrack, cit., I-TI. 36 In alternativa, si potrebbe pensare che 11 motivo nel capitello messinese sia un riferimento ad una vera e propria bipartizione del canale, quale è attestata nei capitelli dei portici nord ed est dell'Eretteo ad Atene (per cui cfr. G. PH. STEVENS, L. D. CASKEY, H. N. FOWLER, J. M. PATON, The Erechteum, Cambridge (Mass.) 1927, tav. XVI; I. Thsvios, Pictorial Dictionary of Ancient Athens, New York 1980, figg. 286, 289) e in altri esemplari dipendenti strettamente dal modello delI'Eretteo: ii monumento delle Nereidi a Xanthos (Cou peL, DEMARGNE, Fouilles de Xanthos, III, cit., pp. 75-76, tavv. 32-35 e XXX) ed alcuni capitelli di Delfi databili nel corso del ITT sec. a. C. (F. COURBY, Fouilles de Deiphes t. IT, La terrasse du Temple, fasc. 1, Paris 1927, pp. 42-43, tav. VIII; J. REPLAT, Remarques sur on chapiteau ionique, inBCH XLVI, 1922, p. 435-438; G. DAUX, A. SALAc, Fouilles de Delphes t. III, Epigraphie 3, Paris 1932, n. 149, pp. 119-121; MARTIN, Chapiteaux ioniques de l'Askldpieion, cit., p. 373, nota 5). Ancora al modello dell'Eretteo viene ricondotta la presenza di un motivo analogo sul capitello di coronamento di una stele punica: cfr. A. LEZINE, Architecture punique. Recueil de documents, Paris-Tunis 1960, p. 52, fig. 29,C b 658; cfr. ibid., note 12-13, per altri capitelli punici con la stessa caratteristica. Thugga: cfr. N. FERcHIou, L'kvolution du decor architectonique en Afrique Proconsulaire des derniers temps de Carthage aux Antonins. L'hellenisme africain, son déclin, ses mutations et le triomphe de Part romano-africain, si. 1989, pp. 114-115, n. V.TV.A.1, figg. 22 e 24a, tav. XXII, b-c-d; Cartagine: ibid., pp. 119-120, n. V.IV.A.6, tav. XXV, a-b; Thuburbo Maius: ibid., pp. 121-122,n. V.IV.B.1, tav. XXVI a-b, fig. 34, a(cfr. inoltre LEZINE, Architecture punique, cit., pp. 15-19, fig. 7, tav. I). 38 Cfr. in proposito FERCHIOU, L'dvolution du decor architectonique, cit., passim, part. p. 105; pp. 126-127. Cfr. FERCHIOU, L'évolution du decor architectonique, cit., p. 120; RUM5CHEIO, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik, cit., I, p. 305. ° Wnsorc, Roman Architecture in a Greek World: the Example of Sicily, cit., p. 73. AIlo stato attuale delle nostre c000scenze, tuttavia, considererei questa come un'ipotesi di lavoro da verificare, in quanto formulata per lo pili su considerazioni generali sull'attività delle maestranze del cantieri ieroniani. " In proposito cfr. L. CAMPAGNA, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, in Atti delle seconde giornate internazionali di studi sull'area elin7a (Gibellina, 1994), Pisa-Gibellina 1997, pp. 233-234 e note 43-44 (con altri riferimenti bibliografici). 42 Per gli esemplari di Centuripe e Solunto, dr. i riferimenti supra, nota 12; per Lilibeo: VILLA, I capitelli di Solunto, cit., p. 29, nota 72, tav. XL, 1-4, p. 31, nota 88, tav. XLI, 2, 5-6. Cfr. in proposito, WILSON, Roman Architecture in a Greek World: the Example of Sicily, cit., pp. 75-76; To., Sicily under the Roman Empire. The archaeology of a Roman province, 36 BC-AD 535, Warminster 1990, pp. 23-24 (con altri riferimenti hibliografici). Supra, pp. 171-173. 41 I siti siciliani nei quali risultano rinvenuti capitelli fittili di eta ellenistica, oltre Messina, SOIIO Tindari, Centuripe, Morgantina e, dubitativamente, Taormina; a questi vanno aggiunti anche, data la vicinanza geografica, alcuni rinvenimenti di Reggio Calabria. Per tutti i riferimenti bibliografici relativi dr. nota seguente. 46 Gli unici capitelli ionico-sicelioti in teiracotta di cui Si conosca ii contesto di rinvenimento - a quanto mi risulta -, sono quelli messi in luce nello scavo dell'insula IV di Tindari, ancora inediti (ne ho potuto prendere visione grazie alla cortesia della dott.ssa Madeleine Cavalier, responsabile dello scavo, che ringrazio). Per la sane corinzio-siceliota, cfr. i capitelli appartenenti alla casa C della stessa insula (LAUTER-BUFE, Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit., pp. 17-21, cat. nn. 27-29), ai quali si aggiungono due esemplari dalla "Casa dell'Ufficiale" a Morgantina, per cui cfr. B. TSAKIRGIS, The domestic architecture of Morgantina in the hellenistic and roman periods (Ph. D. 1984), Ann Arbor 1985, pp. 212-213 e 379-380. Da contesti funerari provengono invece i capitelli miniaturistici rinvenuti nella necropoli di Reggio Calabria: cfr. LAUTER-BUFE, Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit., pp. 9-17, cat. nn. 4-26. In tutti gli altri casi noti, le indicazioni di provenienza sono estremamente generiche o del tutto assenti. Per la Serie ionico-siceliota si vedano: un altro capitello da Tindari, inedito, conservato nell'Antiquarium locale, uno da Centuripe al Museo di Palermo (DELBRUCK, Hellenistische Bauten in Latium, cit., p. 156, nota 2, fig. 92.2 = VILLA, I capitelli di Solunto, cit., p. 31, tav. XL, 6); altri due, pure al Museo di Palermo, per cui dr. ibid., p. 31, nota 84 e tav. XLII, 2 (uno da Tindari o da Taormina, I'altro di provenienza ignota). Dubbio rimane ii contesto originario anche nel caso dei capitelli fittili rinvenuti a Reggio Calabria nello scavo del cosiddetto odeion (cfr. supra, nota 22), in quanto la loro effettiva appartenenZa all'edificio non è accertata. Per la sane corinzio-siceliota, cfr. LAUTER-BUFE, Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit., pp. 23-24, cat. n. 33 (da Tindari); p. 58, cat. n. 202 (a Karlsruhe, provenienza sconosciuta); p. 59, cat. nn. 203 (da Centuripe) e 204-205 (al MuSeO di Catania, provenienza sconosciuta). Inoltre, TSAKIRGIS, The domestic architecture, cit., p. 380, note 34-35, accenna a diversi frammenti di capitelli coninzi in terracotta da vane area di Morgantina.
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TAV. I
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Fig. 2. Messina, Museo Regionale. Capitello ionico a quattro facce (i. A229).
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TAV. II
Tav. II. Messina, Museo Regionale. Capitello ionico a quattro facce (i. A229).
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ANNA CARBE
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RITROVAMENTI MONETARI A FRANCAVILLA DI SICILIA (ME) Nel 1979 ii rinvenimento fortuito di materiali ceramici nel cantiere edilizio di via Russotti, consenti l'esplorazione di ricchi depositi votivi che rivelarono la presenza di un importante complesso cultuale, al centro di una zona fino a quel momento priva di interesse archeologico 1 . I numerosi saggi e le indagini sistematiche condotte nei decenni successivi in vari punti dell'area urbana hanno riportato alla luce lembi dell'abitato, con porzioni di isolati e tratti della rete viaria. Attraverso i risultati degli scavi è stato possibile ricostruire a grandi linee le fasi di vita di questo centro greco e distinguere tre periodi cronologici: tra ii secondo quarto del VI sec. e gli inizi del V sec. a.C., nel corso del V sec., e dopo la rioccupazione del sito, tra la metà del IV e non oltre ii terzo quarto del III Sec. a.C.2 Le aree interessate dalle ricerche SOflO Situate oltre che nella già citata via Russotti, in via Asiago, e, soprattutto, nella parte sud-occidentale del paese, in contrada Fantarilli; una dracma d'argento di Rhegion e stata rinvenuta, inoltre, in via Liguria, durante uno scavo per la posa della condotta di acque bianche. Nel corso degli Scavi sono State ritrovate poco piü di un centinaio di monete: piccole frazioni in argento e soprattutto nominali in bronzo. Le 118 monete rinvenute, di cui 32 risultano non identificabili a causa del cattivo stato di conservazione, coprono un arco cronologico piuttosto ampio che dal V sec. a.C., pur con lacune, giunge all'età moderna. La maggior parte del numerario si pone tra la fine del IV e la meta del III Sec. a.C., mentre quasi del tutto assente, se Si eccettua un consunto bronzo di Gordiano III ed un mezzo follis di CoStante 11 3 , sembra essere la monetazione di eta romana e bizantina, per la quale mancano, peraltro, dati archeologici di alcun tipo. Anche se il loro numero non risulta elevato, esse si propongono come documento di primo piano per una valutazione della circolazione monetale e quindi della vita economica di questo, ancora anonimo, inSediamento greco, situato all'interno della valle dell'Alcantara.
1. AREA DEL SANTUARIO (S 1)
Via RuSsotti, proprietà GrifO e proprietà Puglia. Le esplorazioni archeologiche hanno messo in luce due complessi architettonici; all'interno di uno di essi (edificio B), eretto nella Seconda fase del Santuario, fu accumulata una gran quantità di materiale votivo, che costituisce un inSieme cronologicamente compreso tra la fine del VI ed il terzo quarto del V Sec. a.C. 4 Sulla base dei reperti vascolari pi1 recenti, la frequentazione del santuario sembra diradarsi e poi cessare tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C.5 La ripresa della vita urbana, riscontrabile nell'area dell'abitato dopo la metà del TV sec. a.C., non portà al ripristino della destinazione cultuale dell'area, tuttavia una frequentazione della zona risulta testimoniata dal ritrovamento di 61 monete 6 . Gli esemplari di eta greca sono 28, di cui la maggior parte di zecca siracusana (22 esemplari), ma sono presenti anche due monete di Tauromenio, una moneta di Abaceno, una di Rhegion, una siculo-punica ed infine una moneta mamertina. Oltre ad undici esemplari, pifl recenti, di eta post-medievale e provenienti per lo pifl dallo sporadico o comunque dal piano superficiale 7, si riconoscono una moneta bizantina (un mezzo [ohs di Costante II), ed una moneta romano-imperiale attribuibile a Gordiano III; 20 monete, infine, risultano purtroppo illeggibili. Gli esemplari pifl antichi provenienti da tale area sono cinque "tetrantes" I siracusani con i tipi te181
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FRANCAVILLA DI SICILIA AB!TATO Dl ETA OFIECA SCAVI 1879-1988 1
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LEGENDA S1 Sarrtuario grace - Pr. Foliaro S2 Pt-, Cacclole S3 Pr. Panarallo - Di Marco S4 Pr. Bardaro S6 Area palestra romunale, S6 Pr. Silvestro $7 Pia S. Francesco $8 Pr. Currentl M8latino So Pr. Silvestro - ArcidiaGono
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Fig. 1. Planimetria generale.
sta di Atena/ippocampo, piuttosto usurati, ma verosimilmente appartenenti alle serie leggere 9; ii cattivo stato di conservazione e soprattutto la presenza di due esemplari con contromarca fa supporre per essi una datazione degli inizi del IV sec. a.C. Particolarmente importante la presenza a Francavilla dei due ippocampi contromarcati, dal momento che piuttosto scarsi sono I dati ufficiali della loro circolazione 10: su uno di essi appare ben chiara la contromarca ruota a quattro raggi e OFKI accoppiata ad una testina, probabilmente maschile, volta a s., meno leggibile la contromarca dell'altro esemplare, forse una ruota Le emissioni successive si datano soltanto a partire dalla metà del IV sec. a.C. e sono costituite da due esemplari di zecca tauromenitana, ii primo, un piccolo bronzo, piuttosto usurato, reca ii monogramma TA 12 entro corona di alloro, e si data intorno al 358 a.C., momento della rifondazione andromachea 13 l'altro, posteriore, addirittura d'età post timoleontea, secondo una recente proposta di D. Castrizio 14, reca la testa di Apollo Archagêtes accompagnata dal toro stante. Nel quadro delle emissioni timoleontee si inserisce l'l'zernilitron di Abaceno con testa coronata di 182
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canne/toro cozzante a s. L'identificazione non e purtroppo sicura dal momento che ii cattivo stato dell'esemplare non consente la lettura della leggenda; tuttavia la resa della testina sul DI, ii simbolo sopra ii toro sul RI, l'elemento ponderale e, come vedremo in seguito, la presenza di un'altra moneta di Abaceno tra i ritrovamenti a Francavilla rende probabile questa attribuzione'5 Tra l'età post-timoleontea e gli anni immediatamente precedenti la presa di potere da parte di Agatocle, va datata l'emissione siracusana con testa di Apollo/cane retrospiciente 16, in piena eta agatoclea, piü precisamente a par-tire dal 304 a.C., si pone invece l'emissione con testa di Artemis/ fulmine '. Alla fine del IV-inizi III aC. si datano l'esemplare sicu1opunico con testa di Persefone/cavallo 19 stante e palma' 8 e la moneta di Rhegion con testa di leone frontale/testa di Apollo volta a d. Molto interessante la presenza di un gruppetto di emissioni di Iceta 2° con testa di Zeus Hellanios/aquila su fulmine: provenienti da due saggi vicini (Saggio 3/81 e 4/81) e dallo stesso taglio, potevano, infatti, costituire un piccolo gruzzolo. Oltre ad una moneta, piuttosto usurata, attribuibile ai Mamertini con testa di Ares/toro cozzante, databile negli anni della prima guerra punica 21, gil altri esemplari sono tutti siracusani: all'età di Pirro si datano le due monete caratterizzate dalla testa di F.racle/Atena Alkidemos 22 tre sono invece gli esemplari di lerone II: uno con testa di Core/toro cozzante, uno con testa laureata di lerone II /cavaliere, l'altro con testa di Poseidon/tridente 23 L'analisi dei materiali ceramici ha mostrato la distruzione, o comunque, l'abbandono del Santuario intorno alla fine del V sec. a.C., evento che sembra avere interessato l'intero abitato di Francavilla. La maggior parte delle monete rinvenute nell'area è invece databile dalla metà del IV sec. a. C. alla metà del III a.C., phi antiche soltanto le poche emissioni dionigiane.
2. ABITATO GRECO
Via Asiago, proprietà Cacciola (S 2). Le esplorazioni archeologiche intrapreSe dal 1989 hanno interessato alcuni settori deil'antico abitato. Sulle pendici nord-occidentali del colle del Castello, in Via Asiago, le indagini effettuate in seguito ad uno sbancamento edilizio, hanno permesso di identificare alcune strutture che documentano ben tre fasi cronologiche, delle quali, la seconda, risalente al V sec. a.C., sembra meglio attestata; ad essa appartengono quattro ambienti, contigui, e lacunosi lungo ii lato nord, sul quale si dovevano aprire gli ingressi, ben databili grazie ai numerosi frammenti di ceramica a vernice nera rinvenuti 24 . Phi esigui, o comunque, meno conservati, i resti di strutture murarie della fase pin recente, la III, alla quale si riferisce anche una semplice tomba ad inumazione entro una fossa di terra 25. Perfettamente compatibili con tall contesti sono le 21 monete recuperate. Oltre alcune monete piü recenti (due di eta aragonese, tra CUI si riconosce un denaro di Giovanni, due spagnole 26 e due illeggibili) sono presenti, infatti, 15 monete greche che vanno dagli inizi del V sec. a.C. alla meta del III sec. a.C. A parte la litra argentea di Leontinoi con i tipi protome di leone/chicco databile tra il 480 ed il 466 a.C. 27 , ritrovata sui piano di calpestio ben sigillato dal crollo delle tegole del tetto e della parte sommitale dei muri di uno degli ambienti della II fase 28 , le altre presenze monetali sono pertinenti piuttosto alla fase pili recente. Tra queste pih antiche sono tre tetrantes di Siracusa: uno con i tipi testa femminile/polpo databile a partire dall'ultimo ventennio del V sec. aC., e due con Atena/ippocampo databili tra ii 405 ed ii 367 29 Nei nostri contesti la prima moneta si associava a ceramica a vernice nera della seconda met, del IV sec. a.C., al pari di uno dei due ippocampi. L'altro, purtroppo, risulta proveniente da uno strato inquinato. Ii maggior numero di esemplari risale aila metà del IV sec. a.C. Si tratta di un hemilitron di Tauromenio databile tra ii 345 ed il 338 a. C. 30; e di emissioni siracusane d'età post timoleontea con testa di Atena/pegaso e testa di Apollo/pegaso, serie, soprattutto quest'ultima, che sembrano circolare fino 183
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ai primi anni di Agatocle 31 . Si segnalano, ancora, una litra di Messana del 317/310 a.C., proveniente da un livello rimescolato che ha restituito materiali ceramici di V e IV sec. a. C. 32, un'emissione siculo-punica con testa di Persefone/cavallo stante e palma, due mamertine della I guerra punica, e infine una moneta siracusana di lerone II (testa di Cora/toro IE). Dal grosso interro superiore, o comunque, da tagli superficiali provengono le monete recenti e alcune illeggibili.
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Piazza San Francesco (S 7). Lo scavo, svoltosi agli inizi del 1996, ha posto inluce 11 muro perimetrale della casa 433• I saggi effettuati hanno restituito 6 monete comprendenti una litra di Abaceno, databile intorno al 430 a.C., un esemplare di Siracusa con testa di Apollo/pegaso, una moneta 'di eta aragonese e tre illeggibili. Particolare interesse riveste proprio la litra di Abaceno. Ii nostro esemplare, in cattivo stato di conservazione, rinvenuto in associazione con ceramica della seconda metà del IV sec. a.C., presenta al diritto la testa della divinità indigena con capelli raccolti sulla nuca e al rovescio il cinghiale a sinistra; esso rappresenta una variante rispetto ai tipi conosciuti da A. Bertino 11, ponendosi cronologicamente nel momento di passaggio ad un nuovo tipo di diritto con testa della divinità con capelli corti sulla nuca. Appare significativo che una litra di Abaceno simile alla nostra sia stata rinvenuta a Naxos, assieme a piccoli nominali dell'ultimo quarto del V sec. a. C. di Naxos e di Rhegion35. Contrada Fantarilli. Area della palestra comunale (5 5). A circa 500 m. a Sud-Ovest delle strutture antiche individuate in Via Asiago, nell'area destinata alla realizzazione di una palestra comunale, sono state rintracciate modeste strutture murarie ed esigui resti di una fornace 36; si tratta, verosimilniente di un'area piuttosto periferica del settore abitativo, come dimostra anche lo scarso numero di monete rinvenute nel corso di due campagne di scavo. Si contano, infatti, sei esemplari di cui solo due identificabili: l'uno sembrerebbe un consunto hexas agrigentino con aquila/granchio, l'altro un hemilitron siracusano con testa di Apollo/pegaso. Contrada Fantarilli, proprietà Currenti Malatino (5 8). Nell'autunno del 1995 le esplorazioni archeologiche sono continuate in un settore dell'abitato antico, di limitata concentrazione abitativa, probabilmente destinato ad attività artigianale. All'interno dell'Ambiente 2 sono state rinvenute due litre in argento, una attribuibile a Naxos, l'altra a Stiela 37. La moneta di Naxos appartenente al 30 gruppo del Klassische Period di Cahn" e databile fra il 461 ed il 430 a.C., è stata trovata al di sotto del crollo delle tegole, su un piano di calpestio che ha restituito vasellame a vernice nera databile tra il secondo ed il terzo quarto del V sec. a. C. Di particolare interesse 11 rinvenimento della piccola moneta di Stiela, probabilmente un hemilitron, rinvenuta in un saggio effettuato al di sotto del filare di fondazione di un muro, in uno strato di natura alluvionale, insieme a frammenti ceramici acromi e a vernice nera ascrivibili nell'intero arco del V Sec. a.C. 4 ° Essa costituisce a tutt'oggi l'unico esemplare di Stiela restituito da uno scavo stratigrafico, mentre le altre monete conosciute e comparse sul mercato antiquario, mancano di contesto e anzi, spesso provengono, probabilmente, da scavi clandestini e da località ignote41. Contrada Fantarilli, proprietà Silvestro Laudani (S 6). Un ampio settore di abitato è stato evidenziato nel corso del 1994 sempre nella contrada Fantarilli: le indagini, ancora in corso, hanno portato alla luce un tratto di plateia, e ai lati di essa due porzioni di isolati con parte di due case 42• Nell'area sono state ritrovate 20 monete: 19 dalla campagna di scavo del 1994, una rinvenuta nel corso della recente ripresa delle ricerche archeologiche. Tutte provenienti dai livelli di caduta di pietrame e di tegole degli ambienti puut antichi, sono pertinenti alla III fase, al momento, cioè, successi vo al primo abbandono del sito, e comprendono un arco cronologico che va dalla metà del IV alla metà del III sec. a. C. La moneta phi antica, una litra siracusana con testa di Atena/astro e delfini, e databile a partire 184
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dal 395 a. C. 43; ritrovata all'interno del vano 1, in un livello inquinato che ha restituito materiali ceramici riferibili al riutilizzo della fase phi recente 11, Si associa ad una moneta di Tauromenio posteriore alla metà del IV sec. a.C. e a due monete agatoclee (testa di Cora/toro cozzante). Un gruppetto di sei monete proviene dall'area della strada: quattro di esse, le piLi peSanti, SOflO State trovate insieme e comprendono due litre di Tauromenio con testa di Apollo Archageta/toro, e due emissioni di Siracusa con testa di Cora/toro cozzante, lettere e delfino; le altre sono un hemilitron di Tauromenio con testa di Apollo/toro e uno di Siracusa con testa di Apollo/pegaso. Da altri saggi provengono un esemplare di Tauromenio, una moneta siculo-punica con testa di Persefone/protome di cavallo databile tra il 300 ed il 264 a.C., ritrovata insieme all'emissione siracusana con testa di Eracle/leone del 289/88 a.C. Non è possibile attribuire con sicurezza a Siracusa o ai Mamertini l'esemplare con i tipi dello Zeus Flellanios/aquila su fulmine rinvenuto, comunque, in uno strato rimescolato. Mel corso dei saggi effettuati nell'aprile del 1997, e stato trovato, all'interno dell'ambiente 2, un pegaso di tipo corinzio il cui cattivo stato di conservazione non ne permette una adeguata lettura. Sembrerebbe confrontabile con i pegasi del V periodo Ravel corrispondenti alla metà del IV sec. a.C.46 Contrada Fantarilli, proprietà Silvestro-Arcidiacono (S 9) e Merlo-D'Aprile (S 11). Tra la fine del 1998 e gli inizi del 1999, nuove indagini archeologiche si sono svolte in altre aree della contrada Fantarilli, interessando nuovi lembi dell'abitato antico. Lo studio della stratigrafia di scavo e dei materiali e ancora in corso, ma i ritrovamenti monetari sembrano mostrare una situazione analoga a quella emersa nel resto dell'abitato. Dai saggi condotti in proprietà SilvestroArcidiacono provengono una litra di Rhegion databile tra il 480 ed il 461 a.C. e due monete non identificabili. Phi abbondanti i ritrovamenti nella proprietà Merlo-D'Aprile, purtroppo tutti provenienti da livelli di sconvolgimento alluvionali; sono presenti una litra di Rhegion con testa di leone frontale/RECI entro corona e cinque monete di Siracusa, precisamente un'emissione con testa di Core/quadrato incuso entro cui astro e due ippocampi databili tra la fine del V e gli inizi del IV Sec. a. C., e due monete con testa di Core/toro cozzante di fine IV - inizi III sec. a.C.47 Via Liguria Mel luglio del 1996, mentre si eseguivano i lavori per la posa di una condotta d'acqua e stata recuperata una dracma di Rhegion, con testa di leone frontale/Divinità seduta a s., entro una corona di alloro, databile tra il 450 ed ii 415 a.C. Le emissioni rinvenute sino ad oggi nel centro anonimo di Francavilla, pur nell'esiguita del loro numere, costituiScono un campione sufficientemente articolato per valutare il fenomeno della circolazione monetale nell'area della città antica, che significativamente si pone all'interno della chora di Naxos. Le monete esaminate provengono dagli strati della IT fase, che si sviluppa nel corso del V sec. a. C. sino, sembra, all'ultimo decennio circa, e della III fase, che dalla seconda metà del IV sec. a.C. si prolunga poco dopo la metà del III sec. aC.48 Ii dato numismatico purtroppo non fornisce indicazioni puntuali sulla datazione ultima della II fase, sull'epoca, cioe, riferibile ad un presunto abbandono del sito, cui sarebbe seguita una rioccupazione, da connettersi probabilmente, al generale incremento demografico e alla rinascita economica della Sicilia greca in seguito alla venuta di Timoleonte. I dati archeologici e numismatici sembrerebhero concordare sulla cronologia dell'abbandono definitivo della città Nella fase phi antica, la circolazione monetale della città appare caratterizzata dalla presenza di frazioni in argento, databili a partire dall'inizio del V sec. a.C. fino all'ultimo quarto circa. Definite in greco "kermata" costituiscono, prima dell'introduzione della moneta di bronzo, uno strumento di economia quotidiana, soggetto ad un veloce passaggio di mano e conseguentemente ad una rapida usura e ad una facile perdita 50 Sono presenti soprattutto emissioni delle città calcidesi (Naxos, Rhegion, Leontinoi) e di due centri indigeni quali furono Abaceno e Stiela. 185
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In questa fase, la pill attestata è la zecca di Rhegion con tre esemplari tra cui una dracma. Ii dato non desta meraviglia considerato che lo studio dei rinvenimenti di monete reggine in tesoretti siciliani ha mostrato la gravitazione di Rhegion verso la Sicilia sin dai tempi pill antichi 51 . La distribuzione dei tesoretti evidenzia, tra l'altro, una penetrazione pressoché in tutte le aree della Sicilia, ma con punte di addensamento nel settore calcidese dell'isola 52 Il confronto, inoltre, con i ritrovamenti effettuati durante gli scavi a Naxos mostra rilevanti similitudini con quello che doveva essere ii circolante di V sec. a.C. nell'anonimo centro antico di Francavilla. Abbiamo già sottolineato 53 la presenza a Naxos, come nel nostro centro, della litra di Abaceno caratterizzata da un tipo sconosciuto dal Bertino, e ritrovata insieme a monetine della stessa Naxos e di Rhegion, dell'ultimo quarto del V sec. a.C. Dalle esplorazioni piLi recenti, inoltre, in strati di eta classica, e in associazione a materiali databili intorno alla metà del V sec. a. C. provengono, oltre ad esemplari della stessa Naxos, un tetradramma di Rhegion databile tra ii 461 ed ii 445 a.C., e due oboli di Leontinoi dello stesso tipo presente a Francavilla Le presenze monetali sembrano dunque confermare i rapporti stretti, probabilmente economici e culturali con Naxos, rapporti che apparivano evidenti sin dall'età tardoarcaica per la tipologia di alcune forme ceramiche e per la produzione coroplastica 55 . Si giustificherebbe cos! ptLi facilmente il momento di abbandono di Francavilla verso la fine del V sec. a. C., in concomitanza con la distruzione di Naxos ad opera di Dionisio I nel 403 aC.56 E soltanto a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C. che ii centro mostra una modesta rinascita, con il riutilizzo e la ristrutturazione almeno di una strada e forse di alcune abitazioni dell'impianto precedente 57. Dal punto di vista monetale assistiamo a dei cambiamenti: predomina la valuta bronzea, diventando pressoche esclusiva 58 e sara il numerario siracusano a costituire durante ii IV e ii III sec. a. C., il circolante principale, manifestando il netto delinearsi della nuova leadership politica di Siracusa. Le emissioni siracusane pill antiche comprendono, oltre a due bronzi databili a partire dall'ultimo quarto del V sec. a.C. , soprattutto tetrantes dionigiani con ippocampo ed una litra con testa di Atena/astro e delfini. Purtroppo ancora insoluto appare il problema della durata della produzione di tali serie; l'esame del materiale giunto sino a noi sembra indicare una coniazione piuttosto lunga, probabilmente per tutto l'arco della vita di Dionisio I, e la circolazione dei suoi bronzi, inoltre, pur logori o riconiati, continue probabilmente anche dopo Timoleonte 6° Ii periodo compreso tra la morte di Dionisio e l'arrivo del condottiero corinzio fu, infatti, caratterizzato da una scarsissima, se non inesistente, attività monetale da parte delle città greche che avevano coniato abbondantemente nel secolo precedente, e da una serie di riconiazioni e contromarcature effettuate da alcuni centri indigeni situati su posizioni strategiche dell'interno dell'isola o lungo ii confine con ii flume Halykos61. Alla luce di queste considerazioni, e senza l'ausilio di nuovi dati di scavo 62, sorge ii dubbio che le monete siracusane emesse verso la fine del V sec. a.C. (testa femminile/polpo e testa femminile/astro entro quadrato incuso), costituiscano un residuo di circolazione e gli ippocampi dionigiani abbiano costituito per Francavilla la componente principale della circolazione monetale nel IV sec. a.C., dopo la rioccupazione del sito, sino ad eta timoleontea e forse oltre 63 Una conferma alla nostra proposta potrebbe derivare dal confronto con le presenze monetali rilevabili in altri siti. Già lo studio dei ritrovamenti a Morgantina ha evidenziato come la circolazione monetale nel periodo che va da Dionigi all'età timoleontea, appaia caratterizzata oltre che dai bronzi siracusani (ippocampi e testa di Atena/Astro e delfini) anche dalle emissione a leggenda KAINON 64 e dalle emissioni siculo-puniche con testa maschile/cavallino in corsa 65, assenti invece da Francavilla 66 Anche a Monte Saraceno di Ravanusa risulta attestata una continuità di frequentazione dell'acropoli nella prima metà del IV sec., grazie alla presenza di alcuni reperti ceramici, di monete dionigiane e soprattutto di due pegasi corinzi del IV periodo Ravel (414-387 a.C.) e delle emissioni a nome Kainon67. L'analisi del solo materiale numismatico non puà comunque offrirci indicazioni precise, che possono derivare soltanto dal confronto con gli altri reperti rinvenuti nella medesima stratigrafia o sequenza stratigrafica, in particolare i frammenti ceramici; e a tutt'oggi, purtroppo, i materiali recuperati, anco-
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ra, tra l'altro, in fase di studio, non sembrerebbero condurre oltre la fine del V sec. a.C., mentre aiquanto rara risulterebbe la ceramica sicuramente databile alla prima meta del IV sec. a.C. 68 Considerando dunque la lunga possibilità di circolazione delle monete, ii rapporto tra la datazione stessa della moneta e ii momento della perdita risulta fondamentale per stabilire la cronologia del contesto di provenienza69. Mancano, sino ad oggi, ad eccezione degli ippocampi e contrariamente a quanto è riscontrabile in altri centri, emissioni databili nella prima metà del IV sec. a.C. Oltre un rovinatissimo bronzo di Tauromenio battuto a nome della Symmacl'zia timoleontea, risulta assente anche numerario emesso dal comandante corinzio. Un evidente aumento di presenze monetali si registra soltanto dopo ii 338 a.C. con le emiSsioni di Tauromeni0 70, che sembra essere subentrata a Naxos nell'entroterra 71 . La presenza di numerario siracuSano sara abbondante soltanto successivamente, soprattutto nell'età agatoclea, e p01 anche con Hiceta ed, in parte, con Hierone II. Oltre alle piü comuni serie agatoclee con testa di Cora/toro cozzante, sono presenti alcune monete con testa di Apollo/pegaso; la presenza di lettere e simboli confrontabili con quelli caratterizzanti gli elettri e i tetradrammi di Agatocle su queSte emissioni ha fatto ipotizzare per essi una analoga datazione. Ben rappresentata e la Serie con testa di Zeus Hellanios/aquila su fulmine, dell'età di Hiceta, anche se, la concentrazione di queSte monete, come abbiamo già supposto, potrebbe far pensare ad un gruzzoletto nascoSto nell'area da tempo abbandonata del Santuario arcaico. Dal punto di vista archeologico dobbiamo perè dire che non esiste alcun elemento a sostegno di queSta ipotesi: se è vero che sette di questi esemplari sono stati rinvenuti nello steSSo strato, altri due provengono da un saggio vicino. Si potrebbe penSare, quindi, ad una duplice Spiegazione: la dispersione del gruzzoletto, originariamente unitario, verificatasi dopo un'azione di disturbo, oppure avvenuta in Seguito ad uno spoStamento conseguente ad una sistemazione successiva dell'area, della quale perô lo scavo non ha dato elementi. Pochi gli esemplari d'età ieroniana, e tutti appartenenti alla prima fase, presumibilmente entro 11 241 a.C. Si ritrovano le serie con testa di Core/toro cozzante IE, testa di Jerone laureato/cavaliere e testa di Poseidon/tridente coniate su tondello grande, e mai i tipi con il ritratto di lerone diademato cronologicamente pill recente72. Accanto alle monete siracusane, tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C., si riconoscono anche alcune emissioni siculo-puniche, databili a partire dall'ultimo decennio del IV al primo quarto del III Sec. a.C. Vanno segnalati due esemplari mamertini con i tipi testa di AreS/toro cozzante e testa di Zeus/ toro cozzante, privi di segni di valore e coniati in seguito all'impegno finanziario legato alle vicende della prima guerra punica, che rappresentano insieme alle monete ieroniane le monete put recenti restituite dagli scavi. Catalogo73 Ri Toro cozzante a s., in alto simbolo
Via Russotti RHEGION 1 D/ Testa di leone frontale. R/ Testa di Apollo volta a d., davanti PH FIN, dietro simbolo. AE gr. 7,6 mm 21 Morgantina Studies, pp. 73-74, 44-45: 350-270 a.C.; MASTELLONI 1994, pp. 218 ss.: 300-270 a.C. ABA CENO 2 D/ Testa coronata di canne volta a s.
(cornucopia), in
esergo tracce di lettere. AE gr. 5 mm 20 CALcIATI I,
p. 73, 4: 336-317
a.C.
MAMERTINI D/ Testa laureata di Ares a d. R/ Toro cozzante, in esergo tracce di leggenda: NQN AEgr. 15,48 mm 24 SARSTROM 1940, serie I, gruppo A, pp. 39-40: 288-278 a.C.; CACCAMO CALTABIANO, P. 15: 264-241 a.C.
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SIRACUSA
RI Cavaliere al galoppo con elmo, lancia, corazza e
4-6
clamide. AEgr. 14,95 mm 25 CApaOccIo, pp 210-218: 269-241 a.C.
DI Testa di Atena a s.
R/ Ippocampo e contromarca. AE gr. 6,50 mm 18; gr. 5,42 mm 19; gr. 4,05 mm 19 CUTRONI TUSA: dal 409 a.C. 7 D/ Testa di Atena con contromarca (testina maschile volta a s.) RI Ippocampo con contromarca (ruota e OFKI) AE gr. 5,86 mm 16 GARRAFFO, p. 202, 14: dal 400 a.C. Ca. 8 D/ Testa di Atena a s. RI Ippocampo e contromarca non identificabile (ruota?) AE gr. 5,14 mm 18 Documento acquistato da () il 2023/07/06.
9 DI Testa di Apollo volta a s.
RI Cane con testa retrospiciente. AE gr. 1,87 mm 11,5 HOLLOWAY 1970, p. 142: 344-316 a.C.; GARPAFFO 1987, p. 125: 320-318 a.C.
10 D/ Testa di Artemis volta a d. RI ATAOOKAEAE BAIAEO Fulmine AE gr. 5,94 mm 21 HOLLOWAY 1979, p. 92: 304-290 a.C. 11 D/ Testa di Zeus Ellanios volta a s. Tracce di leggenda RI Aquila stante su fulmine a s., a s. astro. AE gr. 7,64 mm 22 HOLLOWAY 1962, pp. 6-17: 287-278 a.C. 12-20 D/ Idem. RI Aquila stante su fulmine a s. IYPA AE gr. 6,15 mm 21; gr. 3,71 mm18; gr. 3,6 mm 23; gr. 3,37 mm 22; gr. 3,1 mm 19; gr. 3,05 mm 16; gr. 2,53 mm 18; gr. 2,47 mm 19; gr. 1,20 mm 16 21-22 D/ Testa di Eracle con leonte volta a s. RI 1YPA Atena Alkidamos. AE gr. 8,64 mm 23; gr. 2,70 mm 18 GAaiucI, p. 347-354: 278-276 a.C. 23 D/ Testa di Cora coronata di canne volta a s. RI Toro cozzante a s., in alto A e clava, in esergo IE AE gr. 4J2 mm 20 CiuRoccIo, pp. 202-204: 275-263 a.C. 24 D/ Testa di lerone II laureato volto a s.
25 D/ Testa di Poseidon diademato volto a s. RI Tridente IEP! AE gr. 4,02 mm 17 CA1uoccIO, pp. 214-216: 256-215 a.C. TA UROMENIO
26 D/ Testa di Apollo laureato a s., davanti APXAF ETA RI Toro androprosopo a s., davanti grappolo d'uva. AE gr. 12,31 mm 23 CoNsoLo LANGHER, p. 76, gruppo A, litra: 357-345 a.C.; MiuTINO, p. 67 post 338 a. C. 27 D/ Elmo campano. RI TA in monogramma (entro corona di alloro). AE gr. 0,30 mm 0,7 (Mercenari campani) CALcIATI III, pp. 327-328, 2ss.: 344-336 a.C.; CAsT1izIO 354-336 a.C. SICULO-PUNICA
28 D/ Testa di Persephone volta a s. RI Cavallo stante e palma, in alto a s. si vede un gbbetto. AE gr. 1,13mm 15 Morgantina Studies II, p. 113, 436: 310-270 a.C.; FREY KTJPPER: 300-275 a.C. Via Asiago (proprietà Cacciola) LEONTINI
29 D/ Testa di leone. RI Chicco di grano AEON ARgr. 0,55 mmli GROSE, p. 275, 2325 :500-466 a.C. MESSANA
30 D/ Testa di Messana volta a s., davanti leggenda. RI Biga al passo a d. AE gr. 9,8 mm 25 CACCAMO CALTAB1ANO 1993, pp. 146-148: 317-311 a.C. MAMERTINI
31 DI Testa
di Zeus laureato volto a d., dietro fulmine. R/ Toro cozzante, in esergo tracce di leggenda. AE gr. 7,15 mm 21
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SARSTROM, serie II, gruppo B, 43-49: 288-278 a.C.; CACCAMO CALTABIANO: 264-241 a.C. 32 D/ Testa di Zeus laureato volto a s. davanti AIO R/ Aquila su fulmine, in alto da d. MAME AE gr. 3,7 mm 18 SARSTROM periodo V, gruppo C : 280-278 a.C.; CACCAMO CALTABIANO: 264-241 a.C. SIRACUSA
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33 D/ Testa femminile volta a d. con i capelli tirati in alto. Intorno delfini. R/ Polipo (si vedono due globetti). AE gr. 3,8 mm 15 GABIUCI, P. 171, 1 ss. : 2nda metà V sec. aC.; HOLLOWAY 1979, pp. 124 ss.: dal 425 a.C. 34-35 D/ Testa di Atena volta a s. RI Ippocampo con briglie. AE gr. 7,15 mm 20; gr. 6.6 mm 19 CIJTRONI TUSA: dal 409 a.C. 36 D/ Testa di Atena elmata volta a d. R/Pegaso ad. gr. 6,0 mm 21 GABRIcI, P. 177, 226-229 : 310-308 a.C.; HOLLOWAY 1970, pp. 140-141: 330-316 a.C. 37 D/ Testa di Apollo volta a s. RI Pegaso in volo a s., in basso A. gr. 4,4 mm 18 GABIUcI, P. 174, 121 ss. :336-317 aC.; JENKINS , P. 152: 317-310 a.C. 38-39 D/ Testa di Cora coronata di canne volta a s. RI Toro cozzante a s. AE gr. 2,5 mm 15; gr. 2,2 mm 15 GABRIcI, P. 177, 206-221: 317-310 40 D/ Testa di Zeus laureato volto a s. RI Aquila su fulmine. AE gr. 2,5 mm 17 HOLLOWAY 1962, pp. 6-17: 287-278 a.C. 41 D/ Testa di Cora coronata di canne volta a s. R/ Toro cozzante a s., in alto lettera e clava, in esergo IE AE gr. 2,25 mm 17 CARaOccIO, pp. 202-204: 275-263 a.C.
TA UROMENIO
42 D/ Testa di Apollo volta a s. RI Cetra, ai lati leggenda. . . .ENITAN AE gr. 7,1 mm 22 CoNsoLo LANGHER, pp. 97-98: 345-338 aC.; MARTINO, P. 67: post 338 aC. SIC ULO-P UNICA
43 D/ Testa di Persefone a s. RI Cavallo stante e palma. AE gr. 2,15 mm 15 Morgantina Studies II, p. 113, 436: 310-270 a.C.; FREY
KUPPER: 300-275 a.C.
Palestra Comunale AGRIGENTO (?)
44 D/ Aquila che divora una preda. Fl Granchio e sotto due pesci. AE gr. 4,00 mm 19 Morgantina Studies, p. 76, 73: prima del 406 a.C.; WESTERMARK, pp. 13-15: 425 a.C. SIRACUSA
45 D/ Testa di Apollo laureato volto a s. RI Pegaso in volo a s. AE gr. 3,1 mm 19 GABRICI, P. 174, 121 ss. : 336-317 aC.; JENKINS, P. 152: 317-310 a.C.
P.zza San Francesco ABA CENO
46 D/ Testa di un dio indigeno con i capelli raccolti volta a d. RI Cinghiale stante a s. su linea di esergo, davanti ghiande, in lato BAK AR gr. 0,79 mm 13 BERTINO 1973: 440 a.C. SIRACUSA
47 D/ Testa di Apollo laureato volta a s. RI Pegaso in volo a s. AE gr. 3,75 mm 20 GABRIel, P. 174, 121 ss. : 336-317 a.C.; JENKINS, P. 152: 317-310 a.C.
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Contrada FANTARILLI Proprietà Currenti-Malatino NAXOS
48 D/ Testa di Sileno volto a d. R/ Grappolo d'uva con intorno tralci di vite e leggenda AR gr. 0,55 mm 13 CAHN, tav. IV, 74 ss. (III gruppo): 461-430 a.C. STIELA
49 DI Testa maschile laureata volta a s., davanti al viso
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foglia. RI Parte anteriore di toro androprosopo andante a s., in alto STI AR gr. 0,45 mm 9,5 MANGANARO 1984, pp. 35-36: 430-420 a.C.
Proprietà Silvestro-Laudani Statere di tipo corinzio
50 DI Testa di Atena volta a s. R/ Pegaso a s. AR gr. 6,44 mm 21 RAVEL V periodo: metà IV sec. a.C. SIRACUSA
51 D/ Testa di Atena a s. RI Astro e delfini. AE gr. 28,5 mm 28 CLJTRONI TUSA: 400 a.C. 52 D/ Testa di Apollo laureato volto a s. RI Pegaso in volo a s. AE gr. 2,65 mm. 18 GAB1AicI, P. 174, 121 ss. : 336-317 a.C.; JENKINS, P. 152: 317-310 a.C.
