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Italian Pages 359 Year 2021
Fragmenta Comica (FrC) Kommentierung der Fragmente der griechischen Komödie Projektleitung Bernhard Zimmermann Im Auftrag der Heidelberger Akademie der Wissenschaften herausgegeben von Glenn W. Most, Heinz-Günther Nesselrath, S. Douglas Olson, Antonios Rengakos, Alan H. Sommerstein und Bernhard Zimmermann
Band 10.7 · Aristophanes fr. 392–486
Maria Cristina Torchio
Aristofane Nephelai protai – Proagon (fr. 392–486) Traduzione e commento
Vandenhoeck & Ruprecht
Dieser Band wurde im Rahmen der gemeinsamen Forschungsförderung von Bund und Ländern im Akademienprogramm mit Mitteln des Bundesministeriums für Bildung und Forschung und des Ministeriums für Wissenschaft, Forschung und Kultur des Landes Baden-Württemberg erarbeitet.
Die Bände der Reihe Fragmenta Comica sind aufgeführt unter: http://www.komfrag.uni-freiburg.de/baende_liste
Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek: Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über https://dnb.de abrufbar. © 2021, Vandenhoeck & Ruprecht GmbH & Co. KG, Theaterstraße 13, D-37073 Göttingen Alle Rechte vorbehalten. Das Werk und seine Teile sind urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung in anderen als den gesetzlich zugelassenen Fällen bedarf der vorherigen schriftlichen Einwilligung des Verlages. Umschlaggestaltung: disegno visuelle kommunikation, Wuppertal
Vandenhoeck & Ruprecht Verlage | www.vandenhoeck-ruprecht-verlage.com ISBN 978-3-949189-14-22
in memoria dei miei genitori, Renata e Giancarlo
Sommario Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Νεφέλαι αʹ (Nephelai prōtai / proterai) (“Nuvole prime”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Νῆσοι (Nēsoi) (“Isole”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
56
[Ὀδομ]αντοπρέσ[βεις] ? ([Odom]antopres[beis] ?) (“Ambasciatori degli Odomanti” ?). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
88
Ὁλκάδες (Holkades) (“Navi onerarie”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
92
Πελαργοί (Pelargoi) (“Cicogne”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
161
Πλοῦτος αʹ (Ploutos prōtos) (“Pluto primo”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
193
Ποίησις (Poiēsis) (“Poesia”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
219
Πολύιδος (Polyidos) (“Poliido”). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
234
Προάγων (Proagōn) (“Proagone”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
254
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279 Indices . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 327
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Premessa Il presente volume (FrC 10.7) contiene il commento alle testimonianze e ai frammenti delle commedie aristofanee che vanno dalla prima redazione delle Nuvole (Νεφέλαι αʹ) al Proagōn (Προάγων), secondo l’ ordine alfabetico dell’ edizione di Kassel e Austin (PCG III 2), a cui faccio riferimento per il testo dei frammenti e l’ apparato critico. La numerazione delle testimonianze relative alle singole commedie segue anch’ essa quella di Kassel e Austin, con poche eccezioni. Le sezioni del commento si uniformano alla struttura ormai codificata per i volumi della serie Fragmenta Comica. I frammenti comici sono sempre citati secondo l’ edizione di Kassel e Austin (PCG I–VIII), se non diversamente specificato. Per le citazioni dalle commedie aristofanee integralmente pervenute, riporto il testo delle seguenti edizioni: Olson 2002 (Acarnesi); Wilson (Cavalieri, Uccelli, Ecclesiazuse); Dover 1968 (Nuvole); MacDowell 1971 (Vespe); Olson 1998 (Pace); Henderson 1987 (Lisistrata); Austin– Olson 2004 (Tesmoforiazuse); Dover 1993a (Rane); Torchio 2001a (Pluto). Per gli autori non esplicitamente indicati nella bibliografia, seguo le edizioni di riferimento correnti. Le abbreviazioni degli autori greci si rifanno tendenzialmente al LSJ, con adattamenti per una maggiore chiarezza dei riferimenti; quelle degli autori latini seguono (anch’ esse con adattamenti) Il dizionario della lingua latina di G. B. Conte – E. Pianezzola – G. Ranucci (Firenze 2000). Le sigle delle riviste sono quelle in uso nell’ Année Philologique. In accordo con la consuetudine degli altri volumi dei Fragmenta Comica, nell’ analisi metrica segnalo con un’ incisione di colore grigio (|) la possibilità di una cesura alternativa a quella proposta, mentre utilizzo un’ incisione puntinata (Z) per i versi mutili, in cui la collocazione della cesura non può essere stabilita con certezza. Nel caso di versi incompleti, la parte mancante è scandita metricamente tra parentesi uncinate, in maniera semplificata, senza cioè indicare tutte le possibili realizzazioni. I nomi latini di animali e piante seguono la nomenclatura scientifica tradizionale. Nel momento di licenziare il dattiloscritto per la stampa, mi è caro esprimere la mia riconoscenza prima di tutto al Prof. Bernhard Zimmermann, direttore del KomFrag, per avermi dato l’ opportunità di prendere parte a un progetto che mi ha molto arricchita dal punto di vista scientifico e umano, accompagnando il mio lavoro passo per passo con la sua grande competenza e costante disponibilità. Ho avuto la possibilità di discutere sezioni del mio commento nei due Seminari tenuti a Merano nel maggio 2016 e nell’ ottobre 2017 e nel corso dei Kolloquien a Friburgo, ricavandone utili spunti e suggerimenti. Ringrazio in modo particolare i Proff. S. Douglas Olson, Piero Totaro, Michele Napolitano, Stylianos Chronopoulos, Christian Orth e Andreas Bagordo; Virginia Mastellari, per la lettura attenta del commento a Pelargoi, Poiēsis, Polyidos e Proagōn; Francesco P. Bianchi, per
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il premuroso supporto durante le mie visite a Friburgo e nella correzione delle bozze; Giacomo Mancuso e Serena Perrone, per le risorse bibliografiche messe generosamente a disposizione. La Prof. Patrizia Mureddu e i Proff. Gian Franco Gianotti e Luigi Belloni hanno letto interamente, con grande disponibilità, il mio dattiloscritto, donandomi riflessioni e suggerimenti preziosi. Naturalmente di eventuali errori, fraintendimenti e omissioni solo mia è la responsabilità. Ringrazio anche i miei colleghi del Liceo “Giuseppe Peano” di Tortona, Giacomo Pernigotti, per la consulenza informatica, e don Luca Ghiacci, della cui conoscenza del greco moderno mi sono avvalsa. Alla Prof. Rita Ferrari, con cui ho contratto un debito di riconoscenza difficilmente quantificabile fin dagli anni del liceo, va la mia gratitudine per l’ attenzione e il sostegno costante al mio lavoro.
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Νεφέλαι αʹ (Nephelai prōtai / proterai) (“Nuvole prime”) Data 423 a. C. Bibliografia Esser 1821; Hermann 1830, XIII–XXXII; Fritzsche 1835, 97 ss.; Dindorf 1829, 15–23 (= II [1835], 507–13); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1104; Beer 1844, 119–37; Bothe 1844, 111; Fritzsche 1849; Fritzsche 1850–51; Fritzsche 1851; Fritzsche 1851–52; Fritzsche 1852; Enger 1853; Göttling 1856; Teuffel 1856; Bothe 18582, VI; Koechly 1859, 413–29; Bücheler 1861; Dindorf 18695, 187–9; Droysen, I (18692), 178–9; Brentano 1871, 1–108; Weyland 1871; Sauerwein 1872; Ritter 1876; Witten 1877; Naber 1883; Blaydes 1885, 199–201; Zieliński 1885, 34– 52; Chiappelli 1886; Teuffel−Kaehler 18872, 29–41; Gröbl 1889–90, 26–39; Blaydes 1890, V–XX; Kock 1894, 25–54; Heidhues 1897; van Leeuwen 1898, V–XXVIII; Schwandke 1898; Starkie 1911, LI–LVI; Rogers 1916, XI–XVIII; Bolling 1920; Howald 1922; van Daele, ap. Coulon, I (1923), 154–7; Kruse 1928; Emonds 1941, 277–90; Schmid 1946, 247–8; Cantarella, III (1954), 19–22; Erbse 1954; Newiger 1957, 143–52; Holwerda 1958; Russo 1959; Montuori 1966; Dover 1968, LXXX– XCVIII; Erbse 1969 (= Newiger 1975, 198–211); Gelzer 1970, 1434–6; Dover 1972, 103–5; Turato 1972; Fabrini 1975; Curiazi 1978–79; Bianchetti 1979; Sommerstein 1982, 2–4; PCG, III 2 (1984), 216; Russo, 19842, 149–71 (1994, 90–109); Hubbard 1986; Reckford 1987, 388–402; Gil 1989, 43 (= 1996, 125; 2010, 72); Koppf 1990; Hubbard 1991, 90–106; Tarrant 1991; O’Regan 1992, 133–9; Henderson 1993; Reckford 1993; Storey 1993; Olson 1994; MacDowell 1995, 134 ss.; Del Corno, ap. Guidorizzi 1996, XVIII–XXIII; Guidorizzi 1996, XLVII–LIII; Sommerstein 1997; Henderson 1998b, 3–4; Carrière 2000, 221–2; Casanova 2000; Sonnino 2005; Revermann 2006, 326–32; Henderson 2007, 295 (~ 2011, 310); Biles 2011, 167–210; Zimmermann 2011a, 771–2; Marshall 2012; Di Bari 2013, 189–239; Mureddu−Nieddu 2015, 58–62; Pellegrino 2015, 235. Titolo Diverse testimonianze antiche attestano una prima redazione (αἱ πρῶται Νεφέλαι) della commedia omonima, integralmente conservata (αἱ δεύτεραι Νεφέλαι)1: vd. arg. Ar. Nub. A 6, p. 4, 12 Holwerda (= test. i a); scholl. Ar. Nub. 520 (= test. iv); 543a (= test. v); 549a (= test. vi a); 549b, p. 124, 5 Holwerda (= test. vi b); 1115a (= test. ix); schol. Ar. Vesp. 1044 (= test. i c). Parlano inoltre di πρότεραι Νεφέλαι gli scholl. Ar. Nub. 524b (= test. i b); 591b (= test. viii b)2. Registrano infine due redazioni delle Nuvole i Catalogi fab. Ar. (Prol. de com. XXXa, p. 142, 16 Koster = Ar. test. 2a 20 K.-A. = test. iii c; Catal. fab. Ar. pap. = Ar. test. 2c 13 K.-A.= test. iii b); l’ arg. Ar. Nub. A 8, p. 5, 7 Holwerda (= test. iii d); il P. Berol. 21, 163 (Maehler 1980, 152 = test. iii a). 1 2
Cfr. arg. Ar. Nub. A 6, p. 4, 16 Holwerda (= test. i a); scholl. Ar. Nub. 549b, p. 124, 8 Holwerda (= test. vi b); 553 (= test. vii K.-A.). Cfr. anche arg. Ar. Nub. A 7, p. 4, 18 Holwerda (= test. ii, 1–2 K.-A.).
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Come la redazione integralmente conservata, la commedia prende il nome dal Coro, formato dalle Nuvole, evocate da Socrate alla fine del prologo (Nub. 265–6; 269 ss.) come le nuove divinità protettrici del pensatoio (cfr. Nub. 252–3) insieme all’ Aere (᾿Αήρ; Nub. 264), all’ Etere (Αἰθήρ; Nub. 265)3 e al Vortice (Δῖνος; Nub. 380 s.). Esse, mutevoli per natura e capaci di cambiare aspetto a loro piacimento (cfr. Nub. 348), appaiono nelle Nuvole assumendo la figura di donne mortali (cfr. Nub. 341; 354–5). Le loro caratteristiche metaforiche (impalpabilità, inafferrabilità, astrazione e mutevolezza) le rendono ‘Muse’ ispiratrici di varie categorie di intellettuali ‘perdigiorno’ (σοφισταί; cfr. Nub. 331–4)4. La natura cangiante delle Nuvole e il loro legame con la conoscenza possono inoltre contenere un riferimento parafilosofico alla Nēstis empedoclea (cfr. fr. 31 B 6 D.-K.), identificata con l’ elemento dell’ acqua, che contribuisce al processo di reincarnazione delle anime in veggenti, poeti e medici, prima della loro divinizzazione (cfr. fr. 31 B 146 D.-K.)5. Il loro carattere ambiguo emerge con tutta evidenza alla fine della vicenda scenica (cfr. Nub. 1452–61), quando esse si rivolgono a Strepsiade rivendicando il loro ruolo di custodi dell’ ordine religioso e morale tradizionale, per fargli comprendere che egli stesso è colpevole della propria disgrazia, in linea con la ‘teodicea eschilea’ del πάθει μάθος (cfr. Aesch. Ag. 177)6. Nel mito greco Nephelē è sposa di Atamante (citato in Nub. 257), madre di Frisso ed Elle; in questa vicenda, come anche in quella di Issione o di Elena (nella versione della Palinodia stesicorea ripresa da Euripide), la nuvola è strumento della retribuzione divina7. Contenuto I frammenti attribuiti alla prima redazione della commedia dai testimoni indiretti e riportanti versi che non compaiono nella versione integralmente conservata (Nuvole seconde) sono piuttosto scarsi e difficili da contestualizzare8; pertanto non consentono, da soli, di ricostruire in modo sufficientemente completo il contenuto delle Nuvole prime. Maggiori indicazioni sulla differenza tra le due redazioni sono fornite dall’ arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= test. ii)9, secondo il quale la commedia integralmente pervenuta non era radicalmente diversa rispetto alla prima versione (vd. infra), ma era stata sottoposta a una revisione complessiva “nei 3
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La triade è costituita da Caos (Χάος), Nuvole e Lingua (Γλῶττα) in Nub. 423–4 (testimonianza di incompleta revisione per Schwandke 1898, 61–3); Respiro (᾿Αναπνοή), Caos (Χάος) e Aere (᾿Αήρ) in Nub. 627. Cfr. Zimmermann 2012, 18, e 2017, 28–9, per le Nuvole come personificazione comica degli intellettuali. εἰς δὲ τέλος μάντεις τε καὶ ὑμνοπόλοι καὶ ἰητροί | καὶ πρόμοι ἀνθρώποισιν ἐπιχθονίοισι πέλονται, | ἔνθεν ἀναβλαστοῦσι θεοὶ τιμῇσι φέριστοι. Per gli influssi empedoclei nelle Nuvole cfr. Saetta Cottone 2011. Per la spiegazione di questa apparente contraddizione nella rappresentazione delle Nuvole, vd. Zimmermann 2006. Cfr. Dover 1968, LXVIII; Bowie 1993, 127–30. Vd. infra il commento ai singoli frammenti. Vd. infra il commento relativo.
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dettagli” (ἐπὶ μέρους)10, mentre erano stati completamente rielaborati la parabasi propria (Nub. 518–62), l’ agone dei due discorsi (Nub. 889–1104) e l’ esodo, con l’ incendio del Pensatoio da parte di Strepsiade (Nub. 1476–511). Questo argomento, unitamente all’ arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda (= test. i a), attestante anch’ esso un rifacimento della commedia dopo l’ insuccesso della prima rappresentazione del 423 a. C., ha suscitato moltissime discussioni in epoca moderna, anche perché le Nuvole sono una delle commedie aristofanee più studiate e con maggior fortuna critica, a partire dalla selezione che portò alla formazione della cosiddetta ‘triade bizantina’ (Nuvole, Rane, Pluto), trasmessa da un grandissimo numero di manoscritti11. Fin dal XIX secolo alcuni studiosi, negando valore e credibilità all’ arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= test. ii) e ai testimoni che ci trasmettono i frammenti attribuiti alle Nuvole prime, hanno minimizzato le differenze tra le due redazioni, considerando interamente riscritti solo i versi della parabasi (518–62)12; altri, invece, con una prospettiva ‘analitica’ simile a quella della critica omerica contemporanea13, si sono sforzati di individuare, a partire da incongruenze (vere o presunte), ripetizioni e sconnessioni presenti nel testo, i resti delle Nuvole prime rimasti inglobati nella seconda redazione, la cui rielaborazione non fu probabilmente completata da Aristofane, per cui nelle Nuvole integralmente conservate coesisterebbero sezioni appartenenti a diverse fasi di revisione e sezioni della commedia rappresentata nel 42314. Più isolata, ma comunque attestata, la posizione di chi ha visto nel testo conservato delle Nuvole il frutto di una contaminazione delle due redazioni operata da qualche grammatico di epoca bizantina per completare un rifacimento rimasto incompiuto (Nuvole terze ?)15.
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Vd. infra il commento ad loc. Per un elenco dei testimoni manoscritti delle Nuvole, vd. Guidorizzi 1996, LIV–LVIII. Cfr. Esser 1821; Ritter 1876; Heidhues 1897; van Leeuwen 1898, V–XXVIII; van Daele, ap. Coulon, I (1923), 154–7; in epoca più recente, Erbse 1954; Newiger 1957, 143–52; Montuori 1966; Erbse 1969 (= Newiger 1975, 198–211); Turato 1972; Bianchetti 1979, 223; Reckford 1987, 394; Gil 1989, 43 (= 1996, 125; 2010, 72); Storey 1993; Olson 1994; Sommerstein 1997. Più moderati Bothe 1844, 111; 18582, VI; Dindorf 1829, 17–8 (= II [1835], 508–9; 18695, 188); Rogers 1916, XII–XIII; Cantarella, III (1954), 21. Cfr. Hubbard 1986, 184. Cfr. Fritzsche 1835; Enger 1853; Göttling 1856 (per cui il rifacimento fu completato dal figlio di Aristofane, Araros); Koechly 1859; Weyland 1871; Sauerwein 1872; Witten 1877; Blaydes 1885, 199–201; Zieliński 1885, 34–52; Chiappelli 1886; Teuffel−Kaehler 18872, 29–41; Blaydes 1890, XVII–XX; Kock 1894, 25–54; Schwandke 1898; in epoca più recente, ritengono profonde, e non limitate alla parabasi, le differenze tra le due redazioni della commedia Starkie 1911, LI–LVI, Dover 1968, LXXX–XCVIII; Hubbard 1986; 1991, 90–106; Tarrant 1991; O’Regan 1992, 133–9; Del Corno, ap. Guidorizzi 1996, XVIII–XXIII; Carrière 2000, 221; Casanova 2000; Sonnino 2005; Mureddu, ap. Mureddu−Nieddu 2015, 58–62. Cfr. Fritzsche 1849; 1850–51; 1851; 1851–52; Brentano 1871; Naber 1883; Emonds 1941, 277–90.
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In alcuni casi, tuttavia, gli argomenti e gli scolii antichi riportati come testimonia parlano delle Nuvole prime in termini così specifici da far supporre che le loro fonti avessero la possibilità di porre a confronto le due redazioni della commedia16. In particolare, lo schol. Ar. Nub. 1115a (= test. ix), attestante la mancanza di cinque cola prima della seconda parabasi (Nub. 1115–30), fa probabilmente riferimento al commento metrico di Eliodoro17. Tornando alle indicazioni fornite dall’ arg. Ar. Nub. A 7, p. 4, 18 Holwerda (= test. ii, 1–2 K.-A.), evidentemente le prime e le seconde Nuvole dovevano essere molto simili (τοῦτο ταὐτὸν ἐστι τῷ προτέρῳ) per tematica, trama e personaggi; anche il Coro doveva essere identico (vd. supra, Titolo), per cui non si può parlare di commedie radicalmente diverse. Possiamo dunque ragionevolmente supporre che anche le Nuvole prime fossero incentrate sulla satira delle profonde innovazioni culturali introdotte dalla Sofistica in ambito filosofico, retorico, pedagogico; che anche nella commedia del 423 a. C. un ruolo centrale fosse ricoperto dalla scuola di Socrate (vd. infra); che il protagonista fosse il rozzo contadino inurbato Strepsiade, oppresso dai debiti contratti a causa della passione per i cavalli del figlio Fidippide; che anche nelle Nuvole prime Strepsiade si rivolgesse a Socrate e ai suoi discepoli per imparare la retorica e la dialettica, in modo da sfuggire ai creditori e, dopo un illusorio successo, fosse punito per aver messo in atto un piano fraudolento, con una sorta di katastrophē (vd. infra)18. Come è stato evidenziato da Zimmermann 2006, la “struttura tragica”19 della trama delle Nuvole, in cui il protagonista viene spinto alla rovina da ‘divinità tentatrici’ (le Nuvole, appunto: cfr. Nub. 1458–61; Aesch. Pers. 742) perché acquisisca consapevolezza delle proprie cattive azioni e impari a temere gli dei, secondo il già citato (p. 12) principio eschileo del πάθει μάθος, doveva essere ancora più accentuata nella prima redazione della commedia, con una prevalenza del mythos (nel senso aristotelico di σύνθεσις τῶν πραγμάτων nella tragedia)20 sugli elementi tipicamente comici21. Il motivo della sconfitta delle Nuvole prime, che non incontrarono il favore del pubblico alle Grandi Dionisie classificandosi terze (vd. infra, Datazione), deve essere ricercato, per Zimmermann 2006, proprio nella mancanza di un equilibrato rapporto quantitativo tra intreccio ‘tragico’ e scene tipicamente comiche, per cui gli spettatori devono aver giudicato la commedia troppo ‘seria’ e poco divertente. Nella revisione, Aristofane avrebbe cercato di riequilibrare questo 16
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Vd. la discussione di Dover 1968, LXXX ss.; cfr. anche Cantarella, III (1954), 22. Per una storia del testo delle Nuvole dall’ età alessandrina alla tarda antichità, vd. Guidorizzi 1996, LI–LIII. Vd. infra, ad test. ix. Per ipotesi differenti riguardo al finale delle Nuvole prime vd. infra, pp. 24–5. Zimmermann 2006, 328. Cfr. ad es. Arist. Poet. 1450a, 4; 1459a, 18, la cui definizione di mythos si può applicare anche alla commedia (cfr. Warning 1976, 285). Per la commistione di elementi comici e tragici nella commedia aristofanea, vd. il neologismo τρυγῳδία (Ar. Ach. 500).
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rapporto, utilizzando anche espedienti farseschi che nella parabasi stigmatizza come scontati e caratteristici di commediografi privi della sua inventiva, quali le torce e le grida (Nub. 543), che effettivamente compaiono nell’ esodo (cfr. Nub. 1490, 1493 / 4)22, una delle scene introdotte ex novo nel rifacimento secondo l’ arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= test. ii)23. In Nub. 537–44 il poeta elenca inoltre, come esempi degli espedienti deteriori rifiutati dalla sua commedia, il fallo di cuoio, che era parte integrante del costume degli attori comici (cfr. Nub. 653 ss.; 734)24; le battute contro i calvi (forse scherzo autoreferenziale: cfr. Nub. 545)25 e la danza del cordace26; le percosse dell’ antagonista (scene ‘episodiche’)27 per distogliere l’ attenzione dal dialogo stereotipato (cfr. Nub. 1297 ss.)28. Per Hubbard (1986, 187 ss.; 1991, 96 ss.) l’ uso degli aoristi (ἦλθε, v. 538; ἔσκωψεν, εἴλκυσεν, v. 540; εἰσῇξε, v. 544) in contrapposizione al presente (ἐστί, v. 537) e al perfetto (ἐλήλυθεν, v. 544) mostra che questi versi si riferiscono alle Nuvole prime, dove il poeta non aveva impiegato quelle gags triviali introdotte poi nella seconda versione della commedia per andare incontro ai gusti della massa; anche πρῶτα μέν (v. 537)29 evidenzierebbe la contrapposizione temporale tra prima e seconda redazione. Olson 1990, per il quale le differenze tra le due redazioni sono molto da ridimensionare, dà invece di questi versi un’ interpretazione ironica30. In realtà, a mio parere, non c’ è contrasto tra le due interpretazioni, che sono complementari: tutta la parabasi gioca sull’ ambiguità dei riferimenti alla
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Il grido di lamento del protagonista apre inoltre la commedia (Nub. 1: ἰοὺ ἰού); cfr. Guidorizzi 1996, 259. Cfr. lo schol. Ar. Nub. 543a (= test. v: ἐν δὲ ταῖς πρώταις Νεφέλαις τοῦτο οὐ πεποίηκεν); così già Hermann 1830, XXVI–XXVIII, contra Esser 1821, 54; Koechly 1859, 429, pensa invece che il poeta avesse in mente un finale diverso, ma non sia riuscito a completare la revisione della commedia. Cfr. ad es. Stone 1981, 75–80; Henderson 19912, 111. Cfr. schol. Ar. Nub. 540; allusioni alla calvizie del poeta anche in Eq. 550; Pac. 767ss.; Eup. fr. 89 (cfr. Demont 1998 per i possibili significati allegorici di tali riferimenti in relazione alla bravura del poeta comico). Per Hubbard (1986, 190; 1991, 99), l’allusione sarebbe invece alla maschera-ritratto di Socrate (cfr. Dover 1967, 26–8 = Newiger 1975, 167–9). Cfr. Nub. 555–6 per la critica della vecchia ubriaca che balla il cordace nelle commedie di Eupoli e di Frinico. L’ uso moderno (introdotto da Zieliński 1885) del termine ‘episodio’ per indicare le scene esemplificative successive alla parabasi è convenzionale, perché il significato preciso del greco epeisodios (attestato in Cratin. fr. 208; Metag. fr. 15) non è facile da determinare (cfr. Orth 2014, 468–71). Per le principali teorie sulle origini e la funzione delle scene convenzionalmente indicate dagli studiosi moderni come ‘episodiche’ cfr. ad es. Grava 1996–97, I 1. Cfr. Guidorizzi 1996, 258–9; già per Bolling 1920 questo elenco si riferisce alle seconde Nuvole. Per il μέν senza correlativo cfr. LSJ, s. v., A II 6. Cfr. Guidorizzi 1996, 259.
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commedia, con un passaggio continuo dal piano della sfortunata rappresentazione teatrale del 423 a. C. a quello della progettata riproposizione al pubblico di un testo profondamente rielaborato, per cui i vv. 537 ss. si possono riferire in senso letterale alla prima redazione, in senso ironico alla seconda. Parabasi La parabasi propria (Nub. 518–62), in versi eupolidei, è stata evidentemente rielaborata: vd., oltre all’ arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= test. ii), lo schol. Ar. Nub. 520 (= test. iv), il quale ci informa anche che nelle Nuvole prime il metro era diverso. Probabilmente il poeta aveva usato nella prima redazione il tetrametro anapestico catalettico31, molto comune in questa sezione della parabasi32, mentre l’ eupolideo non è impiegato altrove nelle commedie superstiti di Aristofane33. Il poeta parla per bocca del Corifeo e si rivolge agli spettatori “competenti” (δεξιοί, Nub. 521; σοφοί, Nub. 526, 535)34, rivendicando l’ originalità delle Nuvole, “la più sapiente” delle sue commedie (Nub. 522)35, sconfitta da uomini “volgari” (φορτικοί, Nub. 524)36. Successivi al 423 a. C. sono sicuramente i riferimenti all’ insuccesso subito agli agoni comici (Nub. 524–5), alla morte di Cleone (autunno del 422 a. C.)37, dopo la quale Aristofane rinunciò agli attacchi contro il demagogo (Nub. 549–50), e la critica al Marikās (Lenee del 421 a. C.)38 del rivale Eupoli, accusato di plagio dei Cavalieri (Nub. 553 ss.)39. La parabasi conservata sembra quindi rielaborata in vista di una nuova rappresentazione delle Nuvole, che però non avvenne mai, secondo le testimonianze antiche40. Dal momento che la parabasi in genere è scollegata dalla trama della commedia, è molto difficile ricostruirne con esattezza il contenuto nella prima redazione. Alcuni motivi della versione rielaborata sono tuttavia comuni nelle parabasi delle commedie aristofanee del primo periodo, particolarmente in quella delle Vespe (rappresentate alle Lenee del 422 a. C., l’ anno successivo alle Nuvole prime): 1) rivendicazione orgogliosa, da parte del poeta, della novità delle proprie inven-
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Cfr. ad es. Weyland 1871, 7–8; Kock 1894, 31; Guidorizzi 1996, 255–6. Cfr. Martinelli 1995, 154. Vd. infra, ad test. iv. Per l’ ambivalenza degli aggettivi δεξιός e σοφός, usati per compiacere il pubblico, ma forse anche con una sfumatura sarcastica, cfr. Dover 1993a, 12–4. Cfr. Ar. Vesp. 1046–7. Il riferimento è in particolare ad Amipsia, classificatosi al secondo posto con il Konnos (arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda = test. I a); cfr. Orth 2013, 177. Thuc. 5, 10; cfr. Gomme, III (1956), 653. Per la testimonianza di Callimaco sulla collocazione del Marikās due anni dopo le Nuvole prime (schol. Ar. Nub. 553 = Callim. fr. 454 Pf.), vd. infra, ad test. vii. Anche il riferimento alla prima commedia di Aristofane, i Daitalēs (427 a. C.), potrebbe essere stato inserito solo nelle seconde Nuvole, per il collegamento tematico con l’ agone rielaborato: vd. infra, n. 82. Cfr. arg. Ar. Nub. A 7, p. 4, 19–20 Holwerda (= test. ii, 2–3 K.-A); schol. Ar. Nub. 553 (= test. vii). Per le informazioni, poco attendibili, dell’ arg. Ar. Nub. A 6, 13–16 Holwerda (= test. i a) relative a una seconda rappresentazione della commedia, vd. infra, p. 27.
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zioni teatrali (Nub. 545–8; cfr. Vesp. 1043 ss; Pac. 734 ss.; 748–50) e del proprio ruolo nella città (Ach. 628 ss.; Eq. 506); 2) rievocazione delle tappe precedenti della sua carriera e dei propri successi (Nub. 528–32; cfr. Eq. 512 ss.; Vesp. 1018 ss.); 3) attacco coraggioso ai potenti (Cleone), con l’ immagine del poeta novello Eracle, che combatte e sconfigge terribili mostri (Nub. 549–50; cfr. Vesp. 1029 ss.; Pac. 751 ss.); 4) richiamo (ironico) all’ ‘intelligenza’ e alla ‘competenza’ degli spettatori (Nub. 518–27; 534–6; 560–2; cfr. Vesp. 1048 ss.); 5) riferimento ai commediografi precedenti e / o rivali (Nub. 551–60; cfr. Eq. 518 ss), con la critica dei loro espedienti comici di bassa levatura (Nub. 537 ss.; cfr. Pac. 739 ss.). Non possiamo pertanto escludere che tali motivi metaletterari fossero presenti anche nella prima versione della parabasi. Per quanto riguarda la struttura di questa sezione, nelle seconde Nuvole manca lo pnigos41, mentre nelle altre commedie del primo periodo sono presenti tutte le sette parti ‘canoniche’: Guidorizzi 1996, 255, suppone che questa mancanza sia un segno di incompleta revisione, ma non abbiamo dati sufficienti per affermarlo con certezza. La sigizia epirrematica potrebbe non aver subito grandi cambiamenti rispetto alla prima redazione (cfr. Fritzsche 1850–51; Koechly 1859, 427; Schwandke 1898, 70). Risulta evidente lo stacco rispetto alla sezione in eupolidei (Nub. 518–62), dove il poeta stesso parla per bocca del Corifeo, in prima persona, in modo inedito42: viene infatti meno l’ interruzione della finzione teatrale, e il Coro riprende il proprio ruolo (cfr. Guidorizzi 1996, 264). L’ ode e l’ antode contengono le tradizionali invocazioni agli dei (cfr. Guidorizzi 1996, 264); nell’ ode, tuttavia, dopo Zeus, dio supremo (Nub. 563–5) e Posidone (Nub. 566–8), è invocato l’ Etere (Nub. 569–71), una delle nuove divinità del pantheon ‘socratico’ (vd. supra, p. 12)43. Nell’ epirrema e nell’ antepirrema il Corifeo parla come rappresentante delle Nuvole, che manifestano la loro contrarietà rispetto alle scelte politiche dei cittadini ateniesi producendo fenomeni atmosferici negativi (Nub. 575 ss.; 607 ss.). L’ epirrema molto probabilmente non è stato rielaborato (cfr. Weyland 1871, 8–10), come dimostrano il riferimento all’ elezione di Cleone / Paflagone a stratego (Nub. 581 ss.) per l’ anno 424 / 3 a. C.44 e l’ attacco alla voracità del demagogo, paragonato a un gabbiano (λάρον; Nub. 591) e accusato di corruzione e furto di denaro pub-
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La parabasi è composta da kommation (Nub. 510–7), parabasi vera e propria in eupolidei (Nub. 518–62), sigizia epirrematica (Nub. 563–626), la quale ultima è costituita da ode (Nub. 563–74), epirrema in tetrametri trocaici catalettici (Nub. 575–94), antode (Nub. 595–606) e antepirrema, anch’ esso in tetrametri trocaici catalettici (Nub. 607–26). Per l’ analisi metrica completa della parabasi cfr. Guidorizzi 1996, 356–7. Cfr. Göttling 1856, 17–9, per il quale i vv. 518 ss. sembrano più una sorta di prologo per la rielaborazione, destinata alla lettura e non più alla rappresentazione scenica (vd. infra, pp. 21); contra Witten 1877, 10–1. Cfr. Guidorizzi 1996, 265. Cfr. Gomme, III (1956), 505.
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blico, in contrasto con Nub. 549–5045. Anche il riferimento all’elezione di Iperbolo come ieromnemone nell’antepirrema (Nub. 623–5) non va necessariamente datato dopo la morte di Cleone (cfr. ad es. Ach. 846–7; Eq. 1304; 1363)46; dunque non è sufficiente a escludere che questa sezione comparisse già in forma molto simile nelle Nuvole prime47. Agone Dopo la parabasi propria, un’ altra sezione su cui il poeta è intervenuto con una revisione radicale, secondo la testimonianza del già citato arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= Nub. test. ii K.-A.), è l’agone della commedia (Nub. 889–1104)48. Nelle Nuvole integralmente conservate, il confronto si svolge tra il modello educativo tradizionale, personificato dal Κρείττων Λόγος (Discorso Forte49), e quello nuovo della Sofistica, personificato dall’ Ἥττων Λόγος (Discorso Debole50)51. Il dibattito, che si svolge alla presenza del giovane Fidippide e si conclude con la vittoria
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Cfr. gli scholl. Ar. Nub. 591a–b (= test. viii). Per quasi tutti i commentatori moderni questa sezione precede la morte di Cleone: cfr. ad es. Dover 1968; Mastromarco 1983; Guidorizzi 1996, ad loc. Per Kock 1894, 32; Teuffel−Kaehler 18872, 112–3, tuttavia, il riferimento è alla strategia ricoperta da Cleone l’ anno della morte (422 / 1 a. C.), per cui l’ epirrema sarebbe da attribuire alla revisione della commedia. Possiamo tuttavia supporre che alcune battute contro Iperbolo (Nub. 876; 1065–6) siano state inserite nella fase di revisione della commedia, dal momento che gli attacchi al demagogo divengono più frequenti dopo la morte di Cleone (cfr. Mastromarco 1983, 373–4; Casanova 2000, 31). Per una datazione di questi versi non posteriore al 423 a. C. cfr. Starkie 1911, 328–30; Bianchetti 1979, 244–6; contra Witten 1877, 16–7, per il quale anche l’ antepirrema è stato rielaborato nella seconda redazione; Camon 1961 e 1963, 49–51, per cui la nomina di Iperbolo a ieromnemone va datata al 422 / 1 a. C. Interpretano in senso restrittivo l’ informazione dell’ antico commentatore (ὅπου ὁ δίκαιος λόγος πρὸς τὸν ἄδικον λαλεῖ, arg. Ar. Nub. A 7, p. 5, 2 Holwerda = test. ii, 11 K.-A.) Sommerstein 1982, 4 n. 9, per il quale le modifiche dovevano riguardare solo la sezione preliminare dell’ agone (Nub. 889–948); Rogers 1916, XIII–XV, per il quale la parte modificata doveva essere solo quella relativa al Κρείττων Λόγος (Nub. 959 ss.), in tetrametri anapestici catalettici, mentre nelle Nuvole prime per entrambi i Discorsi doveva essere utilizzato lo stesso metro (tetrametro giambico catalettico). La differenza metrica tra le due sezioni non può, tuttavia, essere considerata prova di incompiuta revisione, dal momento che ci sono altri esempi di ‘agoni eteroritmici’, come quello secondario dei Cavalieri (Eq. 756–940), con katakeleusmos (Eq. 761 s.) ed epirrema (Eq. 763–823) in tetrametri anapestici catalettici, antikatakeleusmos (Eq. 841 s.) ed antepirrema (Eq. 843–910) in tetrametri giambici catalettici: cfr. Martinelli 1995, 34 e 155. Tr. Guidorizzi 1996. Tr. Guidorizzi 1996. Nelle indicazioni sceniche della tradizione manoscritta, i Λόγοι sono denominati Δίκαιος (“Giusto”) e Ἄδικος (“Ingiusto”), con una connotazione di chiaro carattere morale. Nel testo della commedia, tuttavia, essi si definiscono reciprocamente κρείττων (Nub. 849b) ed ἥττων (Nub. 893); cfr. Nub. 112–15 (= Protag. C 2 D.-K.); 884. Per la personificazione dei due Discorsi, cfr. Newiger 1957, 134–43.
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schiacciante del Discorso Debole dal punto di vista dialettico (cfr. Nub. 1102–4), costituisce “l’ epicentro ideologico del dramma” (Del Corno, ap. Guidorizzi 1996, XVI–XVII), che fornisce una perfetta esemplificazione parodica della tecnica sofistica (e segnatamente protagorea) dei dissoi logoi52. Se è evidente nella commedia la critica di Aristofane nei confronti dell’educazione moderna, basata essenzialmente sull’ abilità retorica e corrosiva delle norme morali tradizionali, che mostra tutti i suoi effetti negativi nel secondo agone, tra Fidippide e Strepsiade (Nub. 1321–475), non si può semplicemente concludere che le simpatie del poeta vadano al Discorso Forte, il quale appare anch’ esso caricaturale, soprattutto nell’ ossessione voyeuristica e pedofila53, solo apparentemente sessuofobica, che rende molto ambigua la sua esaltazione della paideia tradizionale. “Entrambi i Discorsi […] presentano i limiti di un modello educativo in ogni caso insoddisfacente: uno legato a un mondo ormai superato, provinciale, chiuso, dove il conformismo blocca il libero sviluppo del pensiero; l’ altro proiettato verso un totale, amorale individualismo dove nessun valore esiste se non quello del più forte e di chi mette da parte ogni scrupolo per manifestare la propria superiorità sugli altri (un’ idea che si ricollega all’ insegnamento sofistico)” (Guidorizzi 2005, 434). In realtà, i due Discorsi sembrano una ‘coppia polare’54, che ipostatizza in figure sceniche due opposti modelli educativi, i quali acquistano una dimensione drammatica solo attraverso il confronto reciproco, come Ricchezza e Povertà nel Pluto (le quali, però, non si scontrano direttamente)55. L’ agone conservato mostra segni di imperfetta rielaborazione: gli scholl. Ar. Nub. 889a α-β56 e 889d57 segnalano la mancanza, a conclusione della scena dialogica precedente (Nub. 888 / 9), di un canto corale, la cui collocazione era segnalata dall’ epigraphē χοροῦ (marg. V)58. Una sospensione dell’ azione scenica sarebbe a 52
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Cfr. Protag. 80 B 6a (πρῶτος ἔφη δύο λόγους εἶναι περὶ παντὸς πράγματος ἀντικειμένους ἀλλήλων); 6b (τὸν ἥττω λόγον κρείττω ποιεῖν) D.-K.; Dissoi logoi (90 D.-K.). Per le Nuvole come attacco a Protagora, cfr. Turato 1972, 7 ss. Per le modalità argomentative tipiche dei dissoi logoi nelle Nuvole cfr. inoltre Nieddu 2000. Cfr. Dover 1968, LXIV; Guidorizzi 1996, 299–300. Una caratteristica del pensiero greco nelle sue espressioni sia mitiche sia filosofiche (filosofia presocratica) è quella di concepire “la realtà in forma bipolare, ossia come dipendente da una suprema coppia di opposti” (Reale 19908, 285), che traggono senso solo dall’ esistenza reciproca (cfr. Philippson 1944, tr. it. 79–81; Lloyd 1966, 15–171; Reale 19908, 285–9). Già Epicarmo aveva portato in scena “Discorso” e “Discorsa” nella commedia omonima (Logos kai Logina, frr. 76–8), che può avere ispirato l’ agone delle Nuvole (cfr. Olivieri 1930, 56), anche se è difficile individuare termini di confronto puntuali per lo scarso numero di frammenti conservati. α. τοῦ χοροῦ τὸ πρόσωπον ἐκλέλοιπεν, ἐπιγραφὴ δὲ φέρεται χοροῦ. β. ἐπιγραφὴ ἐνταῦθα φέρεται χοροῦ, ἐκλέλοιπε μέντοι. […] μέλος δὲ τοῦ χοροῦ οὐ κεῖται, ἀλλὰ γέγραπται μὲν ἐν μέσῳ χοροῦ. […] χορ(ός) R (cfr. Wilson, I [2007], 175 [ad Ar. Nub. 889]). L’ indicazione χοροῦ è inserita come integrazione ad Nub. 888 / 9, dopo Brunck, I (1783) (λείπει τὸ μέλος τοῦ
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questo punto necessaria per consentire al primo e al secondo attore, che impersonano rispettivamente Strepsiade e Socrate (i quali escono di scena nei vv. 887–8), di cambiare il costume e rientrare nei vv. 889–91 per recitare la parte dei due Discorsi nell’ agone. Allo stesso modo, molti editori moderni ipotizzano la mancanza di un canto corale alla fine dell’ agone (Nub. 1104 / 5)59 per le medesime ragioni sceniche, dal momento che al v. 1105 il deuteragonista e il protagonista rientrano in scena nei panni di Socrate e Strepsiade. Per risolvere questa difficoltà testuale, alcuni ipotizzano addirittura una rappresentazione con cinque attori (Fabrini 1975, 5–9; Curiazi 2008, 481 s.)60; altri, sulla base dell’ arg. Ar. Nub. A 5, p. 4, 3–4 Holwerda61 e dello schol. Ar. Nub. 1101b62, seguendo la proposta di Beer 1844, 114–6, assegnano le battute dei vv. 1105–6 e 1111 all’ Ἥττων Λόγος invece che a Socrate63, la quale attribuzione permetterebbe una rappresentazione con quattro attori64. Rimane tuttavia la difficoltà costituita dal fatto che la domanda iniziale di Nub. 1105 (τί δῆτα;) presuppone la continuazione di un dialogo già iniziato65, come se Strepsiade fosse stato presente, in silenzio, durante tutto l’ agone66. Il testo drammatico67 tradito, proprio grazie a questa sconnessione, offre un elemento prezioso per la ricostruzione della versione originale della commedia. Secondo l’ arg. Ar. Nub. A 7, p. 4, 19–20 Holwerda (= test. ii, 2–3 K.-A.) e lo schol. Ar. Nub. 553 (= test. vii), le Nuvole seconde non furono mai portate in scena. La testimonianza contrastante dell’ arg. Ar. Nub. A 6, p. 4, 13–6 Holwerda (=
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Χοροῦ), da Hermann 1830 (χορός); Bergk 18672 (cfr. p. XIX); Blaydes 1890; Graves 1898 (χορός); Hall−Geldart, I (19062) (χορός); Starkie 1911 (ἀντῳδή, in responsione all’ indicazione ᾠδή, integrata ad Nub. 865 / 6); Cantarella, III (1954); Guidorizzi 1996. Ritengono che manchi un canto corale, pur non inserendo alcuna integrazione nel testo, anche Green 1868a, 105; Dover 1968, 208; Sommerstein 1982, 204. Bergk 18672, XX; Dover 1968, 228; Sommerstein 1982, 215; Mastromarco 1983, 89; Guidorizzi 1996 integra χοροῦ ad Nub. 1104 / 5. Cfr. anche Casanova 2000, 27. Per l’ anomalia della prassi recitativa presupposta dal testo delle seconde Nuvole cfr. Russo 1959, 231–7; 19842, 149–55 (1994, 92–7). διαγωνισθεὶς ὁ ἄδικος πρὸς τὸν δίκαιον λόγον καὶ παραλαβὼν αὐτὸν [τὸν υἱόν] ὁ ἄδικος λόγος ἐκδιδάσκει. ὁ κρείττων λόγος φαίνεται αὐτῷ [Φειδιππίδῃ] συνάχθεσθαι παραδοθέντι μανθάνειν τῷ ἑτέρῳ. Starkie 1911; Coulon, I (1923); Cantarella, III (1954); Dover 1968; Sommerstein 1982; Henderson 1998b; Wilson, I (2007). La maggioranza degli editori moderni mantiene invece l’ attribuzione a Socrate della tradizione manoscritta. Per la questione dell’ attribuzione di Nub. 1105–12, cfr. Dover 1968, 228–9; Fabrini 1975, 9 ss.; Thiercy 1986, 44–6; Guidorizzi 1996, 317–8. Cfr. ad es. Blaydes 1890, 500; Starkie 1911, 9; Dover 1968, LXXVII; Fabrini 1975, 9 ss.; McLeish 1980, 123–4; Sommerstein 1997. Cfr. Nub. 1087, 1097b, 1101; Denniston 19542, 269. Cfr. Sommerstein 1997, 275–6; Casanova 2000, 27; Sonnino 2005, 226. Mutuo il sintagma da De Marinis (1982, 60 ss.), che lo usa per indicare il testo scritto, destinato alla lettura individuale, di un dramma.
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test. i a)68, che parla di una seconda rappresentazione, nella quale il poeta subì un insuccesso ancora peggiore, non sembra risalire a una fonte molto attendibile69 e si può spiegare supponendo che Aristofane abbia presentato un rifacimento in forma scritta70, ma ancora incompleto71, all’ arconte eponimo e non abbia ottenuto il coro (Russo 1959, 245–7 e 249–50; 19842, 169–70 [1994, 107–8]; Casanova 2000, 22)72. È dunque probabile che la seconda versione della commedia sia stata fruita esclusivamente come testo drammatico in forma scritta73, forse fatto circolare dall’ autore stesso74 per far conoscere al pubblico la nuova versione della “migliore” (Nub. 522)75 delle sue commedie, e non come testo spettacolare76, legato a una determinata rappresentazione teatrale, a differenza delle Nuvole prime77.
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διόπερ Ἀριστοφάνης ἀπορριφεὶς παραλόγως ᾠήθη δεῖν ἀναδιδάξας τὰς Νεφέλας τὰς δευτέρας καταμέμφεσθαι τὸ θέατρον. ἀτυχῶς δὲ πολὺ μᾶλλον καὶ ἐν τοῖς ἔπειτα οὐκέτι τὴν διασκευὴν εἰσήγαγεν. Vd. infra, p. 27. Cfr. Rossi 1992, 94. Per i tempi di composizione delle commedie attiche cfr. Cassio 1987. Questo spiegherebbe perché la versione integrale della commedia presenti tracce di non compiuta rielaborazione; diversamente Fabrini 1975. Cfr. Beer 1844, 127 ss.; Starkie 1911, LIV; Rogers 1916, XII; Dover 1968, XCVIII; Hubbard 1986, 196; Fowler 1989, 257; Tarrant 1991, 157–8; Guidorizzi 1996, XLVIII–L. Oppure da uno dei suoi figli dopo la sua morte; cfr. Witten 1877, 178; Howald 1922, 24. Tr. Mastromarco 1983. Anche questo sintagma, che indica la messa in scena concreta di un determinato testo scritto (‘testo drammatico’), intesa come “unità di spettacolo […] semioticamente compiuta” (De Marinis 1982, 73), è mutuato da De Marinis 1982, 60 ss. Per il complesso rapporto tra ‘testo drammatico’, in cui il codice utilizzato è esclusivamente linguistico, e ‘testo spettacolare’, in cui, oltre a quello linguistico (rilevante ma non esclusivo), intervengono una pluralità di codici (prossemici, cinetici, paralinguistici, musicali, pittorici, architettonici) e convenzioni legate all’ uso dei costumi e delle maschere, a creare una significazione, cfr. Elam 1980, tr. it. 217–8; De Marinis 1982, 24–59. Anche E. A. Havelock, che pure sottolinea maggiormente, rispetto ad altri studiosi (cfr. ad es. Segal 1985, 204–4; 227), il tipo di cultura orale in cui si colloca il genere drammatico (ma sempre a livello di comunicazione: cfr. Cerri 1992, 328 n. 59), ritiene sostanzialmente compiuto il passaggio alla nuova civiltà della scrittura nell’ ultimo trentennio del V secolo a. C. (cfr. ad es. Havelock 1980, 99–112). Tale processo è attestato pure da Tucidide (cfr. ad es. 1, 22, 4), che non solo utilizza la tecnica della scrittura nella fase compositiva, ma destina anche la sua opera alla lettura (κτῆμα ἐς ἀεί) e non all’ascolto nelle pubbliche recitazioni (a differenza del ‘predecessore’ Erodoto): vd. a tale proposito Edmunds 1993; cfr. però Canfora−Corcella 1992, 458 ss. Il testo drammatico continua tuttavia a essere prevalentemente fruito non attraverso la lettura individuale, ma come testo spettacolare (cfr. Gentili 1983b, 232). È alquanto oscuro che cosa sia il “libretto” a cui si fa riferimento in Ar. Ran. 1114 (βιβλίον τ’ ἔχων ἕκαστος μανθάνει): è difficile, infatti, pensare che gli spettatori abbiano tra le mani un testo completo delle tragedie ipotesto della parodia aristofanea (cfr. Del Corno 19922, 224; Mastromarco
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Se l’ agone tra i due Discorsi appartiene al rifacimento della commedia, chi erano i contendenti nella prima versione, e qual era la tematica del dibattito? I vv. 1105 ss. fanno supporre che, nella prima versione del dramma, Strepsiade fosse presente in scena durante l’ agone insieme a Socrate78. Per Gelzer 1960, 138–51, la scena dell’istruzione del protagonista (Nub. 314–477) sarebbe un riadattamento dell’agone originario, che doveva trovarsi prima della parabasi79. Varianti possibili a questa ricostruzione sono un confronto tra Socrate e Fidippide (Teuffel−Kaehler 18872, 40)80, tra Strepsiade e Cherefonte, oppure tra Fidippide e Cherefonte (Russo 1959, 248–9; 19842, 161–70 [1994, 106–7])81. Con questi contendenti, si può supporre che la tematica dell’ agone fosse lo scontro tra la nuova cultura filosofica (sofistica, ma anche dei filosofi naturalisti) e quella tradizionale, rispecchiata dalla mentalità dell’ uomo comune. Per Tarrant 1991, 177–9, invece, Socrate e Cherefonte ricoprivano, nell’ agone, il ruolo del Discorso Forte e del Discorso Debole, il cui dibattito avveniva alla presenza di Fidippide. La tematica, in tal caso, sarebbe stata simile a quella delle seconde Nuvole con il confronto tra due diversi modelli educativi82.
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2006, 143–4); potrebbe trattarsi di un’“antologia” (G. Cerri, ap. Gentili−Paioni 1985, 94) di passi celebri, utilizzata come supporto mnemonico (cfr. Havelock 1980, 88–9 n. 62). Per la diffusione dell’ alfabetismo in Grecia nel periodo arcaico e classico (che rimase sempre relativamente limitata, nonostante un notevole incremento dal 520 al 480 a. C. circa), cfr. Harris 1989, tr. it. 53–131; Cavallo 1992, 168–71; per Nieddu (1982; 1985; 2004, 13–44) la crescita dell’alfabetismo, e conseguentemente la circolazione della letteratura anche attraverso la scrittura, fu notevole già all’ inizio del V secolo, almeno all’ interno della scuola e in particolari ambienti (ma si veda in proposito la discussione relativa a Nieddu 1985 in Gentili−Paioni 1985, 93–100). Per una bibliografia di base sul rapporto tra oralità e scrittura nella Grecia antica vd. inoltre Maddoli 1992, 42–5; Rösler 1994; Nieddu 2004. Diversamente Sommerstein 1997, 277–80, ipotizza che l’ agone dei due Discorsi fosse molto simile nelle Nuvole prime e che “il silenzio di Strepsiade”, con le incongruenze sceniche sopra segnalate, evidenzi invece l’intenzione del commediografo di rielaborare profondamente l’ intera sezione, con il protagonista presente al dibattito, in modo che egli stesso prenda la rovinosa decisione di affidare l’ educazione del figlio al Discorso Debole; cfr. anche Turato 1972, 17, per la presenza dei due Λόγοι anche nella prima redazione. Cfr. Koechly 1859, 425, per il quale, nelle Nuvole prime, Socrate insegnava a parlare a Strepsiade, il quale, a sua volta, istruiva il figlio; Zieliński 1885, 51–2. Cfr. Bücheler 1861, 672, per cui nelle Nuvole prime Socrate stesso, e non l’ Ἄδικος Λόγος, istruiva Fidippide. Per Weyland 1871, 29 ss., Fidippide era istruito prima dal padre, poi, per la memoria debole di quest’ ultimo, da Socrate stesso. Per il ruolo di Cherefonte nelle Nuvole prime, vd. infra, ad fr. 393. In questo caso sarebbe presente anche nella prima redazione il parallelismo con i Daitalēs (427 a. C.), a cui il poeta allude in Nub. 528–33 e in cui tale conflitto è rappresentato attraverso il contrasto tra due fratelli, il σώφρων e il καταπύγων (cfr. Nub. 529), il secondo dei quali è stato educato alla scuola di un ‘cattivo maestro’ (identificato da Segoloni 1994, 109–93, col Socrate delle Nuvole) che il primo ha invece abbandonato (cfr. Ar. fr. 206). Il parallelismo tra i due dibattiti è già stato notato da Süvern 1826,
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Invece per Sonnino 2005, 220–7, il quale suppone anch’ egli un ruolo maggiore dei discepoli di Socrate, e segnatamente di Cherefonte, nella prima redazione, scopo dell’ agōn sarebbe stato quello di dare una dimostrazione pratica dell’ abilità retorica di questi, evidenziandone la capacità – protagorea – di trasformare in forte un argomento debole nelle cause giudiziarie. Si può allora comprendere come il problema della ricostruzione della versione originaria dell’ agone si inserisca nella questione più ampia della ricostruzione del contenuto delle Nuvole prime, su cui gli studiosi hanno prodotto le ipotesi più svariate a partire dall’ Ottocento83. In mancanza di dati certi, il problema resta al momento aperto. Nessuna informazione sicura è fornita, in relazione all’ agone delle Nuvole prime, dallo schol. ad Ar. Nub. 889c (ὑπόκεινται ἐπὶ τῆς σκηνῆς ἐν πλεκτοῖς οἰκίστοις οἱ λόγοι δίκην ὀρνίθων διαμαχόμενοι), per il quale i contendenti venivano portati in scena in gabbie intrecciate, come galli da combattimento. Tale indicazione scenica non sembra applicabile al testo conservato, che non contiene alcun accenno al combattimento dei galli84, per cui Dover 1968, XC-XCIII, ha supposto che lo scolio fosse in realtà riferito all’ agone della prima redazione, che poteva contenere l’ impiego metaforico di tale immagine85, concretizzata scenicamente da un particolare costume dei contendenti o dalle gabbie come oggetti scenici, nell’ agone o nel canto corale precedente (eliminato da Aristofane perché non più congruente nelle seconde Nuvole)86. Tale ipotesi, per quanto suggestiva, non trova tuttavia conferme nei frammenti conservati o nelle testimonianze relative alla prima versione della commedia. Neppure può essere validata dalla raffigurazione vascolare del calyx-krater attico a figure rosse (datato 415–400 a. C.) conservato nel J. Paul Getty Museum di Malibu (82. AE. 83) e pubblicato per la prima volta da Green 1985, il cui lato A presenta due personaggi abbigliati come uccelli che si affrontano, separati da un auleta. Sulla base dello schol. ad Ar. Nub. 889c, tali figure, che per Green 1985 rappresentano il Coro degli Uccelli, sono state identificate con i due
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26 ss.; Kock 1894, 36–7; Heidhues 1897, 5; Montuori 1966, 159 e n. 30; Russo 19842, 30–1 (1994, 16–7). Per Hubbard (1986, 186–7; 1991, 92–4), il riferimento ai Daitalēs nella parabasi è stato introdotto nella seconda redazione, in relazione all’ agone dei due Discorsi. Per Schwandke 1898, 46–7, p. es., Fidippide, nelle Nuvole prime, non era istruito né da Socrate né da Strepsiade, il quale ultimo diventava egli stesso un perfetto sofista e si vantava della sapienza acquisita col figlio, il quale lo derideva. In questo caso lo scontro padre / figlio sarebbe ribaltato rispetto all’ agone secondario delle seconde Nuvole (Nub. 1321–475), con Strepsiade nei panni del sofista e Fidippide in quelli dell’ uomo comune. Nonostante Graves (1898, 139) e Starkie (1911, 201) accettino tale ‘didascalia’ nelle loro edizioni, già Rogers (1916, 115) la riteneva assurda; diversamente Dearden 1976, 153, per cui è possibile l’ entrata dei Λόγοι in “wicker cages”. Cfr. anche Zimmermann 2012, 17–8; 2017, 28. Così Tarrant 1991, 175; Guidorizzi 1996, 292–3; Sonnino 2005, 227. Per la concretizzazione delle metafore in oggetti scenici in ambito teatrale, cfr. Zimmermann 2012, 16–7; 2017, 26–8.
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Discorsi delle Nuvole da Taplin 1987, 92–6, seguito da Fowler 1989 e Csapo 1993; in seguito, tuttavia, lo stesso Taplin ha rivisto la propria interpretazione (Taplin 1993, 103–4), ipotizzando la rappresentazione di un coro teriomorfico di una commedia al momento non identificata. Mi sembra pertanto corretta la scelta di Kassel ed Austin di non inserire lo schol. ad Ar. Nub. 889c tra le testimonianze relative alla prima redazione della commedia, tanto più che esso non contiene alcun riferimento esplicito ad essa87. Esodo Per quanto riguarda l’ esodo (Nub. 1476–511), già si è detto dell’ interpretazione ironica dei vv. 537–42, contenenti, in realtà, una punta critica nei confronti degli spettatori che, nel 423, non avevano apprezzato la comicità troppo raffinata e ‘seria’ delle Nuvole prime (vd. supra, pp. 15–6). Il poeta introduce quindi alcuni elementi farseschi nel finale rielaborato88, come le fiaccole, con cui Strepsiade dà fuoco al Pensatoio socratico89. L’ esodo “riprende” pertanto “lo schema antropologico del φαρμακός” (Guidorizzi 1996, 348), il capro espiatorio la cui cacciata purifica la città dal male e dall’ impurità90. Ma come si concludevano le Nuvole prime? È verosimile l’ ipotesi, già presentata supra (pp. 14–5), di un finale ‘tragico’ in cui, dopo un illusorio successo sui creditori nelle scene ‘episodiche’, Strepsiade risultasse sconfitto (καταστροφή), forse dopo uno scontro con Fidippide91. L’ ipotesi di un ‘trionfo’ di Strepsiade92, che rifiutava di pagare il maestro, avendone assimilato perfettamente la lezione di disonestà93, mi sembra
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Per Sommerstein 1997, 281–2, seguito da Casanova 2000, 28–9, tale nota, che era forse collocata originariamente nello spazio tra due colonne di testo (Casanova 2000, 29 n. 36) e doveva riferirsi alla scena precedente (Nub. 847 ss.), in cui il gallo e la gallina, oggetto della disputa grammaticale tra Strepsiade e Fidippide, potevano essere portati in scena fisicamente dentro gabbiette (cfr. Dover 1968, 203), sarà in seguito stata assegnata ai vv. 889 ss. per errore di qualche copista. Per Hubbard 1986 , 187 n. 19 (= 1991, 93 n. 15), “this staging may be nothing more than scholiastic speculation”. Riguardo all’ estensione di tale rielaborazione le ipotesi sono diverse: aggiunta dell’ intera scena finale (Graves 1898, 165); modificazione dell’ ultima parte dell’ esodo (Witten 1877, 16); abbreviamento (Göttling 1856, 30–2; Weyland 1871, 40 ss.); inserimento di dettagli differenti (Rogers 1916, XVI–XVII); riscrittura parziale (Starkie 1911, 317); modificazione estensiva a partire da Nub. 1214 (Koechly 1859, 419). Per l’interpretazione opposta, secondo la quale Aristofane aveva intenzione di eliminare questi elementi nella rielaborazione, vd. supra n. 23. Il rogo del Pensatoio potrebbe alludere anche a fatti storici, come l’ incendio della dimora in cui erano riuniti i Pitagorici da parte degli abitanti di Crotone, avvenuto probabilmente dopo il 450 a. C. (cfr. Göttling 1856, 30; van Leeuwen 1898, 227; Dover 1968, 266; Kopff 1977, 116–7; Mastromarco 1983, 439; Guidorizzi 1996, 349). Cfr. Schwandke 1898, 47. Cfr. Schwandke 1898, 13–5; 51; Whitman 1964, 120–1; Dover 1968, XCIII–XCIV; MacDowell 1995, 144 ss. Per Teuffel−Kaehler 18872, 31, la “conversione” di Strepsiade avveniva in modo meno drammatico, oppure Socrate e Cherefonte erano bastonati dal protagonista e dal servo Xantia. Cfr. Howald 1922, 38.
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meno convincente, perché (come notato già da Casanova 2000, 30) il piano di Strepsiade è fin dall’ inizio disonesto, a differenza di quello di altri eroi comici. I frammenti superstiti non ci consentono di determinare se il personaggio di Socrate nella prima redazione presentasse le medesime caratteristiche che nelle seconde Nuvole, dove il filosofo è rappresentato, con una deformazione caricaturale, non solo come un Sofista, ma addirittura come ‘il peggiore’ dei Sofisti, divenendo bersaglio privilegiato della satira contro la nuova cultura, corrosiva delle certezze tradizionali e fonte di corruzione morale94. Secondo alcuni studiosi, nelle Nuvole prime la satira era piuttosto rivolta contro i discepoli di Socrate, di cui si evidenziava l’ abilità retorica95, oppure contro Socrate come filosofo naturale, che specula sugli astri96. In mancanza di dati testuali concreti, queste sono tuttavia mere ipotesi. La testimonianza dell’ Apologia platonica (18a–d; 19b–c)97 sembra fare riferimento alla prima versione della commedia, probabilmente l’ unica rappresentata in teatro (vd. supra), che poteva avere influito sul pubblico ateniese, creando nella massa un pregiudizio ostile nei confronti del filosofo98. Datazione Secondo l’ arg. Ar. Nub. A 6, p. 4, 11–2 Holwerda (= test. i a), le Nuvole prime furono rappresentate alle Grandi Dionisie del 423 a. C., sotto l’ arcontato di Isarco99. Cfr. anche gli scholl. Ar. Nub. 549a, p. 123, 19–20 Holwerda (= test. vi a); 549b, p. 124, 5 Holwerda (= test. vi b); gli scholl. Ar. Vesp. 1038c (= test. *x) e 1044 (= test. i c), che datano la rappresentazione delle Nuvole l’ anno precedente a quella delle Vespe (Lenee del 422 a. C.)100. 94
“Il Socrate delle Nuvole […] è contemporaneamente il sofista che predica il relativismo dei valori e fa il maestro di retorica, il mistico sacerdote di divinità straniere, lo scienziato dedito a ricerche astruse, l’ ateo pronto a confutare la religione tradizionale, il filosofo sganciato dalla realtà e tutto immerso nelle sue astratte speculazioni” (Guidorizzi 2005, 391). 95 Cfr. Fritzsche 1835, 105–8; Sauerwein 1872, 31–2; recentemente Sonnino 2005, 220 ss. 96 Cfr. Chiappelli 1886; 1891; contra Montuori 1966. 97 ἐμοῦ γὰρ πολλοὶ κατήγοροι γεγóνασι πρὸς ὑμᾶς καὶ πάλαι πολλὰ ἤδη ἔτη […] ὡς ἔστι τις Σωκράτης σοφὸς ἀνήρ, τά τε μετέωρα φροντιστὴς καὶ τὰ ὑπὸ γῆς ἅπαντα ἀνεζητηκὼς καὶ τὸν ἥττω λóγον κρείττω ποιῶν (18b–c). […] ἔτι δὲ καὶ ἐν ταύτῃ τῇ ἡλικίᾳ λέγοντες πρὸς ὑμᾶς, ἐν ᾗ μάλιστα ἐπιστεύσατε παῖδες ὄντες (19b–c). […] ταῦτα γὰρ ἑωρᾶτε καὶ αὐτοὶ ἐν τῇ Ἀριστοφάνους κωμῳδίᾳ, Σωκράτη τινὰ […] ἀεροβατεῖν […] (19c). 98 Cfr. Tarrant 1991, 162. 99 Vd. infra il commento relativo. 100 Più controversa è la datazione delle seconde Nuvole, che l’ arg. Ar. Nub. A 6, p. 4, 16–7 Holwerda (= test. i a) pone erroneamente sotto l’ arcontato di Aminia (422 a. C.): vd. infra, ad loc. Il terminus post quem è infatti la rappresentazione del Marikās di Eupoli (Nub. 553), nel 421 a. C. (vd. infra, ad test. vii), come afferma lo schol. Ar. Nub. 553 (= test. vii). Più difficile determinare con certezza il terminus ante quem, in relazione all’ ostracismo di Iperbolo, variamente datato dal 419 / 8 al 416 / 5 a. C. (cfr. Bianchetti 1979, 224 e n. 3; Gomme−Andrewes−Dover, V [1981], 259–61), o alla sua morte, nel 411 a. C. (Thuc. 8, 73, 3). Si va dalla datazione alta al 420–18 a. C. (Dover 1968, LXXX;
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test. i (= cfr. test. i K.-A.; Amips. Konn. test. i K.-A.; Cratin. Pyt. test. i K.-A.) a. Arg. Ar. Nub. (VERs) A 6 Holwerda (= II Dover) αἱ πρῶται Νεφέλαι ἐδιδάχθησαν ἐν ἄστει ἐπὶ ἄρχοντος Ἰσάρχου (424 / 3 a. C.), ὅτε Κρατῖνος μὲν ἐνίκα Πυτίνῃ, Ἀμειψίας δὲ Κόννῳ. διόπερ Ἀριστοφάνης ἀπορριφεὶς παραλόγως ᾠήθη δεῖν ἀναδιδάξας τὰς Νεφέλας τὰς δευτέρας καταμέμφεσθαι τὸ θέατρον. ἀτυχῶν δὲ πολὺ μᾶλλον καὶ ἐν τοῖς ἔπειτα οὐκέτι τὴν διασκευὴν εἰσήγαγεν. αἱ δὲ δευτέραι Νεφέλαι ἐπὶ Ἀμεινίου ἄρχοντος (423 / 2 a. C.). ἐδιδάχθησαν ἐν ἄστει ERs: ἐν ἄστει ἐδιδάχθησαν V μὲν ERs: μὲν γ V: μὲν πρῶτος Koster ἀπορριφεὶς E : -φθεὶς VRs ἀναδιδάξας ERs: -αι V τὰς Νεφέλας τὰς δευτέρας VRs: τὰς δευτέρας E καταμέμφεσθαι ERs: ἀπο- V εἰσήγαγεν VE: ἐπRs ἄρχοντος VE: ἰσάρχου add. Rs Le prime Nuvole furono rappresentate alle Dionisie urbane sotto l’ arcontato di Isarco (424 / 3 a. C.), quando Cratino vinse con la Pytinē e Amipsia con il Konnos. Per questo Aristofane, respinto imprevedibilmente, pensò di dover rimproverare il pubblico, rappresentando di nuovo le Nuvole in una seconda versione. Egli ebbe, però, un insuccesso molto peggiore e in seguito non rappresentò più il rifacimento. Le seconde Nuvole sono datate all’ arcontato di Amipsia (423 / 2 a. C.). b. Schol. Ar. Nub. (RE) 524b τοῦτο ἐπὶ τῶν προτέρων Νεφελῶν. Questo riguardo alle prime Nuvole. c. Schol. Ar. Vesp. (VΓLhAld) 1044 πέρυσιν καταπροὔδοτε· ὅτι πέρυσι διδάξας τὰς πρώτας Νεφέλας ἠττήθη. ὅτι ΓLhAld: om. V
τὰς πρώτας Νεφ. ΓLhAld: τὰς πρώτας τὰς Νεφ. V
perysin kataproudote (“l’ anno scorso [lo] tradiste”): perché l’ anno precedente, con la rappresentazione delle prime Nuvole, fu sconfitto.
Bibliografia Esser 1821, 10–7; Enger 1853, 5; Brentano 1871, 30–7; Sauerwein 1872, 3; Witten 1877, 3; Naber 1883, 306–7; Gröbl 1889–90, 26–32; Kock 1894, 25; Graves 1898, 72; Starkie 1911, LI; Emonds 1941, 279–80; Dover 1968, LXXX– LXXXII; Blum 1977, 56–7 (= 1991, 27); PCG, III 2 (1984), 214; Storey 1993, 74; Casanova 2000, 19, 22–3; Henderson 2007, 294–5 (~ 2011, 310); Di Bari 2010, 195; Storey, FOC, I (2011), 242–3; Orth 2013, 175–6; Bianchi 2016, 302–3. Contesto Argomento (hypothesis) della redazione integralmente conservata della commedia. Le informazioni relative all’ agone, alla datazione e alla classifica
Geißler 19692, 43; Storey 1993; Casanova 1995, 109–10; Henderson 2007, 295 ~ 2011, 310; Zimmermann 2011a, 771) a quella bassa al 417 a. C. (Bianchetti 1979) o addirittura al 415–11 a. C. (Koppf 1990).
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(arg. Ar. Nub. A 6, p. 4, 12–13 Holwerda) risalgono probabilmente alle Didascalie di Aristotele e sono quindi attendibili101, mentre le annotazioni che seguono, relative alla seconda rappresentazione delle Nuvole, trasmettono informazioni molto più incerte102 (vd. infra, Interpretazione). Lo schol. Ar. Nub. 524b spiega il riferimento della parabasi alla sconfitta del poeta ad opera di commediografi volgari (cfr. Nub. 524–5: ὑπ᾿ ἀνδρῶν φορτικῶν | ἠττηθείς)103; lo schol. Ar. Vesp. 1044, analogamente, spiega il riferimento, anch’ esso contenuto nella parabasi, al ‘tradimento’ del pubblico l’anno precedente (423 a. C.). Interpretazione L’ arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda data la prima rappresentazione delle Nuvole alle Grandi Dionisie del 423 a. C. (sotto l’ arcontato di Isarco), di cui riporta anche il primo classificato (Cratino con la Pytinē) e il secondo (Amipsia con il Konnos)104. Le annotazioni successive, relative alla versione rielaborata della commedia e alla sua sfortunata seconda rappresentazione teatrale, sembrano non completamente attendibili, perché contrastano con le testimonianze dell’ arg. Ar. Nub. A 7, p. 4, 19–20 Holwerda (= test. ii, 2–3 K.-A.) e dello schol. Ar. Nub. 553 (= test. vii), in base alle quali le seconde Nuvole non furono mai rappresentate105. La datazione di queste ultime sotto l’ arcontato di Aminia (422 a. C.) risulta infine erronea, perché il terminus post quem è la rappresentazione del Marikās di Eupoli (Nub. 553), nel 421 a. C. (vd. supra, Datazione, n. 100): “the author [of the arg. Ar. Nub. A 6] presumably selected the next archon-year after the original production as his choice for the date of the revision” (Storey 1993, 74)106. Sembra inoltre che nel 422 a. C. Aristofane non abbia potuto partecipare alle Dionisie, perché sconfitto agli agoni dionisiaci dell’ anno precedente107, mentre alle Lenee concorse con altre due commedie, le Vespe e il Proagōn (cfr. arg. Ar. Vesp. II, p. 6, 37–9 Koster = Proag. test. iii)108. La notizia della sconfitta delle Nuvole prime alle Dionisie del 423 a. C. è riportata anche dagli scholl. Ar. Nub. 524b; Vesp. 1044.
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Cfr. Gröbl 1889–90, 27; Blum 1977, 54–7 (= 1991, 26–7). “Cui didascaliae quae subiciuntur absurda sunt […]” (Kaibel, ap. PCG, III 2 [1984], 214); cfr. inoltre Gröbl 1889–90, 26–32; Guidorizzi 1996, XLVIII. 103 Vd. supra, Parabasi, p. 16. 104 Non è chiaro se nell’ anno di rappresentazione delle Nuvole i commediografi in gara alle Dionisie fossero tre (cfr. ad es. Mastromarco 1975, 26–7; 19962, 9–10) o cinque (cfr. ad es. Luppe 1972). 105 Vd. supra, pp. 20–1. 106 Camon 1961, 55 n. 8, pensa invece a successive revisioni della commedia del 423 a. C., la prima delle quali databile al 422 a. C. (cfr. anche Camon 1963, 51). Per il terminus ante quem vd. supra, Datazione, n. 100. 107 Cfr. Mastromarco 1978, 25 ss.; 19962, 56–7. 108 Vd. infra, pp. 258 ss. 102
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test. ii K.-A. Arg. Ar. Nub. (VERs) A 7 Holwerda (= I Dover) τοῦτο ταὐτόν ἐστι τῷ προτέρῳ. διεσκεύασται δὲ ἐπὶ μέρους ὡς ἂν δὴ ἀναδιδάξαι μὲν αὐτὸ τοῦ ποιητοῦ προθυμηθέντος, οὐκέτι δὲ τοῦτο δι᾿ ἥν ποτε αἰτίαν ποιήσαντος. καθόλου μὲν οὖν σχεδὸν παρ᾿ ἅπαν μέρος †γεγενημένη† διόρθωσις· τὰ μὲν γὰρ περιῄρηται, τὰ δὲ παραπέπλεκται, καὶ ἐν τῇ τάξει καὶ ἐν τῇ τῶν προσώπων διαλλαγῇ μετεσχημάτισται. ἃ δὲ ὁλοσχερῆ τῆς διασκευῆς †τοιαῦτα† ὄντα τετύχηκεν· αὐτίκα ἡ παράβασις τοῦ χοροῦ ἥμειπται, καὶ ὅπου ὁ δίκαιος λόγος πρὸς τὸν ἄδικον λαλεῖ, καὶ τελευταῖον ὅπου καίεται ἡ διατριβὴ Σωκράτους. τοῦτο V: τοῦτο δὲ E: om. Rs αὐτὸ ERs: -ῷ V παρ᾿ ἅπαν ERs: παρὰ πᾶν V μέρος VE: γένος Rs γεγενημένη codd.: γεγενημένη ἡ Buecheler: γεγένηται ἡ Blaydes: γεγένηται μὲν ἡ dub. Holwerda γάρ VE: om. Rs παραπέπλεκται VE: -πλασται Rs ὁλοσχερῆ ERs (fort. -εῖς E): -ῆς V: -οῦς Dindorf τοιαῦτα codd.: τρι᾿ ἄττα dub. Holwerda: 〈οὐ〉 τοιαῦτα ὄντα Erbse αὐτίκα ERs: αὐτίκα μάλα V καίεται ERs: καὶ ἔτι V Questa versione è la medesima della precedente; tuttavia è stata rielaborata nei dettagli, come se il poeta avesse voluto rappresentarla di nuovo, ma non l’ avesse più fatto per una qualche ragione. Considerando dunque la commedia nel suo complesso, la revisione riguarda quasi ogni parte: alcune sezioni infatti sono state eliminate, altre introdotte, e sono stati fatti cambiamenti sia nella loro successione sia nell’ ordine delle battute dei personaggi. Alcune parti poi, come sono ora, appartengono interamente al rifacimento: così la parabasi del Coro è stata interamente modificata, e dove il discorso giusto parla con quello ingiusto, e infine dove la scuola di Socrate è data alle fiamme.
Bibliografia Esser 1821, 17–8; Bekker 1826, 135; Enger 1853, 4; Bücheler 1861, 685; Dindorf 18695, 31 e 188; Brentano 1871, 39; Weyland 1871, 4–5; Sauerwein 1872, 6; Blaydes 1873–74, 5; Ritter 1876, 450–1; Witten 1877, 3; Naber 1883, 307 ss.; Blaydes 1885, 200; Teuffel–Kaehler 18872, 29–31; Gröbl 1889–90, 32–39; Kock 1894, 27–9; Graves 1898, 72; van Leeuwen 1898, XX; Schwandke 1898, 5–9; Starkie 1911, LI; Rogers 1916, XII–XIII; Emonds 1941, 280–5; Holwerda 1958, 34–6; Dover 1968, LXXXII–LXXXIV; Erbse 1969 (= Newiger 1975, 198–211); Erbse 1979, 230; Sommerstein 1982, 3–4; PCG, III 2 (1984), 214–5; Storey 1993, 78–9; Casanova 2000, 19, 23; Henderson 2007, 294–7 (~ 2011, 310); Di Bari 2010, 196 ss.; Orth 2013, 175–6; Bianchi 2016, 302–3. Contesto Argomento (hypothesis) della redazione integralmente conservata delle Nuvole. Le informazioni relative alla revisione della commedia sembrano risalire a una fonte in grado di confrontare le due versioni: il filologo e scienziato alessandrino Eratostene (295–214 a. C. ca.)109, autore di un trattato Sulla commedia
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Cfr. Reynolds–Wilson 1968, tr. it. 6.
Νεφέλαι αʹ (test. ii)
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antica110, secondo Strecker 1884, 59; Gröbl 1889–90, 32–39 (cfr. anche Starkie 1911, LII, LXVII, 7; Holwerda 1958, 36)111. Testo Il testo tràdito appare corrotto in due punti. 1) Il participio perfetto medio γεγενημένη nel secondo periodo rappresenta una difficoltà sintattica, perché manca il verbo principale, a meno di non considerare il participio parte di una forma perifrastica con ἐστί sottinteso112. Bücheler 1861, 685, propone l’ integrazione dell’ articolo ἡ prima del soggetto διόρθωσις, che tuttavia non risolve il problema. Blaydes (1873–74, 5; 1885, 200) corregge γεγένηται ἡ; Holwerda propone dubitativamente in apparato γεγένηται μὲν ἡ. Dover 1968, 1, integra anch’ egli l’ articolo e segnala una lacuna dopo διόρθωσις. 2) Nel terzo periodo l’ aggettivo dimostrativo τοιαῦτα è apparso corrotto: Holwerda propone, anche qui dubitativamente e in apparato, la correzione τρι᾿ ἄττα113; Erbse 1979, 230, suggerisce di integrare una negazione (〈οὐ〉 τοιαῦτα ὄντα). Tali correzioni, tuttavia, non risolvono, a mio parere, le difficoltà sintattiche date dal periodo (vd. infra, Interpretazione). Interpretazione L’ arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda è la testimonianza più dettagliata sulle differenze tra le due redazioni delle Nuvole: la commedia integralmente pervenuta, pur essendo nella sostanza identica alla precedente (di cui manteneva evidentemente molte caratteristiche, nella tematica, nella trama, nei personaggi e nella composizione del coro), è stata rielaborata nei dettagli, come in vista di una nuova rappresentazione, che però non avvenne. L’ arg. A 7 distingue quindi una revisione (διόρθωσις) relativa alla commedia nel suo complesso, con l’ eliminazione di alcune parti, l’ inserimento di altre e cambiamenti sia nella loro disposizione sia nelle successione delle battute dei personaggi; individua infine alcune sezioni interamente appartenenti al rifacimento (διασκευή): 1) la parabasi propria (Nub. 518–62); 2) l’ agone dei due discorsi (Nub. 889–1104); l’ esodo, con l’ incendio del Pensatoio da parte di Strepsiade (Nub. 1476–511). ἐπὶ μέρους Per la traduzione “nei dettagli” cfr. Dover 1968, LXXXII; Mastromarco 1983, 325; Henderson 2007, 295 (= 2011, 310). Del Corno (ap. Guidorizzi 1996, 13) traduce invece “parzialmente” (cfr. MacDowell 1995, 135 n. 45). καθόλου La contrapposizione con la revisione ἐπὶ μέρους (vd. supra), di cui si parla nel periodo precedente è solo apparente, perché l’ arg. A 7 distingue, in realtà, tra la revisione della commedia “nel suo complesso”, che avviene appunto “nei dettagli”, e il rifacimento complessivo delle sezioni indicate successivamente (cfr. Dover 1968, LXXXII–LXXXIII). 110
Per il trattato Περὶ τῆς ἀρχαίας κωμῳδίας di Eratostene cfr. Bagordo 1998, 37–40; Tosi 1998a; Montana 2013; Mureddu 2017. 111 Tracce di una tradizione esegetica risalente a Eratostene anche negli scholl. Ar. Nub. 553 (= Eratosth. fr. 97 Str. = test. vii); 967 (= Eratosth. fr. 101 Str.). Per il rapporto tra hypomnēmata alessandrini e scolii posteriori ad Aristofane cfr. Montana 2004; 2006b. 112 In proposito vd. tuttavia Dover 1968, LXXXII. 113 Precedentemente τρία ταῦτα ὄντα (Holwerda 1958, 36 n. 1).
30
Aristophanes
ἐν τῇ τῶν προσώπων διαλλαγῇ L’ espressione indica l’ introduzione di modifiche nello ‘scambio’ tra i personaggi drammatici, cioè nelle parti dialogate114. ἃ δὲ […] ὄντα τετύχηκεν Questa frase, sintatticamente, può essere analizzata in due modi diversi, anche se non muta il senso complessivo. Nella mia interpretazione considero ἃ δὲ equivalente a τὰ δέ (cfr. LSJ, s. v. ὅς, A 4; Dover 1968, LXXXIV) e ὄντα participio congiunto. Se invece si considera ἃ pronome relativo, è necessario sottintendere un verbo (ἐστί) e considerare ὄντα participio predicativo dipendente da τετύχηκεν (“quegli elementi che appartengono interamente alla revisione sono tali”)115. αὐτίκα Per Dover 1968, LXXXIV, αὐτίκα “need not strictly mean ‘for example’”; cfr. anche Mastromarco 1983, 325; Henderson 2007, 295 (= 2011, 301); diversa la traduzione di Del Corno (ap. Guidorizzi 1996, 13: “per esempio”). ὅπου ὁ δίκαιος λόγος πρὸς τὸν ἄδικον λαλεῖ In senso restrittivo, si può intendere questa notazione come riferita solo alla parte del “Discorso Giusto” (Nub. 961–1023; cfr. Casanova 2000, 29); per Sommerstein 1997, 277, è da riferire solo alla sezione preliminare dell’ agone (Nub. 849–948; cfr. anche Sommerstein 1982, 4 n. 9; Henderson 2007, 297 ~ 2011, 310). Per Dover 1968, LXXXIV, tale notazione è invece da riferire all’ agone nel suo complesso.
test. iii (cfr. test. iii K.-A.; Ar. test. 2a 20; c 13 K.-A.) a. P. Berol. 21163 (= BKT IX 66), col. I 8 ].ος καὶ Νεφέλας δύο δ̣ιεσ[κεύασε οὗ]τος Maehler
διεσ̣[κεύασε Maehler
διεπ̣[όνησε Austin
… os compose (?) anche due Nuvole. b. Catal. fab. Ar. pap. = P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 2, col. I 13 Νε]φέλαι βʹ Due Nuvole c. Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 16 Koster Νεφέλαι βʹ Due Nuvole d. Arg. Ar. Nub. A 8, p. 5, 7 Holwerda (= VI 4–5 Dover) διτταὶ δὲ φέρονται Νεφέλαι Si tramandano due Nuvole.
114
Cfr. Dover 1968, LXXXIII; Del Corno, ap. Guidorizzi 1996, 13, traduce invece “nel comportamento dei personaggi”. 115 Cfr. Dover 1968, LXXXIV.
Νεφέλαι αʹ (test. iv)
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Bibliografia Maehler 1980; PCG, III 2 (1984), 215; Cavallo–Maehler 1987, 50b; Ioannidou 1996; Crisci 2000, 10; http://berlpap.smb.museum/16155 (cons. 13 / 6/2018). Contesto P. Berol. 21163 (= Maehler 1980, 152) appartiene a una miscellanea filologica datata a VII–VIII sec. d. C.116. P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 1 col. I et fr. 2 col. I, faceva parte di un catalogo papiraceo (II sec. d. C.) dei titoli delle commedie di Aristofane. Prol. de com. XXXa Koster è un catalogo manoscritto dei titoli delle commedie di Aristofane (M Rs Vat. 918). L’ arg. Ar. Nub. A 8 Holwerda è un argomento (hypothesis) della redazione integralmente conservata della commedia. Interpretazione Nuvole.
Le testimonianze qui raccolte attestano due redazioni delle
test. iv K.-A. Schol. (ENMRs) Ar. Nub. 520 οὕτω νικήσαιμ᾿ ἔγωγε (EMRs)· διπλῆ 〈καὶ〉 ἔκθεσις εἰς 〈αὐτὴν〉 τὴν παράβασιν. οὐχ ἡ αὐτὴ δέ ἐστιν οὐδὲ τοῦ αὐτοῦ μέτρου τῇ ἐν ταῖς πρώταις Νεφέλαις, ἀλλ᾿ ἔστι τοῦ καλουμένου εύπολιδείου. (ENMRs) 〈καὶ〉 Thiemann τῇ mss.
ἔκθεσις Thiemann: εἰσ- mss.
〈αὐτὴν〉 Holwerda
τοῦ Dobree:
houtō nikēsaim’ egōge (“così possa risultare vincitore”): diplē 〈ed〉 ekthesis per (evidenziare) la parabasi. Non è la stessa, né nello stesso metro di quella delle prime Nuvole, ma è nel metro chiamato eupolideo.
Bibliografia 2011, 310).
Dobree 1833, 155; Thiemann 1869, 15; Henderson 2007, 296–7 (~
Contesto Lo schol. Ar. Nub. 520 (οὕτω νικήσαιμί τ᾿ ἐγὼ117 καὶ νομιζοίμην σοφός) commenta un verso della parabasi propria delle Nuvole integralmente pervenute e spiega che questa sezione era evidenziata con il segno critico della diplē118 e scrivendo verso il margine sinistro (ekthesis)119. 116
Per la datazione cfr. Cavallo–Maehler 1987, 110; Crisci 2000, 10 (precedentemente Maehler 1980 e Ioannidou 1996 datavano il papiro al IV–V sec. d. C.). Secondo gli editori appartiene alla medesima opera anche P. Berol. 13231 G fr. e (cfr. Maehler 1980; Ioannidou 1996). 117 Bentley (νικήσαιμ᾿ ἔγωγε codd.). 118 Già usata dai filologi alessandrini per indicare “un passo notevole per lingua o per contenuto” (Reynolds–Wilson 1968, tr. it. 10). 119 Per il significato di ἐκθεσις vd. infra, ad test. ix.
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Aristophanes
Interpretazione Lo schol. Ar. Nub. 520 ci informa che la parabasi propria (Nub. 518–62) è stata rielaborata (cfr. arg. Ar. Nub. A 7, p. 5, 1 Holwerda = test. 2, 10 K.-A.) e anche che il metro della nuova redazione (l’ eupolideo) è diverso da quello usato nelle Nuvole prime (probabilmente il tetrametro anapestico catalettico, molto comune in questa sezione della parabasi)120. L’ eupolideo non è impiegato altrove nelle commedie superstiti di Aristofane (pur essendo comune nei frammenti di altri commediografi121, in particolare Eupoli, da cui prende il nome): forse la parabasi revisionata delle Nuvole costituiva una parodia metrica del commediografo rivale, accusato di plagio dei Cavalieri (Nub. 553–5)122.
test. v K.-A. Schol. (VEM) Ar. Nub. 543a οὐδ᾿ εἰσῇξε δᾷδας (EM) ἔχουσα (M)· οὐκ ἔστι δῆλος (VEM) ἐνταῦθα (V) τίνι παρονειδίζει· ἀλλ᾿ ἴσως ἑαυτῷ, ἐπεὶ πεποίηκεν ἐν τῷ τέλει τούτου τοῦ δράματος καιομένην τὴν διατριβὴν Σωκράτους καί τινας τῶν φιλοσόφων λέγοντας ἰοὺ ἰού. (VEM) ἐν δὲ ταῖς πρώταις Νεφέλαις τοῦτο οὐ πεποίηκεν. ποιεῖ δὲ αὐτὸ μετὰ λόγου, οὗτοι δὲ ἀκαίρως. (VE) ἀλλ᾿ ἴσως EM: ἀλλὰ καὶ V ἐν VM: om. E λέγει M ποιεῖ mss.: -ήσει Ald.
τούτου E: om. VM
λέγοντας VE:
ouk eisēixe dāidas echousa (“non entrò in scena portando fiaccole”): non è chiaro qui chi critica; ma forse se stesso, perché, nel finale di questo dramma, ha rappresentato la scuola di Socrate incendiata e alcuni dei filosofi che dicono “ahi! ahi!”. Invece non ha rappresentato questo nelle prime Nuvole. Egli fa ciò con una ragione, costoro invece in modo inopportuno.
Bibliografia
Enger 1853, 4–5; Henderson 2007, 296–7 (~ 2011, 310).
Contesto Lo schol. Ar. Nub. 543 (οὐδ᾿ εἰσῇξε δᾷδας ἔχουσ᾿ οὐδ᾿ “ἰοὺ ἰού” βοᾷ) cerca di spiegare la contraddizione per cui Aristofane nella parabasi critica, per bocca del Corifeo, espedienti comici scontati come le torce o le grida, che tuttavia sono da lui utilizzati nel finale (esodo) della commedia, dove Strepsiade dà fuoco al Pensatoio socratico (cfr. Nub. 1490, 1493 / 4). L’ antico commentatore sembra fondere due diverse spiegazioni, la prima delle quali fa riferimento alle modifiche intervenute nella seconda redazione, la seconda invece distingue l’uso che di queste gags fa Aristofane dal loro abuso immotivato da parte di commediografi volgari123. 120
Vd. supra, p. 16. Cfr. Martinelli 1995, 251; Guidorizzi 1996, 256. 122 Vd. supra, p. 16. 123 Per il metodo degli scolii medievali ad Aristofane, che raccolgono differenti interpretazioni, utilizzando fonti diverse, cfr. Montana 2006b. 121
Νεφέλαι αʹ (test. vi)
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Interpretazione Lo schol. Ar. Nub. 543 attesta che l’ esodo è stato profondamente modificato nella seconda redazione (cfr. arg. Ar. Nub. A 7, p 5, 2–3 Holwerda = test. ii, 11–2 K.-A.), con l’ inserimento di espedienti farseschi (vd. supra, pp. 15–6). Per le ipotesi critiche sulla ricostruzione del finale delle Nuvole prime vd. supra, pp. 24–5 (Esodo).
test. vi K.-A. a.Schol. (RVE) Ar. Nub. 549a ὃς μέγιστον ὄντα (R) Κλέων᾿· ὁ (RV) Κλέων ἀποθνῄσκει ἐπὶ Ἀμεινίου (423 / 2 a. C.). (RVE) πρὸ δὲ τούτου ἐστὶν Ἴσαρχος, ἐφ᾿ οὗ αἱ (VE) πρῶται (V) Νεφέλαι εἰσήχθησαν. ὁ μέντοι Ἀνδροτίων (FGrHist 324 F 40) ἐπὶ Ἀλκαίου φησὶ τοῦ μετὰ Ἀμεινίαν τὸν Κλέωνα δυσὶν ὕστερον ἔτεσι τεθνάναι τῆς τῶν Νεφελῶν διδασκαλίας. (VE) εἰκότως οὖν ὡς ἔτι περιόντι τῷ Κλέωνι λοιδορεῖται ὁ Ἀριστοφάνης οὐ μόνον ἐν τοῖς προκειμένοις ἀλλὰ καὶ ἐν τοῖς ἐξῆς (RVE) ἢν Κλέωνα τὸν λάρον δώρων (RE) ἑλόντες καὶ κλοπῆς (Nub. 591). (R) post Ἀνδροτίων: οὗτος V: ἐν τρίτῳ con. Jacoby Ἀμεινίαν V: κλει- E ἔτεσι τεθνάναι Ald. (cfr. schol. Ar. Nub. 549b): om. E: τελευτῆσαι post Κλέωνα et ἔτεσιν post δυσὶν V hos megiston onta Kleōn(a) (“[egli] che [colpì] Cleone quando era al culmine della potenza”): Cleone muore sotto l’ arcontato di Aminia (423 / 2 a. C.). Prima di questo (arconte) c’ è Isarco, sotto il quale furono rappresentate le prime Nuvole. Tuttavia Androzione (FGrHist 324 F 40) dice che Cleone è morto sotto l’arcontato di Alceo, il successore di Aminia, due anni dopo la rappresentazione delle Nuvole. Verosimilmente dunque Aristofane prende in giro Cleone come ancora vivo non solo nei versi precedenti, ma anche in quelli successivi: “se, dopo aver convinto di corruzione e furto Cleone il gabbiano” (Nub. 591). b.Schol. (EM) Ar. Nub. 549b (= Eup. test. ii K.-A.) ὃς (E) μέγιστον ὄντα (EM) Κλέων᾿ ἔπαισεν (M)· ὡς περὶ ζῶντος αὐτοῦ διαλέγεται ἐν οἷς φησι Κλέωνα τὸν λάρον (Nub. 591). καὶ Ἀνδροτίων (FGrHist 324 F 40) δέ φησιν αὐτὸν ἐπὶ Ἀλκαίου (422 /1 a. C.) τεθνάναι δυσὶν ἔτεσιν ὕστερον· Ἴσαρχος δέ, φησίν, ἐφ᾿ οὗ αἱ πρῶται Νεφέλαι ἐδιδάχθησαν. πῶς οὖν δύναται καὶ τοῦ Μαρικᾶ μεμνῆσθαι, ὃς ἐδιδάχθη μὲν πρὸ τῶν Νεφελῶν, ὡς καὶ νῦν αὐτός φησιν, (EM) ἐκεῖ δὲ ὁ (E) Εὔπολις ὡς τεθνηκότος Κλέωνος μέμνηται (fr. 211); ἤ, (EM) ἐπεὶ οὐ φέρονται αἱ διδασκαλίαι τῶν δευτέρων Νεφελῶν, οὐδὲν δυνάμεθα διαρθρῶσαι· ἢ (E) Εὔπολις ἐπλάσατο τὴν Κλέωνος τελευτὴν ἐν (EM) τῷ (E) Μαρικᾷ. (EM) ὡς περὶ E: ὥσπερ M (Ald.)
ἐφ᾿ Kuster: ἀφ᾿ EM
δευτέρων Elmsley: δύο E
hos megiston onta Kleōn’ epaisen (“[egli] che colpì Cleone quando era al culmine della potenza”): parla di lui come vivo quando dice: “Cleone il gabbiano” (Nub. 591). E Androzione (FGrHist 324 F 40) dice che egli è morto sotto l’ arcontato di Alceo (422 / 1 a. C.), due anni dopo; Isarco, intende, sotto il cui arcontato furono rappresentate le prime Nuvole. Come dunque può far menzione anche del Marikās, che fu rappresentato prima delle Nuvole, come egli dice anche in questo
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Aristophanes passo, mentre in quella commedia Eupoli menziona Cleone come morto (fr. 211)? O non possiamo precisare nulla, poiché le didascalie delle seconde Nuvole non sono tramandate; o Eupoli immaginò la morte di Cleone nel Marikās.
