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Italian Pages 196 [188] Year 2016
A M ATO R I U M DR A M A IL CAN TICO D EI CA N T I CI NEL C O M M ENT O D I ORI GE N E VI NCENZO LOMIENTO
q u a d er ni d ella «rivi s t a d i cu l t u r a cl a s s i c a e m e dio e v a le » 15.
PI SA · ROMA FA BRIZIO S E R R A E D I TO R E MMXVI
Q UA D E R NI D ELLA «R IV I S T A D I C UL T URA CLA SSI CA E M E D I O E V A LE» Collana diretta da Liana Lomiento 1 5.
A MATOR I U M DR A M A IL CA N TICO D E I CA N T I CI NEL C O M M ENT O D I ORI GE N E VINCENZO LOMIENTO
P ISA · ROMA FA BRIZIO S E R R A E D I TO R E MMXVI
Volume pubblicato con il contributo del FIRB 2008 ‘La trasmissione testuale dei Padri latini tra mondo classico e medievale’ (responsabile scientifico dell’UR Unifg: Caterina Celeste Berardi) e con il contributo dell’Università di Foggia (Quota servizi Vincenzo Lomiento). A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included oπprints, etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2016 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050542332, fax +39 050574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 0670493456, fax +39 0670476605, [email protected] * isbn 978-88-6227-837-9 e-isbn 978-88-6227-838-6
SOMMARIO Introduzione 13 parte prima AMATORIUM DRAMA ORIGENE INTERPRETE DEL CANTICO DEI CANTICI 23 1. Premessa 23 2. L’interpretazione prosopologica, la fabula, il drama 27 3. Le Omelie sul Cantico e il Commento al Cantico: un confronto 30 4. Dramma d’amore 31 L’AMORE NEL COMMENTO AL CANTICO DEI CANTICI 35 1. Premessa 35 2. L’amore sponsale 36 3. L’amore nell’interpretazione letterale 39 4. L’amore nell’interpretazione tipologica 43 5. L’amore nell’interpretazione psicologica 45 parte seconda DE AMORIS NATURA L’AMORE E LA CARITÀ 53 1. Premessa 53 2. L’amore (prol. 2, 1-3) 53 3. L’uomo esteriore e l’uomo interiore (prol. 2, 4-15) 57 4. L’amore carnale e l’amore spirituale (prol. 2, 16-19) 60 5. I nomi dell’amore nella Sacra Scrittura (prol. 2, 2063 24) 6. La carità (prol. 2, 25-32) 67 7. La carità e l’amore (prol. 2, 33-38) 73 8. L’amore e la carità nel Cantico dei Cantici (prol. 2, 79 44-48) I NOMI DELL’AMORE 83 1. Premessa 83 2. La distribuzione dei nomi: cupido, amor, caritas, dilectio 83 3. Il significato dei nomi: amor e caritas 85 4. Il rapporto fra i nomi: amor e caritas 86 5. I nomi e i modi dell’amore 88
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sommario parte terza AD MYSTICA SPIRITALI AMORE CONSCENDITUR
IL DESIDERIO DELL’AMORE 95 1. Premessa 95 2. Osculetur me ab osculis oris sui (Ct 1, 2) 95 3. L’interpretazione letterale 95 4. L’interpretazione tipologica 96 5. L’interpretazione psicologica 98 6. I baci e la visita del Verbo 99 7. Il desiderio e la preghiera 100 IL SENTIMENTO DELL’AMORE 103 1. Premessa 103 2. Unguentum exinanitum nomen tuum (Ct 1, 3) 103 3. Il significato profetico 104 4. L’interpretazione tipologica 106 5. L’interpretazione psicologica 106 6. Un’altra interpretazione spirituale 108 7. I sensi interiori 109 IMPAZIENTE D’AMORE 113 1. Premessa 113 2. Ubi cubile habes in meridie? (Ct 1, 7) 113 3. L’interpretazione letterale 113 4. L’interpretazione spirituale 114 5. La visione meridiana 118 IL LEGAME D’AMORE 121 1. Premessa 121 2. Lo scambio d’amore 121 2. 1. Nardus mea dedit odorem suum (Ct 1, 12) 121 2. 2. L’interpretazione letterale 121 2. 3. L’interpretazione spirituale 122 2. 4. I sensi interiori 123 3. L’abbraccio d’amore 124 3. 1. Alligamentum guttae fraternus meus mihi (Ct 1, 13) 124 3. 2. L’interpretazione letterale 125 3. 3. L’interpretazione spirituale 125 4. I progressi dell’amore 127 4. 1. Botrus cypri fraternus meus mihi in vineis Engaddi (Ct 1, 14) 127 4. 2. L’interpretazione letterale 127 4. 3. L’interpretazione spirituale 128 4. 4. I sensi interiori 130
sommario
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L’ORDINE DELLA CARITÀ 131 1. Premessa 131 2. Ordinate in me caritatem (Ct 2, 4) 131 3. La struttura del testo 132 4. Tutti gli uomini amano qualcosa 133 5. Dio e il prossimo 134 6. Membra di un unico corpo 135 7. L’uomo che insegna la via della salvezza 136 8. L’uomo di santa vita 137 9. Il nemico 137 10. La carità: un’unica forza, molti ordini 138 11. Legami secondo la carne, legami secondo lo spirito 138 12. La misura della carità 140 13. Dio e i gradi dell’amore 141 14. La casa del vino, l’ordine della carità, la ferita della carità 143 15. Il confronto con le Omelie sul Cantico dei Cantici 144 LA FERITA DELLA CARITÀ 147 1. Premessa 147 2. Vulnerata caritatis ego sum (Ct 2, 5) 147 3. La ferita d’amore o ferita della carità 148 4. L’interpretazione letterale 151 5. L’interpretazione spirituale 151 SPASIMANTE D’AMORE 157 1. Premessa 157 2. Hic stetit post parietem nostrum (Ct 2, 9-10) 157 3. L’interpretazione letterale 158 4. Il confronto con le Omelie sul Cantico dei Cantici 160 5. L’interpretazione spirituale 161 6. La visita del Verbo presso la casa 162 7. La casa della Chiesa e la casa dell’anima 163 CONCLUSIONI 1. La mistica e il dramma d’amore 2. Dall’amore alla carità 3. Unione, comunione, immedesimazione 4. Il sentimento dell’amore
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Bibliografia
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Indici
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La vita dell’anima è un dramma, un dramma d’amore. L’amore è il desiderio e l’attesa. L’amore è l’intimità dei baci e degli abbracci. L’amore è il convito, il banchetto della gioia. L’amore è il sentimento del re che vuole accanto a sé la regina, sua sposa. L’amore è Dio che introduce l’anima nei suoi misteri. L’amore è un sentimento troppo forte e l’anima quasi viene meno, ma non può fare a meno di amare.
INTRODUZIONE
A
«
matorium drama»: 1 è di√cile immaginare un modo piú suggestivo per definire il Cantico dei Cantici. Oltre ad essere fortemente evocativa, questa espressione è piena di significato, perché individua i tratti essenziali del Cantico, riunendo due nozioni enunciate nel prologo del commento di Origene: 2 «questo epitalamio, cioè carme nuziale, mi sembra che sia stato scritto da Salomone a mo’ di dramma», 3 e l’amore «è la causa principale per la quale il libro è stato scritto». 4 La iunctura individua la connessione esistente tra drama e amor: nel dramma, messo in scena con mutamento di personaggi, è delineato l’amore tra la sposa e lo sposo. La prima sezione del volume, intitolata ‘Amatorium drama’, evidenzia gli aspetti originali dell’esegesi origeniana. In un frammento del commento composto in età giovanile è già delineata l’importanza dell’interpretazione prosopologica. L’individuazione dei personaggi ha una notevole rilevanza anche nelle opere risalenti al periodo della maturità. In particolare, le omelie rivolgono una particolare attenzione alla fabula, cioè all’interazione dei personaggi che intessono la conversazione. Invece il commento evidenzia soprattutto il drama, il modo in cui la fabula è agíta dai personaggi sulla scena. Secondo il grammatico Diomede, che si colloca nel solco della tradizione, il termine dramaticon indica il genere poetico nel quale i personaggi agiscono da soli, senza interlocuzione del poeta; in questo genere, altrimenti definito activum o mimeticon, è in primo piano l’azione dei personaggi. Il poeta si nasconde dietro a ciascuno dei personaggi, ai quali di volta in volta si conforma nella voce o nella figura; questa imitazione del comportamento
Ringrazio per la revisione il professore Manlio Simonetti, che ha approvato la pubblicazione del volume e mi ha dato preziosi suggerimenti. Sono grato anche al professore Marcello Marin e a Caterina Celeste Berardi, che hanno disposto la pubblicazione del volume con i fondi destinati alla ricerca. 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 2, 6; 3, 8, 15; 3, 9, 1. Per il Commento al Cantico dei Cantici riproduco il testo dell’edizione Origène. Commentaire sur le Cantique des Cantiques, i-ii, texte de la version latine de Rufin, introduction, traduction, notes et index par Luc Brésard et Henri Crouzel, avec la collaboration de Marcel Borret («Sources Chrétiennes», 375-376), Paris, Les Éditions du Cerf, 1991-1992; l’edizione delle Sources Chrétiennes ripropone con alcune varianti il testo pubblicato da Wilhelm Adolf Baehrens nella collana Die Griechischen Christlichen Schriftsteller (Origenes Werke viii, Leipzig, Hinrichs, 1925). Per la traduzione italiana ho fatto ricorso all’edizione Origene. Commento al Cantico dei Cantici, traduzione introduzione e note a cura di Manlio Simonetti, Roma, Città Nuova, 1976 («Collana di testi patristici», 1); per dare risalto alla proprietà nell’uso dei nomi dell’amore, sono intervenuto sulla traduzione proponendo alcuni adattamenti che sono segnalati nelle note. Per le Omelie sul Cantico dei Cantici riproduco il testo dell’edizione Origène. Homélies sur le Cantique des Cantiques, introduction, traduction et notes de Olivier Rousseau, Paris, Les Éditions du Cerf, 19662 («Sources Chrétiennes», 37bis); l’edizione di SC riproduce il testo pubblicato da Baehrens in GCS (OW viii). Per la traduzione italiana ho fatto riferimento all’edizione Origene. Omelie sul Cantico dei Cantici, traduzione introduzione e note a cura di Maria Ignazia Danieli, Roma, Città Nuova, 1990 («Collana di testi patristici», 83). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 1 (trad. cit., p. 33). 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 8 (trad. cit., p. 36). 2
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introduzione
e delle parole esprime l’h\qo~, cioè gli aπectus miti e composti, e il pavqo~, cioè gli aπectus eccitati del personaggio rappresentato. Al centro del dramma sono la sposa e lo sposo. Non c’è un protagonista e un deuteragonista: la sposa è piú presente sulla scena, ma ogni gesto e ogni parola riguarda il suo rapporto con lo sposo; non solo la presenza, ma anche l’assenza dello sposo dalla scena ha un’importanza fondamentale nello svolgimento dell’azione. Gli sposi sono dunque i protagonisti di questo «sponsale drama». Piú precisamente, al centro di questo «amatorium drama» è l’amore tra lo sposo e la sposa. L’amore è delineato con tratti specifici nell’interpretazione letterale, tipologica e psicologica. Nell’interpretazione letterale, che conferisce evidenza al dramma, l’amore è messo in scena attraverso le parole, i gesti e i movimenti dei personaggi; nella trama del dramma si riconosce un cambiamento e uno sviluppo dell’amore. Nell’interpretazione tipologica è descritto l’amore fra Cristo e la Chiesa, con riferimento all’economia della salvezza: il primo momento è l’annuncio della venuta di Cristo; il secondo momento è la venuta di Cristo e la sua unione con la Chiesa. Nell’interpretazione psicologica è rappresentato l’amore fra l’anima perfetta e il Verbo di Dio: questa prospettiva illustra nel modo piú coerente e puntuale lo sviluppo della storia d’amore. La seconda sezione del volume tratta l’argomento ‘De amoris natura’. Per l’amore descritto nel Cantico dei Cantici, Origene vuole evitare un’interpretazione viziosa e carnale e proporre invece un’interpretazione corretta e spirituale. Per questo motivo, nel prologo l’Alessandrino ‘plasma’ il contenuto dei nomi dell’amore. In una prima parte (prol. 2, 1-19) si trova solo la parola amor, il cui significato è definito attraverso richiami alla tradizione classica e biblica. L’amore è la forza che eleva l’anima dalla terra agli eccelsi fastigi del cielo, ma per amore è possibile precipitare nelle cadute della carne e nei precipizi dell’impudicizia. La natura dell’amore deve essere intesa in senso spirituale, secondo l’insegnamento platonico, e non in senso carnale, secondo la dottrina di altri filosofi. L’ambivalenza dell’amore si spiega in rapporto alla costituzione dell’uomo, delineata secondo la concezione biblica che evidenzia l’analogia e le diπerenze esistenti fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore: c’è un amore carnale, secondo il quale chi ama semina nella carne, e c’è un amore spirituale, secondo il quale chi ama semina nello spirito. Chi porta ancora l’immagine del terrestre secondo l’uomo esteriore, costui è spinto dal desiderio e dall’amore terreno; chi invece porta l’immagine del celeste secondo l’uomo interiore, costui è spinto dal desiderio e dall’amore celeste. In sintesi, la parola amor esprime il dinamismo interno all’uomo, fatto di carne e spirito e collocato fra la terra e il cielo. In una seconda parte (prol. 2, 25-32) si trovano soprattutto i termini caritas e dilectio; il significato di caritas è definito attraverso il richiamo alla Prima Lettera di Giovanni. In primo luogo, la carità individua il rapporto fra il Padre e il Figlio. Dio è carità (1 Jo 4, 8: «Deus caritas est»), e colui che è da Dio (il Figlio) è carità (1 Jo 4, 7: «caritas ex Deo est», interpretato nel senso che «eum qui ex Deo est caritatem esse»).
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E se Dio Padre è carità e il Figlio è carità, e carità e carità sono una cosa sola e in nulla diπeriscono, ne consegue che il Padre e il Figlio sono una cosa sola (Jo 10, 30) e in nulla diπeriscono. 1
In secondo luogo, la carità indica la relazione esistente fra Dio e l’uomo: E poiché Dio è carità e il Figlio, che è da Dio, è carità, egli ricerca in noi qualcosa di simile a sé, a√nché per mezzo di questa carità, che è in Cristo Gesú, noi ci uniamo a Dio, che è carità, quasi in parentela e a√nità derivata da questa carità. 2
Piú precisamente, la carità indica l’inabitazione di Dio nell’uomo: Dio, cioè il Padre e il Figlio, vengono a colui che è perfetto nella carità, secondo la parola del Signore e Salvatore che dice: Io e il Padre verremo da lui e prenderemo dimora presso di lui (Jo 4, 23). 3
In una terza parte (prol. 2, 33-38) è individuato il rapporto esistente fra amor e caritas. Attraverso l’accostamento a caritas, parola che ha un significato univoco ed elevato, il termine amor, che ha un ampio significato comprendente l’ambito carnale e spirituale, è ‘posizionato’ semanticamente. Innanzitutto si precisa che amor ‘può’ assumere il significato elevato che ha caritas: Quindi tutto ciò ch’è stato scritto della carità prendilo come scritto dell’amore, non curandoti aπatto dei nomi: infatti nell’una e nell’altra parola si manifesta la stessa capacità di significazione (virtus). 4
Poi si chiarisce che amor ‘deve’ essere inteso nel significato primario (amore di Dio) o nel significato che deriva da esso (amore del prossimo), e ‘non deve’ invece essere adoperato in modo abusivo (amore di ciò che è corruttibile). Il termine amor è cosí associato propriamente alla fascia alta del suo significato; questa fascia elevata corrisponde al significato teologico, che è proprio di caritas. Si pone dunque la questione dell’uso del termine amor, accanto a caritas, per la denominazione di Dio. A questo proposito ha notevole importanza la citazione ricavata dalla Lettera ai Romani di Ignazio di Antiochia: «Il mio amore è stato crocifisso». 5 Con questa testimonianza è legittimato l’uso del termine amor per denominare Dio, ma soprattutto è precisato il senso in cui questo uso è legittimo. Nell’interpretazione di Origene si riconosce il passaggio dal piano soggettivo dell’amante («il mio amore» = il mio sentimento di amore) al piano oggettivo dell’amato («il mio amore» = colui che io amo). La stessa trasposizione si trova nel testo che introduce la citazione:
1 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 26 (trad. cit., p. 45). Nella traduzione Simonetti rende sia amor che caritas con «amore» (fanno eccezione alcuni passi nei quali il testo latino distingue amor e caritas: si veda p. 64, nota 1); in questo modo però risulta impossibile distinguere se la parola «amore» della traduzione corrisponda nel testo latino ad amor o a caritas. In questo studio sul lessico dell’amore ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso amor con «amore» e caritas con «carità». 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 29 (trad. cit., p. 46). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 27 (trad. cit., p. 45). 4 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 33 (trad. cit., p. 47). Ignat., ad Rom., 7, 2.
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«Perciò non fa diπerenza che si dica che nei confronti di Dio c’è amore o carità». 1 Se il sentimento dell’uomo per Dio è denominato amore o carità, questo significa che Dio è sentito dall’uomo come amore o carità, e pertanto può essere denominato con questi termini: «non credo che si debba incolpare uno, se denomina amore Dio cosí come Giovanni lo ha denominato carità». Pertanto, il termine amor può essere usato per denominare Dio, e piú precisamente per esprimere il modo in cui ‘è sentito’ dall’uomo; invece, il termine caritas è usato per denominare Dio nella sua essenza, con riferimento al rapporto tra il Padre e il Figlio. Per chiarire la relazione esistente fra amore e carità, è necessario esaminare il rapporto fra e[rw~ e ajgavph. Tra le due parole non vi è contrapposizione, quasi che e[rw~ indichi l’amore della tradizione filosofica greca e ajgavph invece la carità della tradizione cristiana. In realtà, nei testi della filosofia greca – in particolare in Platone e Aristotele – è possibile individuare i punti di contatto fra e[rw~ (amore di bellezza), filiva (amore di amicizia), ajgavph (amore di accoglienza e gratitudine): l’uomo attratto dalla bellezza (e[rw~) esce da se stesso, cerca di stabilire una comunanza di intenti (filiva), arriva ad immedesimarsi e identificarsi con l’altro (ajgavph). L’amore è dunque la forza che spinge l’uomo a trascendersi, fino ad identificarsi con l’altro. C’è un unico amore, che assume forme diπerenti e diversi nomi. È necessario distinguere i nomi, per poter comprendere a quale forma dell’amore si fa riferimento nello specifico contesto. La terza sezione del volume è intitolata ‘Ad mystica spiritali amore conscendi tur’, 2 e descrive i progressi dell’amore fino alla carità perfetta. L’interpretazione origeniana ha lo scopo di chiarire i due aspetti fondamentali di questo carme nuziale composto a mo’ di dramma. Il primo aspetto è il dramma, l’azione scenica: il modo in cui i personaggi intrecciano la conversazione e i movimenti degli attori sulla scena. In particolare, l’interpretazione drammatica individua i movimenti con i quali l’anima cerca il Verbo, e il Verbo ora si avvicina all’anima, ora si allontana da essa. L’interpretazione drammatica evidenzia l’amore ‘in azione’: si tratta soprattutto dell’azione con la quale il Verbo si rende presente. È possibile distinguere tre visite del Verbo: la prima visita – il saluto dei baci, cioè l’illuminazione concettuale – corrisponde all’arrivo del Verbo nell’anima; la seconda visita – la visione meridiana, cioè la pienezza della luce che rischiara la luce della mente e la purezza del cuore – indica la presenza del Verbo nell’anima; la terza visita – l’esortazione a uscire dalla casa, cioè dal corpo – preannuncia la presenza dell’anima in Dio. Il secondo aspetto è la poesia. Sono soprattutto le ‘immagini’ che conferiscono valore poetico al testo, introducendo l’immediatezza delle sensazioni. In primo piano sono dunque i sensi, s’intende i sensi interiori. Le immagini
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Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 36. Rufin., Orig. in cant., prol. 3, 16 (ed. cit., p. 138): Praemissis namque his quibus purificatur anima per actus et mores, et in rerum discretionem naturalium perducitur, competenter ad dogmatica venitur et ad mystica atque ad divinitatis contemplationem sincero et spiritali amore conscenditur. 2
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poetiche evidenziano il ‘sentimento’ dell’amore. Il profumo descrive la soavità della presenza del Verbo nell’anima. Nella sequenza delle immagini è possibile individuare una gradazione di intensità crescente. L’arrivo del Verbo nell’anima è descritto dal profumo che si eπonde (Ct 1, 3: «Profumo diπuso è il tuo nome»), e in questo modo si lascia assorbire e compenetra l’anima, che avverte dentro di sé la sua dolcezza. Il sentimento sempre piú intenso del profumo esprime la presenza del Verbo nell’anima e descrive i momenti fondamentali nei quali si stabilisce il legame tra l’anima e il Verbo: lo scambio d’amore (Ct 1, 12: «Il mio nardo ha diπuso il suo odore»), il legame d’amore (Ct 1, 13: «Sacchetto di profumo ben legato»), lo sviluppo dell’amore (Ct 1, 14: «Un grappolo di cipro... nelle vigne di Engaddi»). Il sentimento descritto attraverso le immagini del profumo è epidermico e superficiale a confronto con il sentimento della ferita della carità (Ct 2, 5: «io sono ferita dalla carità»). L’immagine della ferita esprime una sensazione viscerale, che riguarda la parte piú interna dell’anima: il cuore. La ferita è il sentimento dell’anima squarciata e lacerata dalla freccia, il Verbo di Dio, che è penetrata nella sua parte piú interna e vi è rimasta confitta. L’unione mistica coinvolge tutte le potenze dell’uomo interiore: non è soltanto comprensione intellettuale, astratta nella sua semplicità, ma ha la ricchezza varietà vivacità della conoscenza sensibile. In primo piano sono i sensi interiori, cioè la capacità dell’anima di ‘sentire’ dentro di sé i segni della presenza del Verbo. Il ‘sentire’ esprime l’atteggiamento dell’anima, che si pone in una condizione di ‘passività attenta’ per percepire l’‘azione’ del Verbo. L’anima, per se stessa, non ha la ‘capacità’ di ‘accogliere’ il Verbo, se lo stesso Verbo non opera sulle facoltà dell’anima; nell’incontro con il Verbo, le facoltà dell’anima sono ‘potenziate’. Inizialmente, il Verbo può visitare l’anima, ma non rimanere stabilmente in essa; in seguito, le visite del Verbo diventano sempre piú frequenti. Infine, il Verbo viene ad abitare presso l’anima. Nella fase delle visite nell’anima c’è il desiderio insieme all’amore. Nel momento in cui l’anima accoglie la presenza del Verbo, all’amore subentra la carità. Questa carità poi progredisce fino alla perfezione: la carità perfetta è una carità ordinata, piú precisamente è Dio-carità che attrae a sé gli aπetti, e in questo modo li ordina. Per ciascuna fase del rapporto d’amore, il commento descrive gli atteggiamenti dell’amato e dell’amata, e in questo modo individua la relazione che si stabilisce tra l’uno e l’altra. 1. Il ‘desiderio dell’amore’ è il sentimento dell’anima che attende l’arrivo del Verbo di Dio: l’anima, che ha ricevuto la dote e i doni nuziali, è in atteggiamento orante e rivolge una preghiera per poter finalmente ricevere i baci del Verbo (Ct 1, 2: «Mi baci con i baci della sua bocca»); il Verbo dà un bacio all’anima ogni volta che chiarisce un concetto oscuro. 2. Il ‘sentimento dell’amore’ è la percezione della soave presenza del Verbo di Dio nell’anima: l’immagine del profumo svanito e diπuso (Ct 1, 3: «Profumo diπuso è il tuo nome») descrive il Verbo che si è annientato per poter essere tratto a sé e assunto nell’anima, che sente la sua presenza attraverso i sensi interiori; in evidenza è il senso dell’olfatto,
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che percepisce la presenza inebriante del Verbo. 3. ‘Impaziente d’amore’ è l’anima che ama il Verbo con tutta se stessa (Ct 1, 7: «tu che ha amato l’anima mia») e desidera stare accanto a lui e vederlo nell’ora piú luminosa del giorno («dove riposi a mezzogiorno?»): la visione meridiana avviene nel momento in cui Cristo, il sole di giustizia, rischiara la luce della mente e la purezza del cuore; l’anima percepisce la presenza del Verbo attraverso i sensi interiori, e in particolare la vista, fondamentale per la distinzione del bene e del male. 4. Il ‘legame d’amore’ è il sentimento che lega l’anima e il Verbo di Dio: le immagini del profumo, disposte in sequenza di intensità crescente, descrivono i momenti del rapporto d’amore: nello ‘scambio d’amore’, l’anima ‘dona’ qualcosa di suo al Verbo, e ‘riceve’ in cambio la stessa cosa, che però ora reca in sé qualcosa del Verbo (Ct 1, 12: «Il mio nardo ha diπuso il suo odore»); in questo modo, si stabilisce un ‘legame d’amore’ tra l’anima e il Verbo (Ct 1, 13: «Sacchetto di profumo ben legato»); da questo momento inizia lo ‘sviluppo dell’amore’, che è prima fiore e poi diventa frutto maturo (Ct 1, 14: «Un grappolo di cipro... nelle vigne di Engaddi»). 5. Nella fase seguente avviene il passaggio dall’amore alla carità: il rapporto tra l’anima e il Verbo si amplia diventando inclusivo: l’anima, che è unita al Verbo, è legata anche alle altre anime che sono unite al Verbo. La carità diventa ordine (2, 4: «Ordinate in me la carità»): il Verbo, presente nell’anima, ordina a sé tutti gli aπetti. 6. La ‘ferita della carità’ è il sentimento della lacerazione aperta nelle viscere dell’anima dalla freccia, il Verbo di Dio: il Verbo, che è carità, come una freccia penetra nella parte piú interna dell’anima e vi rimane confitto; l’anima sente di essere stata ferita, lacerata. La ferita della carità è il sentimento dell’anima squarciata per far penetrare nelle viscere il Verbo. 7. ‘Spasimante d’amore’ è l’anima che cerca il Verbo fuori della casa: l’anima sta nella casa della Chiesa, dentro le fortificazioni della fede e l’edificio della sapienza, ed è coperta dagli alti fastigi della carità; il Verbo esorta l’anima ad uscire dalla casa del corpo e ad andare a lui. È il preannuncio del passaggio da ‘Dio nell’anima’ a ‘l’anima in Dio’. Da questa breve sintesi emergono gli innumerevoli significati associati ai termini amor e caritas. Alcuni di questi significati sono stati oggetto di studi specifici o di indagini sull’amore, nelle quali è stato evidenziato il fondamentale contributo oπerto da Origene. 1 Mancava tuttavia una ricerca
1 In particolare, segnalo i seguenti studi: Hélène Pétré, ‘Ordinata caritas’. Un enseignement d’Origène sur la charité, «Recherches de Science Religieuse», xlii, 1954, pp. 40-57; Divo Barsotti, Amore di Dio e redenzione umana nel pensiero di Origene, «Rivista di Ascetica e Mistica», ii, 1957, pp. 97-107; Henri Crouzel, Origines patristiques d’un thème mystique: le trait et la blessure d’amour chez Origène, in Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten, i, edited by Patrick Granfield, Josef Andreas Jungmann, Münster, Aschendorπ, 1970, pp. 309-319; William John Peter Boyd, Origen’s Concept of the Love of God, in Studia Patristica xiv: Papers presented to the Sixth International Conference on Patristic Studies held in Oxford 1971, iii: Tertullian, Origenism, Gnostica, Cappadocian Fathers, Augustiniana, edited by Elizabeth Anne Livingstone, Berlin, Akademie-Verlag, 1976 («Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur», 117), pp. 110-116; Aldo Ceresa-Gastaldo, La dimensione dell’amore nell’interpretazione origeniana del ‘Cantico dei Cantici’, in ‘Paradoxos politeia’. Studi patristici in onore di Giuseppe Lazzati, a cura di Raniero Cantalamessa, Luigi Franco Pizzolato, Milano, Vita e Pensiero, 1979 («Studia
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sistematica sui nomi dell’amore nel Commento al Cantico dei Cantici. Questo saggio ha cercato di comprendere, per quanto è possibile, la ricchezza dei contenuti e il fascino delle suggestioni associate a queste parole vive, che esprimono il dinamismo dell’amore che progredisce fino alla carità perfetta. Patristica Mediolanensia», 10), pp. 187-194; Alberto Siclari, L’unità dell’amore nel ‘Commento al Cantico dei Cantici’ di Origene, in Sapienza antica. Studi in onore di Domenico Pesce, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 269-296; Henryk Pietras, L’amore in Origene, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1988 («Studia Ephemeridis Augustinianum», 28); Catherine Osborne, Neoplatonism and the Love of God in Origen, in Origeniana Quinta: Historica, Text and Method, Biblica, Philosophica, Theologica, Origenism and Later Developments. Papers of the Fifth International Origen Congress, Boston College 14-18 august 1989, edited by Robert J. Daly, Louvain, University Press-Peeters, 1992 («Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium», 105), pp. 270-283; John M. Rist, Eros e Psyche. Studi sulla filosofia di Platone, Plotino e Origene, prefazione di Werner Beierwaltes, traduzione dall’inglese di Enrico Peroli, Milano, Vita e Pensiero, 1995; Francesca Cocchini, Eros in Origene. Note su una dottrina dell’ardore, in L’Eros di√cile. Amore e sessualità nell’antico cristianesimo, a cura di Salvatore Pricoco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998 («Armarium», 9), pp. 21-38; Richard A. Layton, ‘Propatheia’: Origen and Didymus on the Origin of the Passions, «Vigiliae Christianae. A Review of Early Christian Life and Language», liv, 3, 2000, pp. 262-282; Patricia Andrea Ciner, Plotino y Orígenes. El amor y la unión mística, Mendoza, Ediciones del Instituto de Filosofía de la Facultad de Filosofía y Letras, 2001; Francesca Cocchini, 1Cor. 13: l’inno alla carità nella interpretazione di Origene, in TERYIS. In ricordo di Maria Laetitia Coletti, a cura di Maria Silvana Celentano, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2002, pp. 283-294 (rist. in Eadem, Origene. Teologo esegeta per una identità cristiana, Bologna, edb, 2006 [«Primi secoli», 1], pp. 277-287); Francesco Franco, La passione dell’amore: l’ermeneutica cristiana di Balthasar e Origene, Bologna, edb, 2005 («Nuovi saggi teologici», 64); Samuel Fernandez Eyzaguirre, ‘Passio caritatis’ according to Origen ‘In Ezechielem Homiliae’ VI in the Light of DT 1, 31, «Vigiliae Christianae. A Review of Early Christian Life and Language», lx, 2, 2006, pp. 135-147.
parte prima AMATORIUM DRAMA
ORIGENE INTERPRETE DEL CANTICO DEI CANTICI 1. Premessa
I
l Cantico dei Cantici è uno dei libri scritturistici che piú impegnarono Origene. Di un commento giovanile è pervenuto un unico frammento trasmesso dalla Filocalia, che lo introduce con queste parole: «Dal piccolo tomo sul Cantico, che scrisse in giovinezza». 1 Di esso si ha notizia anche dal catalogo delle opere di Origene contenuto nella Lettera 33 di Girolamo, che menziona il commento sul Cantico in dieci libri e «altri due tomi che scrisse su questo argomento nell’adolescenza». 2 In entrambi i testi è usato il termine tovmo~/tomus; nonostante questo, Olivier Rousseau fa riferimento all’opera con la parola ‘scolies’. 3 La datazione di questo commento giovanile non può essere determinata con precisione. Pierre Nautin pensa che esso sia stato composto prima del regno di Alessandro Severo (222-235), 4 se non già prima del 215, cioè quando Origene aveva circa trent’anni. Questa indicazione è conforme alla tradizione rabbinica, secondo la quale la lettura del Cantico dei Cantici era riservata a coloro che avevano raggiunto l’età matura 5 ovvero l’età del sacerdozio, corrispondente ai trent’anni. 6 Secondo
1 Orig., Phil., 7, 1 (ed. Marguerite Harl, Paris, Les Éditions du Cerf, 1983 [«SC», 302], p. 326): ∆Ek tou` eij~ to; «Aisma mikrou` tovmou, o}n ejn th`Ê neovthti e[grayen. 2 Hier., epist., 33, 4 (ed. Isidorus Hilberg, Vindobonae: Tempsky-Lipsiae: Freytag, 1910 [«CSEL», 54], p. 256): […] et alios tomos ii, quos super scripsit in adulescentia […]. 3 Origène. Homélies sur le Cantique des Cantiques, cit., p. 8: «Ses scolies sur le Cantique, réputées œuvre de jeunesse, ont péri; seul un court fragment nous en a été conservé dans la Philocalie de saint Basile et de saint Grégoire de Nazianze». Si veda la critica di Éric Junod, Que savons-nous des ‘scholies’ (Scovlia-Shmeiwvsei~) d’Origène?, in Origeniana Sexta. Origène et la Bible. Actes du Colloquium Origenianum Sextum, Chantilly 30 août-3 septembre 1993, édités par Gilles Dorival, Alain Le Boulluec et alii, Leuven, University Press-Peeters, 1995 («Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium», 118), pp. 133-149 (139). 4 Pierre Nautin, Origène. Sa vie et son œuvre, Paris, Beauchesne, 1977 («Christianisme antique», 1), p. 58: «Nous verrons plus loin qu’ils ont été précédés par deux commentaires: celui qu’Origène avait donné du Cantique des Cantiques in adulescentia et celui des psaumes 1 à 25; le premier est probablement antérieur au règne d’Alexandre et le second pourrait l’être aussi». Ivi, p. 264: «Il avait composé ‘dans son adolescence’ (période qui dans le langage de l’époque peut s’étendre jusqu’à trente ans) les deux tomes sur le Cantique mentionnés au n° 32 de la liste. Mais peut-être ne les avait-il pas répandus au-delà du cercle de ses amis. De toute façon il les considérait comme un ouvrage de jeunesse dont le séparaient plusieurs années d’expérience, de réflexion et de travail». 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 7 (ed. cit., pp. 84-86): Aiunt enim observari etiam apud Hebraeos quod, nisi quis ad aetatem perfectam maturamque pervenerit, libellum hunc nec in manibus quidem tenere permittatur. Sed et illud ab iis accepimus custodiri, quoniamquidem moris est apud eos omnes scripturas a doctoribus et sapientibus tradi pueris, simul et eas quas deuterwvsei~ appellant, ad ultimum quattuor ista reservari, id est principium Genesis, in quo mundi creatura describitur, et Ezechiel prophetae principia, in quibus de Cherubin refertur, et finem, in quo templi aedificatio continetur, et hunc Cantici Canticorum librum. 6 Hier., in Ezech., prol. (ed. François Glorie, Turnholti, Brepols, 1964 [«CCSL», 75], pp. 3-4): Nam nisi quis apud eos aetatem sacerdotalis ministerii, id est tricesimum annum impleuerit, nec
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Nautin questo commento fu il primo saggio di esegesi biblica di Origene: dopo aver rinunciato agli aπetti del mondo, egli sceglieva nella Bibbia il cantico dell’amore divino. 1 Negli anni della maturità Origene tornò sull’interpretazione del Cantico dei Cantici, con un commento in dieci libri e due omelie. Nella Storia ec clesiastica di Eusebio sono descritte le circostanze della composizione del commento:
Recatosi in quel tempo ad Atene, vi portò a termine i libri su Ezechiele e cominciò quelli sul Cantico dei Cantici, giungendo fino al quinto libro. In seguito, ritornato a Cesarea, li portò a termine, vale a dire fino al decimo libro. 2
Girolamo ha menzionato piú volte questo commento: nel catalogo delle opere di Origene contenuto nella Lettera 33 («dieci libri sul Cantico dei Can tici»); 3 nella Lettera 37, a proposito del commento composto da Reticio di Autun («non aveva i dieci volumi di Origene»). 4 Particolarmente significativa è la descrizione proposta da Girolamo nella prefazione alla traduzione delle Omelie sul Cantico:
Origene, che negli altri libri ha superato tutti, nel Cantico dei cantici ha superato se stesso: giacché in dieci libri compiuti, che raggiungono circa le ventimila righe, lo ha spiegato in primo luogo secondo la versione dei Settanta, poi secondo quella di Aquila, di Simmaco, di Teodozione, e infine secondo una quinta redazione, trovata – come egli scrive – sul lido di Azio. La sua spiegazione è di tale magnificenza e chiarezza, che a me sembra si sia realizzata per lui la parola: Il re mi ha introdotto nel suo appartamento (Ct 1, 4). 5
Per la datazione dell’opera sono fondamentali le indicazioni di Eusebio, che colloca il viaggio di Origene ad Atene durante il regno di Gordiano III (238-244); piú precisamente, il viaggio è datato al 240 da Gustave Bardy, 6 seguito da Henri Crouzel 7 e Manlio Simonetti. 8 Diversamente Pierre Nautin
principia Geneseos nec Canticum Canticorum nec huius uoluminis exordium et finem legere permittitur, ut ad perfectam scientiam et mysticos intellectus plenum humanae naturae tempus accedat. 1 Pierre Nautin, Origène. Sa vie et son œuvre, cit., p. 418: «C’est vraisemblablement de ces années que date un Commentaire du Cantique des Cantiques qui fut son premier essai d’exégèse. Le choix de ce livre est significatif: ayant renoncé aux aπections de ce monde il choisissait dans la Bible le chant de l’amour divin». 2 Eus., HE, 6, 32, 2 (trad. Franzo Migliore, Roma, Città Nuova, 2001, p. 54). 3 Hier., epist., 33, 4 (ed. cit., p. 256): In Canticum Canticorum libros x […]. 4 Hier., epist., 37, 3 (ed. cit., p. 288): […] non habuerat decem Origenis uolumina […]. 5 Hier., hom. Orig. in cant., prol. (trad. cit., p. 35; ed. cit., p. 62): Origenes, cum in ceteris libris omnes uicerit, in Cantico Canticorum ipse se uicit. Nam decem uoluminibus explicitis, quae ad uiginti usque uersuum milia paene perueniunt, primum septuaginta interpretes, deinde Aquilam, Symmachum, Theodotionem et ad extremum quintam editionem, quam in Actio litore inuenisse se scribit, ita magnifice aperteque disseruit, ut mihi uideatur in eo completum esse, quod dicitur: Introduxit me rex in cubiculum suum (Ct 1, 4). 6 Eusèbe de Césarée. Histoire ecclésiastique, ii: Livres v-vii, texte grec, traduction et notes par Gustave Bardy, Paris, Les Éditions du Cerf, 1955 («Sources Chrétiennes», 41), p. 134 nota 5: «Ce voyage à Athènes, accompli en 240, doit être distingué de celui dont il est question supra, VI, xxiii, 4». 7 Origène. Commentaire sur le Cantique des Cantiques, cit., i, p. 12: «Nous retenons donc comme plus vraisemblable la date de 240». 8 Origene. Commento al Cantico dei Cantici, cit., p. xv; Manlio Simonetti, s.v. Cantico dei
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colloca il viaggio intorno al 245, sulla base della sua controversa ipotesi sul soggiorno di Teodoro a Cesarea. 1 Del commento restano la traduzione latina di Rufino e i frammenti greci. La versione rufiniana contiene il prologo, i primi tre libri e forse l’inizio del quarto, che nella maggior parte dei manoscritti è unito al terzo libro. La traduzione non è preceduta da una lettera dedicatoria, che fornirebbe indicazioni sulle circostanze della sua composizione, e pertanto non può essere datata con sicurezza. Forse deve essere attribuita agli ultimi mesi della vita di Rufino, morto poco dopo il sacco di Roma del 410; questo spiegherebbe lo stato incompiuto dell’opera, che permette di seguire l’interpretazione di Origene fino a Ct 2, 15. Rufino leggeva il testo integro del commento origeniano. Tuttavia, nella traduzione non troviamo ciò che soprattutto impressionò Girolamo: Origene aveva composto il commento sulla base degli Hexapla, interpretando il testo non solo secondo la versione dei Settanta, ma anche secondo le traduzioni di Aquila, Simmaco, Teodozione e un’anonima quinta editio della Bibbia greca, che aveva trovato nei pressi di Azio. Di questa esegesi esaplarica abbiamo perso quasi ogni traccia nella traduzione di Rufino, che ha preferito risparmiare ai lettori latini la ricchezza di particolari che Origene forniva sul testo greco, e pertanto ha omesso sistematicamente le versioni di Aquila, Simmaco, Teodozione e la quinta editio. Il confronto con i frammenti greci evidenzia anche altri rimaneggiamenti: Rufino ha omesso espressioni e citazioni scritturistiche che sono attribuite dai catenisti a Origene e ricorrono nei commenti di esegeti che si sono ispirati all’Alessandrino. Ritenendo il pubblico occidentale impreparato in ambito dottrinale e filosofico, Rufino ha inoltre omesso o tradotto in modo generico concetti filosofici espressi con terminologia tecnica. Infine, sempre per le esigenze del lettore latino, ha aggiunto spiegazioni concernenti le traduzioni latine della Bibbia o la lingua latina. 2 I frammenti trasmessi dalle catene consentono di conoscere l’interpretazione di Origene per alcuni passi del Cantico non compresi nella traduzione di Rufino; inoltre, dove è possibile stabilire un accostamento con il testo latino, i frammenti greci rappresentano un utile termine di confronto per individuare le omissioni o gli adattamenti operati da Rufino. Tuttavia, è necessario tener conto anche dei limiti e dei pericoli di un simile utilizzo di questi testi, che sono riassunti delle interpretazioni di diversi commentatori. 3 A questo proposito, Maria Antonietta Barbàra ha precisato che
Cantici (scritti esegetici su), in Origene. Dizionario: la cultura, il pensiero, le opere, a cura di Adele Monaci Castagno, Roma, Città Nuova, 2000, pp. 60-64. 1 Pierre Nautin, Origène. Sa vie et son œuvre, cit., p. 381: «Théodore est donc arrivé chez Origène au plus tôt dans la deuxième moitié de l’année 238, en sorte que le départ de Théodore après sept ans passés et le voyage à Athènes se placent en 245 au plus tôt». 2 Per esempio, Rufino (3, 5, 2) spiega che invece di usare la parola malum, «mela», egli la sostituisce con una forma latinizzata del greco, melum, per evitare una confusione con il suo omonimo malum, «male». 3 Agnell Rickenmann, Sehnsucht nach Gott bei Origenes. Ein Weg zur verborgenen Weisheit
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in assenza di riscontro del testo greco nella versione latina, non si può escludere che l’interpretazione dell’Alessandrino sia stata contaminata con quella di altri esegeti. 1
Alla possibilità di una contaminazione con altri esegeti, si aggiunge la di√coltà di riconoscere e distinguere le rielaborazioni operate dal catenista: «è di√cile decidere se le catene ci riportano l’esegesi di Origene con le parole dell’autore stesso oppure con quelle di chi lo ha rielaborato». 2 I catenisti hanno infatti ridotto il testo originario dal quale hanno ricavato gli estratti, attraverso la soppressione di segmenti piú o meno lunghi (espressioni o anche periodi) e/o il riassunto, che comporta una piú evidente alterazione della lingua. L’uno e l’altro sistema di riduzione sembrano essere stati impiegati nell’Epitome di Procopio, 3 che pure è stata considerata la migliore fonte per conoscere ciò che resta in greco del commento di Origene al Cantico dei Cantici. 4 Secondo Barbàra
il recupero del perduto commentario al Cantico di Origene deve fondarsi sui frammenti catenari quali sono attestati dai tre codici poziori dell’Epitome di Procopio. Ma l’apporto delle altre catene ai fini dell’accertamento della retta lezione non va trascurato. Esse consentono di migliorare e integrare il testo dell’Epitome, poiché oπrono parole ed espressioni di Origene che là mancano; riportando la terminologia piú caratteristica dell’Alessandrino valgono a ricostruire il senso generale e l’esatto dettato. 5
des Hohenliedes, Würzburg, Echter Verlag, 2002 («Studien zur systematischen und spirituellen Theologie», 30), p. 204: «mit den erhaltenen Katenenfragmenten kann man also einerseits den fehlenden Text ergänzen, wenigstens der Idee nach, und andererseits Vergleiche ziehen mit dem lateinisch vorhandenen Text bei Rufin. Doch damit sind gerade auch die Grenzen und die Gefahren einer solchen Verwendung zu benennen: Es handelt sich hier um Zusammenfassungen der Ideen verschiedener Kommentatoren». 1 Origene. Commentario al Cantico dei Cantici. Testi in lingua greca, introduzione, testo, traduzione e commento a cura di Maria Antonietta Barbàra, Bologna, edb, 2005 («Biblioteca 2 Patristica», 42), p. 97. Ibidem. 3 Ivi, pp. 116-117: «Il redattore dell’Epitome procopiana, non diversamente da tutti i catenisti, ha ridotto il testo originario da dove ha ricavato i suoi estratti; spesso lo ha tagliato, sopprimendo espressioni o anche periodi che, a suo giudizio, non sono indispensabili all’intelligenza del passo; però ha anche riassunto il testo originario, alterandone piú vistosamente la facies linguistica […]. L’uso di entrambi i sistemi di abbreviazione trova spiegazione, secondo Faulhaber, nella dipendenza dell’Epitome dalla sua matrice, nella quale il testo greco originario era stato riassunto mediante breve riscrizione; agli estratti attinti da questa Procopio, secondo lo studioso, ne avrebbe aggiunti altri compulsando direttamente gli scritti esegetici dei Padri e, per abbreviarli, li avrebbe tagliati […]». 4 Marie-Gabrielle Guérard, Procope de Gaza, ‘Épitomé sur le Cantique des Cantiques’: les trois plus anciens témoins, Paris. Gr. 153, 154, 172, «Byzantion», lxxiii, 2003, pp. 9-59 (31): «l’Épitomé de Procope, à travers ses trois plus anciens manuscrits, représente la meilleure source pour atteindre ce qui reste en grec du commentaire sur le Cantique d’Origène. Apparemment, il n’existe que de rarissimes fragments origéniens sur le Cant. absents de l’Épitomé». 5 Origene. Commentario al Cantico dei Cantici, cit., p. 112. Ivi, p. 113: «Le altre principali catene che trasmettono i frammenti di Origene sono tre, di cui Faulhaber ha evidenziato la stretta a√nità con l’Epitome (C): la catena barberiniana e la catena di Policronio il Diacono (tipo D Faulhaber e Geerard; tipo I Karo-Lietzmann), le quali, secondo Faulhaber, sono estratti dell’Epitome; la catena detta di Eusebio (tipo E Faulhaber e Geerard; tipo V KaroLietzmann), che ha in comune con l’Epitome una stessa originaria catena madre costituitasi, secondo lo studioso, all’inizio del v secolo. Attesta esegesi origeniana anche una catena di
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Al periodo della maturità risalgono anche due omelie, menzionate nel catalogo delle opere di Origene contenuto nella Lettera 33 di Girolamo («due omelie sul Cantico dei Cantici»). 1 Nautin le colloca nel periodo compreso tra il 238 e il 242; 2 secondo Crouzel, invece, esse sono state verosimilmente pronunciate, come la maggior parte delle omelie conservate, a partire dal 245. 3 Lorenzo Perrone è incline a sostenere la datazione di Nautin o almeno a mettere in discussione la cronologia piú tarda, poiché le Omelie sul Cantico appartengono al ciclo dedicato ai libri sapienziali, la prima di tutte le serie, e inoltre sono precedenti al commento che contiene riferimenti alle Omelie sui Giudici, appartenenti al ciclo finale delle omelie giunte fino a noi. 4 Le Omelie sul Cantico, tradotte in latino da Girolamo nel 383, si concludono con l’interpretazione di Ct 2, 14, e pertanto abbracciano all’incirca lo stesso testo rispetto alla traduzione rufiniana del Commento al Cantico, che arriva fino a Ct 2, 15. Secondo Simonetti, la fine della seconda omelia indica la conclusione del ciclo dedicato al Cantico; 5 Perrone invece la considera un commento finale sulla pericope biblica, e ha l’impressione che Origene avesse pianificato una piú lunga serie di omelie. 6
2. L’interpretazione prosopologica, la fabula, il drama Nell’unico frammento del commento giovanile al Cantico dei Cantici è evidenziata la necessità di fare ricorso nell’esegesi biblica all’interpretazione prosopologica (luvsi~ ejk tou` proswvpou, secondo le parole dei grammatici antichi). Per colui che non comprende l’identità dei personaggi della Scrittura, di coloro che parlano e di coloro ai quali è rivolto il discorso, le parole dette comportano molta confusione: si domanda qual è il personaggio che parla, e qual è quello al quale è rivolto il discorso, e quando il personaggio che parla ha smesso di parlare; perché quello al quale è rivolto il discorso spesso è rimasto lo stesso, mentre è un altro che gli rivolge la parola; o, al contrario, quello a cui è rivolto il discorso non ascolta piú, è un altro che riceve al suo posto le parole dette, mentre quello che parla rimaarea britannica, il cui testimone poziore è un codice cantabrigense, per la quale Faulhaber ha auspicato uno studio approfondito». 1 Hier., epist., 33, 4 (ed. cit., p. 257): […] In Cantico Canticorum omeliae ii […]. 2 Pierre Nautin, Origène. Sa vie et son œuvre, cit., pp. 408-409. 3 Origène. Commentaire sur le Cantique des Cantiques, cit., i, p. 10: «[…] elles semblent postérieures au grand Commentaire, ayant été vraisemblablement prononcées, comme la plupart des homélies conservées, après qu’Origène eut atteint la soixantaine, c’est-à-dire à partir de 245». 4 Pierre Nautin, Origène. Sa vie et son œuvre, cit., p. 403: «Les livres de l’Ancien Testament ont donc été lus et expliqués dans l’ordre suivant: Sapientiaux: Ps., Job, Prov., Eccl., Cant.; Prophètes: Is., Jér., Éz.; Historiques: Gen., Ex., Lév., Nb., Deut., Jos., Juges, 1 Sam.». 5 Manlio Simonetti, s.v. Cantico dei Cantici (scritti esegetici su), in Origene. Dizionario, cit., p. 61. 6 Lorenzo Perrone, ‘The Bride at the Crossroads’. Origen’s Dramatic Interpretation of the ‘Song of Songs’, «Ephemerides Theologicae Lovanienses», lxxxii, 1, 2006, pp. 69-102 (75): «I can thus add here to the critics’ embarrassment, hopefully without causing too much trouble, my own impression being that Origen indeed planned a longer series of homilies»; p. 75 nota 19: «[…] to my mind it rather represents a final comment on the pericope concerned».
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ne lo stesso. Avviene anche che i due cambino, sia colui che parla sia colui al quale è rivolto il discorso; o ancora entrambi rimangono per qualche tempo, senza che questo sia chiaramente indicato. 1
Le parole dette possono essere oggetto di confusione, se non si individua il ruolo dei personaggi che intervengono nella conversazione. Piú precisamente, è necessario individuare: a. il personaggio che parla (to; levgon provswpon); b. il personaggio al quale è rivolto il discorso (to; pro;~ o} oJ lovgo~). Le diverse combinazioni di questi ruoli possono determinare, nello sviluppo del discorso, quattro diπerenti situazioni: 1. il cambiamento del solo personaggio che parla; 2. il cambiamento del solo personaggio che ascolta; 3. il cambiamento di entrambi i personaggi; 4. nessun cambiamento per entrambi i personaggi. Nella prima omelia sul Cantico dei Cantici è ancora in primo piano la questione inerente l’individuazione dei personaggi: «Tali dunque sono i personaggi in questo libro, che è insieme rappresentazione (fabula) ed epitalamio».2 Il termine fabula (dalla radice for del verbo fari, ‘parlare’, da cui deriva anche il verbo fabulari, 3 ‘conversare’) indica l’interazione dei personaggi che intessono una conversazione. La parola fabula, intesa come tessitura della conversazione, significa ‘intreccio’, ‘trama’. Per una fabula è possibile distinguere i diversi modi della performance: essa può essere narrata, quando la trama è raccontata da un narratore, oppure può essere agíta, quando la trama è rappresentata dai personaggi nelle vesti di attori. Da queste premesse è possibile individuare il rapporto esistente tra fabula e drama, cosí come è descritto nel Commento al Cantico dei Cantici. Questo rapporto è stabilito all’inizio del prologo, dove è definito il significato del termine drama:
sopra abbiamo detto che il carme nuziale è stato composto a mo’ di dramma. Infatti definiamo dramma – come quando una rappresentazione (fabula) è messa in scena (in scaenis agi) – l’azione in cui sono introdotti vari personaggi e, mentre alcuni entrano in scena e altri si allontanano, la trama della narrazione (textus narrationis) è svolta da alcuni personaggi che si rivolgono ad altri. 4
1 Orig., Phil., 7, 1 (ed. cit., p. 326): Tw/` mh; ejxeilhfovti to; ijdivwma tw`n proswvpwn th`~ grafh`~, tw`n te legovntwn kai; tw`n pro;~ a} oJ lovgo~, pollh;n parevcei suvgcusin ta; legovmena, zhtou`nti to; levgon provswpon o{ tiv potev ejsti, kai; to; pro;~ o} oJ lovgo~ oJpoi`on, kai; povte to; levgon ejpauvsato provswpon, tou` pro;~ o{ ejsti pollavki~ throumevnou, kai; eJtevrou pro;~ to; aujto; levgonto~, h] tou` pro;~ o} oJ lovgo~ oujkevti ajkouvonto~, eJtevrou de; diadexamevnou ta; legovmena, mevnonto~ tou` levgonto~∑ e[sti dV o{te meta bavllei ajmfovtera, kai; to; levgon kai; to; pro;~ o} oJ lovgo~∑ h] ejpi; plei`on mevnonta ajmfovtera ouj safw`~ dhlou`tai mevnonta. 2 Hier., hom. Orig. in cant., 1, 1 (ed. cit., p. 70): Haec quippe in hoc libro, fabula pariter et epithalamio, sunt personae […]. 3 Denominativo da fabula (a sua volta derivato da for), fabulor, rispetto a loquor di significato piú esteso e talora piú generico, nella sua prima e piú attestata accezione significa ‘discorrere’, ‘stabilire un colloquio’, ‘intessere una conversazione per lo piú familiare’. 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 3 (trad. cit., p. 34; ed. cit., p. 82): Et hoc est quod supra diximus, carmen nuptiale in modum dramatis esse conscriptum. Drama enim dicitur, ut in scaenis agi fabula solet, ubi diversae personae introducuntur et, aliis accedentibus, aliis etiam discedentibus, a diversis et ad diversos textus narrationis expletur.
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Negli stessi termini è formulata la definizione che si trova in prol. 1, 8: mi sembra necessario trattare […] in che modo sia stato composto a mo’ di dramma, quasi come una rappresentazione (fabula) che viene messa in scena (in scaenis… agi) con mutamento di personaggi. 1
Il termine dra`ma (da dravw, ‘agisco’) significa ‘azione’, e quindi anche ‘azione rappresentata sulla scena’. In questo contesto, la parola drama indica il modo in cui una fabula è agíta (agi), cioè è rappresentata da attori sulla scena («in scaenis»). Pertanto, la trama della narrazione («textus narrationis») è svolta da alcuni personaggi che si rivolgono ad altri («a diversis et ad diversos»). Questa caratteristica del genere drammatico è evidenziata nella definizione proposta dal grammatico Diomede (seconda metà del sec. iv): I generi della poesia sono tre […]. È drammatico o attivo quello in cui i personaggi agiscono da soli, senza interlocuzione del poeta, come sono i drammi tragici e comici. 2
Accanto alla dimensione parlata è evidenziata la dimensione scenica del dramma. Il commento origeniano descrive la complessità del drama: 1. sono introdotti vari personaggi; 2. alcuni entrano in scena e altri escono dalla scena; 3. la trama della narrazione è interamente svolta da diversi personaggi che si rivolgono a diversi altri. Il terzo aspetto esprime in sintesi le di√coltà del genere drammatico: in assenza di un narratore, la trama può essere ricavata solo dalle parole pronunciate dai personaggi. Non è necessario solo distinguere il personaggio che parla e il personaggio a cui è rivolta la parola, ma anche discernere all’interno del discorso i cambiamenti dei 1 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 8 (trad. cit., p. 36; ed. cit., p. 86): […] quomodo dramatis in modum, et tamquam fabula quae in scaenis personarum immutatione agi solet, videatur esse compositus. 2 Diom., gramm. (ed. Heinrich Keil, Lipsiae, Teubner, 1857, p. 482): Poematos genera sunt tria. Aut enim activum est vel imitativum, quod Graeci dramaticon vel mimeticon, aut enarrativum vel enuntiativum, quod Graeci exegeticon vel apangelticon dicunt, aut commune vel mixtum, quod Graeci koinovn vel miktovn appellant. Dramaticon est vel activum in quo personae agunt solae sine ullius poetae interlocutione, ut se habent tragicae et comicae fabulae; quo genere scripta est prima bucolicon et ea cuius initium est ‘quo te, Moeri, pedes?’ exegeticon est vel enarrativum in quo poeta ipse loquitur sine ullius personae interlocutione, ut se habent tres georgici et prima pars quarti, item Lucreti carmina et cetera his similia. koinovn est vel commune in quo poeta ipse loquitur et personae loquentes introducuntur, ut est scripta Ilias et Odyssia tota Homeri et Aeneis Vergilii et cetera his similia. La distinzione in tre generi – drammatico o attivo, esegetico-narrativo, comune – si colloca nel solco della dottrina proposta in Pl., Resp., 3, 392d-394c (trad. Franco Sartori, Roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 111-113), che distingue «una narrazione o semplice o imitativa o in ambedue le forme»; la narrazione semplice si ha «sia quando [il poeta] riferisce volta a volta i discorsi diretti sia quando riferisce quello che avviene tra un discorso e l’altro»; la narrazione imitativa si ha «quando si sopprimano le parole intercalate dal poeta tra un discorso e l’altro e si lascino i dialoghi»; la narrazione «in ambedue le forme», infine, si ha quando ora «il poeta parla in propria persona», ora invece «riferisce un discorso come se fosse un altro». Arist., Po., 1448a (trad. Manara Valgimigli, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 196): «C’è poi, oltre queste, una terza diπerenza, la quale consiste nel modo onde i singoli oggetti possono essere imitati. Infatti, dato che siano eguali i mezzi della imitazione ed eguali gli oggetti, il poeta può tuttavia imitare in due modi diversi: e cioè, o in forma narrativa, – e in questo caso egli può assumere personalità diverse, come fa Omero, o può narrare in persona propria, rimanendo sempre lo stesso senza alcuna trasposizione; – o in forma drammatica: e allora sono gli attori i quali rappresentano direttamente tutta intiera l’azione come se ne fossero essi medesimi i personaggi viventi e operanti».
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personaggi che parlano e ascoltano. Per fare questa distinzione è necessario individuare i movimenti scenici di ingresso e uscita, che possono essere ricavati solo dalle parole dei personaggi. 3. Le Omelie sul Cantico e il Commento al Cantico: un confronto Le osservazioni proposte nelle pagine precedenti oπrono elementi utili per ripensare il rapporto fra le omelie e il commento. A proposito di questo rapporto, Aldo Ceresa-Gastaldo scriveva: Ad un confronto accurato tra il Commento e le Omelie le due opere […] rivelano una stretta a√nità di pensiero che, mentre spazia ampiamente nell’illustrazione dei piú vari motivi nei quattro libri del Commento, si mostra non meno acuto e personale nelle sintetiche osservazioni delle due brevi Omelie. 1
Accanto alle a√nità di pensiero è necessario evidenziare alcune importanti diπerenze fra le due opere per quanto concerne l’interpretazione. Una prima diπerenza riguarda l’interpretazione letterale. Nelle omelie essa è limitata agli aspetti inerenti la fabula: individua i personaggi che intessono la conversazione, accenna brevemente ai loro movimenti, ma non propone una ricostruzione completa della scena. Invece nel commento l’interpretazione letterale è sviluppata con maggiore ampiezza e rivolge una particolare attenzione agli elementi del drama: la scena è descritta con dovizia di particolari, e soprattutto è evidenziato lo sviluppo dell’azione attraverso la ricapitolazione dei momenti fondamentali. Una seconda diπerenza concerne l’interpretazione spirituale. Nelle omelie essa è ridotta agli aspetti essenziali: esamina infatti tutti i temi fondamentali con intuizione acuta e penetrante, ma non si soπerma su ciascuno oltre il necessario. Diversamente, nel commento l’interpretazione spirituale si distende in tutta la sua ampiezza, attraverso aperture mistiche di grande suggestione, e diventa contemplazione. Conferendo risalto a ciò che attiene la mistica e i misteri, il commento individua nella scienza contemplativa il tratto che distingue il Cantico dei Cantici fra i tre libri attribuiti a Salomone. Pertanto Salomone, volendo separare e distinguere fra loro queste tre che abbiamo definito scienze generali, cioè morale naturale contemplativa, le ha trattate in tre libri disposti in ordine logico. Prima nei Proverbi ha fatto conoscere la morale […]. La seconda scienza, quella denominata naturale, la comprese nell’Ecclesiaste […]. Infine fece conoscere la scienza contemplativa in questo libro che abbiamo fra le mani, il Cantico dei cantici. 2
Tale distinzione serve a delineare un percorso, che inizia dalla morale e si conclude con la contemplazione. 1 Aldo Ceresa-Gastaldo, L’esegesi origeniana del ‘Cantico dei Cantici’, in Origeniana Secunda. Second Colloque International des études origéniennes, Bari 20-23 septembre 1977, textes rassemblés par Henri Crouzel, Antonio Quacquarelli («Quaderni di Vetera Christianorum», 15), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1980, pp. 245-252 (246). 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 3, 5-7 (trad. cit., p. 54).
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Pertanto, se qualcuno avrà realizzato il primo punto, che è indicato nei Proverbi, correggendo i costumi e osservando i precetti, e dopo, disprezzata anche la vanità del mondo e osservata la fragilità delle cose caduche, arriva al punto da rinunziare al mondo e a tutto ciò ch’è nel mondo, costui arriverà anche a contemplare e desiderare le realtà che non si vedono e che sono eterne (2 Cor 4, 18). 1
Alla contemplazione, poi, è strettamente legato l’amore. Una terza diπerenza si osserva a proposito dell’amore. Nelle omelie l’attenzione è interamente rivolta alla distinzione fra l’amore carnale e l’amore spirituale: «c’è un amore della carne che viene da Satana e un amore secondo lo spirito che ha il suo principio in Dio». 2 Essi sono alternativi, poiché l’uno esclude l’altro, e viceversa.