AE gr. 2,3 mm 15; gr. 1,9 mm 17 CAIu.occIo, pp. 202-204: 289-285 a.C. 57 DI Testa giovanile di Eracle con i capelli cinti da benda a d., dietro arco, davanti SYPAK RI Leone andante a d. con la zampa anteriore sollevata, sopra clava, in esergo freccia. AE gr. 6,7 mm 23 HOLLOWAY 1979, pp. 92-93: 290-289 a.C.; CACCAMO CALTABIANO, p. 152: 289-288 a.C. SIRAC USA oMAMERTINI
58 D/ Testa di Zeus Ellanios volta a s. RI Aquila stante verso s AE gr. 6,7 mm. 21 TA UROMENIO
59-61 D/ Testa di Apollo laureato volto a s. RI Toro androprosopo a s., sopra TAYPOM..., davanti grappolo d'uva. AE gr. 14,8 mm 25; 13,8 mm 25; 13,65 mm 24,5 MARTINO: post 338 a.C.; CoNsoLo LANGHER, p. 76 ss., gruppo A litre: 357-345 a.0 62 D/ Testa di Apollo laureato volto a s., davanti APKAFE... RI Toro cozzante a s. Intorno TAYPOMENITAN (anche in esergo). AE gr. 2,95 mm 19 MARTINO: post 338 a.C.; CoNsoLo LANGHER, pp. 80-81, gr. B: 357-345 a.C. 63 DI Testa laureata di Apollo volto a s. RI Toro cozzante a s. AE gr. 7,4 mm. 21 MARTINO: post 338 a.C.; CoNsoLo LANGI-IER, p. 76 ss., gruppo B: 357-345 a.C. SICULO-PUNICA
53 D/ Testa di Cora coronata di spighe volta a s. RI Toro cozzante a s., sopra delfino e AT, sotto delfino. AE gr. 9,55 mm. 21 GAmuci, pp. 174-5, 143 ss.
64 DI Testa di Persefone volta a s. RI Protome di cavallo a d. AE gr. 2,9 mm 16 CALcIATI, III, pp. 393-398: 300-260 a.C.
54 DI Idem. RI Idem, ma sopra delfino e N, sotto delfino. AE gr. 9,45 mm. 22
Proprietà Silvestro - Arcidiacono
55-56 DI Testa di Cora a s., davanti YPAKOIQN RI Toro cozzante, sopra simbolo.
RHEGION
65 D/ Lepre in corsa a d. RI Leggenda retrograda RE
190
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ARgr. 0,67 mm 11 CACCAMO CALTABIANO, pp.
350-352, 119436: 480-474/
462/1 a.C. Proprietà Merlo - D'Aprile
RHEGION 66 D/ Testa di leone frontale. R/ RECI entro corona. AR gr. 0,7 mm 12 HERZFELDER, p. 25, tav. IV, B: 445-435 a.C. SIRACUSA 67 D/ Testa di Cora volta a s.
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R/ Quadrato incuso entro cui astro AE gr. 4,85 mm 17,5 HOLLOWAY: 415-405 A.C. 68-69 D/ 7-YPA Testa di Atena volta a s. RI Ippocampo AE gr. 8 mm 21; gr. 7,6 mm 20 CIJTRONI TTJSA: dal 409 aC. 70
D/ Testa di Cora volta a s., davanti leggenda. RI Toro cozzante a s., in alto delfino, in esergo (A). AE gr. 3,3 mm 16 CAIuoccIo, p. 203: 317-310 a.C. 71
D/ Testa di Cora volta a s., dietro monogramma. RI Toro cozzante a s., in alto monogramma, in esergo YPAKOIQN AE gr. 3,35 mm 16 CAaoccIo, p. 203: 317-310 a.C. Via Liguria 72
RHEGION DI Maschera di leone frontale RI lokasto seduto su sgabello a s. regge con la d. un'asta. RECIN 101N. Intorno corona. ARgr. 4,25 mm 18 HERZFELDER, pp. 18-19, tav. III, 26: 461-445 a.C. ELENCO DELLE MONETE sacoNoo I SAGGI DI scvo
Via Russotti (proprietà Grifô, scavo 1979)
Saggio 1. Tag/jo superiore del piano ruspa 1 Siracusa, n. 23 (275-263 a.C.)
Ampliamento N Sett. acc., taglio 1 1 Siracusa, n. 24 (269-241 a.C.) Sporadico ne//a terra smossa da//a pa/a meccanica 1 Siracusa, n. 21(278-276 a.C.) 2 Illeggibili Via Russotti (proprietà Puglia, scavo 1981)
Saggio 3181. Tag/jo 1 1 Tre Piccioli 1 Illeggibile Tag/jo 3 2 Siracusa, nn. 12 e 15 (287-278 a.C.) Saggio 4181. Tag/jo 3 1 Siracusa, n. 6 (dopo il 405 a.C.) Siracusa, nn. 13-14, 16-20 (287-278 a.C.) Tag/jo 3, sul muro durante la ripu/itura. 1 Abaceno, n. 2 (336-317 a.C.) Saggio 6181. Tag/io 4 1 Illeggibile Saggio 7181. Tag/jo 3 1 Siracusa, n. 22 (278-276 a.C.) 1 Rhegion, n. 1 (300-270 a.C.) 1 Eta spagnola Saggio 8/81. Superficia/e dal piano di ca/pestio. 4 Illeggibili Tag/jo 4 1 Siracusa, n. 11(287-278 a.C.) Saggio 9181. Tag/io 1 e 2 2 Eta spagnola Tag/io 3 1 Siracusa, n. 4 (dal 409 a.C.) Trincea 9181, sett. B, tag/jo 2 1 Mamertini, n. 3 (264-241 a.C.) Sporadico nei pressi de//a trincea 9 1 Ire piccioli Saggio 10181 Tra /e pietre cadute a Sud del muro E 1 Siracusa, n. 8 (400 a.C.ca.) Trincea 11181. Tag/io 1 dal piano di ca/pestio 1 Guglielmo 11(1166-1189). 1 Vittorio Emanuele 1 Illeggibile Contrada Matrice. Ritrovamento fortuito
1 Mezzo follis di Costante II, n. 32 Via Russotti (proprietà Piliero ex Puglia, scavo
1984) Sporadico durante /'abo/izione de/ piano alto con pa/a rneccanica 2 Eta spagnola 3 Illeggibili Saggio 13184. Tag/io 1 1 Eta spagnola Saggio 14184. Tag/io 1 1 Siracusa, n. 5 (dal 409 aC.) 191
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Saggio 16184. Taglio 2
Saggio 6190
1 Tauromenio, n. 26 (post 338 a.C.) 1 Gordiano III, n. 31
Saggio 6190. Nel grosso interro superiore.
Saggio 17184. Taglio 2
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1 Tauromenio (Mercenari campani), n. 27 (354-336 a.C.)
1 Denaro aragonese 1 Tre piccioli di Filippo III 1 Illeggibile Saggio 6190. Taglio 2
Saggio 18184. Taglio 1
1 Tauromenio, n. 14 (post 338 aC.)
1 Illeggibile 1 Non attribuibile, ma di eta greca.
Saggio 719. Spicconatura generale
Sporadico dopo la pioggia
Ambiente 4. Saggio 10190. Taglio 2. Allargamento NW
1 Carlo II 3 Illeggibili
1 Leontinoi, n. 1 (480-466 aC.)
Saggio 21184. Taglio 1
Palestra comunale
1 Eta spagnola Taglio 3 1 Siracusa, n. 9 (344-316 aC.) 1 Siracusa, n. 25 (256-215 aC.) 1 Frammento, forse Siracusa? Saggio 24184. Taglio 2 1 Siracusa, n. 10 (304-290 a.C.)
1 Mamertini, n. 3 (264-241 a.C.)
Trincea 519. Tagliol
1 Siracusa, n. 2 (330-316 a.C.) Saggio 819. Taglio 1
1 Illeggibile Saggio 16191 Nella ripulitura del saggio 1
1 Illeggibile
Taglio 3
Saggio 17191. Taglio 2
1 Siracusa, n. 7 (post 400 a.C. ca.) 1 Siculo-punica, n. 28 (310-280 aC.)
Taglio 4
1 Due centesimi
Abolizione passaggio 11-12181 unificato
1 Agrigento?, n. 1 (425 a.C.circa)
1 Illeggibile
Saggio 18194. Taglio 1
Illeggibile Via Asiago (proprietà Cacciola, scavo 1989-90) Saggio 2189. Taglio 8
P.zza San Francesco (scavo 1996)
1 Messana, n. 2(317-311 a.C.)
Saggio 1196. taglio
Saggio 3189 - 4189. Rifilatura parete NE
1 Mamertini! Siracusa, n. 12
1 Non attribuibile, ma di eta greca 2 Illeggibile
Abolizione passaggio fra 3189 - 4189. Taglio 1
Saggio 2196. Ta2lio 3
1 Siracusa, n. 5 (post 425 aC.) Saggio 5 A189 unificato. Taglio 8
1 Siracusa, n.13 (275-263 a.C.) Sagio 5 B189 unificato. Taglio 4
1 Mamertini, n. 4 (264-241 aC.) Saggio 5B189. Ambiente 1. Taglio 5. Allargamento NW
1 Siracusa, n. 9 (330-316 aC.) 1 Siracusa, n. 10 (317-310 a. C.)
1 Abaceno, n. 1 (440 a.C.) 3 Eta aragonese Taglio 4
1 Siracusa, n. 2 (330-316 a.C.) Contrada Fantarilli (proprietà Currenti-Malatino) Anibiente 2. Saggio 3195 Al di sotto della caduta di tegole
Saggio 5 B189 A NT/I/del inuro f Taglio 10
1 Naxos, n. 1(461.430 aC.)
1 Siracusa, n. 6 (post 409 aC.)
Saggio 5195. Taglio 3
Abolizione passaggio 3189 - 5B189. Taglio 4
1 Stiela, n. 2 (430-420 aC.)
1 Siculo-punica, n. 15 (310-280 aC.) Rifilatura parete (Yampa) 1990
1 Siracusa, n. 11 (317-310a.C.) Abolizione passaggio 1990
Contrada Fantarilli (proprietà Silvestro Laudani) Ambiente 1. Saggio 1194. Taglio 1
1 Siracusa, n. 8 (330-316 aC.)
1 Siracusa, n. 6 (289-285 a.C.)
Saggio 6189. Taglio superficiale
Taglio 2
1 Tre piccioli di Filippo III 1 Eta argonese 1 Illeggibile
1 Siracusa, n. 2 (395-367 aC.) 1 Siracusa, n. 7 (289-285 a.C.) 1 Tauromenio, n. 12 (post 338 a.C.)
Spicconatura 1990, primo spianamento
Strada. Saggio 3194. Taglio 2
1 Siracusa, n. 7 (post 409 a.C.)
1 Siracusa, n. 3 (317-310 a.C.)
192
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2 Siracusa, nn. 4-5 (316-290 a.C.) 2 Tauromenio, nn. 10-11 (post 338 a.C.)
1 Rhegion, ii. 1(480-474/463-461 a.C.) 1 Illeggibile
Saggio 3194 - 4194. Taglio 3
1 Tauromenio, n. 14 (post 338 a.C.)
Contrada Fimtarilhi (proprietà Merlo D'Aprile)
Saggio 4194 Area del saggio, taglio 5
1 Illeggibile e frammentaria Saggio 5194. Taglio 3
1 Eta spagnola? Saggio 6198. Taglio 3
1 Illeggibile
1 Siracusa, n. 5 (317-310 a.C.) Tagiio 4 1 Siracusa, n. 2 (415-405 a.C.)
Saggio 6194. Taglio 2
1 Illeggibile Saggio 12194. Taglio 2
1 Siracusa, n. 8 (289-288 a.C.) 1 Siculo-Punica, n. 15 (300-275 a.C.) Saggio 14194. Taglio 1
Saggio 7198. Taglio 4 1 Siracusa, n. 3 (dal 409 a.C.) Taglio 6
1 Siracusa, n. 4 (dal 409 a.C.)
1 Illeggibile
Taglio 7
Taglio 2
1 Tauromenio, n. 13 (post 338 a.C.)
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Saggio 3198. Taglio 2
Illeggibile
Saggio 15194. Taglio 1
Sag gio 10198. Taglio 1
1 Siracusa o Mamertini, n. 9 Ambiente 2. Saggio 21196. Taglio 3
Saggio 1199. Taglio 2
1 Statere di tipo corinzio, ri. 1(metà IV sec. a. C.) Contrada Fantarilhi (proprietà Silvestro-Arcidiacono) Saggio 3197. Taglio 1
Illeggibile 1 Rhegiori, n. 1(445-435 aC.) Area dei Saggi
1 Siracusa, n. 6 (317-310 a. C.) Via Liguria, saggio 1996
1 Illeggibile
Trincea per La posa condotta acque bianclze
Saggio 4197. Taglio 1
1 Rhegion (466-415 a.C)
193
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PRESENZE MONETALI A FRANCA VILLA DI SICILIA Zecca emittente Abaceno Abaceno Alcragas? Leontinoi Messana Messana-Mamertini Messana-Mamertini Messana-Mamertini Naxos Rhegion Rhegion Rhegion Rhegion Siculo-punica Siculo-punica Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Siracusa Statere "Corinzio" Stiela Tauromenio Tauromenio Tauromenio Tauromenio
Metallo 1 AR 1 AE 1 AE 1 AR 1 AE 1 AE 1 AE 1 AR 1 AR 1 AR 1 AR 1 AR 1 AR 2 AE 1 AR 1 AR 1 AR 7 AR 2 AR 1 AR 1 AR 1 AR 4 AR 1 AR 1 AR 1 AE 5 AE 1 AR 1 AR 12 AR 2 AR 2 AR 1 AE 1 AR 1 AR 1 AR 1 AR 4 AR 1 AE 2 AR
Tipo Testa barbata/cinghiale stante Testa imberbe/toro cozzante Aquila/granchio Testa di leone/chicco Testa di Messana/biga al passo Testa di Ares/toro cozzante Testa di Zeus/toro cozzante Testa di Zeus Hellanios/aquila Testa di Sileno/grappolo d'uva Lepre in corsa/RE retrogrado Testa di leone/divinità seduta Testa di leone/RECI entro corona Testa di leone /testa di Apollo Testa di Tanit/Cavallo e palma Testa di Tanit/protome di cavallo Testa femminile/polpo Testa femminile/astro entro quadrato Testa di Atena/ippocampo Testa di Atenalippocampo e contr. Testa di Atena/Astro e delfini Testa di Apollo/cane retrospiciente Testa di Atena/pegaso Testa di Apollo/pegaso Testa di Persephone/toro cozzante Al Testa di Persephone/toro cozzante N Testa di Persephone/toro cozzante A Testa di Persephone/toro cozzante Testa di Artemis/fulmine alato Testa di Rracle/leone gradiente Testa di Zeus Hellanios/aquila Testa di Eracle/Atena Alkidamos Testa di Persephone/toro cozzante JR Testa di Jerone II laureato/cavaliere Testa di Poseidon!tridente IRP/.. Testa di Atena /pegaso Testa maschile/parte anteriore di toro Elmo frigio/monogramma TA Testa di Apollo/toro gradiente Testa di Apollo/cetra Testa di Apollo/toro cozzante
Cronologia 430-420 a.C. 336-317 a.C. 406 a.C. ante 480-466 a.C. 317-311 a.C. 264-241 a.C. 264-241 a.C. 264-241 aC. 461-430 a.C. 480-461 a.C. 461-415 a.C. 445-435 a.C. 300-270 a.C. 310-280 a.C. 300-275 a.C. 415 a.C. 415-405 a.C. 409 a.C. post 400/395 a.C. 395-367 a.C. 320-318 aC. 317-308 a.C. 317-310 a.C. 317-310 aC. 317-310 a.C. 317-310 a.C. 289-285 aC. 304-290 a.C. 289-288 a.C. 287-278 a.C. 278-276 a.C. 275-269 a.C. 269-241 aC. 256-215 aC. 350 a.C. ca. 430-420 a.C. 354-344 a.C. 338 aC. post 338 a.C. post 338 a.C. post
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NOTE * Ringrazio ii dott. U. Spigo e la dott.ssa C. Rizzo per avermi concesso di esaminare e studiare le monete oggetto di questo contributo, e per la cortese disponibilità offertami. 1 Per una sintesi delle ricerche effettuate finora sul sito si veda U. S pino, Francavilla di Sicilia, in Kokalos, XXVI-XXVIII, 1980-81, IDEM, Ricerche a Francavilla di Sicilia: 1979-81, 1nBCA Sicilia, III, 1982, pp. 151-162 e IDEM, inBTCG, VII, Francavilla di Sicilia s.v., Pisa-Roma 1989, pp. 484-488. Si veda U. SPIGO, Francavilla di Sicilia s.v., in ECO (BAA) II Suppl., Roma 1971-1994, pp. 688-700; U. SPIGO - C. Rizzo, Ricerche a Francavilla di Sicilia: 1989-1991, in Kokalos, XXXIX-XL, 1993-1994, 11, 1, pp. 1039-1057 e U. SPIGO, Un ventennio di ricerche a Francavilla di Sicilia, infra, pp. 643-663. La moneta di Gordiano è stata ritrovata nel saggio 16/84 di Via Russotti, mentre ii mezzo follis di Costante II proviene da un ritrovamento fortuito in Contrada Matrice. La monetazione piti recente proviene dall'area del Santuario, da Via Asiago e da Piazza San Francesco: tra questi sono stati identificati, un trifollaro di Guglielmo II, tre denari aragonesi, otto grani e quattro tre piccioli di eta spagnola. U. SPIG0, inBTCG cit., pp. 484-5, e infra, pp. 643-648. Ibidem, pp. 648-650. 6 Vedi U. Spino, infra, p. 650. Le monete sono attualmente conservate presso ii Medagliere della Soprintendenza di Siracusa; colgo l'occasione per ringraziare i responsabili per la cortese disponibilità. E stato possibile identificare un trifollaro di Guglielmo II e un grano di Carlo II; 5 grani, molto rovinati, non attribuibiii, recanti sul RI ii tipo VT COMMODIVS, 2 "tre piccioli" e una moneta di Vittorio Emanuele. Nonostante i numerosi contributi al riguardo, non è dato di sapere ancora con sicurezza la reale tariffazione di queste Serie bronzee e della serie piü pesante con testa di AtenalAstro e delfini. Su tutto ii problema vedi F. MARTIMO, Evidenze nurnismatiche e ipotesi interpretative su alcune emissioni bronzee di Sicilia, ASM s. III, 49, 1987, pp. 41 ss.; S. GARRAFFO, La nionetazione dell'età dionigiana: contromarche e riconiazioni, in La monetazione dell'età dionigiana, Atti dell' VIII Convegno del CISN, Napoli 1983, Roma 1993, pp. 211-218; M. CACCAMO CALTABIANO, La n'ionetazione di Messana, Berlino 1993, pp. 140-142. D. CASTRIZIO, La monetazione mercenariale in Sicilia (Strategie economiche e territoriali tra Dione e Timoleonte), Soveria Mannelli 2000. Recentemente M. CAccAIvlo CALTABIANO, La monetazione di Dionisio I fra econonsia e propaganda, in La Sicilia dei due Dionisi. Atti della Settimana di Studio, Agrigento, 24-28 febbraio 1999, Roma 2002, pp. 33-45, ha ribadito ii valore reale delle monate bronzee dionigiane ed evidenziato la destinazione specifica di questa valuta, tesa soprattutto a soddisfare l'esigenza di pagamenti di truppe (pp. 36-40 in particolare). Gil esemplari sembrano appartenere alle serie B e C secondo la classificazione di S. GAREAFFO, La monetazione dell'età dionigiana, cit., pp. 200-201. Per una visione di insieme delle cronologie proposte dagli studiosi per queste emissioni e la serie Atena/astro e delfini, di poco successiva, oltre a S. CoNsoLo LANGHER, Contributo allo studio dell'antica monetazione bronzea in Sicilia, Milano 1964, pp. 159-166, la prima degli studiosi moderni ad aver riaffermato la cronologia dionigiana di tall serie, si veda C. BOEHRINGER, Die Münzpragung von Syrakus unter Dionysios, in La monetazione ... cit., pp. 85-89. E phi recentemente M.A MASTELLONI, Delfini e ippocampi sullo Stretto: riflessioni su alcune serie in bronzo di Siracusa, in AIIN 1998, pp. 23-96. 10 S. GARRAFFO, La monetazione dell'etd dionigiana, cit., pp. 206-207, sottolinea l'esiguità dei rinvenimenti da scavo di tall esemplari; lo studioso, comunque, anche se da notizie non ufficiali, e a conoscenza di una loro circolazione nelle area interne della Sicilia Orientale. Vedi catalogo nn. 7-8. La presenza di "OFKI" sulle serie con ippocampo ci informa sul valore assunto da tall esemplari, contromarcati probabilmente dalla stessa Siracusa in seguito all'introduzione di sane pifi pesanti, ma con gli stessi tipi. 12 Ormai certa e l'attribuzione di questa serie a Tauromenio per lo scioglimento del monogramma in tal senso, piuttosto che come KAM (Kampanoi). Si veda infatti, G. MANGAMARO, Recensione al Corpus Nummorum Siculorum, in Gnomon, 60, 1988, pp. 455-457. 13 S. GARRAFFO, La monetazione dell'et6 dionigiana, cit., pp. 233-234; D. CASTRIZIO, cit., p. 53. 14 Ibidem, P. 85. L'emissione era stata datata da S. CoNsoLo LANGHER, Numismatica tauromenitana, in Ricerche di Numismatica, Messina 1967, pp. 76-95, trail 357 ad 11 345 aC. L'emissione sarebbe stata emessa quando ancora la città sicula era riuscita in qualche modo a sottrarsi all'egemonia siracusana poco prima dell'ascesa agatoclea, a coniava sporadicamente alcune monete in bronzo, con peso sempre piü decrescente, destinate ad una circolazione limitata. 16 S. GARRAFFO, Note sulla monetazione siracusana dal 344 al 318 a. C., in NAC XVI, 1987, pp. 125-126, ha fissato la sua datazione, oscillante tra la fine della terza Repubblica e l'età agatoclea, tra il 320 ed il 318 aC. 17 L'emissione presenta la leggenda AFAOOKAEOI BAIAEO, che fornisce un preciso terminus post quem. Per l'introduzione del titolo regale sulle monete vedi S.CoNsoLo LANGHER, Oriente Persiano-Ellenistico e Sicilia. Trasmissione e circolazione di un messaggio ideologico attraverso i documenti numismatici, in REA, XCII, 1990, pp. 29-43. 8 La cronologia delle emissioni puniche e stata di recente oggetto di nuovi contributi, si vedano infatti L. GANDOLFO, Ricerche a Montague dei Cavalli, Rinvenimenti monetari, in Archeologia a Territorio, Palermo 1997, pp. 315-335; S. Fmv KUPPER, Ritrovamenti monetali ad Entella (scavi 1984-1997) (Atti della III Giornata di Studi sull'area elima, Gibellina 1997, Pisa-Gibellina 2000, pp. 479-498). 19 La presenza di moneta reggina in Sicilia e da considerarsi un fatto piuttosto usuale gia a partire dal secolo precedente: si vedano a tal proposito M. CAcCAMO CALTABJANO, Per una stone della circolazione della moneta reggina in Sicilia (secc.V-I a. C.), in CronArch, I, 1970, pp. 35-59; EADEM, La monetazione di Messana, cit., p. 114. Su questa emissione in particolare, si vedano
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le osservazioni di M. A. MASTELLONI, Appendice I, Le monete rinvenute nello scavo, in Meligunis Lipara VII, Lipari. Contrada Diana. Scavo inproprietd Zagami (1975-84), Palermo 1944, p. 218. 20 Vedi nostro catalogo nn. 12-20. Alla vecchia cronologia di M. SARSTROM, A Study in the coinage of the Mamertines, Lund 1940, serie I, gruppo A, pp. 39-40, si preferisce M. CACCAMO CALTABIANO, S. v. Messina. Fonti Numismatiche, in Bibliografia Topografica della Colonizzazione greca in Italia e nelle Isole Tirreniche, X, Pisa-Roma 1992, pp. 14-15. 22 Vedi catalogo fin. 21-22. 23 Vedi catalogo fin. 23-25. 24 U. SPIG0 - C. Rizzo, Ricerche a Francavilla di Sicilia, cit., pp. 1044-1045. 25 U. SPIG0 - C. Rizzo, Ricerche a Francavilla di Sicilia, cit., p. 1046. 26 Si tratta di 2 "tre piccioli" rispettivamente di Filippo II e di Filippo III. 27 Vedi nostro catalogo, n. 29. 28 U. SPIG0 - C. Rizzo, Ricerche a Francavilla di Sicilia, cit., p. 1045. 29 Vedi nostro catalogo nfl. 33-35. 30 S. CoNsoLo LANGHER, Numismatica, cit., pp. 96-98. 31 La serie testa di Apollo/pegaso è Stata datata da G. K. JEN'MNS, Electrum Coinage at Syracuse, in Essays in Greek Coinage presented to Stanley Robinson, Oxford 1968, p. 152, seguito, piC recentemente, da M. CAcCAMO CAITANIsN0, I rinvenimenti monetali: monte Saraceno sede di xenoi?, in Monte Saraceno di Ravanusa. Un ventennio di ricerche e studi, Messina 1996, p. 192, in eta agatoclea tra ii 317 ed ii 310 aC. Tale serie, comunque, abbastanza cospidua, presenta una diffusione attestata in grande misura nella Sicilia centro-orientale. 32 Vedi U. SPIG0 - C. Rizzo, Ricerche a Francavilla, cit., pp. 1046-1047. Vedi U. SPIGo, infra, p. 656. A. BERTINO, Le emissioni monetali di Abaceno, in Le emissioni dei centri siculi fino all'epoca di Timoleonte e i loro rapporti con La monetazione delle colonie greche di Sicilia, Atti del IV Convegno del CISN, Napoli 1973, suppi. vol. 20 AIIN, Roma 1975, p. 117. G. GUZZETTA, Soprintendenza Archeologica della Sicilia Orientate. Siracusa - Museo Nazionale: nuovi rinvenimenti a Naxos, inAIIN, 21-22, 1974-75, pp. 209-211, pensa si possa trattare di un modesto gruzzoletto, smarrito in un momento vicino alla distruzione di Naxos nel 403 aC. Una litra di Naxos e due litre ed una dracma di Rhegion SOflO State rinvenute in van punti dell'abitato di Francavilla, vedi infra pp. 145-146. 36 U. SPIG0 - C. Rizzo, Ricerche a Francavilla di Sicilia, cit., pp. 1055-1057. U. SPIG0, Rinvenimenti numismatici a Francavilla di Sicilia (ME): Naxos e Stiela, in AIIN 42, 1995, pp. 197 e note Seguenti. 38 H. A. CANN, Die Münzen der Sizilischen Stadt Naxos, Basel 1944, p. 124, tav. IV, 71-73. U. SPIGo, Rinvenimenti numismatic, cit., pp. 199-200. 40 Per maggiori dettagli vedi Ibidem, pp. 201-202. 41 V. CAMMARATA, Numismatica e topogrofia antica, in Demetra. Semestrale di Architettura ed Arte, 7, Dicembre 1994, pp. 23-24. 42 Una breve presentazione della scavo è data in U. SPIGO, Rinvenimenti numismatici, cit. p. 200, nota 12. La cronologia di questa serie è sicuramente da porsi in un momento successivo rispetto al nominale inferiore con testa di Atena/ippocampo. A tal proposito vedi per esempio F. MARTINO, Evidenze numismatiche, cit., p. 42. u Vedi U. SPIGo, infra, 650. p. Vedi nostro catalogo n. 58. 46 0. RAVEL, Les "poulains" de Corinthe, II, London 1948. ' Sono presenti, inoltre, una moneta di eta post-medievale e due monete illeggibili. 48 Vedi U. SPIGO, infra, p. 650. u Non sembrano ancora conoscersi le cause dell'abbandono definitivo della città. Per alcune considerazioni si veda U. Spioo, infra, p. 650. 90 Si veda G. MANGMIARO, Dai mikrà kerniata di argento at chalkokratos kassiteros in Sicilia net V sec. a. C., in 1MG XXXIV, 1984, pp. 11-39. Le discussioni intorno alle frazioni in argento hanno niguardato in questi ultimi anni soprattutto ii problema della loro definizione: oboli o litre? Per un riassunto delle vane pOSiZiOni si veda C. Da PIan, Le frazioni di Nasso, Zancle ed Imera: brevi considerazioni, in RIN 94, 1992, pp. 11-25; M. CACCAMO CALTABIAN'O, La monetazione, cit., pp. 27 e 31. M. CACCAMO CALTABIANO, Per una storia della circolazione, cit., pp. 50-59. EADEM, La monetazione bronzea di Reggio net V sec. aC., Cron Arch 18, 1979, pp. 178-180; EADEM, La moneta di bronzo e l'economia delle poleis magno-greche nei secc. V-IV aC., in Actes du 9ème Congres International de Numismatique, Bern 1978, Louvain la Neuve-Luxembourg 1982, pp. 91-93. 52 EADEM , Per una storia della circolazione, cit., p. 59. La presenza di numerario reggino nisulta frequente anche dagli seavi di Himera, dove Rhegion costituisce la terza presenza dopo Siracusa ed Agnigento. Si veda a tal proposito A. CUTRONI TUSA, La monete, in Himera II, Campagne di scavo 1966-1973, Roma 1976, pp. 705-716. u Vedi supra, p. 145. Per maggiori dettagli su tali rinvenimenti Si veda: M. C. LENTINI, Vita dei Medaglieri, Soprintendenza Regionale per to Sicilia, Museo di Naxos: nuovi rinvenimenti monetali di Vsec. a. C. dall'isolato D4 (proprietS Autru-Ryolo, scavi 1995), in AIIN 43, 1996, pp. 259-266. Vedi a proposito le ossenvazioni di U. SPIGo, infra, p. 649. 56 Ad analoghe conclusioni giunge anche U. SPIG0, infra, p. 649.
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infra, p. 654. E presente soltanto uno statere di tipo corinzio databile intorno alla metà del IV sec. a. C. a Ricordiamo si tratta delle emissioni con testa femminile/polpo e testa femminile/astro entro quadrato incuso. 60 S. GARRAFFO, La monetazione deli'età dionigiana, cit., pp. 236-239. Lo studio dci materiali numismatici di Morgantina ha evidenziato, per esempio, come nei livelli di distruzione del 211 a.C., a volte sigillati dalla caduta di tegole, accanto a mUnete battute nella seconda metà del III Sec. a.C., si riscontri altro numerario emesso nella prima meta dello stesso, durante ii secolo precedente ed anche, purse in misura minore, alla fine del V sec. a.C. (Morgantina Studies, pp. 162-168.) 61 Si vedano a tal proposito le osservazioni di D. CASTRIZIO, op. cit., pp. 24-29. 62 Gli ippocampi ritrovati a Francavilla provengono purtroppo da strati piuttosto superficiali, o comunque in livelli di frequentazione riferibili alla successiva fase III (Vedi SPIG0, infra, p. 650). 63 Per la circolazione monetale in eta dionigiana vedi A.CUTROM TUSA, La circolazione in Sicilia, in La nwnetazione dell'età dionigiana, cit., pp. 245-269, dove viene evidenziato come ii bronzo pesante dionigiano e gli ippocampi segnarono la circolazione monetaria nella Sicilia centrale ed orientale sino ad eta timoleontea ed oltre. Analoghi dati si rilevano, per esempio, anche a Crotone, dove si evidenzia la tendenza di monetazione emessa nel V sec. - inizi IV sec. a.C. a confluire in gruppi e strati posteriori, causando una permanenza nella circolazione di materiali antichi che potrebbe aver dato, durante ii IV sec. a.C. e forse fino alla metà del III a.C., "un aspetto eterogeneo alla massa del circolante, ricco di pezzi sopravvissuti" (M.A. MASTELLONJ, Rinvenimenti Numismatici. Brevi note sulla circolazione, in Crotone cia sua stone tra iliVed il III sec. a.C., Napoli 1993, pp. 204-210. 64 Già da R. MAcIuso, Monete a leggenda KAINON, in Philias Charm. Miscellanea di studi classici in onore di E. Manni, IV, Roma 1980, pp. 1365-1374, e ormai, dalla maggior parte della critica moderna (vedi per esempio R. CALcIATI, La monetazione di KAINON. Pro blemi tipologici metrologici e cronologici, in E.Arslan Studia Dicata, I, Milano 1991, pp. 35-65, con bibliografia precedente), e stato evidenziato come questi bronzi, coniati tra ii 400 ed ii 367 a.C., circolino insieme alle emissioni siracusane, muovendosi insieme con gil eserciti di Dionigi. 65 Negli studi pih recenti (L. GANDOLFO, Ricerche a Montagna dei Cavalli, cit., pp. 321-322, e S. FREY KUPPER, Ritrovamenti monetali ad Entella, cit.) la cronologia di queste emissioni, coniate in maniera piouttosto abbondante e ampiamenti diffusi in Sicilia, e stata fissata nella prima meta del IV sec. a. C. 66 Per una valutazione della circolazione monetaria nel IV sec. a. C. a Morgantina vedi S. GARRAFFO, Gli scavi di Morgantina e La monetazione nella Sicilia Onientale tra Dioniso e Timoleonte, in La moneta a Morgantina. Dal tetradrammo al denanio, Atti della giornata di studi Aidone 1992, Catania 1993, pp. 27-54. 67 Si veda A. SJs.scusANo, L'Acropoli, in Monte Saraceno di Ravanusa..cit., pp. 27-31; e M. CAccAMO CALTABIANO, Rinvenimenti numismatici, cit., p. 192. 68 Vedi U. SPIGO, infra, p. 650. 69 Nell'ultimo decennio numerosi studi si sono occupati della problematica moneta/contesto archeologico; si vedano in particolare i contributi di M. CRISTINA MOLINARI, Ii valore ed ii significato dei rinvenimenti monetani nell'ambito di siti plunistratificati. Ii caso di Via del foro Romano, pp. 1-20 e S. SILBERSTEIN TREvIsANI, Le monete ninvenute ad Ostia nella taberna presso ii muro del castrum, pp. 121-137, in La moneta nei cantesti archeologici. Esempi dagli scavi di Roma, Atti dell'Incontro di Studio, Roma 1986; Roma 1989, con bibliografia ivi citata. 70 Seguendo l'allineamento ponderale con le serie siracusane successive all'emissione della litra di gr. 24-20, F. MARTINO, Evidenze numismatic/ic, cit., p. 67, ha ritenuto opportuno datare le serie tauromenitane in questione dopo il 338 aC.; si veda inoltre D. CASTRIZIG, op. cit., pp. 85-86. 71 II territorio della nuova città doveva coincidere in gran parte con quello della distrutta Naxos. Secondo Diodoro (X\TI, 7,1) i profughi nassi, sotto la guida di Andromaco si insediarono sul monte Tauro intorno al 358/7 aC. Al momento della yenuta in Sicilia di Timoleonte, Andromaco fu il primo e ii piü fedele alleato del condottiero corinzio, arrecando alla citta una notevole vitalità testimoniata dall'attività della sua zecca. 72 M. BELL, Monete ieroniche in nuovi contesti di scavo a Morgantina, in M. CAccAMO CALTABIANO (a cura di) La Sicilia tra l'Egitto e Roma. la monetazione siracusana dell'etä di lenone II, Atti del Seminario di Studi Messina 2-4 dicembre 1993, Messina 1995, pp. 289-293, riscontra analoghe presenze monetali all'interno delle botteghe sigillate da uno strato di livellamento aggiunto dopo la costruzione della gradinata verso la metà del III sec. a. C. Elenco delle abbreviazioni usate nel catalogo: BERTINO 1973: A. BERTINO, Le emissioni monetali di Abaceno, in "L'emissioni dei centni siculi fino all'epoca di Timoleonte e i loro rapponti con La monetazione delle colonie greche di Sicilia, Atti del IV Convegno del CISN, Napoli 1973, suppi. vol. 20 "AIIN", Roma 1975, pp. 105-131. CAccAMO CALTABIANO M. CAccAslo CALTABIAMO, s.v. Messina. Fonti numismatiche, in BTCG, X, Pisa-Roma 1992, pp. 12-16. CAcCAMO CALTABIANO 1993: M. CAccAMO CALTABIANO, La monetazione di Messana, Berlin 1993. CALcIATI: CALcIATI R., Corpus Nummorum Siculorum, I-Ill, Milano 1983-87. CARRoccIo: B. CAmeocclo, M. CAcCAMO CALTABIANO, B. CARRocccIo, V. OTEFJ, Ii sistema monetale ienoniano: cronologia e problemi, in La Sicilia tra l'Egitto e Roma. La monetazione siracusana deil'età di lerone II (M. Caccamo Caltabiano a cura di), Atti del Seminario di Studi Messina 1993, Messina 1995, pp. 198-225. CASTRIZIO D., La monetazione mercenaniale in Sicilia (Strategic economiche e ternitoniali tra Dione e Timoleonte). Soveria Mannelli 2000. 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a Vedi U. SPIG0,
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Francavilla, Via Russotti: Rhegion, n. 1; Abaceno, n. 2; Mamertini, n. 3; Siracusa, nn. 4-19.
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ROSA MARIA CARRA BONACASA
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NOTA DI TOPOGRAFIA CRISTIANA AGRIGENTINA. A PROPOSITO DEl C.D. "IPOGRI MINORI" Nel 1948, nell'VIII volume delle Memorie della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, Catullo Mercurelli dedicava un intero capitolo del suo saggio su "Agrigento paleocristiana" ai c.d. "ipogei minori" 1• E la prima e l'unica volta in cui un aspetto cos! particolare del primo Cristianesimo di Agrigento viene trattato e sviluppato con completezza. Nel passato, nessuno dei descrittori di antichità agrigentine - dal Fazello al D'Orville, dal Pancrazi al Principe di Biscari, dal Muenter al Brydone, dal Denon al Conte di Stober, dal Serradifalco al Picone - aveva dedicato pii di qualche breve segnalazione a questi monumenti 2• Una descrizione piü attenta ed accurata si trova nel volume sulla Topogafia di Agrigento dello Schubring e phi tardi nell'opera del Führer, ii quale dichiara espressamente di avere esplorato phi di venti ipogei raccogliendo un'adeguata documentazione grafica e fotografica, che, purtroppo, e andata dispersa con la morte dell'autore e non fu mai phi pubblicata nell'opera postuma edita dallo Schultze 3. Bisognerà attendere gli inizi degli anni '80 del secolo XX perché Ernesto De Miro riproponga all'attenzione degli studiosi, in un quadro phi ampio ed aggiornato delle conoscenze sulle antichità paleocristiane di Agrigento 4 , anche 1 phi significativi "ipogei minori" inaugurando un fronte di ricerche interdisciplinari che ha visto coinvolta, negli anni successivi, la Cattedra di Archeologia Cristiana dell'Università di Palermo in una stretta e fattiva collaborazione con la Soprintendenza di Agrigento nel programma di riesame, ricerca e valorizzazione del patrimonio paleocristiano e bizantino 5 . E di questo gli sono particolarmente grata. Nel contesto della necropoli paleocristiana agrigentina i c.d. "ipogei minori" rappresentano un aspetto assai significativo in ragione del loro numero considerevole e per ii fatto che sono un cornplemento del grande cimitero comunitario paleocristiano della città - in parte ipogeo e in parte sub divo - la cui vita, come hanno dimostrato i phi recenti scavi, inizia con l'ultimo venticinquennio del III secolo 6 Gli ipogei minori affiancano la catacomba comunitaria -c.d. Grotta di Fragapane - e l'annesso cipiitero sopra terra e si dispongono - almeno quelli phi interessanti, per consistenza e monumentalità - lungo un'unica direttrice O-E, che era stata già riconosciuta dal Führer e dal Mercurelli ed e poi stata confermata dal De Miro. Infatti l'intera area cimiteriale paleocristiana si colloca sul lato meridionale della città, sfruttando l'ampia terrazza di calcarenite sul cui margine esterno correva ii tracciato dell'antica cinta murana, e occupa soprattutto la zona compresa tra ii Tempio di Ercole e il Tempio della Concordia, estendéndosi altresl ad Est e a N-E di quest'ultimo, con i c.d. arcosoli bizantini (fig. 1) lungo le mura meridionali, con gli ipogei di Casa Malogioglio, tra I templi di Giunone e della Concordia, e specialmente con l'interessante complesso della Latomia Mirabile (fig. 2), nel quale è stato sistemato, propnio in anni recenti, ii piccolo Antiquarium Paleocristiano della Valle dei Templi 7. Le scoperte effettuate con le campagne di scavo promosse dalla Soprintendenza di Agrigento negli anni 1993 e 19968, hanno ulteriormente chiarito che una siffatta disposizione dell'intera necropoii paleocristiana non è del tutto casuale, ma e stata determinata da precisi condizionamenti, prima fra tutte la sequenza ininterrotta di cavità preesistenti, già intuita dai precedenti descrittori - cisterne per la raccolta dell'acqua, depositi per cereaL, vecchie cave di pietra, come la Latomia Mirabile ma soprattutto per il fatto che sia la catacomba Fragapane col suo vasto cimitero subdiale, sia una gran parte degli "ipogei minori" (Tav. I: D,E,F,L,P,Q,M,N,O) si affacciano con i loro ingressi lungo la direttrice di uno stesso asse viario preesistente, orientato O-E e largo m 5,50, del quale sono state ri203
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Fig. 1. I c. d. arcosoli bizantini lungo le mura meridionali. portate in luce le sponde tagliate nella roccia davanti agli ipogei P, 0, M, due del quail (P e 0) erano finora sconosciuti 9. Del resto, la presenza di un tratto di strada di eta greca era già stata riconosciuta anni or sono a Nord dell'Ipogeo D dal De Miro, che giustamente la ritenne in stretta relazione con quest'ultimo per ii fatto che risulta collegato al livello superiore della carreggiata da una rampa di sei gradini '°. Indagini topografiche promosse dafla Soprintendenza di Agrigento, in seguito a queste nuove scoperte effettuate nell'area della necropoli paleocristiana ad Est della catacomba di Fragapane, hanno in parte modificato le conoscenze che si avevano sul tessuto urbanistico di eta classica ed hanno confermato, altresl, che l'asse viario 0-F, antistante 1'Ipogeo D, non è mai stato dismesso, anzi venne mantenuto in perfetta efficienza per servire ii cimitero paleocristiano collegandolo con la città11. Questa strada - da ora in poi ci piace definirla "via del sepoicri" - col suo tracciato incrocia ad Ovest ii cardo che, scendendo dall'area del Ginnasio, arrivava fino al Santuario di Esculapio, fuori porta. Anche questo asse viario, almeno neli'ultimo tratto prima della porta urbica, doveva essere funzionale alla necropoli paleocristiana, dal momento che è stata riscontrata la presenza di altri due "ipogei minori" (G e H, Tav. II) proprio nel punto di confluenza tra le due strade N-S ed 0-E. Pifi ad Est, oltre gli ingressi degli Ipogei E, F (Tav. II) e D e lungo ii fronte meridionale della nostra "via dei sepoicri" si attestava, a distanze abbastanza regolari, una fila di sarcofagi monolitici a cassa, di calcarenite locale, nella quale abbiamo riconosciuto ii limite nord della necropoli sub divo 12• Sullo stesso asse viario si aprivano sia il lungo dromos che attraversando la necropoli sub 204
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Fig. 2. Particolare dell'interno di uno degli ipogei di Casa Pace. divo dava acceso alla Grotta di Fragapane, collegandola anche con l'area della necropoli romana
Giambertoni, fuori le mura, sia gli ingressi degli altri "ipogei minori" L,P,Q,M,N,O che si trovano piü ad Est (lay. I). Ad Oriente di questi ultimi e a NE del Tempio della Concordia, la suddetta "via dei sepoicri" incrociava un altro cardo, che, scendendo dal quartiere dell'abitato greco-romano in contrada San Nicola, lambiva ii complesso di Villa Atena, nel quale e stata riconosciuta la presenza di una chiesa urbana del V-VT secolo con un altro cimitero annesso 11 . Quindi, dopo aver superato il complesso della Latomia Mirabile, caratterizzato dalla presenza altri due "ipogei minori" ed di alcuni arcosoli, il cardo proseguiva fino ai piedi della terrazza dei templi in prossimità del Tempio della Concordia; sicchd quest'ultimo dopo la trasformazione in chiesa cristiana, nel VI secolo, continuO come nel passato, ad essere direttamente collegato con l'abitato, ma era anche in stretta relazione con la necropoli paleocristiana e bizantina di Agrigento. Me risulta che l'intero cimitero, la cui frequentazione dovette protrarsi dall'ultimo venticinquennio del III secolo almeno fino all'VIII, se non addirittura fino alla conquista araba della città, era concentrato in un'area esteSa e nello stesso tempo ben circoscritta, delimitata com'era a Sud dalla balza rocciosa su cui si impostavano le antiche mura meridionali, ad Ovest dal cardo che scendeva dall'area del Ginnasio, e ad Est da un secondo cardo proveniente dal quartiere greco-romano di San Nicola. La distribuzione delle aree funerarie comunitarie e degli ipogei a carattere privato lungo l'unica 205
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Fig. 3. L'accesso all'Ipogeo 0 dalla strada.
direttrice di quella che abbiamo definito "via dei sepoicri", che scandisce ii limite settentrionale del cimitero, dimostra una ben chiara e premeditata pianificazione ed una ordinata gestione dell'intera necropoli che e stata rispettata nel tempo, senza sconfinamenti né occupazione di suolo pubblico, come le strade, fino al momento del definitivo abbandono. Questa organica distribuzione degli spazi fu certamente determinata dall'intervento diretto di una gerarchia ecclesiastica vigile e presente; ii suo sviluppo nel tempo sembra coinvolgere anche ii gruppo sparuto di arcosoli che si trova immediatamente a Nord della necropoli sub divo, all'interno di una conca semicircolare inserita in una depressione, forse ii residuo di un'antica cava di pietra. Infatti, sia la conca I, sia l'Ipogeo 0 - una recentissima acquisizione, come abbiamo detto, che si estende pifl avanti ad Est lungo la "via dei sepoicri" - sfruttarono la stessa baiza rocciosa che si trovava ad una quota piü bassa del livello stradale, tant'è che ii dislivello davanti all'ingresso dell'Ipogeo 0 è stato colmato, come nell'Ipogeo D, da una stretta rampa di quattro gradini (fig. 3). Meno chiara risulta al momento la relazione tra la viabilità preesistente i due Ipogei B e C e quel settore della necropoli subdiale che si sviluppa immediatamente ad Ovest della Grotta di Fragapane. Eppure, ritengo che anche questa parte del cimitero, se non altro per coerenza, debba avere auto un qualche collegamento con il resto della necropoli paleocristiana sfruttando probabilmente qualche tratto minore della viabilità preesistente che, al momento, per mancanza di dati piü sicuri, ci sfugge. A partire dal X secolo un modesto impianto artigianale con due fornaci per la produzione di ceramiche di uso comune'4 occuperà sia un buon tratto della "via dei sepolcri", che ormai aveva cessato la sua funzione, sia parte dell'area della necropoli paleocristiana, che era stata abbandonata da oltre due secoli, perché troppo lontana dall'abitato. Sappiamo, infatti, che in eta altomedievale ii cell206
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Documento acquistato da () il 2023/07/06. Fig. 4. L'interno dell'Ipogeo D.