Bibliografia Kuster 1710, in Nub. 58; Elmsley 1812, 136 (= Dindorf 1822, 244); Enger 1853, 7–8; Kock 1894, 30; Henderson 2007, 296–9 (~ 2011, 310–1); Olson 2016, 122–3. Contesto Gli scholl. Ar. Nub. 549a–b (ὃς μέγιστον ὄντα Κλέων᾿ ἔπαισ᾿ εἰς τὴν γαστέρα) si riferiscono ai versi della parabasi propria in cui Aristofane, per bocca del Corifeo, si presenta come colui che, pur avendo coraggiosamente attaccato il demagogo Cleone al culmine della sua potenza124, smise di farsene beffe dopo la sua morte (cfr. Nub. 549–50; Pac. 648–56), avvenuta ad Anfipoli alla fine dell’ estate o nell’ autunno del 422 a. C. (Thuc. 5, 10, 9)125, l’ anno successivo alla rappresentazione delle Nuvole prime. Per datare la morte del demagogo gli scholl. Ar. Nub. 549 a-b citano lo storico Androzione di Atene (FGrHist 324 F 40)126, la cui fonte per il racconto della guerra del Peloponneso è probabilmente Tucidide, forse insieme all’ Attide di Ellanico (post. 407 / 6 a. C.)127. Queste note cercano di spiegare la contraddizione con l’ epirrema, in cui si ricorda l’ elezione a stratego di Cleone / Paflagone per l’ anno 424 / 3 a. C. (Nub. 581 ss.) e l’ uomo politico è paragonato a un gabbiano per la sua voracità e accusato di corruzione e furto di denaro pubblico (Nub. 591 ss.)128. Lo schol. Ar. Nub. 549b ricorda anche la menzione della morte di Cleone nel Marikās di Eupoli (fr. 211), rappresentato alle Lenee del 421 a. C.129 e anteriore alle Nuvole, da momento che è citato in Nub. 553. Interpretazione La contraddizione si spiega, in realtà, tenendo presente che le Nuvole prime furono rielaborate parzialmente, in vista di una seconda rappresentazione, che però non avvenne (cfr. arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda = test. i a; Arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda = test. ii). Mentre la parabasi propria è stata modificata per intero (vd. supra, pp. 16–7; schol. Ar. Nub. 520 = test. iv), l’ epirrema molto probabilmente non è stato rielaborato rispetto alla prima redazione (vd. supra, pp. 17–8), anteriore alla morte di Cleone (vd. supra, Datazione; arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda = test. i a).
124
Cfr. ad es. la satira violentemente anticleoniana dei Cavalieri (424 a. C.). Cfr. Jacoby, FGrHist, IIIb, I (1954), 151; II (1954), 137; Gomme, III (1956), 653. 126 L’ Attide di Androzione è datata al 343 a. C. (cfr. Kiechle 1964). 127 Cfr. Jacoby, FGrHist, IIIb, I (1954), 150. Per la datazione dell’ Attide di Ellanico cfr. Gärtner 1967b, 1005; Meister 1998, 295. 128 Vd. infra, test. viii. 129 Vd. infra, ad test. vii. 125
Νεφέλαι αʹ (test. vii)
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test. vii K.-A. (= Eup. Mar. test. iii K.-A.) Schol. (RVENp) Ar. Nub. 553 δῆλον ὅτι πρῶτος ὁ Μαρικᾶς ἐδιδάχθη τῶν δευτέρων Νεφελῶν. (RVENp) Ἐρατοσθένης (fr. 97 Str.) δέ φησι Καλλίμαχον (fr. 454 Pf.) ἐγκαλεῖν ταῖς διδασκαλίαις, (ENp) ὅτι φέρουσιν ὕστερον τρίτον ἔτει τὸν Μαρικᾶν τῶν Νεφελῶν, σαφῶς ἐνταῦθα εἰρημένου ὅτι πρῶτος καθεῖται. λανθάνει δὲ αὐτόν, φησίν, ὅτι ἐν μὲν ταῖς διδαχθείσαις οὐδὲν τοιοῦτον εἴρηκεν· ἐν δὲ ταῖς ὕστερον διασκευασθείσαις εἰ λέγεται, οὐδὲν ἄτοπον· αἱ διδαδκαλίαι δὲ δηλονότι τὰς διδαχθείσας φέρουσιν. πῶς δ᾿ οὐ συνεῖδεν ὅτι καὶ ἐν τῷ Μαρικᾷ προτετελεύτηκε Κλέων, ἐν δὲ ταῖς Νεφέλαις λέγεται εἶτα τὸν θεοῖσιν ἐχθρὸν βυρσοδέψην (Nub. 581); (E) πρῶτος RVE: -ον Np δευτέρων RE: βʹ V: πρώτων Np Np πρῶτος E: πρότερον Ald.
ταῖς διδακαλίαις E: τῇ -ίᾳ
È chiaro che il Marikās fu rappresentato prima delle seconde Nuvole. Eratostene (fr. 97 Str.) dice che Callimaco (fr. 454 Pf.) rimprovera alle didascalie di riportare il Marikās due anni dopo le Nuvole, mentre qui viene detto chiaramente che è stato messo in scena per primo. Gli sfugge però, dice (Eratostene), che (Aristofane) non ha detto nulla di simile nella commedia che fu rappresentata; se lo si dice in quella rielaborata successivamente, nulla di strano: le didascalie evidentemente riportano quella effettivamente rappresentata. Come non si è reso conto che anche nel Marikās Cleone è già morto, mentre nelle Nuvole si dice “poi quello inviso agli dei, il conciapelli” (Nub. 581)?
Bibliografia Enger 1853, 6–7; Kock 1894, 30; Dover 1968, LXXX s.; Casanova 2000, 20; Henderson 2007, 298–9 (~ 2011, 311); Di Bari 2010, 203 ss.; Olson 2016, 123–4. Contesto La fonte dello schol. Ar. Nub. 553 è probabilmente il trattato Sulla commedia antica di Eratostene (per il quale vd. supra, pp. 28–9)130, che, in contrasto con Callimaco di Cirene (fr. 454 Pf.), aveva sostenuto la validità delle Didascalie131 per la datazione del Marikās di Eupoli due anni dopo le Nuvole (Eratosth. fr. 97 Str.)132. Interpretazione Lo schol. Ar. Nub. 553 testimonia il fatto che le Didascalie registravano solo la rappresentazione del 423 a. C., dal momento che il rifacimento successivo, in cui era fatta menzione del Marikās, non fu mai portato sulla scena (cfr. arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda = test. i a; arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda = test. ii). Per la questione della morte di Cleone, anteriore al Marikās e alle seconde Nuvole, vd. supra, ad test. vi. 130
Cfr. Olson 2016, 124. L’ affermazione riportata dallo scoliaste “presuppone […] una sistematica e critica consultazione delle Didascalie” (Mastromarco 1978, 23), testimoniata, per Mastromarco 1978, 19 ss., anche da P. Oxy. XXXV 2737 (= CGFP 56); per il metodo filologico di Eratostene cfr. inoltre Tosi 1998a; Mureddu 2017. 132 Per la datazione del Marikās alle Lenee del 421 a. C. cfr. Olson 2016, 121. 131
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Aristophanes
test. viii K.-A. a. Schol. (RE) Ar. Nub. 591a ἢν Κλέωνα τὸν λάρον (R)· καὶ μὴν ὡς μετὰ θάνατον Κλέωνος φαίνεται γεγραφὼς τὸ δρᾶμα, ὅπου γε τοῦ Μαρικᾶ Εὐπόλιδος μέμνηται, ὃ ἐδιδάχθη καθ᾿ Ὑπερβόλου μετὰ τὸν θάνατον Κλέωνος. ταῦτα δὲ ὡς ἔτι ζῶντος Κλέωνος λέγεται. (RE) δῆλον οὖν ὅτι μετὰ πολλοστοὺς χρόνους διεσκεύασε τὸ δρᾶμα· καὶ ταῦτα μὲν † οὐ πολλῷ ὕστερον, ἔν τισι δὲ † Εὐπόλιδος μέμνηται καὶ τῶν εἰς Ὑπέρβολον κωμῳδιῶν. (E) πολλοστοὺς Holwerda: πολλοὺς τοὺς E ēn Kleōna ton laron (“se Cleone, il gabbiano”): e certamente sembra aver scritto dopo la morte di Cleone il dramma, dove fa menzione del Marikās di Eupoli, che fu rappresentato contro Iperbolo dopo la morte di Cleone. Queste parole invece sono dette come se Cleone fosse ancora vivo. È chiaro dunque che rielaborò il dramma dopo molto tempo; e queste parole † non molto dopo, mentre in alcuni versi † menziona Eupoli e i commediografi che attaccarono Iperbolo. b. Schol. (E) Ar. Nub. 591b ταῦτα ἀπὸ τῶν προτέρων Νεφελῶν· τότε γὰρ ἔζη ὁ Κλέων, ἐπὶ δὲ τούτων τέθνηκεν. καὶ γὰρ Εὔπολις μετὰ θανάτου Κλέωνος τὸν Μαρικᾶν ἐποίησεν. Queste parole derivano dalle prime Nuvole: allora infatti Cleone era vivo, mentre al tempo di queste (Nuvole) era morto. Ed infatti Eupoli compose il Marikās dopo la morte di Cleone.
Bibliografia Strecker 1884, 58; Dover 1968, LXXX s.; Henderson 2007, 298–9 (~ 2011, 311); Olson 2016, 124. Contesto Gli scholl. Ar. Nub. 591a–b vertono nuovamente sul problema della menzione di Cleone come ancora vivo nell’ epirrema, mentre nella parabasi propria il poeta dichiara di non aver più deriso il demagogo dopo la di lui morte (Nub. 549–50)133. La fonte potrebbe essere sempre il trattato Sulla commedia di Eratostene (cfr. Strecker 1884, 58)134. Testo Holwerda (ad loc.) propone dubitativamente in apparato questa proposta di correzione delle parole scritte tra cruces nello schol. Ar. Nub. 591a: ἀπολειώ〈σει〉 ὕστερον, ἐνοίσει δὲ 〈ἐν οἷς〉 (“in seguito [Aristofane] cancellerà queste parole, mentre inserirà [i versi] nei quali […]”) .
133 134
Vd. supra, ad test. vi. Vd. supra, ad test. vii. Cfr. inoltre lo schol. Ar. Pac. 48e (= Eratosth. fr. 70 Str.: πῶς ἤσθιεν ὁ Κλέων ἤδη τεθνηκώς; Ἐρατοσθένης γὰρ ἐπὶ Θρᾴκης τὸν θάνατον Βρασίδου καὶ Κλέωνος ὀκτὼ μησὶ προγεγονέναι φησί […]), che ci informa con precisione sulla data della morte di Cleone (otto mesi prima della rappresentazione della Pace alle Dionisie del 421 a. C.), citando lo scienziato alessandrino come fonte; cfr. Mureddu 2017, 155.
Νεφέλαι αʹ (test. ix)
37
Interpretazione Gli scholl. Ar. Nub. 591a–b attestano anch’ essi la revisione incompleta della commedia, per cui l’ epirrema (Nub. 575 ss.), contenente il riferimento satirico a Cleone, non è stato modificato rispetto alla prima redazione (vd. supra, pp. 17–8 e n. 45; test. vi).
test. ix K.-A. Schol. (BarbRs) Ar. Nub. 1115a παράβασις. (BarbRs) ἐν τῇ παραβάσει οὐ κωμῳδεῖ ὁ χορός. τόπος κώλων εʹ ὡς ἐλλειπόντων, ὃ εἰκὸς ἦν συμβῆναι, περὶ ἃ εἴρηται καὶ ἐν ταῖς πρώταις Νεφέλαις. αἱ μετὰ τὸν τόπον ἐν ἐκθέσει ῥήσεις τοῦ χοροῦ, παραβατικώτεραι δὲ πρὸς τοὺς κριτάς, (Barb) στίχοι τροχαϊκοὶ τετράμετροι καταληκτικοί. (BarbRs) κωμῳδεῖ Holwerda: -δεῖται Barb τόπος Holwerda: τὸ που Barb τὸ πον Barb παραβατικώτεραι Holwerda: -α Barb
τόπον Holwerda:
Parabasi. Nella parabasi il Coro non ha un ruolo comico. C’ è spazio per cinque kōla, come se fossero mancanti, cosa che era probabile avvenisse, su cui si è già discusso anche (nel commento) alle prime Nuvole. I discorsi in ekthesis dopo questo spazio appartengono al Coro e sono rivolti ai giudici in un modo più adatto alla parabasi, versi trocaici, tetrametri catalettici.
Bibliografia Holwerda 1958; Dover 1968, LXXXV ss.; Erbse 1969 (= Newiger 1975, 198–211); Casanova 2000, 20; Henderson 2007, 300–1 (~ 2011, 311); Di Bari 2010, 206–7. Contesto Lo schol. Ar. Nub. 1115a è uno scolio metrico, attestante la mancanza di cinque cola prima della seconda parabasi (Nub. 1115–30). La fonte è probabilmente il commento metrico alle commedie aristofanee realizzato, intorno alla fine del I sec. d. C., da Eliodoro135. Testo Gli emendamenti al testo dello scolio (cod. Vaticanus Barberinianus Gr. 126) riportati in apparato sono stati proposti nella prima edizione (Holwerda 1958). Interpretazione Lo schol. Ar. Nub. 1115a testimonia che al tempo di Eliodoro (vd. supra, Contesto) era ancora possibile porre a confronto le due redazioni della commedia e che le differenze non riguardavano solo le sezioni interamente modificate (parabasi, agone, esodo)136. 135
Cfr. Holwerda 1958, 38 ss.; Dover 1968, LXXXV–LXXXVI; contra Erbse 1969 (= Newiger 1975, 198–211). Per il metricista Eliodoro e la sua edizione di Aristofane con colometria e commento metrico, vd. ad es. DEI, IV (1970), s. v. Eliodòro il metrico; Reynolds−Wilson 1968, tr. it. 44. 136 Vd. supra, ad test. ii.
38
Aristophanes
ἐν ταῖς πρώταις Νεφέλαις “In (my commentary on) the first Clouds” (Henderson 2007, 301 ~ 2011, 311; cfr. anche Dover 1968, LXXXVI). ἐν ἐκθέσει Espressione caratteristica degli scolii metrici per indicare i versi lunghi, che si estendevano verso il margine sinistro del foglio (cfr. Holwerda 1958, 39; Dover 1968 LXXXVI)137.
test. *x K.-A. Schol. (VΓAld) Ar. Vesp. 1038c πέρυσιν· πέρυσι γὰρ τὰς Νεφέλας ἐδίδαξεν, ἐν αἷς τοὺς περὶ Σωκράτην ἐκωμῴδησεν. ἠπιάλους δὲ αὐτοὺς ὠνόμασεν εἰς ὠχρότητα παρασκώπτων. ἐν δὲ τοῖς Ἱππεῦσι τὸν Κλέωνα, οὓς πρὸ τῶν Νεφελῶν καθῆκεν. εἰς V: ὡς ΓAld
παρασκώπτων V:
περι- ΓAld
perysin (“l’ anno precedente”): infatti l’ anno precedente portò in scena le Nuvole, in cui si prese gioco dei Socratici. Li chiamò ēpialoi (“brividi di febbre”), facendosi beffe del loro pallore. Nei Cavalieri, che presentò prima delle Nuvole, (sbeffeggiò) invece Cleone.
Bibliografia
Vd. ad Holk. test. *iv; Henderson 2007, 300–1 (~ 2011, 311).
Contesto Lo schol. Ar. Vesp. 1038c identifica con le Nuvole prime la commedia rappresentata l’ anno precedente le Vespe e contenente l’ attacco a personaggi connotati con la metafora del “brividi” e delle “febbri” (Vesp. 1038)138. Interpretazione Lo schol. Ar. Vesp. 1038c costituisce un’ ulteriore testimonianza della datazione delle Nuvole prime al 423 a. C. (vd. supra, Datazione). ἠπιάλους Vd. infra, ad fr. 399.
fr. 392 K.-A. (376 K.) Εὐριπίδῃ δ᾿ ὁ τὰς τραγῳδίας ποιῶν τὰς περιλαλούσας οὗτός ἐστι, τὰς σοφάς 1 Εὐριπίδῃ Cobet: -ίδης PF: -είδης B: -ίδου Valckenaer σωκρατογόμφους Dindorf: τὰς περιλαλήτου Valckenaer Kaibel 〈3〉 〈τὰς σωκρατογόμφους〉 Hermann
137 138
2 τὰς περιλαλούσας P2F: τὰς τὰς σοφάς mss.: ὁ πάσσοφος
Vd. anche lo schol. Ar. Nub. 520 (= test. iv). Per la vexata quaestio dell’ identificazione di questa commedia vd. infra, ad Holk. test. *iv.
Νεφέλαι αʹ (fr. 392)
39
Questi è colui che per Euripide compone le tragedie chiacchierone e saputelle Diog. Laert. 2, 18, p. 103, 18 Marcovich (= Eur. test. 51 Kn.) ἐδόκει δὲ (sc. Σωκράτης) συμποιεῖν Εὐριπίδῃ· ὅθεν Μνησίλοχος οὕτω φησί· Φρύγες ἐστὶ καινὸν δρᾶμα τοῦτ᾽ Εὐριπίδῃ, | [ᾧ] καὶ Σωκράτης τὰ φρύγαν᾽ ὑποτίθησι〈ν οἱ〉 (Telecl. fr. 41). καὶ πάλιν· Εὐριπίδας 〈ὁ〉 σωκρατογόμφος (Telecl. fr. 42). καὶ Καλλίας Πεδήταις· Τὶ δὴ σὺ σεμνὴ καὶ φρονεῖς οὕτω μέγα; | Ἔξεστι γάρ μοι· Σωκράτης γὰρ αἴτιος (fr. 15). Ἀριστοφάνης Νεφέλαις· Εὐριπίδῃ ― τὰς σοφάς. Si credeva che Socrate collaborasse con Euripide; per cui Mnesiloco dice così: “Questo è il nuovo dramma di Euripide, i Phryges, | e Socrate mette per lui legna sul fuoco” (Telecl. fr. 41); e ancora: “Euripide chiodi socratici” (Telecl. fr. 42). E Callia nei Pedētai: “– Perché dunque tu sei così orgogliosa e superba? | – Perché posso: è colpa di Socrate”(fr. 15). Aristofane nelle Nuvole: “questi ― saputelle”.
Metro
Trimetri giambici
llkl k|lkl klkl lrkl l|lkl klkl
Bibliografia Brunck, III (1783), 256; Esser 1821, 56–66; Dindorf 1829, 20–3 (= II [1835], 510–3); Hermann 1830, XVIII–XX; Fritzsche 1835, 151–9; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1106; Beer 1844, 124–5; Bothe 1844, 113; Fritsche 1852, 3–10; Dindorf 1862, XIX–XX; Meier 1863, 309; Dindorf 18695, 189; Sauerwein 1872, 32; Kock, I (1880), 218–9; Blaydes 1885, 202–3; Blaydes 1890, XIV; van Leeuwen 1898, XXII–XXIII; Edmonds, I (1957), 680–1; Patzer 1994, 56–60; Sommerstein 1997, 281; Carrière 2000, 222; Casanova 2000, 31; Beta 2004, 140–1; Schorn 2004, 227 ss.; Henderson 2007, 300–1 (~ 2011, 311); Beta 2009, 94–5; Pellegrino 2015, 235–6. Contesto della citazione Diogene Laerzio, nella vita di Socrate (2, 18, p. 103, 18 Marcovich = Eur. test. 51 Kn.), trasmette la notizia relativa alla sua presunta collaborazione nella stesura delle tragedie euripidee, inserendola, in modo piuttosto disorganico, tra le informazioni relative ai genitori e alla patria del filosofo (2, 18 in.) e ai suoi maestri (2, 19 in.). La fonte è probabilmente un’ antica biografia del terzo grande tragico: cfr. Vita Eur. 2, p. 1, 10 ss. Schwartz (= Eur. test. 1, IA 3 Kn.: δοκεῖ 〈δὲ〉 αὐτῷ [sc. Εὐριπίδῃ] καὶ Σωκράτης ὁ φιλόσοφος [καὶ Μνησίλοχος] συμπεποιηκέναι τινά, ὥς φησι Τηλεκλείδης· Μνησίλοχος ― ὑποτίθησιν)139, che presenta la stessa notizia, ma in forma abbreviata140 e con l’ attribuzione corretta
139
Per il rapporto tra Socrate ed Euripide vd. inoltre Sat. Vit. Eur. (= Eur. test. 5 Kn.) F 6 fr. 38 col. IV/39 col. I; Gell. NA 15, 20, 4 (= Eur. test. 2, 4 Kn.); Ael. VH 2, 13 (= Ar. test. 32, 26 ss. K.-A.; Eur. test. 47a Kn.); Cic. Tusc. 4, 63 (= Eur. test. 47b Kn.); cfr. Jacoby ad Philoc. FGrHist 328 F 221; Patzer 1994, 56–60. 140 Cfr. Dindorf 1862, XX; Dindorf 18695, 189; Blaydes 1885, 203.
40
Aristophanes
del frammento al poeta comico Teleclide (fr. 41)141, a cui va assegnato anche il successivo frammento citato da Diogene Laerzio (Telecl. fr. 42)142. Il dossografo sembra confondere il suocero di Euripide, Mnesiloco (cfr. Vita Eur. 5, p. 5, 5 Schwartz [= Eur. test. 1, III 2 Kn.]; Sud. ε 3695 [= Eur. test. 3, 3 Kn.])143, citato come assistente di Euripide insieme a Socrate in Telecl. fr. 41, con un commediografo altrimenti sconosciuto, a cui attribuisce entrambi i frammenti riportati, che sono invece di Teleclide (frr. 41–2)144. Seguono quindi altre due citazioni, dai Pedētai di Callia (fr. 15)145 e dalle Nuvole di Aristofane (il presente fr. 392), senza precisare di quale redazione si tratti. Dal momento che questi versi non compaiono nella commedia integralmente conservata, si suppone che siano stati estrapolati dalla prima versione. Testo Il nominativo tràdito (nella grafia Εὐριπίδης o -είδης) non ha senso rispetto al contesto di citazione, perché presuppone un riferimento non a Socrate, ma a Euripide come autore di tragedie influenzate dalla Sofistica. A meno che Diogene Laerzio (o meglio la sua fonte) non abbia frainteso il frammento, appare più pertinente, in questo contesto, il dativo Εὐριπίδῃ proposto da Cobet 1862; non molto diverso nel senso, ma più banale, il genitivo di possesso Εὐριπίδου di Valckenaer 1767, 14b. Dindorf 1829, 23 (= II [1835], 512–3)146, propone di correggere il tràdito τὰς περιλαλούσας in τὰς σωκρατογόμφους, sulla base di Telecl. fr. 42, ipotizzando una confusione del testimone, che avrebbe spezzato e duplicato il frammento di Teleclide, interpolando l’ attributo περιλαλούσας in sostituzione dell’ originario σωκρατογόμφους147 e attribuendo quindi erroneamente ad Aristofane il frammento così ottenuto. Anche Hermann (1829, 1623–4; vd. anche 1830, XIX) sostiene che il fr. 392 sia in realtà da assegnare a Teleclide, ma accetta il tràdito τὰς 141
Vd. Bagordo 2013, 196–7. Riproduco il testo di Diogene Laerzio edito nella recente edizione teubneriana (Marcovich, I [1999]), in cui Telecl. fr. 42 (Εὐριπίδης σωκρατογόμφους) è corretto in Εὐριπίδας (Cobet) 〈ὁ〉 (Marcovich) σωκρατογόμφος (Casaubon); altre proposte di correzione sono Εὐριπίδας 〈τοὺς〉 σωκρατογόμφους (Kaibel), 〈γνώμας〉 εὐριπίδοσωκρατογόμφους (Fritzsche 1852, 6), εὐριπίδοσωκρατογόμφους (Nauck 18893, XIV–XV n. 15). Per i problemi testuali relativi alla ricostruzione del frammento, cfr. Bagordo 2013, 205–6. 143 Per l’ identificazione con Mnesiloco del Kēdestēs delle Tesmoforiazuse, presente nella tradizione esegetica antica, cfr. ad es. van Leeuwen 1904b, 1; Prato 2001, 161; Austin− Olson 2004, 77. Possibile anche l’ identificazione con Mnesiloco figlio di Euripide e attore drammatico (Vita Eur. 2, p. 2, 13 Schwartz = Eur., test. 1, IA 8, 24 Kn.): cfr. Bagordo 2013, 202. 144 Attribuzione proposta già da Dindorf 1829, 22–3 (= II [1835], 512–13). 145 Cfr. Bagordo 2014a, 170 ss. 146 Cfr. anche Dindorf 18695, 189. 147 Per il composto σωκρατογόμφος in riferimento alle tragedie, Dindorf 1829, 20–1 n. a (= II [1835], 511 n. c), mette a confronto δερριδογόμφοι (πύλαι) (“ [porte] foderate di pelli inchiodate”: Hesych. δ 689 = Com. adesp. fr. 307). 142
Νεφέλαι αʹ (fr. 392)
41
περιλαλούσας, proponendo l’integrazione τὰς σωκρατογόμφους come inizio del v. 3 del frammento (Εὐριπίδης ― τὰς σωκρατογόμφους)148. Tale integrazione viene accolta anche da Fritzsche (1835, 154; 1852, 10), il quale accetta però l’ attribuzione del frammento alle Nuvole prime (cfr. anche Meier 1863, 309 n. 9). Interpretazione Il frammento contiene un attacco al razionalismo e alle sottigliezze retoriche delle tragedie euripidee, influenzate dalla Sofistica, di cui Socrate è emblema nelle Nuvole149. È evidente il collegamento tematico con la commedia integralmente conservata (vd. supra, p. 14), soprattutto se si considera il frequente uso, da parte del terzo grande tragico, dei dissoi logoi: vd. ad es. Med. 465–519 e 521–75, in cui prima Medea accusa Giasone e poi questi difende la sua condotta; Tr. 895–965 e 969–1032, dove sono contrapposti il discorso di Elena a propria giustificazione e quello di Ecuba, che la condanna severamente150. Le Nuvole prime potevano quindi contenere anche una satira dell’ influenza della nuova cultura filosofica e retorica sul teatro, anticipando così un tema fondamentale delle commedie aristofanee del secondo periodo, in particolare Tesmoforiazuse e Rane, in cui Euripide ha un ruolo importante come personaggio, con una deformazione comica analoga a quella operata per Socrate151. Il metro permette di escludere l’ assegnazione del frammento ad alcune delle sezioni della commedia sottoposte a più radicale rielaborazione (parabasi e agone) secondo l’ arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= test. ii)152. Si può ipotizzare, in base del contenuto, che il frammento facesse parte del prologo (presentazione di Socrate a Strepsiade, forse da parte di un discepolo, come nelle Nuvole)153. 148
Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1106, ipotizza che il fr. 392 appartenesse agli Hēsiodoi di Teleclide; cfr. Beer 1844, 124–5; Bothe 1844, 113; Blaydes 1885, 202–3; van Leeuwen 1898, XXII–XXIII. 149 Per l’ abilità retorica dei personaggi euripidei, vd. ad es. Eur. Alc. 280–325, in cui Alcesti convince il marito Admeto, in cambio del quale ella ha accettato di morire, a non risposarsi, adducendo come pretesto il bene dei figli; Med. 214–66, dove Medea tratta dell’ infelicità della condizione della donna rispetto a quella dell’ uomo e, in particolare, della propria, lontana dalla patria e priva di parenti e amici ai quali appoggiarsi; Tr. 365–405, in cui Cassandra dimostra la superiorità della sorte dei vinti Troiani su quella degli Achei vincitori; Hipp. 373–87, dove Fedra afferma che l’ uomo, con la sua ragione, può riconoscere il bene, ma non riesce a metterlo in pratica (in implicita polemica con il pensiero socratico). Si vedano anche i discorsi ‘sapienti’ della protagonista della perduta Melanippē sophē (Eur. frr. 482–4 Kn.; cfr. Jouan−van Looy 2002, 361–2), la cui ‘cosmogonia’ (Eur. fr. 484 Kn.) appare influenzata dalle principali correnti filosofiche del tempo (van Looy 1964, 324–5). 150 Cfr. ad es. Di Benedetto 1971, 5–102; Tarditi 1988, 175–9. 151 Euripide è portato in scena come personaggio da Aristofane già negli Acarnesi del 425 a. C.; è quindi un bersaglio comico già nel primo periodo della produzione del commediografo. 152 Cfr. Sommerstein 1997, 281. Hermann 1930, XIX, ne ha proposto l’inserzione post Nub. 105 o Nub. 830. 153 Cfr. Revermann 2006, 188.
42
Aristophanes
1 Εὐριπίδῃ Il dativo di vantaggio, in relazione al verbo ποιέω, frutto della correzione di Cobet (vd. supra), appare, come già evidenziato, più pertinente rispetto al contesto di citazione. Questo riferimento al terzo grande tragico non comporta tuttavia che egli comparisse come personaggio nelle Nuvole prime, ipotesi molto problematica (avanzata da Sauerwein 1872, 32), perché non confermata da nessuna fonte. ὁ […] ποιῶν Per l’ uso del verbo ποιεῖν in relazione alla composizione di opere poetiche cfr. Lieberg 1995. 2 τὰς περιλαλούσας Nelle Nuvole Aristofane utilizza il verbo semplice λαλεῖν e il sostantivo derivato λαλιά in riferimento all’ abilità retorica insegnata dai Sofisti (e alla scuola di Socrate): cfr. Ar. Nub. 931 ([…] μὴ λαλιὰν μόνον ἀσκῆσαι); 1053 ([…] τῶν νεανίσκων ἀεὶ δι’ ἡμέρας λαλούντων); 1393–4 (εἰ γὰρ τοιαῦτά γ’ οὗτος ἐξειργασμένος | λαλῶν ἀναπείσει)154. Nelle Rane la medesima famiglia di parole è impiegata per connotare la ‘loquacità’ (che può tuttavia sconfinare in vana ‘verbosità’) caratteristica dello stile euripideo, in contrapposizione ai ‘silenzi’ dei personaggi di Eschilo: cfr. Ar. Ran. 916–7 (ἐγὼ δ´ ἔχαιρον τῇ σιωπῇ […] | οὐχ ἧττον ἢ νῦν οἱ λαλοῦντες); 954 (ἔπειτα τουτουσὶ λαλεῖν ἐδίδαξα); 1069 (εἶτ’ αὖ λαλιὰν ἐπιτηδεῦσαι […] ἐδίδαξας)155. Nel fr. 392 il participio del verbo composto περιλαλεῖν con funzione attributiva evidenzia la compiutezza di tale ambiguo tratto stilistico caratteristico dei drammi del terzo grande tragico (che sono qui personificati), come espresso dal prefisso περι-156. Per analoghi composti di περι- e di un tema verbale indicante l’ azione di ‘parlare’ nei testi comici cfr. Ar. Ran. 839 (ἀπεριλάλητον, detto di Eschilo da Euripide, a indicare la qualità opposta alla λαλιά)157; Eccl. 230 (μὴ περιλαλῶμεν); Nub. 318 (περίλεξιν) e lo scolio relativo (schol. Ar. Nub. 318c); Hermipp. fr. 89 (περιλέγειν)158. τὰς σοφάς Il secondo attributo delle tragedie euripidee personificate159 potrebbe sembrare in contraddizione con il primo160, ma si comprende se gli si assegna un valore di abbassamento ironico, come ho cercato di evidenziare nella traduzione (“saputelle”).
154
Cfr. Dover 1993a, 22; Beta 1999, 55 ss.; Novo Taragna 1999, 90. Vd. inoltre. Pellegrino 1998, 296, per λαλιά e λάλος a designare la vuota abilità retorica dei Sofisti nei comici. 155 Cfr. Dover 1993a, 22; Beta 1999, 51 ss.; Novo Taragna 1999. 156 Cfr. Humbert 1945, 341; Schwyzer, GG, II (1950), 500; Novo Taragna 1999, 91. 157 Cfr. Del Corno 19922, 207; Dover 1993a, 297; Novo Taragna 1999, 94. 158 Cfr. Gkaras 2008, 187–8; Comentale 2017, 334–5. 159 Per l’ aggettivo σοφός o per la qualità della σοφία attribuiti a poeti, di cui si evidenzia l’ abilità e la creatività, cfr. ad es. Ar. Nub. 520 (l’ autore stesso); Pac. 700 (Cratino); Ran. 1518–9 (Eschilo e Sofocle); vd. anche Dover 1968, 106. 160 Vd. ad es. la proposta di correzione ὁ πάσσοφος di Kaibel riportata in apparato (ap. PCG, III 2 [1984], ad loc.).
Νεφέλαι αʹ (fr. 393)
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fr. 393 K.-A. (377 K.) κείσεσθον ὥσπερ πηνίω βινουμένω κείσαισθον Phot.
πηνίῳ Phot.
κινουμένῳ Phot.: -ω Sud. F
giacerete (giaceranno) come due effimere che si accoppiano Phot. (g z) π 865 = Sud. (AGFVM) π 1531 πηνίον· ζῷον ὅμοιον κώνωπι. Ἀριστοφάνης Νεφέλαις· κείσεσθον ― βινουμένω, ἀντὶ τοῦ ξηροί· σκώπτει γὰρ τοὺς περὶ Χαιρεφῶντα εἰς ξηρότητα καὶ ἀσθενείαν· ὅτι δὲ κώνωπος εἶδός ἐστι Σπεύσιππος ἐν τῷ β´ (ιβ´Sud.) τῶν Ὁμοιοτήτων φησὶν οὕτως· πηνίον, ἐμπίς, κώνωψ (fr. 11 Tar.). pēnion: animale simile alla zanzara. Aristofane nelle Nuvole: “giacerete ― si accoppiano”, invece di xēroi (“secchi”): prende in giro infatti Cherefonte e il suo sodale per la magrezza e la debolezza. Poiché ha l’ aspetto della zanzara, Speusippo dice così nel secondo (libro) delle Similitudini: “pēnion (“effimera”), empis (“zanzara”), kōnōps (“zanzara”)” (fr. 11 Tar.).
Metro
Trimetro giambico
llkl l|lkl llkl
Bibliografia Brunck, III (1783), 256; Esser 1821, 69–71; Dindorf 1829, 18–9 (= II [1835], 509; 18695, 188); Hermann 1830, XVI–XVII; Fritzsche 1835, 161–5; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1104–5; Beer 1844, 125; Bothe 1844, 111–2; Fritsche 1849, 20–1; Bücheler 1861, 678; Weyland 1871, 43–4; Sauerwein 1872, 32–3; Ritter 1876, 459; Kock, I (1880), 490; Blaydes 1885, 203–4; Blaydes 1890, XV; van Leeuwen 1898, XXVI–XXVII; Howald 1922, 38; Edmonds, I (1957), 680–1; Bain 1991, 62; Tarrant 1991, 160–2; Sommerstein 1997, 280; Casanova 2000, 32; Henderson 2007, 300–1 (~ 2011, 312); Conti Bizzarro 2009, 16–7; Pellegrino 2015, 236–7. Contesto della citazione Un lemma del lessicografo bizantino Fozio (π 865), conservato anche dalla Suda (π 1531), definisce πηνίον come un insetto simile alla zanzara, riportando come esempi Ar. fr. 393, in cui il termine è usato in senso figurato al posto dell’ aggettivo ξηροί, per indicare la ‘secchezza’ e la debolezza di Cherefonte e di un altro personaggio ad esso collegato (τοὺς περὶ Χαιρεφῶντα)161,
161
Gli scolii medievali, quando spiegano un testo, utilizzano il sintagma οἱ περί τινα per indicare una coppia, più frequentemente che nel senso classico, per indicare un gruppo che fa capo a un certo personaggio (cfr. Dubuisson 1977, 164–7; 206): in questo caso quindi οἱ περί Χαιρεφῶντα indicherebbe “Cherefonte e il suo sodale” (probabilmente Socrate: vd. infra, Interpretazione), piuttosto che “i discepoli di Cherefonte” oppure “Cherefonte e i suoi”. Questa interpretazione mi sembra confermata dall’ uso del duale nel verso greco trasmesso dai testimoni, che indica appunto una coppia.
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Aristophanes
e Speus. fr. 11 Tar.162, il quale ultimo collega πηνίον a due nomi indicanti la ‘zanzara’ (ἐμπίς, κώνωψ)163. Testo Per la variante paleografica κινέω / βινέω, frequente nella tradizione manoscritta, cfr. van Leeuwen 1898, 177 (ad Ar. Nub. 1102); Headlam 1922, 229 (ad Herod. 5, 2); Radt 1972, 142 (ad Men. Dysk. 462); Baldwin 1981, 79 s. (ad AP 11, 7 e 202); Bain 1991, 55; Henderson 19912, 151. Le due varianti sono sostanzialmente equivalenti per significato (βινέω con valore proprio, κινέω metaforico)164. Gli editori dei frammenti di Aristofane hanno privilegiato in grandissima maggioranza la forma βινουμένω attestata dalla maggior parte dei manoscritti della Suda e accolta anche da Kassel e Austin165. Interpretazione Il frammento istituisce un paragone tra una coppia di personaggi, indicati con il duale (2a o 3a pers.), e insetti (πηνίω) piuttosto misteriosi, ma sicuramente di piccole dimensioni, quasi evanescenti, se il valore della similitudine è la ‘secchezza’ e la debolezza della coppia in questione, di cui si profetizza una futura sconfitta166. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che appartenesse all’ esodo (con la punizione di Socrate e Cherefonte)167, ma non è dimostrato che anche nella prima redazione il dramma si concludesse con la distruzione del Pensatoio (vd. supra, 24–5)168. Il verso è posto dai testimoni in esplicito collegamento con Cherefonte169, che poteva avere nelle Nuvole prime un ruolo più ampio rispetto al rifacimento (vd.
162
Per il titolo dell’ opera (Similitudini) e l’ errore di trasmissione della Suda, che attribuisce il frammento al l. XII anziché al l. II, cfr. Tarán 1981, 249. 163 Pongono in dubbio l’ appartenenza del frammento alle Nuvole prime, sulla base dello schol. Plat. Apol. 20e, p. 421 Greene (= 19, p. 16 Cufalo), che non le menziona fra le commedie in cui era preso in giro Cherefonte (Uccelli; Telemēssēs [fr. 552]; Dramata [fr. 295]; Hōrai [fr. 584]), Esser 1821, 69–71; Ritter 1876, 459; Blaydes 1885, 203–4; van Leeuwen 1898, XXVI–XXVII. 164 Vd. infra il commento a βινουμένω. 165 Scrivono invece κινουμένω, seguendo la tradizione manoscritta di Fozio, Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1104; Bothe 1844, 111. 166 Cfr. Tarrant 1991, 161–2. 167 Hermann 1830, XXVI–XXVII; Beer 1844, 125; Fritzsche 1849, 20–1; Bücheler 1861, 678; Weyland 1871, 43–4; Teuffel−Kaehler 18872, 31; Blaydes 1890, XV; Howald 1922, 38 (contra Casanova 2000, 32). 168 La vulgata assegna Nub. 1505 a Cherefonte (cfr. Blaydes 1873–4, 161; van Leeuwen 1898, 229; Dover 1968, 267), che compare anche nell’ elenco dei personaggi. 169 Cherefonte di Sfetto (PA 15203; LGPN II, Χαιρεφῶν [22]; PAA 976060), amico e discepolo di Socrate fin dalla giovinezza (cfr. Plat. Apol. 21a). Per il suo pallore, cfr. ad es. Ar. Nub. 503–4; Vesp. 1412–4; Av. 1296, 1564; fr. 584; Eup. fr. 253. È deriso da Aristofane anche come “ladro” (fr. 295) e “sicofante” (fr. 552); cfr. van Leeuwen 1898, 26 (ad Ar. Nub. 104).
Νεφέλαι αʹ (fr. 393)
45
supra, Agone)170, dove non compare più come personaggio, ma è citato in stretta connessione con Socrate, quasi come alter ego del maestro171. Questo ha portato alcuni commentatori a pensare che la ‘coppia’ indicata con il duale sia appunto quella costituita da Cherefonte e Socrate, tra i quali Aristofane alluderebbe anche a una relazione sessuale172, in contrasto con Plat. Symp. 217e–218d, in cui Socrate rifiuta il rapporto amoroso maestro / discepolo173; anche questo potrebbe essere quindi un tratto della deformazione caricaturale del personaggio di Socrate nelle Nuvole. In realtà, questa rimane un’ ipotesi non verificabile per la mancanza del contesto sintattico più ampio in cui il verso era inserito174. Sulla base della testimonianza di Fozio e della Suda possiamo semplicemente affermare che il valore della similitudine riguardava la magrezza e la debolezza della coppia in questione175. κείσεσθον Il verbo κεῖμαι indica la condizione di chi giace abbattuto e ferito, come dopo una battaglia (cfr. ad es. Il. 2, 721; 8, 537; 11, 659; vd. anche Ar. Nub. 550) o una gara di lotta (cfr. ad es. Aesch. Eum. 590; Ar. Nub. 126). πηνίω Il termine πηνίον è normalmente tradotto con ‘falena’ (moth)176: indicherebbe quindi una farfalla notturna (phalaena), attirata dalla luce, dai colori non appariscenti e di varie dimensioni, anche relativamente grande177. Se consideriamo però il contesto di citazione, tale traduzione è insoddisfacente, sia perché tale insetto è posto esplicitamente in collegamento con la zanzara (come in Speus. fr. 11 Tar.)178, a cui dovrebbe quindi essere simile179, sia per il valore della simili-
170
Contrariamente alla maggioranza degli studiosi moderni, pensano invece che Aristofane intendesse dare a Cherefonte un ruolo più ampio nella incompleta rielaborazione delle Nuvole rispetto alla prima redazione Fritzsche 1849, 20–1; Dover 1968, XCV– XCVII; Koppf 1990, 326–7 (contra Tarrant 1991). 171 Cfr. ad es. Nub. 103–4 per il pallore dei due filosofi; 144 ss., dove sono messi in evidenza i loro interessi ‘entomologici’. 172 Cfr. Fritzsche 1835, 161–5; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1104; Sauerwein 1872, 32–3; più recentemente, Casanova 2000, 32. 173 Cfr. anche Plat. Phaedr. 251a. 174 Nel fr. 393 il participio βινουμένω può avere valore attributivo rispetto a πηνίω. 175 Il riferimento all’ accoppiamento degli insetti usati come ‘paragonante’ può avere la funzione di insistere ulteriormente sul valore primario della similitudine, se supponiamo che tali insetti muoiano subito dopo essersi riprodotti (vd. infra il commento a πηνίω). 176 Vd. LSJ s. v.; Edmonds I (1957), 681; Henderson 2007, 301 (= 2011, 312); Isnardi Parente 1980, 185. 177 Pellegrino 2015, 236, traduce “farfalle” sulla base di Arist. HA 5, 19, 551b, 6, in cui πηνίον indica probabilmente una farfallina della famiglia delle Geometridae (Abraxas grossulariata): cfr. Gil Fernández 1959, 36–7; Davies−Kathirithamby 1986, 111–13; Beavis 1988, 123; Conti Bizzarro 2009, 16. 178 Cfr. Gil Fernández 1959, 37; Davies−Kathirithamby 1986, 112, per i quali nel contesto di citazione di Ar. fr. 393 e in Speus. fr. 11 Tar. πηνίον è usato in un’ accezione diversa rispetto ad Arist. HA 5, 19, 551b, ma “altrettanto antica” (Gil Fernández 1959, 37). 179 Cfr. Tarán 1981, 249. “Speusippus could not have held that the πηνίον is a species […] of the κώνωψ” (Tarán 1981, 249); contra Lang 1911, 15.
46
Aristophanes
tudine di Ar. fr. 393, che comporta come ‘paragonante’ un insetto caratterizzato in primo luogo dalla ‘secchezza’ e dall’ evanescenza180. Il paragone risulta invece di immediata evidenza se intendiamo πηνίον come l’‘effimera’ (Ephemera vulgaris), un piccolo insetto alato assai evanescente, lungo ca. 20 mm. nello stadio completo di sviluppo, molto simile alla zanzara, sia per l’ aspetto, sia per l’ habitat e il tipo di riproduzione. L’ effimera, una volta adulta, vive meno di un giorno, senza nutrirsi, e muore dopo essersi accoppiata e aver deposto le uova181. βινουμένω Il participio medio-passivo può essere qui usato con valore medio (il soggetto è una coppia, in questo caso di insetti)182. Il verbo, che presenta un livello lessicale molto volgare (‘fottere’)183, è usato anche per relazioni omosessuali maschili (cfr. Dover 19892, 140; Henderson 19912, 152).
fr. 394 K.-A. (379 K.) ἐς τὴν Πάρνηθ᾿ ὀργισθεῖσαι φροῦδαι κατὰ τὸν Λυκαβηττόν ἐς τὴν Porson, p. 398, 11: ἐστιν codd. φροῦδαι Porson, p. 398, 11: φροῦδε codd. τὸν Λυκάβηττον codd.: καὶ τὸν Λυκαβηττόν Dindorf 1829
κατὰ
(Sono) scomparse, irate, verso il Parnete, sorvolando il Licabetto Phot. (g z) π 419 Πάρνης· τὸ ὄρος θηλυκῶς· ἐς ― Λυκαβηττόν. Ἀριστοφάνης Νεφέλαις. καὶ ἐξῆς. Parnēs (“Parnete”): il monte, femminile: “(sono) scomparse ― Licabetto”. Aristofane nelle Nuvole. Etc.
Metro
Tetrametro anapestico catalettico
llll llll| llrl rll
Bibliografia Esser 1821, 71–2; Dindorf 1829, 18 (= II [1835], 509; 18695, 188); W. Dindorf, ap. ThGL3, VI (1829), 527d, s. v. Πάρνης; Hermann 1830, XV–XVI; Fritzsche 1835, 159–61; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1104; Beer 1844, 126; Bothe 1844, 111; Fritsche 1852, 10–2; Bücheler 1861, 678; Weyland 1871, 44–7; Sauerwein 1872, 33; Kock, I (1880), 491; Blaydes 1885, 203; Blaydes 1890, XV–XVI; van Leeuwen 1898, XXVII; Edmonds, I (1957), 682–3; Sommerstein 1997, 280; 180
Cfr. Taillardat 19652, 129. Per la riproduzione degli insetti in genere, vd. anche Arist. HA 5, 8, 542a; Luc. Musc. 6. 182 Cfr. Bain 1991, 62, che confronta l’uso di ὀχεύω, verbo usato per l’ accoppiamento degli animali; Henderson 19912, 152. 183 Cfr. Collard 1979, 213–4; Sommerstein 1980b, 47; Jocelyn 1980, 65–7; Baldwin 1981, 79–80; Bain 1991, 54–62; Henderson 19912, 151–2; Chadwick 1996, 73–5. 181
Νεφέλαι αʹ (fr. 395)
47
Carrière 2000, 222; Casanova 2000, 32; Henderson 2007, 300–1 (~ 2011, 312); Bravi 2014, 161–2; Pellegrino 2015, 237. Contesto della citazione Il lessicografo Fozio, sotto la voce Πάρνης (π 419), riporta il frammento come esempio del genere femminile del nome del monte184, facendo riferimento a un contesto più ampio (καὶ ἐξῆς), in cui probabilmente si ripeteva l’ uso del nome al femminile185. Interpretazione Il soggetto sottinteso del verso sono molto probabilmente le Nuvole; non sappiamo tuttavia perché esse si ritirino irate: forse per le battute volgari e inopportune di Strepsiade (Dindorf 1829, 18 = II [1835], 509; 18695, 188)186, oppure per la (provvisoria) vittoria dell’ eroe comico, del quale si apprestano a preparare la katastrophē finale, sugli antagonisti nelle scene ‘episodiche’ (vd. supra, Esodo). Il tetrametro anapestico catalettico può far pensare alla parodos (cfr. ad es. Bücheler 1861, 678; Casanova 2000, 32), dove questo metro è utilizzato nelle Nuvole. Tuttavia in questa sezione è difficile pensare a un allontanamento del Coro (Kaibel, ap. PCG, III 2 [1984], 218): cfr. l’analogo Nub. 323 s. (βλέπε νυν δευρὶ πρὸς τὴν Πάρνηθ᾿· ἤδη γὰρ ὁρῶ κατιούσας | ἡσυχῇ αὐτάς). Appare problematica anche la collocazione nell’ esodo, come verso conclusivo, che pure è stata proposta da Teuffel 1856, 232. Πάρνηθ᾿ Massiccio montuoso dell’ Attica, al confine con la Beozia (m. 1412). Anche in Nub. 323 (riportato supra) il Parnete è posto in particolare relazione con le Nuvole, perché spesso vi si raccolgono nubi, presagio di cattivo tempo (cfr. Lalonde 1982, 80–1). κατὰ τὸν Λυκαβηττόν Colle roccioso (m. 277) dominante la città di Atene dal lato nordorientale. Il complemento di luogo indica la direzione in cui le Nuvole si allontanano verso il massiccio del Parnete187.
fr. 395 K.-A. (380 K.) μηδὲ στέψω κοτυλίσκον Non inghirlanderò un piccolo cratere
184
Cfr. Nub. 323 e lo scolio relativo (schol. Ar. Nub. 323c: θηλυκῶς ἡ Πάρνης). Cfr. Fritzsche 1835, 159; 1852, 12; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1104. Per Hermann 1830, XVI; van Leeuwen 1898, XXVII, il lessicografo fa confusione con l’ analogo Nub. 323. 186 Cfr. Nub. 293 ss. 187 Cfr. le traduzioni di Blaydes 1885, 203 (“by way of Lycabettus”); Henderson 2007, 301 (= 2011, 312: “on the road by Lycabettus”). 185
48
Aristophanes
Athen. 11, 479c κοτυλίσκος δὲ καλεῖται ὁ ἱερὸς τοῦ Διονύσου κρατηρίσκος, καὶ οἷς χρῶνται οἱ μύσται, ὡς Νίκανδρός φησιν ὁ Θυατειρηνὸς (FGrHist 343 F 13) παρατιθέμενος τὸ ἐκ Νεφελῶν Ἀριστοφάνους· μηδὲ ― κοτυλίσκον. È chiamato kotyliskos il piccolo cratere sacro a Dioniso, e di queste suppellettili si servono gli iniziati ai misteri, come dice Nicandro di Tiatira (FGrHist 343 F 13), allegando il verso dalle Nuvole di Aristofane: “non ― cratere”.
Metro Secondo emistichio di un tetrametro anapestico catalettico (o dimetro anapestico catalettico) 〈ytyt ytyt〉|llll rll (opp. llll| rll) Bibliografia Dindorf 1829, 19 (~ II [1835], 509; 18695, 188–9); Hermann 1830, XXIX; Fritzsche 1835, 148–51; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1105; Beer 1844, 125–6; Bothe 1844, 112; Fritsche 1852, 12–3; Ritter 1876, 459; Kock, I (1880), 491; Blaydes 1885, 202; Blaydes 1890, XIV; van Leeuwen 1898, XXVII; Edmonds, I (1957), 682–3; Sommerstein 1997, 280; Casanova 2000, 32; Henderson 2007, 302–3 (~ 2011, 312); Pellegrino 2015, 237. Contesto della citazione Nei Deipnosofisti (11, 479c) Ateneo, nel contesto di un glossario alfabetico di recipienti per bere (Athen. 11, 782d–784d; 466d–503f), spiega il nome di un vaso utilizzato nei misteri eleusini (κοτυλίσκος), citando come fonte il grammatico Nicandro di Tiatira (FGrHist 343 F 13)188, il quale riporta come esempio il fr. 395 delle Nuvole. Siccome questa parola non compare nella versione conservata della commedia, è attribuita alla prima redazione189, che Ateneo confonde con la seconda, come dimostra la citazione di Nub. 1196–200 (Athen. 4, 171c) con l’ attribuzione Ἀριστοφάνης ἐν προτέραις Νεφέλαις. Interpretazione Il frammento, in cui un personaggio si impegna a non adornare con una corona di fiori un kotyliskos190, sembra collegato al tema del rifiuto della religione tradizionale presente nelle Nuvole conservate, e in particolare alla parodos: cfr. ad es. Nub. 426 (οὐδ᾿ ἂν θύσαιμ᾿ οὐδ᾿ ἂν σπείσαιμ᾿ οὐδ᾿ ἐπιθείην λιβανωτόν), in cui Strepsiade dichiara che non farà sacrifici né libagioni e non offrirà incenso agli dei olimpici, ma venererà solo le nuove divinità del Pensatoio socratico, Caos, Nuvole e Lingua (cfr. Nub. 424). Tale rifiuto si estendeva probabilmente, nella prima redazione, anche ai misteri eleusini, nell’ ambito dei quali rituali
188
Per gli interessi antiquari di questo grammatico di età ellenistica vd. Gärtner 1972. Per Ritter 1876, 459; van Leeuwen 1898, XXVII, l’ emistichio è invece da riferire a Nub. 426. 190 Cfr. Deubner 1932, fig. 8, 1; van Hoorn 1951, 188 nr. 961ter e fig. 211; Blech 1982, 64. Per l’ uso di incoronare i vasi, e segnatamente i crateri, nel convito, cfr. Alex. fr. 124, 5 s. (συνάψας καρπίμοις κισσοῦ κλάδοις | ἔστεψα) e Arnott 1996, 352. 189
Νεφέλαι αʹ (fr. 396)
49
era utilizzato il vaso a cui fa riferimento il testimone191. Anche il metro fa pensare a una collocazione nella parodos (cfr. Casanova 2000, 32), per l’ accostamento con le Nuvole 192. μηδὲ στέψω Per la formula del giuramento espressa con μή e il futuro vd. Ar. Lys. 917–8; Eccl. 1000; cfr. anche Il. 10, 330193. κοτυλίσκον Per questo tipo di vaso, un piccolo cratere sacro a Dioniso (cfr. Poll. 6, 99: ἔστι δὲ καὶ ὁ κότυλος Διονυσιακὸν ἔκπωμα, ὥσπερ καὶ ὁ κοτυλίσκος), cfr. anche Hesych. κ 3818 (κοτυλίσκος· κρατηρίσκος, ᾧ χρῶνται οἱ μύσται); Athen. 11, 496a–b (πλημοχόη· σκεῦος κεραμεῖον βεμβρικῶδες ἑδραῖον ἡσυχῇ, ὃ κοτυλίσκον ἔνιοι προσαγορεύουσιν, ὥς φησι Πάμφιλος. χρῶνται δὲ αὐτῷ ἐν Ἐλευσῖνι τῇ τελευταίᾳ τῶν μυστηρίων ἡμέρᾳ, ἣν καὶ ἀπ᾿αὐτοῦ προσαγορεύουσι Πλημοχόας· […]), il quale cita come fonte il grammatico Panfilo (Pamph. [gramm.] fr. 28 Schmidt)194, lo identifica con la πλημοχόη (cfr. Hesych. π 2570)195, il vaso di terracotta utilizzato per le libagioni l’ ultimo giorno dei misteri eleusini (cfr. Fritzsche 1835, 149), che da esso prendevano nome Πλημοχόαι196.
fr. 396 K.-A. (381 K.) Sud. (AFGSM) ο 918 ο ὐ μ ε τ ὸ ν α ὐ τ ῷ ἀντὶ τοῦ οὐκ ἐξόν. Ἀριστοφάνης Νεφέλαις. καὶ Μένανδρος (fr. 885)· ὕδατος αὐτοῖς οὐ μετόν. o u m e t o n a u t ō i (“non toccandogliene”): invece di ouk exon (“non essendo permesso”). Aristofane nelle Nuvole, e Menandro (fr. 885): “l’ acqua non toccando a loro”.
Metro
Non determinabile
lwkll
Bibliografia Dindorf 1829, 19 (= II [1835], 509–10; 18695, 189); Fritzsche 1835, 168–9; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1106; Beer 1844, 125; Bothe 1844, 112; Fritsche 1852, 12–3; Kock, I (1880), 491; Blaydes 1885, 204; Blaydes 1890, XIV;
191
Per la sacrilega parodia dei misteri eleusini di cui fu accusato Alcibiade, discepolo di Socrate, alla vigilia della sventurata spedizione in Sicilia del 415 a. C., vd. Thuc. 6, 28; cfr. anche Fritzsche 1835, 150. 192 Diversamente Beer 1844, 125–6 (parabasi); Fritzsche 1852, 13 (pnigos della parabasi); Blaydes 1885, 202 (parabasi); Sommerstein 1997, 280 (parabasi o sezione preliminare all’ agone). 193 Cfr. LSJ, s. v. μή, A 6. 194 Per Panfilo, grammatico alessandrino del I sec. d. C., cfr. Wendel 1949. 195 πλημοχόη· τῇ ὑστεραίᾳ ἡμέρᾳ τῶν μυστηρίων κοτυλίσκους πληροῦσιν, οὓς καλοῦσι πλημοχόας. 196 Cfr. Deubner 1932, 91; Scheibler 1964, 78.
50
Aristophanes
van Leeuwen 1898, XXVII–XXVIII; Edmonds, I (1957), 682–3; Henderson 2007, 302–3; Pellegrino 2015, 237. Contesto della citazione Il lessico Suda (ο 918) cita le Nuvole di Aristofane, insieme a Men. fr. 885, come esempio dell’ utilizzo dell’ espressione οὐ μετὸν αὐτῷ nel senso di ‘non è possibile, non è permesso’, ma senza riportare un segmento testuale. Dal momento che tale espressione non compare nella commedia integralmente conservata, il lemma viene in genere attribuito alla prima redazione. Tuttavia Bernhardy (II [1853], 1219–20) ha congetturato che il riferimento alle Nuvole sia in realtà da riportare al lemma successivo (ο 919: οὐ μὴ ληρήσεις), per il quale cfr. Nub. 367; Dindorf 1829, 19 (= II [1835], 510; 18695, 189), congettura invece un errore nel titolo della commedia aristofanea, riportando il lemma ad Eccl. 667 (cfr. anche van Leeuwen 1898, XXVII–XXVIII). Interpretazione L’ espressione impersonale (οὐ) μετὸν αὐτῷ indica il godimento di un bene o di un diritto (espresso in caso genitivo) che spetta, tocca a qualcuno (espresso in caso dativo), come in Men. fr. 885 (riportato supra come esempio dalla Suda); il participio neutro sing. μετὸν può essere un accusativο assoluto, come in Eccl. 667b (πῶς γὰρ κλέψει, μετὸν αὐτῷ), che indica l’ inutilità di rubare, quando tutti i beni saranno comuni. Il lessicografo antico indica come sinonimo in questo contesto (οὐκ) ἐξόν, un altro participio di un composto di εἰμί usato anch’ esso assolutamente.
fr. 397 K.-A. (382 K.) Schol. (V) Ar. Pac. 348e, 7–12 Φ ο ρ μ ί ω ν […] αὐτοῦ μέμνηται ὁ κωμικὸς ἐν Ἱππεῦσι (562) καὶ Νεφέλαις καὶ Βαβυλωνίοις (fr. 88), Εὔπολις Ἀστρατεύτοις (fr. 44). P h o r m i ō n (“Formione”) […] il poeta comico lo ricorda nei Cavalieri (562), nelle Nuvole e nei Babylōnioi (fr. 88), Eupoli negli Astrateutoi (fr. 44).
Metro
Non determinabile
lkl
Bibliografia Fritzsche 1835, 165–6; Beer 1844, 125; Blaydes 1890, XVI; van Leeuwen 1898, XXVII; Edmonds, I (1957), 682–3; Sommerstein 1997, 280–1; Henderson 2007, 302–3 (~ 2011, 312); Pellegrino 2015, 238. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Pac. 348e cita le Nuvole tra le commedie in cui è presente un riferimento a Formione (per il quale vd. infra, Interpretazione), insieme ai Cavalieri (v. 562), ai Babylōnioi (fr. 88)197 e agli Astrateutoi di Eupoli
197
Cfr. Orth 2017, 513–6.
Νεφέλαι αʹ (fr. 398)
51
(fr. 44)198. Dal momento che questo personaggio non è citato nel testo conservato della commedia, si suppone che lo fosse nelle Nuvole prime199. Interpretazione Formione (PA 14958; LGPN II, Φορμίων [22]; PAA 963060), valoroso navarca ateniese, fu protagonista di importanti battaglie, a Samo nel 440 a. C. (Thuc. 1, 117, 2), contro Potidea nel 432 a. C. (Thuc. 1, 64, 2), nel golfo di Corinto nel 429 a. C. (Thuc. 2, 83–92). Morì probabilmente prima dell’ estate 428 (Thuc. 3, 7, 1; cfr. Gomme, II [1956], 234–5). Aristofane lo ricorda, oltre che in Pac. 348 e nei passi citati dallo scoliasta (vd. supra) per spiegare il nome del personaggio, in Lys. 804, diversi anni dopo la di lui morte. Formione inoltre compariva probabilmente come personaggio nei Taxiarchoi di Eupoli (cfr. Olson 2016, 367–70), di cui lo schol. Ar. Pac. 348e cita il fr. 44 (dagli Astrateutoi). Per Sommerstein 1997, 280–1, il riferimento a Formione nelle Nuvole prime poteva trovarsi in un canto corale, come in Eq. 562, Pac. 348 e Lys. 804.
fr. 398 K.-A. (383 K.) Antiatt. ζ 5 (= An. Gr. I p. 98, 1) ζ υ μ ή σ α σ θ α ι · Ἀριστοφάνης Νεφέλαις. ζ̣υμήσασθαι Antiatt.: ζυμώσασθαι Dindorf:
ζημιώσασθαι Fritzsche
z y m ē s a s t h a i (“lievitare”): Aristofane nelle Nuvole.
Metro
Non determinabile
llll
Bibliografia Dindorf 1829, 19 (~ II [1835], 510; 18695, 189); W. Dindorf, ap. ThGL3, IV (1829), 50b, s. v. ζυμόω; Hermann 1830, XXX; Fritzsche 1835, 167–8; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1106; Beer 1844, 125; Bothe 1844, 112; Kock, I (1880), 491; Blaydes 1885, 201–2; Blaydes 1890, XIV; van Leeuwen 1898, XXVIII; Edmonds, I (1957), 682–3; Henderson 2007, 302–3; Pellegrino 2015, 238. Contesto della citazione Il lessico dell’Antiatticista (ζ 5)200, al lemma ζυμήσασθαι, indica come esempio dell’ uso della parola le Nuvole di Aristofane, senza però riportare la citazione del verso e senza dare una definizione del significato. Dal momento che questo verbo (forse un hapax legomenon: vd. infra, Testo) non ricorre nel testo della commedia superstite, si ipotizza che il lemma faccia riferimento alla prima redazione. 198
Cfr. Olson 2017a, 175. Dindorf, IV 3 (1838), 49 n. 24, congettura invece un riferimento alla Lisistrata (dove Formione è citato al v. 804) al posto di quello, per lui dovuto a un errore di memoria, alle Nuvole (cfr. Dübner, p. 181, 40; van Leeuwen 1898, XXVII); contra Fritzsche 1835, 165–6. 200 Si tratta dell’ epitome bizantina di un’ opera più ampia risalente al II sec. d. C.: cfr. Valente 2015, 31–59. 199
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Aristophanes
Testo Il verbo ζυμέω non è attestato altrove, se si esclude Alex. fr. 129, 8 ([χύτρα] ζυμουμένη), dove il participio ζυμουμένη potrebbe derivare tanto da ζυμέω quanto da ζυμόω201; se la lezione dell’Antiatticista è corretta, il frammento delle Nuvole prime conterrebbe quindi l’unica testimonianza sicura dell’uso del verbo. W. Dindorf, ap. ThGL3, IV (1829), 50b, s. v. ζυμόω, ha proposto la correzione ζυμώσασθαι (‘lievitare’); Fritzsche 1835, 167–8, sulla base del fr. 400, propone invece ζημιώσασθαι (‘castigare’), che tuttavia non è attestato nella forma media. Kock, I (1880), 491, propone in apparato di scrivere ζυμώσασθαι, oppure ζωμεύσασθαι (‘bollire’) sulla base di Ar. fr. 606 (τὴν χύτραν, | ἐν ᾗ τὰ κρεάδι᾿ ἧψες ἐζωμευμένα), in cui il verbo è però attestato nella diatesi passiva. Interpretazione La forma di aoristo medio ζυμήσασθαι attestata dall’Antiatticista potrebbe essere voce di un verbo denominativo ζυμέω (variante di ζυμόω), derivato dal nome ζύμη (‘lievito’). Il senso probabile di ‘lievitare, fermentare’ potrebbe anche avere qui un valore figurato (‘essere in effervescenza’)202 in relazione ai discepoli del Pensatoio, animati interiormente dai fermenti delle nuove dottrine sofistiche, ma, in mancanza di un contesto più ampio, questa rimane solo un’ ipotesi203.
fr. 399 K.-A. (384 K.) Schol. (VΓLhAld) Ar. Vesp. 1038a, 1–4 τοῖς ἠπιάλοις· (προείρηται γάρ, ὅτι Lh) ἠ π ί α λ ο ς (λέγεται Lh) τὸ πρὸ τοῦ πυρετοῦ κρύος. Ἀριστοφάνης Νεφέλαις· καὶ Θεσμοφοριαζούσαις· ἅμα δ᾿ ἠπίαλος πυρετοῦ πρόδρομος (fr. 346, 1). tois ēpialois (“i brividi”): (si è già detto prima che si definisce) ē p i a l o s il brivido di freddo che precede la febbre. Aristofane nelle Nuvole e nelle Tesmoforiazuse: “e insieme un brivido, che preannuncia febbre” (fr. 346, 1).
Metro
Non determinabile
lwku
Bibliografia Bothe 1844, 112; Fritsche 1852, 13–4; Kock, I (1880), 491–2; Blaydes 1885, 180–1; Blaydes 1890, XIV–XV; van Leeuwen 1898, XXVIII; Edmonds, I (1957), 682–3; Sonnino 2005, 217; Henderson 2007, 302–3; Pellegrino 2015, 238.
201
Così ritengono Kock, I (1880), 491, che usa Alex. fr. 129, 8, per suffragare la correzione ζυμώσασθαι (per cui vd. infra); Arnott 1996, 372, per il quale “in this transferred sense the passive of ζυμόω […] is little more than a colourful synonym of ζέω” (nel senso di ‘ribollire, fermentare’: vd. LSJ, s. v.). 202 Cfr. LSJ, s. v. ζυμόω (2). 203 Nel NT ζύμη è usato frequentemente nel senso metaforico di dinamismo interiore: vd. ad es. Mt. 13, 33; 16, 6 e 12; Mc. 8, 15; Cor.1, 5, 6–7 (cfr. WNT6, s. v.).
Νεφέλαι αʹ (fr. 399)
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Contesto della citazione Lo schol. Ar. Vesp. 1038a, 1–4, definendo il significato proprio del termine ἠπίαλος (‘brivido [di febbre]’), cita come esempi le Nuvole (senza riportare il testo) e le seconde Tesmoforiazuse (fr. 346, 1) di Aristofane. Dal momento che il termine non compare nel dramma integralmente conservato, si può supporre che l’ antico commentatore facesse riferimento alla prima redazione204, come nel successivo schol. Ar. Vesp. 1038c (= test. *x), il quale spiega l’ uso di τοῖς ἠπιάλοις con valore figurato in relazione alla rappresentazione caricaturale dei discepoli di Socrate nelle Nuvole prime (vd. infra)205. Interpretazione Il termine medico ἠπίαλος indica in senso proprio il ‘brivido’ che precede la ‘febbre’ (πυρετός)206: vd. Hesych. η 687 (ἠπίαλος· ῥῖγος πρὸ πυρετοῦ. ἐκαλοῦντο δὲ οὕτω καὶ οἱ ψυχροί); η 688 (τὸ γὰρ τοῦ πυρετοῦ ῥῖγος ἠπίαλόν φασιν); Gal. Diff. febr. 2, 6 (VII p. 347 Kühn: φαίνονται δὲ τῶν Ἀττικῶν ἀνδρῶν ἔνιοι καὶ τὸ πρὸ τοῦ πυρετοῦ ῥῖγος οὕτως ὀνομάζοντες)207. I due sostantivi ἠπίαλοι e πυρετοί sono collegati e personificati in Vesp. 1038 (a cui si riferisce il testimone: vd. supra), dove connotano probabilmente i sicofanti208, rappresentati metaforicamente come “brividi” e “febbri” che di notte “soffocano i padri e strozzano i nonni” (Vesp. 1039; tr. Mastromarco 1983)209. Anche in Ar. fr. 346, 1, ἠπίαλος sembra essere usato in senso figurato, analogo a quello di ψυχρός (‘freddo’) nei testi comici (cfr. anche Hesych. η 687 riportato supra), per indicare battute ‘fiacche’(vd. ad es. Eup. fr. 261, 2–3; Alex. fr. 184, 2–3; Machon. 259 ss. e 279 ss. Gow) o un cattivo poeta (vd. ad es. Phryn. fr. 74, 3; Ar. Thesm. 170)210, nel contesto di una auto-giustificazione metaforica (presentata probabilmente per bocca del Coro nella parabasi della commedia) per i difetti del dramma, dovuti a una malattia da raffreddamento con brividi e febbre, che aveva colpito l’ autore nei mesi immediatamente precedenti la rappresentazione211. Possiamo pertanto
204
Contra van Leeuwen 1898, XXVIII. Nonostante questa testimonianza, la commedia a cui allude il poeta in Vesp. 1037–42, rappresentata alle Lenee del 423 a. C., sarà probabilmente da identificare con le Holkades (vd. infra, ad Holk. test. *iv). 206 Cfr. Southard 1971, 41–2. Sinonimi di πυρετός erano θέρμα (cfr. Hesych. θ 355; Tim. Lex. p. 77 Ruhnk. = p. 990a, 2 Dübn.) e πῦρ (Erot. π 11); cfr. Ar. fr. 346, 2 (ὁ δ᾿ ἔχων θέρμαν καὶ πῦρ ἧκεν). 207 Cfr. anche Ar. fr. 322, 11 (nota marginale: ῥῖγος οὐκ ἠπίαλον; cfr. PCG, III 2 [1984], ad loc.). 208 Cfr. Taillardat 19652, 425; MacDowell 1971, 267. 209 τοῖς ἠπιάλοις ἐπιχειρῆσαι πέρυσιν καὶ τοῖς πυρετοῖσιν, | οἳ τοὺς πατέρας τ᾿ ἦγκον νύκτωρ καὶ τοὺς πάππους ἀπέπνιγον (Ar. Vesp. 1038 s.). 210 Per una discussione più dettagliata vd. Cassio 1987; Torchio 2000, 48–51. 211 Il contesto in cui il fr. 346 doveva essere inserito è dato da un passo del primo libro del Περὶ τῶν ἰατρικῶν ὀνομάτων di Galeno (pp. 31, 25 - 33, 8 Meyerhof−Schacht), opera non conservata in greco, ma di cui è pervenuta la versione araba, ad opera di H · ubaiš, della traduzione siriaca realizzata dal dotto H unain ibn Iṣ h āq (809–73 d. C.), per il · quale cfr. Reynolds−Wilson 1968, tr. it. 55–6; Canfora 1995, 158–62. Il testo di Galeno 205
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Aristophanes
supporre un valore figurato del termine anche nelle Nuvole prime, ma con un senso ancora diverso, probabilmente (secondo la testimonianza dello schol. Ar. Vesp. 1038c = test. *x) in riferimento al pallore dei Socratici, caratteristica che li contraddistingue in Nub. 103, 120, 504, 717, 1017, 1171b212.
fr. 400 K.-A. (385 K.) Antiatt. κ 92 (= An. Gr. I p. 105, 2) κ ό λ α σ μ α · Ἀριστοφάνης Νεφέλαις. k o l a s m a (“castigo”): Aristofane nelle Nuvole.
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Non determinabile
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Bibliografia Dindorf 1829, 19 (= II [1835], 510; 18695, 189); Hermann 1830, XXX; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1106; Beer 1844, 125; Bothe 1844, 112; Blaydes 1890, XIV; van Leeuwen 1898, XXVIII; Edmonds, I (1957), 682–3; Sommerstein 1997, 280; Henderson 2007, 304–5; Pellegrino 2015, 238. Contesto della citazione L’ Antiatticista (κ 92)213 attesta l’ uso del nome κόλασμα nelle Nuvole di Aristofane, senza precisare in quale redazione e senza riportare alcun segmento testuale. Dal momento che κόλασμα non è attestato nella seconda redazione della commedia, si ipotizza che il lemma faccia riferimento alla prima versione214. Interpretazione Il nome κόλασμα (‘castigo’) può riferirsi alla punizione di Strepsiade da parte delle Nuvole; per Sommerstein 1997, 280, esso deriva dalla conclusione della commedia, ma non è attestato che anche la prima redazione terminasse con la distruzione del Pensatoio socratico (vd. supra, Esodo).
fr. *401 K.-A. (386 K.) Schol. (V) Ar. Pac. 92a ἔφη δὲ καὶ ἐν ταῖς Νεφέλαις μ ε τ ε ω ρ ο λ έ σ χ α ς τοὺς φιλοσόφους, ὅτι τὰ οὐράνια περινοοῦσιν.
è stato tradotto in francese da Meyerhof 1926 e in tedesco da Meyerhof−Schacht 1931; cfr. anche Deichgräber 1956. 212 Vd. inoltre ad fr. 393 per il pallore di Cherefonte (n. 169). 213 Per il lessico dell’ Antiatticista, vd. supra, n. 200. 214 Contra van Leeuwen 1898, XXVIII, che non ritiene affidabile la citazione dell’ Antiatticista.
Νεφέλαι αʹ (fr. *401)
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Anche nelle Nuvole (Aristofane) definiva i filosofi m e t e ō r o l e s c h a s (“chiacchieroni con la testa in aria”), perché meditano i fenomeni celesti.
Metro
Non determinabile
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Bibliografia Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1106; Beer 1844, 125; Bothe 1844, 112; Kock, I (1880), 492; Blaydes 1885, 204; Blaydes 1890, XVI; van Leeuwen 1898, XXVIII; Edmonds, I (1957), 682–3; Tarrant 1991, 164; Sommerstein 1997, 281; Henderson 2007, 304–5; Pellegrino 2015, 239. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Pac. 92a (ποῖ δῆτ᾿ ἄλλως μετεωροκοπεῖς;), per spiegare il verbo μετεωροκοπέω (‘cianciare di argomenti elevati’), attesta l’ uso del nome μετεωρολέσχας nelle Nuvole, per indicare i filosofi. Tuttavia non è sicuro che lo scoliaste citi la prima redazione della commedia, dal momento che nel testo integralmente trasmesso sono presenti composti simili (μετεωροφένακας in Nub. 333; μετεωροσοφιστῶν in Nub. 360), il cui ricordo poteva ingenerare una confusione con μετεωρολέσχας, attestato anche in Plat. Resp. 6, 489c215. Interpretazione Composti comici simili, formati con il prefissoide μετεωρο-216, sono attestati in Nub. 333 (μετεωροφένακας, “astronomi ciarlatani”) e 360 (μετεωροσοφιστῶν, “sofisti che osservano i fenomeni celesti”). Anche μετεωρολέσχης potrebbe essere una formazione coniata da Aristofane per sbeffeggiare la vacuità degli studi astronomici dei filosofi naturalistici, che si perdono in vane chiacchiere (λέσχαι), e si accorderebbe perfettamente con la rappresentazione di Socrate intento a scrutare il cielo sospeso nella cesta all’ inizio della commedia (cfr. Nub. 218 ss.). Plat. Resp. 6, 489c (ἀλλὰ τοὺς νῦν πολιτικοὺς ἄρχοντας ἀπεικάζων οἷς ἄρτι ἐλέγομεν ναύταις οὐκ ἁμαρτήσει, καὶ τοὺς ὑπὸ τούτων ἀχρήστους λεγομένους καὶ μετεωρολέσχας τοῖς ὡς ἀληθῶς κυβερνήταις), in cui i veri ‘nocchieri’ dello Stato, i filosofi, sono tacciati dalla massa di essere μετεωρολέσχαι, potrebbe pertanto contenere un richiamo intertestuale alle Nuvole prime217.
215
Cfr. PCG, III 2 (1984), 219; Sommerstein 1997, 281. Cfr. Beekes, EDG, s. v. μετέωρος. 217 Cfr. Tarrant 1991, 164. 216
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Νῆσοι (Nēsoi) (“Isole”) Data
Sconosciuta.
Bibliografia Dindorf 1829, 154 (~ II [1835], 626; 1838, 493; 18695, 210); Meineke, I (1839), 209; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1107–8; Bothe 1844, 113–4; Hamaker 1854, 254–5; Kock, I (1880), 492; Blaydes 1885, 205–6; Kaibel 1889, 46–9; Kock 1890, 53–5; Busolt 1904, 925 n. 3; 926 n. 3; Norwood 1931, 292–3; Schmid 1946, 223; Geißler 19692, 80; PCG, III 2 (1984), 220; Gil 1989, 87–9 (= 1996, 171–3; 2010, 100–2); Carrière 2000, 222–3; Henderson 2007, 305; 2011, 312; Zimmermann 2011a, 768; Labiano 2012; Storey 2012, 4–6; Pellegrino 2015, 240–5. Titolo e attribuzione Il titolo è attestato dal Catal. fab. Ar. (Prol. de com. XXXa, p. 142, 16 Koster = test. i) e dalla Vita Ar. (Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66–7 Koster = test. ii), secondo la quale le Nēsoi erano attribuite da fonti antiche al poeta Archippo, insieme ad altri tre drammi218. Il titolo deriva probabilmente dal Coro, che rappresentava le isole alleate di Atene219. Tematiche affini sono attestate nelle Nāsoi di Epicarmo (frr. 93–6), datate dopo il 477 / 6 a. C.220, e soprattutto in Hellas ē Nēsoi di Platone comico (frr. 19–26), la cui datazione è incerta221.
218
Vd. infra, ad test. ii; cfr. anche Poll. 9, 89 (= fr. 412). Tale attribuzione è per lo più posta in dubbio dai moderni, anche da parte di quegli studiosi che non ritengono la commedia di Aristofane, ma la assegnano alla mesē (vd. infra, Datazione). Il primo editore moderno ad inserire i frammenti delle Isole tra quelli aristofanei è stato Brunck, III (1783), seguito da Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), per il quale “in ipsis fabulae reliquiis […] nihil reperias, quod Aristophane indignum sit” (Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1107), e da Kock, I (1880). La questione è stata recentemente ripresa da Gil 1989, 87–9 (= 1996, 171–3; 2010, 100–1), Labiano 2012 e Storey 2012, 4–6, i quali sostengono anch’ essi l’ attribuzione ad Aristofane. 219 Più verosimilmente si sarà trattato delle isole della Lega delio-attica, se la commedia si colloca nel primo o nel secondo periodo della produzione aristofanea, e dunque ancora negli anni della guerra del Peloponneso (vd. infra, Datazione). Tuttavia è stato anche ipotizzato che questo dramma appartenga all’ inizio del IV secolo a. C., o addirittura alla mesē in questo caso, le isole del titolo sarebbero quelle della Seconda lega navale (cfr. Norwood 1931, 293), stipulata nel 377 a. C., ma le cui basi erano state già poste dalla nuova politica d’ impero di Conone e Trasibulo negli anni 394 / 3–389 / 8 a. C. (cfr. Sordi 1982, 147). 220 Cfr. Olivieri 1930, 60; PCG, I (2001), 59. 221 Cfr. Pirrotta 2009, 87–8. Per Meineke, I (1839), 169–70, e Kock, I (1880), 605, la commedia fu rappresentata negli ultimi anni della guerra del Peloponneso; per Geißler 19692, 66 e 83, è successiva al 404 a. C. Purtroppo, siccome anche la datazione delle Nēsoi di Aristofane è incerta, non possiamo stabilire con precisione quale rapporto intertestuale ci fosse tra le due commedie.
Νῆσοι
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Contenuto Un motivo tematico caratteristico dei frammenti conservati222 è l’ esaltazione della pace e delle gioie della vita di campagna, contrapposta a quella della città, dove gli abitanti dell’ Attica erano stati costretti a rifugiarsi fin dalla guerra archidamica. Questo motivo è presente anche nelle commedie aristofanee del primo periodo, in particolare negli Acarnesi (425 a. C.) e nella Pace (421 a. C.)223. Anche le Nēsoi potrebbero quindi essere un dramma politico, con un forte messaggio pacifista di condanna dell’ imperialismo ateniese, come già nei Babylōnioi dello stesso Aristofane (426 a. C.)224 o nelle Poleis di Eupoli (forse del 422 a. C.)225. La presenza, in alcuni frammenti, del motivo gastronomico226, in collegamento con l’ esaltazione della vita dei campi, fa pensare che il tema politico sia unito a quello utopico del ‘Paese di Cuccagna’ (Schlaraffenland)227, in particolare per il motivo dell’ αὐτόματος βίος, come negli Acarnesi228. In mancanza di testimonianze precise, è difficile ricostruire nei dettagli l’ intreccio o il sistema dei personaggi. Possiamo ipotizzare un protagonista contadino, ansioso, come Diceopoli e Trigeo, di porre fine alla guerra, ma nulla di sicuro si può affermare sul piano dell’ eroe comico per ristabilire la tanto agognata pace. Il Coro doveva avere un ruolo di rilievo tale da dare il titolo alla commedia, ma i frammenti conservati non ci permettono di dimostrare con certezza la presenza di parabasi e canti corali229. I coreuti probabilmente erano caratterizzati individualmente, come negli Uccelli dello stesso Aristofane (cfr. Av. 263 ss.) o nelle Poleis di Eupoli230.
222
Cfr. in particolare il fr. 402, il più lungo di quelli conservati, ma anche i frr. 405, 406 e 408 (vd. infra il commento ad loca). 223 Per raffronti puntuali vd. infra il commento ad fr. 402. 224 Cfr. Mastromarco 19962, 40. 225 Cfr. Kock, I (1880), 314. Per la datazione delle Poleis cfr. Meineke, I (1839), 141; Geißler 19692, 39 e 83; Mastromarco 1992, 353; Olson 2016, 229. 226 Cfr. in particolare i frr. 402, 405, 408. Per la poesia gastronomica greca cfr. Degani 1982; 1982–83; 1990; 1991. 227 La nostra fonte principale per tale filone comico è Athen. 6, 267e–270a, che riporta i seguenti frammenti: Cratin. fr. 176 (dai Ploutoi); Cratet. frr. 16–7 (dai Thēria); Telecl. fr. 1 (dagli Amphiktyones); Pher. frr. 113 (dai Metallēs) e 137 (dai Persai); Nicoph. fr. 21 (dalle Seirēnes); Metag. fr. 6 (dai Thouriopersai). Bibliografia moderna: Baldry 1953; Gatz 1967, 115–22; Giannini 1967; Fauth 1973; Ghidini Tortorelli 1976–78; Heberlein 1980, 11–26; Zimmermann 1983, 60 ss.; Bertelli 1989, 108–10 (= Fortunati–Zucchini 1989, 135–38); Pellegrino 2000, 45–154; Wilkins 2000, 110–23; Farioli 2001, 27–137; Gianotti 2013, 105–9. Le commedie ricordate da Ateneo sono tutte datate tra il 443 / 40 e il 400 a. C. (cfr. Baldry 1953, 51–2; Geißler 19692, 18–9, 22, 41, 65 n. 2, 75 n. 3; Bagordo 2013, 43; Orth 2014, 413–4; Bianchi 2017, 303; Perrone 2019, 100; Franchini 2020, 96–7 e 177–8). 228 Vd. il commento ad fr. 402. 229 Riferimento metateatrali all’ ingresso del Coro sono contenuti nei frr. 403 e 410 (vd. commento ad loca). 230 Cfr. Dindorf 1829, 154 (= II [1835], 626; 1838, 493; 18695, 210); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1109; Kock, I (1880), 314; Wilson 1977; Henderson 2007, 307 n. 102; 2011, 312; Storey 2012, 5.
58
Aristophanes
Fritsche 1830, 16, attribuisce alle Nēsoi anche Ar. fr. 699 (per il quale vd. Bagordo 2017, 72–3). Datazione Non abbiamo documenti che consentano di fissare una datazione precisa. Il riferimento a Panezio (fr. 409), che per alcuni commentatori231 è da identificare con l’ omonimo personaggio (PA 11567; LGPN II, Παναίτιος [7]; PAA 763480) fuggito da Atene perché accusato di aver partecipato alla sacrilega parodia dei misteri eleusini e alla mutilazione delle Erme alla vigilia della spedizione in Sicilia (415 a. C.) e rientrato in Atene alla restaurazione della democrazia (403 a. C.), ha fatto pensare a una datazione successiva al 414 a. C. (Carrière 2000, 222)232, o forse addirittura al 403 a. C. (Gil 1989, 50 [= 1996, 133; 2010, 77]; Carrière 2000, 222); tuttavia questa identificazione non è affatto certa233. Puntuali rapporti intertestuali si riscontrano soprattutto con Acarnesi e Pace (vd. in particolare il commento ai frr. 402 e 405), che potrebbero rappresentare degli ipotesti delle Nēsoi, poiché la cronologia del primo periodo della produzione aristofanea (427–421 a. C.) è abbastanza completa234. D’ altra parte, una riflessione sul rapporto con le città insulari alleate si inserisce bene nel secondo periodo (420–404 a. C.), nel quale le tematiche pacifiste e utopiche restano di attualità235:
231
Vd. infra, n. 333. La datazione delle Nēsoi si intreccia con la questione, tuttora assai problematica, del discusso decreto di Siracosio, che, secondo la testimonianza dello schol. Ar. Av. 1297a (= Phryn. fr. 27), avrebbe limitato la libertà dei commediografi di rivolgere attacchi personali (ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν) in un momento di acutissima tensione politica, alla vigilia della spedizione in Sicilia (415 / 4 a. C.). Probabilmente il decreto, se pure è mai stato in vigore (cfr. Halliwell 1984, 86–7, e Dunbar 1995, 239, che non ritengono attendibile lo schol. Ar. Av. 1297a, unica fonte al riguardo), non vietava completamente la satira ad personam, come mostrano i numerosi attacchi personali presenti ad es. negli Uccelli di Aristofane e nel Monotropos di Frinico (414 a. C.), ma poteva riguardare alcune categorie, forse proprio gli accusati per gli scandali religiosi del 415 a. C., che non sono mai menzionati per nome nelle commedie rappresentate tra il 414 e il 411 a. C. (fino al ripristino della democrazia dopo il colpo di stato dei Quattrocento), come osserva Sommerstein 1986, riprendendo un’ osservazione di Droysen 1836, 59–61 (= 1894, 59–60); cfr. anche Atkinson 1992, 61–4, per il quale il decreto mirava a proteggere le persone falsamente accusate nel 415 / 4 a. C. (così anche Henderson 1998c, 262 e 408, n. 54); Canfora 1997, 175 ss., per il quale il decreto voleva impedire nuove delazioni attraverso gli spettacoli comici; Sommerstein 2004, 210–1 e 219–20, n. 36, che rivede parzialmente la posizione del 1986, ipotizzando che il decreto di Siracosio avesse privato i commediografi dei loro bersagli, mandandoli a morte o in esilio; Stama 2014, 180–2 (ad Phryn. fr. 27); Olson 2016, 239–40 (ad Eup. fr. 220). 233 Vd. commento ad fr. 409. 234 Cfr. ad es. Geißler 19692, 82, e le recenti ricostruzioni di Gil 1989, 49 (= 1996, 133; 2010, 77–8); Carrière 2000, 200–1. Per la suddivisione in tre fasi delle opere di Aristofane cfr. ad es. Mastromarco 19962, 40 ss. 235 Cfr. ad es., rispettivamente, Lisistrata (411 a. C.) e Uccelli (414 a. C.). Come è stato evidenziato da Mastromarco (1992, 346–8; 375–7; 19962, 160–6), nelle commedie 232
Νῆσοι
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penso in particolare agli anni 413 / 2–411 / 0 a. C., in cui, mentre gli Spartani occupavano stabilmente Decelea in Attica236, un problema politico scottante era la ribellione di alcune città alleate al dominio tirannico di Atene237, ma anche agli anni immediatamente successivi (fino all’ estate del 407 a. C.)238, in cui, grazie ai successi navali di Alcibiade nella zona degli stretti239 e di Trasibulo a Taso e in Tracia240, viene ristabilito il controllo ateniese su gran parte dell’ Egeo241. Anche l’ attribuzione antica ad Archippo (vd. supra) potrebbe far propendere per una datazione in questi anni, dal momento che Sud. α 4115 (Ἄρχιππος, Ἀθηναῖος κωμικὸς ἀρχαῖος, ἐνίκησεν ἅπαξ ἐπὶ τῆς Ϙαʹ Ὀλυμπιάδος) colloca la prima e unica vittoria di Archippo agli agoni comici negli anni 415–12 a. C. (Ol. XCI)242. Meno fondata mi sembra una datazione all’ ultimo periodo della produzione di Aristofane (in. IV sec. a. C.)243, perché il fr. 402 sembra presupporre una situazione di lontananza prolungata dei contadini dai loro poderi a causa degli eventi bellici; quindi la commedia sembra essere stata rappresentata ancora durante la guerra del Peloponneso. L’ attribuzione alla mesē 244 confligge invece, a mio parere, oltre che con il contesto storico-politico a cui fanno riferimento i frammenti conservati, anche con l’ attribuzione antica ad Archippo (vd. supra, Titolo), il quale si colloca comunque ancora nell’ ambito dell’ archaia.
aristofanee del secondo periodo acquistano spazio sempre maggiore i tratti fantastici e utopici del filone di evasione dell’ archaia (vd. infra, commento ad fr. 464), che risulterebbero infine decisamente prevalenti nelle ultime due commedie superstiti, le Ecclesiazuse e il Pluto. 236 A partire dalla primavera del 413 / 2 a. C. (Thuc. 7, 19). 237 Lesbo, Chio ed Eretria nell’ inverno 413 / 2 a. C. (Thuc. 8, 5; cfr. Thuc. 8, 2, 2); Abido e Lampsaco nell’ estate del 411 a. C. (Thuc. 8, 62); Samo durante il colpo di stato oligarchico del 411 a. C. (Thuc. 8, 72 ss.). 238 Sconfitta ateniese a Nozio (Xen. Hell. 1, 5, 11 ss.). 239 Xen. Hell. 1, 1 (passim); 3, 8–10. 240 Xen. Hell. 1, 4, 9. 241 Cfr. Sordi 1982, 134. 242 Per la carriera teatrale di Archippo, che opera tra la fine del V e l’ inizio del IV secolo a. C., cfr. Storey 2012, 2–4; Miccolis 2015–16, 4–5; 2017, 12–3. 243 Cfr. Norwood 1931, 293. 244 Kaibel 1889, 49; Norwood 1931, 293; Geißler 19692, 80.
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Aristophanes
test. i K.-A. (= Ar. test. 2a 20 K.-A.) Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 16 Koster Νῆσοι νῆσσοι Vat. 918, οι post litt. erasas Rs, νηώ M Nēsoi (“Isole”)
Bibliografia Novati 1879; Zuretti 1892, 104; Kaibel 1895, 972–3; Cantarella, I (1948), 142–3; Holwerda, ap. Koster–Holwerda 1955, 197–8; Cantarella, IV (1956), 541. Contesto Il titolo è contenuto in un catalogo alfabetico delle 44 opere di Aristofane, trasmesso dai mss. M, Rs, Vat. 918 (Prol. de com. XXXa Koster).
test. ii K.-A. (= Ar. test. 1, 59–61 = Poiēs. test. iii = Arch. test. 4 K.-A.) Vita Ar. = Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66–7 Koster (Ἀριστοφάνης) ἔγραψε δὲ δράματα μδ´, ὧν ἀντιλέγεται δ´ ὡς οὐκ ὄντα αὐτοῦ· ἔστι δὲ ταῦτα Ποίησις, Ναυαγός, Νῆσοι, Νίοβος, ἅ τινες ἔφασαν εἶναι τοῦ Ἀρχίππου. (Aristofane) scrisse 44 drammi, di cui quattro sono contestati come non autentici; questi sono Poiēsis, [Dionysos] Nauagos, Nēsoi, [Dramata ē] Niobos, che alcuni affermarono essere di Archippo.
Bibliografia Dindorf 1829, 3–4 (~ II [1835], 497–8; 1838, 445; 18695, 181); Meineke, I (1839), 209; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 898–9; 902; 1107; Kock, I (1880), 459; 492; Kaibel 1889, 46–9; 55–6; 66; Kock 1890, 53–5; Schmid 1946, 157 e 223; Edmonds, I (1957), 682–3; Gelzer 1970, 1403–4; Gil 1989, 78–9; 87 (= 1996, 162; 164; 171–2; 2010, 93–4; 100); Mastromarco 19962, 39; Tosi 1998a, 333–4; Henderson 2007, 304–5 (~ 2011, 312); Storey, FOC, I (2011), 96–7; Zimmermann 2011a, 768; Labiano 2012, 321–2; Storey 2012, 4–6; Sonnino 2014, 182 n. 49; Pellegrino 2015, 178–9; 240; 269; Miccolis 2015–16, 16–21; 2017, 24–29. Contesto L’ultima parte della Vita Ar. (Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66–7 Koster) trasmette la notizia dell’ attribuzione delle Nēsoi, insieme ad altre tre commedie (Poiēsis, [Dionysos] Nauagos, [Dramata ē] Niobos), al poeta Archippo da parte di alcune fonti antiche non meglio precisate245. Dubbi sull’ autenticità delle Nēsoi, sulla base dell’ uso del plurale ἀργύρια (‘denaro’) invece del singolare, più comune nel dialetto attico, sono attestati anche in Poll. 9, 89 (= Ar. fr. 412)246; cfr. anche
245
Tosi 1998a, 333–4, pensa a Eratostene di Cirene, per la cui attività filologica sul testo di Aristofane vd. supra (nn. 110 e 131). 246 Vd. infra, ad loc.
Νῆσοι (fr. 402)
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Ar. test. 4, 10–1 K.-A. (= Prol. de com. III, p. 7, 41 Koster: ἔπειτα [Ἀριστοφάνης] τῷ υἱῷ ἐδίδου τὰ δράματα ὄντα τὸν ἀριθμὸν νδ´, ὧν νόθα δ´), per la notizia dei quattro drammi spurii attribuiti ad Aristofane247. Interpretazione Non è chiaro il motivo dell’attribuzione ad Archippo delle quattro commedie248, i cui titoli sono attestati nei Catalogi fab. Ar. (Prol. de com. XXXa, p. 142, 11, 12, 16, 18, Koster = Ar. test. 2a 15, 16, 20, 22; Catal. fab. Ar. pap. = Ar. test. 2 c 5, 18), nonché dai testimoni che ne riportano i frammenti attribuendoli ad Aristofane249. Se nelle Nēsoi erano presenti forme linguistiche che si discostavano dalla norma attica (cfr. Poll. 9, 89), non si comprende perché ne fu considerato autore un altro commediografo dell’archaia, molto vicino ad Aristofane cronologicamente e tematicamente250. Storey (FOC, I [2011], 95; 2012, 6) prova a spiegare la confusione della fonte della Vita Ar. ipotizzando un rapporto di collaborazione tra il più anziano poeta e il giovane Archippo, che potrebbe avere curato l’ allestimento scenico di qualche commedia di Aristofane in una fase iniziale della sua carriera (per la cui cronologia vd. supra, n. 242).
fr. 402 K.-A. (387 K.)