Nessuno può essere posseduto da due amori! Se sei amante della carne, non comprendi l’amore dello spirito; se disprezzi tutte le realtà corporali, non dico la carne e il sangue, ma il denaro, i possedimenti, la stessa terra, e il cielo stesso – giacché questi passeranno (cfr. Mt 24, 35) –, se non fai conto di tutte queste cose e la tua anima non è legata a nessuna di esse, e non sei trattenuto da alcun amore dei vizi, puoi comprendere l’amore spirituale. 3
Lo scopo di questa distinzione è fare in modo che l’amore non precipiti nel peggio, ma invece sia rivolto verso il meglio: Uno dei movimenti dell’anima è l’amore: noi ne usiamo bene per amare, se amiamo la sapienza e la verità; ma quando il nostro amore precipita nel peggio, allora amiamo la carne e il sangue. Tu dunque, che sei spirituale (1 Cor 3, 1), ascolta spiritualmente cantare queste parole d’amore, e impara a trasferire verso il meglio il movimento della tua anima e l’incendio dell’amore naturale, secondo la parola: Ama [la Sapienza] ed essa ti custodirà; abbracciala, ed essa ti esalterà (Prv 4, 6). 4
Pertanto, nelle omelie la riflessione sull’amore è delineata in funzione di un’opzione di vita che deve essere ancora compiuta. Diversamente, nel commento è descritto l’amore dell’anima che ha già corretto i suoi costumi e rinunziato a tutto ciò ch’è nel mondo. Questo amore ha origine nella contemplazione: vedremo allora se riusciamo, contemplata la bellezza del Verbo di Dio, ad infiammarci per lui di amore apportatore di salvezza, sí che anche egli si degni di amare tale anima, che avrà visto posseduta dal desiderio di sé. 5
4. Dramma d’amore Nel Commento al Cantico dei Cantici è ricorrente il termine drama, che compare per la prima volta nell’incipit del prologo: Epithalamium libellus hic, id est nuptiale carmen, dramatis in modum mihi videtur a Solomone conscriptus […]. 6
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 3, 22 (trad. cit., p. 59). Hier., hom. Orig. in cant., 1, 2 (trad. cit., p. 42). 4 Hier., hom. Orig. in cant., 2, 1 (trad. cit., p. 60). 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 3, 23 (trad. cit., p. 59). 6 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 1 (ed. cit., p. 80). 2
3
Ibidem.
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Questa definizione individua la forma letteraria e la modalità compositiva del Cantico dei Cantici. La forma letteraria definisce le principali caratteristiche, che sono quelle dell’epitalamio cioè del carme nuziale; un’ulteriore precisazione è oπerta dall’indicazione della modalità compositiva, che è quella del dramma. Il rapporto tra la forma letteraria dell’epitalamio e la modalità compositiva del dramma è ripreso poche righe dopo. Et hoc est quod supra diximus, carmen nuptiale in modum dramatis esse conscriptum. Dra ma enim dicitur, ut in scaenis agi fabula solet, ubi diversae personae introducuntur et, aliis accedentibus, aliis etiam discedentibus, a diversis et ad diversos textus narrationis expletur. 1
Nelle pagine precedenti è stato individuato il rapporto esistente tra fabula e drama: il termine fabula significa la trama intrecciata dalla conversazione fra i personaggi; la parola drama significa invece ‘azione scenica’, e indica il modo in cui una fabula è agíta (agi), cioè è rappresentata da attori sulla scena («in scaenis»). In questo contesto, pertanto, il termine drama ha il significato di una rappresentazione scenica con mutamento di personaggi. Le medesime parole sono riprese in prol. 1, 8: Igitur necessarium mihi videtur, antequam ad ea quae in hoc libello scripta sunt discutienda veniamus, de amore prius ipso, qui est scripturae huius causa praecipua, pauca disserere, et post haec de ordine librorum Solomonis, in quibus hic liber tertio loco positus videtur; tum etiam de attitulatione libelli ipsius, cur Canticum Canticorum superscriptus sit, post etiam quomodo dramatis in modum, et tamquam fabula quae in scaenis personarum immutatione agi solet, videatur esse compositus. 2
Gli elementi individuati nel prologo sono richiamati all’inizio del primo libro: Meminisse oportet illud quod in praefatione praemonuimus, quia libellus hic epithalamii ha bens speciem dramatis in modum conscribitur. Drama autem esse diximus, ubi certae personae introducuntur, quae loquuntur, et aliae interdum superveniunt, aliae recedunt aut accedunt, et sic totum in mutationibus agitur personarum. 3
Dopo aver precisato il significato del termine drama, è possibile ritornare all’inizio del prologo, dove sono individuati i personaggi principali: la sposa e lo sposo, le compagne della sposa e gli amici dello sposo. Questo epitalamio, cioè carme nuziale, mi sembra che sia stato scritto da Salomone a mo’ di dramma, ed egli lo ha cantato a guisa di sposa promessa che va a nozze e che arde di amore celeste per il suo sposo, che è il Verbo di Dio. Infatti lo ha amato, sia l’anima che è stata fatta a sua immagine sia la Chiesa. E questo libro ci insegna anche quali parole ha usato questo magnifico e perfetto sposo rivolgendosi a colei che a lui era unita, sia anima sia Chiesa. Inoltre da questo libro, che 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 3 (ed. cit., p. 82). Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 8 (ed. cit., p. 86). 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 1 (ed. cit., p. 176). 2
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si intitola Cantico dei cantici, apprendiamo che cosa abbiano detto anche le giovani compagne della sposa che stavano con lei, e che cosa anche gli amici e i compagni dello sposo. Infatti anche agli amici dello sposo è stata data possibilità di dire qualcosa, almeno quello che avevano udito dallo sposo, mentre si rallegravano della sua unione con la sposa. Infatti la sposa si rivolge non solo allo sposo ma anche alle giovani, e a sua volta lo sposo parla non soltanto alla sposa ma anche ai suoi amici. 1
La sposa e lo sposo sono i protagonisti di quello che è definito ‘dramma sponsale’. 2 Entrambi gli sposi, insieme, sono protagonisti di questo dramma: non c’è un protagonista e un deuteragonista: la sposa è piú presente sulla scena, ma ogni gesto e ogni parola riguarda il suo rapporto con lo sposo; non solo la presenza, ma anche l’assenza dello sposo dalla scena ha un’importanza fondamentale nello svolgimento dell’azione. Piú precisamente, l’amore tra lo sposo e la sposa è al centro di quello che è definito piú volte come un ‘dramma d’amore’. L’espressione compare per la prima volta nel commento a Ct 1, 2-3 («poiché si tratta della rappresentazione di un dramma d’amore» 3); in seguito, essa si incontra nuovamente nel commento a Ct 2, 5 («In questo ch’è, per cosí dire, un dramma d’amore la sposa dice di aver ricevuto le ferite della carità» 4); infine, compare nel commento a Ct 2, 6 («Il dramma d’amore descrive la sposa che si aπretta all’unione con lo sposo» 5). Alcuni aspetti formali e contenutistici richiamati in questa breve sintesi trovano corrispondenza nel commento di J. Cheryl Exum al Cantico dei Cantici.
The poem’s genius lies […] in the way it explores the nature of love. It looks at what it is like to be in love from both a woman’s and a man’s point of view, and it relies exclusively on dialogue, so that we learn about love through what lovers say about it. 6 The most striking and successful way in which the Song of Songs immortalizes the love it celebrates is by creating the illusion of immediacy, the impression that, far from being simply reported, the action is taking place in the present, unfolding before the reader. It does this through the exclusive use of direct speech; unlike other biblical texts, there is no narrative description. Voices that seem to reach us unmediated lend the illusion of immediacy to what is actually reported speech, a written text whose author/narrator is brilliantly eπaced. The poem presents its readers with a vision of love, not in the abstract but in the concrete, through showing us what lovers do, or, more precisely, by telling us what they say. By presenting the
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 1-2 (trad. cit., pp. 33-34). Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 6 (ed. cit., p. 332): […] in hoc sponsali dramate […]. Rufin., Orig. in cant., 1, 2, 6 (trad. cit., p. 78; ed. cit., p. 194): […] quoniamquidem amatorium videtur drama quod agitur […]. 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 15 (trad. cit., p. 213; ed. cit., p. 574): Et quidem in hoc quasi amatorio dramate sponsa caritatis se dicit vulnera suscepisse. 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 9, 1 (trad. cit., p. 214; ed. cit., p. 582): Descriptio est quidem amatorii dramatis sponsae festinantis ad conubium sponsi […]. 6 Song of Songs. A Commentary by J. Cheryl Exum, Louisville, Westminster John Knox Press, 2005 («The Old Testament Library»), p. 1. 2 3
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lovers in the act of addressing each other, the poem gives us the impression that we are overhearing them and observing their love unfold. The key to this unfolding is the dialogue. […] The voices that seem unmediated are the voices of lovers created for us by the poet. As is the case with any good writer, their voices seem authentic. […] Always in progress, love also unfolds as the poem progresses. The progression is not linear, however, for the Song is a lyric, not a dramatic, poem. Sudden temporal shifts are characteristic of the Song and strengthen the impression of immediacy […]. 1
Nella sua analisi, Cheryl Exum ha individuato alcuni tratti essenziali del Cantico dei Cantici; tuttavia, dalla conclusione («the Song is a lyric, not a dramatic, poem») risulta evidente che non ha saputo cogliere la connessione esistente fra la forma poetica e la modalità compositiva del dramma, cosí come è individuata nel commento di Origene. 1
Ivi, pp. 3-5.
L’AMORE NEL COMMENTO AL CANTICO DEI CANTICI 1. Premessa
I
l Cantico dei Cantici è la rappresentazione di un dramma d’amore, un dramma sponsale. Nell’azione scenica sono protagonisti gli sposi, e il loro amore è rappresentato in azione. Il momento delle nozze introduce nella vita sponsale, che è un mistero d’amore. Nel rapporto tra la sposa e lo sposo si incontrano modi diversi di amare: l’amore della sposa è il sentimento della bellezza (Ct 1, 5: «Sono scura e bella»); la carità dello sposo è il sentimento del decoro, cioè della bellezza interiore (Ct 1, 8: «Se non avrai conosciuto te stessa, o buona [ovvero: bella] fra le donne»). L’amore sponsale è rappresentato in azione: è avvicinarsi, incontrarsi, unirsi; e poi ancora sentirsi sempre piú uniti, sentire di avere qualcosa in comune, immedesimarsi. L’amore secondo la carne arriva fino all’unione (Gn 2, 24: «Perciò l’uomo... si unirà con sua moglie e tutti e due formeranno una sola carne»); l’amore secondo lo spirito conosce ulteriori progressi, che sono il sentimento della comunione e dell’immedesimazione (1 Cor 6, 17: «Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito»). Nell’interpretazione letterale si distinguono i momenti dell’attesa (Ct 1, 2: «Mi baci con i baci della sua bocca»), dell’incontro (Ct 1, 2-3: «le tue mammelle sono deliziose piú del vino…»), dell’unione (Ct 1, 13: «rimarrà in mezzo alle mie mammelle»), della condivisione (Ct 2, 4: «Introducetemi nella casa del vino»). L’attenzione agli aspetti inerenti il dramma evidenzia i movimenti scenici dei personaggi, e in questo modo conferisce risalto ai momenti in cui gli sposi si trovano insieme oppure sono separati l’uno dall’altro: l’amore è unione, condivisione, presenza dello sposo accanto alla sposa. Nell’interpretazione tipologica il rapporto fra lo sposo e la sposa è immagine dell’unione fra Cristo e la Chiesa. Anche in questo caso l’amore è unione, condivisione. Per amore della Chiesa, Cristo «venne a lei, e come i suoi figli partecipavano della carne e del sangue, anche lui ne è diventato partecipe (Hbr 2, 14) e si è consegnato per loro (Gal 2, 20)». 1 La carità è «il motivo della sua venuta, la causa della redenzione e della passione». 2 Nell’interpretazione psicologica il rapporto fra la sposa e lo sposo è immagine dell’unione fra l’anima perfetta e il Verbo di Dio. Questa prospettiva illustra nel modo piú coerente i progressi dell’amore, che non è solo unione e comunione, ma arriva fino all’immedesimazione.
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 7 (trad. cit., pp. 165-166). Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 5 (trad. cit., p. 91).
2
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2. L’amore sponsale Il dinamismo della relazione d’amore è evidenziato nell’azione scenica. All’inizio la sposa attende l’arrivo dello sposo: è eccitata dal desiderio 1 e si strugge, si volge alla preghiera e supplica 2 (Ct 1, 2: «Mi baci con i baci della sua bocca»), è ardente per il desiderio e agitata da un’interiore ferita d’amore. 3 Poi lo sposo arriva e si avvicina alla sposa, che vede la sua bellezza e sente la soavità del suo profumo (Ct 1, 2-3: «Perché le tue mammelle sono deliziose piú del vino e l’odore dei tuoi profumi è superiore a tutti gli aromi») che si diπonde nell’aria (Ct 1, 3: «Profumo diπuso è il tuo nome»). La sposa è attratta dalla bellezza dello sposo, che procura diletto ai suoi sensi. Queste sensazioni sono già indicative dell’intimità: la sposa ormai è amata e riceve dallo sposo il contraccambio della sua carità. In questa fase dell’azione è evidenziato il coinvolgimento emotivo della sposa dinanzi alla bellezza dello sposo. D’altra parte, l’unione sponsale non è soltanto un vincolo sentimentale, ma un legame di vita: lo sposo, che è re, vuole far conoscere la sua dignità alla sposa, e per questo motivo la introduce nella camera del tesoro (Ct 1, 4: «Il re mi ha introdotto nella sua camera del tesoro») e le mostra le ricchezze regali e i segreti del re. In virtù delle nozze, la donna è diventata sposa del re e dunque regina: per l’unione matrimoniale la sposa partecipa della dignità regale dello sposo, ed è destinata a regnare con lui. Sul trono il re è a√ancato dalla regina (Ps 44, 10: «Stette la regina alla tua destra»). Ma il rapporto sponsale riguarda soprattutto la sfera privata, nella quale emergono le diπerenze caratteriali. Nel dialogo fra la sposa e lo sposo è delineato un percorso dalla bellezza esteriore a quella interiore. La sposa dichiara la sua bellezza esteriore (Ct 1, 5: «Sono scura e bella»), aπermando che non manca al corpo la bellezza, sia naturale sia cercata con l’esercizio. 4 Poi, impaziente d’amore, esprime il desiderio di avvicinare lo sposo per appartarsi con lui (Ct 1, 7: «Dimmi, tu che ha amato l’anima mia: dove fai pascolare il tuo gregge? dove riposi a mezzogiorno?»). 5 Lo sposo però le risponde con un severo ammonimento, a√nché la sposa conosca la sua bellezza intrinseca, non attraverso il confronto con le donne meno belle, ma nel confronto con se stessa. 6 Per il severo ammonimento, la sposa arrossisce,
1 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 3 (trad. cit., p. 73): «essa però, poiché lo sposo indugia molto a lungo, è eccitata dal desiderio del suo amore»; 3, 14, 4 (trad. cit., p. 242): «agitata dal desiderio di lui». 2 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 3 (trad. cit., p. 73): «Poiché essa vede che il suo amore soπre indugio e che lei non può ottenere ciò che desidera, si volge alla preghiera e supplica Dio». 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 4 (trad. cit., p. 74): «ardente per il desiderio dello sposo e agitata da un’interiore ferita d’amore». 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 1, 2 (trad. cit., p. 107): «non manca al corpo la bellezza, sia naturale sia cercata con l’esercizio». 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 11 (trad. cit., p. 137): «impaziente d’amore ella desidera avvicinare lo sposo […] per stargli vicino mentre fa pascolare le pecore o si ristora». 6 Rufin., Orig. in cant., 2, 5, 2 (trad. cit., p. 145): «se non avrai appreso quanto eri bella sin dall’inizio, benché ora tu eccella fra le altre donne e tu sola sia detta bella, tuttavia se non
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e il rossore rende piú attraente il suo volto, conferendo ad esso decoro (Ct 1, 10: «Quanto son diventate belle le tue guance... e la tua nuca è come una collana»). 1 Dunque, la sposa ha ricevuto lo splendore della bellezza dallo sposo (Ct 1, 15: «Ecco, sei bella, tu che mi sei vicina»), 2 che le ha fatto conoscere la sua dignità di sposa del re. 3 Solo ora la sposa si accorge di questa bellezza che si comunica: per questa bellezza è meraviglioso l’aspetto dello sposo (Ct 1, 16: «Ecco, sei bello, mio amato, e avvenente»), e anche la sposa assume un aspetto meraviglioso. 4 La sposa desidera riposare all’ombra dello sposo (Ct 2, 3: «Ho desiderato stare alla sua ombra»), che è per lei fonte di dolcezza. 5 Inoltre, la sposa desidera fare festa, entrare nel luogo del banchetto e godere del vino che dà la gioia (Ct 2, 4: «Introducetemi nella casa del vino»). 6 Stupefatta per l’ammirazione di tutto ciò che vede, la sposa quasi viene meno, colpita dalla ferita della carità (Ct 2, 5: «sono ferita dalla carità»). 7 D’altra parte, lo sposo non rimane sempre accanto alla sposa, ma si allontana da lei, che spasima in ansia per l’amore di lui. 8 Anche quando
avrai conosciuto te stessa, quale tu sia – infatti voglio che la tua bellezza sembri eccellente non in confronto con le donne meno belle, ma per il fatto che, messa a confronto con te stessa e la tua bellezza, tu risulti in piena armonia e rispondenza – […]». 1 Rufin., Orig. in cant., 2, 7, 1-2 (trad. cit., p. 160): «la sposa ha arrossito per la severità dell’ammonizione, e il rossore della vergogna, diπusosi sul volto, ha reso belle le sue guance, molto piú attraenti di quanto erano prima». 2 Rufin., Orig. in cant., 3, 1, 3 (trad. cit., p. 186): «colei, che prima era stata definita soltanto bella fra le donne, ora invece è detta vicina e bella: ciò perché essa ha ricevuto proprio dallo sposo splendore di bellezza, cosí che, una volta ricevuta da lui la bellezza, anche se le occorra di sopportare per un po’ l’assenza dello sposo, nondimeno resta bella». Il nesso ‘vicina e bella’ indica lo splendore della bellezza, una bellezza che la sposa ha conosciuto stando accanto allo sposo, una bellezza per la quale la sposa sa di essere bella anche in assenza dello sposo. Sullo splendore della bellezza, dovuto all’adesione dell’amata all’amato, si veda Rufin., Orig. in cant., 2, 2, 4 (trad. cit., p. 124): «questa che ora è detta nera, verso la fine del Cantico si dice che, diventata tutta bianca, sale appoggiandosi al suo amato (Ct 8, 5). È diventata nera mentre è discesa, ma se avrà cominciato a salire e ad appoggiarsi al suo amato e ad aderire a lui e a non separarsi aπatto da lui, diventerà tutta bianca e candida e, gettata via tutta la nerezza, rifulgerà circonfusa dallo splendore della vera gloria». 3 Hier., hom. Orig. in cant., 1, 9 (trad. cit., p. 56): «lo Sposo la minaccia e le dice: O tu conoscerai te stessa, poiché sei Sposa del Re, e bellissima – fatta bellissima da me […] – o sappi che, se non ti conosci e ignori la tua dignità, subirai certe conseguenze». 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 2, 7 (trad. cit., pp. 189-190): «Perciò bello e avvenente è detto l’amato, e quanto piú sarà osservato con occhi spirituali, tanto piú bello e avvenente apparirà: infatti non soltanto appariranno meravigliosi il suo aspetto e la sua bellezza, ma anche a colui che lo guarda e lo osserva sopravverrà grande bellezza e aspetto nuovo e meraviglioso». 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 5, 3 (trad. cit., p. 194): «Dunque, la sposa paragona lo sposo all’albero del melo […]. E dice lo sposo simile a questo albero in maniera tale da desiderare di riposare alla sua ombra e da aπermare che il frutto di lui è diventato dolce nella sua bocca». 6 Rufin., Orig. in cant., 3, 6, 1 (trad. cit., p. 200): «essa […] desidera ora entrare nel banchetto reale e godere del vino che dà la gioia». 7 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 2 (trad. cit., p. 210): «colpita dalla ferita d’amore». 8 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 6-7 (trad. cit., pp. 242-243): «lo sposo, in quanto uomo, non sta sempre in casa e non sta sempre accanto alla sposa che resta in casa, ma esce spesso; e quella, quasi spasimando per l’amore di lui, cerca l’assente […]. […] lo sposo, ch’è uomo, non è rimasto in casa; perciò agitata di nuovo dall’amore di lui la sposa esce fuori e va in giro intorno alla casa, entrando uscendo e guardando da ogni parte quando ritorni a lei lo sposo. Ed ecco, all’improvviso lo vede che […] scende verso la casa, dove essa spasima in ansia per amore di lui».
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ritorna, si lascia solo intravedere, osservando la sposa attraverso la finestra. 1 Peraltro, ormai anche lo sposo sente l’amore per la sposa.2 La sposa ha conosciuto la sua bellezza, e lo sposo non vuole solo vedere il suo volto scoperto e libero, ma vuole ascoltare anche la sua voce (Ct 2, 14: «mostrami il tuo volto e fammi ascoltare la tua voce, perché la tua voce è dolce e il tuo volto bello»). 3 Nel dramma le parole d’amore sono pronunciate solo dalla sposa. L’intensità dell’amore coinvolge per intero l’anima, le forze, il cuore della sposa. 4 Questo amore è totalizzante: la sposa non può stare senza lo sposo. D’altra parte, lo sposo non pronuncia alcuna parola d’amore: seguendo il testo del Cantico, Origene riferisce la carità allo sposo solo in pochi passi del commento. Peraltro, sarebbe banale e riduttivo attribuire i segni dell’amore allo sposo, che è il figlio della carità, anzi la carità. 5 Il sentimento della sposa è il desiderio dell’amore, la ricerca della bellezza che procura piacere ai sensi. Il sentimento dello sposo è la carità, l’amore di immedesimazione, il sentimento della dignità dell’amata. Per la carità la sposa si sente amata anche in assenza dello sposo: in qualche modo lo porta dentro di sé, perché ha assimilato la sua volontà a quella dell’amato. 6 Ormai in lei non c’è piú il desiderio dell’amore, ma la carità. L’amore sponsale fa di due persone una cosa sola. L’uomo e la donna unendosi formano una sola carne, come si legge in Genesi: «Perciò l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà con sua moglie e tutti e due formeranno una sola carne» (Gn 2, 24). Paolo interpreta l’immagine genesiaca dell’unione fra l’uomo e la donna come mistero dell’unione fra Cristo e la Chiesa: «Questo mistero è grande, e io dico che si applica a Cristo e alla Chiesa» (Eph 5, 32). D’altra parte, l’Apostolo precisa che le membra del corpo mistico di Cristo sono unite nello spirito: «Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17). Pertanto, l’immagine nuziale individua gradi diversi di unione in rapporto all’amore. L’amore secondo la carne ha origine dalla diπerenza di genere maschio/femmina; questa diversità rimane anche quando i due corpi si
1 Rufin., Orig. in cant., 3, 11, 3 (trad. cit., p. 219): «egli indugia ancora un po’ dietro la casa, cosí che si percepisca la sua presenza, senza però entrare dentro apertamente e manifestamente, ma volendo prima osservare la sposa quasi come fa un amante, attraverso la finestra (Ct 2, 9)». 2 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 8 (trad. cit., p. 243): «ormai, sentendo anche lui l’amore per la sposa». 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 11, 8 (trad. cit., p. 221): «E non solo lo sposo vuol vedere il volto scoperto e libero della sposa, ma vuole ascoltare anche la sua voce, sicuro ormai che il volto di lei è bello e la voce dolce e dilettevole (Ct 2, 14)». 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 16 (trad. cit., p. 139): «Non ha detto: Tu che ho amato, bensí: tu che ha amato l’anima mia, sapendo che si deve amare lo sposo non con qualsiasi amore, ma con tutta l’anima e con tutte le forze e con tutto il cuore (Lc 10, 27)». 5 Ibidem: «egli è il Figlio della carità, anzi egli è la carità che proviene da Dio (1 Jo 4, 7)»; 3, 10, 7 (trad. cit., p. 218): «il Figlio della carità, anzi colui ch’è carità che proviene da Dio (Col 1, 13; 1 Jo 4, 7)». 6 Rufin., Orig. in cant., 3, 10, 2 (trad. cit., p. 217): «La perfezione della sposa innamorata è tale che essa vuole che nessuno agisca contro il desiderio e la volontà del suo amato».
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uniscono e formano una sola carne. Invece, l’amore secondo lo spirito ha origine dalla somiglianza (nello spirito non c’è distinzione fra maschio e femmina) e comporta un’identificazione della volontà: l’amata vuole ciò che vuole l’amato, e pertanto non sono piú due ma un solo spirito. 1 Questo amore spirituale è descritto nel prologo del Commento al Cantico dei Cantici:
Ammettiamo, p. es., che una donna, presa da ardente amore per un uomo, desideri unirsi a lui: forse essa non farà di tutto e atteggerà ogni sua azione nella maniera che sia gradita a colui che essa ama, per evitare che, avendo fatto qualcosa contro la sua volontà, quell’uomo ottimo disprezzi e rifiuti l’unione con lei? Tale donna, che arde di amore per quell’uomo con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze, […] potrà desiderare cose estranee essa che ogni suo desiderio ha impegnato nell’amore per quell’uomo? 2
Questo amore comporta un’adesione totale ed esclusiva: ogni facoltà è coinvolta («con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze... ogni suo desiderio ha impegnato nell’amore»), e pertanto non rimane alcuno spazio per un altro amore («potrà desiderare cose estranee... ?»). Non sono piú due ma un solo spirito, poiché la volontà dell’amata si identifica completamente con la volontà dell’amato: l’identificazione è tale che l’amata vuole che nessuno si opponga a ciò che vuole l’amato: «La perfezione della sposa innamorata è tale che essa vuole che nessuno agisca contro il desiderio e la volontà del suo amato». 3 L’adesione della volontà dell’amata alla volontà dell’amato è rappresentata attraverso l’immagine del cavallo che non procede secondo la sua volontà, ma è guidato e moderato secondo la volontà del cavaliere:
Perciò sono beate quelle anime che hanno piegato la loro schiena per accogliere sopra di sé come cavaliere il Verbo di Dio e sopportare il suo morso, in modo ch’egli le indirizzi dovunque e le guidi con le briglie dei suoi precetti. Infatti non procedono secondo la loro volontà, ma in tutto sono guidate e moderate secondo la volontà del cavaliere. 4
3. L’amore nell’interpretazione letterale L’interpretazione letterale conferisce evidenza agli aspetti inerenti il dramma: la descrizione della scena, i movimenti della sposa e dello sposo, lo sviluppo dell’azione. Nei momenti piú significativi il commento propone un 1 Rufin., Orig. in cant., prol. 4, 23 (trad. cit., p. 67): «questo sposo al quale ora si aπretta la sposa […] non è nei cieli bensí è penetrato ed è passato attraverso tutti i cieli, e anche lí questa sua perfetta sposa lo seguirà, anzi lí salirà stando unita e congiunta con lui: infatti con lui è diventata un solo spirito (1 Cor 6, 17)»; 1, 4, 9 (trad. cit., p. 92): «se finalmente esse giungeranno a tanto, non cammineranno né correranno piú, ma strette dai vincoli del suo amore aderiranno a lui, e in loro non ci sarà piú occasione di mobilità ma saranno un solo spirito con lui (1 Cor 6, 17) e si realizzerà riguardo a loro ciò ch’è scritto: Come tu, Padre, in me e io in te siamo una cosa sola, cosí anche costoro in noi siano una cosa sola (Jo 17, 21)». 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 43 (trad. cit., p. 50). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 10, 2 (trad. cit., p. 217). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 6, 12 (trad. cit., p. 159).
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quadro ricapitolativo, che ha una notevole importanza per la comprensione della trama del Cantico. In questi quadri è possibile seguire lo sviluppo dell’amore tra la sposa e lo sposo. Nel commento a Ct 1, 2 («Mi baci con i baci della sua bocca»), Origene disegna un quadro completo della scena. 1 Nella ricapitolazione il primo momento concerne il periodo precedente le nozze, descritto attraverso un accenno retrospettivo: la sposa «ha ricevuto degnissimi doni, a titolo di doni nuziali e di dote, da parte del nobilissimo sposo». Il secondo momento riguarda l’attesa dell’arrivo dello sposo: l’attesa è il tempo del desiderio, che è eccitazione ardore agitazione. Poiché lo sposo indugia molto a lungo, la sposa «è eccitata dal desiderio del suo amore»; «ardente per il desiderio dello sposo», «fa di tutto perché finalmente possa vedere il suo sposo e godere dei suoi baci», poiché è «agitata da un’interiore ferita d’amore». Il dolore della ferita d’amore diventa struggimento, poiché la sposa «vede che il suo amore soπre indugio e che lei non può ottenere ciò che desidera». Il terzo momento concerne la preghiera: la sposa «si volge alla preghiera e supplica Dio», «innalza le mani sante senza collera né disputa», «rivolge preghiera a Dio e dice del suo sposo: Mi baci con i baci della sua bocca». Quest’ultimo momento è la sintesi e la ricapitolazione dei precedenti: la sposa vede che non può ottenere ciò che desidera, e perciò innalza le mani sante, vestita decorosamente con modestia e sobrietà, adorna dei piú degni ornamenti, ma ardente per il desiderio dello sposo. Il commento conferisce particolare enfasi al momento della preghiera, un particolare che non si ricava dall’esegesi letterale. 2 Forse per questo motivo, la sposa è situata all’interno della casa («giacendo in casa»). Questo dettaglio peraltro costituisce un’incongruenza almeno apparente rispetto al commento a Ct 2, 9-10, dove si legge che all’inizio dell’azione la sposa sta «fuori ad un bivio», e «non vuole […] stare in casa, ma resta fuori». 3 La descrizione della sposa in atteggiamento orante («innalza le mani sante senza collera né disputa, vestita decorosamente con modestia e sobrietà») richiama 1 Tm 2, 8-9 («Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese. Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e ornamenti d’oro, di perle o di vesti sontuose»); rispetto all’ipotesto biblico si riconosce tuttavia un’interessante variazione («adorna dei piú degni ornamenti»), che evidenzia la dignità della sposa («che si addicono a nobile sposa»). Le parole di Ct 1, 2 diventano una preghiera: la sposa «rivolge preghiera a Dio e dice del suo sposo: Mi baci con i baci della sua bocca».
1
Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 3-4 (trad. cit., pp. 73-74). A proposito dell’espressione «si volge alla preghiera e supplica Dio, sapendo che egli è il padre del suo sposo», Simonetti (Origene. Commento al Cantico dei Cantici, cit., p. 74 nota 1) precisa: «Questo particolare non si ricava da un’esegesi strettamente letterale: in realtà Origene, anche quando interpreta letteralmente, è talvolta condizionato dalla interpretazione 3 allegorica che ha in mente». Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 4 (trad. cit., p. 242). 2
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Nel commento a Ct 2, 5 («Sostenetemi con profumi, appoggiatemi ai meli, poiché io sono ferita dalla carità») si trova una sintetica ricapitolazione dell’azione scenica, riassunta nei suoi sviluppi fondamentali. 1 In un primo momento, «la sposa ha ascoltato le parole rivolte a lei proprio dalla bocca dello sposo». L’esegeta fa riferimento all’interpretazione spirituale di Ct 1, 2:
egli non mi parli piú per mezzo dei suoi servi, angeli e profeti, ma venga proprio lui e mi baci con i baci della sua bocca, cioè infonda nella mia bocca le parole della sua bocca ed io lo ascolti parlare e lo veda insegnare. 2
Quindi la sposa «è entrata nella camera del tesoro del re» (Ct 1, 4: «Il re mi ha introdotto nella sua camera del tesoro»). In un terzo momento, la sposa «è entrata […] nella casa del vino» (Ct 2, 4: «Introducetemi nella casa del vino»). 3 La casa del vino è il luogo del banchetto, nel quale la sposa «ha osservato le vittime e la coppa mescolata con i misteri di lui». 4 Infine, il quarto momento riguarda la ferita d’amore: la sposa,
quasi stupefatta e ferita per l’ammirazione di tutto ciò, chiede ancora agli amici e ai compagni dello sposo di essere sostenuta e, quasi venendo meno, di essere sorretta stando un po’ appoggiata ad un albero di amyrum o di melo. Infatti colpita dalla ferita d’amore cerca il ristoro degli alberi e del bosco. 5
I quattro momenti sono legati dalle immagini dei baci, 6 del tesoro, 7 del banchetto, 8 della ferita, 9 tutte riferibili alla sapienza. Nella sequenza delle immagini è possibile riconoscere una gradazione in riferimento ai sensi
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 2 (trad. cit., pp. 209-210). Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 7 (trad. cit., p. 75). 3 Nel commento a Ct 2, 4 era stata già individuata la sequenza camera del tesoro – casa del vino/luogo del banchetto (Rufin., Orig. in cant., 3, 6, 1. 3). 4 Una descrizione del banchetto si trova già nel commento a Ct 2, 3 (Rufin., Orig. in cant., 3, 5, 7). 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 2 (trad. cit., p. 210). 6 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 11 (trad. cit., p. 76): «Ma quando da sé ha cominciato a scorgere ciò ch’era oscuro, a snodare ciò ch’era intricato, a risolvere ciò ch’era involuto, a spiegare con conveniente interpretazione le parabole, gli enigmi e le sentenze dei sapienti, allora ormai sia convinta di aver ricevuto i baci proprio del suo sposo, cioè del Verbo di Dio». 7 Rufin., Orig. in cant., 1, 5, 4 (trad. cit., p. 100): «Perciò, allorché Cristo conduce l’anima alla conoscenza del suo senso, di lei si dice ch’è stata introdotta nella camera del tesoro del re, in cui sono nascosti i tesori della sua sapienza e della sua scienza (Col 2, 3)». 8 Rufin., Orig. in cant., 3, 6, 2 (trad. cit., p. 200): «Sopra abbiamo già detto che amici dello sposo intendiamo i profeti e tutti coloro che servirono il Verbo di Dio dall’inizio del mondo: ad essi giustamente sia la Chiesa di Cristo sia l’anima che si tiene stretta al Verbo di Dio chiede che l’introducano nella casa del vino, cioè là dove la sapienza ha mescolato nella coppa il suo vino (Prv 9, 1), e per mezzo dei suoi servi prega ogni sciocco e povero di spirito dicendo: Venite, mangiate i miei pani, e bevete il vino che ho mescolato per voi (Prv 9, 5)»; 3, 6, 6 (trad. cit., p. 201): «Perciò in questa casa del vino si aπretta ad entrare sia la Chiesa sia ogni anima che desidera ciò ch’è perfetto, per godere le dottrine della sapienza e i misteri della scienza, quasi dolcezza del banchetto e gioia del vino». 9 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 15 (trad. cit., p. 213): «In questo ch’è, per cosí dire, un dramma d’amore la sposa dice di aver ricevuto le ferite della carità. Ma l’anima che arde per la sapienza di Dio analogamente può dire: io sono ferita dalla sapienza, quell’anima cioè che può scorgere la bellezza della sapienza di Dio». 2
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interiori: ‘ascoltare’ le parole, ‘vedere’ i tesori, ‘gustare’ le dottrine della sapienza. Dopo aver contemplato la sapienza e goduto della sua dolcezza, l’anima rimane trafitta dal suo dardo. 1 Nel commento a Ct 2, 9-10 si trova una dettagliata ricapitolazione dell’azione scenica. Una prima fase è costituita dall’attesa dello sposo. Ad eccezione delle parole della sposa, ricavate dal testo del Cantico, la scena è interamente ricostruita dall’esegeta.
Mi sembra di capire che dall’inizio dell’azione la sposa stia fuori ad un bivio e che per l’amore che porta allo sposo guardi da una parte e dall’altra se egli venga, se appaia; né essa vuole incamminarsi per una strada, finché ignora da che parte egli venga. Non vuole neppure stare in casa, ma resta fuori e agitata dal desiderio di lui dice: Mi baci con i baci della sua bocca (Ct 1, 2). 2
La scena è ambientata all’esterno («mi sembra… che… stia fuori», «non vuole neppure stare in casa, ma resta fuori»), diversamente da come era avvenuto nel commento a Ct 1, 2 («giacendo in casa»). La sposa è situata ad un bivio, in modo da evidenziare la sua incertezza: infatti non sa da che parte venga lo sposo. La seconda fase riguarda l’arrivo dello sposo. Il momento è rievocato attraverso le parole della sposa: «Quando poi lo sposo arriva, essa dice: Le tue mammelle sono deliziose piú del vino (Ct 1, 2), e ciò che segue fino a correremo dietro di te (Ct 1, 4)».3 Il desiderio della sposa è corrisposto dalla carità dello sposo, che la introduce nella camera del tesoro.
Dopo, ormai amata e ricevendo dallo sposo il contraccambio della carità, viene introdotta nella camera del tesoro di lui e dice: Il re mi ha introdotto nella sua camera del tesoro (Ct 1, 4). 4
Alla descrizione delle prime due fasi segue un’annotazione dell’esegeta, che individua il tema principale del discorso nella presenza/assenza dello sposo. D’altra parte si deve capire che lo sposo, in quanto uomo, non sta sempre in casa e non sta sempre accanto alla sposa che resta in casa, ma esce spesso; e quella, quasi spasimando per l’amore di lui, cerca l’assente; e talvolta egli torna a lei. Perciò mi sembra che per tutto il libro talvolta lo sposo viene ricercato perché è assente, talvolta invece è presente e parla con la sposa. 5
Il commento evidenzia i movimenti scenici, e in particolare l’ingresso della sposa nella casa del vino (Ct 2, 4: «Introducetemi nella casa del vino») e il ritorno dello sposo a casa (Ct 2, 8: «Ecco, egli viene balzando sui monti e passando sui colli»). 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 13. Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 4 (trad. cit., p. 242). 3 Ibidem. Dei versetti 1, 1-4 del Cantico sono richiamate la frase iniziale e finale, ad esclusione delle parole che riguardano i profumi. Queste parole erano state già commentate in un’altra sequenza narrativa. 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 5 (trad. cit., p. 242). 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 6 (trad. cit., p. 242). 2
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Questa [scil. la sposa] dal canto suo, dopo aver visto molte e magnifiche cose nella camera del tesoro dello sposo, chiede di essere introdotta anche nella casa del vino. Entra e l’osserva; ma lo sposo, ch’è uomo, non è rimasto in casa; perciò agitata di nuovo dall’amore di lui la sposa esce fuori e va in giro intorno alla casa, entrando uscendo e guardando da ogni parte quando ritorni a lei lo sposo. Ed ecco, all’improvviso lo vede che superando a larghi salti i gioghi dei vicini monti scende verso la casa, dove essa spasima in ansia per amore di lui. 1
L’ultima fase, l’arrivo dello sposo, è rappresentata attraverso le parole di Ct 2, 9 («Ecco, egli si è fermato dietro la nostra parete, sporgendosi attraverso le finestre e guardando attraverso le reti»). Lo sposo arrivato si ferma per un momento dietro la parete della casa […]. Ma ormai, sentendo anche lui l’amore per la sposa, grazie alla sua alta statura, che arriva fino alle finestre della casa (queste finestre hanno una parte fatta – come dicono – a reticolo), egli si sporge attraverso, e piú alto ancora della finestra, ne arriva a toccare la parte piú alta, munita di reticolo. 2
4. L’amore nell’interpretazione tipologica Nell’interpretazione tipologica il rapporto fra lo sposo e la sposa è immagine del rapporto fra Cristo e la Chiesa. La prima fase consiste nella preparazione della sposa e nell’attesa dello sposo, e corrisponde al servizio reso alla Chiesa dagli angeli e dai profeti: gli angeli hanno recato come dono nuziale la legge; i profeti hanno annunciato la venuta del Figlio di Dio, e in questo modo hanno comunicato alla Chiesa il desiderio delle nozze con Cristo. È possibile distinguere tre momenti: 1. i profeti desiderano che la Chiesa si sposi con il Figlio di Dio; 2. per infiammare la Chiesa di amore e di desiderio per il Figlio di Dio, profeticamente le annunciano il suo arrivo e le narrano le sue innumerevoli virtù e le sue opere immense; 3. dopo che i profeti le hanno descritto la bellezza, l’aspetto, la bontà del Figlio di Dio, la Chiesa si è infiammata d’amore per lui. La propagazione del desiderio, che comunicandosi diventa amore, è descritta attraverso le immagini dell’accendere e dell’infiammarsi; la fiamma indica un ardore insopportabile, che è amore e desiderio. L’amore di Cristo si comunica alla Chiesa attraverso il servizio reso dagli angeli e dai profeti.3 Gli angeli «erano stati messi a fianco della sposa ancora bambina in qualità di tutori e procuratori insieme col pedagogo, cioè la legge». 4 Nel diritto il termine procurator indica il rappresentante per l’amministrazione del patrimonio. Gli angeli hanno pertanto la funzione di proteggere la sposa, ancora bambina, e di amministrare i suoi beni, e la legge ha la funzione di educarla e istruirla. Prima che lo sposo fosse presente e si facesse conoscere, i suoi amici fece
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 7 (trad. cit., pp. 242-243). Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 8 (trad. cit., p. 243). 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 5-6. 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 3 (trad. cit., p. 164). 2
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ro per la sposa oggetti simili all’oro (Ct 1, 11: «Oggetti simili all’oro faremo per te»), «a√nché incitata e spinta da quella somiglianza essa fosse presa dal desiderio dell’oro autentico». 1 La seconda fase consiste nell’unione fra lo sposo e la sposa, in seguito alla venuta di Cristo. Per amore della Chiesa, Cristo «venne a lei, e come i suoi figli partecipavano della carne e del sangue, anche lui ne è diventato partecipe (Hbr 2, 14) e si è consegnato per loro (Gal 2, 20)». 2 La carità è «il motivo della sua venuta, la causa della redenzione e della passione». 3 «Cristo ha amato la sua Chiesa ed ha consegnato se stesso per lei, per santificarla nel lavacro di acqua nella parola, per prepararsi una Chiesa gloriosa che non avesse né macchia né ruga o qualcosa del genere, ma fosse santa e immacolata al suo cospetto (Eph 5, 25-27)». 4 La Chiesa aveva chiesto agli amici dello sposo
di essere introdotta nella casa del vino, dove senza dubbio aveva compreso che fra tutto ciò che aveva visto eccelleva e spiccava la grazia della carità e aveva imparato che la carità è la piú importante di ogni cosa e la sola che non venga meno (1 Cor 13, 13. 8). 5
La casa del vino è il luogo del banchetto imbandito dalla sapienza; fra tutto ciò che è oπerto nel banchetto, eccelle e primeggia la carità. Dunque c’è un ordine per il quale la carità ha il primo posto fra tutte le cose; ma c’è anche un ordine nella stessa carità. Per questo motivo, la Chiesa chiede agli amici dello sposo (gli angeli, i profeti, gli apostoli) di apprendere il suo ordine, per evitare, nel caso faccia qualcosa di contrario a questo ordine, di ricevere dalla carità qualche ferita, come poco dopo dice: Sono ferita dalla carità (Ct 2, 5). 6 Se poi interpretiamo queste parole come rivolte agli angeli, ai quali la sposa chiede istruzione e protezione, ciò non sembrerà errato […]. E nell’Apocalissi di Giovanni il Figlio di Dio rende testimonianza all’angelo di Tiatira per la carità che questo angelo aveva ben ordinato nella Chiesa a lui a√data […]. Ma non sembrerà neppure errato riferire quelle parole ai profeti […] per opera della loro dottrina la Chiesa sembra voler imparare l’ordine della carità, cioè essere istruita dagli scritti profetici. […] Non sarà infine fuor di luogo […] che queste parole siano rivolte agli apostoli: infatti per opera loro […] la Chiesa di Dio […] viene introdotta nella casa del vino, è colmata di profumi e odori ed è adagiata fra i meli […] per apprendere tutto l’ordine e il significato della carità. 7
Nel testo si distinguono le mansioni specifiche assegnate agli amici dello sposo: gli angeli hanno la funzione di proteggere la Chiesa, i profeti hanno il compito di istruirla, e infine gli apostoli la introducono nel luogo del banchetto, dove la Chiesa può gustare la soavità della carità del Figlio di Dio. 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 21 (trad. cit., p. 169). Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 7 (trad. cit., pp. 165-166). Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 5 (trad. cit., p. 91). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 7, 4. 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 27 (trad. cit., p. 208). 7 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 28-31 (trad. cit., pp. 208-209). 2 3
6
Ibidem.
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L’unione fra la Chiesa e Cristo è rappresentata come un abbraccio (Ct 1, 13: «rimarrà in mezzo alle mie mammelle»): «la Chiesa tiene Cristo […] bene stretto e legato dai legami del suo desiderio». 1 È l’abbraccio con il quale la Chiesa accoglie e stringe a sé Cristo dopo la sua venuta. Ma la Chiesa vuole a sua volta essere abbracciata dal Verbo di Dio (Ct 2, 6: «La sua sinistra sotto la mia testa e la sua destra m’abbracci»):
la sposa, cioè la Chiesa, chiede che il suo sposo, il Verbo di Dio, le sollevi il capo con la sinistra e con la destra abbracci e stringa tutto il resto del corpo. 2
La Chiesa, stretta tra le braccia del Verbo di Dio, è rassicurata con la fede nell’incarnazione e confortata con la promessa dell’eternità. Infatti «l’attività provvidenziale del Verbo di Dio anteriore all’incarnazione può essere vista come la destra, invece l’attività svolta per mezzo dell’incarnazione si può chiamare sinistra». 3
Per destra infatti dobbiamo intendere in Cristo tutto ciò in cui non c’è nulla che riguardi le miserie dei peccati e la caduta dovuta alla fragilità, per sinistra ciò con cui egli ha curato le nostre ferite ed ha portato i nostri peccati, divenuto egli stesso per noi peccato e maledizione (1 Pt 2, 24; Gal 3, 13). 4 Perciò si dice che egli ha nella sinistra ricchezza e gloria: infatti con l’incarnazione egli ha cercato ricchezza e gloria, cioè la salvezza di tutti i popoli. Invece nella destra c’è lunghezza di vita, ad indicare certo l’eternità per cui in principio il Verbo era presso Dio (Jo 1, 1). Tale sinistra la Chiesa, di cui Cristo è il capo, desidera avere sotto la sua testa, perché questa sia protetta con la fede nell’incarnazione di lui; e desidera essere abbracciata dalla sua destra, cioè conoscere ed essere istruita riguardo alle verità tenute nascoste e celate fin dal tempo che ha preceduto l’incarnazione. 5
5. L’amore nell’interpretazione psicologica Nell’interpretazione psicologica il rapporto fra la sposa e lo sposo è immagine del rapporto fra l’anima perfetta e il Verbo di Dio. Questa prospettiva illustra nel modo piú coerente e puntuale lo sviluppo della storia d’amore. L’amore è unito al desiderio finché l’amato non si rende presente; poiché non è pieno e perfetto l’appagamento del desiderio e dell’amore, l’anima prega che la sua mente sia illuminata dalla luce del Verbo di Dio. 6 In seguito l’amore si fa presente eπondendosi (Ct 1, 3: «Profumo diπuso») e impregnando le anime, che sentono la sua soavità e sono eccitate alla ricerca di un’adesione piú stretta. È un amore interno, ma non ancora intimo come quello dell’anima perfetta, nella quale non c’è piú mobilità ma stabile adesione. Dopo che le anime hanno tratto a sé il Verbo di Dio e lo hanno fatto entrare nei loro sensi e nel loro intelletto, conoscono la sua carità
1
Rufin., Orig. in cant., 2, Rufin., Orig. in cant., 3, Rufin., Orig. in cant., 3, 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 6 Rufin., Orig. in cant., 1, 2 3
10, 11 (trad. cit., p. 182). 9, 5 (trad. cit., p. 215). 9, 7 (trad. cit., p. 216). 9, 10 (trad. cit., p. 216). 9, 8-9 (trad. cit., p. 216). 1, 10.
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sentendo la soavità del suo odore, la fragranza dei suoi profumi, gli odori di un profumo divino e ineπabile. 1 Le fanciulle hanno amato il Verbo di Dio per il profumo svanito, cioè perché si è annientato dalla forma di Dio e in questo modo ha fatto conoscere la sua carità, che è il motivo della sua venuta, la causa della redenzione e della passione, la causa per la quale egli immortale ha aπrontato la morte in croce. Incitate da questo profumo, diventate piene di vigore e alacrità, le anime corrono dietro di lui (Ct 1, 4: «Correremo dietro di te all’odore dei tuoi profumi»), per giungere alla sua incomprensibile e ineπabile sostanza, cioè alla sua divinità;
se finalmente esse giungeranno a tanto, non cammineranno né correranno piú, ma strette dai vincoli della sua carità aderiranno a lui, e in loro non ci sarà piú occasione di mobilità ma saranno un solo spirito con lui (1 Cor 6, 17). 2
Questa è la condizione della sposa, cioè dell’anima unita al Verbo di Dio. La sposa ha amato il Verbo di Dio non per il profumo svanito, ma per la pienezza dei suoi profumi, cioè ha amato il Verbo nella forma di Dio. 3 L’amore è adesione stretta, abbraccio, soavità di un’intima presenza. Lo sposo rimane e riposa in mezzo alle mammelle della sposa (Ct 1, 13: «rimarrà in mezzo alle mie mammelle»), e l’amato odora per lei come una goccia di profumo, tenuta ben legata e costretta (Ct 1, 13: «Sacchetto di profumo ben legato è per me il mio amato»), perché la dolcezza dell’odore sia resa piú densa e forte. 4 Grazie alla principale facoltà del cuore, rappresentata dalle mammelle, l’anima tiene il Verbo di Dio
bene stretto e legato dai legami del suo desiderio. Infatti solo chi tiene stretto in cuor suo il Verbo di Dio con tutto l’aπetto e tutto l’amore potrà ricevere il profumo della sua fragranza e della sua dolcezza. 5
L’amore è la soavità e il calore di un’intima presenza che è ristoro per l’anima. Le sensazioni del profumo che inebria e del calore che riscalda sono associate alle immagini del fiore e del frutto di cipro (Ct 1, 14: «Un grappolo di cipro è per me il mio amato nelle vigne di Engaddi»). Per cipro si intende una pianta, del cui frutto e fiore si dice che posseggano tanta dolcezza di odore quanta capacità di ristorare e riscaldare. Questa pianta indica la «facoltà dello sposo, da cui le anime sono infiammate alla fede per lui e alla carità». 6 Le anime sono infiammate alla carità dalla contemplazione della bellezza, della bontà, delle innumerevoli virtù e delle opere immense del Verbo di Dio. 7
1
Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 5. Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 9 (trad. cit., p. 92). 4 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 28-29. Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 1. 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 11 (trad. cit., p. 182). 6 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 9 (trad. cit., pp. 183-184). 7 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 46 (trad. cit., p. 51): «da tale amore è infiammata e arde l’anima beata per il Verbo di Dio»; prol. 3, 23 (trad. cit., p. 59): «vedremo allora se riusciamo, contemplata la bellezza del Verbo di Dio, ad infiammarci per lui di amore apportatore di salvezza»; 1, 1, 6 (trad. cit., pp. 74-75): «per infiammarmi d’amore e di desiderio per lui […] mi hanno narrato le sue innumerevoli virtù e le sue opere immense. Mi hanno anche descritto 2 3
l’amore nel commento al cantico dei cantici
47
La carità occupa il posto principale nel banchetto imbandito dalla sapienza. 1 L’anima era stata introdotta nella sala del banchetto, «per godere le dottrine della sapienza e i misteri della scienza»; 2
aveva compreso che fra tutto ciò che aveva visto eccelleva e spiccava la grazia della carità e aveva imparato che la carità è la piú importante di ogni cosa e la sola che non venga meno (1 Cor 13, 13. 8); ora perciò chiede di apprendere il suo ordine, per evitare, nel caso faccia qualcosa di contrario a questo ordine, di ricevere dalla carità qualche ferita. 3
L’anima si sente ferita e lacerata se si accorge che in se stessa la carità non è ordinata, cioè non è conforme all’ordine che individua il suo primato su tutte le cose. La carità, l’amorevole presenza di Dio, è penetrata nell’anima e agisce con forza all’interno di essa per assumere il primato che ancora non ha. La carità è un sentimento acuto e penetrante, che ferisce, trafigge, rimane infisso nell’anima (Ct 2, 5: «Sono ferita dalla carità»). Questo sentimento è insopportabile per l’anima, che però non può fare a meno di amare. Se mai c’è qualcuno che una volta è stato arso da tale fedele amore per il Verbo di Dio, che, come dice il profeta, ha ricevuto la dolce ferita della sua freccia eletta (Is 49, 2), ch’è stato trafitto dal dardo amabile della sua scienza sí da sospirare per il desiderio di lui notte e giorno, sí da non poter dire altro, non voler udire altro, non saper pensare desiderare bramare altro che lui, tale anima a ragione dice: Sono ferita dalla carità (Ct 2, 5). 4
La freccia indica la carità che trafigge l’anima, passando da parte a parte; la ferita è il senso di acuto e penetrante dolore per la freccia della carità confitta nell’anima, il sospiro per questo amore che è rimasto infisso nel cuore e non permette di pensare ad altro. L’amore non è piú ardore superficiale (eccitazione, agitazione), ma dolore intimo e lancinante. La carità è penetrata nelle viscere dell’anima, rimanendo confitta nel cuore dal quale non può essere estratta. L’anima non riesce a liberarsi da questo unico pensiero e desiderio. Con tale ferita conviene che Dio colpisca le anime, che le trafigga con tali dardi e frecce, e che le ferisca con ferite che apportano la salvezza, cosí che anch’esse, poiché Dio è carità (1 Jo 4, 8), dicano: Poiché io sono ferita dalla carità (Ct 2, 5). 5
L’amore è la presenza illuminante del Verbo di Dio, che con le sue parole (Ct 2, 8: «Ecco la voce del mio amato») chiarisce ciò che è oscuro. Meglio la sua bellezza, il suo aspetto, la sua bontà, sí che per tutto ciò io mi sono infiammata d’amore per lui in maniera che non si può piú sopportare». 1 Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 41 (trad. cit., p. 175): «Con quali cibi si nutriscono questi convitati? Lí la pace è il primo cibo, viene imbandita l’umiltà insieme con la pazienza, la mansuetudine anche e la dolcezza, e ciò ch’è di piú grande soavità, la purezza del cuore. Ma in tale banchetto la carità occupa il posto principale». 2 Rufin., Orig. in cant., 3, 6, 6 (trad. cit., p. 201). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 27 (trad. cit., p. 208). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 13 (trad. cit., p. 212). 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 14 (trad. cit., p. 213).
parte prima. amatorium drama
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di altre immagini, l’alternanza oscurità/chiarezza esprime la lontananza/ presenza del Verbo di Dio. Cosí anche l’anima, quando cerca qualche spiegazione e desidera conoscere cose oscure e segrete, finché non riesce a capire, senza dubbio il Verbo di Dio è lontano da lei. Ma quando le sarà venuto in mente e apparso chiaramente ciò ch’essa cercava, chi dubiterà che le è vicino il Verbo di Dio, a illuminare la mente e a darle luce di conoscenza? 1
L’incomprensione e l’oscurità è segno della lontananza del Verbo di Dio; la conoscenza e la chiarezza è invece segno della sua presenza. Cosí di volta in volta ci accorgiamo che egli ora è lontano ora è vicino a seconda delle singole questioni che nella nostra coscienza o diventano chiare o restano oscure. 2
L’alterna presenza è distinta dalla presenza continuativa e dall’inabitazione divina nell’anima. E sopportiamo questa condizione fino al momento in cui diventiamo tali che egli si degna non solo di visitarci di frequente, ma anche di rimanere presso di noi, secondo quanto, interrogato da un discepolo: Signore, come mai tu cominci a rivelarti a noi e non a questo mondo?, il Salvatore risponde: Se uno mi ama, custodisce la mia parola, e il Padre mio lo ama e verremo a lui e in lui prenderemo dimora (Jo 14, 22-23). 3
La carità è l’inabitazione di Dio nell’anima. L’immagine della reggia e della casa, descritta nel commento a Ct 2, 9-10, illustra i momenti del rapporto fra l’anima e il Verbo di Dio. 4 1. L’anima, sposa del Verbo, sta nella sua reggia, la Chiesa, ed è introdotta nella camera del tesoro e nella casa del vino, dove vede e gusta i misteri della sapienza e della scienza, il vino nuovo e il vino vecchio rappresentato dalla legge e dai profeti. 2. Introdotta in questi misteri, l’anima accoglie in sé il Verbo. 3. Questa presenza, tuttavia, non è continuativa: il Verbo talvolta visita l’anima, talvolta la abbandona. 4. Quando il Verbo visita l’anima, le rivela gli eccelsi princípi della sapienza e della scienza, e in questo modo edifica la Chiesa, la casa del Dio vivente, preparandosi una dimora nell’anima posta dentro le fortificazioni della fede e l’edificio della sapienza, e coperta dagli alti fastigi della carità. L’immagine della reggia e della casa compare all’inizio e alla fine del passo: all’inizio si trova la reggia, la dimora del re, la Chiesa, nella quale l’anima conosce i misteri; alla fine si trova invece la casa, la dimora che Dio si costruisce nell’anima. La carità è trascendenza. L’immagine della finestra, descritta nel commento a Ct 2, 10-13, indica il passaggio attraverso il quale avviene la comunicazione fra l’interno e l’esterno. 5 Nel movimento dall’interno all’esterno sono individuati i momenti del rapporto fra l’anima e il Verbo di Dio.
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 11, 18 (trad. cit., p. 223). Rufin., Orig. in cant., 3, 11, 19 (trad. cit., p. 223). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 10-13. 5 Rufin., Orig. in cant., 4, 1, 2-4. 2
3
Ibidem.
l’amore nel commento al cantico dei cantici
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1. All’anima degna di sé e adatta a riceverlo, il Verbo si è mostrato per mezzo dei sensi corporei, cioè per mezzo della lettura del testo sacro e dell’ascolto della dottrina, come attraverso una finestra. 2. Dalla finestra il Verbo invita l’anima ad uscire, a venire fuori dai sensi corporei, a cessare di essere nella carne. 3. Solo l’anima che non è nella carne ma nello spirito è vicina al Verbo. L’anima si unisce al Verbo di Dio e diventa con lui un solo spirito. È detta bella perché la sua immagine si rinnova di giorno in giorno. È detta colomba perché è capace di ricevere lo Spirito Santo: infatti ha concepito amore per il Verbo di Dio e desidera arrivare a lui con celere volo, e riposerà allorché avrà compreso i tesori della sua sapienza e della sua scienza. L’unione nello spirito è assimilazione, volo del pensiero che riposa solo quando ha raggiunto la comprensione. La carità è il primo frutto dello spirito. Le immagini meteorologiche dell’alternanza della stagione invernale e primaverile, descritte nel commento a Ct 2, 10-13, individuano la congiuntura di tempo favorevole a√nché l’anima, rappresentata come una pianta, produca prima i fiori e poi le gemme e i germogli che portano i frutti. 1 1. Prima devono essere allontanati dall’anima ogni inverno di turbamenti e ogni tempesta di vizi, sí che essa non ondeggi piú e non sia trascinata qua e là da ogni vento di dottrina. 2. Allora cominceranno a fiorire nell’anima i fiori delle virtù; verrà per lei anche il tempo della potatura, e se qualcosa di superfluo e inutile sarà rimasto nei suoi sensi e nei suoi pensieri, sarà tagliato via, ed essa sarà ridotta alle gemme della comprensione spirituale. 3. In questa congiuntura di tempo favorevole, lo spirito comincerà a metter fuori i germogli dei frutti. Per l’interpretazione del testo è necessario chiarire il significato delle immagini: la gemma è l’abbozzo embrionale da cui si sviluppano nuovi germogli o solo foglie; il germoglio è il ramo sviluppatosi dall’apertura di una gemma. Pertanto il testo descrive lo sviluppo prima delle gemme e poi dei germogli che portano i frutti. I frutti sono infine descritti nel commento a Ct 2, 13-14. Il primo frutto dello spirito di Dio è la carità e il secondo è la gioia, il sentimento di un amore corrisposto: il viso gioioso e ridente, espressione di un cuore che è lieto perché ha in sé lo spirito di Dio. 2
1
Rufin., Orig. in cant., 4, 1, 6-9.