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Fig. 5. L'ipogeo F nel secolo XVII.
tro abitato agrigentino venne trasferito dai quartieri della Valle sulla collina a NO, in località Balatizzo, per ragioni difensive, si ritiene, oltre che per le necessità commerciali dettate dalla nuova posizione dello scalo marittimo piti ad Occidente Alla concentrazione di sepolture che caratterizza, com'è ovvio, gli spazi destinati alla comunità quali sono quelli della Grotta di Fragapane e della necropoli subdiale con le formae scavate nella roccia che si estendono, fitte e ordinate, ai lati del dromos di accesso alla catacomba e negli spazi liberi a NO e a SO - si contrappone l'ampiezza, la monumentalità e la luminosità degli "ipogei minori". Le camere, quasi sempre illuminate da un grande lucernario centrale, la cui apertura coincideva con l'imboccatura della cisterna preesistente, presentano la caratteristica comune deil'impianto, che e quasi sempre di forma quadrangolare, scandito alle pareti da ampie e monumentali nicchie rettangolari o trapezoidali con volta piana oppure da arcosoli polisomi con volta a botte. Si tratta per lo pifl di camere singole e indipendenti, di varia ampiezza, come gil Ipogei 14, G, D (fig. 4), C, L, M, R. Talvolta due camere contigue SOO State collegate fra di boro, probabilmente in un momento successivo all'impianto: e ii caso dell'Ipogeo F nel quale, allo spazio quadrangolare con un ampio arcosolio polisomo nella parete di fondo, se ne aggiunse un secondo, pi piccolo, ad Ovest, con arcosoli monosomi able pareti e un grande sarcofago monolitico al centro. Ii collegamento che oggi si vede tra l'Ipogeo F e i'Ipogeo F, contiguo ad Est, e invece la conseguenza del riuSo delle camere come 208
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Fig. 6. L'interno dell'Ipogeo B.
cantine delta soprastante Villa Aurea. Un disegno del Pancrazi rappresenta un interessante documento dello stato dell'Ipogeo F prima delta costruzione delta Villa (fig. 5). Ben diverso è il caso dell'Ipogeo B (figg. 6-7), che nasce dalla fusione di due cisterne rettangolari contigue e dal loro ampliamento a SO in relazione con un pozzo, che probabilmente fu mantenuto in uso per le necessità del rituale funerario. Arcosoli e loculi trapezoidali si aprono in piii ordini sovrapposti alle pareti, un tomba a cassa litica e formae sul pavimento denotano to sfruttamento cos! intesivo degli spazi da far distinguere l'Ipogeo B dagli altri , tanto da ipotizzarne l'uso pifl come cimitero comunitario (di una confraternita, di qualche associazione o altro) che privato. Una conferma indiretta a questa ipotesi verrebbe sia dalla presenza del pozzo che dallo stretto rapporto che sembra intercorrere tra le due camere funerarie e it sopra terra, dove un altro lembo di 209
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Fig. 7. La rampa di accesso all'Ipogeo B. necropoli sub divo risulta in stretta connessione con l'ipogeo, collegato com'è da una ripida e stretta rampa di 16 gradini (fig. 7). Del resto, all'interno della necropoli agrigentina non è questo ii solo caso in cui un c. d. ipogeo minore si integra perfettamente col resto del cimitero comunitario circostante. Cito l'esempio dell'Ipogeo L (fig. 8), al momento un unicum non solo ad Agrigento, ma in tutta la Sicilia. Le due camere rettangolari, gemelle, contigue, ma non comunicanti, avevano accessi assolutamente indipendenti ricavati sui lati minori prospicienti su due brevi e stretti dromoi, che erano direttamente collegati alla "via dei sepoicri" (la y. I e fig. 9). Come ebbi a dire piü volte, la particolarità di questo complesso sta nel fatto che è solo parzialmente ipogeo, scavato com'è per una profondità media di m 0,91 nel banco di calcarenite. La copertura consisteva in un'unica volta a sesto ribassato interamente costruita, come i muri perimetrali sopra ter210
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Fig. 8. Le strutture dell'Ipogeo L.
ra e la parete divisoria, con blocchi da taglio di reimpiego (fig. 10). La volta era inglobata in un tetto piano a tenazza rivestito di cocciopesto e chiuso nel perimetro da un basso muro a telaio con accesso sul lato ovest, dove si estendeva la maggior parte della necropoli sub divo contigua alla Grotta di Fragapane, le cui tombe venivano a trovarsi allo stesso livello della copertura a terrazza dell'Ipogeo L. Per la sua posizione in una zona intermedia tra ii cimitero comunitario e la serie degli "ipogei minori" che si sviluppa verso Est proprio a partire da L, lungo l'asse della "via dci sepoicri", ritengo che questo spazio, cos! ben delimitato e curato nei dettagli, possa essere stato funzionale al rituale funerario e che pertanto poteSSe essere destinato piuttosto all'uso della comunità, che soltanto o esclusivamente a quello dei legittimi proprietari dell'Ipogeo L. Se è esatta questa ipoteSi di lettura, il tetto a terrazza dell'Ipogeo L potrebbe configurarsi come l'unico esempio agrigentino di dispositivo per ii refrigerium che ricalca modelli presenti in altre aree cimiteriali mediterranee, dall'Africa, alla Sardegna, alla Spagna, alla stessa Roma 16 Alle stesse aree, del resto, ci rimanda anche la tipologia della costruzione con la volta a sesto ribassato interamente costruita17 Quando il Mercurelli ebbe a descrivere 24 degli "ipogei minori" agrigentini 18 nell'analisi globale che fornl del cimitero, tentO di stabilire una sequenza cronologica relativa, sulla base di osservazioni fondate sul confronto dde tipologie tombali e sul rapporto tra le caratteristiche peculiari degli "ipogei minor" e lo sviluppo che nel tempo avrebbe avuto, secondo la sua tesi, la catacomba di Fragapane. Piü scettica appare in proposito la posizione del Dc Miro, ii quale pur condividendo alcune delle osservazioni del Mercurelli circa le peculiarità struttive degli ipogei agrigentini, non va oltre una loro generica attribuzione a! V secolo, che si fonda principalmente sul rinvenimento ricorrente di lucerne africane di forma X. 211
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Fig. 9. Ipotesi di restituzione dell'alzato dell'Ipogeo L.
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Fig. 10. Pianta dell'Ipogeo L.
Fig. 11. Veduta dell'Ipogeo M. 213
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Gli esiti degli scavi condotti negli ultimi quindici anni hanno consentito di puntualizzare meglio le fasi cronologiche del cimitero. Innanzi tutto hanno dimostrato che 1'Ipogeo L, che inaugura la serie degli "ipogei minori" ad Est della catacomba comunitaria lungo la "via del sepoicri", ha avuto una fase di frequentazione che si colloca tra ii IV e ii V secolo, come provano i rinvenimenti in strato di monete tardo romane (per lo pis AE/3 e AE/4 e minimi), di ceramica fine da mensa in terra sigillata D, di lucerne africane, per lo pifl di forma X, e di due orecchini d'argento a cerchio con chiusura a gancio di un tipo molto comune nel V secolo. Quanto al lembo di necropoli sub divo che si estende ad Ovest della catacomba Fragapane le stratigrafie consentono di collocare ii periodo di maggiore frequentazione tra l'ultimo venticinquennio del III e il V secolo La scoperta recente di altre due unità di "ipogei minori", gli Ipogei P e 0, dei quali solo stati individuati gli ingressi, che si aprono proprio sulla "via dei sepolcri", ma che per motivi statici non e stato ancora possibile indagare all'interno, ci ha 19
Fig. 12. Ipogeo M: Disegno ricostruttivo della lastra dipinta.
Fig. 13. Ipogeo M: arcosolio meridionale. Pianta, restituzione e sezione della copertura della tomba. 214
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Fig. 14. Ipogeo M, la lastra con la decorazione dipinta. indotti a intervenire con maggiore interesse in questo settore della necropoli riportando meglio alla luce quanto ancora si conservava del contiguo Ipogeo M (la y. I). Si e cos! potuto stabilire che la camera a pianta quadrangolare sfruttava una cisterna campaniforme di eta greca, nella cui parete di fondo era stato ricavato un'ampio arcosolio per accogliere una tomba a cassa (fig.1 1); un altro arcosolio si apriva sulla parete occidentale, tombe a fossa scavate nella roccia occupavano lo spazio residuo fino all'ingresso sulla "via dei sepoicri". L'Ipogeo M e stato particolarmente disturbato in eta altomedievale dall'impianto delle fornaci in quanto, la camera venne di nuovo trasformata in una cisterna piü capiente di quella originaria di eta greca. Siamo certi dai frammenti numerosi di rivestimenti parietali (fig. 15) recuperati all'interno delle tombe, che le pareti della camera dovevano avere una decorazione dipinta con motivi prevalente215
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Fig. 15. Ipogeo M, frammenti di intonaci con decorazione dipinta.
mente fitomorfi, nei colori rosso e verde su un fondo beige chiaro. L'elemento certamente pifj interessante che e stato possibile recuperare di questa decorazione pittonica riguarda una delle lastre di chiusura della tomba a cassa inserita nella nicchia della parete di fondo. Ii grafico che qui si presenta alle figure 12 e 13 20 , e una ipotesi di restituzione dell'intera copertura della tomba che doveva consistere in tre lastre di uguale dimensione (m 0,91x 0,63 x 0,14) accostate tra di loro, interamente intonacate e decorate con delicati fiori rossi dal lungo stelo, arricchito da foglie di un colore verde pallido, e alternati a una serie di ghirlande stilizzate di colore rosso trattenute alle estremità da fettucce svolazzanti (fig. 14). Ii motivo decorativo, che in onigine doveva essere assai piI complesso e doveva necessaniamente raccordarsi con gli altni soggetti presenti nella parete di fondo e sulla fronte della cassa, nichiama altri esempi siciliani come ii cubicolo delle rose nella necropoli dell'ex Vigna Cassia a Siracusa di eta post-costantiniana 21 , o anche, per ii tipo di ghinlanda, la decorazione del Mausoleo Politi sempre a Siracusa, e ancora quella dell'Ipogeo di Crispia Salvia a Lilibeo, risalente al III secolo22. Ne mancano i confronti con gli esempi della pittura funeraria nord africana di IV secolo come 1'Ipogeo di Adamo ed Eva a Gargaresh o la catacomba di Sabratha23. Questo tipo di decorazione, si ritrova indistintamente su monumenti pagani e cnistiani e allude genericamente al pensiero della morte, specialmente alla dimora paradisiaca dei defunti. La tomba fiorita e ricca di ghinlande costituisce l'esempio terreno di un immaginanio giardino Bonito ultraterreno, che ricorre senza apprezzabili vaniazioni per tutta la tarda antichità, e, annullando i confini tra paganesimo e cristianesimo, entra a far parte di diritto del repertorio dell'iconografia cristiana delle onigini, com'è evidente in molti cicli pittorici delle catacombe romane 24• 216
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I[I)U C. Mercurelli, Agrigento paleocristiana, Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Memorie vol. VIII, 1948, pp. 67-89. 2 Per gli antichi descrittori vedi la bibliografia in C. MERCURELLI, Agrigento paleocristiana, cit., pp. 67-68, note 1-15. I. SCHUBRING, Historische Topographic von Akragas in Sizilien, Leipzig 1870, pp.18, 65; J. FUEHRER - V. SCHULTZE, Die altchristliche Grabsrätten Siziliens, Jahrbuch des deutschen Archeologischen Instituts VII Erganzungsheft, Berlin 1907, pp. 208, 215-217, fig. 82. 1 E. Do MIR0, Agrigento paleocristiana e bizantina, in Felix Ravenna CIX-CXX, 1980, pp. 131-171 G.FIORENUNI, Premessa in Agrigento paleocristiana. Zona archeologica e antiquarium, (a cura di R.M. Bonacasa Carra), Palermo 1987, pp. 5-8; E.De Miro, Ricerche e valorizzazione dei monumenti paleocristiani e bizantini in Agrigento e nel territorio, in Kokalos XXXII-XXXIII, 1986-87, pp. 285-296. 6 R.M. BONACASA CARRA e altri, Agrigento. La necropoli paleocristiana sub divo, Studi e Materiali dell'Istituto di Archeologia dell'Universitd di Palermo, 10, Roma 1995. Che e stato sistemato in una antica struttura rurale, opportunamente restaurata, oggi nota col name di casa Pace: BONACASA CARRA, Agrigento paleocristiana, cit., pp. 42-62. 8 Sono grata a Graziella Fiorentini per l'amichevole ospitalità e per la grande disponibilita con cui ha incoraggiato le ricerche in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana dell'Università di Palermo, continuando una tradizione di studi inaugurata felicemente da E. De Miro. R.M. BOMACASA CARRA, in da Akragas ad Agrigentum: le recentissirne scoperte archeologiche nel quadro della storia amministrativa e culturale della cittd, Kokalos XLII, 1996, pp. 59-74. E. DE MIR0, Agrigento paleocristiana e bizantina, cit., pp. 142-144. Vedi G. TRIP0DI, supra, p. 00. 2 R.M. BONACASA Cjunex, in Agrigento. La necropoli paleocristiana sub diva cit., pp. 33 ss., 38 ss. ' E. De MIRO, Agrigento paleocristiana e bizantina, cit., pp. 161-169. Non è improbabile che Si trattasse della prima cattedrale agrigentina che precedette la trasformazione in chiesa del Tempio della Concordia voluta dal vescovo Gregorio: R.M. BONACASA CARE.A, in Agrigento paleocristiana cit., pp. 37-40; in Actes do XP Congres International d'Archéologie Chrétienne, (Lyon 1986), vol. I, Città del Vaticano 1989, p. 199; in Quattro note di Ai'cheologia Cristiana in Sicilia, Palermo 1992, pp. 3, 68-69, 71-72. 14 R. M. BONACASA CARRA - F. ARDIZZONE, in L'Età di Federico II nella Sicilia centro meridionale (Giornate di studio, Gela 8-9 dicembre 1990), Agrigento 1991, pp. 217-223; BONACASA CARRA, in do Akragas ad Agrigentum, cit.; BONACASA CARRA-ARDIZZONE, in Atti seconda Conferenza di Archeologia Medievale, Cassino 1999, in stampa. E .DE MIR0, Agrigento paleocristiana e bizantina, cit. pp. 169-171; R.M. BONACASA CAiuex, in Agrigento paleocristiana cit., pp. 33-35. Archeologia Cristiana. 6 A.M. GIUNTELLA, Mensae e riti funerari in Sardegna, Martina Franca 1985, pp. 17 ss., 55 SS.; E. JASTRZEBOW5KA, Untersucungen zum christlichen Totenmahl aufgrund der Monumente des 3. Und 4. Jahrhunderts unter der Basilika des Hl. Sebastian in Rom, Frankfurt am Main 1981. 17 In Sardegna a Samassi e Quartucciu: P.B. SERRs. in Mediterraneo tardoantico e medievale. Scavi e ricerche, 8, Oristano 1990, pp. 133-155; a Sidi Djerba in Algeria e in Sicilia nella necropoli del Piombo: J. LASSOS, in Fasti Archeologici XVI 1961, n. 4856; P. CADENOT, in Antiquites Africaines 24, 1988, pp. 59-61; G. Di STEFANO, in Kokalos XXX-XXXI, 1984-85, pp. 782-793. 18 C. MERCURELLI, Agrigento paleocristiana, cit., p. 87. 19 BONACASA CAREs. inAgrigento. La necropoli paleocristiana sub diva cit., pp. 33 ss., 38 ss. 20 La restituzione del motivo decorativo dipinto sulla lastra è opera di Antonino Cellura; a Michele Bevilacqua dell'Ufficio Tecnico della Soprintendenza di Agrigento si dave la planimetria dell'ipogeo e la restituzione della copertura della tomba. A. AHL0vIST, Pitture e mosaici nei cimiteri paleocristiani di Siracusa, Venezia 1995, pp. 258-260, n. 80/SD14, fig. 61 (con bibl. prec.). 22 A. AHLQWST, Pitture e mosaici, cit., pp. 199-206, figg. 41 e 43; R. GIGLIO, Lilibea: l'ipogeo dipinto di Crispia Salvia, Palermo 1996, p.10 ss.; R. M. BONACASA CxirRA, Nota Lilibetana. A proposita dei cinsiteri tardoantichi di Marsala, in Miscellanea in onare di A. Nestori, Città del Vaticano 1998, pp. 147-154. 23 A. Di VITA, in Atti IX Congr. Intern. Archeologia Cristiana (Roma 1975), II Roma 1978, p. 199 ss., fig. 17; A. Nestori, in Libya Antiqua. 24 F. BISC0NTI, Sulla concezione figurativa dell'habitat paradisiaco: a proposito di un affresco romano poco no to, in Rivista di Archeologia Cristiana LXVI,1990, pp. 25-80, in particolare p. 39 ss. per gli esempi siracusani; ID., Altre note di iconografia paradisiaca, in Bessarione IX, 1992, pp.89-117 e in Le catacombe cristiane di Roma, Regensburg 1998, pp. 97-99; ID., Tensi di iconografiapaleocristiana, Città del Vaticano 2000, p. 13 ss., 61 ss, 78ss.
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t NUOVE ISCRIZIONI "TIRRENICRE" DA LEMNO MAURO CRIsToFI
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Solo ora, usciti gli Atti del XXXIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto nell'ottobre 1993, puo essere valutato appieno il piccolo corpus di iscrizioni "tirreniche" rinvenute sul pavimento del Telesterion arcaico di Lemno, illustrate da Luigi Beschi, che ne ha fornito anche disegni e apografi sui quali ci baseremo, essendo impossibile, almeno al momento, una loro visione autoptica'. Ii dossier dei documenti, tutti della seconda metà del VI secolo a.C., antecedenti cioe l'incendio del complesso perpetrato dai Persiani nel 512/11 a.C., è ii seguente: 1-5. novaisna inciso, con direzione destrorsa, sul collo di un'oinochoe (fig. 1, a) e sotto il piede di karchesia (fig. 1, b). 6. ]ovais graffito sul collo di un'oinochoe fram-
mentaria: manca l'illustrazione; Beschi trascrive sia "...lovais" (p. 43), sia ]OFAIS (p. 46). 7. zari[ --- ] dipinto, con direzione sinistrorsa, sul collo di un' olpe (fig. 2, a).
A questi si aggiunge un altro rinvenimento epigrafico che, ripreso or ora da de Simone, risulte-. rebbe invece scoperto "negli scavi di Chloi (Cabirion) dalla Scuola Archeologica Italiana (1937-1939)" 2 ma che Beschi, per la yenta, inserisce nell'elenco dei documenti rinvenuti nel corso degli scavi da lui diretti fra ii materiale della stipe e il livello di distruzione del Telestenion: 8. atitaf inciso, con direzione destrorsa, su un peso da telaio (fig. 2, b).
Una serie di lettere isolate, graffite o dipinte su altri vasi, include anche segni non usati nella scrittura (segno a clessidra, 7 x; a croce diritta, 4 x; a croce di S. Andrea, 19 x; , 3 x) accanto a alpha 0 x), zeta (31 x), kappa (2 x), lambda (2 x), ny (13 x). La discussione, a Taranto, si concentrO essenzialmente sul rapporto instaurato da Beschi fra lemnio novath'za (nn. 1-5) ed etrusco aisna "divino", messo in relazione "bilinguistica" con le iscrizioni greche di eta classica ed ellenistica kov e simili rinvenute sempre nel Cabirion: problema che ostacola fondamentalmente questa interpretazione, come fu notato da de Simone e da chi scrive a Taranto, e l'impossibilità di giustificare, alla luce dell'etrusco, una segmentazione nov-aisna. Se il n. 6 puô essere integrato [n]ovais, la segmentazione possibile e solo novais-na, ove -na potrebbe avere la stessa funzione del suffisso etrusco. Manca per tale lessema un corrispondente etrusco, anche in sede onomastica (il cognome nuvi e connessi sembrerebbe infatti prestito dal latino Nov/us 3), mentre la formazione potrebbe essere confrontata con quella dei molti gentilizi etruschi in -s-na la cui genesi è chiara in anesna (ET Vt 1.70), derivato dal nome individuale ane, genitivo anes (molti esempi: ET, ad voces), o calisna < 'caliesna (molto diffuso: v. El, ad voces) rispetto a calie, genitivo cal/es (ET Cl 1.261, 1430; Vc 6.11). Illemnio conserva, in sede finale, il dittongo ai che in etrusco recente viene realizzato con ei/e. Ii significato, accettando per il morfema -s ii valore di genitivo, come si yedrà successivamente, sarebbe quindi "di novai" e "appartenente (alle cose) di novai", come accade per l'etrusco calusna (ET Vs 4.7, Pe 3.8) rispetto a 'calu (genitivo calus: cfr. ii Piombo di Magliano, El AV 4.1 hi, dove calusc lunge da pendant a cauas dell'altro lato; pertinentivo calusi-m: El Ta 1. 170), "che appartiene (alle cose) di Calu". Carlo de Simone, che ha trattato a lungo nel suo libro sui Tirreni a Lemnos l'iscrizione n. 8, ha proposto una nuova lettura, latita. Da un punto di vista paleografico e obbligato a riconoscere nella lettera iniziale un lambda calcidese con traversa ascendente verso l'alto, e due alpha con la traversa 219
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Fig. 1. Oinochoe e karchesion iscritti da Lemno. interna nella stessa direzione. Ne consegue un'interpretazione La tita in cui La sarebbe abbreviazione di un prenome femminile formato su Lath, in eta arcaica Lathaia, e tita un appositivo, considerato un gentilizio formato su nome individuale di derivazione latino-italica. La lunga dimostrazione si basa sul presupposto (a mio avviso opinabile) che in etrusco, a questa quota cronologica, sia operante ii fenomeno dell'abbreviazione dei prenomi e che possa essersi trasferito a Lemnos. I phi antichi casi citati, infatti, prevedono una sigla La isolata, e ii loro contesto non puO in alcun modo suggerire la funzione di prenome abbreviato, né, ad esempio, ii contemporaneo corpus di titoli funerari volsiniesi si avvale di tali forme acrofoniche. Quanto al gentilizio tita, la lunga trattazione raggiunge un risultato noto quanto del tutto scontato, e doe che l'etrusco Tite, femm. Tita, deriva dal latino-italico Titus, Tita. Ne discende che l'iscrizione sarebbe una prova decisiva per ii problema della etruscità di Lemno, un'etruscità trasferitasi dall'Occidente e non di area egeo-anatolica 1. In effetti la nuova lettura non regge di fronte all' evidenza paleografica. Anzitutto presume una direzione destrorsa dell'iscrizione che viene invece esciusa proprio dalla traversa interna dell'aLplza la quale, sia nei testi di nuovo rinvenimento, sia nella stele di Kaminia, bustrofedica, sia infine nei frammenti dalla casa di Efestia pubblicati a suo tempo da A. Della Seta 6, Si presenta calante verso 11 basso - e dall'ultima lettera, che è un sigma a tre tratti di tipo encorio, rappresentante il suono [s], priva del tratto superiore perche interessato da una visibile lacuna. La difficoltà, sottovalutata da de Simone, consiste nel giustificare la presenza di un Lambda calcidese, non congruente con l'ambientazione della scrittura lemnia, e in contraddizione con ii Lambda con lo spigolo in alto, sistematico sia nel sistema di Kaminia, sia in quello di Efestia (cfr. ]elerloZ nel frammento 3 di Della Seta). 220
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La lettura atitas appare dunque quella corretta. Ii tipo di occorrenza, sulla base di dati esterni quali I testi su pesi da telaio, depone a favore di un nome personale isolato in genitivo, forse con ellissi della copula, come nelle iscrizioni di possesso etrusche (cfr. ad es. l'arcaico CIE 10697 raikas, e I recenti CIE 10563 ini velias [p]umpus, CIE 11483 vip/as, CIE 11495 v. statinal), presente invece in greco (come sul peso da telaio da Policoro 'Iooômng ( 7 ), -s, al pan di quanto si verifica in etrusco, potrebbe allora essere morfema del genitivo di un nome personale femminile atita. Di un genitivo in -s nelle iscrizioni "tirreniche" di Lemno potrebbero risultare altre attestazioni holaies all'inizio del lato A della stele di Kaminia o ii frammentario [ --- ]a.a.[ --- ?] del frammento 2 di Della Seta. Se *holaie è prestito dal greco 'YXatoç, come si è supposto a partire dal Bu gg e 8 e se ii funzionamento del prestito è simile all'etrusco, Fig. 2. Olpe e peso da telaio iscritti da Lemno. avremmo infatti "ho/ate (nom.), holates (gen.), holaiesi (pertinentivo). In altri termini, l'enunciato iniziale della iscrizione sul lato A della stele, apparentemente pifl recente di quella incisa sulla faccia B, dichiara ii possesso 9 , mentre la dedica contenuta nel pifl complesso elogio del lato B inizia con holaiesi cpokiasiale "a Ylaios focese" NOTE L. BEscHI, I Tirreni di Lemnos alla luce dei recenti dad di scavo, in Magna Grecia Etruschi Fenici (Atti XXXIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 8 -13 ottobre 1993), Napoli 1996, PP. 43-48, figg. 3-4. Si vedano anche gli interventi di C. de Simone e di chi scrive ibid., pp. 65-66. 2 C. DE SIMONE, I Tirreni a Lemnos. Evidenza linguistica e tradizioni storiche, Firenze 1996, p. 7. H. Rix, Las etruskische Cognomen, Wiesbaden 1963, pp. 218, 253 (documentazione). C. Dc SisiocE, I Tirreni, cit., pp. 7-23. Tesi sostenuta con ricchezza di documentazione sia nella relazione di Taranto, Ii pro blema storico-linguistico, pp. 89 ss. (per G. Colonna e chi scrive poco convincente: cfr. ibid., pp. 170-174), sia nella seconda parte del volume (pp. 39-96). Anche nell'articolo I Tirreni a Lemnos: l'alfabeto, in StEtr LX, 1994 [1995], pp. 145 ss., de Simone sostiene, a mio avviso senza alcuna prova decisiva, che l'alfabeto lemnio sarebbe in qualche modo una derivazione etrusca (forse da Caere, dove ii sistema delle sibilanti trova uno statuto tardivo). Ii problema non è tanto quello della selezione delle sibilanti, che potrebbe essere una creazione encoria (come quella del rifiuto delle lettere che in green indicano le sonore e della ypsilon), quanto piuttosto quello dell'uso del segno a tridente con valore di velare aspirata (?) e del digamma, ambedue non impiegati in area orientale. Cfr. l'esposizione breve ma lucida di M. LEJEUNE, Un phoceen 6 Lemnos?, in CRAI 1980 (fevrier 1981), pp. 600 ss., che riprende quanto già scritto in Tyrrhenica, Saggi di studi etruschi, Milano 1957, p. 168 S.; L. AGOSTINJANI, Sull'etrusco della stele di Lemno e su alcuni aspetti del consonantismo etrusco, inArchGllt, LXXI, 1986, pp. 25 ss. La tesi di de Simone collima in parte con quella avanzata da M. Gp.is, in L'Italie préromaine et la Rome républicaine, Rome 1976, p. 367 e piO diffusamente in Trafics tyrrhéniens archaIques, Rome 1985, pp. 631 ss., già confutata, su basi linguistiche, da L. AGOSTINIANI, Sull'etrusco, cit., p. 42 s. Per una visione "tradizionale" del problema, anche alla luce della storiografia antica, I. HEURGON, A propos de l'inscription tyrrhenienne de Lemnos, in Atti Secondo Con gresso Internazionale Etrusco (Firenze 1985), Roma 1989, pp. 93 ss. 6 A. DELLA SETA, Iscrizioni tirreniche da Lemno, in Scritti in onore di B. Nogara, Città del Vaticano 1937, pp. 120 ss. L. S. JEFFERY, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1990, p. 288, n. 1; M. GUARDUCCI, L'epigrafia greca dalle origini al tardo impero, Roma 1987, p. 371. 8 S. B0GGE, in Christiania Videnskabs Forhandlinger, 6, 1886, p. 7. Cfr. già J. HEURGON, A propos de l'inscription, cit., p. 101. Anche in holaieI napod[s??] liati : maraé potrebbe essere distinta una congruenza grammaticale, da cui l'interpretazione "di Ylaios, ii nipote (?) all'avo (??), (di Ylaios) il magistrato (??)": in na q od[ s?? ] la letteratura ha riconosciuto pressoché unanimemente "nipote" (dubbi sull' effettivo significato sono esposti da Lejeune, Un phoce'en, cit., p. 604, che pensa piuttosto a
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"figlio"), onde, per H. Rix, in Stuclien zur Sprachwissenschaft und Kulturkunde, Gedenkschrift W. Brandenstein, Innsbruck 1968, P. 222, s"iaki potrebbe corrispondere a "Onkel" in dative; per J. HEURGON, Apropos de l'inscription "tyrrlsénienne"de Lemnos, in CRAI, 1980, (février 1981), p. 592, si tratterebbe di un "oncle maternel". Tradizionale, anche Se sostanzialmente incerta, la relazione, già intravista da S. BUGGE (in Christiania, cit., p. 5), fra lemnio mare ed etrusco maru, accolta quasi generalmente (cfr., con letteratura, L. AGosTINrun, Sull'etrusco, cit., p. 25). ° SuIl'imprestito deIl'etnico dal greco cfr. da ultimo C. DE SIIVIONE, I Tirreni, cit., p. 26 s.