5
10
ὦ μῶρε, μῶρε, ταῦτα πάντ’ ἐν τῇδ’ ἔνι· οἰκεῖν μὲν ἐν ἀγρῷ τοῦτον ἐν τῷ γῃδίῳ ἀπαλλαγέντα τῶν κατ’ ἀγορὰν πραγμάτων, κεκτημένον ζευγάριον οἰκεῖον βοοῖν, ἔπειτ’ ἀκούειν προβατίων βληχωμένων τρυγός τε φωνὴν εἰς λεκάνην ὠθουμένης, ὄψῳ δὲ χρῆσθαι σπινιδίοις τε καὶ κίχλαις, καὶ μὴ περιμένειν ἐξ ἀγορᾶς ἰχθύδια τριταῖα, πολυτίμητα, βεβασανισμένα ἐπ’ ἰχθυοπώλου χειρὶ παρανομωτάτῃ
1 μωρὲ μωρὲ A 2 ἐν ἀγρῷ τοῦτον codd.: ἐν ἀγρῷ πρῶτον Hirschig: ἐν ἀγρῷ τὸ πλέον Birt: ἀργὸν αὐτόν Bergk: ἁβροδίαιτον Kock: ἀργὸν ἄπονον vel ἄτρυφον Kaibel: ἀργῶς τοῦτον Desrousseaux 3 κατ’ ἄστυ Nauck 4 οἰκεῖον βοοῖν codd.: οἰκείοιν βοοῖν Kock (dub.): οἰκεῖον βοῶν Blaydes (dub.): οἰκογενῶν βοῶν van Herwerden 5 προβατίων Grotius: προβάτων codd. 6 αἰγός τε Trincavellus ἠθουμένης van Her werden 247
La differenza nel totale delle commedie aristofanee (54 invece di 44) rispetto alla Vita Ar. (Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66 Koster = Ar. test. 1, 59 K.-A.) e al Catal. fab. Ar. (Prol. de com. XXXa, p. 141, 6 Koster = Ar. test. 2a 10–1 K.-A.) può dipendere da uno scambio tra μ e ν (cfr. Miccolis 2015–16, 17; 2017, 25). 248 Cfr. Kaibel 1889, 49; Schmid 1946, 157; Gelzer 1970, 1404; Miccolis 2015–16, 9–10; 2017, 17–8. 249 Vd. infra per i frr. 402–14 (dalle Nēsoi) e 466–7 (dalla Poiēsis). 250 Cfr. Tosi 1998a, 333–4; Sonnino 2014, 182 n. 49; Miccolis 2015–16, 9–10; 2017, 17–8.
62
Aristophanes
7 ὄψῳ Salmasius: ὄψων codd. σπινιδίοις Salmasius: πην- SA (de M dubitat Hense) 9 πολυτίμητα codd.: 〈καὶ〉 πολύτιμα van Herwerden: πολύτιμ ’ ἄττα Blaydes 10 ἐπ’ codd.: ἐν Boissonnade: ὑπ’ Gaisford 11 παρανομωτάτου Blaydes
5
10
O stolto, stolto, in questa (nella pace) vi sono tutti questi vantaggi: che costui abiti in campagna in un piccolo podere, libero dai problemi dell’ agora, con la propria coppia di buoi, poi senta belare le pecorelle e la voce del vino novello versato nel catino, si cibi di fringuelletti e tordi, e non stia ad aspettare i pescetti striminziti del mercato, vecchi di tre giorni, cari come il sangue, pesati dalla mano ladra di un pescivendolo furfante
Stob. (SMA) 4, 14, 7, p. 374, 7–17 H. (περὶ εἰρήνης) Ἀριστοφάνης Νήσων· ὦ ― παρανομωτάτῃ. (sulla pace) Delle Nēsoi di Aristofane: “o ― furfante”.
Metro
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Trimetri giambici
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Bibliografia Grotius 1623, 513 e 535; Saumaise 16892, 316d; Gaisford, II (18232), 355; Dindorf 1829, 154–5 (~ II [1835], 626–7; 1838, 493; 18695, 210); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1109; Meineke 1855, 333; Meineke, V 1 (1857), 65; Kock, I (1880), 493; Blaydes 1885, 210–1; van Herwerden 1868, 29; Kaibel 1889, 48 s.; Kock 1890, 54–5; Nauck 1894, 79; van Herwerden 1903, 43; Wachsmuth−Hense, IV (1909), 374; Norwood 1931, 292–3; Kier 1933, 43–4; Desrousseaux 1935, 145; Edmonds, I (1957), 682–5; PCG, III 2 (1984), 221; Cavallini 1984–85, 109–10; Gil 1989, 88 (= 1996, 172; 2010, 101); Carrière 2000, 223; Wilkins 2000, 105 n. 8; Henderson 2007, 304–5 (~ 2011, 312–3); Beta 2009, 118–9 n. 85; Corbel-Morana 2012, 30; Labiano 2012, 323 ss.; Storey 2012, 5; Pellegrino 2015, 241.
Νῆσοι (fr. 402)
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Contesto della citazione Il frammento, piuttosto esteso, è riportato nella sezione sulla pace (περὶ εἰρήνης) dell’ Antologia di Stobeo (4, 14, 7, p. 374, 7–17 H.)251, che contiene anche Ar. fr. 111 (Stob. 4, 14, 2, p. 371, 1–5 H.)252 e Pac. 520 s. (Stob. 4, 14, 8, p. 374, 18–20 H.), il quale ultimo testo segue immediatamente il fr. 402. Testo Nel v. 2 le proposte di correzione di Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1109 (ἀργὸν αὐτόν), di Kock, I (1880), 492 (ἁβροδίαιτον), di Kaibel 1889, 48 n. 2 (ἀργὸν ἄπονον vel ἄτρυφον), e di Desrousseaux 1935, 145 (ἀργῶς τοῦτον), mirano ad eliminare la presunta ripetizione ἐν ἀγρῷ […] ἐν τῷ γῃδίῳ; in realtà, come ha evidenziato già Meineke, V 1 (1857), 65, ἀγρός (qui ‘campagna’) ha in questo verso un significato più ampio di γῄδιον (‘piccolo podere’)253. Per evitare la difficoltà sintattica del pronome τοῦτον come soggetto in accusativo dell’ infinitiva (vd. infra, Interpretazione), Meineke 1855, 333, sostiene tuttavia l’emendazione ἐν ἀγρῷ πρῶτον proposta da Hirschig (1849, 195); cfr. anche la correzione ἐν ἀγρῷ τὸ πλέον suggerita da Th. Birt (ap. Kier 1933, 44 n. 135). Nel v. 3 Nauck 1894, 79, propone di correggere κατ’ ἀγορὰν in κατ’ ἄστυ sulla base di Men. fr. 3, 2–3 Koe. (τῶν κατ’ ἄστυ πραγμάτων οὐ παντελῶς | ἔμπειρος); Alciphr. 3, 34, 1 (τῶν κατ’ ἄστυ πραγμάτων ἀπαλλαγείς). Nel v. 4 Kock, I (1880), ad loc., propone dubitativamente la correzione di ζευγάριον οἰκεῖον βοοῖν in ζευγάριον οἰκείοιν βοοῖν; van Herwerden 1903, 43, in ζευγάριον οἰκογενῶν βοῶν254. Nel v. 5 il diminutivo προβατίων è frutto della correzione del tràdito προβάτων, metricamente scorretto, da parte di Grotius 1623, 513 e 535; cfr. Pac. 535 (προβατίων βληχωμένων). Nel v. 6 il tràdito τρυγός è corretto in αἰγός da V. Trincavelli nell’ editio princeps dell’ Anthologium di Stobeo (Trincavelli 1536). Tale emendazione è accolta da Gaisford, II (18232), 355, mentre Meineke 1855, 333, e Hense (ap. Wachsmuth− Hense, IV [1909], 374) ritornano al testo tràdito, conservato già da Grotius 1623, 513. Van Herwerden 1868, 29, propone di correggere ὠθουμένης in ἠθουμένης. Il testo trasmesso dai manoscritti di Stobeo appare tuttavia confermato dal confronto con Ar. Pac. 576 (τῆς τρυγός τε τῆς γλυκείας) e fr. 111, 4 (τῆς τρυγός). Nel v. 7 ὄψῳ in luogo del tràdito ὄψων è correzione di Saumaise 16892, 316d. La correzione σπινιδίοις, proposta da Saumaise 16892, 316d, sembra avvalorata dal confronto con Ar. Pac. 1149 (κἀξ ἐμοῦ δ´ ἐνεγκάτω τις τὴν κίχλην καὶ τὼ σπίνω)
251
Per questa antologia tematica di citazioni, datata al V sec. d. C., cfr. ad es. Piccione 2001; Dickey 2007, 105–6; per la storia del testo cfr. Curnis 2008. 252 Vd. infra (Commento) per le relazioni intertestuali tra Ar. fr. 402 e Ar. fr. 111. 253 Cfr. anche Blaydes 1885, 210. Cavallini 1984–85, 110 n. 18, a sostegno del testo tràdito, pone a confronto Αlc. fr. 130b, 2 V. (ἀγροϊωτίκαν). 254 Il genitivo plurale βοῶν era già stato proposto dubitativamente da Blaydes 1896, 311.
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Aristophanes
per l’ associazione di “tordi” e “fringuelli” come cibo prelibato255, ed è stata accolta dagli editori moderni successivi256. Nel v. 9, invece del tràdito πολυτίμητα, van Herwerden 1903, 43, propone di scrivere 〈καὶ〉 πολύτιμα e Blaydes 1885, 210–1, πολύτιμ’ ἄττα, perché l’ aggettivo πολυτίμητος è usato in genere, nel greco classico, in relazione a divinità (cfr. LSJ s. v.); in riferimento a cibi è attestato tuttavia in Ar. Ach. 758–9 (σῖτος […] πολυτίματος ᾇπερ τοὶ θεοί); Epich. fr. 88, 1 (πολυτίματον ἔλοπα). Interpretazione L’ esaltazione della pace contenuta in questo frammento presenta evidenti rapporti intertestuali, già evidenziati dai commentatori moderni257, con altri testi di Aristofane, principalmente Ach. 32–6258 e Pac. 569 ss.259 In entrambi i passi l’ aspirazione alla pace del protagonista si struttura concretamente come rimpianto della vita di un tempo, in una campagna idealizzata, caratterizzata dalla tranquillità e dall’ abbondanza di cibo. Il riferimento è in particolare al motivo dell’ αὐτόματος βίος260, della terra che dona spontaneamente tutto quello di cui l’uomo ha bisogno per vivere, caratteristico dell’ ‘età dell’oro’ (cfr. Hes. Op. 109–19) e del filone comico dello Schlaraffenland (‘paese di cuccagna’)261, declinato tuttavia in chiave politica e pacifista. Si può inoltre porre a confronto Ar. fr. 111 (dai Geōrgoi)262, contenente un’ analoga connessione tra aspirazione alla pace ed esaltazione della vita agreste, con puntuali richiami lessicali al fr. 402 (vd. infra il commento ai vv. 2 e 7)263.
255
Vd. infra il commento ad loc. Per la traduzione del tràdito πηνιδίοις con panniculis cfr. Grotius 1623, 514 e 535. 257 Cfr. ad es. Kock 1890, 54–5; Busolt 1904, 925 n. 3; più recentemente, Labiano 2012, 324 ss. 258 ἀποβλέπων εἰς τὸν ἀγρόν εἰρήνης ἐρῶν, | στυγῶν μὲν ἄστυ, τὸν δ´ ἐμὸν δῆμον ποθῶν, | ὃς οὐδεπώποτ’ εἶπεν ˝ἄνθρακας πρίω˝, | οὐκ ˝ὄξος˝, οὐκ ˝ἔλαιον˝, οὐδ´ ἤδει ˝πρίω˝, | ἀλλ’ αὐτὸς ἔφερε πάντα χὠ πρίων ἀπῆν. 259 ὥστ’ ἔγωγ’ ἤδη ’πιθυμῶ καὐτὸς ἐλθεῖν εἰς ἀγρὸν | καὶ τριαινοῦν τῇ δικέλλῃ διὰ χρόνου τὸ γῄδιον. | ἀλλ’ ἀναμνησθέντες, ὦνδρες, | τῆς διαίτης τῆς παλαιᾶς, | ἣν παρεῖχ’ αὕτη ποθ’ ἡμῖν, | τῶν τε παλασίων ἐκείνων | τῶν τε σύκων, τῶν τε μύρτων, | τῆς τρυγός τε τῆς γλυκείας | […]. Cfr. anche Pac. 530 ss., accostato in genere dai commentatori (ad es. van Leeuwen 1906, 90; Platnauer 1964, 116; Olson 1998, 186) al fr. 402; Pac. 1127–39, accostato ad Ar. fr. 111 da Pellegrino 2015, 90. 260 Cfr. Zimmermann 1983, tr. it. 67–75. 261 Vd. supra, p. 57. 262 Εἰρήνη βαθύπλουτε καὶ ζευγάριον βοεικόν, | εἰ γὰρ ἐμοὶ παυσαμένῳ τοῦ πολέμου γένοιτο | σκάψαι τ’ ἀποκλάσαι 〈τε〉 καὶ λουσαμένῳ διελκύσαι | τῆς τρυγός, ἄρτον λιπαρὸν καὶ ῥάφανον φέροντι. Il frammento contiene una parodia di Eur. fr. 453 Kn., tratto dal Kresphontēs e anch’ esso riportato nella sezione περὶ εἰρήνης dell’ Antologia di Stobeo (4, 14, 1, p. 370, 3–15 H.); cfr. Rau 1967, 148 n. 28; Pellegrino 2015, 83. 263 Cfr. Kock 1890, 55; Busolt 1904, 925 n. 3; più recentemente, Pellegrino 2015, 90 e 241. Per la datazione dei Geōrgoi (424–22 a. C.) cfr. Geißler 19692, 36 e 82; Gil 1989, 68 (= 1996, 151; 2010, 85); Carrière 2000, 200; Zimmermann 2011a, 767; Pellegrino 256
Νῆσοι (fr. 402)
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È assente, in questi testi e nel fr. 402, qualsiasi visione negativa dell’ agricoltura come duro lavoro, necessario per sopperire alle necessità materiali dell’ esistenza, introdotta da Zeus come punizione per l’ uomo in seguito all’ inganno da parte di Prometeo, che nella visione esiodea coincide in realtà con la fine dell’ ‘ età dell’ oro’ (cfr. Hes. Op. 41–50)264. La descrizione ‘idillica’ (cfr. Kock 1890, 55) del fr. 402 ha infatti la funzione di rappresentare in modo concreto, nel contesto di una discussione con un interlocutore appellato come “stolto” (v. 2) per la sua opinione evidentemente diversa, i molteplici vantaggi della pace e gli aspetti negativi della vita in città, a cui i contadini erano costretti a causa della guerra (vd. supra, p. 57)265. La vita cittadina è caratterizzata principalmente attraverso l’ ambiente dell’ agora, sede del dibattito sui problemi politici e del mercato, dove il cibo, scarso e di qualità scadente, deve essere comprato a caro prezzo. Dal punto di vista stilistico, un tratto caratterizzante questo frammento è l’ accumulo dei diminutivi266, per lo più con valore affettivo in relazione a nomi connessi con l’ ambiente della campagna (γῃδίῳ, v. 2; προβατίων, v. 5; σπινιδίοις, v. 7)267, ma anche con valore decisamente dispregiativo, per connotare negativamente i miseri pesci venduti in città (ἰχθύδια, v. 8)268. 1 ὦ μῶρε μῶρε Attacco paratragico (cfr. ad es. Soph. Ph. 1101; OT 629; OC 1099; Eur. Med. 1021), molto simile ad Ar. Av. 1238–9 (ὦ μῶρε μῶρε, μὴ θεῶν κίνει φρένας | δεινάς […]), con il solenne avvertimento di Iride a Pistetero a non provocare l’ ira divina; cfr. i commenti di van Leeuwen 1902, 192; Zanetto 1987, 278; Dunbar 1995, 624. Cfr. anche Plaut. Bacch. 814 (o stulte stulte). ταῦτα … ἐν τῇδ(ε) Il pronome dimostrativo ταῦτα è usato con valore prolettico, per anticipare i vantaggi elencati nei versi seguenti; il dimostrativo τῇδ(ε) contiene invece un riferimento pronominale (probabilmente epanalettico) alla
2015, 83; Ceccarelli 2017–18, 82–4. Purtroppo, essendo le Nēsoi di datazione incerta, è impossibile stabilire quale frammento sia l’ ipotesto e quale l’ ipertesto. 264 Cfr. Verg. Georg. 2, 458–74, per la lode della vita della campagna, che conserva, a differenza di quella cittadina, alcuni elementi tipici dell’ età dell’ oro. 265 Per il motivo, topico nell’ archaia, della contrapposizione tra vita di campagna e vita di città, cfr. Cassio 1985, 31–3; 144–5; Totaro 20002, 107; Wilkins 2000, 103–7; Tartari Chersoni 2008, 97; Beta 2009, 118–9 n. 85; Corbel-Morana 2012, 28–33. Per Cavallini 1984–85, 109–10, il fr. 402 sembra contenere un “programmatico capovolgimento” di Alc. fr. 130b V., in cui il poeta lamenta di essere esiliato dalla città ed escluso dalla vita politica. 266 Cfr. Labiano 2012, 331 ss. 267 Cfr. Tartari Chersoni 2008, 97, per γῄδιον (Ar. fr. 402, 2; Pac. 670); Labiano 2012, 331 ss. Per la forma con suffisso di diminutivo ζευγάριον (v. 4) vd. infra. 268 Cfr. Petersen 1910, 230–1; per l’uso del diminutivo con valore peggiorativo in Aristofane cfr. anche López Eire 1996, 141–2, il quale non considera però questo frammento in particolare.
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Aristophanes
pace, come mostra il titolo del percorso tematico in cui Stobeo include il frammento (περὶ εἰρήνης; Stob. 4, 14, 7)269. 2 τοῦτον Con il pronome dimostrativo, avente la funzione di soggetto in accusativo degli infiniti οἰκεῖν (v. 2), ἀκούειν (v. 5), χρῆσθαι (v. 7) e μὴ περιμένειν (v. 8), il parlante sembra riferirsi a una terza persona, non meglio precisabile in assenza di un contesto più ampio270. 3 ἀπαλλαγέντα τῶν […] πραγμάτων Il participio aoristo passivo di ἀπαλλάσσω è qui costruito con un complemento al genitivo per indicare ciò da cui si viene liberati (cfr. LSJ s. v., B); cfr. Ach. 269 s. (πραγμάτων τε καὶ μαχῶν | καὶ Λαμάχων ἀπαλλαγείς) e 757 (ἀπαλλάξεσθε πραγμάτων); Pac. 293 (ἀπαλλαγεῖσι πραγμάτων τε καὶ μαχῶν), 352 s. (ἀπ|αλλαγέντα πραγμάτων) e 1128–9 (κράνους ἀπηλλαγμένος | τυροῦ τε καὶ κρομμύων)271. 4 ζευγάριον οἰκεῖον βοοῖν Cfr. il sintagma analogo in Ar. fr. 111, 1 (ζευγάριον βοεικόν); anche in questo frammento ζευγάριον, pur essendo morfologicamente un diminutivo, è da considerare di significato equivalente al nome non alterato (ζεῦγος)272. 5 προβατίων βληχωμένων Il medesimo sintagma in Ar. Pac. 535; cfr. i commenti di Platnauer 1964, 116, e Olson 1998, 186–7. 7 σπινιδίοις τε καὶ κίχλαις Cfr. Ar. Pac. 1149 (κἀξ ἐμοῦ δ´ ἐνεγκάτω τις τὴν κίχλην καὶ τὼ σπίνω) per l’ associazione di “tordi” e “fringuelli” come cibo prelibato273. 9 πολυτίμητα Per l’ aggettivo πολυτίμητος in relazione a cibi vd. supra (Testo). 10 ἐπ’ […] χειρὶ παρανομωτάτῃ Ipallage274 iperbolica, che nella traduzione ho reso duplicando l’ aggettivo e riferendolo sia alla mano sia al suo possessore (“dalla mano ladra di un pescivendolo furfante”)275, per esprimere al massimo 269
Diversamente Labiano 2012, 323 n.11, sottintende χώρᾳ, non considerando il contesto di citazione. 270 Cfr. Edmonds, I (1957), 683 (“he’ d live in country peace […]”). Non si può escludere che l’ emittente parli di sé in terza persona con il dimostrativo indicante prossimità a chi parla (cfr. ThGL3, V [1829], 2428b, s. v. οὗτος): vd. tuttavia Ar. Eq. 1098 (καὶ νῦν ἐμαυτὸν ἐπιτρέπω σοι τουτονί), Nub. 141–2 ([…] ἐγὼ γὰρ οὑτοσὶ | ἥκω μαθητὴς εἰς τὸ φροντιστήριον), Pl. 868b (ἐμὲ τουτονί), in cui l’ aggettivo dimostrativo deittico accompagna sempre il pronome di prima persona singolare. Per Kier 1933, 44 n. 135, il parlante fa invece riferimento al suo interlocutore, presente sulla scena. 271 Cfr. Kaibel 1889, 49 n. 1; Labiano 2012, 326. 272 Cfr. Petersen 1910, 264. Per Labiano 2012, 331, non è tuttavia incompatibile con il tono del passo un valore espressivo affettivo, analogo a quello degli altri comparativi (vd. supra, p. 65). 273 Cfr. inoltre Pac. 531 (κιχλῶν) e il commento di Olson 1998, 186; Thiercy 1997, 164. 274 La correzione παρανομωτάτου di Blaydes 1885, 210, banalizza il testo tràdito, eliminando la figura retorica. 275 Cfr. la trad. di Grotius 1623, 514 (“propolae perfidi […] falsilibripens manus”), ripresa da Gaisford, II (18232), 129. Una traduzione più letterale è quella di Pellegrino 2015,
Νῆσοι (fr. 403)
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grado la qualità della disonestà. Per il motivo del pescivendolo fraudolento cfr. Archipp. fr. 23, 1 (μιαρώτατος τῶν ἰχθύων κάπηλος)276.
fr. 403 K.-A. (388 K.) (A.) τί σὺ λέγεις; εἰσὶν δὲ ποῦ; (B.) αἱδὶ κατ’ αὐτὴν ἣν βλέπεις τὴν εἴσοδον 1 εἰσὶν δὲ ποῦ; Reisig: εἰσὶ δέ που codd. ᾗ Blaydes: ἤν βλέπῃς Richards.
2 κατ’ αὐτὴν M9ΓLh: κατὰ ταύτην V
Che cosa dici tu? Dove sono? Sono qui, proprio lungo l’ ingresso che stai guardando Schol. (VM9ΓMLh) Ar. Av. 296a εἴσοδος δὲ λέγεται ᾗ ὁ χορὸς εἴσεισιν ἐν τῇ σκηνῇ. καὶ ἐν ταῖς Νήσοις· τί ― εἴσοδον. Si dice eisodos l’ ingresso attraverso il quale il coro entra in scena. E nelle Nēsoi: “che ― guardando”.
Metro
Trimetri giambici
〈alwl u〉|rkl llkl llwl l|lkl llkl
Bibliografia Reisig 1816, 160; Dindorf 1829, 154 (~ II [1835], 626; 1838, 493; 18695, 210); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1109; Kock, I (1880), 493; Blaydes 1885, 208–9; Richards 1909, 61; Edmonds, I (1957), 684–5; PCG, III 2 (1984), 221; Carrière 2000, 223; Henderson 2007, 306–7 (~ 2011, 313); Olson 2007, 95; Labiano 2012, 330; Storey 2012, 5; Pellegrino 2015, 241–2. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Av. 296a (οὐδ’ ἰδεῖν ἔτ’ ἔσθ’ ὑπ’ αὐτῶν πετομένων τὴν εἴσοδον), spiegando il termine tecnico εἴσοδος (per il quale vd. infra), cita come ulteriore esempio il fr. 403 delle Nēsoi, dove tale termine ricorre in un contesto simile (l’ entrata in scena del coro). Testo Nel v. 1 l’ interrogativa (εἰσὶν δὲ ποῦ;) è frutto della correzione di Reisig 1816, 160. Nel v. 2 la relativa (ἣν βλέπεις) si spiega come proposizione incidentale (cfr. Austin, CGFP 255, 10: - οὐ θεωρεῖς; -); le correzioni del testo tràdito proposte da Blaydes 1885, ad loc. (ᾗ βλέπεις), e da Richards 1909, 61 (ἢν βλέπῃς), non sono pertanto necessarie. Per il verbo βλέπω con l’ accusativo semplice vd. infra.
276
241 (“dalla mano fraudolentissima del pescivendolo”). Cfr. PCG, III 2 (1984), 221; Labiano 2012, 323.
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Aristophanes
Interpretazione Il frammento costituisce una ‘didascalia scenica’ che annuncia l’ ingresso del Coro, analoga a Nub. 323–6 (in tetrametri anapestici catalettici) e ad Av. 295–6 (in tetrametri trocaici catalettici), il quale ultimo passo è commentato dallo scolio che trasmette il fr. 403 (vd. supra)277. Il metro (trimetro giambico) e il contenuto fanno supporre una collocazione alla fine del prologo, prima dell’ ingresso del Coro nell’ orchestra (parodos). 2 ἣν βλέπεις Il verbo βλέπω con l’ accusativo semplice è proprio dello stile solenne della tragedia (cfr. ad es. Soph. Ai. 1042; Ant. 425; 1263–4; 1295; OT 999; OC 9; 325–6; Eur. Med. 470; El. 569; 1189), soprattutto con φάος (cfr. ad es. Aesch. Pers. 299, 261), φῶς (ἡλίου) (cfr. ad es. Eur. Hipp. 57; Hel. 60; Hec. 668)278; con il participio predicativo dell’ oggetto è usato ad es. in Soph. OT 626; 922–3; Ar. Pac. 208. τὴν εἴσοδον Termine tecnico teatrale (cfr. Nub. 326; Av. 296), indicante uno dei due passaggi ai lati della skenē attraverso i quali il coro entrava nell’ orchestra (cfr. ad es. Taplin 1977, 449; Dunbar 1995, 241–2).
fr. 404 K.-A. (389 K.) λέξεις ἄρα, ὥσπερ τὰ παιδί’, ἔξεχ’ ὦ φίλ’ ἥλιε 1–2 ἄρ’ (ἆρ’ Phot.) ὥσπερ (ὡσπερεί Phot.) τὰ παιδία codd.: corr. et versus digessit Brunck, III (1783)
Dirai dunque, come i bimbi: “Spunta, caro sole!” Phot. (z) ε 1201 = Sud. ε 1684 ἐξέχειν τὸν ἥλιον· τὸ ἐπιτεταλκέναι. ἔξεχ’ ὁ φίλ’ ἥλιε. κωλάριον τι παροιμιῶδες ὑπὸ τῶν παιδίων λεγομένων, ὅταν ἐπινέφῃ ψύχους ὄντος. Ἀριστοφάνης Νήσοις· λέξεις ― ἥλιε. exechein ton hēlion: lo spuntare del sole. “Spunta, caro sole!”: versetto proverbiale recitato dai bambini, quando è nuvolo nella stagione fredda. Aristofane nelle Nēsoi: “dirai ― sole!”. Eust. ad Il. p. 881, 42 κωλάριον οὖν τι παροιμιῶδες Αἴλιος Διονύσιός (ε 43) φησιν ὑπὸ παίδων λέγεσθαι, δηλοῦν ἐξέχειν, ὅ ἐστιν ἐπιτεταλκέναι τὸν ἥλιον. Ἀριστοφάνης· λέξεις ― ἥλιε, ἤγουν ἀνατεῖλαι. Elio Dionisio (ε 43) dice dunque che un versetto proverbiale è recitato dai bambini, cioè exechein, che significa “lo spuntare del sole”. Aristofane: “dirai ― sole!”, ovvero “apparire”.
277 278
Le due ‘didascalie’ riportate come termine di confronto fanno parte della parodos. Più comune, nel senso di ‘guardare’, ‘vedere’, la costruzione con l’ accusativo preceduto da preposizione (ἐπί, εἰς, πρός): cfr. LSJ, s. v., II.
Νῆσοι (fr. 404)
Metro
69
Trimetri giambici
〈alwl alwl〉 llkk llkl k|lkl klkk
Bibliografia Dindorf 1829, 155–6 (~ II [1835], 627; 1838, 493–4; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1110; Bothe 1844, 116; Kock, I (1880), 493; Blaydes 1885, 211; Edmonds, I (1957), 684–5; PCG, III 2 (1984), 222; Henderson 2007, 306–7; Pellegrino 2015, 242. Contesto della citazione Phot. ε 1201, da cui dipende Sud. ε 1684279, per spiegare l’ espressione proverbiale ἐξέχειν τὸν ἥλιον, cita il verso ἔξεχ’ ὦ φίλ’ ἥλιε (= Carm. pop. 867b PMG)280, recitato dai bambini quando, nella stagione fredda, il cielo è coperto, e allega come esempio questo frammento (Sud. ε 1684 cita anche Ar. Vesp. 771 s.). Eustazio, nel commento all’ Iliade (p. 881, 42), cita come fonte il lessicografo atticista (II sec. d. C.) Elio Dionisio (Ael. Dion. ε 43) e indica come sinonimo dell’espressione proverbiale usata nel fr. 404, oltre a ἐπιτεταλκέναι (come in Fozio e nella Suda), ἀνατεῖλαι, nel senso di ‘sorgere’, ‘spuntare’. Interpretazione I testimoni non forniscono elementi per determinare in quale contesto e da quale personaggio questa cantilena infantile fosse citata nelle Nēsoi281. Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1110) pensa che il frammento contenga un riferimento metaforico alla triste situazione politica, nella quale si invoca un raggio di sole, come simbolo di luce e speranza. Si può ipotizzare anche un’ allusione metaforica a un personaggio politico di cui si attende un futuro intervento, risolutivo per il ritorno della pace282. 2 ἔξεχ’ ὦ φίλ’ ἥλιε Cfr. Stratt. fr. 48 (εἶθ’ ἥλιος μὲν πείθεται τοῖς παιδίοις | ὅταν λέγωσιν ἔξεχ’ ὦ φίλ’ ἥλιε), citato da Poll. 9, 123 (παιδιὰ κρότον ἔχει τῶν παίδων σὺν τῷ ἐπιβοήματι τούτῳ ὁπόταν νέφος ἐπιδράμῃ τὸν θεόν· ὅθεν καὶ Στράττις ἐν Φοινίσσαις [fr. 48]), che spiega il proverbio in modo analogo ai testimonia del fr. 404283.
279
Cfr. Theodoridis, ad Phot. ε 1201. Il verso è un lecizio (dimetro trocaico catalettico: cfr. Neri 2003, 240), inserito all’ interno di un trimetro giambico nel fr. 404. 281 Per i possibili paralleli con rituali religiosi cfr. Orth 2009, 216 (ad Stratt. fr. 48). 282 Cfr. Olson 2007, 373 (ad Stratt. fr. 48): “The point of the appeal is that, if the sun obeys children when they ask it to come out from behind a cloud, surely someone or something ought to obey the speaker in the current situation”. 283 Cfr. Neri 2003, 240–1; Orth 2009, 216–7. 280
70
Aristophanes
fr. 405 K.-A. (16 Dem.) ἄμυλος, τάριχος, πυός, ἰσχάδες, φακῆ πυός Reitzenstein: ποιός codd.
φακή z
Focaccia, pesce (carne) sotto sale, colostro, fichi secchi, lenticchie Phot. (b z) α 1285 ἀμύλους καὶ τὸν ἄμυλον ἀρσενικῶς λέγουσι. 〈Τηλεκλείδης〉 (fr. 34, 2)· χαίρω λαγῴοις ἐπ’ ἀμύλῳ καθημένοις. Στράττις Καλλιππίδῃ (fr. 11)· δὸς νῦν τὸν ἄμυλον πρῶτον αὐτῷ τουτονί, Ἀριστοφάνης Νήσοις· ἄμυλος ― φακῆ. Dicono amylous e ton amylon al maschile. 〈Teleclide〉 (fr. 34, 2): “Mi piace la carne di lepre messa sopra la focaccia”. Strattide nel Kallippidēs (fr. 11): “Dagli ora per prima cosa questa focaccia qui!”, Aristofane nelle Nēsoi: “focaccia ― lenticchie”.
Metro
Trimetro giambico
rlkl l|lkl klkl
Bibliografia Reitzenstein 1906, 44; Demiańczuk 1912, 16; Edmonds, I (1957), 684–5; PCG, III 2 (1984), 222; Henderson 2007, 306–7; Pellegrino 2015, 242. Contesto della citazione Il lessicografo Fozio (α 1285) cita questo frammento, insieme a Telecl. fr. 34, 2, e Stratt. fr. 11, come esempio dell’ uso al genere maschile del nome ἄμυλος (‘focaccia’)284. Interpretazione Il verso contiene un catalogo di ‘leccornie’ caratteristiche di una cultura alimentare povera, come quella della Grecia antica, per le quali esistono numerose attestazioni comiche (vd. infra i singoli lemmi)285. La tematica è simile a quella del fr. 402, che per Demiańczuk 1912, 16, faceva parte della medesima sezione della commedia (vd. supra): l’ abbondanza di cibo è collegata alla pace e alla vita campagnola, come nella seconda parabasi della Pace (cfr. Ar. Pac. 1144 ss.). ἄμυλος Focaccia di grano286, fatta non con farina macinata (ἄ-μυλος letteralmente significa ‘senza mola’)287, ma ammollando e poi schiacciando i chicchi di grano nuovo288, usata talvolta anche come base per pietanze di carne289; altri 284
Cfr. Et. magn. p. 87, 42–3 (ἄμυλος· βρῶμα […]· ἀρσενικῶς). Pellegrino 2015, 242, pone a confronto Pac. 1144–50, in cui sono fornite istruzioni per la preparazione di un ‘banchetto’ contadino in onore della pace; cfr. anche, come esempi di simili ‘cataloghi’ comici, Ar. fr. 333; Eub. frr. 36, 109, 120. 286 Cfr. Hesych. α 3842 (ἀμύλους· πλακοῦντας); α 3843 (ἄμυλος· βρῶμα τὸ ἐκ πυροῦ). 287 Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. 288 Cfr. scholl. in Theocr. 9, 20 / 21c (ἄμυλος εἶδός τι ἄρτου ἐκ τῶν σητανίων λεγομένων πυρῶν γενόμενος); 20 /21d (ἄμυλος δὲ ὁ ἄρτος ὁ ἄνευ μύλου γενόμενος· ἀποβρέχοντες γὰρ τὸν πυρὸν ἀποθλίβουσι). 289 Cfr. supra Telecl. fr. 34, 2; Pher. fr. 113, 16 s. (καὶ πλευρὰ δελφάκει’ ἐπεξανθισμένα| χναυρότατα παρέκειτ’ ἐπ’ ἀμύλοις καθημένα). 285
Νῆσοι (fr. 406)
71
ingredienti erano formaggio, latte e miele290. È una tipica prelibatezza da commedia (cfr., oltre ai già citati Telecl. fr. 34, 2, e Stratt. fr. 11, Ar. Ach. 1092; Pac. 1195; Plat. com. fr. 188, 8 [ἄμυλος ἐγκύμων]; Metag. fr. 18, 2; Anaxandr. fr. 42, 38; Eub. fr. 35, 2; Antiph. fr. 297), presente in alcune scene di Schlaraffenland (cfr., oltre al già citato Pher. fr. 113, 17, Metag. fr. 6, 11); cfr. ad es. Gow, II (1952), 189; Hunter 1983, 127; Olson 1998, 296; 2002, 336; Orth 2009, 95; Bagordo 2013, 170–1; Franchini 2020, 112. τάριχος Carne o pesce salato: cfr. Ar. Ach. 1101; Eq. 1247; Vesp. 491; Ran. 558; fr. 347, 2 (τάριχος ἐλεφάντινον); Pac. 563 (dim. ταρίχιον). In questo contesto, il pesce sotto sale potrebbe essere quello che i contadini avevano a disposizione nei loro poderi, in contrapposizione a quello acquistato fresco nell’ agora (cfr. supra, ad fr. 402, 8–10)291. πυός 292 Il primo latte munto da una vacca o da una capretta dopo il parto (‘colostro’) era una prelibatezza citata in molti elenchi comici di ‘leccornie’: cfr. ad es. Ar. Vesp. 710; Pac. 1150; frr. 333, 5; 581, 4; Eub. frr. 74, 5; 109, 4; Alex. fr. 178, 11. ἰσχάδες Per i fichi secchi come segno di benessere cfr. ad es. Ar. Pl. 191 (in connessione con φακῆ nel v. 192); 811; vd. Thiercy 1997, 139–40. φακῆ Passato di lenticchie (cfr. Dalby 2003, 194; Salza Prina Ricotti 2005, 91–2), considerato piatto prelibato (cfr. ad es. Ar. Pl. 192; 1004; fr. 23 [φακῆν ἥδιστον ὄψων]), per quanto povero; cfr. Thiercy 1997, 136–7; García Soler 2001, 66–69.
fr. 406 K.-A. (15 Dem.; adesp. 437 K.) ὁ μέν τις ἀμπέλους τρυγῶν ἄν, ὁ δ´ ἀμέργων ἐλάας 1 ἀμπέλους Eust.: ἀμπέλου Phot. (b Sz)
L’ uno vendemmiando le uve, l’ altro raccogliendo le olive Phot. (b z) α 1187 ἀμέργειν· καρπολογεῖν. Ἀριστοφάνης Νήσοις· (b z) ὁ μέν ― ἐλάας. (b Sz). amergein: “raccogliere i frutti”. Aristofane nelle Nēsoi: “l’ uno ― olive”.
290
Cfr. Philox. Leuc. 836e, 18 PMG (τυρακίνας δὲ γάλακτι | καὶ μέλι συγκατάφυρτος | ἧς ἄμυλος πλαθανίτας). 291 Cfr. le traduzioni di Henderson 2007 (“herring”) e di Pellegrino 2015 (“baccalà”). 292 Correzione di Reitzenstein 1906, 44.
72
Aristophanes
Eust. ad Il. p. 838, 55 (= Paus. Att. α 85) καὶ μοργοὶ ἢ ἀμοργοὶ ἐκ τοῦ ἀμέργειν ἤγουν καρπολογεῖν, οἷον· ὁ μέν ― ἐλάας. Anche morgoi o amorgoi derivano da amergein ovvero ‘raccogliere i frutti’, come: “l’ uno ― olive”.
Metro
Trimetri giambici
〈alwl al〉kl klkl klkr ll|kkl 〈alwu〉
Bibliografia Kock, III (1888), 491; Demiańczuk 1912, 16; Edmonds, I (1957), 684–5; PCG, III 2 (1984), 222–3; Henderson 2007, 306–7; Pellegrino 2015, 243. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (α 1187) riporta il frammento come esempio dell’ uso del verbo ἀμέργειν nel senso di ‘raccogliere i frutti’. La fonte è probabilmente il lessicografo atticista Pausania (α 85) del II sec. d. C., come testimoniato da Eust. ad Il. p. 838, 55, che pure riporta il fr. 406. Interpretazione Anche questo frammento continua il motivo delle gioie della vita dei campi, all’ insegna dell’ abbondanza dei frutti della terra. Le viti e gli olivi, colture caratteristiche dell’ Attica, per quanto molto resistenti e difficili da estirpare completamente293, erano probabilmente stati danneggiati durante le incursioni spartane294, che continuarono anche nella seconda fase della guerra del Peloponneso (guerra deceleica). Il ritorno della pace permetterebbe ai contadini di tornare a dedicarsi alle loro coltivazioni, che tornerebbero a dare frutto, come in passato. 2 τρυγῶν ἄν L’ avverbio modale ἄν conferisce al participio τρυγῶν una sfumatura di possibilità o di irrealtà; la mancanza di un contesto sintattico più ampio non permette tuttavia di stabilire se ἄν sia da collegare al participio (con epifora dopo il secondo membro ἀμέργων ἐλάας) o al verbo reggente.
fr. 407 K.-A. (390 K.; 14 Dem.) ἀλλ’ οὐ τυγχάνει ἐπίδημος ὤν Ma non sta di casa (sull’ Istmo) Phot. (z, post ξένος Sz) ε 845 = Et. gen. B (Et. magn. p. 338, 53–9; Et. Sym. ε 406) ἔνδημος· ὁ μὴ ἀποδημῶν· ἐπίδημος δὲ ὁ ἐπιδημῶν (ὁ †μὴ† ἀποδημῶν Et. Sym.) ξένος. καὶ τὸ Ἀριστοφάνους (παρ’ Ἀριστοφάνει Et. magn.; Et. Sym.) ἐν Νήσοις· ἀλλ’ ― ὤν. λέγει
293 294
Cfr. Hanson 1983, 42–58. Cfr. Platnauer 1964, 194.
Νῆσοι (fr. 407)
73
(λέγεται Et. magn.; Et. Sym.) δὲ περὶ τοῦ Ποσειδῶνος (om. cett. Et. Sym.) ὅτι οὐκ ἐπιδημεῖ Ἰσθμοῖ· κυρίως δέ ἐστιν εἰρημένον· οὐ (οὐχ οὕτω Et. magn.) γὰρ Ἴσθμιος ὁ θεός, ὡς διὰ παντὸς ἐκεῖ διατρίβειν. endēmos: chi non è lontano dalla patria (apodēmōn); epidēmos è invece lo straniero residente (chi †non† è lontano dalla patria: Et. Sym.). E l’ espressione di Aristofane (in Aristofane: Et. Sym.; Et. magn.) nelle Nēsoi: “ma ― casa”. Dice (si dice: Et. Sym.; Et. magn.) di Posidone che non risiede sull’ Istmo; ciò è detto appropriatamente: infatti il dio non è un Istmio, (così: Et. magn.) che dimori sempre là.
Metro
Trimetri giambici
〈alwl alw〉l llkl rlkl 〈alwl alwu〉
Bibliografia Dindorf 1829, 156 (~ II [1835], 627–8; 1838, 494; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1110–1; Bothe 1844, 116–7; Kock, I (1880), 493; Demiańczuk 1912, 15; Edmonds, I (1957), 684–5; PCG, III 2 (1984), 223; Henderson 2007, 306–9 (~ 2011, 313); Storey 2012, 5; Pellegrino 2015, 243. Contesto della citazione Il frammento è trasmesso da Fozio (ε 845) e dalla tradizione lessicografica successiva295 (Et. magn. p. 338, 53–9; Et. Sym. ε 406), che ha come fonte l’ Etymologicum genuinum (B), enciclopedia lessicale compilata a Costantinopoli nella seconda metà del IX sec. d. C., forse proprio all’ interno del circolo di Fozio296. Le fonti spiegano la differenza di significato tra l’ aggettivo ἔνδημος (contrario di ἀποδημῶν), che indica chi risiede nella sua patria d’ origine, e il corradicale ἐπίδημος297, apparentemente sinonimo, che indica invece lo straniero che risiede abitualmente in una città diversa da quella d’ origine (ὁ ἐπιδημῶν ξένος)298. Il fr. 407, riportato come esempio, secondo le fonti è da riferire a Posidone, che non si trova nella condizione di ἐπίδημος, perché non risiede abitualmente sull’ Istmo di Corinto, dove il dio aveva un’ importante sede di culto (a Isthmia) e dove ogni due anni erano celebrati giochi panellenici in suo onore.
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L’ Etymologicum magnum (p. 338, 53), probabilmente della metà del XII sec. d. C. (cfr. DEI, IV (1970), s. v. Etymologicum magnum; Tosi 1998b, 199; Dickey 2007, 91; Tosi 2015, 633–4), e l’ Etymologicum Symeonis (ε 406), compilato nella prima metà del XII sec. d. C. (cfr. Tosi 1998b, 199; Dickey 2007, 91; Baldi 2013, XXIV; Tosi 2015, 634). 296 Tosi 1998b, 198; Dickey 2007, 91; Baldi 2013, XXVI–XXVIII. 297 Si tratta di una glossa “onomastica / sinonimica”, in cui sono presentati due lemmi pertinenti alla medesima sfera semantica, secondo la classificazione di Baldi 2013, XXXIX–XL. 298 Et. Sym. ε 406, che trasmette una versione abbreviata rispetto a Phot. ε 845 e all’ Et. magn. p. 338, 53–9, presenta la corruttela ὁ †μὴ† ἀποδημῶν ξένος, dipendente, a mio parere, dal fatto che il compilatore non ha compreso la sottile differenza di significato tra ἔνδημος ed ἐπίδημος, considerandoli perfettamente sinonimi. Per la banalizzazione e l’ abbreviamento delle fonti che si riscontrano in alcune glosse dell’ Etymologicum Symeonis cfr. Baldi 2013, XLV–XLVII.
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Aristophanes
Interpretazione Sulla base delle testimonianze dei lessici bizantini, che indicano come soggetto Posidone, Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1111) ha supposto la presenza scenica del dio come nella commedia Hellas ē Nēsoi di Platone comico (fr. 23)299; tuttavia già Kock, I (1880), 493, considerava questa ipotesi non abbastanza fondata. Le fonti non forniscono elementi sufficienti per asserire che Posidone comparisse come personaggio (come protettore di Atene o difensore delle città insulari alleate?), con un ‘travestimento’300 analogo a quello di Ar. Av. 1565 ss.301, dove il dio fa parte dell’ ambasceria inviata dagli dei olimpi per trattare la pace con Pistetero; dai testimoni si ricava semplicemente che il fr. 407 parla di Posidone in terza persona. 1–2 οὐ τυγχάνει … ὤν Il verbo reggente τυγχάνει è costruito con il participio predicativo del soggetto (ὤν), riferito a Posidone. I traduttori precedenti collegano la negazione al participio302, modificando tuttavia, a mio parere, il senso della frase rispetto alla spiegazione che ne danno le fonti, le quali affermano che Posidone non risiede sempre sull’ Istmo di Corinto. 2 ἐπίδημος Dal tema dell’ aggettivo deriva il verbo ἐπιδημέω (‘vengo, risiedo come forestiero’; dor. ἐπιδαμέω), usato anche, in modo più specifico, per i partecipanti a festività religiose (cfr. ad es. Dem. 21, 176; 217; Luc. Nav. 20)303. L’ opposto ἀπόδημος (dor. ἀπόδαμος) è usato, in riferimento ad Apollo, in Pind. Pyth. 4, 5 (οὐκ ἀποδάμου Ἀπόλλωνος τυχόντος); il verbo ἐπιδημέω in riferimento ad Asclepio, nella forma dorica, in un’ iscrizione di Epidauro del IV sec. a. C. (IG IV2 1, 122, 12: οὐκ ἐπιδαμοῦντος αὐτοῦ, ἀλλ’ ἐν Ἐπιδαύρῳ ἐόντος) e, in riferimento ad Apollo, in Callim. Hymn. 2, 13 (τοῦ Φοίβου […] ἐπιδημήσαντος).
fr. 408 K.-A. (391.392.393 K.) θλαστὰς ποιεῖν ἐλάας οὐ ταὐτόν ἐστιν ἁλμάδες καὶ στέμφυλα θλαστὰς γὰρ εἶναι κρεῖσσόν ἐστιν ἁλμάδος 299
lwl εἰ μὲν σὺ τὴν θάλατταν ἀποδώσεις ἐκών· | εἰ δὲ μή, 〈’γὼ〉 ταῦτα πάντα συντριαινῶν ἀπολέσω. Queste parole sono pronunciate dal dio irato per Meineke, I (1839), 170; II 2 (1840), 622; Kock, I (1880), 606–7; Dover 1987, 223; Kassel−Austin, PCG VII (1989), 442; Pirrotta 2009, 98–9, ha posto tuttavia in dubbio la presenza scenica del dio nella commedia di Platone. 300 Per il ‘travestimento’ come “trasformazione stilistica con funzione degradante” (Genette 1982, tr. it. 30) cfr. Rau 1967, 17–8; Genette 1982, tr. it. 30; Degani 19832, 9–10. 301 Cfr. Rau 1967, 176. 302 Edmonds, I (1957), 685 (“he isn’ t here to-day”); Henderson 2007, 309 (= 2011, 313: “but he happens not | to be in town”); Pellegrino 2015, 243 (“ma capita che egli | non sia nella sua sede abituale”). 303 Vd. anche Williams 1978, 25–6.
Νῆσοι (fr. 408)
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1 ἐλάας Poll.: ἐλαίας Athen. CE 3 παρεῖναι Desrousseaux κρεῖττον Dindorf ἐστιν ἁλμάδος Athen. CE: ἐστιν ἁλμάδας Stephanus: ἔστ’ ἤ γ’ ἁλμάδας Bergk: ἤπερ ἁλμάδας van Herwerden
fare olive schiacciate non sono la stessa cosa olive in salamoia e (olive) sminuzzate è meglio infatti che (le olive) siano schiacciate che in salamoia Athen. Epit. 2, 56b–c Δίφιλος δέ φησιν ὁ Σίφνιος τὰς ἐλάας ὀλιγοτρόφους εἶναι καὶ κεφαλαλγεῖς, τὰς δὲ μελαίνας καὶ κακοστομαχωτέρας καὶ βαρύνειν τὴν κεφαλήν, τὰς δὲ κολυμβάδας καλουμένας εὐστομαχωτέρας εἶναι καὶ κοιλίας στατικάς, τὰς δὲ μελαίνας θλαστὰς (B; θλ. μελ. C) εὐστομαχωτέρας εἶναι. μνεμονεύει τῶν θλαστῶν ἐλαιῶν Ἀριστοφάνης· θλαστὰς ― ἐλαίας. πάλιν· οὐ ― στέμφυλα. καὶ μετ’ ὀλίγα· θλαστὰς ― ἁλμάδος. Difilo di Sifno dice che le olive sono poco nutrienti e provocano il mal di testa, che quelle nere fanno ancor più male allo stomaco e rendono la testa pesante, che quelle chiamate kolymbades (“in salamoia”) sono più digeribili e astringenti per l’ intestino e che quelle nere schiacciate sono più digeribili. Ricorda le olive thlastai (“schiacciate”) Aristofane: “fare ― schiacciate”. E poi: “non ― sminuzzate”. E poco dopo: “è ― salamoia”. Poll. (FSACB) 6, 45 τὰ δὲ βρώματα, ὅσα παρὰ τοῖς παλαιοῖς ἔστιν εὑρεῖν, ῥαφανίς, δρυπέπεις (δυπρεπῆς F; δρυπέτεις AB) ἐλᾶαι (ἐλαῖαι FSBC; ἐλάαι add. C), ἁλμάδες (FSAC) καὶ (FSA) νηκτρίδες (FSAB), τὰς δὲ κοτινάδας ἐλάας στραβήλους (τραμβύλους A; τραμβήλους FSB) ὠνόμασε Φερεκράτης (fr. 14, 2)· ἐκαλοῦντο δ’ αὗται καὶ φαύλιαι. ἃς δ’ οἱ νῦν θλαστάς, ταύτας (om. BC) ἀπυρήνους (Kassel; πυρῆνας FSB; πυρῖνας AC) οἱ κωμικοί (Com. adesp. fr. 787)· καὶ θλαστὰς δ’ ἐλάας ἐν Νήσοις ἂν εὕροις Ἀριστοφάνους (ἐλάας ― Ἀρ. om. C). I cibi, quanti è possibile trovare negli antichi (autori), (sono) ravanello, olive mature, olive in salamoia e nēktrides (“nuotatrici”), e Ferecrate (fr. 14, 2) chiama le olive selvatiche strabēloi; queste erano chiamate anche phauliai (“scadenti”). Quelle che i nostri contemporanei (chiamano) thlastai (“schiacciate”), i comici (le chiamavano) apyrēnoi (“snocciolate”; Com. adesp. fr. 787); e potresti invece trovare “olive thlastai (‘schiacciate’)” nelle Nēsoi di Aristofane.
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Trimetri giambici
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Bibliografia Dindorf 1829, 155 (~ II [1835], 627; 1838, 493; 18695, 210–1); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1111–2; Bothe 1844, 116; van Herwerden 1868, 29; Kock, I (1880), 493–4; Edmonds, I (1957), 684–7; PCG, III 2 (1984), 223–4; Henderson 2007, 308–9; Pellegrino 2015, 243–4. Contesto della citazione L’ Epitome di Ateneo (2, 56a–c) trasmette i tre versi di Aristofane in una sezione dedicata ai diversi tipi di olive, per illustrare la teoria del
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Aristophanes
medico Difilo di Sifno (in. III sec. a. C.)304 che le olive nere schiacciate (θλασταί) siano più digeribili. Allo stesso modo l’ Onomasticon di Polluce, nel contesto di un elenco di cibi comunemente citati dagli autori antichi, comprendente anch’ esso diversi tipi di olive, riporta il sintagma θλαστὰς ἐλάας, senza citare per intero il frammento, per documentare l’ uso, nelle Nēsoi di Aristofane, dell’ aggettivo θλασταί, proprio della lingua d’ uso al tempo del lessicografo (II sec. d. C.), invece di ἀπυρήνοι (ἐλᾶαι)305, più frequente nei testi comici (Com. adesp. fr. 787). Grazie alla testimonianza di Polluce, anche gli altri due versi riportati dall’ Epitome di Ateneo possono essere attribuiti alle Nēsoi. Testo Nel v. 1 la forma grafica ἐλάας è trasmessa dall’ Onomasticon di Polluce (FSAB), ἐλαίας dall’ Epitome di Ateneo (CE)306. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], ad loc.) scelgono ἐλάας sulla base dello schol. Ar. Ran. 988a (ὅτι ἐλαία μὲν κυρίως τὸ φυτὸν λέγεται, ἐλάα δὲ ὁ καρπὸς αὐτοῦ)307, ma testimonianze epigrafiche attiche attestano entrambe le grafie per il frutto (vd. ad es. IG I3 422, 84; 89; 133)308. Nel v. 3 παρεῖναι in luogo di γὰρ εἶναι è correzione (a mio parere non necessaria) proposta da Desrousseaux 1956, probabilmente per rendere più perspicuo il senso del verso; la variante grafica κρεῖττον, più comune nella lingua attica, dopo Dindorf 1829, 155 (= 1830, 490; II [1835], 627; 1838, 493; 18695, 211), è stata adottata da tutti gli editori fino a Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], ad loc.), che ripristinano la grafia dei manoscritti dell’ Epitome309. Il genitivo di paragone ἁλμάδος può essere conservato come singolare collettivo; la proposta di correzione nell’ accusativo plurale ἁλμάδας avanzata da Stephanus (ThGL, I [1572], 374e, s. v. ἁλμάς) non può essere accolta310, perché presuppone che olive θλασταί (‘schiacciate’) e ἁλμάδες (‘in salamoia’) siano la stessa cosa, come evidenziato già da Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1112), il quale scrive ἔστ’ ἤ γ’ ἁλμάδας invece di ἐστιν ἁλμάδος, esprimendo il complemento di paragone con ἤ e l’ accusativo plurale (caso del primo termine); sulla stessa linea la correzione ἤπερ ἁλμάδας, proposta da van Herwerden 1868, 29. Interpretazione Anche questo frammento presenta il motivo gastronomico (cfr. i frr. 402 e 406), probabilmente in relazione al rimpianto dei contadini per la vita di
304
Cfr. Nutton 1997. Per i trattati medici di dietetica cfr. inoltre Degani 1982, 34 ss.; 1990, 34 s. 305 ἀπυρήνους [ἐλαίας] è congettura di Kassel (PCG, VIII [1995], 226). I manoscritti di Polluce riportano πυρῆνας (FSB), che è la lezione adottata da Bethe, II (1931), oppure la variante grafica πυρῖνας (AC), dipendente dalla pronuncia bizantina; tuttavia il sostantivo πυρῆνες (‘semi’) non ha senso in questo contesto. 306 Cfr. però ἐλάας appena sopra nello stesso paragrafo (Athen. Epit. 2, 56b 1) 307 Cfr. Sud. ε 764 (ἐλαία· τὸ δένδρον. ἐλάα δὲ ὁ καρπός). 308 Cfr. Threatte, I (1980), 278 s. 309 Così anche nella recente edizione di Henderson (2007, 308). 310 Cfr. ThGL3, I 1 (1829), 1557e, s. v. ἁλμάς, che ritorna alla lezione tràdita.
Νῆσοι (fr. 409)
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campagna, dove abbondavano i cibi semplici e quotidiani, in questo caso le olive, frutto caratteristico dell’ Attica. 1 θλαστὰς … ἐλάας Le olive nere ‘schiacciate’ sono considerate migliori perché più digeribili (cfr. fr. 408, 3; Athen. Epit. 2, 56b; Amouretti 1986, 178–9; Thiercy 1997, 141); si preparavano schiacciandole con un pestello di legno, versandovi sopra acqua calda, spremendole poi in un cestello e infine disponendole a strati ricoperti di sale grosso per conservarle (cfr. Geop. 9, 32; García Soler 2001, 65; Dalby 2003, 238) in vasi di terracotta (cfr. PSI V 535, 52)311. Per le olive ‘schiacciate’ nei frammenti comici, cfr. Diph. fr. 14, 5 (come esempio di cibo non particolarmente prelibato); Polioch. fr. 2, 7 (in un elenco di cibi frugali)312. 2 ἁλμάδες Le olive conservate in salamoia (cfr. Ar. fr. 148, 2; Eup. fr. 275, 2; Hermipp. fr. 75, 2; Poll. 6, 45) erano considerate meno pregiate delle θλασταί (vd. supra). Erano chiamate anche κολυμβάδες: cfr. Difilo di Sifno, ap. Athen. Epit. 2, 56b; Callim. fr. 194, 76 s. Pf., dove le olive in salamoia (κολυμβάς) sono distinte dal residuo di quelle spremute (στέμφυλον: vd. infra), usato per l’alimentazione dai poveri313. Cfr. Amouretti 1986, 178–9; García Soler 2001, 65–6; Dalby 2003, 238. στέμφυλα Il nome στέμφυλον, per lo più al plurale, indica in attico la polpa di olive sminuzzata che rimane dopo la spremitura dell’ olio (‘sansa’) ovvero il residuo della pigiatura delle uve (‘vinacce’)314. Si tratta di una “pâte d’ olive” (Amouretti 1986, 179), contenente ancora una certa quantità d’ olio e dunque apprezzata, anche se meno pregiata315. In Ar. Eq. 806 (στεμφύλῳ εἰς λόγον ἔλθῃ) e Nub. 45 (βρύων μελίτταις καὶ προβάτοις καὶ στεμφύλοις) connota la vita di campagna in tempo di pace, contrapposta a quella di città316.
fr. 409 K.-A. (394 K.) καταλιπὼν Παναίτιον πίθηκον Παναίτιον Schol.: ἀν- Sud.
κατ. | Παν. Fritzsche: Παν. | πίθ. Dindorf
Lasciando Panezio, la scimmia 311
ἐλαίων θλαστῶν κερ(άμια) δʹ (in una lista di derrate dell’ archivio di Zenone, III sec. a. C.). 312 Per quest’ ultimo frammento cfr. il commento di Orth 2015, 284. 313 Cfr. anche Callim. fr. 248 Pf. (citato da Athen. Epit. 2, 56c), anch’ esso contenente un elenco di tipi di olive (γεργέριμον πίτυρίν τε καὶ ἣν ἀπεθήκατο λευκήν | εἰν ἁλὶ νήχεσθαι φθινοπωρίδα). 314 Cfr. Athen. 2, 56d (Ἀθηναῖοι δὲ τὰς τετριμμένας ἐλαίας στέμφυλα ἐκάλουν, βρύτεα δὲ τὰ ὑφ᾿ ἡμῶν στέμφυλα, τὰ ἐκπιέσματα τῆς σταφυλῆς). 315 Cfr. Amouretti 1986, 179; García Soler 2001, 66. 316 Cfr. inoltre Phryn. fr. 40, dove στέμφυλα sembra indicare un tipo di pane (o focaccia) condito con la sansa, e il commento di Stama 2014, 238.
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Aristophanes
Schol. (RVΓMLh) Ar. Av. 440α–β; 440–441α ἥνπερ ὁ πίθηκος (RΓ) τῇ γυναικὶ διέθετο· (Γ) Σύμμαχος· Αἰσωπείου λόγου ἢ τοιούτου τινὸς ἔοικε μεμνῆσθαι. (VΓM) Καλλίστρατος (p. 328 n. 55 Schm.) δὲ τοσοῦτόν φησιν· ἐκ διηγηματίου τινὸς εἴλκυσται. (VΓ) καὶ Δίδυμος (fr. 14, p. 26 Schm.), ὅτι αἰσχρός τις τὴν ὄψιν συνεχῶς τῇ γυναικὶ πληκτιζόμενος συνέθετο ἐπὶ φίλων μήτε τύπτειν μήτε τύπτεσθαι μήτε δάκνειν αὐτὸν φιλοῦντα μήτε δάκνεσθαι. (RVΓMLh) οἷον σὺ μὲν οὐκ ἑλκύσεις τῶν ὀρχιπέδων, οὐδὲ ἐγὼ τῶν τριχῶν. ἔοικε δὲ Παναίτιον κωμῳδεῖν, (RVΓLh) α. ὃν καὶ ἐν Νήσοις· καταλιπὼν ― πίθηκον. ἔνθα καὶ μ α γ ε ί ρ ο υ π α τ ρ ό ς. (VΓ) 440–441α. πίθηκον αὐτὸν εἶπε διὰ τὸ πανοῦργον, μαχαιροποιὸν δὲ τὸν μαχαίραις ἐργαζόμενον (RVΓ) ὡς μάγειρον. καὶ γὰρ ἐν Νήσοις μαγείρου πατρὸς αὐτόν φησιν. (VΓ) ἢ καὶ αὐτόθι μαχαιροποιόν φησιν. (V) / β. (ἔοικε δὲ Παναίτιον κωμῳδεῖν,) ὃν καὶ πίθηκον λέγει διὰ τὸ πανοῦργον. καὶ ἐν Νήσοις μαγείρου πατρὸς αὐτὸν λέγει. μαχαιροποιὸν δὲ ἢ ὡς μαχαίρας ποιοῦντα ἢ ὡς μάγειρον. (Lh) hēnper ho pithēkos tēi gynaiki dietheto (“[il patto] che la scimmia fece con la moglie”): Simmaco: sembra ricordare una favola esopica o qualcosa di simile. Callistrato (p. 328 n. 55 Schm.) dice così: è tratto da un racconto. E Didimo (fr. 14, p. 26 Schm.) (dice) che un tale, brutto d’ aspetto, poiché veniva continuamente alle mani con la moglie, fece il patto, al cospetto degli amici, di non picchiare né essere picchiato, di non mordere mentre la baciava né essere morso, del tipo: “tu non (mi) trascinerai per i testicoli, né io (te) per i capelli”. Sembra sbeffeggiare Panezio, α. che (sbeffeggia) anche nelle Nēsoi: “lasciando ― scimmia”. Là (dice anche che era) m a g e i r o u p a t r o s (“figlio di un cuoco”). 440–441α. Lo chiamò scimmia per la malvagità, e fabbricante di coltelli lui che lavorava con i coltelli, in quanto cuoco. E infatti nelle Nēsoi lo dice figlio di un cuoco; ovvero, nella medesima commedia, lo dice anche fabbricante di coltelli./ β. (Sembra sbeffeggiare Panezio,) che chiama anche scimmia per la malvagità. E nelle Nēsoi lo chiama figlio di un cuoco. E fabbricante di coltelli, o perché faceva coltelli, o perché cuoco. Schol. (RVM9Γ Γ3MLh) Ar. Av. 441a ὁ μαχαιροποιός (Γ3)· ὁ Παναίτιος. Μάγειρος δὲ μικροφυὴς ἦν. (VM9Γ Γ3) διαβάλλει δὲ αὐτὸν ὡς καταλαβόντα τὴν γυναῖκα ἑαυτοῦ μοιχευομένην. ἐδυναστεύετο γὰρ ὑπ’ αὐτῆς μεγάλης οὔσης. (RVM9Γ Γ3MLh) ho machairopoios (“il fabbricante di coltelli”): Panezio. Era un cuoco piccolo di statura. Lo calunnia perché avrebbe sorpreso sua moglie a commettere adulterio: infatti era dominato da lei che era grande di corporatura. Sud. δ 565 διαθήκην διαθώμεθα, ἣν διέθετο πίθηκος τῇ γυναικί· ἀντὶ τοῦ συνθήκην. αἰσχρὸς γάρ τις τὴν ὄψιν συνεχῶς τῇ γυναικὶ διαπληκτιζόμενος διέθετο ἐπὶ φίλων, μήτε τύπτειν μήτε τύπτεσθαι μήτε δάκνειν, ὡς αὐτὸν φιλοῦντα, μήτε δάκνεσθαι. οἷον, σὺ μὲν οὐχ ἑλκύσεις τῶν ὀρχιπέδων, οὐδὲ ἐγὼ τῶν τριχῶν. ἔοικε δὲ τὸν Παναίτιον κωμῳδεῖν, ὡς καὶ ἐν Νήσοις· καταλιπὼν ― πίθηκον. ἔνθα καὶ μ α γ ε ί ρ ο υ π α τ ρ ό ς εἶναι λέγει αὐτόν. πίθηκον μὲν εἶπε διὰ τὸ πανοῦργον, μαχαιροποιὸν δὲ τὸν μαχαίραις ἐργαζόμενον, ὡς μάγειρον. αὐτόθεν οὖν φησιν αὐτὸν μαχαιροποιόν. ὁ γὰρ Παναίτιος μάγειρος μικροφυὴς ἦν. διαβάλλει δὲ αὐτὸν Ἀριστοφάνης ὡς καταλαβόντα τὴν γυναῖκα αὐτοῦ μοιχευομένην· ἐδυναστεύετο γὰρ ὑπ’ αὐτῆς μεγάλης οὔσης. diathēkēn diathōmetha, hēn dietheto pithēkos tēi gynaiki (“facciamo il patto che fece la scimmia con la moglie”): (diathēkēn) invece di synthēkēn (“patto”). Un tale, brutto d’ aspetto, poiché veniva continuamente alle mani con la moglie, fece il patto, al cospetto degli amici,
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di non picchiare né essere picchiato, di non mordere nel baciarla, né essere morso; del tipo: “tu non (mi) trascinerai per i testicoli, né io (te) per i capelli”. Sembra sbeffeggiare Panezio, come anche nelle Nēsoi: “lasciando ― scimmia”. Là dice anche che era m a g e i r o u p a t r o s (“figlio di un cuoco”). Lo chiamò scimmia per la malvagità, e fabbricante di coltelli lui che lavorava con i coltelli, in quanto cuoco. Dunque (in un verso) dalla medesima commedia lo dice fabbricante di coltelli. Infatti Panezio era un cuoco piccolo di statura. Lo calunnia perché avrebbe sorpreso sua moglie a commettere adulterio: infatti era dominato da lei che era grande di corporatura.
Metro
Tetrametro giambico catalettico
〈alwl u〉rkl| klkl kll
Bibliografia Dindorf 1829, 156 (~ II [1835], 627; 1838, 494; 18695, 211); Fritzsche 1832, 5; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1111; Bothe 1844, 116; Kock, I (1880), 494; Blaydes 1885, 209; Edmonds, I (1957), 686–7; Lilja 1980, 32 n. 3; PCG, III 2 (1984), 224; Gil 1989, 89 (= 1996, 173; 2010, 101–2); Demont 1997, 466; Henderson 2007, 308–9 (~ 2011, 313); Labiano 2012, 330; Storey 2012, 5; Pellegrino 2015, 244. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Av. 440α trasmette il fr. 409 nel contesto della spiegazione di un passo assai problematico (Ar. Av. 439 ss.)317, in cui Pistetero invita l’ Upupa, rappresentante del Coro degli uccelli, a farsi garante di un patto di ‘non aggressione’, simile a quello che “la scimmia” stipulò con la moglie. Lo scoliaste riporta la spiegazione del grammatico Simmaco318, secondo il quale in questo verso si allude a una favola esopica; quella del filologo alessandrino Callistrato, allievo di Aristofane di Bisanzio, il quale parla più genericamente di “racconto” (Schmidt 1838, 22 n. 55 = 1848, 328 n. 55); infine quella di Didimo di Alessandria (seconda metà del I sec. a. C.)319, che fornisce maggiori particolari sul protagonista di questo aneddoto, chiamato “scimmia” per la sua bruttezza, e sul patto, da lui stipulato con la moglie, di non picchiarsi o mordersi invece di baciarsi (Did. fr. 14, p. 26 Schm.). L’ antico commentatore ritiene probabile (ἔοικε) l’ identificazione di questo personaggio con Panezio sulla base del fr. 409, in cui egli era chiamato “scimmia” (πίθηκος) a causa della sua malizia. Il testo del frammento è riportato solo dagli scolii dei manoscritti V e Γ320, per i quali Panezio, nelle Nēsoi, era detto anche “figlio di un cuoco” (μαγείρου πατρός)321, ovvero “fabbricante di coltelli” (μαχαιροποιός, V), ma senza, in questo caso, riportare il testo preciso. Quest’ ul-
317
ἢν μὴ διάθωνταί γ’ οἵδε διαθήκην ἐμοὶ | ἥνπερ ὁ πίθηκος τῇ γυναικὶ διέθετο, | ὁ μαχαιροποιός, μήτε δάκνειν τούτους ἐμὲ | μήτ᾿ ὀρχίπεδ᾿ ἕλκειν μήτ᾿ ὀρύττειν […]. 318 L’ attività di Simmaco, autore di un commento ad Aristofane, è datata non oltre la prima metà del II sec. d. C. (cfr. Simons 2001). 319 Cfr. Montanari 1997b, 550. 320 Lo scolio presente nella recensio Tricliniana (Lh) non trasmette invece il testo del frammento. 321 Cfr. anche schol. Ar. Av. 440β.
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Aristophanes
tima informazione sembra autoschediastica322, dal momento che μαχαιροποιός è anche il mestiere dell’ anonimo πίθηκος di Av. 440–1 (vd. supra). Per gli antichi commentatori Panezio è chiamato μαχαιροποιός o perché fabbricava i coltelli, o perché li usava, essendo egli stesso cuoco come il padre (schol. Ar. Av. 440–441α; 440β); la seconda spiegazione appare tuttavia etimologicamente infondata 323. Anche lo schol. Ar. Av. 441a identifica il μαχαιροποιός con Panezio, ma aggiunge nuovi particolari, informandoci che si trattava di un cuoco piccolo di statura, sbeffeggiato da Aristofane perché dominato dalla moglie, più grande di lui per corporatura, che egli aveva sorpreso in flagrante adulterio. Sud. δ 565, per spiegare l’ uso di διαθήκη invece di συνθήκη nel detto διαθήκην διαθώμεθα, ἣν διέθετο πίθηκον τῇ γυναικί (cfr. Ar. Av. 439–40)324, riporta, con parole quasi identiche, le informazioni degli scolii di V e Γ, a partire dalla spiegazione di Didimo (vd. supra), e trasmette quindi anche il fr. 409. Testo Fritzsche 1832, 5, propone di dividere il verso (καταλιπὼν | Παναίτιον […]); Dindorf 1829, 156 (= 1830, 491; II [1835], 627; 1838, 494; 18695, 211), seguito da Blaydes 1885, 209, divide in […] Παναίτιον | πίθηκον. Se si accolgono queste proposte, il metro sarebbe il trimetro giambico. Interpretazione L’ identificazione di Panezio (LGPN II, Παναίτιος [3]; PAA 763450) con la “scimmia” (πίθηκος) di Ar. Av. 440–1 (schol. Ar. Av. 440α–β = Sud. δ 565) appare tutt’ altro che sicura, forse motivata solo dal fatto che anche questo personaggio era chiamato πίθηκος nel fr. 409325, come sembrano in gran parte autoschediastiche le informazioni sul mestiere di Panezio (vd. supra, Contesto della citazione). In base alle informazioni dei commenti antichi ad Ar. Av. 440–1, Panezio poteva essere un personaggio contemporaneo attaccato da Aristofane per la sua bassa estrazione sociale326 e per la malizia (διὰ τὸ πανοῦργον; cfr. schol. 440–441α e 440 β = Sud. δ 565)327, che lo accomuna alla scimmia, animale caratterizzato, fin dall’ età arcaica, dalla capacità di imitare i comportamenti umani, e quindi di 322
Cfr. Totaro, ap. Mastromarco−Totaro 2006, 162–3 n. 89; Caciagli 2016a. Cfr. Chantraine, DELG, 923, s. v. ποιέω; Dunbar 1995, 304; Beekes, EDG, s. v. ποιέω. 324 Vd supra, n. 317. 325 Cfr. van Leeuwen 1902, 74; Lilja 1980, 32 n. 3; Totaro, ap. Mastromarco−Totaro 2006, 163 n. 89; diversamente Holden, Onom. Ar., s. v. Παναίτιος. 326 Cfr. gli attacchi a Euripide per i presunti umili natali (Ach. 457 e 478; Eq. 19; Thesm. 387 e 456; Ran. 840; cfr. Mastromarco 1983, 148–9; Prato 2001, 234) e a Iperbolo per la bassa estrazione sociale (Nub. 551 s.; Thesm. 840 ss.; cfr. Mastromarco 1983, 373–4; Prato 2001, 293–4). 327 La “scimmia” di Ar. Av. 440 è tale invece soprattutto per la bruttezza (αἰσχρός; cfr. schol. Ar. Av. 440α–β, 3 = Sud. δ 565, 22) o la piccola statura (μικροφυής; cfr. schol. Ar. Av. 441a = Sud. δ 565, 28); cfr. Coulon, III (1928), 45 n. 1. Cfr. Ar. Ran. 708 ss., in cui Cligene è chiamato “scimmia” (πίθηκος; cfr. Ran. 708) sia per la bassa statura (μικρός; cfr. Ran. 709), sia perché adulterava la soda usata come detergente (cfr. Totaro, ap. Mastromarco−Totaro 2006, 628–9). 323
Νῆσοι (fr. 409)
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ingannare e mentire328. Nella commedia antica ci sono numerose attestazioni in cui questo epiteto assume un valore politico, connotando negativamente sicofanti o demagoghi capaci di persuadere il popolo con le bugie e l’ adulazione: cfr. ad es. Ar. Ach. 907, in cui il Sicofante è definito “uno scimmiotto pieno di malizie” (πίθακον ἀλιτρίας πολλᾶς πλέων; tr. Mastromarco 1983)329; Ran. 1083–6, in cui Eschilo accusa Euripide di aver riempito Atene di “buffoni, scimmie del popolo” (βωμολόχων δημοπιθήκων; tr. Mastromarco, ap. Mastromarco–Totaro 2006), ingannatori del dēmos; Phryn. fr. 21, in cui un personaggio sconosciuto definisce “scimmioni” (μεγάλους πιθήκους) quattro Ateniesi contemporanei (Licea, Telea, Pisandro, Essecestide), e il suo interlocutore commenta che la categoria delle scimmie è molto diversificata, comprendendo il “vile” (δειλός), l’ “adulatore” (κόλαξ), il “bastardo” (νόθος)330. “Risulta evidente che l’ accusa di essere una scimmia comprenda in sé molti degli aspetti negativi della politica ateniese, dall’ adulazione alla bassa origine, il cui tratto comune è la distorsione in negativo delle virtù civiche”331. Panezio potrebbe quindi essere un esempio deteriore della categoria degli uomini politici, oppure un sicofante. Nel contesto del rimpianto per la vita dei campi, lontana dai problemi dell’ agora (vd. supra, fr. 402, 3), “lasciare” (cfr. καταλιπών) Panezio, la “scimmia”, potrebbe significare il desiderio di allontanarsi da una comunità politica molto degradata rispetto ai gloriosi modelli del passato e segnata da una profonda disgregazione332. Se si confronta il clima cupo che spinge Pistetero ed Evelpide, negli Uccelli, ad abbandonare un’ Atene lacerata da continui processi (cfr. Ar. Av. 40–1), appare suggestiva l’ identificazione, sostenuta da alcuni commentatori333, del personaggio sbeffeggiato nelle Nēsoi con Panezio di Afidna (PA 11567; LGPN II, Παναίτιος [7]; PAA 763480)334, accusato in relazione 328
Per le caratteristiche della scimmia nella tradizione favolistica, vd. ad es. Aesop. 73 e 14 Perry (la scimmia bugiarda); 514 Perry (la scimmia adulatrice); 81 Perry (la scimmia stupida); 352 Perry (la scimmia imitatrice dei comportamenti umani). Per l’ immagine della scimmia nella letteratura greca e latina, cfr. McDermott 1938, 109–46; Taillardat 19652, 228; García Gual 1972, 453–60; Lilja 1980, 31–8; Demont 1997, 461 ss.; Totaro 20002, 191–2; Connors 2004; Corbel-Morana 2012, 96 n. 60; Regali 2016. 329 Cfr. Olson 2002, 299; Connors 2004, 189. 330 Cfr. Lilja 1980, 33; Connors 2004, 188; Stama 2014, 151–4. 331 Regali 2016. Cfr. Dem. 18, 242, in cui l’ oratore attacca il rivale Eschine chiamandolo αὐτοτραγικὸς πίθηκος, con il commento di Wankel 1976, 1066–7. 332 Cfr. Bothe 1844, 116; Demont 1997, 466. Cfr. Apollod. fr. 1 (ἀπραγμόνως ζῆν ἡδύ· μακάριος βίος | καὶ σεμνός, ἂν ᾖς μεθ’ ἑτέρων ἀπραγμόνων. | ἐν θηρίοις δὲ καὶ πιθήκοις ὄντα δεῖ | εἶναι πίθηκον· ὢ ταλαιπόρου βίου), in cui si esalta l’ ἀπραγμοσύνη in contrapposizione alla vita tra le “scimmie”, per il quale cfr. Demont 1997, 460 ss.; Regali 2016. 333 Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1111, seguito da Bothe 1844, 116; Blaydes 1885, 209; Kassel−Austin, PCG, III 2 (1984), 224; cfr. anche MacDowell 1962, 74; PAA 763450. 334 Per MacDowell 1962, 74, il Panezio menzionato in And. 1, 13, non è lo stesso personaggio accusato dall’ oratore in 1, 52 e 67; cfr. anche McK. Camp II 1974, 321 n. 39 (ad IG I3 422, 204 s.); Feraboli, ap. Marzi−Feraboli 1995, 298 n. 16. C’ è invece identità tra
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Aristophanes
alla sacrilega parodia dei misteri (cfr. And. 1, 13) e alla mutilazione delle Erme (cfr. And. 1, 52 e 67) nel 415 a. C. In realtà, nell’ Atene del tempo di Aristofane sono individuabili almeno altri quattro personaggi con questo nome (cfr. LGPN II, s. v. Παναίτιος), tra cui l’ ipparco di Ar. Eq. 243 (PA 11566; LGPN II, Παναίτιος [4]; PAA 763445)335. Inoltre i testimoni antichi, così ricchi di particolari intorno a Panezio, non fanno alcun cenno agli scandali religiosi del 415 e ai processi che ne seguirono336. La problematica identificazione di Panezio si intreccia con quella della datazione delle Nēsoi, dal momento che gli studiosi i quali ritengono di collocare la commedia negli anni successivi al 414, o addirittura al 403 a. C. (vd. supra, Datazione), si basano principalmente sull’ identità tra “Panezio la scimmia” e quello condannato in seguito alle accuse di Andocide. D’ altra parte, sappiamo che Panezio di Afidna fu esiliato in seguito a tali accuse e tornò ad Atene, probabilmente dopo l’ amnistia del 403 a. C. (cfr. And. 1, 53). Perché quindi il commediografo avrebbe dovuto prenderlo in giro nelle Nēsoi, come se fosse presente in città (nel caso che la commedia appartenga al secondo periodo della produzione aristofanea)?
fr. 410 K.-A. (395 K.) ὡς ἐς τὴν γῆν κύψασα κάτω καὶ ξυννενοφυῖα βαδίζει Come avanza con la testa bassa, rivolta a terra, e con un’ aria rannuvolata! Phot. (g z) ξ 58 = Sud. ξ 129 ξυννένοφε(ν Sud.)· ἐπινεφῆ καὶ συννεφῆ καὶ συννέφελά ἐστιν. Ἀριστοφάνης Ἀναγύρῳ (fr. 46)· καὶ ξυννένοφε καὶ χειμέρια βροντᾷ μάλ’ εὖ. καὶ ἐν Νήσοις· ὡς ― βαδίζει· ἀντὶ τοῦ σκυθρωπάζουσα. xynnenophe(n): “è nuvoloso”, “coperto di nubi” e “fosco”. Aristofane nell’ Anagyros (fr. 46): “e si è rannuvolato e le nubi temporalesche tuonano davvero forte”. E nelle Nēsoi: “come ― rannuvolata”: invece di skythrōpazousa (“con aria cupa”).
i due per PA 11567; Coulon, III (1928), 45 n. 1; Kinzl 1972, 447; LGPN II, Παναίτιος [7]; Canfora 1998, 95; Stein-Hölkeskamp 2000; PAA 763480. 335 Panezio potrebbe essere anche un ‘nome parlante’: cfr. l’ aggettivo παναίτιος (‘che è causa di tutto’) in Aesch. Ag. 1486; Eum. 200. 336 Cfr. anche Sommerstein 1986, 104–5 n. 26, il quale dubita dell’ identificazione tra Panezio “la scimmia” e Panezio di Afidna, dal momento che “the style of satyre [in fr. 409], […], strongly suggests that Panaitios the ‘ape’ is more likely to have had links with the ‘new politicians’ than with the jeunesse dorée” (Sommerstein 1986, 105 n. 26), e ritiene invece più probabile quella con l’ ipparco di Eq. 243 (PA 11566; LGPN II, Παναίτιος [4]; PAA 763445); cfr. Sommerstein 1981, 155–6; PAA 763450.
Νῆσοι (fr. 411)
Metro
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Tetrametro anapestico catalettico
llll llrl| llrl rll
Bibliografia Dindorf 1829, 156 (~ II [1835], 628; 1838, 494; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1110; Hamaeker 1854, 255; Kock, I (1880), 494; Edmonds, I (1957), 686–7; PCG, III 2 (1984), 224; Henderson 2007, 308–9; Olson 2007, 95; Labiano 2012, 330; Pellegrino 2015, 244. Contesto della citazione Fozio (ξ 58) e la Suda (ξ 129) riportano il frammento come esempio dell’ uso del perfetto ξυννένοφε(ν), dopo Ar. fr. 46 (dall’ Anagyros). Il valore traslato del participio perfetto femminile ξυννενοφυῖα (‘rannuvolata’) nel fr. 410 è spiegato attraverso il sinonimo σκυθρωπάζουσα (‘con aria cupa’). Interpretazione Il soggetto femminile sottinteso (3a pers. sing.) potrebbe essere una delle isole componenti il Coro (personificate in figure di donne), che incede con il capo basso e accigliata per i torti subiti da Atene337. È quindi improbabile che il tetrametro anapestico facesse parte della parabasi, dove il coro parla in prima persona; si può ipotizzare una collocazione nella parodos, in cui un personaggio poteva descrivere una per una le isole mentre prendevano posto nell’ orchestra. ἐς τὴν γῆν κύψασα Per il capo rivolto a terra per il dolore, cfr. Hdt. 3, 14, 3 (ἔκυψε ἐς τὴν γῆν); Dem. 18, 323 (στένων καὶ κύπτων εἰς τὴν γῆν); Apul. Met. 3, 2 (quamquam capite in terram, immo ad ipsos inferos iam deiecto maestus incederem); Mart. 2, 11, 4 (quod paene terram nasus incedens tangit). ξυννενοφυῖα Il verbo ξυννέφω (συννέφω) indica in senso proprio un fenomeno atmosferico, quando il cielo si annuvola: cfr. Ar. Av. 1502 ([ὁ Ζεὺς] ἀπαιθριάζει τὰς νεφέλας ἢ ξυννέφει;); fr. 46 (riportato dai testimoni insieme al fr. 410). Il participio perfetto ha qui valore traslato (‘rannuvolata’), per il quale cfr. Eur. El. 1078 (συννεφοῦσαν ὄμματα) e l’ analogo uso dell’ aggettivo συννεφής in Eur. Ph. 1308 (Κρέοντα […] συννεφῆ)338.
fr. 411 K.-A. (396 K.) Hesych. θ 954 θ ύ ρ σ ο υ κ υ ν ῆ· Ἀριστοφάνης ἐν Νήσοις οὐ τοῦ αὐλητοῦ μνημονεύων, ἀλλ’ ἀντὶ τοῦ φύλλα εἰπεῖν καὶ κλάδους. θυρσου κύνη H (κυνῆ Musurus): θύρσου κόμη Bothe: Θύρσου γυνή (vel γονή) Bergk t h y r s o u k y n ē (“cappello di tirso”): Aristofane nelle Nēsoi, senza ricordare il flautista (cfr. θ 953), ma invece di nominare le foglie e i ramoscelli.
337
Cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840),1110 (“[poeta] fingit autem Insulam ab Atheniensibus male tractatam, moestam demissaque vultu incedere”). 338 Cfr. Mastronarde 1994, 516; Olson 2007, 95.
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Metro
Aristophanes
Non determinabile (giambico?)
llwl
Bibliografia Dindorf 1829, 157 (~ II [1835], 628; 1838, 494; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1112–3; Bothe 1844, 117; Kock, I (1880), 494; Edmonds, I (1957), 686–7; PCG, III 2 (1984), 225; Gil 1989, 89 (= 1996, 173; 2010, 101); Henderson 2007, 308–9; Pellegrino 2015, 244. Contesto della citazione Il lessicografo Esichio (θ 954) cita le Nēsoi di Aristofane, senza riportare il testo, come esempio dell’ uso del sintagma θύρσου κυνῆ339, precisando che si riferisce alle foglie e ai ramoscelli che sormontavano il tirso delle Baccanti (vd. infra), e non al flautista Tirso, ricordato nel lemma precedente, che aveva in moglie un’ etera (Hesych. θ 953: Θύρσος· αὐλητὴς ἦν γυναῖκα ἔχων ἑταίραν)340. Testo Per la difficoltà di interpretare il tràdito θυρσου κύνη (H) sono state avanzate diverse proposte di correzione: θύρσου κόμη (“chioma di tirso”; Bothe 1844, 117); θύρσου γυνή (“moglie di tirso”; Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1112)341; θύρσου γονή (“germoglio di tirso”; Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1113)342. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 225), seguendo Kaibel, mantengono il testo tràdito, dividendo in θύρσου κυνῆ (“cappello di tirso”)343. Interpretazione Non abbiamo elementi per stabilire in quale contesto fosse usato il sintagma θύρσου κυνῆ, né tantomeno se si trattasse di un riferimento a un oggetto scenico reale, che comporterebbe la presenza di personaggi legati al dio Dioniso, non altrimenti attestata344. κυνῆ Metaforicamente potrebbe indicare il grappolo di foglie d’ edera, a forma di pigna, posto a un’ estremità dell’ asta del tirso345. Per Kaibel (ap. PCG, III 2 339
Vd. infra, Testo. Cfr. inoltre Hesych. θ 951, per i due significati di θύρσος (ῥάβδος, βακτηρία βακχική, ἢ κλάδος. καὶ αὐλητὴς οὕτως ἐκαλεῖτο). Per il nome della moglie di Tirso cfr. Archipp. fr. 27 (Σηπίαν τὴν Θύρσου). 341 La correzione è adottata da Blaydes 1885, 207; Latte, II (1966), 337 (ad Hesych. θ 954), il quale ultimo suggerisce il confronto con l’ espressione latina maritare ulmos vitibus (vd. ad es. Col. 5, 6, 18; Plin. NH 17, 200; cfr. ulmosque adiungere vitibus in Verg. Georg. 1, 2). Metaforicamente il sintagma θύρσου γυνή indicherebbe quindi l’ edera e i pampini che avvolgevano il bastone del tirso. 342 La correzione, dal significato figurato analogo a quello della precedente (vd. supra n. 341), è adottata nell’ edizione di Esichio di Schmidt (II [1860], 744), da Dindorf 18695, 211; e dub. Kock, I (1880), 494 (nota ad loc.). 343 Così anche Edmonds, I (1957), 686; Henderson 2007, 308. Per l’interpretazione vd. infra. 344 Cfr. l’ elenco degli accessori del costume del dio in Cratin. fr. 40, 2 (θύρσον, κροκωτόν, ποικίλον, καρχήσιον), e i numerosi riferimenti al tirso delle Baccanti nella tragedia euripidea omonima (vd. ad es. Eur. Bacch. 80, 113, 147, 704, 706, 941). 345 Cfr. Reinach 1892, 289 ss.; Bendinelli 1937; Manino 1972; Burkert 20032, 325. 340
Νῆσοι (fr. 412)
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[1984], 225)346 θύρσου κυνῆ indicherebbe la pigna vera e propria che sormontava il tirso nelle raffigurazioni vascolari dell’ età ellenistica347; tuttavia Esichio (θ 954) spiega il sintagma in riferimento a “foglie e ramoscelli” (vd. supra), che dovevano trovarsi in posizione apicale, se è corretto mantenere il lemma tràdito (vd. supra, Testo).
fr. 412 K.-A. (397 K.) Poll. (FSCL) 9, 89 ὡς δ’ ἐπὶ τῶν κερμάτων οἱ ἀρχαῖοι Ἀττικοὶ ἥκιστα τῷ ἑνικῷ ἐχρῶντο, οὕτως ἐπὶ τῷ ἀργυρίῳ τῷ πληθυντικῷ (οὕτως ― πληθυντικῷ om. FS)· τ ἀ ρ γ ύ ρ ι α γὰρ ἐπὶ τοῦ ἀργυρίου σπανίως ἄν τις εὕροι παρ’ αὐτοῖς (hucusque CL), ἐγὼ δ’ εὗρον ἐν ταῖς Νήσοις Ἀριστοφάνους. εἰ δὲ ὑποπτεύεται τὸ δρᾶμα ὡς Ἀριστοφάνους 〈οὐ〉 (Casaubon) γνήσιον, ἀλλ’ οὔτι γε καὶ οἱ Κόλακες Εὐπόλιδος (fr. 162), ἐν οἷς εἶπε· φοροῦσιν ἁρπάζουσιν ἐκ τῆς οἰκίας | τὸ χρύσιον, τἀργύρια πορθεῖται. Come per le monete gli antichi Attici non usavano affatto il singolare, così per il denaro il plurale: infatti raramente si potrebbe trovare in essi a r g y r i a per il denaro, ma io lo trovai nelle Nēsoi di Aristofane; se però si sospetta che il dramma non sia genuino di Aristofane, comunque anche nei Kolakes di Eupoli (fr. 162), nei quali disse: “portano via, arraffano l’oro dalla casa, saccheggiano il denaro”. Poll. (FSACB) 3, 86 ἀ ρ γ ύ ρ ι α δὲ κατὰ πλῆθος ἥκιστα λέγουσι οἱ Ἀττικοί, (FSAC) εἴρηται δ´ (FSA) ἐν Κωκάλῳ (fr. 368) καὶ Νήσοις Ἀριστοφάνους. (FS) Gli Attici in generale non dicono affatto a r g y r i a , ma si dice nel Kōkalos (fr. 368) e nelle Nēsoi di Aristofane. Poll. (FSACB) 7, 104 ἀργύριον τὸ νόμισμα· εἴρηται δὲ καὶ ἀ ρ γ ύ ρ ι α ἐν Ἀριστοφάνους Νήσοις (ἐν ― Νήσοις om. BC; νόσοις FS). Argyrion (significa) il denaro corrente; si dice anche a r g y r i a nelle Nēsoi di Aristofane.
Metro
Non determinabile
lwka
Bibliografia Dindorf 1829, 156–7 (~ II [1835], 628; 1838, 494; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1112; Bothe 1844, 117; Kaibel 1889, 47–8; Kock 1890, 55; Edmonds, I (1957), 686–7; PCG, III 2 (1984), 225; Henderson 2007, 310–1; Pellegrino 2015, 244.
346 347
Cfr. anche Gil 1989, 89 (= 1996, 173; 2010, 101). Cfr. Reinach 1892, 291–2.
86
Aristophanes
Contesto della citazione Poll. 9, 89 (cfr. anche 3, 86; 7, 104), cita le Nēsoi di Aristofane come attestazione dell’ uso, anomalo in attico, del neutro plurale ἀργύρια per il singolare ἀργύριον348. La voce di Polluce è importante anche come testimonianza dei dubbi presenti già nelle fonti antiche sull’ attribuzione della commedia ad Aristofane (vd. supra, Introduzione, p. 56). Interpretazione Per l’ uso del neutro plurale ἀργύρια (‘denaro’) con valore collettivo invece del singolare ἀργύριον (cfr. ad es. Ar. frr. 215 e 273) nei testi comici, cfr. Eup. fr. 162 (riportato supra nel testo di Poll. 9, 89); Ar. fr. 368 (= Poll. 3, 86)349.
fr. 413 K.-A. (398 K.) Phot. (z) ε 668 = Et. gen. AB (Et. magn. p. 333, 34) ἔ λ υ μ ο ς· σπέρμα τι ὃ ἕψοντες ἤσθιον οἱ Λάκωνες (οἱ Λάκωνες ἤσθιον Et. magn.). Ἀριστοφάνης Νήσοις. e l y m o s: un seme che i Laconi mangiano dopo averlo bollito. Aristofane nelle Nēsoi.
Metro
Non determinabile
kwu
Bibliografia Dindorf 1829, 157 (~ II [1835], 628; 1838, 494; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1112; Kock, I (1880), 495; Edmonds, I (1957), 686–7; PCG, III 2 (1984), 225; Henderson 2007, 310–1; Pellegrino 2015, 245. Contesto della citazione La tradizione lessicografica bizantina, facente capo a Fozio (ε 668) e all’ Etymologicum genuinum, fonte dell’ Etymologicum magnum (p. 333, 34)350, dando la definizione di ἔλυμος (‘miglio’), cita le Nēsoi di Aristofane, senza però riportare il testo del frammento. La stessa voce, senza però il riferimento alla commedia, è riportata anche in Hesych. ε 2229 (cfr. anche ε 1990 e 2094) e schol. Euseb. Praep. Ev. 9, 27, 37 (II p. 431 Mras). Interpretazione Secondo i lessici antichi e medievali riportati supra, il miglio (ἔλυμος) era usato nell’ alimentazione dagli Spartani, che lo mangiavano bollito. Forse nelle Nēsoi questo cereale era citato nel contesto dei riferimenti a un’ alimentazione semplice (cfr. il commento ai frr. 405 e 408); tuttavia esso era scarsamente rilevante nell’ alimentazione ateniese (cfr. Amouretti 1986, 40, 282; Dalby 2003, 218–9).
348
Cfr. LSJ Suppl., s. v. Cfr. Dunbar 1995, 399 (ad Ar. Av. 660). Per il plurale ἀργύρια nel senso di ‘monete’ vd. ad es. Ar. Av. 660; Xen. Oec. 19, 16 (cfr. LSJ Suppl., s. v.). 350 Per queste due enciclopedie lessicali vd. supra ad fr. 407 (p. 73). 349
Νῆσοι (fr. 414)
87
fr. 414 K.-A. (399 K.) Poll. (FSACBL) 10, 47 θρᾶνοι, θρανία, θ ρ α ν ί δ ι α ἐν Νήσοις Ἀριστοφάνους, βάθρα, βαθρίδια (Hemsterhuis: βαθράδια FS; om. ἐν ― βαθράδια ABCL) ὡς ἐν Ταγηνισταῖς (fr. 527). Thranoi, thrania (“panche”), t h r a n i d i a (“panchettine”) nelle Nēsoi di Aristofane, bathra (“sedili”), bathridia (“piccoli sedili”) come nei Tagēnistai (fr. 527).