2
Rufin., Orig. in cant., 4, 2, 18.
parte seconda DE AMORIS NATURA
L’AMORE E LA CARITÀ 1. Premessa
N
el Commento al Cantico dei Cantici una parte del prologo è dedicata all’argomento dell’amore:
Igitur necessarium mihi videtur, antequam ad ea quae in hoc libello scripta sunt discutienda veniamus, de amore prius ipso, qui est scripturae huius causa praecipua, pauca disserere […]. 1
Il Cantico dei Cantici è un epitalamio o carme nuziale, e l’autore, Salomone, lo ha cantato a guisa di sposa promessa che va a nozze e arde di amore celeste per il suo sposo, che è il Verbo di Dio. 2 Le parole d’amore di questo carme nuziale possono però essere fraintese:
Si vero aliquis accesserit, qui secundum carnem tantummodo vir est, huic tali non parum ex hac scriptura discriminis periculique nascetur. Audire enim pure et castis auribus amoris nomina nesciens, ab interiore homine ad exteriorem et carnalem virum omnem deflectet auditum, et a spiritu convertetur ad carnem nutrietque in semet ipso concupiscentias carnales, et occasione divinae scripturae commoveri et incitari videbitur ad libidinem carnis. 3
L’interpretazione distorta – indicata dal verbo deflecto che significa ‘torcere’, ‘curvare’, ‘piegare in giù’ – comporta una ‘caduta di significato’ dal senso spirituale a quello carnale. In seguito all’interpretazione distorta, l’uomo si volge (si noti l’uso del verbo converto) dallo spirito alla carne e alimenta in se stesso le concupiscenze carnali; pertanto è egli stesso che favorisce lo sviluppo delle passioni, anche se sembra essere spinto e incitato alla libidine della carne a motivo della Sacra Scrittura. La parte del prologo che tratta l’argomento dell’amore ha dunque lo scopo di evitare un’interpretazione viziosa e carnale e proporre invece un’interpretazione corretta e spirituale. 2. L’amore (prol. 2, 1-3) In prol. 2, 1-3 è trattato l’argomento de amoris natura. Il testo propone per due volte il confronto fra i Greci e i cristiani (Graeci-nos). Il primo confronto riguarda l’elevazione d’amore: presso i Greci, molti eruditi viri hanno individuato nell’amore la forza che conduce l’anima dalla terra agli eccelsi fastigi del cielo; tuttavia, presso di noi, simpliciores et imperitiores, questa elevazione sembra di√cile e pericolosa. Il secondo confronto concerne la caduta: presso i Greci, che sembrano «sapientes et eruditi», alcuni sono precipitati nelle cadute della carne e nei precipizi dell’impudicizia; anche noi possiamo incorrere in qualcosa di simile (si noti la ripresa corruerunt in... - incurramus). La prima parte del passo (prol. 2, 1) espone le dottrine dei Greci. Apud Graecos quidem plurimi eruditorum virorum volentes investigare veritatis indaginem, de amoris natura multa ac diversa etiam dialogorum stilo scripta protulerunt, conantes ostendere 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 8 (ed. cit., p. 86). Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 1. 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 1, 6 (ed. cit., p. 84). 2
parte seconda. de amoris natura
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non aliud esse amoris vim nisi quae animam de terris ad fastigia caeli celsa perducat, nec ad summam posse beatitudinem perveniri nisi amoris desiderio provocante. Sed et quaestiones de hoc quasi in conviviis propositae referuntur, inter eos, puto, inter quos non ciborum, sed verborum convivium gerebatur. Alii vero etiam artes quasdam, quibus amor hic in anima gigni vel augeri posse videretur, conscriptas reliquerunt. Sed has artes carnales homines ad vitiosa desideria et culpabilis amoris mysteria traxerunt. 1
Nel testo si individuano tre momenti: l’indagine sulla natura dell’amore, la scoperta delle arti per lo sviluppo dell’amore, l’uso distorto delle arti per cercare l’amore nelle cose terrene. La caduta dell’anima avviene nel momento in cui essa non si lascia trasportare dalla forza trascendente dell’amore, ma costringe questa forza nei limiti della psiche, o addirittura la sottomette agli impulsi del corpo. Questa forza agisce in accordo con la natura, e non obbedisce ai princípi di un’arte umana, che costituiscono per essa un limite; impedendo l’azione della forza che dovrebbe condurla fino al cielo, l’anima cade e precipita sulla terra. La maggior parte dei dotti vuole indagare la verità («investigare veritatis indaginem»), inseguirla e intrappolarla come in una caccia: il verbo investigo significa ‘seguire le orme’ (con riferimento ai cani da caccia); il sostantivo indago significa ‘rete’, ‘trappola’, ‘filo da caccia’. Questi dotti hanno proposto molte diπerenti osservazioni confrontandole nel dialogo, e tuttavia sono concordi nell’individuare la natura dell’amore. Gli schemi «non aliud... nisi» e «nec... nisi» indicano l’esito necessario e inevitabile dell’indagine: la forza dell’amore non è altro se non quella che conduce l’anima dalla terra agli eccelsi fastigi del cielo, e non si può arrivare alla somma beatitudine se non per la spinta del desiderio d’amore. L’espressione «amoris vim» indica una forza che determina un’elevazione «de terris ad fastigia caeli celsa», dalla terra alle sommità eccelse del cielo; l’immagine della sommità è ripresa in riferimento alla beatitudine («summam... beatitudinem»), alla quale l’anima può pervenire solo per impulso del desiderio d’amore («amoris desiderio»). Dunque, nella forza dell’amore è possibile riconoscere una componente tensiva, rappresentata dal desiderio. Le indicazioni presenti nel testo rinviano a Platone: in particolare, l’espressione «dialogorum stilo scripta» fa riferimento ai dialoghi nei quali è trattato il tema dell’amore: il Simposio e il Fedro. Le locuzioni «in conviviis» e «non ciborum, sed verborum convivium» 2 sembrano fare allusione al Simposio. Nel Simposio, peraltro, l’elevazione d’amore è rappresentata come un’ascesa per gradi; 3 invece, il testo sembra piuttosto evocare immagini del Fedro, nel
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 1 (ed. cit., p. 90). La correctio «non ciborum, sed verborum convivium gerebatur» precisa che fra queste persone (i «plurimi eruditorum virorum») «si faceva convito non di cibi ma di parole», a indicare una condivisione che non riguarda beni materiali ma spirituali. 3 Pl., Smp., 211b-d (ed. John Burnet, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2001, pp. 118-120): tou`to ga;r dhv ejsti to; ojrqw`~ ejpi; ta; ejrwtika; ijevnai h] uJpV a[llou a[gesqai, ajrcovmenon 2
ajpo; tw`nde tw`n kalw`n ejkeivnou e{neka tou` kalou` ajei; ejpanievnai, w{sper ejpanabasmoi`~ crwvmenon, ajpo; eJno;~ ejpi; duvo kai; ajpo; duoi`n ejpi; pavnta ta; kala; swvmata, kai; ajpo; tw`n kalw`n swmavtwn ejpi; ta; kala; ejpithdeuvmata, kai; ajpo; tw`n ejpithdeumavtwn ejpi; ta; kala; maqhvmata, kai; ajpo; tw`n maqhmavtwn ejpV ejkei`no to; mavqhma teleuth`sai, o{ ejstin oujk a[llou h] aujtou` ejkeivnou tou` kalou` mavqhma, kai; gnw/` aujto; teleutw`n o} e[sti kalovn.
l’amore e la carità
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quale è descritto il volo dell’anima: l’amore fa crescere nuovamente le ali all’anima, 1 dopo che essa le ha perse precipitando sulla terra: 2 alla visione della bellezza sensibile, l’anima recupera la memoria della bellezza intelligibile, è presa dal desiderio di librarsi in volo e acquisisce nuovamente le ali. 3 Dalla maggior parte dei dotti che hanno indagato la natura dell’amore («de amoris natura») sono distinti gli altri (alii), che hanno lasciato scritto le arti (artes) per mezzo delle quali questo amore sembra poter nascere e crescere nell’anima. Nel passo si riconosce la contrapposizione fra natura e artes; tali arti solo in apparenza (videretur) possono determinare l’insorgere e lo sviluppo («gigni vel augeri») di questo amore («amor hic»: si intende la forza che eleva dalla terra al cielo), che invece nasce e cresce nell’anima in modo naturale. Il tentativo di controllare questo amore, sia pure per svilupparlo, può dare in alcuni casi l’esito di distorcerlo e deviarlo (traxerunt). Il modo in cui l’amore, che è una forza che eleva dalla terra al cielo, diventa colpevole, rimane un mistero («culpabilis amoris mysteria»).
* La seconda parte del passo (prol. 2, 2) stabilisce un confronto fra i Greci e i cristiani. Non ergo mirum sit si et apud nos, ubi quanto plures simpliciores, tanto plures et imperitiores videntur, di√cilem dicimus et periculo proximam de amoris natura disputationem, cum apud Graecos, qui sapientes et eruditi videntur, fuerint tamen aliqui qui de his non ita acceperint ut scriptum est, sed occasione eorum quae de amore dicta sunt, in lapsus carnis et in impudicitiae praecipitia corruerunt, sive ex his quae scripta erant, ut supra memoravimus, admonitiones quasdam atque incitamenta sumentes, sive incontinentiae suae velamen scripta veterum praefe rentes. 4
I cristiani e i Greci sono contrapposti gli uni agli altri attraverso dittologie antitetiche (simpliciores e imperitiores per i cristiani, sapientes e eruditi per i Greci). Invero questi termini, per quanto stabiliti dalla tradizione, sono riconducibili a mere apparenze. Presso i cristiani, «quanto piú numerosi sono i piú semplici, tanto piú numerosi sembrano (videntur) essere anche i piú inesperti». La comparativa («quanto plures simpliciores, tanto plures et imperitio res videntur») individua tra simplicitas e imperitia un’apparente correlazione, che è l’origine di un equivoco; i cristiani sono semplici, ma tutt’altro che inesperti: infatti «diciamo di√cile e pericolosa la disputa sulla natura dell’amore». D’altra parte, i Greci «sembrano (videntur) sapienti ed eruditi»; non 1 Pl., Phdr., 252b (ed. John Burnet, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 1998, p. 84): levgousi de; oi\maiv tine~ ÔOmhridw`n ejk tw`n ajpoqevtwn ejpw`n duvo e[ph eij~ to;n “Erwta, w|n to;
e{teron uJbristiko;n pavnu kai; ouj sfovdra ti e[mmetron∑ uJmnou`si de; w|de < to;n dV h[toi qnhtoi; me;n “Erwta kalou`si pothnovn, ajqavnatoi de; Ptevrwta, dia; pterofuvtorV ajnavgkhn. 2 Pl., Phdr., 246b-c (ed. cit., p. 66): televa me;n ou\n ou\sa kai; ejpterwmevnh metewroporei` te kai; pavnta to;n kovsmon dioikei`, hJ de; pterorruhvsasa fevretai e{w~ a]n stereou` tino~ ajntilavbhtai, ou| katoikisqei`sa, sw`ma ghvi>non labou`sa ª...º. 3 Pl., Phdr., 249d (ed. cit., p. 76): ª...º o{tan to; th`Êdev ti~ oJrw`n kavllo~, tou` ajlhqou`~ ajna mimnhÊskovmeno~, pterw`taiv te kai; ajnapterouvmeno~ proqumouvmeno~ ajnaptevsqai ª...º. 4
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 2 (ed. cit., p. 90).
parte seconda. de amoris natura
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tutti, però, si sono dimostrati tali: infatti «ci sono stati tuttavia alcuni che su questo argomento non hanno inteso cosí com’era stato scritto, ma a motivo di ciò ch’era detto intorno all’amore sono precipitati nelle cadute della carne e nei precipizi dell’impudicizia». Alla luce di queste considerazioni, l’apparente contrapposizione si rivela essere paradossale: i cristiani, che sembrano inesperti, sono in realtà sapienti; invece i Greci, che sembrano sapienti, sono in realtà inesperti. In verità, tra una posizione e l’altra non c’è alcuna opposizione: i cristiani dichiarano la di√coltà e il pericolo di cadere e precipitare, come è accaduto ad alcuni tra i Greci. La disputa sulla natura dell’amore risulta «di√cilis et periculo proxima»: la di√coltà riguarda la comprensione di ciò che è stato scritto sull’amore, e il pericolo è interpretare in senso carnale ciò che è stato scritto in senso spirituale. L’errore interpretativo, che comporta una caduta dal significato spirituale a quello carnale, è l’origine della caduta morale: «a motivo di ciò ch’era detto intorno all’amore sono precipitati nelle cadute della carne e nei precipizi dell’impudicizia». L’espressione «in lapsus carnis et in impudicitiae praecipitia corruerunt» individua due momenti: il sostantivo lapsus indica uno ‘scivolone’, dovuto alla debolezza della carne; il termine praecipitium descrive invece una ‘caduta precipitosa’, dovuta all’impudicizia. Le due cause della caduta sono distinte e precisate nelle frasi seguenti: sia che abbiano tratto stimolo e incitamento da ciò che era stato scritto, come sopra abbiamo ricordato, sia che abbiano messo avanti gli scritti degli antichi come schermo della loro incontinenza. 1
Nel primo caso, l’errore morale viene dopo l’errore interpretativo, poiché ha origine da esso; nel secondo caso, invece, l’errore morale è antecedente all’errore interpretativo, e cerca in esso una giustificazione. * La terza parte del passo (prol. 2, 3) rivolge un’esortazione ai cristiani a non fraintendere ciò che è stato scritto dagli antichi. Ne ergo et nos tale aliquid incurramus, ea quae a veteribus bene et spiritaliter scripta sunt vitiose et carnaliter advertentes, tam corporis quam animae nostrae palmas protendamus ad Deum, ut Dominus, qui dedit verbum evangelizantibus virtute multa (Ps 67, 12), donet et nobis in virtute sua verbum quo possimus, ex his quae scripta sunt, intellectum sanum et ad aedificationem pudicitiae aptum vel nomini ipsi vel naturae amoris ostendere. 2
Lo stravolgimento del significato, indicato dal participio advertentes, è evidenziato dalla contrapposizione fra le due interpretazioni: quella corretta in senso spirituale («bene et spiritaliter») e quella viziosa in senso carnale («vitiose et carnaliter»). È interessante il confronto con la seconda omelia sul Cantico dei Cantici: Omnes animae motiones uniuersitatis conditor Deus (Hbr 11, 10) creauit ad bonum, sed pro usu nostro fit saepe, ut res, quae bonae sunt per naturam, dum male eis abutimur, nos 1
Ivi (trad. cit., p. 37).
2
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 3 (ed. cit., p. 92).
l’amore e la carità
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ad peccata deducant. Vnus de animae motibus amor est, quo bene utimur ad amandum, si sapientiam amemus et ueritatem; quando uero amor noster in peiora corruerit, amamus carnem et sanguinem. Tu igitur, ut spiritalis (1 Cor 3, 1), audi spiritaliter amatoria uerba cantari et disce motum animae tuae et naturalis amoris incendium ad meliora transferre secundum illud: Ama illam, et seruabit te, circumda illam et exaltabit te (Prv 4, 6). 1
* In sintesi, l’elevazione d’amore è di√cile e pericolosa, in quanto è possibile scivolare e precipitare. Hanno raggiunto la sommità gli uomini eruditi, che hanno saputo riconoscere la forza dell’amore, che conduce l’anima dalla terra agli eccelsi fastigi del cielo, dove l’anima raggiunge la somma beatitudine. Tuttavia, tra coloro che sembrano sapienti ed eruditi, alcuni sono scivolati e sono precipitati nelle cadute della carne e nei dirupi dell’impudicizia, perché non hanno saputo riconoscere la forza dell’amore. L’amore, che ha come fine l’elevazione dell’anima, può diventare occasione di caduta. 3. L’uomo esteriore e l’uomo interiore (prol. 2, 4-15) L’amore agisce sull’uomo, che è costituito da una componente esteriore e corruttibile e da una componente interiore e incorruttibile. Il rapporto esistente fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore è presentato attraverso un’ampia esposizione, articolata in tre momenti: 1. la distinzione fra l’uomo creato ad immagine di Dio (Gn 1, 26), corrispondente all’uomo interiore che si rinnova di giorno in giorno (2 Cor 4, 16), e l’uomo plasmato dal fango della terra (Gn 2, 7), corrispondente all’uomo esteriore che si corrompe (2 Cor 4, 16); 2. l’analogia fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore, per ciò che concerne la vita: la costituzione delle membra e la crescita; 3. la diπerenza fra l’uomo esteriore, che è in rapporto con le cose corruttibili, e l’uomo interiore, che invece è in rapporto con le cose incorruttibili. La costituzione dell’uomo è illustrata attraverso le parole di Genesi, interpretate secondo l’insegnamento di Paolo: In principio verborum Moysei, ubi de mundi conditione conscribitur, duos invenimus homines creatos referri, primum ad imaginem et similitudinem Dei factum (cfr. Gn 1, 26), secundum e limo terrae fictum (cfr. Gn 2, 7). Hoc Paulus apostolus bene sciens et ad liquidum in his eruditus in suis litteris apertius et evidentius binos esse per singulos quosque homines scripsit; sic enim dicit: Nam si is qui foris est homo noster corrumpitur, sed ille qui intus est renovatur de die in diem (2 Cor 4, 16) et iterum: Condelector enim legi Dei secundum interiorem hominem (Rm 7, 22) et his similia aliquanta conscribit. Unde puto neminem iam debere dubitare quod Moyses de duorum hominum factura vel figmento scripserit in principio Genesis, cum videat Paulum, qui melius utique quam nos intelligebat ea quae a Moyse scripta sunt, duos homines esse per singulos quosque dicentem. Quorum unum, id est interiorem, renovari per singulos dies memorat, alium vero, id est exteriorem, in sanctis quibusque et talibus qualis erat Paulus, corrumpi perhibet et infirmari. 2
1
Hier., hom. Orig. in cant., 2, 1 (ed. cit., p. 104). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 4-5 (ed. cit., pp. 92-94).
2
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parte seconda. de amoris natura
Nei due racconti della creazione sono distinti l’uomo creato ad immagine di Dio (Gn 1, 26: «ad imaginem et similitudinem Dei factum») e l’uomo plasmato dal fango della terra (Gn 2, 7: «e limo terrae fictum»). Quindi è stabilita una corrispondenza fra Genesi e Seconda Lettera ai Corinzi 4, 16 («Nam si is qui foris est homo noster corrumpitur, sed ille qui intus est renovatur de die in diem»): l’uomo creato ad immagine di Dio è l’uomo interiore; l’uomo plasmato dal fango della terra è l’uomo esteriore. L’uno e l’altro uomo, descritti in Genesi in rapporto alla creazione, sono rappresentati in Paolo in relazione alla dinamica della vita: l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, l’uomo esteriore invece si corrompe. La legittimità di questa interpretazione del testo genesiaco è assicurata dall’auctoritas di Paolo. Gli aspetti piú rilevanti, già enunciati in precedenza, sono nuovamente richiamati: in ciascun essere umano vi sono due uomini («binos esse per singulos quosque homines» – «duos homines esse per singulos quos que»); l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, l’uomo esteriore invece si corrompe («is qui foris est homo noster corrumpitur, sed ille qui intus est renovatur de die in diem» – «unum, id est interiorem, renovari per singulos dies... alium vero, id est exteriorem... corrumpi... et infirmari»). 1
* Per evidenziare le diπerenze fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore, è stabilito fra l’uno e l’altro un accostamento piú stretto sul piano del lessico: Ostendere enim ex his volumus quod scripturis divinis per homonymas, 2 id est per similes ap pellationes, immo per eadem vocabula, et exterioris hominis membra et illius interioris partes aπectusque nominantur eaque non solum vocabulis, sed et rebus ipsis sibi invicem comparantur. 3
1 La distinzione proposta nel Commento al Cantico dei Cantici si trova anche nelle Omelie su Genesi, nelle quali si precisa che l’uomo creato ad immagine di Dio è l’uomo interiore, invisibile incorporeo incorruttibile immortale, e invece l’uomo plasmato dal fango della terra è l’uomo corporeo. Orig., Hom. Gen., 1, 13 (ed. Louis Doutreleau, Paris, Les Éditions du Cerf, 1976 [«SC», 7bis], p. 56): Illud sane etiam eminentius in conditione hominis uideo, quod alibi non inuenio dictum: Et fecit Deus hominem, ad imaginem Dei fecit eum (Gn 1, 27). Quod neque in caelo neque in terra neque in sole uel luna inuenimus adscriptum. Hunc sane hominem, quem dicit ad imaginem Dei factum, non intelligimus corporalem. Non enim corporis figmentum Dei imaginem continet, neque factus esse corporalis homo dicitur, sed plasmatus, sicut in consequentibus scriptum est. Ait enim: Et plasmauit Deus hominem, id est finxit, de terrae limo (Gn 2, 7). Is autem, qui ad imaginem Dei factus est, interior homo noster est, inuisibilis et incorporalis et incorruptus atque immortalis. Su questo argomento, si veda Giulia Sfameni Gasparro, La ‘doppia creazione’ di Adamo e il tema paolino dei ‘due uomini’ nell’esegesi di Origene, in Eadem, Origene. Studi di antropologia e di storia della tradizione, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984 («Nuovi saggi», 90), pp. 139-155; Bazyli Degórski, La creazione dell’essere umano secondo la Prima Omelia di Origene al Libro della Genesi, «Biblica et Patristica Thoruniensia», iv, 2011, pp. 241-261 (247-248). 2 Origene. Commentario al Cantico dei Cantici, cit., p. 523: «Origene ha chiarito che il doppio senso secondo l’analogia è un tipo di omonimia: cf., ad esempio, CIo 13, 22, 134 (Blanc 1975, p. 102); anche Gregorio di Nissa, Hom. Eccl. 5, 3 (SC 416, p. 270, 12-14 ajnalogiva tiv~ ejsti tw`n ejn th`Ê yuch`Ê qewroumevnwn pro;~ ta; tou` swvmato~ mevrh); Harl 1972 (pp. 63-66); Leanza 1975 (pp. 3637 e nota 105 bis). – ÔOmwvnumav tina (l. 2) Origene chiama omonimi i registri, distinti da Paolo, dell’uomo interiore e spirituale e dell’uomo esteriore e materiale […]». 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 6 (ed. cit., p. 94).
l’amore e la carità
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Questa omonimia, descritta anche nella Disputa con Eraclide, 1 è espressione di un’analogia reale che riguarda tutti gli aspetti della vita. Il discorso si sviluppa a partire dal tema della crescita:
Verbi gratia, aetate est aliquis puer secundum interiorem hominem, quem possibile est crescere et ad aetatem iuvenis adduci atque inde succedentibus incrementis pervenire ad virum perfectum (cfr. Eph 4, 13) et e√ci patrem. 2
All’argomento della crescita è legato quello della costituzione delle membra: Igitur sicut haec quae memoravimus aetatum nomina iisdem vocabulis et exteriori homini adscri buntur et interiori, ita invenies etiam membrorum nomina corporalium transferri ad animae membra, seu potius e√cientiae haec animae aπectusque dicendi sunt. 3
Nonostante l’omonimia, si distingue chiaramente quando i vocaboli sono riferiti all’uomo interiore: Ex quibus evidenter ostenditur membrorum haec nomina nequaquam corpori visibili aptari posse, sed ad invisibilis animae partes virtutesque debere revocari, quoniam vocabula quidem habent similia, aperte autem et sine ulla ambiguitate non exterioris, sed interioris hominis significantias gerunt. 4
Il discorso prosegue aπrontando l’argomento dell’alimentazione; l’analisi del lessico fornisce elementi utili per distinguere ciò che attiene all’uomo esteriore e ciò che invece concerne l’uomo interiore: Est ergo materialis huius hominis, qui et exterior homo appellatur, cibus potusque naturae suae cognatus, corporeus scilicet iste et terrenus. Similiter autem etiam spiritalis hominis ipsius, qui et interior dicitur, est proprius cibus ut panis ille vivus qui de caelo descendit (Jo 6, 33. 51). 5
È dunque evidenziato il divario esistente fra il piano lessicale, nel quale si osserva l’omonimia, e il piano reale, nel quale si individuano i caratteri 1 Orig., Disp. Heracl., 11-12 (ed. Jean Scherer, Paris, Les Éditions du Cerf, 1960 [«SC», 67], pp. 78-80): Eu|ron oJmwnuvmw~ pa`si toi`~ swmatikoi`~ ojnomazovmena ouj swmatikav, i{na ta; me;n
swmatika; hÊ\ kata; to;n e[xw a[nqrwpon, ta; de; oJmwvnuma toi`~ swmatikoi`~ kata; to;n e[sw. Duvo ajnqrwvpou~ hJ grafh; levgei ei\nai to;n a[nqrwpon∑ VEij ga;r kai; oJ e[xw hJmw`n a[nqrwpo~ diafqeivretai, ajllV oJ e[sw hJmw`n ajnakainou`tai hJmevra/ kai; hJmevra/V∑ kai; VSunhvdomai tw/` novmw/ tou` Qeou` kata; to;n e[sw a[nqrwpon.V Touvtou~ tou;~ duvo ajnqrwvpou~ oJ me;n ajpovstolo~ pantacou` parivsthsin kaqV e{kaston. Dokei` dev moi oujk aujto;~ tetolmhkevnai tou`ton to;n lovgon kainotomei`n, ajllV ajpo; tw`n grafw`n ajsafevsteron eijrhkuiw`n 2 gumnovteron nenohkw;~ eijrhkevnai. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 7 (ed. cit., p. 94). 3
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 9 (ed. cit., p. 98). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 11 (ed. cit., p. 100). Un’analoga precisazione, riguardante i sensi dell’uomo interiore, è proposta in Orig., Disp. Heracl., 16-19 (ed. cit., pp. 88-94): Duvo 4
ou\n kaqV e{kaston hJmw`n eijsin a[nqrwpoi. Pw`~ levgetai Vyuch; pavsh~ sarko;~ ai|mav ejstinV… Mevga to; provblhmav ejstin. ÔW~ ou\n oJmwnumei` oJ e[xw a[nqrwpo~ tw/` e[sw, ou{tw kai; ta; mevlh aujtou`, w{ste eijpei`n o{ti pa`n mevlo~ tou` e[xw ajnqrwvpou ojnomavzetai kai; kata; to;n e[sw a[nqrwpon. ∆Ofqalmou;~ e[cei oJ e[xw a[nqrwpo~, kai; oJ e[sw levgetai e[cein ojfqalmouv~ ª...º. «Wta e[cei oJ e[xw a[nqrwpo~, kai; oJ e[sw a[nqrwpo~ levgetai w\ta e[cein. ª...º ÔO e[xw a[nqrwpo~ ojsfraivnetai mukth`rsin, ajntilambanovmeno~ eujwdiva~ kai; duswdiva~∑ kai; oJ e[sw a[nqrwpo~ ajntilambavnetai eujwdiva~ dikaiosuvnh~ kai; duswdiva~ aJmarthmavtwn a[lloi~ mukth`rsin ª...º. ÔO e[xw a[nqrwpo~ e[cei to; geustikovn, kai; oJ e[sw a[nqrwpo~ e[cei to; pneumatiko;n geustikovn ª...º. ÔO e[xw a[nqrwpo~ e[cei aJfh;n th;n aijsqhthvn, kai; oJ e[sw a[nqrwpo~ e[cei aJfhvn ª...º. 5
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 12 (ed. cit., p. 100).
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propri e distintivi dell’uomo esteriore, materiale e corruttibile, e dell’uomo interiore, immateriale e incorruttibile: Sic ergo per omnia similitudo quidem vocabulorum secundum utrumque hominem ponitur, rerum vero proprietas unicuique discreta servatur, et corruptibili corruptibilia praebentur, incorrupti bili vero incorruptibilia proponuntur. 1
Tale distinzione risulta chiara agli uomini eruditi, che sanno individuare dietro le medesime parole i caratteri antitetici dell’uomo esteriore e dell’uomo interiore; invece i semplici si fermano di fronte alle parole, che diventano per loro motivo di equivoco: Unde accidit ut simpliciores quidam nescientes distinguere ac secernere quae sint, quae in scrip turis divinis interiori homini, quae vero exteriori deputanda sint, vocabulorum similitudinibus falsi ad ineptas quasdam se fabulas et figmenta inania contulerint […]. 2
4. L’amore carnale e l’amore spirituale (prol. 2, 16-19) Il discorso si conclude trattando l’argomento della fecondità, evocata dal verbo ‘seminare’ che diventa metafora di ‘amare’. A questo proposito, ricompare la parola ‘amore’, in precedenza mai menzionata nella lunga digressione (dato rilevante se si considera che questa parte del prologo riguarda l’argomento «de amoris natura»). L’amore è presentato alla luce degli esiti della riflessione precedente: l’analogia e la diπerenza fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore. Igitur si haec ita se habent, sicut dicitur aliquis carnalis amor, quem et Cupidinem poetae appellarunt, secundum quem qui amat, in carne seminat, ita est et quidam spiritalis amor, secundum quem ille interior homo amans in Spiritu seminat (cfr. Gal 6, 8). 3
Il tema della fecondità già per gli autori classici era stato criterio discriminante dell’amore: in particolare, nel Simposio di Platone sono distinti quelli che sono gravidi secondo il corpo e quelli che ingravidano nell’anima. 4 Diversamente il Commento al Cantico dei Cantici fa ricorso all’immagine della semina, ricavata da Gal 6, 8: «qui seminat in carne sua, de carne metet corruptionem; qui autem seminat in Spiritu, de Spiritu metet vitam aeternam». L’ipotesto biblico individua la correlazione esistente fra la semina e la mietitura: i risultati della mietitura dipendono principalmente dalla semina; il seme, infatti, contiene in sé il principio del futuro sviluppo della pianta, ma questo sviluppo dipende dal terreno nel quale è gettato il seme. Il Commento al Cantico richiama solo il momento della semina, stabilendo un parallelo fra ‘seminare’ e ‘amare’.
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 13 (ed. cit., p. 100). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 14 (ed. cit., pp. 100-102). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 16 (ed. cit., p. 102). 4 Pl., Smp., 208e-209a (ed. cit., p. 112): oiJ me;n ou\n ejgkuvmone~, e[fh, kata; ta; swvmata o[nte~ pro;~ 2
ta;~ gunai`ka~ ma`llon trevpontai kai; tauvthÊ ejrwtikoiv eijsin, dia; paidogoniva~ ajqanasivan kai; mnhvmhn kai; eujdaimonivan, wJ~ oi[ontai, auJtoi`~ eij~ to;n e[peita crovnon pavnta porizovmenoi∑ oiJ de; kata; th;n yuchvn < eijsi; ga;r ou\n, e[fh, oi} ejn tai`~ yucai`~ kuou`sin e[ti ma`llon h] ejn toi`~ swvmasin, a} yuch`Ê proshvkei kai; kuh`sai kai; tekei`n∑ tiv ou\n proshvkei… frovnhsivn te kai; th;n a[llhn ajrethvn < w|n dhv eijsi kai; oiJ poihtai; pavnte~ gennhvtore~ kai; tw`n dhmiourgw`n o{soi levgontai euJretikoi; ei\nai.
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Come il seme, l’amore è un principio vitale che cresce fino a raggiungere il completo sviluppo; ma questo sviluppo dà esiti diπerenti se l’amore è ‘seminato’ nella carne o nello spirito. L’amore carnale («secondo il quale chi ama semina nella carne»), favorendo la crescita dell’uomo esteriore, determina lo sviluppo di un uomo carnale e terreno, attento solo alla carne e interamente rivolto alle cose corruttibili e terrene. L’amore spirituale («secondo il quale l’uomo interiore semina nello spirito»), favorendo la crescita dell’uomo interiore, determina lo sviluppo di un uomo spirituale e celeste, attento allo spirito e rivolto alle cose incorruttibili e celesti. In relazione all’immagine di Gal 6, 8 è possibile chiarire il senso della distinzione individuata in Genesi e approfondita nella Seconda Lettera ai Corinzi. Et ut evidentius dicam, si quis est qui portat adhuc imaginem terreni secundum exteriorem hominem, iste agitur cupidine et amore terreno; qui vero portat imaginem caelestis (cfr. 1 Cor 15, 49) secundum interiorem hominem, agitur cupidine et amore caelesti. 1
La dittologia «cupidine et amore» è riferita a ciò che è terreno e corruttibile o a ciò che è celeste e incorruttibile. L’amore assume caratteri antitetici in rapporto all’uomo nel quale agisce. Pertanto è importante conoscere qual è l’amore, poiché esso individua una tendenza dominante: se un uomo è carnale o spirituale, se porta l’immagine del terrestre o del celeste. In particolare, l’attenzione è rivolta all’amore e desiderio celeste. Amore autem et cupidine caelesti agitur anima, cum perspecta pulchritudine et decore Verbi Dei speciem eius adamaverit, et ex ipso telum quoddam et vulnus amoris acceperit. Est enim Verbum hoc imago et splendor Dei invisibilis, primogenitus omnis creaturae, in quo creata sunt omnia quae in caelis sunt et quae in terris sive visibilia sive invisibilia (Col 1, 15-16). Igitur si quis potuerit capaci mente conicere et considerare horum omnium quae in ipso creata sunt decus et speciem, ipsa rerum venustate percussus, et splendoris magnificentia ceu iaculo, ut ait propheta, electo (cfr. Is 49, 2) terebratus, salutare ab ipso vulnus accipiet et beato igne amoris eius ardebit. 2
In primo piano è la bellezza del Verbo di Dio, indicata con i termini pulchri tudo (‘bellezza’), decus (‘dignità’, ‘onore’, ‘decoro’), species (‘forma’, ‘figura’, ‘aspetto esteriore’), venustas (‘venustà’, ‘avvenenza’). In questo contesto la dittologia «amore... et cupidine» indica pertanto l’amore e il desiderio della bellezza: l’anima è spinta dall’amore e dal desiderio celeste allorché, osservata la bellezza e il decoro del Verbo di Dio, ha preso ad amare il suo aspetto e da lui ha ricevuto un dardo e una ferita d’amore. 3
Il desiderio precede la visione della bellezza, dalla quale nasce l’amore. Nell’amore poi è possibile distinguere due momenti: l’innamoramento, indicato con il verbo adamare, e l’amore che trafigge e ferisce l’anima, indicato dalle immagini della freccia e della ferita. La iunctura «vulnus amoris» si trova 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 16 (ed. cit., p. 102). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 17 (ed. cit., pp. 102-104). 3 Ivi (trad. cit., pp. 41-42). 2
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in 1, 1, 4 e 3, 8, 2; in questi contesti è descritta la ferita inferta dall’amore della bellezza. La bellezza è quella del Verbo di Dio, immagine e splendore del Dio invisibile; questa bellezza rifulge in tutte le cose che sono state create in lui, secondo le parole di Col 1, 15-16: il Verbo è l’immagine e splendore del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione (Col 1, 15; Hbr 1, 3), nel quale sono state create tutte le cose che sono in cielo e che sono in terra, sia visibili sia invisibili (Col 1, 16). 1
Dalla contemplazione di questa bellezza ha origine la ferita d’amore: Pertanto chi avrà potuto con mente capace comprendere e considerare il decoro e la bellezza di tutte le cose che sono state create in lui, colpito dalla bellezza di esse e ferito dalla magnificenza dello splendore come da freccia eletta (Is 49, 2), secondo quanto dice il profeta, riceverà da lui una ferita che apporta salvezza e arderà del fuoco beato del suo amore. 2
La mente capace è in grado di comprendere tutte le cose, per osservare il loro decoro e la loro bellezza. Nella bellezza del creato rifulge lo splendore del primogenito di tutta la creazione: essere colpito dalla bellezza del creato è dunque essere ferito dallo splendore del Verbo, che è la freccia eletta di Is 49, 2 («Mi ha posto come freccia eletta»). Questa freccia procura una ferita, che però non è mortale ma è invece salutare: l’anima che riceve questa ferita infatti arde per il fuoco beato dell’amore del Verbo. L’amore dell’anima per il Verbo di Dio è l’amore della sposa per il legittimo sposo; ma per l’anima esiste anche l’amore illecito verso un adultero o un corruttore. Oportet nos etiam illud scire: illicitus amor et contra legem sicut accidere potest homini exterio ri, verbi gratia, ut non sponsam vel coniugem amet, sed aut meretricem aut adulteram, ita et interiori homini, hoc est animae, accidere potest amor non in legitimum sponsum, quem diximus esse Verbum Dei, sed in adulterum aliquem et corruptorem. Quod sub hac eadem figura evi denter declarat Ezechiel propheta: ubi Oollam et Oolibam introducit sub specie Samariae et Hierusalem (cfr. Ez 23, 4) adulterino amore corruptas, sicut locus ipse scripturae propheticae evidenter ostendit volentibus plenius scire. 3
Il ragionamento è costruito sull’analogia fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore: nonostante le loro caratteristiche opposte, essi possono essere accostati, in modo da individuare la corrispondenza esistente fra l’uno e l’altro. Nella formula «sicut accidere potest homini exteriori… ita et interiori homini... accidere potest», le espressioni antitetiche «homini exteriori» e «interiori homini» sono avvicinate come termini medi di un chiasmo, nel quale gli estremi sono costituiti dalla medesima locuzione («accidere potest»); la correlazione esistente fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore è individuata sintatticamente nella forma di una comparativa di uguaglianza. Come l’uomo esteriore può essere preso da amore illecito e contro legge, sí che, p. es., ami non la promessa sposa o la moglie bensí una prostituta o un’adultera, 1
2 Ivi (trad. cit., p. 42). Ibidem. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 18 (ed. cit., p. 104).
3
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cosí anche l’uomo interiore, cioè l’anima, può essere presa da amore non per lo sposo legittimo, che abbiamo detto essere il Verbo di Dio, ma per un adultero e un corruttore. 1
Tanto per l’uomo esteriore quanto per l’uomo interiore è proposta una correctio: nel primo caso, sono contrapposte due coppie di termini («non sponsam vel coniugem amet, sed aut meretricem aut adulteram»); nel secondo caso, è contrapposto un singolo nome a una coppia di termini («non in legitimum sponsum... sed in adulterum aliquem et corruptorem»). 2 In questo modo, è evidenziata l’unicità del rapporto sponsale tra l’anima e il Verbo di Dio. All’amore verso il legittimo sposo è contrapposto l’amore adulterino, descritto dal profeta Ezechiele:
Tutto ciò espone chiaramente Ezechiele, servendosi di questa stessa immagine, allorché introduce Oolla e Ooliba (Ez 23, 4) quali figure di Samaria e di Gerusalemme corrotte da amore adulterino, come il passo della profezia mostra con evidenza a chi voglia conoscere piú a fondo. 3
In conclusione, la distinzione fra amore spirituale illecito e legittimo è individuata dalla natura degli esseri spirituali a cui è rivolto l’amore. Exardescit autem etiam hic spiritalis amor animae aliquando quidem, ut edocuimus, erga aliquos spiritus nequitiae, aliquando autem erga Spiritum sanctum et Verbum Dei, qui est sponsus fidelis et eruditae animae vir dicitur et cuius ipsa sponsa in hac praecipue scriptura quae habetur in manibus nominatur, sicut Domino praestante plenius ostendemus, cum verba ipsius libelli explanare coeperimus. 4
Spirituale è sia l’amore verso gli spiriti maligni sia l’amore verso lo Spirito Santo, come è evidenziato attraverso l’adiunctio («exardescit… spiritalis amor… aliquando… erga aliquos spiritus nequitiae, aliquando… erga Spiritum sanctum»): la figura etymologica evidenzia l’elemento comune dello «spiritalis amor», cioè dell’amore di un essere spirituale verso altri esseri spirituali. La diπerenza pertanto consiste nella natura degli esseri spirituali, che sono gli spiriti maligni o lo Spirito Santo. Questo amore spirituale dell’anima, come abbiamo spiegato, a volte arde per alcuni spiriti maligni e a volte per lo Spirito Santo e per il Verbo di Dio: questo è lo sposo fedele che è detto marito dell’anima dotta. 5
5. I nomi dell’amore nella Sacra Scrittura (prol. 2, 20-24) Nella conoscenza dell’amore ha un’importanza fondamentale la questione del nome, poiché da esso è possibile conoscere qual è l’amore. Tuttavia un nome 1
Ivi (trad. cit., p. 42). Nella correlazione fra l’uomo esteriore e l’uomo interiore si riconosce un’inversione di genere: l’uomo esteriore, delineato con caratteri maschili, è in rapporto con la promessa sposa o la moglie oppure con una meretrice o un’adultera; l’uomo interiore (l’anima), delineato con caratteri femminili, è in rapporto con lo sposo oppure con un adultero o un corruttore. 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 18 (trad. cit., p. 42). 4 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 19 (ed. cit., p. 104). Ivi (trad. cit., p. 42). 2
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con una connotazione ambivalente può essere origine di un fraintendimento: è ciò che avviene per amor, che può essere riferito alla carne o allo spirito, a ciò che è terreno o a ciò che è celeste. A questa parola, che può essere occasione di equivoco, la Scrittura ha preferito altri vocaboli piú decorosi. Videtur autem mihi quod divina Scriptura, volens cavere ne lapsus aliquis legentibus sub amo ris nomine nasceretur, pro infirmioribus quibusque eum qui apud sapientes saeculi cupido seu amor dicitur, honestiore vocabulo caritatem vel dilectionem nominasse […]. 1 Mi sembra poi che la Sacra Scrittura, volendo evitare che sorga qualche inciampo ai lettori a causa della parola amore, per riguardo a qualcuno un po’ troppo inesperto, quello che i sapienti del mondo dicono desiderio o amore (eros) con termine piú decoroso ha chiamato carità o dilezione (agape).
Nel passo si riconoscono richiami verbali e concettuali a prol. 2, 2-3, 2 dove i cristiani, piú semplici e indotti (simpliciores, imperitiores), sono esortati a non incorrere in qualcosa di simile a ciò che è accaduto ad alcuni Greci, sapienti ed eruditi («sapientes et eruditi»), che sono precipitati nelle cadute (lapsus) della carne. Come alcuni sapienti non hanno inteso correttamente ciò ch’era stato scritto intorno all’amore, cosí per gli inesperti può sorgere qualche inciampo a causa della parola amore. La questione del nome ha un’importanza notevole: in particolare, il decoro del nome può, in una certa misura, evitare ai lettori la caduta che avviene quando essi interpretano viziosamente e carnalmente ciò che è stato scritto rettamente e spiritualmente. Per questo motivo la Scrittura ha usato un vocabolo piú decoroso («honestiore vocabu lo»). Il comparativo individua il diverso grado di honestas, stabilendo un confronto fra due coppie di nomi: «cupido seu amor» e «caritas vel dilectio». Il binomio «cupido seu amor» corrisponde alla parola e[rw~; il binomio «caritas vel dilectio» corrisponde invece alla parola ajgavph. 3
1 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 20 (ed. cit., pp. 104-106; trad. cit., p. 43). Nella traduzione Simonetti rende «cupido seu amor» con «desiderio» e «caritatem vel dilectionem» con «amore», e precisa i motivi di questa scelta (nota 48): «In questo contesto Origene contrappone e spiega i termini eros e agape e i verbi da loro derivati. Rufino ha reso il primo gruppo con amor, amare, adamare; il secondo con caritas e diligere. Considerando che carità in italiano ha ormai accezione non su√ciente a rendere esattamente il concetto di agape e manca di un verbo derivato, abbiamo preferito, pur consapevoli dei limiti della nostra soluzione, rendere in questo contesto eros con desiderio e agape con amore». Per evidenziare le diπerenze tra i nomi dell’amore, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso «cupido seu amor» con «desiderio o amore» e «caritatem vel dilectionem» con «carità o dilezione». 2 In particolare, mi riferisco alle espressioni lapsus («in lapsus carnis»), infirmioribus (simpliciores e imperitiores, in riferimento ai cristiani), «sapientes saeculi» («sapientes et eruditi», in riferimento ai Greci). 3 Cfr. Orig., in cant., app. fr. 2 (ed. Maria Antonietta Barbàra, Bologna, edb, 2005, p. 290):
Polloi; tw`n parV ”Ellhsi sofw`n peri; e[rwto~ lovgou ª...º th;n yuch;n ejpV aujth;n th;n oujranivan ajyivda∑ ajllV o{mw~ hJ qei`a grafhv, to; tw`n ajnqrwvpwn ojlisqhro;n ejpistamevnh, to;n e[rwta dia; tou;~ ajsqenestevrou~ ajgavphn kalei`, wJ~ ejn tw/`∑ Eijsh`lqe de; ∆Isaa;k eij~ to;n oi\kon Savrra~ th`~ mhtro;~ aujtou` kai; e[labe th;n ÔRebevkkan, kai; ejgevneto aujtou` gunhv, kai; hjgavphsen aujthvn (Gn 24, 67)∑∑ kai; pavlin∑ ÔRach;l de; kalh; tw/` ei[dei kai; wJraiva th`Ê o[yei. ∆Hgavphse de; ∆Iakw;b th;n ÔRachvl (Gn 29, 17-18). Tou`to de; safevstata dedhvlwken ejpi; tou` ejrasqevnto~ ∆Amno;n th`~ ajdelfh`~ (cfr. 2 Rg 13, 1-2). Spaniavki~ de; protrevpetai hJma`~ ejpi; to; ejra`n hJ grafhv∑ levgei ga;r peri; sofiva~ oJ Solomwvn∑ ∆Eravsqhti aujth`~ kai; thrhvsei se (Prv 4, 6) (trad.
l’amore e la carità
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Esaminiamo i motivi per i quali una singola parola greca è stata tradotta con una coppia di termini latini. 1 Nella lingua greca si trova il gruppo di parole ajgapa`n-ajgavph. Nella lingua latina, invece, per il sostantivo caritas manca un verbo della stessa radice; inoltre, nel latino classico per il verbo diligere manca un sostantivo della stessa radice: dilectio non compare nei testi profani anteriori al cristianesimo. 2 Nelle piú antiche traduzioni latine della Bibbia, il verbo ajgapa`n è tradotto con diligere; il sostantivo ajgavph è invece tradotto con caritas o con dilectio. 3 Lo stesso avviene nella Vulgata 4
Barbàra, p. 291: «Molti sapienti greci a proposito del significato dell’eros l’anima proprio verso la volta celeste; eppure la divina Scrittura, ben conoscendo la facilità con cui gli uomini scivolano nel vizio, a motivo dei piú sprovveduti l’eros lo chiama ‘agape’, come in: Isacco entrò nel padiglione di Sara sua madre e prese Rebecca, ed ella diventò sua moglie ed egli le volle bene [Gn 24, 67]; e di nuovo: Rachele era bella nell’aspetto e graziosa nello sguardo. E Giacobbe volle bene a Rachele [Gn 29, 17-18]. E questo l’ha mostrato in modo inequivocabile a proposito di Amnon in amore per la sorella [cfr. 2 Rg 13, 1-2]. Tuttavia qualche rara volta la Scrittura ci esorta all’eros; infatti Salomone dice della sapienza: Innamoratene e ti salverà [Prv 4, 6]»). 1 A proposito dei binomi «cupido seu amor» e «caritas vel dilectio», Aldo Ceresa-Gastaldo (Variazioni ermeneutiche nella traduzione rufiniana del ‘Commento al Cantico dei Cantici’ di Origene, in Storia ed esegesi in Rufino di Concordia. Atti del secondo Convegno Internazionale di Studi, Concordia Sagittaria-Portogruaro-Sesto al Reghena 18-20 maggio 1990, Udine, Arti grafiche friulane, 1992 [«Antichità altoadriatiche», 39], pp. 125-130 [126]) ha osservato: «È interessante rilevare come Rufino per rendere i singoli termini origeniani e[rw~ e ajgavph sia ricorso entrambe le volte ad un binomio: cupido seu amor per e[rw~ e caritas vel dilectio per ajgavph, quasi a precisare ulteriormente il significato dei due vocaboli cosí importanti nel lessico dell’amore. Poco dopo tuttavia la distinzione tra i due termini sembra attenuarsi […]». 2 Hélène Pétré, ‘Caritas’. Étude sur le vocabulaire latin de la charité chrétienne, Louvain, Spicilegium Sacrum Lovaniense, 1948 («Spicilegium Sacrum Lovaniense, Études et Documents», 22), pp. 50-51: «Les textes classiques que nous avons conservés ne nous oπrent pas d’exemple du substantif dilectio. Faut-il en conclure que le mot a été créé par les chrétiens, et plus particulièrement par les premiers traducteurs de la Bible, lorsqu’ils ont eu à chercher un équivalent latin au grec ajgavph? On sait le souci qu’avaient ces derniers de la littéralité dans la traduction. N’était-il pas naturel, pour faire pendant au groupe de mots grecs ajgapa`n-ajgavph, de donner au verbe diligere un substantif de même racine? Dans le latin classique, c’est caritas qui correspond à diligere. Mais un texte comme celui de Ioh., xvii, 26: hJ ajgavph h}n hjgavphsav~ me ne serait-il pas rendu plus exactement par: dilectio qua dilexisti me, comme il l’a été en eπet? On n’ose a√rmer cependant qu’il s’agisse là d’une formation proprement chrétienne: c’est peut-être un hasard si les textes profanes ne nous ont pas conservé pour ce mot d’exemples antérieurs au christianisme. […] On peut donc penser que le mot n’a pas été formé pour les besoins du christianisme, mais que l’usage chrétien lui a donné une importance et, en quelque sorte, une existence littéraire qu’il n’aurait sans doute pas eue autrement». 3 Ivi, pp. 45-47: «Quelles traductions d’ajgapa`n et d’ajgavph les versions latines de la Bible nous oπrent-elles? […] On peut donc dire qu’ajgapa`n n’a eu qu’une traduction dans le latin biblique, c’est diligere […]. […] Le cas du substantif est un peu plus complexe. ∆Agavph, avons-nous dit, est traduit tantôt par caritas, tantôt par dilectio». Ivi, p. 52: «Dilectio a la préférence dans les versions anciennes que nous connaissons le mieux, celles de la région africaine où le mot semble être de bonne heure passé dans l’usage courant des chrétiens. Caritas appartient à toute la latinité, et bien que les auteurs de ces versions aient beaucoup moins que ne l’aura saint Jérôme le souci de varier leurs traductions, ils ont admis caritas au même titre que dilectio, considérant certainement les deux mots comme équivalents». 4 Ivi, p. 52: «Une révision des versions bibliques, comme celle qu’opéra Jérôme, n’auraitelle pas dû faire disparaître cette diversité de traduction d’un seul et même mot grec? On peut répondre que cette diversité n’avait rien pour choquer l’auteur de la Vulgate». Ivi, p. 45: «Pour le Nouveau Testament, l’examen de la Vulgate hiéronymienne permet d’établir la règle suivante: ajgapa`n est toujours rendu par diligere, ajgavph est traduit, tantôt par caritas, tantôt par dilectio».
parte seconda. de amoris natura
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e in alcuni autori cristiani. 1 Diversamente il gruppo ejra`n-e[rw~ trova corrispondenza nel gruppo amare-amor; pertanto non è necessaria l’aggiunta di cupido accanto ad amor. Tuttavia l’accostamento «cupido seu amor» richiama la dittologia «cupido et amor» e permette di stabilire un parallelo con «caritas vel dilectio». Dunque, per evitare un’interpretazione carnale, la Scrittura usa il termine piú decoroso dilectio. A questa parola ricorre quando fa riferimento all’amore coniugale, come nel caso di Isacco e Rebecca o di Giacobbe e Rachele:
[…] ut cum dicit de Isaac: Et accepit Rebeccam, et facta est ei uxor, et dilexit eam (Gn 24, 67), et iterum de Iacob et Rachel similiter dicit Scriptura: Rachel autem erat decora oculis et pulchra facie; et dilexit Iacob Rachel, et dixit: Serviam tibi septem annis pro Rachel filia tua iuniore (Gn 29, 17-18). 2
In Gn 29, 17 il decoro del verbo diligere corrisponde al decoro (decora) di Rachele. L’immutata forza della parola («immutata vis vocabuli»), nella quale non cambia la capacità di significazione anche in un contesto che descrive un amore illegittimo, appare in modo piú evidente a proposito dell’amore incestuoso di Amnon per la sorella Thamar. Evidentius autem immutata vis vocabuli huius apparet in Amnon, qui adamavit sororem suam Thamar; scriptum est enim: Et factum est post haec et erat Absalon filio David soror decora specie valde, et nomen ei Thamar, et dilexit eam Amnon filius David (2 Rg 13, 1). 3
La Scrittura usa il verbo diligere in luogo di adamare («Dilexit posuit pro adamavit»), anche se nel testo biblico risulta evidente la violenza di Amnon: Dilexit posuit pro adamavit. Et tribulabatur, inquit, Amnon ita, ut infirmaretur propter Thamar sororem suam, quoniam virgo erat; et grave videbatur in oculis Amnon facere ei aliquid (2 Rg 13, 2). Et post pauca de violentia quam intulit Amnon Thamar sorori suae, ita dicit Scriptura: Et noluit Amnon audire vocem eius, sed invaluit super eam et humiliavit eam, et dormivit cum ipsa. Et odivit eam Amnon odio magno valde, quoniam maius erat odium, quo oderat eam, quam dilectio, qua dilexerat eam (2 Rg 13, 14-15). 4
Nel testo è descritta chiaramente la violenza, e dunque sembra legittimo chiedersi in che senso rimanga immutata la forza delle parole dilectio-diligere. Il verbo dilexit compare all’inizio del testo, in rapporto al decoro (decora) e alla bellezza di Thamar. Non compare invece nella descrizione della violenza, che evidenzia piuttosto la prevaricazione e l’umiliazione. Le parole dilectio-dilexerat compaiono nuovamente nella frase finale: «Amnon la prese ad odiare di odio grandissimo, perché l’odio col quale l’odiava era piú grande dell’amore che aveva avuto per lei (2 Rg 13, 15)». Dunque Amnon amò la sorella Thamar per il suo decoro e la sua bellezza, ma piú grande di questo amore fu l’odio, per il quale la umiliò togliendole il decoro. 1 Aug., serm., 349, 1, 1 (PL 39, col. 1529): De his ergo tribus charitatibus vel dilectionibus; duo enim nomina habet apud Latinos, quae graece ajgavph dicitur; quod Dominus donaverit dicam. 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 20 (ed. cit., pp. 104-106). 3 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 21 (ed. cit., p. 106). Ibidem.
l’amore e la carità
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In conclusione, in molti luoghi la Sacra Scrittura ha evitato il termine amor e lo ha sostituito con caritas e dilectio: «Et in his ergo et in aliis pluribus locis invenies Scripturam divinam refugisse amoris vocabulum, et caritatis dilectionis que posuisse». Soltanto alcune volte, piuttosto di rado, adopera proprio il termine amor, dove non c’è occasione di equivoco. Cosí, in particolare, in Prv 4, 6. 8 e in Sap 8, 2, dove l’amore è riferito alla sapienza: Interdum tamen, licet raro, proprio vocabulo amorem nominat et invitat ad eum atque incitat animas, ut cum dicit in Proverbiis de sapientia: Adama eam, et servabit te; circumda eam, et exaltabit te; honora eam, ut te amplectatur (Prv 4, 6. 8). Sed et in eo libello qui dicitur Sapientia Solomonis, ita scriptum est de ipsa sapientia: Amator factus sum decoris eius (Sap 8, 2). Arbitror autem quod, ubi nulla lapsus videbatur occasio, ibi tantum nomen amoris inseruit. 1
Sono citati Prv 4, 6 e Sap 8, 2, gli unici due passi del testo dei Settanta in cui e[rw~-ejrasthv~ hanno un’accezione chiaramente positiva; 2 non si fa invece alcuna menzione dei numerosi passi in cui ejra`sqai-ejrasthv~-e[rw~ hanno un’accezione negativa: in particolare, in Osea, Geremia, Ezechiele il rapporto fra Dio e Israele è rappresentato come il rapporto fra uno sposo e una sposa infedele e adultera, e il termine ejrastaiv indica gli amanti della sposa. 3
6. La carità (prol. 2, 25-32) La sezione del prologo che tratta l’argomento della carità segue la traccia della Prima Lettera di Giovanni, e individua un percorso articolato nei seguenti momenti: 1. Dio è carità, e colui che è da Dio (il Figlio) è carità; 2. Dio cerca qualcosa di simile a sé nell’uomo, a√nché sia unito a Dio come in a√nità di parentela nella carità: infatti colui che ama Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze ha in sé la carità di Cristo; 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 22-23 (ed. cit., pp. 106-108). Francesca Cocchini, Eros in Origene, cit., p. 27: «[…] torniamo a considerare il suo approccio a quei due unici passi scritturistici nei quali il termine eros è presente: Pr. 4, 6 e Sap. 8, 2, rilevando innanzitutto come egli, per quanto ci è dato sapere, sia stato il primo fra gli autori ecclesiastici antichi ad averli citati nelle sue opere: quasi mai però nelle omelie – ad eccezione delle due rimasteci sul Cantico dei Cantici, dove si trovano due occorrenze di Pr. 4, 6 –, segno evidente di come dovesse essere consapevole di un certo imbarazzo e della possibilità di fraintendimenti che questi testi potevano suscitare in un pubblico poco preparato». 3 Riporto un elenco dei passi nei quali compaiono i termini ejra`sqai-ejrasthv~-e[rw~: 1 Es 4, 24: th`Ê ejrwmevnhÊ ajpofevrei; Est 2, 17: kai; hjravsqh oJ basileu;~ Esqhr; Prv 4, 6: ejravsqhti aujth`~, kai; thrhvsei se; Prv 7, 18: ejgkulisqw`men e[rwti; Prv 30, 16: a/{dh~ kai; e[rw~ gunaiko;~; Sap 8, 2: ejrasth;~ ejgenovmhn tou` kavllou~ aujth`~; Sap 15, 6: kakw`n ejrastai; a[xioiv te toiouvtwn ejlpivdwn; Os 2, 7: ajkolouqhvsw ojpivsw tw`n ejrastw`n mou; Os 2, 9: kai; katadiwvxetai tou;~ ejrasta;~ aujth`~; Os 2, 12: kai; nu`n ajpokaluvyw th;n ajkaqarsivan aujth`~ ejnwvpion tw`n ejrastw`n aujth`~; Os 2, 14: misqwvmatav mou tau`tav ejstin a} e[dwkavn moi oiJ ejrastaiv mou; Os 2, 15: kai; ejporeuveto ojpivsw tw`n ejrastw`n aujth`~; Jr 4, 30: ajpwvsantov se oiJ ejrastaiv sou; Jr 9, 13: ejporeuvqhsan ojpivsw tw`n ajrestw`n ªerast. Aຠth`~ kar diva~ aujtw`n; Jr 16, 12: ojpivsw tw`n ajrestw`n ªerastwn Aº th`~ kardiva~ uJmw`n; Jr 22, 20: sunetrivbhsan pavnte~ oiJ ejrastaiv sou; Jr 22, 22: oiJ ejrastaiv sou ejn aijcmalwsiva/ ejxeleuvsontai; Lam 1, 19: ejkavlesa tou;~ ejrastav~ mou; Ez 16, 33: misqwvmata pa`si toi`~ ejrastai`~ sou; Ez 16, 36: ajpokalufqhvsetai hJ aijscuvnh sou ejn th`Ê porneiva/ sou pro;~ tou;~ ejrastav~ sou; Ez 16, 37: ejpi; se; sunavgw pavnta~ tou;~ ejrastav~ sou; Ez 23, 5: ejpevqeto ejpi; tou;~ ejrasta;~ aujth`~; Ez 23, 9: parevdwka aujth;n eij~ cei`ra~ tw`n ejrastw`n aujth`~; Ez 23, 22: ejxegeivrw tou;~ ejrastav~ sou ejpi; sev. 2
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3. il Padre e il Figlio vengono ad abitare in colui che è perfetto nella carità. Il discorso è introdotto da alcune precisazioni riguardanti i nomi dell’amore. Nihil ergo interest, in scripturis divinis utrum amor dicatur an caritas an dilectio, nisi quod in tantum nomen caritatis extollitur ut etiam Deus ipse caritas appelletur, sicut Iohannes dicit: Carissimi, diligamus invicem, quia caritas ex Deo est, et omnis qui diligit ex Deo natus est et cognoscit Deum; qui autem non diligit non cognoscit Deum, quia Deus caritas est (1 Jo 4, 7-8). 1
Da una parte, «non c’è alcuna diπerenza se nelle Sacre Scritture si parla di amore o carità o dilezione»; dall’altra parte, «il termine carità è tenuto in cosí gran conto che anche Dio stesso è chiamato carità». Esplicito è il richiamo a 1 Jo 4, 7-8: «Carissimi, amiamoci gli uni con gli altri perché la carità è da Dio, e ognuno che la mette in pratica è nato da Dio e lo conosce. Chi invece non pratica la carità, non conosce Dio, perché Dio è carità». In particolare, l’attenzione è rivolta alle espressioni «caritas ex Deo est» e «Deus caritas est»: Diligamus, inquit, invicem, quia caritas ex Deo est (cfr. 1 Jo 4, 7), et post pauca: Deus caritas est (1 Jo 4, 8). In quo ostendit et ipsum Deum caritatem esse, et iterum eum qui ex Deo est caritatem esse. 2
In questo passo Giovanni dimostra che Dio stesso è carità, e anche che colui che è da Dio è carità. Origene interpreta l’espressione «la carità è da Dio» («caritas ex Deo est») nel senso che «colui che è da Dio è carità» («eum qui ex Deo est caritatem esse»); quindi, attraverso il confronto con Jo 16, 27-28 («Ego ex Deo exivi et veni in hunc mundum»), 3 identifica «colui che è da Dio» con il Figlio. Nella carità è individuata l’unità del Padre e del Figlio.
Quod si Deus Pater caritas est et Filius caritas est, caritas autem et caritas unum est et in nullo diπert, consequenter ergo Pater et Filius unum est et in nullo diπert. Et ideo convenienter Christus, sicut sapientia et virtus et iustitia et verbum et veritas (cfr. 1 Cor 1, 24. 30), ita et caritas dicitur. 4 E se Dio Padre è carità e il Figlio è carità, e carità e carità sono una cosa sola e in nulla diπeriscono, ne consegue che il Padre e il Figlio sono una cosa sola (Jo 10, 30) e in nulla diπeriscono.
Il ragionamento è articolato nella forma di un sillogismo, nel quale gli estremi sono «il Padre e il Figlio» e «sono una cosa sola e in nulla diπeriscono», e il termine medio è «carità»; in particolare, la posizione del termine medio, 1 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 25 (ed. cit., pp. 108-110). Nella traduzione Simonetti rende amor con «desiderio», caritas con «amore», e non rende dilectio con una parola distinta: i motivi di questa scelta sono probabilmente quelli già individuati a proposito di prol. 2, 20 (si veda p. 64, nota 1). Per evidenziare le diπerenze tra i nomi dell’amore, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso amor con «amore», caritas con «carità», dilectio con «dilezione». 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 26 (ed. cit., p. 110). 3 Ibidem: Quis autem ex Deo est nisi ille qui dicit: Ego ex Deo exivi et veni in hunc mundum (Jo 16, 28)? 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 26-27 (ed. cit., p. 110; trad. cit., p. 45).
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che è predicato nella premessa maggiore e soggetto nella premessa minore, individua lo schema della quarta figura. Il sillogismo attesta la validità dell’interpretazione per la quale Cristo è carità: «Perciò a ragione Cristo, come è chiamato sapienza potenza giustizia verbo verità, cosí è chiamato anche carità». Quindi Origene descrive la presenza della carità, che è unità del Padre e del Figlio, nell’uomo. Et ideo dicit Scriptura quia si caritas manet in nobis, Deus in nobis manet (1 Jo 4, 12); Deus autem, id est Pater et Filius, qui et veniunt ad eum qui perfectus est in caritate (1 Jo 4, 18), secundum verbum Domini et Salvatoris dicentis: Ego et Pater meus veniemus ad eum et mansionem faciemus apud eum (Jo 14, 23). 1
L’ipotesto biblico (1 Jo 4, 12: oJ Qeo;~ ejn hJmi`n mevnei kai; hJ ajgavph aujtou` teteleiwmevnh ejn hJmi`n ejstin) è adattato nella forma di un parallelismo («si caritas manet in nobis, Deus in nobis manet»), che evidenzia il rapporto esistente fra la permanenza della carità e la permanenza di Dio nell’uomo: «Se la carità resta in noi, Dio resta in noi». La carità che rimane è condizione necessaria per il rimanere di Dio. La carità che rimane è la carità perfetta: come è stato anticipato, l’espressione «caritas manet in nobis» è un adattamento di 1 Jo 4, 12 (hJ ajgavph aujtou` teteleiwmevnh ejn hJmi`n ejstin), concetto richiamato anche in 1 Jo 4, 18 (teteleivwtai ejn th`Ê ajgavphÊ, «perfectus est in caritate»). Pertanto, la carità perfetta è la condizione per l’inabitazione di Dio nell’uomo, secondo le parole di Jo 14, 23 («veniemus ad eum et mansionem faciemus apud eum»): Dio, cioè il Padre e il Figlio, vengono a colui che è perfetto nella carità, secondo la parola del Signore e Salvatore che dice: Io e il Padre verremo da lui e prenderemo dimora presso di lui (Jo 14, 23). 2
Dio prende dimora presso l’uomo che non ama ciò che è corruttibile. Sciendum ergo est quod haec caritas quae Deus est, in quo fuerit, nihil terrenum, nihil mate riale, nihil corruptibile diligit; contra naturam namque est ei corruptibile aliquid diligere, cum ipsa sit incorruptionis fons. Ipsa est enim sola quae habet immortalitatem, siquidem Deus est caritas (1 Jo 4, 8), qui solus habet immortalitatem lucem habitans inaccessibilem (1 Tm 6, 16). Quid autem aliud immortalitas nisi vita aeterna est, quam daturum se promittit Deus credentibus in ipsum solum verum Deum, et quem misit, Iesum Christum (Jo 17, 3), Filium eius? 3
L’espressione «haec caritas quae Deus est», invertendo soggetto e predicato rispetto a 1 Jo 4, 8 («Deus caritas est»), definisce la carità in rapporto all’amore di Dio; le caratteristiche dell’amore di Dio sono riunite attraverso una adiunctio («nihil terrenum, nihil materiale, nihil corruptibile diligit»): «questa carità, che è Dio, non ama nulla di terreno, nulla di materiale, nulla di corruttibile». Nella frase seguente avviene il passaggio dalla negazione della 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 27 (ed. cit., p. 110). Ivi (trad. cit., p. 45). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 28 (ed. cit., pp. 110-112). 2
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corruttibilità all’aπermazione dell’incorruttibilità: «è per esso contro natura amare alcunché di corruttibile, dal momento che proprio esso è fonte di incorruttibilità». Il concetto di incorruttibilità è quindi associato a quello di immortalità, attraverso l’accostamento di 1 Jo 4, 8 e 1 Tm 6, 16 («Deus est caritas, qui solus habet immortalitatem lucem habitans inaccessibilem»): «carità è Dio che solo possiede l’immortalità, abitando luce inaccessibile». Infine la nozione di immortalità è associata a quella di vita eterna: «E cos’altro è l’immortalità se non la vita eterna che Dio promette di dare a quanti credono in lui, solo vero Dio, e in colui che egli ha mandato, Gesú Cristo suo Figlio (Jo 17, 3)?». Pertanto, la carità, che è Dio, ama nell’uomo ciò che è incorruttibile, l’immortalità, la vita eterna. La conclusione è che questa carità, che è Dio, ama nell’uomo Dio stesso: «Propterea ergo in primis et ante omnia hoc amabile et placitum esse dicitur Deo ut diligat quis Dominum Deum suum ex toto corde suo et ex tota anima sua et ex totis viribus suis (Lc 10, 27)». 1 Se un’anima è tutta colma di questo amore divino ed eterno, allora Dio si riconoscerà nell’anima, troverà in essa un luogo confacente alla sua natura, verrà a prendere dimora in essa.