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ALDINA CUTRONI TUSA
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HIMERA TRA REALTA ED IMMAGINAZIONE Net 1991 D. Bérend, pubblicando una piccola nota 1, faceva presente che "pour savoir ce qui est advenu d'une yule, on peut avoir trois sortes de preuves: littéraires, archeologiques et numismatiques: tant que nos trois preuves ne concordent pas, notre connaissance de l'histoire de la cite n'est pas complete". La studiosa partiva sia da una considerazione di carattere generate sul fatto che "la storia di alcune città ed in certi casi la prova delta loro esistenza, puO essere provata soltanto dalle monete" 2, sia da uno studio di Chr. Boehringer, sostenitore delta sopravvivenza della città di Himera nel IV sec. a.C.3 Qualcuno potrebbe chiedersi come mai riprendiamo un vecchio problema di cronologia monetana e storica dopo tanti anni, a notevole distanza da uno dei pii appassionanti dibattiti napoletani che vide impegnati in accese discussioni molti studiosi in occasione del VI CISN 4. Impegni vari ce to hanno impedito ma, soprattutto, volevamo riflettere ancora sulla questione, anche in attesa dei risultati delle recenti ricerche archeologiche condotte ad Himera e nel suo territorio e di verifiche per altri siti dell'isola che alla fine del V secolo avevano subito anch'essi violente distruzioni ad opera dei Cartaginesi o di Dlonisio di Siracusa. It nostro primo obiettivo é stato quindi quello di una attenta rilettura dei rapporti di scavo posteriori alla pubblicazione dei due volumi sulle ricerche archeologiche condotte ad Himera fino a! 1976 g . Ci siamo prefissi questo obiettivo prima di procedere ad un riesame delle emissioni imeree di bronzo e di alcune serie di argento meno comuni e delta documentazione relativa alla circolazione, per potere obiettare alle argomentazioni di Boehringer tendenti a ribaltare a dopo it 409 tutto un gruppo di emissioni di bronzo, in linea con le conclusioni di Kraay 6 e con le considerazioni di Hackens 7 che attraverso nimaneggiamenti cronologici e di attribuzione hanno portato ad un totale sconvolgimento di quella che era stata considerata da sempre la produzione monetaria di Himera. Oggi, alla luce dei nisultati derivati da una intensa attività di ricerca ormai ultraventennale, sia da parte dell'Istituto di Archeologia dell'Università, sia da parte delta Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo, riconosciamo che è giusto, per l'esattezza scientifica, niproporre e cniticare tutte queste argomentazioni da sempre in forte contrasto con quello che è sempre stato il nostro convincimento personate, espresso in tante occasioni di incontro ed a viva voce agli studiosi che si sono occupati del problema, ma caduto purtroppo net vuoto. Dopo to prime campagne di scavo che avevano lasciato it poSto ad alcune incertezze cronologiche in attesa di soluzioni definitive, le ricerche sono state niprese per essere eseguite "con rigoroso metodo stratigrafico" e con l'intento di rispondere agli interrogativi che gil scavi degli anni precedenti avevano lasciato aperti ed ai tanti complessi problemi che via via si erano andati presentando 1 . Per prima cosa si è potuto appurare che la rifrequentazione intorno at tempio della città bassa (le cui novine poggiano direttamente sul piano di calpestio di V sec.) poteva giustificarsi tanto con la ubicazione del santuario, vicino at punto piü favorevole per it guado del flume, quanto, soprattutto, con l'attività di ceramisti, anche dopo la distruzione, per la presenza, nella zona, di consistenti depositi di argilla9. Successivamente, ii ripensamento su quanto già pubblicato ed un severo controllo stratigrafico nell'area del quartiere est localizzato sul pianoro, hanno portato alla verifica di uno strato superiore di distruzione datato at 409 a.C., preceduto da ampi nimaneggiamenti nella II metà del V sec., conseguente ad una fase di distruzione cauSata precedentemente da un sisma che in quegli anni si verificà nell'isola 10. Una fine violenta di natura bellica veniva intanto riconosciuta net tratto scavato per l'impianto di un albergo nella città bassa dove si recuperava to scheletro di un ovino schiacciato sul pavimento, sotto it peso dei tegoli delta travatura del tetto crollata net vano XVII di un isolato indicato 223
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come 'isolato ovest'. Si trattava di un'area occupata da un quartiere a prevalente destinazione artigiana, abitato da un ceto abbastanza agiato, come dimostrano le suppellettili rinvenute negli strati di frequentazione della fine del V sec. a.C. Sullo spesso strato formatosi per ii cr0110 dei tetti ed ii conseguente, rapido disfacimento dei muri di argilla, sono state isolate soltanto "labili tracce di una occupazione di eta ellenistica", in corrispondenza soltanto dei vani XVI e XX del quartiere saggiato (Kokalos XXXIV-XXXV, p. 709). Ma andiamo con ordine. Fino ad oggi saggi e ricerche finalizzate alla problematica relativa alla sopravvivenza o meno della città di Himera hanno avuto come obiettivo o la definizione delle ricerche in corso sul pianoro, cioè nel temenos di Athena e nel quartiere est, o interventi di urgenza riguardanti la tutela dell'area urbana e delle zone limitrofe della città antica, nella parte in pianura. I risultati conseguiti hanno messo in evidenza "un quadro storicoarcheologico ancora phi complesso ed articolato" rispetto a quanto si supponeva. in partenza. Nell'attesa di ulteriori, phi approfondite ed ancora phi probatorie verifiche, per i due impianti urbani, quello ubicato sul pianoro e quello in pianura, a coronamento degli accurati controlli stratigrafici cui si è accennato, oggi possiamo intanto riconoscere che gli archeologi sono riusciti a definire meglio le vane fasi edilizie dello sviluppo urbano nella città alta ubicata sul pianoro, individuando anche qui una distruzione da terremoto, riferibile alla II metà del V Sec. a. C., seguita da una Successiva ricostruzione prima che la città venisse distrutta definitivamente nel 409 ad opera dei Cartaginesi, come dimostrano anche qui i fitti crolli di muri e coperture che hanno sigillato strati ed oggetti sottostanti. Nel quartiere est lo scavo di un ampio vano all'interno di una abitazione piuttosto grande e ricca ha messo in luce un ripostiglio costituito da 30 monete di argento di Himera e di Acragas della II metà del V sec. a.C. mentre, a ridosso del muro di un'altra abitazione, su un piano di calpeStio della fine del V secolo, Si SOflO rinvenuti gli scheletri di un uomo e di un cavallo travolti ed uccisi dal crollo della casa durante l'irruzione dei CartagineSi nel 409 a.C. 11 . Nella città bassa, poi, prima del 409 sarebbero stati riconosciuti addirittura due momenti di distruzione di cui ii primo legato all'intervento di Terone nel 476 a.C. (Diodoro XI, 48-49), ii secondo a quel terremoto che aveva interessato la città bassa, ii quartiere eSt ed altri settori della città alta. In effetti la città in pianura phi estesa rispetto a quella in collina, e la città collinare hanno avuto fasi di sviluppo analoghe con "livelli di cultura materiale" forse qualitativamente superiori nella prima, pur essendo state entrambe segnate e coinvolte, alla fine, da un'unica distruzione, quella della fine del V Sec. A questo proposito è inoltre da sottolineare l'individuazione di tracce e resti di tratti riferibili alle cinte murarie. Dopo questo approccio archeologico che ha ridefinito meglio le vane fasi di vita della città e la sua fine inequivocabile come polis autonoma dotata di strutture amministrative pienamente funzionanti, evidenziando una coerenza cronologica tra le monete ed il resto dei materiali, ci apprestiamo ora a riconsiderare alcune delle affermazioni dei numismatici citati le cui opinioni divergono dalle nostre e da quelle di altri studiosi 12 Innanzi tutto precisiamo che è "conditio sine qua non" che una polis per potere battere moneta, cioè per potere esercitare un diritto che le deriva da una istituzione tipica della sua struttura di cittàstato, debba avere o avere conservato una sua fisionomia di entità Statale con piena autonomia politica. Dopo la distruzione del 409-408 a.C. non ci sono phi né uno 'stato di Himera' né uno 'Stato di Selinunte': le due poleis al momento della loro fondazione erano sorte a presidio e barriera, in certo qual modo come punti avanzati lungo la linea di demarcazione di una frontiera tra Greci e gruppi etnici di diversa estrazione: questi, pur tra defezioni e scontri di frontiera, diventeranno parte integrante dell'area di influenze punica, rappresentandone gli interessi. Le incertezze che Si SOiO via via 'accumulate' sulla datazione delle emiSsioni finali di Himera, sono derivate da una incerta lettura di partenza delle vane fasi di vita della città, cioè della documentazione delle fonti archeologiche, dello stato e delle modalità della sua distruzione 13 e dal mancato approfondimento storico legato alle vicende ed al niassestamento ternitoriale di una vasta area carattenizzata da un dinamismo che le ricerche necenti hanno finalmente evidenziato ed al quale, personalmente, avevamo già accennato durante il Congresso 14 Oggi, dopo i nuovi Scavi, si coglie ancor meglio l'irradiamento e lo spostamento della vita dalla vecchia polis in vane direzioni e la sua concentrazione tanto nelle fattorie della piana, già pante della originaria xthca, quanto verso le zone interne, senza per altro escludere, localmen 224
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te, ancora per breve tempo, la presenza di piccoli nuclei di polItai legati alle attività agricole e produttive sparse nella zona: come si e notato, ne e un esempio la persistenza delle fornaci in pianura, nell'area adiacente at templo delta Vittoria. I piccoli gruppi che ancora per qualche tempo hanno continuato a mantenere la loro residenza sul pianoro o nella città bassa, affrontavano it disagio di abitare in luoghi che sempre pii andavano desertificandosi determinando la fatiscenza dei pochissimi edifici superstiti. E Diodoro (XIII 59-62 e 75) a darci la reale portata delta distruzione subita dagli Imerei quando dice che Annibale saccheggiô ed incendià i loro templi e fece radere at suolo la città, tanto che, non motto tempo dopo, Ermocrate ritrovô it sito talmente ridotto ad un cumulo di macerie, da essere costretto ad accamparsi nei sobborghi. Della vecchia città non erano rimasti che agglomerati umani senza riferimento ad una organizzazione politica vera e propria mentre at tempo stesso 1000 cittadini, alla guida di Ermocrate, si erano mossi alla volta di Selinunte (Diodoro XIII 63) ed altri gruppi spostavano la loro residenza nella vicina eQLC jtóXtv v -q] YELKWa dove confluivano anche elementi di provenienza africana (Diodoro XIII 79,8). La storia politica dello Stato imereo si concludeva cioè con it 409 a.C. I casi di Gela e di Selinunte, portati a confronto da Boehringer, sono un'altra cosa: ad Himera infatti non si verificO quanto e stato possibile riscontrare a Selinunte dove it trasferimento del cittadini superstiti sull'acropoli diede luogo ad una intensa attività di recupero e riutilizzo dei materiali provenienti dal crollo dei templi e di rifacimenti di muri secondo la tecnica detta a 'telaio' 15, tecnica atteStata ad Eraclea Minoa ed anche a Ge1a 16 e ad Agrigento dove è stata riconoSciuta in un quartiere a caratterizzazione e destinazione artigianale che, distrutto alla fine del V Sec., fu ricoStruito net IV Non è escluso che l'uso di questa tecnica fosse dettato dalla premura delta ricostruzione e dalla necessità di economizzare pietra da taglio. Se ci fosse stata una parvenza di ristrutturazione e di rioccupazione si sarebbero trovate anche ad Himera tracce di questa tecnica: ne consegue perciè che una precaria e momentanea frequentazione delta distrutta Himera da parte di sparuti nuclei di politai che non riuscirono ad organizzarsi stabilmente è una cosa ben diversa dalla ripresa o "rifondazione" di vecchie strutture statali e dal ritorno delta vita organizzata; i rinvenimenti monetali nelle fattorie e negli agglomerati in pianura, non verificati o sporadici nell'area delta vecchia polis, ne sono una chiara dimostrazione. Quando Diodoro (XIII 114,1) parlava del trattato di pace del 405 tra Dionisio ed I Cartaginesi non poteva che usare it termine ILsQ6LoL per riferirsi ai vecchi abitanti dispersi cui, in base agli accordi di pace, veniva concesso di ritornare nella loro città, che non disponendo di autonomia, poteva essere riabitata ma non fortificata. Nella fonte diodorea non riscontriamo doe nessuna contraddizione e quindi non possiamo condividere l'interpretazione di Hackens net senso che it trattato del 405 "expliquerait ainsi la renaissance d'un monnayage a Himéra", facendo ricorso ad una "hypothèse extrème" apportando "quelques retouches". Ipotesi estreme e ritocchi cronologici non ci trovano assolutamente d'accordo: la fonte diodorea e pfu veritiera ed esatta di quanto non si creda, solo che bisogna leggerla ed interpretarla per quella che é. Nello stesso modo non condividiamo l'altra affermazione di Hackens laddove egli osserva che "Himera a très bien Pu être réduite par Denis lui même après 402 et subir le sort des cites de son royame": nessuna fonte to attesta e d'altra parte la ubicazione della città oltre che lontana rimaneva troppo decentrata rispetto a quella delle città facenti parte dell'impero dionigiano: fortemente contrastato dalle forze cartaginesi a presidio dell'area occidentale, Dionisio non riusci mai a sottomettere questa parte dell'isola. In riferimento poi alla fase post bellica del 409 crediamo sia altrettanto arbitrario pensare che "pendant tout un temps, les cites de Thermai et de Himéra ont du coexister. L'ultime catastrophe peut aussi être due a un raid carthaginois dans la guerre apres 398". Qui le precisazioni di Hackens, arbitrarie ed indimostrabili, risultano perfettamente in linea con quelle di Boehringer 18 che si è mosso tra fonti storiche interpretate in maniera alquanto personale 19, ricerche archeologiche appena iniziate e dai risultati ancora non chiari, sopralluoghi personali e critiche a scavi già eseguiti e per di pili da altri (wie ich mich bei einem Besuch im September 1977 uberzeugte). La conclusione finale tenderebbe ad attribuire agli anni intorno at 380 a. C. quegli strati di distruzione accertati dagli archeologi peril 40928. E facile quindi capire da dove tragga origine tutta questa confusione che ha finito per sconvolge225
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re in maniera totale la monetazione bronzea di Flimera, la phi documentata negli scavi della città dove le monete finora pubblicate hanno dato indicazioni molto interessanti sulla portata degli scamhi e sulle condizioni economiche della città fino alla distruzione operata dai Cartaginesi. Intanto riguardo alle emissioni anepigrafi pesanti contrassegnate dal Gorgoneion, Kraay, basandosi sui due soil ess. (Tav. I, 1) rinvenuti in occasione delle prime campagne di scavo 21 e senza tener conto che ad Himera intanto i rinvenimenti di nominali di questa serie erano saliti a 10 ess. 22, ha riconosciuto che "l'attribution of the Gorgoneia to Himera is extremeley thin" e che invece Mozia avrebbe potuto essere la "possible candidate for the mint of the Gorgoneia" 23 ii tutto con argomentazioni piuttosto deboli che lo hanno portato a puntare sui "large pellets, regularly disposed" i quali "will appear as distinctively Punic" in quanto rappresentati a Mozia sui "Gorgoneia uninscribed" (cioè su quel bronzo da sempre attribuito ad Himera), a Panormos sul bronzo "Cock/SYS" (Tav. I, 2), a Solunto sulle emissioni bilingui con i tipi di "Heracles and cray-fish". La riattribuzione ed 11 passaggio della serie pesante imerea a Mozia non poteva che determinare uno sconvolgimento cronologico in profondo contrasto con i dati storici anch'essi sovvertiti 24 . Di ragionamento in ragionamento, basandosi ancora una volta sui dati iniziali ancora parziali ed in attesa di conferma, senza considerare quanto andava delineandosi meglio anche in rapporto con i nuovi materiali che venivano pubblicati, Kraay spostava a dopo il 409 le centinaia di ess. della serie con testa di ninfa-sei globetti in corona (Tav. I, 3-4) che per Himera rappresentavano uno del momenti phi fecondi per la produzione monetale di bronzo e le attribuiva al "revival of Himera in the period after 409". Con questa serie venivano abbassate anche quelle meno comuni, tutte a leggenda 1MB caratterizzate dalla testa di ninfa di tre quarti-gambero e sei globetti (Tav. I, 5) (gr. 2.30/1,20), conchiglia e quattro globetti (Tav. I, 6) (gr. 1,50/1,10) "minted on a still lower standard 25", murex e tre globetti (Tav. I, 7) con ess. oscillanti tra gr. 1,20/1,00 26 E cos! alla zecca di Himera, prima del 409 a.C., veniva lasciata soltanto la serie con il giovane a cavallo di un caprone (Tav. I, 8-9) in quanto per Kraay "the goat-rider series was the only substantial bronze coinage at Himera before 409 a.C." Per questa serie Hackens si spingeva ancora phi in là, proponendone addirittura la emissione al periodo di occupazione punica. Ii secondo motive, di confusione e collegabile al mancato aggiornamento da parte del Kraay che nel 1977, anno in cui si svolgeva 11 Congresso di Napoli, si rifaceva ancora a considerazioni di alcuni anni prima ormai superate 27 JJ mancato aggiornamento dei rinvenimenti monetali a seguito delle nuove ricerche archeologiche, ha allontanato quindi lo studio del Kraay dalia realtà e complessità del nuovi dati acquisiti e ne ha vanificato i risultati tanto che la Consolo Langher (Atti VI CISN, cit., p. 287) ha messo in evidenza la debolezza della cronologia assoluta proposta, auspicandone la revisione. A questo punto bisogna far notare che proprio la localizzazione dei rinvenimenti delle monete di bronzo delle serie peSanti costituiva la conditio sine qua non per potere capire i motivi della prima coniazione del bronzo nella Sicilia occidentale che impiegava contemporaneamente la tecnica della fusione, con tondelli circolari, ad Himera, sigilliformi ad Agrigento, triangolari a Selinunte. In un suo recente studio G. Manganaro tra gli esempi di metoikismoi 28 inseriva il caso di Thermai, un sito che, stando a Stefano Bizantin0 29 doveva già esistere prima del 407 a.C., cioè ancor prima del trasferimento, in esso, dei politai imerei superstiti, in seguito al quale Oia avrebbe preso il loro nome, trasformandosi da semplice XWQCOV in una struttura statale organizzata politicamente 30• A sua volta Diodoro (XIII 79, 8) aveva spiegato il motivo del nome Ota in quanto JTQóç cnYrotç totç 0EQLotç f&oi, indicandone e specificandone quasi sempre l'ubicazione 31 . La proposta di ribassamento della produzione del bronzo della serie leggera con i sei globetti in corona in data posteriore al 409 ed il conseguente prolungamento dell'attività monetaria di una città che non esisteva phi come tale è in in aperto contrasto con la massa degli esemplari rinvenuti finora negli scavi ed in parte già pubblicati. Era scontato che analogo ritocco cronologico toccasse alla produzione dell'ultima serie selinuntina con testa di Heracles-arco, faretra e leggenda abbreviata 1E 32 allineata stilisticamente con le hemiclracme caratterizzate anch'esse da una testa di Heracles 33 ed emesse prima della distruzione del 409. Inoltre questo abbassamento cronologico finiva per coinvolgere anche la serie siracusana del delfino e conchiglia, molto attestata ad Himera, metrologicamente e stilisticamente 226
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collegabile al periodo delle emissioni imeree della serie con i sei globetti in corona: ii tutto a scapito degli elementi di confronto a livello tipologico e stilistico che contraddistinguono le emissioni finali del bronzo delle città che, tra ii 409 ed ii 396 a.C., saranno occupate e distrutte dai Cartaginesi o da Dionisio. Fortunatamente oggi troviamo un valido supporto cronologico nella facies della circolazione individuata a Gela a seguito degli scavi effettuati nell'area dell'ex scalo ferroviario ed egregiamente iilustrata da A. Carb6 34 . Questa facies è molto simile a quella evidenziata ad Himera, con il risultato che oggi sono due le località che, con perfetto sincronismo, rispecchiano l'andamento generale della circolazione della moneta siceliota nel settore occidentale dell'isola nel V secolo. A Gela l'attenta lettura dei dati archeologici, in un'area che oltre al famoso tesoretto rinvenuto nel 1955 e datato da Jenkins al 485 a.C. aveva restituito anche un gruppo di monete di bronzo con ess. siracusani della serie con delfino e conchiglia 33 , ha permesso di individuare nei nuovi ritrovamenti di monete in strati sigillati dal crollo delle tegole e delle travi bruciate in conseguenza della distruzione del 405 a.C., un gruppo consistente di emissioni di bronzo di Agrigento, Camarina, Gela e Siracusa (serie con ii polipo, con la ruota, con delfino e conchiglia), appartenenti able stesse serie già messe in luce ad Himera. Ne ci sembra che sia da sottovalutare II fatto che molti ess. della serie con giovane sub caprone risultino dimezzati intenzionalmente 36, presentando ognuna delle due meta un peso equivalente a quelbo degli ess. della serie successiva con testina femminile-sei gbobetti in corona e leggenda abbreviata IME, diffusi e tesaurizzati nella città e presenti anche a Mozia e Morgantina37. Per quanto riguarda poi be serie deblo hemilitron con lb gambero, discretamente attestata finora negli scavi, del trias con la conchiglia, riconoscibile in un es. 38 e del tetras con II murex, tutte serie di cui non si hanno finora indizi ufficiali di circolazione al di fuori di Himera, è singobare il fatto che la iconografia di questi nominali presenta un riferimento costante al mare, conferendo compattezza tipobogica ad emissioni legate metrobogicamente tra di loro a catena: i ritrovamenti circoscritti al luogo di emissione ed il peso bassissimo be caratterizzano come emissioni di brevissima durata e di emergenza, quasi in previsione di incombenti vicissitudini belliche e di difficili situazioni economiche. Con il boro cadenzato e successivo calo ponderale, ridotte ormai a moneta ultrafiduciaria, esse completano l'articolato quadro della produzione bronzea imerea che, con i segni di valore espressi fino all'ultima emissione, resta caratterizzata da quella marcatura metrobogica tipica della monetazione di bronzo siceliota di quinto secolo. E neanche lo schema della testa di tre quarti puO costituire un elemento valido per postdatare tutte queste serie in quanto si tratta di uno schema che determina la costante iconografica propria dell'ultimo decennio del V sec. a.C. che ritroviamo anche in emissioni di Siracusa, Katane, Kamarina (dracme del periodo 3 datate da Jenkins tra ii 410 ed ib 405 a.C.). Nella città sul pianoro sono pressoché inesistenti i bronzi punicI (serie con cavallino in corsa, con palma-protome, palma-pegaso, testa femminile-cavallino e palma) posteriori alla occupazione dei territori occidentali dell'isola da parte di Cartagine che invece cominciano a diffondersi a macchia d'olio e ad attestarsi nella fattoria di Pestavecchia, negli immediati dintorni ed a ridosso della distriitta città e nello hinterland, prendendo ii posto di quelbe emissioni imeree che Kraay e successivamente Boehringer, hanno postdatato attribuendone la coniazione alla città sconfitta e senza autonomia alba quale mai i Punici avrebbero permesso di battere moneta a proprio nome: da parte sua Hackens, contraddicendo i dati di rinvenimento, avrebbe pensato a coniazioni non effettuate nella città sub pianoro ma addirittura altrove (Hackens, cit., p. 370). La presenza di questo numerario punico, soprattutto quelbo delbe due serie phi antiche con avancorpo di cavallo e con cavalbino in corsa, i cui rinvenimenti sono invece frequentissimi nel tratto da Himera a Termini Imerese compreso tra 1 a piana e l'entroterra verso cui si addentrano, avrebbe potuto costituire la conferma della ripresa e della continuazione della vita nebba città distrutta. Passiamo ora ad una serie poco conosciuta fino ad alcuni anni fa e ricordata da Boehringer. Per essa ci è venuto in aiuto il recente studio di C. Arnold Biucchi che ha proposto una revisione della sequenza dei conI dei tetradrammi emessi da Himera tra il 472 ed il 409 a.C. aggiornata con il materiale rinvenuto dopo il 1929, cioè dopo la pubblicazione del Corpus di Gutmann e Schwabacher 39 . Tra questi materiali di nuova accessione ci 227
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interessano qui gil ess. facenti parte del c.d. ripostiglio "Himera 1984", un ripostiglio disperso sul mercato antiquario e chiamato "The Himera Treasure"" causa la massiccia presenza di 119 tetradrammi imerei che lo datano all'ultimo decennio del V sec., in coincidenza con la distruzione delia città. Come nel rip. Seltmann ICGH 2076, le monete pifl recenti di questo flUOVO rip. sembrano essere queue di Himera: di esse almeno una ventina, secondo la Biucchi, apparterrebbero all'ultima emissione con quadriga al galoppo a d., ippocampo a s. in esergo, e firma MAT su una tavoletta portata, da una Alike in volo nell'atto di incoronare l'auriga (Tav. II, 1), emissione corrispondente all'accoppiamento Q8-1417 della seriazione G-S20. Ii ro y. di questo tetradramma ripete la tipologia delia ninfa sacrificante e del satiro che si bagna alla fontana con etnico in esergo. Se nel loro complesso, schema ed impostazione delle figure si legano ai tetradrammi delle serie precedenti tipologicamente simili, lo stile se ne allontana sia per la foggia ed ii diverso trattamento del vestito della ninfa che qui appare pill statica sia per la nuova struttura squadrata dell'altare con due lastre inserite sulla superficie superiore verticalmente: dove trattarsi evidentemente di un nuovo conio ridisegnato da Ufl artista diverso. Di questa emissione troviamo altri due ess. di buona conservazione tesaurizzati rispettivamente nel rip. di Schisô IGCH 209641 e in quello di Reggio Calabria IGCH 191142, quest'ultimo datato da Jenkins al 387 a.C. sulla base della presenza, in esso, di un es. siracusano del primo decennio del IV sec. ed in relazione con la caduta della città di Reggio. Le variazioni stilistiche farebbero pensare ad un artista di diversa estrazione e formazione ma non ci sentiremmo di postdatare questa emissione, come suggerirebbe la Biucchi, sull'onda della suggestione determinata dall'articolo di Boebringer che perO data questa serie al 409 perché "ist unwahrscheinlich, dass die Polis in einer Aufbauphase nach 405 die Mittel zu einer soichen Emission besessen hate". Ne ci sembra di poterla considerare come prodotto di una zecca punica 43 Ii particolare dalla tavoletta con ii nome di un probabile artista incisore, come sulle monete siracusane del periodo del "signierenden Kunstler" riporterebbe la serie allo stesso periodo mentre la significativa presenza di ess. di questa emissione in un ripostiglio che per composizione e struttura affianca ii rip. Seltmann (IGCH 2076), ne indicherebbe la provenienza dagli immediati dintorni della città, se non proprio direttamente da essa, nonostante le contraddizioni relative alla sua composizione. Restano ora da prendere in considerazione due serie frazionarie costituite, la prima dalla litra e dalla doppia litra 4 (Tav. II, figg. 2-3), la seconda dalla sola 1itra 4 (Tav. II, fig. 4), entrambe caratterizzate dall'etnico 'Itrafov. Queste emissioni, rapportabili per tipologia al periodo di Timoleonte ed a quello di Agatocle, con la presenza dell'antico etnico riportato per intero come nelle emissioni di pieno V secolo, costituiscono la documentazione di un breve risveglio della passata identità nazionale, in concomitanza con quelli che rappresentano due momenti aiquanto particolari per la storia siceliota del IV sec. ed anche per la nuova città di Thermai che, stando alle fonti, ha vissuto anch'essa i vari eventi storici posteriori alla sua rifondazione. Era scontato, infatti, che la città, inglobata nella epikrateia cartaginese, ma in stretto contatto con la grecità siceliota, soprattutto con Kepl'zaloidion, vivesse tutte le contraddizioni legate ad una politica bifronte. B propnio la emissione delle litre è un chiaro riferimento all'ascesa di Siracusa negli anni di Timoleonte ed in quelli di Agatocle : quest'ultimo, tra l'altro, aveva avuto a Thermai i natali. Per la datazione di queste emissioni frazionarie non è quindi necessario ricorrere a nessuna forzatura cronologica, né postulare la sopravvivenza della vecchia Himera, ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Vorremmo concludere queste nostre considerazioni riconoscendo che, pur nel breve tempo della sua esistenza, Himera diede vita ad una delle monetazioni di bronzo pill ricca di serie a tipologia dif ferenziata e soprattutto di facile lettura. In essa riusciamo a seguire l'evoluzione ponderale della litra nelle sue cadenzate riduzioni verificatesi nell'arco del V secolo cui non è estranea la emissione con il gallo a leggenda SYS (Hivnera II, p. 714); di conseguenza essa va considerata, prima come espressione della contrapposizione, poi dell'adeguamento tra le due aree monetali dell'isola, la occidentale e la siracusana. Infatti, causa il grande numero di serie che vanno da quelle pesanti a queue leggerissime, essa ci permette di cogliere perfettamente il passaggio graduale e l'adattamento a quel tipo di valuta fiduciaria che prima di Dionisio era stata la caratteristica delle emissioni di bronzo dell'area 228
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orientale siracusana. In questo processo di adattamento non sembra essere stata estranea una influenza ed una scelta di matrice politica. NOTE D. BEREND, Le taureau en question, inBSFN 46, 6, 1991, pp. 97-99, fig. 3. G. K. JENKINS, Ancient Greek Coins, London 1990, p. 11. CHR. BOEHRINGER, Himera im IVJahrhundert v. Chr., in C. M. Ks.e.sy - 0. MORKHOLM, Essays, Louvain-la-Neuve 1989, pp. 29-40, tavv.VII-VIII. AA.VV., Le origini della monetazione di bronzo in Sicilia e Magna Grecia (Atti VI CISN), Roma 1979. Oltre ai due volumi Hirnera I ed Himera II editi rispettivamente nel 1970 e nel 1976, sono stati pubblicati molti studi e relazioni preliminari: N. BONACASA, (Atti IV Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia antica) in Kokalos XXII-XXIII, 1976-77, 11,2, p. 702 ss.; Jo. (Atti V Cogresso Internazionaledi Studi sulla Sicilia antica) in Kokalos X.XVI-XXVII, 1980-81, 112, pp. 854-855; ID., in Quaderni de 'La ricerca scientifica, n. 100, Roma CNR 1978, p. 609 ss. en. 112, Roma CNR 1985, p. 131 ss.; Jo., Grecia, Italia e Sicilia nell'VIII e VII sec.a.C., (Atti Convegno Internazionaledi Atene 15-20 ottobre 1979), in ASAA LIX, 1981,1, pp. 319-340; 0. BELVEDERE, in CrA 17, 1978, pp. 75-89; ID., in SicArch XII, 1979, n. 40, pp. 46-47. 6 C. M. Knvsy, The Bronze Coinage of Hinsera and "Himera", in Atti VI CISN, cit., pp. 27-52. T. HACKENS, Les equivalences des metaux monetaires argent et bronze en Sicile an Ve s. ay. J. C., in Atti VI CISN, cit., pp. 309-340. In questo articolo lA. parla di una "interpretation divergente donnée au couches archeologiques" ed a "stratigraphie plus complexe que I'on a Pu croire". AA. VV., Himera. Scavo nella città bassa (Atti VI Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia antica), in Kokalos XXXXXXI, 1984-85, Ill, pp. 629-635; N. ALLEGRO, Himera 1984-1988, Ricerche dell'Istituto di Archeologia nell'area della città (Atti VII Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia antica), in Kokalos XXXIV-XXXV, 1988-89, II, pp. 637-658 e R. CAMERATA ScovAzzo - S. VASSALLO, Himera: cittd basso -Scavi 1984-87. Area albergo lungo la SS 113, ibid., pp. 697-709; N. ALLEGRO - S. VASSALLO, Himera: nuove ricerche nella città bassa 1989-1992, in Kokalos XXXVIII, 1992, pp. 79-150; AA.VV., Himera 1989-1993 - Ricerche dell'Istituto di Archeologia nell'area della cittd (Atti VIII Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia antica), in Kokalos XXXIX-XL, 1993-94, 112, pp. 1119-1133. Lo scavo totale degli isolati ha evidenziato una suddivisiorie razionale in lotti, pianificata dal costruttori. Lo sfruttamento di questi banchi di argilla e la presenza di fornaci ancora in epoca recente, ha dato alla zona il nome di Bonfornello, tutt'oggi in uso. ° Potrebbe trattarsi, come suggerito dagli archeologi, del sisma ricordato da Girolamo (Eusebio ed. Schoene, p. 109) e da Orosio (11 18, 6-7) avvenuto nel 426 a.C. 11 Boehringer aveva lamentato che "Bisher sind zwischen den Trummern der Hauser in Himera wohl Pfeilspitzen, jedoch keine Skelette gefunden worden". Pensiamo che questi rinventimenti sarebbero stati comunque piuttosto rari dal momento che, come ci sembra di avere capito rileggendo Diodoro, la battaglia, divampo al di fuori della città abbandonata o quasi dai cittadini mentre le ossa dei Siracusani uccisi furono pietosamente raccolti da Ermocrate e riportati in patria per dare loro onorata sepoltura, notizia che ci viene tramandata da Diodoro il quale (XIII,75,2), pur raccontando un avvenimento posteriore alla distruzione, riferendosi alla città distrutta la indira con 11 nome che aveva avuto, senza avallarne con questo la sua sopravvivenza secondo la interpretazione datane da Boehringer. 2 S. CoNsoLo LANGHER, in Atti VI CISN, cit., p. 344, soprattutto a proposito della serie con giovane satiro sul caprone assegnata da Hackens a dopo la distruzione di 1-limera. L'intervento dell'A. e esplicito: "dopo l'invasione punica che distrugge totalmente Himera, noi non possiamo postulare serie coniate a nome della città di Himera (la quale risorge in sito vnsino col nome di Thermai e conia con leggenda analoga) né assegnare ad Himera le emissioni col satiro che vanno poste anterlormente alla distruzione della città". M. CACCAMO CALTABIANO, La monetazione dell'etd dionigiana, in Atti VIII CISN Napoli 1983, Roma 1993, pp. 186-87 e S. GARRAFFO, ibid., p. 197, n. 43. Ferma all'intenmzione della monetazione ad Himera dopo la distruzione del 409, la Caccamo considera lo hemilitron di }-Iimera con testina di tre quarti come ii terminus ante quem per lo schema dell'Arethusa cimoniana. Ii Garaffo a sua volta si chiede se dopo la distruzione si puO ammettere la continuazione di emissioni autonome a forte valenza "politica" che con i loro picchi quantitativi denotano la vitalità economica di Una città ancora in pieno sviluppo. 13 Hackens, mt. a p. 264, lamentava l'incertezza dei contesti archeologici. 14 Per fare un esempio, a breve distanza dalla costa, il sito di Cozzo Sannita, in posizione strategica e di controllo lungo il corso del flume S.Leonardo, riconosciuto come sede di un piccolo insediamento di IV sec., con annessa necropoli (D. LAURO, Cozzo Sannito: un insediamento indigeno e punico-ellenistico lungo ii corso del flume S. Leonardo, in Archeologia e territorio, Palermo 1997, pp. 349-360), doveva costituire una linea guida di penetrazione punica lungo un territorio percorso, in tutta la sua lunghezza da nord a sud, oltre che dal S.Leonardo, anche dai fiumi Mendola, Sosio, Verdura, lungo una direttrice di congiunzione tra la costa settentrionale e la costa meridionale dell'isola. Lungo questa linea di penetrazione si dispongono una serie di centri segnati da accentuata presenza e circolazione di numerario punico che segna le tappe piO importanti a Termini Imerese, Caccamo, Montagna Vecchia, Montagna dei Cavalli, Monte Adranone (A. CUTRONI TUSA, Sicilia: ricognizione topografica del rinvenimenti di monete puniche di bronzo anepigrafi, Actas del IV Congreso Internacional de estudios fenicios y pOnicos. I, Cádiz 2000, pp. 471-482). In questo territorio la presenza punica si evidenzia dopo la distruzione di Himera, in concomitanza con la rifondazione di OEtia che non a caso risulta pitt spostata verso ovest rispetto al vecchio sito di Himera. Si
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tratta spesso di siti a forte connotazione militare che sfruttano una conformazione geografica caratterizzata da difese naturaii. Da qualche tempo alcuni di essi come Montagna Vecchia, Montagna del Cavalli, Monte Adranone, sono oggetto di esplorazioni archeologiche che dovrebbero estendersi anche ad altri siti perché si tratta di centri indicatori di una situazione geopoutica che a par-tire dal 409 a.C. si fa molto interessante, in coincidenza con ii profondo cambiamento dell'assetto politico del territorio e della sua conseguente ristrutturazione. 15 A. RALLO, L'abitato di Selinunte: ii quartiere punico e la sua necropoli in Kokalos XXVIII-XXIX, 1982-83, pp. 169-177. 16 P. OSJANDIM, inArchCl IX, 1957, P. 52, n. 1. G. SPAGNOLO, Recenti scavi nell'area della vecchia stazione di Gela in QuadMess 6, 1991 (1994), p. 64 n. 63, tav. XLI, 2-4. 17 D. DE ORSOLA, Il quartiere di Porta II ad Agrigento in QuadMess 6, 1991 (1994), pp. 71-105. 8 C. BOEHRINGER, Bemerkungen zur sizilischien Bronzepragung im 5 Jahrhundert v.Chr., in SM 1978, 28, 111, pp. 49-65 (per Himera, in particolare, pp. 53-54). In questo articolo l'A. faceva un libero bilancio del congresso che si era svolto a Napoli I'anno precedente. 19 Gli storici antichi che si sono occupati di Himera o I'hanno ricordata vanno da Enea Tattico (IV sec. a.C.) a Diodoro e Cicerone (I sec. a.C.), a Strabone (I sec. d.c.), Frontino e Polieno (II sec. d. C.). Gabriel giustificava la persistenza del vecchio nome con if fatto che i profughi imerei avrebbero costituito l'elemento piü numeroso della nuova fondazione. 20 Secondo Boehringer "die stratigraphische Situation von Ober-Himera 1st wegen der meist sehr niedrigen verschuttung schwierig zu deuten". A. TUSA CUTRONI, Rinvenimenti monetali ad Himera e net suo ten'itorio net periodo arcaico. Lore significato, in La monetazione arcaica di Himera [6w at 472 a. C. (Atti II CISN Napoli 1969), Roma 1971, p. 69 ss. 22 A. CUTRONI TUSA, La circolazione della moneta bronzea in Sicilia, in Atti VI CISN (Napoli 1977), Roma 1979, p.230. Giustificato invece, a motivo della data anteriore di pubblicazione, ii mancato aggiornamento di A.M. LONGO, La circolazione della moneta di Himera, in ANN 18-19, 1971-72, pAd, la quale, riprendendo una mia annotazione (Himera I, p. 365), osservava che "gli scavi confermerebbero la continuazione della vita ad Himera dopo 11 409 aC.", ma al tempo stesso si augurava che la pubblicazione del materiale proveniente dagli scavi successivi potesse dare elementi pitt precisi al riguardo, cosa che infatti si e verificata. Recentemente poi ii bronzo imereo pesante ha fatto registrare la sua presenza in località S. Luca, in territorio di Castronovo, dove saggi archeologici eseguiti nel sito di una fattoria, hanno messo in luce un tetras di b.c. della serie anepigrafe con ilgorgoneion (aft. Kokalos XXXIX-XL, 1993-94,112, p. 1277, tav. CLXXV, fig. 3). 29 Gli ass. invenuti a Mozia sono soltanto due: un tetras proveniente dagli scavi del 1921 (cfr. G. WITHAKER, Motya, aPhoenician Colony in Sicily, London 1921, p. 351, n. 11) ed un hemilitron di gr. 25,72 proveniente dagli scavi della c.d. "Casa delle anfore" (Mozia V, p. 177, tav. LXXXIV, 8 a-b). 24 Perfino lo stesso Boehringer, durante lo svolgimento dci lavori del Congresso (Atti, p. 259) in in suo intervento annotava: "Ho avuto l'impressione che la distribuzione delle località di ritrovamento dei tipi con gorgoneion fosse un p6 differente da quello che abbiamo avuto dal prof. Kraay". Tenendo conto dell'aggiornamento dci rinvenimenti sarebbe stato opportuno riflettere su questa osservazione che purtroppo e caduta nel vuoto. Eppure la presenza del bronze pesante era segnalata a Solunto, Pizzo Cannita, Mozia, Milena, Agrigento, Sabucina,Vassallaggi, Gela, indicando una dispersione maggiore e pitt antica, rispetto a quella della sane leggere successive. 25 Nominale niconosciuto come trias gia in Grek Coins acquired by the British Museum im 1926, in NC 1927, p. 193, 1, tav. Ix, 1. 26 Oltre all'es. in G. MANGANARO, Dai mikrà kermata di argento at chalkokratos kassiteros in Sicilia net V sec.a. C., in JNG 34, 1984, 19, tav. 2,12, recentemente è comparso un secondo es. nell'Auktion 7, 503 del 27-29 aprile del 1987, a cura dello Schweizerische Kreditanstalt di Berna. Ii mancato "assorbimento" ternitoriale di queste serie rappresentate finora da pochi ess. è dovuto al fatto che, essendo state emesse poco prima della distruzione, non fecero in tempo ad entrare in circolazione. 27 A. ADRIANI, L'esplorazione archeologica di Himera, in La monetazione arcaica, cit., p. 89, laddove si legge che "l'abitato del VI-V secolo, in base alla cronologia di alcuni nitrovamenti, sarebbe stato per lo meno in parte rioccupato dopo la catastrofe del 409 aC.". Per Kraay (The bronze coinage, cit., p. 32) la puntualizzazione di Adniani, rifenita ad una estensione alquanto limitata dello scavo, diventava l'elemento portante per l'affermazione categorica "but the site was re-occupied afterwards". 20 G. MANGANARO, Metoikismos. Metaphora di poleis in Sicilia: it caso dei Geloi di Phi ntias e la relativa documentazione apigra[ica, 1nASNSP 1990, XX, 2-3, pp. 391-408, in particolare pp. 393-394. Secondol'A. 11 caso di Thermai sarebbe testimoniato da alcune sane frazionarie di argento che saranno illustrate alle fine di questo nostro contribute. 29 La menzione del sito Otqpco x°@°' TIREXCcLç sarebbe rifenibile al 480 a.C.: ci chiediamo perciO se fondatori di questo xwpiov non siano stati elementi imerei filocartaginesi esuli a seguito della vittoria siceliota del 480 aC. 30 Questo si evince dal fatto che, parlando della rifondazione del 407 aC., Diodoro (XIII 79,8) definisce Otqga come tOXiç iv tp Zmc yfq doe come un organismo già strutturato politicamente. 31 Diodoro XX 56, 3 (Tflg vi)oov Oeqpetag); XX 77,3 (Otqga Rat Ksqao(8Lov); XIX 2,2 (iv OtQqoLç t1g LuesXtac). 32 L'abbreviazione della leggenda e tipica delle emissioni di bronzo della fine del V sec., prima della chiusura definitiva delle zecche tanto a Selinunte quanto ad Himera. Anche le ultime emissioni siracusane dell 'ultimo decennio del secolo, con delfino e conchiglia al rev., presentano la leggenda abbreviata IYPA. SNG Cop. 605-606; BMC, Sicily 47-49. Da segnalare che la SNG France 3, tav.108, nn.2001-2002 ha attribuito erroneamente alla città di Selge, in Pisidia, due ess. bronzei selinuntini di gr. 3,73 e 3,40 appartenenti a questa sane. Un rip. di 14 ess. e stato rinvenuto a Manuzza, nell'area della Selinunte antica (CH V, 1979, 13). A. CAmE, Circolazione monetale a Gala. I rinvenimenti negli scavi dell'ex scale [erroviao-io (1984-85 a 1987), in QuadMess 8, 1993, pp. 51-59, tavv. XXI-XXV. G. SPAGNOLO, Recenti scavi, cit., pp. 55-70. Si tratta di una zona interessata dalla distruzione della città di Gela operata
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dai Cartaginesi nel 405 a.C. nella quale le presenze monetali si fermano agli ippocampi dionigiani (Cfr. anche SNG X, The John Morcom collection of Western Greek Bronze Coins, Oxford 1995, a proposito del nn. 682-690). 36 Himera II, nn. 11,208, 248a, 267, 307, 319, 323, 369, 374, 466, 522. Per Mozia cfr. Mozia III, p. 106; per Morgantina, cfr. Studies II- The Coins, Princeton 1989, P. 86, n. 186 (gr. 3,77). 38 Himera II, p. 756, n. 415, dall'isolato XV: leggermente scheggiata, pesa gr. 0,94. Un es. di gr. 1,09 proveniente dall'asta Sternberg del 20/4/1988 6 confiuito nella coil. Morcom, segnato con ii n. 602 neila Silloge già citata. 31 F. GUTMANN-W. SCHWABAcHER, Die Tetradrachmen und Didrachmenpragung von Himera (472-409 a.C.), in MBNG, 47, 1929, pp. 101-144, taw. VIII-X. Tutta la monetazio di Himera era stata trattata da E. Gs.BBJcI in Topografia e numismatzca dell'antica Himera e di Therme, Napoli 1894, ripresa in RIN 1894, pp. 11-24, 143-167, 407-453 e RIN 1895, pp. 11-30. Deli'uitima serie di tetradrammi con la quadriga al galoppo, Gabrici riportava gil ess. del British Museum (gr. 17,08), di Napoli Fiorelh 4430 (di gr. 17,43), Monaco (gr. 16,44), e della coil. Lobbecke (gr. 17,35). ° C.A. BIuccHI, La monetazione d'alTento di Himera classica. I tetradrammi, in NAC XVII, 1988, pp. 85-100, tavv.I-III, con riferimenti ai cataioghi di vendita. Secondo la Biucchi neila composizione del ripostigho comparirebbero 11 zecche cioè ass. di Rhegion, Acragas, Camarina, Catane, Geia, Himera, Messana ed anche ess. defle quattro zecche di Leontinoi, Segesta, Selinunte, Siracusa. Diversa la composizione datane dai Coin Hoards VIII, London 1994, n. 66 (Rhegion 3 tetr., Messana 5, Acragas 9, Camarina 1, Catane 3, Geia 7, Himera 119). Pifl complessa la composizione in M. Caccamo Caitabiano (La monetazione tratta dalia consuitazione dci cataloghi di vendita. Come sembra di capire questo complesso monedi Messana, Berlino1993) taie faceva parte di on gruppo di phi di 400 monete messe in vendita sul mercato americano senza un inventario preciso: sono state fotografate a descritte in cataioghi di vendita soitanto 126 monete. ' L'es. di questo ripostigiio rinvenuto nel 1852-53 e formato da circa 2000 monete d'argento, fini nefla coil. De Luynes sui cui cataiogo e riportato al n. 977 delia tav. XXXVI. Ii tetradrammi di Himera figura tra le monete phi tarde del rip. composto, tra i'altro, da dracme di Catane firmate da Euainetos, tetradrammi di Messana con Pan seduto, due dracme ed un didramma di Naxos, dracme siracusane con Athena di fronte e Leucaspis, tutte emissioni che segnano la chiusura del rip. afla fine del V Sec., in connessione con la conquista ed ii saccheggio dionigiano di Naxos nel 403 a.C. 12 Rinvenuto nel 1913: cfr. NSA 1914, pp. 159-160. ' Cfr. L.O.TH. TUDEER, Die Tetradrachmenpragung von Syrakus in der Periode der signierenden KCnstler, Berlin 1913, pp. 257-260. Dopo ii 409 la firma dell'incisore non avrebbe senso come non avrebbe senso che una città impoverita dopo la distruzione potesse avere una disponibihtà di metaiio prezioso tale da potere effettuare una emissione cos! rappresentativa. Dopo essere stato ii nominaie phi coniato nelie zecche sicehote defla seconda metà del V sec. a.C., tra la fine del V e gh inizi del IV, ii tetradramma scompare anche a Siracusa. "j' La litra a la doppia litra sono contrassegnate al dritto da una testa maschiie barbata e dafla ieggenda KPONO in ci. oppure c.p., al rov.da un fuimine e ieggenda IME/PAIGN retrograda in c.p. oppure c. 1. La testa del dritto deriva dal modeiio deflo Zeus Eleutherios a capefli corti raffigurato sui bronzi siradusani di eta timoleontea. Per la iitra, con due chicchi di orzo ai iati del fulmine, cfr. lianooF BLUMER, Monnaies grecques Amsterdam 1883, 21, 33, tav. B4: gr. 0,88 = Gabrici 73, n.1 16, tav.VI,16; per la doppia htra, con chicco di orzo as. del fulmine, aquiia con serpente tra gh artigh a d., cfr.Boehringer cit., p. 36: gr. 1,23, da coliezione privata. Queste litre sono caratterizzate al dritto da una testa di Herakles con leonté a ieggenda IMEPAIGN, al ro y. dal Palladio (BMC n.49: gr. 0,70 = Gabrici 73, n. 117, tav. VI, 15). 1'
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Himera - AR: 1, tetradramma; 2, 4, litrai; 3, delitron.
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ETTORE M. DE JuLils
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LB CERAMICHE DELLA PUGLIA PREROMANA UNA PROPOSTA DI CLASSIFICAZIONE GENERALE * La produzione vascolare e quella che meglio contraddistingue, dal punto di vista dell'archeologia, la Puglia antica. Non è un caso, infatti, che i musei pugliesi, se si esciude la parte romana, si presentino essenzialmente come raccolte, grandi o piccole, di vasi. Tale produzione si sviluppa, senza soluzione di continuità, dall'età del Bronzo alla piena romanizzazione della regione ed oltre. In tale percorso pifi che millenario nascono, si sviluppano e scompaiono innumerevoli classi di ceramica diverse tra loro per tecnica, forme e still decorativi. A questa produzione ricca e multiforme si aggiungono le ceramiche importate da altre regioni, soprattutto dalla Grecia. Di queste, perO, non si tratterà in questa sede, ma solo delle ceramiche fabbricate sul suolo pugliese, di tradizione indigena o di derivazione greca. L'area geografica considerata, corrispondente al territorio occupato dagli antichi lapigi, e costituita da tutta l'attuale Puglia con l'aggiunta di alcune zone limitrofe, attualmente appartenenti alla Basilicata: l'area melfese, a Nord, e la parte del Materano posta sulla sinistra del flume Bradano, a Sud. Per quanto riguarda l'arco cronologico oggetto di questo studio, esso è cornpreso tra ii Bronzo Finale (XI secolo a.C.) e la tarda eta ellenistica (I secolo a.C.). In termini culturali questi estremi cronologici corrispondono rispettivamente alla fase di formazione della civiltà iapigia e alla sua piena romanizzazione 1 . Nell'arnbito delle numerose classi vascolari, che saranno elencate piü avanti, si osservano significative differenze nella tecnica della modellazione e della decorazione, cos! come nello stile. Nelle pagine che seguiranno elencherO le classi vascolari "pugliesi", per quanto possibile, in ordine cronologico di apparizione, fornendone i dati fondamentali in una breve scheda. 1. IMPASTO
E una cerarnica non depurata, formata oltre che da argilla anche da nurnerose irnpurità, sia minerali sia di natura organica, che producono una scarsa coesione all"interno e una tendenza allo sgretolamento. I vasi d'irnpasto hanno, percià, generalmente pareti molto spesse ed appaiono rozzamente articolati nelle loro vane parti. Essi erano modellati a mano o alla ruota lenta e cotti in fornaci aperte, che producevano macchi scure o avvampature sulla superficie esterna. Quest'ultima si presenta nei prodotti migliori levigata grazie ad un uso esperto della stecca. Non mancano decorazioni superficiali sia incise a crudo, sia di tipo plastico (bugne, solcature). La tipologia è molto varia e articolata; manca, perO, ancora, uno studio sisternatico della cerarnica d'impasto della Puglia. Nella fase piü antica, del Bronzo Finale (XI sec. a.C.), si rileva una forte sopravvivenza di alcune forme subappenniniche tradizionali, cui Si affiancano queue di tipo protovillanoviano. Nella successiva i eta del Ferro scompaiono del tutto gli elementi decorativi di derivazione protovillanoviana e si stabilizzano forme e tipi della pill solida tradizione locale 2 Questa classe è diffusa in tutta la regione ed è ben rappresentata dal Bronzo finale fino all'età del Ferro. Essa perdura anche nel VI e nei primi decenni del V secolo con frequenza molto pill ridotta e con forme meno significative e tecnicarnente pill scadenti. 2. PROTOGEOMETRICO IAPIGIO
Questa classe costituisce una chiara innovazione, trattandosi di una cerarnica depurata e provvista di una decorazione dipinta di stile geometrico. Essa era modellata a mano o alla ruota lenta e decorata con un colore rossastro o bruno-nero, secondo motivi geornetrici molto semplici: tremoli ver-
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ticali, angoli inscritti, triangoli riempiti a reticolo, fasce parallele angolose, fasce fiancheggiate da punti, fasce parallele o angoli inscritti alternati a grossi punti o dischi. Mentre la decorazione deriva sia dalla ceramica micenea che da quella protovillanoviana, le forme, sono di tradizione nettamente italica. Le pifl cUmuli sono le olle con anse orizzontali, la scodella monoansata a labbro rientrante, la brocca a collo troncoconico, l'askos. La cronologia assoluta di questa classe è ancora non del tutto accertata, soprattutto nel suo termine iniziale, tuttavia puO essere posta tra l'XI e la metà del IX secolo a.C. La sua diffusione copre tutta la Puglia e ii Materano .
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3. GEOMETRICO IAPIGIO
Discende direttamente dal protogeometrico Iapigio da cui comincia a differenziarsi intorno alla metà del IX secolo. I vasi sono modellati alla ruota lenta, ma è attestato anche l'uso del tornio, almeno per alcune parti del vaso. L'argilla varia dal giallastro, al rosa, al bruno chiaro. La decorazione è di colore bruno scuro, opaco. Nella seconda metà del IX secolo ii repertorio delle forme e dei motivi decorativi si presenta ancora abbastanza limitato. Tra le prime si registrano le olle biconiche o globose, le brocche biconiche, le scodelle monoansate con labbro rientrante; tra i secondi sono attestati gli angoli inscritti, le fasce frangiate o fiancheggiate da una fila di punti, I triangoli pieni, tratteggiati o riempiti a reticolo. Dall'inizio dell'VIII secolo questa classe continua a svilupparsi nella Puglia centro-meridionale, mentre in Daunia al suo posto nasce e si sviluppa ii Geometrico Protodaunio. Nell'area centromeridionale ii Geometrico Iapigio assume, in maniera evidente, motivi decorativi di altre aree geografiche, albanese (ceramica "devolliana") e greca (ceramica tardogeometrica corinzia). L'intera classe Si sviluppa dalla metà circa del IX ai primi decenni del VII secolo. Essa è stata articolata in tre fasi: antica, media, tarda, corrispondenti ciascuna ad un cinquantennio circa I. All'inizio del VII secolo compare la bicromia, ottenuta con l'aggiunta del colore rosso a quello bruno-nero tradizionale. 4. CERAMICA ACROMA INDIGENA
Questa classe si sviluppa parallelamente alla ceramica geometrica indigena, con la quale ha in comune la tecnica di fabbricazione e il repertorio delle forme. Essa coStituisce una produzione mlnore rispetto a quella dipinta e si trova nel livelli di abitato piuttosto che nei corredi funerari. Dopo la i eta del Ferro la ceramica acroma indigena continua ad essere prodotta dalle stesse officine che fabbricavano le ceramiche subgeometriche nelle diverse aree geografico-culturali della Puglia. PerciO, al termine phi generico di "Ceramica acroma indigena" dovranno essere sostituiti, quando le nostre conoscenze saranno phi avanzate, quelli phi specifici e adatti di "Ceramica acroma messapica", "peucezia" e "daunia", per indicare le produzioni parallele e quelle subgeometriche locall. Per quanto riguarda la cronologia, la ceramica acroma indigena, considerata nel suo complesso, va dalla I eta del Ferro alla fine dell'età arcaica, prolungandosi, in alcune aree, come in Daunia, anche nell'età successiva, fino al IV secobo a. C. 5. GEOMETRICO PROTODAUNIO
Nella parte settentrionale della Puglia, la Daunia, a par-tire dall'inizio dell'VIII secolo, si sviluppa dal Geometrico Iapigio uno stile geometrico nuovo, il Geometrico Protodaunio. Anche questa classe generalmente e modellata a mano o alla ruota lenta, ma nei prodotti phi cu-
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rati e recenti è accertato l'uso del tornio. Ii colore bruno opaco è steso su una superficie nocciola o giallina, motto levigata nei prodotti migliori. Le forme piü comuni sono le olle, globose, piriformi e ovoidi, le brocche piriformi con alta ansa angolosa, gil askoi. It repertorio decorativo, vario e originate, presenta i seguenti motivi: zig-zag orizzontali, raggiere a punte mozze, losanghe piene, pseudo-tenda. Nella fase pifl tarda compaiono motivi riconducibili at Geometrico greco: losanghe e triangoli puntinati, meandro continuo e spezzato, file di quadrati disposti a scacchiera. Questa classe occupa tutto l'VIII secolo, ma si articola in due fasi, media e tarda, corrispondenti alla prima e alla seconda metà del secolo. Ii Geometrico Protodaunio è diffuso non solo net territorio daunio, ma anche at di fuori di esso. Infatti, oltre che in Campania, vasi protodauni sono stati trovati net Piceno, in Dalmazia e in Istria 3.