Metro
Non determinabile
lwka
Bibliografia Dindorf 1829, 157 (~ II [1835], 628; 1838, 494; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1112; Kock, I (1880), 495; Edmonds, I (1957), 686–7; PCG, III 2 (1984), 225; Henderson 2007, 310–1; Pellegrino 2015, 245. Contesto della citazione Il lessicografo Polluce (10, 47) cita le Nēsoi di Aristofane come esempio dell’ uso del diminutivo θρανίδια (‘panchettine’), derivato da θρᾶνοι e θρανία (‘panche’), come βαθρίδια351 (Ar. fr. 527 [dai Tagēnistai])352 da βάθρα. Testo Sulla base della testimonianza di Poll. 10, 47, è difficile stabilire i confini precisi della citazione aristofanea, che poteva comprendere anche i due termini precedenti (cfr. Kock, I [1880], 495; Kassel−Austin, PCG, III 2 [1984], 225)353. Interpretazione I termini riportati da Polluce sono tutti attestati nelle commedie aristofanee, anche se non molto frequentemente: cfr. Ar. Pl. 545 (θράνου); Ran. 121 (θρανίου)354. Per il diminutivo cfr. IG I3 421, 140 (θρ〈α〉νίδιον). Per i dati iconografici su questo tipo di sedile cfr. Richter 1966, 47–9.
351
Correzione di Hemsterhuis 1825, 210. Cfr. Bagordo 2020, 95 s. 353 Cfr. Theodoridis 1976b, 48. 354 Entrambi i passi sono riportati anche da Poll. 10, 49–50. 352
88
[Ὀδομ]αντοπρέσ[βεις] ? ([Odom]antopres[beis] ?) (“Ambasciatori degli Odomanti” ?) Data
Sconosciuta
Bibliografia Koehler 1878, 117–8; Koehler, ap. IG II 974; Wilhelm 1906, 84–6; Kirchner, ap. IG II2 2321 (Add., 816); Schmid 1946, 212–3 n. 5; Cantarella, I (1948), 163–4; Mensching 1964, 41–2; Geißler 19692, add. XIV; Mette 1977, 148; Austin 1974, 215; PCG, III 2 (1984), 226; Pickard-Cambridge 19882, 107–9 (= 1996, 149–51; 155); Gil 1989, 89 (= 1996, 173; 2010, 102); Newiger 1989, 9; Henderson 2007, 210–1; Millis−Olson 2012, 113–4; Pellegrino 2015, 246. IG II2 2321, 85 ss. (Atene, EM 8228: comoediae Lenaeis actae)355 85 / 2
90 / 7
[ - - - ] [ - - - ]ι̣ηταις [ - - - ] [ - - - ] vacat [ - - - ] .ς: Ἀριστοφ[ - - - ] [ - - - ]αντοπρεσ[ - - - ] [ὑπο- - - ἐ]νίκα [ἐπὶ - - -ο]υ̣ [ - - - ]οθ̣[ - - - ] [ - - - ]
85 [Μεταγένης (vel Μεταγένους) Ἀσ]κ̣ηταῖς Mette 87 Ἀριστοφ[άνης] Reisch Ἀριστοφ[ῶντι] Koerte Ἀριστοφ Ŋ άνους ŋ Mette Ἀριστοφ[ῶν] Millis− Olson 88 -αντο (vel -αντου) Πρέσ[βεσι] Koehler [Ὀδομ]αντοπρέσ[βεσι] Reisch [π]αντοπρέσ[βει] Koerte 85 / 2
90 / 7
[…] con i [Po]iētai ? [vacat] [recitava] ? -s: Aristof[ane? fu quinto ?] con gli [Odom]antopres[beis] ? ? riportava la vittoria. Sotto l’ arcontato di ? [?]oth[?] […]
Contesto Il titolo della commedia è riportato, in modo estremamente lacunoso, da un frammento epigrafico (IG II2 2321, 88 / 5)356 delle Didascalie, una serie di 355
Trascrizione di Millis−Olson 2012, 114, a cui si rimanda per la descrizione materiale dell’ epigrafe. 356 Edizioni: Koehler 1878, 117–8; IG II 974 (ed. Koehler); Wilhelm 1906, 84–6; IG II2 2321 (ed. Kirchner); Mette 1977, 148 (III E); Pickard-Cambridge 19882, 109 (= 1996, 151; 155); Millis−Olson 2012, 113–4.
[Ὀδομ]αντοπρέσ[βεις] ?
89
quattro iscrizioni che conservavano le liste dei vincitori degli agoni drammatici alle Grandi Dionisie e alle Lenee. Di queste si sono conservate solo alcune sezioni frammentarie (IG II2 2319–23a; SEG XXVI 203)357, le cui parti databili vanno dal 421 / 0 a. C. (rappresentazioni tragiche alle Grandi Dionisie) al 140–130 a. C. (rappresentazioni comiche alle Lenee)358. La registrazione di IG II2 2321 segue lo schema tipico delle Didascalie, in cui la parte relativa a ogni anno inizia con la data (indicata con ἐπί e il nome dell’ arconte eponimo in caso genitivo); erano quindi riportati i nomi dei poeti vincitori, partendo dal primo classificato fino all’ ultimo, in caso nominativo, con il numerale ordinale indicante il posto conseguito, il titolo del dramma in caso dativo, il nome dell’ attore principale in nominativo preceduto dall’ abbreviazione ὑπε(κρίνετο); nella riga conclusiva era infine indicato il nome dell’ attore vittorioso preceduto dall’ abbreviazione ὑπο(κριτής) e seguito dal verbo ἐνίκα359. Le rr. 85 / 2–89 / 6 sono la parte conclusiva della registrazione di un certo anno; con la r. 90 / 7 inizia la registrazione relativa all’ anno successivo, come mostra la presenza della formula usata per la data. Nella r. 85 / 2 compare il titolo, mutilo della parte iniziale, del dramma immediatamente precedente gli [Odom]antopres[beis] in classifica: l’ integrazione [Πο]ι η̣ ταῖς sembra la più probabile, se prima di η si legge ι (littera incerta)360; Mette 1977, 148, seguendo Austin 1974, 215, pensa invece a una commedia di Metagene, Homēros ē Askētai, e integra [Μεταγένης (vel Μεταγένους) Ἀσ]κ̣ηταῖς361. Nella r. 87/4 il ς deve essere l’ultima lettera del nome dell’ attore. Dopo un segno di interpunzione (:), il nome del poeta classificatosi all’ ultimo posto, anch’ esso incompleto: potrebbe integrarsi Ἀριστοφ[άνης], come propongono dubitativamente Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 226) seguendo Reisch (ap. Wilhelm 1906, 84)362, ma pure Ἀριστοφ[ῶν]363. In mancanza di indicazioni cronologiche più precise desumibili dall’ epigrafe, l’ autore della commedia potrebbe quindi essere anche Aristofonte, poeta comico operante alla metà del IV sec. a. C. (cfr. IG II2 2325 E, 46)364. La somiglianza con il modo in cui sono organizzate le informazioni in IG
357
Per questi frammenti epigrafici cfr. Millis−Olson 2012, 59 ss.; Olson 2017b, 62 ss. Cfr. Millis–Olson 2012, 59; Olson 2017b, 62. 359 Cfr. Millis–Olson 2012, 59 ss. 360 Cfr. Millis−Olson 2012, 114. Una commedia dal titolo Poiētai è attestata per Alessi (frr. 187–8); Lakōnes ē Poiētai per Platone comico (frr. 69–75). 361 Cfr. già Koehler 1878, 118. 362 Così anche, dopo l’edizione di Kirchner (IG II2 2321), Schmid 1946, 212 n. 5; Mensching 1964, 42; Pickard-Cambridge 19882, 109 (= 1996, 151); Henderson 2007, 310. Mette 1977, 148, integra ἈριστοφŊάνουςŋ e suppone che il genitivo patronimico seguisse il nome di [Ἀραρώ]ς. 363 Cfr. Millis−Olson 2012, 114. 364 Koerte (Add. ad IG II2 2321, 816) propone invece l’ integrazione Ἀριστοφ[ῶντι] (cfr. anche Wilhelm 1906, 86) e, nella riga successiva, [π]αντοπρέσ[βει] (“der Allerweltsgesandte”, forse con riferimento al ruolo diplomatico di Demostene nelle ambascerie ateniesi a Filippo il Macedone negli anni precedenti la pace di Filocrate del 346 358
90
Aristophanes
II2 2322, relativa ai concorsi comici alle Lenee (terzo quarto del IV sec. a. C.)365, fa propendere Millis e Olson (2012, 114) per quest’ ultima ipotesi. In questo caso, il frammento IG II2 2321 sarebbe da riferire anch’ esso alle Lenee, dal momento che, per quel periodo, non ci furono agoni comici alle Dionisie prima del 329 / 8 a. C.366. Nella r. 88 / 5 è conservata parte del titolo (vd. infra), probabilmente seguito dall’ abbreviazione ὑπε(κρίνετο) e dal nome dell’ attore. Nella r. 89 / 6 doveva essere inciso il nome dell’ attore che aveva riportato la vittoria. Titolo Reisch (ap. Wilhelm 1906, 85) propone di integrare il titolo (r. 88 / 5) in [Ὀδομ]αντοπρέσ[βεις]367 sulla base di Ar. Ach. 156–72, in cui soldati della tribù tracia degli Odomanti368, alleati di Atene durante la guerra archidamica, sono introdotti nell’ assemblea suscitando lo sconforto di Diceopoli369, e di Thuc. 5, 6, 2, secondo il quale Atene inviò un’ ambasceria agli Odomanti chiedendo aiuti militari nell’ estate del 422 / 1 a. C. La congettura di Reisch, accolta da Kirchner (IG II2 2321, 88), Schmid (1946, 212 n. 5), Mensching (1964, 42), Mette (1977, 148) e Henderson (2007, 310), ha suscitato tuttavia i dubbi di Cantarella (I [1948], 164), per il quale è difficile spiegare come mai i filologi alessandrini, che conoscevano le Didascalie, non abbiano trasmesso questo titolo, non attestato altrove370, e di Newiger 1989, 9 (“höchst zweifelhaftes Stück”)371. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 226) sono i primi a inserire, seppur dubitativamente, gli [Odom]antopres[beis] tra le commedie aristofanee, seguiti da Henderson nella sua recente edizione (2007, 310–1), mentre questo titolo non compare ovviamente nell’ edizione di Kock (I [1880]), e neppure in quelle precedenti, dal momento che la proposta di integrazione di Reisch è posteriore. a. C.), pensando che si tratti del titolo di una commedia dedicata ad Aristofonte di Azenia (PA 2108D; LGPN II, Ἀριστοφῶν [19]; PAA 176170), uomo politico e stratego (430–330 a. C. ca.) che fu oggetto di scherno da parte dei poeti comici secondo lo schol. Aeschn. 1, 64 (= 145 Dilts); il titolo sarebbe allora preceduto dal nome del commediografo con l’ aggettivo πρε]σ: (scil. πρεσβύτερος). Tuttavia, come hanno chiarito Millis−Olson 2012, 113 n. 28, lo schema tipico delle registrazioni delle Didascalie prevede che il nome dell’ autore della commedia sia seguito dal numerale ordinale che indica il posto conseguito nella classifica finale dell’ agone. 365 Cfr. Millis–Olson 2012, 111. 366 Cfr. Millis–Olson 2012, 113. 367 Non si può neppure escludere che il titolo fosse al singolare (cfr. Millis–Olson 2012, 114). 368 Gli Odomanti abitavano lungo la riva est del fiume Strimone: cfr. Thuc. 2, 101, 3. 369 Cfr. Sommerstein 1980a, 164; Olson 2002, 120. 370 Cantarella, I (1948), 164, propone piuttosto il titolo Presbeis, attestato per i commediografi Platone e Leucone (vd. infra), preceduto dal nome del poeta in genitivo (-αντο / αντου, secondo la trascrizione di Koehler [IG II 974]), in modo dissimile, però, dall’ uso delle altre registrazioni delle Didascalie, in cui il nome del poeta è in nominativo (vd. supra, Contesto). 371 Per l’ integrazione proposta da Koerte (Add. ad IG II2 2321, 816) Ἀριστοφ[ῶντι] (r. 87 / 4) [π]αντοπρέσ[βει] (r. 88 / 5), vd. supra, n. 364.
[Ὀδομ]αντοπρέσ[βεις] ?
91
Il nome composto [Odom]antopres[beis] non è attestato altrove nella lingua greca. È stato tradotto come “Ambasciatori inviati presso gli Odomanti” (Pellegrino 2015, 246)372, ma, come ha evidenziato Cantarella (I [1948], 164), il composto non può avere questo significato373. La prima parte (Ὀδομαντο-) mi sembra piuttosto avere una funzione attributiva rispetto alla seconda (-πρέσβεις): cfr. ad es. i composti analoghi Ἑλληνοταμίαι (‘tesorieri della Grecia’)374, Ἑλλανοδίκαι (‘giudici dei giochi greci’)375, Ἑλλησποντοφύλακες (‘guardiani dell’ Ellesponto’)376, Βοιωτιουργής (‘di fabbricazione beotica’)377, Θετταλ(ο)ικέτης (‘schiavo tessalo’)378. Proporrei pertanto la traduzione “Ambasciatori degli Odomanti”. Il titolo Presbeis è attestato per commedie di Leucone (Lenee del 422 a. C.)379 e di Platone (393–2 a. C. ca.)380. Contenuto Si potrebbe ipotizzare uno sviluppo del nucleo tematico già presente in Ar. Ach. 156–72 (vd. supra, Titolo), all’ interno di una commedia politica, ma la ricostruzione è troppo congetturale per poterne ricavare elementi sicuri riguardo al tema. Datazione Il testimone epigrafico è troppo frammentario per ricavarne elementi sicuri relativi alla datazione della commedia, che rimane pertanto estremamente incerta381. Non c’ è nessun nome di poeta interamente leggibile; Ἀριστοφ- nella r. 87 / 4 può essere integrato Ἀριστοφ[άνης], ma anche Ἀριστοφ[ῶν], e rimandare quindi al IV sec. a. C. (vd. supra, Contesto). Il titolo alla r. 85 / 2 è anch’ esso troppo lacunoso per poter individuare con sufficiente certezza il nome dell’ autore; l’ integrazione di Mette 1977, 148, il quale identifica questa commedia con Homēros ē Askētai di Metagene, potrebbe far pensare a un dramma rappresentato negli anni della guerra del Peloponneso, ma è tutt’ altro che sicura (vd. supra, Contesto)382. Anche il riferimento agli Odomanti, che rimanderebbe al periodo storico della guerra archidamica, è frutto di congettura, dunque non può essere usato come elemento per la datazione383.
372
Cfr. “Envoys to the Odomantians” ( Henderson 2007, 311). Cfr. anche Gil 1989, 89 (= 1996, 173; 2010, 102). 374 Cfr. Thuc. 1, 96, 2; Antiphont. 5, 69; And. 3, 38. 375 Cfr. Pind. Ol. 3, 12; Paus. 5, 9, 5. 376 Cfr. IG I3 61, 36–7 (426 / 5 a. C.). 377 Cfr. Xen. Eq. 12, 3. 378 Cfr. Philocr. FGrHist 601 F 2 (= Athen. 6, 264a). 379 Cfr. Bagordo 2014b, 18–9. 380 Cfr. Pirrotta 2009, 259. 381 Vd. supra, Contesto. 382 Cfr. anche Orth 2014, 440. 383 Inoltre, difficilmente la commedia potrebbe essere inserita nel primo periodo della produzione aristofanea, la cui cronologia è abbastanza completa (vd. supra, n. 234). 373
92
Ὁλκάδες (Holkades) (“Navi onerarie”) Data
423 a. C. ?
Bibliografia Bergler–Duker, II (17602), 645; Dindorf 1829, 158 (~ 1830, 492; II [1835], 629; 1838, 494–5; 18695, 211); Fritzsche 1835, 116–20; Droysen, II (1837), 113–4; Mitchell 1835, 203; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1113–8; Bothe 1844, 117–9; Green 1868b, 106; Droysen, I (18692), 179; II (18692), 321; Wilamowitz 1870, 20–1; Rogers 1875, 156–7; Kock, I (1880), 495; Blaydes 1885, 212; Zieliński 1885, 42 n. 2 e 106; Zelle 1892, 23–5; Blaydes 1893, 377–8; van Leeuwen 1893, 115; Starkie 1897, 317; Merry 18982, II 73; van Leeuwen 19092, 163; Wilamowitz 1909, 453 (= 1962, 232); Capps 1911, 428–9; Wilamowitz 1911, 469–70 (= 1935, 294–5); Rostagni 1925, 169 n. 1 (= 1956, 70 n. 1); Murray 1933, 65 n. 1; Murphy 1938, 75; Schmid 1946, 191; Platnauer 1949, 7; Edmonds, I (1957), 687; Geißler 19692, 36–7; Gelzer 1970, 1408; MacDowell 1971, 267; Boruchowitsch 1973, 93–4; Sommerstein 1977, 271–2; Alpers 1978; Mastromarco 1983, 525; Sommerstein 1983, 217–8; PCG, III 2 (1984), 226–7; Perusino 1986, 52 n. 53; Mastromarco 1987b, 78; Gil 1989, 90 (= 1996, 174; 2010, 102–3); Hubbard 1991, 119; MacDowell 1995, 75; Mastromarco 19962, 52; Carrière 2000, 200 e 223–4; Totaro 20002, 185 e 194 n. 36; Imperio 2004, 293–5; Sonnino 2005, 213–20; Henderson 2007, 311–3 (~ 2011, 313); Sidwell 2009, 166–72; Pellegrino 2010, 82–6; Zimmermann 2011a, 767; Pellegrino 2015, 247; Ceccarelli 2017–18, 257 ss. Titolo È attestato dai Catalogi fab. Ar. (Catal. fab. Ar. pap. = test. i; Prol. de com. XXXa, p. 142, 16 Koster = test. ii) e dall’ arg. Ar. Pac. A 3, 29–31 Holwerda (= test. iii). Deriva probabilmente dal Coro, composto dalle navi mercantili che, prima della guerra del Peloponneso, portavano ad Atene merci di ogni sorta dalle colonie e dalle città alleate (vd. infra, commento ai frr. 427–31). Contenuto I frammenti superstiti, pur abbastanza consistenti, non consentono di ricostruire la trama della commedia né il sistema dei personaggi384. La personificazione delle navi sviluppa un motivo comico già in nuce in Ar. Eq. 1300–15, in cui il Corifeo riferisce un dialogo tra le navi da guerra (triremi) ateniesi, che rifiutano di essere comandate dall’“acido” (Eq. 1304) Iperbolo e di muovere guerra contro
384
Kock, I (1880), 495, suppone, soprattutto sulla base del fr. 415, che nella prima parte della commedia le accuse e le recriminazioni rispettivamente degli Ateniesi nei confronti degli Spartani e degli Spartani nei confronti degli Ateniesi fossero caricate sulle navi onerarie e quindi poste su una bilancia e ponderate; nella seconda parte, essendo state giudicate di eguale gravità le ingiustizie di entrambe le parti, veniva quindi stipulata una pace a condizioni eque. Tale ricostruzione (ripresa da Kann 1909, 23; Murray 1933, 65 n. 1) non appare tuttavia sufficientemente fondata sulle testimonianze e sui frammenti conservati.
Ὁλκάδες
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Cartagine385. Sulla base dei frr. 427–31, attribuiti alla parabasi della commedia (‘anapesti’)386 e contenenti un elenco di beni di consumo (cibarie e manufatti) che il Coro vantava di aver portato (o di continuare a portare) ad Atene da varie regioni del Mediterraneo, sembra probabile che tale sezione della commedia non trattasse temi personalistici387: cfr. Av. 685–722 e Thesm. 785–813, in cui “il corifeo parla […] come ‘maschera’ del coro” (Mastromarco 1983, 44)388. L’arg. Ar. Pac. A 3, 29–31 Holwerda (= test. iii), inserisce le Holkades nel gruppo delle commedie ‘pacifiste’ appartenenti al periodo della guerra archidamica (vd. infra, p. 97), insieme agli Acarnesi, ai Cavalieri e alla Pace stessa. Se è corretta la datazione della commedia al 423 a. C. (per la quale vd. infra, pp. 95–6), nell’ estate precedente gli Ateniesi erano sbarcati a Citera (Thuc. 4, 53–7), assestando a Sparta un altro grave colpo dopo l’ occupazione di Pilo da parte dello stratega Demostene (cfr. Thuc. 4, 3–23), con il blocco di circa cinquecento opliti spartani nell’ antistante isola di Sfacteria (cfr. Thuc. 4, 26–39), nel 425 a. C.; tuttavia, nella medesima estate del 424, il generale spartano Brasida costringe gli Ateniesi, che avevano occupato Nisea (Thuc. 4, 69), ad abbandonare il tentativo di impadronirsi anche di Megara (Thuc. 4, 70–4) e, nell’ inverno 424 / 3, conquista Anfipoli, nella penisola Calcidica (Thuc. 4, 102–8), di grandissima importanza strategica per Atene. Questa sconfitta, insieme alla vittoria beotica sugli Ateniesi a Delio (cfr. Thuc. 4, 90–101) nel medesimo inverno, portò a una tregua di un anno tra le due potenze nemiche, stipulata nella primavera del 423 a. C. (Thuc. 4, 117–9). Le Holkades, il cui fr. 415 sembra contenere un dialogo amichevole tra un Ateniese e uno Spartano389, potrebbero allora riflettere un desiderio di pace diffuso nella popolazione ateniese in seguito agli eventi bellici sfavorevoli dei mesi precedenti. Probabilmente nella commedia l’ impegno pacifista era unito al motivo gastronomico (caratteristico anche delle Nēsoi)390: vd. in particolare i frr. 427–31, collocabili nella parabasi (anapesti)391. La prosperità di cui la città godeva prima della guerra doveva essere connotata comicamente con elementi propri del filone comico della ‘Cuccagna’ (per il quale vd. supra, n. 227)392. Tali elementi erano inseriti probabilmente in un dramma di carattere politico, contenente una riflessione critica nei confronti dell’ imperialismo ateniese, come nei Babylōnioi (426 a. C.) o nelle Nēsoi stesse (per la datazione delle quali vd. supra, pp. 58–9). Il dominio sul mare di Atene non era solo di carattere politico e militare, ma 385
Cfr. Hubbard 1991, 34; Totaro 20002, 52 s.; Cuniberti 2015, 455–6. Vd. infra il commento relativo. 387 Cfr. Mastromarco 1987b, 78; Imperio 2004, 293–5. 388 Vd. infra, ad fr. 426. 389 Vd. infra il commento relativo. 390 Vd. in particolare il commento ai frr. 402, 405, 408. Per la poesia gastronomica greca cfr. Degani 1982; 1982–83; 1990; 1991. 391 Vd. infra il commento relativo. 392 Per la caratterizzazione dell’ Atene periclea come ‘paese di Cuccagna’ cfr. Ceccarelli 1996. 386
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era basato anche sull’ egemonia commerciale, per cui, grazie alla flotta, affluivano in città merci di ogni genere provenienti da tutto il Mediterraneo: cfr. ad es. la descrizione idealizzata di Atene da parte di Pericle nell’ Epitafio (Thuc. 2, 38, 2)393 e quella più ambigua e problematica della Costituzione degli Ateniesi attribuita a Senofonte (Ath. Pol. 2, 7)394. Il rapporto tra potere marittimo e abbondanza di beni è un motivo presente anche nella commedia coeva: cfr. ad es. Hermipp. fr. 63 (dai Phormophoroi)395, contenente un catalogo di merci esotiche pregiate che giungono ad Atene grazie alle navi396; Ar. fr. 581 (dalle Hōrai)397, in cui la città è rappresentata come una terra favolosa (Αἴγυπτον; cfr. Ar. fr. 581, 15), dove tutti i prodotti sono ugualmente disponibili in tutte le stagioni dell’ anno398. Anche in Ar.
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ἐπεσέρχεται δὲ διὰ μέγεθος τῆς πόλεως ἐκ πάσης γῆς τὰ πάντα, καὶ ξυμβαίνει ἡμῖν μηδὲν οἰκειοτέρᾳ τῇ ἀπολαύσει τὰ αὐτοῦ ἀγαθὰ γιγνόμενα καρποῦσθαι ἢ καὶ τὰ τῶν ἄλλων ἀνθρώπων. Cfr. anche, per una ripresa del motivo nel IV sec. a. C., Isocr. 4, 42 (ἐμπόριον γὰρ ἐν μέσῳ τῆς Ἑλλάδος τὸν Πειραιᾶ κατεσκευάσατο, τοσαύτην ἔχονθ’ ὑπερβολήν, ὥσθ’ ἃ παρὰ τῶν ἄλλων ἓν παρ’ ἑκάστων χαλεπόν ἐστι λαβεῖν, ταῦθ’ ἅπαντα παρ’ αὐτῆς ῥᾴδιον εἶναι πορίσασθαι). 394 εἰ δὲ δεῖ καὶ σμικροτέρων μνησθῆναι, διὰ τὴν ἀρχὴν τῆς θαλάττης πρῶτον μὲν τρόπους εὐωχιῶν ἐξηῦρον ἐπιμισγόμενοι ἄλλῃ ἄλλοις· 〈ὥστε〉 (Zeune) ὅ τι ἐν Σικελίᾳ ἡδὺ ἢ ἐν Ἰταλίᾳ ἢ ἐν Κύπρῳ ἢ ἐν Αἰγύπτῳ ἢ ἐν Λυδίᾳ ἢ ἐν τῷ Πόντῳ ἢ ἐν Πελοππονήσῳ ἢ ἄλλοθί που, ταῦτα πάντα εἰς ἓν ἥθρισται διὰ τὴν ἀρχὴν τῆς θαλάττης. Cfr. anche Ath. Pol. 2, 11 (τὸν δὲ πλοῦτον μόνοι οἶοί τ᾿ εἰσὶν ἔχειν τῶν Ἑλλήνων καὶ τῶν βαρβάρων). Per l’ epoca di composizione di questo opuscolo (probabilmente posteriore alla morte di Pericle) vd. ad es. Canfora 1982, 9–10; Canfora–Corcella 1992, 460–1; per la riflessione critica dell’ autore anonimo sulla disponibilità di beni di lusso grazie all’ egemonia ateniese cfr. Braund 1994. 395 ἔσπετε νῦν μοι, Μοῦσαι Ὀλύμπια δώματ᾿ ἔχουσαι, | ἐξ οὗ ναυκλερεῖ Διόνυσος ἐπ᾿ οἴνοπα πόντον, | ὅσσ᾿ ἀγαθ᾿ ἀνθρώποις δεῦρ᾿ ἤγαγε νηὶ μελαίνῃ. | ἐκ μὲν Κυρήνης καυλὸν καὶ δέρμα βόειον, | ἐκ δ᾿ Ἑλλησπόντου σκόμβους καὶ πάντα ταρίχη, | ἐκ δ᾿ αὖ Θετταλίας χόνδρον καὶ πλευρὰ βόεια· | […]. 396 Per un commento puntuale cfr. Gilula 2000; Pellegrino 2000, 195–225; Olson 2007, 158–63; Sofia 2007, 143–5; Bertolín Cebrián 2008, 48–52; Gkaras 2008, 125–48; Beta 2009, 122–3; Comentale 2017, 249–75. La commedia di Ermippo è datata tra il 427 e il 426–425 a. C. (terminus post quem la morte di Sitalce, re di Tracia, nel 424 a. C.); cfr. ad es. PCG, V (1986), 590; Ceccarelli 1996, 149 n. 108; Gilula 2000, 77 ss.; Gkaras 2008, 123; Comentale 2017, 243. 397 (A.) ὄψει δὲ χειμῶνος μέσου σικυούς, βότρυς, ὀπώραν, | στεφάνους ἴων 〈(B.) οἶμαι δὲ καὶ〉 κονιορτὸν ἐκτυφλοῦντα. | (A.) αὑτὸς δ᾿ ἀνὴρ πωλεῖ κίχλας, ἀπίους, σχαδόνας, ἐλάας, | πυόν, χόρια, χελιδόνας, τέττιγας, ἐμβρύεια. | ὑρίσους δ᾿ ἴδοις ἂν νειφομένους σύκων ὁμοῦ τε μύρτων. |(B.) ἔπειτα κολοκύντας ὁμοῦ ταῖς γογγυλίσιν ἀροῦσιν, | ὥστ᾿ οὐκέτ᾿ οὐδεὶς οἶδ᾿ ὁπηνίκ᾿ ἐστι τοὐνιαυτοῦ; | […]. 398 Per un commento puntuale cfr. Pellegrino 2000, 173–93; Olson 2007, 105–7; Bagordo 2020, 193–202. La commedia, pur di datazione incerta, appartiene al secondo periodo della produzione aristofanea, essendo collocabile tra il 420 e il 400 a. C.; cfr. ad es. PCG, III 2 (1984), 296; Ceccarelli 1996, 151; Bagordo 2020, 184.
Ὁλκάδες
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Vesp. 673–7399 la prosperità di Atene è posta in relazione con la talassocrazia, nelle parole con cui Bdelicleone, nell’ agone, dimostra al padre Filocleone le mistificazioni dei governanti nei confronti del popolo, a cui sono lasciate solo le briciole delle ricchezze provenienti dalle città alleate. Se le Holkades sono da identificare con la commedia rappresentata l’ anno precedente (πέρυσιν) a cui si allude in Ar. Vesp. 1038400, non è improbabile che in essa svolgessero un ruolo sicofanti esperti nell’ arte della parola401, indicati metaforicamente in Vesp. 1037–42 (= test. *iv) con l’ immagine dei “brividi” (ἠπίαλοι) e delle “febbri” (πυρετοί)402, “che di notte soffocano i padri e strozzano i nonni” (tr. Mastromarco 1983), e scagliano citazioni giudiziarie contro i cittadini non impegnati politicamente (ἀπράγμονες)403. In questo caso proprio il tema giudiziario che caratterizza le Vespe ci può far intuire il possibile elemento di collegamento tra attacco ai sicofanti e riflessione sull’ imperialismo ateniese404. Bergk (seguito da Bothe 1844, 119; Hall–Geldart, II [19072], 298) attribuisce alle Holkades anche i frr. 610 (ap. Meineke, II 2 [1840], 1118–9)405 e 644 (ap. Meineke, II 2 [1840], 1196–7)406. Kassel e Austin attribuiscono dubitativamente alla commedia anche il fr. 866 (PCG, III 2 [1984], 401)407. Vd. inoltre infra, ad fr. 446 (p. 171). Datazione Non abbiamo documenti che consentano di fissare con certezza la datazione della commedia. Sulla base dell’ arg. Ar. Pac. A 3, 29–31 Holwerda (= test. iii), sembra che le Holkades appartenessero al primo periodo della produzione aristofanea (427–21 a. C.)408 e siano state rappresentate dopo i Cavalieri (Lenee 424 a. C.) e prima della Pace (Dionisie 421 a. C.). Sulla base di Ar. Vesp. 1037–42 (= test. *iv) la commedia potrebbe essere datata con più precisione alle Lenee del 423 a. C., se la si identifica con quella rappresentata “l’ anno precedente” (πέρυσιν;
399
οἱ δὲ ξύμμαχοι, ὡς ᾔσθηνται τὸν μὲν σύρφακα τὸν ἄλλον | ἐκ κηθαρίου λαγαριζόμενον καὶ τραγαλίζοντα τὸ μηδέν, | σὲ μὲν ἡγοῦνται Κόννου ψῆφον, τούτοισι δὲ δωροφοροῦσιν | ὕρχας, οἶνον, δάπιδας, τυρόν, μέλι, σήσαμα, προσκεφάλαια, | φιάλας, χλανίδας, στεφάνους, ὄρμους, ἐκπώματα, πλουθυγιείαν. 400 Per la vexata quaestio vd. infra, ad test. *iv. 401 Vd. infra, ad frr. 416, 424 e 443. 402 Vd. infra, ad test. *iv. 403 Per la condizione di ἀπραγμοσύνη nell’ Atene classica vd. infra, ad test. *iv. 404 Cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1113 ss., per il quale nelle Holkades i sicofanti avrebbero messo in opera false accuse nei confronti di innocui anziani, rei di beneficiare delle distribuzioni di grano senza essere cittadini ateniesi; Taillardat 19652, 425; più recentemente Pellegrino 2010, 82–6, e 2015, 274, per il quale il ruolo dei sicofanti in questa commedia sarebbe da collegare alle loro denunce delle violazioni delle leggi riguardanti l’ importazione e l’ esportazione delle merci (cfr. anche Loscalzo 2012, 36). 405 Cfr. Bagordo 2016, 112. 406 Cfr. Bagordo 2016, 191. 407 Cfr. Pellegrino 2015, 456; Bagordo 2018, 58. 408 Vd. infra, ad test. iii.
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Vesp. 1038), contenente l’ attacco ai “brividi” e alle “febbri” (Vesp. 1038)409. Tale identificazione non è tuttavia certa (vd. infra, ad test. *iv). Zieliński (1885, 106 n. 2) e Zelle (1892, 25), per i quali alle Lenee del 423 furono rappresentati i Geōrgoi (vd. infra, n. 425), propongono pertanto una data alta, alle Dionisie del 425 a. C.410 o addirittura alle Lenee del 426 a. C.411. Improbabile la data bassa alle Lenee del 421 a. C. (Zelle 1892, 25)412 o alle Dionisie del 422 a. C. (Braund 1994, 45), alle quali Aristofane probabilmente non poté concorrere, perché sconfitto con le Nuvole l’ anno precedente413. Nei frammenti conservati non ci sono indizi determinanti per la datazione: i riferimenti all’ intricata e gravosa situazione bellica tra Sparta e Atene (fr. 415)414, nonché ai kōmōidoumenoi Stratone (fr. 422) ed Evatlo (fr. 424), bersagli polemici nelle prime commedie aristofanee (vd. infra il commento relativo), sono compatibili con una rappresentazione nel 423 a. C.
test. i K.-A. (= Ar. test. 2c 14 K.-A.) Catal. fab. Ar. pap. = P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 2, col. I 14 Ὁλκ]άδες Holk]ades (“Navi onerarie”)
Contesto Catalogo papiraceo (II sec. d. C.) dei titoli delle commedie di Aristofane.
test. ii K.-A. (= Ar. test. 2a 20 K.-A.) Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 16 Koster Ὁλκάδες Holkades (“Navi onerarie”)
Bibliografia
Vd. supra, ad Ar. Nēs. test. i.
Contesto Catalogo alfabetico manoscritto dei titoli delle commedie di Aristofane. 409
Sono a favore della datazione delle Holkades alle Lenee del 423 a. C.: Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1113 ss.; Wilamowitz 1870, 20 n. 26; Kaibel 1895, 976; Murray 1933, 65 n. 1; Schmid 1946, 191; Platnauer 1949; Geißler 19692, 36–7; Gelzer 1970, 1408; Sommerstein 1977, 271–2; Mastromarco 1983, 54; Gil 1989, 90 (= 1996, 174; 2010, 102); MacDowell 1995, 75; Mastromarco 19962, 52; Carrière 2000, 200; Imperio 2004, 293; Zimmermann 2011a, 767; Biles–Olson 2015, 390; Ceccarelli 2017–18, 258–63. 410 Zieliński 1885, 106 n. 2; Zelle 1892, 25. 411 Zelle 1892, 25. 412 Cfr. Mastromarco 19962, 56–7. 413 Cfr. Mastromarco 1978 per la “norma” che impediva allo sconfitto dell’anno precedente di partecipare nuovamente agli agoni dionisiaci l’ anno successivo (vd. infra, p. 257). 414 Cfr. anche il fr. 420.
Ὁλκάδες (test. iii)
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test. iii K.-A. Arg. Ar. Pac. (V) A 3, 29–31 Holwerda οὐ τοῦτο δὲ μόνον ὑπὲρ εἰρήνης Ἀριστοφάνης τὸ δρᾶμα καθῆκεν, ἀλλὰ καὶ τοὺς Ἀχαρνεῖς καὶ τοὺς Ἱππέας καὶ Ὁλκάδας· καὶ πανταχοῦ τοῦτο ἐσπούδακε τόν τε Κλέωνα κωμῳδῶν τὸν ἀντιλέγοντα καὶ Λάμαχον τὸν φιλοπόλεμον ἀεὶ διαβάλλων. καθῆκεν Dindorf: τέθεικεν V
τε Blaydes: δὲ V
Aristofane non mise in scena solo questo dramma sulla pace, ma anche gli Acarnesi e i Cavalieri e le Holkades; e dappertutto si è dimostrato impegnato a favore di essa, sia prendendo in giro Cleone, che sosteneva la causa contraria, sia screditando sempre Lamaco, amante della guerra.
Bibliografia Dindorf 18695, 67; Blaydes 1883, 4; Edmonds, I (1957), 686–7; Gelzer 1970, 1408; Henderson 2007, 312–3 (~ 2011, 313). Contesto Argomento alla Pace di Aristofane, rappresentata alle Dionisie del 421 a. C. Interpretazione L’ arg. Ar. Pac. A 3, 29–31 Holwerda, inserisce le Holkades nel gruppo delle commedie ‘pacifiste’ appartenenti al periodo della guerra archidamica (primo periodo della produzione aristofanea)415, mettendo in successione Acarnesi, Cavalieri e Holkades, probabilmente in ordine cronologico416 (vd. supra, Datazione). Nei frammenti conservati non abbiamo tuttavia elementi che testimonino in modo incontrovertibile la polemica anticleoniana, come nei Cavalieri417, o l’ attacco a Lamaco, come negli Acarnesi.
test. *iv K.-A. Ar. Vesp. 1037–42
1040
415
φησίν τε μετ᾿ αὐτοῦ τοῖς ἠπιάλοις ἐπιχειρῆσαι πέρυσιν καὶ τοῖς πυρετοῖσιν, οἳ τοὺς πατέρας τ᾿ ἦγχον νύκτωρ καὶ τοὺς πάππους ἀπέπνιγον, κατακλινόμενοί τ᾿ ἐπὶ ταῖς κοίταις ἐπὶ τοῖσιν ἀπράγμοσιν ὑμῶν ἀντωμοσίας καὶ προσκλήσεις καὶ μαρτυρίας συνεκόλλων, ὥστ᾿ ἀναπηδᾶν δειμαίνοντας πολλοὺς ὡς τὸν πολέμαρχον.
Tra le commedie incentrate sul tema della pace non è considerata ad es. la Lisistrata (411 a. C.). 416 Cfr. Gelzer 1970, 1408; più difficile pensare a un ordine alfabetico, come fa Zieliński 1885, 106 n. 2. 417 Cfr. il commento al fr. 416. Se le Holkades sono la commedia a cui si allude in Ar. Vesp. 1037 ss., l’ attacco a Cleone poteva essere unito a quello contro i sicofanti (vd. supra, n. 404).
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Aristophanes E (Aristofane) dice che, insieme a lui (Cleone), attaccò, l’ anno scorso, i brividi e le febbri che, di notte, strangolavano i padri e strozzavano i nonni, e, incombendo sui letti, mettevano insieme dichiarazioni giurate, citazioni in giudizio e testimonianze contro quelli tra voi che non si occupano di politica; e così molti, spaventati, balzavano su e correvano dal polemarco.
Bibliografia Bergler–Duker, II (17602), 645; Fritzsche 1835, 116–20; Droysen, II (1837), 113–4; Mitchell 1835, 203; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1113 ss.; Green 1868b, 106; Droysen, I (18692), 179; II (18692), 321; Wilamowitz 1870, 20–1; Rogers 1875, 156–7; Kock, I (1880), 495; Zieliński 1885, 42 n. 2 e 106; Zelle 1892, 23–5; Blaydes 1893, 377–8; van Leeuwen 1893, 115; Kaibel 1895, 976; Starkie 1897, 317; Merry 18982, II 73; van Leeuwen 19092, 163; Wilamowitz 1909, 453 (= 1962, 232); Capps 1911, 428–9; Wilamowitz 1911, 469–70 (= 1935, 294–5); Willems, I (1919), 569–71; Rostagni 1925, 169 n. 1 (= 1956, 70 n. 1); Murray 1933, 65 n. 1; Murphy 1938, 75; Schmid 1946, 191; Platnauer 1949, 7; Geißler 19692, 36–7; Gelzer 1970, 1408; MacDowell 1971, 267–8; Boruchowitsch 1973, 93–4; Sommerstein 1977, 271–2; Mastromarco 1983, 525; Sommerstein 1983, 217–8; PCG, III 2 (1984), 296; Gil 1989, 90 (= 1996, 174; 2010, 102); Hubbard 1991, 119; MacDowell 1995, 75; Mastromarco 19962, 52; Carrière 2000, 200; Totaro 20002, 185; Butrica 2001, 44–51; Imperio 2004, 293; Sonnino 2005, 213–20; Sidwell 2009, 166–72; Henderson 2007, 312–3 (~ 2011, 314); Pellegrino 2010, 84 n. 27; Zimmermann 2011a, 767; Pellegrino 2015, 247; Ceccarelli 2017–18, 258–61. Contesto Nella parabasi (anapesti) delle Vespe (Lenee del 422 a. C.), Aristofane, per bocca del Corifeo, rimprovera gli spettatori, di avergli fatto torto (vv. 1015–7), alludendo all’ insuccesso delle Nuvole prime alle Dionisie dell’ anno precedente (cfr. i vv. 1043–50). Presenta quindi una ricostruzione della sua carriera teatrale, dall’‘esordio segreto’418 ai Cavalieri (Lenee del 424 a. C.), che segnarono l’ inizio dell’ attività registica del poeta419. Aristofane si presenta, attraverso un metafora, come un ‘novello Eracle’, che ha attaccato coraggiosamente “mostri immani” (cfr. Ar. Vesp. 1030) – tra cui in particolare Cleone, “la belva dai denti aguzzi” (Ar. Vesp. 1031 ss.) – e ancora combatte a favore del popolo (Ar. Vesp. 1037)420. Ai 418
Il periodo anteriore alla rappresentazione dei Daitalēs (427 a. C.), in cui il giovane Aristofane “collaborò segretamente alla stesura di commedie di altri poeti” (Mastromarco 1983, 47) per Mastromarco 1979; 1983, 45–9; 19962, 40–3; Halliwell 1980; il periodo compreso tra il 427 e il 425 a. C., in cui Aristofane “affidò ad uno o più registi la messa in scena delle sue prime commedie” (Mastromarco 19962, 42–3), secondo l’ opinione generalmente accolta a partire da Zacher 1890 (cfr. ad es. MacDowell 1971, 124; 263–4; 1982). 419 Cfr. ad es. Mastromarco 1983, 45 ss.; 19962, 41 ss. 420 Una ripresa quasi letterale di Ar. Vesp. 1030–7 in Ar. Pac. 752–60 ha fatto pensare ad alcuni studiosi che questi versi siano stati inseriti nelle Vespe in una seconda redazione, dopo la morte di Cleone (ma cfr. Ar. Nub. 549–50; vd. supra, p. 34): cfr. Hamaker 1854, 241–56; Müller-Strübing 1873, 170–1; van Leeuwen 1888, 267 n. 3; 413–4; Hembold
Ὁλκάδες (test. *iv)
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Cavalieri aveva fatto seguito, l’ anno precedente alla rappresentazione delle Vespe, la commedia, di incerta identificazione (vd. infra, Interpretazione), contenente l’ attacco ai “brividi” e alle “febbri” (Ar. Vesp. 1038–42; vd. infra, Interpretazione). Segue quindi il rimprovero agli spettatori, colpevoli di non aver compreso la novità delle Nuvole prime (Ar. Vesp. 1043–50), la più bella delle sue commedie (cfr. Ar. Vesp. 1047), e l’ invito, nello pnigos (Ar. Vesp. 1051–9), a onorare i poeti che cercano di dire qualcosa di nuovo, conservandone con cura i pensieri. Testo Il tràdito μετ᾿ αὐτοῦ (v. 1037), che indica l’ attacco a Cleone insieme a quello ai “brividi” e alle “febbri” (cfr. Mac Dowell 1971, 267), è conservato, tra gli editori moderni, da Mitchell 1835, 203; Green 1868b, 106; Rogers 1875, 156; Bergk, I (18672), 217; Merry 18982, I 43; Rogers, I (1924), 506; Rostagni 1925, 169 n. 1 (= 1956, 70 n. 1); MacDowell 1971, 98; Henderson 1998b, 356; correggono invece μετ᾿ αὐτόν (“dopo di lui”), seguendo Bentley, Blaydes 1893, 125; van Leeuwen 1893, 115 (= 19092, 162); Starkie 1897, 66; Hall–Geldart, I (19062), 208; Coulon, II (1924), 62; Wilson, I (2007), 254; Biles–Olson 2015, 48. Interpretazione La commedia rappresentata l’ anno prima delle Vespe e contenente l’ attacco ai “brividi” e alle “febbri” (vd. infra) è stata identificata con le Holkades, che sarebbero quindi da datare alle Lenee del 423 a. C.421. Tale identificazione non è tuttavia certa422, dal momento che, sulla scorta dello schol. Ar. Vesp. 1038c (= Neph. test. *x)423, per molti studiosi424 in questo passo il poeta farebbe
1890, 9; van Leeuwen 1893, 113–4 (=19092, 162); Starkie 1897, 314. Ritengono invece che questi versi siano stati ripresi con poche varianti nella Pace Wilamowitz 1911, 471 (= 1935, 297); Crosby 1913, XXI; Platnauer 1964, 132; Mastromarco 1974, 14 n. 13; Hubbard 1991, 148–50; Olson 1998, 220–1. 421 Vd. supra, n. 409. 422 Cfr. Kock, I (1880), 495; MacDowell 1971, 267; Sommerstein 1983, 217–8; PCG, III 2 (1984), 296; Totaro 20002, 185; Pellegrino 2010, 84 n. 27; 2015, 247. 423 Vd. supra, p. 38. Cfr. anche gli scholl. Ar. Vesp. 1037 (ἀντὶ τοῦ Κλέωνος· οὐχ ἅμα δὲ ἐκωμῴδησεν ἐκεῖ 〈αὐτόν〉 (Koster), λέγω ἐν ταῖς Νεφέλαις. ἠπιάλους δὲ τοὺς φιλοσόφους φησίν· […]); 1039a (οἳ τοὺς πατέρας· τοῦτο πρὸς τὸν †ὑπ᾿† αὐτῶν ἥττονα λόγον, ᾧ πατραλοίας χρώμενος εἰσάγεται ἐν Νεφέλαις [VΓ] / τὸ δὲ τοὺς πατέρας ἦγχον λέγει διὰ τὸν ὑπ᾿ αὐτοῦ, ὥς φησιν, πέρυσιν εἰσαχθέντα ἐν Νεφέλαις τύπτοντα τὸν πατέρα αὐτοῦ [LhAld]), per il quale i “padri soffocati” (cfr. Ar. Vesp. 1039) alluderebbero alle percosse di Fidippide al padre nelle Nuvole; più generico lo schol. Ar. Vesp. 1038b (τοὺς βλάπτοντας τὴν πόλιν λέγει ἠπιάλους καὶ πυρετούς· […]. ὥσπερ οὖν οὗτοι βλάπτουσι τὰ σώματα, οὕτω καὶ οὗτοι τὴν πόλιν). 424 Identificano la commedia a cui il poeta allude in Vesp. 1038 con le Nuvole: Bergler– Duker 17602, 645; Fritzsche 1835, 116–20; Droysen, II (1837), 113–4; Mitchell 1835, 203; Green 1868b, 106; Rogers 1875, 156–7; Blaydes 1893, 377–8; van Leeuwen 1893, 115; Droysen, I (18692), 179; II (18692), 321; Merry 18982, II 73; van Leeuwen 19092, 163; Wilamowitz 1909, 453 (= 1962, 232); Wilamowitz 1911, 469–70 (= 1935, 294–5); Rostagni 1925, 169 n. 1 (= 1956, 70 n. 1); Murphy 1938, 75; Hubbard 1991, 119; Sonnino 2005, 213–20; Sidwell 2009, 166–72.
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riferimento solo a una commedia del 423 a. C., cioè alle Nuvole, delle quali si menzionerebbe prima il bersaglio polemico (Vesp. 1037–42) e poi l’ insuccesso (Vesp. 1043 ss.). Altri identificano invece la commedia rappresentata l’ anno precedente con i Geōrgoi425 o con una prima redazione delle Vespe stesse426. Recentemente Butrica 2001, 44–51, ha proposto addirittura l’ identificazione della commedia portata in scena alle Lenee del 423 a. C. con le Tesmoforiazuse frammentarie (dunque non seconde ma prime), sulla base del fr. 346, 1 (ἅμα δ᾿ ἠπίαλος πυρετοῦ πρόδρομος), che per lo studioso farebbe riferimento agli stessi personaggi a cui si allude metaforicamente in Vesp. 1038427. 1038 τοῖς ἠπιάλοις […] καὶ τοῖς πυρετοῖσιν I “brividi” (ἠπίαλοι) e le “febbri” (πυρετοί) indicano metaforicamente sicofanti esperti nell’ arte della parola (cfr. Vita Ar. XXVIII, p. 134, 33–5 Koster = Ar. test. 1, 29–31 K.-A.: φασὶ δὲ αὐτὸν εὐδοκιμῆσαι συκοφάντας καταλύσαντα· οὓς ὠμόμασεν ἠπιάλους ἐν Σφηξίν, ἐν οἷς φησιν· [v. 1039]), i quali, come incubi notturni, colpiscono con i loro atti di accusa maturi cittadini non impegnati politicamente (ἀπράγμονες, v. 1040). 1040 ἐπὶ τοῖσιν ἀπράγμοσιν Per la condizione del cittadino che non si occupa attivamente di politica (ἀπραγμοσύνη) e l’ ideale della tranquillità (ἡσυχία) nell’ Atene classica cfr. Hansen 1983, 43–4; Carter 1986; Demont 1990; La Malfa 1997. Anche in Ar. Pl. 913 ss. il modello di vita incarnato dal Sicofante, basato sull’‘attivismo’ in ambito giudiziario (πολυπραγμοσύνη; cfr. Pl. 913), si contrappone all’ ἡσυχία (cfr. Pl. 921); cfr. il commento di Torchio 1998–99, ad loc.; 2001a, 213–5. 1042 ὡς τὸν πολέμαρχον Il riferimento all’ arconte polemarco, che si occupava delle cause di diritto privato riguardanti persone prive della cittadinanza ateniese (meteci, isoteli e prosseni: cfr. Arist. Ath. Pol. 58, 2)428, sembra indicare che numerosi sicofanti fossero meteci (cfr. ad es. MacDowell 1971, 268; Mastromarco 1983, 525) o comunque si rivelassero stranieri (cfr. Biles–Olson 2015, 392)429.
425
Zieliński 1885, 42 n. 3; Zelle 1892, 24–5; Starkie 1897, 317; Capps 1911, 428–9 n. 3 (dubitativamente); Willems, I (1919), 569–71. Per la datazione dei Geōrgoi vd. ad fr. 402, n. 263. 426 Boruchowitsch 1973, 93–4. 427 Contro questa ricostruzione vd. Austin–Olson 2004, LXXXIV–LXXXVII; per la datazione delle seconde Tesmoforiazuse (probabilmente posteriori al 407–406 a. C.) cfr. Torchio 1999, 102–3. 428 Cfr. MacDowell 1978, 221–4; Harrison 2001, 9–11. 429 Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 226–7) pensa invece a cause relative al diritto di cittadinanza intentate in occasione di una distribuzione di grano proveniente dall’ Eubea nel 424 / 3 a. C. (cfr. Ar. Vesp. 715–18 e lo schol. Ar. Vesp. 718a, 6–8 [= Philoch. FGrHist 328 F 130]).
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fr. 415 K.-A. (400 K.) βαβαί, Λάκων· ὡς ἀμφοτέρων ἡμῶν ἄρ᾿ ἦν τὰ πράγματ᾿ οἰσυπηρὰ καὶ βαρύσταθμα 1 βαβαί, Λάκων Miller: βαβελάκων AB ἡμῶν Wilamowitz: ὑμῶν AB Kaibel: ἅρη (sic legit Consbruch) vel ἄρη A: άρη B
ἄρ᾿ ἦν
Ohibò, Spartano! Come di noi due è dunque sucida e pesante la situazione! Et. gen. AB (cfr. Et. magn. p. 619, 12–7) οἰσυπηρά, οἷον (οἰσ. οἷον om. B) οἰσυπηρὰ ἔρια· τὰ ῥυπαρά, καὶ οἴσυπον λέγομεν. ἀλλ᾿ Ἀριστοφάνης ἐν Λυσιστράτῃ (574–6) οἰσπώτην εἴρηκεν· πρῶτον μὲν ἐχρῆν ὥσπερ πόκον ἐν βαλανείῳ | ἐκπλύναντα τὴν οἰσπώτην ἐκ τῆς πόλεως […] ἀπολῦσαι (ἀπολέξαι Ar. cod. Γ, ἀπολέσαι cod. R). οὐκ εὖ δὲ τὸ μαρτύριόν τινες παρατίθενται. ἔστι γὰρ οἰσπώτη τὸ τοῦ προβάτου διαχώρημα. ἐν δὲ Ὁλκάσι βαβαί ― βαρύσταθμα. ἔστιν οὖν οἴσυπος οἴσρυπος, οἰὸς ῥύπος, καὶ ὡς οἶνος οἰνηρός, ὁμὸς ὅμηρος, οὕτως οἴσυπος οἰσυπηρός. Ὦρος (fr. B 118 Alp.). Oisypēra, come “lana non lavata (oisypēra)”; la lana sucida, la chiamiamo anche oisypon. Ma Aristofane nella Lisistrata (574–6) ha detto oispōtē: “in primo luogo, come per i bioccoli di lana, lavandoli in un bagno (in acqua abbondante), togliere il sucidume dalla città”. Alcuni, però, non citano bene la testimonianza. Infatti oispōtē è la sporcizia (della lana) della pecora. Nelle Holkades “ohibò ― situazione!”. Dunque oisypos corrisponde a oisrypos, “sucidume di pecora”, e come (da) oinos (“vino”) oinēros (“vinoso”), (da) homos (“simile”) homēros (“ostaggio”), così (da) oisypos (“sucidume”) oisypēros (“sucido”). Oros (fr. B 118 Alp.).
Metro
Trimetri giambici
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Bibliografia Miller 1868, 225; Dindorf 18695, praef. XIV; Wilamowitz 1870, 20–21; Kock, I (1880), 495–6; Edmonds, I (1957), 686–7; Alpers 1978; PCG, III 2 (1984), 227; Gil 1989, 90 (= 1996, 174; 2010, 102–3); Carrière 2000, 224; Henderson 2007, 314–5 (~ 2011, 314); Pellegrino 2015, 247–8; Ceccarelli 2017–18, 278–84. Contesto della citazione L’ Etymologicum genuinum (per il quale vd. supra, p. 73) riporta il frammento nel lemma relativo all’ aggettivo οἰσυπηρά (neutro plurale, ‘sucido’), usato nel sintagma οἰσυπηρὰ ἔρια per la lana non ancora lavata dopo la tosatura (cfr. Ar. Ach. 1177) e collegato etimologicamente al nome οἴσυπος (‘lana sucida’), dal cui tema deriva, come οἰνηρός da οἶνος430 e ὅμηρος da ὁμός431. Il 430 431
Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. οἶνος. Probabilmente ὅμηρος (‘ostaggio’) è un composto di ὁμο- (ὁμοῦ) e della radice ἀρ(ἀραρίσκω): cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v.
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Aristophanes
lemma riporta anche Ar. Lys. 574–6 per l’ uso del nome οἰσπώτη (‘grasso della lana di pecora’)432, il quale esempio però, per il compilatore dell’ enciclopedia lessicale, è addotto non correttamente, perché οἰσπώτη non è perfettamente sinonimo di οἴσυπος433. Una versione abbreviata del lemma, che non riporta il fr. 415, è presente in Et. magn. p. 619, 12–7434. La fonte è il lessicografo atticista Oros (fr. B 118 Alp.), del V sec. d. C. (citato in fondo al lemma dal compilatore dell’ Etymologicum genuinum), che probabilmente aveva a sua volta utilizzato la Λέξις κωμική di Didimo (I sec. a. C. – I sec. d. C.): cfr. Hesych. ο 409 = Didym. fr. 8, p. 35 Schm. (οἰσπωτή· τῆς οἰὸς ὁ ῥύπος. ὁ δὲ Δίδυμος τὸν τῶν προβάτων… [Ar. Lys. 575])435. Testo Nel v. 1 il tràdito βαβελάκων è stato corretto da Miller 1868, 225 (che per primo ha pubblicato il frammento), in βαβαί, Λάκων, emendazione accolta dagli editori successivi, a partire da Kock, I (1880). Il tràdito ὑμῶν è stato corretto in ἡμῶν da Wilamowitz 1870, 20436. Alla fine del verso ἄρ᾿ ἦν è frutto della emendazione di G. Kaibel del tràdito ἄρη (A)437; cfr. ad es. Ar. Ran. 1195; Pl. 657 (per attestazioni in frase esclamativa introdotta da ὡς, vd. infra, ad loc.)438. Miller 1868, 225, leggeva erroneamente πρινή, corretto in πρίν ἦ〈ν〉 da Dindorf 18695, praef. XIV, seguito dagli editori precedenti Kassel e Austin439. Interpretazione I due versi trasmessi dall’ Etymologicum genuinum (AB) dovevano far parte di un dialogo tra due personaggi, un Ateniese (emittente) e uno Spartano (destinatario)440. Il parlante ha appena realizzato, con stupore misto a disgusto (vd. infra, ad v. 1), una situazione passata e ancora perdurante441, connotata come “sucida” (analogamente alla lana non ancora lavata dopo la tosatura) e “pesante”, cioè difficile da sopportare. Il confronto con Ar. Lys. 574 ss. (vd. supra, Contesto della citazione), in cui la protagonista spiega come intende procedere per sbrogliare l’ intricata situazione politica di Atene e arrivare alla pace, ci aiuta a comprendere l’ uso metaforico dell’ aggettivo οἰσυπερά (v. 2): Lisistrata proclama infatti l’ intenzione di fare come con la lana grezza, che deve essere lavata e car432
Cfr. Poll. 5, 91 (προβάτων [ sc. κόπρον λέγουσι] οἰσπώτην). Cfr. Chantraine, DELG, s. v. οἰσύπη (variante di οἴσυπος). 434 οἰσυπηρὰ ἔρια· τὰ ῥυπαρά. καὶ οἴσυπον λέγουσιν· ἀλλ᾿ Ἀριστοφάνης ἐν Λυσιστράτῃ (574–6) οἰσπώτην εἴρηκεν. οὐκ εὖ δὲ τὸ μαρτυρούμενον παρατίθεται· ἔστι γὰρ οἰσπώτη τὸ τοῦ προβάτου διαχώρημα. ἔστιν οὖν (ὡς οἶμαι) οἴσυπος, οἴσρυπος οἰὸς ῥύπος· καὶ ἐκ τούτου οἴσυπος, οἰσυπηρός. 435 Per οἰσπωτή variante di οἰσπώτη cfr. Beekes, EDG, s. v. 436 La correzione del pronome è accolta da tutti gli editori moderni del frammento, tranne Hall–Geldart, II (19072), 296, che mantengono ὑμῶν. 437 Consbruch era incerto se leggere ἄρη con lo spirito dolce o aspro; nel cod. B si legge άρη senza spirito (cfr. Alpers 1978, 40; PCG, III 2 [1984], 227). 438 Cfr. Alpers 1978, 40. 439 Kock, I (1880), 495; Hall–Geldart, II (19072), 390; Edmonds, I (1957), 686. 440 Cfr. Wilamowitz 1870, 21; Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 227; Kock, I (1880), 496; Gil 1989, 90 (= 1996, 174; 2010, 102); Pellegrino 2015, 247–8. 441 Per questo valore dell’ imperfetto con ἄρ(α) vd. infra, ad v.1. 433
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data, per eliminare dalla città la corruzione di chi usa le cariche pubbliche ed è favorevole alla guerra con Sparta per il proprio interesse442. Anche nel fr. 415 la situazione ‘sporca’ e gravosa può essere la guerra, che (se si accetta la correzione di Wilamowitz 1870, 20)443 coinvolge entrambi i personaggi dialoganti444. Che nel fr. 415 un Ateniese e uno Spartano parlino amichevolmente ha fatto pensare a una sorta di tregua fra i due445, forse sul tipo della ‘pace separata’ stipulata da Diceopoli con i Peloponnesiaci negli Acarnesi446. 1 βαβαί […] ὡς L’ interiezione βαβαί, propria della lingua colloquiale come la forma rafforzativa βαβαιάξ447, indica sorpresa e stupore, in alcuni casi misti a sdegno o disgusto e financo orrore448: cfr. ad es. Ar. Ach. 64; 806; 1141; Pac. 218; Av. 272; Lys. 1078; Plat. com. fr. 46, 9; Timocl. fr. 24, 2; Alex. fr. 209; Eur. Cycl. 156. Per il costrutto sintattico in cui l’ interiezione βαβαί (o βαβαιάξ) è seguita da un’ esclamazione con valore epesegetico introdotta da ὡς (o da οἷον), in cui il parlante esplicita la motivazione dell’ emozione, cfr. ad es. Ar. Ach. 806–7 (βαβαί· | οἷον ῥοθιάζουσ᾿, ὦ πολυτίμηθ᾿ Ἡράκλεις); Pac. 248–9 (βαβαί βαβαιάξ· ὡς μεγάλα καὶ δριμέα | τοῖσι Μεγαρεῦσιν ἐνέβαλεν τὰ κλαύματα); Plat. Lys. 218c; Phaedr. 236e; Alc. I 118b; 119c; Resp. 2, 361d; 5, 459b449. ὡς […] ἄρ᾿ ἦν Per ἄρα in una frase esclamativa introdotta da ὡς con l’ imperfetto di εἰμί, cfr. Ar. Vesp. 821; Pac. 819; Eccl. 764; Pher. fr. 1, 3; per ἄρα in posizione più distanziata rispetto a ὡς, cfr. Ar. Ach. 990; fr. 156, 11450; vd. inoltre Ar. Nub. 1474 (ὡς ἐμαινόμην ἄρα); Pl. 777 s. (ὦ τλήμων ἐγώ, | ὡς οὔτ’ ἐκεῖν᾿ ἄρ᾿ οὔτε ταῦτ᾿ ὀρθῶς ἔδρων)451. Per il significato idiomatico di ἄρα con l’ imperfetto, particolarmente di εἰμί, a indicare che avvenimenti già verificatisi, e perduranti ancora nel presente, sono stati appena compresi, cfr. Denniston 19542, 36–7. 2 οἰσυπερά Τermine tecnico della lingua attica legato alla lavorazione della lana: vd. ad es. Poll. 7, 28 (ἔρια οἰσυπηρὰ Ἀριστοφάνης [Ach. 1177]); Phryn. Praep. soph. p. 96, 21–3 (οἰσυπηρά [Ar. Ach. 1177]· δεῖ λέγειν τὰ ῥυπαρὰ καὶ ἄπλυτα ἔρια.
442
Cfr. Taillardat 19652, 394; Mastromarco, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 364–5. Vd. supra. 444 Per le intricate e alterne vicende belliche dell’ anno 424 / 3 a. C., vd. Contenuto, p. 93. Per Alpers 1978, 40, il riferimento potrebbe essere all’ occupazione di Pilo da parte dello stratega Demostene nel 425 a. C. e alla sconfitta degli Ateniesi a Delio nel 424 a. C., ma per Kassel e Austin “haec damna vix poterant ‘nunc demum cognosci’” (PCG, III 2 [1984], 227); Wilamowitz 1870, 21, accostando al fr. 415 i frr. 420, 422 e 424, pensa al danno portato a entrambe le città da strateghi guerrafondai e giovani retori corrotti. 445 Cfr. Wilamowitz 1870, 21; Carrière 2000, 224. 446 Cfr. Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 227. 447 Cfr. López Eire 1996, 90. 448 Cfr. Labiano Ilundain 2000, 105–18; vd. anche Olson 1998, 119 (ad Ar. Pac. 248); 2002, 275 (ad Ar. Ach. 806); 2007, 314 (ad Plat. com. fr. 46, 9). 449 Per questo costrutto in Platone cfr. Labiano Ilundain 2000, 115–6. 450 Per la posizione di ἄρα nella frase cfr. inoltre Denniston 19542, 41–2. 451 Cfr. PCG, III 2 [1984], 227. 443
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παρὰ τὸν οἴσυπον οἰσυπηρά, ὡς παρὰ τὸν ὄλισθον ὀλισθηρά); Moer. ο 38 Hansen (= p. 205, 23 Bekk.: οἰσυπηρὸν Ἀττικοί· ἔριον ῥυπαρὸν Ἕλληνες); cfr. Bluemner, I (19122), 107. βαρύσταθμα La sillaba –στα– rimane aperta e quindi breve (correptio Attica). L’ aggettivo è attestato in senso metaforico (in identica posizione metrica), nell’ ambito della critica letteraria, anche in Ar. Ran. 1397 (ἀλλ ἕτερον αὖ ζήτει τι τῶν βαρυστάθμων), in cui Dioniso invita Euripide a cercare un verso ‘pesante’ da mettere sulla bilancia per sconfiggere Eschilo; cfr. anche Canth. fr. 2 (βαρύσταθμον), in cui la mancanza del contesto non consente tuttavia di capire se l’ aggettivo fosse usato in senso proprio o figurato452; Arist. EN 6, 8, 1142a, 22; Plut. Lys. 17, 2.
fr. 416 K.-A. (410 K.) ἀδαχεῖ γὰρ αὐτοῦ τὸν ἄχορ᾿ ἐκλέγει τ᾿ ἀεὶ ἐκ τοῦ γενείου τὰς πολιὰς †τοῦ Διός† 1 τὸν om. Phot.1 ἄχορα Sud.: ἀχόρα Phot.1; Et. Sym. V: ἀχῶρα Synag. Β (corr. in ἀχόρα 2 Synag. Β ); Et. magn.: ἀχῶνα Et. magn. D: ἀθχῶρα Phot.2 ἐκλέγει τ᾿ ἀεί Phot.2; Sud.; Synag. Β2: ἐκλέγετ᾿ ἀεί Phot.1; Et. magn.: ἐκλέγεται Synag. Β1 2 τάς 〈γε〉 πολιὰς Bothe τοῦ Διός del. Bergk: αὐτοῦ Διός Austin: τουδί (sc. τοῦ Δήμου) Dobree: ὥσπερ Διός Blaydes
Gratta infatti la sua forfora e strappa sempre dal mento i peli bianchi †di Zeus† Phot. (z) α 3448 [Phot.1] = Synag. Β α 2610 (= Lex. Bachm. p. 176, 1–4) [Synag. Β1] = Et. magn. p. 182, 17–9 ἄχορα (ἀχόρα Phot. z; Et. Sym. V ap. Gaisford; ἀχῶρα Synag. Β)· ἀρσενικῶς (om. Synag. Β, sed in fine gl. add. ἀρσενικῶς δὲ λέγεται ὁ ἀχώρ) τὰ ἐν τῇ κεφαλῇ καὶ τῷ γενείῳ πίτυρα. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν (Ὁλκ. om. Et. magn.)· ἀδαχεῖ ― Διός (Ἀριστοφάνης ― Διός Phot. Sz; Ἀριστοφάνης Phot. z in marg.; τὰς ― Διός om. Et. magn.). achora: maschile, le scaglie di forfora sulla testa e sul mento. Aristofane nelle Holkades: “gratta ― Zeus”. Phot. (g z b) α 325 [Phot.2] = Sud. α 430 = Synag. Β α 314 (= Lex. Bachm. pp. 26, 26–27, 2) [Synag. Β2] ἀδαξῆσαι· τὸ κνῆσαι, οὐκ ἐν τῷ 〈ο〉 (Pierson, ad Moer. p. 41) ὀδαξῆσαι. καὶ ἀδαχεῖν· τὸ κνήθειν. ἀδαχεῖ ― ἀεί, Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν (ἐν ταῖς Ὁλκάσιν Synag. Β; om. Sud.) adaxēsai: “mettersi a grattare”, non odaxēsai (“sentire un prurito”) con la o. E adachein: “grattare”. “Gratta ― sempre”, Aristofane nelle Holkades.
452
Cfr. Bagordo, 2014a, 230.
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Trimetri giambici
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Bibliografia Dobree 1820, 44 (ad Ar. Pl. 361); Dindorf 1829, 160–1 (~ II [1835], 630–1; 1838, 496; 18695, 212); Fritzsche 1832, 6; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1120–1; Bothe 1844, 124; Kock, I (1880), 498; Blaydes 1885, 212–3; Edmonds, I (1957), 690–1; PCG, III 2 (1984), 228; Henderson 2007, 314–5 (~ 2011, 314); Pellegrino 2015, 248; Ceccarelli 2017–18, 285–90. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (α 3348), che utilizza probabilmente come fonte la Συναγωγὴ λέξεων χρησίμων (Synag. Β α 2610)453, cita il frammento come esempio dell’uso del nome ἄχορα (acc. masch. sing. di ἄχωρ, -ορος, ‘forfora’). Il lemma di Fozio è ripreso nell’ Etymologicum magnum (p. 182, 17–9)454. Il v. 1 è riportato anche in Phot. α 325 (= Sud. α 430; Synag. Β α 314), che spiega i verbi ἀδαξῆσαι, infinito aoristo con valore puntuale o ingressivo (“mettersi a grattare”), e ἀδαχεῖν, infinito presente con valore durativo (“grattare”), il quale ultimo tempo si trova appunto nel fr. 416, 1. Testo Nel v. 1 Phot. α 3448 omette l’ articolo τόν. La forma ἄχορα è trasmessa da Sud. α 430; varianti grafiche in Phot. α 3448 (= Et. Sym.V: ἀχόρα); Synag. Β α 2610 (= Et. magn. p. 182, 17: ἀχῶρα)455. Fritzsche 1832, 6, ipotizza che il θ aggiunto sopra la linea in Phot. α 325 (ἀθχῶρα) sia derivato da un ο interlineare inserito come correzione di ω456. La metrica evidenzia una corruzione nella parte finale del v. 2, che risulta anche incompleto (sembra mancare una sillaba). Bothe 1844, 124, propone l’ integrazione τὰς 〈γε〉 πολιάς; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1120, dubitativamente in nota πολιὰς 〈τὰς〉 τοῦ Διός, ma nel testo espunge τοῦ Διός, seguito da Kock, I (1880), 498, ed Edmonds, I (1957), 690. Il testo tràdito è tuttavia difeso da Bothe 1844, 124, sulla base del confronto con Ter. Phorm. 345 ([…] non tu hunc habeas plane praesentem deum?)457. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 228), come già Hall e Geldart (II [19072], 298) segnalano tra cruces la corruzione metrica, seguiti da Henderson 2007, 314; Austin propone tuttavia in apparato la correzione αὐτοῦ Διός sulla base del confronto con Soph. Ph. 392 e 484; OC 793. Precedenti proposte di correzione sono state avanzate da Dobree 1820, 44 (ad Ar. Pl. 361: τουδί, sc. τοῦ
453
Cfr. Theodoridis, I (1982), LXXII–LXXIII; Cunningham 2013, 13. Il nucleo originario di questo lessico, poi ampliato e rimaneggiato, è datato a ex. VIII – in. IX sec- d-C. (cfr. Dickey 2007, 102; Cunningham 2013, 13). 454 Per l’ Etymologicum magnum vd. supra, p. 73 n. 295. 455 Per la variante ἀχώρ, -ῶρος, vd. infra, Interpretazione. 456 Un’ analoga correzione di ἀχῶρα in ἄχορα in Synag. Β α 314. 457 “Iovem intelligas patronum adulatoris, cui ille pro deo seu rege est” (Bothe 1844, 124). Vd. infra Interpretazione.
106
Aristophanes
Δήμου), sulla base del confronto con Ar. Eq. 908 (per il quale vd. infra); Blaydes 1885, 213 (ὥσπερ Διός), seguito da Ceccarelli 2017–18, 285. Interpretazione Il parlante presenta un personaggio nell’ atto, a lui abituale (cfr. ἀεί, v. 1), di staccare la forfora e di strappare i peli bianchi dalla barba a qualcun altro, che è, per lui, pari al dio supremo, se si conserva il testo tràdito nella parte finale del v. 2 (vd. supra, Testo). Il gesto di strappare i peli bianchi dalla barba è caratteristico dell’ adulatore, come quello di togliere bioccoli di lana dal vestito o fili di paglia (ἄχυρον)458 dai capelli: cfr. Theophr. Char. 2, 3 ([…] ἀπὸ τοῦ ἱματίου ἀφελεῖν κροκύδα, καὶ ἐάν τι πρὸς τὸ τρίχωμα τῆς κεφαλῆς ὑπὸ πνεύματος προσενεχθῇ ἄχυρον, καρφολογῆσαι, καὶ ἐπιγελάσας δὲ εἰπεῖν· ὁρᾷς; ὅτι δυοῖν σοι ἡμερῶν οὐκ ἐντετύχηκα, πολιῶν ἔσχηκας τὸν πώγωνα μεστόν […])459; Ar. fr. 689 (†εἴ τις κολακεύει παρὼν καὶ τὰς κροκύδας ἀφαιρῶν). Bergk, ap. Meineke II 2 (1840), 1120–1, identifica questo personaggio con Cleone che blandisce il demo ateniese sulla base di Ar. Eq. 908 (ἐγὼ δὲ τὰς πολιάς γέ σοὐκλέγων νέον ποήσω), in cui il Paflagone (maschera comica di Cleone), in gara con il Salsicciaio per compiacere il vecchio Demo (il Popolo), dichiara che lo renderà di nuovo giovane strappandogli i peli bianchi dalla barba. In realtà, in nessuno dei testimoni che trasmettono il frammento si parla esplicitamente di Cleone come soggetto460; anche la testimonianza di Ar. Vesp. 1037 ss. (= test. *iv), secondo cui il poeta attaccò “insieme a Cleone” i “brividi” e le “febbri” nella commedia del 423 a. C. (vd. supra, ad loc.), non è sicuro sia da riferire alle Holkades (vd. supra, Datazione) e potrebbe comunque non indicare una concomitanza di obiettivi polemici nella stessa commedia461. 1 ἀδαχεῖ Per il verbo ἀδαχέω (ἀδαχάω) come sinonimo di κνήθω (‘grattare’), cfr. anche Theodoret. De spir. p. 15 Egenolff (ἀδαχεῖ· ἀντὶ τοῦ ἠρέμα κνήθει); Hesych. α 1007 (ἀδαξῆσαι· κνῆσαι); α 1020 (ἀδαχᾷ· κνᾷ, κνήθει κεφαλήν. ψηλαφᾷ). αὐτοῦ Dobree 1820, 44 (ad Ar. Pl. 361), considera il possessivo un avverbio di luogo, intendendo “nella Pnice” (“vix recte” per Kassel e Austin, PCG, III 2 [1984], 228). τὸν ἄχορ(α) Τermine tecnico di ambito medico: cfr. Erot. α 148 (ἀχὼρ ἐξανθήματος εἶδος, καθ᾿ ὃ συμβαίνει κολλώδη ὑγρασίαν καὶ οἷον πιτυρώδεις λεπίδας ἐπιφέρεσθαι. μάλιστα δὲ περὶ τὴν κεφαλὴν εἴωθε γίνεσθαι); Phryn. Praep. soph. p. 8, 3–5 (ἀχώρ· οἱ μὲν τὸ ἐν τῇ κεφαλῇ πίτυρον, οἱ δὲ πιθανώτερον τὰ ἐν αὐτῇ ἑλκύδρια, ἃ καὶ κνησμόν τινα παρέχουσιν); Hesych. α 8935 (ἀχῶρα· τὸν ἀχῶρα. 458
Il sostantivo ἄχυρον è collegato etimologicamente ad ἄχωρ (cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. ἄχωρ). 459 Per l’ accostamento tra Theophr. Char. 2, 3 e il fr. 416, cfr. per primo Neil 1901, 130 (ad Ar. Eq. 908); cfr. anche Diggle 2004, 186 (ad loc.). 460 Per Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 228) è invece Cleone a essere adulato come una divinità. 461 Cfr. MacDowell 1971, 267 (“as well as attacking Kleon”). Il tràdito μετ᾿ αὐτοῦ è corretto in μετ᾿ αὐτόν da molti editori: vd. supra, p. 99.
Ὁλκάδες (fr. 417)
107
εἴρηται δὲ τὸ πιτυρῶδες 〈τῆς〉 [Latte] κεφαλῆς); α 8900 (ἄχορα· τὰ πίτυρα. ἔνιοι δὲ κρανίον)462. Per l’ accentazione parossitona cfr. Arcad. p. 20, 20–2 Bark. (= p. 21, 5–7 Schm.: τὰ εἰς ωρ πάντα βαρύνονται […], ἄχωρ τὸ τῆς κεφαλῆς πιτύρισμα); Schwyzer, GG, I (1939), 519. ἐκλέγει Il verbo ἐκλέγω (‘scegliere’, ‘svellere’) indica, in questo contesto, la cura con cui l’ adulatore seleziona i peli bianchi nella barba del personaggio da lui circuito463. La forma tràdita è confermata dal confronto con Ar. Eq. 908 (riportato supra)464.
fr. 417 K.-A. (403 K.) ἐπεὶ δ᾿ ἐγενόμην οἷπερ ᾖ᾿ ἐπὶ ξύλα οἷπερ ᾖ᾿ Porson: οἷπερ ἤϊ᾿ Sud.: οἱπερηι Phot. g, οἱπερήι Phot. z
Quando giunsi dove andavo per legna Phot. (g z) η 4 = Sud. η 8 ᾖα (ᾔα Sud.)· δισυλλάβως τὸ ἐπορευόμην. σὺν τῷ ι γράφεται· οἱ γοῦν Ἴωνες ἤϊα λέγουσι καὶ ἤϊσαν τὸ ᾔεσαν· καὶ παρὰ Θουκυδίδῃ (1, 1, 1) οὕτως ἀναγνωστέον· ὅτι ἀκμάζοντές τε ᾖσαν (ἤϊσαν Sud.) ἐς αὐτόν· {οἱ δὲ Ἴωνες ᾔεσαν καὶ ἤϊσαν} (Erbse). Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν· ἐπεὶ ― ξύλα. ēia: bisillabico, “andavo”. Si scrive con la iota; gli Ioni, però, dicono ēïa (“andavo”) e ēïsan (“andavano”) per ēiesan; in Tucidide (1, 1, 1) si deve leggere così: “per il fatto che al culmine della loro potenza giunsero (ēisan) alla guerra”; {gli Ioni ēiesan e ēïsan}. Aristofane nelle Holkades: “quando ― legna”.
Metro
462
Trimetro giambico
klkkk l|lkl klkk
Per la variante ἀχώρ, -ῶρος vd. Ecl., An. Ox., II (1835), 430, 18–21 (ἀχώρ· παρὰ τὸ ἄχνη, ἀχνώρ, καὶ ἀχώρ· σημαίνει δὲ τὸ πιτυρῶδες τῆς κεφαλῆς· κλίνεται δὲ ἀχῶρος, τὸ ω μέγα· τὰ γὰρ εἰς ωρ ὀξύτονα ἀρσενικὰ διὰ τοῦ ω κλίνεται· οἷον […] ἀχώρ, ἀχῶρος), da cui Sud. α 4711 (cfr. Adler, ad loc.); cfr. inoltre Schwyzer, GG, I (1939), 519; Beekes, EDG, s. v. ἄχωρ. 463 Cfr. Ceccarelli 2017–18, 289. 464 Appare quindi immotivato (cfr. anche Ceccarelli 2017–18, 289) l’ emendamento ἐκλεπίζει (“toglie [le scaglie di forfora]”) proposto da Brunck, III (1783), 261, che riscriverebbe quasi per intero il frammento (ἀδαχεῖ γὰρ αὐτοῦ κᾀκλεπίζει τοὺς ἀχῶρας αἰεί ἐκ τοῦ γενείου), a lui noto solo nella versione più breve trasmessa da Phot. α 325 (= Sud. α 430 = Synag. Β α 314).
108
Aristophanes
Bibliografia Dindorf 1829, 159 (~ II [1835], 630; 1838, 495; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1119; Bothe 1844, 119–20; Kock, I (1880), 496; Blaydes 1885, 219; Edmonds, I (1957), 688–9; PCG, III 2 (1984), 229; Henderson 2007, 314–5; Pellegrino 2015, 248; Ceccarelli 2017–18, 291–3. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (η 4) e la Suda (η 8) citano il frammento come esempio della forma attica ᾖα (imperfetto 1a p. s. di εἶμι), bisillabica. Il lemma riporta quindi le forme ioniche ἤϊα (imperfetto 1a p. s. di εἶμι) ed ἤϊσαν (imperfetto 3a p. pl. di εἶμι), per la quale ultima è indicata la forma corrispondente dell’ attico recente e della koinē ᾔεσαν465, mentre l’ esempio riportato di Thuc. 1, 1, 1 utilizza la forma attica di epoca classica ᾖσαν466. La fonte potrebbe essere il lessicografo atticista Elio Dioniso (Ael. Dion. η 2)467. Interpretazione Risulta piuttosto oscuro il contesto in cui doveva essere inserito il verso, riportato dai testimoni per un interesse esclusivamente grammaticale. Potrebbe trattarsi dell’ inizio di una sezione narrativa468 con lo scopo di raccontare avvenimenti extrascenici, ma non sappiamo chi fosse il parlante469, né per quale scopo andasse a far legna470, né che cosa gli sia accaduto o che cosa abbia visto una volta giunto in quel luogo. ἐπεὶ δ᾿ ἐγενόμην Per γίγνομαι nel senso di ‘giungere’ all’ interno di una proposizione temporale cfr. ad es. Plat. Lys. 203a (ἐπειδὴ δ᾿ ἐγενόμην κατὰ τὴν πυλίδα); Prot. 314c (ἐπειδὴ δὲ ἐν τῷ προθύρῳ ἐγενόμεθα). In Erodoto frequentemente è introdotto da ἐπεί, ἐπείτε: cfr. Powell 1938, s. v. γίγνομαι, IV 5. Cfr. anche Ar. fr. 293 (ὁ δ᾿ ἐς τὸ πλινθεῖον γενόμενος ἐξέτρεψε). ἐπὶ ξύλα Per questa espressione nel senso di ‘(andare) a far legna’ cfr. Ar. fr. 610, 2 (ἐγὼ γὰρ εἶμ᾿ ἐπὶ ξύλα)471; Thuc. 4, 13, 1 (ἐπὶ ξύλα ἐς μηχανὰς παρέπεμψαν). Diversamente in LSJ, s. v. ξύλον, I 2 (‘[to] the wood-market’)472.
465
Cfr. Pieraccioni 19753, 191 n. 3. Cfr. Ar. fr. 166 (ᾖσαν εὐθὺ τοῦ Διονυσίου); vd. inoltre Alpers ad Or. fr. B 75 (ᾖα, ᾔειν, ᾖμεν, ᾖσαν). 467 Vd. supra, ad fr. 404. 468 Cfr. Ceccarelli 2017–18, 292. 469 Un contadino per Kock, I [1880], 496. 470 Per costruire o riparare una casa (Ehrenberg 19512, tr. it. 131 n. 154) o una nave (Ceccarelli 2017–18, 293), o per fini bellici (Ceccarelli 2017–18, 293), o ancora, più semplicemente, per scaldarsi. 471 Per l’ attribuzione del fr. 610 alle Holkades vd. supra, p. 95. 472 “Falso” per Kassel e Austin, PCG, III 2 (1984), 229; cfr. anche la recente traduzione di Henderson 2007 (“when I got to the place I was going to for wood”). 466
Ὁλκάδες (fr. 418)
109
fr. 418 K.-A. (404 K.) λόγχαι δ᾿ ἐκαυλίζοντο καὶ ξυστὴ κάμαξ λόχμαι AB
Punte di ferro eran fissate in cima e levigata (era) la lancia Poll. (ABCL) 10, 144 καὶ ξυστὰ δ᾿ εἴποις ἂν καὶ κάμακας καὶ παλτὰ καὶ σαρίσσας καὶ σαυνία […]. καὶ Ἀριστοφάνης μὲν ἔφη ἐν Ὁλκάσιν (μὲν ἔ. ἐν Ὁλκ. om. A)· λόγχαι ― κάμαξ. E potresti definire xusta (“levigati”) sia aste sia lance leggere sia sarisse sia giavellotti […]. E Aristofane disse nelle Holkades: “punte ― lancia”.
Metro
Trimetro giambico
llkl llk|l llkl
Bibliografia Dindorf 1829, 159 (~ II [1835], 630; 1838, 495; 18695, 212); Bothe 1844, 119; Kock, I (1880), 496; Blaydes 1885, 220; Edmonds, I (1957), 688–9; PCG, III 2 (1984), 229; Henderson 2007, 314–5; Pellegrino 2015, 249; Ceccarelli 2017–18, 294–6. Contesto della citazione Il lessicografo Polluce (10, 144) trasmette il frammento nel contesto di un elenco di armi e oggetti usati dai soldati (Poll. 10, 142 ss.), come esempio dell’ uso dell’ aggettivo ξυστός (‘levigato’) in relazione a diversi tipi di lance e giavellotti (Poll. 10, 143). Interpretazione Come per il frammento precedente, il contesto in cui era inserito questo verso è oscuro: potrebbe trattarsi del racconto di preparativi extrascenici per una battaglia473. Il tono è piuttosto elevato, forse paratragico (vd. infra per l’ analisi stilistica)474. λόγχαι δ᾿ ἐκαυλίζοντο Frequente in Omero il riferimento all’ estremità della lancia (καυλός)475, che si innesta nel ferro: cfr. ad es. Il. 13, 162 (~ 17, 607: ἐν καυλῷ ἐάγε δολιχὸν δόρυ); 13, 608–9 (κατεκλάσθη δ᾿ ἐνὶ καυλῷ | ἔγχος). Il nome λόγχη (anche nella forma dorica λόγχα) è proprio dello stile tragico: cfr. ad es. Aesch. Pers. 817 (Δωρίδος λόγχη ὕπο); Soph. Tr. 856 (λόγχαι προμάχου δορός); Eur. Tr. 1318 (δορός τε λόγχαν).
473
Cfr. Ceccarelli 2017–18, 295. Anche la regolarità del trimetro giambico contribuisce a dare al verso un tono tragico (cfr. Ceccarelli 2017–18, 294), per quanto non tutti i trimetri insoluti siano da classificare come paratragici (cfr. Pucci 1961, 279 n. 7; Prato 1983, 34–6). 475 Per le spiegazioni degli scolii antichi vd. ad es. schol. Hom. Il. 13, 162; 13, 608c; 17, 607a–b. 474
110
Aristophanes
ξυστὴ κάμαξ Κάμαξ (‘asta’, met. ‘lancia’) è anch’ essa parola dello stile tragico: cfr. ad es. Aesch. Ag. 66; fr. 152 R.; Eur. Hec. 1155; El. 852; Ph. 1403. Cfr. inoltre, per il collegamento tra armi da getto e ambito semantico del ‘levigare’ (ξύω, ξυστός), Xen. Cyr. 6, 2, 32 (παλτὸν ξύσασθαι); Arr. Tact. 40, 4 (ξυστοῖς δόρασιν).
fr. 419 K.-A. (408 K.) πρῴην ἐρανιστὰς ἑστιῶν ἥψησ᾿ ἔτνος πρῶτον Et. gen. B
ἐσθίων Et. gen.
ἥψησα Phot.: ἤψησα Et. gen. B: ήψισα Et. gen. A
L’ altro giorno, offrendo un banchetto ai consociati, preparai un passato Phot. (g z) ε 1887 ἐρανιστάς· ὡς ἡμεῖς καλοῦσιν. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν (Porson: Ὀλκ. codd.)· πρῴην ― ἔτνος. eranistas: li chiamano come noi. Aristofane nelle Holkades: “l’ altro ― passato”. Et. gen. AII B ἐρανιστής· ἐρανιστής μέντοι κυρίως ὁ τοῦ ἐράνου μετέχων καὶ τὴν φορὰν ἣν ἑκάστου μηνὸς ἔδει καταβάλλειν εἰσφέρων. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσι· πρῴην ― ἔτνος. ῥητορική (sc. λέξις). eranistēs: eranistēs certo propriamente chi partecipa al banchetto e versa il contributo che ogni mese bisogna pagare. Aristofane nelle Holkades: “l’ altro ― passato”. (Parola) dello stile oratorio. Zon., An. Par. IV p. 135, 20–2 ἐρανιστής, κύριον, ὁ τοῦ ἐράνου μετέχων, καὶ τὴν φορὰν ἣν ἑκάστου μηνὸς ἔδει καταβάλλειν εἰσφέρων, Ἀριστοφάνης, Ὁλκάσι· πρῴην ― ἔτνος. eranistēs, propriamente, chi partecipa al banchetto, e versa il contributo che ogni mese bisogna pagare; Aristofane, nelle Holkades: “l’ altro ― passato”.
Metro
Trimetro giambico
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Bibliografia Dindorf 1829, 159 (~ II [1835], 629; 1838, 495; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1118; Bothe 1844, 122; Kock, I (1880), 497; Blaydes 1885, 218–9; Edmonds, I (1957), 688–9; PCG, III 2 (1984), 229; Henderson 2007, 314–5 (~ 2011, 314); Pellegrino 2015, 249; Ceccarelli 2017–18, 297–9. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (ε 1887) e l’ Etymologicum genuinum (AII B)476 hanno trasmesso il frammento per l’ uso del vocabolo piuttosto inconsueto ἐρανιστής, indicante il membro di un’ associazione che versa mensilmente il
476
Vd. supra, p. 73.
Ὁλκάδες (fr. 419)
111
proprio contributo al banchetto comune (eranos). Un lemma molto simile a quello dell’ Etymologicum genuinum, ma senza la citazione di Aristofane, si trova in Phot. ε 1886 (= Sud. ε 2892)477, che ha come fonte il lessicografo Arpocrazione (Harp. p. 133, 14–5 Dind. = ε 129 Keaney)478 del II sec. d. C. (cfr. ad es. Gärtner 1967a; Keaney 1991, IX–X); una versione abbreviata in Et. Sym. ε 728 ([…] ἐρανιστής· σημαίνει δὲ τοῦτο κυρίως τὸν τοῦ ἐράνου μετέχοντα). L’ Etymologicum genuinum è a sua volta fonte del lessico attribuito a Zonara (An. Par. IV p. 135, 20–2), ma databile in realtà al XIII sec. d. C. (cfr. ad es. Gärtner 1975; www.treccani.it / enciclopedia / giovanni-zonara [cons. 14 / 6/17]), il cui lemma riporta anch’ esso il fr. 419. Testo I testimoni manoscritti di Fozio, dell’ Etymologicum genuinum e di Zonara (vd. apparato) attestano la forma non elisa ἥψησα di 1a pers. sing. (l’ elisione è stata introdotta metri causa da Brunck 1810, 31 [ad loc.])479. Dindorf intende tuttavia una 3a pers. sing. (ἥψησε), come appare dalla traduzione latina (Dindorf 1838, 495: “nuper ἐρανιστὰς, collatores, convivio excipiens pulmentum coxit”). Interpretazione Anche per questo frammento, non abbiamo elementi per ricostruire il contesto più ampio della scena (dialogata) da cui il verso è stato estrapolato. Il parlante dichiara di aver preparato, qualche giorno prima, un piatto per un eranos (vd. supra), di cui sembra essere stato l’ organizzatore480. Forse il banchetto a cui egli fa riferimento era da collegare alla (nuova) disponibilità alimentare garantita dalle navi onerarie (vd. supra, Contenuto). ἐρανιστὰς ἑστιῶν Per il verbo ἑστιάω (‘offrire un banchetto’) costruito con ἐρανιστὰς come complemento in accusativo, cfr. Arist. EN 4, 2, 1123a, 22 (ἐρανιστὰς γαμικῶς ἑστιῶν); EM 26, 1192b, 2 (εἴ τις ἑστιᾷ ἐρανιστάς). Gli ἐρανισταί erano i commensali che portavano il proprio contributo al banchetto comune (ἔρανος) sotto forma di una quota (vd. supra, Contesto di citazione), o anche di vivande481. Nei testi comici, Cratin. fr. 494 fa riferimento allo στρωματίτης (ἔρανος), in cui i commensali portavano con sé tappeti o coperte482; cfr. inoltre Ar. Ach. 1098 ss., in cui Diceopoli si fa portare da un servo tutto l’ occorrente per il δεῖπνον483; Vesp. 1250–1, in cui Bdelicleone fa preparare da uno schiavo il pranzo per sé e per il padre prima di recarsi al δεῖπνον di Filoctemone484; Pher. fr. 57 (per 477
ἐρανιστής μέντοι κυρίως ἐστὶν ὁ τοῦ ἐράνου μετέχων καὶ τὴν φορὰν, ἣν ἑκάστου μηνὸς ἔδει καταβάλλειν, εἰσφέρ†ει†ν. 478 ἐρανιστής μέντοι κυρίως ἐστὶν ὁ τοῦ ἐράνου μετέχων καὶ τὴν φορὰν ἣν ἑκάστου μηνὸς ἔδει καταβάλλειν εἰσφέρων. 479 Cfr. anche Edmonds, I (1957), 688 n. 7. 480 Non sembra esservi dubbio sul fatto che il parlante sia il soggetto di ἥψησ᾿ (vd. supra, Testo). 481 Per quest’ uso, già attestato in Od. 4, 621–4, cfr. anche Xen. Mem. 3, 14, 1. 482 Cfr. Wilkins 2000, 65; Olson–Seaberg 2018, 333. 483 Cfr. Mastromarco 1983, 196; Olson 2002, 334. 484 Cfr. MacDowell 1971, 294; Biles–Olson 2015, 446.
112
Aristophanes
il quale vd. Urios-Aparisi 1992, 203); Eub. fr. 72 (per il quale vd. Hunter 1983, 162–3); Alex. fr.15 (per il quale vd. Arnott 1996, 86 ss.). Il sostantivo ἐρανιστής è inoltre proprio del lessico oratorio (vd. supra, Et. Gen. AII B): cfr. Lys. fr. 39 Carey (= 34 S.); Din. fr. 69, 2 Conomis. ἔτνος Passato denso di legumi, in genere fave, tipico della cucina attica (cfr. Thiercy 1997, 136; Garcia Soler 2001, 66–8; Dalby 2003, 49–50) e per questo frequentemente citato da Aristofane (cfr. ad es. Ar. Ach. 245–6; Av. 78; Lys. 1061; Eccl. 845; fr. 514)485 e dagli altri poeti comici (cfr. ad es. Call. fr. 26; Mnesim. fr. 4, 30), anche in un contesto di Schlaraffenland (Nicoph. fr. 21, 2; Pher. fr. 137, 8); nelle Rane Eracle ne va ghiotto (Ar. Ran. 63; 505–6).
fr. 420 K.-A. (296 K. = 401 K.) ἰὼ Λακεδαῖμον, τί ἄρα πείσῃ τήμερον; Λακεδαῖμον schol. Nub. RV; Sud. V; schol. Il.: –αίμων Sud. AGFM: κακοδαῖμον schol. Nub. E ἄρα om. schol. Nub. V πείσῃ schol. Nub. RV: πείσει schol. Nub. E: ποιήσῃ Sud. G: ποιήσει Sud. AFVM τήμερον schol. Nub. E: τήμερα schol. Nub. RV, Sud.