Et quia Deus caritas est, et Filius qui ex Deo est, caritas est, sui simile aliquid requirit in nobis, ut per hanc caritatem quae est in Christo Iesu, Deo qui est caritas, velut cognata quadam per caritatis nomen a√nitate sociemur, sicut et ille qui iam coniunctus ei dicebat: Quis nos separabit a caritate Dei (Rm 8, 35) quae est in Christo Iesu Domino nostro (Rm 8, 39)? 2 E poiché Dio è carità e il Figlio, che è da Dio, è carità, egli ricerca in noi qualcosa di simile a sé, a√nché per mezzo di questa carità, che è in Cristo Gesú, noi ci uniamo a Dio, che è carità, quasi in parentela e a√nità derivata da questa carità, cosí come colui che era già unito a Dio diceva: Chi ci separerà dalla carità di Dio, che è in Cristo Gesú nostro Signore? (Rm 8, 35. 39)
Le espressioni simile e «cognata... a√nitate» richiamano le nozioni platoniche di o{moio~ e suggevneia. «A piú riprese Platone presenta la yuchv come una realtà a√ne al divino, deiforme, e, in quanto tale, suggenhv~-oJmoiva al divino». 3 La suggevneia fra l’uomo e gli dèi è stabilita dal nou`~, la componente piú alta della yuchv. 4 Diversamente nel Commento al Cantico dei Cantici la cognata a√nitas, l’a√nità di parentela fra l’uomo e Dio, è stabilita nella carità: Dio, che è carità, trova qualcosa di simile a sé – la carità che è in Cristo Gesú
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Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 29 (ed. cit., p. 112). Ivi (ed. cit., p. 112; trad. cit., p. 46). 3 Salvatore Lavecchia, Una via che conduce al divino. La ‘homoiosis theo’ nella filosofia di Platone, prefazione di Thomas Alexander Szlezák, Milano, Vita e Pensiero, 2006 («Temi metafisici e problemi del pensiero antico», 101), pp. 231-232. 4 Ivi, p. 232: «Il nou`~ […] emana direttamente dalla divinità produttrice del cosmo, ed è quindi la realtà che rende l’uomo partecipe della natura immortale (Tim. 41c6-9; 69c4-5), perché è un’entità divina, un qei`on. Il nou`~ è il demone che il Demiurgo ha assegnato ad ogni individuo (Tim. 90a2-4 daivmona qeo;~ eJkavstw/ devdwken), il daivmwn che dimora nell’interiorità di ogni soggetto, che ogni a[nqrwpo~ ha come suvnoiko~ eJautw/` (Tim. 90c5). Esso è il divino in noi (to; ejn hJmi`n qei`on Tim. 90c7-8; cfr. 73a7-8 e 88b2) […]». 2
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– in colui che ama Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze; facendo propri i sentimenti del Figlio, l’uomo si lega in a√nità di cognazione a Dio. Secondo Clemente di Alessandria, l’assimilazione nella carità è il modo in cui si accede alla conoscenza di Dio: Dio è carità (1 Jo 4, 8), quel Dio che si lascia conoscere a chi lo ama […]. E noi dobbiamo familiarizzarci (ejxoikeiou`sqai) con Lui attraverso la carità divina, proprio per contemplare il simile con il simile. 1
Nel Commento al Cantico la somiglianza dell’uomo a Dio è il presupposto perché l’uomo possa essere unito a Dio come in a√nità di cognazione; facendo propria la carità di Cristo, l’uomo è introdotto nella carità che unisce il Padre e il Figlio, e pertanto il Padre e il Figlio vengono da lui e prendono dimora presso di lui. * È interessante osservare il modo in cui è intessuta la trama del discorso. Il filo principale è rappresentato dalla Prima Lettera di Giovanni. Piú precisamente, il motivo conduttore è costituito da 1 Jo 4, 7-8, citato in prol. 2, 25, subito ripreso e interpretato in prol. 2, 26 2 e poi nuovamente richiamato in prol. 2, 29 3 per aπermare che Dio è carità e anche che colui che è da Dio (cioè il Figlio) è carità. Dalla Prima Lettera di Giovanni sono ricavate anche altre citazioni: 1 Jo 4, 12 (adattato nella forma «si caritas manet in nobis, Deus in nobis manet») e 1 Jo 4, 18 («perfectus est in caritate»), che evidenziano la presenza di Dio-carità in colui che è perfetto nella carità. Questi passi sono chiariti attraverso l’accostamento di citazioni ricavate dal Vangelo di Giovanni. L’interpretazione di «caritas ex Deo est» (1 Jo 4, 7) in riferimento al Figlio è avvalorata attraverso la citazione di Jo 16, 27-28 («Ego ex Deo exivi et veni in hunc mundum»). Il rapporto tra il Padre e il Figlio, individuato nella carità sulla base di 1 Jo 4, 7. 8 («ipsum Deum caritatem esse, et iterum eum qui ex Deo est caritatem esse»), è chiarito attraverso Jo 10, 30 («Pater et Filius unum est»). L’inabitazione divina nell’uomo, descritta attraverso un adattamento di 1 Jo 4, 12 («si caritas manet in nobis, Deus in nobis manet»), è attestata sulla base di Jo 14, 23 («Ego et Pater meus veniemus ad eum et mansionem faciemus apud eum»). A partire da questo filo principale si sviluppa la trama testuale, ricamata attraverso l’accostamento di altre citazioni. Questa carità è Dio che ha
1 Clem. Al., Strom., 5, 1, 13, 1-2 (ed. Alain Le Boulluec, Paris, Les Éditions du Cerf, 1981 [«SC», 278], p. 44): ª...º «ajgavph de; oJ qeo;~» oJ toi`~ ajgapw`si gnwstov~ ª...º. Kai; crh; ejxoikeiou`sqai hJma`~ aujtw/` diV ajgavph~ th`~ qeiva~, i{na dh; to; o{moion tw/` oJmoivw/ qewrw`men ª...º. L’assimilazione a Dio avviene nella carità, come è precisato in Clem. Al., Strom., 5, 3, 17, 1 (ed. cit., p. 50): ∆Agnohvsa~
ti~ ejzhvthsen, kai; zhthvsa~ euJrivskei to;n didavskalon euJrwvn te ejpivsteusen kai; pisteuvsa~ h[lpisen ajgaphvsa~ te ejnteu`qen ejxomoiou`tai tw/` hjgaphmevnw/, tou`tV ei\nai speuvdwn o} fqavsa~ hjgavphsen. Lo studio fondamentale resta ancora quello di Hubert Merki, ÔOmoivwsi~ qew/.` Von der platonischen Anglei-
chung an Gott zur Gottähnlichkeit bei Gregor von Nyssa, Freiburg (Schweiz), Paulisdruckerei, 1952. 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 26 (ed. cit., p. 110). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 29 (ed. cit., p. 112).
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l’immortalità e abita una luce inaccessibile (1 Jo 4, 8 accostato a 1 Tm 6, 16: «Deus est caritas, qui solus habet immortalitatem lucem habitans inaccessibi lem»); Dio sarebbe irrangiungibile per l’uomo, se non avesse promesso di dare la vita eterna a quanti credono in lui e in colui che egli ha mandato, Gesú Cristo suo Figlio (Jo 17, 3: «Quid autem aliud immortalitas nisi vita aeterna est, quam daturum se promittit Deus credentibus in ipsum solum verum Deum, et quem misit, Iesum Christum, Filium eius?»). Dio-carità, pertanto, si rende accessibile, ma a condizione che l’uomo lo ami con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze (Lc 10, 27: «ut diligat quis Dominum Deum suum ex toto corde suo et ex tota anima sua et ex totis viribus suis»). Per mezzo della carità, che è in Cristo Gesú, l’uomo si unisce a Dio, che è carità, quasi in a√nità di parentela derivata da questa carità. L’unione nella carità con Cristo e quindi con Dio è cosí forte da non poter essere separata in alcun modo (Rm 8, 35. 39: «Quis nos separabit a caritate Dei quae est in Christo Iesu Domino nostro?»). D’altra parte, in forza dell’a√nità di parentela con Dio, questa carità considera ogni uomo come suo prossimo. «Haec autem caritas omnem hominem proximum ducit». 1 Il Figlio di Dio, che è carità, chiarisce che nessun uomo è escluso da questa carità:
Ob hoc enim arguit Salvator quendam qui opinabatur quod iusta anima, erga eam quae in iniquitatibus involuta est, propinquitatis iura non servet, et ista de causa texit illam parabolam quae dicit quod in latrones incidit quidam, dum descendit ab Hierusalem in Hiericho, et culpat quidem sacerdotem ac levitam, qui videntes seminecem praeterierunt (Lc 10, 30), amplectitur autem Samaritanum, qui misericordiam fecerit, et hunc fuisse ei proximum ipsius qui proposuerat responsione firmavit et ait ei: Vade, et tu fac similiter (Lc 10, 37). 2
La parabola del Samaritano individua un modo particolare di intendere il prossimo: «esalta […] il Samaritano, perché aveva avuto compassione, conferma la sua risposta aπermando che questo era stato il prossimo […]». In eπetti esistono due modi di intendere il prossimo. Etenim natura omnes nobis invicem proximi sumus; operibus vero caritatis fit proximus ille qui potest benefacere ei qui non potest. Unde et Salvator noster factus est proximus nobis nec pertransivit nos, cum semineces ex latronum vulneribus iaceremus. 3
Il primo modo si deve alla natura: «Infatti per natura ognuno di noi è prossimo dell’altro». Nel commento a Ct 2, 4 si precisa che «tutti gli uomini, in quanto simili a noi, debbono essere similmente amati: anzi, ogni essere razionale deve ugualmente essere amato da noi, che siamo esseri razionali». 4 Il secondo modo fa invece riferimento alle opere: «per le opere di carità colui che è in grado di fare il bene è prossimo di colui che non è in grado». 5 L’esempio è oπerto da Cristo: «il Salvatore è diventato prossimo riguardo
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 22 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 3
30 (ed. cit., p. 112). 31 (ed. cit., p. 114). (trad. cit., p. 206). 31 (trad. cit., p. 46).
2
Ibidem.
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a noi e non è passato oltre allorché giacevamo mezzi morti a causa delle ferite inferte dai briganti». In conclusione è descritto il rapporto esistente fra la carità verso Dio e la carità verso il prossimo. Igitur sciendum est Dei caritatem semper ad Deum tendere, a quo et originem ducit, et ad proximum respicere, cum quo participium gerit, utpote similiter creatum in incorruptione. 1
Esiste un unico ‘circuito’ della carità, che ha inizio e fine in Dio, e si estende al prossimo: «la carità di Dio tende sempre a Dio, da cui trae anche origine, e guarda al prossimo, del quale partecipa in quanto creato similmente nell’incorruttibilità». 7. La carità e l’amore (prol. 2, 33-38) In precedenza era stato già trattato l’argomento dei nomi dell’amore. In prol. 2, 20 era stata enunciata la questione: «la Sacra Scrittura […] quello che i sapienti del mondo dicono desiderio o amore (eros) con termine piú decoroso ha chiamato carità o dilezione (agape)». 2 In prol. 2, 25 era stata riproposta la questione, con la seguente precisazione: «non c’è alcuna diπerenza se nelle Sacre Scritture si parla di amore o carità o dilezione, se non che il termine carità è tenuto in cosí gran conto che anche Dio stesso è chiamato carità». 3 Dopo la lunga esposizione sulla carità, la questione è infine risolta con questa conclusione: «Sic ergo quaecumque de caritate scripta sunt, quasi de amore dicta suscipe nihil de nominibus curans; eadem namque in utroque virtus ostenditur». 4 «Quindi tutto ciò ch’è stato scritto della carità prendilo come scritto dell’amore, non curandoti aπatto dei nomi». Ad amore può essere attribuito il significato riferito in precedenza a carità; lo stesso significato può essere individuato con l’uno o con l’altro nome: «infatti nell’una e nell’altra parola si manifesta la stessa capacità di significazione (virtus)». Nell’accostamento a carità, amore, che è termine ambivalente, è elevato allo stesso significato. D’altra parte è necessario precisare che, accanto all’uso proprio di questi termini, esiste anche un abuso.
Quod si quis dicat quia et pecuniam et meretricem et alia similiter mala eodem vocabulo quod a caritate duci videtur, diligere appellamur, sciendum est in his non proprie, sed abusive cari tatem nominari. 5
In eπetti è necessario operare una distinzione piú precisa a proposito dell’uso dei nomi dell’amore. 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 32 (ed. cit., p. 114). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 20 (trad. cit., p. 43). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 25 (trad. cit., p. 44). 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 33 (ed. cit., p. 114). Nella traduzione Simonetti rende caritas con «amore» e amor con «desiderio»: i motivi di questa scelta sono probabilmente quelli già individuati a proposito di prol. 2, 20 (si veda p. 64, nota 1). Per evidenziare le diπerenze tra i nomi dell’amore, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso caritas con «carità» e amor con «amore». 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 33 (ed. cit., p. 114). 2
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Ita ergo et primum caritatis nomen in Deo est, propter quod iubemur diligere Deum ex toto corde nostro et ex tota anima nostra et ex totis viribus nostris (cfr. Mt 22, 39), utpote eum a quo habemus hoc ipsum ut diligere possimus. In ipso iam sine dubio continetur ut et sapientiam et iustitiam et pietatem et veritatem omnesque virtutes pariter diligamus; unum enim atque idem est diligere Deum et diligere bona. Secundo in loco, quasi abusivo et inde derivativo nomine etiam proximum diligere iubemur tamquam nos ipsos (cfr. Mt 22, 39). Tertium vero est, quod falso sub caritatis titulo nominatur, diligere vel pecuniam vel voluptates vel omne quidquid ad corruptelam pertinet et errorem. 1
La triplice distinzione è individuata da formule introduttive. 1. Uso primario del nome ‘carità’ («primum caritatis nomen»): «il nome di carità spetta in primo luogo a Dio». Infatti Dio è carità, ed «è da lui che noi deriviamo questa facoltà di amare». «La carità di Dio tende sempre a Dio, da cui trae anche origine»; 2 per questo motivo, «ci si comanda di amare Dio con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze (Lc 10, 27)». 3 Amare Dio è amare il bene: «E senza dubbio nell’amore per Dio è compreso anche l’amore per la sapienza, la giustizia, la verità, la pietà e tutte le virtù: infatti è una sola e medesima cosa amare Dio e amare il bene». 2. Uso per cosí dire improprio e derivato («quasi abusivo et inde derivativo nomine»): «In secondo luogo, in senso improprio e derivato, ci si comanda di amare il prossimo come noi stessi (Lc 10, 27)». Il carattere secondario dell’amore del prossimo è individuato dal grado. 3. Uso falso («quod falso sub caritatis titulo nominatur»): «Terzo senso è quello per cui erroneamente si fa il nome di carità: amare il denaro o il piacere o tutto ciò che ha per oggetto la corruzione e l’errore». Infatti la carità che è Dio non ama ciò che è corruttibile. Quindi è introdotta una questione terminologica, riguardante l’uso di amore e carità in riferimento a Dio.
Non ergo interest utrum amari dicatur Deus aut diligi, nec puto quod culpari possit, si quis Deum, sicut Iohannes caritatem, ita ipse amorem nominet. Denique memini aliquem sanctorum dixisse, Ignatium nomine, de Christo: «Meus autem amor crucifixus est», nec reprehendi eum pro hoc dignum iudico. 4
Il passo stabilisce una corrispondenza fra i verbi amari (ejra`sqai) e diligi (ajgapa`sqai) e i sostantivi caritas (ajgavph) e amor (e[rw~), disposti secondo uno schema chiastico. La prima e la seconda parte del passo sono legate da una connessione: se il sentimento dell’uomo per Dio è denominato amore o carità, questo significa che Dio è sentito dall’uomo come amore e carità, e pertanto può essere denominato con questi termini. A motivo dell’ambivalenza della parola amor, che nei diversi contesti può assumere una conno1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 35 (ed. cit., p. 116). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 32 (trad. cit., p. 47). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 35 (trad. cit., pp. 47-48). 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 36 (ed. cit., p. 116). Per evidenziare le diπerenze tra i nomi dell’amore, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso caritas con «carità» e amor con «amore» (si veda p. 64, nota 1). 2 3
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tazione positiva o negativa, il concetto è espresso con cautela: «non credo che si debba incolpare uno, se denomina amore Dio cosí come Giovanni lo ha denominato carità». L’accostamento a carità, attestata in 1 Jo 4, 8, rende necessario trovare anche per amore un’autorevole testimonianza. Mi ricordo infatti che uno dei santi, di nome Ignazio, ha detto cosí di Cristo: Il mio amore è stato crocifisso (Ignat., ad Rom., 7, 2), e non credo che per questo egli debba essere biasimato. 1
Per comprendere il significato di queste parole, è necessario inquadrare la citazione nel contesto dell’opera. Nella Lettera ai Romani, scritta durante la sosta a Smirne, Ignazio si rivolge con toni accorati ai cristiani di Roma, supplicandoli di non intercedere per evitare la sua esecuzione. L’intera lettera è attraversata dall’anelito di raggiungere Cristo attraverso il martirio: Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio solo trovare Gesú Cristo. 2
Il desiderio di Ignazio è farsi imitatore della passione di Cristo, a√nché unendosi alla sua morte sia reso partecipe della sua resurrezione: È bello per me morire in Gesú Cristo […]. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. […] Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se qualcuno l’ha in sé, comprenda quanto voglio e mi compatisca conoscendo ciò che mi opprime. 3
Il desiderio di morire è dunque l’amore di Cristo crocifisso: Vivendo infatti vi scrivo, amando morire. Il mio amore è stato crocifisso, e non è in me un fuoco amante della materia; un’acqua viva parla in me, dicendomi dentro: qui al Padre (cfr. Jo 14, 12). Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesú Cristo, della stirpe di David e come bevanda voglio il suo sangue che è l’amore incorruttibile. 4
L’espressione ejrw`n tou` ajpoqanei`n («amando morire») è ripresa e precisata dalla locuzione oJ ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai: «il mio amore è stato crocifisso», cioè il mio amore subisce ciò che ha patito Cristo, vuole essere inchiodato alla croce per morire e risorgere con lui. La contrapposizione tra le imma1
Ivi (trad. cit., p. 48). Ignat., ad Rom., 5, 3 (ed. Pierre Thomas Camelot, Paris, Les Éditions du Cerf, 19694 [«SC», 10], pp. 112-114): Pu`r kai; stauro;~ qhrivwn te sustavsei~, ajnatomaiv, diairevsei~, skorpi 2
smoi; ojstevwn, sugkoph; melw`n, ajlesmoi; o{lou tou` swvmato~, kakai; kolavsei~ tou` diabovlou ejpV ejme; ejrcevsqwsan, movnon i{na ∆Ihsou` Cristou` ejpituvcw. 3 Ignat., ad Rom., 6, 1. 3 (ed. cit., p. 114): Kalovn moi ajpoqanei`n eij~ Cristo;n ∆Ihsou`n ª...º. ∆Ekei`non zhtw`, to;n uJpe;r hJmw`n ajpoqanovnta∑ ejkei`non qevlw, to;n diV hJma`~ ajnastavnta. ª...º ∆Epitrevyatev moi mimhth;n ei\nai tou` pavqou~ tou` qeou` mou. Ei[ ti~ aujto;n ejn eJautw/` e[cei, nohsavtw o} qevlw, kai; sumpaqeivtw moi, eijdw;~ ta; sunevcontav me. 4 Ignat., ad Rom., 7, 2-3 (ed. cit., pp. 114-116): Zw`n ga;r gravfw uJmi`n, ejrw`n tou` ajpoqanei`n. ÔO ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai, kai; oujk e[stin ejn ejmoi; pu`r filovu>lon∑ u{dwr de; zw`n (cfr. Jo 4, 10; 7, 38; Apc 14, 25) kai; lalou`n ejn ejmoiv, e[swqevn moi levgon∑ Deu`ro pro;~ to;n patevra (cfr. Jo 14, 12). Oujc h{domai trofh`Ê fqora`~ oujde; hJdonai`~ tou` bivou touvtou. “Arton qeou` qevlw, o{ ejstin sa;rx ∆Ihsou` Cristou`, «tou` ejk spevrmato~ Dauivd» (Jo 7, 42; Rm 1, 3), kai; povma qevlw to; ai|ma aujtou`, o{ ejstin ajgavph a[fqarto~.
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gini del fuoco e dell’acqua (oujk e[stin ejn ejmoi; pu`r filovu>lon∑ u{dwr de; zw`n) chiarisce che con la morte in croce si estingue l’ardore dell’amore della materia e si rigenera la vita nello Spirito. Colui che si è fatto imitatore di Cristo fino alla morte non trova piú piacere in ciò che è corruttibile, e invece ama solo ciò che è incorruttibile. La iunctura oJ ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai evidenzia il momento dell’adesione del «mio amore» a Cristo che «è stato crocifisso», il momento in cui l’amore dell’uomo si assimila all’amore di Cristo. Per questo motivo, e[rw~ non ha il significato di ‘desiderio sensuale’ («sinnliches Verlangen»), 1 ‘inclinazione sensuale verso il mondo’ («die sinnliche Hinneigung zur Welt und ihre Dingen»), ‘amor carnalis’, 2 ‘passione umana’, 3 ma indica piuttosto un amore che, nell’adesione a Cristo crocifisso, non è piú ardore dell’amore della materia ma è invece acqua viva. Il riferimento cristologico risulta ancor piú evidente dal confronto con Gal 5, 24 (oiJ de; tou` Cristou` ∆Ihsou` th;n savrka ejstauvrwsan su;n toi`~ paqhvmasin kai; tai`~ ejpiqumivai~) e 6, 14 (ejmoi; de; mh; gevnoito kauca`sqai eij mh; ejn tw/`
staurw/` tou` Kurivou hJmw`n ∆Ihsou` Cristou`, diV ou| ejmoi; kovsmo~ ejstauvrwtai kajgw; kovsmw/). 4 La locuzione oJ ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai contiene dunque una chiara allu
sione a Cristo; tuttavia, nel testo di Ignazio l’espressione «il mio amore» non può essere sostituita con «Cristo». Pertanto si deve intendere come una ‘forzatura’ l’interpretazione proposta da Origene, secondo il quale Ignazio ha detto queste parole a proposito di Cristo. La ‘forzatura’ consiste nel passaggio dal piano soggettivo dell’amante («il mio amore» = il mio sentimento di amore) al piano oggettivo dell’amato («il mio amore» = colui che io amo), con la conseguenza che passa in secondo piano Ignazio e in primo piano Cristo. Pertanto questa interpretazione appare almeno in parte legittima, e non è del tutto arbitraria, 5 perché non comporta il passaggio
1 Adolf von Harnack, Der ‘Eros’ in der alten christlichen Literatur, «Sitzungsberichte der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1918, pp. 81-94 (84): «Zwar ist ejra`n in dem unmittelbar vorangehenden Sätzchen (ejrw`n tou` ajpoqanei`n) nicht im schlimmen Sinn gebraucht, und das kann dazu verleiten, auch den e[rw~ im guten Sinn zu verstehen; aber entscheidend ist der gleichfolgende Satz: kai; oujk e[stin ejn ejmoi; pu`r filovu>lon; denn wie kann man die beiden eng verbundenen Sätze anders verstehen als: “Weil mein sinnliches Verlangen gekreuzigt ist, so ist nun in mir keine Liebesglut nach Materiellem mehr”?». Harnack individua una connessione fra oJ ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai e kai; oujk e[stin ejn ejmoi; pu`r filovu>lon, e omette invece u{dwr de; zw`n, non vedendo la relazione fuoco-acqua, che chiarisce la natura di e[rw~. 2 Franz Josef Dölger, Christus als himmlischer Eros und Seelenbräutigam bei Origenes, «Antike und Christentum» vi, 1950, pp. 273-275 (273): «Ignatius hat in der hier angerufenen Stelle ganz deutlich die sinnliche Hinneigung zur Welt und ihren Dingen, den amor carnalis gemeint». 3 Ignat., ad Rom., 7, 2 (trad. Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova, 1976, p. 124). 4 Adolf von Harnack, Der ‘Eros’ in der alten christlichen Literatur, cit., p. 84, propone questi confronti, omettendo però i riferimenti cristologici: «Das auπallende Bild aber: oJ ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai, erscheint vollkommen erklärt durch zwei Stellen im Paulinischen Galaterbrief, den Ignatius gekannt hat, c. 5, 24: th;n savrka ejstauvrwsan su;n toi`~ paqhvmasin kai; tai`~ ejpiqu mivai~, und c. 6, 14: ejmoi; kovsmo~ ejstauvrwtai kajgw; kovsmw/». 5 Alcuni studiosi hanno contestato l’interpretazione origeniana, osservando che il contesto della frase obbliga a riferire eros alla passione umana. Adolf von Harnack, Der ‘Eros’ in
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dal significato di ‘desiderio sensuale’ al significato completamente estraneo di ‘Cristo’. L’interpretazione proposta da Origene non sembra nascere da un fraintendimento. In eπetti, essa ripropone la connessione amore = sentimento – amore = amato già individuata nel testo che introduce la citazione. Inoltre, l’interpretazione è proposta con cautela («non credo che per questo egli debba essere biasimato»), quasi a evidenziare la consapevolezza che essa comporta una ‘forzatura’. All’estremo opposto della carità e dell’amore di Dio si colloca l’amore di ciò che è corruttibile. Sciendum tamen est quod omnis qui vel pecuniam diligit vel ea quae in mundo sunt materiae corruptibilis, virtutem caritatis, quae ex Deo est (cfr. 1 Jo 4, 7), ad terrena et ad caduca deducit, et rebus Dei abutitur ad ea quae non vult Deus; non enim dilectionem Deus horum, sed usum hominibus dedit. 1
der alten christlichen Literatur, cit., p. 84: «Origenes ist also im Unrecht, wenn er – zu seiner Freude – bei Ignatius Christus als ‘Eros’ gefunden haben wollte […]». Franz Josef Döl ger, Christus als himmlischer Eros, cit., p. 273: «Ignatius hat in der hier angerufenen Stelle ganz deutlich die sinnliche Hinneigung zur Welt und ihren Dingen, den amor carnalis gemeint. Das ist längst erkannt. Aber Origenes hat den bei Ignatius stehenden Text “mein Eros ist gekreuzigt” so verstanden, als ob dastünde “mein Christus ist gekreuzigt”, er hat also eine bildliche Redeweise ‘Christus = Eros’ bei Ignatius vorausgesetzt». Anders Nygren, Eros e agape. La nozione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni, introduzione all’edizione italiana di Franco Bolgiani, traduzione di Nella Gay, Bologna, Il Mulino, 1971 («Collana di studi religiosi»), p. 388: «Ignazio scrive: “facendo ancora parte dei vivi vi scrivo con il desiderio ardente di morire. Il mio eros è crocifisso e in me non arde piú la fiamma per il mondo materiale”. […] In quale accezione ha usato il termine ‘eros’? Il contesto non lascia adito a dubbi: si tratta dell’eros volgare, del desiderio volto al mondo sensibile e materiale. Ignazio dice che questo desiderio è crocifisso ed estinto in lui, cosicché non ha piú alcuna concupiscenza verso gli oggetti di questo mondo transitorio. Origene ha inteso male, credendo che si tratti del Cristo, il Crocifisso». John M. Rist, Eros e Psyche, cit., p. 255: «Ignazio aveva scritto: oJ ejmo;~ e[rw~ ejstauvrwtai k.t.l., il che, come mostra chiaramente il contesto, significa: “Le mie passioni terrene sono state crocifisse”. Origene ritiene che l’espressione oJ ejmo;~ e[rw~ si riferisca a Cristo, ed interpreta il passo di conseguenza». Altri studiosi si sono dimostrati piú incerti nel considerare erronea l’interpretazione origeniana. Arthur Hilary Armstrong, Platonic Eros and Christian Agape, «Downside Review», lxxix, 1961, pp. 105-121 (119 nota 17): «Je ne me sens pas maintenant du tout aussi sûr que le Dr. Markus et beaucoup de savants modernes qu’Origène ait mal interprété le texte d’Ignace». Henri Crouzel, Virginité et mariage selon Origène, Paris-Bruges, Desclée de Brouwer, 1963 («Museum Lessianum, section théologique», 58), p. 70: «Harnack et bien d’autres après lui ont reproché à Origène de commettre un contresens: e[rw~ désignerait dans la pensée d’Ignace l’amour charnel. D’autres auteurs n’en sont pas si sûrs. En eπet les deux interprétations peuvent se défendre». Idem, Origines patristiques d’un thème mystique, cit., p. 313: «Selon Harnack et Nygren Origène aurait commis ici sur le texte d’Ignace d’Antioche un contresens répété par toute la tradition postérieure: c’est l’amour charnel d’Ignace qui aurait été crucifié, comme le monde pour Paul selon Ga 6, 14. Nous avons ailleurs contesté cette assertion […]». Henryk Pietras, L’amore in Origene, cit., pp. 17-18: «[…] la frase: “il mio eros è stato crocifisso” ha suscitato molte discussioni dopo l’interpretazione di Harnack, che qui traduce eros per ‘desiderio sensuale’, facendo credere che ciò derivi dal contesto. […] abbiamo però dei dubbi su tale interpretazione […]». Henri Crouzel (Origène. Commentaire sur le Cantique des Cantiques, cit., ii, pp. 753-755 [754]): «On connaît le texte d’Ignace, Ad Rom. vii, 2 […]. Mais il reçoit, maintenant et peut-être pour toujours, deux interprétations diπérentes: l’une, à la suite d’Origène, spontanément théologique; l’autre, critique». 1 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 37 (ed. cit., pp. 116-118).
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L’abuso delle parole amore e carità corrisponde ad un uso distorto e ad un abuso di questi sentimenti. L’uso distorto, evidenziato dal verbo deducit, è descritto con queste parole: «ognuno il quale ama il denaro o quelle cose che nel mondo sono di materia corruttibile, costui piega l’e√cacia della carità, che deriva da Dio, alle cose terrene e caduche». L’abuso, individuato dal verbo abutitur, è presentato in questi termini: abusa delle cose di Dio per fini che Dio non vuole. Infatti tali cose terrene Dio ha permesso all’uomo non di amarle ma soltanto di averle in uso. 1
L’amore è dovuto solo a Dio, che ha dato all’uomo la capacità di amare. A conclusione della sezione che tratta il rapporto fra carità e amore sono proposte alcune considerazioni sul significato di questi termini. Haec autem paulo latius discussimus volentes de natura caritatis et amoris apertius attentiusque distinguere, ne forte, quoniam Scriptura dicit: Quia Deus caritas est (1 Jo 4, 8), omne quod diligitur, etiam si corruptibile sit, ex Deo esse in hoc caritas et dilectio putaretur. Sed ostenditur res quidem Dei et munus eius esse caritas, non tamen semper ab hominibus, ad ea quae Dei sunt et quae Deus vult, opus eius adsumi. 2
La spiegazione del significato delle parole individua il rapporto esistente fra carità e amore. Abbiamo trattato questo tema con una certa ampiezza perché abbiamo voluto fare distinzione chiara e precisa sulla natura della carità e dell’amore, al fine di evitare che, poiché la Scrittura dice che Dio è carità (1 Jo 4, 8), si creda che la carità e dilezione che deriva da Dio sia in tutto ciò che noi amiamo, anche se si tratta di cose corruttibili. Infatti si dimostra che la carità è, sí, cosa e dono di Dio, ma non sempre viene messo in opera dagli uomini per finalità che sono di Dio e che Dio vuole. 3
L’uomo non può fare a meno del dono dell’amore; può usare questo dono in modo retto o non retto, in modo conforme o diπorme dalla volontà di colui che lo ha dato. Sed et hoc scire oportet quod impossibile est ut non semper humana natura aliquid amet. Omnis namque qui ad id aetatis venerit quam pubertatem vocant amat aliquid seu minus recte, cum amat quae non oportet, seu recte et utiliter, cum amat quae oportet. Verum nonnulli hunc amoris aπectum, qui animae rationabili insitus est beneficio conditoris, aut ad amorem pecuniae trahunt et avaritiae studium aut erga gloriam captandam et fiunt inanis gloriae cupidi, aut erga scorta sectanda et inveniuntur impudicitiae libidinisque captivi, aut ad alia his similia virtutem tanti boni huius eπundunt. 4
Dal momento in cui si manifesta, l’amore agisce nell’anima con una forza tale che l’uomo non può sottrarsi ad essa: 1
Ivi (trad. cit., p. 48). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 38 (ed. cit., p. 118). Ivi (trad. cit., pp. 48-49). Per evidenziare le diπerenze tra i nomi dell’amore, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso caritas con «carità» e amor con «amore» (si veda p. 64, nota 1). 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 39 (ed. cit., p. 118). 2 3
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è impossibile che la natura umana non ami sempre qualcosa. Infatti ognuno che sia arrivato alla pubertà ama qualcosa, 1 sia non rettamente, allorché ama ciò che non dovrebbe, sia rettamente e utilmente, allorché ama ciò che deve. 2
Imponendosi con la sua forza, l’amore chiede di operare una scelta che è un’opzione morale. 3
Ma questo sentimento di amore, che per dono del Creatore è insito nell’anima razionale, alcuni lo piegano all’amore per il denaro o alla propensione per l’avidità, o per conseguire fama e allora diventano desiderosi di vanagloria, o per cercare prostitute e si trovano prigionieri dell’impudicizia e della libidine, ovvero disperdono per altri oggetti simili a questi l’e√cacia di un bene tanto grande. 4
L’amore saggia l’anima, perché la volontà dell’amante si confronta con la volontà dell’amato. Ponamus, verbi causa, mulierem amore viri alicuius ardentem cupientemque in consortium eius adscisci, nonne omnia ita aget et omnes motus suos ita temperabit ut scit illi placere quem diligit, ne forte, si in aliquo contra voluntatem illius egerit, consortia eius vir ille optimus refutet ac spernat? Poteritne haec mulier quae erga amorem viri illius toto corde, tota anima, totisque viribus (Lc 10, 27) fervet, aut adulterium committere quae eum noverit amare pudicitiam, aut homicidium quae eum noverit mitem, aut furtum quae ei sciat liberalitatem placere, aut concupiscet aliena quae omnes suas concupiscentias erga amorem viri illius habeat occupatas? Sic ergo in caritatis perfectione, et omne mandatum restaurari dicitur, et legis virtus prophetarumque pendere (cfr. Mt 22, 40). 5
8. L’amore e la carità nel Cantico dei Cantici (prol. 2, 44-48) Nella sezione conclusiva l’amore sponsale del Cantico dei Cantici (prol. 2, 46) è inquadrato entro la cornice della carità descritta nelle Lettere di Paolo (prol. 2, 44-45) e nella Prima Lettera di Giovanni (prol. 2, 47-48). L’amore 1 Francesca Cocchini, Eros in Origene, cit., pp. 33-34: «Il riferimento alla pubertà da un lato e all’anima razionale dall’altro, lascia percepire una pluralità di ambiti a cui è connesso l’amore: si tratta di un bene creaturale, ossia dato dal Creatore nella creazione, che coinvolge tanto il corpo quanto l’intelletto; che ha sede, o potremmo dire si trova in potenza, nell’intelletto, ma che ha bisogno per esplicarsi, ossia passare all’atto, della dimensione sia intellettuale sia corporea una volta che entrambe abbiano raggiunto la pienezza delle proprie facoltà. […] Infatti quel riferimento alla pubertas come età necessaria da raggiungere perché l’amore possa manifestarsi, che fa cogliere, nel concetto origeniano di amore, una precisa valenza dinamica nell’ambito somatico dell’essere, implicante un’attività di ricerca di relazionalità, una capacità di darsi, di incontrarsi creativamente con altro amore in un incontro generativo, una volta trasferito al rapporto credente-Cristo diviene indicativo del momento di passaggio dallo stadio di incipiens a quello di perfectus, lí dove il primo è connotato da infecondità spirituale, mentre il secondo dalla fecondità». 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 39 (trad. cit., p. 49). 3 Con la formula «impossibile est ut non» Origene introduce una dichiarazione categorica, che non ammette eccezioni, e universale. A questa condizione universale, attraverso una adiunctio, riconduce sia l’amore retto che l’amore perverso. Quindi indica i tanti modi della deviazione dall’amore retto all’amore perverso. 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 39 (trad. cit., p. 49). 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 43 (ed. cit., p. 120).
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dell’anima per il Verbo di Dio è racchiuso tra la carità intesa come presenza di Dio nell’uomo (Rm 5, 5) e la carità che è Dio (1 Jo 4, 8). In primo luogo la carità è descritta attraverso un mosaico di citazioni ricavate da Paolo. Propter istud caritatis vel amoris bonum, sancti nec in tribulatione angustantur, nec aporiati exaporiantur, nec deiecti pereunt (cfr. 2 Cor 4, 8-9), sed quod in praesenti est momentaneum et leve tribulationis eorum supra modum aeternum gloriae pondus operatur illis (cfr. 2 Cor 4, 17). Non enim omnibus, sed Paulo et his qui ei similes sunt, praesens haec momentaria ac levis dicitur tribulatio, quia perfectam caritatem Dei in Christo Iesu habent per Spiritum sanctum in corde suo diπusam (Rm 5, 5). 1 Sic ipsum Paulum vi amoris huius incensum audio dicentem: Caritas omnia patitur, omnia credit, omnia sperat, omnia tolerat, caritas numquam cadit. Nihil ergo est quod non toleret qui perfecte diligit. 2
A questa carità è connesso l’amore descritto nel Cantico dei Cantici con le caratteristiche dell’amore sponsale: l’ardore, il desiderio, la generazione dei figli. Hunc ergo amorem loquitur praesens scriptura, quo erga Verbum Dei anima beata uritur et inflammatur, et istud epithalamii carmen per Spiritum canit, quo ecclesia sponso caelesti Christo coniungitur ac sociatur, desiderans misceri ei per Verbum, ut concipiat ex eo, et salvari possit per hanc castam filiorum generationem, cum permanserint in fide et sanctitate cum sobrietate utpote concepti ex semine quidem Verbi Dei, editi vero genitique vel ab immaculata ecclesia, vel ab anima nihil corporeum, nihil materiale requirente, sed solo Verbi Dei amore flagrante. 3
«Di tale amore parla il nostro testo». L’amore è la chiave per comprendere il significato spirituale del Cantico dei Cantici, e cogliere il legame esistente fra l’interpretazione tipologica e psicologica: le vicende dell’anima perfetta e della Chiesa si sviluppano in parallelo, per poi avvicinarsi fino ad intrecciarsi. Nella prima parte del passo è stabilita una corrispondenza tra l’una e l’altra vicenda, introdotte dall’anaphora del pronome relativo: da tale amore (quo) per il Verbo di Dio è infiammata e arde l’anima beata e canta questo canto nuziale ispirata dallo Spirito Santo, per mezzo del quale (quo) la Chiesa si congiunge e si unisce a Cristo, lo sposo celeste, desiderando unirsi con lui nel Verbo, per concepire da lui. 4
Il punto di incontro tra l’una e l’altra vicenda è l’unione con il Verbo di Dio: come l’anima si unisce al Verbo, cosí la Chiesa si unisce con Cristo nel Verbo. Da questa unione scaturisce una casta generazione di figli (1 Tm 2, 15) […] concepiti dal seme del Verbo di Dio e partoriti e generati dalla immacolata Chiesa o anima, che non cerca alcunché di corporeo e di materiale ma arde solo di amore per il Verbo di Dio. 5
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 44 (ed. cit., p. 122). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 45 (ed. cit., p. 122). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 46 (ed. cit., pp. 122-124). 4 5 Ivi (trad. cit., p. 51). Ibidem. 2
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Le vicende dell’anima e della Chiesa sono ormai strettamente intrecciate, poiché i figli, che esse hanno dato alla luce e generato, sono stati tutti concepiti dallo stesso seme, che è quello del Verbo di Dio. Il testo, strutturato in forma di Ringkomposition, si conclude cosí come era iniziato, con l’ardore di amore per il Verbo di Dio («quo erga Verbum Dei... uritur et inflammatur» – «Verbi Dei amore flagrante»). L’amore della Chiesa e dell’anima per il Verbo di Dio è accostato alla carità, intesa in senso teologico. Haec interim nobis ad praesens de amore vel caritate, quae in epithalamio hoc Cantici Cantico rum refertur, occurrere potuerunt. Sed sciendum est tam multa esse quae dici debeant de caritate hac, quanta et de Deo, siquidem ipse est caritas (cfr. 1 Jo 4, 8). Sicut enim nemo novit Patrem nisi Filius et cui voluerit Filius revelare (Mt 11, 27), ita nemo novit caritatem nisi Filius. Similiter autem etiam ipsum Filium, quoniam et ipse caritas est, nemo scit nisi Pater. Etiam secundum hoc quod caritas dicitur, solus autem sanctus Spiritus est qui ex Patre procedit, et ideo scit quae in Deo sunt, sicut spiritus hominis scit quae in homine sunt (cfr. 1 Cor 2, 11). Hic ergo Paracletus, Spiritus veritatis, qui de Patre procedit (Jo 15, 26), circuit quaerens si quas inveniat dignas (cfr. Sap 6, 16) et capaces animas quibus revelet magnitudinem caritatis huius quae ex Deo est (cfr. 1 Jo 4, 7). 1
Nel Cantico dei Cantici, che è un epitalamio, la carità è delineata con le caratteristiche dell’amore sponsale, che ha come fine una casta generazione di figli; ma è possibile andare oltre questi tratti specifici, e fare un discorso piú generico intorno alla carità che è Dio: «si tenga presente che sono tante le cose che si dovrebbero dire intorno a questa carità, quante intorno a Dio stesso, perché egli è carità (1 Jo 4, 8)». La riflessione sulla carità introduce nel cuore della teologia trinitaria, permettendo di cogliere la relazione tra le persone divine. In primo luogo è delineato il rapporto tra il Padre e il Figlio. Come infatti nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui cui il Figlio l’avrà voluto rivelare (Mt 11, 27), cosí nessuno conosce la carità se non il Figlio. Similmente poi anche il Figlio, poiché anch’egli è carità, nessuno lo conosce se non il Padre (Mt 11, 27). 2
Il testo ripropone le parole di Mt 11, 27, sostituendo prima la parola ‘Padre’ e poi la parola ‘Figlio’ con il termine ‘carità’, sulla base dell’esegesi di 1 Jo 4, 8 («Deus caritas est») e 1 Jo 4, 7 («caritas ex Deo est») proposta in prol. 2, 26. Fin qui la comprensione della carità, intesa in senso teologico, sembra essere limitata alla conoscenza che il Padre ha del Figlio e il Figlio ha del Padre; infatti, nella ripresa di Mt 11, 27 («nessuno conosce la carità se non il Figlio») è omessa la seconda parte della pericope biblica: «e colui cui il Figlio l’avrà voluto rivelare». La rivelazione della carità è attribuita allo Spirito Santo, cui è assegnato un ruolo distinto: «E ancora riguardo al fatto che è chiamato carità, solo è invece lo Spirito Santo». Lo Spirito Santo 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 47-48 (ed. cit., p. 124). Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 47 (trad. cit., pp. 51-52).
2
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procede dal Padre (Jo 15, 26) e perciò sa ciò che è in Dio, come lo spirito dell’uomo sa ciò ch’è nell’uomo (1 Cor 2, 11). Pertanto questo paracleto, spirito di verità che procede dal Padre, va in giro cercando (1 Pt 5, 8) se possa trovare anime degne ed idonee cui rivelare la grandezza di questa carità che proviene da Dio (1 Jo 4, 7). 1
La carità che proviene da Dio è il Figlio, sulla base dell’esegesi proposta in prol. 2, 26; pertanto, si può concludere che lo Spirito procede dal Padre, che è carità, e rivela la carità che proviene da Dio, cioè il Figlio. 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 48 (trad. cit., p. 52).
I NOMI DELL’AMORE 1. Premessa
N
elle pagine precedenti è stato trattato l’argomento de amoris natura; in questo quadro generale è possibile collocare il tema specifico dei nomi dell’amore. In primo luogo è necessario proporre un’analisi della distribuzione delle parole. I dati della frequenza e della concentrazione dei nomi individuano i nuclei fondamentali del discorso: in prol. 2, 1-19 si trova solo amor, e non compaiono dilectio e caritas; in prol. 2, 25-35, invece, si trovano quasi sempre caritas e dilectio, e amor compare solo occasionalmente. 1 Dunque, in una prima parte si parla solo di amore, e in una seconda parte si parla invece di carità. Questa distinzione trova riscontro nell’edizione delle Sources Chrétiennes. Il secondo capitolo del prologo è articolato in due sezioni: la prima (prol. 2, 1-23) è intitolata ‘La nature de l’amour’, la seconda (prol. 2, 24-48) è intitolata ‘La charité’. Ai dati della distribuzione è necessario a√ancare un’analisi semantica. Il contenuto associato a ciascuno dei nomi è individuato dal contesto, e in particolare dai richiami alle fonti. Il significato ambivalente di amor – riferito all’uomo, fatto di carne e spirito – si evince chiaramente dai filosofi greci: l’insegnamento spirituale di Platone è stato frainteso e interpretato in senso carnale: l’amore è la forza che conduce l’anima dalla terra al cielo, ma per amore si può precipitare nelle cadute della carne. Il significato elevato e teologico di caritas – riferito al rapporto che unisce il Padre e il Figlio – è invece ricavato dalla Prima Lettera di Giovanni. La comprensione del significato attribuito ai nomi dell’amore è completa solo dopo l’analisi del rapporto esistente fra amor e caritas. L’accostamento tra i due termini è stabilito in prol. 2, 33-38, che corrisponde ad un terzo nucleo fondamentale del discorso. Il termine amor, inteso nella fascia alta del suo significato, individua l’ambito spirituale celeste incorruttibile, e può dunque essere posto in relazione con caritas, che è riferibile allo stesso ambito e tuttavia si distingue per il suo contenuto propriamente teologico.
2. La distribuzione dei nomi: cupido, amor, caritas, dilectio L’analisi della distribuzione dei nomi dell’amore nel prologo del Commento al Cantico dei Cantici è condotta a partire dai dati proposti nell’indice. I dati sono aggregati in rapporto all’articolazione strutturale del testo. Per ciascuna sezione del testo sono descritti la presenza, il significato, i rapporti esistenti tra i nomi dell’amore, che sono di volta in volta accostati e connessi o distinti e contrapposti attraverso gli schemi. 1
Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 25: amor; prol. 2, 33: amore.
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In prol. 2, 1-3 si trova solo la parola amor. L’unica parola individua un unico amore, che può essere conosciuto secondo verità o frainteso: i dotti che hanno cercato la verità hanno mostrato che l’amore è la forza che conduce l’anima dalla terra agli eccelsi fastigi del cielo; tuttavia alcuni su questo argomento non hanno inteso cosí com’era stato scritto, ma a motivo di ciò ch’era detto intorno all’amore sono precipitati nelle cadute della carne e nei precipizi dell’impudicizia. Segue una lunga digressione (prol. 2, 4-15), nella quale sono assenti i nomi dell’amore. In prol. 2, 16 alla parola amor è accostato il termine cupido. 1 La dittologia «cupido et amor», di significato ambivalente, è ripetuta all’interno di un parallelismo antitetico, in modo da evidenziare l’opposta connotazione che assume l’amore nell’uomo, secondo le parole di 1 Cor 15, 49:
se c’è qualcuno che porta ancora l’immagine del terrestre (1 Cor 15, 49) secondo l’uomo esteriore, costui è spinto dal desiderio e dall’amore terreno: chi invece porta l’immagine del celeste (1 Cor 15, 49) secondo l’uomo interiore, costui è spinto dal desiderio e dall’amore celeste. 2
In prol. 2, 20 è stabilito un confronto fra le dittologie «cupido seu amor» e «caritas vel dilectio». Nel confronto fra l’una e l’altra coppia di nomi, il comparativo individua il diverso grado di honestas: la Sacra Scrittura, volendo evitare che sorga qualche inciampo ai lettori a causa della parola amore, per riguardo a qualcuno un po’ troppo inesperto, quello che i sapienti del mondo dicono desiderio o amore («cupido seu amor») con termine piú decoroso («honestiore vocabulo») ha chiamato carità o dilezione («caritatem vel dilectionem»). 3
Dunque un termine piú decoroso può evitare un’interpretazione carnale dell’amore. In prol. 2, 25 è stabilito un altro confronto fra tre nomi dell’amore: non c’è alcuna diπerenza se nelle Sacre Scritture è detto amor o caritas o dilectio, se non che il termine caritas è tanto elevato che anche Dio stesso è chiamato con questo nome. Pertanto il termine caritas è piú elevato rispetto a dilectio e amor; inoltre caritas e dilectio sono termini piú decorosi rispetto ad amor. In questo modo è individuata una gradazione ascendente: 1. amor, parola ambivalente che può significare l’amore carnale o l’amore spirituale; 2. dilectio, termine piú decoroso; 3. caritas, parola di significato elevato perché «Dio è carità» (1 Jo 4, 8). In prol. 2, 26-32 non compaiono i sostantivi dilectio e amor, e si trova soltanto caritas. Il termine è usato per indicare che: 1. «Dio è carità» (1 Jo 4, 8) e «colui che è da Dio (il Figlio) è carità» (cfr. 1 Jo 4, 7: «caritas ex Deo est»); 4 2. «se la carità resta in noi, Dio resta in noi» (cfr. 1 Jo 4, 12); il Padre
1 L’accostamento è proposto solo a proposito del «carnalis amor»: […] sicut dicitur aliquis carnalis amor, quem et Cupidinem poetae appellarunt […] ita est et quidam spiritalis amor […]. 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 16 (trad. cit., p. 41). 3 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 20 (trad. cit., p. 43). 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 26.
i nomi dell’amore
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e il Figlio «vengono a colui che è perfetto nella carità» (1 Jo 4, 18); 3. «tale carità considera ogni uomo come suo prossimo». 2 In sintesi è descritto il circuito della carità, che ha origine da Dio e tende sempre a Dio, e guarda al prossimo con il quale partecipa. 3 In prol. 2, 33 si precisa: «tutto ciò ch’è stato scritto della caritas prendilo come scritto dell’amor, non curandoti aπatto dei nomi». 4 Il significato associato a caritas può essere riferito anche ad amor: «infatti nell’una e nell’altra parola si manifesta la stessa capacità di significazione (virtus)». Nell’accostamento a caritas, il termine amor, che è ambivalente, è elevato allo stesso significato. In prol. 2, 33 si precisa anche che caritas (e diligere, termini latini per le parole greche ajgavph e ajgapa`n) non è usato in senso proprio bensí improprio («non proprie, sed abusive») quando significa amare il denaro o una prostituta o qualcos’altro che è male. 5 Definendo un abuso ogni altro impiego, i termini caritas e diligere significano propriamente solo l’amore di Dio e l’amore del prossimo. In prol. 2, 35 la distinzione fra uso proprio e abuso è riproposta in una triplice articolazione: 1. senso primario («primum... nomen»); 2. senso secondario, improprio e derivato («secundo in loco, quasi abusivo et inde derivativo nomine»); 3. terzo senso, erroneo («tertium vero est, quod falso sub caritatis ti tulo nominatur»). In primo luogo il termine caritas spetta a Dio; in secondo luogo, in senso improprio e derivato indica l’amore del prossimo; in terzo luogo, è riferito erroneamente all’amore del denaro o del piacere o di tutto ciò che ha per oggetto la corruzione e l’errore. In prol. 2, 37 è chiarito in che cosa consista questa abusio: ognuno il quale ama il denaro o quelle cose che sono di materia corruttibile, costui piega l’e√cacia della caritas, che deriva da Dio, alle cose terrene e caduche, e abusa (abutitur) delle cose di Dio per fini che Dio non vuole. Infatti tali cose terrene Dio ha permesso all’uomo non di amarle (dilectionem) ma soltanto di averle in uso (usum). In prol. 2, 38 è precisato il senso delle osservazioni sui nomi dell’amore. 1
Abbiamo trattato questo tema con una certa ampiezza perché abbiamo voluto fare distinzione chiara e precisa sulla natura della carità e dell’amore, al fine di evitare che, poiché la Scrittura dice che Dio è carità (1 Jo 4, 8), si creda che la carità e dilezione che deriva da Dio sia in tutto ciò che noi amiamo, anche se si tratta di cose corruttibili. Infatti si dimostra che la carità è, sí, cosa e dono di Dio, ma non sempre viene messa in opera dagli uomini per finalità che sono di Dio e che Dio vuole. 6
3. Il significato dei nomi: amor e caritas Nella sua indagine sul lessico cristiano dell’amore, Jean Giblet ha enunciato un principio fondamentale: «Un mot ne prend son sens que dans la trame 1
2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 27. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 30. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 32. 4 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 33 (trad. cit., p. 47). 5 Il testo dichiara espressamente la connessione esistente fra caritas e diligere, termini latini per le parole greche ajgavph e ajgapa`n: «eodem vocabulo quod a caritate duci videtur, diligere appellamur». 6 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 38 (trad. cit., pp. 48-49). 3
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du discours où il se situe». 1 Per quanto concerne i nomi dell’amore non mancano ricerche di ampio respiro, che abbracciano testi riconducibili a diπerenti epoche, generi letterari e lingue, al fine di proporre una visione d’insieme. Sono invece meno numerosi gli studi condotti su singoli testi, per esaminare il significato che i nomi dell’amore assumono nella trama del discorso. Questi studi chiariscono che all’interno di un singolo testo i nomi dell’amore stabiliscono una fitta trama di relazioni, e in questo modo si definiscono l’uno in rapporto all’altro. Nel Commento al Cantico dei Cantici è possibile riconoscere questa trama di relazioni. Nel capitolo 2 del prologo amor e cupido, singolarmente o in iunctura («cu pido et amor», «amor et cupido», «cupido seu amor»), sono i termini latini per la parola greca e[rw~; caritas e dilectio, singolarmente o in iunctura («caritas vel dilectio»), sono i termini latini per la parola greca ajgavph. Origene ‘plasma’ il contenuto dei nomi dell’amore. Le parole amor-amare (corrispondenti in greco al gruppo e[rw~-ejra`n) sono ambivalenti, e per questo motivo è necessario precisare il loro significato: l’amore deve essere inteso in senso spirituale, secondo la dottrina platonica, e non in senso carnale, secondo altri filosofi che hanno interpretato male ciò che era stato scritto in modo corretto. L’ambivalenza del termine amor si deve al suo significato molto ampio, comprendente tanto l’ambito della carne (terreno e corruttibile) quanto l’ambito dello spirito (celeste e incorruttibile). Il significato della parola amor abbraccia l’intera esperienza dell’essere umano, nel quale è possibile distinguere – secondo l’interpretazione paolina di Genesi – l’uomo esteriore, plasmato dal fango della terra e corruttibile, e l’uomo interiore, creato ad immagine e somiglianza di Dio e incorruttibile. Le parole caritas-diligere (corrispondenti in greco al gruppo ajgavph-ajgapa`n) hanno un significato piú decoroso: la forza di queste parole, cioè la capacità di esprimere un amore spirituale, rimane immutata anche in un contesto in cui è descritto un amore carnale; 2 per questo motivo, la Sacra Scrittura preferisce far ricorso ad esse, per evitare un qualche inciampo ai lettori. In particolare, il termine caritas ha un significato cosí elevato che Dio stesso è chiamato con questo nome. Il significato teologico di caritas è definito con riferimento alla Prima Lettera di Giovanni.
4. Il rapporto fra i nomi: amor e caritas Anche nel momento in cui è operato l’accostamento tra amor e caritas, il contenuto dell’una e dell’altra parola rimane chiaramente distinto: come già precisato, il termine amor può assumere un significato carnale, in riferimento all’amore terreno, oppure un significato spirituale, in riferimento all’amore 1 Jean Giblet, Le lexique chrétien de l’amour, «Revue Théologique de Louvain», i, 1970, pp. 333-337 (337). 2 I termini dilectio-diligere sono usati a proposito dell’amore di Amnon per la sorella Thamar in 2 Rg 13, 1. 14-15, citato in Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 21.
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celeste; il termine caritas invece è piú decoroso, cioè ha un significato spirituale, cosí elevato che Dio stesso è chiamato con questo nome. 3 D’altra parte, è possibile individuare un punto di contatto tra le due parole: amor, nella sua ambivalenza, ha la capacità di assumere un significato elevato come quello di caritas; 4 per questo motivo, ad amor può essere attribuito il significato riferito a caritas. 5 In questo accostamento, l’elemento determinante è caritas, che occupa un ambito semantico piú limitato, al quale si deve avvicinare amor, che ha un significato piú ampio. L’accostamento del significato alto di amor al contenuto teologico di cari tas pone la questione dell’uso dei due termini in riferimento a Dio.
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Non ergo interest utrum amari dicatur Deus aut diligi, nec puto quod culpari possit, si quis Deum, sicut Iohannes caritatem, ita ipse amorem nominet. Denique memini aliquem sancto rum dixisse, Ignatium nomine, de Christo: Meus autem amor crucifixus est, nec reprehendi eum pro hoc dignum iudico. 6
Anche in questo passo è evidente la diπerenza di significato fra i due termini. L’espressione «Dio è carità» di 1 Jo 4, 8 descrive Dio cosí com’è in se stesso. La locuzione oJ ejmo;~ e[rw~ della Lettera ai Romani di Ignazio significa invece «il mio amore». Anche nel momento in cui sono accostate in riferimento a Dio, le due parole conservano una diπerenza di significato: caritas, che ha un significato piú ristretto ed elevato, evidenzia una valenza ‘oggettiva’; amor, che ha invece un significato piú ampio e ambivalente, rivela la sua valenza ‘soggettiva’. La locuzione oJ ejmo;~ e[rw~ può essere intesa nel senso ‘il mio sentimento di amore’ (come nel testo di Ignazio) o nel senso ‘colui che io amo’ (quindi Cristo, come nel commento di Origene), con passaggio dal piano soggettivo a quello oggettivo; ma anche nella seconda interpretazione rimane una valenza soggettiva, implicata dall’aggettivo possessivo: «il mio amore», non in senso assoluto «l’amore». Pertanto, l’espressione oJ ejmo;~ e[rw~ significa che ‘Dio per me è amore’, e non che ‘Dio in se stesso è amore’. 7 Queste considerazioni non si accordano con le osservazioni proposte da Anders Nygren nel saggio Eros e agape. 8 D’altra parte, non mi sembra
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2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 16. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 20. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 25. 4 5 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 33. Ibidem. 6 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 36 (ed. cit., p. 116). 7 Diverso è il significato dell’aπermazione che si legge in Plot., Enn., 6, 8, 15 (ed. Émile Bréhier, Paris, Les Belles Lettres, 1963, p. 152): Kai; ejravsmion kai; e[rw~ oJ aujto;~ kai; aujtou` e[rw~, a{te oujk a[llw~ kalo;~ h] parV aujtou` kai; ejn aujtw/` («Egli è amabile ed è, Egli stesso, amore e amore di sé, poiché non può trarre la sua bellezza se non da sé e in sé»). 8 Anders Nygren, Eros e agape, cit., pp. 388-390: «Origene non si limita a semplici constatazioni: per lui esse non sono che un mezzo; il suo fine è l’assoluta identificazione del principio platonico dell’eros con quello cristiano di agape. Secondo Origene, nell’interpretazione pneumatica della Scrittura è generalmente possibile sostituire l’agape con l’eros. Ma questo procedimento può davvero essere usato senza restrizioni? È lecito anche nel caso di una espressione come quella giovannea “Dio è agape”? Origene ritiene di potere rispondere aπermativamente e si appoggia ad una dichiarazione di Ignazio di Antiochia. […] Se Giovanni dice: “Dio è agape”, si può dire altrettanto bene: “Dio è eros”. Il senso nei due casi non cambia. È cosí trovato il legame tra il Cristianesimo e la pietà ellenistica, cioè la 3
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che si pongano le questioni sollevate da John M. Rist nel saggio Eros e Psyche. 1
5. I nomi e i modi dell’amore Le osservazioni fin qui proposte trovano riscontro in un’analisi lessicale di piú ampio respiro, condotta con l’intento di rispondere alle seguenti domande. 1. È possibile distinguere un significato proprio per ciascuno dei nomi dell’amore? 2. Questo significato proprio corrisponde a un peculiare modo di amare, cioè a un particolare rapporto stabilito tra l’amante e l’amato? 3. Esiste una connessione tra i diπerenti modi di amare, e dunque tra i diversi nomi dell’amore? 4. I diversi nomi dell’amore individuano una gradazione nel sentimento che unisce l’amante e l’amato? Tali questioni trovano risposta nei testi filosofici, nei quali il significato dei nomi è definito in rapporto ai modi dell’amore: in particolare, nel Simposio di Platone, nell’Etica Nicomachea e nell’Etica Eudemia di Aristotele sono individuati gli elementi distintivi e i punti di contatto tra e[rw~, filiva e ajgavph. “Erw~ indica l’amore della bellezza 2 che è nel corpo ma ancor piú nell’anima e ha origine nell’idea del Bello, come si legge nel Simposio di Platone; 3 la caratteristica distintiva dell’e[rw~ consiste nell’unione generativa: 4 colui che è gravido nell’anima, se incontra un’anima bella, partorisce e genera quello di cui era gravido, cioè la saggezza e le altre virtù, e alleva la prole in comune con essa, mantenendo con lei una comunanza piú intima di quella dovuta ai figli. 5 È questo il punto di contatto tra e[rw~ e filiva. Filiva esprime l’amore
concezione platonico-neoplatonica. Essi sono secondo Origene una unica concezione. Questa sintesi riceve la sua impronta dalla mentalità ellenistica: l’agape in questa interpretazione viene posta sullo stesso piano dell’eros. Per la prima volta nella storia del pensiero cristiano sull’amore troviamo dunque, in Origene, una vera sintesi tra la concezione cristiana e quella ellenistica dell’amore. Nessuno di coloro che in seguito hanno aspirato a tale sintesi ha sostanzialmente potuto superare Origene». 1 John M. Rist, Eros e Psyche, cit., p. 255: «Com’è allora che Origene, a costo di meritarsi la censura di Nygren e di altri, può passare cosí liberamente dal termine cristiano agape all’espressione eros, che questi critici vorrebbero considerare come nient’altro che un desiderio acquisitivo? Ci sono due possibilità. Si può considerare il modo in cui Origene tratta la nozione di amore come estraneo alla ‘pura’ tradizione cristiana del tempo, e come una resa pericolosa e sconsiderata alle forze del Platonismo. Ora, tenendo conto della profonda fedeltà ai principi cristiani che De Lubac ha mostrato come caratteristica di Origene, dovremmo essere molto cauti prima di accettare questa soluzione, a meno che non fosse necessario farlo. L’altra possibilità è che Origene fosse consapevole che eros poteva avere un significato non appetitivo; un significato che, ovviamente, non ne fa l’equivalente di agape – in quanto il Dio cristiano è personale, mentre l’Uno plotiniano è, in senso proprio, al di là della volontà e della personalità –, ma che, quanto meno, fa sí che esso implichi un’analoga relazione attiva fra la divinità ed il resto dell’universo. Pertanto, sulla base della nostra interpretazione del significato non-appetitivo dell’eros nell’ambito della tradizione platonica, possiamo dire che Origene era autorizzato, come cristiano, ad introdurre un tale eros nella sua spiegazione di Dio, a condizione di restaurare quell’elemento personale che i Platonici negavano». 2 Pl., Smp., 201a (trad. Giovanni Reale, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2001, p. 89): «E se è veramente cosí, che altro è Eros se non amore di bellezza (kavllou~... e[rw~), e non già di bruttezza?». 3 4 Pl., Smp., 210a-211d. Pl., Smp., 206b. 5 Pl., Smp., 209b-c (trad. cit., pp. 113-115): «E se mai incontra un’anima bella, nobile e di
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di amicizia, che ha origine nell’utile o nel piacere o nella virtù, come precisa Aristotele nell’Etica Nicomachea: 1 il carattere proprio della filiva risiede nella comunanza. 2 Quando questa comunanza è stabilita non per il proprio utile o piacere, ma per il bene dell’altro, per la sua esistenza, per la sua presenza, quando c’è immedesimazione e compassione, allora si riconosce il punto di contatto tra filiva e ajgavph. 3 ∆Agavph è amore di accoglienza e gratitudine, che ha origine nel sentimento della dignità dell’altro. Rispetto all’ajgavph della tradizione classica, con la quale presenta questi tratti comuni, l’ajgavph cristiana si distingue per alcuni caratteri propri: in particolare il carattere distintivo dell’ajgavph giovannea consiste nell’unione del Padre e del Figlio. In sintesi, l’amore è la forza per la quale l’uomo trascende se stesso.
buona natura, allora si attacca a questa bellezza, e di fronte a quest’uomo abbonda di discorsi intorno alla virtù e sul come debba essere l’uomo buono e di quali cose debba prendersi cura, e incomincia a educarlo. Venendo a contatto con ciò che è bello, credo, e conversando con lui, partorisce e genera quelle cose di cui era gravido da tempo; sia quando è presente sia quando è assente lo ricorda sempre, e insieme a lui (koinh`)Ê alleva ciò che è nato. Cosí che queste persone hanno fra loro una comunanza (koinwnivan) maggiore di quella che dà la comunanza dei figli, e una piú solida amicizia (filivan), poiché hanno in comune (kekoinwnhkovte~) dei figli piú immortali e piú belli». 1 Arist., EN, 1156a-b (trad. Armando Plebe, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 196-198): «Tre dunque sono le specie di amicizie […]. […] Quelli dunque che si amano reciprocamente a causa dell’utile non si amano per se stessi, bensí in quanto deriva loro reciprocamente un qualche bene; similmente anche quelli che si amano a causa del piacere. […] Quindi coloro che amano a causa dell’utile amano per via del bene che proviene a loro, e quelli che amano a causa del piacere amano per via di ciò che di piacevole proviene a loro e non in quanto la persona amata è quella che è, bensí in quanto essa è utile o piacevole. […] L’amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé […]». 2 Arist., EN, 1161b (trad. cit., p. 213): «Dunque ogni amicizia risiede in una comunanza (ejn koinwniva)/ , come s’è detto […]». 3 Arist., EN, 1167b (trad. cit., pp. 232-233): «i benefattori invece hanno amicizia e attaccamento (filou`si kai; ajgapw`si) per i beneficati, anche se non sono a loro di nessuna utilità, né possono divenirlo in futuro. Questo fatto piuttosto accade agli artisti: ognuno cioè ama (ajgapa/)` la propria opera piú di quanto non sarebbe amato (ajgaphqeivh) dalla sua opera se essa divenisse animata». Arist., EE, 1240a (trad. Armando Plebe, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 165-166): «Sembra cosí essere amico chi desidera per un altro il bene o quello che ritiene essere bene, non in vista di se stesso, ma in vista di quello (mh; di∆auJto;n, ajll∆ejkeivnou e{neka). Da un altro punto di vista, può sembrare che si ami soprattutto colui del quale si desidera l’esistenza in virtù di lui e non di se stessi (di∆ejkei`non kai; mh; di∆auJto;n), anche se egli non ci conferisca beni e nemmeno l’esistenza. Da un altro punto di vista ancora sembra che si sia amici a colui con cui si desidera vivere insieme soltanto a causa della sua compagnia e non per un altro motivo (di∆aujth;n th;n oJmilivan kai; mh; di∆e{terovn ti): ad esempio i padri vogliono invece l’esistenza dei figli, anche se vivono con altri. Tutte queste opinioni si combattono reciprocamente. Gli uni ritengono di non essere amati se l’altro non vuole il bene per loro, altri se non vuole la loro esistenza, altri se non vuole la loro convivenza. Inoltre il partecipare al dolore di chi è addolorato senza alcun altro fine (to; ajlgou`nti sunalgei`n mh; di∆e{terovn ti) (come fanno gli schiavi verso i padroni, perché quando questi sono addolorati sono di cattivo umore), ma in vista di quello stesso come fanno le madri coi figli e gli uccelli maschi che partecipano alle doglie . E soprattutto l’amico non vuole soltanto partecipare al dolore dell’altro, ma provare lo stesso dolore (ouj movnon sullupei`sqai oJ fivlo~ tw/` fivlw/, ajlla; kai; th;n aujth;n luvphn), se è possibile, il piú similmente, ad esempio aver sete insieme a chi ha sete. Lo stesso ragionamento vale anche per il godere; è infatti proprio dell’amicizia il godere non in vista di un altro motivo, ma in vista dell’amico, perché egli goda (to;... caivrein mh; di∆e{terovn ti, ajlla; di∆ejkei`non, o{ti caivrei)».