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6. SUBGEOMETRICO DAuNI0 Questa classe deriva direttamente dal Geometrico. Simile è la tecnica di modeliazione e di decorazione, mentre una novità e costituita dali'eventuale aggiunta, in alcuni vasi, del colore rosso at nero bruno tradizionale. L'intera produzione e stata suddivisa in tre fasi cronologiche: Daunio I (700-550 circa); Daunio 11(550-400 circa); Daunio III (400-300 circa) 6 Essa, nei primi due secoh, si articola in due gruppi stilistici, di ciascuno dei quali è stato individuato it centro di fabbricazione. It primo e Ordona, it secondo Canosa. A questi due centri principali se ne aggiungerà un terzo, Ascoli Satriano, ma solo dalla fine del VI secolo. Motto ricchi e articolati si presentano it repertorio delle forme e it sistema decorativo. Come it Geometrico, cos! it Subgeometrico Daunio viene esportato ampiamente in Campania e in ambito adriatico, con l'aggiunta, ora, dell'area slovena. Tale esportazione si estingue, perè, verso la fine del VI secolo, e riguarda Soprattutto i vasi di Canosa. 7. SUBGEOMETRIcO MEssAPIco In seguito all'esaurimento dello stile Geometrico Iapigio, nei primi decenni del VII secolo, nasce e si sviluppa un nuovo stile "Subgeometrico", che Si puô chiamare ormai "Messapico", essendo caratteristico del Salento e distinguendosi nettamente dalle contigue produzioni indigene, peucezia ed enotria. Sul piano tecnico i vasi del VII e delta prima metà del VI secolo non differiscono da quelli tardogeometrici, essendo modellati alla ruota lenta e dipinti con colon opachi. In questa prima fase dell'età arcaica e ormai ampiamente diffuso accanto at bruno it colore rosso. Le forme pffi diffuse sono l'olla globosa e l'anforetta con basso collo trococonico ed alte anse a nastro, spesso angolose. I motivi decorativi appaiono piü numerosi, ricchi e complessi rispetto a quelli dell'età precedente. Intorno alla metà del VI sec. si verifica un mutamento fondamentale nella produzione delta caramica messapica: l'adozione generahzzata del tornio e l'uso di una vernice sottile e lucente at posto del tradizionale colore opaco. Ii fenomeno si spiega con l'influsso esercitato dai vasi torniti e decorati a fasce, di produzione coloniale, che giungono numerosi in Messapia dal secondo quarto del VI Secob. Dopo i'acquisizione delta tecnica greca la ceramica messapica continua a svilupparsi, perdurando, nell'uso funerario, fino alla meta del III secolo a.C. La forma ptLi caratteristica di questa classe, nata proprio in concomitanza con ii mutamento tecnologico, e la trozzella, la caratteristica anfora con le anse alte e angolose, provviste di rotelle agli attacchi inferiori e alla sommità7. 8. SUBGEOMETRIcO PEucEzIo Solo intorno alla metà del VII secolo si registra in Peucezia la nascita di uno stile subgeometrico locale, ben distinto da quelli deile regioni vicine. I vasi, modellati alla ruota lenta, hanno una superficie levigata, chiara, su cui e stesa la decorazione di stile geometrico. Nell'ambito di questa produ237
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zione si registra una netta divisione tra vasi monocromi (classe A) e vasi bicromi (classe B). I primi presentano una decorazione di colore bruno-nero, nei secondi al bruno-nero si aggiunge II rosso, vivo o vinaccia. Nella classe A ii motivo decorativo piLi diffuso e caratteristico e quello della svastica e del "pettine"; nella classe B sono frequenti i raggi e gli uncini penduli e peculiari le figure di gallinacei, disposti in file orizzontali o verticali. Le due classi vascolari, prodotte certamente, da centri diversi, mostrano anche due differenti ambiti di circolazione. Infatti la classe A è diffusa nella fascia costiera, pianeggiante, che va da Bitonto ad Egnazia, mentre la classe B si addensa nella zona interna, collinosa, tradizionalmente collegata ai centri enotri della valle del Bradano. Questa classe, nel suo complesso, è stata distinta nelle seguenti tre fasi cronologiche: Peucezio I (650-575 circa); Peucezio 11(575-525 circa); Peucezio III (525475)8
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9. CERAMICA A FASCE C0L0NIALE
Le prime ceramiche decorate a fasce vengono importate, già dall'inizio del VII secolo, dalla Grecia (Egeo, Cicladi, Corinto), in Occidente. Qui, in particolare nelle colonie del golfo di Taranto, i vasi importati vengono presto imitati (cosiddette ceramiche coloniali). Ii percorso successivo consisterà, come si dirà piü avanti, nella diffusione di tali prodotti nelle aree interne della Puglia e della Basilicata e nella loro ulteriore imitazione locale. Manca tuttora uno studio complessivo su questa classe, sia per quanto riguarda il repertorio delle forme, sia per la cronologia. La sua durata conplessiva occupa un arco cronologico estremamente dilatato, dal VI alla fine del II secolo. Una prova archeologica certa della produzione di questa classe a Taranto si è avuta recentemente (1987-88), con la scoperta, in via Leonida, di una fornace, che produceva vasi a vernice nera, acromi, a fasce (coppette monoansate) 9. Essa si aggiunge a quella ben nota da tempo del Ceramico di Metaponto. I materiali della fornace si datano dalla fine del V alla metà circa del III secolo. 10. CERAMICA A FASCE E DI STILE MISTO MESSAPICA E PEUCEZIA
Questa classe deriva direttamente da quella precedente, prodotta nelle colonie greche del golfo di Taranto. Essa è ampiamente diffusa nella Puglia centro-meridionale dove soppianta le tradizionali ceramiche matt-painted. L'acquisizione da parte delle officine indigene della tecnica di modellazione al tornio e della semplice decorazione a fasce e precoce e rapida. Essa comincia nel secondo quarto del VI secolo e dura sino alla fine del III. Le forme piIi comuni in eta arcaica sono le seguenti: il cratere stamnoide e quello di tipo laconico, l'idria, la coppa di tipo ionico, la coppa monoansata. In una fase piü recente appaiono il cratere a colonnette, lo stamnos, ii lebete, l'oinochoe trilobata, il vaso cantaroide. La decorazione originaria, a semplici fasce e linee, viene arrichita in ambiente indigeno con l'aggiunta di motivi vegetali che dà vita alla sottoclasse dei vasi di "stile misto". Quest'ultima appare sporadicamente già dalla fine del VI secolo, ma si afferma e si diffonde dalla meta del V a tutto ii IV secolo. Infine, molto rara è l'inserzione di figure rese con una semplice linea di contorno o in silhouettes in uno stile elementare e ingenuo. 11. CERAMICA A VERNICE ROSSA ARCAICA
Questa classe non era stata oggetto di studi specifici, nonostante il suo evidente interesse 11 . Essa nasce nell'ambiente delle colonie greche del golfo di Taranto, ma si diffonde presto nei territori mdigeni enotrio-iapigi, dove in seguito viene anche prodotta. I vasi sono torniti e ricoperti interamente o in parte da una vernice rosso-arancio. Le pareti si presentano nei prodotti migliori molto sottili. Le forme principali sono tre: ii vaso cantaroide, la brocchetta, e la kylix. La cronologia assoluta tra la seconda metà del VII e la fine del VI secolo. 238
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12. CERAMICA A VERNICE NERA
E questa una delle classi vascolari piü importanti presenti in Puglia, sia per la sua lunga durata, sia per la quantità e qualità del suoi prodotti, sia, infine, per 1' influsso esercitato sulle classi indigene, grazie all'imitazione di parecchie delle sue forme. Tuttavia non esiste ancora su di essa una trattazione organica e autonoma, ciô e dovuto soprattutto alla difficoltà di distinguere ed isolare i prodotti importati da quelli coloniali prima e indigeni poi. Infatti ai piü antichi esemplari, dell'inizio del VI secolo, importati dalla Grecia, si affiancano presto quelli fabbricati da Metaponto e da Taranto e, infine, le imitazioni indigene. Le forme, con qualche rara eccezione, restano sostanzialmente queue attiche. Lo sviluppo cronologico di questa classe è compreso tra ii VI e la meta del III secolo H
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13. CERAMICA "MACCHIATA"
Viene cos! chiamata, qui per la prima volta, una categoria di vasi attribuiti finora, non senza dif ficoltà, a diverse classi. Si tratta di vasi che presentano macchie di vernice di vario colore, dal nero al bruno, al rosso, cioè, in sostanza, di vasi acromi macchiati casualmente e parzialmente da una traccia di colore. Tra le pia antiche si annoverano le forme della classe a fasce, macchiate con una pennellata, o, piü spesso, per immersione. Un'altra categoria di vasi che rientra in questa classe è quella dei vasi miniaturistici e talvolta rozzamente sbozzati destinati ai depositi votivi. Infine a questa stessa classe possono essere ascritti gli unguentari fusiformi di eta ellenistica. Nonostante la sua evidente incoerenza questa classe è attestata con continuità dal VI al 11 secolo. 14. CERAMICA A FIGURE E A DECORAZIONE NERE
In questa classe, rientra un gruppo di vasi prodotti da artigiani anellenici, probabilmente etruschi, ma in forme prettamente greche e con una decorazione figurata che si avvicina a quella dei vasi attici a figure nere 12• La forma largamente piLi diffusa è il cratere a colonnette. I pochi esemplari noti si collocano tra la fine del VI e i primi decenni del V secolo e provengono da alcune località della costa pugliese e dal loro immediato retroterra. In questa Stessa classe puà essere, inserito un esiguo gruppo di vasi di probabile fattura locale, avente forme e decorazione tratti dal repertorio greco e rielaborati. Tali vasi sono attestati Soprattutto nelle necropoli daunie di Lavello, Canosa, Salapia, Ordona e si datano dalla metà del V ai primi decenni del IV secolo' 3 Le forme rappresentate sono quelle del kantharos, ad alto e a basso piede, della kylix su alto e basso piede, dello skyphos. La decorazione consiste in semplici serie di foglie a goccia, o cuoriformi, in palmette e fiori di loto, oppure, raramente, in qualche scena figurata. 15. CERAMICA APULA A FIGURA ROSSE
Questa classe è troppo nota e nello stesso tempo troppo complessa per essere descritta nelle poche righe di una scheda. Ci si limiterà a ricordare, pertanto, che la sua produzione inizia a Taranto intorno al 430, ad imitazione della ceramica attica figure rosse, cos! come l'affine e coeva ceramica lucana. Trendall e Cambitoglou, i massimi studiosi di questa ceramica, hanno distinto l'intera produzione nelle seguenti tre fasi stilistico-cronologiche: "Apulo antico" (430-370); "Apulo medio" (370-340); "Apulo tardo" (340-300)'. 16. CERAMICA ACROMA TORNITA
La lunga tradizione delle ceramiche non decorate, rappreSentata prima dai vasi d'impasto e p01 da quelli di argilla figulina non torniti, continua in eta classica ed ellenistica con i vasi torniti, che Si distinguono tra loro soprattutto per funzioni e per forme. Infatti, ai Vasi torniti di uso prettamente 239
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funerario, compresi in questa classe, si devono aggiungere i vasi di uso domestico e i vasi da fuoco. I vasi acromi torniti prendono ii poSto dei vasi d'impasto e acromi indigeni già dal VI secolo e soprattutto nel V. In un primo tempo essi ricalcano le forme della ceramica a fasce, successivamente, nel IV e III secolo, quelle dei vasi a figure rosse, a vernice nera e dello Stile di Gnathia. Le forme pifl comuni sono le seguenti: la coppetta monoansata, lo stamnos, il cratere a mascheroni, la grande phiale biansata, la pisside, piatti e coppe di vario tipo. In una fase ancora pifl avanzata (III e II secolo) la Ceramica acroma tornita e presente in maniera costante nei corredi tarantini, dove è rappresentata dalla lagynos e dagli unguentari fusiformi.
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17. CERAMICA ACROMA D'USO
Questa classe e costituita da una ceramica di uso domestico, che come tale entra anche nei corredi funerari. Tuttavia la sua presenza e molto pifi abbondante nei contesti abitativi. L'argilla è chiara, ben depurata e levigata. Le forme pifi diffuse sono le seguenti: i grandi contenitori per derrate, come i dolii e le olle panciute, l'orcio biansato, ii mortaio, l'olletta ovoide, il bacile, le scodelle di vario tipo. Anche le anfore da trasporto dovrebbero entrare in questa classe, ma per una consolidata tradizione di studi esse sono ormai trattate a sé e collegate diacronicamente ad esemplari di ampia diffusione internazionale. 18.
CERAMICA DA FUOCO
Questa classe è costituita da vasi adatti ad essere posti sul fuoco per la cottura o per ii riscaldamento del cibo. Tale funzione richiedeva una lavorazione particolare che distingue, anche nell'aspetto, questi vasi da quelli di uso comune. Infatti l'argilla si presenta indurita da numerosi inclusi, soprattutto sabbia, sottile e di colore scuro, per lo phi rossastro. Anche nei corredi funerari tali vasi mostrano spesso tracce evidenti di bruciato. Ii repertorio delle forme è quello caratteristico dei recipienti da cottura, accompagnati dai rispettivi coperchi e privi di una stabile base d'appoggio. Sono comuni la pentola (chytra), la casseruola e ii tegame (lopds), la teglia, la brocca globosa, l'olletta ovoide. 19. CERAMICA A FASCE E DI STILE MISTO DAUNIA
Anche in Daunia, come già in Messapia e Peucezia (classe n. 10), viene prodotta e si diffonde la ceramica tornita, con decorazione a fasce e di stile misto. Manca perà qui la fase arcaica e subarcaica, documentata solo da pochi pezzi d'importazione. Infatti l'inizio di una produzione locale va posto nella nella seconda meta del V secolo, con uno sviluppo e un'intensa diffusione nel corso del successivo. In questo stesso periodo essa risente della moda delle decorazioni fitomorfe, cosicché, accanto ai vasi decorati con semplici fasce e linee parallele, appaiono vasi phi riccamente ornati, grazie all'aggiunta di motivi vegetali (palmette, fiori di loto, girali vegetali) accanto e negli spazi compresi fra fasce e linee. Phi raro e l'inserimento di figure. Le forme, vane e numerose, Solo riconducibili in gran parte al repertorio italiota coevo 15• 20.
CERAMICA SUDDIPINTA
La tecnica della suddipintura in bianco sulla parete verniciata di nero del vaso e già presente nella ceramica attica (vasi di Saint Valentin). Essa viene presto imitata, con l'aggiunta del colore rosso, dalle officine italiote che danno vita ad una prima serie di vasi suddipinti, denominati "Gruppo di
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Xenon" 16 In una fase successiva, a partire dal secondo quarto del IV secolo, le suddipinture in bianco o in bianco e giallo si rarefanno, mentre diventano canoniche queue in rosso o in rosa. Nello stesso tempo si sviluppa, inoltre, una produzione di vasi miniaturistici. Le forme phui comuni sono le Seguenti: l'oinochoe, ii kantharos su alto e basso piede, lo skyphos, la kylix. Negli ultimi decenni del IV secolo si diffondono i prodotti del gruppo cosiddetto "del Cigno rosso", formato soprattutto da kylikes a basso piede, recanti sul fondo interno, al centro, la figura di un cigno.
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21. CERAMICA DI GNATHIA
Questa classe, come la precedente, è contraddistinta da una decorazione suddipinta sulla parete del vaso verniciata di nero. Ii centro di fabbricazione, si localizza a Taranto. La classificazione generale di questa ceramica, proposta da Webster, la distingue in tre fasi stilistico-cronologiche: Antico G. (360-340); Medio G. (340-325); Tardo G. (325-270)'. Nella prima fase sia le forme sia la decorazione sono strettamente collegate alla ceramica a figure rosse. Nella fase media diventano piui rare le figure; la decorazione consiste soprattutto in elementi vegetali legati al mondo dionisiaco: grappoli d'uva, foglie di vite e di edera. Nell'ultima fase prevale nettamente l'uso di costolature verticali, derivanti da prototipi metallici, che riducono sensibilmente lo spazio per la decorazione dipinta. La vittoria dei Romani su Taranto non avrebbe fatto estinguere completamente questa produzione, come aveva ritenuto Webster, ma ne avrebbe procurato solo una flessione, cosicché i prodotti ptLi tardi giungerebbero sino alla fine del III secolo 18
22. CEPAMICA A VERNICE BRUNA 0 ROSSA
Questa classe viene prodotta soprattutto in Daunia dalla fine del V secolo e per tutto il successivo. Le forme riprendono sia quelle della ceramica a fasce (brocca a labbro obliquo, vaso cantaroide, coppetta monoansata), sia quelle dei vasi a vernice nera (oinochoe di forma 8, olpe, ecc.). La vernice, generalmente sbiadita e poco lucente, va dal bruno scuro al marrone chiaro e dal rosso all'arancio. I vasi possono essere verniciati interamente o, piui spesso, parzialmente, cioè nella metà superiore, oppure sulla bocca e sull'ansa. In questa classe si puO riconoscere una produzione minore e povera delle officine indigene, volta ad imitare i vasi a vernice nera di produzione italiota, ancora scarsamente diffusi in alcune aree interne 19. 23. CERAMICA LISTATA
Questa classe, nata e sviluppatasi a Canosa, si collega direttamente alla tradizione indigena, in particolare allo stile geometrico-vegetale del Daunio III (classe n. 6). Essa si sviluppa attraverso le seguenti tre fasi stilistico-cronologiche: "Listata A" (350-320); "Listata B" (320-300); "Listata C" (prima metà del III secolo) 20 Nelle prime due fasi vengono utilizzate due forme, prettamente locali, modellate ancora alla ruota lenta: l'olla con labbro a imbuto e l'askos. La decorazione, generalmente monocroma, consiste in motivi vegetali inseriti entro pannelli o liste, da cui deriva il nome della classe. La fase C e la pilo originale, essendosi distaccata ormai dalla precedente tradizione daunia. I vasi sono torniti e compaiono forme del tutto nuove, come gli askoi a bocca doppia o tripla, i thymiateria, le anforette, i vasi multipli. La decorazione, disposta in maniera fitta, comprende, accanto al tradizionale colore bruno-nero, il rosso e il rosa. Inoltre nel contesto decorativo fitomorfo vengono inserite piccole figure zoomorfe e antropomorfe. 24. CERAMICA SCIALBATA
I vasi cosiddetti "scialbati" sono dei vasi acromi che presentano una parziale ingubbiattura di latte di calce. Essi rientrano tipologicamente tra le ceramiche apule del IV e III secolo e sembrano rappresentare uno stadio non completo di lavorazione. Infatti la scialbatura potrebbe presupporre una 241
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decorazione policroma o una doratura, oppure rimanderebbe ad un effetto simile a quello offerto dai vasi cosiddetti argentati. Questa classe e diffusa in tutta la Puglia indigena e soprattutto in Peucezia 21 . Le forme sono quelle della ceramica a figure rosse, cui si aggiungono quelle imitanti prototip1 metallici: pJzia?ai ombelicate, semplici o baccellate, kantharoi, vasi plastici (rhyta e fiaschette), ed altre con baccellature e costolature nette. 25.
CERAMICA ARGENTATA
Questa classe è collegata alla precedente ed e vicina a quella dorata per caratteristiche tecniche e formali. Tuttavia se ne distacca per l'area di distribuzione e per i centri di produzione, essendo diffusa in tutta la Puglia, compresa Taranto 22 Essa presenta una spessa ingubbiatura biancastra di caolino, ad imitazione di prototipi argentei. Le forme phi comuni sono le seguenti: l'oinochoe di forma 1, ii kantharos, la pisside e laphiale mesonfalica, sialiscia, sia con cavità ovali e testine in rilievo23.
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CERAMICA DORATA
I vasi di questa classe presentano una superficie di colore, giallo ocra intenso. Essi sono prodotti al tornio in forme che denunciano chiaramente la loro imitazione del vasellame metallico, di bronzo o di bronzo dorato. Ii colore e steso a freddo mediante un legante di tipo organico. Le forme phi comuni sono le seguenti: la patera a manico antropomorfo o a manico semplice, la patera mesonfalica, l'oinochoe a becco e di forma 1, il kantharos, la pisside e la pseudopisside. Ii centro di produzione di questa classe era Canosa, nei cui corredi funerari è stata trovata la massima parte degli esemplari finora noti. La cronologia complessiva è compresa tra la metà del IV sec. e I primi decenni del III secob, con un'evidente intensificazione nel ventennio 340-320 a. C. 24 27.
CERAMICA POLICROMA DAUNIA
Comprende vasi decorati con figure o con altri motivi ornamentali eseguiti in una tecnica particolare, "a tempera" o a "freddo". Tale tecnica conferisce loro un aspetto pulverulento e una scarsa tenuta del colore, che ne spiega l'uso esclusivamente funerario. Di questi vasi, quelli rinvenuti nei grandi ipogei di Canosa, dove erano certamente fabbricati, furono chiamati in passato "canosini" o, phi di recente "plastici o policromi", per la coesistenza, accanto alla decorazione dipinta policroma, di una sovrabbondante decorazione plastica 25 Accanto a questa produzione canosina, caratterizzata da un'esuberante decorazione plastica e dall'impiego di forme del tradizionale repertorio daunio, come l'olla con labbro ad imbuto, recentemente e stato individuato un secondo gruppo, contraddistinto da una tipologia derivata dalle coeve classi apule e dalla mancanza della sovrabbondante decorazione plastica. Tale gruppo e stato attribuito alle officine di Arpi 26 . La cronologia assoluta dell'intera produzione e compresa tra gli ultimi decenni del IV e la prima metà del III secolo. 28.
CERAMICA POLICROMA TARANTINA
Questa classe rientra tra le ceramiche decorate "a tempera". Tecnicamente essa è contraddistinta da una scialbatura di base in latte di calce, cui si aggiunge una decorazione dipinta e plastica. La prima è costituita da tenui colori mal fissati a freddo, soprattutto l'azzurro e il rosa; la seconda consiste in figure plastiche cotte separatamente e applicate per mezzo di collanti. Questi vasi avevano una funzione esclusivamente funeraria. Le forme utilizzate sono soltanto due: Il lebes gamikos e un bacino su piede con coperchio. Ii luogo di fabbricazione e Taranto; la cronologia e compresa tra gli ultimi decenni del III secolo e la fine del II, o gli inizi del J27•
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29. CERAMICA A VERNICE NERA TARDA
E questa una delle ultime produzioni apule, diffusa in tutta la regione, compresa Taranto. Essa è compresa tra l'ultimo quarto del III secolo e la metà circa del I. Questa classe e stata distinta da quella diffusa dall'età arcaica al primo Ellenismo (n. 12), poiché presenta caratteristiche tecniche e formali diverse. Infatti essa appare ormai svincolata dalla tradizione attica, affermandosi come una Ceramica nuova, di passaggio verso quel repertorio di forme "internazionali", che caratterizza le successive ceramiche sigillate di eta romana 20 Nell'ambito di questa classe e stato recentemente individuato un gruppo, chiamato HFR (hard fired red), la cui area di diffusione comprende tutto ii Salento, compresa Taranto
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30. CERAMICA A PASTA GRIGIA
Questa classe e affine alla precedente ed e diffusa ampiamente nell'Italia meridionale ionica e adriatica. La sua caratteristica principale è l'argilla di colore grigio, la quale si associa ad una vernice tendente spesso ad un colore grigio-nero. Le forme pifi frequenti sono i piatti a orlo verticale o sagomato, le scodelle con orlo estroflesso, le coppe, le ciotole, le coppette biansate, I calamai. La cronologia generale e compresa tra le prima metà del II secolo e la metà del 130• Le trenta classi vascolari sopra descritte possono essere suddivise in gruppi se considerate da diversi punti di vista 31. Per la tecnica della decorazione esse possono essere suddivise nei seguenti quattro gruppi: A) ceramiche acrome o non dipinte; B) ceramiche dipinte con decorazione opaca o matta (matt-painted); C) ceramiche verniciate, lustre o semilustre; D) ceramiche dipinte nella tecnica "a tempera" (Cfr. Tabella A). Un altro principio fondamentale di classificazione delle ceramiche sopra elencate è quello etnicoculturale. Esse possono essere distinte, infatti in tre ample e fondamentali categorie: A) ceramiche indigene; B) ceramiche greche o di derivazione greca; C) ceramiche di tipo misto (cfr. Tabella B). Della prima categoria fanno parte le ceramiche di produzione e di tradizione locale. Esse risalgono alla fase di formazione della civiltà iapigia e continuano ininterrotte fino all'età ellenistica, conservando le proprie peculiarità nonostante il contatto e la concorrenza delle ceramiche elleniche, tecnicamente pifi evolute e pii ricche e vane sul piano decorativo. Alla seconda categoria appartengono le ceramiche di tipo e di tradizione greca, doe quelle classi prodotte in Italia dai vasai delle colonie greche e imitate da quelli indigeni, oppure imitate da questi direttamente dagli esemplari importati dalla Grecia. Esse si svilupperanno ulteriormente e per lungo tempo in Puglia, senza perdere, perô, la boro originaria e chiara impronta greca. La terza categona è formata dalle ceramiche di tipo misto, ossia da ceramiche che presentano caratteri tecnico stilistici ibridi, greci e indigeni, fusi e trasformati per lunga consuetudine dalle officine indigene. Sulla base di questa tripartizione sono state formulate delle sigle per ciascuna delle trenta classi individuate. In ciascuna sigla la prima lettera, seguita da un trattino, indica appunto l'appartenenza della classe ad una delle tre categoric: I (indigena); G (greca); M (mista). Tali sigle sono elencate nella prima colonna da destra della classificazione generale qui proposta (cfr. la Tabella Q.
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TABELLAA Articolazione delle classi per la tednica della decorazione A) Ceramiche acrome
B) Ceramiche dipinte "matte"
Impasto Ceramica acroma indigena Ceramica acroma tornita Ceramica acroma d'uso Ceramica da fuoco
Protogeometrico Iapigio Geometrico iapigio Geometrico Protodaunio Subgeometrico Daunio Subgeometrico Messapico Subgeometrico Peucezio Ceramica Listata
C) Ceramiche dipinte verniciate (lustre e semilustre)
D) Ceramiche dipinte "a tempera"
Ceramica a fasce coloniale Ceramica a fasce e di stile misto messapica e peucezia Ceramica a vernice rossa Ceramica a vernice nera Ceramica "macchiata" Ceramica a figure e a decorazione nere Ceramica apula a figure rosse Ceramica a fasce e di stile misto daunia Ceramica suddipinta Ceramica di Gnat hia Ceramica a vernice bruna e rossa Ceramica a vernice nera tarda Ceramica a pasta grigia
Ceramica scialbata Ceramica argentata Ceramica dorata Ceramica policroma daunia Ceramica policroma tarantina
TABELLA B Articolazione delle classi su base etnico-culturale A) Ceramiche indigene (I) Impasto Protogeometrico Iapigio Geometrico Iapigio Ceramica acroma indigena Geometrico Protodaunio Subgeometrico Daunio Subgeometrico Messapico Subgeometrico Peucezio Ceramica Listata
B) Ceramiche "greche" (G) Ceramica a fasce coloniale Ceramica a vernice rossa Ceramica a vernice nera Ceramica apula a figure rosse Ceramica suddipinta Ceramica di Gnathia Ceramica policroma tarantina
C) Ceramiche di tipo misto (M) Ceramica a fasce e di stile misto messapica e peucezia Ceramica "macchiata" Ceramica a figure e a decorazione nere Ceramica acroma tornita Ceramica acroma d'uso Ceramica da fuoco Ceramica a fasce e di stile misto daunia
Ceramica a vernice bruna e rossa Ceramica scialbata Ceramica argentata Ceramica dorata Ceramica policroma daunia Ceramica a vernice nera tarda Ceramica a pasta grigia
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TABELLA C
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TABELLAC Le ceramiche della Puglia preromana - Istogramma cronologico
I 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 F 17 18
[24
26 27 28 29 30
IX VIII VII Xl X CLASSI Impasto ----Protogeornetrico Iapigio Geometrico Japigio Ceramica acroma indigena ___ Geometrico Protodaunio ___ Subgeometrico Daunio Subgeometrico Messapico Subgeometrico Peucezio Ceramica a fasce coloniale Cerami6a a fasce e di stile misto mess. e peuc. Ceramica a vernice rossa arcaica Ceraniica a vernice nera Ceramica "macchiata" Ceramica a figure e a dec. nere Ceramica apula a figure rosse -Ceramica acroma tornita Ceramica acroma duso Ceramica da fuoco Ceramica a fasce e di stile misto daunia Ceramica suddipinta Ceramica di Gnathia Ceramica a vernice bruna e rossa Ceramica listata Ceramica scialbata Ceramica argentata . Ceramica dorata Ceramica policroma daunia Ceramica policroma tarantina Ceramica a vernice nera tarda Ceramica a pasta grigia
VI
IV V I _
III
II
___ ___ ____ _j
.__i -. • • __ -
11
SIGLE I-I I-PGI 1-GI I-A I-GPD I-SGD I-SGM I-SOP G-F M-FIv[P GVR G-VN M-M M-FDN G-FR M-AT M-AU M-AF M-FD G-S G-G M-VBR I-L M-S M-A M-D M-PD
_j I
M-VNT
NOTE. Nelle lunghe more della pubblicazione della presente opera l'argomento qui trattato e stato ripreso e pubblicato dallo scrivente nella seguente opera monografica: E.M. DE JUL11S, Mule anni di cerarnica in Puglia, Bari 1997. E. M. De Juliis, Gli lapigi. Storia e civiltd della Puglia preromana, Milano 1988. 2 R. PERONI, Archeologia della Puglia preistorica, Roma 1967, pp. 115-128. D. YETEMA, The matt-painted Pottery of southern Italy, Galatina 1990, pp. 19-30. D. YETEMA, The matt-painted Pottery, cit., pp. 31-85. E. M. DE JULns, La ceran2ica geometrica della Daunia, Firenze, 1977; ID., Centri di produzione ed aree di diffusione consmerciale della ceransica daunia di stile geornetrico, in ASP XXXI, 1978, pp. 3-23; ID., Nuove osservazioni sal/a ceramica geornetrica della Daunia, in La civiltd dei Dauni nel quadro del mondo italico, (Atti XIII Convegno di studi etruschi e italici, Manfnedonia, 21-27 giugno 1980), Firenze 1984, pp. 153-161. 6 E. M. DE JUL11S, La ceramica geornetrica del/a Daunia, cit. D. YNTEMA, The matt-painted Pottery, cit., pp. 86-108; 334-337. 8 E. M. DE JULIIS, La cerarnica geornetrica del/a Peucezia, Roma 1995.
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A. DELL'AGLIO, in I Greci in Occidente Arte e artigianato in Magna Grecia, (citato in seguito Arte e artigianato), Napoli 1996, pp. 56-57. 10 Si veda, ora: A. Di Z,wai, La ceramica coloniale arcaica a vernice rossa dal sud-est d'Italia, in Taras, XVII, 2, 1997, pp. 237-304. Sulla ceramica a vernice nera della Puglia, cfr.: L. MERZAGORA, I vasi a vernice nera della Collezione H.A. di Milano, Milano 1971; M. 0. JENTEL, Les gutti et les askoi a reliefs etrusques et apuliens, Leiden 1976; F. GILOTTA, Gutti e askoi a rilievo italioti ed etruschi, Roma 1985. 2 F. D'ANDRIA, Messapi e Peuceti, in Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, p. 668; E. M. DE JULIIS, Importazioni e influenze etrusche in Puglia, in Magna Grecia, Etruschi e Fenici (Atti del XXXIII Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto, 8-13 ottobre 1993), Taranto 1994, pp. 528-532. 13 Forentum I. Le necropoli di Lavello, Venosa 1988, pp. 221-224. 14 A. D. TRENDALL - A. CAMBITOGLOU, The Red-figured Vases of Apulia, Oxford 1978-1982. E. M. Da JUL05, La ceramicageometrica della Daunia, cit., pp. 56-71. I. D. BEAZLEY, Etruscan Vase Painting, Oxford 1947. Recentemente, per i vasi di questo gruppo, e stata proposta una fabbricazione a Metaponto, che ne avrebbe indirizzato l'esportazione soprattutto verso i centri indigeni della Peucezia e della Daunia meridionale (E.. G. D. RoBInson, Between Greek and Native: the Xenon Group, in Greek Colonists and NativePopulations (Proceedings of the First Australian Congress of Classical Archaeology Sydney 1985), Sydney 1990, pp. 251-266. Cfr.pure E. G. D. ROBINSON, in I Greci in Occidente - Arte e artigianato, cit. pp. 446-452. Si veda, da ultimo: M. DE JULIIS, La ceramica sovraddipinta apula, Ban, 2002. 17 T. B. L. WEBSTER, Toward a classification of Apulia Gnathia, in BICS XV, 1968, pp. 1-33. Altri studi fondamentali sono quelli di L. F0RTI, La ceramica di Gnathia, Napoli 1965 e di J. R. GREEN, Some Painters of Gnathia Vases, 1nBICS XV, 1968, pp. 34-50. 18 S. FOZZER, in Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto, III, 1. Taranto. La necropoli: aspetti e problemi della documentazione archeologica del VII al I sec. a.C., Taranto 1994, pp. 325-333. Cfr. pure: A. D'AMIcIs, in Arte e artigianato, cit. pp. 433-445; M. T. GrumonA, ibid., pp. 453-468. 19 M. CARRARA Ronzwi, Ceramica apula a vernice bruna e rossa, in RSL XLIV, 1978, pp. 219-232; E. M. DE JuLns, Ceramica di tradizione indigena e di derivazione greca nella Puglia preromana. Un tentativo di inquadramento generale, in Eumousia, Ceramic and Iconographic Studies in honour of Alexander Cambitoglou, Sidney 1990, p. 168; Forentum I, cit., pp. 213-220. 20 G. ABRUZZESE, Un gruppo di vasi dell'ipogeo "Varrese" e il problema della ceramica listato di Canosa, in AFLB XVII, 1974, pp. 7-53. 21 Ceglie Peuceta I, Bari 1982, pp. 203 e 205. 22 Vecchi Scavi. Nuovi Restauri, Taranto 1991, pp. 71 e 78. 23 Florentum II. L'acropoli in eta classica, Venosa 1991, pp. 72-73. 24 G. DE PAIMA, La ceramica dorata in area apula. Contributo alproblema delle ceramiche di imitazione inetallica, in Fares XIV, 1989, pp. 7-96. 23 F. VAN DER WIELEN V.sx OMMEREN, La céremique a decor polycrome et plastique dite de Canosa, Genève 1985 (tesi di dottorato); E., Vases with polycrome and plastic decoration from Canosa, in Italian Iron Age Artefacts in the British Museum ( Papers of the Sixth British Museum Classical Colloquium London 1982), London 1986, pp. 215-226. 28 M. MAZZEI, Note su un gruppo di vasi policromi decorati con scene di combattimento, de Arpi (FG), in AION (archeol) IX, 1987, pp. 167-188, EAD., Note sulla ceramica policroma di Arpi, in I. CHRISTLANSEN - T. MELANDER (edd.), Ancient Greek and Related Pottery, (Proceedings of the 3rd International Vase Symposium Copenhagen 1987), Copenhagen 1989, pp. 407-413. 27 E. LIPP0LI5, La ceramicepolicroma tarantina, in Taras XIV, 2, 1994, pp. 267-3 10. Cfr. pure ID., in I Greci in Occidente Arte e artigianato, cit. pp. 471-474. 28 F. Rossi, in Monte Sannace. Gli scevi dell'acropoli (1978-1983), Galatina 1989, pp. 164-168. 29 D. YNTEMA, A specific group of black-gloss were excavated at Valesio: the HFR group and its connections, in SAL 6, 1990, pp. 167-186. Cfr. pure K. G. HEMPEL, inArte e artigienato, cit., pp. 337-342. 30 L. GIARDINO, in Leuce, Galatina 1978, pp. 126-130; Ead., in SAL 1, 1980, pp. 247-287; F. Rossi, in Monte Sannace, cit., pp. 169-174. Cfr. pure K. G. HEMPEL, inArte e artigieneto, cit., pp 343-345. 31 Non si tiene conto qui della tecnica della modellazione, finora considerata come un elemento decisivo nella classificazione delle ceramiche della Puglia preromana, poiché è in corso un processo di revisione dci dati ritenuti un tempo acquisiti. infatti la netta distinzione tra ceramiche greche e di tipo greco tornite e ceramiche di tradizione indigena modellate alla ruota lenta e stata messa in dubbio da nuove analisi di laboratonio (xeroradiografia), le quali hanno indicato la conoscenza e I'uso del tornio, anche se non esciusiva, già nella fabbricazione dci vasi iapigii (Protogeometnico e Geometrico) e protodauni (Geometrico). Cfr. P. Boccuccix, P. DESOGUS, S. T. LEVI, Il problema dell'uso del tornio tra la fine dell'eta del Bronzo e la prima eta del Ferro: ceramica figulina do Coppa Nevigata (FG), in Preistaria e protostorie in Etruria (Atti del III Incontro di Studi, i.c.s.). La limitatezza geografica e cronologica dei campioni prelevati, provenienti tutti da Coppa Nevigata, non consentono, perO, ancora di modificare le tesi precedenti sulle ceramiche di altni ambiti cronologici e culturali.
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DENTI NECROPOLI IN CONTRADA STORNELLO DI RAVANUSA (AGRIGENTO)
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ANTONIA
Gil scavi condotti a partire dal 1973 a Monte Saraceno di Ravanusa, nelia provincia di Agrigento (fig. 1), hanno messo in luce resti cospicui di un insediamento di eta greca (fig. 2)1. In un circostanziato articolo pubblicato nel 1956 da Adamesteanu, a questo insediamento venne riconosciuta, dafla seconda metà del VI sec. a. C. in poi, la specie di una polis, nella quale l'autore proponeva di identificare Kakyron; essa sarebbe fiorita da un originario centro indigeno, al termine di un rapido processo di ellenizzazione, avviato neila seconda metà del VII sec. a.C. da Gela e compiutosi nell'età di Falaride, sotto l'influenza agrigentina 2 . E proprio afla seconda metà del VI sec. a.C. che risalgono le sepolture pifl antiche, sicehote a tutti gil effetti, messe in iuce fra 111985 ed ii 1988 neila necropoli orientale di Monte Saraceno, in Contrada Tenutella (fig. 2, e) 3. Una propaggine di questa vasta necropoh e costituita dalie sepolture esplorate durante gil scavi dell'anno 1989 in Contrada Stornello (fig. 2, g), a NO della Tenutella, sempre ad Oriente deil'acropoh (fig. 2, a) ma a NE rispetto ail'abitato del terrazzo mediano (fig. 2, b). L'area archeologica di Contrada Stornello presenta una forte pendenza da N verso S. Attualmente adibita a magro pascolo, vi permangono resti di coltura arborea, costituiti da pochi mandorli, Semisecchi o arsi da incendi. Affiora dovunque la roccia; i'originario strato soprastante di terreno argilloso è stato in gran parte dilavato nel corso dei secoli da episodi di natura ailuvionale. Se i caratteri geologici del sito avevano favorito l'affiorare di parecchie sepolture ed 11 conseguente loro pessimo stato di conservazione, gil immancabili interventi degli scavatori clandestini e I lavori agricoli, eseguiti quando ancora potevano dare frutto, sono stati causa di guasti ulteriori. Venne esplorata una superficie continua di metri 70 (in direzione E-O) x 20 (in direzione NS), divisa in tre settori e mezzo (fig. 3). Furono rilevate complessivamente ventidue sepolture, comprese in due raggruppamenti intervallati fra loro: ad 0, le sepolture 1-9; ad E, con tendenza a disporsi lungo una fascia con andamento diagonale in direzione NE-SO, le sepolture 10-22 (fig. 3). Le due aggregazioni non avevano alcuna giustificazione palese. DEscRIzI0NE DELLE SEPOLTURE E DEl CORREDI Sepoltura 1 (Tav. I, 1)
Inumazione di bambino, con protezione "alla cappuccina". Orientamento NE-SO. Violata? Fossa a planimetria ellittica, con perimetro assai irregolare; sembrava danneggiata sul lato SO (cfr. Sep. 2). Dimensioni: m 1,20x0,70x0,40 di profondità nello strato. Sul lato SE vi erano, contigue, due grosse pietre. Spioventi rudimentali, composti da due spezzoni di embrici fittili - quello a SO con listello, l'altro rotto in due parti -, con columen orientato in direzione NE-SO, secondo l'asse minore della fossa. Della piccola salma inumata si conservavano soltanto pochi e minuti frammenti di ossicini. Ii corredo (Tav. II, 1) comprendeva quattro elementi, tutti rinvenuti sotto la protezione a spioventi. La sepoltura e databile alla fine del VI sec. a.C. 1-1 Kylix a vernice nera. Inv. Ray. 3463. Argilla chiara. Modello con piede molto basso. Alt. cm 3,8; diam. orlo cm 8,4. Cerchi neri e risparmiati nel tondo interno.
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Fig. 1. La Sicilia centro-meridionale. 1-2 Kotyliskos tardocorinzio. Inv. Ray. 3464. Argilla rosata. Intero. Alt. cm 3,3. Parte inferiore coperta di pigmento nero, quasi del tutto svanito.