Ah, Lacedemone, che cosa dunque subirai oggi? Schol. (RV) Ar. Nub. 699b.β = Sud. τ 509 τήμερος· ὁ σημερινός. καὶ ἔστι τεταγμένον ἐπὶ σώματος, τὸ δὲ τήμερον ἐπὶ χρόνου λέγεται. καὶ ἐν τῇ (τῇ om. Sud.) Εἰρήνῃ ἰὼ ― τήμερον; ἀντὶ τοῦ σημερινή (–ή ex –ά V). tēmeros: sēmerinos (“odierno”). È riferito a persona, mentre tēmeron si dice di tempo. E nella Pace “ah ― oggi?” invece di sēmerinē. Schol. (E) Ar. Nub. 699b.α δώσω τήμερον· τινὲς τήμερα. ὡς ἐν Ὁλκάσιν ἰὼ ― τήμερον; ἀντὶ τοῦ ὁ σημερινός, καὶ ἔστι †τὸ τεταγμένως† (τὸ om. Ald.)486 ἐπὶ σώματος· τὸ δὲ τήμερον ἐπὶ χρόνου λέγεται. dōsō tēmeron (“sconterò oggi”): alcuni tēmera. Come nelle Holkades “ah ― oggi?”, invece di ho sēmerinos (“odierno”), che è riferito a persona; invece tēmeron si dice di tempo. Schol. (A) Hom. Il. 3, 182b ὀλβιόδαιμον· προπαροξυτόνως· ἔστι γὰρ σύνθετον. τὰ δὲ μακρᾷ παραληγομένα βαρύτονα, ἔχοντα κλητικὴν εἰς ον περατουμένην, προπερισπᾶται ἁπλᾶ ὄντα, Μαχᾶον (Il. 14, 3), Ἀρετᾶον (cfr. Il. 6, 31), σύνθετα μέντοι ὄντα ἀναδίδωσι τὸν τόνον […]. ὅθεν σημειῶδες
485
Henderson 19912, 145, individua un doppio senso osceno di ἔτνος, con un’ allusione ai genitali femminili, in Ar. Ach. 245–6, Lys. 1061 ed Eccl. 845. 486 Fort. leg. τῶν σεσαγμένων (Holwerda).
Ὁλκάδες (fr. 420)
113
ἐκεῖνο κατὰ κλητικὴν ἰὼ Λακεδαῖμον Ἀριστοφάνης Ὁλκάσι487 καὶ, εἰ488 σύνθετον, τὸ ψευδόμενοί (-αί A) σε Παλαῖμον (Callim. fr. 787 Pf.). olbiodaimon (“dal nume favorevole”): proparossitono: infatti è un composto. La penultima sillaba lunga è baritona, ma, poiché il vocativo termina in –on, si segna con l’ accento circonflesso quando il nome è semplice, (ad es.) Machaon (“Macaone”; Il. 14, 3), Aretaon (“Aretaone”; cfr. Il. 6, 31); quando però è composto, ritrae l’ accento […]. Di qui quella particolarità al vocativo, “ah, Lacedemone”, Aristofane nelle Holkades, e, se composto, “ingannandoti, Palemone” (Callim. fr. 787 Pf.). Phot. (g z) λ 36 Λακεδαῖμον (Dobree; -αιμῶν g z)· τὴν κλητικὴν προπερισπῶσιν (Dobree; περισπ. g z). οὕτως Ἀριστοφάνης. Lakedaimon (“Lacedemone”): il vocativo è properispomeno. Così Aristofane.
Metro
Trimetro giambico
llrl l|rkl llkl
Bibliografia Dindorf 1829, 158–9 (~ II [1835], 629; 1838, 495; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1124; Bothe 1844, 119; Kock, I (1880), 468–9, 496; Blaydes 1885, 222–3; Edmonds, I (1957), 688–9; PCG, III 2 (1984), 230; Henderson 2007, 314–5 (~ 2011, 314); Pellegrino 2015, 249; Ceccarelli 2017–18, 300–3. Contesto della citazione Gli scholl. Ar. Nub. 699b (οἵαν δίκην τοῖς κόρεσι δώσω τήμερον) citano il verso per spiegare l’ avverbio attico τήμερον (schol. Ar. Nub. 699b.α, che riporta anche la variante τήμερα) o l’ aggettivo τήμερος (schol. Ar. Nub. 699b.β), considerato dallo scoliaste sinonimo di σημερινός (‘odierno’), ma non attestato altrove nel greco classico489. Il verso è attribuito alla Pace dallo schol. Ar. Nub. 699b.β, forse per una confusione con Ar. Pac. 242–3 (ἰὼ Πρασίαι […] ὡς ἀπολεῖσθε τήμερον)490, contenente un’ invocazione simile (vd. infra, Interpretazione)491. Lo schol. Hom. Il. 3, 182b, cita invece il verso come esempio di una particolarità relativa all’ accentazione dei nomi e degli aggettivi composti in –ων, che al vocativo singolare ritraggono di norma l’ accento, risultando proparossitoni (es.
487
Fort. ἐν Ἀριστοφάνους Ὁλκ. (Kassel–Austin). Erbse e Pfeiffer espungono εἰ, seguendo Villoison, “veremur ut recte” (Kassel–Austin, PCG, III 2 [1984], 230). 489 Le forme τήμερος e τήμερα sono citate anche in Hesych. τ 789 (Ἀττικοὶ τήμερος καὶ τήμερα λέγουσιν); sull’ aggettivo cfr. tuttavia Montana 20122, 217 s. (ad Ar. fr. 593, 19). 490 Holwerda (ad loc.) pensa piuttosto a Pac. 245–6 (per cui vd. infra, Interpretazione). 491 Per eliminare questa difficoltà, Dindorf 18695, 211, propone di integrare così il testo dello scolio 699b.β: ἐν τῇ Εἰρήνῃ 〈“ἰὼ Πρασίαι ― ὡς ἀπολεῖσθε τήμεραι (τήμερον)”. καὶ ἐν Ὁλκάσιν·〉 “ἰὼ ― τημέρα (per questa emendazione della lezione τήμερα di RV vd. infra, Testo)”. Kock, I (1880), inserisce il verso anche tra i frammenti della Pace prima (fr. 296 K.): “potuit eodem versu poeta in utraque comoedia uti” (Kock, I [1880], 468). 488
114
Aristophanes
ὀλβιόδαιμον). I vocativi Λακεδαῖμον (fr. 420)492 e Παλαῖμον (Callim. fr. 787 Pf.)493 sono riportati come un’ eccezione a tale regola. Phot. λ 36, per avvalorare l’ accentazione properispomena del vocativo Λακεδαῖμον494, cita Aristofane, senza riportare il testo dell’esempio, ma riferendosi probabilmente al fr. 420, dato che non ci sono altre attestazioni di questa forma nei testi conservati del poeta comico495. Testo La variante del vocativo κακοδαῖμον, attestata solo dallo schol. Ar. Nub. 699b.α e probabilmente derivante da una confusione con Ar. Nub. 698b (κακοδαίμων ἐγώ)496, non è presente in nessuna edizione moderna. Le varianti πείσῃ (schol. Ar. Nub. 699b.β)497 e πείσει (schol. Ar. Nub. 699b.α)498 sono equivalenti metricamente e come significato. La variante τήμερα (acc. neutro pl. con valore avverbiale) al posto di τήμερον è adottata nel testo dal frammento da Brunck, III (1783), 259; Dindorf, 1829, 158 (= II [1835], 629; 1838, 495;); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1124; Bothe 1844, 119; Kock, I (1880), 468 e 496. Dindorf 18695, 211, scrive τημέρα (aggettivo predicativo nom femm. sing., riferito al soggetto sottinteso), seguito solo da Edmonds, I (1957), 688. Interpretazione L’ esclamazione ἰώ con il vocativo del nome di città ricorda dal punto di vista stilistico quelle analoghe di Polemos (personificazione della Guerra), quando, nella Pace, pesta allegoricamente in un mortaio prima i miseri mortali (Ar. Pac. 236–7: ἰὼ βροτοὶ βροτοὶ βροτοὶ πολυτλήμονες, | ὡς αὐτίκα μάλα τὰς γνάθους ἀλγήσετε), quindi Prasie, città della Laconia (Ar. Pac. 242–3: vd. supra, Contesto della citazione), Megara (Ar. Pac. 246: ὦ499 ἰὼ Μέγαρα Μέγαρ᾿, ὡς ἐπιτετρίψεσθ᾿ αὐτίκα) e la Sicilia (Ar. Pac. 250: ἰὼ Σικελία, καὶ σὺ δ᾿ ὡς ἀπόλλυσαι), simboleggiate da loro prodotti tipici (rispettivamente porri, aglio, formaggio)500. Le esclamazioni di Polemos sono di rabbia nei confronti delle città greche501, a cui la Guerra 492
Per Λακεδαίμων come nome composto vd. infra, Interpretazione; per l’ accento del vocativo cfr. anche Phot. λ 36 (riportato supra). 493 Per Παλαίμων come nome composto cfr. Choerob. in Theodos. Can., Gr. Gr. IV 1, p. 395, 7–9 (~ Epimer. alphab. in Hom., An. Ox., I [1835], pp. 17, 33 – 18, 1 [cfr. anche p. 260, 32]: σημειούμεθα δὲ καὶ τὸ ὦ Παλαῖμον προπερισπώμενον κατὰ τὴν κλητικὴν οὐ προπαροξυνόμενον· ἔστι δὲ σύνθετον παρὰ τὴν πάλην καὶ τὸ αἴμων […]); contra Eust. ad Il. p. 1325, 2 (Παλαίμων […] δοκεῖ ἐκ τοῦ παλαίειν γίγνεσθαι). 494 Le lezioni Λακεδαιμῶν e περισπῶσιν (codd. g z) sono state corrette rispettivamente in Λακεδαῖμον e προπερισπῶσιν da Dobree 1831, 598. 495 Vd. anche Theodoridis, ad loc. 496 Cfr. anche Ar. Ach. 1094b. 497 Edmonds, I (1957), 688; Kassel–Austin, PCG, III 2 (1984), 230; Henderson 2007, 314. 498 Brunck, III (1783), 259; Dindorf, 1829, 158 (= II [1835], 629; 1838, 495; 18695, 211); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1124; Bothe 1844, 119; Kock, I (1880), 468 e 496; Blaydes 1885, 222; Hall–Geldart, II (19072), 297. 499 ὦ RV; ἰώ cett. codd. 500 Cfr. ad es. Mastromarco 1983, 586; Olson 1998, 118–20. 501 Cfr. Labiano Ilundain 2000, 235–6.
Ὁλκάδες (fr. 420)
115
personificata minaccia distruzione. Il contesto scenico da cui il fr. 420 è stato estrapolato poteva tuttavia essere anche molto differente da quello della Pace502: questo verso sembra esprimere dolore (vd. infra) piuttosto che rabbia503, anche perché la forma interrogativa fa pensare, più che a una minaccia, a esasperazione e sconforto per una nuova sofferenza che viene ad aggiungersi alle altre già subite da Sparta, come se ogni giorno portasse alla popolazione una nuova pena. Ignoriamo anche chi fosse il parlante e perché, se si tratta di un Ateniese (come potrebbe far pensare la forma attica dell’ avverbio τήμερον)504 sembri dimostrare partecipazione ai patimenti della città nemica. La forma τήμερον non esclude tuttavia, a mio parere, che si tratti di uno Spartano (forse il personaggio a cui era rivolto il fr. 415?). ἰὼ Λακεδαῖμον Interiezione frequentissima nei lamenti tragici, anche ripetuta: cfr. ad es. Aesch. Pers. 908, 1004, 1005; Soph. Ant. 850; OC 876; Eur. Med. 96, 115, 1251, 1274; con vocativo indirizzato a una città o regione (o in genere a nomi geografici) in Eur. Tr. 1331 (ἰὼ τάλαινα πόλις); Hel. 362 (ἰὼ τάλαινα Τροία); IA 1497 / 8 (ἰὼ γᾶ μᾶτερ ὦ Πελασγία); Soph. OT 1321 (ἰὼ Κιθαιρών); Ant. 844 s. (ἰὼ Διρκαῖαι κρῆναι Θή|βας […]); OC 834 (ἰὼ πόλις). Come espressione di lamento (frequentemente paratragica)505 cfr. ad es. Ar. Ach. 1071, 1078, 1080; Nub. 1155, 1170, 1259a; Vesp. 750; Thesm. 1047506. Λακεδαῖμον Per l’ accentazione del vocativo cfr. anche Theodos. Can., Gr. Gr. IV 1, p. 39, 3–4 (σεσημείωται τὸ ὦ Λακεδαῖμον προπερισπώμενον); Choerob. in Theodos. Can., Gr. Gr. IV 1, p. 395, 4–7 (~ Epimer. alphab. in Hom., An. Ox., I [1835], p. 17, 28–33: οὐδὲ γὰρ προπαροξύνεται τοῦτο κατὰ τὴν κλητικήν, ἀλλὰ προπερισπᾶται. ἔστι δὲ σύνθετον· οὕτω γάρ φασι λέγεσθαι τὴν πόλιν, ἐπειδὴ ἐν αὐτῇ πρῶτον οἱ θεοὶ ἔλαχον καὶ ἐκληρώσαντο τὰς πόλεις, οἱονεὶ Λακεδαίμων τις οὖσα)507; Et. magn. p. 130, 42–3 (σεσημείωται τὸ ὦ Λακεδαῖμον καὶ Παλαῖμον προπερισπώμενα); Io. Alex. 59, p. 53, 4–5 Xenis (= Hdn., I p. 419, 23–4 Lentz: σεσημείωται δὲ τὸ ὦ Λακεδαῖμον μὴ ἀναπέμψαν τὸν τόνον)508. Per Λακεδαίμων come nome composto cfr. anche Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. τί ἄρα πείσῃ […]; Per ἄρα in frase interrogativa con il verbo al futuro come espressione idiomatica cfr. Denniston 19542, 37. τήμερον L’ avverbio di tempo ricorre molto frequentemente nei testi comici, spesso alla fine di un trimetro giambico, come nel fr. 420 (cfr. ad es. Cratin. fr. 129; 502
Cfr. Kock, I (1880), 496. Cfr. Bothe 1844, 119, per cui il parlante sembra commiserare Sparta. 504 Cfr. Ceccarelli 2017–18, 302–3, che ipotizza un parlante ateniese “antispartano” e “guerrafondaio” (Ceccarelli 2017–18, 303), come già Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1124 (“fortasse autem haec Lamachus Lacedaemoniis bellum illaturus dicit”). 505 Cfr. ad es. Rau 1967, 138 (ad Ar. Ach. 1071); 191 (ad Ar. Nub. 1259a); 76 (ad Ar. Thesm. 1047); MacDowell 1971, 234 (ad Ar. Vesp. 750); Labiano Ilundain 2000, 236. 506 Cfr. Labiano Ilundain 2000, 236–40. 507 Cfr. anche Epimer. alphab. in Hom., An. Ox., I (1835), p. 260, 32. 508 Cfr. anche Hdn., II p. 40, 12–3 Lentz. 503
116
Aristophanes
Hermipp. fr. 74, 1; Archipp. fr. 38, 2; Ar. fr. 144, 2; 614; Ach. 440, 1073, 1213; Eq. 68, 1061, 1162; Nub. 699, 1307, 1491; Vesp. 179, 643, 941)509, e nella prosa attica (cfr. ad es. Plat. Crit. 43d; Phaed. 61c; 89b; Dem. 4, 14 e 40; 9, 28).
fr. 421 K.-A. ἐξονυχιῶ γὰρ ἔγωγε τοῦτ᾿ {ἀκριβῶς} {ἀκριβῶς} Kassel
Esaminerò, infatti, io stesso ciò {accuratamente} Phot. (z) α 2595 ἀπονυχίζεσθαι καὶ ὀνυχίζειν καὶ ἐξονυχίζειν διαφέρουσι· τὸ μὲν οὖν ἀπονυχίζειν μετὰ τῆς ἀπὸ προθέσεως σημαίνει τὸ τοὺς ὄνυχας ἀφαιρεῖν, τὸ δὲ ὀνυχίζειν καὶ ἐξονυχίζειν τιθέασιν ἐπὶ τοῦ ἐρευνᾶν ἀκριβῶς καὶ ἐξετάζειν τὸ ὑποκείμενον πρᾶγμα. Ἀριστοφάνης (deficit z; succedit Sz repetito Ἀρ.) Ὁλκάσιν· ἐξονυχιῶ ― ἀκριβῶς. Aponychizesthai e onychizein ed exonychizein hanno un significato diverso: aponychizein con il preverbio apo- significa “tagliare le unghie”, invece onychizein ed exonychizein fanno riferimento all’ esaminare accuratamente ed esplorare con le unghie l’ oggetto in questione. Aristofane nelle Holkades: “esaminerò ― accuratamente”.
Metro
Trimetro giambico
lkkkl rlk|l {wll}〈alwu〉
Bibliografia PCG, III 2 (1984), 231; Tsantsanoglou 1984, 88–9; Henderson 2007, 314–5; Pellegrino 2015, 250; Ceccarelli 2017–18, 312–4. Contesto della citazione Il frammento è riportato in un lemma del lessico di Fozio (α 2595), come esempio dell’ uso del verbo ἐξονυχίζειν nel senso figurato di ‘esaminare accuratamente’ (vd. infra, Interpretazione). Molto simile è l’ attestazione di Phryn. Praep. soph. p. 20, 6–10 (ἀπονυχίζεσθαι τοῦ ὀνυχίζεσθαι Ἀττικῶς διαφέρει. τὸ μὲν γὰρ σημαίνει τὸ τοὺς ὄνυχας ἀφαιρεῖσθαι, τὸ δὲ ὀνυχίζειν καὶ ἐξονυχίζειν ἐπὶ τοῦ ἐρευνᾶν ἀκριβῶς καὶ ἐξετάζειν τὸ ὑποκείμενον πρᾶγμα 〈τίθεται〉. Κρατῖνος μέντοι τὸ ὠνυχισμένον ἐπὶ τοῦ τετμημένου τοὺς ὄνυχας τέθεικεν), che contiene però un riferimento a Cratin. fr. 503, per attestare l’ anomalo uso in senso proprio del participio ὠνυχισμένος per una persona che ‘si fa tagliare le unghie’510. Testo Il verso è stato incluso tra i frammenti di Aristofane per la prima volta in PCG, III 2 (1984), 231. L’ avverbio ἀκριβῶς è espunto da Kassel (seguito da Henderson 2007, 314; Pellegrino 2015, 250), che lo considera una glossa entrata 509 510
La forma dorica σάμερον è attestata in Eup. fr. 147 (cfr. Olson 2016, 14). Cfr. Olson–Seaberg 2020, 343.
Ὁλκάδες (fr. 422)
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a far parte del testo, perché non si inserisce nel trimetro giambico. Tsantsanoglou 1984, 88–9, propone di correggere γάρ in τἄρ᾿ (crasi di τοι ἄρα), ricostituendo così un tetrametro trocaico catalettico, con il metron finale mancante. Ceccarelli 2017–18, 313, per conservare il testo tràdito, ipotizza invece un tetrametro giambico catalettico con una lacuna in corrispondenza del primo metron. Interpretazione La situazione problematica, che richiede un esame accurato, è forse causata dalla guerra (cfr. il fr. 415), ma non è possibile precisare maggiormente il contesto del frammento o individuare il personaggio a cui esso va attribuito. ἐξονυχιῶ Il verbo denominativo ἐξονυχίζω (da ὄνυξ, -υχος, ‘unghia’)511, qui usato metaforicamente nel senso di ‘esaminare con cura’ (cfr. anche Sud. ε 1802)512, in senso proprio indica un’ azione dello scultore, che prova con l’ unghia la levigatezza della sua opera513. Il medesimo significato metaforico è attestato per il verbo semplice anche in Ar. fr. 866 (Phot. ο 367 = Sud. ο 411: ὀνυχίζεται· ἀκριβολογεῖται. οὕτως Ἀριστοφάνης)514. Cfr. inoltre l’ espressione ἄκρους […] εἰς ὄνυχας (“fin nei minimi particolari”, “alla perfezione”)515 in Posidipp. epigr. 63 A-B, 2, per indicare il realismo della statua del poeta Filita di Cos, realizzata dallo scultore Ecateo (III sec. a. C.) con accuratezza estrema516, il cui corrispondente latino è l’ espressione oraziana ad unguem (cfr. Hor. Sat. 1, 5, 32–3: […] Fonteius, ad unguem | factus homo […]), utilizzata in senso traslato per descrivere un uomo dalle elevate qualità morali517.
fr. 422 K.-A. (407 K.) παῖδες ἀγένειοι, Στράτων π. 〈δ᾿〉 ἀγ., 〈Κλεισθένης τε καὶ〉 Στράτων Fritzsche: π. ἀγ., Στράτων | 〈καὶ Κλεισθένης〉 Bergk: παῖς δὲ γ᾿ ἀγένειος Στράτων Bothe: 〈καὶ〉 π. ἀγ., Στράτων 〈καὶ Κλεισθένης〉 Kock
Ragazzi imberbi, Stratone
511
Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. ὄνυξ. ἐξονυχίζειν· ἐξετάζειν τοῖς ὄνυξι […] ἢ τὸ ἀκριβολογεῖσθαι. 513 Cfr. Taillardat 19652, 450. 514 Forse da riferire al fr. 421 per Kassel e Austin con l’integrazione 〈ἐξ〉ονυχίζεται proposta da Kaibel (PCG, III 2 [1984], 401); cfr. Bagordo 2018, 58. 515 Tr. Bastianini–Gallazzi 2001, 188. 516 Cfr. Bastianini–Gallazzi 2001, 188; Belloni 2008, 23. Per espressioni simili in contesti epigrammatici (AP 12, 93, 9–10; 9, 709, 4) e proverbiali (Tosi 849: ἐς πόδας ἐκ κεφαλῆς) cfr. inoltre Bastianini–Gallazzi 2001, 188. 517 Cfr. LUI, I (1968), s. v. ad unguem. 512
118
Aristophanes
Schol (REΓLh) Ar. Ach. 122 οὐ δήπου Στράτων· καὶ οὗτος κωμῳδεῖται ὡς λωβώμενος τὸ γένειον καὶ λειαίνων τὸ σῶμα ὡς ὁ Κλεισθένης, ὥς φησιν αὐτὸς (ὥς φασιν Γ, μέμνηται τούτου Lh) Ἀριστοφάνης ἐν ταῖς (ἐν Γ, καὶ ἐν Lh) Ὁλκάσι· παῖδες ― Στράτων. ou dēpou Stratōn (“forse Stratone”): questi è preso in giro perché si rasava il mento e si depilava il corpo come Clistene, come dice lo stesso Aristofane nelle Holkades: “ragazzi ― Stratone”.
Metro
Trimetro giambico (o tetrametro giambico catalettico)
〈alkl a〉Zlkkk llkl (opp. 〈a〉lkkk llklZ ⟨alkl alu〉)
Bibliografia Dindorf 1829, 161 (~ II [1835], 631–2; 1838, 496; 18695, 212); Fritzsche 1836, 143; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1121; Bothe 1844, 123; Kock, I (1880), 497; Blaydes 1885, 221; Edmonds, I (1957), 688–9; PCG, III 2 (1984), 231; Sommerstein 1996b, 353; Henderson 2007, 314–5 (~ 2011, 314–5); Chronopoulos 2011, 211 n. 11; Pellegrino 2015, 250; Ceccarelli 2017–18, 356–60. Contesto della citazione Il frammento è riportato dallo schol. Ar. Ach. 122 (ὁδὶ δὲ τίς ποτ᾿ ἐστίν; οὐ δήπου Στράτων;), che spiega il riferimento a Stratone in associazione all’ effeminato Clistene (vd. infra, Interpretazione), perché come quest’ ultimo, si rasava la barba e si depilava il corpo per sembrare più giovane (cfr. anche lo schol. Ar. Ach. 118)518. Testo Il verso è incompleto, come mostra la metrica: potrebbe trattarsi del secondo emistichio di un trimetro giambico, ma anche del primo emistichio di un tetrametro giambico catalettico519. Sono state avanzate le seguenti proposte di integrazione, sulla base della frequente associazione di Stratone e Clistene (vd. infra, Interpretazione): παῖδες 〈δ᾿〉 ἀγένειοι, 〈Κλεισθένης τε καὶ〉 Στράτων (Fritzsche 1836, 143)520; παῖδες ἀγένειοι, Στράτων |〈καὶ Κλεισθένης〉 (Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1121; 〈καὶ〉 παῖδες ἀγένειοι, Στράτων 〈καὶ Κλεισθένης〉 (Kock, I [1880], 497)521. Bothe 1844, 123, corregge invece in modo immotivato la prima parte del frammento, passando dal plurale al singolare (παῖς δὲ γ᾿ ἀγένειος Στράτων). Interpretazione Il frammento contiene un attacco personale (ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν) a Stratone (PA 12964; LGPN II, Στράτων [7]; PAA 839265), personaggio 518
οὗτος δὲ ὁ Κλεισθένης ἀεὶ τὸ γένειον ἐξυρᾶτο πρὸς τὸ ἀεὶ φαίνεσθαι νέος. διὰ τοῦτο εὐνούχῳ αὐτὸν εἰκάζει. 519 Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 231, accogliendo l’ integrazione di Bergk (vd. infra), individua un tetrametro trocaico catalettico (come per il successivo fr. 424): παῖδες ἀγένειοι, Στράτων 〈καὶ Κλεισθένης〉. 520 L’ integrazione di Fritzsche, senza δ(έ) (metricamente non necessario), è accolta da Blaydes 1885, 221, da Edmonds, I (1957), 688, e da Wilson (ad schol. Ar. Ach. 122), i quali scrivono παῖδες ἀγένειοι, 〈Κλεισθένης τε καὶ〉 Στράτων; Henderson 2007, 315 (= 2011, 315), integra solo la traduzione (“the beardless boys, 〈Cleisthenes and 〉 Strato”). 521 Kock mantiene tuttavia il testo come trasmesso dallo scolio.
Ὁλκάδες (fr. 423)
119
deriso per il suo aspetto glabro ed effeminato522, altrove (Ar. Ach. 117–22; Eq. 1373–4) in coppia con il notorio Clistene523. Come quest’ ultimo, Stratone, ormai adulto, imita l’ aspetto dei παῖδες per continuare a suscitare attrazione sessuale negli uomini maturi524, comportamento ritenuto deplorevole. παῖδες ἀγένειοι Sull’ aggettivo ἀγένειος per “giovani di bell’ aspetto ed effeminati” cfr. Belardinelli 1994, 171.
fr. 423 K.-A. (419 K.) ἁλμαίαν πιών Avendo bevuto salamoia Antiatt. α 123 (= An. Gr. I p. 82, 23) ἁλμαία· Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν· ἁλμαίαν πιών. halmaia: Aristofane nelle Holkades: “avendo ― salamoia”.
Metro
(Trimetro?) giambico
〈alkl alk〉l llkl (opp. 〈alk〉l llZkl 〈alku〉)
Bibliografia Dindorf 1829, 162–3 (~ II [1835], 633; 1838, 496; 18695, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1124; Bothe 1844, 122; Kock, I (1880), 501; Blaydes 1885, 214; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 232; Henderson 2007, 316–7; Pellegrino 2015, 250; Ceccarelli 2017–18, 361–3. Contesto della citazione Il frammento è riportato dall’ Antiatticista (α 123)525 come esempio dell’ uso della parola ἁλμαία, che è sinonimo di ἅλμη (‘salamoia’); cfr. Phryn. Praep. soph. p. 38, 7 (ἁλμαίαν· τὴν ἅλμη). In Athen. 7, 329b (riportato infra, p. 128), è trasmessa una variante testuale di Ar. Vesp. 1127 (= fr. 900 K.: καὶ γὰρ πρότερον δὶς ἀνθρακίδων ἅλμην πιών), in cui il secondo emistichio, modificato rispetto al testo trasmesso per tradizione diretta (καὶ γὰρ πρότερον ἐπανθρακίδων ἐμπλήμενος), potrebbe essere frutto di una contaminazione con il fr. 423526.
522
Cfr. Sommerstein 1980a, 163; 1996b, 353; Olson 2002, 111; Chronopoulos 2011, 210–1. Cfr. ad es. Mastromarco 1983, 124–5; Schirru 2009, 83 n. 154; de Cremoux 2011, 54. Per attacchi comici al solo Clistene cfr. Ar. Nub. 355; Av. 381; Lys. 621 e 1092; Thesm. 235 e 571 ss.; Ran. 48 e 57; Cratin. fr. 208; Pher. fr. 143. Per l’ associazione tra l’ aspetto di Clistene e quello della scimmia (πίθηκος), cfr. inoltre Regali 2016. 524 Cfr. Regali 2016. 525 Per il lessico dell’ Antiatticista vd. supra, n. 200. 526 Vd. infra, ad fr. 426 (Contesto della citazione). 523
120
Aristophanes
Interpretazione Il sintagma ‘bere salamoia’, cioè un liquido salato e acre, è da intendere metaforicamente527: in questo contesto sembra alludere allo spirito pungente della poesia di invettiva, giambica e quindi anche comica528, oppure potrebbe essere usato in senso più generico, per connotare un personaggio che ha fatto una battuta mordace, ‘come se’ avesse bevuto salamoia prima di parlare. ἁλμαίαν Nome derivato da ἅλμη (‘salamoia’), di cui è anche sinonimo (vd. supra, Contesto della citazione). Denota una soluzione di acqua e sale, che i Greci usavano non solo per conservare gli alimenti, ma anche come condimento per i pesci appena arrostiti: vd. ad es. Hesych. θ 119 (Θασία ἅλμη· εἰς ἣν ὄψα ὀπτώμενα ἔβαπτον); schol. Ar. Ach. 671a (ii: Θασίαν, ζωμὸν ἅλμης εἰς ὃν ἀπέβαπτον τὰ ἠνθρακωμένα τῶν ἰχθύων); cfr. Sommerstein 1980a, 190; Thiercy 1997, 143; 152 (Θασία ἅλμη); García Soler 2001, 331–2; Olson 2002, 244; Dalby 2003, 157; Imperio 2004, 146. πιών In mancanza di un contesto più ampio, è difficile stabilire con certezza la funzione del participio; la mia traduzione lo rende come un participio congiunto (forse con valore causale piuttosto che temporale).
fr. 424 K.-A. (411 K.) ἔστι τις πονηρὸς ἡμῖν τοξότης συνήγορος ὥσπερ Εὔαθλος παρ᾿ ὑμῖν τοῖς νέοις 1 ἔστι τις schol. Ach., Sud.: ἐστι(ν) schol. Vesp. V (compend.): ἐστιν schol. Vesp. Γ ὑμῖν schol. Vesp. 2 〈τοῖς παλαιοῖς〉 ὥσπερ Elmsley: 〈εὐρύπρωκτος〉 ὥσπερ Bergk (olim 〈τοῖς γέρουσι〉 ὥσπερ Bergk 1838): lac. post Εὔαθλος ind. Kock ὑμῖν Elmsley: ἡμῖν schol. Ach., Sud. fin. 〈Κηφισοφῶν〉 Müller-Strübing: 〈λαλίστατος〉 Blaydes C’ è un arciere corrotto come Evatlo a sostenere l’ accusa contro di noi al fianco di voi, i giovani Schol. (REΓLh) Ar. Ach. 710b = Sud. ε 3367 Εὔαθλος ῥήτωρ ἦν πονηρός (ὤν add. Sud. F, οὗτος ὁ Εὔ. ῥ. πον. schol.). Ἀριστοφάνης (Ἄριστος Sud. GIFM, compend. AV) ἐν (om. schol. E, Sud.) Ὁλκάσιν· ἔστι ― νέοις. ἦν δὲ καὶ εὐρύπρωκτος καὶ λάλος. εἴη δ᾿ ἂν (εἴη δ᾿ ἂν om. Sud.) καὶ ἀγενής (ἀγεννής Sud.)· διὸ καὶ τοξότην αὐτὸν καλεῖ, οἷον ὑπηρέτην (οἷον ὑπ. om. schol. Γ, add. Γ3, ἢ ὑπ. Sud. F).
527
Normalmente, la salamoia non si beve (vd. infra). Tuttavia ‘bere salamoia’ era il pegno per i commensali che non riuscivano a risolvere un indovinello: vd. Antiph. fr. 75, 10 (ἅλμης δ᾿ ἐχρῆν τι περιφέρειν ποτήριον); Poll. 6, 107 (ὁ μὲν λύσας γέρας εἶχε κρεῶν τινὰ περιφοράν, ὁ δ᾿ ἀδυνατήσας ἅλμης ποτήριον ἐκπίειν); cfr. A. Marchiori, ap. Deipnosofisti, II (2001), 805. 528 Cfr. l’ analogo uso metaforico di ἅλμη nel fr. 426, per il quale vd. infra.
Ὁλκάδες (fr. 424)
121
Evatlo era un retore corrotto. Aristofane nelle Holkades: “c’ è ― giovani”. Era un cinedo e un chiacchierone. Potrebbe essere anche di origini ignobili: perciò lo chiama anche arciere, cioè subalterno. Schol. (Lh) Ar. Ach. 710c ὁ Εὔαθλος καὶ ὡς εὐρύπρωκτος καὶ ὡς λάλος κωμῳδεῖται. εἴη δ᾿ ἂν καὶ ἀγενής. διὸ τοξότην αὐτὸν καλεῖ οἷον ὑπηρέτην. διεβάλλετο γὰρ ἡ τοξεία ὡς εὐτελής. καὶ Σοφοκλῆς· ὁ τοξότης ἔοικεν οὐ σμικρὰ φρονεῖν (Ai. 1120). ἀλλ᾿ ἔνδοξον ταύτην δεῖξαι βουλόμενός φησιν· οὐ γὰρ βάναυσον τὴν τέχνην ἐκτησάμην (Ai. 1121). μέμνηται τούτου τοῦ Εὐάθλου καὶ ἐν Ὁλκάσιν· ἔστι ― νέοις. Evatlo è sbeffeggiato sia come cinedo sia come chiacchierone. Potrebbe essere anche di origini ignobili. Perciò lo chiama arciere, cioè subalterno. Infatti il tirare con l’ arco è screditato come attività vile. Anche Sofocle: “l’ arciere sembra non poco orgoglioso” (Ai. 1120). Ma, volendo mostrare che è un’ attività illustre, (Sofocle) dice: “non appresi un’ arte ignobile” (Ai. 1121). (Aristofane) ricorda questo Evatlo nelle Holkades: “c’ è ― giovani”. Schol. (VΓ) Ar. Vesp. 592b Εὔαθλος ῥήτωρ συκοφάντης, οὗ μνημονεύει καὶ ἐν Ἀχαρνεῦσι καὶ ἐν (ἐν om. Γ) Ὁλκάσιν οὕτως (οὗτός Γ)· ἔστι ― Εὔαθλος. μνημονεύει δὲ αὐτοῦ καὶ Πλάτων ἐν Πεισάνδρῳ (fr. 109) καὶ Κρατῖνος ἐν Θράτταις (fr. 82). Evatlo, retore e sicofante, che (Aristofane) ricorda anche negli Acarnesi e nelle Holkades così: “c’ è ― noi”. Lo ricordano anche Platone nel Peisandros (fr. 109) e Cratino nelle Thrattai (fr. 82). Sud. τ 772 τοξότης· ὑπηρέτης. Ἀριστοφάνης· τοξότης ― Εὔαθλος (Εὔανθλος A). toxotēs (“arciere”): subalterno. Aristofane: “(c’è un) arciere come Evatlo a sostenere l’ accusa”.
Metro
Tetrametri trocaici catalettici
lklk lkll| lklk lkl lklk lkll| lkl〈a lku〉
Bibliografia Dindorf 1829, 161 (~ II [1835], 632; 1838, 496; 18695, 212); Elmsley 18302, 80; Bergk 1838, 98; id., ap. Meineke, II 2 (1840), 1121–2; Bothe 1844, 122–3; Kock, I (1880), 498–9; Müller-Strübing 1873, 335–6; Blaydes 1885, 221–2; Edmonds, I (1957), 690–1; Sommerstein 1977, 272; PCG, III 2 (1984), 232; Gil 1989, 90 (= 1996, 174; 2010, 102); Carrière 2000, 224; Henderson 2007, 316–7 (~ 2011, 315); Pellegrino 2015, 251; Ceccarelli 2017–18, 304–11. Contesto della citazione Il frammento è trasmesso interamente dagli scholl. Ar. Ach. 710b–c, che spiegano il riferimento a Evatlo, retore e sicofante attaccato anche nelle Holkades529. Lo schol. Ar. Vesp. 592b riporta solo una parte del frammento (ἔστι ― Εὔαθλος), elencando altri testi comici in cui era citato questo personaggio 529
Lo schol. Ar. Ach. 710c riporta anche Soph. Ai. 1120–1, per smentire il luogo comune che considerava vile chi combatteva con l’ arco (cfr. Paduano 1982, 232–3).
122
Aristophanes
(oltre al fr. 424, Plat. com. fr. 109 e Cratin. fr. 82). Il lessico Suda (τ 772), infine, riporta un breve segmento testuale (τοξότης ― Εὔαθλος) come esempio dell’ uso del nome comune τοξότης (‘arciere’). Testo La metrica mostra che il v. 2 è incompleto. La lacuna è collocata in diversi punti dagli editori moderni, alcuni dei quali hanno avanzato anche proposte di integrazione sulla base di Ar. Ach. 703–18 (per il quale vd. infra, Interpretazione) e delle notizie trasmesse dagli scholl. Ar. Ach. 710 b-c: all’ inizio del verso da Dindorf 1829, 161 (= II [1835], 632; 1838, 496; 18695, 212), che non propone integrazioni, Elmsley 18302, 80 (ad Ar. Ach. 703: 〈τοῖς παλαιοῖς〉), e Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1121 (〈εὐρύπρωκτος〉)530; dopo Εὔαθλος da Kock, I (1880), 498, che segnala solamente la lacuna senza proporre un’ integrazione; alla fine del verso da Hall–Geldart, II (19072), 298 (che non propongono integrazioni)531. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 232), seguiti da Henderson 2007, 316, non evidenziano la lacuna graficamente e scrivono semplicemente il verso come è stato trasmesso dagli scholl. Ar. Ach. 710b–c, incompleto della parte finale (vd. supra, Metro). Sempre nel v. 2, il pronome ἡμῖν (schol. Ar. Ach. 710b–c; Sud. ε 3367), che non dà senso, è corretto in ὑμῖν da tutti gli editori moderni, i quali seguono Elmsley 18302, 80 (ad Ar. Ach. 703). Interpretazione Il metro e il carattere scoptico hanno fatto supporre che il frammento sia tratto da una sezione epirrematica di parabasi532. Significativo è il parallelismo con l’ antepirrema degli Acarnesi (Ar. Ach. 703–18), in cui il giovane533 procuratore Evatlo (per il quale vd. infra) è attaccato come accusatore del più anziano Tucidide di Melesia534, per la connessione con la tematica giudiziaria535. Il Coro, con una forte sottolineatura della contrapposizione generazionale, stigmatizza il fatto che i vecchi non possano dormire sonni tranquilli (cfr. Ar. Ach. 713), perché trascinati in tribunale da giovani retori dalla parlantina sciolta (λάλοι: cfr. Ar. Ach. 705; 716), come Evatlo (cfr. Ar. Ach. 710) o Alcibiade (cfr. Ar. Ach. 716). 530
Cfr. anche l’ integrazione τοῖς γέρουσι proposta, sempre in posizione iniziale, da Bergk 1838, 98, e accolta anche da Blaydes 1885, 221, e da Edmonds, I (1957), 690. L’ integrazione εὐρύπρωκτος (vd. supra) è accolta anche da Bothe 1844, 122. 531 Alla fine del v. 2 Müller-Strübing 1873, 336, integra Κηφισοφῶν (vd. infra, n. 538); Blaydes 1885, 222, propone dubitativamente in nota l’ integrazione λαλίστατος. 532 Cfr. Kock, I (1880), 498; Sifakis 1971, 48; Imperio 2004, 87. 533 Cfr. Gomme, I (1950), 374 n. 1. 534 Tucidide di Melesia (PA 7268D; LGPN II, Θουκυδίδης [8]; PAA 515450), avversario di Pericle, ostracizzato probabilmente nel 443 a. C., fece ritorno ad Atene dieci anni dopo e fu forse sottoposto a un nuovo processo pochi anni prima della rappresentazione degli Acarnesi (425 a. C.); cfr. ad es. Volkmann 1975; Sommerstein 1980a, 191–2; Mastromarco 1983, 166; Olson 2002, 252. 535 Vd. supra, Contenuto, pp. 95. Come gli ἠπίαλοι e i πυρετοί di Ar. Vesp. 1038, contro i quali gli anziani citati in giudizio ricorrono al polemarco (cfr. Vesp. 1042), che si occupava delle cause relative a meteci e stranieri (vd. supra, ad test. *iv), anche Evatlo è tacciato di non essere autenticamente ateniese (vd. infra).
Ὁλκάδες (fr. 424)
123
Anche nel fr. 424 appare una forte contrapposizione tra il parlante, che appartiene alla categoria degli anziani (cfr. ἡμῖν nel v. 1), e il suo interlocutore, che invece fa parte di quella dei giovani (παρ᾿ ὑμῖν τοῖς νέοις nel v. 2), rappresentati dal procuratore Evatlo. Tuttavia, se il locutore appartiene alla categoria dei γέροντες, non è chiaro come il fr. 424 potesse inserirsi nella parabasi della commedia, in cui il Corifeo sembra parlare come ‘maschera’ del Coro delle navi onerarie (vd. infra, ad frr. 427–31). Si può pertanto meglio ipotizzare che facesse parte di una scena, dal tono concitato536, in tetrametri trocaici, come Ar. Vesp. 403–525, in cui il Coro attacca con veemenza Bdelicleone, oppure Pac. 601–50, in cui Hermes, in un dialogo con Trigeo e il Coro, ricostruisce in modo paradossale le cause della guerra537. Un’ altra fondamentale questione interpretativa relativa al fr. 424 è l’ identificazione con Evatlo del πονηρὸς τοξότης del v. 1, che a me appare la soluzione più lineare, anche sulla base dei testimoni. Alcuni interpreti hanno tuttavia ipotizzato che non ci fosse identità tra i due personaggi538, per quanto Evatlo condivida con l’ anonimo synēgoros del v. 1 caratteristiche negative quali la corruzione (ponēria) e le origini ignobili (vd. infra), per cui anche il giovane procuratore è bollato con l’ epiteto di “arciere” (cfr. Ar. Ach. 707)539. In questo modo, però, la contrapposizione sarebbe tra il synēgoros degli anziani e quello dei giovani (Evatlo), entrambi connotati negativamente, mentre il senso autentico del fr. 424 è a mio parere, in base al contenuto ipotizzato della commedia (cfr. Ar. Vesp. 1037 ss. = test. *iv) e al confronto intertestuale con Ar. Ach. 703–18, che giovani istruiti nell’ arte della parola (rappresentati da Evatlo) colpiscono con atti di accusa e citazioni in giudizio inermi cittadini anziani. Fortemente antitetici, i due pronomi personali rimandano alle due generazioni contrapposte, senza che vi sia però parallelismo a livello sintattico: al dativo semplice ἡμῖν (v. 1), che io interpreto come di svantaggio540, 536
Cfr. MacDowell 1971, 25. Cfr. anche Ceccarelli 2017–18, 308–9. 538 Cfr. già Bothe 1844, 123; Müller-Strübing 1873, 335–6 (vd. supra, n. 531); Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 232), per il quale il τοξότης del fr. 424, 1, sarebbe invece da identificare proprio con Cleone; più di recente, Napolitano 2002, 96, per il quale anche il λάλος ξυνήγορος di Ach. 705 ed Evatlo (Ar. Ach. 710) non sarebbero la stessa persona (ma vd. in proposito Sommerstein 1980a, 192; Mastromarco 1983, 166–7; Henderson 1998a, 142–3; Olson 2002, 253; Imperio 2004, 159 n. 33); Ceccarelli 2017–18, 309–10, che traduce “noi abbiamo un procuratore, malvagio e arciere, | proprio come da voi giovani c’ è Euatlo” (Ceccarelli 2017–18, 304). Cfr. anche le traduzioni di Edmonds, I (1957), 691 (“Our advocate’ s an archer-man who shoots both wide and short; | His character’ s Evathlus’ own among you younger sort”), per il quale tuttavia “text and translation doubtful ”; Henderson 2007, 317 (= 2011, 315: “our generation has an accuser, a certain base archer, | much as you young men have your Euathlus”); Pellegrino 2015, 251 (“presso di noi c’ è un malvagio accusatore arciere, | così come presso di voi giovani c’ è Evatlo”). 539 Vd. infra per il valore metaforico di questa qualifica. 540 Per traduzioni diverse di ἡμῖν come dativo di vantaggio o di possesso, vd. supra, n. 538. 537
124
Aristophanes
è accostato infatti il complemento preposizionale con valore di stato in luogo figurato παρ᾿ ὑμῖν (v. 2)541. 1 πονηρός L’ aggettivo πονηρός (‘cattivo’, ‘vile’, ‘inutile’, ‘malvagio’), dalla connotazione politica (oltreché morale) fortemente negativa, è usato principalmente per retori, che manipolano il popolo con l’ arte della parola, e sicofanti, i quali avevano un ruolo di pubblici accusatori nell’ ambito giudiziario (cfr. ad es. Ar. Ach. 699; Pl. 862, 869, 920, 939, 957; Eur. Suppl. 243), in opposizione a χρηστός (‘dabbene’, ‘utile’, ‘onesto’)542. Πονηροί sono anche personaggi ‘di bassa origine’, non parlanti greco o schiavi543 (vd. infra per il riferimento a Evatlo come τοξότης). Per il biasimo della πονηρία cfr. Sommerstein 1996b, 328–9; Totaro 20002, 32–3; Rosenbloom 2004. τοξότης La qualifica metaforica di ‘arciere’ bolla Evatlo come non autenticamente ateniese e di origini ignobili: cfr. Ar. Ach. 704 (τῇ Σκυθῶν ἐρημίᾳ); 707 (ὑπ᾿ ἀνδρὸς τοξότου)544. Gli arcieri sciti erano infatti schiavi pubblici e ricoprivano ad Atene funzioni di polizia municipale (cfr. ad es. Casadio 2010, 61–2)545. συνήγορος Termine tecnico del lessico giudiziario, denotante una sorta di pubblico ministero (‘procuratore’), che rappresentava lo Stato per esaminare i rendiconti dei magistrati uscenti di carica (cfr. ad es. Ar. Ach. 715; Eq. 1358; Vesp. 452)546 o difendere l’ immutabilità delle leggi per cui era richiesta una revisione (cfr. ad es. Dem. 24, 36)547; come rappresentante di un privato, poteva intervenire in un processo solo se aveva legami di philia (parentela o amicizia) con il proprio assistito (cfr. ad es. Dem. 21, 127; 59, 14)548. 2 Εὔαθλος Evatlo (PA 5238; LGPN II, Εὔαθλος [1]; PAA 425665), secondo una tradizione attestata da Quint. 3, 1, 10, fu discepolo di Protagora e costrinse il maestro a citarlo in giudizio per il mancato pagamento della somma pattuita per l’ insegnamento (cfr. Gell. NA 5, 10, che riporta il cosiddetto ‘paradosso dell’ avvocato’)549; per Arist. fr. 67 R. (= Diog. Laert. 9, 54) accusò Protagora di ateismo550. In commedia è attaccato anche in Ar. Ach. 703 ss. (vd. supra); Vesp. 592–3, dove è
541
Per la correzione di Elmsley 18302, 80, del tràdito ἡμῖν, vd. supra, Testo. Cfr. Rosenbloom 2004, 60–1. 543 Cfr. Rosenbloom 2004, 60. 544 Cfr. Bergk 1838, 97 s.; Mastromarco 1983, 166; Marzullo 2003, 49; Casadio 2010, 62–3. 545 In Ar. Thesm. 1001 ss. ha un ruolo di un certo rilievo l’ arciere scita, chiamato a sorvegliare il Parente, che, essendo barbaro, parla in modo buffo storpiando il greco. 546 Vd. MacDowell 1971, 198 (ad Ar. Vesp. 482); 1978, 61–2 e 170–1; Mastromarco 1983, 185 (ad Ar. Ach. 937); Olson 1998, 295 (ad Ar. Pac. 1187); 2002, 306 (ad Ar. Ach. 937–9). Per Arist. Ath. Pol. 54, 2, i synēgoroi erano dieci, eletti a sorte. 547 Vd. MacDowell 1971, 199 (ad Ar. Vesp. 482); 1978, 61–2. 548 Vd. MacDowell 1971, 198 (ad Ar. Vesp. 482); 1978, 251; Harrison 2001, 157 s.; Pellegrino 2010, 23. 549 Tali notizie sono tuttavia prive di fondamento per Olson 2002, 255. 550 Per la tradizione biografica relativa al processo di Protagora cfr. Corradi 2007. 542
Ὁλκάδες (fr. 425)
125
rappresentato come un demagogo collegato a Cleone (cfr. Ar. Vesp. 596 s.)551, abile nel lanciare accuse giudiziarie contro gli avversari politici (cfr. Ar. Vesp. 590–1); Plat. com. fr. 109; Cratin. fr. 82 (vd. supra, Contesto della citazione)552.
fr. 425 K.-A. (409 K.)
lw δαρδάπτοντα, μιστύλλοντα, διαλείχοντά μου τὸν κάτω σπατάγγην 1 δάπτοντα Porson: κάπτοντα Blaydes Kaibel
2 σπατάγγην A: σπατάνην CE: σπάταγγα
Rosicchiando, triturando, leccando il mio riccio di là sotto Athen. 3, 91b–c Ἀριστοτέλης (HA 4, 530a, 34-b, 35) δέ φησι τῶν ἐχίνων πλείω γένη εἶναι· ἓν μὲν τὸ ἐσθιόμενον, ἐν ᾧ τὰ καλούμενά ἐστιν ᾠά, ἄλλα δὲ δύο τό τε τῶν σπατάγγων (–άνων CE, –αγγῶν Meineke) καὶ τὸ τῶν καλουμένων βρύσσων (βρυσῶν A, βυρσῶν CE). μνεμονεύει τῶν σπατάγγων καὶ Σώφρων (fr. 97) καὶ Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν οὕτως· δαρδάπτοντα ― σπατάγγην. Aristotele (HA 4, 530a, 34-b, 35) dice che ci sono più specie di ricci: una è quella commestibile, in cui ci sono le cosiddette ōia (“uova”), mentre le altre due sono quella degli spatangai e quella dei cosiddetti bryssoi. Ricordano gli spatangai sia Sofrone (fr. 97) sia Aristofane nelle Holkades così: “rosicchiando ― sotto”. Phot. (z g) σ 445 σπατάγγαι· ἰχθύες τινές οἱ δὲ τοὺς μεγάλους ἐχίνους. οὕτως Ἀριστοφάνης. spatangai: una qualità di pesci; altri (chiamano in questo modo) i ricci grandi. Così Aristofane.
Metro
Tetrametro trocaico catalettico (v. 1) + itifallico (v. 2)
〈lk〉ll lkll lk|rl lkl lklk? ll
Bibliografia Dindorf 1829, 159–60 (~ II [1835], 630; 1838, 495; 1869 5, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1119–20; Bothe 1844, 125; Kock, I (1880), 497–8; Blaydes 1885, 214; Edmonds, I (1957), 690–1; PCG, III 2 (1984), 233; Henderson 551 552
Cfr. Fisher 2008, 200–1. Cfr. Bergk 1838, 97 ss.; Meineke, I (1839), 180; Sommerstein 1980a, 193; 1996b, 348; Napolitano 2002, 95–7; Olson 2002, 255; Imperio 2004, 159–60; Fisher 2008, 200–1; Pirrotta 2009, 231–2.
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Aristophanes
19912, 142; 2007, 316–7 (~ 2011, 315); Shaw 2014, 558; Pellegrino 2015, 251–2; Ceccarelli 2017–18, 349–55. Contesto della citazione Il frammento è trasmesso da Athen. 3, 91b, nel contesto di una presentazione delle diverse varietà di ricci di mare secondo Arist. HA 4, 530a, 34-b, 35: quelli commestibili, gli σπατάγγαι e i βρύσσοι553. Ateneo cita Sophr. fr. 97, senza riportare il testo, e Ar. fr. 425 come esempi dell’ uso del nome σπατάγγαι. Anche Phot. σ 445 cita Aristofane (senza neppure indicare una commedia particolare) per attestare l’ impiego di σπατάγγαι per denotare un tipo di ricci di mare; sulla base del confronto con il passo di Ateneo, si può inferire che Fozio facesse riferimento al medesimo frammento delle Holkades (così Theodoridis, ad loc.). Testo Nel v. 1 il tràdito δαρδάπτοντα è corretto in δάπτοντα, seguendo Porson, ap. Gaisford 1810, 265, da tutti gli editori moderni precedenti Kassel e Austin (tranne Hall–Geldart, II [19072], 298)554. Questa correzione farebbe del v. 1 un trimetro giambico completo; mantenendo il testo tràdito, il verso risulta invece un tetrametro trocaico catalettico mutilo del primo trocheo555. Tuttavia, come osservano Kassel e Austin (ad loc.), il verbo δάπτειν non è mai attestato in Aristofane, a differenza di δαρδάπτειν (Ar. Nub. 711; Ran. 66). Nel v. 2 Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 233, ripristinerebbe l’ inizio di un tetrametro trocaico, correggendo σπατάγγην in σπάταγγα (ipotizzando quindi un tema σπαταγγ- della declinazione atematica)556. Anche Hall–Geldart, II (19072), 298, ripristinano l’ inizio di un tetrametro trocaico, ipotizzando una lacuna di due sillabe (a l) tra κάτω e σπατάγγην; cfr. tuttavia Ceccarelli 2017–18, 350. Interpretazione Il frammento potrebbe appartenere a una sezione melica, come mostra l’ uso dell’ itifallico (v. 2)557. Se è corretto il senso metaforico osceno attribuito in questo contesto allo spatangēs, che alluderebbe ai genitali femminili (vd. infra), il parlante sarebbe una donna (cfr. il genitivo possessivo μου nel v.
553
Per la lezione βρύσσοι vd. Hdn., ap. Phot. α 1172 ([…] φησὶ δὲ ὁ Ἡρωδιανὸς ὅτι Ἀριστοτέλης καὶ διὰ τοῦ σ καὶ δισυλλάβως τὴν λέξιν προφέρεται· βρύσσους [Theodoridis; βρυσσούς z b] γὰρ αὐτοὺς λέγει). 554 Blaydes 1885, 214, corregge invece nel sinonimo κάπτοντα. 555 Bothe 1844, 125, suddivide il frammento diversamente, espungendo il genitivo possessivo μου (δάπτοντα ― διαλείχοντα τόν | κάτω σπατάγγην), per ripristinare due trimetri giambici (per la posizione dell’ articolo cfr. Ar. Eccl. 452). Ceccarelli 2017–18, 350–5, ipotizza che il v. 1 sia un tetrametro giambico catalettico mancante della parte iniziale. 556 Questa ipotesi giustificherebbe anche la forma di genitivo plurale parossitona invece che properispomena σπατάγγων in Athen. 3, 91b, che Meineke, V 1 (1857), 65, propone di normalizzare in σπαταγγῶν. 557 Cfr. Kassel–Austin, PCG, III 2 (1984), 233; Skoda 1985, 80; per la quantità incerta della prima sillaba di σπατάγγην cfr. Skoda 1985, 80.
Ὁλκάδες (fr. 425)
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1) e starebbe descrivendo un atto sessuale orale558 subìto da parte di un uomo, a cui si riferiscono i tre participi in caso accusativo maschile sing. (δαρδάπτοντα, μιστύλλοντα, διαλείχοντα, v. 1). Anche questi verbi (in particolare δαρδάπτοντα e μιστύλλοντα) presenterebbero dunque uno slittamento semantico, dall’ ambito del cibo (significato letterale) a quello sessuale (significato figurato)559. 1 δαρδάπτοντα, μιστύλλοντα, διαλείχοντα Per l’ omeoteleuto dei tre participi cfr. Ar. Ran. 392 s. (παίσαντα καὶ σκώψαντα νι|κήσαντα); vd. inoltre Spyropoulos 1974, 141–2. Il verbo δαρδάπτω è attestato nei poemi omerici sia nel senso letterale di ‘divorare’, detto di “sciacalli” (cfr. Il. 11, 479: ὠμόφαγοι μιν θῶες […] δαρδάπτουσιν), sia in quello figurato di ‘rodere, consumare’ beni e ricchezze (cfr. Od. 14, 92; 16, 315: κτήματα / χρήματα δαρδάπτουσιν); in Ar. Nub. 711 (καὶ τὰς πλευρὰς δαρδάπτουσιν) Strepsiade lo usa per lamentare il fatto che le pulci gli divorino i fianchi; in Ar. Ran. 66 s. ([…] με δαρδάπτει πόθος | Εὐριπίδου) Dioniso esprime con questo verbo lo struggente rimpianto di Euripide560. Μιστύλλω (‘sminuzzare, tagliuzzare’), di uso prevalentemente epico (cfr. ad es. Il. 1, 465; 2, 428; Od. 3, 462: μίστυλλόν τ᾿ ἄρα τἆλλα […]), è un hapax in Aristofane. Διαλείχω (‘leccare’) è invece di stile basso, comico, con un effetto di abbassamento rispetto ai due verbi precedenti: cfr. anche Ar. Vesp. 904 ([…] διαλείχειν τὰς χύτρας), detto del cane Labete; Eq. 1034 ([…]) τὰς λοπάδας καὶ τὰς νήσους διαλείχων), del cane Cerbero (con possibile valenza oscena)561. 2 τὸν κάτω σπατάγγην Per il significato letterale del termine σπατάγγης562, che appartiene all’ ambito della zoologia e denota un tipo di riccio di mare (vd. supra, Contesto della citazione), cfr. anche Hesych. σ 1428 (σπάταγγαι· οἱ μεγάλοι ἐχῖνοι οἱ θαλάσσιοι); Poll. 6, 47 (ἔνιοι δὲ καὶ σπάταγγας καλοῦσιν ἐχίνων τι εἶδος)563. In questo contesto il termine sembra essere utilizzato in senso metaforico, con un valore osceno, in riferimento al pube femminile564, evocato dall’ aspetto del riccio di mare: cfr. Taillardat 19652, 75; Skoda 1985, 79; Henderson 19912, 142; Dalby 2003, 297. Analogo valore figurato è attribuito al termine βρύσσος (un altro tipo di riccio)565 in Hippon. fr. 70, 8 W2. (= 69, 8 Deg.)566, mentre in Ar. Lys.
558
Cfr. Henderson 19912, 142; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, I (2001), 249; Shaw 2014, 558. Cfr. Shaw 2014, 558. 560 Il verbo non è mai attestato nella lirica e nella tragedia: “it may be an instance […] of a word which is highly poetic at one time and place but colloquial at another” ( Dover 1993a, 198). 561 Cfr. Henderson 19912, 144 (seguito da Mastromarco 1983, 292). 562 Per un’ analisi etimologica del termine cfr. Skoda 1985; Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. 563 Σπάταγγας è correzione di Bethe (πάταγγας FSB, πάταγα A, παταγας C). 564 Cfr. τὰ κάτω sostantivato per le parti intime del Parente in Ar. Thesm. 216. 565 Per questo tipo di riccio vd. supra, Contesto della citazione. 566 Cfr. Masson 1962, 141; Degani 2007, 115 (ad loc.); Shaw 2014, 558 s. 559
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Aristophanes
1169 il toponimo Ἐχινοῦς allude ai genitali femminili per l’ assonanza con ἐχῖνος (‘riccio’)567.
fr. 426 K.-A. (416 K.) ὦ κακοδαίμων ὅστις ἐν ἅλμῃ πρῶτον τριχίδων ἀπεβάφθη κακοδαίμων CE: κακόδαιμον A ὅστις codd.: ἥτις Blaydes πρῶτον codd.: πρῶτος noluit Töppel, Edmonds: πρώτων dub. Bothe: πρώτη dub. Blaydes τριχίδων codd.: τριχιῶν Edmonds ἀπεβάφθη codd.: ἀπεβάφθης Kaibel
O sventurato, chi per la prima volta fu immerso in salamoia di acciughe! Athen. 7, 329b Ἀριστοφάνης δ᾿ ἐν Ὁλκάσιν· ὦ ― ἀπεβάφθη. τοὺς γὰρ εἰς τὸ ἀπανθρακίζειν ἐπιτηδείους ἰχθῦς εἰς ἅλμην ἀπέβαπτον, ἣν καὶ Θασίαν ἐκάλουν ἅλμην (cfr. Cratin. fr. 6, 1). ὡς καὶ ἐν Σφηξὶν (cfr. 1127) ὁ αὐτός φησιν ποιητής· καὶ γὰρ πρότερον δὶς ἀνθρακίδων ἅλμην πιών. Aristofane nelle Holkades: “o ― acciughe!”. Infatti immergevano i pesci adatti per la cottura alla brace in una salamoia, che chiamavano anche ‘salamoia di Taso’ (cfr. Cratin. fr. 6, 1). Come dice anche nelle Vespe (cfr. 1127) il medesimo poeta: “già anche prima, per due volte, avendo bevuto salamoia di pesciolini cotti alla brace”. Eust. ad Il. p. 863, 35 ὁ γράψας τὸ ἅλμῃ ἀπεβάφθη. Colui che ha scritto: “fu immerso in salamoia”.
Metro
Tetrametro anapestico catalettico
lkkll lkkll| llkkl kkll
Bibliografia Dindorf 1829, 162–3 (~ II [1835], 633; 1838, 497; 18695, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1123–4; Bothe 1844, 121; Töppel 1857, 12; Kock, I (1880), 500; Blaydes 1885, 216; Edmonds, I (1957), 692–3; Pretagostini 1982, 47–9; PCG, III 2 (1984), 233; Henderson 2007, 316–7; Pellegrino 2015, 252; Ceccarelli 2017–18, 315–9. Contesto della citazione Ateneo (7, 329b) cita il verso, nel contesto della sezione dedicata alle τριχίδες (Athen. 7, 328c–329b)568 di un lungo elenco di ittionimi, per illustrare la ‘salamoia di Taso’, in cui si usava immergere i pesciolini pronti per essere cotti sulla brace. Ateneo riporta anche Ar. Vesp. 1127 (= Ar. fr. 900 K.:
567
Cfr. Henderson 1987, 205; 19912, 142; Mastromarco, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 418–9. 568 Per una spiegazione del nome τριχίδες vd. infra, Interpretazione.
Ὁλκάδες (fr. 426)
129
καὶ γὰρ πρότερον δὶς ἀνθρακίδων ἅλμην πιών), con una variante nel secondo emistichio rispetto al testo trasmesso per tradizione diretta (καὶ γὰρ πρότερον ἐπανθρακίδων ἐμπλήμενος)569. Eustazio nel commento all’ Iliade (p. 863, 35) cita invece solo un breve segmento testuale (ἅλμῃ ἀπεβάφθη), che può essere attribuito ad Aristofane grazie alla testimonianza di Ateneo. Testo L’ avverbio πρῶτον dei codici di Ateneo è corretto nell’ aggettivo predicativo πρῶτος (“per primo”) solo da Edmonds, I (1957), 692, tra gli editori moderni del fr. 426, con un emendamento già rifiutato come non necessario da Töppel 1857, 12, sulla base del testo trasmesso dal codice Ravennate (R) in Ar. Lys. 946 ([…] ὁ πρῶτον ἐψήσας μύρον)570. Bothe 1844, 121, propone dubitativamente πρώτων τριχίδων; Blaydes 1885, 216, che corregge il pronome masch. ὅστις nel femm. ἥτις (sc. τριχίδων), suggerisce, sempre in modo dubitativo, il predicativo πρώτη. Altri emendamenti non motivati del testo tràdito sono: τριχιῶν di Edmonds, I (1957), 692, il quale sostituisce a τριχίδων un sinonimo maschile, perché intende il genitivo come un partitivo che determina ὅστις571; ἀπεβάφθης per ἀπεβάφθη di Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 233). Interpretazione La ‘salamoia (di Taso)’ a cui fa riferimento Ateneo potrebbe avere un valore metaforico: cfr. Cratin. fr. 6, 1 (εἶδες τὴν Θασίαν ἅλμην οἷ᾿ ἄττα βαΰζει;), in cui metaforizzato è il poeta Archiloco, connesso con l’ isola di Taso, alla cui colonizzazione partecipò secondo le testimonianze antiche572, del quale questa espressione evidenzia la πικρία (cioè ‘l’ essere aspro, pungente’)573. Siccome la ἅλμη è letteralmente la salamoia in cui erano immersi i pesciolini da cuocere alla brace574, ‘finire in salamoia’ indica inoltre una situazione di “sconfitta e mala sorte” (Pretagostini 1982, 48), analogamente al modo di dire italiano ‘essere fritti’: vd. ad es. Ar. Vesp. 1514–5 (ἀτὰρ καταβατέον γ᾿ ἐπ᾿ αὐτούς μοι· σὺ δὲ | ἅλμην κύκα τούτοισιν, ἢν ἐγὼ κρατῶ), in cui Filocleone minaccia di mettere in salamoia i figli di Carcino; Cratin. fr. 150, 3–4 (εἰς ἅλμην τε καὶ ὀξάλμην κᾆτ᾿ ἐς σκοροδάλμην | χλιαρὸν ἐμβάπτων), in cui il Ciclope considera gli sventurati compagni di Odisseo, 569
Tale variante potrebbe derivare dalla contaminazione con il passo delle Holkades da cui è stato tratto il fr. 423 (vd. supra, ad loc.): cfr. Dindorf 1829, 162–3 (= II [1835], 633; 18695, 212), seguito dagli editori successivi dei frammenti aristofanei; A. Marchiori, ap. Deipnosofisti, II (2001), 805; Louyest 2009, 310–1. Kock, I (1880), 591, considera tuttavia la variante di Athen. 7, 329b, un frammento autonomo (Ar. fr. 900 K.). 570 Gli editori moderni della Lisistrata mantengono per lo più la lezione πρῶτος (Γ): vd. ad es. le recenti edizioni di Henderson (1987, 48; 2000, 398); Mastromarco, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 400; Wilson, II (2007), 49. 571 “Hard luck on the fish first dipped in the dish | and salted to make a remove!” (Edmonds, I [1957], 692); cfr. anche la traduzione di Henderson 2007, 317 (“unlucky the anchovy who’ s first to get doused in the brine”). 572 Per il rapporto tra il poeta e Taso cfr. Tarditi 1958 (= 1998, 67–85); 1988, 54; per una ricostruzione della biografia archilochea cfr. Tarditi 1956 (= 1998, 13–32). 573 Cfr. in particolare Pretagostini 1982; Bianchi 2016, 65 ss. 574 Vd. supra, ad fr. 423.
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Aristophanes
suoi prigionieri, come pesciolini da cuocere in diversi modi e da immergere in vari tipi di salamoia575. Il fr. 426 potrebbe quindi significare “sventurato chi per primo fu vittima delle invettive dei poeti”576 (oppure, più genericamente, “bersaglio di violente critiche”577). La tematica metapoetica, con la riflessione sul ruolo della poesia comica o una ricostruzione della storia della commedia antica presentata dal poeta per bocca del Corifeo, sembrerebbe adatta alla parabasi ‘propria’ (in anapesti)578, come mostra il confronto con le corrispondenti sezioni delle commedie del ‘primo periodo’ (a cui anche le Holkades dovevano appartenere)579: cfr. in particolare Ar. Eq. 507 ss.; Vesp. 1015 ss.; Pac. 734 ss. Appare tuttavia più probabile che in questa sezione delle Holkades il Corifeo parlasse come ‘maschera’ del Coro (come è attestato per due commedie del ‘secondo periodo’, Uccelli e Tesmoforiazuse)580, perché un gruppo piuttosto consistente di frammenti in tetrametri anapestici (427–31) contenenti il riferimento a merci e beni di consumo provenienti da varie regioni mediterranee fanno piuttosto pensare che il tema fosse un’ eulogia delle Navi onerarie stesse (vd. infra il commento ai singoli frammenti). Non si può quindi escludere che il fr. 426 sia stato estrapolato da un’ altra sezione anapestica, per esempio dall’ agone della commedia. ἐν ἅλμῃ Per il significato letterale del termine ἅλμη (‘salamoia’) vd. il commento al fr. 423 (Interpretazione). τριχίδων Le τριχίδες comprendono pesciolini le cui lische sono sottili quanto capelli (τρίχες), come acciughe e sardine (‘ pesce azzurro’)581: vd. Ar. Ach. 551; Eq. 662; Eccl. 56; Eup. fr. 156, 2.
fr. 427 K.-A. (415 K.) σπυρὶς οὐ μικρὰ καὶ κωρυκίς, ἣ καὶ τοὺς μάττοντας ἐγείρει ἣ τοὺς λιμώττοντας (vel ἣ τοὺς μὴ μάττοντας) Blaydes
ἣ πρῴ τοὺς Kock
Un cesto non piccolo e una bisaccetta, che sveglia anche quelli che impastano
575
Cfr. Pretagostini 1982, 48; Imperio 2004, 146. A. Marchiori, ap. Deipnosofisti, II (2001), 805. 577 Cfr. Louyest 2009, 310; vd. anche il commento ad fr. 423. 578 Cfr. anche Ceccarelli 2017–18, 318–9. 579 Vd. supra, Datazione. 580 Cfr. Ar. Av. 685 ss.; Thesm. 785 ss. 581 Cfr. van Leeuwen 1900, 119; Thompson 1947, 268–70; Olson 2016, 42. 576
Ὁλκάδες (fr. 427)
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Eust. ad Od. p. 1534, 47 (= Paus. Att. κ 61) κώρυκον δὲ τὸν θύλακον λέγει ὃν καὶ δέρματα πυκινὰ φθάσας ἔφη. […] οἱ δὲ παλαιοὶ καὶ κωρυκίδα τὸ τοιοῦτον σκεύος καλοῦσι, παραγόντες καὶ Ἀριστοφάνους χρῆσιν ταύτην· σπυρὶς ― ἐγείρει. (Omero) chiama kōrykos (“bisaccia”) la borsa che per primo disse anche (di) cuoio spesso. […] Gli antichi chiamano tale contenitore anche kōrykis (“bisaccetta”), prendendo pure quest’ uso da Aristofane: “un ― impastano”. Poll. (FSCLBA) 10, 172 τὴν δὲ πήραν πηρίδιον εἴποις ἂν ὡς ἐν Σκηνὰς καταλαμβανούσαις Ἀριστοφάνης (fr. 502) (εἴποις ― Ἀριστοφάνης om. A) καὶ θύλακα καθ᾿ Ὅμηρον, καὶ θύλακον (καὶ θύλ. om. A) καὶ θυλάκιον καὶ θυλακίσκιον, ὡς ἐν Δαιταλεῦσιν Ἀριστοφάνης (fr. 249), καὶ (ὡς ― καὶ om. A) κώρυκον καὶ κωρύκιον (κωρύκιον om. A) καὶ κωρυκίδα, ὡς ἐν ταῖς Ὁλκάσιν (ὡς ἐν ταῖς Ὁλκ. om. A) Ἀριστοφάνους (Ἀρ. ed. princ. tantum). Potresti chiamare la pēra (“bisaccia”) pēridion (“bisaccetta”), come Aristofane nelle Skēnas katalambanousai (fr. 502), e thylax (“sacco”) in Omero, e thylakos (“sacco”), thylakion (“sacchetto”), thylakiskos (“sacchettino”), come Aristofane nei Daitalēs (fr. 249), e kōrykos (“bisaccia”), kōrykion (“bisaccina”), kōrykis (“bisaccetta”), come nelle Holkades di Aristofane.
Metro
Tetrametro anapestico catalettico
kklll llkkl| llll kkll
Bibliografia Dindorf 1829, 163 (~ II [1835], 633–4; 1838, 497; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1123; Bothe 1844, 120–1; Bakhuyzen 1877, 185 e 196; Kock, I (1880), 499–500; Blaydes 1885, 217; Edmonds, I (1957), 690–3; Rau 1967, 208 e 211; PCG, III 2 (1984), 234; Henderson 2007, 316–7; Pellegrino 2015, 252–3; Ceccarelli 2017–18, 320–5. Contesto della citazione Eustazio (ad Od. p. 1534, 47 = Paus. Att. κ 61) cita il verso come esempio dell’ uso del diminutivo di κώρυκος (‘bisaccia’) κωρυκίς (‘bisaccetta’). La fonte è probabilmente il lessicografo atticista Pausania (κ 61)582. Il lessicografo Polluce (10, 172) , attestando l’uso di κωρυκίς nelle Holkades, consente di attribuire a questa commedia il frammento. Testo Per risolvere la difficoltà interpretativa del secondo emistichio (vd. infra), Blaydes 1885, 217, propone la correzione di καὶ τοὺς μάττοντας in τοὺς λιμώττοντας (oppure τοὺς μὴ μάττοντας); Kock, I (1880), 500, propone dubitativamente la correzione di καί in πρῴ583. Interpretazione Il verso, che poteva far parte della parabasi584, contiene una citazione paratragica da una tragedia sofoclea perduta (cfr. Soph. fr. 890 R.: †ἐπειγομένων οὐ† κερκίδος ὕμνους | ἣ τοὺς εὕδοντας ἐγείρει)585. Il riferimento 582
Vd. supra, ad fr. 406. Per il καί intensivo vd. infra, n. 593. 584 Cfr. Sifakis 1971, 48; Hubbard 1991, 20 n. 17; Imperio 2004, 56–7. 585 Cfr. Bakhuyzen 1877, 185 e 196; Rau 1967, 208 e 211. 583
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Aristophanes
alla tessitura notturna, durante la quale il canto della spola “sveglia quelli che dormono”, era stato collegato alla vicenda mitica di Filomela da Nauck (TGF2, 261 e 319), per il quale il frammento era da ascrivere al Tēreus sulla base del confronto con Soph. fr. 595 R. (κερκίδος φωνή)586. Tale ipotesi appare ora definitivamente tramontata587, in seguito alla pubblicazione di P.Oxy. LXXI 4807, col. ii, 9–10 (ed. Mülke 2007: κινοῦσι σοφῆς κερκίδος ὕμνους | ἣ τοὺς εὕδοντας ἐγείρει), che trasmette una porzione più ampia del frammento. Il contesto sembra quello della fabbricazione di armi e armature in preparazione a una battaglia: la spola è usata per tessere il lino utilizzato per i corsaletti. Mülke 2007 attribuisce pertanto Soph. fr. 890 R. agli Epigonoi, ipotizzando che la corruzione della parte iniziale sia derivata dal titolo della commedia, seguito dall’ abbreviazione οὕ(τως) per introdurre la citazione nello schol. Ar. Pl. 541b / α, che riporta il frammento588. Tale attribuzione è accolta nella recente edizione di Sommerstein–Talboy 2012, 54–5 e 61–3 (cfr. già Lloyd-Jones 20032, 348)589. La parodia dell’ emistichio sofocleo è presente, con una citazione più letterale (sempre in un tetrametro anapestico catalettico), anche in Ar. Pl. 541 (στιβάδα σχοίνων χόρεων μεστήν, ἣ τοὺς εὕδοντας ἐγείρει) ed Eup. fr. 41 (μή ποτε θρέψω | παρὰ Περσεφόνῃ τοιόνδε ταὧν, ὃς τοὺς εὕδοντας ἐγείρει), in cui gli impedimenti al sonno sono rappresentati rispettivamente da un “giaciglio di giunchi pieno di cimici”, nel contesto di una paradossale enumerazione dei beni che la povertà dona agli uomini590, e da un “pavone”, il cui verso fastidioso risveglia persino gli abitanti dell’ Ade591. Tale citazione doveva dunque essere familiare agli spettatori e riconoscibile come parodia tragica. Nel fr. 427 l’ effetto comico poteva essere prodotto dall’ inserimento dell’ ipotesto tragico in un contesto basso, con il riferimento a umili oggetti quotidiani tipici della commedia, come un cesto (σπυρίς) o una piccola bisaccia (κωρυκίς)592. La sostituzione del participio sostantivato τοὺς εὕδοντας (“quelli che dormono”) di Soph. fr. 890 R., mantenuto letteralmente in Ar. Pl. 541 ed Eup. fr. 41, con τοὺς μάττοντας (“quelli che impastano”)593 si spiega se pensiamo che la kōrykis servisse per portare farina594: si veda ad es. il fr.
586
Per Soph. fr. 595 R. cfr. anche i recenti contributi di Sommerstein–Fitzpatrick–Talboy 2006, 164–5; 183–4; Milo 2008, 67–8; Scattolin 2013, 126–8. 587 Cfr. Sommerstein–Fitzpatrick–Talboy 2006, 164–5; 183. 588 Cfr. Mülke 2007, 16. 589 Per la datazione degli Epigonoi, appartenenti alla prima fase della carriera di Sofocle, cfr. Sommerstein–Talboy 2012, 52–3. 590 Cfr. Torchio 2001a, 175. 591 Cfr. Olson 2017a, 169–70; Ceccarelli 2017–18, 323–4. 592 Vd. infra. 593 Il καί intensivo serve per far tornare il verso dal punto di vista metrico. 594 Edmonds, I (1957), 693, pensa invece che la kōrykis potesse essere usata, riempita d’aria, come una sorta di randello, per svegliare gli schiavi riottosi a dedicarsi alle occupazioni mattutine.
Ὁλκάδες (fr. 428)
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428 (anch’ esso probabilmente appartenente alla parabasi), in cui le navi onerarie elencano i cereali da loro portati ad Atene595. σπυρίς I cesti per portare vivande sono menzionati frequentemente nei testi comici596: cfr. ad es. Ar. fr. 557 (ἔπειτ᾿ ἐπὶ τοὖψον ἧκε, τὴν σπυρίδα λαβὼν | καὶ θυλακίσκον […]); Antiph. fr. 36, 1 (ἐν ταῖς σπυρίσι δὲ τί ποτ᾿ ἐνεστι […];); Men. Sam. 297 (τὴν σφυρίδα καταθεὶς ἧκε δεῦρ᾿ […]); Plaut. Men. 219 s. (sportulam cape atque argentum […] abi atque obsonium adfer). κωρυκίς Per l’ uso del diminutivo di κώρυκος nei testi comici cfr. anche Epich. fr. 112, 2 (ἢ θύλακον βόειον ἢ κόιν φέρειν | ἢ κωρυκίδα).
fr. 428 K.-A. (412 K.) ἀράκους, πυρούς, πτισάνην, χόνδρον, ζειάς, αἴρας, σεμίδαλιν Cicerchie, frumento, orzo, farina grossa, spelta, loglio, fior di farina Gal. Alim. fac. 1, 27, 1 (CMG V 4, 2, p. 253 Helmr.) τὴν ὑστάτην συλλαβὴν τοῦ τῶν ἀράκων ὀνόματος διὰ τοῦ κ γεγραμμένην εὑρίσκομεν ἐν ταῖς Ἀριστοφάνους Ὁλκάσιν, ἔνθα φησίν· ἀράκους ― σεμίδαλιν. L’ ultima sillaba del nome delle cicerchie la troviamo scritta con la k nelle Holkades di Aristofane: “cicerchie ― farina”. Phot. (z) α 2772 ~ Synag. B α 2092 (= Lex. Bachm. p. 141, 2 = Or. fr. B 41 Alp.) ἀράκους· τὰ ὄσπρια. ἐν τῷ κ λέγουσι, οὐχ ἐν τῷ χ ἀράχους (διὰ τοῦ κ, καὶ οὐχὶ τοῦ χ Synag. B). arakous: legumi. Si dice con la k, non arachous con la ch (con la k, e non con la ch Synag. B).
Metro
Tetrametro anapestico catalettico
kklll kklll| llll kkll
Bibliografia Dindorf 1829, 162 (~ II [1835], 632; 1838, 496; 18695, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1122; Bothe 1844, 120; Kock, I (1880), 499; Blaydes 1885, 217–8; Edmonds, I (1957), 690–1; PCG, III 2 (1984), 234; Henderson 2007, 316–7; Pellegrino 2015, 253–4; Ceccarelli 2017–18, 326–30. Contesto della citazione Il verso è riportato dal medico di età imperiale Galeno (Alim. fac. 1, 27, 1 [CMG, V 4, 2, p. 253 Helmr.]) per attestare la corretta grafia (attica) del nome ἄρακος (‘ cicerchia’), che si scrive con la gutturale sorda non
595 596
Vd. supra, Contenuto. Cfr. Wilkins 2000, 156 n. 1.
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Aristophanes
aspirata (k), e non con la gutturale aspirata (ch); cfr. anche Phot. α 2772; Synag. B α 2092 (= Or. fr. B 41 Alp.), i quali non riportano il frammento597. Interpretazione Il verso, probabilmente tratto dalla parabasi598, presenta un elenco di legumi e cereali, che il Coro vantava di aver portato (o di continuare a portare) ad Atene599, nel contesto di una rappresentazione della prosperità della città in tempo di pace, connotata comicamente con elementi propri della tematica della “Cuccagna” (Schlaraffenland)600. Il procedimento stilistico è quello dell’ accumulazione verbale, caratteristico della commedia601. L’ effetto comico era dato dall’ inserimento nell’ elenco, accanto a cereali e farine usati per l’ alimentazione umana (πυρούς, ζειάς, σεμίδαλιν) e anche per preparare piatti considerati gustosi (χόνδρον) o salutari (πτισάνην), di cibi scadenti (ἀράκους) o destinati all’ alimentazione del bestiame (αἴρας)602. Sono presenti alcuni elementi di contatto con l’ elenco di merci pregiate affluenti ad Atene di Hermipp. fr. 63 (cfr. χόνδρον, v. 6; σεμίδαλιν, v. 22)603. ἀράκους, πυρούς Sequenza in omeoteleuto (vd. infra, ζειάς, αἴρας) Per gli ἄρακοι, un tipo di legumi (Vicia cracca), considerato un cibo molto scadente, vd. Theophr. Hist. plant. 8, 8, 3 (ἐν δὲ τοῖς φακοῖς ἄρακος τὸ τραχὺ καὶ σκληρόν); cfr. Dalby 2003, 343. Πυρός è il termine più comune in greco antico per indicare i grani nudi (Triticum durum e Triticum vulgare); cfr. Amouretti 1986, 39–40, 282; Battaglia 1989, 42–3; García Soler 2001, 74–6. πτισάνην ‘Orzo mondato’ (cfr. Moritz 1958, 147), con cui si faceva un ‘decotto d’ orzo’ (cfr. Arnott 1996, 432; Thiercy 1997, 175; García Soler 2001, 98–9; Dalby 2003, 46; Pellegrino 2013, 41–2) dalle proprietà rinfrescanti (cfr. Amouretti 1986, 123), ricordato abbastanza di frequente nei testi comici: vd. ad es. Ar. fr 165; Alex. fr. 146, 3; Anaxandr. fr. 42, 42; Men. Ep. fr. 6, 15 Koe. χόνδρον Farina macinata grossolanamente (semola)604, con cui si faceva un semolino cotto comunemente in acqua, oppure con il latte per ottenere un piatto più gustoso, particolarmente adatto all’ alimentazione dei vecchi sdentati (cfr. Ar. Vesp. 737–8)605. Questo piatto è menzionato, oltre che in Hermipp. fr. 63, 6, anche 597
Una versione abbreviata del lemma di Fozio e della Synagogē B anche in Hesych. α 6953 (ἄρακοι· ὄσπριόν τι. τὸ δὲ αὐτὸ καὶ λάθυρον), che inserisce anche un sinonimo da fonte diversa. 598 Cfr. Whittaker 1935, 190; Sifakis 1971, 48; Hubbard 1991, 20 n. 17; Imperio 2004, 56–7. 599 Cfr. Bergk, ap. Meinek, II 2 (1840), 1122; Dohm 1964, 59–60; Wilkins 2000, 164. 600 Vd. supra, Contenuto. 601 Cfr. Spyropoulos 1974, 86–90. 602 Vd. infra per la spiegazione dei singoli lemmi. 603 Per il collegamento tematico tra Hermipp. fr. 63 e le Holkades vd. supra, Contenuto; per la bibliografia relativa al frammento di Ermippo vd. supra, n. 396. 604 Cfr. Moritz 1958, 147–9. 605 Cfr. PCG, III 2 [1984], 127; Hunter 1983, 182; Amouretti 1986, 123, 127, 284; Battaglia 1989, 69; Thiercy 1997, 136; Olson–Sens 1999, 132–3; García Soler 2001, 80–1; Dalby 2003, 132; Olson 2007, 160; Gkaras 2008, 135–6; Pellegrino 2015, 142–3.
Ὁλκάδες (fr. 429)
135
in Ar. fr. 208, 1; Anaxandr. fr. 42, 45; Antiph. fr. 273, 2; Eub. fr. 89, 4; Ephipp. frr. 8, 1; 13, 3; Pher. fr. 113, 18; Matron. fr. 1, 102. ζειάς, αἴρας Una sequenza simile, in omeoteleuto (vd. supra, ἀράκους, πυρούς), all’ interno di un’ enumerazione di cereali e legumi, anche in Pher. fr. 201 (κυάμους, ἀφάκην, ζειάς, αἴρας, ἀκεάννους); ζειά e αἴρα in collegamento anche in Theophr. Hist. plant. 8, 8, 3. La ζειά (ζέα) è il grano vestito (farro o spelta). In Hdt. 2, 36, 2 (ἀπὸ πυρῶν καὶ κριθέων ὦλλοι ζώουσι, Αἰγυπτίων δὲ τῷ ποιευμένῳ ἀπὸ τούτων τὴν ζόην ὄνειδος μέγιστόν ἐστι, ἀλλὰ ἀπὸ ὀλυρέων ποιεῦνται σιτία, τὰς ζειὰς μετεξέτεροι καλέουσι), ζειά è considerato sinonimo di ὄλυρα, cereale base nell’ alimentazione degli Egizi (cfr. anche Hdt. 2, 77, 4); in Theophr. Hist. plant. 8, 9, 2 (τῶν δὲ ὁμοιοπύρων καὶ ὁμοιοκρίθων οἷον ζειᾶς, τίφης ὀλύρας βρόμου αἰγίλωπος ἱσχυρότατον καὶ μάλιστα καρπιζόμενον ἡ ζεία […], ἡ δὲ ὀλύρα μαλακώτερον καὶ ἀσθενέστερον τούτων […]), sono invece due cereali diversi606. Αἶραι (generalmente plurale), indica il loglio, graminacea usata come foraggio animale; il Lolium temulentum (zizzania) è una varietà infestante e nociva (cfr. Dalby 2003, 112–3). σεμίδαλιν Farina di grano molto fine, solitamente fatta da grano duro607, citata di frequente dai commediografi (cfr. Poll. 6, 74: εἴρηται δὲ καὶ σεμίδαλις παρὰ πολλοῖς τῶν κωμῳδοδιδασκάλων): vd. ad es., oltre a Hermipp. fr. 63, 22, Stratt. fr. 2; Men. fr. 409, 8 (nome proprio in Alex. frr. 102, 4; 173, 3)608.
fr. 429 K.-A. (413 K.) καὶ κολλύραν †τοῖς περῶσι† διὰ τοὐν Μαραθῶνι τρόπαιον τοῖς περῶσι A: τοῖσι περῶσιν Brunck: τοῖσι γέρουσιν Bergk: τοῖς πηροῖσιν Bothe: τοῖς πεινῶσιν Wilamowitz
E una pagnotta †a coloro che passano† per il trofeo posto a Maratona Athen. 3, 111a τοῦ (Meineke; τῆς Athen. ACE) δὲ κολλύρας καλουμένου ἀρτου (sc. μνημονεύει) Ἀριστοφἀνης ἐν Εἰρήνῃ (123)· κολλύραν μεγάλην καὶ κόνδυλον ὄψον ἐπ᾿ αὐτῇ. καὶ ἐν Ὁλκάσιν· καὶ ― τρόπαιον. Il pane chiamato kollyra (lo ricorda) Aristofane nella Pace (123): “una grossa pagnotta e una sberla come companatico”. E nelle Holkades: “e ― Maratona”.
606
Cfr. Moritz 1958, XXII; Amouretti 1986, 36, 282; Battaglia 1989, 44–5; García Soler 2001, 74; Dalby 203, 131. 607 Cfr. Bluemner, I (19122), 53; Moritz 1958, XXIII–XXIV, 173; Amouretti 1986, 126–7, 284; Battaglia 1989, 46; 66–7; Olson 2007, 163; Orth 2009, 56. 608 Cfr. Arnott 1996, 272.
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Metro
Aristophanes
Tetrametro anapestico catalettico
llll †lklk†| kklkkl kkll
Bibliografia Dindorf 1829, 161–2 (~ II [1835], 632; 1838, 496; 18695, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1122; Bothe 1844, 120; Cobet 1855, 280; Kock, I (1880), 499; Blaydes 1885, 215; Edmonds, I (1957), 690–1; PCG, III 2 (1984), 234–5; Henderson 2007, 318–9; Pellegrino 2015, 254–5; Ceccarelli 2017–18, 331–5. Contesto della citazione Ateneo (3, 111a) riporta il verso, insieme ad Ar. Pac. 123 (κολλύραν μεγάλην καὶ κόνδυλον ὄψον ἐπ᾿ αὐτῇ), come esempio dell’ uso del nome κολλύρα, all’ interno di un’ ampia sezione (Athen. 3, 109b–116a) dedicata ai vari tipi di pane e focacce. Nella recente edizione dei Deipnosofisti, I (2001), ad loc., è accolta nel testo la proposta di correzione di Meineke 1867, 51 (τοῦ δὲ κολλ., o, in alternativa, τῆς δὲ κολλ. 〈οὕτω〉), che ripristina la concordanza dell’ articolo con ἄρτου. Testo La metrica e il significato rivelano una corruzione del frammento, perché il participio sostantivato τοῖς περῶσι non si inserisce nel tetrametro anapestico e non sembra dare senso. La correzione τοῖσι περῶσιν, introdotta già da Brunck, III (1783), 259, è la più rispettosa del testo tràdito, perché si limita a modificare la grafia, ripristinando così il metro609, ma non risolve il problema del significato del verso610. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1122 (che scrive a testo τοῖσι περῶσιν), propone la correzione τοῖσι γέρουσιν (“ai vecchi”), che è sembrata a molti studiosi più adatta al contesto611, in riferimento ai veterani della battaglia di Maratona612. Bothe 1844, 120, propone τοῖς πηροῖσιν (“ai mutilati”). Kaibel, I (1887), 255 (ad Athen. 3, 111a), riporta in apparato la proposta di correzione di Wilamowitz τοῖς πεινῶσιν (“agli affamati”).
609
Tale emendamento è adottato da Dindorf 1829, 161 (= II [1835], 632; 1838, 496; 18695, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1122; Bothe 1844, 120; Kock, I (1880), 499; Edmonds, I (1957), 690. 610 Cfr. Cobet 1855, 280. Per Dindorf 1838, 496 (“et collyram mare trajecturis […]”), è sottinteso un complemento oggetto come θάλατταν (cfr. ad es. Od. 6, 272), πόντον (cfr. ad es. Od. 24, 118), πέλαγος (cfr. ad es. Soph. Ai. 460); Edmonds, I (1957), 690, intende “οἱ περῶντες perh. a colloquial abbreviation of οἱ περῶντες τὸν Ἀχέροντα” (cioè “i morti”; cfr. Alc. fr. 38a, 8 V.), ma in questo modo il verso non risulta affatto più chiaro. 611 Cfr. Fritzsche 1838, 307; PCG, III 2 (1984), 235. 612 Tale correzione è accolta nel testo da Blaydes 1885, 215, e recentemente da Ceccarelli 2017–18, 331; nella traduzione da Henderson 2007, 319 (“for the oldsters”), e Pellegrino 2015, 254 (“ai veterani”); in Deipnosofisti, I (2001), ad Athen., 3, 111a. Anche Kock, I (1880), 499, che tuttavia scrive nel testo τοῖσι περῶσιν (vd. supra), per ripristinare la metrica, la considera probabile.
Ὁλκάδες (fr. 429)
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Interpretazione Il verso, un tetrametro anapestico catalettico, probabilmente faceva anch’ esso parte della parabasi613, ed è in collegamento tematico con l’ elenco di cereali del fr. 428, di cui continua il motivo gastronomico614. κολλύραν La κολλύρα (o κολλούρα)615 era un tipo di pane rotondo o focaccia (cfr. Poll. 1, 248)616. La radice κολλ- è la stessa di κόλλιξ (‘pane d’ orzo’) e di κόλλαβος (‘focaccia, panino’)617; cfr. Athen. 3, 112f; Poll. 6, 72. Secondo lo schol. Ar. Pac. 123a (κολλύρα τὸ ἔλαττον τοῦ ἄρτου. τινὲς δὲ τὴν κολλύραν εἶδος ἄρτου φασίν, ὃ τοῖς παιδίοις διδόασιν) la κολλύρα era un alimento dato ai bambini; in questo verso sarebbe invece riservato, antifrasticamente618, ai vecchi veterani delle guerre persiane619, se è corretta la correzione proposta da Bergk (vd. supra, Testo). Oltre che in Ar. Pac. 123 (vd. supra, Contesto della citazione), questo termine è attestato anche in Plaut. Poen. 137. διὰ τοὐν Μαραθῶνι τρόπαιον Per una ricostruzione archeologica del monumento (tropaion) che sul sito della celebre battaglia contro i Persiani a Maratona (490 a. C.) ricordava la vittoria ateniese (cfr. Paus. 1, 32, 5: πεποίηται δὲ καὶ τρόπαιον λίθου λευκοῦ)620, probabilmente costituito da una colonna di stile ionico sormontata da una Nikē, cfr. Vanderpool 1966; West 1969b (vd. anche Mastromarco 1983, 315–6 [ad Ar. Eq. 1334]). Le attestazioni letterarie ed epigrafiche621 oscillano tra la forma con preposizione del complemento di luogo attributivo (ἐν Μαραθῶνι)622, qui da mantenere, in crasi con l’ articolo, per ragioni metriche623, o il dativo semplice (Μαραθῶνι)624; cfr. Wankel 1976, 961; Di Bari 2010, 35–6. Il complemento con διά e l’ accusativo potrebbe essere di moto per 613
Cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1122; Kock, I (1880), 499; Whittaker 1935, 190; Sifakis 1971, 48; Hubbard 1991, 20 n. 17; Imperio 2004, 56–7. 614 Per Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1122, era il verso immediatamente successivo al fr. 428. 615 Cfr. Hesych. κ 3345 (κολλού〈ρα〉· ἄρτος); Battaglia 1989, 88–9, per le attestazioni delle due grafie nei papiri. 616 Cfr. Amouretti 1986, 128 e n. 32; Battaglia 1989, 88–9; Thiercy 1997, 135; García Soler 2001, 93; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, I (2001), 293; Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. Olson 1998, 92, pensa invece a una pietanza in umido, sul fondamento di Plaut. Pers. 92–8. 617 Cfr. Chantraine, DELG, s. v.; Amouretti 1986, 128–9 n. 32; Battaglia 1989, 88; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, I (2001), 293, 297; Beekes, EDG, s. v. 618 Cfr. Pellegrino 2015, 254. 619 Per il riferimento alla vecchiaia in relazione ai combattenti delle guerre persiane, rievocate dal Coro nella parabasi, vd. Ar. Ach. 692–700 (battaglia di Maratona); Vesp. 1060–121; cfr. Pellegrino 2015, 254–5. 620 Per altre attestazioni letterarie in autori di V–IV sec. a. C. cfr. West 1969b, 14 ss. 621 Cfr. Threatte, II (1996), 379 e 382. 622 Cfr. Ar. Eq. 1334; Vesp. 711 (τοῦ ᾿ν Μαραθῶνι τροπαίου). 623 Cfr. MacDowell 1971, 229 (ad Vesp. 711); contra Elmsley 18302, 44 (ad Ar. Ach. 343), seguito da Dindorf 18695, 212, che scrive διὰ τοῦ Μαραθῶνι τροπαίου. 624 Cfr. ad es. Ar. Ach. 696 s.; Eq. 781; Thesm. 806.