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In questo trascendersi è possibile distinguere gradi diπerenti. Trascendersi nella bellezza è cercare l’unione per generare; altro però è unirsi ad un bel corpo, altro è invece unirsi ad un’anima bella. Trascendersi nella virtù è piú che unirsi: è stabilire una comunanza di intenti; tuttavia altro è amare l’altro per la virtù, altro è invece amare l’altro per se stesso. Trascendersi nell’altro fino a riconoscere la sua dignità di persona è piú che avere un ideale comune: è immedesimarsi e identificarsi con l’altro. Questi tre gradi corrispondono ai tre modi dell’unione: nell’unione dei corpi le due identità (cioè le due volontà) rimangono distinte; nell’unione delle anime per un ideale si stabilisce una volontà comune, ma solo nell’adesione a questo ideale; nell’unione fondata sul rispetto della dignità si stabilisce la piena immedesimazione e identificazione. * Il rapporto esistente tra e[rw~ filiva ajgavph è stato individuato, nei suoi tratti essenziali, a partire dai testi filosofici. D’altra parte, la complessità dei legami che uniscono i nomi dell’amore può essere compresa solo attraverso un’indagine estesa a testi riconducibili a diversi generi letterari e a diverse epoche. Una ricerca sistematica sul lessico dell’amore nei testi classici in lingua greca è stata condotta da Ceslas Spicq. I risultati dell’indagine hanno evidenziato che e[rw~ significa l’amore inteso in senso carnale. A fortiori ejra`n, ejra`sqai, e[rw~ ne pouvaient-ils convenir pour désigner un amour tout spirituel. ejravw, en eπet, exprime essentiellement un désir véhément et souvent irrationnel. Lorsqu’il s’entend de l’amour, il vise sa forme la plus inférieure, l’amour sexuel, la passion aveugle, la convoitise de la jouissance. […] Le substantif e[rw~ revêt la même signification. 1
Si trova solo un fugace accenno all’importanza di e[rw~ nella dottrina platonica: «Certes, Platon lui attribue la source des biens les plus grands». 2 Tuttavia questa dichiarazione è subito corretta dalla seguente precisazione:
Mais il [scil. Platon] en fait l’enfant de Peniva, par où il caractérise cet amour comme la soif de ce que l’on ne possède point et par conséquent comme un sentiment de vide et de pauvreté, la passion de la plénitude. 3
Sembra che non siano stati tenuti nella giusta considerazione i passi dei dialoghi platonici nei quali è chiaramente individuato il significato spirituale di e[rw~. Nel quadro delineato da Spicq, e[rw~, inteso come amore carnale, si distingue da filiva e ajgavph. Filiva può assumere un’ampia gamma di significati. filevw-filiva s’emploie de l’amour dans son acception la plus large; il se dit du goût
que l’on a pour le vin et de la plus banale sympathie pour les hommes, aussi bien
1 Ceslas Spicq, Agapè. Prolégomènes a une étude de théologie néo-testamentaire, Louvain-Leiden, Publications Universitaires de Louvain, 1955 («Studia Hellenistica», 10), pp. 7-8. 2 3 Ivi, p. 10. Ivi, p. 11.
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que de la ferveur la plus extrême, et des plus nobles amitiés. Il comporte toutes les formes d’inclinations, de tendresse et d’attachement. 1
In ogni caso, il termine ha un’accezione positiva: mais il est de soi un hjqiko;n pavqo~ caractérisé par la mesure. C’est un lien avec l’être aimé, fait de respect, de vigilance, de bienveillance, de complaisance, de confiance et de générosité. 2
Il legame di filiva è individuato chiaramente. Il suppose entre ceux qui s’aiment une certaine a√nité, une harmonie, une communauté de pensée et de vie, finalement il requiert une égalité entre ceux qui sont ainsi unis. Le type parfait en est l’amitié qui est réciprocité d’amour entre des hommes vertueux. 3
Spicq ha individuato uno stretto rapporto fra filiva e ajgavph: «ajgapavw est très proche de filevw, et à maints égards peut être considéré comme une espèce d’un même genre». 4 Al significato di ospitalità e accoglienza è legato quello di gratitudine.
D’après ses premiers emplois, il désigne une manifestation de bienveillance, la cordialité et la libéralité dont on fait preuve en accueillant un hôte. […] Mais si ajgapavw est le verbe de l’hospitalité et doit se traduire bien souvent: ‘recevoir à bras ouverts’, il gardera l’acception d’accueillir même dans ses emplois abstraits […]. Voilà comment, au plan aπectif, il exprime un amour de gratitude. On s’attache à quelqu’un en retour d’un bienfait; il signifie alors ‘savoir gré’. […] à l’amour gratuit, désintéressé et généreux de celui qui donne, correspond l’accueil et l’amour de gratitude de celui qui reçoit. 5
Un aspetto particolarmente rilevante è il giudizio di valore. Cela suppose connaissance et jugement de valeur; on apprécie le don reçu ou le bienfaiteur, et ajgapavw sera très fréquemment synonyme de: goûter, faire grand cas, tenir en haute estime, attacher de la valeur, et même admirer. En conséquence de cette évaluation judicieuse des hommes ou des choses, on ‘se décide en faveur’ de tel ou tel; ajgapa`n, exprimant un amour privilégié, signifie ‘préférer’: on aime mieux cette personne que telle autre parce qu’on apprécie davantage ses qualités, son prix, son excellence (ajxiva). 6
A questo aspetto è legato il tratto distintivo dell’ajgavph. Peu importe que les êtres en présence ne soient pas spontanément et comme physiquement sympathiques l’un à l’autre, ils s’estiment, ils s’acceptent, ils se reçoivent mutuellement dans leur cœur. 7
Dall’ajgavph dei testi classici si distingue l’ajgavph cristiana. Ceslas Spicq ha individuato in modo molto chiaro i caratteri specifici dell’ajgavph descritta nella Prima Lettera di Giovanni. Nell’interpretazione di Spicq è possibile seguire 1
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Ivi, pp. 64-65. Ibidem. 5 Ivi, pp. 66-68.
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Ivi, p. 67.
Ivi, p. 65. Ibidem. 7 Ivi, p. 70.
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lo sviluppo del discorso: dall’ajgavph donata da Dio all’uomo, all’ajgavph che unisce il Padre e il Figlio, all’ajgavph che è la natura stessa di Dio. On constate d’abord en soi le don de cet amour: ajgavphn devdwken hJmi`n oJ Pathvr (I Jo. iii, 1), et l’on en conclut que cette sorte d’amour ne peut venir que de Dieu: hJ ajgavph ejk tou` qeou` ejstin (iv, 7). Mais cette charité-vertu n’est qu’une infime participation d’un attribut divin. La foi découvre un objet adéquat à l’amour que Dieu possède en propre, la personne de son Fils incarné, th;n ajgavphn h}n e[cei oJ qeo;~ ejn hJmi`n (iv, 16). Jésus se présente comme l’amour personnifié, et c’est par lui que l’on peut vraiment connaître ce qu’est l’amour en Dieu. Si le Christ est tout amour, donc son Père l’est aussi. Il faut rapprocher: ejn touvtw/ ejgnwvkamen th;n ajgavphn o{ti ejkei`no~ uJpe;r hJmw`n th;n yuch;n aujtou` e[qhken (iii, 16) et ejn touvtw/ ejfanerwvqh hJ ajgavph tou` qeou` ejn hJmi`n (iv, 9). Il y a une telle identité entre l’amour du Christ et l’amour du Père que l’on peut conclure de l’un à l’autre. Mais il ne s’agit pas seulement de manifestation, de marques d’amour, comme si Dieu et Jésus agissaient d’un même cœur. Les relations entre le Père et son Monogène sont celles d’une charité réciproque, permanente, éternelle (Jo. xvii, 23-24). Tout ce que le Christ, en eπet, a révélé de la vie intime de Dieu se résume dans un échange, une relation mutuelle de connaissance et d’amour entre lui et son Fils, de sorte que l’union de ces deux personnes semble se réaliser dans l’agapè. Et voilà comment on aboutit à concevoir une charité substantielle qu’est Dieu même, ejn touvtw/ ejsti;n hJ ajgavph (I Jo. iv, 10): L’amour c’est la nature même de Dieu. 1
1 Ceslas Spicq, Agapè dans le Nouveau Testament. Analyse des textes, i-iii, Paris, Lecoπre Gabalda, 1958-1959, iii, pp. 321-322.
parte terza AD MYSTICA SPIRITALI AMORE CONSCENDITUR
IL DESIDERIO DELL’AMORE 1. Premessa
I
l desiderio è il sentimento dell’attesa, il tempo compreso tra la promessa sancita dai doni nuziali e la presenza dello sposo, che arrivando saluta la sposa con il segno dei baci. Non c’è desiderio se non c’è già amore, e tuttavia il desiderio è un amore incompiuto, finché l’amata non può unirsi nelle nozze con l’amato. Il desiderio è emozione (ardore, agitazione), ma è soprattutto passione (struggimento, ferita d’amore). Da passione inerme, incapace di difendersi dalla forza dell’amore, il desiderio diventa supplica e preghiera potente. Nel momento in cui l’anima si rivolge al Padre, si rende già presente il Verbo, e il desiderio diventa amore. Segno di questo amore sono i baci: la bocca dell’anima incontra la bocca del Verbo, l’anima si apre al trascendente e il Verbo le parla dentro. I baci sono la comprensione dei concetti divini, spiegati dallo stesso Verbo, il quale viene a visitare l’anima ogni volta che essa rivolge la preghiera a Dio. 2. Osculetur me ab osculis oris sui (Ct 1, 2) Il Cantico dei Cantici inizia in medias res: il v. 2 introduce in una relazione d’amore. 1 Con la prima parola, yiššāqênî («mi baci!»), il desiderio irrompe improvvisamente e drammaticamente sulla scena; l’esortativo comunica un senso di urgenza, e dà l’impressione che stiamo ascoltando e vedendo una relazione d’amore che si rivela dinanzi a noi. Nel testo si riconosce il ricorso al linguaggio dell’eccesso, caratteristico della poesia d’amore: il poeta avrebbe potuto dire semplicemente «mi baci»; «mi baci con i baci» è superfluo, «con i baci della sua bocca» è doppiamente superfluo. La traduzione «mi baci con i baci della sua bocca» conserva questo senso di eccesso, riproducendo l’allitterazione dell’ebraico yiššāqênî minnəšîqōwṯ pîhū. Il linguaggio delle emozioni acquisisce maggiore evidenza nella traduzione dei Settanta (Filhsavtw me ajpo; filhmavtwn stovmato~ aujtou`), per l’uso del verbo filei`n e del sostantivo fivlhma nel senso di ‘baciare’ e ‘bacio’.
3. L’interpretazione letterale La spiegazione del significato letterale è attenta agli aspetti inerenti il dramma: la scena iniziale introduce il personaggio della sposa. Introducatur ergo nunc per historiae speciem sponsa quaedam, quae susceperit quaedam spon saliorum et dotis titulo dignissima munera ab sponso nobilissimo, sed plurimo tempore moram faciente sponso, sollicitari eam desiderio amoris eius, et confici iacentem domi suae, et agentem omnia, quatenus possit aliquando videre sponsum suum atque osculis eius perfrui. Quae, quo niam diπerri amorem suum nec adipisci se posse quod desiderat, videt, convertat se ad orationem 1
Song of Songs. A Commentary, cit., pp. 92-93.
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parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur
et supplicet Deo, sciens eum Patrem esse sponsi sui. Consideremus ergo eam levantem sanctas manus sine ira et disceptatione (1 Tm 2, 8) in habitu ordinato cum verecundia et sobrietate (1 Tm 2, 9), ornatam dignissimis ornamentis quibus ornari decet nobilem sponsam, aestuantem vero desiderio sponsi et interno vulnere amoris agitatam, orationem, ut diximus, fundere ad Deum et dicere de sponso suo: Osculetur me ab osculis oris sui (Ct 1, 2). 1
Sullo sfondo di un quadro solamente abbozzato è delineata la figura della sposa. È l’unico personaggio, e tutta l’attenzione è rivolta a lei; la sua immagine, ornata per la cerimonia nuziale, rivela già per se stessa la solennità del momento. Ha ricevuto degnissimi doni («dignissima munera»), a titolo di doni nuziali (sponsaliorum) e di dote (dotis), da parte del nobilissimo sposo. Vestita decorosamente con modestia e sobrietà, è adorna (ornatam) dei piú degni ornamenti («dignissimis ornamentis»), dai quali conviene (decet) che sia adorna (ornari) una nobile sposa. La nobiltà degli sposi è indicata dall’aggettivo, di grado superlativo per lo sposo («sponso nobilissimo») e invece di grado positivo per la sposa («nobilem sponsam»). Per esaltare la nobiltà della sposa, a√nché risulti degna del nobilissimo sposo, questi le ha donato degnissimi doni: l’aggettivo di grado superlativo stabilisce una connessione tra i «dignissima munera» e i «dignissimis ornamentis». L’importanza degli ornamenta è evidenziata dall’insistenza sulla stessa immagine (commoratio una in re) attraverso la figura della derivatio (ornatam, ornamentis, ornari). Adorna dei piú degni ornamenti, la sposa è pronta per la cerimonia nuziale. Manca solo lo sposo, che tuttavia si fa attendere a lungo («plurimo tempore moram faciente sponso»). La rappresentazione descrive il dramma interiore: in una scena statica il movimento è circoscritto nello spazio dell’animo. Nel ritratto della sposa emerge con forza la componente psicologica: la sposa attende con ansia l’arrivo dello sposo; la sua apparente inattività contrasta con lo struggimento interiore. L’amore è tutto all’interno dell’animo: in esso manifesta la sua violenza. La sposa è tutta agitata per il desiderio del suo amore («sollicitari eam desiderio amoris eius») e si strugge (confici); è ardente per il desiderio dello sposo («aestuantem... desiderio sponsi») e agitata da un’interiore ferita d’amore («interno vulnere amoris agitatam»). La sua agitazione interna si oppone alla compostezza con la quale innalza le mani a Dio. 4. L’interpretazione tipologica Al significato letterale si può cercare di accostare un significato piú profondo. Interior vero intellectus videamus si hoc modo poterit competenter aptari. Ecclesia sit desiderans Christo coniungi; ecclesiam autem coetum omnium (cfr. 1 Cor 14, 23) adverte sanctorum. Haec ergo ecclesia sit quasi omnium una persona, quae loquatur et dicat: omnia habeo, repleta sum muneribus quae sponsaliorum vel dotis titulo ante nuptias sumpsi. Dudum enim cum praepa rarer ad coniugium filii regis et primogeniti omnis creaturae (cfr. Col 1, 15), obsecuti sunt et ministraverunt mihi angeli sancti eius deferentes ad me legem sponsalis muneris loco; Lex 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 3-4 (ed. cit., p. 178).
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namque disposita per angelos dicitur in manu mediatoris (Gal 3, 19). Ministraverunt mihi etiam prophetae. Locuti sunt enim et ipsi omnia per quae non solum ostenderent et in dicarent mihi de Filio Dei, cui me delatis his quae appellantur arrhis et muneribus dotalibus spondere cupiebant; verum ut et in amorem me eius desideriumque succenderent, denuntiaverunt mihi propheticis vocibus de adventu eius, et de innumeris virtutibus operibusque eius immensis repleti sancto Spiritu praedicaverunt. Pulchritudinem quoque eius et speciem ac mansuetudinem descripserunt, ita ut ex omnibus his ad amorem eius intolerabiliter inflammarer. 1
Alla lettera si adatta soprattutto l’interpretazione tipologica, sintetizzata in questi termini: «La sposa sia la Chiesa, che desidera unirsi con Cristo». Tale interpretazione, avvalorata dalla Scrittura, individua il significato teologico piú profondo delle immagini del Cantico dei Cantici: in senso proprio, l’unione è quella fra Cristo e la Chiesa, una e santa. Nel testo sono evidenziate proprio l’unità («una persona»), la dimensione comunitaria e universale, la santità («coetum omnium... sanctorum»): «per Chiesa intendi l’insieme di tutti i santi. Perciò questa Chiesa sia come un personaggio che rappresenti tutti». La Chiesa che riunisce tutti i santi è la «Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Eph 5, 27). 2 Sullo sfondo della realtà escatologica, Origene rappresenta la storia della Chiesa, fin dagli inizi e poi nel suo sviluppo:
Non credere infatti che io parli di sposa e di Chiesa soltanto a partire dalla venuta del Salvatore nella carne, bensí ne parlo dall’inizio del genere umano e della stessa creazione del mondo, anzi […] addirittura prima della creazione del mondo. […] Infatti essa viveva in tutti i santi che son vissuti dall’inizio del tempo. […] Essi infatti erano la Chiesa che egli ha amato per amplificarla nel numero, adornarla nelle virtù e trasferirla dalla terra in cielo con la carità della perfezione. Perciò, fin dall’inizio prestarono servizio i profeti, prestarono servizio gli angeli. 3
Nello sviluppo della Chiesa, rappresentato come il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, intervengono gli angeli: Essi erano stati messi a fianco della sposa ancora bambina in qualità di tutori e procuratori (Gal 4, 2; 3, 25) insieme col pedagogo, cioè la legge […]. […] in molte occasioni la sposa era stata fatta oggetto del servizio degli angeli, che allora apparivano agli uomini e dicevano quelle cose che la circostanza e il tempo richiedevano. 4
Il servizio degli angeli è rappresentato dalla preparazione alle nozze e dal dono nuziale: allorché mi preparavo alle nozze col figlio del re e primogenito di ogni creatura 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 5-6 (ed. cit., pp. 178-180). Cfr. Hier., hom. Orig. in cant., 1, 1 (trad. cit., p. 38): «Nello Sposo intendi il Cristo, nella Sposa senza macchia e ruga la Chiesa, della quale è stato scritto: per presentare a sé gloriosa la Chiesa, non avente macchia né ruga o alcunché di simile, ma per essere santa e immacolata (Eph 5, 27) […]». Questa Chiesa, santa e immacolata, è la sposa che si unisce allo sposo. Rufin., Orig. in cant., 1, 3, 3 (trad. cit., p. 85): «D’altra parte lo stesso Cristo è detto sposo e pontefice (Mt 9, 15; Hbr 6, 20): […] sposo in quanto si unisce con la Chiesa che non ha macchia né ruga né alcunché di simile (Eph 5, 27)». 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 4-8 (trad. cit., pp. 164-166). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 8, 3 (trad. cit., p. 164). 2
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parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur
(Col 1, 15), i suoi angeli santi mi hanno prestato ossequio e servizio, recandomi come dono nuziale la legge: infatti è detto che la legge fu disposta per mezzo di angeli nella mano del mediatore (Gal 3, 19). 1
In modo analogo, è rappresentato anche il servizio dei profeti, che hanno portato caparre e doni nuziali e infine hanno annunciato l’arrivo dello sposo: Anche i profeti mi hanno prestato il loro servizio. Essi non soltanto mi hanno detto tutto per mostrarmi ed indicarmi il Figlio di Dio al quale, recandomi quelli che son detti caparre e doni nuziali, desideravano sposarmi; ma per infiammarmi d’amore e di desiderio per lui, profeticamente mi hanno annunziato il suo arrivo e, pieni di Spirito Santo, mi hanno narrato le sue innumerevoli virtù e le sue opere immense. Mi hanno anche descritto la sua bellezza, il suo aspetto, la sua bontà, sí che per tutto ciò io mi sono infiammata d’amore per lui in maniera che non si può piú sopportare. 2
5. L’interpretazione psicologica Infine è introdotta l’interpretazione psicologica, riguardante l’unione dell’anima con il Verbo di Dio. Tertio vero expositionis loco introducamus animam, cuius omne studium sit coniungi et conso ciari Verbo Dei et intra mysteria sapientiae eius ac scientiae veluti sponsi caelestis thalamos intrare; cuique animae praesentia etiam ipsius munera data sint, dotis scilicet nomine. Sicut enim ecclesiae dos fuit legis et prophetarum volumina, ita huic lex naturae et rationabilis sensus ac libertas arbitrii dotalia munera deputentur. Habens autem haec dotis suae munera, sit ei primae eruditionis doctrina a monitoribus doctoribusque descendens. Sed quoniam in his non est ei plena et perfecta desiderii sui et amoris expletio, deprecetur ut mens eius pura et virginalis ipsius Verbi Dei illuminationibus ac visitationibus illustretur. Cum enim nullo hominis vel angeli ministerio divinis sensibus et intellectibus mens repletur, tunc oscula ipsius Verbi Dei suscepisse se credat. Propter haec ergo et huiusmodi oscula dicat anima orans ad Deum: Osculetur me ab osculis oris sui. 3
L’interpretazione psicologica è proposta in terzo luogo («tertio... expositionis loco»), dopo l’interpretazione tipologica: questa infatti descrive il mistero dell’unione della Chiesa con Cristo, quella invece rappresenta l’accesso ai misteri, nei quali l’anima si unisce al Verbo di Dio. In questi termini è sintetizzata nel testo: l’anima […] desidera soltanto congiungersi ed unirsi col Verbo di Dio ed entrare nei misteri della sua sapienza e della sua scienza come nel talamo dello sposo celeste. 4
Per unirsi al Verbo di Dio l’anima deve entrare nel talamo, la ‘camera con il letto nuziale’, la ‘stanza piú interna della casa’: quando l’anima accede ai misteri della sapienza e della scienza di Dio (cioè quando contempla ogni 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 5 (trad. cit., p. 74). Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 6 (trad. cit., pp. 74-75). 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 9-10 (ed. cit., p. 182). 4 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 9 (trad. cit., p. 75). 2
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cosa secondo la visione di Dio), si trova ormai in presenza del Verbo ed è pronta per l’unione con lui. L’unione dell’anima con il Verbo di Dio è descritta in stile narrativo, stabilendo un parallelo con la vicenda della Chiesa: come la Chiesa, anche l’anima ha ricevuto i doni dotali ed è stata istruita, in attesa dell’arrivo dello sposo. Come infatti per la Chiesa la dote è consistita nei libri della legge e dei profeti, cosí per quest’anima siano considerati doni dotali la legge naturale, la facoltà razionale e la libertà del volere. Avendo tali doni per dote, la sua prima istruzione è venuta dai precettori e dai maestri. Ma poiché con questi non è pieno e perfetto l’appagamento del suo amore e del suo desiderio, essa prega che la sua mente pura e verginale sia illuminata dalla presenza e dalla luce dello stesso Verbo di Dio. Allorché infatti la sua mente è riempita di significati e comprensioni divine da nessun servizio di uomo o angelo, allora essa crede di aver ricevuto proprio i baci del Verbo di Dio. 1
Il tratto distintivo dell’interpretazione psicologica consiste nel rapporto tra amore e mente, individuato sul piano verbale e concettuale: l’aggettivo ple na, riferito all’amore («plena... amoris expletio»), è ripreso dal verbo repletur, riferito alla mente («mens repletur»). Poiché non è pieno l’appagamento del suo amore, l’anima prega che la sua mente sia illuminata dal Verbo di Dio, e quindi la mente è riempita di significati e comprensioni divine. Non è pieno il cuore finché non è piena la mente, e questa non può essere riempita dalla dottrina dei maestri, ma solo dal Verbo di Dio. Solo il Verbo di Dio comunica la solida dottrina che riempie la mente e appaga l’amore. Tuttavia, finché l’anima fu incapace di accogliere la pura e solida dottrina comunicata proprio dal Verbo di Dio, necessariamente essa accolse baci, cioè concetti, dalla bocca dei maestri. 2
In un primo momento l’anima è in grado di apprendere solo la dottrina che ascolta dalla bocca dei maestri; non è invece in condizione di accogliere la presenza illuminante del Verbo di Dio. Ma quando da sé ha cominciato a scorgere ciò ch’era oscuro, a snodare ciò ch’era intricato, a risolvere ciò ch’era involuto, a spiegare con conveniente interpretazione le parabole, gli enigmi e le sentenze dei sapienti, allora ormai sia convinta di aver ricevuto i baci proprio del suo sposo, cioè del Verbo di Dio. 3
6. I baci e la visita del Verbo Ogni volta che avviene l’illuminazione di un concetto oscuro, l’anima avverte in sé la presenza del Verbo: non è ancora una presenza stabile, ma soltanto una visita temporanea, che però si ripete piú volte: 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 9-10 (trad. cit., pp. 75-76). Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 11 (trad. cit., p. 76). 3 Ibidem. 2
100 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Perciò ogni volta che nel nostro cuore scopriamo, senza bisogno di maestro, qualcosa che ricercavamo sulle dottrine e gli argomenti divini, altrettanti baci crediamo che ci siano stati dati dallo sposo, il Verbo di Dio. 1
L’anima può chiedere a Dio la visita del Verbo, attraverso la preghiera. Quando invece ricerchiamo qualcosa sulle dottrine divine e non riusciamo a scoprirlo, allora fatto nostro il senso di questa preghiera, chiediamo a Dio la visita del suo Verbo e diciamo: Mi baci con i baci della sua bocca (Ct 1, 2). 2
Ad ogni visita l’anima riceve un bacio dal Verbo. E si parla al plurale di baci proprio perché noi comprendiamo che l’illuminazione di ogni concetto oscuro è un bacio che il Verbo di Dio dà all’anima perfetta. 3
L’immagine del bacio descrive perfettamente l’incontro dell’anima col Verbo: «Forse in questo senso diceva la mente profetica e perfetta: Ho aperto la mia bocca e ho attirato lo spirito (Ps 118, 131)». Per l’anima la bocca indica l’apertura al divino. Invece per il Verbo la bocca indica la facoltà della parola: Invece per bocca dello sposo intendiamo la facoltà con la quale egli illumina la mente e quasi avendole rivolto parole di amore, se essa merita di accogliere la presenza di facoltà cosí grande, le rivela ogni cosa sconosciuta e oscura. 4
Nel bacio l’anima si apre al divino che le parla dentro, rivolgendole parole d’amore. Segno di questo incontro dell’anima con il Verbo è il bacio che esprime l’unità della comunità ecclesiale: questo è il piú vero proprio e santo bacio che lo sposo, il Verbo di Dio, rivolge alla sposa, l’anima pura e perfetta. Immagine di questo è il bacio che nella Chiesa ci scambiamo gli uni con gli altri, allorché celebriamo i misteri. 5
7. Il desiderio e la preghiera Il versetto 2 del Cantico dei Cantici è dunque interpretato come una preghiera rivolta dall’anima al Padre per chiedere la visita del suo Verbo. La preghiera è il tema centrale che governa la ricostruzione della scena. Lorenzo Perrone ha evidenziato l’importanza di questo passo. E infatti proprio da CCt ci viene l’‘icona’ forse piú pregnante e incisiva di una persona in atto di pregare in tutta l’opera di Origene, dal momento che l’Alessandrino interpreta le parole iniziali di Ct 1, 2 (“Mi baci con i baci della sua bocca”) come l’espressione di una preghiera ardente di pathos spirituale rivolta al Padre dello Sposo, a√nché questi venga al piú presto. 6
1
2 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 14 (trad. cit., p. 76). Ivi (trad. cit., pp. 76-77). Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 12 (trad. cit., p. 76). 4 5 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 13 (trad. cit., p. 76). Ibidem. 6 Lorenzo Perrone, La preghiera secondo Origene. L’impossibilità donata, Brescia, Morcelliana, 2011 («Letteratura Cristiana Antica», n.s. 24), p. 306. 3
il desiderio dell’amore
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Questa descrizione è particolarmente ‘pregnante’ e ‘incisiva’ perché individua e sviluppa, attraverso l’interpretazione drammatica, il tema centrale del testo: il momento in cui il desiderio si trasforma in preghiera. Origene, sfruttando le risorse di quella ‘esegesi drammatica’ che sa maneggiare a meraviglia, conferisce un’inconsueta plasticità alla descrizione dell’atto orante, senza farsi scrupolo di creare stavolta qualche tensione con il suo approccio piú abituale, normalmente depotenziato proprio di quella carica sentimentale ed emotiva da cui invece il personaggio della sposa è investito con forza, sotto l’urgenza della ‘ferita d’amore’. 1
Il commento origeniano pertanto evidenzia il pathos e la carica sentimentale ed emotiva del versetto del Cantico. La tensione del desiderio, che attraversa Ct 1, 2, è in contrasto con l’animo rappacificato di 1 Tm 2, 8-9: l’accostamento dei due passi comporta una frizione. Se infatti l’Alessandrino interpreta sorprendentemente lo sfogo amoroso della donna impaziente come una supplica al padre dello sposo, onde ne aπretti la venuta, è di√cile negare la frizione che nasce con l’attribuire a questa stessa donna l’atteggiamento raccomandato nel passo piú volte sfruttato di 1Tm 2, 8-9. 2
Questa frizione è voluta e ricercata, perché individua il momento di transizione nel quale il desiderio diventa preghiera, il momento nel quale la tensione emotiva si risolve nella pace. 1
Ibidem.
2
Ibidem.
IL SENTIMENTO DELL’AMORE 1. Premessa
L
’am ore è un sentimento etereo, un sentimento di soavità. Come il profumo, l’amore si annienta, e in apparenza svanisce; ma proprio disperdendosi, si diπonde e si propaga piú estesamente. Ridotto in forma invisibile, si lascia naturalmente assorbire e compenetra le anime, che avvertono dentro di sé la sua soavità. Annientandosi l’amore non perde la sua e√cacia, la sua fragranza che inebria ed eccita a correre dietro l’amato. Quello che avviene in generale per l’amore, si realizza soprattutto per l’amore del Verbo: colui che era nella forma di Dio si è annientato (Phil 2, 7), perché il suo nome diventasse profumo diπuso (Ct 1, 3), in modo che il Verbo non abitasse soltanto la luce inaccessibile e non rimanesse nella forma di Dio, ma diventasse carne, a√nché queste anime fanciulle e in via di progresso potessero non soltanto amarlo ma anche trarlo a sé. 1
Nel mistero di Cristo, il Verbo incarnato, è nascosto il mistero dell’amore, espresso attraverso l’immagine del profumo: nel momento in cui l’amore svanisce, si manifesta; nel momento in cui non è piú visibile, fa sentire la sua soavità. La forza dell’amore va oltre l’apparenza e si fa avvertire nell’anima, perché questa forza è il modo in cui l’amore ‘si comunica dentro’. 2. Unguentum exinanitum nomen tuum (Ct 1, 3) Nel testo ebraico la fragranza del profumo è attribuita attraverso la sinestesia al nome dell’amato, probabilmente al suono del suo nome quando è pronunciato: 2 proprio come il suo profumo è inebriante, cosí è inebriante anche il suo nome, che ha l’eπetto di profumo eπuso o diπuso, cioè l’eπetto di aria pregna di profumo. Il nome dell’amato è inebriante come un profumo, e la sposa sperimenta un senso di euforia alla menzione di esso. La versione dei Settanta reca ejkkenwqevn, che ha il doppio significato di qualcosa che viene svuotata e diπusa, dispersa. In latino non c’è un termine che abbia ambedue i significati. 3 Nella traduzione geronimiana delle omelie
1
Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 4 (trad. cit., pp. 90-91). Song of Songs. A Commentary, cit., pp. 94-95. 3 Pietro Meloni, Il profumo dell’immortalità. L’interpretazione patristica di Cantico 1, 3, Roma, Studium, 1975 («Verba Seniorum», n.s. 7), pp. 172-173: «L’espressione di Cant 1, 3 muvron ejkkenwqevn è presente tre volte in Origene. Nel Commento a Matteo ci è pervenuta in greco, nelle Omelie sul Cantico nella versione latina ‘unguentum eπusum’, nel Commentario sul Cantico nella versione ‘unguentum exinanitum’. Gli scrittori latini sono divisi nella scelta fra le due versioni. A mio avviso non si tratta soltanto di una libera scelta dei traduttori che mantenga una equivalenza di significato, e dinanzi alla quale Girolamo e Rufino si sarebbero divisi nel tradurre le Omelie e il Commentario. Lo sdoppiamento semantico era implicitamente presente nel discorso origeniano, che interpretava l’ejkkenwqevn secondo due diversi aspetti. Origene 2
104 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur di Origene sul Cantico dei Cantici, ejkkenwqevn è reso con eπusum; in eπetti, nelle omelie è evidenziato solo il significato di ‘eπuso’. 1 Invece nella traduzione rufiniana del commento di Origene al Cantico dei Cantici, ejkkenwqevn è reso con exinanitum. Nel commento sono evidenziati entrambi i significati della parola greca: nella prima parte è conferito risalto al significato di ‘diπuso’; 2 nell’ultima parte è invece evidenziato il significato di ‘svanito’. 3 I due significati di ejkkenwqevn sono tra loro complementari: ‘svanito’ fa riferimento alla kevnwsi~ del Verbo di Dio, e invece ‘diπuso’ allude alla diπusione del nome di Cristo. L’immagine del profumo evidenzia il misterioso legame esistente tra annientamento e diπusione del nome: il profumo svanisce, e in questo modo impregna ogni cosa, che poi diπonde il profumo; in modo analogo, il Verbo di Dio si è annientato, e in questo modo è penetrato nei sensi e nell’intelletto delle anime, che poi diπondono il suo nome. Nel commento è conferita grande enfasi al momento centrale, nel quale le anime sono impregnate dal profumo del Verbo, che le inebria: le anime traggono a sé il Verbo, lo fanno entrare nei loro sensi e nel loro intelletto, avvertono la soavità del suo profumo, ricevono vigore e corrono dietro di lui.
3. Il significato profetico Nella prima parte del commento, exinanitum ha il significato di ‘diπuso’. Le parole «Profumo diπuso è il tuo nome» sono pronunciate dalla sposa e hanno valore profetico: Certo in queste parole si può scorgere una profezia fatta dal personaggio della sposa intorno a Cristo, secondo cui sarebbe accaduto che, alla venuta del nostro Signore e Salvatore, il suo nome si sarebbe diπuso per tutta la terra e per tutto il mondo, sí che ovunque diventasse odore di soavità, come dice anche l’apostolo: Perché siamo ovunque buon odore di Cristo, per alcuni però odore che dalla morte va alla morte, per altri odore che dalla vita va alla vita (2 Cor 2, 15-16). 4
La diπusione del nome di Cristo è l’eπusione del suo profumo che sono i li intravedeva nella Scrittura. Il verbo ejkkenovw è presente 9 volte nell’AT, il verbo kenovw 2 volte nell’AT e 5 volte nel NT. I due termini presentano tre significati fondamentali: 1) Svuotare perdendo il contenuto. 2) Svuotare mantenendo potenzialmente il contenuto. 3) Svuotare eπondendo al di fuori ciò che era dentro e mantenendo contemporaneamente il contenuto. […] Il terzo indica l’eπusio. Comprende i due precedenti significati, arricchendoli della dimensione di partecipazione al di fuori: colui che svuota se stesso, riempie ciò che era vuoto. È il senso di Cant 1, 3. Fra exinanitum ed eπusum si delinea cosí una diπerenza che è insieme complementarietà. Questo fenomeno a√ora esplicitamente nella duplice traduzione latina delle opere origeniane e ricomparirà in altri autori successivamente; ma il suo contenuto è presente nel contesto origeniano». 1 Hier., hom. Orig. in cant., 1, 4 (trad. cit., pp. 45-46): «Unguento eπuso è il tuo nome (Ct 1, 3). È un mistero profetico. Appena il Nome di Gesú è venuto nel mondo, si annuncia già l’unguento eπuso. […] Unguento eπuso è il tuo nome. Come un unguento, nell’essere eπuso, sparge per ogni parte l’odore, cosí si è sparso il nome del Cristo. Per tutta la terra si nomina il Cristo, per tutto il mondo si annuncia il mio Signore; giacché unguento eπuso è il suo nome. […] non appena Gesú ha brillato nel mondo […] veramente si è compiuta la parola: Unguento eπuso è il tuo nome». 2 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 2. Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 27-29. 4 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 2 (trad. cit., p. 90).
il sentimento dell’amore
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cristiani, secondo le parole di 2 Cor 2, 15: i cristiani sono ovunque buon odore di Cristo, poiché sono compenetrati dal profumo della sua divinità e lo diπondono in ogni luogo. Cristo, annientandosi dalla forma di Dio, può essere accolto dalle anime che si lasciano compenetrare dalla sua soave presenza, e ne ricevono la forza e l’impulso per diπonderla. Propter istas ergo animas adulescentulas et in augmentis vitae ac profectibus positas exinanivit se ille qui erat in forma Dei (Phil 2, 7), ut fieret unguentum exinanitum nomen eius, ut non iam inaccessam lucem tantummodo habitaret (cfr. 1 Tm 6, 16) et in forma Dei permaneret, sed Verbum caro fieret (cfr. Jo 1, 14), quo possent istae adulescentulae et in augmento profectuum positae animae non solum diligere, sed et trahere eum ad se. Trahit enim unaquaeque anima et adsumit ad se Verbum Dei pro capacitatis et fidei suae mensura. Cum autem traxerint ad se animae Verbum Dei et sensibus suis atque intellectibus inseruerint ac dulcedinis eius et odoris sumpserint suavitatem, ubi unguentorum eius fraglantiam ceperint, rationem dumtaxat adventus eius et redemptionis ac passionis causas caritatemque eius agnove rint, qua pro salute omnium usque ad mortem crucis (cfr. Phil 2, 8) immortalis accessit, et his omnibus velut divini cuiusdam et ineπabilis unguenti odoribus invitatae adulescentulae istae, animae plenae vigoris atque alacritatis eπectae, currunt post ipsum atque in odorem sua vitatis eius non leni gradu nec tardis passibus, sed rapido cursu et tota properatione festinant, quemadmodum et ille qui dicebat: Sic curro, ut comprehendam (cfr. 1 Cor 9, 24). 1
L’inizio del passo è costituito da un unico lungo periodo, che con la sua articolata struttura sintattica descrive il mistero della kevnwsi~ del Verbo di Dio. Nella prima parte del periodo, Ct 1, 3 è accostato a Phil 2, 7: 2
Per queste anime fanciulle e che si trovano nella crescita di vita e nel progresso colui che era nella forma di Dio si è annientato (Phil 2, 7), perché il suo nome diventasse profumo diπuso (Ct 1, 3). 3
La connessione tra i due loci biblici è individuata dalla derivatio exinanivitexinanitum. Nella seconda parte del periodo, Phil 2, 7 è collocato nel mezzo tra 1 Tm 6, 16 e Jo 1, 14: in modo che il Verbo non abitasse soltanto la luce inaccessibile e non rimanesse nella forma di Dio (1 Tm 6, 16; Phil 2, 7), ma diventasse carne (Jo 1, 14), a√nché queste anime fanciulle e in via di progresso potessero non soltanto amarlo ma anche trarlo a sé. 4
In questo modo è descritto il passaggio del Verbo da una condizione nella quale era inaccessibile a una condizione nella quale è divenuto accessibile ai sensi dell’uomo. Tra la prima e la seconda parte del periodo è invertito l’ordine Verbo di Dio-anime fanciulle, e in questo modo è configurata una disposizione chiastica: al centro è il Verbo che è diventato profumo svanito; tutt’intor1
Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 4-5 (ed. cit., p. 222). Pietro Meloni, Il profumo dell’immortalità, cit., p. 159: «È la prima volta che questo avviene esplicitamente nella tradizione patristica. Il pensiero di Paolo viene orchestrato nel linguaggio del Cantico: l’unguento è Cristo che si è spogliato della forma Dei per assumere la forma servi». 3 4 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 4 (trad. cit., p. 90). Ivi (trad. cit., pp. 90-91). 2
106 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur no sono le anime che si lasciano compenetrare dal suo profumo. Questa disposizione descrive il profumo che si diπonde, individuando la misteriosa connessione esistente fra Cristo e i cristiani, che diπondono il suo nome. Il rapporto fra Cristo e le anime fanciulle è individuato da una sequenza di momenti: 1. le anime traggono a sé il Verbo di Dio e lo fanno entrare nei loro sensi e nel loro intelletto; 2. sentono la soavità della sua dolcezza e del suo odore; 3. sono incitate da tutto ciò come dagli odori di un profumo divino e ineπabile, e diventano piene di vigore e di alacrità; 4. corrono dietro di lui e all’odore del suo profumo. Nel testo è conferito particolare risalto al momento centrale, nel quale le anime sentono che Cristo è presente in loro come profumo, cioè avvertono l’eπusione del suo amore, per il quale egli immortale ha aπrontato anche la morte in croce per la salvezza di tutti. Da questo profumo, cioè da questo amore, sono inebriate. 4. L’interpretazione tipologica L’interpretazione tipologica evidenzia il rapporto esistente fra la moltitudine delle anime progredienti e l’unica Chiesa perfetta. E ancora, nel passo Profumo diπuso è il tuo nome. Perciò le fanciulle ti hanno amato, ti hanno tratto a sé; correremo dietro di te all’odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3-4), le fanciulle che traggono a sé Cristo possono essere interpretate come la Chiesa: la Chiesa è una sola allorché è perfetta, ma le fanciulle sono molte perché ancora vengono istruite e progrediscono. Perciò esse traggono a sé Cristo per mezzo della fede, perché Cristo quando vede due o tre riuniti nella fede del suo nome, va lí e sta in mezzo a loro (Mt 18, 20), tratto dalla loro fede e spinto dalla loro concordia. 1
Le molte fanciulle, che sono le anime progredienti, si uniscono a Cristo, e in questo modo realizzano l’unità della Chiesa perfetta. Cristo è il trait d’union: in Cristo la molteplicità è ricondotta all’unità; il progresso nell’unione con Cristo conduce alla perfezione. 5. L’interpretazione psicologica L’interpretazione psicologica descrive il modo in cui l’anima trae a sé il Verbo di Dio. Se poi con la terza interpretazione bisogna interpretare questo passo in riferimento all’anima che segue il Verbo di Dio, ogni anima che sia stata prima istruita nella filosofia morale e poi esercitata nella conoscenza della natura, grazie alle nozioni che abbiamo detto insegnate in queste discipline, cioè purificazione dei costumi, cognizione delle cose e probità della disciplina, tale anima trae a sé il Verbo di Dio. E di buon grado egli si fa trarre: infatti viene con gran piacere alle anime istruite e con larghezza accetta e benignamente concede di essere tratto da loro. 2
L’anima è prima istruita nella scienza morale, «per mezzo della quale viene disposto un onesto modo di vivere e vengono proposte norme che tendono 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 6 (trad. cit., pp. 91-92). Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 7 (trad. cit., p. 92).
2
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alle virtù». Poi è istruita nella scienza naturale, che «esamina la natura di ciascuna cosa, a√nché nulla facciamo in vita contro natura, bensí ogni cosa sia applicata agli usi per i quali il Creatore l’ha fatta». 2 Infine può avere accesso alla scienza contemplativa, «grazie alla quale, superate le realtà visibili, contempliamo qualcosa delle realtà divine e celesti». 3 L’anima pronta per la contemplazione può trarre a sé il Verbo di Dio. La condizione dell’anima progrediente è racchiusa fra la conoscenza del nome e la comprensione della sostanza del Verbo di Dio. 1
Mi chiedo poi una cosa: se soltanto il suo nome, dal momento ch’è diventato profumo diπuso, ha operato tanto ed ha spinto cosí le fanciulle che esse per prima cosa lo traggono a sé e avendolo presso di sé percepiscono l’odore dei suoi profumi e subito corrono dietro a lui, se – ripeto – tutto ciò è stato operato soltanto dal suo nome, che cosa credi che farà la sua stessa sostanza? 4
La conoscenza del nome è motivo di attrazione. Invece la comprensione della sostanza è causa di adesione, e corrisponde alla condizione dell’anima perfetta. Quid ex illa adulescentulae istae virtutis, quid vigoris accipient, si quo pacto potuerint ali quando ad ipsam eius incomprehensibilem atque ineπabilem substantiam pervenire? Ergo puto quod, si ad hoc aliquando pervenerint, iam non ambulent neque currant, sed vinculis quibusdam caritatis eius adstrictae adhaereant ei nec ultra mobilitatis alicuius ullus in iis resideat locus, sed sint cum eo unus spiritus (1 Cor 6, 17) et compleatur in illis hoc quod scriptum est: Sicut tu Pater in me et ego in te unum sumus, ita et isti in nobis unum sint (Jo 17, 21). 5
A proposito dell’adesione dell’anima perfetta al Verbo di Dio, Carlo Lorenzo Rossetti ha proposto alcune interessanti osservazioni. La dinamica unitiva tra Logos e anima non può limitarsi ad un reciproco attrarsi. Lo scopo è l’unione nuziale, l’essere non “una carne sola” bensí “uno spirito solo”. Questo avviene allorché l’anima giunge all’“incomprensibile ed ineπabile sostanza” del Verbo di Dio. Origene sembra dire che l’attrazione iniziale è dovuta al ‘nome’, che è una manifestazione, una esternazione, un profumo ma non la realtà interiore e profonda stessa. L’unione finale avviene quando, oltre al ‘nome’ l’anima conosce la ‘sostanza’ del Figlio di Dio, l’intimità piú segreta del suo essere, la fonte del profumo che emana il suo nome. Allora si avvera tra Logos e anima una unione divina che riflette l’unione trinitaria, la mutua inabitazione del Padre e del Figlio. Allorché l’anima penetra nel profondo la natura del Verbo, esso diventa per lei non solo motivo di slancio, di corsa, ma dimora stabile in cui riposarsi immutabilmente. Il Logos divino diventa il luogo dell’anima, il suo tutto, come il Padre è il tutto del Figlio il suo luogo. Giunta a tale perfezione di unione, tutta l’anima è pervasa dal Logos, occupata da Lui e solo da Lui; ogni suo senso non ha altro oggetto che Cristo. Non vede altro che la sua gloria, non ode altro che la sua parola, non tocca altro che lui, non si nutre d’altro che di lui. Abbiamo qui l’apice dell’inabitazione del Logos nell’anima. Questa è completamente unita a colui al quale aderisce. 6
1
Rufin., Orig. in cant., prol. 3, 3 (trad. cit., p. 53). 3 Ibidem. Ibidem. 4 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 8 (trad. cit., p. 92). 5 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 8-9 (ed. cit., p. 224). 6 Carlo Lorenzo Rossetti, ‘Sei diventato Tempio di Dio’. Il mistero del Tempio e dell’abitazione 2
108 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur 6. Un’altra interpretazione spirituale Nella parte conclusiva del commento è proposta un’altra interpretazione, secondo la quale exinanitum ha il significato di ‘svanito’: «Il passo Profumo svanito è il tuo nome. Per questo le fanciulle ti hanno amato (Ct 1, 3) può essere interpretato anche in questo modo». Il tema della kevnwsi~, prima solo accennato, assume un’importanza centrale. Potest adhuc et hoc modo accipi quod ait: Unguentum exinanitum nomen tuum; propterea adulescentulae dilexerunt te (Ct 1, 3). Unigenitus Filius (cfr. Jo 3, 16), cum in forma Dei esset, exinanivit semet ipsum et formam servi accepit (Phil 2, 6-7). Exinanivit autem de plenitudine sine dubio, in qua erat. Illi ergo qui dicunt: Quia de plenitudine eius nos omnes accepimus (Jo 1, 16), ipsi sunt adulescentulae, quae de ea plenitudine ex qua se ille exinanivit et factum est unguentum exinanitum nomen eius percipientes dicunt: Post te in odorem unguentorum tuorum curremus (Ct 1, 4). Nisi enim exinanisset unguentum, hoc est plenitudinem divini Spiritus, et humiliasset se (cfr. Phil 2, 8) usque ad formam servi (cfr. Phil 2, 7), capere eum nullus in illa deitatis ple nitudine potuisset, nisi sola fortassis sponsa pro eo quod videtur indicare quia unguentum istud exinanitum non sibi, sed adulescentulis dilectionis dederit causam. Sic enim dicit: Unguentum exinanitum nomen tuum; propterea adulescentulae dilexerunt te, ac si diceret: adulescentulae quidem propterea dilexerunt te, quia exinanisti te de forma Dei et factum est unguentum exinanitum nomen tuum; ego autem non pro exinanito unguento, sed pro ipsa plenitudine unguentorum dilexi te. Hoc enim indicat in eo ubi dicit: Odor unguentorum tuorum super omnia aromata (Ct 1, 3). 1
L’accostamento di Phil 2, 6-7 a Jo 1, 16 descrive il passaggio dalla pienezza della forma di Dio all’annientamento della forma di servo. Il Figlio unigenito, mentre era nella forma di Dio, ha annientato se stesso ed ha assunto la forma del servo (Phil 2, 6-7). Perciò senza dubbio si è annientato dalla pienezza nella quale era. Allora coloro che dicono: Poiché noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza (Jo 1, 16) sono le fanciulle, le quali, ricevendo dalla pienezza dalla quale egli si è annientato e il suo nome è diventato profumo svanito, dicono: Dietro di te correremo all’odore dei tuoi profumi (Ct 1, 4). 2
Questa interpretazione ha lo scopo di evidenziare la diπerenza esistente fra l’anima perfetta e le anime progredienti. Se infatti non avesse fatto svanire il profumo, cioè (non avesse annientato) in sé la pienezza dello Spirito Santo e non si fosse abbassato fino alla forma di servo, nessuno avrebbe potuto accoglierlo in quella pienezza di divinità, se non forse la sola sposa, in quanto essa sembra indicare che questo profumo svanito sia stato motivo di amore non per sé ma per le fanciulle. Infatti dice cosí: Profumo svanito è il tuo nome. Per questo le fanciulle ti hanno amato (Ct 1, 4); ed è come se dicesse: le fanciulle ti hanno amato perché tu ti sei annientato dalla forma di Dio e il tuo nome è diventato profumo svanito; io invece ti ho amato non per il profumo svanito ma divina negli scritti di Origene, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1998 («Tesi Gregoriana. Serie Teologia», 43), pp. 192-193. 1 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 27-29 (ed. cit., pp. 236-238). 2 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 27 (trad. cit., pp. 98-99).
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proprio per la pienezza dei tuoi profumi. Questo infatti indica dove dice: L’odore dei tuoi profumi è superiore a tutti gli aromi (Ct 1, 3). 1
L’anima perfetta ama il Verbo di Dio per la pienezza dei suoi profumi, cioè nella pienezza della sua divinità. Invece le anime progredienti amano il Verbo per il profumo svanito, perché si è annientato dalla forma di Dio. 7. I sensi interiori Nel commento è al centro il profumo e il senso dell’olfatto: il profumo esprime la compenetrazione del Verbo di Dio nell’anima; l’olfatto è il sentimento della soavità di questa presenza. Dal tema centrale il discorso si allarga all’argomento dei sensi interiori. Ma per ora la sposa, come sembra, riunite a sé molte fanciulle, di cui dopo si dice che non c’è numero (Ct 6, 7), presa soltanto da un solo senso, cioè dall’odorato, aπerma di correre all’odore dei profumi dello sposo […]. […] Ciò avviene, come abbiamo detto, dopo che è stato percepito soltanto il suo odore. Che cosa credi che faranno queste anime, allorché il Verbo di Dio avrà occupato il loro udito e la vista e il tatto e il gusto, e ad ognuno dei sensi avrà oπerto facoltà provenienti da sé e adatte alla natura e alle capacità di quelle anime? 2
Per chiarire il significato del testo conviene individuare nella descrizione una sequenza di momenti: 1. la presenza del Verbo nell’anima conferisce virtù ad ognuno dei sensi interiori, che risultano ‘potenziati’; 2. solo dopo aver ricevuto dal Verbo le virtù, i sensi interiori possono percepire, ciascuno secondo la sua specifica natura, la presenza del Verbo nell’anima; 3. dopo aver percepito la presenza del Verbo, ciascuno dei sensi non vuole percepire altro, se non lo stesso Verbo. Il discorso, intessuto su una trama di citazioni neotestamentarie, si sviluppa in parallelo per i sensi della vista, dell’udito, del tatto, del gusto, per evidenziare il cambiamento intervenuto al momento della percezione del Verbo. Cosí, se l’occhio avrà potuto vedere la sua gloria, gloria come dell’unigenito che proviene dal Padre (Jo 1, 14), non vorrà vedere nient’altro, né l’udito udire altro se non la parola di vita e di salvezza (1 Jo 1, 1). E le mani che avranno toccato il Verbo di vita (1 Jo 1, 1) non toccheranno piú alcunché di materiale fragile e caduco; e il gusto, una volta che avrà gustato la bontà del Verbo di Dio, le sue carni e il pane che discende dal cielo (Hbr 6, 5; Jo 6, 52-58; 6, 33), dopo non tollererà di gustare altro. 3
Se il senso dell’olfatto è il primo a indicare la soavità della presenza del Verbo, il gusto invece permette di assaporare sempre piú la sua dolcezza, in una gradazione ascendente che corrisponde ai progressi della crescita spirituale: latte per coloro che sono rigenerati, lenticchie per coloro che sono deboli, cibo solido per coloro che hanno i sensi esercitati nella distinzione del bene 1
Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 28-29 (trad. cit., p. 99). Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 10-11 (trad. cit., pp. 92-93). 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 11-12 (trad. cit., p. 93). 2
110 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur e del male; e poi ancora cibo minuto e sottile, simile al cibo degli angeli, per coloro che sono usciti dall’Egitto; e infine l’abbondanza e varietà di cibi del luogo di delizie nell’Eden, per coloro che sono stati degni di ritornare ad essere con Cristo. 1 Il discorso indugia sul senso del gusto per descrivere il piacere e le delizie che comporta la presenza del Verbo nell’anima. Poi la riflessione si allarga dal gusto ai cinque sensi.
E si delizierà non soltanto nel senso del mangiare e del gustare ma anche nell’udito, nella vista, nel tatto e nell’odorato. Correrà infatti all’odore del suo profumo: cosí si delizierà in tutti i suoi sensi nel Verbo di Dio colui che sarà giunto al massimo di perfezione e beatitudine. 2
Dopo che ciascuno dei sensi è stato reso idoneo dal Verbo a percepire la sua presenza, esso non vuole percepire altro. In primo piano è l’azione del Verbo, che conferisce virtù ai sensi; ad essa deve però corrispondere l’azione dell’uomo, che deve mettere in opera questa ‘potenza’, esercitando i sensi nella distinzione del bene e del male. Perciò, mentre stiamo ancora in questi luoghi terreni, scongiuriamo i nostri ascoltatori di mortificare i sensi carnali, a√nché nulla di ciò che diciamo essi intendano secondo gli aπetti corporei, ma per comprendere questi concetti facciano uso dei sensi piú divini dell’uomo interiore, secondo quanto ci insegna lo stesso Salomone: Troverai un senso divino (Prv 2, 5); e anche Paolo scrive agli Ebrei riguardo ai perfetti, come sopra abbiamo ricordato, che questi hanno i sensi esercitati alla distinzione del bene e del male (Hbr 5, 14), mostrando che nell’uomo oltre i cinque sensi corporei ce ne sono altrettanti, che vengono ricercati coll’esercizio e di cui diciamo che sono in azione allorché esaminano con piú alacre acume il significato delle cose. 3
I sensi dell’uomo esteriore sono naturalmente esercitati nell’esperienza del mondo fisico; accanto ad essi vi sono i sensi interiori che, potenziati dal Verbo, devono essere attivati attraverso l’esercizio, al fine di aumentare la loro capacità di comprensione, cioè la capacità di accogliere la presenza del Verbo. 1 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 13-14 (trad. cit., pp. 94-95): «Infatti per coloro che, provenienti da seme corruttibile, vengono rigenerati egli diventa latte spirituale e senza inganno (1 Pt 1, 23; 2, 2); a coloro che sono deboli in qualche parte si presenta come legumi (Rm 14, 2) per grazia e amicizia ospitale; a coloro poi che grazie alla capacità di ricevere hanno i sensi esercitati alla distinzione del bene e del male si presenta come cibo solido (Hbr 5, 14). Se infine ce ne sono alcuni che sono usciti dall’Egitto e seguendo la colonna di fuoco e di nubi vengono nel deserto, a costoro egli scende dal cielo presentandosi come cibo minuto e sottile, simile al cibo degli angeli, cosí che l’uomo mangi il pane degli angeli (Ex 17, 3; 14, 24; 16, 14; Ps 77, 25). Ha ancora in sé altre innumerevoli diπerenze di cibi, che per ora nessuno che sia rivestito di pelle carne ossa e nervi (Jb 10, 11) può comprendere. Chi invece sarà stato degno di ritornare ad essere con Cristo (Phil 1, 23) e che, trovato fedele nel poco (Mt 25, 21), sarà messo a capo del molto, costui gusterà e proverà il piacere del Signore, condotto ad un luogo che per l’abbondanza e varietà di cibi di tal genere è detto luogo di delizie (Ps 33, 9; Ez 28, 13). Perciò tale luogo è posto nell’Eden, che indica le delizie: lí infatti vien detto a costui: Deliziati nel Signore (Ps 36, 4)». 2 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 15 (trad. cit., p. 95). 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 16 (trad. cit., p. 95).
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L’azione dell’uomo che esercita i sensi nella distinzione del bene e del male è illustrata attraverso il senso della vista: Infatti non bisogna prendere a piacere e alla leggera ciò che dice l’apostolo riguardo ai perfetti, cioè che hanno i sensi esercitati alla distinzione del bene e del male. Perché tutto ciò risulti piú chiaro, prendiamo un esempio da questi sensi corporei, e cosí poi passeremo ai sensi divini dell’uomo interiore, che nomina la Scrittura. L’occhio corporeo, che esercita la vista, se non lo impedisce nessuno ostacolo, perfettamente e senza errore coglie colori grandezze qualità nei corpi. Ma se la vista sarà impedita dalla caligine o da qualche infermità e giudicherà che una cosa sia rossa invece che bianca, verde invece che nera, diritta mentre è curva e contorta, certamente il giudizio della mente sarà turbato e giudicherà una cosa per l’altra. Analogamente, se la vista interiore non sarà stata esercitata dalla istruzione e dall’operosità a√nché impari con molta perizia a distinguere il bene dal male, ma la impediranno ignoranza e incapacità come la caligine sugli occhi e sopravverrà anche, come ai malati di vista, qualche debolezza dovuta alla malvagità, essa non potrà in nessun modo imparare a distinguere fra il bene e il male e cosí avverrà che faccia il male e disprezzi il bene invece del male. 1
Come in precedenza, il discorso si conclude allargandosi dalla vista ai cinque sensi. Secondo tale concetto che abbiamo esposto intorno alla vista del corpo e dell’anima, conseguentemente anche riguardo all’udito, al gusto, all’odorato e al tatto se farai corrispondere ogni singola e peculiare facoltà dei sensi corporei ai sensi dell’anima, chiaramente verrai a conoscere come i singoli sensi debbano esercitarsi e come purificarsi. 2
1
Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 16-18 (trad. cit., pp. 95-96). Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 19 (trad. cit., p. 96).