1-3 Kothon a vernice nera. Inv. Ray. 3465. Argilla rosata. Intero, con scheggiature nelI'orlo. Alt. cm 1,9; diam. orlo cm 3,9. Pigmento nero in parte svanito. 1-4 Testina fittile femminile. Inv. Ra y. 3466 (tav. V,1). Argilla pallida. Matrice stanca. Rottura alla base del collo. Alt. cm 515. Sul capo, diadema e velo. Sulla fronte, acconciatura con riccioli a lumachella. 248
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Fig. 2. Monte Saraceno di Ravanusa, carta archeologica del territorio (su fogli 1GM 272 IV NO, 272 IV SO). a) acropoli; b) abitato del terrazzo mediano; c) abitato del terrazzo inferiore; d) resti della cinta muraria orientale; e) necropoli orientale di Contrada Tenutella; f) necropoli occidentale; g) necropoli di Contrada Stornello. Nel volto, dal contorno ovale, i lineamenti sono scarsamente distinguibili; si notano tuttavia ii taglio spiovente delle arcate sopraccigliari e degli occhi, mentre gli angoli delle labbra sono rivolti in sü. Sepoltura 2 (Tav. I, 1)
Inumazione di infante enchytrismenos. Orientamento E-O. Violata? Fossa a planimetria ellittica, con perimetro notevolmente irregolare; addossati al tratto SE vi erano due massi contigui. Dimensioni della fossa: m 1x1,20x0,30 di profondità nello strato. Sembrava aver subito danno sul lato E, a menu che non fosse comune alla sep. 1 (cfr.), nel qual caso le dimensioni della sua planimetria, sempre di forma ellittica, sarebbero state dim 1,20x1,70, con l'asse maggiore orientato in direzione NE. Ii contenitore era un vaso fittile acromo, i cui frammenti furono trovati disposti da E ad 0; l'imboccatura guardava verso 0. Dello enchytrismenos si conservavano poche schegge di ossicini e qualche dente. Ii corredo consisteva di un solo vasetto, rinvenuto frammentato, sotto i pezzi del contenitore. La sepoltura e databile tra la fine del VI e il primo decennio del V sec. a.C. 249
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Fig. 3. Planimetria generale dello scavo in Contrada Stornello (dis. A. Catalano). 250
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2-1 Vaso fittile acromo. Argilla scura. Frammentato. Non ricomposto. 2-2 Lekythos attica a figure nere (Tav. II, 2). Argilla rosata. Frammentata; ricomposta. Alt. cm 10,4. Abrasioni sul pigmento nero; decorazione figurata in parte abrasa. Tipo II. Sono coperti di pigmento nero ii labbro, la superficie esterna dell'ansa, la parte inferiore del corpo con la faccia superiore del piede. Sulla spalla, boccioli di loto collegati da archetti. La decorazione figurata comprende quattro personaggi. Da sinistra: figura maschile nuda che incede a grandi passi verso sinistra, retrospiciente, con ii braccio destro piegato sul petto e l'altro aperto; cavaliere nudo, con due lance nella sinistra, su cavallo al passo verso destra; personaggio ammantato, seduto di profilo a destra, forse su dipliros, che aiza la mano sinistra; figura maschile nuda, incedente verso destra, con la mano sinistra aizata. I particolari interni delle figure sono graffiti. Fine del VI-inizio del V sec. a.0
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Sepoltura 3
Deposizione di adulto nella nuda terra. Orientamento NE-SO. Fossa ampia, con planimetria absidata (lato curvo a NE), poco profonda nello strato. Dimensioni: m 2,38x1,05x0,20 di profondità nello strato. Le pareti presentavano aspetto estremamente irregolare, specie nei lati SE e NO. Era suggellata da uno strato di argilla. Conteneva pochi resti dello scheletro, pertinente ad un individuo deceduto in eta adulta. Ii corredo vascolare (lay . II, 3), rinvenuto in frammenti, comprende due elementi. La sepoltura è databile nella seconda metà del VI sec. a.C. 3-1 Aryballos ovoidale acromo. Inv. Ray. 3467. Argilla pallida. Ricomposto. Alt. cm 19. 3-2 Lekythos samia a profilo sagomato. Inv. Ray. 3498. Argilla pallida. Ricomposta. Alt. cm 24,4. Sepoltura 4
Inumazione di bambino, con protezione "alla cappuccina". Orientamento E-O. Fossa a planimetria trapezoidale (m 1,300,90), conic basi orientate in direzione E-O, dotata di una sorta di grande controfossa a planimetria ellittica, con perimetro irregolare, poco profonda nello strato pietroso e roccioso (m 1x1,30x0,30 di profondità). Conteneva alcuni spezzoni di embrici fittili, poche schegge di piccole ossa ed un vasetto di corredo, frammentato. La sepoltura e databile fra ii terzo e l'ultimo venticinquennio del V sec. a.C. 4-1 Lekythos aiyballica avernice nera (Tav. III, 1). Argilla rosata. Ricomposta. Alt. cm 10,2. Pigmento nero in parte svanito. Sepoltura 5
Deposizione di bambino nella nuda terra. Orientamento E-O. Piccola fossa a planimetria ellittica, con perimetro irregolare, poco profonda nello strato roccioso e pietroso. Dimensioni: m 1,02x0,88x0,30 di profondità nello strato. Non si conservavano resti della piccola salma. 251
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Si rinvenne un solo vasetto di corredo, frammentato. La sepoltura e databile nel IV sec. a.C. 5-1 Olpe globulare a vernice nera (Tav. III, 2). Argilla rosata. Ricomposta. Alt. cm 6,4. Pigmento nero in parte svanito. Sepoltura 6
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Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina" (?). Orientamento SE-NO. Fossa molto ampia, a planimetria ellittica. Dimensioni: m 3,50x1,50x0,50 di profondità nello strato. Le radici di un carrubo, distrutto dal fuoco quando già era adulto, vi erano penetrate, sconvolgendo sia la protezione di embrici fittili che i resti della salma. Di conseguenza, l'estrema frammentazione degli elementi non consentl di precisare la tipologia della protezione. Si conservavano resti di uno scheletro notevolmente robusto. Presso la testata NO furono trovati parti di due vasi (6-1, 2); altri tre (Tav. III, 3), frammentati, erano sulla fiancata NE, a metà circa della sua lunghezza. La sepoltura e databile nell'ultimo ventennio del VI sec. a. C. 6-1 Frammento di kylix o di patera acroma. Argilla pallida. Rimane soltanto il piede, a stelo. 6-2 Aryballos acromo. Argilla pallida. Minutamente frammentato. Ansa a staffa. 6-3 Olpe ovoidale a vernice nera. Inv. Ra y. 3500. Argilla chiara. Ricomposta. Alt. cm 14,4. Pigmento in gran parte svanito. Forma allungata, a collo non separato e base ampia. 6-4 Lekythos attica a figure nere. Inv. Ray. 3507 (Tav. V, 2). Argilla rosata. Ricomposta, con integrazioni. Alt. cm 14,5. Della decorazione sia figurata che accessoria, e del pigmento nero, rimane ben poco. Forma 2. Pigmento nero sul labbro, sulla parte esterna dell'ansa, sulla parte inferiore del corpo e sulla faccia superiore del piede. Sulla spalla, palmette trilobate. Sul corpo, resti di tre figure ammantate. Da sinistra: due personaggi che si fronteggiano; ii terzo è di profilo a sinistra. Drappi appesi alla parete. Gruppo del Vaticano G 52. Intorno al 520 a.C.
6-5 Scodellina a vernice nera. Inv. Ra y. 3502. Argilla rosata. Ricomposta. Alt. cm 3,4; diam. orlo cm 9,4. Sepoltura 7
Deposizione di adulto nella nuda terra. Orientamento E-O. Violata e sconvolta. Ampia fossa a planimetria ellittica; venne in luce al di sotto di un sottile stacco di terreno superficiale Dimensioni della fossa: m 2,50x1,500,80 di profondità nello strato. Vi si rinvennero resti di uno scheletro, rimescolati. 252
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Conteneva inoltre frammenti di un grande vaso acromo e parte di un piccolo oggetto non identificabile, in feno. La sepoltura è databile nell'ultimo venticinquennio del VI sec. a. C. 7-1 Lekane acroma (Tav. IV, 1). Argilla chiara. Ricomposta, con integrazioni. Alt. cm 19; diam. orlo cm 3 8,7. 7-2 Frammento di applique (?) in ferro. Molto ossidato.
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Sepoltura 8 (Tav. I, 2)
Incinerazione primaria di adulto (con osteologia?). Orientamento NE-SO. Violata e distrutta. Area di bruciato a planimetria ellittica, venuta in luce al di sotto di un sottile stacco di terreno superficiale. Era delimitata lungo ii lato SE da quattro grandi spezzoni di embrici, infissi nel terreno dalla parte del listello, a mo' di spalliera, forse residuo di una protezione a cassa di tegole. Dimensioni: m 1,70x 0,700,28 di profondità nelbo strato (dimensione superstite). Conteneva resti di ossa calcinate, pertinenti allo scheletro di un individuo deceduto in eta adulta. L'ipotesi che fosse stato praticato ii rito della osteologia e supportata dalla presenza di frammenti di un grande cratere a vernice nera (8-1). Del corredo (lay. IV, 2) si conservavano frammenti combusti di due vasi (8-2, 3). La sepoltura Si pu6 datare nella seconda meta del VI sec. a.C. 8-1 Frammenti di cratere a vernice nera. Argilla rossa. Pertinenti all'orbo. 8-2 Olpe ovoidale a vernice nera. Combusta; ricomposta per circa due terzi dell'altezza, a partire dal basso. Alt. residua cm 6. Pigmento nero quasi del tutto svanito. 8-3 Lekythos tardocorinzia. Combusta; ricomposta, manca dell'imboccatura. Alt. cm 15,2. Coperti di pigmento bruno: l'anello, rilevato, alla base del collo, e la faccia superiore del piede. Tre fasce brune alla base della spalla ed intorno alla parte inferiore del corpo. Sepoltura 9 (lay. I, 2)
Incinerazione primaria di adulto. Orientamento NE-SO. In parte sottoposta alla sep. precedente, rispetto alla quale si presentava notevolmente sfalsata verso SE. La fossa era dotata di controfossa scavata nella roccia. Fossa a planimetria approssimativamente rettangolare; dimensioni: m 1,60x0,42x0,45 di profondità nello strato. Controfossa a planimetria ellittica: m 1,60x0,30x0,20 di profondità. Conteneva ceneri. Non vi erano tracce di corredo. La sepoltura sembra attribuibile, per la tipologia, alla seconda meta del VI sec. a.C. Sepoltura JO (Tav. I, 3)
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento E-O. Fossa a planimetria approssimativamdnte rettangolare. Dimensioni: m 1,80x0,80x0,47 di profondità nello strato. Della protezione di tegole pertinente alla fiancata N, si conservavano in posto Spezzoni di due embrici. Si conservava in posto, abbattuto all'interno, anche lo spezzone di embrice che fungeva da testata 0: era stato colbocato con il listello per lungo, verso il lato N, rivolto all'interno. Sul fondo, nella metà 0 della fossa, poggiava un grande embrice, adagiato per lungo, con i listelli a vista, parte superstite della pavimentazione, composta in origine da due elementi. 253
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Si rilevarono segmenti di ossa pertinenti agli arti inferiori di un soggetto deceduto in eta adulta, la cui salma era stata deposta con la testa ad E. Non vi era traccia di corredo. Databile net primo venticinquennio del V sec. a.C. Sepoltura 11
Incinerazione primaria di adulto. Orientamento NE-SO. Fossa a planimetria absidata (lato curvo a SO). Dimensioni: m 2x0,90x0,63 di profondità nello strato. Le pared presentavano segni evidenti del rogo; quella NO, meglio conservata, mostrava tracce di un rivestimento a mattoni crudi; lungo it lato SE si notava una stretta risega. La parte NE delta sepoltura era mal conservata, certamente a causa delta pendenza del terreno. In prossimità delta testata NE si rilevarono frammenti di ossa craniche calcinate e, vicino, i presumibili resti del corredo. La sepoltura sembrerebbe databile net secondo venticinquennio del V Sec. a.C.
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11-1 Frammenti ceramici. Minuti e fortemente combusti. Forse pertinenti a pfri vaSetti. Sepoltura 12
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento NE-SO. Violata e distrutta. Fossa a planimetria approssimativamente rettangolare. Dimensioni: m 1,90x0,800,50 di profondità nello strato. Della protezione a spioventi rimanevano soltanto spezzoni sparsi di embrici fittili; presso la testata SO, vi era un coppo, elemento superstite di un sistema di coprigiunti. Nella meta NE delta sepoltura it livello del fondo si presentava rialzato, a causa di movimenti del teneno. It fondo era in origine coperto da due embrici, posati net senso delta lunghezza, con i listelli verso l'interno: si trovavano ancora in posto quello delta metà SO e 2/3 circa dell'altro. Non si rilevarono resti delta salma e neppure tracce di corredo. Fine del VT-primo venticinquennio del V sec. a.C. Sepoltura 13
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento E-O. Violata e distrutta. Fossa con planimetria ellittica irregolare. Dimensioni: m 1,90x0,90x0,50 di profondità nello strato. Si presentO rovinata nella parte orientate, certo a causa di uno smottamento del terreno, in quel punto in forte pendenza. Della protezione a spioventi si conservavano spezzoni sparsi di embrici fittili; la testata 0 - costituita da un mezzo embrice, sistemato con i listelli in senso orizzontale ed a contatto con la parete delta fossa -, fu trovata ancora in situ. In posto era anche 11 rivestimento del fondo, composto di due tegoloni posati per lungo, con i listelli verso l'interno delta sepoltura. Non si rinvennero resti umani e neppure tracce di corredo. Primo venticinquennio del V sec. a. C. Sepoltura 14
Deposizione di adulto, in fossa coperta da tegole (?). Orientamento NE-SO. Violata e distrutta. Fossa con planimetria absidata (lato curvo a SO). Dimensioni: m 1,900,80x0,40 di profondità nello Strato. Sul riempimento, in prossimità delle testate, si rinvennero pochi spezzoni di embrici fittili; poiche it riempimento non conteneva frammenti di tegoloni e non vi erano in posto elementi o parti di elementi di testata, si puo presumere che la fossa possedesse in origine soltanto una copertura piana, composta di embrici. All'interno, non si rilevarono resti dell'inumato né tracce di corredo. Fine del VII sec. a.C.? 254
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Sepoltura 15
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento E-O. Violata e semidistrutta Fossa a planimetria absidata (lato curvo ad E). Dimensioni: m 1,90x0,70x0,20 di profondità nello strato (dimensione superstite). Conteneva spezzoni di embrici fittili. Non si rilevarono resti umani. Nessuna traccia di corredo. Non databile. Sepoltura 16
Inumazione di adulto, in sarcofago fittile (?). Orientamento NE-SO. Violata e distrutta Fossa con planimetria absidata (lato curvo a SO); distrutta nella parte NE. Dimensioni: m 2x0,90x0,55 di profondità nello strato. Net riempimento si rinvenne uno spezzone di sarcofago fittile. Non si rilevarono resti dell'inumato. Non vi erano tracce di corredo. Prima metà delV sec. a.C.?
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Sepoltura 17
Inumazione di adulto, con protezione mista (?). Orientamento NE-SO. Violata. Fossa con planimetria approssimativamente ellittica, danneggiata nella parte NE. Dimensioni: m 1,90x0,75x0,45 di profondità nello strato. Lungo la testata SO ed ii lato SE adiacente, alla profondità di m 0,25 dallo strato, vi era una stretta risega estinguentesi progressivamente in direzione delta testata NE - che conferiva alla meta pifl bassa della fossa una planimetria a ferro di cavallo (lato curvo a SO). Della protezione rimanevano spezzoni di embrici fittili, allineati lungo ii lato NO, ritti sui listelli che poggiavano sul fondo, rivolti verso l'interno della sepoltura. Se gli spezzoni di tegole si trovavano ancora in posto, si deve ritenere che fossero pertinenti ad un rivestimento del lato NO delta fossa, anziché alla fiancata SE di una protezione "alla cappuccina", spinta verso quella opposta, o a rivestimento del fondo. Non e chiara, tuttavia, la funzione delta risega: per esempio, la protezione potrebbe anche essere consistita, in origine, di un solo spiovente sul lato SE, oppure, sempre sul lato SE, potrebbe esservi stato un altro tipo di rivestimento, forse a mattoni crudi, di cui perà non rimaneva traccia alcuna. Non si rilevarono resti dell'inumato. Dubbia la presenza di un corredo vascolare. La sepoltura e databile dalla fine del VI at primo venticinquennio del V sec. a.C. 17-1 Frammenti di ceramica acroma. Non ricomponibili. Sepoltura 18
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento E-O. Violata e distrutta. Fossa a planimetria rettangolare, venuta in luce al di sotto di un sottile stacco di terreno superficiale. Franata nella parte orientate, a causa della forte pendenza del terreno; inoltre, almeno la meta superiore e da ritenersi perduta. Dimensioni: m 1,800,70x0,20 di profondità nello strato (dimensione superstite). Net riempimento fu trovato qualche spezzone di embrice fittile; sul lato N rimaneva ancora in posto parte frammentata di uno degli elementi impiegati per rivestire it fondo, posato per lungo e con it listello a vista. Non si rilevarono resti dell'inumato. Non vi erano tracce di corredo. Fine del VI-inizio del V sec. a.C. Sepoltura 19
Incinerazione primaria di adulto. Orientamento NE-SO. Probabilmente violata; semidistrutta. Fossa-ustrino con planimetria approssimativamente rettangolare; la parte NE era quasi affiorante nello strato: si puà ipotizzare un franamento delle pareti a causa della forte pendenza del terreno; evidenti segni del rogo. Dimensioni: m 1,700,70x0,15 di profondità nello strato (dimensione superstite). 255
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Della salma cremata rimanevano soltanto frammenti calcinati di ossa craniche e due molari. Non vi erano tracce di corredo. Non databile. Sepoltura 20
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento NE-SO. Violata e distrutta. Fossa a planimetria approssimativamente rettangolare; franata per gran parte, appariva pifi danneggiata nella metà NE. Dimensioni: m 2x0,700,25 di profondità nello strato (dimensione superstite). Conteneva pochi spezzoni sparsi di embrici fittili. Non si rilevarono resti della salma. La sepoltura era forse dotata di corredo. La sepoltura e databile dalla fine del VI al primo venticinquennio del V sec. a.C. 20-1 Frammento di vaso acromo. Argilla pallida. Ii frammento comprendeva parte del fondo.
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Sepoltura 21
Iriumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento NE-SO. Violata e distrutta. Fossa a planimetria approssimativamente rettangolare, franata per almeno 1/2 della sua profondità originana; maggiormente danneggiata nella parte NE. Dimensioni: m 1,70x0,750,20 di profondità nello strato (dimensione superstite). Conteneva spezzoni sparsi di embnici fittili, specie nella parte SO. Si rilevarono pochi frammenti di ossa umane. Non vi erano tracce di corredo. Inizio del V sec. a.C.? Sepoltura 22 (Tav. I, 4)
Inumazione di adulto, con protezione "alla cappuccina". Orientamento E-O. Violata e distrutta. Fossa a planimetria approssimativamente rettangolare; la profondità originaria si era probabilmente conservata. Dimensioni della fossa: m 2,200,98x0,40 di profondità nello strato. Nella meta orientale furono trovati pochi spezzoni sparsi di embrici fittili, forse pertinenti anche a rivestimento del fondo. Non si rilevarono resti dell'inumato. Non vi era traccia di corredo. Non databile.
TIPOLOGIA DF.LLE SEPOLTURE
La classificazione tipologica delle ventidue sepolture esplorate e stata eseguita applicando 11 medesimo criterio adottato per le sepolture rinvenute in Contrada Tenutella. La distinzione fondamentale evidenzia due serie di deposizioni: quelle dotate di sistemi di protezione delle salme e queue priye di tali sistemi 4. Alla prima serie, sono pertinenti una inumazione in sarcofago fittile, un enchytrismos di infante, tredici sepolture con protezione di tegole, una incinerazione in fossa-ustrino rivestita di mattoni crudi, una incinerazione secondaria; all'altra, tre deposizioni nella nuda terra e due incinerazioni primarie. Deposizioni protette
a) In sarcofago fittile (Sepoltura 16, violata) La fossa presentava planimetria absidata, con il lato curvo a SO. 256
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Ii pessimo stato di conservazione di questa sepoltura non ha consentito di rilevare la tipologia del sarcofago, di cul si 6 potuto recuperare soltanto un frammento della parte superiore del coperchio, a doppio spiovente, in argilla rossa, mescolata a particelle di tritume lavico. b) Enchytrismos di infante
(Sepoltura 2; violata?) La fossa, a planimetria ellittica assai irregolare, era forse comune alla attigua Sep. 1 (Tav. I, 1), anch'essa infantile ma dotata di protezione "alla cappuccina". Se tale ipotesi corrispondesse alla realtà, si avrebbe una testimonianza di inumazione doppia nella medesima fossa. Due massi, con allineamento NE-SO, avevano probabilmente la funzione di proteggere l'area e fors'anche di contrassegnare in superficie la presenza delle due piccole sepolture. Ii contenitore, ridotto in frammenti, dello enchytrismenos, era un vaso fittile acromo a pareti spesse; scmbrava deposto con l'imboccatura verso 0.
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c) Con tegole
(Sepolture 1,4,6, 10, 12, 13, 14, 15, 17, 18, 20, 21, 22; non violate: 1?, 4, 6). Le sepolture 1 e 4 erano infantili. La planimetria prevalente delle fosse era a rettangolo, pifl o meno regolare; ma sono stati rilevati anche esempi di planimetria ellittica (sepolture 1 - lay. I, 1-, 13, 17) o absidata (nr. 14, con lato curvo a SO e nr. 15, con lato curvo ad F). Le dimensioni variavano dai m 3,50x1,50 della Sep. 6, aim 1,20x0,70 della nr. 1. La sep. 4, infantile, era dotata di controfossa: caso eccezionale per un sistema ad inumazione. La mancanza di riseghe laterali mostra che gli elementi della protezione a spioventi poggiavano sul fondo. Alcune sepoiture presentavano resti di pavimentazione, eseguita mediante due embrici fittili posati nel senso della lunghezza (nrr. 10- Tav. I, 3-, 12, 13, 18 e, probabilmente, anche 22 - Tav. I, 4). In ben sette casi (sepolture 1, 6, 15, 17, 20, 21 e 22) non è stato possibile identificare il numero e la disposizione degli embrici fittili che componevano la protezione a spioventi, ma si puà ragionevolmente presumere che nelle sepolture con ii fondo della fossa pavimentato come si e detto, gli spioventi comprendessero una coppia di embrici ciascuno, disposti con i listelli nel senso della lunghezza. Nella Sep. 12 e stato trovato un frammento di coppo fittile, sicuramente adibito a coprigiunti. Rimane dubbia l'identificazione della tipologia delle sepolture 14 e 17: la prima sarebbe anche potuta essere una fossa semplice coperta da tre embrici posati con iiistelli per largo mentre la seconda possedeva forse una protezione mista. Nelle sepolture infantili (ncr. 1 e 4) gli spioventi erano costituiti da uno o due spezzoni di embrici per fiancata. Raramente si sono potuti riconoscere i modi adottati per occiudere i triangoli di scarico della protezione: uno spezzone di embrice, alla testata 0, nelle sepolture 10 (Tav. I, 3) e 13. d) In fossa-ustrino con rivestimento di mattoni crudi
(Sepoltura 11) Tracce di un rivestimento eseguito con filari di mattoni crudi sono state rilevate sulla parete lunga NO della fossa, che era quella in migliore stato di conservazione. In origine, il rivestimento doveva estendersi almeno alla parete SE, impostato su una stretta risega osservata nel corso dello scavo. Questa sepoltura costituisce un esempio, anomalo per le necropoli fin'ora esplorate nel territorio di Monte Saraceno, di fossa-ustrino dotata di un rivestimento, totale o parziale, alle pareti. e) Incinerazione secondaria
(Sepoltura 8; violata) Lo stato di conservazione della sepoltura (Tav. I, 2) ha reso alquanto incerta la ricostruzione del suo aspetto originario. Della fossa-ustrino, franata nella parte superiore, si 8 potuta individuare soltanto la planimetria, ellittica. Una sorta di spalliera, composta di embrici fittili, rinvenuta lungo il lato E, era stata forse predisposta per contenere la pendenza del terreno; ma non si puà neppure esciudere che costituisse la fiancata superstite di una protezione del tipo a cassa di tegole, della cui esistenza perà non sono state rilevate altre tracce. L'unico indizio di una osteologia, seguita dalla deposizione dell'urna nel luogo stesso del rogo, e rappresentato dai frammenti a vernice nera dell'orlo di un grande cratere.
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Deposizioni non protette a) Seppellimenti nella nuda terra
(Sepolture 3, 5, infantile; 7, violata) La Sep. 3 era suggellata da uno strato di argilla, la nr. 5 era stata scavata nella roccia. Le planimetrie delle fosse si presentavano ora obsidata, con ii lato curvo a NE (sep. 3), ora ellittiche (nrr. 5 e 7). Le dimensioni variavano dai m 2,50 di lunghezza della nr. 7, notevole anche per la larghezza e la profondità, che misuravano, rispettivamente, m 1,50 e 0,80, al m circa di lunghezza, misurato all'asse maggiore, della sep. 5, infantile, dove la profondità non superava i m 0,3 0. b) Incinerazioni primarie
(Sepolture 9; 19, violata?) Le fosse-ustrino non dotate di sistemi di protezione dei resti erano due, entrambe a planimetria rettangolare; soltanto la 9 (Tav.I, 2) presentava una controfossa a planimetria ellittica, scavata nella roccia. Le dimensioni differivano nei due casi: piü ampia appariva la Sep. 19 (m 1,70A,70). La profondità, rilevabile soltanto nella 9, era modesta: m 0,65, compresa la controfossa.
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Rrri Anche in questo settore della necropoli è stata rilevata la coesistenza dei riti della inumazione e della cremazione, per quanto attiene alle salme degli individui deceduti in eta adulta , e si è avuta ulteriore conferma dell'uso di non sottoporre a cremazione le salme degli infanti e del bambini I . Si deve perO osservare che la incidenza dci casi di cremazione risulta notevolmente inferiore rispetto a quella calcolata per la necropoli della Tenutella: quattro testimonianze in tutto (nrr. 8, 9, 11 e 19), su un totale di diciotto sepolture di adulti, è pari al 22,22%, contro ii 35,09%. Prevale la cremazione in fossa-ustrino, con seppellimento in situ dei resti (sepolture 9 e 19: 50% delle cremazioni); figurano poi, pariteticamente, la cremazione seguita da osteologia, con deposizione dell'urna nella fossaustrino (sep. 8), e la cremazione in fossa-ustrino rivestita di mattoni crudi, con seppellimento in situ dei resti (sep. 11), che rappresentano l'altro 50% delle cremazioni. Tra le inumazioni, prevalgono le tipologie caratterizzate da sistemi di protezione delle salme: dodici sepolture su quattordici (nrr. 6, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 22: 85,71% delle inumazioni di salme di individui adulti). Dovrebbe trattarsi nel 75% dci casi di protezioni a spioventi di tegole, del tipo cosiddetto "alla cappuccina": infatti, a parte qualche testimonianza di dubbia interpretazione (nrr. 14 e 17), e stata rinvenuta una sola possibile deposizione in sarcofago fittile (sep. 16: 8,33% delle deposizioni di adulti con sistema di protezione). Le deposizioni nella nuda terra sono rappresentate da due esempi (sepolture 3 e 7: 14,29% delle inumazioni di adulti). Le sepolture infantili databili fra la metà del VI e quella del V sec. a.C. sono soltanto due (nrr. 1 e 2) 8 Sotto l'aspetto tipologico, si tratta di una deposizione protetta col sistema a spioventi (nr. 1) e di Un enci-zytrismos.
I dati di scavo non hanno fornito elementi obiettivi che consentissero di identificare ii sesso degli individui defunti e pertanto qualunque illazione in proposito appare arbitraria. L'orientamento delle sepolture seguiva prevalentemente l'asse NE-SO (nrr. 1, 3, 8, 9, 11, 12, 14, 16, 17, 19, 20, 21: dodici casi, 54,54% del totale); un gruppo di nove sepolture presentava orientamento E-O (nrr. 2, 4, 5, 7, 10, 13, 15, 18, 22: 40,90%); la rimanente era orientata SE-NO (nr. 6: 4,54%). Vi era quindi una stretta osservanza del rituale che prescriveva di deporre le salme con la testa verso Oriente 9. Cocin-ni Le sepolture nelle quali si è potuta accertare o ragionevolmente presumere la presenza di un corredo funebre, erano undid: sette di adulti (nrr. 3, 6, 7, 8, 11, 17?, 20?) dc quattro infantili (1, 2, 4, 5). 258
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Si tratta, invero, di un dato interessante, soprattutto se si considera l'alto numero di sepolture che all'esplorazione si presentarono violate o distrutte (quindici) 10• Per quanto attiene alle sepolture degli individui deceduti in eta adulta, i dati di scavo relativi alla presenza di corredi parrebbero privilegiare le deposizioni con protezione (nrr. 6, 8, 17, 20: 57,14% delle sepolture di adulti certamente dotate di corredo), rispetto alle deposizioni nella nuda terra (nrr. 3,7 eli). I corredi comprendono vasi acromi, a vernice nera ed a figure nere; una testina fittile proviene da una sep. infantile (nr. 1); soltanto nella sep. 7 è stato trovato un frammento di laminetta di ferro, di cui non è stato possibile individuare la pertinenza (lama di rasoio o coltello, applique oppure ornamento personale). Nei due casi in cui è stato possibile rilevarne la posizione, gli elementi del corredo si presentavano adagiati ai piedi e lungo ii lato destro dei resti della salma (sep. 6) o accanto al cranio (sep. 11). I piccoli vaSi recuperati da fosse-ustrino sono sempre combusti e pertanto dovevano aver accompagnato la salma sul rogo. Infine, nelle sepolture dotate di sistemi di protezione, non vi è testimonianza della presenza di oggetti fuori delle protezioni medesime, ad eccezione del corredo funebre del piccolo enchytrismenos della sep. 2, trovato sotto il contenitore CERAMICHE I vasetti pertinenti ai corredi funebri sono in prevalenza a vernice nera: tre olpai, una lekythos aryballica, una kylix, una scodellina, un kothon. Una lekythos con decorazione a fasce brune attesta, assieme ad un kotyliskos, la presenza dei prodotti corinzi. La ceramica attica figurata è rappresentata da due piccole lekythoi a figure nere. Vi è poi un gruppetto composito di vasi acromi, che comprende un aryballos ovoidale, una lekythos "samia", una grande lekane. Ceramica tardocorinzia Ii kotyliskos 1-2 (Tav. II, 1) appartiene al LC II, Gruppo C, della classificazione di Payne. La serie e documentata anche nella necropoli della Tenutella 12; gli esemplari sono databili nella seconda metà del VI sec. a. C. L'altro vaso di produzione corinzia (8-3: la y. IV, 2), una lekythos "with angular shulder" decorata a fasce brune, risale al LC I e dovrebbe essere attribuibile alla meta circa del VI sec. a.C.; una lekythos di forma analoga proviene dalla sep. 14 della Tenutella 13 Ceramica greco-orientale Potrebbe essere imitazione locale di un modello greco-orientale il grande aryballos ovoidale, con collo molto corto, imboccatura stretta a labbro espanso e breve ansa a staffa (3-1: Tav. II, 3), rinvenuto in associazione con una lekythos samia a profilo sagomato (3-2). Un altro aryballos di forma e dimensioni molto simili, ma privo dell'ansa, proviene dalla sep. 26 della Tenutella 14 Nessuno dei due vasi preSenta tracce leggibili della decorazione a bande caratteristica della produzione grecoorientale, decorazione che invece Si conserva su un esemplare simile di Agrigento '. I confronti suggeriScono un inquadramento cronologico nella seconda metà del VI sec. a.C. Questa datazione sembra convenire anche alla lekythos "samia" a profilo sagomato (Tav. II, 3). Lekythoi di tipo cosiddetto samio si incontrano spesso nei corredi funebri delle sepolture arcaiche di Monte Saraceno, anche nella variante a profilo convesso 17. 259
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Ceramica attica figurata La lekythos 6-4 (Tav. V, 2), pertinente a! Gruppo del Vaticano G 52, è databile verso ii 520 a.C. 18; l'altra (2-2: Tav. II, 2), per la forma peculiare del Gruppo "little lion", attribuita all'invenzione del Pittore di Saffo, si inquadra tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a.C. 11. La produzione di queste due officine e documentata anche altrove nell'ambito siceliota2O
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Ceramica a vernice nera La olpe 6-3 (Tav. III, 3), e variante a vernice nera di una serie la cui forma ovoidale, caratterizzata dalla linea continua collo-spalla, e stata considerata "probabilmente creazione delle fabbriche corinzie della prima metà del VI sec. aC." 21 Si puO proporre il confronto con una olpe che proviene dall'agora di Atene, purtroppo mutila dell'ansa, datata 500-480 a.C. 22 Un altro esemplare di forma ovoidale (8-2: Tav. IV, 2) è conservato soltanto per circa due terzi e differisce dal precedente nella rastremazione che presenta verso la base; il confronto pifl pertinente e fornito ancora da un reperto dall'agora di Atene, del 500 a. C. circa 21. La piccola olpe globulare 5-1 (Tav. III, 2), prodotto locale, appartiene invece ad un ambito cronologico pii recente. La forma, diffusa soprattutto nel V e IV sec. a.C., e le dimensioni la pongono in una delle serie di vasetti che riproducono in miniatura modelli della cosiddetta ceramica da cucina; nel nostro caso la forma e quella della chytra, le cui miniaturizzazioni, usate, sembrerebbe, come contenitori da profumi, sono attestate dal VI al IV sec. a. C. 24• In ambito siceliota, confronti, limitati alla forma, con brocchette acrome: tre dalla necropoli occidentale di Monte Saraceno 25 un'altra dalla necropoli di Assoro 26, suggeriscono una datazione nel IV sec. a.C. La lekythos 4-1 (Tav. III, 1), probabilmente anch'essa prodotto locale, propone una forma simile a quella di un reperto dell'agora di Atene, che appartiene al gruppo delle lekythoi aryballiche "patterned" 27; la necropoli meridionale di Vassallaggi, dove perO ii tipo di lekythos aryballica a vernice nera pifl documentato e quello con baccellature, fornisce alcuni utili termini di confronto 28 la cui datazione dal terzo venticinquennio alla fine del V sec. a. C. corrisponde a quella dell'esemplare dell'agora sopra citato. La kylix 1-1 (Tav. II, 1) rappresenta a sua volta una variante locale, con piedino molto basso; richiama un esemplare dell'agora di Atene, datato nel ventennio 500-480 a. C. 29 La scodellina emisferica 6-5 (Tav. III, 3) rientra anch'essa nel novero dei prodotti locali e si distingue per uno spesso orlo a sezione rettangolare; dovrebbe essere databile fra il 530 ed il 520 a.C.3° Vi è infine un minuscolo kothon (1-3: Tav. II, 1), privo di anse e di piede, databile, in base al contesto cui apparteneva, verso la fine del VI sec. a. C. 31• Ceramica acroma Dalla sep. 7 provengono frammenti di una grande lekane acroma, con ansa unica impostata subl'orbo (7-1: Tav. IV, 1). Il contenitore appartiene alla categoria dei vasi di uso domestico. La linea di sviluppo della forma non è stata bene individuata: sembra che la forma stessa avesse origini molto antiche; è presente, con caratteri evoluti, tra i materiali dell'agora di Atene, nel VI sec. a.C., ma in seguito non se ne hanno ulteriori testimonianze fino alla seconda meta del V, quando la serie riappare, importata da Corinto 32• Una grande lekane fittile molto simile alla nostra, dalla necropoli agrigentina di Pezzino, è stata considerata prodotto locale di imitazione ed attribuita alla seconda meta del VI sec. a. C. Plastica fittile L'unico esemplare recuperato è una testina femminile, spezzata alla base del cobb (1-4: Tav. V, 1). Tipologicamente il frammento mi sembra confrontabile con quelbo rinvenuto in un edificio, identificato come "bottega", dell'abitato del terrazzo inferiore; esso era forse pertinente ad una statuetta del tipo stante della Athena Lindia, datato alla fine del VI sec. a. C. 14. 260
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CoNcLusIoNI CRONOLOGICHE
Lo stato di conservazione delle ventidue sepoiture esplorate in Contrada Stornello ha spesso ostacolato l'individuazione della loro cronologia. Per datare le sepolture, in linea di massima sono stati applicati i criteri adottati nello studio della necrop oil arcaica di Contrada Tenutella 15 . In primo luogo, si è tenuto conto della tipologia deile sepolture stesse. Le fosse scavate in parte nella roccia, hanno trovato riscontri nella necropoli agrigentina di Contrada Pezzino, dove sono attestate nel VI e nel IV sec. a. C. 36; per le fosse rivestite di mattoni crudi, i riferimenti sono stati forniti dalla necropoli di Contrada Diana a Lipari, con i suoi "sarcofagi di mattoni crudi" scaglionati tra ii secondo venticinquennio del V e ii terzo venticinquennio del IV sec. a. C. 37. Per le sepolture che contenevano resti di sarcofagi fittili, i cosiddetti "bauli", ii confronto piü pertinente è dato daile necropoli di Gela, dove gil esempi datati nel VI sec. a.C. sono rari e molti, invece, quelli del V 38 . Quando vi erano resti di embrici, si è tenuto conto dei profili dei listeili 31. La presenza nella necropoli di Stornello di un numero notevole di inumazioni protette col sistema "alla cappuccina", ha facilitato l'attribuzione di una cronologia alle sepolture prive di corredo, pur nel rispetto deile dovute cautele ed entro termini di tempo relativamente ampi 40 Le sepolture di Contrada Stornello, sono pertanto da considerare comprese tra la metà circa del VI e la prima meta del V sec. a. C. Rimangono fuori da queSti limiti cronologici soltanto la nr. 4, con datazione Ira ii terzo e l'uitimo venticinquennio del V Sec. a. C. (corredo: lekythos aryballica a vernice nera - Tav. III, 1), e la nr. 5, sufla cui datazione si puO discutere, ma che ml è parsa attribuibile al IV sec. a.C. (corredo: piccola olpe giobulare a vernice nera - Tav. III, 2 -, e tipologia delia inumazione, poco profonda nello Strato). Inoltre, nei caso delia nr. 4, non si pub, a mio avviso, esciudere l'ipotesi di una riutilizzazione, suggerita daiia presenza delia controfossa, fino a questo momento mai rilevata nelle inumazioni41. In definitiva, Soltanto tre sepolture (15, 19 e 22) non hanno fornito alcun indizio che ne potesse suggerirne la cronologia; diciassette sono sembrate classificabili nei seguenti gruppi: - seconda metà del VI sec. a.C. (nrr. 3, 6, 7, 8, 9); - dalla fine del VI a tutto ii primo venticinquennio del V Sec. a.C. (nrr. 1, 2, 10, 12, 13, 14*, 17, 18, 20, 21*); - secondo venticinquennio del V sec. a.C. (nrr. 11 e 16*).
A parte quindi le "interferenze" rappresentate dalle sepolture 4 e 5, la necropoh di Contrada Stornello presenta un ambito cronologico analogo a quello della necropoli di Contrada Tenutella, e dO conferma che la prima coStituiva una propaggine, forse l'estrema a NO, della seconda. D'altra parte, anche per quanto attiene agli aspetti cuiturali, le sepolture di Stornello Suggeriscono le medesime conSideraZioni elaborate dopo lo studio delle sepolture della Tenutella42. Si è avuta infatti conferma, dall'ulteriore rinvenimento di ceramica tardocorinzia ed attica, che i'anonimo centro indigeno ellenizzato di Monte Saraceno guardava costantemente al mondo greco. Anche la piü modesta ceramica, a vernice nera oppure acroma, di produzione locale, imita sempre modelli corinzi, greco-orientali o attici; inoltre, allo stato attuale, si mantiene la phi completa assenza nei conedi funebri di vasi indigeni: sotto questo aSpetto, la necropoli appare tutt'ora affine a quella, in parte coeva e ben piLi ricca, di Contrada Pezzino ad Agrigento. Affinità, invero, conseguente al gravitare del centro - a par-tire dall'età di Falaride - nell'orbita agrigentina. Non Si interrompono tuttavia i rapporti con Gela, come si desume dal perdurare deli'importazione dei sarcofagi fittili e, nello stesso tempo, Si confermano le aperture verso aitri ambiti geografico-politici (rivestimento delle sepolture con mattoni crudi, tecnica probabilmente importata dail'ambiente liparota). Sullo status sociale dei defunti non sono stati purtroppo acquisiti dati nuovi. I corredi funebri recuperati rispecchiano sempre un tenore di vita medio-basso ed un contesto sociale alquanto modesto e apparentemente privo di notabili, poiché non sono state ancora rinvenute sepolture di tipo monumentale. Infine, la partizione in gruppi delle sepolture (fig. 3) risulta tutt'ora spiegabile soltanto con l'esistenza di legami famihari tra gli individui le cui salme giacevano in tombe cosl organizzate neil'ambito della necropoli. 261
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Ringrazio sentitamente: ii Prof Ernesto De Miro, per averi'ni affidato La direzione scientifica dello scavo; La Dott. Graziella Fiorentini, Soprintendente ai BB. CC.AA. di Agrigento, ed i funzionari dell'Ufficio Tecnico della Soprintendenza geomm. Collura e Galante, che mi hanno agevolata con squisita cortesia net corso della ricerca; ii disegnatore Sig. Antonio Catalano, ii restauratore Sig. Salvatore Burgio, L'assistente ag/i scavi Sig. Pasquale Burgio, per La solerte collaborazione; ii fotografo Sig. Pitrone. Espriino inoltre La mia pià viva gratitudine ai Dottori Piero Coppolino, Maria Ravesi e Gina Campagna, cl'ze mi hanno affiancata con impegno e comnpetenza ne/la direzione dello scavo.