138
Aristophanes
luogo625, in dipendenza dal tràdito τοῖς περῶσι, oppure causale/ strumentale626 (l’ incertezza sul testo tràdito non consente di precisarne la funzione).
fr. 430 K.-A. (414 K.) σκόμβροι, κολίαι, λεβίαι, μύλλοι, σαπέρδαι, θυννίδες la λεβίαι Dindorf: λέβιοι Athen. A Kock
in fin. ὀρφοί suppl. Bothe (ὀρφώς Blaydes): ἄρκτοι
Scombri, lacerti, lebiai, mylloi, saperdai, tonnine Athen. 3, 118d μνημονεύει δὲ τῶν μύλλων καὶ Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν· σκόμβροι ― θυννίδες. Ricorda i mylloi anche Aristofane nelle Holkades: “scombri ― tonnine”.
Metro
Tetrametro anapestico catalettico
llkkl kklll| llll kk〈la〉
Bibliografia Dindorf 1829, 162 (~ II [1835], 633; 1838, 496; 18695, 212); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1123; Bothe 1844, 121; Kock, I (1880), 499; Blaydes 1885, 215; Edmonds, I (1957), 690–1; PCG, III 2 (1984), 235; Henderson 2007, 318–9; Pellegrino 2015, 255; Ceccarelli 2017–18, 336–42. Contesto della citazione Ateneo (3, 118a) riporta il verso come esempio dell’ uso del nome μύλλος, all’ interno di una sezione (Athen. 3, 116a–121e) dedicata ai tipi di pesce conservati sotto sale (τάριχος). Anche il lessicografo Polluce (6, 48: θύννοι, κολίαι, σαπέρδαι, λεβίαι, μύλλοι) cita, probabilmente a memoria e senza indicarne l’ autore, questo verso627. Testo Λεβίαι è frutto della correzione del tràdito λέβιοι (Athen. A) proposta già da Dindorf 1829, 162 (= II [1835], 633; 1838, 496 [λέβιαι])628 e da lui scritta a testo in 18695, 212. Blaydes 1885, 215, propone inoltre la correzione di κολίαι, da 625
Questa funzione di διά con l’ accusativo è propria dello stile poetico (vd. LSJ, s. v. διά, B I): cfr. ad es. Il. 7, 247; 8, 343; Od. 7, 139; Aesch. Pers. 501 ([…] περᾷ κρυσταλλοπῆγα διὰ πόρον). 626 Cfr. la traduzione di Dindorf 1838, 496 (“propter Marathonicum tropaeum”); Edmonds, I (1957), 691 (“because of the Marathon trophy”); Olson 2006, 25 (“on account of the victory monument at Marathon” [ad Athen. 3, 111a]); Henderson 2007, 319 (“on account of their trophy at Marathon”); Pellegrino 2015, 254, e Ceccarelli 2017–18, 331 (“per il trofeo di Maratona”). 627 Cfr. Kock, I (1880), 499; PCG, III 2 (1984), 235. 628 La correzione è accolta da tutti gli editori successivi.
Ὁλκάδες (fr. 430)
139
lui considerato sospetto, in κοχλίαι (che per l’ editore corrisponde all’ ingl. ‘cockles’, ‘mussels’) sulla base di Philyll. fr. 26 (σκόμβροι, κοχλίαι); tale correzione appare tuttavia immotivata sulla base del testimone e dell’ elenco di Poll. 6, 48 (vd. supra) e non è accolta in nessuna edizione moderna. A fine verso Bothe 1844, 121, propone l’ integrazione ὀρφοί (‘scorfani’)629; Kock, I (1880), 499, ἄρκτοι (‘granchi’). Interpretazione Il verso, un tetrametro anapestico catalettico, probabilmente faceva anch’ esso parte della parabasi630 e continua il motivo gastronomico dei frr. 428 e 429. Il Coro delle navi onerarie si vanta di aver portato (o di continuare a portare) ad Atene molte varietà di pesce, usando il procedimento stilistico dell’ accumulazione verbale, come nel fr. 428631. σκόμβροι, κολίαι Varietà di scombro (risp. Scomber scombrus e Scomber japonicus colias). Gli scombri sono adatti a essere conservati sotto sale e, dai Romani, erano usati anche come ingrediente per il garum; cfr. Thompson 1947, 120–1; 241–3; Thiercy 1997, 158; García Soler 2001, 170; Dalby 2003, 205. λεβίαι In Athen. 7, 301c–d il λεβίας, pesce di incerta identificazione (cfr. Thompson 1947, 52, 76, 146; García Soler 2001, 199 e 203; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, I [2001], 310; A. Marchiori, ap. Deipnosofisti, II [2001], 723; Louyest 2009, 163 n. 1; Beekes, EDG, s. v.), è chiamato anche ἥπατος: è un pesce di scoglio per il medico Diocle (Diocl. fr. 232); è simile al pagro per Speus. fr. 12c Tar. (cfr. Tarán 1981, 250; Thiercy 1997, 158). Cfr. anche Hesych. λ 485 (λεβίαι· τὰ λεπίδας ἔχοντα ταρίχη. καὶ ἰχθῦς λιμναῖοι); Phot. λ 195 (λέπραι· λεπίδας ἔχοντα ταρίχη. καὶ λεβίαι καλοῦνται). In connessione con il myllos anche in Mnesim. fr. 4, 40; Ephipp. fr. 12, 4 (μύλλος, λεβίας). μύλλοι Anche il μύλλος è un pesce di difficile identificazione (cfr. Thompson 1947, 161–2; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, I [2001], 310; Beekes, EDG, s. v.), forse corrispondente a un muggine di media grossezza (cfr. Athen. 3, 118c), proveniente dal Danubio e dal Mar Nero e conservato sotto sale; cfr. Thiercy 1997, 158; Dalby 2003, 169. σαπέρδαι Il pesce σαπέρδης, proveniente dal Nilo o dal Mar Nero e conservato sotto sale, era chiamato anche πλατίστακος632, come il κορακῖνος (‘ombrina’ oppure ‘tilapia’)633, per Parmenone di Rodi, nel I libro del trattato Lezioni di cucina (Athen. 7, 308f); cfr. Thompson 1947, 203, 226; Thiercy 1997, 158; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, I [2001], 310; García Soler 2001, 206 e 213; Dalby 2003, 76; Beekes, EDG, s. v.
629
Blaydes 1885, 215, integra in modo simile ὀρφώς (cfr. Ar. Vesp. 493; Cratin. fr. 154). Cfr. Kock, I (1880), 499; Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 235; Whittaker 1935, 190; Sifakis 1971, 48; Hubbard 1991, 20 n. 17; Wilkins 2000, 164; Imperio 2004, 56–7. 631 Cfr. Spyropoulos 1974, 87. 632 In Athen. 3, 118c, πλατίστακος indica un muggine di grossa taglia. 633 Cfr. Thompson 1947, 122; Louyest 2009, 178 n. 2; 294–5; A. Marchiori, ap. Deipnosofisti, II (2001), 746. 630
140
Aristophanes
θυννίδες Piccoli tonni (vd. ad es. Epich. frr. 55,2; 91; Cratin. fr. 171, 49; Antiph. fr. 179, 1); cfr. Thompson 1947, 79; Thiercy 1997, 157; García Soler 2001, 171–2.
fr. 431 K.-A. (417 K.)
ylyl σκαφίδας, μάκτρας, μοσσυνικὰ μαζονομεῖα καφίδας Poll.1 FS μάκτρας Poll.1 ABLC: -αν Poll.1 FS: μίξας Phot.1 1 Phot. : μοσυνοίκια Hesych. μαζονομεῖα Poll.2: -νόμια Phot.1 , Hesych.
μοσσυνικὰ
Conchette, spianatoie, taglieri fatti dai Mossineci Phot. (g z) σ 289–290 [Phot.1] σκαφίδας· οὐ σκάφας, τὰ σκεύη (σ 289). σκαφίδας ― μαζονόμια· Ἀριστοφάνης (σ 290). skaphidas (“conchette”): non skaphas (“conche”, “barche”), il vasellame (σ 289). “Conchette ― Mossineci”: Aristofane (σ 290). Poll. (FSABCL) 10, 102 [Poll.1] ταὐτὸν δὲ τοῦτο (sc. κάρποδον) καὶ θυΐα καὶ ἀντλία· τὴν γὰρ σκάφην οὕτως ὠνόμασεν Ἀριστοφάνης ἐν Εἰρήνῃ (17–8), καὶ σκαφίδα δὲ τὴν σκάφην ταύτην ἐν ταῖς Ὁλκάσιν ἂν λέγοι, συντάξας οὕτω· σκαφίδας, μάκτρας. Questo stesso (sc. kardopon) (lo chiamano) sia thyïa (“mortaio”) sia antlia (“bacile”): infatti Aristofane chiamò così la skaphē nella Pace (17–8) e con skaphis (“conchetta”) potrebbe intendere ancora questa skaphē nelle Holkades, collegando così: “conchette, spianatoie”. Phot. (g z) μ 55 [Phot.2] μάκτρα· λίθινον ἢ κεραμεῖον σκεῦος· ἔστι δὲ καὶ ξύλινον, ἐν ᾧ τὰς μάζας ἀναδεύουσιν. οὕτως Ἀριστοφάνης. maktra (“spianatoia”): è un attrezzo di pietra o terracotta, e può essere anche di legno, in cui intridono l’ impasto per le focacce. Così Aristofane. Hesych. μ 1705 μοσσυνικὰ μαζονομεῖα (Meineke; μοσυνοίκια, μαζονόμια H)· Ποντικὰ ὁ Δίδυμος ἥκουεν (p. 34 Schm.). οἱ {δὲ} γὰρ Μοσσύνοικοι ἐν Πόντῳ εἰσί. λέγει δὲ τοὺς ξυλίνους πίνακας. mossynika mazonomeia (“taglieri fatti dai Mossineci”): Didimo (p. 34 Schm.) intendeva ‘pontici’. Infatti i Mossineci abitano nel Ponto. Vuol dire i taglieri di legno. Poll. (FSABCL) 10, 84 [Poll.2] τοῖς δ᾿ ἀγγείοις προσαριθμητέον λεκάνας […], κάναστρα, (FSABCL) μαζονομεῖα, (FSABC) τὰ μὲν μαζονομεῖα (C) Ἀριστοφάνους εἰπόντος ἐν Ὁλκάσι, (FSABC) […]. Ai recipienti bisogna aggiungere lekanai (“piatti”) […], kanastra (“[vasi a forma di] canestri”), mazonomeia (“taglieri”), poiché Aristofane disse mazonomeia nelle Holkades, […].
Ὁλκάδες (fr. 431)
Metro
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Tetrametro anapestico catalettico
〈ytyt〉 kklll| llkkl kklw
Bibliografia Dindorf 1829, 163 (~ II [1835], 633; 1838, 497; 18695, 212–3); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1123; Bothe 1844, 121; Kock, I (1880), 500; Blaydes 1885, 219; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 235–6; Wilkins 2000, 134 n. 126; Henderson 2007, 318–9; Pellegrino 2015, 255; Ceccarelli 2017–18, 343–8. Contesto della citazione Il frammento è trasmesso dal lessicografo Fozio (σ 290) come esempio dell’ uso del nome σκαφίς (‘conchetta’). La sequenza σκαφίδας, μάκτρας è attestata anche nell’ Onomasticon di Polluce (10, 102), in una sezione dedicata a vasellame di vario tipo, per illustrare l’ uso di σκαφίς come equivalente di σκάφη634. Fozio (μ 55) cita inoltre Aristofane per documentare il significato del nome μάκτρα (‘spianatoia’), senza riportare alcun verso: il lemma potrebbe quindi riferirsi, oltre che al fr. 431, anche ad Ar. Ran. 1159 (χρῆσον σὺ μάκτραν, εἰ δὲ βούλει, κάρδοπον), da cui si deduce che la μάκτρα era molto simile al κάρδοπος635, oppure ad Ar. Pl. 545 s. ([…] ἀντὶ δὲ μάκτρας | πιθάκνης πλευρὰν ἐρρωγυῖαν καὶ ταύτην […]). Infine Polluce (10, 84), nel contesto di un elenco di recipienti (ἀγγεῖα), cita le Holkades di Aristofane come attestazione dell’ uso del nome μαζονομεῖα (‘taglieri’), senza riportare il testo del frammento636. Anche Esichio (μ 1705), che spiega l’ espressione μοσσυνικὰ μαζονομεῖα (‘taglieri fatti dai Mossineci’) citando come fonte il grammatico alessandrino Didimo (6, p. 34 Schm.), si riferisce probabilmente a questo frammento637, pur senza menzionare esplicitamente Aristofane. Testo Il verso è mutilo della parte iniziale. Dindorf 1829, 163 (= II [1835], 633; 1838, 497; 18695, 212), propone di integrarlo con il fr. 435 (ὕρχας οἴνου), che tuttavia non appare pertinente in questo elenco638. Μάκτρας è attestato in Poll. 10, 102; in Phot. σ 290 è presente la corruzione μείξας639. La grafia μαζονόμια (Phot. σ 290; Hesych. μ 1705)640 è corretta in μαζονομεῖα sulla base di Poll. 10, 84; il
634
Nel medesimo paragrafo Polluce cita anche Ar. Pac. 17–8 ([Οι. Β´] οὐ γὰρ ἔθ᾿ οἷός τ᾿ εἴμ᾿ ὑπερέχειν τῆς ἀντλίας. | [Οι. Α´] αὐτὴν ἄρ᾿ οἴσω συλλαβὼν τὴν ἀντλίαν) per l’ uso del nome ἀντλία con il significato di σκάφη. 635 Cfr. anche il già citato Poll. 10, 102 (ἔτι δὲ μάκτρα, σκάφη, μαγίς, σκαφίς, κάρδοπος […]); Sud. μ 86 (μάκτρα· θυεία ἐπιμήκης, ἐν ᾗ μάττουσι τὰ ἄλευρα […]); Et. magn. p. *574, 11–2 (μάκτρα· παρὰ τὸ μάττειν ἐν αὐτῇ τὴν μάζαν ἐν ᾗ ἔμασσον· Ἀττικοὶ δὲ κάρδοπον καλοῦσι). Per la differenza di forma tra i due utensili vd. infra, n. xx. 636 Cfr. inoltre Poll. 6, 87 (μαζονόμια δὲ κοῖλοι μεγάλοι πίνακες, ἐφ᾿ ὧν αἱ μᾶζαι διενέμοντο· ξύλινοι δ᾿ ἦσαν), che tuttavia non menziona Aristofane. 637 Cfr. Schmidt, ad loc. 638 Vd. infra, ad loc. 639 Cfr. L. Dindorf, ap. ThGL3, V (1829), 1210d, s. v. μόσσυν; Theodoridis, ad loc. 640 Porson (p. 517, 13) ristabilisce la grafia μαζονομεῖα nel testo del frammento riportato nel lemma di Fozio, Meineke (1849, 456 n. 14) in quello di Esichio.
142
Aristophanes
lemma di Fozio (σ 290) presenta la grafia μοσσυνικά, conservata dagli editori del frammento (una diversa grafia μοσυνοίκια in Hesych. μ 1705)641. Interpretazione Il frammento, parte di un tetrametro anapestico catalettico, doveva anch’ esso far parte della parabasi (cfr. i frr. 427–30)642: contiene un’ enumerazione di recipienti che le navi onerarie vantavano di aver portato (o di continuare a portare) ad Atene da regioni esotiche, come il Ponto, dove abitava il popolo dei Mossineci. Tutti questi recipienti potevano servire per impastare e far riposare l’ impasto, e sono dunque collegati con la preparazione di pane e focacce643. Continua quindi la caratterizzazione comica di Atene come città della ‘Cuccagna’ (vd. supra, Contenuto), dove c’ era abbondanza di cibo ed era possibile acquistare ogni sorta di merci grazie all’ egemonia marittima, mediante il procedimento stilistico dell’ accumulazione verbale, come nei frr. 428 e 430644. σκαφίδας Il nome σκαφίς, -ίδος (diminutivo σκαφίδιον), equivalente a σκάφη (cfr. Poll. 10, 102)645, denota in modo generico un oggetto incavato (‘bacile’ o anche ‘barca’)646; in questo contesto un recipiente usato per impastare pane o focacce e per far riposare l’ impasto (‘conchetta’)647, quindi con la stessa funzione della μάκτρα (vd. infra)648. Altre attestazioni comiche in Timocl. fr. 35 (καταμαθὼν δὲ κειμένεην {θερμὴν} σκάφην | θερμῶν ἰπνιτῶν ἤσθιον)649; Anaxipp. fr. 6, 3 (σκαφίδας τρεῖς), in un elenco di oggetti da cucina. μάκτρας La μάκτρα (der. dalla radice di μάσσω, ‘impastare’)650 è un attrezzo di forma leggermente concava651, per intridere la farina (cfr. Phot. μ 55) e far
641
Per la grafia μοσσυνικά cfr. inoltre Hesych. μ 1706 (μοσσυνικοί [Schmidt; μοσυνοικοι H]· ξύλινοι πίνακες μεγάλοι, ὥστε ἐν αὐτοῖς καὶ ἄλφιτα μάσσειν· ἐν τῷ Πόντῳ δέ εἰσιν…). 642 Cfr. Kock, I (1880), 500; Whittaker 1935, 190; Sifakis 1971, 48; Hubbard 1991, 20 n. 17; Wilkins 2000, 164; Imperio 2004, 56–7. 643 Vd. infra il commento ai singoli lemmi. 644 Cfr. Spyropoulos 1974, 90. 645 Vd. supra, Contesto della citazione; cfr. Petersen 1910, 222. 646 Cfr. LSJ, s. v. Entrambi i termini derivano dalla radice di σκάπτω (‘scavare’); cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. σκάπτω. In Od. 9, 223 (γαυλοί τε σκαφίδες τε, τετυγμένα, τοῖς ἐνάμελγεν) σκαφίδες indica dei recipienti per far cagliare il latte (cfr. Heubeck 19862, 199); in Theocr. 5, 59 (ὀκτὼ δὲ σκαφίδας μέλιτος πλέα) per contenere del miele (cfr. Gow 1952, 104). 647 Edmonds (I [1957], 693) e Henderson (2007, 319) traducono “bowls” (cfr. Wilkins 2000, 134 n. 126); Pellegrino (2015, 255) “recipienti incavati”; Ceccarelli (2017–18, 343), introducendo un neologismo, “impastatoi”. 648 Cfr. Amouretti 1986, 148. 649 Cfr. Apostolakis 2019, 242, per cui σκάφη in questo contesto può denotare “either a kneading trough or a baker’ s tray”. 650 Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. 651 Cfr. Ar. Pl. 545 s. (riportato supra, Contesto della citazione), in cui la maktra è sostituita dalla doga di una botte sfondata.
Ὁλκάδες (fr. 431)
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lievitare l’ impasto652. Ne esistevano diverse tipologie, da semplici ciotole di terracotta a vasche di pietra piuttosto profonde, di forma allungata653; poteva anche essere di legno (cfr. Phot. μ 55)654. La traduzione “madia”655 (ingl. “kneadingtrough”656; fr. “pétrin”657) può ingenerare equivoci658, perché questo oggetto si è evoluto dalle forme molto semplici ed essenziali dell’ antichità fino a diventare, in epoche più recenti, un mobile in legno, costituito da una capace cassa rettangolare a coperchio ribaltabile e dotato anche di sportelli e cassetti per custodire le derrate alimentari659. Un’ altra attestazione comica, oltre ad Ar. Ran. 1159 e Pl. 545 (già ricordati supra, Contesto della citazione), in Hermipp. fr. 56 (νικᾷ δ᾿ ὤα λιθίνην μάκτραν)660; in Xen. Oec. 9, 7, l’ espressione [φυλὴ] ἀμφὶ μάκτρας denota gli attrezzi per la panificazione. μοσσυνικὰ μαζονομεῖα Μαζονομεῖον è un nome composto da μᾶζα (‘focaccia d’ orzo’) e dalla radice νομ- di νέμω (‘distribuire, dividere’)661, che denota taglieri di legno incavati (cfr. Poll. 6, 87)662, usati sia per portare in tavola le focacce di farina d’ orzo (cfr. Poll. 6, 87) sia per impastarle (cfr. Hesych. μ 1706)663. Un’ altra attestazione comica in Plat. com. fr. 177 (δότω τις ἡμῖν μαζονομεῖον ἔνδοθεν)664. L’ aggettivo μοσσυνικός (‘fatto dai Mossineci’)665 è da intendere, nel contesto del 652
Vd. supra, Contesto della citazione; cfr. anche Amouretti 1986, 148–9. Cfr. Amouretti 1986, 149; il kardopon, utensile dalla funzione analoga (cfr. Ar. Ran. 1159; Poll. 10, 102, riportati supra, pp. 140–1), si differenziava probabilmente dalla maktra per la forma tondeggiante (cfr. Amyx 1958, 241; Amouretti 1986, 149). 654 Vd. supra, Contesto della citazione. 655 Cfr. Pellegrino 2015, 255. 656 Edmonds, I [1957], 693; Henderson 2007, 319; cfr. inoltre Beekes, EDG, s. v. Wilkins 2000, 134 n. 126, traduce “kneading-trays”. 657 Cfr. Chantraine, DELG, s. v.; Amouretti 1986, 149. 658 Cfr. Del Corno 19922, 226–7 (ad Ar. Ran. 1159). 659 Cfr. ad es. https://www.panenostro.com / la-madia/ (cons. il 5 / 1/2019). 660 Cfr. Comentale 2017, 227. 661 Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. μᾶζα. Varianti: μαζονόμον (vd. Harmod. FGrHist 319 F 1; Callix. FGrHist 627 F 2, 27 = Athen. 5, 197f; IG VII 3498, 8 e 50; Didyma 424, 50; IG II2 1478, 14–5 [probabile integrazione]; cfr. anche il lat. mazonomum in Hor. Sat. 2, 8, 86); -νόμιον (oltre al già citato Poll. 6, 87, vd. Callix. FGrHist 627 F 2, 30 e 34 = Athen. 5, 200a e 202e); -νόμος (vd. P.Oxy XII 1449, 58 e 60, del III sec. d. C.). 662 Vd. supra, n. 636. 663 Vd. supra, n. 641. 664 Cfr. Pirrotta 2009, 315. 665 Cfr. LSJ, s. v.; Dindorf 1838, 497 (“Mossynica [ad mazam (polentam) distribuendam utensilia]”); Edmonds, I (1957), 695 (“Mossynian [serving-platters]”); Pellegrino 2015, 255 (“[vassoi] confezionati dai Mossineci”); Ceccarelli 2017–18, 343 (“[vassoi] fatti dai Mossineci”). Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 236) intende invece l’ aggettivo nel senso di “in turris [i.e. μόσσυν] altitudinem erecta” (per l’ etimologia vd. infra); cfr. anche Blaydes 1885, 430 (“μοσσύνων instar formata”). Henderson 2007, 319, traduce semplicemente “cake-stands”. 653
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Aristophanes
fr. 431, come un etnico666, riferentesi alla provenienza di questi manufatti dalla regione del Ponto in cui abitavano i Mossineci (cfr. Hesych. μ 1705, riportato tra i testimonia)667, stanziati lungo la costa anatolica settentrionale, a ovest di Trebisonda, dove Atene aveva colonie nel V sec. a. C.668. L’aggettivo deriva dal tema di μόσ(σ)υν, -υνος (‘torre di legno’669), collegato alle caratteristiche costruzioni in cui questo popolo abitava670, con l’ aggiunta del suffisso -ικό(ς)671. Kassel e Austin, seguiti dagli editori successivi672 (tranne Ceccarelli 2017–18, 343), stampano pertanto μοσσυνικά con la minuscola (cfr. anche Blaydes 1885, 430), a mio parere correttamente673.
fr. 432 K.-A. (421.422.418 K.) Poll. (FSABCL) 10, 173 φαίης δ᾿ ἂν κατ᾿ Ἀριστοφάνην λέγοντα ἐν Ὁλκάσιν (κατ᾿ ― Ὁλκ. om. A) καὶ π α τ τ ά λ ο υ ς ἐ γ κ ρ ο ύ ε ι ν καὶ σ κ ύ τ α λ ο ν ὑ π ο σ ί δ η ρ ο ν καὶ σ μ ι ν ύ δ α ς καὶ ἀ γ κ α λ ί δ α ς. ἐγκρούειν Hemsterhuis: ἐκκ- codd. σκύταλον F, ABCL: πάτταλον S: σκυτάλιον Dindorf σμινύδας ABCL: σμινυίδας FS: σμινύας Hemsterhuis: σμινύδια Dobree Potresti dire, in accordo con Aristofane nelle Holkades, e p a t t a l o u s e n k r o u e i n (“piantare chiodi”) e s k y t a l o n h y p o s i d ē r o n (“bastone ferrato”) e s m i n y d a s (“bidenti”) e a n k a l i d a s (“bracciate [di legna]”).
666
Cfr. Beekes, EDG, s. v. μόσσυν. Vd. supra, Contesto della citazione. 668 Cfr. Ap. 2, 1015–29, in cui il paese dei Mossineci è rappresentato come una sorta di ‘mondo ribaltato’, con un capovolgimento dei comuni criteri di comportamento, per cui essi fanno in pubblico ciò che tutti fanno in privato e viceversa; Hec. FGrHist 1 F 204; Hdt. 3, 94, 2; 7, 78–9; Xen. An. 5, 4; Arist. Mir. 853a; Steph. Byz. μ 212 (per cui vd. infra). Vd. anche Canfora 1989; Olshausen 2000. 669 Cfr. Callim. fr. 43, 68 Pf. (con le fonti citate in apparato). 670 Cfr. Dion. 1, 26, 2 (οἰκοῦσιν μὲν γὰρ δὴ κἀκεῖνοι [sc. οἱ Μο(σ)σύνοικοι] ἐπὶ ξυλίνοις […] πύργοις […], μόσυνας αὐτὰ καλοῦντες); Strab. 12, 3, 1. 671 Vd. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. μόσσυν. Il nome del popolo è un composto formato dal medesimo tema nominale come primo elemento (Μοσσύν-οικοι “abitanti dei μόσσυνες”); cfr. Beekes, EDG, s. v. μόσσυν; vd. anche Steph. Byz. μ 119 ([…] Μοσ(σ)ύνοικοι παρὰ τὰς οἰκήσεις). Da Μοσσύνοικοι deriva l’ aggettivo ctetico Μοσσυνοικικός, attestato solo da Steph. Byz. μ 212 (Μοσσύνοικοι· ἔθνος […]. τὸ κτητικὸν Μοσσυνοικικός). Per la variante tarda Μόσ(σ)υνοι cfr. Orph. Arg. 742. 672 Henderson 2007, 318; Pellegrino 2015, 255. 673 Contra Ceccarelli 2017–18, 347. 667
Ὁλκάδες (fr. 432)
Metro
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Tetrametro giambico catalettico? (vd. infra, Testo)
〈alkl alwlZ a〉lkl lll (πάτταλους ἐγκρούειν) 〈alkl alklZ a〉 kkkkk kll (σκύταλον ὑποσίδηρον) kwl (σμινύδας) lkku (ἀγκαλίδας)
Bibliografia Dindorf 1829, 164–5 (~ II [1835], 634–5; 1838, 497–8; 18695, 213); Dobree 1833, 254; Bergk, ap. Meineke, II (1840), 1118–9; Bothe 1844, 119; Kock, I (1880), 500–1; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 236; Henderson 2007, 318–9; Pellegrino 2015, 255; Ceccarelli 2017–18, 364–72. Contesto della citazione Polluce nell’ Onomasticon (10, 173) riporta alcune espressioni, scollegate tra loro dal punto di vista sintattico, utilizzate da Aristofane nelle Holkades, probabilmente nel medesimo contesto (vd. infra, Interpretazione). Testo Kock, I (1880), 500–1, divide la citazione di Polluce in diversi frammenti674; Bergk, ap. Meineke, II (1840), 1118–9, Bothe 1844, 119, e Hall–Geldart, II (19072), 298–9, la collegano al fr. 610, da loro attribuito alle Holkades (vd. supra, p. 95). La grafia ἐκκρούειν è corretta in ἐγκρούειν da Hemsterhuis (ap. Jungermann, II [1706], 1361). Anomala è la sequenza di sillabe brevi nel sintagma σκύταλον ὑποσίδηρον, che fa presupporre la presenza di un dattilo seguito da un tribraco (〈l〉kwwww wll), probabilmente nella seconda parte di un tetrametro giambico catalettico675. Dindorf 1829, 164 (= II [1835], 634; 1838, 498; 18695, 213) corregge σκύταλον nel diminutivo σκυτάλιον sulla base dello schol. Ar. Av. 1283a, per il quale la α di σκυτάλιον è da computare lunga (vd. infra, ad fr. 433)676, senza tuttavia eliminare la difficoltà metrica della successione di cinque brevi. Lo hapax σμινύδας è corretto da Hemsterhuis (ap. Jungermann, II [1706], 1361) in σμινύας, del medesimo significato ed equivalente metricamente, ma attestato in Ar. Nub. 1486 e 1500, Pac. 546, Av. 602 (vd. infra); Dobree 1833, 254, propone, in alternativa a σμινύας, il diminutivo σμινύδια, attestato in Ar. fr. 889 (vd. infra). Interpretazione Le espressioni riportate da Polluce potrebbero essere state estrapolate da un contesto in cui si parlava di lavori artigianali (costruzione di manufatti in legno o attrezzi)677. παττάλους ἐγκρούειν Lo stesso sintagma in Ar. Vesp. 129–30 (παττάλους| ἐνέκρουεν εἰς τὸν τοῖχον), in cui Filocleone è descritto mentre pianta chiodi nel
674
Così anche recentemente Ceccarelli 2017–18, 364–72. Cfr. Coulon 1925, 83, il quale computa però lunga la α di σκύταλον (cfr. lo schol. Ar. Av. 1283a per σκυτάλιον) per evitare l’ anomala successione di sillabe brevi. 676 La correzione di Dindorf è accolta da Kock, I (1880), 500, ed Edmonds, I (1957), 692. 677 Per Kock, I (1880), 500–1, i sintagmi παττάλους ἐγκρούειν e σκύταλον ὑποσίδηρον. si riferiscono alla costruzione di una casa; per Ceccarelli 2017–18, 354 ss., παττάλους ἐγκρούειν fa riferimento all’ attività del carpentiere, e in particolare alla costruzione o alla riparazione di una nave, mentre σμινύδας al lavoro del contadino. 675
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Aristophanes
muro per sfruttarli come appiglio ed evadere dalla prigionia domestica678; cfr. anche, per ulteriori attestazioni comiche del sostantivo πάτταλοι (‘chiodi’, ‘pioli’), Ar. Eq. 376; Vesp. 808; Thesm. 222; in senso figurato in Ar. Eccl. 284 (μηδὲ πάτταλον; cfr. anche Ar. fr. 939 per il modo di dire)679, forse con doppio senso osceno, come in Eccl. 1022680. σκύταλον ὑποσίδηρον Bastone con la punta di ferro (per la ‘scitale’ spartana vd. infra, ad fr. 433)681. L’ aggettivo ὑποσίδηρος è una forma molto rara, attestata (insieme all’ analogo ὑπόχαλκος) nel greco classico solamente in Plat. Resp. 3, 415c (ἐὰν τε σφέτερος ἔκγονος ὑπόχαλκος ἢ ὑποσίδηρος γένηται […]), con valore metaforico, in riferimento alle anime adatte a svolgere i lavori manuali (contadini e artigiani) nello Stato ideale. σμινύδας Hapax legomenon, probabilmente di significato analogo a σμινύη (‘bidente’, ‘zappa a due punte’)682, attestato in Aristofane (vd. supra, Testo); cfr. inoltre Ar. frr. 610 (variante grafica ζμινύη)683; 889 (diminutivo σμινύδιον)684. ἀγκαλίδας Per l’ espressione ἀγκαλίδες (ξύλων), attestata anche in Nicostr. fr. 25, 3 (ἀγκαλίδας ἔχοντας, ὥστε μὴ παρελθεῖν μηδένα), cfr. Phryn. Praep. soph. p. 20, 3–4 (ἀγκαλίδες ξύλων· τὸ πλῆθος δηλοῦται, ὅσον ἄν τις ἀγκάλαις περιλάβοι). Cfr. anche Ar. fr. 417, per l’ espressione ἐπὶ ξύλα (‘[andare] a far legna’).
fr. 433 K.-A. Schol. (VEΓ3) Ar. Av. 1283a, 2–7 τοῦ δὲ σ κ υ τ ά λ ι ο ν τὸ α ἐκτείνεται, ὡς (ὡς om. EΓ3) ἐν Ὁλκάσιν (-ᾶ- V), ἔνθα καὶ τὸ Νικοφῶντος ἐξ Ἀφροδίτης Γονῶν παρετέθη (fr. 2)· οὐκ ἐς κόρακας τὼ χεῖρ᾿ ἀποίσεις ἐκποδὼν | ἀπὸ τοῦ σκυταλίου (τε add. Dindorf, τοῦδε Meineke) καὶ τῆς διφθέρας. οὕτω Σύμμαχος. La a di s k y t a l i o n (“bastone”) si allunga, (come) nelle Holkades, nel commento alle quali è stato messo a confronto il passo di Nicofonte dalle Afroditēs gonai (fr. 2): “alla malora, perché non tieni dunque le mani lontano | dal bastone … e dalla giubba di pelle?”685. Così Simmaco.
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678
Non determinabile
kk? ka
Cfr. Biles–Olson 2015, 127. Cfr. Sommerstein 1998, 165; Capra 2010, 201; Pellegrino 2015, 481; Bagordo 2018, 146. 680 Cfr. Henderson 19912, 123; Sommerstein 1998, 165; Capra 2010, 201. 681 Per la correzione σκυτάλιον di Dindorf, vd. supra, Testo. 682 “La houe à deux forchons […] dont se servent les agriculteurs pour défoncer et fouiller le sol, briser les mottes de terre retournées par le charrue, remuer la terre on l’ amonceler autour des plantes d’ arbre, de vigne, etc.” (Saglio 1873, 709). 683 Cfr. Bagordo 2016, 112. 684 Bagordo 2018, 81. 685 Traduzione di Nicoph. fr. 2: Pellegrino 2013, 30. 679
Ὁλκάδες (fr. 433)
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Bibliografia Dindorf 1829, 164–5 (~ II [1835], 634–5; 1838, 497–8; 18695, 213); Meineke, V 1 (1857), 56; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 236; Henderson 2007, 318–9; Pellegrino 2015, 256; Ceccarelli 2017–18, 373–4. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Av. 1283a, 2–7, citando come fonte il grammatico Simmaco (autore di un commento ad Aristofane)686, informa che la α di σκυτάλιον è da computare lunga, come nelle Holkades, di cui non riporta tuttavia il verso in cui il lemma era inserito, e in Nicoph. fr. 2, 2, di cui riporta il testo. In Av. 1283 il testo tràdito (σκυτάλι᾿ ἐφόρουν, νυνὶ δ᾿ ὑποστρέψαντες αὖ) presenta infatti un tribraco in prima sede seguito da anapesto, che è una successione generalmente evitata nel trimetro aristofaneo687. L’ affermazione dello scoliaste è stata tuttavia considerata dubbia dagli studiosi moderni688, i quali hanno avanzato alcune proposte di correzione, che non evitano, tuttavia, la successione anomala di sillabe brevi689: ἐσκυταλιοφόρουν, νῦν δ᾿ ὑποστρέψαντες αὖ (Porson, ap. Dobree 1820, 185 [ad Ar. Av. 1283])690; σκυτάλιά τ᾿ ἐφόρουν, νῦν δ᾿ ὑποστρέψαντες αὖ (Bergk, II [18722], VI–VII)691; σκυτάλι᾿ ἐφόρουν, νῦν δ᾿ ὑποστρέψαντες αὖ (Coulon, III [1928], ad loc.)692. Anche in Nicoph. fr. 2, 2, non è necessario computare lunga la α di σκυταλίου, poiché la metrica rivela la presenza di una lacuna, che può essere integrata con il pronome dimostrativo τοῦδε (Meineke, V 1 [1857], 56), ricostituendo così il trimetro giambico (rlkkk l〈lk〉|l llkl)693. Interpretazione Nel contesto di Ar. Av. 1280 ss.694, a cui si riferisce lo scolio (vd. supra), gli σκυτάλια sono i bastoni che gli Ateniesi portavano a imitazione degli Spartani (cfr. ad es. van Leeuwen 1902, 198–9; Zanetto 1987, 281–2; Dunbar 1995, 637–8); per la σκυτάλη spartana, bastone su cui erano avvolti dispacci segreti, decifrabili solo se riavvolti su bastoni di uguale grossezza, cfr. ad es. Mastromarco, 686
Vd. supra, n. 318. L’avverbio di luogo figurato ἔνθα rimanda ellitticamente al commento alle Holkades (cfr. le analoghe espressioni ellittiche ἐν Ὁλκάσιν in schol. Ar. Lys. 722a; ὡς ἐν ταῖς Ἐκκλησιαζούσαις in schol. Ar. Lys. 801, per le quali vd. infra, ad fr. 442). 687 Cfr. Martinelli 1995, 110. 688 Per una sintesi della discussione cfr. Newiger 1961, 176; vd. anche Dunbar 1995, 432 (ad Ar. Av. 1283). 689 Mantengono infatti il testo tràdito Hall–Geldart, I (19062), 334; Wilson, I (2007), 407. 690 La correzione di Porson è adottata da van Leeuwen 1902, 199; Zanetto 1987, 134; Dunbar 1995, 87; Henderson 2000, 190; Totaro, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 254. 691 Bergk è seguito da Rogers, II (1924), 250. 692 L’ emendamento di Coulon richiede comunque di scandire σκυτάλι᾿(α) con la ᾱ; cfr. tuttavia Coulon 1953, 36–7, in cui l’ editore accetta il testo tràdito come esempio di proceleusmatico nel primo piede. 693 Cfr. Coulon 1925, 82–3; Pellegrino 2013, 30. La proposta di integrazione di Dindorf 1829, 165 (= II [1835], 634; 1838, 498; 18695, 213), che inserisce la congiunzione coordinante τε (rlkl kl〈k〉|l llkl), comporta invece la necessità di scandire σκυτᾱλίου. 694 πρὶν μὲν γὰρ οἰκίσαι σε τήνδε τὴν πόλιν, | ἐλακωνομάμουν ἅπαντες ἄνθρωποι τότε, | ἐκόμων, ἐπείνων, ἐρρύπων, ἐσωκράτουν, | σκυτάλι᾿ ἐφόρουν […].
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ap. Mastromarco–Totaro 2006, 404 (ad Ar. Lys. 991b)695. Lo schol. Ar. Av. 1283a non precisa tuttavia il contesto in cui il termine era utilizzato nelle Holkades, dove lo σκυτάλιον poteva essere semplicemente un accessorio dell’ abbigliamento maschile, come in Nicoph. fr. 2, 2 (per il quale cfr. Pellegrino 2013, 30–1).
fr. 434 K.-A. (406 K.) Poll. (FSABLC) 10, 159 καὶ οἰκίσκον δὲ ὀρνίθειον καὶ ο ἰ κ ί σ κ ο ν π ε ρ δ ι κ ι κ ὸ ν Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν ἔφη (Ἀρ. ― ἔφη om. A). περδικικόν ABLC: περδίκιον FS: περδίκειον Fritzsche E oikiskon ornitheion (“stia per polli”) e o i k i s k o n p e r d i k i k o n (“stia per pernici”) disse Aristofane nelle Holkades.
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Anapestico ?
llllkkl
Bibliografia Dindorf 1829, 159 (~ II [1835], 630; 1838, 495; 18695, 212); Fritzsche 1835, 75; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1119; Bothe 1844, 121; Kock, I (1880), 497; Blaydes 1885, 216–7; Edmonds, I (1957), 688–9; 696–7; PCG, III 2 (1984), 236; Henderson 2007, 318–9; Pellegrino 2015, 256; Ceccarelli 2017–18, 375–8. Contesto della citazione Il lessicografo Polluce riporta i sintagmi οἰκίσκον ὀρνίθειον (“stia per polli”), per il quale vd. ad Ar. fr. 446, e οἰκίσκον περδικικὸν (“stia per pernici”), citando come fonte le Holkades di Aristofane. Testo e attribuzione Fritzsche 1835, 75, che attribuisce il frammento ai Pelargoi696, propone la correzione del tràdito περδικικόν (ABLC; περδίκιον FS) in περδίκειον, modellato sul precedente ὀρνίθειον (omeoteleuto). Tale correzione non è tuttavia accolta in nessuna edizione moderna dei frammenti di Aristofane. Gli editori precedenti Kassel e Austin attribuiscono alle Holkades l’ intera citazione di Polluce, la cui prima parte è assegnata ai Pelargoi a partire da PCG, III 2 (1984)697. Interpretazione Testimonianze iconografiche di gabbie per uccelli, molto simili a quelle odierne, sono presenti nelle raffigurazioni vascolari: cfr. Beazley, ARV
695
Henderson 2007, 319, considera σκυτάλιον un diminutivo di σκυτάλη (cfr. anche la trad. “bastoncino” di Pellegrino 2015, 256); cfr. tuttavia Petersen 1910, 48 e 255, per il quale σκυτάλιον non è da considerare un diminutivo (potrebbe anzi avere valore peggiorativo in Ar. Av. 1283; cfr. Petersen 1910, 129). 696 Così anche Edmonds, I (1957), 696–7. 697 Vd. infra, ad fr. 446.
Ὁλκάδες (fr. 435)
149
(19632), 348, 2 = Boardman 1975, fig. 244 (ragazzo seduto che apre una gabbia per uccelli, 480 a. C. ca.); Beazley, ARV (19632), 651, 16 = Reinach 19242, 262 (ragazzo con una stia contenente una pernice, 470 a. C. ca.). Nei frammenti comici tale oggetto è attestato, oltre che in Ar. fr. 446 (per il quale vd. infra), anche in Metag. fr. 5 (ὀρνιθοτροφεῖον οἰκίσκον)698. οἰκίσκον Derivato da οἶκος (‘casa’) con il suffisso di diminutivo -ισκο(ς)699, è usato nel senso di ‘camera’ (cfr. Dem. 18, 97)700 o, come nel fr. 434, ‘gabbia’, ‘stia’ per allevare volatili701. Per οἰκίσκος come sinonimo di περδικοτροφεῖον (‘stia per pernici’) cfr. Phot. ο 89; Eust. ad Od. p. 1423, 4 (riportati infra, ad fr. 446). περδικικόν L’ aggettivo deriva dal nome πέρδιξ, -ικος (‘pernice’). Questi uccelli erano considerate un cibo ricercato, spesso citato dai commediografi (cfr. Antiph. fr. 295, 1; Eub. fr. 120, 1; Ephipp. fr. 15, 8; Nicoph. fr. 9)702.
fr. 435 K.-A. (423 K.) Poll. (FCL) 10, 73 ἐν δὲ τοῖς ἀγγείοις τάττοιντ᾿ ἂν καὶ ἃς εἴρηκεν Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν (ὁλκᾶς F) ὕ ρ χ α ς ο ἴ ν ο υ. Tra i vasi potrebbero essere classificati anche quelli che Aristofane nelle Holkades ha chiamato h y r c h a s o i n o u (“orci di vino”). ― Poll. (FSABC) 6, 14 εἰ δὲ καὶ (εἰ δ. κ. om. BC) Ἀριστοφάνης ὠνόμασεν (ὠν. om. BC) ὕ ρ χ α ς ο ἴ ν ο υ, δηλοῖ μὲν ἡ λέξις (μ. ἡ λέξ. om. BC) τῷ βίκῳ προσεοικὸς κεράμιον, ἔστι δ᾿ (ἔστι δ᾿ om. BC) Αἰολικὸν τοὔνομα. E se pure Aristofane li chiamò h y r c h a s o i n o u (“orci di vino”), l’ espressione indica un keramion (“vaso di terracotta”) simile al bikos (“brocca”), e il nome è eolico.
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Tetrametro anapestico catalettico (?)
llll
Bibliografia Dindorf 1829, 163 (~ II [1835], 633; 1838, 497; 18695, 212); Lobeck 1837, 34; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1125; Bothe 1844, 122; Kock, I (1880), 501; Blaydes 1885, 220; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 237; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 256; Ceccarelli 2017–18, 379–80.
698
Per ὀρνιθοτροφεῖον come sinonimo di οἰκίσκος cfr. Harp. p. 218, 9–12 Dind. (= ο 7 Keaney), per cui vd. infra, ad fr. 446; cfr. anche Orth 2014, 406–7 (ad Metag. fr. 5). 699 Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. οἶκος. 700 Vd. infra, ad fr. 446. 701 “Ne fonctionne pas comme diminutif courant de οἶκος” (Chantraine, DELG, 781, s. v.). 702 Vd. inoltre García Soler 2001, 259 n. 242; Pellegrino 2013, 46–7 (ad Nicoph. fr. 9).
150
Aristophanes
Contesto della citazione Polluce (10, 73) riporta, in un elenco di recipienti per liquidi, il sintagma ὕρχας οἴνου (“orci di vino”), citando come fonte le Holkades di Aristofane; in un altro passo (Poll. 6, 14), senza specificare l’ opera di Aristofane da cui l’ ha tratto, afferma che il recipiente in questione è simile al βίκος (“brocca, anfora da vino”)703 e attribuisce al nome un’ origine eolica. Testo Lobeck 1837, 34, scrive ὔρχας con lo spirito dolce, pensando che Polluce trovasse in Aristofane la forma eolica con la psilosi704. Interpretazione Il frammento potrebbe contenere un riferimento agli orci colmi di vino che le navi onerarie portavano ad Atene, ed essere quindi in collegamento tematico con la parabasi705; anche dal punto di vista metrico potrebbe far parte di un tetrametro anapestico catalettico (llll). Dindorf 1829, 163 (= II [1835], 633; 1838, 497; 18695, 212) pensa addirittura che il sintagma sia da unire al fr. 431, appartenente alla parabasi, in cui tuttavia sono elencati recipienti collegati con la preparazione del pane706. Per l’ analogo nesso asindetico nel contesto di un elenco di beni che le città alleate donano ai demagoghi ateniesi, cfr. Ar. Vesp. 676 (ὕρχας, οἶνον). Cfr. inoltre Cratin. fr. 391 (κεράμιον οἰνηρόν); Alex. fr. 85, 2 (οἴνου κέραμον); Hdt. 3, 6, 1 (κέραμος […] πλήρης οἴνου). ὕρχας Vasi a due anse707 dall’ imboccatura stretta (cfr. Pers. 3, 50), usati per trasportare sulle navi vino o derrate alimentari, come pesce salato (τάριχος)708, per forma e funzione simili al βίκος709.
fr. 436 K.-A. (424 K.) Hesych. α 6067 ἀ π ε σ φ α κ έ λ ι σ ε ν· ἐσάπη. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν· οἱ δὲ ἰατροὶ τὴν ἐκ τῆς σήψεως (ὄψεως H) μελανίαν. ἢ ἀντὶ τοῦ προσεσπάσθη. ἢ αἰφνιδίως ἀπέθανεν. a p e s p h a k e l i s e n: “andò in cancrena”. Aristofane nelle Holkades; i medici (lo usano per significare) il colore nero della cancrena, oppure invece di prosespasthē (“fu colto da convulsioni”), oppure invece di aiphidniōs apethanen (“morì improvvisamente”). 703
Cfr. inoltre Hesych. υ 816 (ὔρχας· ἄμφωτον κεράμιον, καὶ βικῶδες τὸ εἶδος). In genere gli editori moderni scrivono tuttavia lo spirito aspro (vd. ad es. MacDowell 1971, 80; Mastromarco 1983, 498; Henderson 1998b, 306; Wilson, I [2007], 238; Biles– Olson 2015, 34). 705 Vd. supra il commento ai frr. 428–31. 706 Vd. il commento ad loc. 707 Cfr. schol. Ar. Vesp. 676a (κεράμεα [R; κεράμια V; κεράμεια Lh] ἀγγεῖα ὑποδεκτικὰ ταρίχων δύο ὦτα ἔχοντα); Hesych. υ 816 (riportato supra, n. 703). 708 Cfr. Hesych. υ 817 (ὔρχη· ἐφ᾿ ἧς τὰ φορτία φέρουσιν οἱ ναῦται); schol. Ar. Vesp. 676a (riportato supra); PSI IV 428, 8 (ὕρχη[[ς]] ταρίχου) e 84 (ὑπογαστρίων ὕρχη[[ς]]). 709 Cfr. Poll. 6, 14 (riportato supra tra i testimonia); Hesych. υ 816 (riportato supra, n. 703). Per questo tipo di vaso cfr. Bonati 2016, 27 ss. Vd. inoltre MacDowell 1971, 224; Biles–Olson 2015, 297–8 (ad Ar. Vesp. 676). 704
Ὁλκάδες (fr. 436)
151
Cyrill., An. Par. IV p. 179, 27–8 ἀποσφακελίζει· σήπεται, ὡς οἱ γραμματικοί· Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν (τὴν ὄκλασιν cod.)· οἱ δὲ ἰατροὶ τὴν ἐκ τῆς σήψεως (ὄψεως cod.) μελανίαν. aposphakelizei: “va in cancrena”, come (dicono) i grammatici; Aristofane nelle Holkades; i medici (lo usano per significare) il colore nero della cancrena. Sud. α 3075 ἀπεσφακέλισεν· οἱ μὲν γραμματικοὶ ἐσάπη, ἀπεσφενδόνησε (hucusque Synag. α 778). σημαίνει δὲ καὶ τὸ ἀπεκάκησεν· ἔτι τὸ ἐξαίφνης ἀπέθανεν. ὁ δὲ Ἀριστοφάνης ἀντὶ τοῦ ἀπεσπάσθη. apesphakelisen: i grammatici (dicono) esapē (“andò in cancrena”), apesphendonēse (“scagliò con la fionda”). Significa anche apekakēsen (“soccombette alla sventura”); e inoltre exaiphnēs apethanen (“morì improvvisamente”). Aristofane (lo usa) invece di apespasthē (“fu colto da convulsioni”). Phot. α 2372 = Synag. B α 1725 (= Lex. Bachm. p. 118, 20–2) ἀπεσφακέλισεν· οἱ μὲν ἰατροὶ ἐσάπη. λέγεται δὲ καὶ ἀντὶ τοῦ ἀπεσφενδόνησεν. ἔτι τὸ ἐξαίφνης ἀπέθανεν. ὁ δὲ Ἀριστοφάνης ἀντὶ τοῦ ἀπεσπάσθη. apesphakelisen: i medici (dicono) esapē (“andò in cancrena”). Si dice anche invece di apesphendonēsen (“scagliò con la fionda”); e inoltre (significa) exaiphnēs apethanen (“morì improvvisamente”). Aristofane (lo usa) invece di apespasthē (“fu colto da convulsioni”).
Metro
Non determinabile
klkkwu
Bibliografia Dindorf 1829, 163–4 (~ II [1835], 634; 1838, 497; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1125; Bothe 1844, 125; Kock, I (1880), 501; Blaydes 1885, 218; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 237; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 256–7; Ceccarelli 2017–18, 381–3. Contesto della citazione Il lessico di Esichio (α 6067) spiega il termine medico ἀπεσφακέλισεν, usato da Aristofane nelle Holkades, indicando come sinonimo ἐσάπη (aor. pass. di σήπω con valore intr: “andò in putrefazione”), e quindi, in alternativa, προσεσπάσθη (“fu colto da convulsioni”)710 o αἰφνιδίως ἀπέθανεν (“morì improvvisamente”)711. Anche il lessico di Cirillo (An. Par. IV p. 179, 27–8), usato in età bizantina per integrare quello di Esichio712, spiega il lemma ἀποσφακελίζει con una voce medio-passiva di σήπω (σήπεται: “va in cancrena”), facendo riferimento a fonti
710
Per questo significato del verbo σπάω, e analogamente dei suoi composti, cfr. Chantraine, DELG, s. v. σπάω; Beekes, EDG, s. v. σπάω, σπάομαι. 711 Il lemma di Esichio è riassunto in Et. magn. p. 120, 13–4 (προσεσπάσθη, ἢ αἰφνιδίως ἀπέθανεν. οἱ δὲ ἰατροί, ἀντὶ τοῦ ἐσάπη), che omette il riferimento ad Aristofane e modifica l’ ordine dei sinonimi. 712 Lavagnini 1932a.
152
Aristophanes
grammaticali non meglio precisate713 e alle Holkades di Aristofane; rispetto al lemma di Esichio, quello di Cirillo non riporta altri significati oltre a quello medico in relazione alla cancrena714. I lemmi della Suda (α 3075 ~ Synag. α 778) e del lessico di Fozio (α 2372 = Synag. B α 1725) introducono come sinonimo di ἀπεσφακέλισεν, oltre a ἐσάπη (“andò in cancrena”) e a ἐξαίφνης ἀπέθανεν (~ αἰφνιδίως ἀπέθανεν di Hesych. α 6067, “morì improvvisamente”), anche ἀπεσφενδόνησε(ν) (“scagliò con la fionda”), che Theodoridis (ad Phot. α 2372) scrive tra cruces, considerandolo corrotto715; Sud. α 3075 indica un ulteriore significato metaforico con il sinonimo ἀπεκάκησεν (“soccombette alla sventura”). Entrambi i lemmi fanno riferimento ad Aristofane (senza tuttavia indicare in quale commedia) per l’ uso di ἀπεσφακέλισεν nel senso di ἀπεσπάσθη, probabilmente di significato analogo a προσεσπάσθη di Hesych. α 6067 (“fu colto da convulsioni”)716. Interpretazione Il verbo ἀποσφακελίζω appartiene al lessico medico717 ed è derivato dal sostantivo σφάκελος (‘cancrena’)718; cfr. inoltre il verbo semplice σφακελίζω (‘andare in cancrena’, ‘avere le convulsioni’) in Cratin. fr. 384 (ἀπορεῖν καὶ σφακελίζειν)719 e in Pher. fr. 85, 4 (κᾆτα σφακέλιζε καὶ πέπρησο καὶ βόα)720. Il verbo composto ἀπο- è attestato nel senso di ‘essere colto da cancrena’ in seguito a congelamento in Hdt. 4, 28, 4 (riferito a cavalli); nel senso di ‘essere colto da convulsioni’ in Plut. Lyc. 16, 2. In assenza di un contesto più ampio, è difficile precisare il significato del verbo nel fr. 436: Hesych. α 6067 sembra parafrasarlo con ἐσάπη (“andò in cancrena”), ma anche il sinonimo προσεσπάσθη (“fu colto da convulsioni”) si può riferire all’ attestazione dalle Holkades721, come mostra il confronto con Sud. α 3075 e Phot. α 2372 (= Synag. B α 1725) (ἀπεσπάσθη)722. L’ aoristo ἀπεσφακέλισεν potrebbe avere un valore ingressivo, ma non si può deter-
713
“Perperam” per Latte (ad Hesych. α 6067). Da questo lemma deriva anche Zonar. p. 270 (ἀπεσφακέλισεν· αἰφνίδιον ἀπέθανεν. οἱ μὲν γραμματικοί, ἐσάπη φασίν. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν [ἀντὶ τοῦ ὤκλασεν codd.]. οἱ δὲ ἰατροὶ τὴν ἐκ τῆς σήψεως μελανίαν λέγουσιν) ~ An. Par. IV p. 116, 23–4 (ἀπεσφακέλισεν· οἱ μὲν γραμματικοί, ἐσάπη φασίν, Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν [ὤκλασεν cod.]· οἱ δὲ ἰατροὶ τὴν ἐκ τῆς σήψεως μελανίαν φασί). 715 Cfr. L. Dindorf, ap. ThGL3, I 2 (1829), 1715b, s. v. ἀποσφενδονάω sive ἀποσφενδονέω. 716 Vd. supra, n. 710. 717 Cfr. Miller 1945, 75; Southard 1971, 28. 718 Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. σφάκελος (1). In Ippocrate è attestato anche il sinonimo ἀποσφακέλισις (σαρκῶν): cfr. Hp. Art. 69; Mochl. 35. 719 Cfr. Olson–Seaberg 2018, 208. 720 Cfr. Rehrenböck 1985, 68; Urios-Aparisi 1992, 274; Franchini 2020, 23. 721 Cfr. Latte–Cunningham, 278 (ad loc.). 722 Vd. Supra, Contesto della citazione; cfr. anche Ruhnken 18282, 104 (ad Tim. Plat., s. v. ἐπεσφάλακεν); Henderson 2007, 321 (“went gangrenous […]. Alternatively, ‘went into convulsions’ or ‘died suddenly’”); Ceccarelli 2017–18, 381–2. 714
Ὁλκάδες (fr. 437)
153
minarlo con precisione. È anche possibile, da parte di Aristofane, un uso figurato del verbo, p. es. in riferimento a una situazione politica ‘incancrenita’ o ‘convulsa’, ma, in mancanza di qualsiasi contesto, l’ ipotesi non è verificabile.
fr. 437 K.-A. Phot. (z) α 3138 Ἀτ τ ι κ ω ν ι κ ό ς· ἡ τοιαύτη παραγωγὴ τῶν ὀνομάτων παρὰ τοῖς Ἀθηναίοις ἱκανῶς λέγεται. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσι (in marg.). ἀττικώνικος z A t t i k ō n i k o s (“Atticonico”): tale formazione degli aggettivi è abbastanza diffusa presso gli Ateniesi. Aristofane nelle Holkades.
Metro
Non determinabile
lkllu
Bibliografia PCG, III 2 (1984), 237; Tsantsanoglou 1984, 89; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 257; Ceccarelli 2017–18, 384–5. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (α 3138) attesta che l’ aggettivo Ἀττικωνικός, formato con un suffisso tipicamente attico (vd. infra), era usato da Aristofane nelle Holkades. Testo Il frammento non compare in nessuna edizione moderna antecedente quella di Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984]). Interpretazione L’ aggettivo Ἀττικωνικός, derivato da Ἀττικός con l’ aggiunta del suffisso -νικο(ς)723, sembra un conio aristofaneo, modellato comicamente su Λακωνικοί (‘Laconici’): cfr. Ar. Pac. 215 (l’ unica altra attestazione), in cui il vocativo Ἀττικωνικοί riprende con omeoteleuto Λακωνικοί del v. 212, e lo scolio relativo (schol. Ar. Pac. 215a: παίζει δέ· ἐπειδὴ εἶπεν ἄνω Λακωνικοὶ ὑποκοριστικῶς, διὰ τοῦτο καὶ Ἀττικωνικοί)724. L’ effetto comico poteva essere prodotto dal gioco di parole con νίκη (‘vittoria’)725.
723
Per la produttività del suffisso -ικο(ς) nella lingua attica del V sec. a. C. cfr. Peppler 1910; López Eire 1996, 21 s.; Dover 1970, 13 s. 724 Cfr. Peppler 1910, 443; vd. inoltre il commento di Platnauer 1964, 86; Olson 1998, 112. 725 Cfr. Chantraine, DELG, s. v. Ἀττικός; Mastromarco 1983, 585; Pellegrino 2015, 257.
154
Aristophanes
fr. 438 K.-A. (425 K.) Poll. (FABCL) 9, 60 καὶ τὸ δραχμῆς ἄξιον δ ρ α χ μ ι α ῖ ο ν, ὡς ἐν Ἀριστοφάνους Ὁλκάσιν. δραχμιαῖον ABCL: δραχμήδιον F E d r a c h m i a i o n, “del valore di una dracma”, come nelle Holkades di Aristofane.
Metro
Non determinabile
lkku
Bibliografia Dindorf 1829, 164 (~ II [1835], 634; 1838, 497; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1125; Bothe 1844, 125; Kock, I (1880), 502; Blaydes 1885, 219; Edmonds, I (1957), 692–3; Burelli 1973, 769; PCG, III 2 (1984), 237; Theodoridis 1987, 6–7; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 257; Ceccarelli 2017–18, 386–7. Contesto della citazione L’ Onomasticon di Polluce (9, 60), nel contesto di un elenco di termini numismatici, riporta l’ aggettivo δραχμιαῖον (‘del valore di una dracma’), attestato nelle Holkades di Aristofane726. Interpretazione L’ aggettivo δραχμιαῖος è derivato dal sostantivo δραχμή (‘dracma’)727 con l’ aggiunta del suffisso -ιαιο(ς) e si riferisce a un’ unità monetaria molto usata nella vita quotidiana, pertanto frequentemente menzionata nei testi comici (cfr. Burelli 1973, 769). Per ulteriori attestazioni di δραχμιαῖος cfr. ad es. Plat. Crat. 384c; Arist. Pol. 1300b, 33; più tardo δραχμαῖος, di analogo significato (cfr. ad es. Nic. Ther. 519, 665, 713, 955).
fr. *439 K.-A. (420 K.) Poll. (FSAVCB) 1, 83 λέγοιτο δ᾿ ἂν ταχεῖα ναῦς καὶ ταχυναυτοῦσα (καὶ om. A, καὶ τ. om. S), [βαρεῖα (FS; καρεῖα AV) ναῦς (FS)] καὶ δ ρ ο μ ά δ ε ς ὁ λ κ ά δ ε ς, ὡς Ἀριστοφάνης (CB)/ Ἀριστοφάνης δὲ καὶ δρομάδας (FSAV) τὰς (FS) ὁλκάδας (FSAV) καλεῖ (AV). λέγεται δὲ καὶ βαρεῖα ναῦς (CB) […]. Si potrebbe dire tacheia naus (“nave veloce”) e tachynautousa (“che naviga velocemente”), [bareia naus (“nave pesante”) (FSAV)] e d r o m a d e s h o l k a d e s (“correnti navi onera-
726
Cfr. anche Antiatt. δ 56 (= An. Gr. I p. 90, 26: δραχμεῖον· τὸν δράχμης ἄξιον), in cui δραχμεῖον (tra cruces in Valente 2015) va corretto in δραχμιαῖον sulla base della somiglianza con Poll. 9, 60, per Theodoridis 1987, 6–7 (così anche Kassel e Austin, PCG, VII [1989], 811; corr. δραχμαῖον G. Dindorf, ap. ThGL3, II [1829], 1674d, s. v. δραχμιαῖος). 727 Cfr. Beekes, EDG, s. v. δραχμή.
Ὁλκάδες (fr. 440)
155
rie”), come Aristofane (CB)/Aristofane chiama le navi onerarie anche dromadas (“correnti”) (FSAV). Si dice anche bareia naus (“nave pesante”) (CB) […].
Metro
Non determinabile
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Bibliografia Dindorf 1829, 165 (~ II [1835], 635; 1838, 498; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1126; Bothe 1844, 126; Kock, I (1880), 501; Blaydes 1885, 219; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 238; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 257; Ceccarelli 2017–18, 275. Contesto della citazione L’ Onomasticon di Polluce (1, 83), nel contesto di un elenco di termini nautici, riporta il sintagma δρομάδες ὁλκάδες, attestato in Aristofane728 e analogo per significato a ταχεῖα (o ταχυναυτοῦσα) ναῦς. Testo e attribuzione Brunck, III (1783), 278, per primo ha proposto di assegnare il fr. 439 alle Holkades. Tale attribuzione è stata accolta da tutti gli editori successivi, ma presenta qualche elemento di incertezza, perché Poll. 1, 83, non fa menzione esplicita della commedia da cui il sintagma citato era stato estrapolato729. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 238) attribuiscono pertanto il frammento alle Holkades dubitativamente. Interpretazione L’ aggettivo δρομάς è paratragico (e particolarmente paraeuripideo), spesso riferito a persone o animali (qui alle ὁλκάδες personificate): cfr. Eur. Hipp. 549; Suppl. 1000; Tr. 42; Hel. 1301; Or. 317, 837, 1416; Ph. 1125; Bacch. 731; Soph. Ph. 680730.
fr. 440 K.-A. (426 K.) Harp. p. 122, 7–9 Dind. (= ε 89 Keaney) ἐ π ί γ υ ο ν· Λυσίας ἐν τῷ πρὸς Ἀνδοκίδην ἀποστασίου (fr. 16 Carey = 16 S.), εἰ γνήσιος. τὰ πρυμνήσια ἐπίγυα ἔλεγον. κέχρηνται τῷ ὀνόματι καὶ οἱ τῆς ἀρχαίας κωμῳδίας ποιηταί. Ἀριστοφάνης Ὁλκάσιν (ἐν Ὁλκ. K). ἐπίγυον QPMK, N marg.: ἐπίγυιον N e p i g y o n (“gomena di poppa”): Lisia nel discorso per Andocide, accusato di abbandono del patrono (fr. 16 Carey = 16 S.), se autentico. Chiamavano epigya le gomene di poppa. Usano il nome anche i poeti della commedia antica. Aristofane nelle Holkades.
728
Per Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 238) il testo di Polluce va forse corretto in καὶ δρομάδες, ὡς Ὁλκάσιν Ἀριστοφάνης. 729 Cfr. anche Ceccarelli 2017–18, 275, che ha recentemente posto in in discussione l’ attribuzione vulgata. 730 Cfr. Kock, I (1880), 501.
156
Metro
Aristophanes
Non determinabile
kklu
Bibliografia Dindorf 1829, 164 (~ II [1835], 634; 1838, 497; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1125; Bothe 1844, 125; Kock, I (1880), 502; Blaydes 1885, 218; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 238; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 258; Ceccarelli 2017–18, 388–90. Contesto della citazione Il lessicografo Arpocrazione731, nel Lessico dei dieci oratori (p. 122, 7–9 Dind. = ε 89 Keaney), afferma che il nome ἐπίγυον è attestato, oltre che in Lys. fr. 16 Carey (= 16 S.), anche nei poeti della commedia antica, e particolarmente nelle Holkades di Aristofane. Interpretazione Il significato di ἐπίγυον (‘gomena di poppa’) è testimoniato anche da Hesych. ε 4691 (ἐπιγύων· τῶν πρυμνησίων κάλων, ἅ τινες πείσματα καλοῦσιν); cfr. inoltre Poll. 1, 93 (ἐπίγεια codd.); 10, 134 (varianti ἐπίγυα/-εια/εα). Il termine, proprio del lessico nautico, è attestato anche in IG II2 1611, 255–8 (tab. curatorum navalium, 357 / 6 a. C.)732 e, nei frammenti comici, in Ar. fr. 82 (εὖ γ᾿ ἐξεκολύμβησ᾿ οὑπιβάτης ὡς ἐξοίσων ἐπίγυον)733.
fr. 441 K.-A. (427 K.) Gell. NA 19, 13, 2–3 Tum Fronto Apollinari: “fac me”, inquit, “oro, magister, ut sim certus, an recte supersederim ‘nanos’ dicere parva nimis statura homines maluerimque eos ‘pumiliones’ appellare, quoniam hoc scriptum esse in libris veterum memineram, ‘nanos’ autem sordidum esse verbum et barbarum credebam”. (3) “Est quidem” inquit “hoc” Apollinaris “in consuetudine inperiti vulgi frequens, sed barbarum non est censeturque linguae Graecae origine; ν ά ν ο υ ς enim Graeci vocaverunt brevi atque humili corpore homines paulum supra terra exstantes idque ita dixerunt adhibita quadam ratione etymologiae cum sententia vocabuli competente et, si memoria, inquit, mihi non labat, scriptum hoc est in comoedia Aristophanis, cui nomen est Ὁλκάδες”. Allora Frontone disse ad Apollinare: “Ti prego, maestro, rendimi sicuro (su questo punto), se correttamente ho smesso di chiamare nani gli uomini di statura eccessivamente piccola e ho preferito invece chiamarli pumiliones, perché ricordavo che questo nome è scritto nei libri degli antichi autori, mentre credevo che nani fosse parola volgare e barbara”. (3) “In verità”, disse Apollinare, “è frequente nell’ uso del volgo incolto, ma non è barbara e si ritiene che tragga origine dalla lingua greca; i Greci, infatti, chiamarono n a n o u s (“nani”) gli uomini di bassa statura, che si alzano poco sopra la terra, e dissero ciò allegando una qualche
731
Vd. supra, p. 111. Ἀκροτέρᾳ ἐπίγυα |||, Ἡδίστῃ ἐπίγυα ||, Ναυκρατίδι ἐπίγυα ||||, Ἑνῃ ἐπίγυα || (seguono le ἄγκυραι). 733 Per la terminologia relativa alle gomene cfr. inoltre Morrison–Williams 1968, 301; Casson 1971, 250–1, n. 101. 732
Ὁλκάδες (fr. 441)
157
motivazione etimologica, coerente con il significato del vocabolo, e, se la mia memoria, disse, non vacilla, questo è scritto in una commedia di Aristofane, che si intitola Holkades”.
Metro
Non determinabile
ll
Bibliografia Dindorf 1829, 90 (~ II [1835], 133; 1838, 466; 18695, 194); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1005; Dindorf 18695, 213; Kock, I (1880), 502; Blaydes 1885, 188 e 223; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 238; Henderson 2007, 320–1; Pellegrino 2015, 258; Ceccarelli 2017–18, 275. Contesto della citazione L’ erudito latino Aulo Gellio (NA 19, 13, 2–3), nel contesto di un dialogo relativo alla parola latina più corretta per indicare i nani tra il retore M. Cornelio Frontone, esponente dell’ arcaismo latino del II sec. d. C.734, e il grammatico contemporaneo C. Sulpicio Apollinare735, ci informa, per bocca di quest’ ultimo, che la parola nani (νᾶνοι) è di origine greca, richiamandone l’ etimologia (cfr. Et. Orion. p. 108, 18–20 St.)736, ed è attestata nelle Holkades737 di Aristofane (NA 19, 13, 3). Testo e attribuzione Il frammento è stato incluso tra quelli delle Holkades a partire dall’ edizione di Kock (I [1880]), mentre gli editori precedenti, accogliendo la correzione di Saumaise (vd. n. 737), consideravano la testimonianza di Gellio riferita al Kōkalos di Aristofane738. Cassio 1977, 91, accogliendo l’ emendamento di Ascherson (vd. n. 737), attribuisce il frammento ai Daitalēs (fr. 52 Cassio)739. Interpretazione Per il nome νᾶνοι cfr. anche Phot. ν 18 (~ Sud. ν 26)740. In Ar. Pac. 790 l’ aggettivo composto νανοφυεῖς, di significato analogo (‘nanerottoli’), è riferito ai figli di Carcino con intento sarcastico741. È possibile che anche nelle
734
Cfr. ad es. Funaioli 1932; Schmidt 1998. Autore degli argumenta in senari giambici alle commedie di Terenzio; cfr. ad es. Arnaldi 1929; Gatti 2001. 736 ἄνω ἄνος νάνος, ὁ μὴ αὐξανόμενος. ἔγκειται γὰρ τὸ ν (νη fort. leg. est: Sturzius) στερητικόν, νάνος νήανος. 737 Ὁλκάδες in Gell. NA 19, 13, 3, è correzione di Hertz (II [1855], 434) del tràdito ΑΚΑΛΕΣ, che non dà senso; C. Saumaise (ap. Hertz, II [1855], 434; vd. anche CXXII) correggeva tuttavia Κώκαλος; K. E. Ascherson (ap. Hertz, II [1855], 434) Δαιταλῆς. Gli editori di Gellio successivi a Hertz accolgono per lo più la sua correzione: vd. ad es. Rolfe 1927, 398; Marshall 1968, 582; Bernardi-Perini 1992, 1378; Julien 1998, 141. 738 Così anche Blaydes 1885. 739 Cfr. anche Ceccarelli 2017–18, 275. 740 νᾶνος· ἐπὶ τῶν μικρῶν παρὰ Νεοκλείδῃ καὶ Ἀριστοτέλει (HA 6, 24, 577b, 27)· καὶ ὁ Θεόφραστος (fr. 339 Fortenb.)· ὡς νᾶνον καὶ αἰδοῖον ἔχοντα μέγα· οἱ γοῦν νᾶνοι μέγα αἰδοῖον ἔχουσιν (versione abbreviata in Hesych. ν 62). 741 Cfr. Mastromarco 1983, 621; Olson 1998, 227. Alla piccola statura dei figli di Carcino allude anche Pher. fr. 15 (cfr. Urios-Aparisi 1992, 119 ss.). 735
158
Aristophanes
Holkades νάνους non fosse usato in senso proprio, ma figurato, in un contesto di deformazione caricaturale.
fr. 442 K.-A. (428 K.) Schol. (Γ) Ar. Lys. 722a τ ρ ο χ ι λ ί α δέ ἐστιν ὁ τροχὸς τοῦ ξύλου τοῦ φρέατος, δι᾿ οὗ ἱμῶσιν. δεδήλωται δὲ περὶ τούτου καὶ ἐν Ὁλκάσι. T r o c h i l i a (“carrucola”) è la ruota di legno del pozzo, per mezzo della quale attingono l’ acqua. È stato dato un chiarimento riguardo a questo nome anche nel (commento alle) Holkades.
Metro
Non determinabile
kkkl
Bibliografia Dindorf 1829, 165 (~ II [1835], 635; 1838, 498; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1125; Bothe 1844, 125; Kock, I (1880), 502; Blaydes 1885, 222; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 238; Henderson 2007, 322–3; Pellegrino 2015, 258; Ceccarelli 2017–18, 391–2. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Lys. 722a spiega il nome τροχιλία (“carrucola”), rimandando a un commento alle Holkades742, anche nelle quali il termine doveva dunque essere attestato. Testo Hall e Geldart (II [19072], 300), seguiti da Ceccarelli 2017–18, 391–2, introducono la variante grafica τροχιλεία al posto del tràdito τροχιλία (Γ), come in Ar. Lys. 722 (vd. infra)743. Tale variante è testimoniata ad es. in IG I3 386, 112 (408 / 7 a. C.)744, mentre i manoscritti della Lisistrata presentano, nel v. 726, le lezioni τροχειλίας (R) e τροχιλίας (ΓVp2HB)745, per la quale ultima cfr. anche ad es. Hp. Art. 43 (τροχιλίης); Pol. 1, 22, 8; 8, 4, 5 e 6; Plut. Eum. 11, 7. Tutti gli altri editori mantengono il testo tràdito, a mio parere correttamente, in assenza di altri testimoni che trasmettano il lemma. Interpretazione Τροχιλία è un termine tecnico, indicante una macchina molto semplice per sollevare i pesi, composta da una ruota dentata con una scanalatura per una fune; nel pozzo, è il congegno che permette di sollevare il secchio e di attingere l’ acqua. In Ar. Lys. 722 (τὴν δ᾿ ἐκ τροχιλείας αὖ κατειλυσπωμένην) 742
Per l’espressione ellittica ἐν Ὁλκάσι cfr. lo schol. Ar. Lys. 801 (ὡς ἐν ταῖς Ἐκκλησιαζούσαις). L’ emendamento τροχιλείας di Hall–Geldart, II (19072), 31, è accolto ad es. nelle recenti edizioni di Henderson 1987, 38; 2000, 364; Mastromarco, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 378; Wilson, II (2007), 39. 744 Cfr. anche Meisterhans 19002, 53 n. 429; Threatte, I (1986), 205 ss. 745 Per le due famiglie dei codici della Lisistrata, cfr. Henderson 1987, LIII. 743
Ὁλκάδες (fr. 443)
159
una donna cerca di calarsi giù dall’ Acropoli con una carrucola per fare ritorno a casa746. L’ assenza di una citazione testuale delle Holkades nello schol. Ar. Lys. 722a non ci permette di ricostruire il contesto in cui il vocabolo era utilizzato in questa commedia.
fr. 443 K.-A. (429 K.) Steph. Byz. (RQPN) φ 42 Φᾶσις· πόλις τῆς Αἴας πρὸς τῷ Φάσιδι ποταμῷ ἐν Κόλχοις. ἐκτίσθη δὲ ὑπὸ Μιλησίων. τὸ ἐθνικὸν ἔδει Φασίτης, ὡς Ὀασίτης Μεμφίτης, ἢ Φασιάτης πλεονασμῷ τοῦ α, ὡς καὶ λέγεται. τὸ θηλυκὸν Φασιᾶτις. καὶ Φασιατικὸς καὶ Φ α σ ι α ν ό ς, ὡς (ὡς om. PN) Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσι (ὀλ- codd.), καὶ Φασιανὴ θηλυκὸν καὶ Φασιανὸν νάπος (fr. trag. adesp. 469) οὐδετέρως. ἔστι καὶ ἄλλος ποταμὸς Φᾶσις ἐν τῇ Ταπροβάνῃ. Phāsis (“Fasi”): città (della regione) di Ea, presso il fiume Fasi, nel territorio dei Colchi. Fu fondata dai Milesii. Il nome del popolo doveva (essere) Phāsitēs (“abitante di Fasi”), come Oasitēs (“abitante dell’ Oasi”), Memphitēs (“abitante di Memfi”), o Phāsiātēs (“abitante di Fasi”), con una a pleonastica, come anche si dice. Il femminile (è) Phasiātis (“abitante di Fasi”). (Sono attestati) sia Phāsiātikos, sia P h ā s i ā n o s (“abitante di Fasi”), come (attesta) Aristofane nelle Holkades, sia Phāsiānē (“abitante di Fasi”) al femminile, sia (il sintagma) “Phāsiānon napos” (“valle boscosa di Fasi” [trag. adesp. fr. 469]) al neutro. C’ è anche un altro fiume (di nome) Phāsis (“Fasi”) a Taprobanē (Ceylon).
Metro
Non determinabile
lklu
Bibliografia Dindorf 1829, 165(~ II [1835], 635; 1838, 498; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1125–6; Bothe 1844, 126; Kock, I (1880), 502; Blaydes 1885, 223; Edmonds, I (1957), 692–3; PCG, III 2 (1984), 239; Totaro 20002, 185 n. 13; Henderson 2007, 322–3; Kanavou 2011, 195; Pellegrino 2015, 258; Ceccarelli 2017–18, 393–4. Contesto della citazione Gli Ethnika del geografo bizantino Stefano (VI sec. d. C.)747 attestano che il nome etnico Φασιανός, usato per gli abitanti della città di Fasi, sul Mar Nero748, era usato da Aristofane nelle Holkades. Interpretazione In Ar. Ach. 725–6 (ἐνταῦθα μήτε συκοφάντης εἰσίτω | μήτ᾿ ἄλλος ὅστις Φασιανός ἐστ᾿ ἀνήρ) Φασιανός (“cittadino di Spionia”)749 è usato in riferimento ai sicofanti, probabilmente per la paronomasia tra il nome di città
746
Cfr. Henderson 1987, 164. Cfr. Billerbeck, I (2006), 3*-4*. 748 Cfr. von Bredow 2000. 749 Tr. Mastromarco 1983, 169. 747
160
Aristophanes
Φᾶσις e il nome comune φάσις (‘delazione’)750. Dal momento che probabilmente nelle Holkades svolgevano un ruolo sicofanti esperti nell’arte retorica751, è possibile che fosse presente un gioco di parole analogo752 (vd. anche la paronomasia tra Φασιανικός e συκοφαντικός in Ar. Av. 68)753.
750
Cfr. Mastromarco 1983, 169; Olson 2002, 258. Vd. supra, Contenuto (p. 95) e il commento ai frr. 416 e 424. 752 Cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1126; Totaro 20002, 185 n. 13; Kanavou 2011, 195. 753 Cfr. LSJ, s. v. Φασιανικός. 751
161
Πελαργοί (Pelargoi) (“Cicogne”) Data
c. 399 a. C.
Bibliografia Süvern 1827b, 83 n. 2; Dindorf 1829, 166 (= II [1835], 636; 1838, 498; 18695, 213); Fritzsche 1835, 1–96; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1126; Bothe 1844, 125; Kock, I (1880), 502 s.; Blaydes 1885, 224; Goossens 1935, 413; Schmid 1946, 215; Edmonds, I (1957), 692–5; Geißler 19692, XVIII; 71–2 e 84; Gelzer 1970, 1412; PCG, III 2 (1983), 239; Gil 1989, 90–3 (= 1996, 174–7; 2010, 103–5); Mastromarco 19962, 79; Carrière 2000, 201 e 224–5; Henderson 2007, 323; Rothwell 2007, 104 e 133–4; Pellegrino 2015, 259. Titolo È attestato da un Catal. ms. fab. Ar. (Prol. de com. XXXa, p. 142, 17 Koster = test. i). Deriva probabilmente dal coro teriomorfo754, che rappresentava le cicogne755, associate nell’ immaginario antico alla pietà filiale: cfr. ad es. Ar. Av. 1353–7, in cui Pistetero ribatte al Parricida, il quale vuole trasferirsi nella città degli uccelli, che lì vige la legge antica scritta sulle “tavole delle cicogne”, per cui i piccoli, affettuosamente cresciuti dai genitori756, devono a loro volta prendersi cura dei genitori anziani757; Arist. HA 9, 13, 615b, 23–4 (περὶ μὲν οὖν τῶν πελαργῶν, ὅτι ἀντεκτρέφονται θρυλεῖται παρὰ πολλοῖς); Plat. Alc. I 135e (πελαργοῦ ἄρα ὁ ἐμὸς
754
Cfr. Sifakis 1971, 76. Fritzsche 1835, 3–30 (cfr. anche Fritzsche 1835, 31–44), ha ipotizzato in modo piuttosto fantasioso (cfr. ad es. Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1126; Kock, I [1880], 502) che la commedia prendesse in realtà il titolo dai Pelasgi (Πελασγοί), originari abitanti della Grecia, i quali, scacciati dagli Elleni, furono chiamati Tirreni dopo essersi stanziati in Italia secondo Ellanico di Lesbo (FGrHist 4 F 4); per Fritzsche, che cerca di combinare le diverse tradizioni antiche sull’ origine degli Etruschi (provenienti dalla Lidia per Hdt. 1, 94, 5–7, autoctoni per Dion. 1, 26–30; cfr. ad es. Pallottino 19847, 85–110) con il dato erodoteo della presenza di Pelasgi (parlanti una lingua non-greca) in alcune zone ai margini del mondo greco in epoca storica e di un’ origine pelasgica dell’ ethnos attico (cfr. Hdt. 1, 57, 1–3, su cui vd. ad es. Belloni 2000, 175–6), questo popolo sarebbe giunto nuovamente in Grecia durante un’ altra migrazione dall’ Etruria, scacciatone dagli Etruschi (o Tirreni); nella commedia aristofanea i Πελασγοί / Πελαργοί non sarebbero quindi un Coro teriomorfo, ma rappresenterebbero degli umani, parassiti o piuttosto barbari (cfr. Fritzsche 1835, 43–4). 756 Cfr. ad es. la tradizione, riportata da Ael. NA 3, 23, secondo la quale i genitori si privavano del cibo per i piccoli, probabilmente derivante dal fatto che le cicogne rigurgitano per loro il cibo (cfr. Arnott 2007, 247). 757 ἀλλ᾿ ἔστιν ἡμῖν τοῖσιν ὄρνισιν νόμος | παλαιὸς ἐν ταῖς τῶν πελαργῶν κύρβεσιν· | ἐπὴν ὁ πατὴρ ὁ πελαργὸς ἐκτετησίμους | πάντας ποιήσῃ τοὺς πελαργίδεας τρέφων, | δεῖ τοὺς νεοττοὺς τὸν πατέρα πάλιν τρέφειν. I commentatori hanno osservato che l’ uso del termine tecnico kyrbeis (“tavole”) assimila la legge degli uccelli a quelle soloniane, incise su tavole lignee: cfr. ad es. Zanetto 1987, 288–9; Dunbar 1995, 656–7; Totaro, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 260–1. 755
162
Aristophanes
ἔρως οὐδὲν διοίσει, εἰ παρὰ σοὶ ἐννεοττεύσας ἔρωτα ὑπόπτερον ὑπὸ τούτου πάλιν θεραπεύσεται), in cui Socrate usa l’ amore filiale delle cicogne come paragonante per quello di Alcibiade nei suoi confronti; Plut. Mor. 962e (οἱ μὲν γὰρ τρέφουσι τοὺς πατέρας, οἱ δ᾿ ἀποκτίννουσιν ἵνα τὰς μητέρας ὀχεύωσι), che contrappone il comportamento delle cicogne e quello degli ippopotami; Babr. 13 (= Aesop. 194 Perry), 7–8 (πτηνῶν πελαργὸς εὐσεβέστατον ζώων·| τὸν ἐμὸν τιθηνῶ πατέρα καὶ νοσηλεύω), in cui una cicogna rivendica la propria devozione nei confronti del padre; Ael. NA 3, 23 (Ἀλέξανδρος δὲ ὁ Μύνδιος φησιν, ὅταν ἐς γῆρας ἀφίκωνται, παρελθόντας αὐτοὺς ἐς τὰς Ὠκεανίτιδας νήσους ἀμείβειν τὰ εἴδη ἐς ἀνθρώπου μορφήν, καὶ εὐσεβείας γε τῆς ἐς τοὺς γειναμέμους ἆθλον τοῦτο ἴσχειν), che cita lo zoologo Alessandro di Mindo (= Alex. Mynd. fr. 1 Wellm.), per il quale, alla fine della loro vita, questi uccelli erano trasformati dagli dei in forma umana, come ricompensa per i meriti nei confronti dei genitori; Apost. 14, 15, p. 608, 6 ss. Leutsch (λέγεται περὶ πελαργῶν καὶ τοῦτο· ὅτι τρέφουσι τοὺς πατέρας γεγηρακότας […]). Per estensione ἀντιπελαργεῖν significa proverbialmente ‘ricambiare i favori ricevuti’: cfr. Aristaen. 1, 25, 27–8 Vieill.; Iambl. Pyth. 5, 24–5; Zenob. 1, 94; Sud. α 2707. Sono tramandate inoltre favole in cui le cicogne ricambiano i servigi ricevuti da parte degli uomini: cfr. la donna adultera punita dalla cicogna di cui si prendeva cura insieme col marito in Ael. NA 8, 20 (in versione più breve anche in Apost. 14, 15, p. 609, 13–8 Leutsch); la donna che aveva curato una cicogna con la zampa rotta ricompensata con il dono di una pietra preziosa in Dion. De av. 1, 27 (variante in Ael. NA 8, 22)758. Contenuto I frammenti superstiti, pur abbastanza consistenti, non consentono di ricostruire la trama della commedia né il sistema dei personaggi. Il fatto che il Coro fosse probabilmente composto da cicogne, simbolo della pietà filiale (vd. supra, Titolo), ha fatto ipotizzare che il tema fosse il rapporto tra le generazioni. In particolare, le cicogne forse fanno ritorno ad Atene come ogni anno, in primavera, per sottoporre ad esame i cittadini riguardo alla gratitudine nei confronti dei genitori anziani759: cfr. ad es. il fr. 445, che sembra contenere un rimprovero nei confronti di un figlio ingrato (vd. infra il commento relativo)760. Nella commedia, appartenente all’ ultimo periodo della produzione aristofanea (vd. infra, Datazione), il poeta riprenderebbe quindi un tema da lui sviluppato
758
Cfr. Thompson 1936, 224; Arnott 2007, 247, e in generale, per la simbologia associata alla cicogna nell’antichità, Thompson 1936, 223; Bergomi 1996, 26; Arnott 2007, 246–8. 759 Cfr. Goossens 1935, 413, il quale stabilisce un parallelo con i Ploutoi di Cratino, commedia nella quale i Titani che componevano il Coro (collegati a Crono e alla mitica età dell’ oro: cfr. Cratin. fr. 171, 11–12), relegati nell’ Ade dopo l’ avvento del regno di Zeus, tornavano sulla terra per giudicare il modo in cui i mortali si erano procurati i loro beni (Cratin. fr. 171, 46; 69 ss.); Schmid 1946, 215; Gil 1989, 90–1 (= 1996, 174–5; 2010, 103); Carrière 2000, 224–5; Rothwell 2007, 133–4; Pellegrino 2015, 259. 760 Anche i frr. 447 e 452 fanno riferimento a un contesto giuridico, in cui sono perseguiti però, più genericamente, malfattori e corrotti (vd. infra il commento relativo).
Πελαργοί
163
già nella fase iniziale della sua carriera teatrale con i Daitalēs (427 a. C.) e quindi con le due redazioni delle Nuvole761 e con le Vespe (422 a. C.)762, forse in relazione con l’ accusa, rivolta a Socrate, di corrompere i giovani: nella katēgoria scritta dal retore Policrate alcuni anni dopo il processo del 399 a. C. e la condanna a morte del filosofo763, di cui Senofonte ci trasmette alcune parti nei Memorabili, Socrate è accusato di insegnare ai figli a non curarsi dell’ autorità paterna, persuadendo i suoi discepoli che li avrebbe resi più saggi di quanto avrebbe saputo fare il loro padre, e dicendo inoltre che la legge consentiva di far mettere in catene il genitore dichiarato affetto da demenza (Xen. Mem. 1, 2, 49)764. Il riferimento a due poeti tragici contemporanei, Meleto II (fr. 453) e Patrocle (fr. 455), per i quali vd. il commento relativo, può far supporre anche il motivo della critica al teatro tragico contemporaneo, ma l’ impossibilità di ricostruire un contesto più ampio non consente di verificare tale ipotesi. Fritzsche 1835, 81–2, attribuisce ai Pelargoi anche Ar. fr. 931 (ἄχθομ᾿ αὐτοῦ τῷ ῥύπῳ), che conterrebbe per lui un riferimento a Patrocle e alla di lui sporcizia (cfr. il fr. 455), ma tale attribuzione non appare fondata su argomenti probanti765. Datazione Lo schol. Plat. Apol. 18b, p. 420 Greene (= 7, p. 13 Cufalo = TrGF 47 T 1) di Areta (vd. infra, fr. 453), che utilizza come fonte le Didascalie aristoteliche (Arist. fr. 628 R. = TrGF DID C 24), ci informa che la commedia fu rappresentata nello stesso anno dell’ Oidipodeia di Meleto II, tetralogia tragica datata da Snell (ap. TrGF, I [19862], 188) approssimativamente al 399 a. C. (anno del processo a Socrate)766. I riferimenti al retore Neoclide (fr. 454) e al tragediografo Patrocle (fr. 455)767, il primo dei quali preso di mira anche in Ar. Eccl. 397 ss. e Pl. 665–6, 716 ss., 747, il secondo in Ar. Pl. 84, sono anch’ essi coerenti con una rappresentazione nei primi anni del IV sec. a. C. (ultimo periodo della produzione aristofanea).
761
Per la datazione delle prime e delle seconde Nuvole vd. supra, p. 25. Per questa tematica nella commedia aristofanea cfr. ad es. Strauss 1993, 153–66; Sherberg 1995, 11–7; Zimmermann 2007; Imperio 2013. 763 Cfr. ad es. Calogero 1935, per il quale il discorso d’ accusa di Policrate va datato al 393–92 a. C. 764 ἀλλὰ Σωκράτης γ᾿, ἔφη ὁ κατήγορος, τοὺς πατέρας προπηλακίζειν ἐδίδασκε, πείθων μὲν τοὺς συνόντας αὐτῷ σοφωτέρους ποιεῖν τῶν πατέρων, φάσκων δὲ κατὰ νόμον ἐξεῖναι παρανοίας ἑλόντι καὶ τὸν πατέρα δῆσαι, τεκμηρίῳ τούτῳ χρώμενος, ὡς τὸν ἀμαθέστερον ὑπὸ τὸν σοφώτερον νόμιμον εἴη δεδέσθαι. 765 Cfr. Bagordo 2018, 134. Per Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 418) è incerta pure l’ attribuzione ad Aristofane del frammento (cfr. anche Pellegrino 2015, 478); contra Bagordo 2018, 133 (“die Aufnahme des Fragments […] unter die Dubia kaum nachvollziebar ist”). 766 La commedia è datata probabilmente al 399 a. C. da Gil 1989, 50 (= 1996, 133; 2010, 78); agli anni 399–90 a. C. da Geißler 19682, 84; agli anni 398–89 a. C. da Henderson 1998a, 6; al 390 a. C. (dubitativamente) da Carrière 2000, 201. 767 Per questi personaggi vd. il commento ad loca. 762
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Aristophanes
test. i (= Ar. test. 2a 21 K.-A.) Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 17 Koster Πελαργοί Pelargoi (“Cicogne”)
Bibliografia Contesto fane.
Vd. supra, ad Ar. Nēs. test. i.
Catalogo alfabetico manoscritto dei titoli delle commedie di Aristo-
fr. 444 K.-A. (430 K.) ὁ μὲν ᾖδεν Ἀδμήτου λόγον πρὸς μυρρίνην, ὁ δ᾿ αὐτὸν ἠνάγκαζεν Ἁρμοδίου μέλος 2 δὲ mss. Ald
μέλος Γ Lh Ald: μέρος V
L’ uno cantava la storia di Admeto con un ramoscello di mirto in mano, l’ altro lo costringeva (a cantare) il canto di Armodio Schol. (RVΓLhAld) Ar. Vesp. 1238a ň ň ň ň Ἀδμήτου λόγον· καὶ τοῦτο (RVΓAld) ἀρχή ἐστι (Lh) τοῦ (R) σκολίου. ἐξῆς δέ ἐστιν· (VΓAld) τῶν δειλῶν ἀπέχου, γνούς ὅτι δειλῶν ὀλίγα χάρις (PMG 897, 2). (RVΓLhAld) καὶ ἐν Πελαργοῖς· ὁ μὲν ― μέλος. †Ἁρμόδιος† (Ἡρόδικος coni. Dobree, Ἀμμώνιος Susemihl) δὲ ἐν τοῖς Κωμῳδουμένοις καὶ (〈τὸν Κλειτάγοραν καὶ〉 Jacoby) τὸν Ἄδμητον ἀνάγει, γραφὴν (ἀναγέγραφεν Dobree) παραθεὶς τοῦ (V; τὰ [vel τό] Dobree) Κρατίνου ἐκ Χειρώνων (fr. 254)· Κλειταγόρας ᾄδειν, ὅταν Ἀδμήτου μέλος αὐλῇ. (VΓLhAld) Admētou logon (“la storia di Admeto”): e questo è il principio dello skolion. Di seguito c’ è: “tienti lontano dai vili, sapendo che scarsa è la gratitudine dei vili (PMG 897, 2)”. E nelle Cicogne: “l’ uno ― Armodio”. †Armodio† nei Kōmōidoumenoi cita (〈Clitagora e〉) anche Admeto, allegando il passo di Cratino dai Cheirōnes (fr. 254): “cantare il Clitagora, quando sul flauto suoni il canto di Admeto”.
Metro
Trimetri giambici
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Bibliografia Reitzenstein 1893, 25–26; Dindorf 1829, 166 (~ II [1835], 636; 1838, 498; 18695, 213); Fritzsche 1835, 48–54; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1127–8; Bothe 1844, 129; Kock, I (1880), 503; Blaydes 1885, 227; Edmonds, I (1957), 694–5; Bowra 19612, 378–9; Van Der Valk 1974, 11–3; Vetta 1983, 128 e 154–5, n. 46; PCG, III 2 (1984), 239; Gil 1989, 91 (= 1996, 175; 2010, 103); Fabbro 1995, 158–9; Carrière 2000, 225; Henderson 2007, 322–3; Olson 2007, 315; Beta 2009, 206–7; Pellegrino 2015, 259–60.