2
IMPAZIENTE D’AMORE 1. Premessa
L
’am ore è impaziente: l’amata non sopporta l’assenza dell’amato. Non cerca soltanto la sua presenza, ma desidera che egli non sia impegnato in alcuna attività, a√nché possa dedicarsi interamente a lei. L’amore non può aspettare, perché il pieno coinvolgimento dell’amata vuole trovare corrispondenza nel pieno coinvolgimento dell’amato. In questo contesto, l’amore si manifesta dunque come esperienza totalizzante. Lo è in primo luogo per quanto concerne l’ambito soggettivo: l’amore infatti coinvolge pienamente la persona dell’amata, occupando per intero la sua anima. Ma all’amore non è su√ciente far sentire la sua forza all’interno dell’anima: vuole invece manifestarsi, e a tal fine cerca le circostanze di tempo e di luogo piú favorevoli. In questo modo avviene il passaggio dal piano soggettivo al piano oggettivo: l’amore non può rimanere nello stato di sentimento, ma ha necessità di esprimersi con parole e gesti, e cerca il luogo e il momento migliore per manifestarsi. Per questo motivo, l’amata desidera raggiungere l’amato in un luogo appartato e nell’ora piú luminosa del giorno, per stare accanto a lui mentre riposa. 2. Ubi cubile habes in meridie? (Ct 1, 7) Nel testo ebraico l’amato, in precedenza descritto come un re (v. 4), è rappresentato come un pastore mentre pascola greggi di pecore. 1 Nella domanda della sposa c’è una nota di ansia: l’imperativo «dimmi!» e la ripetizione della domanda «dove?… dove?» comunicano un senso di urgenza. L’uso del discorso diretto dà un’impressione di immediatezza. Nel rivolgersi all’amato, la sposa usa l’espressione še’āhăḇāh nap̄šî («tu che ama l’anima mia»). In generale, ‘anima’ è una traduzione inadeguata per l’ebraico nep̄eš, che non significa anima in opposizione al corpo, ma indica l’intero essere; in questo contesto, tuttavia, la traduzione ‘anima’ sembra particolarmente appropriata, poiché trova corrispondenza in espressioni di totale devozione, come amare qualcuno ‘con tutta l’anima’ o ‘con tutto il cuore’.
3. L’interpretazione letterale L’interpretazione letterale di Ct 1, 7 individua qual è il personaggio che parla e chi sono i suoi interlocutori: «Ancora la sposa dice queste parole, ma allo sposo e non piú alle figlie di Gerusalemme». 2 In eπetti, in Ct 1, 2-7 è sempre lo stesso personaggio che parla, rivolgendosi a diversi interlocutori:
1
Song of Songs. A Commentary, cit., pp. 106-107. Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 1 (trad. cit., p. 135).
2
114 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Perciò, dall’inizio dov’è detto: Mi baci fino a questo punto: presso i greggi dei tuoi compagni, tutto ciò che viene detto sono parole della sposa. Ma prima essa parla a Dio, in secondo luogo allo sposo, in terzo luogo alle fanciulle. Stando in mezzo a loro e allo sposo e facendo quasi, secondo la forma del dramma, la funzione di mesocoro, indirizza le parole ora a quelle, ora a questo, ora anche, di risposta, alle figlie di Gerusalemme. Queste ultime parole indirizza allo sposo, chiedendogli dove faccia pascolare il gregge a mezzogiorno e dove lo collochi, temendo di trovarsi, nel cercarlo, nei luoghi in cui i compagni dello sposo hanno collocato a mezzogiorno i loro greggi. 1
Il termine mesochorus (dal gr. mesovcoro~) significa il capo coro che, stando nel mezzo, dà il segnale di inizio a coloro che cantano e danzano e indica il tempo; solo in questo passo del Commento al Cantico dei Cantici il mesocoro rivolge la parola agli attori. 2 Il ruolo del mesocoro non coincide con quello del corifeo della tragedia e della commedia classica; 3 al tempo di Origene, peraltro, erano avvenute profonde trasformazioni nel teatro. 4
4. L’interpretazione spirituale Per introdurre l’interpretazione spirituale è in primo luogo individuato il ruolo di colui che è re pastore sposo. «È re, poiché governa gli uomini»; 5 il governo, cioè la funzione di guida e di indirizzo, è esteso a tutti gli uomini. «È pastore perché fa pascolare le pecore»: 6 «è u√cio del buon pastore cercare per le pecore i pascoli migliori e trovare per il riposo dal calore
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 1-2 (trad. cit., p. 135). S.v. mesochorus, in ThlL, 8, p. 853, ll. 16-27: mesochorus, -ī m., mesovcoro~. GLOSS. mesov coro~ (cf. et p. 337, 74). i. q. dux chori, qui in medio stans cantantibus, saltantibus signum incipiendi et numerum indicat actoribusque respondet (de femina: l. 23): Schol. Iuv. 11, 172 testis (i. testarum crepitu) ... antea percutiebant saltantibus pantomimis, quia adhuc non erat, ut -i percuterent manibus. Rvfin. Orig. in cant. 2 p. 134, 16 inter quas adulescentulas et sponsum sponsa media quaedam et ut se dramatis huius species habet quasi -us eπecta nunc ad illas nunc ad ipsum ... respondens dirigit verba. Sidon. epist. 1, 2, 9 nullus ibi lyristes, choraules, -us ... canit. transfertur ad eum, qui regit turbam plausorum: Plin. epist. 2, 14, 7 hoc pretio infiniti clamores commoventur, cum -us dedit signum. 3 Emanuele Dettori, L’interlocuzione di√cile. Corifeo dialogante nel dramma classico, Pisa, Giardini, 1992 («Supplementi di Museum Criticum»), pp. 26-27: «Si possono, infatti, distinguere tre tipi piú comuni di intervento del Corifeo: a) l’annuncio d’entrata e i casi, connessi, di percezione acustica di avvenimenti fuori scena; b) la ricezione o la fornitura di informazioni da o a un attore intorno a fatti avvenuti, sia in scena che fuori scena, durante il dramma […]; c) il commento di dolore, gioia, compassione, riprovazione, sconcerto, etc., per lo piú al seguito della rJh`si~ di un personaggio, o in una scena epirrematica». 4 Timothy David Barnes, Christians and the Theater, in Roman Theater and Society. E. Togo Salmon Papers, i, edited by William J. Slater, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1996, pp. 161-180 (170): «The popularity of pantomimi and the mime, and the occasional performance of tragic extracts are well documented. But were whole plays also still written or, at least, still performed? Christopher Jones has recently collected and set out clear evidence from Aelius Aristides and inscriptions for the composition and performance of new plays during the second century, and Margarete Bieber, in her standard history of the Greek and Roman theater, deduces from varied archaeological and iconographical evidence that “comedy and tragedy continued into at least the third century.” But it is hard, perhaps impossible, to find similar evidence for real drama after the Severan period». 5 6 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 3 (trad. cit., p. 135). Ibidem. 2
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estivo i boschi piú verdeggianti e ombrosi»; l’attività pastorale, cioè la cura amorevole delle pecore, è rivolta solo al suo gregge. «È sposo perché ha la sposa destinata a regnare con lui, secondo quanto è scritto: Stette la regina alla tua destra con un vestito ornato d’oro (Ps 44, 10)»; 2 l’immagine dello sposo esprime l’amore di predilezione per la sposa, che gli sta accanto ed è associata a lui nella funzione di governo. Pertanto le immagini di re pastore sposo, disposte in gradazione, individuano il diverso rapporto stabilito dal Verbo di Dio con le anime. In secondo luogo è distinto il ruolo delle regine, delle concubine e delle fanciulle.
1
Nunc autem requiramus intelligentiam mysticam et, si oportet praevenire paululum ea quae in posterioribus referenda sunt, quo quis sit aπectus horum sodalium pateat, memoremus illud quod scriptum est, quia reginae sunt sexaginta, sed ex his omnibus una sit columba et una perfecta (Ct 6, 8-9) ac particeps regni, ceterae vero iam inferiores sunt, quae octoginta appellantur concubinae; adulescentulae autem quarum numerus nullus est (Ct 6, 8), post ordinem concubinarum ponuntur. 3
Anticipando l’interpretazione di Ct 6, 7-8 («sexaginta sunt reginae et octoginta concubinae et adulescentularum non est numerus, una est columba mea perfecta mea»), è individuato un ordine gerarchico: le regine sono sessanta, ma di tutte una sola è la colomba, una sola la perfetta e partecipe del regno; le altre poi, che sono definite come ottanta concubine, sono inferiori; e ancora dopo le concubine sono poste le fanciulle, di cui non c’è numero (Ct 6, 8-9). 4
La gerarchia è strutturata in forma di piramide. Al vertice, in posizione unica, si trova colei che si distingue fra tutte le regine per la sua perfezione; a motivo di questa perfezione, essa è la prediletta del re, che l’ha prescelta perché sia partecipe del regno. Proprio perché è destinata a regnare con il re, 5 essa ha una posizione preminente rispetto alle altre che hanno la dignità di regina. Le regine, peraltro, hanno una dignità superiore alle concubine, per lo piú schiave di guerra o ex schiave. Infine vengono le innumerevoli fanciulle, addette ai numerosi servizi del palazzo reale: esse «sono innumerevoli, non perché non rientrano entro un conto, ma perché proprio esse non sono degne di essere contate». 6
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 15 (trad. cit., p. 139). Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 3 (trad. cit., p. 135). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 4 (ed. cit., p. 332). 4 5 Ivi (trad. cit., pp. 135-136). Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 3. 6 Orig., in cant., fr. 54 (trad. Maria Antonietta Barbàra, Bologna, edb, 2005, pp. 239-241): «Le giovanette sono innumerevoli, non perché non rientrano entro un conto, ma perché proprio esse non sono degne di essere contate. E forse le categorie di cui parla l’apostolo a proposito della resurrezione dei morti hanno lo stesso significato della presente diπerenziazione tra le giovanette che sono in comunione con Cristo, quando dice: Poiché infatti per mezzo di un uomo è venuta la morte, anche per mezzo di un uomo vi è la resurrezione dei morti. Infatti, come tutti muoiono in Adamo, cosí anche tutti saranno vivificati in Cristo. Ciascuno nel proprio ordine (1 Cor 15, 21-23). Infatti la vita, il raziocinio e la disposizione di ciascuno faranno sí che ciascuno sia prescelto e assegnato secondo i meriti in uno dei gradi: o nella perfetta colomba, o in un grado 2
116 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Secondo l’interpretazione tipologica, i diπerenti ruoli corrispondono alle membra di un unico corpo, che è la Chiesa: Istae autem omnes diπerentiae eorum sunt qui in Christo credentes diversis ei aπectibus socian tur, ut, verbi gratia, dicamus omnem ecclesiam per aliam figuram corpus esse Christi (cfr. 1 Cor 12, 27), sicut Apostolus dicit, in quo corpore diversa membra pronuntiat et alios esse oculos, alios vero manus, alios etiam pedes et singulos pro operum suorum studiorumque meritis in membra corporis huius (cfr. 1 Cor 12, 12-21) aptari. 1
La distinzione fra le regine, le concubine e le fanciulle è chiarita soprattutto nell’interpretazione psicologica. Secundum hanc ergo speciem etiam haec intelligenda sunt et alias quidem animas putandum est in hoc sponsali dramate, quae magnificentiore aπectu sponso atque illustriore sociantur, apud eum reginarum loco et aπectu haberi, alias, quarum inferior sine dubio in profectibus et vir tutibus honor est, concubinarum loco duci et alias adulescentularum, quae videntur extra aulam quidem positae, non tamen extra urbem regiam, posteriores vero et post omnes quae supra memoratae sunt, esse eas animas quae oves (cfr. Mt 9, 36) appellantur. 2
«Alcune anime, che sono unite allo sposo da aπetto piú nobile e illustre, sono tenute presso di lui in condizione e aπetto di regine». Il termine aπectus, che compare nella prima e nella seconda parte del periodo, stabilisce una corrispondenza fra l’aπetto inteso come legame di condivisione («aπectu... sociantur») e come condizione dell’animo («loco et aπectu haberi»): quanto piú nobile è il legame aπettivo (cioè, quanto è piú nobile ciò che è condiviso nell’aπetto), tanto piú nobile è la condizione dell’amata in rapporto all’amato. Questo aπetto è proprio dell’anima perfetta che è nella condizione di regina e sta accanto al re. «Altre [scil. anime], la cui dignità è inferiore in ragione del progresso (nel bene) e delle virtù, sono nella condizione di concubine». La diπerenza fra la regina e la concubina consiste nella dignità: la concubina, spesso una schiava di guerra o una ex schiava, è parte dell’harem e occasionalmente si unisce al re; tuttavia non è la regina che, per la sua dignità, sta accanto al re. In modo analogo, l’anima che non ha conseguito la piena dignità attraverso il progresso morale e l’esercizio delle virtù, si unisce solo occasionalmente e non in modo stabile con il delle concubine o delle regine, o in un grado delle giovanette. Non ti meravigliare che uno sposo, pur avendo una sposa bella, ne ha forse anche una seconda e una terza e piú ancora. Se tu hai compreso anche chi fossero le sue spose, non avrai timore di recitare dal Cantico: Sessanta sono le regine e ottanta le concubine, e le giovanette innumerevoli. Ma una è la mia colomba (Ct 6, 8-9). Lo sposo è il logos; la sposa è una creatura razionale, se l’anima comprende il logos e se lo sposo la prende in sposa. Tuttavia poiché questo logos non si unisce ad un’anima sola ma con piú e diπerenti, è detta colomba perfetta per una certa dignità regale e splendente. Ma lo sposo si unisce alle anime regali sebbene inferiori – per questo motivo esse sono le sessanta regine – e ad altre guidate dal timore di Dio: queste sono le concubine. Vi sono poi alcune altre anime, inferiori avendo meno timore: queste sono le giovanette innumerevoli. Dunque lo sposo, considerando che anche qui ce ne sono belle, capaci di essere sue e in comunione, uscì dal talamo celeste e si unisce ad angeli e ad arcangeli, a troni e dominazioni, che sono spose del logos. Diventa tu dunque motivo di esultanza, diventa motivo della sua corsa verso te. Infatti lo sposo vuol essere il primo ad abbracciarti, vuole essere il primo a prenderti». 1 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 5 (ed. cit., p. 332). 2 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 6 (ed. cit., p. 332).
impaziente d’amore
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Verbo. Vi sono poi «altre [scil. anime] nella condizione di fanciulle, poste al di fuori della sala ma non fuori della città del re». Le fanciulle non sono parte dell’harem, e pertanto non risiedono nel palazzo; tuttavia, essendo fra i sudditi, possono essere chiamate a diventare concubine del re. In modo analogo, le anime che non sono degne di unirsi al Verbo, essendo in ogni modo sottoposte al suo potere, possono essere chiamate dal Verbo, che desidera unirsi a loro. Fin qui le anime sono rappresentate in forma di donne, per indicare il rapporto che le unisce al Verbo di Dio. Vi sono però anche anime descritte in forma animale. «Inferiori a tutte e ultime sono le anime che abbiamo ricordato sopra, che sono chiamate pecore (Mc 6, 34)». L’immagine delle pecore evoca la figura del pastore, in modo da indicare un diπerente legame fra le anime e il Verbo. Le pecore sono guidate e indirizzate dal pastore; in modo analogo queste anime sono istruite dal Verbo. Oltre alle pecore del gregge dello sposo, vi sono le pecore dei greggi dei compagni dello sposo. Se poi osservi piú attentamente, forse ne troverai altre che sono inferiori anche a queste e ultime di tutti, quelle cioè che sono comprese nei greggi dei compagni dello sposo. 1
In conclusione, l’interpretazione spirituale è introdotta attraverso una serie di distinzioni. In primo luogo è distinto lo sposo dai compagni dello sposo: «Per prima cosa guarda se possiamo dire che come sposo si deve intendere il Signore […] e come compagni gli angeli». 2 In secondo luogo è distinto il gregge dello sposo dai greggi dei compagni dello sposo:
E forse i greggi dei compagni dello sposo sono tutti i popoli che, come pecore, sono posti sotto gli angeli pastori, e invece il gregge dello sposo è composto dalle pecore di cui egli stesso dice nel Vangelo: Le mie pecore ascoltano la mia voce (Jo 10, 27). 3
In terzo luogo è distinta la sposa dalle spose dei compagni dello sposo: Ma poiché essa [scil. la sposa] era sicura di essere al di sopra di tutte quelle [scil. le spose dei compagni dello sposo], non vuol sembrare simile ad alcuna di loro, in quanto sa di dover tanto superare le spose dei compagni, o – come essa le definisce – quelle che erano vestite a nozze, quanto il suo sposo eccelle sui compagni. 4
Alla luce delle precedenti distinzioni può essere spiegato il significato di Ct 1, 7. «A√nché risulti piú chiaro il significato di questo discorso, esaminiamo ancora ciò che vien detto secondo la trama del dramma». 5
Exposcit ab sponso suo sponsa ut ei locum secreti sui indicet et quietis, quoniamquidem amoris impatiens etiam per meridiem cupit adire sponsum, eo praecipue tempore quo clarior lux et splendor diei perfectus et purus est, ut assistat ei oves pascenti vel refrigeranti […]. 6
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 7 (trad. cit., p. 136). Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 13 (trad. cit., p. 138). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 14 (trad. cit., pp. 138-139). 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 11 (trad. cit., p. 137). 6 Ivi (ed. cit., p. 334). 2
3
Ibidem.
118 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur La locuzione «amoris impatiens» significa «impaziente d’amore»: la sposa non sopporta l’amore, che la fa soπrire per la lontananza dell’amato; essa infatti «desidera stare vicino» («cupit adire») allo sposo. L’indicazione del momento della giornata («per meridiem») introduce una precisazione importante ai fini dell’interpretazione spirituale: «a mezzogiorno, soprattutto in quel momento in cui la luce è piú chiara e puro e perfetto lo splendore del giorno». Nell’esposizione del significato spirituale, la pericope di Ct 1, 7 è commentata frase per frase. L’espressione «tu che ha amato l’anima mia» indica l’amore della sposa nei confronti dello sposo. Novo nunc nomine sponsa appellavit sponsum. Sciens enim ipsum esse Filium caritatis, immo ipsum esse caritatem, quae ex Deo est (cfr. 1 Jo 4, 7), quasi vocabulum ei istud posuit: quem dilexit anima mea. Et tamen non dixit: quem dilexi, sed quem dilexit anima mea, sciens non qualicumque dilectione, sed ex tota anima et ex totis viribus et ex toto corde (cfr. Lc 10, 27) habendam esse dilectionem sponsi. 1
La frase «Dove fai pascolare il gregge? e dove ti riposi?», interpretata seguendo la traccia del Salmo 22, indica la condizione dell’anima che, dopo aver ricevuto la prima istruzione, è progredita fino alla perfezione. 2
Perciò la prima istruzione, quella pastorale, fu quella degli inizi, a√nché collocata in luogo verdeggiante l’anima fosse condotta all’acqua del riposo. Invece le parole che seguono si riferiscono al progresso e alla perfezione. 3
5. La visione meridiana Il progresso dell’anima fino alla perfezione è descritto attraverso l’immagine della luce diurna che diventa piú chiara dal mattino fino al mezzogiorno, il momento in cui il sole è piú alto: Infatti, allorché essa [scil. l’anima] è ancora all’inizio dell’apprendimento e, per cosí dire, riceve da lui [scil. Cristo] i rudimenti della scienza, allora dice il profeta: Dio le recherà aiuto al mattino (Ps 45, 6). Ora invece, poiché ormai cerca e desidera conoscenze piú alte e perfette, essa chiede la luce meridiana della scienza. 4
Pertanto, la parola ‘mezzogiorno’ indica quei segreti del cuore grazie ai quali l’anima riceve piú chiara luce di conoscenza dal Verbo di Dio: infatti è questo il momento in cui il sole sta al vertice piú alto del suo percorso. 5
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 16 (ed. cit., pp. 338-340). Seguendo la traccia di Ps 22, 1-6 sono descritti i progressi del profeta: 1. «come pecora era stato sotto il pastore»; 2. «da questa condizione […] egli si è volto alle realtà intellettuali e piú alte, ha progredito e ciò ha conseguito grazie alla conversione»; 3. «di qui […] aveva progredito sí da avanzare sulla via della giustizia»; 4. «poi […] sono stato istruito al mestiere di pastore»; 5. «quindi […] si vede trasferito dai pascoli pastorali a cibi intellettuali e mistici segreti». 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 23 (trad. cit., pp. 140-141). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 26 (trad. cit., p. 141). 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 25 (trad. cit., p. 141). 2
impaziente d’amore
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Il sole di giustizia è Cristo: questo sole spirituale, ch’è sole di giustizia e reca nelle penne la salvezza (Mal 3, 20), […] illumina e circonda di piena luce coloro che avrà trovato retti di cuore e collocati in linea retta rispetto alla sua luce […]. 1
La luminosità meridiana del sole di giustizia rischiara l’uomo retto, che ha la luce della mente e la purezza del cuore. La luce della mente si deve a Dio, che istruisce l’anima e la prepara alla visione meridiana, come è avvenuto per Abramo: Dio gli apparve presso la quercia di Mambre, mentre egli sedeva presso l’ingresso della sua tenda a mezzogiorno. Levando gli occhi guardò: ed ecco, tre uomini stavano presso di lui (Gn 18, 1-2).
La purezza del cuore è la condizione dell’anima che si è purificata abbandonando ciò che è corruttibile, secondo l’insegnamento di Paolo: La notte è avanzata, il giorno si è ormai avvicinato. Come se siamo in pieno giorno, comportiamoci onestamente, non in gozzoviglie e ubriachezze, non in lussurie e impudicizie (Rm 13, 12-13).
La purificazione del cuore è dunque il progresso dell’anima, descritto in analogia con il progresso del tempo nell’alternanza notte-giorno: allorché avrà superato tutto ciò, sembrerà che egli abbia passato il tempo in cui la notte è avanzata e il giorno si è avvicinato, e che si aπretti non all’inizio del giorno ma al mezzogiorno, sí da arrivare anch’egli alla grazia di Abramo. 2
I verbi di movimento indicano un’accelerazione del passo, dopo che alle tenebre della notte è subentrata la luce del giorno; questa progressione rende ormai prossimo l’arrivo alla meta. La meta è la condizione dell’anima che è progredita fino alla perfezione, e può accogliere in sé la luce meridiana, che rende piú chiaro e splendente ciò che è già luminoso e puro. Se infatti la luce della mente e la purezza del cuore, che sono in lui, saranno diventate chiare e splendide, egli sembrerà avere il mezzogiorno in se stesso; e grazie a questa purezza di cuore, quasi collocato a mezzogiorno, vedrà Dio stando seduto presso la quercia di Mambre, che trae nome dalla visione. 3
La perfezione è la condizione dell’anima nella quale non c’è piú nulla di estraneo, nulla che attenga al corpo e alla carne, nella mente e nel cuore. Siede perciò presso la visione a mezzogiorno chi è disponibile per vedere Dio: di lui non si dice che siede dentro la tenda, bensí fuori, presso l’ingresso della tenda. Si trova infatti all’esterno e fuori del corpo la mente di colui ch’è lontano dai pensieri corporali, lontano dai desideri carnali, e perciò, poiché è fuori da questi impedimenti, Dio lo visita. 4
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 2, 10 (trad. cit., p. 126). Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 28 (trad. cit., p. 142). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 29 (trad. cit., p. 142). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 29-30 (trad. cit., p. 142). 2
120 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Attraverso l’accostamento ai loci genesiaci, è ricavata l’interpretazione spirituale di Ct 1, 7. Perciò nel passo che abbiamo fra le mani la sposa desidera essere illuminata dalla piena luce della scienza, perché non le succeda che, sbagliando per ignoranza in qualche punto, diventi simile a quelle scuole riunite intorno ad un maestro, che si esercitano non nella sapienza di Dio ma nella sapienza del mondo e dei príncipi di questo mondo. A questo sembra far riferimento l’apostolo dove dice: Parliamo della sapienza di Dio nascosta nel mistero, che nessuno dei príncipi di questo mondo ha conosciuto (1 Cor 2, 6-8). E indica lo stesso concetto, là dove dice: Infatti non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo spirito che è da Dio, per conoscere ciò che ci è stato donato da Dio (1 Cor 2, 12). Perciò la sposa cerca il riposo meridiano e chiede a Dio la pienezza della scienza, per non essere come una di quelle scuole di filosofi, che sono dette velate, perché presso di loro la pienezza della verità è coperta e celata. Invece la sposa di Cristo dice: Noi poi, a viso scoperto contempliamo la gloria di Dio (2 Cor 3, 18). 1
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 35-37 (trad. cit., pp. 143-144).
IL LEGAME D’AMORE 1. Premessa
U
n momento particolarmente importante è quello in cui si stabilisce il legame d’amore. Prima di questo momento l’amata e l’amato sono già in rapporto l’una con l’altro. A questa fase è riconducibile lo scambio d’amore: l’amata dona qualcosa di suo all’amato, e riceve in cambio la stessa cosa, che però ora reca in sé qualcosa dell’amato. In questo scambio si stabilisce il ‘legame d’amore’. Da quel momento l’amata e l’amato sono reciprocamente legati, e inizia la storia del loro amore, che nel tempo cresce e si sviluppa: l’amore è prima fiore che sboccia, e poi diventa frutto maturo. Ma la storia dell’amore non finisce con la maturità: l’amore deve passare attraverso la morte, l’annientamento, l’eπusione per dare l’esito migliore, cosí come l’uva matura nei torchi diventa sangue di uva, vino per il giorno di festa. 2. Lo scambio d’amore
L’amore è scambio: l’amata dona qualcosa di suo e recupera e accoglie in sé qualcosa dell’amato. Questo scambio non è dare qualcosa per ricevere qualcos’altro; è invece una vera e propria trasformazione: ciò che era dell’amata, una volta comunicato nel rapporto d’amore, si è riempito di contenuto aπettivo, e porta in sé qualcosa dell’amato. Ciò che è stato donato ora è pieno di significato, perché è diventato un segno dell’amore che unisce l’amata e l’amato. 2. 1. Nardus mea dedit odorem suum (Ct 1, 12) L’accento di questo versetto del Cantico dei Cantici cade sul profumo: l’aria ne è tutta impregnata. Assistiamo a una scena che riesce ad imprimere in maniera e√cacissima la grandezza dell’amore degli sposi, amore che essi scambievolmente alimentano. Il termine ebraico nerd (nardo) si trova solo nel Cantico dei Cantici (1, 12; 4, 13-14): di origine indiana, il nardo è un olio aromatico estratto dalla Nardostachys jatamansi; il suo notevole valore è testimoniato da Mc 14, 3-5 e Jo 12, 3-5. 2. 2. L’interpretazione letterale L’interpretazione letterale conferisce risalto agli aspetti inerenti il dramma. Secondo lo svolgimento del dramma, la sposa, dopo quelle parole, è entrata dallo sposo e lo ha unto con i suoi profumi in maniera meravigliosa, quasi che il nardo, che prima presso la sposa non aveva diπuso il suo odore, invece lo ha diπuso appe-
122 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur na ha toccato il corpo dello sposo, cosí che non tanto lo sposo ha tratto profumo dal nardo quanto il nardo dallo sposo. 1
Nel commento è stabilita un’opposizione tra i due momenti: «quasi nardus, quae prius odorem non dederat cum esset apud sponsam, tunc dederit odorem suum cum corpus contigit sponsi». In questo modo, la diπusione dell’odore è associata al contatto del nardo con il corpo dello sposo. Quindi è proposto un ulteriore sviluppo interpretativo: lo ‘scambio’ tra l’odore del nardo e l’odore dello sposo, descritto attraverso la commutatio: «ut non tam ille ex nardo odorem quam nardus ex ipso sumpsisse videatur». Questa interpretazione è avvalorata da alcuni manoscritti. Se poi leggiamo secondo la variante che si trova in altri esemplari: Il mio nardo ha diπuso l’odore di lui, troviamo qualcosa di ancor piú divino: infatti il profumo del nardo, con cui è unto lo sposo, ha preso non il suo odore naturale, ma proprio quello dello sposo e tale odore ha riportato alla sposa, che cosí nell’ungere lo sposo ha ricevuto il profumo di quello come profumo dello stesso unguento. È come se la sposa dicesse: il nardo col quale ho unto lo sposo, ritornando a me, mi ha portato l’odore dello sposo e, quasi che il suo naturale aroma sia stato superato dalla fragranza dello sposo, mi ha portato il suo profumo. 2
In questi esemplari si legge: «Nardus mea dedit odorem eius». La variante eius, in luogo di suum, diventa testimonianza a sostegno dell’interpretazione proposta in precedenza: «ut [videatur] unguentum hoc nardi […] non tam suum […] sed ipsius sponsi odorem ceperit». Lo ‘scambio’, per il quale il profumo del nardo ha riportato l’odore dello sposo, è avvenuto perché la fragranza dello sposo ha superato l’odore naturale del nardo: «nardus mea, qua unxi sponsum, regressa ad me odorem mihi detulit sponsi et velut superato naturali suo odore, prae fraglantia sponsi ipsius mihi detulit suavitatem». 2. 3. L’interpretazione spirituale L’interpretazione spirituale è ricavata attraverso l’accostamento di Ct 1, 12 a Jo 12, 3. Assumiamo come simbolo della Chiesa-sposa la persona di Maria, di cui si dice che porta una libbra di profumo di nardo prezioso, unge i piedi di Gesú e li asciuga con i suoi capelli (Jo 12, 3): cosí in qualche modo essa recupera e accoglie in se stessa con i capelli il profumo che si era imbevuto della qualità e della virtù del corpo di Cristo. Perciò essa, traendo a sé non l’odore del nardo per mezzo del profumo ma l’odore dello stesso Verbo di Dio grazie ai capelli con i quali ne asciugava i piedi, ha posto sul suo capo la fragranza non del nardo ma di Cristo e dice: il mio nardo, cosparso sul corpo di Cristo, mi ha restituito l’odore di lui. 3
Nel testo si riconosce una sequenza articolata in tre momenti: 1. Maria porta qualcosa di suo, «una libbra di profumo di nardo prezioso» (Jo 12, 3), corrispondente a «il mio nardo» (Ct 1, 12); 2. il profumo entra in contatto 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 1 (trad. cit., p. 175). Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 2 (trad. cit., pp. 175-176). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 3 (trad. cit., p. 176). 2
il legame d’amore
123
con Cristo, e si impregna della qualità e della virtù del suo corpo: cosí il profumo non ha piú l’odore del nardo, ma l’odore dello stesso Verbo di Dio; 3. Maria recupera e accoglie in se stessa qualcosa di Cristo. Il profumo era già pieno di fede e di amore («questo profumo fu pieno di fede e di prezioso sentimento»); ma è imbevuto e impregnato dalla piú intensa fragranza della carità di Cristo. 2. 4. I sensi interiori Nel commento è al centro il profumo. In precedenza, a proposito di Ct 1, 3 era stata descritta l’eπusione del profumo del Verbo di Dio, che fa sentire la sua soavità nell’anima. In questo contesto si parla invece del profumo che unge e santifica, dando la vita eterna; in questo senso, l’immagine del profumo può essere accostata ai fiumi di acqua e al pane: Né ci si meravigli se Cristo, come è fonte da cui scorrono fiumi di acqua viva e pane che dà vita (Jo 4, 14; 6, 35; 7, 38), cosí è anche nardo che diπonde odore, e profumo che rende cristi quelli che con esso sono stati unti, com’è detto nel salmo: Non toccate i miei cristi (Ps 104, 15). 1
Dal tema principale il discorso si allarga all’argomento dei sensi interiori, già trattato nel commento a Ct 1, 3. In quel contesto era stata descritta la capacità di avvertire la soavità (olfatto) della presenza del Verbo, e quindi di sentire il sapore (gusto) del Verbo, che si fa cibo adatto ad ogni fase della crescita spirituale. L’anima che ha sentito la dolcezza di questo cibo, non vuole provare altro sapore; per questo motivo è necessario che essa si eserciti nella distinzione del bene e del male (vista), per poter accedere alla piena comprensione del Verbo. Il discorso riprende da questo punto per compiere un ulteriore passo in avanti. L’anima, che si è esercitata nella distinzione del bene e del male ed è pervenuta alla piena comprensione del Verbo, percepisce il Verbo in tutti i suoi sentimenti. Forse, secondo quanto dice l’apostolo, a quanti hanno i sensi esercitati nella distinzione del bene e del male (Eph 5, 14), per ogni singolo senso dell’anima Cristo diventa ogni singola facoltà. 2
Il Verbo si fa sentire in ciascuno dei sensi dell’anima. Infatti egli è detto vera luce (1 Jo 2, 8) perché gli occhi dell’anima abbiano di che essere illuminati; è detto parola (Jo 1, 1) perché le orecchie abbiano di che udire; è detto pane di vita (Jo 6, 35) perché il gusto dell’anima abbia di che gustare. Analogamente è detto profumo e nardo, perché l’odorato dell’anima percepisca la fragranza del Verbo. Perciò di lui si dice ch’è palpabile e può esser toccato con mano e che il Verbo è diventato carne (1 Jo 1, 1; Jo 1, 14), perché la mano dell’anima interiore possa toccare la parola di vita. 3
1
Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 11 (trad. cit., p. 178). Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 12 (trad. cit., p. 178). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 12-13 (trad. cit., p. 178). 2
124 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Nessuno dei sentimenti rimane escluso dalla grazia del Verbo. Haec autem omnia unum atque idem est Verbum Dei quod, per haec singula aπectibus orationis commutatum, nullum animae sensum gratiae suae relinquat expertem. 1
In primo piano è l’azione del Verbo, che non vuole che alcun senso dell’anima rimanga privo della sua grazia: per questo motivo si fa sentire secondo le capacità dell’anima, e al tempo stesso le potenzia con la sua grazia. Alla fine dell’esposizione sono richiamati i sensi dell’olfatto e del tatto, che intervengono in Ct 1, 12 e Jo 12, 3. Può apparire singolare la connessione tra questi due sensi, che sembrano quasi opposti: il piú immateriale e il piú materiale. In questo contesto, la connessione dell’olfatto e del tatto esprime il sentimento della soavità del contatto e dell’adesione dell’anima al Verbo di Dio. 3. L’abbraccio d’amore L’amore è un abbraccio, il sentimento di un legame stretto, l’intimità dell’amata e dell’amato. L’abbraccio d’amore è espressione di un sentimento piú intenso e di un legame piú forte. L’immagine del sacchetto di profumo ben legato è segno di un amore che non si disperde ma rimane raccolto, è per cosí dire concentrato e quindi piú intenso. 3. 1. Alligamentum guttae fraternus meus mihi (Ct 1, 13) Nel testo ebraico il termine ṣərōwr significa ‘sacchetto’; la traduzione dei Settanta presenta ajpovdesmo~, da cui dipende il latino alligamentum. Simonetti propone la traduzione «sacchetto… ben legato», e precisa: «Origene sfrutta l’apódesmos del testo greco per rilevare nel commento l’idea della connessione, dello stretto legamento: di qui la nostra traduzione». 2 La mirra, menzionata piú volte nel Cantico dei Cantici (1, 13; 3, 6; 4, 6. 14; 5, 1. 5. 13), è una gomma aromatica che trasuda naturalmente dalle crepe nella corteccia di un albero (Balsamodendron myrrha) che si trova in Arabia, Abissinia e India. Per essere portata al collo in un sacchetto, come in Ct 1, 13, doveva essere ridotta in polvere; poteva essere mescolata con il solo olio o con altre spezie per produrre un unguento profumato. Nel testo ebraico la sposa usa il nome da lei preferito per indicare lo sposo: dōwḏî («mio amato»). La traduzione dei Settanta reca ajdelfidov~. Simonetti propone la traduzione «il mio amato (il mio nipote)», e osserva:
Il greco reca adelphidós = nipote. Ma il termine nel linguaggio amoroso indicava l’amato, l’amante, e ovviamente in questo senso la parola è adoperata nel Cantico. Ma proprio qui di seguito Origene imposta l’inizio del suo commento sulla parentela 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 14 (ed. cit., p. 442). Origene. Commento al Cantico dei Cantici, cit., p. 179 nota 330.
2
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che lega i due innamorati fra loro: perciò nella traduzione abbiamo dovuto tener presente anche il significato di nipote. 1
3. 2. L’interpretazione letterale L’interpretazione letterale individua qual è il personaggio che parla e chi sono i suoi interlocutori: «Sono parole ancora della sposa che parla, come sembra, alle fanciulle». 2 Per chiarire il significato delle parole pronunciate dalla sposa, il commento propone una ricapitolazione del dramma.
Prima aveva detto che il suo nardo le aveva portato l’odore dello sposo e che, grazie al profumo con cui lo aveva unto, aveva ricevuto la fragranza del suo odore. Ora dice: Il mio amato odora per me come una goccia di profumo, e questa non diπusa né, se piú piace, dispersa, ma tenuta ben legata e costretta, perché la dolcezza dell’odore sia resa piú densa e forte. Ed egli, ch’è tale, rimane e riposa in mezzo alle mie mammelle, e trova sul mio petto dimora e riposo. 3
Nella ricapitolazione sono individuati due momenti. Il primo momento è descritto attraverso un richiamo a Ct 1, 12, secondo la variante «Il mio nardo ha diπuso l’odore di lui». Il secondo momento fa invece riferimento a Ct 1, 13: «Sacchetto di profumo ben legato è per me il mio amato: rimarrà in mezzo alle mie mammelle». 3. 3. L’interpretazione spirituale La goccia di profumo è descritta piú precisamente attraverso una correctio: «una goccia di profumo… non diπusa né, se piú piace, dispersa, ma tenuta ben legata e costretta, perché la dolcezza dell’odore sia resa piú densa e forte». 4 Alla luce di questo chiarimento, l’immagine è interpretata in riferimento a Cristo. Al legame che tiene stretta la goccia di profumo è accostato il legame di parentela: il termine latino fraternus, corrispondente al greco ajdelfidov~, significa propriamente ‘nipote’; secondo l’interpretazione spirituale questo è il legame che unisce Cristo alla Chiesa.
Quanto poi al fatto che ora per la prima volta la sposa chiama il suo sposo nipote (amato) e per quasi tutto il libro si serve frequentemente di tale nome, ritengo opportuno cercare subito il motivo di tale appellativo e spiegare perché e donde quello sia chiamato nipote. Nipote si chiama il figlio del fratello. Per prima cosa cerchiamo chi sia il fratello della sposa, del quale questo è figlio. Possiamo dire che la sposa è la Chiesa proveniente dai pagani e suo fratello il popolo precedente e, come indica la situazione, fratello maggiore. Poiché da quel popolo nasce Cristo secondo la carne (Rm 9, 5), per questo egli è chiamato dalla Chiesa dei pagani figlio del fratello. 5
Cristo è chiamato nipote, cioè figlio del fratello, dalla sua sposa, cioè la 1
Ivi, p. 179 nota 331. Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 1 (trad. cit., p. 179). 3 4 Ibidem. Ibidem. 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 2-3 (trad. cit., pp. 179-180). 2
126 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Chiesa proveniente dai pagani: nasce infatti secondo la carne dal popolo di Israele, che è il fratello maggiore della Chiesa. Cristo stabilisce questo legame con la Chiesa facendosi sacchetto di profumo ben legato: nell’incarnazione, infatti, la goccia della divina potenza e dolcezza è tenuta stretta dal legame del corpo. Quanto alle parole: Sacchetto di mirra ben legato (Ct 1, 13), esse indicano il mistero della sua nascita corporale. Infatti, in qualche modo il corpo sembra essere legame e vincolo dell’anima, e questo legame tiene stretta in Cristo la goccia della divina potenza e dolcezza. 1
In Cristo è stabilito il legame tra Dio e l’uomo: il Verbo incarnandosi si lega in parentela all’uomo, per essere amato da lui. Anche il legame dell’uomo con Dio è descritto attraverso l’immagine del sacchetto di profumo ben legato. Se poi vogliamo riferire queste parole ad ogni singola anima, come sacchetto di profumo ben legato intendiamo la connessione e la compattezza delle verità della fede e l’intreccio dei princípi divini: infatti i princípi della fede sono connessi fra loro e tenuti ben stretti dai legami della verità. Per questo la legge dice ch’è puro ogni vaso tenuto ben legato, mentre è impuro il vaso che sia stato tenuto sciolto e non legato. Certamente simbolo di questo concetto era il fatto che Cristo, in cui non ci fu mai impurità di peccato, è definito sacchetto di profumo ben legato. Perciò l’anima non deve toccare alcunché di dissoluto, nulla che non sia soggetto alla ragione e tenuto ben legato dalla verità della fede, per evitare di diventare impura. Infatti, secondo la legge, chi avrà toccato qualcosa d’immondo, diventerà immondo (Lv 11, 43): lo ha toccato infatti un sentimento irrazionale ed estraneo alla sapienza di Dio, e lo ha reso immondo. 2
Questa interpretazione chiarisce che l’anima, per poter accogliere Cristo tra le sue mammelle, deve farsi simile a lui: anche l’anima deve essere, come Cristo, sacchetto di profumo ben legato. Nell’anima la ragione e la fede sono connesse l’una all’altra, e sono tenute ben strette dai vincoli della verità; l’uomo tuttavia non deve sciogliere questi legami, attraverso il contatto con ciò che è dissoluto. Se l’anima rimane pura come un sacchetto di profumo ben legato, può accogliere il Verbo di Dio e stringerlo a sé con i legami dell’aπetto e dell’amore. Questo legame d’amore è evidenziato nell’interpretazione tipologica e psicologica. Sic ergo alligaturam guttae fraternum suum sponsa tamquam nuptiali dramate loquens inter medium uberum suorum commorantem (Ct 1, 13) dicit; ubera, ut superius iam diximus, principale cordis adverte, in quo ecclesia Christum vel anima Verbum Dei desiderii sui vinculis alligatum tenet et adstrictum. Si quis enim Verbum Dei toto aπectu in corde suo et toto amore constringit, ipse solus poterit odorem fraglantiae eius et suavitatis accipere. 3
Come osservato in precedenza nel commento a Ct 1, 2-3 («perché le tue 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 4 (trad. cit., p. 180). Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 5-7 (trad. cit., pp. 180-181). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 11 (ed. cit., pp. 450-452). 2
il legame d’amore
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mammelle sono deliziose piú del vino e l’odore dei tuoi profumi è superiore a tutti gli aromi»), 1 le mammelle rappresentano la facoltà principale del cuore. Il legame è pertanto un vincolo aπettivo («desiderii sui vinculis alligatum tenet et adstrictum... toto aπectu in corde suo et toto amore constringit»).
4. I progressi dell’amore Nel tempo l’amore non rimane uguale a se stesso, ma progredisce: il sentimento è piú intenso, il legame piú stretto, la dolcezza piú soave; ma soprattutto l’amore cresce e si sviluppa, come una pianta che porta prima il fiore e poi il frutto. In questo sviluppo l’amore cambia assumendo forma sempre piú compiuta e progredendo verso la perfezione. 4. 1. Botrus cypri fraternus meus mihi in vineis Engaddi (Ct 1, 14) La henna, che compare solo nel Cantico dei Cantici (1, 14; 4, 13; 7, 11), cresce in abbondanza in Palestina e in Egitto. I fiori molto profumati di questo alto arbusto (alcuni dicono che ha un profumo simile alle rose) hanno delicate tonalità di bianco e giallo. La henna è ben nota per il colorante rosso, giallo o arancione prodotto dalle foglie e dai ramoscelli, ma nel Cantico è scelta per i suoi fiori profumati, che crescono in densi grappoli. L’indicazione del toponimo En-Ghedi esprime il desiderio del poeta di trasformare l’ordinario in qualcosa di unico ed esotico. En-Ghedi, sulla sponda occidentale del Mar Morto, era ben noto nei tempi antichi per la produzione di profumi, e pertanto è la scelta ideale per specificare l’idea di fragranza. 4. 2. L’interpretazione letterale Il commento propone in primo luogo un chiarimento a proposito del duplice significato dell’espressione ‘grappolo di cipro’. L’interpretazione letterale presenta qualche oscurità nell’espressione grappolo di cipro, perché l’uva fiorita si chiama cipro, e però c’è anche una specie di virgulto, che si chiama cipro e produce anch’esso un frutto fiorito che vien fuori a mo’ di uva fiorita. Ma il passo sembra riguardare piuttosto il frutto della vite, perché vengono nominate le vigne d’Engaddi. D’altra parte, Engaddi è un territorio della Giudea fiorente non tanto di vigne quanto di balsami. 2
Alla luce di questo chiarimento è esposto il senso delle parole rivolte dalla sposa alle fanciulle: in primo luogo: Il mio nardo mi ha riportato l’odore del mio sposo; in secondo 1 Rufin., Orig. in cant., 1, 2, 6 (trad. cit., p. 78): «secondo quest’ordine d’idee, poiché si tratta della rappresentazione di un dramma d’amore, interpretiamo le mammelle nel senso di facoltà principale del cuore»; 1, 2, 7 (trad. cit., p. 79): «nel passo che esaminiamo, ove son descritti l’aspetto e i discorsi degli amanti, in maniera quanto mai gradita questa stessa facoltà principale del cuore è indicata con le mammelle». 2 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 1-2 (trad. cit., p. 182).
128 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur luogo: Il mio amato è diventato per me sacchetto di profumo ben legato, egli che riposa fra le mie mammelle; in terzo luogo: Egli è come un grappolo di cipro nelle vigne d’Engaddi, che supera tutto ciò che c’è di dolce fra i profumi e i fiori. 1
Le parole della sposa non sono riportate secondo la lettera del testo del Cantico, ma sono riproposte con alcune variazioni. «Nardus mea dedit odorem suum» (Ct 1, 12), o meglio «Nardus mea dedit odorem eius», secondo la variante che si trova in alcuni manoscritti, diventa «Nardus mea odorem mihi sponsi mei reddidit». L’adattamento esprime il significato del testo secondo l’interpretazione origeniana: «il nardo col quale ho unto lo sposo, ritornando a me, mi ha portato l’odore dello sposo». 2 «Alligamentum guttae fraternus meus mihi» (Ct 1, 13) diventa «Alligamentum guttae eπectus est mihi fraternus meus». L’espressione «eπectus est», aggiunta al testo, evidenzia il significato principale individuato nel commento: il Verbo si è fatto carne, «il mistero della sua nascita corporale», 3 «la venuta del Figlio di Dio nella carne». 4 «Botrus cypri fraternus meus mihi in vineis Engaddi» (Ct 1, 14) diventa «Botrus cypri ex vineis Engaddi». La sostituzione della preposizione in con ex conferisce risalto alla provenienza del grappolo di cipro da un territorio fiorente soprattutto per i balsami. Le variazioni rispetto al testo di Ct 1, 12-14 evidenziano i tratti specifici dell’interpretazione origeniana, e individuano una gradazione di profumo di intensità crescente: nel primo momento, il profumo di nardo, con il quale la sposa ha unto lo sposo, ha riportato a lei non il suo odore naturale, ma quello dello sposo; nel secondo momento, lo sposo è diventato per la sposa sacchetto di profumo ben legato; nel terzo momento, lo sposo è come un grappolo di cipro, che supera tutto ciò che c’è di dolce fra i profumi e i fiori. Con queste precisazioni si può intendere il significato delle parole rivolte dalla sposa alle fanciulle.
[…] quo scilicet audientes haec adulescentulae magis ac magis ad caritatem sponsi concitentur et amorem. Idcirco autem singulatim et per ordinem primo nardum suam, deinde guttam, post haec etiam botrum cypri nominat, ut per eos gradus quosdam profectuum doceat caritatis. 5
4. 3. L’interpretazione spirituale Il significato spirituale è chiarito a partire dall’immagine del grappolo. Se questo ch’è chiamato grappolo deve essere riferito al frutto della vite, l’interpretiamo nel senso che il Verbo di Dio, com’è detto sapienza virtù tesoro di scienza e molte altre cose, cosí è detto anche vera vite (Jo 15, 1). 6
Nel commento si riconosce un richiamo alla dottrina delle ejpivnoiai. Francesca Cocchini precisa che 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 3 (trad. cit., p. 182). Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 2 (trad. cit., p. 176). Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 4 (trad. cit., p. 180). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 10, 8 (trad. cit., p. 181). 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 3-4 (ed. cit., pp. 456-458). 6 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 5 (trad. cit., p. 183). 2 3
il legame d’amore
129
la vite è una delle epinoiai di Cristo, secondo Gv 15, 1 – come la scienza e la sapienza e le altre virtù – e dunque si tratta di una sua realtà di cui egli rende partecipi i credenti. La partecipazione è graduale: cresce a misura dei progressi etici e cognitivi di ciascuno. 1
Questa partecipazione avviene in modo graduale per tutte le ejpivnoiai: D’altra parte, quanto a coloro per i quali egli diventa sapienza e scienza, non in un momento solo ma con graduali progressi, proporzionati all’applicazione, all’intenzione e alla fede di quelli che partecipano di lui nella sapienza o nella scienza o nella virtù, egli li rende ricchi di sapienza, di scienza, di virtù. 2
Cosí avviene anche per la vite. Questa graduale partecipazione è descritta in analogia con le fasi della viticoltura e della vinificazione. Analogamente, in coloro nei quali diventa vite vera, egli non produce subito grappoli maturi e dolci né in un momento solo diventa vino dolce che allieta il cuore dell’uomo (Ps 105, 15); ma prima produce per loro soltanto la dolcezza dell’odore nel fiore, sí che le anime spinte inizialmente da questa fragranza, possano successivamente sopportare l’asprezza delle tribolazioni e delle tentazioni, che a causa del Verbo di Dio sono mosse contro i credenti. Cosí finalmente oπre loro la dolcezza della maturità, fino a condurli ai torchi dove si spande il sangue dell’uva, il sangue del Nuovo Testamento, per essere bevuto al piano superiore nel giorno di festa, là dove è stata preparata una grande mensa (Gn 49, 11; Mt 14, 24. 15). 3
Nel testo si individua una sequenza di momenti, legati l’uno all’altro: 1. il fiore, la cui fragranza è conforto nell’asprezza delle tribolazioni; 2. il frutto maturo, pronto per essere condotto ai torchi; 3. il vino, sangue dell’uva, destinato ad essere bevuto nel giorno di festa. Cosí bisogna che procedano attraverso graduali progressi coloro i quali, iniziati per mezzo del sacramento della vite e del grappolo di cipro, vanno alla perfezione e desiderano bere il calice del Nuovo Testamento ricevuto da Gesú. 4
L’immagine dell’uva esprime dunque la gioia che scaturisce dall’eπusione dell’amore, oppresso nei torchi della tribolazione. L’espressione ‘grappolo di cipro’ può avere anche un altro significato. Quod si cyprus sui generis arbor accipienda est, cuius fructus et flos non tantum odoris suavi tatem, quantum et vim calefaciendi ac fovendi dicitur possidere, illa sine dubio accipietur sponsi virtus, qua incalescunt animae erga fidem eius et caritatem quae contigerat eos qui dicebant: Nonne cor nostrum erat ardens intra nos, cum adaperiret nobis Scripturas? (Lc 24, 32) 5
In analogia con le proprietà della pianta di cipro, il Verbo ha la capacità di ristorare e riscaldare, cioè infiammare alla fede e alla carità. L’ardore del 1 Francesca Cocchini, Origene. Teologo esegeta per una identità cristiana, Bologna, edb, 2006 («Primi secoli», 1), p. 194. 2 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 6 (trad. cit., p. 183). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 6-7 (trad. cit., p. 183). 4 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 8 (trad. cit., p. 183). 5 Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 9 (ed. cit., p. 460).
130 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur cuore, descritto attraverso il richiamo a Lc 24, 32, esprime il sentimento dell’anima che ha fatto esperienza della presenza del Verbo. 4. 4. I sensi interiori Al centro del commento è ancora l’argomento dei sensi interiori. In questo contesto è in primo piano l’olfatto, che deve essere purificato per poter sentire in tutta la sua intensità la fragranza del profumo. Tuttavia dobbiamo osservare che le parole della sposa sono espresse in maniera tale che il nardo, il sacchetto di profumo ben legato e il grappolo di cipro appartengono a lei sola, come a colei che già s’è innalzata a questi progressi. Infatti è perfetta soltanto l’anima il cui senso dell’odorato sia cosí schietto e purificato da poter ricevere la fragranza del nardo, del sacchetto di profumo ben legato e del grappolo di cipro che emanano dal Verbo di Dio, e attingere cosí la grazia dell’odore divino. 1
La sequenza delle immagini esprime una gradazione di intensità crescente. A questa gradazione corrispondono i progressi dell’anima che si è innalzata fino alla perfezione e si è purificata in modo da poter percepire la fragranza che emana dal Verbo di Dio e avvertire dentro di sé la grazia della presenza divina. Il tema della purificazione dei sensi interiori era stato trattato nel commento a Ct 1, 3: Secondo tale concetto che abbiamo esposto intorno alla vista del corpo e dell’anima, conseguentemente anche riguardo all’udito, al gusto, all’odorato e al tatto se farai corrispondere ogni singola e peculiare facoltà dei sensi corporei ai sensi dell’anima, chiaramente verrai a conoscere come i singoli sensi debbano esercitarsi e come purificarsi. 2
In questo contesto si parla di un’anima che si è già purificata, ed è divenuta sempre piú sensibile alla presenza divina. 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 11, 11 (trad. cit., p. 184). Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 19 (trad. cit., p. 96).
2
L’ORDINE DELLA CARITÀ 1. Premessa
L
a carità divina è origine e fine dell’amore umano: da Dio, che è carità, deriva all’uomo la facoltà di amare, che è rivolta a Dio stesso. L’amore umano, per raggiungere il suo fine in Dio, deve essere ordinato: infatti, solo se l’uomo ama Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze, diviene capace di accogliere Dio in se stesso. Quando la carità di Dio prende dimora nell’anima, ordina a sé tutti gli aπetti: la carità, che unisce il Padre e il Figlio, unisce l’uomo al prossimo. La carità verso il prossimo deriva dalla carità di Dio: quanto piú gli uomini sono uniti nella carità con Dio, tanto piú sono reciprocamente uniti tra loro. L’ordine della carità regola i rapporti tra gli uomini secondo la misura del rapporto con Dio: la varietà dei gradi della carità corrisponde infatti ai diversi gradi di unione delle anime con Dio. Dunque il modo piú semplice per conoscere l’ordine della carità è amare Dio con tutto il cuore, e lasciare che Dio diventi la misura dell’amore verso il prossimo. 2. Ordinate in me caritatem (Ct 2, 4) Il testo ebraico pone il problema dell’interpretazione di wəḏiḡlōw. Il verbo dagal 1 ha il significato di ‘sollevare la bandiera’, come in Ps 20, 5. Il sostantivo degel ha il significato di ‘bandiera’, ma indica anche la ‘divisione’ delle tribù, come in Numeri: la bandiera o lo stendardo è infatti il segno esteriore e visibile della divisione delle tribù, in particolare quando sono disposte per la battaglia; la divisione delle tribù riflette pertanto l’‘ordinamento’ o ‘disposizione’ della battaglia. La traduzione dei Settanta ha assunto questo
1 Song of Songs. A Commentary, cit., p. 115: «The meaning of degel, which I have rendered ‘banner,’ is disputed, and the appearance of the root three more times in the Song is of little help (5:10; 6:4, 10). On the basis of Akkadian diglu, ‘glance, wish, intent,’ from dagālu, ‘to look,’ some authorities render ‘intent’ or ‘intention’ (NRSV, Gordis, Pope, Fox). ‘Banner’ (so KJV, NIV, NJB, JPS) continues the idea of covering or shelter expressed in v. 3: she is in his shade, and his banner over her is love. In Num 1:52; 2:2, 3, 10, 17, 18, 25, 31, 34; 10:14, 18, 22, 25, the Israelites are said to encamp and set out on the march by dĕgālîm, which could refer to the standard or banner by which tribal units were identified (see esp. Num 1:52; 2:2; cf. Ps 20:5 [6 H], where the verbal form seems to mean to raise a standard or lift banners; see DCH ii, 414b), or, perhaps by extension, to the division of the tribe itself. […] The woman in the Song may be announcing that she is under the cover, or refuge, of her lover. If so, the poet has taken a military image and subverted it to love’s ends: on the male lover’s banner is written ‘love.’ As reappropriated, the military metaphor is neither ‘virtually meaningless’ (Gordis) nor ‘troublesome’ (Pope), and it brings us back to the military imagery used by the man in praise of his lover in 1:9-11. Perceiving a connection between vv. 3c and 4b, Ginsburg proposed a meaning of ‘cover, shade’ for degel: “He led me into that bower of delight, / And overshaded me with love.” Since the apple tree is a metaphor for the male lover, ‘his/its shade’ and ‘his/its fruit’ are thinly veiled erotic allusions to the delights of love. The erotically charged context makes ‘his banner’ similarly sexually suggestive, as commentators generally recognize, regardless of how they translate degel».
132 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur significato, e quindi ha dato al versetto un significato nuovo (tavxate ejpV ejme; ajgavphn, «ordinate in me la carità»), che non era trasmesso dal testo ebraico.
Origene ha seguito la traduzione dei Settanta come traccia per orientare la sua interpretazione del versetto. 1 Questa interpretazione ha un’importanza particolare, poiché ha determinato per secoli il senso attribuito a questo testo, e presenta anche un altro motivo di interesse, poiché permette di ricostruire l’insegnamento di Origene sulla carità. 2
3. La struttura del testo All’interpretazione di Ct 2, 4 è dedicata un’ampia sezione del commento (3, 7, 1-3, 7, 27), nella quale è molto presente il lessico dell’amore e piú in generale delle emozioni. 3 Dopo un breve accenno al significato letterale (3, 7, 1), è introdotto il significato spirituale. Tutti gli uomini amano qualcosa (3, 7, 2), secondo l’ordine o contro questo ordine (3, 7, 2-3, 7, 3); l’ordine della carità 4 è individuato dai precetti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo (3, 7, 4-3, 7, 5). La lunga esposizione che segue è dedicata all’ordine che regola l’amore del prossimo. È prima esposto il principio generale, per il
1 William John Peter Boyd, Origen’s Concept of the Love, cit., p. 114: «The verb דגלis used for ‘lifting up the banner’ as in Ps. 20: 6. The noun certainly has the meaning ‘banner,’ but is also used extensively in Numbers for the ‘division’ of the tribe from other tribes. Clearly, the banner or standard would be the outward, visible marker for each new division of the tribes, especially when they were assembled for battle. The divisions of the tribes reflect the battle ‘ordering’ or ‘arrangement.’ The lxx has taken this meaning and thereby given the line a completely new twist of meaning: tavxate ejpV ejme; ajgavphn. “Set in order charity in me.” We may be reasonably certain that this is the one connotation that the Hebrew line does not bear; however, despite his knowledge of Hebrew, this is precisely the rendering that Origen followed and used as a basis to orientate his doctrine of love in his exegesis of this book». 2 Hélène Pétré, ‘Ordinata caritas’, cit., pp. 40-41: «Ce verset du Cantique avait, dans le texte hébreu, un caractère métaphorique […] qui disparaît à peu près dans le grec et le latin. Du moins les commentateurs anciens n’y ont-ils pas été sensibles. Image d’une armée rangée en bataille […]. Ou bien image d’une bannière, d’un étendard que l’on dresse […]. Or l’interprétation traditionnelle de ce verset, chez tous les commentateurs anciens du Cantique, d’Origène à saint Bernard et ses contemporains, interprétation qui la plupart du temps ne tient compte que du sens ‘moral’, y voit seulement l’idée d’un ordre à établir dans l’amour, d’une hiérarchie à garder dans les divers objets de la charité. Nous voudrions étudier cette interprétation sous la forme la plus ancienne que nous possédons, c’est-à-dire chez Origène. Outre l’importance qu’elle revêt du fait qu’elle a déterminé pour plusieurs siècles le sens attaché à ce texte, elle présente un autre intérêt, celui de permettre de reconstituer l’enseignement sur la charité […]». Origene ha trattato l’argomento dell’ordine della carità in quattro opere: Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 1-3, 7, 27; Hier., hom. Orig. in cant., 2, 8; Hier., hom. Orig. in Luc., 25; Rufin., Orig. in num., 11, 8. 3 In Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 1-3, 7, 27 si trovano 92 occorrenze del lessico delle emozioni, tra le quali 82 sono riferibili al lessico dell’amore. Possono essere cosí ripartite: 39 per diligere/ dilectio (27 per diligere, 12 per dilectio), 38 per caritas, 5 per amare/amor/amator (3 per amare, 1 per amor, 1 per amator), 5 per aπectus, 5 per odi/odium (3 per odi, 2 per odium). 4 Nella traduzione Simonetti rende «ordinate in me caritatem» (Ct 2, 4) con «ordinate in me l’amore», «ordo caritatis» con «norma dell’amore», ordo con «norma», «inordinata… caritas» con «amore... contro la norma». Per dare risalto al nesso esistente fra le nozioni di ‘ordine’ e ‘carità’, ed esprimere in questo modo la gerarchia dei rapporti stabiliti nella carità, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso «ordinate in me caritatem» con «ordinate in me la carità», «ordo caritatis» con «ordine della carità», ordo con «ordine» e «inordinata… caritas» con «carità… disordinata».
l’ordine della carità
133
quale si devono amare tutti gli uomini, in quanto membra di un unico corpo (3, 7, 6-3, 7, 8). Quindi sono illustrate le singole norme, che riguardano l’amore verso colui che insegna la via della salvezza (3, 7, 9-3, 7, 11), l’amore verso l’uomo di santa vita (3, 7, 12), l’amore del nemico (3, 7, 13-3, 7, 14), l’amore verso le persone dell’altro sesso (3, 7, 16-3, 7, 18), l’amore dei santi e dei pastori (3, 7, 19). In conclusione, è distinta una carità generale, per la quale si devono amare tutti gli uomini, e una carità particolare, per la quale ciascun uomo deve essere amato in proporzione ai suoi meriti (3, 7, 21-3, 7, 22). Anche Dio, pur amando tutti gli esseri viventi, commisura l’amore ai meriti di ognuno (3, 7, 23-3, 7, 25). L’anima perfetta vuole conoscere l’ordine della carità, per evitare di ricevere dalla carità qualche ferita (3, 7, 27). 4. Tutti gli uomini amano qualcosa La riflessione è introdotta da una dichiarazione di tono sentenzioso: Omnes homines amant sine dubio aliquid et nullus est qui ad id aetatis venerit ut amare iam possit, et non aliquid amet, sicut etiam in praefatione huius operis su√cienter ostendimus. 1
Il primo enunciato, aπermativo, individua nell’amore un atto universale: «tutti gli uomini amano qualcosa». Il secondo enunciato, negativo, presenta l’amore come un atto ‘immancabile’, nel senso che non appena si dà la possibilità di amare, l’amore impone la sua attuazione: «non c’è alcuno che sia giunto in età da poter amare e che non ami qualcosa». Inteso in senso generico e indefinito («amant... aliquid», «aliquid amet»), l’amore è un atto irrinunciabile per l’uomo, che non può fare a meno di amare ‘qualcosa’. In questo tutti gli uomini sono uguali; quando però si individua piú precisamente ‘che cosa’ ama ciascuno, si riconosce la diπerenza esistente fra i pochi che conoscono l’ordine dell’amore e i piú che non conoscono questo ordine. «Sed hic amor vel haec caritas in nonnullis quidem suo ordine et convenienter aptata procedit, in plurimis vero contra ordinem». 2 La carità è una disposizione dell’animo, rivolto a ciò che è desiderabile; 3 questa disposizione è disordinata quando l’animo si volge verso ciò cui non deve indirizzarsi, oppure tende ad esso con forza superiore o inferiore al dovuto.