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mvill Sui rinvenimenti (resti dell'acropoli, sul Monte Saraceno: fig. 2, a; resti di due quartieri di abitazioni, articolati su due terrazzi: fig. 2, b e c; resti di due riecropoli, una a SE l'altra a SO dell'acropoli: fig. 2, e ed f), cfr.: A. CALDERONE - M. CACCAMO CALTABIMO - E. Dc MIR0 - A. DENTI - A. SI1tcusANo, Monte Saraceno di Ravanusa. Un ventennio di ricerche e studi, Monografie di Archeologia. Supplemento dei Quaderni di Archeologia, Messina 1996 (con bibliografia); A. CALDERONE, Greci e Indigeni nella bassa valle dell'Himera: it sito di Monte Saraceno di Ravanusa, in M. BARRA BAGNASCO - E. DE MIR0 - A. PIEz0NE (edd.),Origine e incontri di culture nell'antichitd. Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studi e prospettive di ricerca (Atti dell'Incontro di Studi, Messina 2-4 Dicembre 1996), Pelorias 4, Messina 1999, pp. 203-212. Gli scavi sono stati condotti in collaborazione dalla Cattedra di Archeologia e Storia deli'Arte Greca e Romana dell'Universtà di Messina e dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, con fondi della Regione Siciliana e con contributi del CNR. 2 D. ADAMESTEANU, Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, in ArchClass VIII, 1956, pp. 121 ss. In precedenza, l'ipotesi del centro indigeno ellenizzato era stata avanzata da P. MARCONI, Ravanusa (Agrigento). - Borgo siculo-greco, in NSA 1928, pp. 499 ss.; cfr. anche: ID., Ravanusa (Agrigento). - Scoperta di tombe greche, in NSA 1930, pp. 411 ss.; Mingazzini a sua volta riteneva che a Monte Saraceno si conservassero i ruderi di una delle sub-colonic fondate da Gela, forse Maktorion: cfr. P. MINGAZZINI, Su un'edicola sepolcrale del Il/see. rinvenuta a Monte Saraceno presso Ravanusa (Agrigento), in MonAL X.XXVI.2, 1938, coil. 621 ss. Cfr. A. DENT!, Le Necropoli, in Monte Saraceno di Ravanusa. Un ventennio, cit., pp. 91-120, 170-175. Per la necropoli occidentale, frequentata dalla metà circa del V a tutto ii IV sec. aC., cfr. ibid., pp. 121-175. Sulle tipologie sepoicrah attestate neila necropoh di Contrada Tenutella, cfr. A. DENT!, Le Necropoli, cit., pp. 111-114. Cfr. ibid., pp. 114-116. 6 Cfr. P. PELAGATTI - G. VALLET, Le necropoli, in E. G.YBBA - G. VALLET (edd.), Storia della Sicilia I, Napoli 1979, pp. 368, 371. Nelle necropoli di Monte Saraceno questo tipo di fossa-ustrino 6 comparso qui per la prima volta. Nella necropoli della Tenutella, su un totale di Settanta sepolture, tredici erano di infanti o bambini: A. DENTI, Le Necropoli, cit., p. 114. Cfr. A. DENT!, Le Necropoli, cit., p. 111; contra: P. PELAGATTI - G. VALLET, Le necropoli, cit., pp. 364 s. 10 Per i corredi delle sepolture in Contrada Tenutella e per la loro composizione, cfr. A. DENTI, Le Necropoli, cit., pp. 115-120. Come nella sep.43 dellaTenutella: ibid., pp. 103, 115. 12 Ibid., sep. 36: pp. 102, 116, tav. CXVIII,1. Cfr. H. PAYNE, Necrocorinthia. A Study of Corinthian Art in the Arcaic Period, Oxford 1931, p. 334, fig. 181,13; E. Dc MIR0, Agrigento. La necropoli greca di Pezzino, Necropoli della Sicilia Antica I, Messina 1989, tomba 434, nr. AG 22550, p. 31, tav. IX. 13 A. DENTI, Le Necropoli, cit., pp. 95, 116, tav. CXIV,1. Cfr. H. PAYNE, Necrocorinthia, cit., p. 325, fig. 169. Cfr. anche: P. ORSI, Gela. Scavi del 1900-1905, in MonAL XVII, 1906, col. 373, fig. 275; E. DE MIRO, Agrigento, cit., tomba 434, nr. AG 22549, p.31, tav. IX. A. DENT!, Le Necropoli, cit., pp. 98 s., 118, tav. CXV,2. 15 Cfr. E. DE Mien, Agrigento, cit., tomba 1463, nr. S/63, p. 35, tav. XX1V. 16 A. DENTI, Le Necropoli, cit., p. 118, nn. 104-105; cfr. anche supra, n. 15. A. DENTI, Le Necropoli, cit., pp. 117s., nn. 92-103, tavv. CXIV,2, CXV,1, CXVIII,2. 18 Cfr.: M.B. MOORE - M.Z. PEASE PHILIPPinEs - D. VON BOTHMER, Attic Black-Figured Pottery, The Athenian Agora XXIII, Princeton (New Jersey) 1986, fir. 806, pp. 44, 92 e 204, tav. 75: esemplare datato al tardo terzo venticinquennio del VI sec. aC.; E. DE MIRO, Agrigento, cit., tomba 1254, sir. S/38, pp. 33 s., tav. XVII: "Vicina al Gruppo del Vaticano G. 52. 525 aC."; ibid., tomba sconvolta, nr. AG 22630, p. 43, tav. XXXII: associata a due lekythoi della Classe di Phanyllis; "l'associazione... pone le due lekythoi della classe Phanyllis non p10 tardi del 510 aC."; C.L. LYONS, The Arcaic Cemeteries, Morgantina Studies V, Princeton (New Jersey) 1996, tomba 28 A-2: pp. 34, 200, tav. 58: circa 520 aC. Sul Gruppo del Vaticano G 52, cfr.: J.D. BEAZLEY, Attic Black-Figure Vase-Painters, Oxford 1956, pp. 460-463; 698 s., 715; ID., Paralipomena. Additions to Attic Black-Figure Vase-Painters and to Attic Red-Figure Vase-Painters, Oxford 1971, pp. 202 s., 519; L. CAMPUS, Ceramica attica a figure nere, piccoli vasi e vasi plastici, Materiali del Museo Archeologico di Tarquinia II, Roma 1981, pp. 4 s., 7 s., nrr. 4-5, tavv. VIII e IX; F. GIUDIcE, I Pittori della Classe di Phanyllis. Organizzazione produzione distribuzione dei vasi di un'officina di eta pisistratideo-clistenica I, Studi e Materiali di Archeologia Greca 1. 1, Catania 1983, pp. 41, 44 5.;
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Tn. T. CARPENTER TH. MANNACK - M. MENDOcA, Beazley Addenda. Additional References to ABV .4kV (2 ed.) and Paralipomena, Second Edition, Oxford 1989, pp. 115 s. 11 Sul Gruppo Little Lion, cfr.: C.H.E. HASPELS, Attic Black-Figured Lekythoi, École Fran çaise d'Athènes, Travaux et Mkmoires Fasc. IV, Paris 1936, pp. 98-100, 107, 116-120, 227, 230 S.; J. D. Beazley, Attic Black-Figure, cit., pp. 512-516, 703; ID., Attic Red-Figure Vase-Painters, Oxford 1963 (2.a ad.), p. 301; ID., Paralipomena, cit., pp. 231, 247, 249, 251-254; D.C. KURTZ, Athenian White Lekythoi. Patterns and Painters, Oxford 1975, pp. 80, 120 ss.; F. GIuDIcE, I Pittori, cit., p.45; TH. T. CARPENTER, Addenda, cit., p. 128. 20 Cfr. supra, nn. 18 e 19. 21 G. VALLET - F. VILLARD, La céramique archaIque, Megara Hyblaea 2, MEFR, Supplements 1, Paris 1964, p. 183, tav. 204, 7-9; per la diffusione, cfr. ibid., nn. 4 a 5. Cfr. anche H. PAYNE, Necrocorinthia, cit., p. 325 (Oinochoai, Forma II). Per la diffusione di questo tipo di vase, cfr. inoltre: J. BOARDMAN - J. HAYES, Excavations at Tocra 1963-1965. The Arcaic Deposits II and Later Deposits, PBSA Suppl. 10, Oxford 1973, ncr. 2074-2075 (pp. 29, 33-34), 2112 (pp. 39 s.), 2181-2182 (pp. 49, 51), 2300 (p. 69), con i riferimenti a Tocra I, Oxford 1966; M. MARTELLI CRISTOFANI, La ceramicagreco-orientale in Etruria, in Les céramiques de la Grèce de lEst at leur diffusion en Occident (Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique 569, 6-9 Juillet 1976), Bibliotheque de l'Institut Francais de Naples, 2.me Série IV, Paris - Naples 1978, pp. 185 e nn. 108 s. (con bibliografia), 190, tav. \TIII,53; E. DE MIRO, Agrigento, cit., tombe: 143, fir. AG 22177 (p. 30, tav. VII), 396, fir. AG 22221 (pp. 30 s., tav. IX), 461, fir. AG 22238 (p. 31, tav. XI), 425, ncr. AG 22233 e AG 22234 (p. 32, tav. XIII), 93, nr. AG 22154 (pp. 32 s., tav. XIII), 330/CF, fir. AG 22915 (p. 33, tav. XVI), 245, nr. AG 22209 (p. 35, tav. XXI), 1287, nr. S/34 (p. 35, tav. XXII), 1316, fir. S/21 (p. 36, tav. XXV), 685, Hr. AG 22800 (pp. 70 s., tav. LVI); C.L. LYONS, The Arcaic Cemeteries, cit., p. 59. 22 B.A. SPxmms - L. TALc0r1, Black and Plain Pottery of the 6th, 5th and 4th Centuries b. C1, The Athenian Agora XII, Princeton (New Jersey) 1970, fir. 289, pp. 79, 255, tav. 13. 23 Ibid., nr. 265, pp. 78 s., 254, tav. 13. 24 Ibid., ncr. 1400-1402, pp. 185 s. (Vasi miniaturizzati - III gruppo), 334, tav. 45. 25 A. DENTI, Le Necropoli, cit., sep. 37 nn. 6-8, pp. 134, 164 s., con la n. 327 (Tav. CXXVI, 2). La sepoltura è datata nel IV sec. a. C. 243 (seconda me26 3.-P. MOREL, (Sicilia) X. - Assoro. - Scavi nella Necropoli, in NSA 1966: tomba 19, p. 246 e fig. 18d, a p. ta del IV Sec. aC.). La brocchette sono pai-ticolarmente numerose in questa necropoli. 27 B.A. SPARKES - L. TALCDTT, Black and Plain Pottery, cit., fir. 1123, pp. 154, 315, tav. 38 (datazione: circa 425 aC.). P. ORLANDINI, Vassallaggi. Scavi 1961. 1- La necropoli meridionale, NSA (Supplemento al vol. XXV) 1971, sepolture ncr.: 15-8 (p. 42 e fig. 52d, a p. 41), 28-3 (pp. 56 s. a fig. 80c), 73-2 (p. 113 e fig. 178a, a p. 114), 82-8 (p. 129 e fig. 202c, a p. 127), 100-1 (pp. 140 ss. e fig. 228a, a p. 142). Queste lekythoi sono interamente coperte di pigmento nero ad a superficie flOfi baccellata. 29 B.A. SPARKES - L. TALCDTT, Black and Plain Pottery, cit., fir. 448, pp. 98 s., 266, tav. 21: "Small: bevelled foot". 30 La scodellina e stata infatti trovata in associazione con la lekythos attica a figure nere attribuita al Gruppo del Vaticano G 52: cfr. supra, p. 260 en. 18. ' Per la cronologia degli altri elementi che componevano ii con-edo della sep. 1 (kotiliskos del LC II, Gruppo C; kylix a vernice nera di produzione locale; testina fittile), cfr., rispettivamente, supra, p. 247, conic nn. 12, 29; a qui infra, con la n. 34. 32 B.A. SpARxEs - L. TALCOTT, Black and Plain Pottery, cit., nrr. 1839-1841, pp. 215 s., 365, tav. 87. E. DE MIR0, Agrigento, cit., tomba 93, fir. AG 22153, p. 32, Tav. XIII. AGS 5753; "Simile al tipo AIII 2b 2b di DEWAILLY 1992": A. CALDERONE, L'Abitato, in Monte Saraceno di Ravanusa. Un ventennio, cit., p. 69 a n. 163, tav. LXXXV, 7. Il confronto è con l'esemplare in M. DEWAILLY, Les statuettes aux parures du sanctuaire de la Malophoros a Sélinonte. Contexte, typologie et interpretation dune categoric d'offrandes, Cahiers du Centre Jean Be rard XVII, Naples 1992, p. 59, fig. 24. Cfr. A. DENTI, Le Necropoli, cit., p. 171. 36 E. Da MIen, Agrigento, cit., p.17. L. BEREABO BREA - M. CAVALIER, Meligunis-Lipdra H. La necropoli greca e romana nella contrada Diana, Palermo 1965, pp. 207 s. Questo tipo tombale e documentato nella necropoli liparota con maggiore frequenza fra ii 470 ad il 335 circa aC.; successivamente, diviene sempre p16 rare, fino a scomparire del tutto: ibid., pp. 221, 229, 243, 251, 255. P. ORSI, Gala, cit., coll. 233 ss., 518 ss. Adamesteanu ha sottolineato - e proprio a proposito di Monte Saraceno - la differenza che corre tra i profili dei listelli degli embrici di tipo arcaico e del IV Sec. aC., rispettivamente: cfr. D. ADAMESTEANU, Monte Saraceno, cit., p. 128, tav. XXVII, 3 e 4). Ho pertanto esperito il tentativo di individuare una linea di sviluppo, in base a coefficienti ricavati dalla formula (b-a):c, dove figurano 1 valori deilo spessore deil'embrice (a), dello spessore massimo del listeilo (b) a della larghezza del listello (c). I coefficienti p16 bassi risultano propri degli esemplari p16 antichi, quelli p16 alti degli esemplari via via p16 recenti (cfr. A. DENTI, La Necropoli, cit., p. 171 en. 395). 40 Come già per la necropoh della Tenutella, il criterio 6 state applicato soitanto nei casi in cui nelie fosse si conservavano embrici o parti di essi ancora in situ; negli altri casi, si e proposta la datazione ipotizzabile, seguita da asterisco. I coefficienti sono, in ordine crescente: 0,204 (sep. 22, a); 0,237 (sep. 6, a); 0,237 (sep. 12, a); 0,275 (sep. 14); 0,280 (sep. 20, a); 0,301 (sep. 6, b); 0,304 (sep. 17, a); 0,310 (sep. 18); 0,314 (sep. 21); 0,341 (sep. 1); 0,347 (sep. 12, b); 0,357 (sep. 10); 0,367 (sep. 4, a); 0,375 (sep. 13); 0,377 (sep. 20, b); 0,386 (sep. 17, b); 0,400 (sep. 4, b); 0,416 (sep. 22, b). Come si vede, alcune sepolture (nrr. 22, 6, 12, 20, 17, 4) contenevano embrici COfi listelli di forme diverse, che hanno dato coefficienti diversi (a e b); in qualche caso (sep. 22) la differenza sembra indicare che erano stati introdotti frammenti pertinenti ad altre proteziDni:
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non bisogna infatti dimenticare che si trattava di sepolture in massima parte violate e sconvolte; in qualche altro (sep. 4), la differenza si puO attribuire a una semplice diversità di modelli prodotti nel medesimo periodo, poiché lo scarto non è rilevante. 41 La controfossa e invece abbastanza frequente nelle incinerazioni primarie; cfr. supra, pp. 255 e 259 (sep. 9); e, per la necropoli della Tenutella, A. DENTI, Le Necropoli, cit., pp. 113 s. 42 Cfr. ibid., pp. 172,174 s.
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TAV. I
.1:
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2. Le sepolture 8 e 9, durante lo scavo.
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1. Le sepolture 1 e 2, durante lo scavo.
I
4. La sepoltura 22, interno.
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lAy. II Nill
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I 3
1. Corredo della sep. 1. Da sinistra: testina fittile, kothon a vernice nera, kotyliskos tardocorinzio, kylix a vernice nera; 2. Dalla Sep. 2: lekythos attica a figure nere; 3. Da sinistra: aryballos ovoidale acromo e lekythos samia, dalla Sep. 3. 266
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TAV. III
7
3
1. Lekythos aryballica a vernice nera, dalla sepoltura 4; 2. Olpe globulare a vernice nera, dalla sepoltura 5; 3. 01pe ovoidale a vernice nera, lekythos attica a figure nere e scodellina a vernice nera, rinvenute nella sepoltura 6.
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TAV. IV
H
2
1. Lekane acroma, dalla sepoltura 7; 2. Da sinistra: lekythos tardocorinzia e olpe ovoidale frammentaria a vernice nera, rinvenute nella sepoltura S.
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TAV. V
1. 1. Testina fittile, dalla sepoltura 1; 2. Lekythos attica a figure nere, dalla sepoltura 6. 269
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LIETTA DE SALVO
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IL VINO DELLO STRETTO In eta romana lo Stretto di Messina era inteso in senso molto phi ampio di quanto non 10 sia ai nostri giorni, comprendendovi, dalla parte della Sicilia, tutta la costa ionica, a Sud; tutta la fascia costiera prospiciente le Eolie e la zona delle isole stesse, a Nord; dalla parte della Calabria la costa fino a Capo Spartivento da un lato e fino a Capo Vaticano dall'altro 1 . Peraltro, anche nella descrizione di Strabone la zona del lloQOtOç comprende tutta la costa orientale della Sicilia, fino a Siracusa2 e, sul litorale calabro, una larga fascia costiera ricade nell'area dello Stretto, da Porto d'Eracle (forse Tropea), a Medma, a Emporion (nei pressi dell'attuale Nicotera), fino a Colonna e Reggio, e, verso est, fino al promontorio di Leucopetra e al litorale locrese3. Attraverso questa zona transitava la maggior parte del commercio mediterraneo e dunque l'importanza economica dello Stretto non sfugge a nessuno. Com'è noto, e come ha sottolineatto C. Panella in un denso saggio di qualche anno fa 1, in eta imperiale muta l'organizzazione commerciale del mondo romano: a una organizzazione centrifuga del commercio, che aveva caratterizzato l'età repubblicana, con un movimento di merci da Roma verso le terre da poco conquistate, se ne sostituisce una centripeta, mirante a convogliare verso Roma le merci provenienti dalle province, in maggioranza denate annonarie, derivate in massima parte dai tributi imposti ai provinciali. E tuttavia, se è vero che II mercato di Roma faceva la parte del leone nelle attività commerciali, non Si pUO certo esciudere che esistessero anche scambi tra le vane province, alimentati dal cornmercio privato, espressione di quella che sembra essere stata un'economia di mercato 1. Ii movimento delle merci avveniva prevalenternente mediante trasporti marittimi e le vie del Mediterraneo ne erano "i percorsi portanti"6 I generi di prima necessità seguivano un flusso interregionale e interprovinciale, dalle aree di produzione a quelle di consumo. Naturalmente la vicinanza al mare o ai corsi d'acqua - oltre naturalmente alla capacità produttiva di certe zone - aveva un'importanza determinante. Le merci che circolavano phi regolarmente erano, com'è note, ii grano (proveniente da vane province e principalmente dall'Africa), l'olio, la salsa di pesce (di cui era massima produttrice la Spagna, almeno fino agli inizi del V sec.), ii vino (dalle regioni orientali, ma anche dall'Africa, dall'Italia e dalla Sicilia). Non intendo, ovviamente, soffermarmi in generale sui grandi flussi commerciali del Mediterraneo, ma considerare solo un aspetto di essi, che interessô l'area dello Stretto in eta tardoantica, e cioè la produzione e ii commercio del vino, di cui restano vane testimonianze, oltre che in alcune fonti letterarie, nella documentazione archeologica, che proprio in questi ultimi tempi si è particolarmente arricchita. A differenza del grano, da sempre derrata annonaria, e dell'olio, oggetto di regolari distribuzioni a partire dall'età severiana, il vino era per lo phi oggetto di commercio privato , e, in eta tardoantica, occasionalmente, era anche oggetto di distribuzioni 8. L'indagine, come ho accennato, puO essere condotta solo raccogliendo i pur scarsi indizi offerti dai ninvenimenti subacquei e dall'archeologia sul territorio, che si aggiungono alle brevi attestazioni delle fonti letterarie. Non sarebbe infatti possibile tracciare le linee dell'attività commerciale mediterranea senza il supporto di questa evidence. La necessità dell'utilizzo da parte dello storico di questi tipi di materiali oggi non è phi in discussione: e ormai un dato acquisito. E indubbio, in effetti, che una ricerca attuale deve tener conto dei dati concreti di queste testirno271
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nianze, che, per fortuna, da qualche decennio cominciano a diventare pifi dense e consentono di delineare in gran parte i flussi commerciali mediterranei. Tra i materiali che in questi ultimi tempi hanno suscitato maggiore interesse sono indubbbiamente le anfore Keay LII, che assumono un'importanza notevole nel commercio mediterraneo, particolarmente nell'attività commerciale delle province dell'Italia meridionale e della Sicilia in eta tardoantica, per quanto riguarda la produzione ed esportazione vinaria. E su tale attività vorrei soffermarmi in questa breve nota. Queste anfore, ritenute di produzione orientale 9, sembrano invece essere state prodotte nelle due aree dello Stretto 10 e largamente esportate, e ciO in relazione all'accresciuta produzione vinaria in queue regioni in eta tardoantica. In questi ultimi tempi gli studi sulle Keay LII si sono intensificati e i risultati consentono di delineare alcuni dei movimenti commerciali, rendendo piü che mai attuali le affermazioni di Tchernia in occasione del congresso di Siena del 1986, che ha costituito una pietra miliare nello studio delle anfore 11, durante il quale lo studioso francese sottolineava come ii materiale anforario Sia soggetto a continue reinterpretazioni, perché c'è sempre qualche nuova scoperta che induce a rettificare opinioni precedenti, per cui bisogna "accorder a l'historien le droit a l'erreur" 12, il che tuttavia non deve impedire di ricostruire tasselli di vita economica e sociale sulla base della documentazione che fino a quel momento si possiede. La presenza di fornaci sulla costa orientale della Sicilia, a Naxos, in contrada Mastrociccio, e in vane località della costa calabra: Pellaro-Fiumara di Lume, Lazzàro Vecchio, Marina di S. Lorenzo 13, rende indubbia la produzione di questo tipo di anfore nell'area dello Stretto. Naturalmente le attestazioni delle Keay LII sul territorio calabro e siculo non riguardano solo le zone di produzione. Tali contenitori sono ampiamente diffusi: finora sono infatti presenti - oltre che nelle zone delle fornaci - nella villa di Casignana Palazzi 14; a Bova Marina 15, a Scolacium 16 Vibo Valentia 11 a Nicotera (località Mortelleto), a Reggio Calabria" e, in ambito siciliano, a Siracusa 19e a Punta Castelluzzo, nella Baja del Riccio a Nord di Augusta, dove recenti esplorazioni subacquee ne hanno restituito vari esemplari 20• Ma la diffusione di questo tipo di anfore è abbastanza ampia: a Roma sono particolarmente abbondanti in contesti tardi, soprattutto sul Celio e sul Palatino e al Lungotevere Testaccio, dove probabilmente le anfore venivano stoccate per conto della res privata 21• Le Keay LII sono anche attestate in vane zone del Mediterraneo, sulle coste tirreniche, a Napoli, S. Maria Capua Vetere 22, Capua, Ostia, Tarquinia, Luni 23, Genova, Albenga; in Gallia, ad Arles, Marsiglia, Lione 24 in Spagna, ad Ampurias, Tarragona, Sevilla; in Africa a Cartagine 23, nell'Adriatico a Classe e sulla costa dalmata 26 e in vane altre località della Grecia e dell'Asia Minore. L'ampia dislocazione dei reperti mostra una diffusione direi 'a 360 gradi', cioè verso Occidente e verso Oriente, verso Nord e verso Sud, anche se con una maggiore frequenza in alcuni luoghi - frequenza che, tuttavia, potrebbe essere determinata solo dal caso - e induce a concludere che in eta tardoantica le esportazioni del vino che si produceva sulle sponde dello Stretto dovevano avere una certa consistenza, coinvolgendo i mercati sia delle province occidentali che di quelle orientali. E questo, evidentemente, presuppone una commercializzazione a vasto raggio, che doveva coprire una parte non piccola delle esportazioni vinarie dall'Italia meridionale e dalla Sicilia. La presenza - anche se limitata - di alcuni contenitori nell'Adriatico potrebbe far pensare anche ad esportazioni verso le province del Nord. Secondo i dati elaborati dalla Panella, queste anfore destinate al trasporto del vino rappresentano il 15-16% circa della total ità delle anfore raccolte in contesti di Roma e di Marsiglia nella prima metà del V secolo27. Peraltro, non solo la loro presenza in vane aree del Mediterraneo, ma anche l'esistenza di fornaci che le fabbricavano sulla costa calabra e su quella siciliana sono prove evidenti della vitalità della produzione agricola, e in particolare vinaria - non solo per uso locale, ma anche per esportazioni delle regioni del Sud, Bruzio e Sicilia, peraltro documentata dalle fonti letterarie. E questo in un periodo in cui le produzioni italiche di altre zone servivano ormai solo mercati locali 20• 272
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E noto che nel IV secolo, come ricordato dalla Expositio totius mundi, l'attuale Calabria era rinomata produttrice di vino 29, mentre la Sicilia è descritta dalla stessa fonte come terra che multa bona generat 30; inoltre, una costituzione del 367 attesta l'abbondanza del vino bruzio, del quale veniva richiesto un tributo ai possessores 31• Del vino bruzio, peraltro, fa l'elogio Cassiodoro 32• Le attestazioni di Keay LII diventano sempre phi cospicue di giorno in giorno. E di questi ultimi tempi l'individuazione di anfore di questo tipo anche nel messinese, in uno scavo in località Ganzirri 33 , a Pistunina e in vari altri siti; ogni conclusione al riguardo, come si è detto all'inizio, non puà dunque che considerarsi provvisoria. In ogni caso, ii repenimento di tali contenitoni in vaste aree del bacino mediterraneo pub fornire un contributo non indifferente allo studio dell'economia della zona dello Stretto - e forse phi in generale della Calabria e della Sicilia - e costituisce indubbiamente una parte notevole nelle correnti di traffici che movimentarono il Mediterraneo tardoantico. In questo momento, tuttavia, Si pub solo fare il punto della situazione allo stato attuale delle nicerche. Penso che un progresso nel campo delle nicerche su questa tipologia potrà portare lo studio dci bolli 14. Forse non è lontano ii giorno in cui la storia di questi contenitoni sara ben delineata, corn'è oggi ii caso delle Dressel 20. E proprio per questo che le Keay LII ci danno una chiara lezione di metodo: dal punto di vista metodologico, infatti, lo studio di questi contenitori e della loro diffusione pub costituire un importante saggio di come le nostre conoscenze del passato si possano e si debbano continuamente ninnovare e aggiornare, e di come ogni nuova ricerca possa portare a rivedere opinioni e teorie. Forse domani si scoprirà che la produzione delle Keay LII abbraccia tutto II bacino del Mediterraneo, dando ragione sia a chi ne vede un'origine orientale, sia a chile considera di produzione magnogreca. NOTE Cfr. quanto ho detto nella mia relazione su Traffici marittimi nello Stretto di Messina, in Messina e Reggio nell'antichitd: storia, societh, cultura, Atti del Cony. Int. (Messina-Reggio Calabria 1999), Messina 2002, pp. 297-309.. 2 Strab. 6, 2, 2 (p. 62 s. Jones). Strab. 6, 1, 5 ss. (p. 20 ss. Jones). Sulla descrizione di Strabone delle due coste dello Stretto, cfr. F. PRONTERA, Lo Stretto di Messina nella tradizione geografica antica, in Lo Stretto, crocevia di culture, Atti del Ventiseiesimo Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-Reggio Calabria 1986), Taranto 1987 [1993], p. 124 ss. [107-131]. ' C. PANELLA, Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico, in A. CARwNDINI - L. CP.Acco RuGGINI - A. GIARDINA (edd.), Storia Torino 1993, p. 613 ss. [613-697]. di Roma Cfr. E. Lo CAscIo, Forme dell'econornia imperiale, in A. CARANDINI - L. CRAcco RUGGINI A. GIARDINA (edd.), Storia di Roma Torino 1991, p. 326 ss. [313-365]; C. PANELLA, Merci e scan'zbi, cit., p. 613 ss. C. PANELLA, Merci e scambi, cit., p. 613. A. TCHERNIA, Le y in de l'Italie romaine. Essai d'histoire économique d'après les amphores, BEFAR 261, Roma 1986, p. 299 e passim; C. PAN'ELLA, La distribuzione e i mercati. A) Merci destinate al commercio transmarino: ii vino, in A. GIARDINA-A. ScHIAVONE (edd.), Società romana eproduzione schiavistica 2, Bari 1981, pp. 55-80; pp. 273-275 (note); Exo., Le anfore italiche del II secolo d. C., in Amphores romaines et histoire économique: dix ans de recherches, Actes du Colloque de Sienne (1986), CEFR 114, Roma 1989, pp. 139-178; N. PURCELL, Wine end wealth in ancient Italy, in JRS 75, 1985, pp. 1-19; F. WIDEMAN-A. NACIRI, Analisi delle an fore galliche d'Ostia, in Amphores romaines et histoire ecOnOn'lique cit., pp. 284-296; A. Cxs.xNDINI, L'economia italica tra tarda rep ubblica e medio impero considerata dal punto di vista di una merce: C vino, ibid., pp. 505-521; J. REMESAL RoDRIGUEZ - V. REVILLA-CALV0, Weinamphoren der Hispanic Citerior und Gallia Narbonensis in Deutschland und Holland, in HFB 16, 1991, pp. 389-439. P. HERZ, Studien zur romischen Wirtschaftgesetzgebung. Die Lebensmittelversorgung, Historia Einzelschr., Heft 55, Stuttgart 1988, p. 194 S.; p. 296 ss.; B. S119Jcs, Food for Rome. The legal structure of the transportation and processing of supplies for the imperial distribution in Rome and Constantinople, Studia Amstelodamensia ad Epigraphicam, lus antiquum et Papirologicam pertinentia 31, Amsterdam 1991, p. 391 ss.; p. 393 S.; L. DE SALVO, Economia privata epubblici servizi nell'impero romano. I corpora naviculariorum, Kleió 5, Messina 1992, p. 92 ss.; p. 184 S.; C. PANELLA, Merci e scambi, cit., p. 648 en. 137. S. I. KEAY, Late Roman Amphorae in the Western Mediterranean, BAR Int. Ser. 136, Oxford 1984, p. 267 S.; F. PACETTI, La distribuzione delle anfore orientali tra IV e VII secolo d. C., in A. GIARDINA (ed.), Societd romana e impero tardoantico vol. 3 , Le merci, gli insediamenti, Bari 1986, pp. 278 - 284; M. BONIFAY - F. VILLEDIEU, importations d'amphores orientales en Gaule (VeVile siècle), in V. DEROCHE - I. M. SPIESER (edd.), Recherches surla céramique byzantine, BCH Suppl. 18, 1989, pp. 17-46, dove vengono individuate officine in area egea. Tl che potrebbe forse indurre a pensare anche ad una piü vasta area di produzione, direi mediterranea (questa e, peraltro, un'ipotesi avanzata da C. PANELLA, Merci e scambi, cit., p. 647, n. 134); non è esciuso che ulteriori rinvenimenti possano corroborare questa tesi.
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10 P. ARTHUR, Some observations on the economy of Bruttium under the later Roman empire, in .TRA 2, 1989, p. 134 s. [133-142]; A . M. FALLICO, Naxos. Fornaci tardo-romane, in Kokalos 22-23, 1976-77, p. 632 s.; A.J.R. WILSON, Sicily under the Ro-
man empire, Warminster 1990, p. 264 en. 128; P. ARTHUR— D. WILLIAMS, Campanian wine, Roman Britain and the third century A. D., 1nJRS 5, 1992, p. 251 [250-260]; C. PANELLA, Merci e scambi, cit., p. 646 en. 134; B. BASILE, Ricognizioni subacquee lungo la costa siracusana nell'ultimo quinquennia, in M.C. LENTINI (ed.), VI RasSegna di archeologia subacquea (Giardini-Naxos 1991), Messina 1994, p. 25 [11-29]. 11 Amphores Romaines et histoire économique, cit., p. 529 s. 2 A. TCHERNIA, Les modèles économiques des amphores, in Amphores Romaines et histoire éc000mique, cit., p. 529 s. [529-5391. 3 P. ARTHUR, Some observations, cit., p. 134 s.; E. AN0R0NICO 3 Il sito archeologico di Pellaro (fraz. di Reggio Calabria), in La Calabre de la fin de l'antiquité an Moyen Age, Actes de la Table ronde, Roma 1989, MEFRM 103, 1991, p. 731-736; G. GASPERETrI - V. Di GIOVANNI, Precisazioni sui contenitori della Tarda Antichitit, ibid., pp. 875-885; D. FALCONE, L'evoluzione dei centri abitati in Calabria dal Tardo-Antico all'etd bizantina (IV-XIsecolo d. C.), in Vivarium Scyllacense 5,1-2, 1994, p. 46 [43-122]. F. BARELLO - M. CARDOSA, Casignana Palazzi, in La Calabre, cit., p. 676 [669-687]; A.B. SANGINETO, Produzioni e commerci nelle Calabrie tardo romane, in La Calabre, cit. ,p. 751 [749-757]. L. COSTAMAGNA, La sinagoga di Bova marina nel quadro degli insediamenti tardoantichi della costa ionica meridonale della Calabria, in La Calabre, cit., p. 616 [599-609]; M. RUBINICH, Osservazioni sul materiale ceramico di Bova Marina, ibid., p. 635 ss. [631-6421. Tutti gli indizi portano a individuare un emporio nella zona intorno alla sinagoga. 6 A. RACHELI, Osservazioni su alcune classi di materiali rinvenute in territorio calabrese, in La Calabre, cit., p. 719 [709-729]; A.B. SANGINETO, Produzioni e commerci, cit., p. 751. ' G. GASPERETTI - V. DI GIoVANNI, Precisazioni sui contenitori calabresi, cit., p. 875 s. 18 P. ARTHUR, Economy of Bruttium, cit., p. 134. 19 A.M. FALLICO, Siracusa. Saggi di scavo nell'area della Villa Maria, in NSA 1971, p. 609 fig. 32 nr. A183; 20 B. BASILE, Ricognizioni subacquee, cit., p. 22-27. 21 P. ARTHUR, Economy of Bruttium, cit., p. 135; 138 5.; 22 Cfr. G. GASPERETTI - V. Di GIOvANNI, Precisazioni sui contenitori calabresi, cit., p. 880 en. 12. 23 G. MASSARI, Ceramica comune in A. FROVA(ed.), Scavi di Luni II, Roma 1979, p. 198, fig. 129, ncr. 10-11; cfr. G. GASPERETTI - V. Di GIOVANNI, Precisazioni sui contenitori calabresi, cit., p. 882. Per Ostia B. CIARROCcHI - A. MARTIN - L. PxaoLI - H. PATTERSON, Produzione e circolazione di ceramiche tardoantiche ed altomedievali ad Ostia e Porto, in AA.VV., La storia economica di Roma nell'Alto Medioevo alla bce di recenti scavi archeologici, Firenze 1993, pp. 203-246 (partic. 206; 208). 24 Vedi la mappa tracciata da P. ARTHUR, Economy of Bruttium, cit., pp. 140-141.; cfr. A.B. SANOINETO, Produzioni e consmerci, cit., p. 753; cfr. anche AiR. WILSON, Trade and Industry in Sicily, in ANRW II, 11, 1, Berlin-New York 1988, p. 289 s. [207-305 ] e ID., Sicily, cit., p. 264 s., il quale non parla ancora di Keay LII, ma di anfore nassie a fondo piatto. 23 Cfr. anche A. RACHELI, Osservazioni, cit., p. 170; A.B. SANOINETO, Produzioni e commerci, cit., p. 754. 26 Sembra essere assai simile alle Keay LII rinvenute a Naxos e a Punta Castelluzzo it contenitore segnalato a Salona; cfr. N. CAMBI, Anfore romane in Dalmazia.in Anfore romane e storia ec000mica, cit., p. 334 s. e fig. 37 [331-337]; B. BASILE, Ricognizioni subacquee, cit., p. 23. 27 C. PANELLA, Merci e scambi, cit., p. 648, n. 138. 28 Sulla prosperità della Calabria in eta tardoantica e bizantina, cfr.L. CREcco RUGGINI, Società provinciale, societd romeno, società bizantina in Casssiodoro, in S. LEANZA (ed.), Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, Atti delta Settimana di Studi (Cosenza-Squillace 1983), Soveria Mannelli 1986, pp. 245-261. Cfr. anche A.B. SANGINETO, Produzioni e commerci, cit., p. 753. 29 Exp. tot. mun. 53 (SC 124, p.190 Rouge): Post hanc [scil. Calabria], Bruttium et ipso optima cum sit negotium emittit yestem, binum et vinum multum et optimum. 30 Exp. tot. mun. 65 (SC 124, p. 208 Rouge). Sulla floridezza dell'economia siciliana in eta tarda, cfr. L. Ccco RUGGINI, La Sicilia fra Roma e Bisanzio, in AsVv., Storia della Sicilia, vol. 3, Napoli 1980, p. 7 ss.; M. MAZZA, Economia e società nella Sicilia romana, in Kokalos 25-27, 1980-81, p. 292-358; ID., La Sicilia fra Tardo-antico e alto Medioevo, in La Sicilia rupestre nel contesto della civiltd mediterranea, Atti del VI Convegno di Studi sulla civiltà rupestre medievale nel Mezzogiorno d'Italia (Catania 1981), Galatina 1986, pp. 43-84. CTh 14, 4, 4. 32 Cassiod. var. 12, 12 (CCSL 96, p. 476 s. Fridh); 12, 14 (CCSL 96, p. 479 s. Fridh). Cfr. G. NovE, Les Bruttii an We siècle, in La Calabre, cit., p.508 [505-551]. A Milazzo, cfr. G. TIGAN0, Milazzo, scavi e ricerche tra i11994 e il1997, in Kokalos 43-44, 1997-98, pp. 513-545; a Ganzirri, G. TIGANO, Ganzirri. Insediamento tardoromano-protobizantino, in C.M. BACCI - G. TIGANO (edd.), Da Zancle a Messina. Un percorso archeologico attraverso gli scavi, 2, 1 Messina 2001, pp. 247-255; a Pistunina, A.M. ROTELLA, Introduzione al catalogo dei materiali ceramici rinvenuti nell'area di Pistunina, ibid., pp. 231-233. ' Su alcune di esse, rinvenute a Roma e nel Nord-Africa, ricorre il monogramma chi-ro, con evidente riferimento a p05sedimenti della Chiesa; in altre ii nome ASELLUS, nome diffuso in Calabria; cfr. P. ARTHUR, Economy of Bruttium, cit., p. 139.
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J.A.K.E. DE WAELE t LA STANDARDIZZAZIONE DLI BLOCCHI NEI TEMPLI GEMELLI' DI AGRIGENTO Durante gil scavi archeologici suila Rupe Atenea di Agrigento (1971-1978), svoltisi sotto l'egida dell'allora Soprintendenza aile Antichità, diretta da Ernesto De Miro, sono venuti alla luce gil avanzi di un poderoso muro di terrazzamento, che secondo i dati stratigrafici deve risalire al V secolo a.C. 1 Facendone ii rihevo archeologico abbiamo notato che questo muro era composto da conci isodomi regolari con le dimensioni standard di m 1,24 x 0,62 x 0,465 in media. Daile iscrizioni attiche risulta che i blocchi di costruzione hanno vane dimensioni, fra le quail appaiono frequentemente anche queue di 4 x 2 x 1 piedi. Abbiamo aliora suggerito che per i blocchi del muro di terrazzamento di Agrigento bisognasse ammettere un 'piede' di 31 cm 2 Un'unità pressoché uguaie Si poteva ricavare dai blocchi - ortostati e conci - del tempio di Demetra di Agrigento 3, la cui lunghezza originariamente era composta da 25 ortostati di 1,25 rn (= 4 piedi). Ii tempio si presentava cos! come l'zekatompedos ( 100 piedi di 31,25 cm). Le proporzionipronaos: naos erano 1:2 ossia 33:67 p. La larghezza del tempio, che probabilmente era in antis, era di rn 13,30, ossia 42 11 piedi. Per 11 'tempio di Eracle' (A) l'unità del piede si lascia determinare sottraendo aila media dei plinti di colonna (2,46 m ossia 8 p.)la media del plinti d'intercolumnio (2,1525 m ossia 7 p.): 0,3075 rn.4 Che i blocchi isodomi neli'architettura greca fossero espressi in piedi, era già stato accettato dal Doerpfeid, ii quale stabili cos! 11 . Nell'economia del passo, pertanto, verrebbe da pensare ad un'area in qualche modo contigua ai centri lucani menzionati in precedenza e, quindi, nell'entroterra nord-occidentale di Thourioi; ma tuttavia, la mancanza di ogni appiglio toponomastico nell'area limitrofa a Grurnenturn, tra quelli elencati ii centro phi vicino a Thourioi, e l'assenza di un preciso riferimento logico alla frase precedente consentono di cercare la Tmiavii XcôQa nel phi vasto ambito della Calabria centro-settentrionale, dall'istmo Lamezia-Squillace in sü, area che, comunque, puè essere considerata nell'entroterra di Thourioi 17 Prima di affrontare l'esame delle testimonianze antiche, occorre premettere come alla radice del coronimo straboniano in questione vi sia la base mediterranea *tauro = monte, altura, massiccio montuoso, assai diffusa nella toponomastica greca 18; questa indicazione, quindi, ci indirizza verso un territorio caratterizzato da consistenti rilievi, come non ne mancano nella Calabria centrosettentrionale. Si deve notare, tuttavia, come molto probabilmente all'origine dell'etnico italico Tauriani vi sia, invece, ii termine greco TcrtQoc = toro, l'animale totemico nel quale, secondo ii costume di molte altre stirpi sannitiche, i Tauriani si riconoscevano e dal quale trassero il nome La medesima forma aggettivale che qualifica la XthQU nell'entroterra di Thourioi, TcoJQuavÔç-, ricorre in altri documenti letterari antichi, come posto all'attenzione degli studiosi dal Maddoli: carat456
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terizza in primo luogo uno oKOJTrXoç = promontorio o isoletta costiera, ricordato da Tolemeo nella descrizione della paralia brezia e ubicato in posizione intermedia tra la città di Ternpsa ed ii Golfo Ipponiate e, quindi, all'estremità sud-occidentale della vasta area per la quale Si pUÔ ritenere ancora ammissibile una localizzazione itè oiiv OolJQiwv; anche per questo OTcótEXoç sono state proposte vane ipotesi di identificazione, sulle quali torneremo in seguito; per ii momento e importante aver potuto stabilire la ricorrenza di un'altro toponimo antico, ancora in uso nel II sec. d.c., derivante dalla radice *tauro posto sicuramente al di fuori del comprensorio tirrenico reggino 28 Ii Maddoli si è lungamente soffermato su una seconda menzione di Tauriani non unanimemente riferita al comprensorio di Palmi e di difficile attribuzione; si tratta, come detto, dell'importante testimonianza offerta dal frammento 71 P. 2 delle Origines di Catone 21 ; ii passo, riportato da Probo, sintetizza in poche righe le vicende storiche pitt salineti e la corografia di una comunità ii cui etnico tradito, Theseunti, è certamente corrotto nella tradizione manoscritta da un ignoto polionimo originario; l'etnico è seguito dalla qualificazione di Tauriani derivante, secondo catone, o la sua fonte (Timeo?) 22, dal nome del fiume che scorre nelle vicinanze > e dai numerosi riferimenti delle fonti (Tucidide, Licofrone, Strabone). 62 Thuc., VI, 104; sull'interpretazione del passo si vedano i già citati contributi di E. G p.xco, L'approccio, cit., F. PRONTRERA, Sinus, cit., e R. SPADEA, L'area, cit.; particolarmente convincente quest'ultimo, cfr. R. SPADEA, Fonti, cit., pp. 19-22. PLIN., nat. hist., III, 72; sul passo si veda F. PRONTRERA, Sinus, cit. e E. GReco, L'approcio, cit., che considerano la menzione pliniana una citazione colta, dal momento che Terina non esisteva piü da quasi tre secoli e che lo stesso golfo si chiamava ormai Vibonensis, come lo stesso Plinio riferisce e come conferma Tolomeo (definendolo I7ntwvLdt71c, alla greca, cfr. III, 1, 9); col sinus terinaeus, tuttavia, definito ingens da Plinio, si ritiene che si intendesse la pili ampia falcatura compresa tra il Capo Palinuro ed il Capo Vaticano se non, addirittura, estesa finn allo Stretto di Messina. 64 G. MADDOLI, La Tabula, cit., e C. TURANO, Le conoscenze geografiche del Bruzio nell'antichità classica, in Klearchos 65-68, 1975, p. 68. 65 Abbiamo già visto come a tale ipotesi identificativa non creda piü neanche lo stesso autore. 66 Si deve osservare, per inciso, come nessun Pnrtolano antico vi faccia riferimento, sintomo evidente di scarsa visibilità e scarsa utilità nella navigazione, tanto come ormeggio che come punto di riferimento. 67 Il termine e usato anche in riferimento all'Acropoli di Atene e di Tebe, sebbene in contesti non geografici. Cfr. LIDDELScoTrr, Greek - English Lexicon, s.v. oKoarXog. 68 Cfr. S. SETTI5, Tauriana, cit., p. 65, ma anche HULSEN, RE, III, 1(1897), c. 909 e PHILIPP, RE, IV, A2, c. 2540. 69 Per l'analisi dettagliata di questi argomenti rimando a G.F. LA TORRE, Per lo studio, cit., e soprattutto a G.F. LA TORRE, Forma Italiae, cit. ° Cfr. ad esempio Portolan Rizo, 175, in K. KRBTSCHMER, Die italienischen Portolane des Mittelalters, Hildesheim 1962, p. 489. 71 Sulle scoperte archeologiche effettuate a Tiriolo si vedano, S. FERRI, in NSA 1927, pp. 336-358 e R. SPADEA, Nuove ricerche sul territorio dell'ager Teuranus, in Klearchos 73-76, 1977, pp. 123-159. 72 Cfr. A. DEGRASSI, ILLRP, Firenze 1963, n. 511. Cfr. G. ALESSIO, Saggio, cit., p. 403 che fa derivare il toponimo moderno Tiriolo-Te(u)riolum da Teuranus, e questo da *teuro = *tauro; contra S.SBTrls, Tauriana, cit., p. 69, nota 55. Cfr. R. SPAOEA, IBrettii e l'Ager Teuranus, in P. POCCETTI (a cura di), Per un'identitS, cit., pp. 203-208. ° Cfr. E. PAls, Terina colonia di Crotone, p. 63. Sull'ager Teuranus si veda pure E. CIACERI, StorM della Magna Grecia, Milano-Genova-Roma-Napoli 1932,111, pp. 202 e 281. 76 Nettamente contrario a tale proposta identificativa, come visto, e S. SETTIS, Tauriana, cit., p. 69 e nota 55, con bibliografia precedente, seguito anche da F. PRONTRERA, Cosentini, cit. Si deve anzi notare come, dopo la conclusione della guerra annibalica e la definitiva scomparsa di Terina dalla poleografia del Bruzio, l'estensione dell'ager Teuranus potrebbe aver compreso anche l'area pianeggiante del settore settentrionale della Piana Lametina, a Nord dell'Amato. 78 CIT. J. SCHNETZ, Itineraria Romana II, Leipzig 1940. Cfr. R. SPADEA, Fonti, cit., e G.P. GIVIGLIANO, Percorsi, cit., pp. 307-308. Dirimente in proposito la conservazione dell'idronimo nell'odierno Fiume Angitola. 80 Il passo riportato e quello della yersione data da Guidone, meglio tradita; 11 passo dell'Anonimo Ravennate, nella sostanza coincidente, presenta perO una lacuna: oAngila, que confinatur cum territorio super scriptae civitatis.. .11, integrata sulla base del testo di Guidone. Le notazioni, evidentemente aggiunte rispetto all'archetipo sul quale si basano le due opere, sono integrazioni inserite sulla base di altre fonti, probabilmente successive; quelle che qui ci interessano compaiono lungo il tracciato della via Appia, da Roma verso lo Stretto, confrontabile con l'analogo itinerario riportato dall'Itinerarium Antonini. 82 Cfr. Tab. Pent., seg. VII; AN. RAy., IV, 32eV, 2; GolD., 31 e 73. 83 Si deve tener presente, tuttavia, come i due passi in questione presentino dei problemi; essi, infatti, elencano i centri posti lungo il tracciato della via Appia scendendo da Roma verso lo Stretto, ma si interrompono entrambi ad Angila/Angitula; inseriscono qui la frase che abbiamo riportato, facendola seguire da un altro gruppo di centri di difficile ubicazione:oet supersunt civitates in eadern regione Ballarum id est Billari, Crater, Coccinium Scillaceum"; se in Scillaceun'i Si debba riconoscere Scolacium, riportata nella Tabula Peutingeriana col nome di Scilatio, come pure I probabile, potrebbe trattarsi di centri posti
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lungo la via istmica Lamezia - Squillace; Se, invece, VI Si debba riconoscere Scilla, si tratterebbe di centri non altrimenti noti posti tra la Piana di Lamezia e I'area dello Stretto; ii tratto meridionale successive, invece, con l'elenco del centri sostanzialmente coincidente con la Tabula Peutingeriana, viene descritto nei paragrafi IV, 32 e V, 1 dell'Anonimo Ravennate e nei paragrafi 31-35 e 73-79 delI'opera di Guidone, che seguono l'itinerario costiero tirrenico da Reggio fino ad A/hi ntimilium. 84 Lo stesso Maddoli ha notato come toponimi simili si riscontrano anche in altri ambiti dell'Appennino centromeridionale: ii territorio degli Aurunci e quello degli Irpini, cfr. G. MADDOLI, La Tabula, cit., p. 333, nota 5. 85 Cfr. F. PRONTRERA, Cosentini, cit., p. 87 e V.A. POTTHAST, Regesta Pontificum Romanorum, Berlino 1874, 1, n. 9302. 86 Sul passo si vedano AS. TOYNBEE, HannibaCs Legacy, Oxford 1965, II, p. 27, nota 6 e F. PRONTRERA, Cosentini, cit. ° Le argomentazioni storiche addotte dal Prontrera non sembrano probanti e, comunque, non sufficienti a chiudere ii problema, cfr. F. PRONTRERA, Cosentini, cit., pp. 84-87; alla stessa sostanziale conclusione pervenne ii Pals, attribuendo, come visto, ii passo addirittura a Terina; cfr. supra, nota 75. 88 Liv. XXIX, 38,1 eXXX, 19, 10. 89 Cfr. F. COSTABILE, Le fonti, cit., che pure preferisce attribuire ii passo liviano ai Tauriani meridionali. ° Ii toro è I'animale pifl frequentemente attestato, insieme al lupo, nelle pratiche del ver sacrum, cfr. M. PALLOTTINO, Genti, cit., p. 86.