Πελαργοί (fr. 444)
165
Contesto della citazione Lo schol. Ar. Vesp. 1238a spiega la citazione Ἀδμήτου λόγον, che costituisce l’ inizio di un celebre canto conviviale (skolion)768, di cui è citato il primo verso in Ar. Vesp. 1238 / 9, mentre lo scolio ne riporta il secondo. La versione trasmessa dai mss. V e Γ, oltre che dalla recensio Tricliniana (Lh) e dall’ Aldina, allega, oltre a questo frammento, attribuito ai Pelargoi, anche Cratin. fr. 245, riportando quest’ ultima citazione a un opera sui kōmōdoumenoi, il nome del cui autore è evidentemente corrotto nel testo dello scolio769. Testo Nel v. 2 Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1128) propone di correggere il pronome di 3a pers. sing. αὐτόν nella forma riflessiva αὑτόν (dal momento che, nella prassi simposiale, i convitati si alternavano nel canto)770 e di aggiungere l’ infinito ᾄδειν (retto da ἠνάγκαζεν), che si ricava facilmente dal contesto; tutti gli editori mantengono tuttavia il testo tràdito. Interpretazione Il parlante sembra raccontare una scena di simposio, come mostra l’ uso del tempo imperfetto (ᾖδεν, v. 1; ἠνάγκαζεν, v. 2)771. Il frammento allude all’ uso simposiale di intonare canti celebrativi (skolia) tenendo in mano un ramoscello di mirto (Myrtus communis)772, che i convitati si passavano l’ uno con l’ altro773, continuando il canto di chi li precedeva, oppure alternando ad esso un 768
Vd. infra, Interpretazione. La lezione Ἁρμόδιος è spiegabile con il riferimento al “canto di Armodio” (Ἁρμοδίου μέλος) nel fr. 444, riportato precedentemente. Dobree 1833, 203 (ad Ar. Vesp. 1231) propone la correzione Ἡρόδικος, attribuendo l’ opera al grammatico della scuola di Pergamo Erodico di Babilonia (II sec. a. C.; cfr. Gudeman 1912; Gärtner 1967e; Pagani 2006–9); Susemihl 1889 (cfr. anche 1892, 155, n. 41; 176, n. 170) propone Ἀμμώνιος, attribuendo l’ opera al grammatico coevo Ammonio di Alessandria (II sec. a. C.; cfr. Gärtner 1964; Montanari 1996a; Montana 2006a), tra i cui frammenti lo schol. Ar. Vesp. 1238a è stato inserito da Jacoby (FGrHist 350 F 2* [dub.] = BNJ 350 F 2); cfr. inoltre Steinhausen 1910, 6 s.; Gudeman 1912, 978; Montana 2006a; Broggiato 2014, 54. N. F. Jones (ad BNJ 350 F 2) suppone che la corruzione fosse più ampia e potesse estendersi anche al nome del trattato citato dallo scoliaste; poiché in Cratin. fr. 254 è citato anche il Clitagora, propone inoltre l’ integrazione καὶ 〈τὸν Κλειτάγοραν καὶ〉 τὸν Ἄδμητον, a mio parere non necessaria, dato che il καὶ precedente τὸν Ἄδμητον si può spiegare con valore intensivo. 770 Vd. infra, Interpretazione. 771 Per il tema simposiale nella commedia aristofanea e in genere nell’ archaia cfr. ad es. Murray 1990; Bowie 1995; 1997; Pütz 2003; Olson 2007, 292–8. 772 Per l’ espressione πρὸς μυρρίνην ad indicare l’ accompagnamento del canto vd. infra, p. 168. Una testimonianza iconografica di tale uso simposiale del mirto è la kylix a figure rosse attribuita al pittore Brygos (490–80 a. C. ca.) e conservata al Museo Archeologico Nazionale di Firenze (3949 = Beazley, ARV [19632], 376.90), raffigurante un convitato che intona un canto con un ramoscello di questa pianta in mano (cfr. Lissarrague 1987, tr. ingl. 128–9). Con il mirto si facevano anche corone, di cui i simposiasti si cingevano il capo (cfr. ad es. Pütz 2003, 43). 773 Cfr. Hesych. τ 796 (περιέφερον ἐν τοῖς συμποσίοις ἐπὶ δεξιὰ τὸ πάλαι κιθάραν, εἶτα μυρρίνην, πρὸς ἣν ᾖδον). 769
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Aristophanes
altro774. L’ aprosdoketon comico è costituito dal fatto che in questo caso il secondo convitato, oltre a non proseguire lo skolion intonato da chi lo precede, costringe quest’ ultimo a cambiare canto, scegliendone uno celebrativo di un evento storico fondativo per l’ Atene democratica, quindi altamente ‘patriottico’ (l’ Armodio), invece di uno (l’ Admeto) di probabile origine aristocratica (vd. infra). In Ar. Vesp. 1224–35 Bdelicleone intona il primo verso di uno skolion in onore di Armodio (Vesp. 1226: “οὐδεὶς πώποτ᾿ ἀνὴρ ἔγεντ᾿ Ἀθήναις”), che il padre Filocleone prosegue poi con una parodia dissacrante (Vesp. 1227: “οὐχ οὕτω γε πανοῦργος οὐδὲ κλέπτης”)775. Un simile gioco comico è ripetuto in Ar. Vesp. 1236–42, in cui Bdelicleone intona il canto dedicato ad Admeto (Vesp. 1238 / 9: “Ἀδμήτου λόγον, ὦ ᾿ταῖρε, μαθὼν τοὺς ἀγαθοὺς φίλει”), al quale Filocleone risponde improvvisando con un altro breve skolion di invenzione aristofanea, contenente un attacco politico nei confronti del cleoniano Teoro (Vesp. 1241–2 = PMG 912a: “οὐκ ἔστιν ἀλωπεκίζειν, | οὐδ᾿ ἀμφοτέροισι γίγνεσθαι φίλον”)776; cfr. infine Ar. Vesp. 1243–8, con un’ analoga improvvisazione di Filocleone a partire da un verso del Clitagora intonato dal figlio (Vesp. 1245–7 = PMG 912b)777. Per la mancanza di un contesto più ampio, non sappiamo se l’ opposizione tra i due skolia citati nel fr. 444 sia da intendere in senso politico (vd. infra)778 oppure ritmico-musicale, come in Ar. Lys. 1236–7 ([…] εἰ μέν γέ τις | ᾄδοι Τελαμῶνος, Κλειταγόρας ᾄδειν δέον)779 e in Cratin. fr. 254 ([dai Cheirōnes] riportato dallo schol. Ar. Vesp. 1238a)780, forse in relazione alla frequente parodia aristofanea della ‘nuova musica’781. Nelle Nuvole, che hanno alcuni significativi elementi tematici in comune con i Pelargoi782, il simposio diventa un terreno di confronto e di scontro tra la cultura tradizionale e il nuovo modello educativo dei Sofisti: cfr. Ar. Nub. 1353 ss., in cui Strepsiade chiede al figlio Fidippide di cantare, durante il banchetto, un brano del poeta arcaico Simonide (Nub. 1355 ss.) o del più antico dei tre grandi
774
Cfr. Wehrli 19672, 70 (ad Dicaear. fr. 89); Wilkins 2000, 241; Pütz 2003, 43–4; Rocconi 2007, 100. 775 Cfr. MacDowell 1971, 291; Mastromarco 1983, 538; Vetta 1983, 123–4; Pütz 2003, 121–2; Rocconi 2007, 100 n. 10. 776 Cfr. MacDowell 1971, 293; Vetta 1983, 128–9; Pütz 2003, 122–3; Rocconi 2007, 100 n. 9. 777 Cfr. MacDowell 1971, 292–3; Vetta 1983, 128–9; Pütz 2003, 123. 778 Cfr. Reitzenstein 1893, 26 n. 1; Bowra 19612, 378–9; Olson 2007, 315; Zogg 2014, 88. 779 Cfr. Van Der Valk 1974, 19; Vetta 1983, 154–5 n. 46; Henderson 1987, 209; Fabbro 1995, 159; Pütz 2003, 122–3; Mastromarco, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 424. 780 Cfr. Bakola 2010, 54 n. 121. 781 Per le innovazioni musicali del ‘nuovo ditirambo’ (caratterizzato dal prevalere dell’ elemento melodico sul testo, con complicate e tortuose variazioni tonali) e il loro influsso sulle monodie euripidee, vd. infra, pp. 231–2. Per la critica alla ‘nuova musica’ nei testi comici cfr. ad es. Gentili 1984, 34–5; 1988, 9–10; Zimmermann 1987, 129–31; 1988; 1993; vd. infra, ad fr. 467. 782 Vd. supra, Contenuto.
Πελαργοί (fr. 444)
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tragici, Eschilo (Nub. 1364 ss.), ma è deriso dal giovane, il quale preferisce il più moderno e ‘scandaloso’ Euripide (Nub. 1371 ss.); cfr. inoltre Ar. fr. 235 (ᾆσον δή μοι σκόλιόν τι λαβὼν Ἀλκαίου κἀνακρέοντος), tratto dai Daitalēs, in cui probabilmente un padre chiede a un figlio di cantargli un brano tradizionale della lirica arcaica, con esito analogo a quello della richiesta di Strepsiade, oppure diametralmente opposto, a seconda che si rivolgesse al figlio ‘depravato’ (καταπύγων; cfr. Ar. Nub. 529) o a quello ‘saggio’ (σώφρων; cfr. Ar. Nub. 529)783. 1 Ἀδμήτου λόγον Il ‘canto di Admeto’ era un celebre skolion, attribuito alla poetessa Prassilla di Sicione (cfr. PMG 897 ~ 749)784. L’ argomento era probabilmente un’ esaltazione della φιλία tra persone nobili785: il collegamento con il mito di Admeto, re di Fere, in Tessaglia, può dipendere dalla χάρις concessagli dalla moglie Alcesti, che accetta di morire al posto del marito, oppure da Eracle, che riporta sulla terra dall’ Ade la donna in cambio dell’ ospitalità ricevuta dal sovrano786. Nei due versi riportati (n. 784), centrale è proprio il motivo della χάρις (“gratitudine”)787, che distingue gli uomini di valore (ἀγαθοί) dai vili (δειλοί). L’ Admeto nasce probabilmente in ambiente aristocratico alla fine del VI sec. a. C.788, come mostra anche l’ opposizione terminologica tra gli ἀγαθοί e i δειλοί, intesi come categoria valoriale e politica789, ma è riutilizzato nel V sec. in chiave democratica in relazione all’ alleanza “pluridecennale” (Vetta 1983, 127) tra Ateniesi e Tessali, p. es. in Ar. Vesp. 1236 ss.790 Tuttavia negli anni successivi al 404 a. C. il signore di Fere, Licofrone, stringe un’ alleanza con Sparta, che dura fino alla conclusione della guerra corinzia (395–86 a. C.), durante la quale le altre città tessale sono invece alleate dei Beoti e degli altri membri della coalizione antispartana, tra cui Atene791. Nel contesto cronologico della rappresentazione
783
Cfr. Cassio 1977, 78–9; Beta 2009, 241; Pellegrino 2015, 157–8. Per il collegamento tematico tra i Daitalēs e le Nuvole, vd. supra, n. 82. 784 Ἀδμήτου λόγον ὦ ἑταῖρε μαθὼν τοὺς ἀγαθοὺς φίλει, | τῶν δειλῶν ἀπέχου γνούς ὅτι δειλῶν ὀλίγη χάρις. Per l’ attribuzione a Prassilla, cfr. Vetta 1983, 154 n. 39. 785 Cfr. Scodel 1979, 62; Fabbro 1995, 155. 786 Per la vicenda mitica di Admeto, quale è attestata nell’ Alcesti euripidea, cfr. ad es. Ferrari 1999, s. v. Admeto. 787 Per la traduzione di χάρις cfr. Van Der Valk 1974, 13 n. 49; Vetta 1983, 126. Tale motivo potrebbe essere tematico nella commedia per la connessione tra cicogne e gratitudine nell’ immaginario greco (vd. supra, Titolo). 788 Cfr. Vetta 1983, 126 s. 789 Cfr. ad es. Theogn. 105 ss. (δειλοὺς εὖ ἕρδοντι ματαιοτάτη χάρις ἐστίν· […]) e 111–2 (οἱ δ᾿ ἀγαθοὶ τὸ μέγιστον ἐπαυρίσκουσι παθόντες, | μνῆμα δ᾿ ἔχουσ᾿ ἀγαθῶν καὶ χάριν ἐξοπίσω); 853–4 (ᾔδεα μὲν πρόσθεν, ἀτὰρ πολὺ λώια δὴ νῦν, | οὕνεκα τοῖς δειλοῖς οὐδεμί᾿ ἔστι χάρις); 955–6 (δειλοὺς εὖ ἕρδοντι δύω κακά· τῶν τε γὰρ αὐτοῦ | χηρώσει πολλῶν, καὶ χάρις οὐδεμία), che hanno in comune con l’ Admeto anche il motivo della χάρις; cfr. Scodel 1979, 52 ss.; Vetta 1983, 154 n. 38; Fabbro 1995, 153. 790 Cfr. Vetta 1983, 126–7; Fabbro 1995, 157–8. 791 Cfr. ad es. Sordi 1982, 161.
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Aristophanes
dei Pelargoi (c. 399 a. C.), l’ Admeto potrebbe quindi suggerire un orientamento politico filo-spartano e oligarchico. πρὸς μυρρίνην Lett. “segnando il tempo con un ramoscello di mirto”792, cioè “tenendo in mano un ramoscello di mirto”793; cfr. Ar. Nub. 1364 (μυρρίνην λαβόντα). Per l’ uso del mirto in contesti simposiali vd. supra, pp. 165–6. 2 Ἁρμοδίου μέλος Sono attestati diversi skolia celebrativi dei tirannicidi Armodio e Aristogitone, che nel 514 a. C. uccisero il tiranno Ipparco, figlio di Pisistrato: oltre a quello citato in Ar. Vesp. 1226 (PMG 911)794, cfr. Athen. 15, 695a–b (= PMG 893–6)795. Si trattava quindi di un altro tema tipico della tradizione simposiale, caro alla parte democratica796.
fr. 445 K.-A. (17 Dem.) οὐ γὰρ σὺ παρέχεις ἀμφιέσασθαι τῷ πατρί Perché tu non dai di che vestirsi a tuo padre Phot. (b, lemma tantum z) α 1326 ἀμφιέσασθαι· Ἀριστοφάνης Πελαργοῖς· οὐ ― πατρί. amphiesasthai (“vestirsi”): Aristofane nei Pelargoi: “perché ― padre”.
Metro
Trimetro giambico
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Bibliografia Demiańczuk 1912, 16; Edmonds, I (1957), 694–5; PCG, III 2 (1984), 240; Gil 1989, 91 (= 1996, 175; 2010, 103); Carrière 2000, 225; Henderson 2007, 322–3; Rothwell 2007, 134; Pellegrino 2015, 260. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (α 1326) riporta il frammento come esempio dell’ uso dell’ infinito medio aoristo ἀμφιέσασθαι (“vestirsi”), usato assolutamente797.
792
Cfr. le analoghe espressioni indicanti l’ accompagnamento con uno strumento musicale πρὸς (τὸν) αὐλόν (Eur. Alc. 346; Xen. Symp. 6, 3); πρὸς τὴν λύραν (Eup. fr. 395); LSJ, s. v. πρός, C III 6; Olson 2007, 235; 2014, 158–9. 793 Cfr. Olson 2007, 315 e 457 (“while holding a laurel branch”); Beta 2009, 207 e Pellegrino 2015, 259 (“tenendo in mano un ramo di mirto”). 794 Vd. supra, p. 166. 795 Cfr. Fabbro 1995, 137–52. 796 Cfr. Mastromarco 1983, 538; Vetta 1983, 122–5; Olson 2007, 315. 797 Vd. infra, Interpretazione.
Πελαργοί (fr. 446)
169
Interpretazione Il frammento sembra un rimprovero rivolto a un figlio ingrato798, che non assolve agli obblighi di mantenimento e assistenza nei confronti dell’ anziano genitore, violando quindi, oltre che un imperativo morale799, un preciso obbligo di legge, che ad Atene era assoluto800. Così Erodoto, descrivendo i costumi degli Egizi, può notare come uno degli elementi caratteristici e opposti rispetto alle usanze dei Greci il fatto che i figli maschi non abbiano l’ obbligo di mantenere i genitori anziani, obbligo che invece ricade interamente sulle figlie femmine (Hdt. 2, 35, 4)801. παρέχεις Il medesimo verbo nel senso di ‘garantire’, ‘procurare’ (costruito con il doppio accusativo) è usato anche in Lys. 13, 91 (vd. n. 799) per Agorato, che non provvedeva al padre i mezzi di sussistenza. Per παρέχω con l’ infinito o una proposizione infinitiva nel senso di ‘dare, concedere, accordare’ cfr. Soph Tr. 1114 (ἀντιφωνῆσαι); Thuc. 1, 37, 3 (αὐτοὺς δικαστὰς […] γίγνεσθαι); Luc. Dial. mar. 14, 2 (ἰδεῖν). ἀμφιέσασθαι La forma media di ἀμφιέννυμι (-ύω) è usata in questo frammento assolutamente; più comunemente è attestata con un accusativo di cosa (cfr. ad es. Il. 14, 178; Od. 23, 142; Xen. Mem. 1, 6, 2), anche con valore traslato (Plat. Resp. 5, 457a).
fr. 446 K.-A. (405. 441 K.) τί δὲ τὸν ὀρνίθειον οἰκίσκον φέρεις; τί δὲ Eust.: τί δαὶ Brunck: τί δὴ Dindorf: ποῖ δὴ Bergk: τίνι δὲ Bothe: 〈πρὸς〉 τί δὲ Kock
Perché porti la stia per i polli? Eust. ad Od. p. 1423, 4 ἐκ δὲ τοῦ οἴκου καὶ οἰκίσκος παρὰ Ἀριστοφάνει, περδικοτροφεῖον, οἷον· τί ― φέρεις; Da oikos (“casa”) (deriva) anche oikiskos (“stia”) in Aristofane, perdikotropheion (“stia per pernici”), come: “perché ― polli?”.
798
Cfr. Demiańczuk 1912, 16; Gil 1989, 91 (= 1996, 175; 2010, 103); Carrière 2000, 225; Rothwell 2007, 134; Pellegrino 2015, 260. 799 Cfr. ad es. Lys. 13, 91 (ὅστις οὖν τόν τε γόνῳ πατέρα τὸν αὐτοῦ ἔτυπτε καὶ οὐδὲν παρεῖχει τῶν ἐπιτηδείων) per la riprovazione nei confronti di Agorato, che non può avere rispetto per il popolo ateniese, dal momento che non ne ha mostrato nei confronti del suo stesso padre biologico. 800 Cfr. ad es. Lipsius 1905, 343–4; Lacey 1968, 116 ss.; MacDowell 1978, 92; Maffi 2005, 255. 801 τρέφειν τοὺς τοκέας τοῖσι μὲν παισὶ οὐδεμία ἀνάγκη μὴ βουλομένοισι, τῇσι δὲ θυγατράσι πᾶσα ἀνάγκη καὶ μὴ βουλομένῃσι. Cfr. anche Seidl 1966.
170
Aristophanes
Harp. p. 218, 9–12 Dind. (= ο 7 Keaney) οἰκίσκῳ· ἀντὶ τοῦ μικρῷ τινι οἴκῳ Δημοσθένης ἐν τῷ ὑπὲρ Κτησιφῶντος (or. 18, 97). ἐκάλουν δὲ οἱ Ἀττικοὶ τὸ ὑφ᾿ ἡμῶν λεγόμενον ὀρνιθοτροφεῖον οἰκίσκον. Ἀριστοφάνης Πελαργοῖς, Μεταγένης Αὐρίαις (fr. 5). ἐκ τούτων δ᾿ ἔοικε πλανώμενος ὁ Δίδυμος (p. 311 Schm.) καὶ τὸ Δημοσθενικὸν ἐξηγεῖσθαι. oikiskōi: (lo usa) Demostene nell’ orazione Per Ctesifonte (or. 18, 97) invece di “(in) una camera”. Gli Attici, invece, chiamavano oikiskos l’ oggetto da noi detto ornithotropheion (“stia”). Aristofane nei Pelargoi, Metagene nelle Auriai (fr. 5). Didimo (p. 311 Schm.), indotto in errore da queste attestazioni, sembra intendere (così) anche il passo di Demostene. Phot. (g z) ο 89 οἰκίσκος· περδικοτροφεῖον (παιδ- codd.). Ἀριστοφάνης Πελαργοῖς. oikiskos: “stia per pernici”. Aristofane nei Pelargoi. Poll. (FSCLBA) 10, 159 καὶ οἰκίσκον δὲ ὀρνίθειον καὶ οἰκίσκον περδικικὸν Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν ἔφη (Ἀρ. ― ἔφη om. A). E oikiskon ornitheion (“stia per polli”) e oikiskon perdikikon (“stia per pernici”) disse Aristofane nelle Holkades.
Metro
Tetrametro trocaico catalettico
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Bibliografia Brunck, III (1783), 260; Dindorf 1829, 159 e 168 (~ II [1835], 630 e 637; 1838, 495 e 499; 18695, 212–3); Fritzsche 1835, 74–80; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1119 e 1129; Bothe 1844, 121; Kock, I (1880), 497 e 505; Blaydes 1885, 216–7 e 225; Edmonds, I (1957), 688–9 e 696–7; PCG, III 2 (1984), 240; Henderson 2007, 322–3; Pellegrino 2015, 260. Contesto della citazione Eustazio (ad Od. p. 1423, 4) riporta il frammento (senza indicare da quale commedia sia tratto) come esempio dell’ uso del nome οἰκίσκος come sinonimo di περδικοτροφεῖον (“stia per pernici”) in Aristofane. Il lessicografo Arpocrazione802 (p. 218, 9–12 Dind. = ο 7 Keaney), spiegando l’ uso di οἰκίσκος nel senso di ‘camera’ in Dem. 18, 97803, distingue tuttavia il significato di ‘stia’ attestato nella commedia attica804, citando i Pelargoi di Aristofane e le Auriai di Metagene (fr. 5)805, senza tuttavia riportare i testi dei frammenti. Anche Phot. ο 89 cita i Pelargoi come attestazione dell’ uso di οἰκίσκος nel senso 802
Vd. supra, p. 111. Cfr. anche Phot. ο 93 (= Sud. οι 63: οἰκίσκῳ· ἀντὶ τοῦ μικρῷ τινι οἴκῳ. Δημοσθένης ἐν τῷ περὶ Κτησιφῶντος [or. 18, 97]. ἐκάλουν δὲ οἱ Ἀττικοὶ τὸ ὑφ᾿ ἡμῶν λεγόμενον †ὀρνίθων τροφεῖον† οἰκίσκον), che ha come fonte l’epitome del Lessico di Arpocrazione (Theodoridis, ad loc.). 804 Vd. anche Lex. Patm. 97, p. 142 Sakkelion (= Lex. Gr. Min. p. 152: οἰκίσκος· κυρίως ὁ τῶν ὀρνίθων); Hesych. ο 254 (οἰκίσκος· ὁ τῶν ὀρνίθων); cfr. Wankel 1976, 531. 805 Vd. infra, Interpretazione. 803
Πελαργοί (fr. 446)
171
di περδικοτροφεῖον (‘stia per pernici’), senza riportare il testo del frammento. Poll. 10, 159, infine, fonde forse due testimonianze, la prima (οἰκίσκον […] ὀρνίθειον) relativa ai Pelargoi, la seconda (οἰκίσκον περδικικὸν) alle Holkades806. Testo e attribuzione Il fr. 446 è stato attribuito ai Pelargoi per la prima volta da Fritzsche 1835, 74–80, mentre Hemsterhuis (ap. Jungermann, II [1706], 1344–5)807 lo attribuiva alle Holkades sulla base della testimonianza di Poll. 10, 159808. Gli editori precedenti Kassel e Austin hanno tutti inserito il frammento tra quelli delle Holkades809, attribuendo per lo più ai Pelargoi solo il lemma οἰκίσκος sulla base delle testimonianze di Phot. ο 89 e di Harp. p. 218, 9–12 Dind. (= ο 7 Keaney)810. Il verso, come è tramandato nei codici di Eustazio, è un tetrametro trocaico catalettico incompleto (mancante della parte finale)811. Gli editori precedenti Kassel e Austin, tuttavia, hanno ricostruito un trimetro giambico, operando varie correzioni nel primo piede del verso: τί δαὶ (Brunck, III [1783], 260: klkl llk|l llkl); τί δὴ (Dindorf 1827, 159 (= II [1835], 630; 1838, 495; 18695, 212): klkl llk|l llkl); ποῖ δὴ (Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1119: llkl llk|l llkl); τίνι δὲ (Bothe 1844, 121: kkkkl llk|l llkl); 〈πρὸς〉 τί δὲ (Kock, I [1880], 497: lkkkl llk|l llkl). Interpretazione Per le testimonianze iconografiche di gabbie per uccelli, molto simili a quelle odierne, nelle raffigurazioni vascolari, vd. supra, pp. 148–9 (ad fr. 434). Il frammento rivela che tale oggetto, menzionato anche in Metag. fr. 5 (ὀρνιθοτροφεῖον οἰκίσκον)812 e in Ar. fr. 434 (οἰκίσκον περδικικόν)813, nei Pelargoi era trasportato sulla scena da un personaggio, a cui il parlante si rivolge. ὀρνίθειον οἰκίσκον Cfr. il sintagma analogo οἰκίσκον περδικικόν in Ar. fr. 434 (per il quale vd. il commento ad loc.). L’ aggettivo ὀρνίθειος deriva da ὄρνις, -ιθος (‘uccello’), che nella lingua attica prende comunemente il significato più specifico di ‘gallo’, ‘gallina’ (cfr. Kock, I [1880], 497; LSJ s. v.). Per il sostantivo οἰκίσκος (derivato da οἶκος) nel senso di ‘gabbia’, ‘stia’, vd. supra, Contesto della citazione, e il commento al fr. 434.
806
Vd. supra, ad fr. 434. Cfr. Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 240. Cfr. Fritzsche 1835, 79. 808 Così anche Bothe 1844, 121; Edmonds, I (1957), 688–9. 809 Cfr. anche recentemente Ceccarelli 2017–18, 375–8. 810 Così Brunck, III (1783), 261 (= 18102, 32); Dindorf 1829, 168 (~ II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1129; Kock, I (1880), 505; Blaydes 1885, 225; Hall–Geldart, II (19072), 301; Edmonds, I (1957), 696–7. 811 Cfr. Brunck, III (1783), 260. 812 Cfr. Orth 2014, 406–7. 813 Vd. supra, pp. 148–9. 807
172
Aristophanes
fr. 447 K.-A. (432 K.) ἀπεσημηνάμην τὰς τῶν κακούργων οἰκίας Feci apporre i sigilli alle case dei delinquenti [Hdn.] Philet. 83 (= exc. Hdn. 28 Dain) σημεῖον λέγοντες σημειοῦσθαι οὐ λέγουσιν, ἀλλ᾿ ἀποσημήνασθαι. Ἀριστοφάνης Πελαργοῖς· ἀπεσημηνάμην ― οἰκίας. Dicendo sēmeion (“sigillo”), non dicono sēmeiousthai, ma aposēmēnasthai (“apporre i sigilli”). Aristofane nei Pelargoi: “feci ― delinquenti”. Thom. Mag. p. 337, 7–10 Ritschl σημεῖον λέγοντες σημειοῦσθαι οὐ λέγομεν, ἀλλ᾿ ἀποσημαίνεσθαι, ὡς Ἀριστοφάνης ἐν Πελαργοῖς· ἀπεσημηνάμην ― οἰκίας. Dicendo sēmeion (“sigillo”), non diciamo sēmeiousthai, ma aposēmainesthai (“sigillare”), come Aristofane nei Pelargoi: “feci ― delinquenti”.
Metro
Trimetri giambici
〈alkl alk〉kk llwl llwl l|lwl 〈alku〉
Bibliografia Brunck, III (1783), 260–1; Dindorf 1829, 166–7 (~ II [1835], 636; 1838, 498; 18695, 213); Fritzsche 1835, 54–56; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1128; Bothe 1844, 127; Kock, I (1880), 503; Blaydes 1885, 225–6; Edmonds, I (1957), 694–5; PCG, III 2 (1984), 240–1; Henderson 2007, 324–5; Rothwell 2007, 133; Pellegrino 2015, 260. Contesto della citazione Il lessico atticista Philetairos (Philet. 83), attribuito a Erodiano, ma risalente probabilmente a un atticista tardo (II–IV sec. d. C.)814, fonte dell’ Ecloga vocum Atticarum del filologo bizantino Tommaso Magistro (p. 337, 7–10 Ritschl), trasmette il frammento come esempio dell’ uso del verbo medio ἀποσημήνασθαι nel senso di ‘apporre i sigilli’, attribuendolo ai Pelargoi di Aristofane815. Interpretazione Il lessico utilizzato appartiene all’ ambito giuridico. Il frammento sembra far riferimento alla confisca di una proprietà, sanzione prevista dall’ ordinamento ateniese non solo unitamente alla condanna capitale o all’ atimia (quindi per omicidio premeditato o altri reati gravissimi), ma anche come pena a sé stante, ad es. per chi rifiutasse di sostenere una liturgia o per il garante di un 814 815
Cfr. Dickey 2007, 77; Dain 1954, 13–15, data il Philetairos al III–V sec. d. C. Il lemma compare anche nel riassunto del Philetairos, pubblicato da Dain 1954 sotto il titolo di Ἐκ τῶν Ἡρωδιανοῦ (exc. Hdn. 28).
Πελαργοί (fr. 448)
173
uomo che dovesse denaro alla città816. Tuttavia non abbiamo nessuna informazione relativa al parlante, né è possibile precisare, per mancanza di un contesto più ampio, se il senso sia letterale o figurato. 1–2 ἀπεσημηνάμην τὰς […] οἰκίας Cfr. Xen. Hell. 2, 3, 21 (τὰ δὲ χρήματα αὐτῶν ἀποσημήνασθαι); Dem. 42, 6 e 8 (παρεσημηνάμην τὰ οἰκήματα)817. Per σημεῖον nel senso di ‘sigillo’ cfr. Ar. Eq. 972 (σημεῖον); Vesp. 585 (τοῖς σημείοισιν); per il verbo semplice cfr. Ar. Lys. 1206 (σεσημάνθαι) e per il composto κατασημαίνω, con analogo significato al medio, Ar. fr. 28, 2 (κατασήμηναι)818. 2 τῶν κακούργων Per κακοῦργος (o κάκουργος) nel senso giuridico di ‘reo’ (in particolare, ad Atene, di crimini comuni, quali furti o rapine)819 cfr. ad es. Antiphont. 5, 9; Lys. 13, 78; Dem. 22, 28.
fr. 448 K.-A. (443 K.) ἀτταγᾶς ἥδιστον ἕψειν ἐν ἐπινικίοις κρέας Il francolino (ha) una carne delicatissima da cuocere nelle feste per la vittoria Athen. 9, 387f Ἀτταγᾶς. Ἀριστοφάνης ἐν Πελαργοῖς· ἀτταγᾶς ― κρέας Αttagās (“francolino”). Aristofane nei Pelargoi: “il francolino ― vittoria”.
Metro
Tetrametro trocaico catalettico
lkll lkll| kkklk lkl
Bibliografia Süvern 1827a, 21; Dindorf 1829, 167 (~ II [1835], 636; 1838, 498; 18695, 213); Fritzsche 1835, 56–8; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1127; Bothe 1844, 129; Kock, I (1880), 504; Blaydes 1885, 225; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 241; Henderson 2007, 324–5; Pellegrino 2015, 260–1. Contesto della citazione Ateneo (9, 387f) riporta il frammento, attribuendolo ai Pelargoi, in una sezione contenente una sorta di glossario dedicato al pollame e alla cacciagione (Athen. 9, 373a–374d; 384a–395f), in apertura della voce riguardante la descrizione, le abitudini e le attestazioni letterarie del francolino (Athen. 9, 387f–388b). 816
Cfr. Harrison 2001, 177–8, per una casistica giuridica più completa; ad Atene gli Undici avevano il potere esecutivo in materia di proprietà confiscata (cfr. Harrison 2001, 17–8). 817 Cfr. anche Dem. 42, 2 (τὰ σημεῖα […] τῶν οἰκημάτων ἃ παρεσημηνάμην) e 26 (τὰ παρασεσημασμένα τῶν οἰκημάτων). 818 Cfr. Burelli 1973, 773; Orth 2017, 164. 819 Cfr. Lipsius 1915, 78 e 320; Harrison 2001, 17.
174
Aristophanes
Interpretazione Il frammento poteva appartenere a una sezione epirrematica della parabasi820, come indica il metro (tetrametro trocaico catalettico) e l’ argomento, con il possibile riferimento metateatrale ai festeggiamenti per la vittoria agli agoni drammatici (vd. infra). ἀτταγᾶς Esistono diverse sottospecie di francolino, un uccello selvatico della famiglia dei Fasianidi frequentemente ricordato nei testi antichi per la particolare bontà della sua carne: cfr. ad es. Phoenicid. fr. 2, 4–5 (κοὐδὲν ἦν τούτων ὅλως | πρὸς ἀτταγῆνα συμβαλεῖν τῶν βρωμάτων); Varr. Sat. Men. 403 Buech. (Phrygia attagena); Hor. Ep. 2, 54–5 (non attagen Ionicus | iucundior […]); Mart. 13, 61 (inter sapores fertur alitum primus | Ionicarum gustus attagenarum); Hier. ep. 45, 5 (tu attagenam ructuas […], ego faba ventrem impleo)821. Thompson 1936, 60–1, identifica la sottospecie qui citata con il Francolinus francolinus (o Tetrao francolinus)822, attualmente estinto in Grecia e in Italia, ma ancora presente a Creta, a Cipro e in Turchia823. Per la formazione del nome ἀτταγᾶς cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. ἐν ἐπινικίοις Gli ἐπινίκια erano un banchetto rituale offerto in segno di ringraziamento per la vittoria nei tre ambiti agonistici più importanti della Grecia antica, cioè in battaglia, nelle gare atletiche, nei concorsi poetici e musicali, tra cui gli agoni drammatici824. Il Simposio di Platone, ad es., è ambientato durante gli ἐπινίκια per la prima vittoria del tragediografo Agatone, alle Lenee del 416 a. C. (cfr. Plat. Symp. 173a, 174a).
fr. 449 K.-A. (434 K.) κεφαλάς τ᾿ ἀρνῶν κωλᾶς 〈τ᾿〉 ἐρίφων 〈τ᾿〉 Coddaeus
Sia teste di agnelli 〈sia〉 cosce di capretti
820
Cfr. Süvern 1827a, 21 n. 1; A. Rimedio, in Deipnosofisti, II (2001), 965; contra Fritzsche 1835, 57–8, che attribuisce il frammento all’ esodo. 821 Cfr. Thompson 1936, 61; Pretagostini 1985, 192 (= 2011, 166); Thiercy 1997, 164; García Soler 2001, 256–7; Dalby 2003, 150; Arnott 2007, 19. Vd. inoltre Ar. Ach. 875, in cui il francolino compare in un elenco di leccornie provenienti dalla Beozia. 822 Cfr. anche Arnott 2007, 18–9. 823 Cfr. anche Thiercy 1997, 164; A. Rimedio, in Deipnosofisti, II (2001), 965; Dalby 2003, 150; Arnott 2007, 19; https://www.focus.it / ambiente / ecologia / biodiversita-il-caso-delfrancolino-nero-introdotto-in-toscana-da-lorenzo-il-magnifico (cons. il 27 / 6/2018). 824 Cfr. Wilson 2000, 102–3 e 348 n. 247.
Πελαργοί (fr. 449)
175
Athen. 9, 368d–e ἀπὸ δὲ τοῦ κωλέα συνῃρημένον ἐστὶν ὡς συκέα συκῆ, λεοντέα λεοντῆ, κωλέα κωλῆ. Ἀριστοφάνης Πλούτῳ δευτέρῳ (1128)· οἴμοι δὲ κωλῆς, ἣν ἐγὼ κατήσθιον, καὶ ἐν Δαιταλεῦσι (fr. 236)· καὶ δελφακίων ἁπαλῶν κωλαῖ καὶ χναυμάτια πτεροέντα. ἐν δὲ Πελαργοῖς· κεφαλάς ― ἐρίφων. Da kōlea (“coscia”) (la forma) è contratta, come (da) sykea sykē (“fico”), (da) leontea leontē (“pelle di leone”), (da) kōlea kōlē. Aristofane nel secondo Pluto (1128): “ohimé, il cosciotto che io divoravo!”; nei Daitalēs (fr. 236): “e cosce di maialini teneri e bocconcini alati”; nei Pelargoi: “sia ― capretti”.
Metro
Dimetro anapestico (o parte di tetrametro anapestico catalettico)
kklll| llkkl (opp. kklll llkkl| 〈ytyt kklu〉) (opp. 〈ytyt〉 kklll| llkkl 〈kklu〉)
Bibliografia Coddaeus, ap. Bergler–Duker, II (17602), 1239; Dindorf 1829, 167 (~ II [1835], 637; 1838, 498; 18695, 213); Fritzsche 1835, 58; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1128; Bothe 1844, 129; Kock, I (1880), 504; Blaydes 1885, 225; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 241; Henderson 2007, 324–5; Pellegrino 2015, 261. Contesto della citazione Ateneo (9, 368d–e) riporta il frammento, attribuendolo ai Pelargoi, come esempio dell’ uso del sostativo contratto κωλῆ, dopo Ar. Pl. 1128 e fr. 236 (dai Daitalēs). Testo G. Coddaeus (ap. Bergler–Duker, II [17602], 1239) integra il secondo τ᾿, per ripristinare la correlazione con il τ(ε) precedente. Questa integrazione è in genere accolta dagli editori moderni a partire da Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1128), tranne Bothe 1844, 129, che propone invece di espungere il primo τ(ε), in modo da ripristinare una coordinazione per asindeto; Hall e Geldart (II, [19072], 300) scrivono invece solo il secondo τ(ε), senza segnalare l’ integrazione825. Interpretazione Il contesto del frammento potrebbe essere quello di un banchetto (forse ἐπινίκια per festeggiare la vittoria agli agoni drammatici, come il precedente fr. 448)826. Il metro potrebbe essere compatibile con la parabasi vera e propria (anapesti) o con lo pnigos finale, se si tratta di un dimetro827. Elenchi (anche piuttosto lunghi)828 di cibi in dimetri anapestici sono caratteristici della
825
In apparato (ad loc.) indicano erroneamente il primo τ(ε) come frutto dell’ integrazione di Bergk. 826 Vd. supra. 827 Per Schmid 1946, 215, il frammento poteva far parte dell’ agone, come i successivi frr. *450 e 451. 828 Anaxandr. fr. 42; Mnesim. fr. 4.
176
Aristophanes
mesē829: cfr. ad es. Anaxandr. fr. 42; Alex. fr. 167; Antiph. frr. 130–1; Eub. fr. 63; Ephipp. frr. 12–3; Mnesim. fr. 4. Per la prelibatezza delle carni di agnello o capretto cfr. ad es. Thiercy 1997, 167; Olson–Sens 1999, 132; García Soler 2001, 222; Dalby 2003, 160 e 300.
fr. *450 K.-A. (435.897 K.) βαλανεὺς δ᾿ ὠθεῖ ταῖς ἀρυταίναις δ᾿ om. FS
Un bagnino incalza con le brocche Poll. (FSCLBA) 10, 63 καὶ μέντοι τῶν ἐν αὐτῷ τῷ βαλανείῳ σκευῶν ὀνόματα ἀσάμινθος, πύελος, κρουνός, ἀρύταινα, ἀρύβαλλος, κατάχυτλον, Ἀριστοφάνης μὲν εἰπόντος βαλανεύς ― ἀρυταίναις, καὶ αὖ πάλιν εἶτα κατασπένδειν κατὰ τῆς κεφαλῆς ἀρυβάλλῳ (Eq. 1094). E inoltre nomi di oggetti propri del bagno pubblico, asaminthos (“vasca da bagno, bagnarola”), pyelos (“tinozza”), krounos (“canale, conduttura”), arytaina (“brocca”), aryballos (“vasetto per profumi”), katachytlon (“vaso per versare l’ acqua”), poiché Aristofane disse “un ― brocche”, e ancora “poi versare sulla testa con un vasetto per profumi” (Eq. 1094). Moer. (CVF) β 1 Hansen (= p. 192, 13 Bekk.) βαλανεύς παρὰ Πλάτωνι (Resp. 1, 344d) καὶ Ἀριστοφάνει Πελαργοῖς. balaneus (“bagnino”) in Platone (Resp. 1, 344d) e Aristofane nei Pelargoi.
Metro
Dimetro anapestico (o parte di tetrametro anapestico catalettico)
kklll| lkkll (opp. kklll lkkll| 〈ytyt kklu〉) (opp. 〈ytyt〉 kklll| lkkll 〈kklu〉)
Bibliografia Brunck, III (1783), 283; Dindorf 1829, 167 (~ II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213); Fritzsche 1835, 64–7; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1129; Bothe 1844, 128; Kock, I (1880), 504 e 590; Blaydes 1885, 226 e 366–7; Edmonds, I (1957), 696–7; Ginouvès 1962, 212 n. 8; PCG, III 2 (1984), 241; Henderson 2007, 324–5; Pellegrino 2015, 261. Contesto della citazione L’ Onomasticon di Polluce (10, 63) riporta il frammento nel contesto di un elenco di oggetti connessi con i bagni pubblici, per esemplificare 829
Cfr. già Meineke, I (1839), 302–3; più recentemente Hunter 1983, 149 (ad Eub. fr. 63); Nesselrath 1990, 272–4; Olson 2007, 130 (ad Antiph. fr. 131); 284 (ad Eub. fr. 63); Millis 2015, 209–10 (ad Anaxandr. fr. 42); Mastellari 2020, 384 (ad Mnesim. fr. 4). Una lista di mestieri in dimetri anapestici in Nicoph. fr. 10 (cfr. Pellegrino 2013, 47).
Πελαργοί (fr. *450)
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l’ uso del sostantivo ἀρύταινα (“brocca”) attribuendolo ad Aristofane. Il lessico atticista di Meride (II sec. d. C.) attesta l’ uso del sostantivo βαλανεύς (“bagnino”) nei Pelargoi, senza tuttavia riportare il frammento. Testo e attribuzione Il frammento è stato attribuito ai Pelargoi a partire da Dindorf 1827, 167 (= II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213), sulla base del lemma di Meride (β 1 Hansen = p. 192, 13 Bekk.)830. Kock, I (1880), 504 (ad fr. 435), che riporta il verso anche tra i fragmenta Ar. adespota831, osserva tuttavia che il sostantivo βαλανεύς è piuttosto comune nei versi di Aristofane (vd. infra); pertanto potrebbe attribuirsi ai Pelargoi semplicemente questa parola, perché non è certo che il lemma di Meride si riferisca al medesimo frammento trasmesso da Poll. 10, 63832. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984]) inseriscono pertanto il verso tra quelli attribuiti ai Pelargoi come frammento incerto. Blaydes 1885, 226 e 366–7, propone di correggere in ὠθεῖ δ᾿ 〈ὁ〉 βαλανεὺς | ταῖς ἀρυταίναις, modificando l’ ordine delle parole per inserire l’ articolo prima di βαλανεύς e dividendo il verso in due spezzoni di trimetro giambico. Interpretazione Il verso fa riferimento all’ ambiente del bagno pubblico (βαλανεῖον), in commedia considerato piuttosto basso e degradato (cfr. ad es. Ar. Eq. 1403)833: il βαλανεύς usa le sue brocche per farsi largo tra la folla, o forse come arma in una rissa834. Il metro potrebbe essere compatibile con la parabasi vera e propria (anapesti) o con lo pnigos finale, se si tratta di un dimetro (vd. il fr. 449)835. βαλανεύς Per la cattiva fama di cui godevano i gestori dei bagni pubblici nei testi comici, cfr., oltre al verso citato supra dei Cavalieri (Ar. Eq. 1403), in cui i bagnini sono accomunati alle prostitute, Ginouvès 1962, 212 n. 8; Del Corno 19922, 199; Dover 1993a, 280 (ad Ran. 710)836; cfr. inoltre Ar. Pl. 955 (ἀλλ᾿ ὁ βαλανεὺς ἕλξει θύραζ᾿ αὐτὸν […]), in cui un βαλανεύς è immaginato nell’ atto di scaraventare fuori con la violenza un sicofante; P.Tebt. III 798 (= CPS II 246), denuncia di un’ aggressione a un cliente da parte degli inservienti di un bagno. Per la proverbiale curiosità di questi personaggi, cfr. anche Diogen. 3, 64 (βαλανεύς· ἐπὶ τῶν πολυπραγμόνων); Sud. β 63 (βαλανεύς· ἐπὶ τοῦ πολυπράγμονος); Hesych. β
830
Brunck (III [1783], 283; 18102, 44), aveva precedentemente inserito il verso tra i fragmenta Ar. adespota. 831 Così anche Blaydes 1885, 366–7. 832 “Cum βαλανεύς haud rarum est vocabulum […], nequaquam certum est ad Pelargos totum versum pertinere” (Kock, I [1880], 504). Cfr. anche Fritzsche 1835, 65 s.; Kock, I (1880), 590 (ad fr. 897). Pierson (ad Moer. p. 93) propone la correzione βαλανίς (“supposta”). 833 πόρναισι καὶ βαλανεῦσι διακεκραγέναι. Cfr. anche Ar. Pl. 535. 834 Cfr. Ginouvès 1962, 212 n. 8. 835 Per Schmid 1946, 215, il frammento poteva appartenere dell’ agone. 836 Per il βαλανεύς Cligene, sbeffeggiato come “scimmia” (πίθηκος) per la sua disonestà e la bassa statura in Ar. Ran. 708 ss., vd. supra, p. 80 n. 327 (ad fr. 409).
178
Aristophanes
145 (βαλανεύειν· λαμπροφωνεύεσθαι. παρόσον οἱ βαλανεῖς, ὅταν παραχέωσιν τὸ ὕδωρ, κραυγάζουσιν) e 146 (βαλανεύς· πολυπράγμων, περίεργος. καὶ παραχύτης). ὠθεῖ Nella poesia omerica (particolarmente nell’ Iliade) il verbo ὠθέω (‘spingo, incalzo’) compare di frequente in contesti di battaglia (duelli), con eroi o divinità come soggetto: cfr. ad es. Il. 5, 19 e 834; 15, 668 e 694; Od. 11, 596; 22, 20837. In epoca classica è di uso comune anche in prosa (cfr. ad es. Hdt. 2, 35; Xen. An. 3, 4, 48; Hell. 4, 3, 19; 4, 4, 11; Cyr. 7, 1, 36 e 38; Thuc. 4, 11, 3; 4, 35, 3; 6, 70, 2; Lys. 1, 24; Plat. Phaedr. 229c; Phileb. 62c; Phaed. 65c; Arist. Rh. 1, 5, 1361b), oltre che nella poesia tragica, particolarmente euripidea (cfr. ad es. Soph. Ai. 1307; Eur. Med. 40; Hel. 445 e 983; Tr. 356; Hec. 406; Or. 280; Ph. 1459; Bacch. 46) e comica (Ar. Eq. 692; Vesp. 152, 196, 199, 251, 1085; Pac. 637; Thesm. 535 e 643; Eccl. 300). ταῖς ἀρυταίναις Per questo oggetto caratteristico del βαλανεῖον e usato per attingere e versare l’ acqua durante le abluzioni, cfr., oltre ai lemmi riportati come testimoni, anche Phryn. Praep. Soph. p. 33, 15–6 (ἀρύταινα· σκεῦός τι, ᾧ οἱ βαλανεῖς χρῶνται πρὸς τὸ παρέχειν838 ⟨τὸ ὕδωρ⟩. ἀπὸ τοῦ ἀρύεσθαι, ὅ ἐστιν ἀπαντλεῖν); Poll. 7, 166 (καὶ τὰ τῶν βαλανείων ἀγγεῖα ἀρύβαλλος ἀρύταινα· ἄμφω δ᾿ Ἀριστοφάνης λέγει). Un’ ulteriore attestazione comica, oltre ad Ar. Eq. 1094 (riportato supra, in Poll. 10, 63), in Ar. Eq. 1091 (τοῦ Δήμου καταχεῖν ἀρυταίνῃ πλουθυγίειαν). Vd. inoltre Ginouvès 1962, 213–4; Gulletta 1992, 297–9.
fr. 451 K.-A. (436 K.) χαλκώματα προσκεφάλαια Vasellame in bronzo, cuscini Poll. (FSCLBA) 10, 174 φαίης δ᾿ ἂν καὶ χρυσώματα καὶ ἀργυρώματα καὶ χαλκώματα ἐν μέρει τῶν σκευῶν, οὐ μόνον ἐν τῇ Ἀναβάσει (4, 1, 8) Ξενοφῶντος εἰπόντος χαλκώμασιν, ἀλλὰ καὶ (εἰπ. ― καὶ om. A) Ἀριστοφάνους ἐν Πελαργοῖς (ἐν Π. om. A) χαλκώματα προσκεφάλαια. Potresti dire anche chrysōmata (“vasellame d’ oro”), argyrōmata (“vasellame d’ argento”) e chalkōmata (“vasellame di bronzo”) nella categoria dei vasi, poiché non solo Senofonte nell’ Anabasi (4, 1, 8) disse chalkōmasin (“con vasi di bronzo”), ma anche Aristofane nei Pelargoi “vasellame ― cuscini”. Poll. (FSA) 7, 105 χαλκώματα (FSABC) δὲ Ἀριστοφάνης ἐν Πελαργοῖς καὶ Σφηξὶν (1214) εἴρηκεν, Καλλίας δὲ ἐν Κύκλωψι (fr. 11) καταχαλκεύεσθαι (κεχαλκεῦσθαι A) τοίνυν ἐς πέδας (ἐσπέδας S; ἐσπαῖδας F; ἑσπέρας A).
837 838
Cfr. inoltre Ebeling, II (1880), s. v. Fritzsche 1835, 66 n. 10, propone di correggere παραχεῖν.
Πελαργοί (fr. 451)
179
Aristofane ha detto chalkōmata (“vasellame di bronzo”) nei Pelargoi e nelle Vespe (1214), Callia nel Kyklōps (fr. 11) “lavorare in bronzo, certo, ceppi per i piedi”.
Metro Dimetro anapestico catalettico (o parte finale di tetrametro anapestico catalettico)
llkkl| kklk (opp. 〈ytyt ytyt〉| llkkl kklk)
Bibliografia Dindorf 1829, 167 (~ II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213); Fritzsche 1835, 58–60; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1128; Bothe 1844, 128; Kock, I (1880), 504; Blaydes 1885, 226; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 242; Henderson 2007, 324–5; Pellegrino 2015, 262. Contesto della citazione L’ Onomasticon di Polluce (10, 174) riporta il frammento nel contesto di una sezione dedicata al vasellame di metallo (oro, argento, bronzo), come attestazione dell’ uso del sostantivo χαλκώματα (“vasi di bronzo”) nei Pelargoi di Aristofane. Polluce cita l’ uso del medesimo sostantivo nei Pelargoi e nelle Vespe (v. 1214) anche in un altro passo (Poll. 7, 105) dedicato alle parole derivate da χαλκός (“bronzo”), senza tuttavia riportare il frammento839. Interpretazione Sono accostati per asindeto due oggetti caratteristici del simposio, con un collegamento tematico ai frr. 448 e 449 (il quale ultimo, anch’ esso in metro anapestico, contiene due sostantivi coordinati, ma per polisindeto)840. Per le liste in dimetri anapestici caratteristiche della mesē vd. supra, ad fr. 449. χαλκώματα Cfr. Ar. Vesp. 1214 (ἔπειτ᾿ ἐπαίνεσόν τι τῶν χαλκωμάτων), citato in Poll. 7, 105, in cui Filocleone è invitato a lodare il vasellame di bronzo (in questo caso usato come ornamento della sala da banchetto piuttosto che disposto sulla tavola)841 come parte del galateo simposiale. προσκεφάλαια Erano usati per appoggiarsi reclinati sul letto simposiale; cfr. Ar. Ach. 1090 (κλῖναι, τράπεζαι, προσκεφάλαια, στρώματα), dove i cuscini compaiono nell’ elenco dell’ occorrente per il banchetto di Diceopoli (Ar. Ach. 1089 ss.)842; Vesp. 676 (ὕρχας, οἶνον, δάπιδας, τυρόν, μέλι, σήσαμα, προσκεφάλαια), dove fanno parte dei beni donati dagli alleati ai governanti di Atene (Ar. Vesp. 657 ss.)843.
839
Poll. 7, 105, riporta il fr. 11 dei Kyklōpes (al singolare nel testo di Polluce) di Callia come attestazione dell’ uso del verbo καταχαλκεύω (“lavorare in bronzo”) nella forma medio-passiva; cfr. Bagordo 2014a, 163–4, per la ricostruzione del testo del frammento. 840 Già Fritzsche 1835, 59, si è espresso contro l’ ipotetico collegamento dei frr. 449 e 451 in unico verso. 841 Cfr. MacDowell 1971, 288; Biles–Olson 2015, 438. 842 Cfr. Olson 2002, 335. 843 Cfr. MacDowell 1971, 225; Biles–Olson 2015, 297 s. Per la sequenza ὕρχας, οἶνον vd. supra, ad fr. 435.
180
Aristophanes
fr. 452 K.-A. (437 K.) ἢν γὰρ ἕν᾿ ἄνδρ᾿ ἄδικον σὺ διώκῃς, ἀντιμαρτυροῦσι δώδεκα τοῖς ἑτέροις ἐπισίτιοι 1 σὺ διώκῃς Grotius: συνδιώκῃς A
2 ἐπισίτιοι Casaubon: ἐπισίτιοις A
Se infatti tu citi in giudizio un uomo disonesto, (ti) testimoniano contro dodici mantenuti dagli altri Athen. 6, 246f–247a ἐπισίτιοι γὰρ καλοῦνται οἱ ἐπὶ τροφαῖς ὑπουργοῦντες. Πλάτων ἐν τετάρτῳ Πολιτείας (420a)· καὶ ταῦτα ἐπισίτιοι καὶ οὐδὲ μισθὸν πρὸς τοῖς σιτίοις ὥσπερ οἱ ἄλλοι λαβόντες. Ἀριστοφάνης Πελαργοῖς· ἢν ― ἐπισίτιοι. Εὕβουλος δ᾿ ἐν Δαιδάλῳ (fr. 20)· ἐθέλει δ᾿ ἄνευ μισθοῦ παρ᾿ αὐτοῖς καταμένειν | ἐπισίτιος. Sono infatti chiamati episitioi (“parassiti”) coloro che rendono servizi in cambio del vitto. Platone nel quarto (libro) della Repubblica (420a): “ed inoltre (sono) episitioi e non ricevono neppure mercede oltre al sostentamento, come gli altri”. Aristofane nei Pelargoi: “se ― altri”. Ed Eubulo nel Daidalos (fr. 20): “vuole rimanere presso di loro senza paga, come un episitios”.
Metro
Versi archilochei (tetrametro dattilico + itifallico)
lkk lkk lkk ll| lklklk lkk lkk lkk lkk| 〈lklklu〉
Bibliografia Grotius 1626, 970; Porson 1812, 83; Dindorf 1829, 167 (~ II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213); Fritzsche 1835, 60–4; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1128; Bothe 1844, 127; Kock, I (1880), 504; Blaydes 1885, 224–5; Edmonds, I (1957), 696–7; Gil 1989, 91 (= 1996, 175; 2010, 103); PCG, III 2 (1984), 242; Carrière 2000, 225; Henderson 2007, 324–5; Beta 2009, 76–7; Pellegrino 2015, 262. Contesto della citazione I Deipnosofisti di Ateneo (6, 247a) riportano il frammento come attestazione dell’ uso dell’ aggettivo ἐπισίτιοι, dopo la citazione di Plat. Resp. 4, 420a, in cui esso si riferisce alla classe dei guerrieri, difensori dello Stato ideale, a cui non è concesso il possesso di beni o ricchezze, ma che saranno mantenuti dagli altri cittadini come ricompensa per la loro attività844. Segue il frammento dai Pelargoi Eub. fr. 20 (dal Daidalos), come ulteriore attestazione del significato di ἐπισίτιος. Testo La correzione di Grotius 1626, 549 e 970, del tràdito συνδιώκῃς (cod. A di Ateneo) in σὺ διώκῃς, accolta da Porson 1812, 83, e in seguito da tutti gli editori
844
La citazione di Ateneo di Plat. Resp. 4, 420a, presenta alcune varianti testuali rispetto ai manoscritti che trasmettono il passo per tradizione diretta: καὶ ταῦτά γε ἐπισίτιοι καὶ οὐδὲ μισθὸν πρὸς τοῖς σιτίοις λαμβάνοντες ὥσπερ οἱ ἄλλοι (ADM) / ὥσπερ οἱ ἄλλοι λαμβάνοντες (F); cfr. l’ apparato di Burnet 1905, ad loc.
Πελαργοί (fr. 452)
181
moderni, sostituisce al verbo composto il verbo semplice, termine tecnico del lessico giuridico (vd. infra, Interpretazione), più adatto al contesto del frammento845. La correzione in ἐπισίτιοι del tràdito ἐπισιτίοις, introdotta da Casaubon (1597) nel testo di Athen. 6, 247a, è accolta da tutti gli editori moderni a partire da Dindorf 1827, 167 (= II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213), che propone in alternativa la forma ἐπισίτοι (attestata in Athen. 6, 247e; Sud. ε 2570; Phot. ε 1693)846. Interpretazione Il frammento fa riferimento alla corruzione diffusa a livello giudiziario, con il frequente ricorso a falsi testimoni prezzolati nei processi (cfr. ad es. Ar. Vesp. 1041; Eccl. 561–2; Men. Sic. 55–7; fr. 838, 5; Philem. fr. 68, 5)847, in questo caso ‘comprati’ non con il denaro, ma con il mantenimento da parte di uomini iniqui e facoltosi848. I versi archilochei fanno pensare a una sezione cantata849. 1 διώκῃς Il verbo διώκω (vd. supra, Testo) è utilizzato nel senso tecnicogiuridico di ‘citare in giudizio’ (cfr. ad es. Lys. 3, 36; 10, 31; 11, 12; 15, 1; 32, 2)850, come in Ar. Eq. 368; Vesp. 902, 1207; Eccl. 452; Nub. 1482 (der. διωκάθω). Il contrario è φεύγω nel senso tecnico-giuridico di ‘essere accusato’851: cfr. ad es. Lys. 10, 31; 11, 12; 12, 4; 15, 1; 32, 2; Ar. Ach. 1129; Eq. 442; Nub. 167, 1193; Vesp. 390, 579, 693, 718, 880, 893, 899, 943, 947, 1000. ἀντιμαρτυροῦσι Il verbo, composto del denominativo μαρτυρέω (‘testimoniare’)852, proprio del linguaggio tecnico-giuridico, è attestato nel senso di ‘te-
845
Cfr. Imperio 2009, 209 (= 2011, 170). Grotius (1626, 549) interviene inoltre modificando l’ ordine delle parole e dividendo i due versi in modo differente (ἢν γὰρ ἄδικον ἄνδρα σὺ διώκῃς ἕνα | ἀντιμαρτυροῦσι δώδεκα τοῖς ἑτέροις ἐπισίτιοι). Porson 1812, 83, seguito da Dindorf 1827, 167 (= [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213), e da Blaydes 1885, 224, mantiene l’ ordine delle parole tràdito e divide il frammento separando l’ itifallico (ἢν γὰρ ἕν᾿ ἄνδρ᾿ ἄδικον σὺ διώκῃς | ἀντιμαρτυροῦσι | δώδεκα τοῖς ἑτέροις ἐπισίτιοι). Fritzsche 1835, 60 ss., che individua il metro archilocheo, propone di trasportare ἀντιμαρτυροῦσι in fondo al v. 2 (ἢν γὰρ ἕν᾿ ἄνδρ᾿ ἄδικον σὺ διώκῃς | δώδεκα τοῖς ἑτέροις ἐπισίτιοι ἀντιμαρτυροῦσι). 846 La variante ἐπίσιτος è ritenuta tuttavia molto dubbia da Hunter 1983, 113 (ad Eub. fr. 20); Kassel e Austin, PCG, IV (1983), 104 (ad Cratet. fr. 37); Theodoridis, II (1998), 163 (ad Phot. ε 1693); A. Rimedio, ap. Deipnosofisti, II (2001), 598–9. 847 Cfr. inoltre Solmsen 1931, 45 s.; Belardinelli 1994, 120–1 (ad Men. Sic. 55–8); Beta 2007, 28 n. 40, per la relazione tra falsi testi e sicofanti; Beta 2009, 77; Pellegrino 2015, 262. Per il ruolo dei sicofanti nel sistema giudiziario ateniese dell’ epoca classica cfr. ad es. Torchio 1998–99, 280; 2001a, 214 (ad Ar. Pl. 918); Doganis 2001. 848 Cfr. Kock, I (1880), 504, contra van Herwerden 1878, 61, che intende “pretio corrupti a reliquis improbis”. 849 Per questo metro cfr. ad es. Snell 19623, tr. it. 45 s. 850 Cfr. Willi 2003, 73. 851 Cfr. Willi 2003, 76. 852 Cfr. Chantraine, DELG; Beekes, EDG, s. v. μάρτυς. Il verbo semplice è utilizzato da Aristofane anche in Eccl. 561 e 569.
182
Aristophanes
stimoniare contro’853; con valore traslato, nel lessico filosofico epicureo significa ‘contraddire (i dati dell’ esperienza)’ (cfr. ad es. Epic. Ep. 2, 47 e 55)854. 2 τοῖς ἑτέροις La posizione attributiva porta a intendere il dativo (sospetto per Bergk)855 come di agente (oppure anche di vantaggio), in relazione a ἐπισίτιοι856, piuttosto che come complemento del verbo ἀντιμαρτυροῦσι857. ἐπισίτιοι “Qui victus parandi gratia alicui subserviunt” (L. Dindorf, ap. ThGL3, III [1829], 1769d, s. v. ἐπισίτιος); cfr. Hesych. ε 5167 (ἐπισίτιος· ὁ τροφῆς χάριν ἐργαζόμενος) ~ Sud. ε 2570; Phot. ε 1693858. Nei testi comici il termine è attestato, oltre che nel fr. 452 e in Eub. fr. 20, riportati da Athen. 6, 247a, in Cratet. fr. 37, 1 (= Athen. 6, 247f: ποιμαίνει δ᾿ ἐπισίτιον· | ῥιγῶν δ᾿ ἐν Μεγαβύζου | †δέξετ᾿ ἐπὶ μισθῷ σῖτος†)859; Timocl. fr. 31, 1 (εὑρήσεις τε τῶν ἐπισιτίων | τούτων τιν᾿, οἳ δειπνοῦσιν ἐσφυδώμενοι | τἀλλότρι᾿, ἑαυτοὺς ἀντὶ κωρύκων λέπειν | παρέχοντες ἀθληταῖσι)860. Più comune παράσιτος (mai attestato in Aristofane) nella commedia di mezzo e nuova, quando il ‘parassita’ diventa un tipo fisso di personaggio che vive alle spalle della generosità di ricchi protettori, come poi nella commedia latina861: cfr. ad es., oltre al titolo (Parasitos) delle commedie di Antifane (frr. 180–4), Alessi (frr. 183–5) e Difilo (frr. 60–3), Diph. frr. 74–6 (il verbo παρασιτεῖν è attestato in Alex. fr. 200, 3; Diph. fr. 63).
fr. 453 K.-A. (438 K.) Areth. Schol. (B1) Plat. Apol. 18b, p. 420 Greene (= 7, p. 13 Cufalo) = TrGF 47 T 1 Μ έ λ η τ ο ς δὲ τραγῳδίας φαῦλος ποιητής, [Θρ]ᾷξ γένος, ὡς Ἀριστοφάνης Βατράχοις (1302), Πελαργοῖς Λ α ΐ ο υ υ ἱ ὸ ν λέγων, ἐ[πεὶ ᾧ] ἔτει οἱ Πελαργοὶ ἐδιδάσκοντο, καὶ ὁ Μέλητος Οἰδιποδείαν (TrGF 48 F 1) †ἔθηκεν† (καθῆκεν Meineke), ὡς Ἀριστοτέλης 853
Cfr. ad es. Mac. 2, 7, 6; Plut. Alc. 21, 4 (assoluto); Mor. 418a (con dativo); Plot. 6, 4, 4 (con accusativo). 854 Cfr. LSJ, s. v.; DGE, s. v. 855 “Ceterum illud τοῖς ἑτέροις nescio an corruptum sit” (Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1128). 856 Cfr. van Herwerden 1878, 61 (riportato supra, n. 848); Kock, I (1880), 504; A. Remedio, ap. Deipnosofisti, II (2001), 596 (“[ingaggiati] da altri farabutti”); Beta 2009, 77 (“[si procurano da mangiare facendosi ingaggiare] da altri furfanti”); GI, s. v. ἐπισίτιος (“[campano a sbafo] degli altri farabutti”; così anche Pellegrino 2015, 262). 857 Blaydes 1885, 225, intende invece il dativo come dipendente dal verbo ἀντιμαρτουροῦσι (“the other [opposite] party”). 858 La voce della Suda e quella del lessico di Fozio si differenziano solo per il lemma, in cui compare la variante ἐπίσιτος (per la quale vd. supra, Testo), posta tra cruces in Theodoridis, ad loc. 859 Cfr. Perrone 2019, 188. 860 Cfr. Apostolakis 2019, 224. 861 Per l’ archaia invece non si può ancora parlare di tipo fisso: cfr. ad es. Nesselrath 1985, 98 e 100.
Πελαργοί (fr. 453)
183
Διδασκαλίαις (fr. 628 R. = TrGF DID C 24). ἐν δὲ Γεωργοῖς (fr. 117) ὡς Καλλίαν περαίνοντος αὐτοῦ μέμνηται. μέμνηται αὐτοῦ καὶ Λυσίας ἐν Σωκράτους ἀπολογίᾳ (fr. 275 Carey = 223 S.). M e l ē t o s (“Meleto”) (fu) un mediocre poeta tragico, trace di stirpe, come Aristofane (dice) nelle Rane (1302), mentre nei Pelargoi lo chiama L a ï o u h y i o n (“figlio di Laio”), perché, nell’ anno in cui furono rappresentati i Pelargoi, anche Meleto portò in scena un’ Oidipodeia (TrGF 48 F 1), come riporta Aristotele nelle Didascalie (fr. 628 R. = TrGF DID C 24). Nei Geōrgoi (fr. 117) (Aristofane) lo ricorda come amante di Callia. Lo ricorda anche Lisia nella difesa di Socrate (fr. 275 Carey = 223 S.). Sud. μ 496 (= TrGF 48 T 3) Μέλητος, Λαΐου (Clinton; Λάρου mss.), Ἀθηναῖος, ῥήτωρ. οὗτος ἐγράψατο Σωκράτην μετὰ Ἀνύτου. πεποίηνται δὲ αὐτῷ καὶ τραγῳδίαι. κατελιθώθη δὲ ὑπὸ τῶν Ἀθηναίων. […]. Meleto, (figlio) di Laio, ateniese, oratore. Costui accusò Socrate insieme ad Anito. Sono state composte da lui anche delle tragedie. Fu lapidato dagli Ateniesi […].
Metro
Non determinabile
klu (Μέλητος) lkllu (Λαΐου υἱόν)
Bibliografia Meineke 1827, 18; Dindorf 1829, 166 (~ II [1835], 636; 1838, 498; 18695, 213); Fritzsche 1835, 44–8; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1126–7; Bothe 1844, 127; Kock, I (1880), 505; Blaydes 1885, 227–8; Edmonds, I (1957), 696–7; Gil 1989, 91–3 (= 1996, 175–7; 2010, 103–5); PCG, III 2 (1984), 242–3; Henderson 2007, 168–9; Pellegrino 2015, 263. Contesto della citazione Lo scolio di Areta (ca. 860 – ca. 935 d. C.), discepolo di Fozio862, a Plat. Apol. 18b (= TrGF 47 T 1), relativo a Meleto, uno degli accusatori di Socrate, informa che questo personaggio era chiamato “figlio di Laio” nei Pelargoi, per aver portato in scena863 una tetralogia tragica sulle vicende di Edipo (Oidipodeia) lo stesso anno in cui fu rappresentata la commedia aristofanea (vd. supra, Datazione), in base alle Didascalie aristoteliche (fr. 628 R. = TrGF DID C 24). Areta fonde tuttavia notizie relative a due tragediografi omonimi, padre e figlio (vd. infra, Interpretazione), al primo dei quali (Meleto I) sono da riferire le citazioni in Ar. Ran. 1302 e fr. 117 (vd. infra, Interpretazione), il secondo (Meleto II) menzionato anche nell’ Apologia di Socrate attribuita a Lisia (fr. 275 Carey = 223 S.) come accusatore del filosofo864. La notizia trasmessa dalla Suda (μ 496 = TrGF 48 T 3) relativa al nome del padre di Meleto (Λαΐου), la cui fonte è un’ epitome dell’ Onomatologus di Esichio di Mileto (V–VI sec. d. C.)865, sembra dipendere dal 862
Cfr. Greene 1938, XIX ss.; Reynolds–Wilson 1968, tr. it. 62–3. Meineke 1827, 18, propone di correggere il tràdito ἔθηκεν in καθῆκεν. 864 Cfr. Snell, ap. TrGF, I (19862), 186; Navarro Martinez 2019. Ceccarelli 2017–18, 220–1, identifica invece i due personaggi. 865 Cfr. Adler, I (1928), XXI; Lavagnini 1932b; Mazon 1942, 182. 863
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Aristophanes
medesimo frammento dei Pelargoi citato nello schol. Plat. Apol. 18b, se accettiamo la correzione, proposta da Clinton866, del tràdito Λάρου. Interpretazione Dei due tragediografi di nome Meleto, del demo di Pito, padre (PA 9829; LGPN II, Μέλητος [14]; PAA 639320; TrGF 47) e figlio (PA 9830; LGPN II, Μέλητος [15]; PAA 639340; TrGF 48), quello citato nei Pelargoi è probabilmente da identificare con il secondo, l’ accusatore di Socrate, il quale, secondo le testimonianze platoniche867, era giovane e non molto noto al momento del processo868. Il padre è frequentemente deriso dai commediografi del V secolo a. C.: cfr., oltre ad Ar. Ran. 1302 (σκολίων Μελήτου), in cui Meleto è menzionato come autore di canti conviviali869, e fr. 117 (dai Geōrgoi), citati dallo schol. Plat. Apol. 18b (vd. supra), Ar. fr. 156, 9–10 ([dal Gērytadēs]: […] ἀπὸ δὲ τῶν τραγικῶν χορῶν | Μέλητος […]) e Sannyr. fr. 2 (Μέλητον τὸν ἀπὸ Ληναίου νεκρόν), in cui il tragediografo è deriso per l’ estrema magrezza, che lo fa assomigliare a uno spettro (cfr. Ar. fr. 156, 5; 11 ss.)870. Meleto è chiamato “figlio di Laio” con una metonimia871, perché (secondo la testimonianza dello schol. Plat. Apol. 18b riportato supra), autore di una tetralogia tragica sulle vicende di Edipo (TrGF 48 F 1)872, il cui padre era appunto Laio: la metonimia si basa in questo caso sulla contiguità semantica tra autore e personaggio. La sostituzione del nome proprio Λάϊος a quello di Meleto padre è inoltre un’ antonomasia, perché Laio è considerato “l’ iniziatore dell’ amore omosessuale”873, per la passione nei confronti del giovane Crisippo, figlio di Pelope (cfr. Ael. NA 6, 15; VH 13, 5)874. Pertanto il frammento conterrebbe un’ allusione all’ omosessualità di
866
Cfr. Adler, ad loc. Cfr. Plat. Euthyphr. 2b (= TrGF 48 T 1); Apol. 23e; 25d; 26e (= TrGF 48 T 2). 868 Cfr. Snell, ap. TrGF, I (19862), 186 e 188. 869 Cfr. Del Corno 19922, 234; l’ identificazione con il tragediografo è tuttavia problematica: cfr. Gil 1989, 92–3 (= 1996, 176–7; 2010, 103–4); Dover 1993a, 350; Totaro, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 682. 870 Cfr. Mazon 1942, 183–4; Beta 2009, 99 (ad Ar. fr. 156); Orth 2015, 383 ss. (ad Sannyr. fr. 2) 871 Cfr. Kanavou 2011, 196. 872 Per la datazione, vd. supra, p. 163. 873 Ferrari 1999, s. v. Laio, 408; cfr. Dover 19892, 199–200. 874 Questa vicenda mitica fu portata sulla scena tragica da Euripide nel Chrysippos (frr. 838a–44 Kn.); vd. bibliografia in TrGF, V 2 (2004), 878, e, per una recente ricostruzione, Carpanelli 2019. Laio era inoltre il protagonista del primo dramma (Laios: frr. 121–2a R.) della tetralogia di Eschilo (467 a. C.) incentrata sulle vicende di Edipo e comprendente anche l’ Oidipous, i Sette contro Tebe (l’ unico dramma superstite della tetralogia) e il dramma satiresco Sfynx (frr. 235–7 R.). L’ Oidipodeia di Meleto II fu probabilmente parodiata da Platone comico nel Laios (frr. 65–8); cfr. Webster 1954, 297; Pirrotta 2009, 154. 867
Πελαργοί (fr. 454)
185
Meleto I875, di cui è menzionato in Ar. fr. 117 (vd. supra) il ruolo attivo assunto nei rapporti con Callia (Καλλίαν περαίνοντος αὐτοῦ)876.
fr. 454 K.-A. (439 K.) Schol. (RVEΘN Barb Ald) Ar. Pl. 665b εἴρηται δὲ καὶ ἐν Πελαργοῖς περὶ αὐτοῦ (Ν ε ο κ λ ε ί δ ο υ) ὅτι (ὁ add. V) ῥήτωρ καὶ (καὶ E Ald, om. cett.) συκοφάντης ἐστίν (ἐστίν RV, om. cett.). Anche nei Pelargoi su di lui (N e o c l e i d o u, “Neoclide” [gen. s.]) si dice che era un uomo politico e un sicofante.
Metro
Non determinabile
kkll
Bibliografia Dindorf 1829, 168 (~ II [1835], 638; 1838, 499; 18695, 214); Fritzsche 1835, 44–8; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1129; Bothe 1844, 127–8; Kock, I (1880), 505; Blaydes 1885, 227; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 243; Henderson 2007, 326–7; Pellegrino 2015, 263–4. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Pl. 665b dà informazioni riguardo a Neoclide, a cui si fa riferimento nel racconto della guarigione di Pluto ad opera di Asclepio (Ar. Pl. 653 ss.), citando come fonte i Pelargoi, in cui doveva quindi essere
875
Per Fritzsche 1835, 46, nello schol. Plat. Apol. 18b Meleto è detto [Θρ]ᾷξ γένος in riferimento al mitico poeta Orfeo, originario della Tracia secondo un filone della tradizione (cfr. Ferrari 1999, s. v. Orfeo, 524), che disprezzò le donne dopo la perdita della moglie Euridice; questa notizia potrebbe invece, a mio parere, essere messa in relazione con l’ epiteto Θρᾳκοφοῖται (“frequentatori della Tracia”; trad. Beta 2009, 101) riferito a Meleto, al commediografo Sannirione e al ditirambografo Cinesia in Ar. fr. 156, 7 (dal Gērytadēs), e contenente un’ allusione ad Alcibiade (cfr. PCG, III 2 [1984], ad loc.; Beta 2009, 99; Kanavou 2011, 196), il quale, dopo aver abbandonato Atene per la seconda volta in seguito alla sconfitta di Nozio (406 a. C.; cfr. Xen. Hell. 1, 5, 17), si era rifugiato nei suoi possedimenti in Tracia; per la datazione del Gērytadēs, di poco anteriore al 405 a. C., cfr. ad es. Geißler 19692, 61 e 83; PCG, III 2 (1984), 101; Mastromarco 19962, 72; Henderson 1998a, 6; Carrière 2000, 201. 876 Per le abitudini sessuali di questo personaggio (PA 7826D; LGPN II, Καλλίας [92]; PAA 554500), noto anche per aver dilapidato il patrimonio familiare e per la propensione all’ adulterio, cfr. Del Corno 19922, 180–1 (ad Ar. Ran. 428); Dover 1993a, 249 (ad Ar. Ran. 428); Napolitano 2005, 47–9; Totaro, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 90 (ad Ar. Ran. 430); Napolitano 2012, 21–3; Pellegrino 2015, 333 (ad Ar. fr. 583); Bianchi 2016, 99 (ad Cratin. fr. 12); Ceccarelli 2017–18, 221–2 (ad Ar. fr. 117); Bagordo 2020, 205 (ad Ar. fr. 583). Per il significato metaforico del verbo περαίνω/-ομαι, che connota il rapporto sessuale, cfr. Henderson 19912, 50 n. 23 e 158.
186
Aristophanes
menzionato questo personaggio877. La testimonianza dello scolio non consente tuttavia di ricostruire le parole precise del testo della commedia (vd. infra, n. 878). Interpretazione Neoclide (PA 10631; LGPN II, Νεοκλείδης [4]; PAA 706215) è ricordato come uomo politico corrotto e sicofante: cfr., oltre allo schol. Ar. Pl. 665b riportato supra, gli scholl. Ar. Eccl. 254a (Νεοκλείδης· ἐκωμῳδεῖτο ὡς συκοφάντης καὶ ξένος καὶ κλέπτης); Pl. 665a (εἰς πολλὰ κεκωμῴδηται οὗτος [sc. Νεοκλείδης]· ὡς ῥήτωρ συκοφάντης καὶ τὰ δημόσια κλέπτων); Sud. ν 193 (Νεοκλείδου κλεπτίστερος· οὗτος κεκωμῴδηται, ὡς ῥήτωρ ἦν καὶ τυφλὸς καὶ συκοφάντης καὶ κλέπτης)878. Soffriva di una malattia agli occhi, a causa della quale è appellato ὁ γλάμων (“il cisposo”) in Ar. Eccl. 254 e 398879; in Ar. Pl. 665 s. ([…] Νεοκλείδης, ὅς ἐστι μὲν τυφλός, | κλέπτων δὲ τοὺς βλέποντας ὑπερηκόντικεν) questa affezione oculare offre al poeta lo spunto per una battuta basata sul contrasto tra la ‘cecità’ dell’ uomo e la sua abilità nel rubare, superiore a quella di chi ci vede. Nelle ultime due commedie aristofanee integralmente conservate è un bersaglio polemico: in Ar. Eccl. 397ss. il suo intervento in assemblea suscita reazioni sdegnate880; in Ar. Pl. 716 ss. fa da contraltare a Pluto, il cieco dio della ricchezza881, che recupera la vista grazie all’ intervento guaritore di Asclepio, mentre Neoclide è punito dal dio medico882, che gli spalma sulle palpebre un composto irritante883.
877
Per Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 243) lo scoliaste cita addirittura un commento ai Pelargoi, con una sineddoche analoga a quella di Ar. fr. 442 (vd. anche infra, ad fr. 455); cfr. anche Henderson 2007, 327, che traduce “in (the commentary on) Storks”. 878 Hemsterhuis (cfr. Kock, I [1880], 505; PCG, III 2 [1984], 243) riteneva che il modo di dire Νεοκλείδου κλεπτίστερος (“più ladro di Neoclide”), spiegato in Sud. ν 193, fosse tratto proprio dai Pelargoi; Kock, I (1880), 505, cerca addirittura di ricostruire il frammento su questa base (καὶ τίς Νεοκλείδου τοῦ τυφλοῦ κλεπτίστερος;), in maniera puramente ipotetica. 879 Vd. gli scholl. Ar. Eccl. 254a (riportato supra); 254b (ὁ γλάμων· ὁ ἔχων τοὺς ὀφθαλμοὺς μεστοὺς ἀκαθαρσίας, ὁ λημῶν); 254c (γλάμων· εἴρηται δὲ ἐπὶ τῶν λημώντων τοὺς ὀφθαλμούς). 880 Cfr. Ar. Eccl. 400–2 (οὐ δεινὰ τολμᾶν τουτονὶ δημηγορεῖν, | καὶ ταῦτα περὶ σωτηρίας προκειμένου, | ὃς αὐτὸς αὐτῷ βλεφαρίδ᾿ οὐκ ἐσώσατο). 881 Cfr. Torchio 1998–99, 251; 2001a, 191. 882 La punizione di Neoclide suggerisce, anticipandolo, il mutamento della situazione descritta nel prologo (Pl. 28 ss.), con la speranza del ribaltamento dei rapporti di forza tra potenti arroganti e poveri onesti come conseguenza del recupero della vista da parte di Pluto (cfr. Pl. 750 ss.). L’ azione taumaturgica di Asclepio ha come obiettivo non solo la guarigione del fedele che si affida alle sue cure, ma il bene dell’ intera collettività, attraverso la punizione dei malvagi (cfr. Pl. 726; 745–7). Cfr. Torchio 1998–99, 256; 2001a, 195. 883 Cfr. la cura proposta ironicamente da Blepiro in Ar. Eccl. 404 ss., per la quale vd. ad es. Sommerstein 1998, 176; Vetta 19942, 185–6; Capra 2010, 215.
Πελαργοί (fr. 455)
187
fr. 455 K.-A. (431 K.) Schol. (RVE Np Matr Barb Lut Ald) Ar. Pl. 84a (~ Sud. π 795) = TrGF 57 T 1b ἐκ Πατροκλέους (R)· α. Ἀθηναῖος πλούσιος μὲν σφόδρα, ἄλλως δὲ κακόβιός τις καὶ φιλοχρήματος καὶ σκνιφὸς κωμῳδεῖται, (RE Np Matr Barb Lut V57 Ald, sim. Sud.)884 / β. τὸν Π α τ ρ ο κ λ έ α κωμῳδεῖ ὡς Ἀθηναῖον μὲν καὶ πλούσιον, κνιπὸν δὲ καὶ φειδωλόν. ἦν δὲ τραγῳδίας ποιητής, ἄλλως δὲ καὶ κακόβιος καὶ φιλοχρήματος, (V) ὡς (ὡς καὶ V) ἐν τοῖς Πελαργοῖς εἴρηται περὶ τούτου (ὡς ― τούτου om. Sud.), ὅστις (ὅτι vel ὡς Dobree) ἕνεκεν (ἕνεκε R, ἕνεκα Np Lut, μὲν ἐκ Barb) τῆς (om. V) φειδωλίας οὐδένα εἴα προσίεσθαι (εἴασε πρ. Np, πρ. εἴα E Ald)885, φυλακῆς ἕνεκα (ἕνεκεν R, Sud. V) τῶν χρημάτων καὶ γλίσχρου βίου. ek Patrokleous (“da[lla casa di] Patrocle”): α. un Ateniese molto ricco, e tuttavia è deriso, perché conduceva una vita meschina ed era amante del denaro e spilorcio / β. (Aristofane) deride P a t r o c l e a (“Patrocle” [acc. s.]), perché (era) un ricco Ateniese, ma tirchio e avaro. Era un poeta tragico, e inoltre conduceva una vita meschina ed era amante del denaro, come si dice (anche) nei Pelargoi di costui, che per l’ avarizia non lasciava entrare nessuno, per fare la guardia ai suoi beni e per la sua sordida esistenza.
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Non determinabile
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Bibliografia Dindorf 1829, 168 (~ II [1835], 637–8; 1838, 499; 18695, 213–4); Dobree 1833, 254; Fritzsche 1835, 80–6; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1129; Bothe 1844, 128; Kock, I (1880), 503; Blaydes 1885, 226–7; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 243; Henderson 2007, 326–7; Pellegrino 2015, 264. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Pl. 84b, spiegando il riferimento a Patrocle, con cui il dio della ricchezza Pluto – che nella commedia aristofanea è rappresentato in modo ‘ossimorico’886 come un vecchio mendicante, sporco ed estremamente mal ridotto – giustifica il proprio miserando aspetto (cfr. Ar. Pl. 83–5 = TrGF 57 T 1a)887, cita come fonte anche i Pelargoi888, in cui doveva quindi essere menzionato questo personaggio, senza tuttavia riportare il testo del frammento (analogamente al fr. 454)889.
884
La voce della Suda (π 795) è riportata per intero infra, n. 890. οὐδένα προσίετο dub. coni. Kaibel (cfr. PCG, III 2 [1984], ad loc.). 886 Vd. anche infra, pp. 188–9. 887 […] [Χp.] πόθεν οὖν, φράσον, | αὐχμῶν βαδίζεις; [Πλ.] ἐκ Πατροκλέους ἔρχομαι, | ὃς οὐκ ἐλούσατ᾿ ἐξ ὅτουπερ ἐγένετο. 888 Per Dobree 1833, 254 (“verte, Dixi in commentario ad Πελαργοὺς”), seguito da Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 243), lo scoliaste indica il titolo della commedia per il commento, con una sineddoche analoga a quella del fr. 442 (vd. anche supra, ad fr. 454). 889 Infondati (cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1129, relativamente a Fritzsche) i tentativi di Fritzsche 1835, 81, e Kock, I (1880), 503, di ricavare dei versi a partire dal testo dello scolio. 885
188
Aristophanes
La Suda (π 795)890, che risale probabilmente a una fonte comune891, spiega il modo di dire ἐκ Πατροκλέους con parole molto simili, ma in modo più abbreviato, senza il riferimento ai Pelargoi. Interpretazione Gli scolii antichi al Pluto ci informano che Patrocle (PA 11692; LGPN II, Πατροκλῆς [5]; PAA 768605; TrGF 57)892 era un Ateniese molto ricco, passato in proverbio per la sua avarizia e per la vita meschina che conduceva893, imitatore dei costumi spartani894 e poeta tragico895. Nel Pluto Aristofane unisce alla derisione di Patrocle che, pur essendo dovizioso, vive come se fosse povero, la caratterizzazione, caricaturale e paradossale, del dio della ricchezza896 come mendicante, mediante l’ enfatizzazione del tratto della sporcizia897: cfr. i participi 890
Πατροκλῆς· ὄνομα κύριον. καὶ παροιμία· ἐκ Πατροκλέους. ἐπὶ τῶν ῥυπώντων καὶ αὐχμηρῶν· Πατροκλῆς γὰρ ἐγένετο Ἀθηναῖος, πλούσιος σφόδρα, ἄλλως δὲ κακόβιός τις καὶ φιλοχρήματος καὶ σκνιπός· ὅστις ἕνεκεν τῆς φειδωλίας οὐδένα εἴα προσίεσθαι, φυλακῆς ἕνεκα τῶν χρημάτων καὶ γλίσχρου βίου. ὁ Πλοῦτος οὖν ἐρωτώμενος, πόθεν βαδίζεις; ἐκ Πατροκλέους, ἔφη (Ar. Pl. 83–4). 891 Cfr. Adler, IV (1935), 68. 892 Cfr. inoltre Holden, Onom. Ar., s. v. Πατροκλέης. 893 Vd., oltre allo schol. 84a, riportato supra, gli scholl. Ar. Pl. 84c (οὗτος ὁ Πατροκλῆς Ἀθηναῖος φιλοχρήματος, ὃς ἐφύλαττε τὰ χρήματα, καὶ ἦν ῥυπαρὸς τῷ βίῳ καὶ αὐχμῶν. ἐπειδὴ δέ, πλουσίος μὲν σφόδρα ὤν, διὰ τὸ μὴ λούεσθαι κωμῳδεῖται); 84d (τὸν Πλοῦτον ἀφομοιοῖ τῷ Πατροκλεῖ, διὰ τὸ εἶναι κἀκεῖνον πλούσιον μὲν τὰ εἰς ὕλην πλούτου, χυδαῖον δὲ καὶ ῥερυπωμένον τῇ ἐκτὸς θέᾳ, ὥσπερ καὶ ὁ Πλοῦτος); vd. inoltre Tz. ad Pl. 84 (ὁ Πατροκλῆς πλούσιος σφόδρα ἦν Ἀθηναῖος, ῥυπαρός, φιλοχρήματος, τῶν γλισχροβίων, καὶ μηδέποτε μηδένα ἐῶν εἰσέρχεσθαι εἰς τὴν οἰκίαν αὐτοῦ φόβῳ τῶν ἑαυτοῦ χρημάτων); Apost. 13, 100 (Πατροκλέους φειδωλότερος). Cfr. Sommerstein 2001, 140; Torchio 2001a, 124; Chantry 2009, 298–300. 894 Cfr. lo schol. Ar. Pl. 84b (~ Tz. ad Pl. 84b: εἷς ἦν τῶν Λακωνικῶν βίον ζηλοῦντων). Green 1881, 50, spiega che cosa fosse la ‘moda laconica’ facendo riferimento ad Ar. Av. 1281–3 (ἐλακωνομάνουν ἅπαντες ἄνθρωποι τότε,| ἐκόμων, ἐπείνων, ἐρρύπων, ἐσωκράτουν, | σκυτάλι᾿ ἐφόρουν· […]); vd. supra, ad fr. 433. Per l’ imitazione superficiale ed esteriore dei costumi spartani cfr. inoltre David 1984, 26. 895 Forse da identificare con l’ omonimo tragediografo Patrocle, originario di Turi (TrGF 58); cfr. Snell, ap. TrGF, I (19862), 197. 896 Per la complessità della rappresentazione di Pluto nella commedia omonima, personificazione del concetto astratto di πλοῦτος oltre che divinità benefica della tradizione mitica e popolare (per la quale vd. infra, pp. 194–5), ma anche un tesoro, sepolto dall’ avaro (cfr. Pl. 237–8), e l’ uomo ricco, sempre in ansia per i propri beni (cfr. Pl. 203–7; 239–41), vd. Torchio 1998–99, 185–6; 2001a, 142–3 (ad Pl. 234–44). 897 Per gli studiosi che propongono un’ interpretazione del Pluto in chiave ironica (cfr. ad es. Newiger 1957, 159; Komornicka 1964, 127; Schareika 1978, 127), alla sporcizia del dio sarebbe da attribuire una connotazione moralmente negativa, che però dipende forse troppo da categorie moderne (vd. ad es. il modo di dire ‘denaro sporco’ per i soldi malguadagnati), anche se una visione critica della ricchezza fonte di tutti i mali per l’ uomo e causa di accecamento morale appare in alcuni testi di V–IV sec. a. C. in relazione al topos della cecità di Pluto (cfr. Timocr. fr. 5 [PMG 731]; Eur. fr. 776 Kn.;
Πελαργοί (fr. 456)
189
usati come aggettivi in riferimento a Pluto, αὐχμῶν in Pl. 84 e ῥυπῶντα in Pl. 266. Analogamente Dione Crisostomo (4, 91) definisce l’ avaro αὐχμηρὸς καὶ ῥυπῶν (“sporco e sudicio”)898, utilizzando un aggettivo derivato dalla radice αὐχμ-899 ed il participio del verbo ῥυπάω (anch’ esso con funzione di aggettivo). La medesima accusa di sordidezza è rivolta ai Socratici in Ar. Nub. 835–7 (ὧν ὑπὸ τῆς φειδωλίας | […] οὐδεὶς πώποτ᾿ […] | οὐδ᾿ ἐς βαλανεῖον ἦλθε λουσόμενος)900; analogamente in Plat. Symp. 203d Eros, che è figlio di Penia (la Povertà personificata), è αὐχμηρός, perché, partecipando della natura della madre, dorme per terra senza coperte901.
fr. 456 K.-A. (440 K.) Antiatt. ο 25 (p. 111, 7–8 Bekk.) ὀ β ο λ ί α ς ἄ ρ τ ο υ ς· τοὺς ὀβολοῦ πωλουμένους. Ἀριστοφάνης Πελαργοῖς. o b o l i a s a r t o u s (“pani del costo di un obolo”): quelli venduti a un obolo. Aristofane nei Pelargoi.
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Non determinabile
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Bibliografia Dindorf 1829, 168 (~ II [1835], 637; 1838, 499; 18695, 213); Fritzsche 1835, 67–74; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1129; Bothe 1844, 128; Kock, I (1880), 505; Blaydes 1885, 223; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 243; Henderson 2007, 326–7; Pellegrino 2015, 264. Contesto della citazione Il lessico dell’ Antiatticista (ο 25), per il quale vd. supra, p. 51, spiega il sintagma ὀβολίας ἄρτους (acc. pl.), citando come attestazione i Pelargoi di Aristofane, ma senza riportare un contesto più ampio. Testo L. Dindorf (ap. ThGL3, V [1829], 1716c, s. v. ὀβολίας ἄρτους) propone di correggere ὀβολίας, non attestato altrove, in ὀβελίας (per il quale vd. infra),
Antiph. fr. 259). Cfr. Torchio 1998–99, 154 e 308; 2001a, 40 e 124; per l’ interpretazione ironica del Pluto, cfr. Torchio 1998–99, 39–40; 2001a, 89–90. 898 Cfr. ῥυπαρὸς […] καὶ αὐχμῶν (schol. Ar Pl. 84c), ῥερυπωμένον (schol. Ar Pl. 84d), riferiti a Patrocle (vd. supra, n. 893, per il testo completo degli scolii). 899 Questa radice trasmette in primo luogo un’ idea di ‘aridità’ e ‘secchezza’ e quindi, per estensione, di ‘polvere’ e ‘sporcizia’; le parole che ne derivano ricorrono spesso in connessione alla carestia e all’ indigenza (vd. ad es. αὐχμός in Pl. 839); cfr. scholl. rec. Ar. Pl. 84 a-b; Chantraine, DELG, s. v. αὖος; Taillardat 19652, 315–6; Beekes, EDG, s. v. αὐχμός. 900 Cfr. anche Ar. Av. 1282; 1554–5. 901 Per Socrate come immagine di Eros nel Simposio cfr. ad es. Szlezák 1985, tr. it. 345–6; Reale 2001, LXXIV.
190
Aristophanes
ma suggerisce anche che potrebbe trattarsi di una variante scherzosa902; Kock, I (1880), 505, suggerisce in nota la correzione ὀβολιαίους ἄρτους. Gli editori moderni conservano il testo trasmesso dall’ Antiatticista903. Interpretazione Athen. 3, 111b (ὁ δὲ ὀβελίας ἄρτος κέκληται ἤτοι ὅτι ὀβολοῦ πιπράσκεται […] ἢ ὅτι ἐν ὀβελίσκοις ὠπτᾶτο) attesta che il pane ὀβελίας904 era così chiamato perché costava un obolo o perché era cotto su piccoli spiedi (ὀβελίσκοι, dim. di ὀβελοί)905. Era probabilmente un pane di uso comune (l’ obolo era una unità monetaria di base, del valore di 1 / 6 di dracma)906, menzionato anche in Ar. fr. 105 (εἴτ᾿ ἄρτον ὀπτῶν τυγχάνει τις ὀβελίαν), Pher. fr. 61 († ὦλεν ὀβελίαν σποδεῖν, ἄρτου δὲ μὴ προτιμᾶν)907, trasmessi da Athen. 3, 111b, e Nicoph. fr. 6, 2 (κόλλικας, ὀβελίαν, μελιτοῦτταν, ἐπιχύτους), elencante diversi tipi di pane908, trasmesso da Athen. 14, 645b–c; cfr. inoltre Ar. Vesp. 1391 (ἄρτους δέκ᾿ ὀβολῶν). Era connesso con le Dionisie, durante le quali era portato in processione dagli obeliaphoroi909.
fr. 457 K.-A. (18 Dem.) Phot. (b, z) α 1364 ἀ μ φ ί σ β α ι ν α· ὄφις ὁ καὶ ἐπὶ τῆς οὐρᾶς κεφαλὴν ἔχων. Πελαργοῖς Ἀριστοφάνης. ἀμφίσβ- Reitzenstein: -βαίνα z: ἀμφίβ- b a m p h i s b a i n a (“anfisbena, anfesibena”): serpente che ha la testa anche dalla parte della coda. Aristofane nei Pelargoi.