Dicitur autem contra ordinem esse in aliquo caritas, cum aut id diligit quod non debet, aut quod debet diligit, sed plus iusto diligit aut minus iusto. In istis ergo inordinata esse caritas dicitur […]. 4
La carità è invece ordinata quando l’animo si volge con la giusta forza verso ciò cui deve indirizzarsi; questa è la carità di coloro che avanzano per la via della vita. […] in illis vero quos valde paucos esse arbitror, qui scilicet per viam vitae (cfr. Ps 15, 11) 1
2 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 2 (ed. cit., p. 548). Ibidem. Cfr. Greg. Nyss., anim. et res. (PG 46, col. 93): Tou`to gavr ejstin hJ ajgavph, hJ pro;~ to; ka
3
taquvmion ejndiavqeto~ scevsi~. 4
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 3 (ed. cit., p. 548).
134 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur incedant et non declinent neque ad dexteram neque ad sinistram (cfr. Prv 4, 27), in ipsis solis ordinata est caritas et ordinem suum tenet. 1
Questa carità è descritta attraverso l’accostamento di Ps 15, 11 («Mi indicherai il sentiero della vita») e Prv 4, 27 («Non deviare né a destra né a sinistra»). La carità ordinata è dunque l’inclinazione dell’anima che non devia né a destra né a sinistra, e invece segue la via della vita. 5. Dio e il prossimo L’ordine e la misura della carità sono chiariti in riferimento ai precetti evangelici dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Est autem ordo eius et mensura huiusmodi, verbi gratia, Deum diligere nullus modus, nulla mensura est, nisi haec sola, ut totum exhibeas quantum habes. In Christo enim Iesu diligendus est Deus ex toto corde et ex tota anima et ex totis viribus (Lc 10, 27). In hoc ergo nulla mensura est. Diligere vero proximum est iam mensura aliqua. Proximum, inquit, tuum diliges sicut te ipsum (Mt 22, 39). 2
In primo luogo viene l’amore di Dio, per il quale non c’è misura. 3 Il precetto è inquadrato da due proposizioni, che ne definiscono la cornice interpretativa. La locuzione eccettuativa («nullus modus, nulla mensura est, nisi haec sola, ut totum exhibeas quantum habes») chiarisce che ‘nessun limite’, ‘nessuna misura’ non significa altro se non ‘tutto’: «nell’amar Dio non c’è limite né misura, se non questa sola: che tu dia tutto ciò che hai». Quindi il precetto di Lc 10, 27, attraverso il polyptoton «ex toto… ex tota… ex totis», individua piú precisamente che cosa significa ‘tutto’: «bisogna amare Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le forze». La conclusione, attraverso la ripetizione dell’espressione «nulla mensura est», ribadisce che «in quest’amore non c’è alcuna misura». La sequenza degli aggettivi (nullus, nulla, totum, toto, tota, totis, nulla) racchiude, entro la cornice di un amore senza limite e senza misura, l’amore che dà tutto, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. In secondo luogo viene l’amore del prossimo. L’espressione «diligere vero proximum est iam mensura aliqua» richiama, attraverso le riprese verbali (di ligere, mensura), la precedente locuzione «Deum diligere... nulla mensura est», e in questo modo evidenzia la diπerenza esistente fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo: nell’uno non c’è alcuna misura, nell’altro invece c’è una qualche misura, individuata dal precetto di Mt 22, 39: «Amerai il prossimo come te stesso». 4
1
Ivi (ed. cit., pp. 548-550). Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 4 (ed. cit., p. 550). 3 Hélène Pétré, ‘Ordinata caritas’, cit., pp. 44-45: «Pas de limite, pas de mesure: Nullus modus, nulla mensura est, nisi haec sola, ut totum exhibeas, quantum habes. Formule toute proche de celle qu’aimera à citer le Moyen Age, que saint Bernard en particulier rendra célèbre, et qu’on attribue d’ordinaire à saint Augustin: Ipse ibi modus est sine modo amare». 4 Ivi, p. 45: «On s’étonne qu’il n’ait pas songé au commandement nouveau: ut diligatis invicem sicut dilexi vos (Joh. xiii, 34) qui nous donne une autre mesure de l’amour et qui a été si souvent commenté par saint Augustin». 2
l’ordine della carità
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In rapporto a questi precetti sono precisati i motivi per i quali la carità non è ben ordinata: Si ergo aut in Dei dilectione minus aliquid feceris quam potes et quam in viribus tuis est, aut inter te et proximum non servaveris aequitatem, sed aliquid diπerentiae habueris, non est in te caritas ordinata nec ordinem suum tenens. 1
Per l’amore di Dio, nel quale non c’è misura, non si richiede alcuna ulteriore precisazione; invece, per l’amore del prossimo, nel quale c’è qualche misura, è necessaria un’ampia e dettagliata esposizione. 6. Membra di un unico corpo Con una formula di transizione è introdotta un’analisi piú puntuale: «poiché il nostro argomento è sull’ordine della carità, esaminiamo piú attentamente punto per punto sia chi si debba amare sia quanto si debba amare». 2 L’analisi riguarda i due aspetti strettamente correlati individuati dall’adiunc tio («vel quos diligi vel quantum diligi oporteat»): la misura della carità è infatti stabilita in rapporto all’amato. Nell’ampia esposizione i princípi fondamentali sono ricavati dalle epistole paoline: in particolare, sono richiamate immagini desunte dalla Lettera agli Efesini e dalla Prima Lettera ai Corinzi sulle diverse membra che costituiscono un unico corpo. In primo luogo, sono riportate le parole di Eph 4, 25, al fine di enunciare una massima di carattere generale:
Nam si, ut Apostolus dicit, membra alterutrum sumus (Eph 4, 25), puto quod hunc aπectum erga proximos habere debeamus ut eos, non quasi aliena corpora, sed velut membra nostra diligamus. 3
Quindi sono richiamate le parole di 1 Cor 12, 22-24, al fine di far emergere due diπerenti aspetti, complementari l’uno rispetto all’altro: Secundum hoc ergo quod membra nostra invicem sumus, aequalem erga omnes habere dilectionem similemque conveniet. Secundum hoc vero quod sunt in corpore aliqua membra honorabiliora et honestiora, alia vero inhonestiora et inferiora (cfr. 1 Cor 12, 22-24), puto quod rursus pro membrorum meritis et honore etiam dilectionis librari debeat modus. 4
In questo modo, il principio fondamentale, per il quale il prossimo appartiene allo stesso corpo e non ad un corpo estraneo, è articolato nel duplice senso della coesione e della diversità delle membra. È quindi proposto un ulteriore chiarimento: Si quis ergo rationabiliter cuncta agere et secundum Verbum Dei actus suos et aπectus tempe rare proponit, puto quod erga haec singula ordinem caritatis et scire debeat et tenere. 5
A√nché il concetto risulti piú chiaro, sono proposte indicazioni piú precise. 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 5 (ed. cit., p. 550). Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 6 (trad. cit., p. 203). 3 Ivi (ed. cit., p. 550). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 7 (ed. cit., pp. 550-552). 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 8 (ed. cit., p. 552). 2
136 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur 7. L’uomo che insegna la via della salvezza Una prima norma, illustrata con una composizione ad anello, 1 fa riferimento al prossimo che insegna la via della salvezza. La riflessione è presentata in forma di domanda e risposta:
Si quis, verbi gratia, laboret in Verbo (cfr. 1 Tm 5, 17) Dei atque animas nostras instruat et illuminet, viam salutis doceat, vivendi ordinem tradat, non tibi videtur et hic proximus quidem esse, sed multo amplius alio proximo diligendus qui horum nihil gerit? Nam et ille quidem diligendus est pro eo quod membra unius corporis sumus (cfr. 1 Cor 12, 12) unius que substantiae, sed hic multo amplius, qui, cum et ius proximi nobiscum habeat, quod ceteri homines habent, dat tamen hanc maiorem caritatis erga se causam, quod viam Dei ostendit et animae salutem divini Verbi illuminationibus confert. 2
Nel testo si riconosce una disposizione chiastica: ai due estremi è descritto colui che è attivo nella parola di Dio (1 Tm 5, 17) e istruisce e illumina le anime nostre, insegna la via della salvezza, propone un modo di vita […] insegna la via di Dio e arreca salvezza all’anima con l’illuminazione della parola divina. 3
Nel mezzo è invece descritto colui che «non fa alcunché di tutto questo». Con formule analoghe («et hic proximus quidem esse, sed multo amplius alio proximo diligendus...? ... et ille quidem diligendus est... sed hic multo amplius») è stabilito il confronto fra l’uno e l’altro: non ti sembra che questi sia, certo, un prossimo, ma tale da essere amato molto di piú di un altro prossimo che non fa alcunché di tutto questo? Anche quest’ultimo dev’essere amato, perché siamo membra di un sol corpo e di una sola sostanza: ma molto di piú deve essere amato quello che, pur avendo nei nostri riguardi il diritto di prossimo che hanno tutti gli altri uomini, dà però motivo di maggior carità nei suoi riguardi. 4
L’esempio è ulteriormente chiarito in riferimento ad una situazione specifica: la liberazione dall’errore e dal peccato. Quod si aliquis me errantem et in praecipitio positum muliebris peccati ad lucem revocet ve ritatis et de ipso iam interitu eripiat ac retrahat ad salutem atque ex ipsis faucibus aeternae mortis abripiat, non tibi videtur quod illa ipsa, si fieri potest, plenitudine caritatis qua Deum diligimus diligendus sit post Deum? Et ne putes quod nos ita praesumimus, audi et Apostolum Paulum de his qui in Verbo Dei laborant (cfr. 1 Tm 5, 17) dicentem: Ut superabundantius habeatis in caritate eos qui eiusmodi sunt propter opus ipsorum (1 Th 5, 13). 5
1 All’inizio e alla fine, infatti, si trova un richiamo a 1 Tm 5, 17 («laboret in Verbo», «qui in Verbo... laborant»). Le parole «laboret in Verbo» sono chiarite dall’espressione «animas nostras instruat et illuminet, viam salutis doceat, vivendi ordinem tradat». L’asindeto stabilisce un accostamento tra i concetti, legati anche attraverso la ripresa di instruat in doceat: istruire le anime è insegnare la via della salvezza, cioè proporre una norma di vita, a√nché le anime non devino né a destra né a sinistra (come si legge poche righe prima). Il legame tra questi concetti, peraltro, è ripreso poche righe dopo nell’espressione «viam Dei ostendit et animae salutem divini Verbi illuminationibus confert». 2 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 9 (ed. cit., p. 552). 3 4 Ivi (trad. cit., pp. 203-204). Ibidem. 5 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 10-11 (ed. cit., p. 552).
l’ordine della carità
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8. L’uomo di santa vita Una seconda norma, individuata da una formula introduttiva («videamus autem et alium adhuc ordinem caritatis, eius dumtaxat quae erga proximos haberi iubetur») e delimitata da una composizione ad anello, 1 riguarda l’uomo di santa vita. In questo caso, la riflessione è presentata in forma di duplice domanda.
Si sit aliquis non quidem habens docendi vel instruendi gratiam neque Verbum Domini pra edicandi, sed tamen sanctae vitae vir, innocens, immaculatus et qui in iustificationibus et mandatis Dei ingrediatur sine querela (Lc 1, 6), videturne tibi talis hic vir in eodem cari tatis ordine habendus quo ille qui nihil horum agit, quoniamquidem uterque proximus dicitur? Nonne et hic propter opus suum et vitae meritum, secundum Apostoli dictum, similiter ut ille qui in Verbo Dei laborat (cfr. 1 Tm 5, 17), superabundantius habendus est in caritate propter opus (cfr. 1 Th 5, 13) vitae suae? 2
La prima domanda ha un’articolazione bipartita: la prima parte, strutturata in forma di correctio, distingue l’uomo che insegna la via della salvezza (descritto piú brevemente) dall’uomo di santa vita (esaltato attraverso l’amplificatio per le sue qualità, evidenziate attraverso l’accumulazione degli aggettivi e le parole di Lc 1, 6 3); la seconda parte della domanda stabilisce il confronto fra l’uomo di santa vita e colui che non è tale. La seconda domanda, infine, accosta l’uomo di santa vita e colui che insegna la via della salvezza, accomunati dalle parole di 1 Th 5, 13.
9. Il nemico Una terza norma, individuata da una formula introduttiva («Est adhuc alius ordo caritatis»), è enunciata con le parole di Mt 5, 44: «Iubemur enim et inimicos nostros diligere». Nell’attuazione di questo precetto si pone la questione se vi sia una sola misura della carità verso i nemici ovvero trovino applicazione le parole di Ct 2, 4: «Sed videamus si etiam in ipsis unus solus modus erit dilectionis an et ibi habebit locum sermo iste qui dicit: Ordinate in me caritatem». 4 Anche nei confronti dei nemici vi è un ordine della carità, se è possibile distinguere per il loro comportamento un nemico da un altro. Il testo ha una struttura bipartita. La prima parte delinea il ritratto di un nemico che osserva i comandamenti divini: «est aliquis mihi inimicus, in aliis tamen bene agens, pudicus, sobrius (cfr. Tt 2, 2), mandata Dei plurima ex parte custodiens,
1 All’inizio e alla fine si trova l’accostamento dell’uomo di santa vita all’uomo che insegna la via della salvezza. Tale accostamento ha prima la funzione di distinguere l’uno dall’altro: «non quidem habens docendi vel instruendi gratiam neque Verbum Domini praedicandi, sed tamen sanctae vitae vir, innocens, immaculatus». Poi, invece, evidenzia l’uguaglianza della loro condizione: «similiter ut ille qui in Verbo Dei laborat (cfr. 1 Tm 5, 17)». 2 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 12 (ed. cit., p. 554). 3 La citazione di Lc 1, 6 («in iustificationibus et mandatis Dei ingrediatur sine querela») è illustrata dall’espressione «sanctae vitae vir, innocens, immaculatus». Anche in questo caso, l’asindeto stabilisce un accostamento tra i concetti: l’uomo di santa vita è innocente e puro. 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 13 (ed. cit., p. 554).
138 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur in aliquibus tamen errans, ut homo». 1 Ad eccezione della breve annotazione sull’inimicizia personale, per il resto il ritratto è connotato in termini positivi; perfino gli errori di quest’uomo sono quasi giustificati a motivo della debolezza umana. La seconda parte descrive il comportamento di un nemico che agisce in modo empio: «alius, qui inimicus quidem sit et ipse nobis, sit tamen suae vitae atque animae inimicus, paratus ad scelera, praeceps ad flagitia, nihil sancti, nihil religiosi ducens». Il ritratto è connotato in termini assolutamente negativi. In conclusione è evidenziata la diversa carità che si deve avere nei confronti dell’uno e dell’altro nemico: «non tibi videtur esse etiam inter ipsos inimicos quaedam diversitas habenda caritatis?».
10. La carità: un’unica forza, molti ordini Nel cuore dell’esposizione sull’ordine della carità, dopo che sono state individuate alcune norme che regolano l’amore del prossimo e prima di aπrontare l’argomento dei legami secondo la carne e dei legami secondo lo spirito, è introdotta una riflessione che ha un’importanza fondamentale nello sviluppo del discorso. Puto quidem quod ex his satis abunde patuerit esse vim quidem caritatis unam, multas tamen habere causas et multos ordines diligendi et propter hoc dicere nunc sponsam: Ordinate in me caritatem (Ct 2, 4), hoc est docete me diversos ordines caritatis. 2
Questa precisazione rappresenta il nucleo fondamentale, il centro dal quale si irradia l’intero discorso, nei suoi molteplici sviluppi. In eπetti, l’aπermazione che la forza della carità è una sola richiama l’attenzione sul tema principale, che è la carità divina: il lettore non deve perdere di vista l’origine della carità, mentre è intento a guardare le tante forme che essa assume. A questo principio si deve accordare un altro: vi sono molte cause e molti ordini della carità. L’unica carità divina si irradia nelle tante forme dell’amore del prossimo. Distinguiamo le forme dell’amore secondo le cause, che possono essere i legami secondo la carne o i legami secondo lo spirito. Distinguiamo le forme dell’amore anche secondo gli ordini, che sono in rapporto con le cause: c’è un ordine della carità secondo i legami della carne e un ordine della carità secondo i legami dello spirito. 11. Legami secondo la carne, legami secondo lo spirito Introducendo un’altra norma, Origene richiama il precetto paolino riguardante l’amore dei mariti verso le mogli: Quodsi adhuc addendum his aliquid videtur, possumus etiam illud in medium adducere quod ait Apostolus: Viri, diligite uxores vestras sicut corpora vestra, sicut Christus dilexit ecclesiam (Eph 5, 25. 28). 3
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 14 (ed. cit., p. 554). Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 15 (ed. cit., pp. 554-556). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 16 (ed. cit., p. 556). 2
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I mariti devono amare le mogli, ma non devono limitarsi ad amare solo loro. Quid ergo? Debent quidem viri uxores suas diligere, alias vero mulieres non debent omnino diligere in omni castitate et sanctitate? An non videbuntur etiam ipsae esse de proximis, sed impendenda quidem est dilectio vel in coniugem vel in matrem vel in sororem, si tamen fideles sint et Deo adhaerentes, et erga aliam nullam mulierem, secundum quod et ipsa proxima dicitur, est nobis impendenda dilectio? Quod si hoc absurdum videtur, debet autem secundum mandati ordinem etiam erga eas casta haberi dilectio […]. 1
Le domande retoriche, strutturate in forma di antitesi e chiasmo, chiariscono che le distinzioni non devono diventare contrapposizioni che comportano un’esclusione: non ha senso separare la moglie, la madre e la sorella dalle altre donne, al punto di stabilire una contrapposizione per la quale si devono amare solo queste e invece non si devono amare aπatto quelle. Attraverso gli schemi della domanda retorica, dell’antitesi e del chiasmo («Debent... uxores suas diligere, alias... mulieres non debent... diligere...? ... im pendenda... est dilectio vel in coniugem vel in matrem vel in sororem... et erga aliam nullam mulierem... est nobis impendenda dilectio?»), è individuato e spostato per due volte il limite fino al quale deve estendersi l’amore di un uomo verso una donna. C’è il vincolo coniugale, per il quale l’uomo e la donna formano un solo corpo; e poi c’è il legame di sangue, il vincolo di parentela di un uomo verso la madre e la sorella. Ma c’è anche un legame che unisce un uomo ad ogni donna in quanto suo prossimo, in quanto sono membra di un unico corpo. Solo l’amore del prossimo è davvero inclusivo, perché non ammette alcuna esclusione. D’altra parte, questo amore non è assolutamente indiscriminato, ma comporta al suo interno distinzioni e un ordine: […] prorsus inter ipsas personas feminarum, quibus impendenda dilectio est, habendus profecto est ordo quidam in caritate conveniensque distinctio. Et maiore quidem cum honorificentia matri deferenda dilectio est, sequenti vero gradu cum quadam nihilominus reverentia etiam sororibus. Proprio vero quodam et sequestrato ab his more caritas coniugibus exhibenda. Post has vero personas pro meritis etiam et causis unicuique in omni, ut supra diximus, castitate deferenda dilectio est. 2
Le considerazioni riguardanti l’amore dell’uomo verso la donna sono valide anche per l’amore verso i parenti: «Secondo questo principio possiamo puntualizzare anche riguardo al padre, al fratello e agli altri congiunti». 3
* Accanto al vincolo coniugale e ai legami famigliari ci sono i legami secondo lo spirito: il vincolo di sangue nei confronti del padre e della madre, del 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 16-17 (ed. cit., p. 556). Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 17-18 (ed. cit., p. 556). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 18 (trad. cit., p. 206). 2
140 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur fratello e della sorella, dei figli non è piú forte del legame verso coloro che hanno generato nello spirito. Erga sanctos vero qui nos in Christo genuerunt (cfr. 1 Cor 4, 15) sed et pastores atque episcopos vel qui Verbo Dei praesunt presbyteri aut qui bene ministrant in ecclesia vel qui in fide praecellunt ceteros, quomodo non pro uniuscuiusque meritis aπectio pensabitur caritatis longe eminentior quam erga eos haberi potest, qui aut nihil horum aut non integre egerunt? 1
Il cristiano si sente legato in diverso grado a coloro che hanno fatto nascere e crescere in lui la vita dello spirito: in primo luogo ai santi che lo hanno generato in Cristo, poi ai pastori e ai vescovi che hanno cura del loro gregge, ai presbiteri che insegnano la parola di Dio, ai ministri che prestano servizio nella Chiesa, e infine a coloro che oπrono un’alta testimonianza di fede. Come non avremo per loro un sentimento di carità, commisurato ai meriti d’ognuno, di gran lunga superiore a quello che potremo avere per coloro che nulla di tutto ciò hanno fatto o l’hanno fatto ma non completamente? 2
I legami secondo lo spirito si intrecciano ai legami secondo la carne. «Sed et inter fideles parentes et infideles et fratres fideles ac infideles sororesque potestne fieri ut non erga hos singulos diversus habeatur ordo caritatis?». 3
12. La misura della carità L’enumerazione dei diπerenti legami secondo la carne e secondo lo spirito, reciprocamente intrecciati, esprime la di√coltà di individuare di volta in volta l’ordine della carità. Quas diversitates intuens sponsa et videns de his omnibus animae ad perfectionem tendenti necessariam videri scientiam rerum, ut uniuscuiusque loci et ordinis mensuras possit tenere caritatis, dicit ad amicos sponsi, eos videlicet qui Verbum Dei subministrant: Ordinate in me caritatem (Ct 2, 4), hoc est docete me et tradite mihi quomodo per haec singula ordinem servare debeam caritatis. 4
La di√coltà consiste nel «commisurare la carità ad ogni posizione e ordine». In primo luogo, l’anima deve individuare il locus, la posizione del prossimo in rapporto a Dio e a se stessa. Quindi può stabilire l’ordo, l’ordine cioè la posizione relativa di quella persona in rapporto alle altre che pure rientrano nel prossimo. Dopo aver individuato la posizione e l’ordine, l’anima può stabilire la misura della carità nei confronti di quella persona. Per stabilire la misura della carità è necessaria la «scientia rerum», la conoscenza dei fatti che individuano la posizione e l’ordine. Tuttavia, è di√cile esaminare e considerare di volta in volta tutti gli elementi. Per questo motivo, non è su√ciente che l’anima si a√di soltanto al suo discernimento, ed 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 19 (ed. cit., pp. 556-558). Ivi (trad. cit., p. 206). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 20 (ed. cit., p. 558). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 21 (ed. cit., p. 558). 2
l’ordine della carità
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è necessario che chieda di apprendere l’ordine da coloro che lo conoscono: «la sposa dice agli amici dello sposo, cioè a coloro che sono a servizio del Verbo di Dio: Ordinate in me la carità: cioè, insegnatemi e fatemi conoscere in che modo io debba osservare l’ordine della carità in tutte queste particolari condizioni». Per stabilire la misura della carità è in ogni caso necessario distinguere due gradi: il primo grado è la carità generale, che si deve a tutti gli uomini in quanto tali. Omnes enim homines, sicut iam diximus, secundum hoc quod similes [homines] nobis sunt, si militer diligendi sunt: immo omnis rationabilis natura a nobis utpote rationabilibus aequaliter diligenda est. 1
Il secondo grado è la carità specifica, che è in rapporto ai meriti di ciascun uomo. Adiciendum tamen in caritate est unicuique ad hoc quod homo est et ad hoc quod rationabilis est; si, verbi gratia, aut in moribus aut in opere aut in proposito aut in scientia aut in studiis ceteros praecellit, et pro his singulis secundum suum cuique meritum, ad generalem dilectionem addendum est etiam specialis aliquid caritatis. 2
13. Dio e i gradi dell’amore Per conferire maggiore autorità al discorso è proposto l’esempio di Dio: «Verum ut maior de his habeatur auctoritas, ab ipso Deo capiamus exemplum». L’esempio è articolato in due momenti. Il primo momento chiarisce che Dio ama ugualmente tutto ciò che esiste: «Et ipse enim amat omnia quae sunt aequaliter ac nihil odit eorum quae fecit; neque enim fecit aliquid quod odio haberet (Sap 11, 24)». 3 Il chiasmo («amat omnia... ac nihil odit») evidenzia la dialettica dei termini antitetici (amat-odit disposti agli estremi, omnia-nihil collocati nel mezzo). Il rapporto esistente tra amore e odio è individuato con le parole di Sap 11, 24: «egli ama tutto ciò che esiste e nulla odia di ciò che ha fatto: infatti nulla ha creato che dovesse odiare». Nella citazione è inserito l’avverbio aequaliter per precisare che Dio ama ugualmente tutto ciò che esiste, in quanto è stato fatto da lui; in altre parole, Dio ama ugualmente tutte le sue creature. Il secondo momento precisa che Dio non ama in modo simile tutti.
Non tamen ob hoc similiter dilexit Hebraeos et Aegyptios, et Pharaonem ut Moysen et Aaron. Nec rursus reliquos filios Istrahel similiter dilexit ut Moysen et Aaron et Mariam, nec iterum Aaron et Mariam similiter dilexit ut Moysen […]. 4
Le diπerenze nell’amore di Dio sono individuate attraverso alcune comparazioni. Il primo periodo stabilisce un confronto («non tamen... similiter dilexit») articolato in due momenti: 1. Ebrei-Egiziani; 2. Faraone-Mosè Aronne. I termini del confronto sono disposti secondo un chiasmo, al fine 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 22 (ed. cit., p. 558). Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 23 (ed. cit., pp. 558-560). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 24 (ed. cit., p. 560). 3
2
Ibidem.
142 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur di evidenziare il divario esistente fra l’amore verso un altro popolo (gli Egiziani e il Faraone) e l’amore nei confronti del suo popolo (gli Ebrei, Mosè e Aronne). Richiamando la frase precedente, il secondo periodo stabilisce due confronti («nec rursus... similiter dilexit», «nec iterum similiter dilexit») all’interno del popolo ebraico: 1. altri figli di Israele-Mosè Aronne Maria; 2. Aronne Maria-Mosè. Le comparazioni evidenziano una progressiva selezione: gli altri figli di Israele sono confrontati con Mosè Aronne Maria; Aronne e Maria sono confrontati con Mosè. Considerando insieme la prima e la seconda parte del testo, i confronti sono disposti in climax ascendente al fine di individuare questo ordine dell’amore: Faraone - figli di Israele Aronne Maria - Mosè. Il senso complessivo del discorso è chiarito attraverso citazioni ricavate dal testo biblico. […] sed, quamvis verum sit ut dicitur ad eum: Parcis autem omnibus, quia omnia tua sunt, Domine, amator animarum; spiritus enim incorruptionis est in omnibus (Sap 11, 26; 12, 1), tamen ille qui mensura et numero et pondere disposuit omnia (cfr. Sap 11, 20) secundum mensuram sine dubio uniuscuiusque meritorum etiam dilectionis suae temperat libram. 1
Come in precedenza, il pensiero è articolato in due momenti, individuati sul piano sintattico dal rapporto concessiva-reggente. Il primo momento, attraverso l’accostamento di Sap 11, 26 e 12, 1, chiarisce: «Tu hai misericordia di tutto, perché tutto è tuo, Signore amante delle anime: infatti in tutto è spirito d’incorruttibilità». Il secondo momento, attraverso un richiamo a Sap 11, 20, precisa: «tuttavia colui che ha disposto tutto con misura numero e peso, senza dubbio commisura anche il suo amore secondo la misura dei meriti di ognuno». L’immagine di Dio che soppesa il suo amore («dilectionis suae temperat libram») indica l’equità di questo amore, che ha un diverso peso in rapporto ai meriti di ognuno. Per chiarire la misura dell’amore di Dio non vi è esempio piú illuminante della vita di Paolo. Numquidnam putabimus quia similiter ab eo dilectus est Paulus tum, cum persequeretur ecclesiam Dei (cfr. 1 Cor 15, 9), sicut diligebatur, cum ipse pro ea persecutiones cruciatusque tolerabat (cfr. 2 Cor 4, 9) et cum dicebat inesse sibi sollicitudinem omnium ecclesiarum (cfr. 2 Cor 11, 28)? 2
La domanda retorica pone a confronto l’amore di Dio («similiter ab eo dilec tus est... sicut diligebatur») verso Paolo nei due diversi periodi della sua vita, «quando perseguitava la Chiesa di Dio» e «quando sopportava per quella persecuzioni e tormenti e quando diceva che in lui c’era sollecitudine per tutte le chiese». La conversione ha comportato il mutamento dell’atteggiamento e dei sentimenti di Paolo, che da persecutore è diventato perseguitato e da ostile è diventato sollecito verso tutte le chiese. In seguito ad un simile cambiamento di vita, non può essere rimasta immutata la misura dell’amore di Dio. 1
Ibidem.
2
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 25 (ed. cit., p. 560).
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Per completare l’esposizione sull’ordine dell’amore di Dio è necessario «accennare […] anche al sentimento di odio, che sembra contrario a quello della carità». 1
Multum est nunc, ut inter istos ordines caritatis etiam de aπectu odii, qui videtur huic caritatis aπectui contrarius, inseramus; quia etiam Dominus dicit: Inimicus ero inimicis tuis et adversabor adversariis tuis (Ex 23, 22), et iterum: Si peccatori tu adsistis et ei quem odit Dominus amicus es (cfr. 2 Par 19, 2). Quae utique hanc habent ab solutionem quam et illud quod dictum est: Honora patrem tuum et matrem (Ex 20, 12), et iterum: Qui non odit patrem et matrem (Lc 14, 26) et reliqua, in quo profecto nimietas caritatis in Deum his qui adversantur contrarium generare videtur aπectum, dum nulla potest esse consonantia luci et tenebris et Christo cum Belial nec eadem portio esse fideli cum infideli (cfr. 2 Cor 6, 14-15). 2
14. La casa del vino, l’ordine della carità, la ferita della carità A conclusione della lunga esposizione, il versetto del Cantico è inquadrato nel suo contesto per ricavare il significato spirituale in riferimento alla Chiesa e all’anima. His igitur, ut potuimus, de caritatis ordinibus expositis, patet ad intelligendum quid est quod poscat sponsa, id est ecclesia vel anima tendens ad perfectionem, praestari sibi ab amicis sponsi; quoniamquidem introduci se poposcerat in domum vini (cfr. Ct 2, 4), ubi sine dubio intel lexerat in omnibus his quae viderat eminere et praecellere gratiam caritatis, et ipsam didicerat maiorem omnium solamque esse caritatem, quae numquam cadit (cfr. 1 Cor 13, 8), ideo deposcit ut ordinem eius discat, ne forte aliquid inordinatum faciens vulnus ab ea aliquod acci piat, sicut in posterioribus dicit: Vulnerata caritatis ego sum (Ct 2, 5). 3
Nel testo è individuata una sequenza articolata in tre momenti. 1. Il primo momento consiste nella comprensione del primato della carità: «la sposa […] prima aveva chiesto di essere introdotta nella casa del vino, dove senza dubbio aveva compreso che fra tutto ciò che aveva visto eccelleva e spiccava la grazia della carità e aveva imparato che la carità è la piú importante di ogni cosa e la sola che non venga meno (1 Cor 13, 13. 8)». 2. Il secondo momento consiste nell’apprendimento dell’ordine della carità: «ora perciò chiede di apprendere il suo ordine». Conoscere l’ordine con il quale amare Dio e il prossimo non significa saperlo mettere in opera. 3. Il terzo momento consiste nella ferita della carità. La ferita è il sentimento dell’anima che avverte che Dio-carità, come una freccia, è rimasto confitto nel cuore, e al tempo stesso si sente lacerata poiché conosce l’ordine della carità ma non lo mette in opera. La lacerazione è la divisione dell’anima, che avverte il contrasto esistente fra ciò che è nella mente e le opere: piú precisamente la divisione è nella volontà, che non sempre riesce a tradurre il desiderio in opera, «per evitare, nel caso faccia qualcosa di contrario a questo ordine, 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 26 (trad. cit., p. 207). Ivi (ed. cit., p. 560). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 27 (ed. cit., p. 562). 2
144 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur di ricevere dalla carità qualche ferita, come poco dopo dice: Sono ferita dalla carità (Ct 2, 5)». 15. Il confronto con le Omelie sul Cantico dei Cantici Nel Commento al Cantico dei Cantici la riflessione sulla carità è sistematica e organica, ampia e articolata. Il discorso individua qual è l’ordine della carità, e soprattutto chiarisce qual è il suo significato. L’amore senza misura nei confronti di Dio diventa amore del prossimo, secondo la misura individuata dallo stesso amore di Dio: i legami secondo la carne e i legami secondo lo spirito, nel loro reciproco intreccio, sono espressione della carità divina che unisce in diverso grado gli uomini, nella misura in cui essi sono uniti a questa carità. Dall’esposizione emerge un grande aπresco, nel quale ogni anima trova la sua collocazione in rapporto alla carità divina; l’ordine della carità è la comprensione del posto che ciascuno occupa all’interno del grande aπresco. L’anima perfetta desidera apprendere l’ordine della carità, per comprendere qual è il suo posto nel disegno dell’amore divino, e quindi poter commisurare la carità alla posizione e all’ordine di ciascuno: «… ut uniuscuiusque loci et ordinis mensuras possit tenere caritatis…». Il Commento fa menzione della carità disordinata, ma non si soπerma su questo tema oltre la misura del necessario. Nelle Omelie sul Cantico dei Cantici la riflessione segue un diverso sviluppo: nell’economia del discorso è dedicato ampio spazio all’argomento della carità disordinata, al fine di individuare l’origine del disordine. Ordinate in me caritatem (Ct 2, 4). Eleganter locutus est: Ordinate; plurimorum quippe inordinata est caritas; quod in primo loco debent diligere, diligunt in secundo; quod in secundo, diligunt in primo; et quod oportet amare quarto, amant tertio; et rursum tertium in quarto, et est in plerisque caritatis ordo peruersus. Sanctorum uero caritas ordinata est. 1
La ripresa anaforica pone in evidenza il verbo ordinate, e in questo modo conferisce risalto alla contrapposizione esistente fra l’esortazione di Ct 2, 4 e la situazione di fatto, nella quale la carità di molti è disordinata. Il passo, delimitato da una composizione ad anello, inizia con la constatazione «plu rimorum... inordinata est caritas» e termina con la precisazione «in plerisque caritatis ordo peruersus»: «la carità di molti è disordinata» poiché «nei piú è stravolto l’ordine della carità». Lo stravolgimento dell’ordine è descritto attraverso la commutatio: quello che devono amare in primo luogo, lo amano in secondo; quello che devono amare per secondo, lo amano per primo; e quello che si deve amare in quarto luogo, lo amano per terzo; e di nuovo il terzo come quarto. 2
La commutatio è un’inversione per eπetto della quale è sovvertito l’ordine individuato dai numerali. 1
Hier., hom. Orig. in cant., 2, 8 (ed. cit., p. 128). Ivi (trad. cit., p. 78).
2
l’ordine della carità
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Fin qui la riflessione è condotta in modo schematico: lo scambio delle posizioni, individuate dai numerali, chiarisce in che cosa consista lo stravolgimento dell’ordine. Il ragionamento astratto è poi illustrato attraverso un esempio. Il problema dell’ordine si pone poiché la Sacra Scrittura prescrive tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Vult te sermo diuinus diligere patrem, filium, filiam, uult te sermo diuinus diligere Christum nec dicit tibi, ne diligas liberos, ne parentibus caritate iungaris. 1
Si pone dunque un problema di priorità, un problema di ordine. Da una parte c’è l’ordine prestabilito, individuato dalla Scrittura: Ne inordinatam habeas caritatem, ne primum patrem et matrem, deinde me diligas, ne filii et filiae plus quam mei caritate tenearis. Qui amat patrem et matrem super me, non est me dignus; qui amat filium aut filiam super me, non est me dignus (Mt 10, 37). 2
Dall’altra parte c’è un ordine sovvertito, che corrisponde alla situazione di fatto: Recole conscientiam tuam de patris, matris, fratris aπectu, considera qualem circa sermonem Dei et Iesu habeas caritatem; statim deprehendes magis te filium et filiam diligere quam Verbum, magis te parentes amare quam Christum. Quis putas ita profecit e nobis, ut prae cipuam et primam inter omnes sermonis Dei habeat caritatem, qui in secundo loco liberos ponat? 3
Dall’amore verso i genitori e i figli il discorso passa all’amore verso il coniuge. La priorità dell’amore di Dio rispetto all’amore del coniuge è il primato dell’amore che unisce nello spirito rispetto all’amore che unisce nella carne. Iuxta hunc modum ama et uxorem tuam. Nullus quippe aliquando suam carnem odio habuit (Eph 5, 29), sed amat ut carnem; erunt inquit duo non in unum spiritum, sed erunt duo in carnem unam (Eph 5, 31). Ama et Deum, sed ama illum, non ut carnem et sanguinem, sed ut spiritum; qui enim adhaeret Domino, unus spiritus est (1 Cor 6, 17). 4
Alla carità disordinata di molti è opposta la carità ordinata dei perfetti. Il passo, delimitato da una composizione ad anello, inizia con la dichiarazione «ordinata est caritas in perfectis» e termina con la precisazione «ita fiet, ut sanctorum ordinata sit caritas»: ordinata è la carità dei perfetti, cioè dei santi. La carità ordinata comporta il primato dell’amore di Dio e prevede poi un ordine nell’amore del prossimo. Vt autem post Deum etiam inter nos ordo ponatur, primum mandatum est, ut diligamus pa rentes, secundum ut filios, tertium ut domesticos nostros. Si autem filius malus est et domesticus bonus, domesticus in caritate filii collocetur. 5
Questo ordine consiste in una precisa successione, che non è determinata soltanto dai legami secondo la carne, ma anche e soprattutto dai legami secondo lo spirito. 1
Ivi (ed. cit., p. 128). Ivi (ed. cit., pp. 128-130).
3
2 4
Ivi (ed. cit., p. 130).
Ibidem. Ibidem.
5
146 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Dai precetti che regolano in modo specifico l’amore verso i genitori, i figli, il coniuge si passa ai precetti che riguardano in generale l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Magister quoque noster et Dominus in Euangelio praecepta de caritate constituens ad unius cuiusque dilectionem proprium aliquid apposuit et dedit intelligentiam ordinis his qui possunt Scripturam audire dicentem: Ordinate in me caritatem. Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota anima tua, et ex tota uirtute tua, et ex tota mente tua. Diliges proximum tuum sicut te ipsum (Mt 22, 37-39). 1
L’intelligenza dell’ordine della carità consiste nel comprendere che ciascun precetto ha qualcosa di proprio, che non può essere attribuito ad un altro precetto. Non ait: Deum ut temet ipsum, proximum ex toto corde, ex tota anima, ex tota uirtute, ex tota mente. Rursus Diligite inquit inimicos uestros (Mt 5, 44) et non apposuit ex toto corde. Non est inordinatus sermo diuinus nec impossibilia praecipit nec dicit: Diligite inimicos uestros ut uosmet ipsos, sed tantum: Diligite inimicos uestros. Su√cit eis quod eos diligimus et odio non habemus; proximum vero ut temet ipsum, porro Deum ex toto corde, et ex tota anima, et ex tota mente, et ex tota uirtute. 2
In conclusione, per quanto concerne Dio è proprio amare «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza»; per quanto concerne il prossimo è proprio amare «come te stesso»; per quanto concerne i nemici è su√ciente amare. 1
Ibidem.
2
Ibidem.
LA FERITA DELLA CARITÀ 1. Premessa
L
’am ore può agire nell’anima al livello epidermico e superficiale, corrispondente ai sensi interni. Ma l’amore ha la forza per penetrare nell’anima e farsi sentire nelle sue parti piú interne, corrispondenti al cuore. Per penetrare fino al cuore, l’amore deve aprire uno squarcio nell’anima: l’anima, nella quale l’amore ha aperto una ferita, rimane dilaniata: non è piú chiusa in se stessa, ma irrimediabilmente aperta, irreparabilmente ferita. L’amore, che come una freccia ha trafitto l’anima, è destinato a rimanere confitto nel cuore, senza poter essere piú estratto. Il sentimento della ferita d’amore, della freccia d’amore confitta nel cuore, è il sentimento di un amore viscerale. Le immagini della freccia e della ferita d’amore sono intrinsecamente legate, ed esprimono questo sentimento profondo, lacerante, che è l’intima presenza di una forza trascendente: l’anima deve rimanere aperta per essere capace di accogliere dentro di sé un amore cosí grande. Ecco il motivo per cui le immagini della freccia e della ferita, solitamente riferite all’amore, acquistano un senso piú forte se sono attribuite alla carità, per indicare la presenza di Dio nell’anima. 2. Vulnerata caritatis ego sum (Ct 2, 5) Nel testo ebraico il termine ḥōwlaṯ è inteso variamente: la maggior parte degli editori interpreta il vocabolo nel senso di ‘malata’, da ḥālāh (cosí Crampon, Pouget-Guitton); alcuni editori intendono invece la parola nel senso di ‘ferita’, da ḥālāl (cosí Joüon, Geslin). Giovanni Garbini precisa: La forma masoretica ḥwlt ‘malata’ da ḥll, appare improbabile anche dal punto di vista linguistico, dato che il verbo, intransitivo, non presenta mai il participio allo stato costrutto (che implica in un certo senso un significato transitivo). 1
Per questo motivo, Garbini propone di leggere ḥllt: questa parola deve essere considerata un hapax: si tratta di un nome femminile formato sul maschile ḥll ‘ferito’. L’esistenza di questo nome rende superflua la supposizione che possa trattarsi di un participio passivo da ḥll. 2
La traduzione dei Settanta presenta tetrwmevnh ajgavph~ ejgwv («sono ferita dalla carità»). Origene ha seguito il testo dei Settanta come traccia per orientare la sua interpretazione del versetto.
1 Cantico dei Cantici, testo, traduzione, note e commento a cura di Giovanni Garbini, Bre2 scia, Paideia, 1992 («Biblica. Testi e studi», 2), p. 201. Ibidem.
148 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur 3. La ferita d’amore o ferita della carità Dai risultati delle ricerche di Crouzel, il tema della ferita d’amore (o ferita della carità 1) non compare nella tradizione giudaico-cristiana antecedente a Origene. Un frammento armeno del commento di Ippolito al Cantico dei Cantici contiene queste parole:
Perché sono malata d’amore (Ct 2, 5). Perché egli stesso ha detto: I vostri cuori saranno gioiosi in me e la vostra gioia nessuno ve la toglierà (Jo 16, 22). Ma la parola ‘malata’ esprime il desiderio. 2
Non è stabilita alcuna connessione tra Ct 2, 5 e Is 49, 2; le immagini del divino arciere, delle sue frecce e della ferita sono assenti. Gli indici dell’edizione Cohn di Filone e dell’edizione GCS di Clemente di Alessandria non permettono di individuare alcun accostamento tra Ct 2, 5 e Is 49, 2, e le parole bevlo~, titrwvskw, trau`ma rinviano alle ferite causate dai vizi. Tuttavia non è stata ancora compiuta una ricerca sistematica sugli autori cristiani del II secolo, sugli gnostici e anche sugli apocrifi giudaici, sugli scritti di Qumran e sulla letteratura rabbinica contenente tradizioni piú antiche di Origene. Per questo motivo, non è possibile aπermare con certezza che Origene sia stato l’iniziatore del tema. 3 In Origene il tema della ferita d’amore nasce dall’accostamento di due versetti scritturistici. In primo luogo Is 49, 2, secondo la versione dei Settanta: «Mi ha posto come freccia eletta, mi ha nascosto nella sua faretra». Il Servitore di Jahvè che parla cosí è il Cristo profetizzato. In secondo luogo Ct 2, 5, secondo la stessa versione: «Io sono ferita dalla carità». Il passo è conservato negli Hexapla, che segnalano anche la traduzione di Simmaco: «Io sono ferita da un filtro». 4 Queste parole sono pronunciate dalla sposa. 5
1 Nella traduzione Simonetti rende «vulnerata caritatis ego sum» (Ct 2, 5) con «sono ferita d’amore» e «caritatis vulnus» con «ferita d’amore»; in questo modo però risulta impossibile distinguere se l’espressione «ferita d’amore» della traduzione corrisponda nel testo latino al termine amor o caritas. Sull’uso di caritas invece di amor in Ct 5, 8 («vulnerata caritatis ego sum») si veda Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 24 (ed. cit., p. 108): Apertissime autem et in hoc ipso libello qui habetur in manibus, amoris nomen caritatis vocabulo permutatum est in eo ubi dicit: Adiuravi vos, filiae Hierusalem, si inveneritis fratruelem meum, ut adnuntietis ei quia vulnerata caritatis ego sum (Ct 5, 8), pro eo utique ut diceret: Amoris eius telo percussa sum. Nel commento ho individuato i contesti nei quali si trovano i termini amor e caritas. Per evidenziare le diπerenze esistenti tra i nomi dell’amore, ho ritenuto necessario adattare la traduzione in modo che sia piú aderente al testo latino, e ho reso «vulnerata caritatis ego sum» (Ct 2, 5) con «sono ferita dalla carità» e «caritatis vulnus» con «ferita della carità». 2 Il frammento armeno, tradotto in tedesco da Georg Nathanael Bonwetsch nell’edizione GCS delle opere di Ippolito nel 1897, contiene soltanto queste parole: «“Weil ich krank vor Liebe bin”. Weil er selber sagte: “Eure Herzen werden” in mir “fröhlich sein und eure Freude wird niemand von euch wegnehmen”. Aber “krank” bedeutet Begierde». Crouzel (Origines patristiques d’un thème mystique, cit., p. 318) osserva: «On peut croire cependant que le traducteur arménien a substitué à la Septante que devait utiliser Hippolyte un texte traduit sur l’hébreu et a fait ainsi disparaître la mention de la blessure». 3 Henri Crouzel, Origines patristiques d’un thème mystique, cit., pp. 317-318. 4 La si ritrova in Orig., in cant., fr. 21 (ed. cit., p. 180): Tevtrwmai ga;r fivltrw/ fhsi; kata;
Suvmmacon, ajpo; tou` ejklektou` bevlou~ kata; to;n ∆Hsaivan. 5
Henri Crouzel, Origines patristiques d’un thème mystique, cit., p. 309.
la ferita della carità
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Il tema della ferita d’amore compare presto in Origene, dal primo libro del Commento a Giovanni, una delle sue prime opere, e si trova lungo la sua intera carriera letteraria fino al Contro Celso e alle omelie predicate negli ultimi anni. Se si considera a parte l’Omelia 1 sul Salmo 37, che orienta il commento in una direzione diπerente, l’interpretazione di Ct 2, 5 presenta un’unità che non esclude alcune variazioni. L’arciere è nella maggior parte dei testi il Padre, secondo Is 49, 2; ma nel prologo del Commento al Cantico è lo stesso Cristo, nella sua bellezza di immagine del Padre, rivelata dalla bellezza delle creature, terrestri e celesti. La freccia è ancora Cristo, secondo Is 49, 2. Lo è secondo ciascuna delle sue ejpivnoiai, i titoli che gli riconosce la Scrittura, e piú precisamente le virtù che possiede nella sua essenza. L’unica ‘freccia eletta’ agisce attraverso l’intermediario di altre frecce: Mosè e i profeti che l’hanno annunciato, gli apostoli e i predicatori che lo comunicano ai fedeli. La freccia è dunque soprattutto la Parola, il Verbo, trasmesso dalla voce dei suoi ministri. La sposa potrebbe essere la Chiesa o l’anima; solo il secondo significato è legato in Origene alla ferita d’amore, diversamente dall’uso che faranno del tema alcuni Padri piú tardi. Questa ferita è quella della carità, secondo Ct 2, 5; in modo sussidiario, delle altre virtù che si identificano con Cristo. Essa apporta la salvezza e la beatitudine, e riempie il cuore di fervore e di dolcezza. La ferita è identificata con Cristo stesso, con il Cristo interiore, che nasce e cresce nell’anima. Il Figlio di Dio è dunque al tempo stesso l’arciere – unitamente al Padre –, la freccia e la ferita: la ferita è la freccia che penetra nell’anima. 1 Nel Commento al Cantico dei Cantici la ferita d’amore (o ferita della carità) è menzionata cinque volte. L’immagine compare una prima volta nel prologo.
E l’anima è spinta dall’amore e dal desiderio celeste allorché, osservata la bellezza e la grazia del Verbo di Dio, ha preso ad amare il suo aspetto e da lui ha ricevuto un dardo e una ferita d’amore. 2
In questo contesto è evidenziata la connessione esistente fra l’osservazione della bellezza e della grazia del Verbo di Dio e l’amore che ne consegue: chi avrà potuto con mente capace considerare e comprendere la grazia e la bellezza di tutte le cose che sono state create in lui, colpito dalla bellezza di esse e ferito dalla magnificenza dello splendore come da freccia eletta (Is 49, 2), secondo quanto dice il profeta, riceverà da lui una ferita che apporta salvezza e arderà del fuoco beato del suo amore. 3
La bellezza colpisce, la magnificenza dello splendore ferisce: agisce con forza, addirittura con violenza sull’anima. La bellezza è quella del primogenito di tutta la creazione, nel quale sono state create tutte le cose che sono in 1
Ivi, pp. 316-317. Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 17 (trad. cit., pp. 41-42). 3 Ivi (trad. cit., p. 42). 2
150 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur cielo e in terra, sia visibili sia invisibili; lo splendore è la luce riflessa di Dio invisibile. Nel testo è individuata la connessione esistente fra la ferita e l’ardore del fuoco d’amore. 1 L’immagine compare una seconda volta nel prologo, a proposito dell’uso dei nomi dell’amore nella Sacra Scrittura.
E proprio in questo libro che abbiamo fra le mani è chiaro che la parola amore è stata sostituita da carità, là dove è detto: Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme: se trovate il mio amato, ditegli che io sono ferita dalla carità (Ct 5, 8): che è come se essa dicesse: sono stata colpita da una freccia d’amore. 2
La precisazione ha un’importanza fondamentale, poiché chiarisce la diπerenza nell’uso delle due espressioni. ‘Ferita dalla carità’ è adoperata in riferimento a Ct 2, 5 e 5, 8 per descrivere la ferita causata dalla presenza del Verbo di Dio nell’anima: questa ferita è la lacerazione dell’anima, divisa in se stessa a motivo dell’intima presenza di Dio. ‘Ferita d’amore’ è invece usata in altri contesti, a proposito della ferita procurata dalla bellezza del Verbo: questa ferita è il sentimento della distanza che separa l’anima dal Verbo di Dio e, per questo motivo, è associata all’ardore, cioè all’agitazione che muove l’anima verso di lui. La ferita d’amore si trova nel commento a Ct 1, 2 («Mi baci con i baci della sua bocca»): la sposa è «ardente per il desiderio dello sposo e agitata da un’interiore ferita d’amore»; 3
poiché lo sposo indugia molto a lungo, è eccitata dal desiderio del suo amore e si strugge giacendo in casa e fa di tutto perché finalmente possa vedere il suo sposo e godere dei suoi baci. 4
In questo contesto, la ferita d’amore è il sentimento dell’anima che percepisce la distanza del Verbo di Dio, al quale desidera unirsi. Il desiderio è ardore, sentimento che brucia alla visione della bellezza del Verbo; è struggimento, sentimento che consuma per la sua lontananza; è agitazione che muove l’anima alla sua ricerca. La ferita della carità compare nel commento a Ct 2, 4 («Ordinate in me la carità»). Comprendiamo chiaramente qual è il servizio che la sposa, cioè sia la Chiesa sia l’anima che tende alla perfezione, chiede agli amici dello sposo: prima aveva chiesto di essere introdotta nella casa del vino, dove senza dubbio aveva compreso che fra tutto ciò che aveva visto eccelleva e spiccava la grazia della carità e aveva imparato 1 Francesca Cocchini, Eros in Origene, cit., p. 37: «Ma anche nel Commentario al Cantico dei Cantici piú volte Origene, sollecitato dall’espressione di Cant. 2, 5: “Sono ferita d’amore”, ricorre al nesso Cristo-eros-fuoco collegandolo all’‘ardore’ che esso produce nelle creature quando queste ne vengono colpite. L’anima, spiega Origene, ferita da CristoSapienza allorché ne scorge la bellezza, arde di amore: la sua bellezza infatti ferisce chi è in grado di considerarla con “mente capace”, e rende ardenti “del fuoco beato del suo amore”». 2 Rufin., Orig. in cant., prol. 2, 24 (trad. cit., p. 44). 3 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 4 (trad. cit., p. 74). 4 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 3 (trad. cit., p. 73).
la ferita della carità
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che la carità è la piú importante di ogni cosa e la sola che non venga meno (1 Cor 13, 13. 8); ora perciò chiede di apprendere il suo ordine, per evitare, nel caso faccia qualcosa di contrario a questo ordine, di ricevere dalla carità qualche ferita, come poco dopo dice: Sono ferita dalla carità (Ct 2, 5). 1
In questo contesto, la ferita della carità descrive la lacerazione interna dell’anima, la divisione della volontà che non riesce ad accordare ciò che è nella mente e nel cuore con le opere. La ferita della carità si trova infine nel commento a Ct 2, 5. 4. L’interpretazione letterale L’interpretazione letterale ricapitola lo sviluppo dell’azione per spiegare il modo in cui la sposa ha ricevuto la ferita d’amore: […] posteaquam sponsa et verba ex ore ipsius sponsi audivit et cubiculum regis (cfr. Ct 1, 4) ingressa est et domum vini (cfr. Ct 2, 4) locumque convivii ac sapientiae, in eo victimas et craterem mixtum (cfr. Prv 9, 1-2) sacramentis eius adspexit, quasi in horum om nium admiratione stupens et saucia postulat ab ipsis nihilominus amicis et sodalibus sponsi ut confirmetur et quasi deficiens sustentetur incumbens paululum super arborem amoyren vel melin. Amoris etenim vulnere percussa arborum solacia silvarumque sectatur. 2
L’interpretazione letterale evidenzia la connessione esistente tra alcuni versetti del Cantico: «Il re mi ha introdotto nella sua camera del tesoro» (1, 4); «Introducetemi nella casa del vino» (2, 4); «Sostenetemi con profumi, appoggiatemi ai meli, poiché io sono ferita dalla carità» (2, 5). Nella descrizione dello svolgimento dell’azione sono evidenziati alcuni dettagli fondamentali per introdurre l’interpretazione spirituale. 5. L’interpretazione spirituale I versetti citati nella ricapitolazione del dramma sono uniti dal richiamo alla sapienza. Nell’accesso ai misteri della sapienza si riconosce una gradazione, che inizia dal senso della vista e termina con il gusto. Nella camera del tesoro l’anima ha visto i tesori della sapienza e della scienza. In seguito ha chiesto di essere introdotta nella sala del banchetto, per poter godere del cibo della sapienza. La rappresentazione del banchetto richiama la descrizione proposta nel commento a Ct 2, 3. Infatti la sapienza c’imbandisce con cibi diversi la sua mensa, sulla quale non mette solo il pane di vita ma immola anche le carni del Verbo; non solo mescola nella coppa il suo vino (Prv 9, 1-2), ma presenta anche mele odorose e dolci […]. 3
Le carni e le vittime rappresentano la sapienza incarnata e oπerta in sacrificio; la coppa mescolata con il vino indica la sapienza che inebria; le mele alludono alla soavità della sapienza. 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 7, 27 (trad. cit., p. 208). Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 2 (ed. cit., p. 568). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 5, 7 (trad. cit., p. 195). 2
152 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Nel commento è reso esplicito il significato dei diversi cibi, che sono tutti riferibili al Verbo di Dio. Et ne mireris si idem ipse et arbor meli et arbor vitae (cfr. Apc 2, 7) et diversa alia dicatur, cum idem et panis verus (cfr. Jo 6, 32) et vitis vera (cfr. Jo 15, 1) et agnus Dei (cfr. Jo 1, 29) et multa alia nominetur. Omnia namque haec Verbum Dei unicuique e√citur, prout mensura vel desiderium participantis exposcit; secundum quod et manna (cfr. Ex 16, 31; cfr. Sap 16, 20), qui cum unus esset cibus, unicuique tamen desiderii sui reddebat saporem. 1
Il Figlio di Dio è un’unica entità, che però è percepita in modi diversi dalle anime, secondo la capacità dei loro sentimenti. Il Verbo di Dio è un solo cibo, che rende ad ognuno il sapore secondo il suo desiderio: alcune anime cercano questo cibo solo per saziarsi, poiché non hanno ancora la capacità di sentire la sua dolcezza; altre anime, che sono già capaci di sentire tale dolcezza, cercano questo cibo non solo per saziarsi ma anche per provare piacere. Perciò egli si presenta non solo come pane a quelli che hanno fame e come vino a quelli che hanno sete, ma anche come pomo profumato a quelli che vogliono provar piacere. 2
Nella descrizione dei cibi si riconosce una gradazione, che inizia dagli alimenti che saziano e termina con quelli che procurano anche piacere. L’anima perfetta non cerca soltanto il nutrimento, ma anche il diletto. Per tal motivo anche la sposa, ormai ristorata e bene nutrita, chiede di appoggiarsi ai meli, sapendo che per lei nel Verbo c’era non solo ogni cibo ma anche ogni delizia. 3
Tra la visione e il gusto dei misteri della sapienza si colloca la ferita d’amore: dopo che la sposa […] è entrata […] nella casa del vino e nel luogo del banchetto e della sapienza, e lí ha osservato le vittime e la coppa mescolata con i misteri di lui, quasi stupefatta e ferita per l’ammirazione di tutto ciò, chiede ancora agli amici e ai compagni dello sposo di essere sostenuta e, quasi venendo meno, di essere sorretta stando un po’ appoggiata ad un albero di amyrum o di melo. Infatti colpita dalla ferita d’amore cerca il ristoro degli alberi e del bosco. 4
Nell’ammirazione («in... admiratione») di tutto ciò che si trova nella sala del banchetto, l’anima è stupita e attonita (stupens), quasi stordita poiché è rimasta fortemente colpita (saucia) e si sente quasi venire meno («quasi defi ciens»). Soprattutto l’aggettivo saucia esprime il sentimento dell’anima, che è rimasta profondamente colpita, lacerata, ferita. Nella visione del banchetto nel quale il Verbo di Dio si fa cibo, l’anima si sente ferita dalla carità: sente che le sue forze vengono meno per 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 11 (ed. cit., pp. 572-574). Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 12 (trad. cit., p. 212). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 2 (trad. cit., pp. 209-210). 2
3
Ibidem.
la ferita della carità
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l’incapacità di sostenere la forza della carità divina. Avvertendo la propria debolezza, l’anima cerca il sostegno della potenza di Dio, appoggiandosi agli alberi di melo che rappresentano il Verbo. Infatti, nel commento a Ct 2, 3 si legge: Dunque, la sposa paragona lo sposo all’albero del melo […]. E dice lo sposo simile a questo albero in maniera tale da desiderare di riposare alla sua ombra e da aπermare che il frutto di lui è diventato dolce nella sua bocca. 1 Fra questi alberi soprattutto si aggira quando si accorge di essere ferita dai dardi della carità. 2
Dall’esposizione del significato del testo si passa all’improvviso ad una riflessione di tono personale che interpella il lettore. Il repentino cambiamento di registro, dallo stile piano e narrativo allo stile elevato e coinvolgente, evidenzia una straordinaria padronanza dei mezzi della retorica. Lo stato d’animo della sposa del Cantico è ricreato, attraverso l’ethopoeia, in un personaggio fittizio che ha gli stessi sentimenti: un ‘qualcuno’, un soggetto indefinito, nel quale può riconoscersi chiunque provi queste stesse emozioni, identificandosi completamente con questo personaggio, fino a pronunciare le parole: «Sono ferita dalla carità». Si quis usquam est qui fideli hoc amore Verbi Dei arsit aliquando, si quis est, ut propheta dicit, qui electi iaculi (cfr. Is 49, 2) eius dulce vulnus accepit, si quis est qui scientiae eius amabili confixus est telo, ita ut diurnis eum desideriis nocturnisque suspiret, aliud quid loqui non possit, audire aliud nolit, cogitare aliud nesciat, desiderare praeter ipsum aut cupere aliud vel sperare non libeat, ista anima merito dicit: Vulnerata caritatis ego sum (Ct 2, 5) et ab illo vulnus accepit, de quo dicit Isaias: Et posuit me sicut iaculum electum, et in pharetra sua abscondit me (Is 49, 2). Tali vulnere decet Deum percutere animas, talibus telis iaculisque configere ac salutaribus eas vulneribus sauciare, ut, quia Deus caritas est (1 Jo 4, 8), dicant et ipsae: Quia vulnerata caritatis ego sum (Ct 2, 5). 3
Il passo è uno dei piú suggestivi del Commento al Cantico dei Cantici. Il ritmo ternario del periodo lega in sequenza l’una all’altra le immagini e le emozioni: il lettore che si riconosce nella prima emozione, l’ardore d’amore, si trova ad identificarsi anche con le emozioni associate ad essa, fino ad immedesimarsi completamente con il personaggio descritto. Nella prima parte del passo è individuata la corrispondenza fra i tre kw`la, che sono introdotti dalla medesima formula («si quis... est... qui») e descrivono lo stesso stato d’animo, rappresentato attraverso immagini diverse. Nel primo kw`lon il verbo ardeo descrive il fuoco della passione che, una volta acceso, continua a bruciare; la continuità dell’ardore amoroso è indicata nel testo dall’aggettivo fidelis, collocato in posizione di risalto («fideli hoc amore... arsit»). Gli eπetti continuativi dell’amore sono descritti negli altri due kw`la attraverso immagini che evidenziano il modo in cui questo sentimento penetra nell’animo e vi rimane infisso. Nel secondo kw`lon la iunctura 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 5, 3 (trad. cit., p. 194). Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 12 (trad. cit., p. 212). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 13-14 (ed. cit., p. 574). 2
154 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur «iaculi... vulnus» individua, a proposito dell’amore, la connessione esistente fra la causa e gli eπetti: il dardo, una volta scagliato, procura una ferita; l’immagine evidenzia la forza con la quale l’amore penetra nell’animo, aprendo in esso uno squarcio. Nel terzo kw`lon l’espressione «confixus... telo» descrive l’irremovibilità dell’amore: per la forma della punta, la freccia, una volta penetrata nella carne, vi rimane confitta e non può essere estratta. L’amore, come una freccia, rimane confitto nell’anima, e diviene per cosí dire un ‘pensiero fisso’: se c’è qualcuno ch’è stato trafitto dal dardo amabile della sua scienza sí da sospirare per il desiderio di lui notte e giorno, sí da non poter dire altro, non voler udire altro, non saper pensare altro, non aver piacere di desiderare bramare aspettare altro che lui […]. 1
Questo amore è un sentimento esclusivo che occupa per intero l’anima nelle sue facoltà, nella volontà, nella conoscenza, nelle sensazioni: l’anima non può, non vuole, non sa, non ha piacere al di fuori di questo amore (si noti nel testo la ripetizione del pronome aliud, seguito da quattro diversi verbi servili: «aliud... non possit... aliud nolit... aliud nesciat... aliud... non libeat»). In questo amore sono interamente occupate le principali facoltà dell’anima: la parola, l’ascolto, il pensiero e soprattutto il desiderio. Il desiderio è espresso con una trittologia («desiderare... aut cupere... vel sperare») che individua una gradazione di intensità crescente: il desiderio diventa brama, e la brama diventa impaziente attesa dell’anima, che sospira notte e giorno. Se l’anima è stata trafitta dall’amabile dardo del Verbo di Dio, allora a ragione dice: «Sono ferita dalla carità», poiché ho ricevuto dal Verbo la ferita di cui dice Isaia: «Mi ha posto come freccia eletta e mi ha nascosto nella sua faretra». Il senso delle parole di Ct 2, 5 è chiarito attraverso l’accostamento di Is 49, 2, che rende esplicito il significato cristologico. La connessione fra la carità e la ferita in Ct 2, 5 è individuata dal simbolismo freccia=Cristo di Is 49, 2. Nel trikolon iniziale è prima stabilito l’accostamento amore-Verbo di Dio («amore Verbi Dei»); in secondo luogo è descritta la connessione freccia-ferita («electi iaculi... vulnus») secondo Is 49, 2, dove freccia=Cristo; infine è individuato il nesso Cristo-freccia-amore attraverso l’immagine della «freccia amabile della sua scienza» («scientiae eius amabili... telo»). Questa freccia amabile procura una ferita salutare: l’amore infatti è causa di salvezza. Con tale ferita conviene che Dio colpisca le anime, che le trafigga con tali dardi e frecce, e che le ferisca con ferite che apportano la salvezza, cosí che anch’esse, poiché Dio è carità (1 Jo 4, 8), dicano: Poiché io sono ferita dalla carità (Ct 2, 5). 2 La freccia amabile («amabili… telo») è Cristo che si fa amare per la sapienza, la potenza, la giustizia, la pietà.