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MARINA MARTELLI CRISTOFANI
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ARMI MINIATURISTICHE DA IALYSOS Nella perspicua varietà dei suoi costituenti ii deposito votivo dell'Athenaion di lalysos, di cui ho fornito una presentazione d'insieme seguita da altri interventi 1 , propone, accanto ad armi reali, loro riproduzioni miniaturistiche. Nel novero di queste, oltre a scudi e bipenni (sia in bronzo che in feno che in avorio), figurano in particolare una corazza ed un dm0 in lamina di bronzo ritagliata. L'elmo (inv. 11257; h. cm 9,5), a silhouette di profilo a d., ha alto cimiero ricurvo alla sommità, ove e praticato un foro pervio, si da assumere l'aspetto di una protome ornitomorfa, e calotta lievemente rientrante nella regione occipitale, paranuca accennato, paragnatide distinta, apertura in corrispondenza degli occhi priva di paranaso (fig. 1, a). La corazza (inv. 11258; h. cm 8,2; largh. cm 7,3), limitata alla parte anteriore, a piastra rettangolare, priva di partizioni anatomiche, tranne i capezzoli, a rilievo (i quali, come mi ha suggerito dpistolarmente il prof. A. M. Snodgrass, che ringrazio per la sollecita cortesia, possono "to be a 'memory' of the attachment-pins which were used, in real life, to secure the shoulder-pieces to the breastplate, and which were located more or less in the same place"), ha gli spallacci, a fettuccia, congiunti direttamente alla placca, che conservano la curvatura originaria e recano pure, presso l'estremità, un foro passante di sospensione (fig. 1, b). In virtfl della loro spiccata rarità i due oggetti si segnalano all'attenzione, giacche, se - come ha rilevato uno specialista dell'argomento quale A.M. Snodgrass - armature e armi reali ricorrono comunemente nei luoghi di culto ellenici, quelle in scala ridotta sono invece piuttosto infrequenti2, configurandosi per di pi come "mainly a speciality of Crete", alla tipologia del cui esemplari puntualmente corrispondono quelli rinvenuti agli inizi del '900 nel tempio di Apollo Epikourios a Bassai. Analizzando questi, lo studioso inglese ha riferito tale tipo di offerta a mercenari cretesi che, nello specifico caso arcade, avrebbero partecipato, a fianco degli Spartani, alla seconda guerra messenica e all'assedio del Monte Ira, su cui si era arroccato Aristomene 3 : una vicenda che, tramandata da
Fig. 1. Elmo e corazza miniaturistici da lalysos, Atl'zenaion. 467
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AM5
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iw Fig. 2. Armi miniaturistiche da Gortyna. Pausania, fonte i Messeniakci del poeta epico cretese Riano di Bene, fiorito nella seconda metà del III sec. a.C., s'innesta nella dibattuta questione della cronologia delle guerre messeniche e della figura di Aristomene 4. D'altro canto, di toocu. cretesi EK tE AKTOU Kcd. cEwv 3tóXswv ingaggiati come Lo0wio( dai Lacedemoni ii Periegeta parla espressamente come autori della cattura dello stesso leader della rivolta messenica, momentaneamente assentatosi da Ira durante una tregua (Paus. IV,19,4), e di un mercante di Cefallenia che riforniva del necessario gli assediati (ibid. 20,8). Secondo Musti, tuttavia, si tratterebbe di episodi inseriti in quella sorta di racconto eroico di sfondo omerico, di 'romanzo' avventuroso di stampo ellenistico di cui Aristomene sarebbe protagonista, ma che Snodgrass ritiene veritieri almeno a livello di partecipazione cretese in questo scenario, pervenendo a ipotizzare che le armi di modulo miniaturistico siano state dedicate nel santuario di Bassai, poco distante dal Monte Ira, proprio da arcieri cretesi per commemorare qualche successo bellico, come uccisioni o catture di opliti, messeni o árcadi. Come s'è accennato, la maggiore concentrazione di armi miniaturistiche riproducenti elementi della panoplia si registra in effetti, nella prima metà del VII Sec. a.C., in santuari di Creta - Praisos, Palaikastro e Gortyna (fig. 2) - ove figurano vari elmi del tipo B -'Open faced Helmet' della classificazione di Snodgrass e uno del tipo Ca -'Cretan Helmet", corazze, scudi, mitre e uno schiniere in lamina ritagliata e, nel caso degli elmi e delle corazze, anche in due parti distinte poi congiunte, mentre a Bassai, oltre alle stesse categorie di armi e ad un maggiore numero di schinieri, compaiono forse anche dci copribraccio 6. L'elmo ialysio appare una sorta di contaminazione tra ii tipo corinzio di prima fase evo1uta 7 e quello cretese, il summenzionato Ca: con l'uno condivide infatti la conformazione complessiva e l'indicazione della paragnatide, la quale articola e infrange l'orizzontalità del margine inferiore canoni468
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ca nella formulazione cretese, e con l'altro l'apertura a profilo ricurvo in corrispondenza degli oc chi e l'assenza del nasale, del quale ii corinzio invece di norma dotato. Tuttavia, la conformazione della parte superiore della calotta e la mancanza del paranaso richiamano piü propriamente l'eImo 'ionico', che talvolta e dotato, come appunto ' -) nel caso in esame, di un alto cimiero (ad es., su un sarcofago clazomenio del Borelli Painter: R.M. COOK, Clazomenian, cit. infra, pp. 9 ss., B 8, tavv. 6-7). Pur con queste specificità, il nostro elmetto \ \ trova i suoi corrispondenti dimensionali, tecnici e semantico-funzionali in quelli cretesi e árcadi. La corazza, invece, si distacca nettamente dalla foggia tubolare o a campana con notazioni anatomiche dei succitati complessi di Creta e Bassai: essa e infatti a corsetto rigido con spallacci e, in assenza di adeguati paralleli tipologici, pare una sorta di antecedente del tipo a spallacci 8 noto Fig. 3. Frammento di sostegno da Talysos, Athenella documentazione figurata dal 540-30 a.C. ca., naion incluse le hydriai ceretane e i sarcofagi clazomenI 9 , che potrebbero se non altro attestarne una precoce diffusione proprio in ambito greco-orientale, e di cui l'esempio phi celebre e fastoso e quello, in ferro e oro, della tomba 'reale' di Vergina ritenuta di Filippo II di Macedonia Come nei santuari di Lindos 11, di Creta, di Bassac, oltre che di Olimpia, di Delfi e di altri centri ellenici, anche quello di lalysos - che annovera pure piccoli scudi del non comune tipo 'Herzsprung' 12 - l'offerta simbolica di armi di formato miniaturistico si accompagna a quella di armi reali. Nella stipe ialysia abbiamo paragnatidi di elmi 'ionici', frammenti di scudi decorati da guilloches e figurazioni a sbalzo, spade con fodero, punte di lancia e di freccia 13, in quella lindia elmi di tipo corinzio, illirico e 'ionico', corazze, cnemidi, scudi, spade, bipenni, cuspidi e sauroteres di lancia e di giavellotto, punte di freccia 14; in quest'ultima poi un elmo miniaturistico con lophos ricurvo e ricavato, come vari esemplari cretesi, da due lamine congiunte con un ribattino, mentre un altro e fuso'5 Ex voto di tale natura, cioè appunto armi' 6 sia reali che in miniatura, interpretate di solito come spoglie vere o simboliche, sono indirizzati non solo a divinità maschili, come Zeus nei succitati casi di Praisos e Palaikastro o Apollo Epikourios a Bassai, ma anche a divinità femminili, fra le quali in primis Athena 17, titolare dei santuari delle acropoli di lalysos, Kamiros e Lindos, come di quello dell'acropoli gortinia, le cui basilari, ancorché certo non esclusive, competenze guerriere sono valorizzate altresl dall'immagine di Promachos, del pari eseguita in lamina ritagliata e con elmo peculiarmente cretese sovrastato da un'alta cresta, rinvenuta nel santuario di Dreros 18, Se, in generale, gli anathemata di genere militare nei luoghi di culto esprimono la volontà da parte del devoto di offrire al nume cia che phi significativamente lo qualifica, e forse anche ii riferimento a modelli eroici, l'offerta di armi reali indica nei dedicanti esponenti di una classe sociale elevata 19, laddove i phi modesti e accessibili sostituti in Scala ridotta costituiscono dediche di carattere 'economico', in quanto provenienti da ceti militari meno abbienti quali quelli mercenari. E possibile quindi che questo tipo di anathema nell'Athenaion del Monte Fileremo provenga da un epikouros che ha consacrato alla dea poliadica la spoglia simbolica di un nemico battuto (e converrà ricordare che mercenari di lalysos al soldo del faraone Psammetico II sono espressamente attestati dalle iscrizioni tracciate da due di essi ad Abu Simbel, sulle statue colossali di Ramses II, nel corso della campagna nubiana del 591 a.C.), ma, alternativamente, altrettanto possibile è una sua connessione con un rito di passaggio di un giovane all'età adulta, affidata alla forma simbolica della miniaturizzazione al momento di assumere una funzione militare. 469
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D'altra parte, la stipe di lalysos comprende ii frammento di un manufatto di pregio tutt'altro che frequente, della fine dell'VTII sec. a.C., riferibile con sicurezza alla toreutica cretese tardo-geometrica, e precisamente un sostegno bronzeo a quattro facce (fig. 3), lavorato a giorno con figure zoomorfe saldate a verghette, del tipo - esemplato su modelli ciprioti del Tardo Bronzo sovente forniti di mote - documentato nell'Antro Ideo, nel dromos di una tomba a tholos di Khaniale Tekke (Knossos) e nel santuario di Hermes Kedrites ed Aphrodite a Kato Syme, oltre che a Delfi 20• Le evidenze considerate vengono a prospettare un'ulteriore, piccola ma non trascurabile, testimonianza archeologica di quei rapporti rodio-cretesi che hanno giocato un ruolo non secondario nella storia della colonizzazione greca in Oäcidente, sfociando, proprio quasi in concomitanza con ii periodo al quale esse rimontano, nella fondazione di Gela, la città che ha costituito ii perno della mia antica e duratura amicizia con Ernesto Dc Miro, cui questo munusculum è rivolto.
M. MARTELLI, La stipe votiva dell'Athenaion di Jalysos: on prirno bilancio, in S. DIETZ - I. PAPACHRIST0000LOU (edd.), Archaeology in the Dodecanese, Copenhagen 1988, pp. 104-120; Exn., Avori vicino-orientali e greci dall'Athenaion di Jalysos, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für Klassische Archaologie (Berlin 1988), Mainz 1990, p. 396; EAO., I Fenici e la questione orientalizzante in Italia, in Atti del II Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici (Roma 1987), Roma 1991, pp. 1050-1053, figg. 1 a-b; Exo., La stipe votiva dell'Athenaion di laliso, in M. LIvAOI0TTI - G. Rocco (edd.), La presenza italiana nel Dodecaneso tra il 1912 e ii 1948. La ricerca archeologica, la conservazione, le scelte progettuali, (Catalogo Mostra Rodi 1993, Roma 1996, Atene 1997), Roma 1996, pp. 46-50, ft-g. 106-119; EAD., Cintura urartea da lalysos, in Alle soglie della classicitd. Il Mediterraneo tra tradizione e innovazione (Studi in onore di Sabatino Moscati, II), Pisa-Roma 1996, pp. 853-861; EAD., La Stipe di lalysos: avori orientali e greci, in Un ponte fra l'Italia e la Grecia (Atti del Simposio in onore di Antonino di Vita, 13-15 febbraio 1998), Padova 2000, pp. 105-118. 2 Oltre alla bibi. concernente gli exx. cretesi e di Bassae cit. infra a note 3 e 6, sulle armi miniaturistiche, tra cui prevalgono gli scudetti rotondi sia bronzei che fittili, v. W.H.D. Rouse, Greek Votive Offerings, Cambridge 1902, pp. 116, 387 s., 390, figg. 51-52; A.M. SNODGRASS, Early Greek Armour and Weapons from the End of the Bronze Age to 600 B.C. (in seguito abbreviato EGAW), Edinburgh 1964, pp. 41, 45, 47, 49, 57, 63, 65 s., 203, 240, nota 53, con lett.; In., Arms and Armour of the Greeks (poi abbreviato AAG), London 1967, pp. 65, 71 s., 73; I. BoARnMAN, Excavations in Chios 1952-1955, Greek Emporio, London 1967, p. 232 s., fig. 153, tav. 94, con rifer.; M.W. STOOP, Note sugli scavi nel santuario di Athena sul Timpone della Motto (Francavilla Marittima-Calabria), 3, in BABesch 55, 1980, p. 173, fig. 27; M. Ms.ss, Aegina, Aphaia-Tempel. Neue Funde von Waffenweihungen, in AA 1984, p. 277, fig. 11, con vari rifer. a note 58, 64; A. LEBESSI, To hiero ton Erne kai tes Aphradites ste Syme Viannou, I, Chalkina kretika toreumata, Athena 1985, pp. 73, 140, nota 373; C.G. SIMON, The Archaic Votive Offerings and Cults of Ionia, Ph. D. Diss. University of California, Berkeley 1986 (Ann Arbor microfiches), pp. 240 ss., 256-258; PH. BRIZE, Archaische Bronzevotive aus dens Heraion von Samos, in Scienze dell'antichità 3-4, 1989-1990, (1991), pp. 323 ss., figg. 4-7; M.E. VOYATZIS, The early Sanctuary of Athena Alea at Tegea and other Archaic Sanctuaries in Arcadia, Goteborg 1990, pp. 198-200, 337 ss., 186-196, tavv. 135-140, p. 279, L. 28, tav. 141, con bibl. prec. (scudetti variante arcade del tipo Dipylon da Tegea, Lousoi, etc.); M. STOOP, Dish or Votive Shield?, in BABesch 66, 1991, p. 165 5.; G. RIZZA, Uno scudo dipinto del Musea di Chania, in RAL SAX, IV. 1, 1993, pp. 39-44 (con monomachia a f.n.); A. MOUSTAKA, Ein Votivschild aus dens Heraion von Samos. Zum Verhdltnis zwischen Vasenmalerei und Toreutik in lonien, in MDAI(A) 109, 1994, pp. 30 ss., tav. 11, 1-2. V. inoltre per piccoli elmi corinzi: Antikenmuseum Berlin, Die ausgestellten Werke, Berlin 1988, p. 75, n. 5, con bibl. prec., cui adde E. KUKAHN, Der gniechische Helm, Marburg 1936, p. 46; H.P. ISLER - M. SGUAITAMATTI (Hrsg.), La collezione Collisani - Die Sammiung Collisani, Zürich 1990, p. 157 s., n. 226, tav. 37, con rifer.; J. CHRISTIANSEN, Greece in the Geometric Period, Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen 1992, p. 92, n. 71, con bibi. prec. ("acquired on the art market 1963" con una cinquantina fra bronzetti a figura maschile ed equina, pendagli, sigilli, fibule, etc., "allegedly from the Athena Ithonia sanctuary at Philia"); Christies, New York, 9 December 1999, p. 118, n. 435. Per learmi miniaturistiche in area etrusco-laziale e italica, prevalentemente, ancorché non esclusivamente, documentate in corredi funerari, v. P.F. STARY, Zur eisenzeitlichen Bewaffnung und Kampfesweise in Mittelitalien, Mainz am Rhein 1981, pp. 26 s., 47, 89, 177-180, 184, 465 s., Liste W 60, Karte 40; per un complesso di provenienza sconosciuta v. Italy of the Etruscans (Catalogo Mostra Gerusalemme 1991), Mainz 1991, p. 91 s., n. 109. A.M. SNonomss, Cretans in Arcadia, in Antichitd cretesi (Studi in onore di Doro Levi, II = Cronache di Archeologia 13, 1974, [ 1978 ]), pp. 196-201, tav. XXIII, con bibl. prec., seguito da M.E. VOYATZIS, The early Sanctuary, cit., pp. 38 s., 218-220, 267 s., con rifer. a differenti ipotesi interpretative di altni studiosi. Sul problema cronologico della guerre messeniche e sulle fonti di Pausania ad esse relative v. ora D. MusTI, in Pausania, Guida della Grecia, Libro TV, La Messenia, Milano 1991, pp. XVI ss., oltre che ID., Stonia greca. Linee di sviluppo dall'età micenea all'età romana, Roma-Bari 1989, p. 147 s. A.M. SN000p.xss, EGAW, rispettivamente pp. 16 ss. e 28 ss., con lett., che, come Kukahn e altri, lo ritiene una variante o modificazione cretese del tipo corinzio, opinione contestata da H. HOFFMANN, Early Cretan Armorers, Mainz 1972, pp. 1 ss. e da J. BORCHHARDT, Helme, in Archaeologia Homenica, I, Kapitel E, Kniegswesen, Tail 1: Schutzwaffen und Wehrbauten, G6ttin-
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gen 1977, P. 69, tav. VI a ("Raupenheim"), i quali fondatamente hanno sostenuto l'indipendenza da esso e l'influsso di modelli assiri e tardo-hittiti. 6 S. BENTON, Bronzes from Palaikastro and Praisos, in ABSA 40, 1939-1940, (1943), p. 54, nn. 17-29 (scudi), 31 (elmo), tavv. 27.17, 28.31, 29.29, p. 56 s. (scudi), nn. 2-14 (corazze), 17-23 (elmi), 24-27 (mitrai), tavv. 31.2.13.17.C, 32.23, con bibi. prec.; EAD., The Dating of Helmets and Corslets in early Greece, ibid., pp. 79-82; inoltre A. HAGEMANN, Griechische Panzerung. Eine entwicklunggeschichtliche Studie zur antiken Bewaffnung, I, Der Metallharnisch, Leipzig-Berlin 1919, pp. 30, 55 s., 146, nota 1, fig. 44; D. Levi, I bronzi di Axos, in ASAA 13-14, 1930-1931, (1933), pp. 75, 84; E. KTJKAHN, Der griechische, cit., pp. 15, 32; R. NIERHAus, Eine fruhgriechische Kampfform, in JDAI 53, 1938, p. 106, n. 11, con altra bibi.; H.L. LORIMER, The Hoplite Phalanx with special Reference to the Poems of Archilochus and Tyrtaeus, in ABSA 42, 1947, p. 108 S.; D. LEVI, Gli scavi del 1954 sull'acropoli di Gortina, in ASAA 33-34 (n.s. 17-18), 1955-1956, (1957), pp. 260 ss., figg. 71-74; A.M. SNooGIess, EGAW, pp. 16, 28, 30, 41, 65 s., 74-76, 240, nota 53; To. AAG, pp. 52, 63, 71 S.; H. H0FFEmm, Early Cretan, cit., pp. 2, 7, 22, tav. 41.2.4; A.M. SNODGEASS, Cretans, cit., pp. 196-198, fig. 1; J. BORCHHARDT, Homerische Helme. Helmformen der Agais in ihren Beziehungen zu orientalischen und europaischen Helmen in der Bronze - und fruhen Eisenzeit, Mainz 1972, pp. 69, 145, tav. 30,2, Beil. E, 11.6; To., Helme, cit., i.e. A.M. SNODGRASS, EGAW, pp. 10 s., 20 ss., con bibi. prec., e ID., AAG, p. 51; H. PFLUG, Korinthische Helme, in AA.VV., Antike Helme, Sammlung Lipperheide und andere Bestande des Antikenmuseums Berlin, Mainz 1988, pp. 67 ss.; To., Schutz und Zier, Helme aus dem Antikenmuseum Berlin und Waffen anderer Sammlungen, Basel 1989, p. 20 s. 8 A. HAGEEIANN, Griechische Panzerung, cit., pp. 16 ss.; A.M. SNODGPASS, AAG, pp. 90 s., 109, 119 s. Per le une v. I. M. HEMELRIJX, Caeretan Hydriae, Mainz 1984, p. 131 s., IITG4, e in particolare la n. 1, p. 7, figg - 1-2, tavv. 21 c, 22 a (oplita 1 nel lato A), la n. 7, p. 18, fig. 7, tavv. 43 ac, 44 c (oplita 3 nellato A), la n. 23, p. 41, fig. 67, tavv. 88 a, 89 a, 90 a.c (Iolao nel lato A), tutte e tre del Pittore dell'Aquila. Per gli altri v. R. M. COOK, Clazomenian Sarcophagi, Mainz 1981, p. 123, e in particolare, per quanto Si pu6 scorgere nelle poco leggibili riproduzioni, G 8, p. 36, tav. 48, 3 e G 18, p. 41, fig. 25, tav. 71.1, entrambi dell'Albertinum Group, del primo trentennio del V sec. aC. 10 M. ANoRoNIcos, Vergina. The Royal Tombs, Athens 1984, Pp. 140 ss., figg. 33, 95-96. CHR. BLIKKENBERG, Lindos, Fouilles de l'acropole, 1902-1914, I, Les petits objets, Berlin 1931, c. 391 s., nn. 1562-1566 b, tav. 63 (doppie asce, dm1, scudi). 12 H.L. LORIMER, Homer and the Monuments, London 1950, p. 169, con cenno a tre exx. ripreso da A.M. SNODGRASS, EGAW, p. 228, nota 67 e I. BORCHHARDT, FrOhe griechische Schildformen, in Archaeologia Homerica, cit. P. 41, c. 13 M. MARTELLI, La stipe votiva dell'Athenaion di Jalysos: un primo bilancio, cit., p. 109 e EAD., La stipe votiva dell'Athenaion di laliso, cit., p. 49. 14 CuR. BLLNKENBERG, Lindos, cit., cc. 185-196, nn. 565-611, tavv. 22-23; v. anche E. KUKABN, Der griechische, cit., pp. 37, 79, n. 95; A.M. SNODGRASS, EGAW, pp. 32, 128, N3, 129, 07, 151, 239, nota 53; K. H. EDRICH, Der ionische Helm, Diss. Gottingen 1969, pp. 1 s., 66, 103, 118; H. PFLUG, Korinthische, cit., pp. 21 e cm-ta di distribuzione a fig. 10, 33, 51 e carta di distribuzione a fig. 9, 104 e carta di distribuzione a fig. 48. 15 CHR. BLINKENBERG, Lindos, cit., c. 391 s., nn. 1564-1565, tav. 63. 16 Per testimonianze letterarie ed archeologiche di armi dedicate a diverse divinità 6 mile, pur se incompleto, l'elenco di F. BROMMER, Griechische Weihegaben und Opfer (in Listen), s.l. 1985, passim e in ptc. P. 61; v. inoltre A.W. JOHNSTON, Supplement 1961-1987, in L.H. JEFFERY, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 19902, Pp. 434, 436, nn. 12 a-b, 440 s., B, 442, n. 14 a, C, 443, n. 7a, 445, nn. 3-3 a, 449 s., nn. 11 a, 20 a, 26 a, 37 a, 454 s., n. 6 a, C, E-F, 456, n. 30 a, 458, V, 460, 462, C, 479, A, 481. 17 Per dediche iscritte di armi ad Athena F. BROMMER, Griechische, cit., p. 18, nn. 1-13: alla bibl. dci nn. 1-5, 11, 12 va aggiunta M. L. LAZZARINI, La formule delle dediche votive nella Grecia arcaica, in MonAL s.VIII, XIX.2, 1976, pp. 241, n. 462 b (dall'acropoli di Atene: cinque punte di lancia), 236, n. 425 (dal santuario di Athena Chalkioikos a Sparta: corazza miniaturistica), P . 186, n. 46, tav. 1.2 (dall'acropoli di Atene: aspidion). Tale lista di Brommer va inoltre integrata almeno con M. L. LAZZARINI, La formule delle dediche, cit., pp. 193, n. 106 (frr. di cnemide dal santuario di Zeus Lykaios a Megalopoli), 198, n. 145 (elmo miniaturistico da Leucade), 391, n. 989 (ft. di elmo dall'acropoli di Atene). 18 A.M. SN000RASS, EGAW, P. 16, con bibl. prec.; H. HOFFMANN, Early Cretan, cit., pp. 16, 37, tav. 41.1, con altra bibl.; LIMC, II, Zurich-Munchen 1984, p. 965, n. 68, s.v. Athena; A. LEBESSI, To hiero ton Erme, cit., pp. 57, 1' 15, 71, 76, tav. 58. 19 Sulie armi come oggetti di preStigio e status symbols v. di recente S.-G. GROSCHEL, Waffenbesitz und Waffeneinsatz bei den Griechen, Frankfurt am Main 1989, pp. 75 ss. 20 M. MARTELLI, La stipe votive dell'Athenaion di Jalysos: un primo bilancio, cit., p. 109, fig. 6, con cft. a nota 59, al quali si aggiunge M. Bvsua, The Greek Geometric Warrior Figurine, Interpretation and Origin, Louvain-La-Neuve - Providence (Rhode Island) 1991, p. 234, n. 27, tav. XXI, fig. in alto.
ADDENDUM Nelle more della stampa sono apparsi aicuni lavori concernenti questioni o materiali di confronto per quelli trattati nd presente contributo. Un'interpretazione diversa da quella di Snodgrass in merito alie armi di Bassai (supra, nota 3) ha avanzato, riferendole a mercenari arcadi e valorizzando Apollo come divinità marziale, N. FIELDS, Apollo: God of War, Protector of Mercenaries, in K. A. SHEEDY, Archaeology in the Peloponnese. New Excavations and Research, Oxford 1994, Pp. 104 ss. Mentre di nessun momento e ii brevissimo riasSunto di V. RONCHI, Miniaturlvaffen-Votive von der Agais zur Magna Grecia.
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Kulturhistorische Uberlegungen, in Kult und Funktion griechischer Heiligtumer in archaischer und klassischer Zeit (1. Archaeologisches Studentenkolloquium, Heidelberg, 18-20. Februar 1995), Mainz 1996, p. 97, delle armi e deIl'armamento nelIa Grecia arcaica tratta l'informata monografia di E. JARvA, Archaiologia on Archaic Greek Body Armour, Rovaniemi 1995 (nonché la recensione di A. JOHNSTON, in Faravid (Acta Societas Historicae Finlandiae Septentrionalis) 18-19, 1994-5, pp. 281-287): a proposito delle corazze 'composite' (pp. 33 ss.), tipologia cui appartiene l'esemplare ialysio esaminato (supra, note 8-10), lo studioso finlandese propone, recependo una precedente indicazione di A. Johnston formulata sulla scorta di figurazioni vascolari tardo-geometriche, la retrodatazione dell'origine del tipo a tale epoca (pp. 35, 44), cosicché plausibile appare una datazione al VII sec. a.C. dell'ex voto di lalysos, che verrebbe quindi a configurarsi, al momento, come la pitt antica attestazione diretta, ancorché di modulo miniaturistico, di siffatta foggia di corazza. Per scudi greci in scala ridotta (supra, nota 2) v. anche PH. Baize, Offrandes de l'époque geometrique et archaIque a l'Héraion de Samos, in Hera. Images, espaces, cultes (Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de 1'Universit6 de Lille III et de l'Association P.R.A.C., Lille, 29-30 novembre 1993), Naples 1997, p. 116, figg. 16-17 (fittili), 18-19 (bronzei); R. SENNF-M. HEINZ, Arbeiten am Zeytintepe im Jahre 1994, in AA 1997, p. 116, fig. 3 (da Mileto, santuario di Aphrodite); K. BsuN, Katalog der Antikensammlung des Instituts für Klassische Archaologie der Univesität des Saarlandes, Mohnesee 1988, p. 79, on. 186 (quattro exx. "angeblich aus einem Grab bei Tanagra") - 187, tav. 29,9, con rifer. (tutti fittili); W. HELD, Das Heiligtum der Athena in Milet, Mainz 2000, p. 144, B 52-53, fig. 71, tav. 31. Per exx. bronzei di ambito etrusco (supra, nota 2) v. anche C: MORIGI Govi-S. Tovou, Due piccoli scudi di bronzo e ii problema dell'annamento nella società villanoviana bobgnese, inArchCb 45, 1993 (1995), pp. 1 ss., figg. 1-5 (Bologna, tombe 70 e 340 Benacci; Verucchio, tomba 89 Lippi). Per armi miniaturistiche in aree sacre della Lucania (Banzi - loc. Fontana dei Monaci; Rossano di Vaglio) v. Armi. Gli strumenti della guerra in Lucania (Catalogo Mostra Melfi 1993), Barb 1994, p. 168, nota 50, con rifer. Per gli elmi 'ionici' (supra, nota 14) v. inoltre H. B0F.N-S. HANSEN, Sammlung Axel Guttmann, III, Frühgriechische Bronzehelme, Mainz 1994, p. 21, figg. 10 (da Olimpia) - 11 (da Lindos); W. HELD, Vom urartaischen Raupenhelm zum ionischen Helm. Zur einer Wangenklappe aus dem Athenaheiligtum in Milet, in IstMitt 49, 1999, pp. 141-157 (in ptc. sugli cxx. lindii, pp. 146 s., figg. 5a, 6a, 149, fig. 9, 154 s., fig. 15); ID., Des Heibigtum, cit., pp. 137-139, B 44-45, fig. 67, tavv. 29, 40.
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MARIA GRAZIA MARZI
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CERAMOGRAFIA CORINZIA E CERAMOGRAFIA ATTICA: RELAZIONI E CONFLUENZE I motivi decorativi floreali usati dai ceramografi corinzi e attici dalla fine del VII secolo a.C. ai primi decenni del VI permettono di cogliere ii particolare rapporto tra Corinto e Atene in questo periodo. Lo studio di tale tematica floreale e sembrato adatto a rendere un cordiale omaggio al Prof. Ernesto Dc Miro che, operando in Sicilia, si è trovato coinvolto in simili problemi. I pittori corinzi come quelli attici usano disporre gli ornamenti floreali in motivi continui e in motivi isolati 1 . Gli elementi principali di tali ornamenti sono la palmetta e ii fibre di loto, oltre alla rosetta usata quasi sempre per riempitivo. Mentre la palmetta e comunemente rappresentata da un ventaglio di petali accostati piü o meno grandi, esistono diverse forme del fiore di loto. Nella ceramica corinzia ii tipo piü comune e ii fibre costituito da petali di palmetta e limitato lateralmente da due foglie pifi lunghe, sorgenti da un calice trapezoidale 2 Il fibre di loto attico e simile a questo, ma è caratterizzato non da due ma da tre lunghe foglie uscenti dal calice 3 . Poiché nel Protocorinzio è usato ii fiore di loto con una terza foglia centrale 4, si pUÔ ipotizzare che questa particolarita della ceramica protocorinzia sia stata imitata dai pittori del Protoattico Tardo 5 e quindi sia rimasta in Attica.
MOTIVI CONTINUI
Tra i motivi continui la catena floreale phi usata in entrambe le classi ceramiche è quella formata da fiori di loto e palmette contrapposti e alternati, tenuti insieme da tralci ondulati. A Corinto queSto motivo e attestato già nel Protocorinzio Tardo, come per esempio nell'olpe Chigi (Tav. I, 1)6 e continua con alcune varianti in tutte le fasi della produzione corinzia; lo troviamo infatti nel cratere di Eurythios 7 (fig. 5), in cui i fiori di loto hanno la forma compatta e ii calice corto e quasi trapezoidale; le palmette inoltre sono piccole e gli anelli di unione piuttoSto elaborati e richiamano quelli dell'olpe Chigi. Nel Medio e Tardo Corinzio i petali delle palmette sono esili e disegnati sommariamente, i fiori di loto diventano snelli e allungati (Tav. I, 2) 8• Se ci trasferiamo in Attica vediamo che ii Pittore di Nesso 9, le cui opere sono ancora ispirate alla grandiosita e allo stile monumentale del Protoattico, riprende tuttavia da Corinto questo particolare nastro floreale. In effetti l'alta fascia sopra la scena pittorica dell'anfora di Atene, Mus. Naz. inv. 1002 10 (fig. 2) è simile a quella dell'olpe Chigi, sia per ii disegno dei fiori di loto e delle palmette che per la disposizione dei tralci. Ii fiore di loto ha un calice molto basso, da cui sbocciano le due foglie esterne grandi e molto slanciate; esse sono unite da piccoli petali disegnati a graffito su una striscia di vernice. Con lo stesso sistema sono resi anche i petali delle palmette assai piccole, da cui nascono le volute che terminano in spirali; ma nell'anfora di Atene ii sistema dei viticci e phi complicato rispetto all'olpe Chigi ed è ornato inoltre con dei cerchietti che sono posti al centro dei motivi "a otto" formati dai tralci; nell'insieme risulta come una fila di tanti "occhi". Questo nastro diventa caratteristico del Pittore di Nesso e decora molti dei suoi vasi - come ii louterion di Berlino, inv. 1682 (fig. 1)11, la lekanis di Atene, Mus. Naz. inv. 16369 (fig. 3)12 e ii cratere frammentario dell'Acropoli di Atene, inv. 391 13 - e si trasmette ai pittori della sua scuola, cui si puà attribuire, grazie a queste osservazioni, un frammento di Heidelberg (fig. 4)14 che presenta soltanto una palmetta e due lacci circolari decorati nel centro con degli "occhi". La catena di fiori di loto e palmette viene ripresa quindi dalla generazione successiva dci pittori attici e si afferma definitivamente. Tuttavia non sara inutile notare che essa non deriva dal Pittore di Nesso, ma fa di nuovo capo a Corinto come se la produzione attica seguisse passo paso la rivale in 473
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Fig. 1. Pittore di Nesso, louterion, già Berlino, Staatl. Museen inv. 1682 (da Ducati).
cerca di affermazioni commerciali. La ceramica attica sta attraversando in questo momento una - --. - -. - fase di transizione prima della codificazione dei - suoi schemi e la sintassi decorativa risulta costi2 luita da un insieme di elementi diversi 1 ma e so prattutto nella ceramica corinzia che essa trova punti di contatto e si crea una evidente coente - - - - -:-- - - - corinzieggiante per riuscire ad imporsi nei merca- - ti del Mediterraneo. Sembra perfino che i ceramo grafi attici prendano a prestito per questo scopo non solo motivi corinzi, ma qualcosa anche dello --- - -: - ------- - stile corinzio, sebbene non si tratti di un'imitazioFig. 2. Atene, Mus. Naz. inv. 1002. Pittore di Nesso, ne pedissequa, perché gil artisti attici trasformaanfora (da Papaspyridi Karousou). no i inotivi imnortti in rnncln tale che niie.sti caratteristiche diverse da queue originarie 16• Ii Pittore della Gorgone infatti sull'anfora del Louvre, inv. E 8 17 17 (fig. 6) traslittera la sua catena floreale da quella in uso nel Corinzio Arcaico Se confrontiamo questo tipo con quello sul cratere di Eurythios, si osserva come la disposizione ItT?J1 dei viticci e uguale in entrambi, ma nel fregio attico e maggiore la distanza fra ii fiore di loto e la - palmetta opposta, per cui I lacci vengono a formare dei motivi a "otto": ne risulta una catena meno Fig. 3. Atene, Mus. Naz. inv. 16369. Pittore di Nesso, compatta di quella corinzia; i calici del loto attici lekanis (da Papaspyridi Karousou). sono pill lunghi di quelli corinzi; essi terminano -------
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con un motivo a ondulazioni profonde, orlato sopra e sotto da due linee orizzontali. ParticolarN. all mente caratteristiche del Pittore della Gorgone sono le due foglie esterne dei fiori di loto, sottili e slanciate, che formano quasi un arco sopra le palmette adiacenti. Sul piatto di Atene, Acr. inv. 47418 e sul cratere frammentario proveniente da Mounychia, Atene, Mus. Naz. s. inv. ' (fig. 7), che sono fra le opere pifl arcaiche del Pittore, la catena e disposta in senso verticale per incorniciare lateralmente la scena, mentre nell'olpe di Tubingen, inv. 5445.2820 è usata per decorare ii collo del vaso. L'impiego pifl fastoso del motivo è sul dinos del Louvre, inv. H 87421 (fig. 8) ove l'ornamento originarlo corinzio viene usato vane volte sul so- Fig. 4. Heidelberg, Universitat inv. 196. Scuola del stegno e ulteriormente trasformato e ampliato Pittore di Nesso, cratere fram. (da CVA). sulla circonferenza del vaso; il grande fregio fibreale sotto la scena figurata e infatti composto da doppi fiori di loto e doppie palmette alternati e tenuti insieme da una serie complicata di tralci; la IRC sua ricchezza non ha confronti nella ceramica corinzia e la sua importanza è confermata dal fatto che 11 nastro ha la stessa altezza e quindi lo stesso valore del fregio figurato. Considerando anche alcuni frammenti dell'A- Fig. 5. Parigi, Louvre inv. E 635. Cratere di Eurytcropoli di Atene, inv. 491 e inv. 50622, vediamo hios(da Payne, NC). che ii Pittore utilizza questa catena con particolare frequenza e predilezione, per cui anche i ceramografi della sua cerchia la usano spesso come ornamento sul collo e sulla spalla dei vasi 23 Ii Pittore KX, il pilli geniale e innovatore del Gruppo dei Comasti, dispone questa catena sul labbro della kylix di Samo, inv. 118424 (fig. 9), sostituendo con essa la decorazione a rosette oppure a reticolato consueta nelle kylikes del tipo del Comasti 25 . Egli si distingue anche dai pittori corinzi per questo particolare adattamento perché nelle coppe corinzie 11 nastro e utilizzato per incorniciare 11 tondo - come nel Gruppo del Gorgoneion 26 - anziché distendersi sul labbro. Al confronto di quelli corinzi inoltre I fiori di loto sono esili e allungati e le palmette assai piccole. All'inizio del secondo quarto del VI secolo a.C. la ceramica attica si libera dall'imitazione pressante della ceramica corinzia per un pifi ricco interesse narrativo, i cui temi vengono ripresi dal mito. I motivi floreali, che prima avevano quasi la stessa importanza del fregio figurato, vengono ora relegati ad un ruolo subordinato e di cornice rispetto alla scena principale. Infatti i pinakes di Sophilos della Collezione Vlasto di Atene 27 con la raffigurazione di compianto funebre hanno ii consueto fregio posto in alto, sopra la scena figurata; dai pinakes della prima produzione il motivo continua sul dinos che porta la firma del Pittore, Atene, Acr. inv. 587 (fig. 10), sul dinos di Londra, Brit. Mus. inv. 1971.11-1.1 (fig. 11)28 e chiude in alto la metopa dell'anfora di Jena, inv. 178 29, dove la disposizione dei viticci mostra un cambiamento rispetto a quella dei precedenti pittori attici, perché l'unione tra palmetta e palmetta e resa con un sistema di sovrapposizioni alternate e non semplici, come nei nastri del Corinzio Tardo Caratteristica del Pittore è la palmetta dal bulbo grande e i petali corti e disegnati con sottile graffito, che troviamo ugualmente nei ceramografi della sua scuola, per esempio nel dinos dell'Agora di Atene del Gruppo della Lekanis di Dresda 31, in cui l'ornamento è troncato bruscamente verso la metà del fregio, come abbiamo veduto in esemplari del Pittore della Gorgone 32e troveremo in seguito nel cratere di Kleitias °. Anche il dinos della Collezione Blatter (fig. 12) con la caccia al cinghiale calidonio, vicino all'ambiente di Sophilos, mo475
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Fig. 6. Parigi, Louvre i. E 187. Pittore della Gorgone, anfora (da Jarbuch).
Fig. 7. Atene, Mus. Naz. Pittore della Gorgone, crate- re fram., da Mounychia (da Ath.Mitt.)
Fig. 8. Parigi, Louvre i. E 874. Pittore della Gorgone, dinos (da Jarbuch).
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Fig. 9. Samo inv. 1184. Pittore KX, kylix (da Ath.Mitt.).
stra le stesse caratteristiche 34 per le palmette con ii bulbo grande ed i petali corti, per i fiori di loto di forma compatta e per ii sistema di sovrapposizioni alternate dei viticci. A poco a poco i pittori ateniesi modificano e perfezionano i loro modelli e dal secondo quarto circa del VI secolo a.C. ii carattere dello stile attico a figure nere è completamente libero. Anche se troviamo ancora alcuni motivi corinzi sul cratere di Kleitias, essi vengono ormai in secondo ordine incorporati nella tradizione attica del Pittore. Infatti gib, nella forma ii cratere di Ergotimos mostra di . avere lasciato alle spalle i prototipi ceramici corinzi, ebbene non sia da esciudere una derivazione in senso lato da possibili esemplari metallici, cui potremmo ascrivere forse ii cratere di Vix . L arte attica ormai ha dichiarato la sua indipen - denza e sta minacciando Corinto come attestano ricche esportazioni in tutto ii Mediterraneo, particolarmente per 1'Italia. Non a caso ii cratere di Ergotimos è stato rinvenuto a Chiusi. Ii nostro motivo è dipinto infatti anche sul -- -vaso François 36 (figg. 13-14) e proprio nel fregio della caccia al cinghiale calidonio come nei due Fig. 10. Mus. Naz. inv. Acr. 587. Sophilos, clinos, dinoi precedenti; disposto verticalmente, divide la Atene (da Ath.Mitt.). 477
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