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 13 (trad. cit., p. 212). Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 14 (trad. cit., p. 213).
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la ferita della carità
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Et quidem in hoc quasi amatorio dramate sponsa caritatis se dicit vulnera suscepisse. Potest autem similiter fervens anima ergo sapientiam Dei dicere quia vulnerata sapientiae ego sum, illa scilicet quae sapientiae eius pulchritudinem potuit intueri. Potest et alia anima virtutis eius magnificentiam contuens et admirata potentiam Verbi Dei dicere quia vulnerata virtutis ego sum, talis, credo, aliqua sicut erat illa quae dicebat: Dominus illuminatio mea et salvator meus, quem timebo? Dominus protector vitae meae, a quo trepidabo? (Ps 26, 1) Sed et alia anima erga amorem iustitiae eius fervens et dispensationum ac providentiae eius iustitiam contuens dicit sine dubio: vulnerata iustitiae ego sum. Et alia bonitatis eius ac pietatis immen sitatem perspiciens similia loquitur. Sed et horum omnium generale est istud caritatis vulnus, quo se vulneratam praedicat sponsa. 1
Per ciascuna delle ejpivnoiai è delineato lo stesso percorso: dalla visione (intueri, contuens, perspiciens) ha origine l’ardore dell’amore (fervens, «erga amorem… fervens») e quindi la ferita («vulnerata… ego sum»). È possibile individuare una gradazione: in un primo momento l’anima ha potuto intravedere (intueri) la bellezza della sapienza; poi ha contemplato (contuens) la magnificenza della forza; quindi ha contemplato (contuens) la giustizia; infine ha osservato (perspiciens) l’immensità della bontà e della pietà. Le ejpivnoiai sono dunque disposte secondo un ordine: la sapienza è la conoscenza della magnificenza, una potenza esercitata secondo la giustizia, che è bontà e pietà. L’anima, colpita dall’amore della sapienza potenza giustizia pietà, è ferita dalla carità di Cristo. 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 15 (ed. cit., pp. 574-576).
SPASIMANTE D’AMORE 1. Premessa
S
pasimante d’amore: è forse uno dei sentimenti piú di√cili da esprimere, ma anche uno dei piú suggestivi. L’amata non sopporta di stare senza l’amato, e lo cerca dovunque. L’amore diventa agitazione, emozione: sotto la forza dell’amore, l’anima si muove, esce da se stessa, si trascende. Non può piú rimanere in paziente attesa, aspettare che l’amato venga a lei; impaziente d’amore, si muove per andare incontro all’amato. Per comprendere questo sentimento è necessario stabilire un confronto. Prima era stato descritto il desiderio dell’amore: la sposa era nella sua casa, e attendeva l’arrivo dello sposo per unirsi a lui nelle nozze. Ora è invece descritta l’impazienza d’amore: la sposa, unita nelle nozze allo sposo, è ormai nella sua casa, ma non sopporta la sua assenza. Al centro del discorso è l’immagine della casa. L’anima non è piú nella sua casa: il suo posto non è piú in se stessa. Per amore è uscita dalla sua casa, ed è andata ad abitare nella casa dell’amato: il suo posto è ormai il luogo dove risiede il suo amato. Ma l’amato non rimane sempre nello stesso luogo: talvolta si rende presente, talvolta invece si assenta. L’amore non è soltanto uno stato d’animo, un sentimento, una condizione acquisita per sempre; è invece anche un’emozione, un movimento dell’anima. L’amore è la forza che muove l’anima, a√nché essa esca da se stessa per aprirsi all’altro. Se lo sposo è andato incontro alla sposa e l’ha cercata, ora vuole che la sposa lo cerchi e gli vada incontro. In questo modo, l’anima scopre che l’amore non è soltanto ‘stare’ insieme all’amato, ma cercarlo incontrarlo ritrovarlo. L’amore è una continua scoperta, per chi sa essere impaziente d’amore. 2. Hic stetit post parietem nostrum (Ct 2, 9-10) I versetti 2, 8-9 del Cantico dei Cantici descrivono la visita dello sposo alla casa dove si trova la sposa. Prima sentito, poi visto a distanza, lo sposo si materializza attraverso la forza poetica delle parole pronunciate dalla sposa. 1
1 Song of Songs. A Commentary, cit., p. 123: «Something new and, in terms of the unfolding of the poem, extraordinary happens in 2:8-3:5. The woman tells a story, or juxtaposes two stories, each with a narrative movement and a sense of closure, a tension and a resolution – in other words, with a plot. […] For the first time, the Song of Songs acknowledges the presence of a narrator. This narrator is also a character, as distinguished from the poet as narrator, whose narrative presence throughout the Song is deftly eπaced. The poet puts words into the woman’s mouth, creating her speech (2:8-3:5) in which she puts words into her lover’s mouth, creating his speech (2:10-14). Even when using a narrator whose presence is evident (to the point of such an obvious sign of narration as “my lover answered and said to me,” v. 10), the poet maintains the illusion of immediacy so central to the Song’s poetic eπectiveness – the impression that, far from being simply reported, the action is taking place in the present, unfolding before the reader’s very eyes. […] Another defining feature of
158 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur La sposa crea una vivida rappresentazione del suo arrivo: lo sposo è prima visto a distanza, sui monti, e poi da vicino, davanti alla casa, dove noi spiamo lui che sbircia attraverso la finestra per intravedere l’amata. Lo sposo invita la sposa a raggiungerlo all’esterno, dove l’arrivo della primavera è annunciato dai fiori che sbocciano, dal canto degli uccelli, dal profumo nell’aria. 3. L’interpretazione letterale L’interpretazione letterale è attenta agli aspetti inerenti il dramma. Intelligi igitur mihi videtur ex initio propositi dramatis sponsam foris stare in bivio et ob amo rem sponsi hinc atque inde prospicere si forte veniat, si forte appareat, nec velle viam ingredi aliquam, dum ignorat unde magis veniat, nec domi sed foris stare et desiderio eius agitatam dicere: Osculetur me ab osculis oris sui. Ubi autem venit sponsus, dicat: Bona sunt ubera tua super vinum (Ct 1, 2) et reliqua, usque ad eum locum ubi ait: Post te curremus (Ct 1, 4). Post haec dilecta iam et vicem caritatis ab sponso recipiens introducatur in cubiculum eius et dicat: Introduxit me rex in cubiculum suum (Ct 1, 4). Sed et cetera, quae post haec scripta sunt, intus posita loquatur ad sponsum praesentibus et assistentibus sponsae quidem adulescentulis, sponso vero sodalibus. 1
Nella ricapitolazione del dramma sono descritti i movimenti della sposa e dello sposo. Secondo la ricostruzione la sposa sta fuori («foris stare»); non vuole stare in casa ma resta fuori («nec domi sed foris stare»), mentre attende l’arrivo dello sposo. L’indicazione è in contraddizione, almeno apparente, rispetto a quella proposta nel commento a Ct 1, 2 («iacentem domi suae»). La divergenza si spiega in rapporto al contesto: nel commento a Ct 2, 9-10 la sposa non vuole stare dentro casa sua, perché è ormai pronta per essere condotta alla casa dello sposo; per questo motivo, sta ad un bivio e guarda «da una parte e dall’altra se egli [scil. lo sposo] venga, se appaia; né essa vuole incamminarsi per una strada, finché ignora da che parte egli venga». L’incertezza dell’attesa è evidenziata dall’isokolon «si forte veniat, si forte appareat». L’attesa diventa impaziente: la sposa «non vuole neppure stare in casa, ma resta fuori e agitata dal desiderio di lui dice: Mi baci con i baci della sua bocca». Infine lo sposo arriva e incontra la sposa, che dice: «Le tue mammelle sono deliziose piú del vino, e ciò che segue fino a correremo dietro di te». 2 Queste parole descrivono le delizie dell’intimità. La sposa è stata condotta nella casa dello sposo; «ormai amata e ricevendo il contraccambio della carità dallo sposo, viene introdotta nella camera del tesoro di lui». Lo sposo, che è il figlio del re, rende l’amata partecipe della sua dignità, introducendola nella camera del tesoro.
the Song comes to the fore in the woman’s speech: she excels at conjuring up her lover, letting him disappear, and conjuring him up again. First heard, then seen at a distance, he materializes through her poetic powers of representation (i.e., those of the poet who puts this speech in her mouth)». 1 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 4-5 (ed. cit., p. 658). 2 Dei versetti 1, 1-4 del Cantico sono riproposte solo la frase iniziale e finale, ad esclusione delle parole «Profumo diπuso è il tuo nome», che hanno significato profetico: «Certo in queste parole si può scorgere una profezia fatta dal personaggio della sposa intorno a Cristo» (Rufin., Orig. in cant., 1, 4, 2).
spasimante d’amore
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Nel passo si riconosce già il tema principale: l’assenza e la presenza dello sposo. Il tema è enunciato in modo piú esplicito nella seconda parte del testo. Verumtamen intelligatur sponsus utpote vir non semper esse in domo neque semper assidere sponsae intra domum positae, sed exeat frequenter et illa eum quasi amore eius sollicita requirat absentem; sed et ipse interdum redeat ad eam. Propter quod et videtur per totum libellum ali quando quidem velut absens requiri sponsus, aliquando vero velut praesens colloqui cum sponsa. Ipsa autem sponsa cum multa et magnifica in sponsi cubiculo pervidisset, petit se etiam in domum vini introduci (Ct 2, 4). Quam cum ingressa perspexisset, sponsus utpote vir non resederit in domo, ipsa vero rursus amore eius exagitata exierit foras et circumiens peragret cir ca domum ingrediens atque egrediens et omni ex parte prospiciat quando ad eam redeat sponsus; et ecce subito videat eum vicinorum montium iuga immensis saltibus superantem descendere ad domum in qua amore eius sollicita aestuat sponsa. 1
La congiunzione verumtamen oppone alla scena precedente una nuova scena: «si deve capire che lo sposo, in quanto uomo, non sta sempre in casa e non sta sempre accanto alla sposa che resta in casa, ma esce spesso». Nella correctio il concetto è ripetuto per due volte, prima con generico riferimento alla casa («non semper esse in domo») e poi con piú preciso riferimento alla sposa che sta in casa («neque semper assidere sponsae intra domum positae»). La casa è soprattutto il luogo in cui lo sposo sta accanto alla sposa. La sposa vorrebbe stare sempre insieme allo sposo e, «quasi spasimando per l’amore di lui, cerca l’assente» («quasi amore eius sollicita requirat absentem»). L’amore coniugale si manifesta nelle alterne vicende, descritte in forma di isokolon («aliquando quidem velut absens requiri sponsus, aliquando vero velut praesens collo qui cum sponsa»): «talvolta lo sposo viene ricercato perché è assente, talvolta invece è presente e parla con la sposa». Il sentimento della sposa è il desiderio, l’ansiosa ricerca dell’amato; il sentimento dello sposo è invece la carità, che è partecipazione e condivisione di vita. La sposa cerca questa condivisione: non si accontenta delle molte magnifiche cose che ha visto nella camera dello sposo, ma chiede di essere introdotta nella casa del vino. Tuttavia dopo che è entrata e ha visto la casa del vino, «lo sposo, ch’è uomo, non è rimasto in casa; perciò agitata di nuovo dall’amore di lui la sposa esce fuori» e lo cerca dovunque: «va in giro intorno alla casa, entrando uscendo e guardando da ogni parte quando ritorni a lei lo sposo». Nell’esprimere l’agitazione della sposa («amore eius exagitata») il ritmo della frase diventa incalzante, per la rapida successione dei verbi di movimento. La sposa si muove in tutte le direzioni, intorno alla casa, dentro e fuori, e guarda da ogni parte. La sposa è agitata e in fervida attesa. Il suo stato d’animo è espresso dalla locuzione «amore eius sollicita», ricorrente poco prima per dire l’amore che muove la sposa («amore eius sollicita requirat absen tem»), e dal verbo aestuat, che indica l’ardore del desiderio. All’impaziente attesa della sposa si oppone l’indugio dello sposo, che si fa attendere. 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 6-7 (ed. cit., pp. 658-660).
160 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Perveniens vero sponsus ad parietem domus stet paululum post ipsum considerans, ut fieri solet, aliquid et animo retractans; iam vero etiam ipse sentiens aliquid amoris erga sponsam, usus altitudine sua, quae attingit usque ad fenestras domus, quae fenestrae habeant partem aliquam operis, ut aiunt, reticulati, et, cum incumbat quidem per fenestras, eminentior autem sit etiam fenestris et attingat usque ad superiora earum quae reticulato, ut diximus, opere distinctae sunt, inde prospiciens alloquatur sponsam et dicat ei: Exsurge, veni proxima mea, formosa mea, columba mea (Ct 2, 10) et reliqua. 1
L’atteggiamento riflessivo dello sposo («considerans... aliquid et animo retractans») è molto diverso dall’indole impulsiva della sposa. Lo sposo si comporta con contegno, ma ormai anche lui sente l’amore per la sposa. L’espressione «sentiens aliquid amoris erga sponsam» è molto attenuata, ma i gesti e le parole dello sposo lasciano intravedere il suo amore: grazie alla sua alta statura, che arriva fino alle finestre della casa […] egli si sporge attraverso […]. Guardando attraverso il reticolo, si rivolge alla sposa e le dice: Alzati, vieni, tu che mi sei vicina, mia bella, mia colomba (Ct 2, 10). 2
4. Il confronto con le Omelie sul Cantico dei Cantici Il sentimento della sposa, spasimante per l’amore dello sposo, è descritto in un celebre passo delle Omelie sul Cantico dei Cantici. Deinde conspicit sponsum, qui conspectus abscedit. Et frequenter hoc in toto carmine facit, quod, nisi quis ipse patiatur, non potest intelligere. Saepe, Deus testis est, sponsum mihi aduentare conspexi et mecum esse quam plurimum; quo subito recedente, inuenire non potui quod quaerebam. Rursum igitur desidero eius aduentum et nonnumquam iterum uenit; et cum apparuerit meisque fuerit manibus comprehensus, rursus elabitur et, cum fuerit elapsus, a me rursus inquiritur et hoc crebro facit, donec illum uere teneam et adscendam innixa super fratruelem meum (Ct 8, 5). 3
La spiegazione del testo trova naturale sviluppo in una riflessione di tono personale: condizione necessaria per la comprensione del testo è l’esperienza di ciò che è descritto in esso («quod, nisi quis ipse patiatur, non potest intelligere»). Il ritmo incalzante e le riprese verbali e concettuali descrivono una sequenza di momenti, ravvicinati tra loro e connessi l’uno all’altro. Un primo esempio si trova all’inizio del passo: «conspicit sponsum, qui conspectus abscedit». Nello sviluppo del discorso, il ritmo sembra un po’ diminuire, in modo da permettere di distinguere uno dopo l’altro i singoli momenti: «sponsum mihi aduentare conspexi... quo subito recedente, inuenire non potui…». Ma poi nuovamente il ritmo diventa sempre piú incalzante: «Rursum igitur desidero eius aduentum et nonnumquam iterum uenit; et cum apparuerit meisque fuerit manibus comprehensus, rursus elabitur…». Mentre il ritmo aumenta, la sequenza dei momenti torna a ripetersi: «rursus elabitur et, cum fuerit elapsus, a me rursus inquiritur et hoc crebro facit…». La sequenza del tempo si piega in 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 8 (ed. cit., p. 660). Ivi (trad. cit., p. 243). 3 Hier., hom. Orig. in cant., 1, 7 (ed. cit., pp. 94-96). 2
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una spirale che diventa vorticosa. Ma alla fine di essa si intravede l’uscita: «donec illum uere teneam et adscendam innixa super fratruelem meum (Ct 8, 5)». 5. L’interpretazione spirituale Dopo il confronto con le Omelie, torniamo al Commento al Cantico dei Cantici. «L’interpretazione spirituale di questo testo non è altrettanto laboriosa e di√cile». 1 Il significato spirituale è infatti ricavato a partire dall’interpretazione letterale.
Sponsa enim Verbi anima, quae in domo eius regali, hoc est in ecclesia, consistit, docetur a Verbo Dei, qui est sponsus suus, quaecumque sunt reposita et recondita intra aulam regiam et cubiculum (Ct 1, 4) regis; discit in hac domo, quae est ecclesia Dei vivi (1 Tm 3, 15), etiam vini illius quod de sanctis torcularibus congregatum est cellam (cfr. Ps 8, 1; 80, 1; 83, 1; cfr. Ct 2, 4), vini non solum novi, sed et veteris ac suavis, quae est doctrina legis et propheta rum; in quibus su√cienter exercitata recipiat in se ipsum qui erat in principio apud Deum Deus Verbum (cfr. Jo 1, 1), sed non semper secum permanentem (cfr. Mt 26, 11) – non enim possibile est hoc humanae naturae –, sed interdum quidem visitetur ab eo, interdum vero relinquatur, ut amplius desideret eum. 2
Per ogni dettaglio del dramma è proposta la corrispondenza fra la lettera e il significato spirituale. «La sposa del Verbo, l’anima, […] sta nella reggia di lui, cioè nella Chiesa». È un primo grado di intimità: abitare nella stessa casa. L’anima è legata al Verbo dal vincolo sponsale, ed è stata accolta nella sua casa. Questa intimità è destinata a crescere, come avviene nel rapporto coniugale. «L’anima […] apprende dal suo sposo, il Verbo di Dio, tutto ciò ch’è riposto e nascosto nel palazzo reale e nella camera del tesoro regio». È un secondo grado di intimità: apprendere dall’amato i suoi segreti. Il Verbo fa conoscere ciò che è nascosto nella sua casa, ciò che è sconosciuto agli estranei, ciò che è noto solo a chi è in rapporto di intimità e familiarità con lui. Apprende che in questa casa, ch’è la Chiesa del Dio vivente (1 Tm 3, 15), c’è anche una cantina di quel vino che fu messo insieme dai torchi santi, vino non solo nuovo ma anche vecchio e dolce, rappresentato dalla dottrina della legge e dei profeti. 3
È un terzo grado di intimità: il convito, il banchetto, la condivisione. La condivisione avviene nella dottrina: solo l’anima che è stata istruita (docetur) dal Verbo può gustare la sua doctrina. «Su√cientemente esercitata su questi testi, essa può accogliere in sé colui ch’era in principio presso Dio, il Dio Verbo (Jo 1, 1)». È un quarto grado di intimità: solo chi ha condiviso la dottrina del Verbo può poi accogliere in sé la sua persona. Egli però non resta sempre con lei – questo infatti è impossibile per la natura umana –, ma talvolta la viene a visitare talvolta l’abbandona, a√nché essa lo desideri di piú. 4
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 10 (trad. cit., p. 243). 3 Ivi (ed. cit., pp. 660-662). Ivi (trad. cit., p. 243). 4 Ivi (trad. cit., pp. 243-244). 2
162 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur 6. La visita del Verbo presso la casa Quest’ultimo momento di intimità è quello descritto in Ct 2, 8-10. Allorché essa viene visitata dal Verbo di Dio, secondo il significato del passo addotto sopra, egli viene a lei salendo attraverso i monti, cioè rivelandole gli elevati ed eccelsi princípi della scienza divina, fino ad arrivare all’edificazione della Chiesa, ch’è la casa del Dio vivente, colonna e fondamento di verità (1 Tm 3, 15). 1
Questa visita del Verbo si distingue dalle visite descritte in precedenza perché comporta la rivelazione dei piú alti princípi della scienza divina: non è soltanto illuminazione concettuale né visione meridiana, ma concorre all’edificazione della Chiesa, che è la casa del Dio vivente. Il modo in cui avviene la rivelazione è descritto attraverso l’immagine del Verbo che sta presso la parete. Egli sta presso la parete (o dietro la parete), in maniera da non essere né del tutto nascosto né del tutto visibile. Infatti il Verbo di Dio e la parola di scienza (1 Cor 12, 8) non si rivela all’aperto e alla presenza di tutti né tale da essere calpestato (Mt 7, 6), ma viene trovato solo se sarà stato cercato, e viene trovato non all’aperto ma coperto e quasi nascosto dietro la parete. 2
Il Verbo non si rivela apertamente a chiunque, ma in modo coperto, solo a chi è nella sua casa. Essere nella sua casa significa essere in rapporto di intimità e familiarità con lui, essere nelle condizioni di poter accogliere la sua rivelazione. Anima autem, quae in ecclesia esse dicitur, non intra aedificia parietum collocata intelligitur, sed intra munimenta fidei et aedificia sapientiae posita celsisque fastigiis caritatis obtecta. Propositum ergo bonum et fides rectorum dogmatum esse animam in domo ecclesiae facit; cuius domus membra quaedam sunt quae vel cubiculum (cfr. Ct 1, 4) vel domus vini (cfr. Ct 2, 4) vel alia huiusmodi pro gratiarum scilicet gradibus et donorum spiritalium diversitatibus appellantur. 3
All’anima che è nella sua casa il Verbo si rivela stando dietro la parete, che indica la stabilità della dottrina. Le condizioni per accogliere la dottrina rivelata dal Verbo non sono però su√cienti per poter vedere faccia a faccia la sua persona. Egli non si manifesta ancora a lei in maniera evidente e completa, ma quasi guardando attraverso la rete l’esorta e la spinge a non starsene dentro in ozio ma ad uscire fuori e a cercare di vederlo non piú attraverso finestre e reti né come attraverso uno specchio e per enigmi, bensí uscendo fuori e standogli faccia a faccia (1 Cor 13, 12). 4
L’anima non può limitarsi a «starsene dentro in ozio», a rimanere all’interno della casa, a restare al sicuro tra le solide pareti della dottrina; non può 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 11 (trad. cit., p. 244). Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 11-12 (trad. cit., p. 244). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 13 (ed. cit., pp. 662-664). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 14 (trad. cit., p. 245). 2
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fermarsi alla dottrina ma deve proseguire la ricerca, per poter vedere faccia a faccia la persona del Verbo: ora, poiché essa non è in condizione di poterlo osservare cosí, egli le sta non di faccia ma alle spalle e dietro la parete. Ma egli si sporge attraverso le finestre, che senza dubbio erano aperte per ricevere luce ed illuminare la casa: sporgendosi e guardando attraverso, il Verbo di Dio spinge l’anima ad alzarsi ed a venire a lui. 1
L’anima non può ancora vedere faccia a faccia il Verbo; per questo motivo, il Verbo sta alle spalle e dietro la parete, e si sporge attraverso le finestre: senza dubbio ciò indica che, finché l’anima si trova nella casa di questo corpo, essa non può accogliere integra e schietta la sapienza di Dio, ma attraverso simboli segni e immagini di cose visibili contempla le realtà invisibili e incorporee. 2
Ma l’anima non può accontentarsi di vedere il Verbo attraverso finestre («per finestre intendiamo i sensi corporei») e reti, non può limitarsi a conoscere il Verbo in modo mediato, attraverso i sensi corporei, ma deve accedere alla visione diretta. Per questo motivo, deve seguire l’esortazione del Verbo ad ‘uscire’, ad abbandonare le cose corporee e visibili e ad aπrettarsi alle realtà incorporee e invisibili. Il Verbo di Dio, guardando attraverso queste finestre e dirigendo il suo sguardo alla sposa anima, l’esorta ad alzarsi e a venire a lui, cioè ad abbandonare le cose corporee e visibili e ad aπrettarsi alle realtà incorporee e spirituali, poiché le cose che si vedono sono e√mere, invece quelle che non si vedono sono eterne (2 Cor 4, 18). Cosí si dice che lo spirito di Dio va in giro e cerca anime degne (Sap 6, 16), che possano diventare adatte per essere abitazione della sapienza. 3
7. La casa della Chiesa e la casa dell’anima Nel saggio intitolato ‘Sei diventato Tempio di Dio’, Carlo Lorenzo Rossetti ha proposto alcune interessanti osservazioni. In questo brano il tema della ‘casa-dimora’ è onnipresente con una notevole varietà di significati. […] Rinveniamo innanzi tutto la casa in cui si trova la sposa: essa è la reggia dello sposo, cioè la Chiesa di Dio. […] Abbiamo quindi un passare dalla ‘casa’ (dimora dello sposo e luogo di grazia) ad un ‘uscire fuori’ (giungere ad una visione facciale ed immediata). L’anima deve prima entrare a ripararsi nella Chiesa, cioè avvalersi de ‘le fortificazioni della fede e l’edificio della sapienza’, coprirsi con ‘gli alti fastigi dell’amore’, appoggiarsi alla ‘stabilità della dottrina’; ma poi, deve compiere un esodo nuziale. Essa deve uscire. E qui troviamo un’altra valenza di ‘casa’ che si intreccia e sostituisce alla prima, ecclesiologica, desunta da 1 Tm 3, 15. Adesso la casa dalla quale deve andarsene la sposa è la ‘casa del corpo’, ossia abbandonare le realtà carnali, sensibili e corruttibili e dirigersi verso quelle spirituali, invisibili ed eterne. Quando l’anima compie questo esodo, allora si può unire veramente al Verbo di Dio ed essere tutta ripiena di Lui. 4
1
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 14-15 (trad. cit., p. 245). Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 19 (trad. cit., p. 246). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 18 (trad. cit., p. 246). 4 Carlo Lorenzo Rossetti, ‘Sei diventato Tempio di Dio’, cit., pp. 134-135. 2
164 parte terza. ad mystica spiritali amore conscenditur Queste precisazioni trovano riscontro nel testo, che parla della casa della Chiesa e della casa del corpo. Tuttavia il testo parla anche di un’altra casa: l’anima che è degna di diventare abitazione della sapienza. Questa è la nozione chiave per comprendere l’intero sviluppo del discorso. La Chiesa, casa del Verbo, è il luogo dove l’anima è istruita da lui e apprende la dottrina, per poter accogliere in sé il Verbo stesso. 1 È il Verbo ad edificare la casa della Chiesa, colonna e fondamento di verità, rivelando gli elevati ed eccelsi princípi della scienza divina. 2 Il Verbo edifica la casa della Chiesa poiché egli non si rivela all’aperto e alla presenza di tutti: non viene trovato all’aperto ma coperto e quasi nascosto dietro la parete; 3 la parete è la parte di questa casa che indica la stabilità della dottrina: 4 dietro di essa sta il Verbo, in modo da non essere del tutto visibile. Il Verbo si rivela all’anima che sta nella casa della Chiesa, cioè è posta dentro le fortificazioni della fede e l’edificio della sapienza ed è coperta dagli alti fastigi della carità: buon proposito e fede nella retta dottrina fanno sí che l’anima stia nella casa della Chiesa. Le anime, che sono membra della Chiesa, sono parte di questa casa. 5 Ma lo Spirito di Dio cerca anime degne di diventare abitazione della sapienza; 6 tuttavia, finché l’anima si trova nella casa di questo corpo, essa non può accogliere integra e schietta la sapienza di Dio, ma attraverso simboli segni e immagini di cose visibili contempla le realtà invisibili e incorporee. 7
1
Rufin., Rufin., 5 Rufin., 7 Rufin., 3
Orig. Orig. Orig. Orig.
in in in in
cant., cant., cant., cant.,
3, 3, 3, 3,
14, 14, 14, 14,
10. 12. 13. 19.
2
Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 11. Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 14. Rufin., Orig. in cant., 3, 14, 18.
4
6
CONCLUSIONI
1. La mistica e il dramma d’amore
A
«
matorium drama»: in queste due parole è racchiuso il senso del Cantico dei Cantici, del commento origeniano e della nostra indagine. Il termine drama è al centro del capitolo iniziale, l’amore è al centro dell’intero volume. Nelle conclusioni i risultati dell’analisi sono collocati all’interno di una cornice, in modo da proporre un quadro completo. Fra i tre libri di Salomone il Cantico dei Cantici corrisponde alla mistica, cioè alla scienza contemplativa. La contemplazione è insistenza prolungata dello sguardo, ma nell’interpretazione origeniana del Cantico dei Cantici diventa dramma: piú precisamente, mistica è sentirsi protagonista di un dramma sponsale, un dramma d’amore; mistica è sentirsi sposa che ama lo sposo ed è amata da lui. La mistica è il punto di vista dal quale è possibile comprendere il rapporto esistente tra due modi diπerenti di descrivere l’amore: l’amore in azione e il sentimento dell’amore. Il primo aspetto emerge dall’interpretazione letterale, che conferisce risalto al dramma. In primo piano è l’azione del Verbo, che si rende presente nell’anima con le sue tre visite. 1. La prima visita avviene all’arrivo del Verbo, che saluta l’anima con i suoi baci, corrispondenti all’illuminazione della mente con i concetti divini. 2. La seconda visita consiste nella visione meridiana: Cristo, sole di giustizia, illumina di piena luce colui che avrà trovato retto di cuore; la luce della mente e la purezza del cuore, che sono in lui, diventano piú chiare e splendide, ed egli sembra avere il mezzogiorno in se stesso. 3. La terza visita è la rivelazione dei piú elevati ed eccelsi princípi della scienza divina, fino ad arrivare all’edificazione della Chiesa, che è la casa del Dio vivente. Il secondo aspetto è il sentimento dell’amore. L’amore non è soltanto passione, non è soltanto emozione, ma è anche e soprattutto sentimento; l’amore non è soltanto attesa, non è soltanto ricerca, ma è anche e soprattutto unione, comunione, immedesimazione, percepita dai sensi interiori e poi nella parte piú interna dell’anima, il cuore. 2. Dall’amore alla carità Nel Commento al Cantico dei Cantici l’amore che unisce la sposa allo sposo è descritto nel suo sviluppo, che avviene per gradi: 1 il desiderio dell’amore (l’assenza dell’amato) e il sentimento dell’amore (la presenza dell’amato); impaziente d’amore (la separazione dall’amato) e il legame d’amore (il legame che unisce l’amata e l’amato); e poi l’ordine della carità (la carità 1 Seguendo i suggerimenti del professore Manlio Simonetti, ho attenuato il senso di un progresso dall’amore alla carità; in effetti, non si trova menzione esplicita di esso nel Cantico dei Cantici, nei frammenti greci e nella traduzione rufiniana del commento origeniano; peraltro, la traduzione latina è incompiuta e permette di seguire l’interpretazione di Origene fino a Ct 2, 15. Per questi motivi, propongo solo un accenno all’idea di un percorso dall’amore alla carità a titolo di interpretazione personale, nata nelle fasi finali della composizione del volume e destinata ad essere verificata con successive indagini.
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che unisce agli ‘altri’) e la ferita della carità (la carità che divide la propria anima); e infine spasimante d’amore (l’amata che non sopporta la divisione dall’amato). La sequenza di opposizioni (assenza-presenza, separazionelegame, e poi in ordine invertito comunione-lacerazione), con alternanza del momento divisivo e unitivo, evidenzia un progresso: dal desiderio all’amore, dall’amore alla carità. In ultimo è nuovamente menzionato l’amore, attraverso il quale la carità progredisce verso la perfezione. Nell’attesa dell’unione con il Verbo, l’anima sente il desiderio del suo amore. Non c’è desiderio se non c’è già amore, e tuttavia il desiderio è un amore incompiuto: il desiderio è passione (struggimento, ferita d’amore), ma anche emozione (ardore, agitazione); l’anima, che soπre per amore, si muove alla preghiera e alla supplica a√nché il Verbo si renda presente. Nell’unione con il Verbo l’anima sente l’amore. L’amore è un sentimento etereo, un sentimento di soavità: come il profumo, l’amore si annienta, e in apparenza svanisce; ma proprio disperdendosi, si diπonde e si propaga piú estesamente. Ridotto in forma invisibile, si lascia naturalmente assorbire e compenetra l’anima, che avverte dentro di sé la sua soavità. Annientandosi l’amore non perde la sua e√cacia, la sua fragranza inebriante. L’amore si fa sentire con tutta la sua forza, coinvolgendo per intero l’anima; tuttavia non può rimanere all’interno dell’anima, ma vuole anche manifestarsi: non può restare nello stato di sentimento, ma ha la necessità di esprimersi. Il pieno coinvolgimento dell’anima vuole trovare corrispondenza nel pieno coinvolgimento del Verbo: l’anima non cerca soltanto la sua presenza, ma desidera che egli si dedichi interamente a lei. Questo è il momento nel quale si stabilisce il legame tra l’anima e il Verbo. Le immagini del profumo (il nardo, il sacchetto ben legato, il grappolo di cipro), disposte in gradazione di intensità crescente, esprimono il sentimento di un rapporto che cambia attraverso i momenti dello ‘scambio d’amore’, del ‘legame d’amore’, dello ‘sviluppo dell’amore’. Dopo che è stato stabilito il legame d’amore, l’anima e il Verbo sono reciprocamente uniti e il loro rapporto d’amore cresce e si sviluppa, diventando piú inclusivo. In questo modo avviene il passaggio dall’amore alla carità: l’anima, che è unita al Verbo, si sente legata alle altre anime che sono anch’esse unite al Verbo. L’amore, prima percepito dai sensi interiori, ora è avvertito dal cuore: questo sentimento è suscitato dal Verbo, freccia eletta, che penetra nella parte piú interna dell’anima, provocando in essa una ferita; la profonda lacerazione dovuta alla freccia che trafigge l’anima e rimane confitta nel cuore è un nuovo sentimento. La carità è l’intimo sentimento dell’anima che si apre al trascendente. Per questo sentimento l’anima è spasimante d’amore; presa dall’amore, è pronta per volare fino al Verbo di Dio. 1
1 Rufin., Orig. in cant., 4, 1, 4-5 (trad. cit., p. 252): «Infatti essa aveva concepito amore per il Verbo di Dio e desiderava arrivare a lui con celere volo dicendo: Chi mi darà penne, come a una colomba, e volerò e riposerò? (Ps 54, 6) Volerò coi sensi, volerò coi pensieri e riposerò allorché avrò compreso i tesori della sua sapienza e della sua scienza (Col 2, 3). Credo infatti che, come coloro che ricevono la morte di Cristo e mortificano le loro membra sulla terra
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3. Unione, comunione, immedesimazione Il percorso dall’amore alla carità avviene per gradi distinti ma strettamente connessi l’uno all’altro. All’inizio del commento (Ct 1, 2: «Mi baci con i baci della sua bocca») è descritto il momento precedente l’unione: «l’anima […] desidera soltanto congiungersi ed unirsi («coniungi et consociari») col Verbo di Dio ed entrare nei misteri della sua sapienza e della sua scienza come nel talamo dello sposo celeste». 1 Il desiderio è la tensione verso l’unione, che non è ancora avvenuta: l’unione è il congiungimento (coniungi) e la partecipazione a qualcosa che è comune (consociari). L’anima desidera congiungersi con il Verbo, in modo da poter essere una delle membra del corpo di Cristo. In seguito è rappresentata l’unione dell’anima con il Verbo (Ct 1, 4: «Il re mi ha introdotto nella sua camera del tesoro»).
Ma poiché colei per cui l’azione si svolge è la Chiesa che viene a Cristo e l’anima che sta unita (adhaerens) al Verbo di Dio, che cos’altro dobbiamo ritenere che sia la stanza dei tesori di Cristo e il deposito del Verbo di Dio, in cui egli introduce la sua Chiesa e l’anima a lui unita (cohaerentem), se non lo stesso segreto e nascosto senso di Cristo? 2
Essere unita non significa soltanto aderire (adhaerens), nel senso di ‘essere o rimanere a contatto’, ma essere coerente (cohaerentem), nel senso di ‘essere intimamente connessa’. Quindi sono distinti i diversi gradi dell’unione delle anime con il Verbo (Ct 1, 7: «Dimmi, tu che ha amato l’anima mia»). Orbene, tutte queste diπerenze si adattano a coloro che, credendo in Cristo, si uniscono (sociantur) a lui con diversi aπetti. […] alcune anime, che sono unite (socian tur) allo sposo da aπetto piú nobile e illustre, sono tenute presso di lui in condizione e aπetto di regine; altre, la cui dignità è inferiore in ragione del progresso (nel bene) e delle virtù, sono nella condizione di concubine; altre nella condizione di fanciulle, poste al di fuori della sala ma non fuori della città del re; inferiori a tutte e ultime sono le anime che abbiamo ricordato sopra, che sono chiamate pecore. 3
I diversi aπetti sono i diπerenti legami che uniscono le anime al Verbo; l’aπetto piú nobile e illustre è il legame per il quale le regine sono unite (sociantur) allo sposo nella partecipazione alla sua dignità regale. Dall’unione, intesa come legame aπettivo, si passa alla comunione (Ct 1, 16: «il nostro giaciglio è ombroso»). L’anima «è ritenuta degna di essere accolta al consorzio con il Verbo di Dio»: 4 il termine consortium signifi
(Col 3, 5) diventano partecipi di una morte simile alla sua (Rm 6, 5), cosí anche coloro che accolgono la virtù dello Spirito Santo e sono santificati da lui e sono colmati dai suoi doni, poiché quello è apparso in aspetto di colomba (Mt 3, 16), anch’essi diventano colombe, per volare dai luoghi corporei e terreni a quelli celesti, sollevati dalle penne dello Spirito Santo». 1 Rufin., Orig. in cant., 1, 1, 9 (trad. cit., p. 75). 2 Rufin., Orig. in cant., 1, 5, 3 (trad. cit., p. 100). 3 Rufin., Orig. in cant., 2, 4, 5-6 (trad. cit., p. 136). 4 Rufin., Orig. in cant., 3, 2, 2 (trad. cit., p. 188).
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ca ‘partecipazione’, ‘comunanza’, ‘comunione’; il senso della comunione è chiarito nel commento. Quanto poi al fatto che la sposa parla di nostro giaciglio, quasi indicando che il suo corpo è in comune con lo sposo, intendilo secondo quella immagine in base alla quale Paolo ha detto che i nostri corpi sono membra di Cristo (1 Cor 6, 15). Infatti quando egli parla di corpi nostri, è come se indichi che questo corpo è della sposa; ma quando ricorda le membra di Cristo, indica che questi corpi sono anche corpo dello sposo. 1
Il corpo della sposa è dunque anche corpo dello sposo; in modo analogo, il corpo dello sposo è anche corpo della sposa. Osserva poi anche se il corpo che Gesú ha assunto non possa essere definito come giaciglio che egli ha in comune con la sposa: infatti per mezzo di questo corpo la Chiesa si è unita con Cristo ed ha potuto partecipare del Verbo di Dio, in quanto egli è detto anche mediatore fra Dio e gli uomini e, come dice l’apostolo, in lui abbiamo accesso per mezzo della fede nella speranza della gloria di Dio. 2
Dalla comunione si passa all’immedesimazione. Nel processo di identificazione dell’anima con il Verbo di Dio è possibile distinguere due momenti: il primo momento, corrispondente al ‘Dio in me’, è descritto nel commento a Ct 2, 5 («Sono ferita dalla carità»). Se mai c’è qualcuno che una volta è stato arso da tale fedele amore per il Verbo di Dio, se c’è qualcuno che, come dice il profeta, ha ricevuto la dolce ferita della sua freccia eletta, se c’è qualcuno ch’è stato trafitto dal dardo amabile della sua scienza sí da sospirare per il desiderio di lui notte e giorno, sí da non poter dire altro, non voler udire altro, non saper pensare altro, non aver piacere di desiderare bramare aspettare altro che lui, tale anima a ragione dice: Sono ferita dalla carità (Ct 2, 5), e da lui ho ricevuto la ferita di cui dice Isaia: Mi ha posto come freccia eletta e mi ha nascosto nella sua faretra (Is 49, 2). 3
Il secondo momento, corrispondente all’‘io in Dio’, è descritto da Rossetti. Il ‘tu in me ed io in te’ si applica ora alla relazione amorosa tra Logos e anima nella falsariga dell’esclamazione del Cantico: “Il mio diletto è per me e io per lui” (2,16). L’anima non vive piú in se stessa, per se stessa, ma in Cristo e per Cristo. Per cosí dire l’anima non abita piú in se stessa, ma in Cristo. A questo punto essa può godere la piú alta fruizione di Dio. 4
4. Il sentimento dell’amore Nel Commento al Cantico dei Cantici l’amore è inteso in senso mistico. Il mistero dell’amore non può essere spiegato con il ragionamento; è possibile soltanto descrivere il modo in cui l’amore è ‘sentito’ dall’anima. In questo contesto, l’amore è ‘sentimento’: non è soltanto una ‘passione’ dalla quale la 1
Rufin., Orig. in cant., 3, 2, 5 (trad. cit., p. 189). Rufin., Orig. in cant., 3, 2, 9 (trad. cit., p. 190). 3 Rufin., Orig. in cant., 3, 8, 13 (trad. cit., pp. 212-213). 4 Carlo Lorenzo Rossetti, ‘Sei diventato Tempio di Dio’, cit., p. 205. 2
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sposa ‘è mossa’ e turbata; non è soltanto un’‘emozione’ per la quale la sposa ‘si muove’ alla ricerca dello sposo. Questi aspetti, presenti nel commento, non sono i tratti dominanti: essi sono in rapporto all’interpretazione letterale, che descrive il dramma; nell’interpretazione spirituale, e in particolare in quella psicologica, l’amore è invece il ‘sentimento’ della presenza del Verbo nell’anima. La presenza del Verbo è attiva, e lascia impressioni sui sensi interiori: l’udito è il senso che percepisce l’arrivo del Verbo; l’olfatto è il senso della soavità del Verbo che si rende presente; il gusto è il senso della dolcezza del Verbo, che diventa cibi diversi (latte, lenticchie, cibo solido, cibo degli angeli, cibo del luogo di delizie) per l’anima che progredisce fino alla perfezione; la vista è il senso che si esercita nel discernimento del bene e del male, per poter arrivare alla visione cioè alla piena comprensione del Verbo, dal quale l’anima rimane colpita; il tatto è il senso del contatto, cioè dell’adesione dell’anima al Verbo. Il tema dei sensi interiori ha un’importanza fondamentale, poiché descrive la facoltà umana di ‘percepire’ ‘sentire’ ‘comprendere’ il divino, e individua nell’anima le ‘impressioni’ lasciate dalla presenza del Verbo. In primo piano non è il modo in cui l’anima ‘sente’, ma i diversi modi in cui il Verbo ‘si fa sentire’ secondo la ‘capacità’ dell’anima: «per ogni singolo senso dell’anima Cristo diventa ogni singola facoltà». 1
Ma tutte queste facoltà sono il solo e lo stesso Verbo di Dio, che trasformandosi per loro mezzo in grazia degli aπetti della preghiera non lascia alcun senso dell’anima privo della sua grazia. 2
Il ‘sentimento’ dell’amore descrive nello stesso tempo l’‘azione’ del Verbo e la ‘passività attenta’ dell’anima, e pertanto rappresenta in modo sintetico il rapporto che unisce l’amato e l’amata. L’amato non è nella stessa condizione dell’amata: la potenza del Verbo va molto oltre la capacità dell’anima; anche se l’anima si impegna con tutta se stessa, con le sue forze non può comprendere il Verbo. Per questo motivo, il Verbo ‘si adatta’ in modo da poter essere compreso; e, una volta compreso, ‘adatta’ l’anima a√nché possa avere una maggiore comprensione. Infine il Verbo si manifesta con la sua potenza e agisce con forza sull’anima: la lacera, la trafigge, penetrando nella sua parte piú interna, il cuore. L’anima avverte un sentimento penetrante e lacerante: la carità. È il senso intimo della trascendenza, un amore troppo grande, troppo forte per l’anima, che rimane ferita. Pur ferita dalla carità, l’anima non può fare a meno di questo amore, che è rimasto confitto nel cuore. Questo è il senso del dramma d’amore. 1
Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 12 (trad. cit., p. 178). Rufin., Orig. in cant., 2, 9, 14 (trad. cit., pp. 178-179).
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FONTI ANTICHE Arist. EE 1240a 89 EN 1156a-b 89 1161b 89 1167b 89 Po. 1448a 29 Aug. serm. 349, 1, 1 66 Clem. Al. Strom. 5, 1, 13, 1-2 71 5, 3, 17, 1 71 Diom. gramm. 29 Eus. HE 6, 32, 2 24 Greg. Nyss. anim. et res. 133 Hier. epist. 33, 4 23, 24, 27 37, 3 24 hom. Orig. in cant. prol. 24 1, 1 28, 97 1, 2 31 1, 4 104 1, 7 160 1, 9 37 2, 1 31, 57 2, 8 132, 144 hom. Orig. in Luc. 25 132 in Ezech. prol. 23
Ignat. ad Rom. 5, 3 75 6, 1. 3 75 7, 2 15, 75, 76 7, 2-3 75 Orig. Disp. Heracl. 11-12 59 16-19 59 Hom. Gen. 1, 13 58 in cant. fr. 21 148 fr. 54 115 app. fr. 2 64 Phil. 7, 1 23, 28 Pl. Phdr. 246b-c 55 249d 55 252b 55 Resp. 3, 392d-394c 29 Smp. 201a 88 206b 88 208e-209a 60 209b-c 88 210a-211d 88 211b-d 54 Plot. Enn. 6, 8, 15 87 Rufin. Orig. in cant. prol. 1, 1 13, 31, 53 prol. 1, 1-2 33 prol. 1, 3 28, 32 prol. 1, 6 53 prol. 1, 7 23
180 prol. 1, 8 prol. 2, 1 prol. 2, 2 prol. 2, 3 prol. 2, 4-5 prol. 2, 6 prol. 2, 7 prol. 2, 9 prol. 2, 11 prol. 2, 12 prol. 2, 13 prol. 2, 14 prol. 2, 16 prol. 2, 17 prol. 2, 18 prol. 2, 19 prol. 2, 20 prol. 2, 21 prol. 2, 22-23 prol. 2, 24 prol. 2, 25 prol. 2, 26 prol. 2, 26-27 prol. 2, 27 prol. 2, 28 prol. 2, 29 prol. 2, 30 prol. 2, 31 prol. 2, 32 prol. 2, 33 prol. 2, 35 prol. 2, 36 prol. 2, 37 prol. 2, 38 prol. 2, 39 prol. 2, 43 prol. 2, 44 prol. 2, 45 prol. 2, 46 prol. 2, 47 prol. 2, 47-48 prol. 2, 48 prol. 3, 3 prol. 3, 5-7 prol. 3, 16 prol. 3, 22 prol. 3, 23 prol. 4, 23 1, 1, 1 1, 1, 3
fonti antiche 13, 29, 32, 53 53, 54 55 56 57 58 59 59 59 59 60 60 60, 61, 84, 87 61, 149 62, 63 63 64, 66, 68, 73, 84, 87 66, 86 67 148, 150 68, 71, 73, 83, 84, 87 15, 68, 71, 82, 84 68 15, 69, 85 69 15, 70, 71 72, 85 72 73, 74, 85 15, 73, 83, 85, 87 74, 85 16, 74, 87 77, 85 78, 85 78, 79 39, 79 80 80 46, 80 81 81 82 107 30 16 31 31, 46 39 32 36, 150
1, 1, 3-4 1, 1, 4 1, 1, 5 1, 1, 5-6 1, 1, 6 1, 1, 7 1, 1, 9 1, 1, 9-10 1, 1, 10 1, 1, 11 1, 1, 12 1, 1, 13 1, 1, 14 1, 2, 6 1, 2, 7 1, 3, 3 1, 4, 2 1, 4, 4 1, 4, 4-5 1, 4, 5 1, 4, 6 1, 4, 7 1, 4, 8 1, 4, 8-9 1, 4, 9 1, 4, 10-11 1, 4, 11-12 1, 4, 13-14 1, 4, 15 1, 4, 16 1, 4, 16-18 1, 4, 19 1, 4, 27 1, 4, 27-29 1, 4, 28-29 1, 5, 3 1, 5, 4 2, 1, 2 2, 2, 4 2, 2, 10 2, 4, 1 2, 4, 1-2 2, 4, 3 2, 4, 4 2, 4, 5 2, 4, 5-6 2, 4, 6 2, 4, 7 2, 4, 11 2, 4, 13
40, 96 36, 62, 150 98 43, 97 46, 98 41 98, 169 98, 99 45 41, 99 100 100 100 13, 33, 127 127 97 104, 158 103, 105 105 35, 44, 46 106 106 107 107 39, 46 109 109 110 110 110 111 111, 130 108 104, 108 46, 109 169 41 36 37 119 113 114 114, 115 115 116 169 33, 116 117 36, 117 117
fonti antiche 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3,
4, 14 4, 15 4, 16 4, 23 4, 25 4, 26 4, 28 4, 29 4, 29-30 4, 35-37 5, 2 6, 12 7, 1-2 7, 4 8, 3 8, 4-8 8, 7 8, 21 8, 41 9, 1 9, 2 9, 3 9, 11 9, 12 9, 12-13 9, 14 10, 1 10, 2-3 10, 4 10, 5-7 10, 8 10, 11 11, 1-2 11, 3 11, 3-4 11, 5 11, 6 11, 6-7 11, 8 11, 9 11, 11 1, 3 2, 2 2, 5 2, 7 2, 9 5, 3 5, 7 6, 1 6, 1. 3
117 115 38, 118 118 118 118 119 119 119 120 36 39 37 44 43, 97 97 35, 44 44 47 122 122, 128 122 123 123, 171 123 124, 171 46, 125 125 126, 128 126 128 45, 46, 126 127 128 128 128 129 129 129 46, 129 130 37 169 170 37 170 37, 153 41, 151 37 41
3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3,
6, 2 6, 6 7, 1-3, 7, 27 7, 2 7, 3 7, 4 7, 5 7, 6 7, 7 7, 8 7, 9 7, 10-11 7, 12 7, 13 7, 14 7, 15 7, 16 7, 16-17 7, 17-18 7, 18 7, 19 7, 20 7, 21 7, 22 7, 23 7, 24 7, 25 7, 26 7, 27 7, 28-31 8, 2 8, 11 8, 12 8, 13 8, 13-14 8, 14 8, 15 9, 1 9, 5 9, 7 9, 8-9 9, 10 10, 2 10, 7 11, 3 11, 8 11, 18 11, 19 14, 4 14, 4-5
181 41 41, 47 132 133 133 134 135 135 135 135 136 136 137 137 138 138 138 139 139 139 140 140 140 72, 141 141 141 142 143 44, 47, 143, 151 44 37, 41, 62, 151, 152 152 152, 153 42, 47, 154, 170 153 47, 154 13, 33, 41, 155 13, 33 45 45 45 45 38, 39 38 38 38 48 48 36, 40, 42 158
fonti antiche
182 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3, 3,
14, 14, 14, 14, 14, 14, 14, 14, 14, 14, 14,
5 6 6-7 7 8 10 10-13 11 11-12 12 13
42 42 37, 159 43 38, 43, 160 161, 164 48 162, 164 162 164 162, 164
3, 14, 14 3, 14, 14-15 3, 14, 18 3, 14, 19 4, 1, 2-4 4, 1, 4-5 4, 1, 6-9 4, 2, 18 Orig. in num. 11, 8
162, 164 163 163, 164 163, 164 48 168 49 49 132
L’AMORE E LE EMOZIONI NEL COMMENTO AL CANTICO DEI CANTICI I. I nomi dell’amore Amor prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol.
1, 1 1, 4 1, 6 1, 8 2, 1 2, 2 2, 3 2, 16 2, 17 2, 18 2, 19 2, 20 2, 21 2, 22 2, 23 2, 24 2, 25 2, 29 2, 33 2, 36 2, 38 2, 39 2, 40 2, 41 2, 43 2, 44 2, 45 2, 46 2, 47 3, 7 3, 15 3, 16 3, 23 4, 21
(2) (1) (1) (1) (5) (2) (1) (6) (4) (4) (1) (2) (2) (4) (4) (2) (1) (1) (1) (3) (1) (6) (2) (1) (4) (1) (2) (2) (1) (2) (1) (2) (1) (3)
1, 1, 3 1, 1, 4 1, 1, 6 1, 1, 7 1, 1, 10 1, 1, 13 1, 2, 4 1, 2, 6 1, 2, 7 1, 3, 12 1, 6, 4 2, 4, 11 2, 7, 8 2, 10, 11 2, 11, 3 3, 7, 2 3, 7, 23 3, 7, 24 3, 8, 2 3, 8, 13 3, 8, 15 3, 9, 1 3, 9, 5 3, 10, 1 3, 10, 2 3, 11, 3 3, 11, 13 3, 14, 4 3, 14, 6 3, 14, 7 3, 14, 8 4, 1, 4 4, 3, 7
(2) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (4) (1) (1) (1) (2) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1) (2)
Caritas prol. 2, 20 prol. 2, 22 prol. 2, 24
(1) (1) (2)
prol. 2, 25 prol. 2, 26 prol. 2, 27
(5) (8) (3)
l’amore e le emozioni
184 prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 3, 1, 1, 8 1, 4, 5 1, 4, 9 1, 6, 3 1, 6, 6 1, 6, 8 2, 3, 13 2, 4, 16 2, 8, 4 2, 8, 7 2, 8, 39 2, 8, 41 2, 11, 3 2, 11, 4 2, 11, 9 3, 7, 1 3, 7, 2 3, 7, 3 3, 7, 5
28 29 30 31 32 33 35 36 37 38 43 44 45 47 48 7
(2) (6) (1) (1) (1) (3) (2) (1) (1) (4) (1) (2) (5) (5) (4) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (3) (1)
3, 7, 6 3, 7, 8 3, 7, 9 3, 7, 10 3, 7, 11 3, 7, 12 3, 7, 13 3, 7, 14 3, 7, 15 3, 7, 17 3, 7, 18 3, 7, 19 3, 7, 20 3, 7, 21 3, 7, 22 3, 7, 26 3, 7, 27 3, 7, 28 3, 7, 29 3, 7, 30 3, 7, 31 3, 8, 1 3, 8, 12 3, 8, 13 3, 8, 14 3, 8, 15 3, 9, 5 3, 10, 1 3, 10, 7 3, 10, 8 3, 10, 9 3, 14, 5 3, 14, 13 4, 1, 9 4, 2, 18
(1) (1) (1) (1) (1) (3) (2) (2) (3) (1) (1) (1) (1) (3) (2) (3) (4) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (2) (1) (2) (7) (2) (2) (1) (1) (1) (1)
Dilectio prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol. prol.
2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2, 2,
20 21 22 25 26 28 29 33 35 36 37 38 41 42
(3) (4) (1) (4) (1) (2) (1) (1) (7) (1) (2) (2) (2) (1)
prol. 2, 43 prol. 2, 45 prol. 3, 23 1, 3, 11 1, 4, 1 1, 4, 3 1, 4, 4 1, 4, 6 1, 4, 27 1, 4, 28 1, 4, 29 1, 5, 3 1, 6, 2 1, 6, 3
(1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (3) (1) (1) (3)
l’amore e le emozioni 1, 6, 5 1, 6, 6 1, 6, 7 1, 6, 8 1, 6, 9 1, 6, 10 1, 6, 11 1, 6, 12 1, 6, 13 2, 1, 12 2, 1, 38 2, 3, 14 2, 4, 1 2, 4, 16 2, 5, 34 2, 7, 4 2, 8, 6 2, 8, 7 2, 8, 24 2, 10, 10 3, 7, 3 3, 7, 4
(2) (3) (1) (1) (3) (4) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (6) (1) (2) (3) (2) (1) (1) (3) (4)
3, 7, 5 3, 7, 6 3, 7, 7 3, 7, 9 3, 7, 10 3, 7, 13 3, 7, 15 3, 7, 16 3, 7, 17 3, 7, 18 3, 7, 22 3, 7, 24 3, 7, 25 3, 10, 2 3, 10, 5 3, 10, 7 3, 10, 8 3, 11, 19 3, 14, 5 4, 1, 8 4, 1, 19 4, 3, 34
185 (1) (3) (2) (2) (2) (2) (1) (6) (2) (2) (3) (4) (2) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1) (1) (1)
II. Il lessico degli affetti e delle emozioni Affectus prol. 1, 6 prol. 2, 6 prol. 2, 9 prol. 2, 39 1, 1, 14 2, 4, 4 2, 4, 5 2, 4, 6 2, 5, 7 2, 5, 8 2, 5, 9 2, 5, 10
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1) (1) (2)
2, 2, 2, 2, 2, 2, 3, 3, 3, 3, 3,
5, 13 5, 17 6, 13 9, 7 9, 14 10, 11 7, 6 7, 8 7, 19 7, 26 9, 5
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (3) (1)
Concupiscentia prol. 1, 4 prol. 1, 6 prol. 2, 43 prol. 3, 14 1, 2, 12 1, 4, 12 3, 4, 3 3, 5, 1
(1) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (1)
3, 3, 3, 3, 3, 3, 3,
5, 3 5, 9 5, 10 5, 12 5, 15 5, 17 14, 16
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (1)
l’amore e le emozioni
186
Cupido prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, prol. 2, 1, 1, 6 2, 4, 9 2, 4, 11 2, 4, 15
16 17 20 39 43
(3) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1)
2, 5, 9 2, 5, 12 3, 8, 13 3, 8, 17 3, 8, 18 3, 10, 6 4, 1, 4 4, 2, 20 4, 3, 7
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1)
Desiderium prol. 2, 1 prol. 2, 46 prol. 3, 7 prol. 3, 14 prol. 3, 22 prol. 3, 23 prol. 4, 3 1, 1, 3 1, 1, 4 1, 1, 5 1, 1, 6 1, 1, 10 1, 3, 12 1, 6, 3 2, 4, 11 2, 4, 17 2, 4, 26 2, 4, 30 2, 4, 35 2, 5, 3 2, 5, 35 2, 8, 21
(2) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1)
2, 8, 32 2, 8, 33 2, 8, 35 2, 8, 36 2, 10, 11 3, 1, 5 3, 5, 15 3, 6, 1 3, 6, 6 3, 8, 11 3, 8, 13 3, 8, 16 3, 11, 17 3, 11, 18 3, 13, 2 3, 13, 4 3, 13, 37 3, 13, 39 3, 14, 4 3, 14, 10 4, 1, 7 4, 2, 2
(1) (1) (2) (2) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (2) (1) (1) (1) (2) (1) (2) (1) (1) (1) (1) (1)
Gaudium 1, 2, 21 1, 3, 11 2, 5, 13
(1) (1) (1)
3, 8, 8 4, 1, 9 4, 2, 18
(2) (1) (1)
Laetitia prol. 1, 2 1, 2, 2 1, 2, 6 1, 2, 8 1, 2, 9 1, 2, 10 1, 2, 20 1, 2, 22
(1) (1) (1) (1) (1) (2) (1) (1)
1, 2, 23 1, 3, 11 1, 5, 9 1, 6, 2 1, 6, 4 2, 1, 33 2, 3, 18 2, 8, 32
(1) (3) (1) (1) (1) (1) (1) (1)
l’amore e le emozioni 2, 3, 3, 3,
11, 6 6, 1 6, 6 7, 28
(1) (2) (1) (1)
3, 14, 20 3, 14, 25 4, 1, 11 4, 2, 18
187 (1) (1) (1) (2)
Libido prol. 1, 6
(1)
prol. 2, 39
(1)
Metus 2, 5, 3
(1) Odium
prol. 2, 21 1, 3, 11 2, 5, 10
(4) (1) (1)
2, 7, 4 3, 7, 23 3, 7, 26
(1) (2) (3)
Pietas prol. 2, 35 2, 8, 39 3, 8, 15
(1) (1) (1)
3, 12, 3 4, 3, 22
(1) (1)
Spes prol. 2, 45 1, 6, 3 2, 2, 7 2, 4, 20 2, 4, 28 2, 5, 18 2, 8, 28 2, 9, 6
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (1) (1)
3, 2, 9 3, 8, 9 3, 8, 13 3, 13, 19 3, 14, 1 3, 14, 2 4, 1, 22 4, 2, 18
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (1)
Timor prol. 2, 10 2, 1, 19 2, 1, 24 2, 4, 20 2, 5, 11 2, 5, 40 2, 6, 4
(1) (1) (1) (1) (1) (2) (1)
2, 3, 3, 3, 3, 3,
7, 4 7, 28 8, 15 10, 7 11, 5 13, 33
(1) (1) (1) (2) (1) (1)
4, 2, 18
(1)
Tristitia 2, 5, 11 2, 5, 13
(1) (1)
comp o s to in ca ra ttere serra gar am ond d al l a f abrizio serra editore, pis a · r oma. impresso e rilega t o d al l a ti pogra fia di a gn a n o, a gn ano pis ano (pis a).
* Febbraio 2016 (cz2/fg13)
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QU A DER N I D E L L A « R IVIS T A DI C U LT UR A C L AS S I C A E M EDIO EV AL E » Collana diretta da Liana Lomiento 1. Domenico Musti, I Telchini, le Sirene. Immaginario mediterraneo e letteratura da Omero e Callimaco al romanticismo europeo, 1999. 2. Giampietro Marconi, Una aemulatio … a degrado. (P. Aretino, Giornata 2,2: del barone e della signora), 2001. 3. Steno Vazzana, Dante e la ‘bella scola’, 2002. 4. Pierre-Jacques Dehon, Hiems nascens. Premières représentations de l’hiver chez les poètes latins de la République, 2002. 5. Platone, Il simposio, Introduzione, testo, traduzione e commento a cura di R. Arcioni, 2003. 6. Sofia Mattei, Vuoto e materia sensibile nelle Enneadi di Plotino, 2004. 7. Rodney Lokaj, Verga seduto all’ombra dell’ilice nera sive Reminiscenze classiche nella Capinera, 2004. 8. Giuseppe Broccia, La rappresentazione del tempo nell’opera di Orazio, 2007. 9. Gigliola Maggiulli, Per alta nemora. La poesia Del mondo vegetale in Seneca tragico, 2007. 10. Antonio Rossini, Il Dante sapienzale. Dionigi e la bellezza di Beatrice, 2009. 11. Antonio Rossini, Dante, il nodo e il volume. Una Lectura di Paradiso 33, 2011. 12. Antonio Rossini, Trinità e comunione in Dante, 2013. 13. Antonio Martina, Menandrea, i-ii-iii, in preparazione. 14. Tra lyra e aulos. Tradizioni musicali e generi poetici. Atti del vii Meeting di moisa – International Society for the Study of Greek and Roman Music and its Cultural Heritage, 5-6 settembre 2014, Urbino, a cura di Luigi Bravi, Liana Lomiento, Angelo Meriani, Giovanna Pace, in preparazione. 15. Vincenzo Lomiento, Amatorium drama. Il Cantico dei Cantici nel com mento di Origene, 2016.
FABR IZIO SER R A ED I T O R E P I S A · RO M A
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