902
Cfr. anche Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 243; Chantraine, DELG, s. v. ὀβελός; GI, s. v. ὀβολίας. 903 Per l’ assimilazione ε>ο in ὀβελός > ὀβολός cfr. Beekes, EDG, s. v. ὀβελός. 904 Per la variante ὀβολίας vd. supra, Testo. 905 Cfr. Hesych. ο 18 (ὀβελίας ἄρτος· ὁ ἐπὶ ὀβελίσκου ὀπτώμενος); Phot. ο 6 (ὀβελίας ἄρτος· ὁ ἐπὶ ὀβελῶν ὀπτώμενος). Vd. inoltre Casadio 1983, 279 (ad Hesych. ο 18); Amouretti 1986, 149; García Soler 1995, 387; 2001, 86; Dalby 2003, 60. Per Ampolo 1989, 207 e 211 n. 14, invece, non è verosimile che si trattasse di pane cotto allo spiedo (cfr. anche Ehrenberg 19512, tr. it. 316 n. 30), ma piuttosto di una pagnotta allungata, che costava un obolo (cfr. anche Thiercy 1997, 135 n. 27). 906 Cfr. ad es. Ampolo 1989, 207. 907 Cfr. Urios-Aparisi 1992, 208. 908 Cfr. Pellegrino 2013, 37 ss. 909 Cfr. Athen. 3, 111b (ἐκαλοῦντο δὲ καὶ ὀβελιαφόροι οἱ ἐν ταῖς πομπαῖς παραφέροντες αὐτοὺς [sc. ὀβελίας ἄρτους] ἐπὶ τῶν ὤμων); Poll. 6, 75 (ὀβελίαι δ᾿ ἄρτοι οὓς εἰς Διονύσου ἔφερον οἱ καλούμενοι ὀβελιαφόροι); vd. inoltre Pickard-Cambridge 19882, 61 (= 1996, 85–6); Nicosia 2011, 348 n. 34. Homoioi ē Obeliaphoroi è anche il titolo di una commedia di Efippo (frr. 15–6) del IV sec. a. C.
Πελαργοί (fr. 457)
Metro
191
Non determinabile
lllk
Bibliografia Demiańczuk 1912, 16; Edmonds, I (1957), 696–7; PCG, III 2 (1984), 244; Henderson 2007, 326–7; Pellegrino 2015, 264–5. Contesto della citazione Il lessico di Fozio, nel lemma ἀμφίσβαινα (α 1364), cita come attestazione i Pelargoi di Aristofane, ma senza riportare un contesto più ampio. La fonte potrebbe essere il lessicografo atticista Elio Dioniso (cfr. Ael. Dion. α *109), per il quale vd. supra, p. 69; cfr. inoltre Hesych. α 4102 (ἀμφίσβαινα· εἶδος ὄφεως μακροκέφαλον, ἰσόπαχυ, τὴν οὐρὰν κολοβὴν ἔχον, καὶ ταύτῃ πολλάκις τὴν πορείαν ποιούμενον, ὥστε τινὰς ἀμφισβητεῖν μὴ δύο κεφαλὰς ἔχειν. λέγεται δὲ καὶ διὰ τοῦ μ ἀμφίσμαινα); Et. magn. p. 91, 9–11 (= α 1194 Lass.–Liv.: […] ἔστι δὲ ὄφεως εἶδος, ἔχοντος ἐξ ἐκατέρου κεφαλὰς καὶ ἀναβαίνοντος). Testo Il frammento è stato pubblicato per la prima volta in Demiańczuk 1912 (fr. 18). Interpretazione L’ anfisbena (o anfesibena) è un serpente leggendario e fantastico, caratterizzato dall’ avere una testa a ciascuna estremità, e quindi dal poter strisciare in entrambe le direzioni910. La tradizione relativa a questo serpente a due teste è attestata, oltre che in Aesch. Ag. 1233 (in cui la duplice Clitemnestra è connotata come ἀμφίσβαινα), in Nic. Ther. 372–83 (ἀμφίσβαιναν […] ἀμφικάρηνον); Ael. NA 9, 23 (ἡ δὲ ἀμφίσβαινα ὄφις δικέφαλός ἐστι, καὶ τὰ ἄνω καὶ ὅσα ἐς τὸ οὐραῖον· […]); Plin. NH 8, 85 (geminum caput amphisbaenae, hoc est a cauda, tamquam parum esset uno ore fundi venenum); Luc. 9, 179 (in geminum vergens caput amphisbaena); cfr. inoltre Brunetto Latini, Trésor, 1, 5, 140 (De Amphimenie); Dante, Inf., 24, 87, che cita l’ “anfisibena” in un catalogo di serpenti libici mutuato da Luc. 9, 708–21911; Milton, Par. Lost, 10, 524 (Amphisbaena dire)912. Il collegamento tra questo rettile favoloso e il tema della commedia potrebbe risiedere nella tradizione, ampiamente attestata nei testi antichi, dell’ inimicizia tra cicogne e serpenti: cfr. Isid. Etym. 12, 7, 16 (ciconiae […] serpentium hostes); vd. inoltre Aesop. 208, 6–7 Hsr. (τοὺς γὰρ ὄφεις καὶ τὰ λοιπὰ ἕρπετὰ συλλαμβάνων [sc. ὁ πελαργός] ἀναιρεῖ […]); Arist. Mir. 832a, 23 (περὶ Θετταλίαν μνημονεύουσιν ὄφεις ζῳογονηθῆναι τοσούτους ὥστε, εἰ μὴ ὑπὸ τῶν πελαργῶν ἀνῃροῦντο, ἐκχωρῆσαι ἂν αὐτούς. διὸ δὴ καὶ τιμῶσαι τοὺς πελαργούς, […]); Plut. Mor. 380f (Θετταλοὶ δὲ [sc. ἐτίμησαν] πελαργούς, ὅτι πολλοὺς ὄφεις τῆς γῆς ἀναδιδούσης ἐπιφανέντες ἐξώλεσαν ἅπαντας· […]); Quaest. conv. 8, 7, 727f (ὅ γε πελαργὸς […], τὰ γὰρ ἐπίβουλα καὶ πολέμια τῶν ἀνθρώπων, φρύνους καὶ ὄφεις, ἀναιρεῖ 910
Tra le specie di rettili esistenti, alcuni identificano l’ anfisbena con il Blanus strauchi, serpente vermiforme appartenente al sottordine delle Amphisbeniae (cfr. Radice 2010, 135b). 911 Cfr. Malato 1970. 912 Vd. inoltre Fraenkel 1950, 569 (ad Aesch. Ag. 1233); Lloyd-Jones 1980, 9–11; Radici 2010, 135b.
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Aristophanes
περιιών· […]); Verg. Georg. 2, 320 (candida venit avis longis invisa colubris); Sen. Ep. ad Luc. 108, 29–30 (in eodem prato bos herbam quaerit, canis leporem, ciconia lacertam); Plin. NH 10, 62 (honos iis [sc. ciconiis] serpentium exitio tantus ut in Thessalia capital fuerit occidisse eademque legibus poena quae in homicidam); Iuv. 14, 74–5 (serpente ciconia pullos | nutrit et inventa per devia rura lacerta)913. L’ anfisbena potrebbe allora indicare metaforicamente una persona (o una categoria di persone) nemica del Coro, composto appunto da cicogne nella finzione scenica.
913
Per alcune testimonianze iconografiche di cicogna con serpente nel becco cfr. ImhoofBlumer–Keller 1889, tab. XXII 3 (cammeo); Maiuri 1933, 347–8 e tab. XLV (bicchiere d’ argento da Pompei); 397 n. 143.
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Πλοῦτος αʹ (Ploutos prōtos) (“Pluto primo”) Data
408 a. C.
Bibliografia Ritter 1828; Dindorf 1829, 78 (~ II [1835], 559; 1838, 462; 18695, 191); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1130; Bothe 1844, 129; Herbst 1855, 64–5; Kock, I (1880), 505; von Bamberg 1881, 962–3; Blaydes 1885, 229; Ludwig 1888; van Leeuwen 1904a, II–XXIV; Rogers 1907, VII–VIII; Laible 1909; Boudreaux 1919, 133–4; Koerte 1921, 1232–3; Kraus 1931, 55–6; Emonds 1941, 317–9; Schmid 1946, 200–1; Edmonds, I (1957), 697; De Cristofaro 1959; Mensching 1964, 39 n. 131; Pfeiffer 1968, 161 n. 3; Geißler 19692, 61; Gelzer 1970, 1406 e 1506; PCG, III 2 (1984), 244; Torchio 1998–99, 42–6; Carrière 2000, 225; Sommerstein 2001, 28–33; Torchio 2001a, 250–4; Zelnik-Abramovitz 2002; Henderson 2007, 327 (~ 2011, 315); Mureddu−Nieddu 2015, 70–6; Pellegrino 2015, 266–8; Totaro 2017, 174–9. Titolo Diverse testimonianze antiche attestano una prima redazione della commedia aristofanea omonima, andata in scena nel 388 a. C., sotto l’ arcontato di Antipatro (cfr. arg. Ar. Pl. III Chantry)914: vd. Catal. fab. Ar. pap.(= test. i); Choerob., in Heph. Ench. 9, p. 235 Consbr. (= test. ii); schol. Ar. Ran. 1096b (vd. infra, ad fr. 459); cfr. inoltre schol. Hom. Il. 23, 361 a.1, 23–5, e Athen. 9, 368d (vd. infra, ad test. ii), i quali citano il Pluto secondo. Tematiche affini sono presenti nel V secolo, sia in Elpis ē Ploutos di Epicarmo (frr. 31–7), sia soprattutto nei Ploutoi di Cratino (frr. 171–9)915, in cui il Coro era composto da personificazioni, forse da identificare con i δαίμονες πλουτοδόται di cui parla Esiodo (Op. 121–6), che nella parodos si autodefinivano Titani, collegati a Crono e alla mitica età dell’ oro (fr. 171, 11–2)916. Nella commedia del IV secolo la tematica della ricchezza appare piuttosto diffusa: ci sono giunti infatti frammenti del Ploutos di Archippo (frr. 37–41)917 e di quello di Nicostrato (fr. 23), mentre Anassila scrisse Plousioi o Plousiai (frr. 25–6), Antifane Plousioi (fr. 188). Purtroppo la scarsità dei resti non consente di determinare come venisse sviluppato l’ argomento della ricchezza e quali affinità presentasse con l’‘archetipo’ 914
ἐδιδάχθη ἐπὶ ἄρχοντος Ἀντιπάτρου, ἀνταγωνιζομένου αὐτῷ Νικοχάρους μὲν Λάκωσιν, Ἀριστομένους δὲ Ἀδμήτῳ, Νικοφῶντος δὲ Ἀδώνιδι […]. 915 Alla bibliografia indicata in Austin, CGFP, 39; PCG, IV (1983), 204, si aggiunga Bona 1988, 195 ss. (= 2005, 158 ss.). 916 Le proposte di datazione dei Ploutoi oscillano tra la data alta, proposta da Mastromarco 1992, 376 (443 / 40 a. C.), Schwarze 1971, 50 (prima del 440 a. C.), Ehrenberg 1945, 120 n. 23 (non molto dopo il 440 / 39 a. C.), e quella bassa, proposta da Gomme, II (1956), 188–9 (430 / 29 a. C.), e, dubitativamente, da Luppe 1967b, 68, 83 (429 a. C.); cfr. inoltre Geißler 19692, X e 18, che data i Ploutoi dopo il decreto di Morichide (439–37 a. C.); Goossens 1935, 432–4, per il quale la commedia fu rappresentata alle Dionisie del 436 a. C. 917 Cfr. Miccolis 2015–16, 214–41; 2017, 223–50.
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Aristophanes
aristofaneo. Nei due Plousioi probabilmente non compariva più la personificazione della ricchezza, ma l’ attenzione doveva essere focalizzata sul tipo del ricco (commedia di carattere)918. Aristofane porta sulla scena una figura mitica ben nota agli spettatori919: in Hes. Theog. 969–74 Pluto è figlio di Demetra, dea della terra e protettrice dell’agricoltura, e dell’ eroe Iasione; il dio, definito “nobile, generoso” (ἐσθλός), vaga per terra e per mare, beneficando coloro che incontra, ai quali concede prosperità920. In Hymn. Hom. in Cer. 486–9 Pluto è ricordato in relazione alla dea e a sua figlia Persefone, che lo inviano come nume tutelare, dispensatore di ricchezza, alla casa dei mortali cui concedono benevolenza921. Pluto appare originariamente la personificazione della prosperità e dell’ abbondanza di tipo agrario (πλοῦτος)922, da cui riceve il nome: vd. Hesych. π 2625 (πλοῦτος· ἡ ἐκ τῶν σπερμάτων ἐπικαρπία, καὶ ἡ πανσπερμία); ε 7077 (εὔπλουτον κανοῦν· […] πλοῦτον γὰρ ἔλεγον τὴν ἐκ τῶν κριθῶν καὶ τῶν πυρῶν περιουσίαν); i proverbi citati dallo schol. Hes. Theog. 971 (πυρῶν καὶ κριθῶν, ὦ νήπιε Πλοῦτε), e da Corn. De nat. deor. 28 (σίτου καὶ κριθῆς, ὦ νήπιε, πλοῦτος ἄριστος)923. La figura del dio che va di casa in casa a dispensare i suoi doni (ἐποικίδιος) è presente nella religiosità popolare924, come attestano il cosiddetto ‘canto dell’ Iresione’925, attribuito a Omero (Vita Hom. Herod. 33, 469–71 Allen = Carm. pop. 1 D.)926, e quello dei Questuanti con la cornacchia (Phoen. fr. 2, 8 Powell)927, entrambi di carattere cultuale. Un rito di ‘espulsione della fame’ (βουλίμου ἐξέλασις) che prevedeva di cacciare fuori dalla casa un servo, battuto con rami di agnocasto, al 918
Weinreich, ap. Seeger, II (1953), LXXI. Per la personificazione di Pluto nella commedia omonima di Aristofane cfr. Newiger 1957, 167–73; Komornicka 1964, 126–28; Hertel 1969, 20–28. Per il mito di Pluto cfr. inoltre Eisele 1902–9; Zwicker 1951; Clinton 1994. 920 Cfr. il commento ad loc. di West 1966, 422. Esiodo conosce anche una pluralità di trentamila “demoni generosi, che operano sulla terra […] , dispensatori di ricchezza” (Op. 121 ss.; cfr. anche 252 ss.), che rappresentano la varietà delle fortune individuali (cfr. West 1978, 182). 921 Cfr. il commento di Richardson 1974, 316–20. Per Demetra come madre di Pluto vd. inoltre Carm. conv. 2 (PMG 885). 922 Nei lirici arcaici il πλοῦτος indica per lo più la ricchezza fondiaria come possesso atavico, stabile, contrapposto ai guadagni, mutevoli e incerti, conseguiti nell’ attività mercantile e commerciale (κέρδεα): vd. ad es. la celebre Elegia alle Muse di Solone (fr. 13, 9 ss.; 74–6 W.2); cfr. Gentili, ap. Perrotta−Gentili, 1965, 313; 1984, 87 e 209. 923 Cfr. anche i passi citati in Zwicker 1951, 1031. 924 Cfr. Richardson 1974, p. 317. 925 L’ iresione (εἰρεσιώνη) era un ramo d’ ulivo avvolto in lana e addobbato con frutti, focacce e fiaschi, che veniva portato in processione ad Atene nelle feste Pianopsie e Targelie (vd. Carm. pop. 2 D. = Plut. Thes. 22, 7; cfr. Gianotti 1996b, 163). 926 Αὐταὶ ἀνακλίνεσθε θύραι· πλοῦτος γὰρ ἔσεισι | πολλός, σὺν πλούτῳ δὲ καὶ εὐφροσύνη τεθαλυῖα, | εἰρήνη τ᾽ ἀγαθή. 927 Ὦ παῖ, θύρην ἄγκλινε, Πλοῦτος ἔκρουσε. 919
Πλοῦτος αʹ
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grido ἔξω Βούλιμον ἔσω δὲ Πλοῦτον καὶ Ὑγιείαν, è attestato, seppure per Cheronea e per un’ epoca più tarda, da Plut. Quaest. conv. 6, 8, 693e ss. In Atene la figura di Pluto doveva avere inoltre particolare importanza in connessione con i misteri eleusini, che rappresentavano una forma molto diffusa di religiosità928. Il bambino divino di cui lo ierofante annunciava la nascita nel momento culminante della celebrazione, secondo la testimonianza di Hippol. Haer. 5, 8, 40, è stato infatti variamente identificato con Pluto, figlio di Demetra, o Iacco / Dioniso, figlio di Persefone929. Nell’arte greca il dio della ricchezza è generalmente raffigurato come un bambino o un preadolescente con la cornucopia da cui spuntano spighe di grano, spesso insieme alla madre e ad altre divinità eleusine930. Nella commedia aristofanea del 388 a. C. la personificazione del πλοῦτος in un vecchio mendicante cieco (Ar. Pl. 13 e passim), sporco (Ar. Pl. 84 e 266) ed estremamente mal ridotto (Ar. Pl. 265–7), doveva perciò risultare, per certi tratti, sorprendente per gli spettatori, paradossale e financo ossimorica931. Tale rappresentazione potrebbe essere stata in qualche modo influenzata dall’ iconografia, attestata in alcune raffigurazioni vascolari, di Plutone come un vecchio con capelli e barba bianchi, recante la cornucopia (che trabocca di foglie e frutti) e lo scettro932: vd. ad es. un’ idria a figure rosse rinvenuta a Nola (London, BM E 183)933 e un’ anfora attica, sempre a figure rosse, rinvenuta a
928
Cfr. Beschi 1988, 846a. Cfr. Burkert 1972, tr. it. 201; 1977, tr. it. 517. 930 Per l’ iconografia di Pluto cfr. Clinton 1992, 49–51; 1994. 931 Cfr. Torchio 1998–99, 26; 2001a, 25 e 26 n. 114. Fiorentini 2006, 156, preferisce parlare semplicemente di aprosdoketon, “poiché le caratteristiche di Pluto non confliggono internamente e reciprocamente se non nel fatto che ci si aspetterebbe una rappresentazione della ricchezza in vesti dignitose”; in realtà, a mio parere, in questo personaggio può essere considerato ‘ossimorico’ proprio il contrasto tra il suo essere personificazione della ricchezza e l’ indigenza assoluta (ptōcheia) che lo caratterizza, antitetica al ploutos (cfr. Ar. Pl. 548–54). 932 Cfr. Clinton, 1992, p. 105. Tuttavia, mentre Plutone è un vecchio dignitoso, abbigliato decorosamente con chitone lungo e himation, Pluto, almeno nella prima parte della commedia, è invece conciato in modo squallido e pietoso (v. 80), con caricaturale insistenza sulla sua condizione ossimorica di mendicante; quando però il dio tornava in scena dopo aver recuperato la vista, forse un cambiamento di costume e di maschera (cfr. Stone 1981, 44; 365; 403) poteva marcare visivamente la sua mutata condizione e renderlo più simile alle raffigurazioni sopra ricordate. Per gli stracci come elemento caratteristico dell’ abbassamento comico vd. ad es. i cenci di Telefo e degli altri personaggi euripidei ridicolizzati da Aristofane in Ach. 411–79; la riscrittura scenica dell’ episodio omerico di ‘Odisseo mendico a Troia’ (Od. 4, 244 ss.) in un mimo di età imperiale, trasmesso in parte da P. Köln VI 245 (pubblicato da Parca 1987), per il quale cfr. Gianotti 1996a, 273–7. 933 Corpus vasorum antiquorum, British Museum VI (1931), E 183 (tav. 84, 2c) = Beazley, ARV (19632), 1191, 1 = Nilsson 19552, tav. 42, 1 = LIMC Hades 39 (= Ploutos 36 = Demeter 368). 929
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Aristophanes
Trachones (Coll. Geroulanos 343)934, entrambe datate al 430 a. C. ca.935 La parziale fusione tra le due figure mitiche936 può essere stata favorita dal fatto che entrambe le divinità erano connesse con Demetra e i misteri eleusini (Pluto come figlio della dea, Ade / Plutone come rapitore di Persefone)937. L’ ‘interfaccia’ tra Pluto e Plutone, che può contribuire a spiegare perché il dio della ricchezza non sia rappresentato come un bambino nella commedia aristofanea, potrebbe essere costituito dai Pluti dell’ omonimo dramma di Cratino (vd. supra), che sono adulti (anche se nei frammenti conservati non si dice che fossero vecchi)938 e fondono le caratteristiche dei 934
Beazley, ARV (19632), 1154, 38 bis = LIMC Hades 29 (= Demeter 306). Erroneamente Nilsson (19552, 319) e Komornicka (1964, 127 e n. 177) ritengono che sull’ idria nolana sia rappresentato Pluto. Il confronto con la raffigurazione analoga dell’ anfora di Trachones, dove è indicato il nome Π[λ]ούτων (cfr. Immerwahr 1990, 112 [773]), mostra infatti che si tratta di Plutone: cfr. Lindner 1988, 373b; 374b; Beschi 1988, 870a–b; 874b; Clinton 1992, 112–13; 1994, 419b–420a (così anche Nilsson 19552, 472 n. 1). 936 Vd. ad es. l’ etimologia proposta in Plat. Crat. 403a 3–8, in cui il nome Πλούτων viene spiegato facendolo derivare da πλοῦτος, ὅτι ἐκ τῆς γῆς […] ἀνίεται (analoga etimologia di Dite da dives nella cultura latina: vd. ad es. Cic. De nat. deor. 2, 66); Orph. hymn. 18, 4–5, dove Plutone è esaltato perché arricchisce gli uomini con i frutti del suolo; Luc. Tim. 21, in cui Plutone, del quale Pluto si dichiara ministro, è considerato dio πλουτοδότης καὶ μεγαλόδωρος; Ar. fr. 504, tratto dai Tagēnistai, commedia caratterizzata dalla rappresentazione dell’ oltretomba come ‘paese di cuccagna’ (Schlaraffenland); cfr. anche Pellegrino 2015, 292; Bagordo 2020, 46 (ad Ar. fr. 504). Per l’ uso del nome Πλούτων per Πλοῦτος, attestato in Ar. Pl. 727 e in Soph. frr. 273 e 283 R., cfr. Eisele 1902–9, 2579–80; Usener 1948, 16; Zwicker 1951, 1041–2; Schauenburg 1953, 47–8; Clinton 1994, 416a. Sul ‘paese di cuccagna’ nell’ Ade cfr. inoltre Mainoldi 1989, 251–4; 254 ss. La sovrapposizione di queste due figure mitologiche (Pluto e Plutone) continua anche nel Medioevo (cfr. Ferrari 1999, 574a, s. vv. Pluto e Plutone): vd. ad es. Dante, Inf. 6, 115, in cui il Pluto posto dal poeta come custode del quarto cerchio, che racchiude gli avari e i prodighi, potrebbe corrispondere non al dio della ricchezza, bensì a Plutone; cfr. il commento di Pietro di Dante (Nannucci 1846, 97), il quale sembra citare il passo del De natura deorum ciceroniano riportato supra (cfr. Sapegno 19853, 76); Padoan 1973. 937 Nilsson (1940, 52) spiega la confusione tra Pluto e Plutone a partire dal fatto che in Grecia il grano da seme veniva riposto in silos sotterranei durante l’estate (per lo storico delle religioni, tale sarebbe il vero significato della ‘discesa’ mitica di Persefone all’ Ade, mentre l’ interpretazione più comune, che sovrappone ai mesi invernali la permanenza della dea nell’oltretomba, non si addice per lui al ciclo vegetativo dei paesi mediterranei; cfr. però Burkert 1972, tr. it. 185–6, per gli elementi che fanno ritenere che i Greci stessi intendessero il ritorno di Persefone come simbolo del risveglio della natura a primavera). 938 Poteva però trattarsi di una vecchiaia ‘archetipica’, perché questi personaggi appartenevano ai tempi di Crono, il ‘vecchio’ per antonomasia (cfr. Ar. Nub. 398, 929, 1070; Pl. 581). “Anziano” (παλαιός, Cratin. fr. 171, 26) è il consanguineo che i Pluti vengono a visitare sulla terra, ed anche “decrepito”, se si accoglie la correzione σαπρόν del tràdito σαθρόν (‘malato’, ‘vizioso’; cfr. l’ interpretazione di Sodano 1960–61, 43–6, che riferisce 935
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δαίμονες πλουτοδόται di ascendenza esiodea con la provenienza dall’ oltretomba (dove, del resto, erano stati relegati dopo l’ avvento del regno di Zeus già secondo Hes. Op. 121 ss.), dominio, appunto, di Plutone. La ‘biografia’ di Pluto in Ar. Pl. 87–92939 rappresenta forse un tentativo di annodare le due differenti situazioni mitiche del dio, quella di ragazzino (Ar. Pl. 88) e quella di vecchio (Ar. Pl. 265). Contenuto L’ esistenza del Pluto primo attesta l’ interesse dell’ autore per il tema della ricchezza già vent’ anni prima della commedia omonima, pervenuta integralmente. Nella seconda fase della produzione aristofanea si fanno spazio gradualmente le tematiche utopiche, già proprie del filone ‘disimpegnato’ dell’ archaia, che diverranno dominanti nell’ ultima fase940, con un’ evoluzione coerente, senza brusche fratture, dalla commedia antica a quella di mezzo941. I frammenti a noi pervenuti sono troppo scarsi per tentare di ricostruire la trama della commedia e per stabilire come il tema vi fosse sviluppato e gli eventuali motivi comuni con gli altri Pluti (vd. supra, Titolo)942. Il fr. 458 (vd. infra) sembra attestare che anche nel primo Pluto il dio incontrasse un personaggio che si offriva di aiutarlo a guarire dalla cecità, ma molto di più non possiamo dire. Alcune espressioni ne richiamano di analoghe nel secondo Pluto: vd. infra il commento ai frr. 461 e 464. La confusione tra le due redazioni della commedia presenti negli scolii antichi (vd. infra, Datazione) fanno supporre che esse non fossero molto dissimili. I frammenti superstiti non ci consentono di fare nessuna affermazione sicura neppure riguardo alla presenza o meno di canti corali o della parabasi (assenti nel secondo Pluto ad eccezione della parodos)943. È pertanto un’ ipotesi affascinante, l’ aggettivo a tutto il popolo ateniese, di cui i Titani vengono a saggiare il grado di corruzione) proposta da Goossens 1943. 939 Il ‘racconto eziologico’ in cui Zeus rende cieco Pluto adolescente per impedirgli di riconoscere i buoni e di premiarli con i suoi doni non è presente nella tradizione mitica, ma è inventato da Aristofane fondendo elementi costitutivi (‘mitologemi’) tradizionali, quali la fine dell’ età dell’ oro voluta da Zeus e la punizione dell’ accecamento inflitta da un dio a un mortale (cfr. Torchio 1998–99, 155–7; 2001a, 125–6). 940 Cfr. Mastromarco 1992, 346–8; 19962, 159 ss. 941 Cfr. Droysen, II (18692), 415–6 (= 1998, 102–4). 942 Il Ploutos di Archippo (datato da Zwicker 1951, 1040, al 400 a. C., da Edmonds, I [1957], 805, negli anni vicini a una delle due commedie aristofanee dal medesimo titolo, da Kaibel 1889, 55, e da Hertel 1969, 40, dopo il 388 a. C.; per la mancanza di elementi di datazione certi cfr. Miccolis 2015–16, 215 s.; 2017, 224 s.), per quanto si può inferire dagli scarni frammenti pervenutici, presenta alcuni elementi di somiglianza con l’ omonima commedia aristofanea: vd. ad es. i frr. 37 e 39 (una differenza nello svolgimento del tema, che prelude agli intrecci della nea e della palliata latina, appare invece testimoniata dal fr. 38); cfr. Miccolis 2015–16, 222 ss.; 2017, 231 ss. Anche la riedizione del Ploutos di Nicostrato, figlio di Aristofane, portava in scena un personaggio (il parassita) tipico della nea (cfr. Nicostr. fr. 23). 943 I manoscritti antichi che trasmettono il secondo Pluto segnalano intermezzi corali, di cui non è stato tramandato il testo, con la sigla χοροῦ ai vv. 321 / 2 (V); 626 / 7 (V; schol.
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ma attualmente indimostrabile, che il primo Pluto appartenesse al filone dell’ archaia in cui, secondo la testimonianza di Platon. 35–8 (= Prol. de com. I, p. 4, 29–31 Koster)944, vanno collocati pure gli Odyssēs di Cratino (argomento mitologico e scarsa rilevanza del coro)945. Nulla si può affermare con certezza neppure riguardo alla presenza già nel primo Pluto delle altre novità strutturali della commedia omonima del 388 a. C., come la complementarità dei due coprotagonisti (il vecchio Cremilo e lo schiavo Carione), che si alternano in scena perfettamente dopo il prologo946, oppure la riduzione e semplificazione dell’ agone epirrematico e degli ‘episodi’947. Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1131), seguito dagli editori successivi948, sulla base di Antiatt. β 4 (= An. Gr. I p. 84, 4–6)949, attribuiva al Pluto primo anche il fr. 672 (βλᾶκες φύγεργοι)950, inserito a partire da Kassel e Austin tra i frr. Ar. adespota (PCG, III 2 [1984], 347), perché la testimonianza dell’ Antiatticista potrebbe riferirsi ad Ar. Pl. 325 (καὶ συντεταμένως κοὐ κατεβλακευμένως), in cui compare un avverbio derivato dalla radice di βλάξ, βλακεύειν951. Il fr. 444 K. (ἦν δ᾿ ἐγώ), inserito tra i frammenti del Pluto primo in tutte le edizioni a partire da Dindorf
Ar. Pl. 619b); 770 / 1 (κομμάτιον χοροῦ R; V; schol. Ar. Pl. post 770); 801 / 2 (R2; V; schol. Ar. Pl. 771a); 958 / 9 (schol. Ar. Pl. 850a); 1096 / 7 (schol. Ar. Pl. 1042a); 1170 / 1 (integr. Bergk, II [18722], 324). Per una sintesi della discussione sul diminuito ruolo del coro nelle commedie aristofanee dell’ ultimo periodo e l’ interpretazione della sigla χοροῦ vd. Torchio 1998–99, 18–20. Per Nieddu (ap. Mureddu–Nieddu 2015, 75) la prima versione della commedia doveva concedere “alle parti corali lo spazio che viene loro tradizionalmente riservato dalla commedia antica”. 944 τοιοῦτος οὖν ἐστιν ὁ τῆς μέσης κωμῳδίας τύπος, οἷός ἐστιν ὁ Αἰολοσίκων Ἀριστοφάνους καὶ οἱ Ὀδυσσεῖς Κρατίνου καὶ πλεῖστα τῶν παλαιῶν δραμάτων 〈τὰ〉 οὔτε χορικὰ οὔτε παραβάσεις ἔχοντα; sulla testimonianza di Platonio cfr. Orth 2017, 31 ss. 945 Per l’ accelerazione dell’ evoluzione della commedia aristofanea dopo il 411 a. C. cfr. Nesselrath 1990, 334; Rothwell 1992, 224. 946 Cfr. Russo, 19842, 354 ss. (1994, 228 ss.); Paduano 1988, 30–31; Halliwell 1997, 204–5. È addirittura incerto se il primo attore (protagonista in senso drammaturgico) abbia ricoperto il ruolo di Cremilo piuttosto che quello di Carione: cfr. le attribuzioni delle parti agli attori proposte da Russo, 19842, 361 (1994, 233); Dearden, 1976, p. 100; Torchio 2001a, 255. 947 Cfr. Torchio 1998–99, 13–7; 2001a, 14–9. Per l’ uso moderno del termine ‘episodio’ a indicare le scene esemplificative successive alla parabasi vd. supra, n. 27. 948 Bothe 1844, 130; Dindorf 18695, 192; Kock, I (1880), 506; Blaydes 1885, 229; Edmonds, I (1957), 698–9. 949 βλάξ, βλακεύειν, βλακέσθαι καὶ βλάκες καὶ βλακικῶς· Πλάτων Γοργίᾳ (488a), ὁ αὐτὸς Εὐθυδήμῳ (287e), Ἀριστοφάνης Πλούτῳ. 950 Cfr. Pellegrino 2015, 389–90; Bagordo 2016, 246–7. Il fr. 672 è attribuito dal testimone (Et. gen. β 129 Lass.–Liv.; Et. magn. p. 198, 57–9; Et. Sym. β 117) semplicemente ad Aristofane, senza indicare la commedia di provenienza. 951 Cfr. Ludwig, 1888, 95–6; van Leeuwen 1904a, V–VI; De Cristofaro, 1959, 25; Pellegrino 2015, 390; Valente 2015, 124 (ad Antiatt. β 4).
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1829, 79 (= II [1835], 560; 1838, 462)952 sulla base di Choerob., An. Gr. III p. 1380, 2–3 (ἔχομεν τὴν χρῆσιν τοῦ ἦν ἐγὼ παρ᾿ Ἀριστοφάνει ἐν Πλούτῳ)953 e Sud. η 371 (ἦν δ᾿ ἐγώ· ἔφην δ᾿ ἐγώ. παρὰ Πλάτωνι καὶ Ἀριστοφάνει)954, è identificato da Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 437) con Ar. Pl. 29 (κακῶς ἔπραττον καὶ πένης ἦν)955 per l’ omografia tra l’ imperfetto 3a pers. sing. di φημί e di εἰμί (cfr. Et. magn. p. 431, 15–6; Choerob., An. Gr. III p. 1380, 4–6)956. Datazione Secondo lo schol. Ar. Pl. 179a, il Pluto primo (che per l’ antico commentatore è quello pervenuto integralmente) fu rappresentato sotto l’ arcontato di Diocle (408 a. C.)957. Un’ analoga confusione tra le due redazioni è attestata anche dagli scholl. Ar. Pl. 115b e 119b (vd. infra, ad fr. 458), che testimoniano l’ esistenza di una variante testuale nell’ omonima commedia frammentaria (per gli scoliasti la seconda), nonché dagli scholl. Ar. Pl. 173b (= test. iii) e 1146d (= Philoch. FGrHist 328 F 140)958, in cui gli scoliasti, imbattendosi in riferimenti a fatti o a personaggi posteriori al 408 a. C. (rispettivamente l’ invio di un contingente di mercenari a Corinto nel 390 a. C. e l’ occupazione di File da parte di Trasibulo nel 403 a. C.), suppongono, per eliminare l’ incongruenza cronologica, che tali versi siano stati interpolati dalla seconda redazione959. La datazione del secondo Pluto offerta dagli scolii (vent’ anni dopo la commedia del 408 a. C.)960 concorda tuttavia perfettamente con quella dell’ arg. Ar. Pl. III Chantry al 388 a. C.961 Le contraddittorie notizie degli studiosi antichi hanno fatto sorgere una questione fra quelli moderni: Ritter (1828) smentì la communis opinio in vigore fino a quel momento962 che la commedia integralmente pervenuta fosse quella del 408 a. C. o una commistione delle due redazioni963; van Leeuwen (1904a, III–IV)
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Cfr. tuttavia Dindorf 18695, in cui il fr. 444 K. non compare più tra i frammenti del Pluto primo. 953 Cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1131; Kock, I (1880), 506. Dindorf 1829, 79 (= II [1835], 560; 1838, 462) considera invece solo Sud. η 371 (per il quale vd. infra) per l’ attribuzione. 954 Cfr. Dobree 1820, add. 97 (“nusquam occurrit haec locutio in Pluto”). 955 Cfr. già Blaydes 1885, 230. 956 Cfr. Ludwig, 1888, 96–7; van Leeuwen 1904a, VI–VII; De Cristofaro, 1959, 25–6. 957 Vd. infra, p. 203. 958 Vd. infra, p. 204. 959 Cfr. anche lo schol. Ar. Pl. 972i (= Philoch. FGrHist 328 F 140), per il quale vd. infra, p. 204. Le testimonianze degli scolii al Pluto sono state studiate da Ludwig 1888; Polak 1902; Laible 1909; De Cristofaro 1959. 960 Vd. i già citati scholl. Ar. Pl. 173b e 179a. 961 Vd. supra, n. 914. 962 Già le Beau (1764, 54) riteneva tuttavia correttamente che il Pluto integro fosse quello del 388. 963 La teoria della contaminazione delle due versioni della commedia operata da un antico grammatico fu sostenuta ancora da Brentano 1871, 109–42.
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e De Cristofaro (1959) si sono spinti sino a negare addirittura l’ esistenza di un Pluto primo964; infine Wölfle (1981) riprende di recente la vecchia tesi che il Pluto completo sia in realtà quello del 408 a. C. con aggiornamenti (riferimenti a vicende più attuali; parodia del ditirambo Il Ciclope di Filosseno di Citera). Dal momento che tutti i riferimenti ad avvenimenti e personaggi storici presenti nella commedia integra sono collocabili tra il 403 e il 389 / 8 a. C., appare più lineare supporre che essa sia stata rappresentata sotto l’ arcontato di Antipatro965. Se gli antichi commentatori fecero confusione tra le due versioni, queste non dovevano essere tuttavia troppo dissimili966. I riferimenti agli avvenimenti contemporanei nella seconda redazione sono pochi e per lo più concentrati in una decina di versi (Ar. Pl. 170–80), che avrebbero potuto essere stati aggiornati con facilità967; inoltre alcuni temi (la povertà, l’ influsso del denaro persiano, la corruzione e gli arricchimenti illeciti di strateghi e uomini politici) potevano essere di attualità anche negli ultimi anni della guerra del Peloponneso968. La situazione è ulteriormente complicata da una notizia trasmessaci dalla Vita Ar. (Prol. de com. XXVIII, p. 136, 58–9 Koster = Ar. test. 1, 54 K.-A.)969, secondo la quale il poeta comico, in occasione della rappresentazione del Pluto, presentò al pubblico il figlio Araros: forse l’ anonimo biografo sintetizza il dato relativo alla messa in scena della commedia nel 388 a. C. e quello relativo a un riallestimento successivo, realizzato dal figlio dell’ autore970. Non mi sembra tuttavia che si possa negare attendibilità alle testimonianze antiche, che concordano sull’ esistenza di due versioni della commedia. Le attestazioni, relativamente numerose, sembrano far ritenere che i filologi alessandrini, i cui commenti sono poi confluiti negli scolii medievali, avessero ancora a disposi-
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Cfr. anche Gil 1989, 43 (= 1996, 125; 2010, 72). Cfr. ad es. van Leeuwen 1904a, III–IV; MacDowell 1995, 324. 966 Vd. ad es. la variante testuale ad Ar. Pl. 115 (fr. 458), che si inserisce perfettamente tra il v. 114 e il v. 116 della versione presente nel testo che noi leggiamo. Cfr. anche Nieddu, ap. Mureddu−Nieddu 2015, 75. 967 Cfr. MacDowell, 1995, 326–7. 968 Cfr. Zelnik-Abramovitz 2002. 969 ἐν τούτῳ δὲ τῷ δράματι [sc. ἐν τῷ Πλούτῳ] συνέστησε τῷ πλήθει τὸν υἱὸν Ἀραρότα. Cfr. anche la Vita Ar. (Prol. de com. XXIXa, p. 139, 35–8 Koster) e l’ analoga notizia dell’arg. Ar. Pl. III 4–6 Chantry (τελευταίαν δὲ διδάξας τὴν κωμῳδίαν ταύτην ἐπὶ τῷ ἰδίῳ ὀνόματι, καὶ τὸν υἱὸν αὐτοῦ συστῆσαι Ἀραρότα δι᾿ αὐτῶν τοῖς θεαταῖς βουλόμενος, τὰ ὑπόλοιπα δύο δι᾿ ἐκείνου καθῆκε, Κώκαλον καὶ Αἰολοσίκωνα), riferita a Kōkalos ed Aiolosikōn (cfr. Orth 2017, 28–31). 970 L’ arg. Ar. Pl. III Chantry (vd. supra, n. 914), infatti, ignora il collegamento tra la rappresentazione del 388 a. C. e Araros. Per Rogers (1907, IX–X) gli scoliasti avevano a disposizione, oltre al testo che noi leggiamo, questa riedizione, ma credevano che si trattasse rispettivamente del primo e del secondo Pluto: di qui la loro confusione (la tesi di Rogers è stata di recente ripresa da Sommerstein 2001, 30–3). Per il Ploutos portato in scena da un altro figlio di Aristofane, Nicostrato, vd. supra, Titolo. 965
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zione entrambe le redazioni971. A Eufronio, autore di un commento (ὑπόμνημα) al Pluto972, lo schol. Ar. Ran. 1096b fa risalire la citazione del fr. 459 (vd. infra). Le notizie conservate nell’arg. Ar. Pl. III Chantry hanno forse come fonte Aristofane di Bisanzio973. I moderni sono inclini a ritenere che la confusione tra le due redazioni della commedia vada fatta risalire a Didimo (tra il I sec. a. C. e il I sec. d. C.)974, al cui tempo, dopo una prima selezione delle opere aristofanee operata verosimilmente da Aristofane di Bisanzio, il primo Pluto non si leggeva più direttamente975.
test. i K.-A. (= Ar. test. 2c 17 K.-A.) Catal. fab. Ar. pap. = P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 2, col. I 17 Πλ]οῦτ[ο]ς αʹ Ploutos prōtos (“Pluto primo”)
Contesto P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 1 col. I et fr. 2 col. I, faceva parte di un catalogo papiraceo (II sec. d. C.) dei titoli delle commedie di Aristofane. Interpretazione Il Catal. fab. Ar. pap. attesta una prima redazione del Pluto; cfr. il Catal. fab. Ar. (= Prol. de com. XXXa, p. 142, 17–8 Koster = Ar. test. 2a 21 K.-A.), che riporta Πλοῦτος βʹ (Ploutos deuteros) per l’ omonima commedia integralmente pervenuta.
test. ii K.-A. (= Aiol. test. iii K.-A.) Choerob. in Heph. Ench. 9, p. 235 Consbr. Αἰολοσίκων δρᾶμα γέγονε πρῶτον καὶ δεύτερον Ἀριστοφάνους, ὡς καὶ ὁ Πλοῦτος πρῶτον καὶ δεύτερον. Un dramma Aiolosikōn di Aristofane è stato redatto una prima e una seconda volta, come anche il Pluto una prima e una seconda volta.
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Cfr. Mensching 1964, 39 n. 131; Nieddu, ap. Mureddu−Nieddu 2015, 72–4. Cfr. Pfeiffer 1968, 160–1 e 224. Eufronio, continuatore del lavoro di Licofrone e cronologicamente precedente a Eratostene, fu forse maestro di Aristofane di Bisanzio; cfr. Pfeiffer 1968, 160 e 171. 973 Cfr. Boudreaux 1919, 32–3; 133 n. 3. 974 Cfr. Polak, 1902, 173 ss.; Boudreaux, 1919, 133–4. 975 La questione è stata recentemente ripresa da Nieddu, ap. Mureddu−Nieddu 2015, 70–6, per il quale negli scolii medievali sarebbero confluite le note di un antico commento al primo Pluto, che spiegava incongruenze e presunti anacronismi con la contaminazione tra le due versioni. 972
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Contesto Il commentario al compendio del trattato di metrica greca (Encheiridion peri metrōn) di Efestione (II sec. d. C.)976, scritto dal grammatico bizantino Giorgio Cherobosco nella prima metà del IX sec. d. C.977. Per la duplice redazione dell’ Aiolosikōn cfr. Orth 2017, 21 ss. Interpretazione Choerob. in Heph. Ench. 9, p. 235 Consbr. attesta l’ esistenza di due redazioni del Pluto; cfr. anche lo schol. Ar. Ran. 1096b, che riporta il fr. 459 (vd. infra, ad loc.), attribuendolo al Pluto primo (ἐν Πλούτῳ πρώτῳ), senza però citarne esplicitamente l’autore978; lo schol. Hom. Il. 23, 361 a.1, 23–5, p. 427 Herbse, risalente al grammatico alessandrino Erodiano (II sec. d. C.)979, e Athen. 9, 368d, i quali citano rispettivamente il v. 991 e il v. 1128 della versione integralmente pervenuta dichiarando che si trovano “nel Pluto secondo”980.
test. iii K.-A. Schol. (VEAld) Ar. Pl. 173b, 2–3 δῆλον δέ, ἐκ τοῦ ἐν δευτέρῳ φέρεσθαι, ὃς ἔσχατος ἐδιδάχθη ὑπ᾿ αὐτοῦ εἰκοστῷ ἔτει ὕστερον. ἔσχατος EAld: -ον V È chiaro che (questo verso) è tratto dal secondo (Pluto), che fu rappresentato per ultimo da lui (Aristofane) vent’ anni dopo.
Bibliografia Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1130; Kock, I (1880), 505; Ludwig 1888, 64–9; Polak 1902; Laible 1909, 31–57; Edmonds, I (1957), 696–7; De Cristofaro 1959, 7–12; Torchio 1998–99, 172, 175–7; Sommerstein 2001, 20–30; Torchio 2001a, 134–6; Henderson 2007, 328–9 (~ 2011, 315). Contesto Lo schol. Ar. Pl. 173b (τὸ δ᾿ ἐν Κορίνθῳ ξενικὸν οὐχ οὓτος τρέφει;), 2–3, cerca di spiegare un’ apparente contraddizione cronologica tra la data di rappresentazione della commedia, che per l’ antico commentatore è il 408 a. C.981, e il riferimento al corpo dei mercenari armati alla leggera (peltasti) con cui l’ ateniese Ificrate riportò notevoli successi nei combattimenti terrestri attorno a Corinto con-
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Cfr. ad es. Gärtner 1967c; Fornaro 1998. Cfr. ad es. Montanari 1997a. 978 Vd. infra, ad fr. 459. 979 Cfr. ad es. Gärtner 1967d; Montanari 1998. 980 ἐν Πλούτῳ δευτέρῳ (schol. Hom. Il. 23, 361 a.1, 24, p. 427 Herbse); Πλούτῳ δευτέρῳ (Athen. 9, 368d). 981 Per l’ identificazione del Pluto integralmente pervenuto con la prima redazione del 408 a. C. da parte degli scolii antichi vd. supra, Datazione. 977
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tro gli Spartani nel 390 a. C. (Xen. Hell. 4, 5, 7–18; Diod. 14, 86; 91–2)982. Lo scolio fonde tre note differenti983, la prima delle quali, per eliminare la contraddizione, afferma che a Corinto vi era sempre stato uno ξενικόν, e non soltanto durante la guerra corinzia (schol. Ar. Pl. 173b, 1–2)984; la seconda (schol. Ar. Pl. 173b, 2–3 = test. iii) corregge la spiegazione precedente, affermando che il verso era tratto dal secondo Pluto; la terza (schol. Ar. Pl. 173b, 3–5)985, infine, ripete la medesima interpretazione, aggiungendo che la guerra corinzia scoppiò tre o quattro anni prima della rappresentazione del secondo Pluto, nel 388 a. C. (sotto l’ arcontato di Antipatro; cfr. arg. Ar. Pl. III Chantry)986. Interpretazione Lo schol. Ar. Pl. 173b data il primo Pluto vent’ anni prima della commedia omonima integralmente pervenuta. La medesima datazione al 408 a. C. (sotto l’ arcontato di Diocle) è attestata dallo schol. Ar. Pl. 179a987, secondo il quale la menzione dell’ etera Laide988 come amante del ricco 982
Un presidio di mercenari inviati da Atene si trovava a Corinto già dal 391 (Xen. Hell. 4, 4, 14). Lo ξενικόν comandato da Ificrate è ricordato in Dem. 4, 24 (ὅτι καὶ πρότερόν ποτ᾿ ἀκούω ξενικὸν τρέφειν ἐν Κορίνθῳ τὴν πόλιν, οὗ Πολύστρατος ἡγεῖτο καὶ Ἰφικράτης καὶ Καβρίας καὶ ἄλλοι τινές, καὶ αὐτοὺς ὑμᾶς συστρατεύεσθαι· καὶ οἶδ᾿ ἀκούων ὅτι Λακεδαιμονίους παραταττόμενοι μεθ᾿ ὑμῶν ἐνίκων οὗτοι οἱ ξένοι καὶ ὑμεῖς μετ᾿ ἐκείνων), passo citato dallo schol. Ar. Pl. 173d e da Harp. p. 215, 12–6 Dind. (= ξ 2 Keaney). 983 Cfr. De Cristofaro 1959, 7–8. 984 ὡς ἀεὶ ξενικόν τι ἐχόντων τῶν Κορινθίων, καὶ οὐχ ὡς ἰδίως κατὰ τὸν καιρὸν τοῦτον. 985 εἰ μή, ὅπερ εἰκός, ἐκ τοῦ δευτέρου τοῦτο μετενήνεκται. ἐκεῖ γὰρ ὀρθῶς ἔχει· ἤδη γὰρ ὁ Κορινθιακὸς πόλεμος συνέστη τρισὶν ἢ τέτρασιν ἔτεσιν πρότερον Ἀντιπάτρου (389 / 8 a. C.) ἐφ᾿ οὗ ἐδιδάχθη. 986 Vd. supra, n. 914. 987 ὅτι Ἀριστοφάνης οὐ λέγει σύμφωνα κατὰ τοὺς χρόνους· ληφθῆναι γὰρ αὐτὴν φασιν ἐν Σικελίᾳ, πολιχνίου τινὸς ἁλόντος ὑπὸ Νικίου, ἑπτέτιν, ὠνηθῆναι δὲ ὑπὸ Κορινθίου τινός, καὶ πεμφθῆναι δῶρον τῇ γυναικὶ εἰς Κόρινθον. ἐὰν δὲ ἐπὶ Χα[β]ρίου (415/ 4 a. C.) τις ταῦτα γενέσθαι δῷ, ὅτε εὖ ἔπραττον Ἀθηναῖοι ἐν Σικελίᾳ, ἔστι δὴ ἕως Διοκλέους (409 / 8 a. C.) ἔτη ιδ,́ ὥστε ἄλογον αὐτὴν δι᾽ ὁνόματος ἐπαίρειν. ἐμφαίνει δὲ καὶ Πλάτων ἐν Φάωνι, 〈ὃς〉 (Chantry) ἑπτακαιδεκάτῳ ἔτει ὕστερον δεδίδακται ἐπὶ Φιλοκλέους (392 / 1 a. C.), ὡς μηκέτι αὐτῆς οὔσης (Plat. com. fr. 196). δύναται μέντοι καὶ αὐτῆς ζώσης λέγεσθαι. 988 Per la presenza nella tradizione di due etere con questo nome, entrambe legate a Corinto, dove la prima fu condotta come schiava (vd. supra, schol. Ar. Pl. 179a) e la seconda nacque non prima del 390 a. C., e la conseguente identificazione della Laide menzionata in Ar. Pl. 179 con la più vecchia delle due, cfr. Geyer 1924; Holzinger 1928, 64–75; 1940, 50–62. Poiché la parte finale dello schol. Ar. Pl. 179a (vd. supra, n. 987) ci informa che in Plat. com. fr. 196, datato al 391 a. C., si faceva cenno a Laide come se non fosse più viva (ὡς μηκέτι αὐτῆς οὔσης) in quell’ anno – e dunque tantomeno nel 388 a. C. –, Ar. Pl. 179 è stato sospettato di corruzione. Già in età antica (cfr. Geißler 19692, XVII) fu proposta la correzione Ναΐς (“Naide”) sulla base di un passo dell’ orazione Contro Filonide attribuita a Lisia (fr. 299 Carey = 245 S.), in cui Naide – e non Laide – veniva indicata come oggetto della passione di questo personaggio, e del fatto
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Filonide989 in Ar. Pl. 179 (ἐρᾷ δὲ Λαῒς οὐ διὰ σὲ Φιλωνίδου;) costituirebbe un’ incongruenza dal punto di vista cronologico, perché la donna, catturata a sette anni durante la spedizione in Sicilia (415 / 4 a. C.) e condotta come schiava a Corinto, avrebbe avuto solo quattordici anni nel 409 / 8 a. C., anno in cui fu rappresentata la prima versione della commedia. Cfr. inoltre lo schol. Ar. Pl. 972i990, il quale presuppone anch’ esso una datazione al 408 a. C., perché informa che l’ introduzione del sorteggio per i giudici nei tribunali popolari attici, confusi dallo scoliaste con la boulē (cfr. Chantry 1994, 158), risale “all’ anno precedente la (rappresentazione della) commedia”, cioè al 410 / 9 a. C. (arcontato di Glaucippo), secondo lo storico Filocoro (FGrHist 328 F 140); lo schol. Ar. Pl. 1146d991, in cui l’ antico commentatore, per eliminare la supposta incongruenza cronologica del riferimento all’ occupazione di File da parte di Trasibulo nel 403 a. C., ipotizza che anche il v. 1146 sia stato interpolato dalla seconda redazione del Pluto.
che gli antichi commentatori del Pluto collocavano la commedia nel medesimo contesto cronologico del Gērytadēs di Aristofane (andato in scena sicuramente prima del 405 a. C.; cfr. Mastromarco 19962, 72), in cui era citata appunto Naide (Harp. p. 209, 13–7 Dind. = ν 1 Keaney = Ar. fr. 179). Tale correzione è stata adottata da Meineke (1860, 299), von Velsen (1881, 16), van Leeuwen (1904a, 30) e, recentemente, da Sommerstein (2001, 58) e Wilson (II [2007], 281). Tutti gli altri editori moderni, tra cui Coulon (V [1930], 97) e, recentemente, Henderson (2002, 179), conservano tuttavia correttamente il testo tràdito, difeso anche da Holzinger (1928, 67–9; 1940, 54–6). Infatti Plat. com. fr. 196 potrebbe significare anche che la bellezza di Laide è ormai sfiorita e che la donna “non è più quella di un tempo”: cfr. lo schol. Ar. Pl. 179a (δύναται μέντοι καὶ αὐτῆς ζώσης λέγεσθαι); Holzinger 1928, 65; 1940, 52). 989 Personaggio da identificare con il ricco Filonide del demo di Melita (cfr. PA 14907D; Davies 1971, 422; LGPN II, Φιλωνίδης [52]; PAA 957480), il quale è frequentemente deriso dai commediografi a cavallo tra il V e il IV sec. a. C., perché sgraziato e ignorante: cfr. Nicoch. fr. 4 (τί δῆτ᾿; ἀπαιδευτότερος εἶ Φιλωνίδου | τοῦ Μελιτέως;); Philyll. fr. 22 (ἦ τις κάμηλος ἔτεκε τὸν Φιλωνίδην;); Plat. com. fr. 65, 5–6 (Φιλωνίδην δ᾿ οὐ τέτοκεν ἡ μήτηρ ὄνον | τὸν Μελιτέα, κοὐκ ἔπαθεν οὐδέν;); Theop. fr. 5 (ὧν εἷς μὲν ὀγκάς, ὁ Μελιτεὺς Φιλωνίδης | ὄνῳ μιγείσης μητρὸς ἔβλαστ᾿ ἐν πόλει); vd. anche Orth 2015, 52–3 (ad Nicoch. fr. 4). Aristofane lo ricorda (nuovamente in relazione a Corinto) anche in Ar. Pl. 303 (ἣ τοὺς ἑταίρους τοῦ Φιλωνίδου ποτ᾿ ἐν Κορίνθῳ). 990 οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ ἐβούλευον οὕτως, τῷ πρὸ τούτου ἔτει ἀρξάμενοι· φησὶ γὰρ Φιλόχορος· ἐπὶ Γλαυκίππου καὶ ἡ βουλὴ κατὰ γράμμα τότε πρῶτον ἐκαθέζετο· καὶ ἔτι νῦν ὀμνύουσιν ἀπ᾽ ἐκείνου καθεδεῖσθαι ἐν τῷ γράμματι ᾧ ἂν λάχωσιν (FGrHist 328 F 140). 991 ἀλλὰ ταῦτά γε οὔπω ἐπέπρακτο, οὐδὲ τὰ ἐπὶ τῶν Λ́ ἤδη ἦν, ἀλλὰ καί, ὡς Φιλόχορός φησι, πέμπτῳ ἔτει ὕστερον, μάχης μετὰ Θρασυβούλου γενομένης, Κριτίας ἐν Πειραιεῖ τελευτᾷ (FGrHist 328 F 143). τοῦτο οὖν ἔοικέ τις ἐκ τοῦ δευτέρου Πλούτου μετενεγκὼν ἐνθάδε ὀλιγωρῆσαι τῆς ἀλογίας ταύτης, ἢ καὶ αὐτὸς ὁ ποιητὴς ὕστερον ἐνθεῖναι.
Πλοῦτος αʹ (fr. 458)
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fr. 458 K.-A. τῆς συμφορᾶς ταύτης σε παύσειν ἧς ἔχεις σε cett.: γε V
παύσειν codd.: παύσει Ald.
ἧς ἔχεις codd.: ἥ σ’ ἔχει Valckenaer
(Spero proprio di) liberarti da questa disgrazia che hai Schol. (RVEBarbAld) Ar. Pl. 115b ἰδίως ὀφθαλμίαν τὴν πήρωσίν φησι τῶν ὀφθαλμῶν· διὸ καὶ ἐν τῷ δευτέρῳ μεταπεποίηται· τῆς συμφορᾶς ― ἔχεις. Propriamente chiama ophthalmia (“malattia degli occhi”) la cecità: perciò anche nel secondo (Pluto) (il verso) è stato mutato: “ (spero proprio di) liberarti ― hai”.
Metro
Trimetro giambico
llkl llk|l llkl
Bibliografia Brunck, I (1783), add. 239–40; Dobree 1820, 12; Ritter 1828, 54; Fritzsche 1835, 174 s.; Ludwig 1888, 91; van Leeuwen 1904a, IV; Rogers 1907, X; Laible 1909, 70 s.; Kraus 1930, 55–6; Holzinger 1940, 25–6; De Cristofaro 1959, 36– 40; Hertel 1969, 31–2; Torchio 1998–99, 160–2; Carrière 2000, 225; Sommerstein 2001, 29, 141; Torchio 2001a, 128–9; Fiorentini 2006, 150–1; Henderson 2007, 328–9 (~ 2011, 315–6); Wilson 2007, 201; Chantry 2009, 226; Pellegrino 2015, 266; Totaro 2017, 174–9. Contesto della citazione Lo schol. Ar. Pl. 115 (ταύτης ἀπαλλάξειν σε τῆς ὀφθαλμίας), dopo aver spiegato come il poeta adoperi il sostantivo ὀφθαλμία, che propriamente designa una ‘malattia degli occhi’992, come sinonimo di πήρωσις993 oppure τύφλωσις994 (‘cecità’), ci informa che, “nel secondo (Pluto)”, il verso in questione era stato mutato in τῆς συμφορᾶς ταύτης σε παύσειν ἧς ἔχεις995. La testi-
992
Vd. infra, n. 1007. Cfr. schol. Ar. Pl. 115a α. 994 Cfr. schol. Ar. Pl. 115a β. 995 Anche lo schol. Ar. Pl. 119b (μεταπεποίηται καὶ τοῦτο ἐν τῷ δευτέρῳ), utilizzando quasi le medesime parole dello schol. Ar. Pl. 115b, attesta la presenza di una variante testuale, che lo scoliaste attribuisce anche qui alla seconda redazione della commedia, senza però riportare il verso modificato. La variante marginale οἶδ᾽ ὡς (“so che [Zeus … certamente mi distruggerebbe]”) del codice Cantabrigiensis Bibliothecae Collegii Trinitatis R. 1. 42, datato al 1475 ca. (cfr. Chantry 1996, XIX), che, dopo Brunck (I [1783], 233), alcuni editori moderni (Bergk, II [18722], 286; Coulon, V [1930], 94; Cantarella, V [1964], 418; Sommerstein 2001, 54; Wilson, II [2007], 278) adottano al posto del tràdito εἰδώς (RVΦ), mantenuto da Bekker, I (1829), 469, von Velsen 1881, 12, e, recentemente, da Henderson 2002, 440, potrebbe derivare dal primo Pluto (per Ritter 1828, 55, è invece correzione apportata dal poeta stesso nella seconda redazione). Per una discussione 993
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Aristophanes
monianza dello scoliaste ha probabilmente come fonte il commento di Didimo996 o addirittura un commento più antico al Pluto primo997 (vd. supra, Datazione). Interpretazione La variante trasmessaci dallo scoliaste è stata inclusa per la prima volta tra i frammenti del Pluto primo da Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 245)998, sulla base di Laible 1909, 70 s., per il quale l’ antico commentatore, convinto di leggere la prima redazione della commedia, deve aver attribuito il verso alla seconda999. La questione, piuttosto controversa, è stata molto dibattuta, perché strettamente connessa a quella del rapporto tra il primo e il secondo Pluto (vd. supra, Datazione). Per Ritter 1828, 54, la variante trasmessa dallo scolio apparterrebbe veramente alla seconda redazione, mentre quella proveniente dalla prima sarebbe stata aggiunta a margine da qualche antico grammatico e in seguito sarebbe entrata a far parte del testo. Per Rogers 1907, X, il verso riportato dallo scolio apparterrebbe a una riedizione della commedia portata in scena da uno dei figli di Aristofane (vd. supra, Datazione, n. 970); riprendendo questa ipotesi, Sommerstein 2001 (ad loc.) adotta nel testo la variante dello scolio con la correzione di Valckenaer (τῆς συμφορᾶς […] ἥ σ’ ἔχει)1000, considerandola frutto di una revisione di Aristofane. Van Leeuwen (1904a, IV) ritiene invece che la variante di Ar. Pl. 115 fornitaci dallo scoliaste abbia avuto origine da una glossa metrica che avrebbe scalzato il testo originale in alcuni manoscritti. L’ autenticità del testo riportato dallo scolio è rifiutata anche da Ludwig 1888, 91; seguono inoltre l’ opinione di van Leeuwen Holzinger 1940, 25–6, per il quale il fatto che tale glossa sia un trimetro giambico è del tutto casuale; De Cristofaro 1959, 36–9; Hertel 1969, 31–2. Wilson 2007, 201, suppone infine che il testo trasmesso dallo scolio sia una parafrasi1001. Pertanto Totaro, in un recente contributo (2017), si presenta molto cauto relativamente all’ attribuzione al primo Pluto del fr. 415, che per lo studioso andrebbe contrassegnato con un asterisco come incerto1002. La variante dello schol. Ar. Pl. 115b sintatticamente si connette perfettamente ad Ar. Pl. 114 (οἶμαι γὰρ οἶμαι – ξὺν θεῷ δ᾽ εἰρήσεται –) e al successivo v. 116 (βλέψαι ποήσας) ed è equivalente ad Ar. Pl. 115 (ταύτης ἀπαλλάξειν σε τῆς ὀφθαλμίας) dal punto di vista metrico, oltre che sintattico, stilistico e semantico. approfondita dei numerosi problemi testuali presenti in Ar. Pl. 119–20 (ὁ Ζεὺς μὲν οὖν εἰδώς, τὰ τούτων μῶρ᾽ †ἔμ᾽† εἰ | πύθοιτ᾽, ἂν ἐπιτρίψειε [Torchio 2001a]), che Hall e Geldart (II [19072], 221) pongono quasi interamente tra cruces, cfr. Torchio 1998–99, 162–5; 2001a, 97–8. 996 Cfr. Boudreaux 1919, 133–7; Kraus 1931, 55–6; Mensching 1964, 39 n. 131. 997 Cfr. Nieddu, ap. Mureddu−Nieddu 2015, 73–4. 998 Seguono Kassel e Austin gli editori e gli studiosi successivi (Carrière 200, 225; Henderson 2007, 328–9 ~ 2011, 315–6; Pellegrino 2015, 266). 999 Cfr. anche Thiersch 1830, CDLXVI; Fritzsche 1835, 174, i quali avevano già attribuito la variante di Ar. Pl. 115 alla prima redazione, ribaltando l’ attribuzione dello scoliaste. 1000 Cito da Dobree 1820, 12 (ad Ar. Pl. 115). 1001 Cfr. anche Wilson, II (2007), 278 (ad Ar. Pl. 115). 1002 Cfr. Totaro 2017, 176–7.
Πλοῦτος αʹ (fr. 458)
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Potrebbe quindi appartenere al prologo della commedia, in cui, come nella seconda redazione, avveniva l’ incontro tra il dio della ricchezza e un personaggio che si offriva di aiutarlo a recuperare la vista1003. L’ infinito futuro παύσειν è costruito (come ἀπαλλάξειν in Ar. Pl. 115) con l’ accusativo della persona (σε) e il genitivo della cosa (τῆς συμφορᾶς ταύτης), a cui si collega una subordinata relativa con l’attrazione diretta del pronome relativo (ἧς ἔχεις). La caratura stilistica della variante riportata dallo scoliaste è piuttosto elevata (vd. infra), tanto che Kannicht e Snell (TrGF, II [1981]) la inseriscono dubitativamente tra i frammenti tragici adespoti (fr. *61b K.-Sn.)1004, come se si trattasse di una citazione da un ipotesto a noi non pervenuto (cfr. Rau 1967, 207)1005. τῆς συμφορᾶς La vox media συμφορά (‘evento’, ‘circostanza’), pur non essendo propria in modo specifico dello stile poetico (cfr. LSJ, s. v.), è di uso comune nei tragici: cfr. ad es. Aesch. Eum. 897; Soph. Tr. 1145; Eur. Ion 536; cfr. inoltre Ar. Ach. 1204 (paratragico)1006. Il sostantivo συμφορά è inoltre utilizzato ordinariamente nel senso negativo di ‘disgrazia’, ‘sventura’, ‘sciagura’ senza essere accompagnato da un attributo non solo in prosa, ma anche in poesia (cfr. ad es. Alc. fr. 69, 2 V.; Hippon. fr. 28, 4 W.2 (= 39, 4 Deg.); Pind. Pyth. 8, 87; Soph. Ph. 885; Eur. Alc. 673). Rispetto alla variante τῆς ὀφθαλμίας (Ar. Pl. 115), che denota una malattia degli occhi (‘oftalmia’)1007 piuttosto che uno stato di completa cecità, l’ espressione figurata τῆς συμφορᾶς è migliorativa, tanto che Sommerstein 2001, 141, pensa ad una revisione voluta da Aristofane (vd. supra). Nel Pluto Cremilo si propone tuttavia di far guarire il dio della ricchezza, che in effetti recupera la vista (Ar. Pl. 771 ss.), quindi l’ uso del termine medico ὀφθαλμία non appare inappropriato1008. παύσειν Il verbo παύω accompagnato dall’ accusativo di persona e dal genitivo di cosa è usato nel senso di ‘liberare da (pene, dolori, mali)’ in prosa, ma anche nella poesia epica (cfr. ad es. Il. 2, 595; 15, 15; 15, 250; 21, 137; 21, 294; Od. 4, 801; 5, 492; 15, 342; 23, 298), tragica (cfr. ad es. Soph. El. 798) e comica (cfr. ad es. Ar. Av. 1259). Questo costrutto è sintatticamente e stilisticamente analogo a quello
1003
Cfr. Ritter 1828, 61; Koerte 1921, 1233; Schmid 1946, 200. Nella versione integralmente conservata il contadino Cremilo e lo schiavo Carione, seguendo le indicazioni di Apollo, si imbattono nel dio Pluto e si offrono di aiutarlo a guarire dalla cecità, perchè egli possa distinguere i buoni e gli onesti e beneficarli con i suoi doni. 1004 τῆς συμφορᾶς | ταύτης σε παύσειν, ἧς ἔχεις xlkl (con diversa scansione metrica). 1005 Un tono paratragico è presente anche in Ar. Pl. 114, a cui il fr. 458 può collegarsi: per il primo emistichio cfr. Soph. El. 459a, in cui è presente la figura retorica della geminazione, che nello stile elevato ha la funzione di comunicare l’ intensità del sentimento del parlante; per il secondo emistichio cfr. Eur. Med. 625b (cfr. Kuster, ap. Bekker V [1829], 32b; Blaydes 1886, 154; Rau 1967, 207). 1006 Cfr. Rau 1967, 144. 1007 Cfr. ad es. Magnus 1901, 135, 263 ss., 503; Chantraine, DELG, 812, s.v. ὄπωπα; LSJ, s. v. ὀφθαλμία; Southard 1971, 83–4; Marganne 1994, 9, 130; Beekes, EDG, 1134, s.v. ὀφθαλμός. Bibliografia ulteriore in Totaro 2017, 178 n. 13. 1008 Cfr. Fiorentini 2006, 150–1; Totaro 2017, 178–9.
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Aristophanes
del verbo ἀπαλλάσσω (presente in Ar. Pl. 115 all’ infinito futuro) con l’ accusativo della persona e il genitivo della cosa, che ricorre nella tragedia (cfr. ad es. Aesch. Pr. 773; Eum. 83) oltre che in prosa (vd. LSJ s. v.).
fr. 459 K.-A. (442 K.) τῶν λαμπαδηφόρων τε πλείστων αἰτίαν τοῖς ὑστάτοις πλατειῶν 1 τῶν VEΘ: vac. Barb λαμπαδηφόρων VEΘ: λαμπάδα φέρων Barb πλεῖστων Barb 2 τοῖς ὑστάτοις VE: τοῖς (lac.) τοις Barb: vac. Θ πλαταίων Barb
πλείστων VE: πλατειῶν VEΘ:
e di moltissimi ceffoni causa per gli ultimi tra i portator di fiaccola Schol. (RVMEΘBarb) Ar. Ran. 1096b πλατείαις· καὶ ἐν Πλούτῳ πρώτῳ· τῶν λαμπαδηφόρων ― πλατειῶν. τοῦτο δέ φησιν Εὐφρόνιος (fr. 64 Str.), ὅτι ἀπὸ (VEΘBarb; ὑπὸ M) τοῦ ἐν τῷ κεραμεικῷ ἀγῶνος τῆς λαμπάδος. (VEΘBarb) καὶ τοὺς ὑστάτους τρέχοντας ἀπὸ (VEΘBarb; ὑπὸ M) τῶν νεανίσκων (Fritzsche; ἀγοραίων codd.) τύπτεσθαι πλατείαις ὑπὸ τῶν ἀγοραίων (Fritzsche; νεανίσκων codd.) χερσί, α. καὶ λέγονται αἱ τοιαῦται Κεραμεικαὶ πληγαί (VMEΘBarb)/ β. οὕτω λεγομέναις Κεραμεικαῖς πληγαῖς πλατείαις1009. (RVMEΘBarb) ἐμφαίνεται δὲ ἀπὸ τούτων ὅτι παρὰ τοῖς κεραμεικοῖς τοῦτο μάλιστα γίνεται. (VEΘBarb) plateiais (“sotto i ceffoni”): anche nel Pluto primo: “e ― fiaccola”. Eufronio (fr. 64 Str.) dice questo, che (deriva) dalla gara delle fiaccole nel Ceramico. Gli ultimi corridori erano colpiti dalle mani di chi si trovava nella piazza, con schiaffi da parte dei giovanetti, α. e tali colpi sono detti “gli schiaffi del Ceramico” / β. i cosiddetti “schiaffi del Ceramico”. Appare da queste notazioni che ciò accade soprattutto nel quartiere Ceramico.
Metro
Trimetri giambici
llkl kl|kl llkl llkl kwl〈wZl alku〉
Bibliografia Bekker, II (1829), 291; Dindorf 1829, 78 (~ II [1835], 559; 1838, 462; 18695, 191); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1130; Bothe 1844, 129–30; Fritzsche 1845, 353; Kock, I (1880), 506; von Bamberg 1881, 963; Blaydes 1885, 230–1; Ludwig 1888, 101–2; Rogers 1902, 168; van Leeuwen 1904a, X; Laible 1909, 95; Edmonds, I (1957), 696–9; De Cristofaro 1959, 29–31; Torchio 1998–99, 42; Carrière 2000, 225; Sommerstein 2001, 28–9; Torchio 2001a, 250; Henderson 2007, 328–9 (~ 2011, 316); Pellegrino 2015, 267. 1009
Questa variante è da connettersi allo schol. Ar. Ran. 1096a per Chantry (ad loc.).
Πλοῦτος αʹ (fr. 459)
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Contesto della citazione Lo schol. Ar. Ran. 1096b, per spiegare l’ uso dell’ aggettivo sostantivato πλατείαις, fa riferimento alla gara di corsa con le fiaccole che si svolgeva ad Atene durante le Panatenee (nel mese di Ecatombeone, tra luglio e agosto). I concorrenti, provenienti dall’ Accademia, entravano in città attraverso la porta del Dipylon e attraversavano il quartiere Ceramico (nella parte nord-ovest di Atene)1010 diretti verso l’ agora. I più lenti erano sbeffeggiati dalla folla degli spettatori e presi a schiaffi da giovinetti1011, che cercavano di far spegnere loro le fiaccole, per farli squalificare1012. Lo scoliaste riporta il fr. 459, attribuendolo esplicitamente al Pluto primo, come attestazione dell’ uso del medesimo aggettivo sostantivato nel medesimo contesto; cita inoltre come fonte il dotto alessandrino Eufronio (schol. Ar. Ran. 1096b, 4 ss. = Euphron. fr. 64 Str.), autore di un commento al Pluto (vd. supra, Datazione)1013. Testo Se si accoglie la divisione in versi proposta da Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 245) e seguita recentemente da Henderson 2007, 328, e Pellegrino 2015, 267, si tratta di due trimetri giambici, il secondo dei quali incompleto1014. Gli editori e i commentatori precedenti hanno tuttavia avanzato diverse proposte di suddivisione. La trasposizione di πλατειῶν, proposta da Dindorf 1829, 78 (= II [1835], 559: τῶν λαμπαδηφόρων τε πλεῖστων1015 αἰτίαν πλατειῶν | τοῖς ὑστάτοις), e accolta da Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1130, porta a un tetrametro giambico catalettico (llkl klkl l|lkl lll) nel v. 1, facendo ipotizzare che il frammento appartenesse a una sezione epirrematica (agone). Kock, I (1880), 506, ed Edmonds, I (1957), 698, mantengono invece, come Kassel e Austin, l’ ordine delle parole attestato dallo schol. Ar. Ran. 1096b (per me correttamente), ma suddividono diversamente il frammento (τῶν λαμπαδηφόρων τε πλεί-|στων αἰτίαν | τοῖς ὑστάτοις πλατειῶν), supponendo che facesse parte di uno pnigos (sempre
1010
Cfr. anche gli scholl. Ar. Ran. 1093a (κἆθ᾽ οἱ Κεραμῆς· οἱ τὸ Κεραμεικὸν οἰκοῦντες) e 1093b (οἱ Κεραμῆς· δῆμος τῶν Ἀθηναίων. ἐκεῖ γὰρ ὁ ἀγὼν ἐγίνετο), che spiegano il riferimento agli abitanti del Ceramico, dove si svolgeva la gara; Hesych. κ 2263 (κεραμεικαί· πλατεῖαι πληγαί. ἀγὼν γὰρ Ἀθήνησιν εύτελὴς ἐν τῷ Κεραμεικῷ, ἐν ᾧ τύπτουσι πλατείαις χερσὶ τοὺς μὴ τρέχοντας καὶ τοὺς ἄλλους ἀγωνιστὰς γέλωτος χάριν). 1011 In questo punto il testo tràdito (vd. supra) è poco chiaro: per gli emendamenti proposti rimando all’ apparato di Chantry 1999 (ad loc.), di cui riproduco il testo. Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 245) stampano lo scolio con la correzione di Fritzsche 1845, 353 (τῶν νεανίσκων […] ὑπὸ τῶν ἀγοραίων […]), adottata anche da Henderson 2007, 328 (“the young men [who came in last were given open-handed slaps ] by the crowd in the market-place”; tr. Henderson 2007, 329 = 2011, 316). 1012 Cfr. Del Corno 19922, 222–3; Dover 1993a, 329. 1013 Fonte di Eufronio: per von Bamberg 1881, 963, Dicearco; per Ludwig 1888, 101–2, Filocoro. 1014 Il primo verso non rispetta la legge di Porson, ma ciò è comune per la commedia: cfr. Martinelli 1995, 82; 111. 1015 πλεῖστον Dindorf 1838, 462 (= 18695, 191).
210
Aristophanes
all’ interno di un agone epirrematico, o in conclusione di un sistema giambico)1016; i versi sarebbero un dimetro giambico, un monometro giambico e un dimetro giambico catalettico1017. Interpretazione Nel contesto comico delle Rane (‘agone’ tra Eschilo ed Euripide), il riferimento alla corsa con le fiaccole del Ceramico è introdotto da Eschilo, in conclusione del suo discorso, come esempio della decadenza fisica degli Ateniesi contemporanei, non più in grado di sostenere questa gara “per mancanza di esercizio” (Ar. Ran. 1087–8)1018. Il motivo è poi sviluppato in chiave comica nei versi successivi (Ar. Ran. 1089–96) da Dioniso, che delinea il quadretto burlesco, in dimetri anapestici, di un concorrente grasso e flaccido che, preso a ceffoni, spegne la sua fiaccola e “se la dà a gambe” per la paura. Non è possibile ricostruire con certezza il contesto in cui era inserito il riferimento agli ‘schiaffi del Ceramico’ nel primo Pluto. Si può tentare qualche ipotesi a partire dall’ agone della seconda redazione, nel quale Penia (personificazione della povertà, πενία appunto in greco) controbatte le idee del protagonista, Cremilo, che persegue, nella commedia, l’ intento di ridare la vista a Pluto e di “scacciarla dalla Grecia” (Ar. Pl. 463)1019. Nel suo discorso, Penia sostiene che la realizzazione di tale progetto utopico non solo non porterebbe agli uomini i vantaggi sperati, ma sarebbe addirittura dannosa1020. A sostegno della sua tesi, Penia rivendica il fatto di rendere gli uomini migliori di Pluto, sia fisicamente sia moralmente (Ar. Pl. 557–61): i ricchi sono infatti “podagrosi e panciuti, con le gambe grosse e scandalosamente pingui” (Ar. Pl. 559–60), mentre i poveri “sottili”, “con la vita di vespa” e “molesti per i nemici” (Ar. Pl. 561). Forse anche nel primo Pluto il riferimento ai 1016
Cfr. Ar. Ach. 944–5; Vesp. 869–70. Cfr. Dindorf 1829, 78 (= II [1835], 599; 18695, 191: “aut transponenda haec sunt aut in dimetros digerenda”). 1018 Tale decadenza è stata prodotta dal nuovo ‘modello educativo’ basato sulla retorica, il cui massimo esponente, per il primo grande tragico, è proprio il suo antagonista, che ha insegnato con le sue tragedie a “far uso di chiacchiere” (Ar. Ran. 1069). Al teatro euripideo Eschilo contrappone il proprio, alla cui ‘scuola’ (cfr. Ar. Ran. 1054–5) si formarono eroi valorosi (Ran. 1039). 1019 Il progetto di Cremilo, esposto nel prologo della commedia, prevedeva che Pluto, recuperata la vista, assegnasse i suoi doni non più a caso, ma ai buoni e meritevoli; tuttavia, dato che, secondo le premesse poste nel prologo (cfr. Ar. Pl. 160 ss.), ogni comportamento umano ha come scopo il conseguimento della ricchezza, quando, con il passare del tempo (cfr. κᾆτα nel v. 496), risulterà chiaro che la disonestà non paga più, per Cremilo tutti diverranno onesti e pii, e perciò ricchi. 1020 Dalla dimostrazione di Penia emerge con chiarezza proprio la complementarità delle due forze personificate (Πλοῦτος e Πενία), che traggono senso soltanto dall’ esistenza reciproca (vd. in particolare Ar. Pl. 507–16; 525–34). D’ altra parte, in Ar. Pl. 548–54, Penia distingue nettamente la condizione di vita da lei proposta, propria di chi deve mantenersi con il suo lavoro e non manca del necessario per vivere, dalla πτωχεία, o indigenza assoluta, considerata in modo negativo. Per ricchezza e povertà nel Pluto integralmente conservato vd. Torchio 1998–99, 304–11; 2001a, 39–43. 1017
Πλοῦτος αʹ (fr. 460)
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corridori presi a schiaffi perché arrivati ultimi nella corsa con le fiaccole si inseriva nella descrizione degli effetti negativi della ricchezza1021, che rende gli uomini deboli e flaccidi, in contrapposizione alla povertà, che dona loro energia e forza, fisica e morale. Tale descrizione potrebbe bene collocarsi all’ interno di un agone epirrematico (se accettiamo la scansione proposta da Kock e da Edmonds)1022, ma anche di una scena in trimetri giambici (p. es. il prologo, dove nel secondo Pluto si colloca l’ esaltazione della ricchezza, o negli ‘episodi’)1023. Se si considera che, nella versione integrale della commedia, l’ agone epirrematico è presente in una forma molto semplificata1024, si può ipotizzare che la sezione da cui era tratto il fr. 459 non comparisse più nella seconda redazione. πλατειῶν L’ aggettivo sostantivato πλατεῖα (femm. di πλατύς, ‘largo, ampio’), ricorre in vari contesti (vd. LSJ s. v. πλατύς, II); in Ar. Ran. 1096 (ὁ δὲ τυπτόμενος ταῖσι πλατείαις). secondo l’ interpretazione dello schol. 1096b, è sottinteso il nome χερσί, per indicare le ‘mani aperte’, ossia gli ‘schiaffi’ con cui è colpito lo sventurato concorrente (vd. supra)1025. Cfr. anche Phot. π 921 (= Pher. fr. 258)1026; Hesych. κ 2263 (riportato supra, n. 1010).
fr. 460 K.-A. (445 K.) Sud. α 2014 ἀ ν α π η ρ ί α ν· οὕτως Ἀριστοφάνης Πλούτῳ. a n a p ē r i a n (“menomazione”): così Aristofane nel Pluto. Antiatt. α 28 (= An. Gr. I p. 78, 11) ἀ ν α π ε ι ρ ί α ν· Ἀριστοφάνης Πλούτῳ. a n a p e i r i a n (“menomazione”): Aristofane nel Pluto.
1021
Cfr. Sommerstein 2001, 28–9. Vd. supra, Testo. La scansione in tetrametri giambici proposta da Dindorf (vd. supra, Testo) presuppone invece una trasposizione delle parole rispetto al testimone (schol. Ar. Ran. 1096b), alterando quindi, per me non correttamente, il testo tràdito. 1023 Per Ritter 1828, 53 (cfr. Kock, I [1880], 506), e Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1130) queste parole erano invece pronunciate da Cremilo nel contesto di un’ enumerazione dei mali causati dalla povertà; per Rogers 1902, 168 (ad Ar. Ran. 1093), da Ἀγρία, Ἀγυμνασία, o qualche altro assistente della Ricchezza. 1024 Mancano infatti, oltre all’ ode, la parte dell’ agone specularmente opposta (antode; antikatakeleusmos; antepirrema; antipnigos) e la sphragis; cfr. ad es. Torchio 1998–99, 16–7; 2001a, 18. 1025 Cfr. anche schol. Ar. Ran. 1096a (ταῖς πλατείαις χερσί, δηλονότι). 1026 πλατειάσαι (Meineke, II 1 [1839], 352; πλατιάσαι g z)· τὸ πλατείᾳ τῇ χειρὶ παῖσαι. Φερεκράτης (fr. 258). 1022
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Metro
Aristophanes
Non determinabile
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Bibliografia Brunck, I (1783), add. 291; Dobree 1820, add. 99–100; Dindorf 1829, 78–9 (~ II [1835], 559–60; 1838, 462; 18695, 192); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1130; Bothe 1844, 130; Kock, I (1880), 506; von Bamberg 1881, 963; Blaydes 1885, 231; van Leeuwen 1904a, VIII–IX; Edmonds, I (1957), 698–9; De Cristofaro 1959, 28–9; Torchio 1998–99, 45; 2001a, 252; Henderson 2007, 330–1; Pellegrino 2015, 267. Contesto della citazione Il lessico Suda e l’ Antiatticista attestano l’ uso del lemma ἀναπηρίαν (Sud. α 2014) / ἀναπειρίαν (Antiatt. α 28)1027 nel Pluto di Aristofane, senza precisare di quale redazione si tratti. Dal momento che questa parola non compare nella versione integralmente pervenuta della commedia, gli editori, ipotizzando che essa si trovasse nella prima redazione, inseriscono le testimonianze dei lessicografi tra i frammenti di quest’ ultima. La testimonianza di Poll. 2, 61 (Κρατῖνος δ᾽ ἐν Πλούτῳ ἀναπηρίαν = Cratin. fr. 179), il quale attribuisce il lemma al Pluto (sic) di Cratino, non è sufficiente, a mio parere, ad escludere l’ attribuzione ad Aristofane1028, perché può citare come esempio un testo diverso rispetto alla Suda e all’ Antiatticista1029. Kassel e Austin (PCG, IV [1983], 213) inseriscono pertanto il lemma citato da Polluce tra i frammenti dei Ploutoi di Cratino. Interpretazione Brunck (I [1783], add. 291), il quale crede la commedia integralmente pervenuta una contaminazione delle due versioni operata da qualche grammatico1030, ipotizza che tale lemma attesti una ulteriore variante di Ar. Pl. 115 (vd. supra, ad fr. 458), in cui il genitivo τῆς ἀναπηρίας poteva sostituire τῆς ὀφθαλμίας1031. Potrebbe tuttavia trattarsi di una glossa al fr. 458, per spiegare la vox media συμφορά, che si riferisce, in questo contesto, alla cecità di Pluto (vd. supra).
1027
Per la diversa grafia cfr. Phryn. Praep. soph. p. 78, 11 (ἀναπηρία· διὰ τοῦ η τὴν τρίτην, οὐ διὰ τῆς ει διφθόγγου, ὡς οἱ ἀμαθεῖς. τὸ μὲν οὖν ἀνάπηρος καθωμίληται, τὸ 〈δ᾽〉 ἀναπηρία σπάνιον), che privilegia quella con ē aperta rispetto a quella con ē lunga chiusa e considera raro il nome astratto ἀναπηρία (‘storpiatura, mutilazione’) rispetto all’ aggettivo ἀνάπηρος (‘mutilato, storpio’). Valente 2015 corregge pertanto la lezione dell’ Antiatticista, mantenuta da Bekker (An. Gr. I p. 78, 11), in ἀναπηρίαν sulla base di Sud. α 2014. 1028 Cfr. Dobree 1820, add. 100, in relazione all’ annotazione di Porson ad Pl. 115, che riporta Poll. 2, 61. Diversa è invece l’ opinione di von Bamberg 1881, 963, per il quale i lessicografi farebbero riferimento in realtà a Cratin. fr. 179. 1029 Cfr. anche Luppe 1963, 185–6. Diversa è invece l’ opinione di von Bamberg 1881, 963, e di van Leeuwen 1904a, VIII–IX, per i quali i due lessicografi confonderebbero Aristofane con Cratino, per il riferimento erroneo al Pluto della loro fonte. 1030 Per questa opinione, comune fino a Ritter 1828, vd. supra (Datazione). 1031 Anche metricamente ἀναπηρίας (kklkl) sarebbe interscambiabile con ὀφθαλμίας (llkl), come ultimo metro di un trimetro giambico, presentando una sostituzione trisillabica.
Πλοῦτος αʹ (fr. 461)
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La parola ἀναπηρία è attestata anche in Arist. GA 769b (τὸ τέρας ἀναπηρία τίς ἐστιν); 775a (ἀναπηρίαν εἶναι τὴν θηλύτητα φυσικήν); PA 660b (della lingua del coccodrillo); Probl. 880b e 893b (ἀ. τῶν σκελῶν); Rh. 2, 8, 1386a (ἀσθένεια, ἀναπηρία).
fr. 461 K.-A. (446 K.) Antiatt. γ 37 (= An. Gr. I p. 88, 7) γ ρ α ΐ ζ ε ι ν· ὅταν τὸ συναγόμενον ἐν ταῖς χύτραι〈ς〉 (Capperonnier; Bekker) καὶ ἐπαφρίζον ἐκχέωσιν. Ἀριστοφάνης Πλούτῳ. g r a ï z e i n (“schiumare”): quando tolgano la schiuma che si rapprende in superficie nelle pentole. Aristofane nel Pluto.
Metro
Non determinabile
lll
Bibliografia Dindorf, II [1835], 560; (~ 1838, 463; 18695, 192); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1131; Bothe 1844, 130; Kock, I (1880), 506–7; von Bamberg 1881, 963; Blaydes 1885, 229; van Leeuwen 1904a, VIII; Edmonds, I (1957), 698–9; De Cristofaro 1959, 27–8; Torchio, 1998–99, 45; 2001a, 253; Henderson 2007, 330–1; Pellegrino 2015, 267. Contesto della citazione L’ Antiatticista (γ 37) attesta l’ uso del verbo γραΐζειν nel Pluto di Aristofane, anche in questo caso senza precisare di quale redazione si tratti. Poiché questo verbo non compare nella commedia integralmente conservata, si può supporre che il lessicografo si riferisse a quella frammentaria1032. Interpretazione Il lemma dell’ Antiatticista può far supporre nel primo Pluto un gioco di parole analogo a quello di Ar. Pl. 1205–7 (ταῖς μὲν ἄλλαις γὰρ χύτραις | ἡ γραῦς ἔπεστ᾽ ἀνωτάτω, ταύτης δὲ νῦν | τῆς γραὸς ἐπιπολῆς ἔπεισιν αἱ χύτραι), basato sul doppio significato di γραῦς, che denota la ‘Vecchia’ (personaggio della commedia, che nella scena finale si pone sul capo una pentola) e, per analogia, anche la ‘panna’, la ‘pellicola grinzosa’ che si forma sulla superficie di un liquido portato ad ebollizione. Il mundus inversus annunciato dal dio della ricchezza al momento del suo solenne ingresso nella casa del protagonista dopo aver recu-
1032
Per von Bamberg 1881, 963, il lemma deriva da una glossa ad Ar. Pl. 1206 s. (vd. infra, Interpretazione). Così Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 246), il quale confronta lo schol. Nic. Alex. 91g (ἀποαίνυσο γρῆυν· τὸν πεπηγότα ἀφρὸν τοῦ γάλακτος 〈ἀπογράισον〉 ἢ 〈τὸ〉 πεπηγὸς τοῦ γάλακτος ἀπογράισον. γραῦς δὲ ὁ ἐπὶ τοῦ γάλακτος γινόμενος πάγος […]), che collega ἀπογραΐζειν e γραῦς.
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Aristophanes
perato la vista (cfr. πάντ᾽ ἀναστρέψας in Ar. Pl. 779) si riduce quindi, in modo piuttosto deludente, alla γραῦς sotto la pentola anziché sopra1033. Il verbo γραΐζειν è un hapax legomenon.
fr. 462 K.-A. (448 K.) Poll. (FSCL) 9, 139 Ἀριστοφάνης δ᾽ ἐν Πλούτῳ καὶ τῷ ἐ π ι κ ρ ο ύ σ α σ θ α ι ἐπὶ τοῦ νουθετῆσαι κέχρηται. Aristofane nel Pluto ha usato anche il verbo e p i k r o u s a s t h a i (“castigare”) nel senso di ‘censurare’.
Metro
Non determinabile
wwlll
Bibliografia Kock, I (1880), 507; Ludwig 1888, 99; van Leeuwen 1904a, VII; Edmonds, I (1957), 698–9; De Cristofaro 1959, 26–7; Henderson 2007, 330–1; Pellegrino 2015, 267–8. Contesto della citazione Il lessico di Polluce (9, 139) attesta l’uso di ἐπικρούσασθαι come sinonimo di νουθετῆσαι (‘rimproverare, censurare’) nel Pluto di Aristofane, senza precisare in quale redazione. Dal momento che i testimoni manoscritti non attestano tale verbo nella commedia integralmente conservata1034, si può supporre che Polluce facesse riferimento alla prima redazione della commedia. 1033 1034
Cfr. Torchio 1998–99, 45 e 303; 2001a, 253. Alcuni editori del Pluto (Meineke 1860, 315; von Velsen 1881, 42; van Leeuwen 1904a, 85; Coulon, V [1930], 116; Sommerstein 2001, 86; Henderson 2002, 506; Wilson, II [2007], 298), in Ar. Pl. 548, accolgono tuttavia la correzione del tràdito ὑπεκρούσω in ἐπεκρούσω, proposta da Jungermann (II [1706], 1124) sulla base di questa testimonianza di Polluce, spiegando la corruttela dal punto di vista paleografico, con lo scambio del preverbio ἐπ-/ ὑπ-. Il contesto in cui è inserito Ar. Pl. 548 (σὺ μὲν οὖν τὸν ἐμὸν βίον εἴρηκας, τὸν τῶν πτωχῶν δ᾽ ὑπεκρούσω), in cui Penia prende le distanze dallo squallido quadro di deprivazione materiale tratteggiato da Cremilo in Ar. Pl. 535–47, distinguendo nettamente la condizione di vita da lei propugnata da quella del mendicante, sembra infatti richiedere per il verbo ὑποκρούω il senso di ‘attaccare, vituperare’, che sarebbe però attestato solo in questo passo (cfr. LSJ s. v.; van Leeuwen 1904a, VII). La lezione dei manoscritti è confermata dallo schol. Ar. Pl. 548b, che glossa il verbo con ἐφθέγξω (‘facesti risuonare’) e ἀνεκρούσω (‘intonasti un canto’), osservando inoltre un uso metaforico dall’ ambito musicale (ἀπὸ μεταφορᾶς τῶν κιθαρῶν ἤ τινος ἄλλου τοιούτου ὀργάνου); cfr. anche Tz. ad Ar. Pl. 548; Sud. υ 190, che indica come sinonimo ᾔνίξω (‘alludesti, accennasti’) e riporta il testo dello schol. Ar. Pl. 548b. Questo valore figurato spiega bene, a mio parere, il significato di ὑπεκρούσω in Ar. Pl. 548 (“tu non hai descritto la mia vita, ma hai messo in musica quella dei mendicanti”), in riferimento alla ‘tirata’ di Cremilo contro la Povertà di Ar. Pl. 535–47, in tetrametri
Πλοῦτος αʹ (fr. 463)
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Interpretazione Il verbo ἐπικρούω (‘batto’, ‘percuoto’) è attestato in forma attiva in Aesch. Ag. 202; Machon. 240 Gow; Plut. Pomp. 58, 2. In Aristofane è usato, sempre in forma attiva, in Thesm. 1004, in un contesto paratragico (cfr. Aesch. Pr. 58)1035. Tuttavia l’ unica attestazione del significato figurato nella diatesi media è Poll. 9, 139, riportato supra.
fr. 463 K.-A. (447 K.) Antiatt. ε 88 (= An. Gr. I p. 95, 29) ἐ μ π α ί ζ ε ι ν· ἐπὶ τοῦ καταγελᾶν. Ἀριστοφάνης Πλούτῳ. e m p a i z e i n (“schernire”): nel senso di ‘farsi beffe, schernire’. Aristofane nel Pluto.
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Non determinabile
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Bibliografia Dindorf, II [1835], 560 (~ 1838, 463; 18695, 192); Bothe 1844, 130; Kock, I (1880), 507; Blaydes 1885, 230; van Leeuwen 1904a, IX; Edmonds, I (1957), 698–9; De Cristofaro 1959, 27; Henderson 2007, 330–1; Pellegrino 2015, 268. Contesto della citazione L’ Antiatticista (ε 88) spiega il significato del verbo ἐμπαίζειν utilizzando come sinonimo καταγελᾶν e ne attesta l’ uso nel Pluto di Aristofane, senza precisare in quale redazione. Dal momento che ἐμπαίζειν non è attestato nella seconda versione della commedia, il lemma può fare riferimento alla prima redazione frammentaria. Il medesimo significato è documentato in Phot. ε 731 (ἐμπαίζοντας· τοὺς καταγελῶντας. Ἡρόδοτος [Hdt. 4, 134, 2, riportato infra]), la cui fonte potrebbe essere proprio Antiatt. ε 88 (cfr. Theodoridis, ad loc.). Interpretazione Il verbo ἐμπαίζειν è attestato, in contesto lirico (canto corale), in Soph. Ant. 799 / 800 (ἄμαχος γὰρ ἐμ|παίζει θεὸς Ἀφροδίτα); Eur. Bacch. 866 / 7 (ὡς νεβρὸς χλοεραῖς ἐμπαί|ζουσα λείμακος ἡδοναῖς); Ar. Thesm. 975, in riferimento a Era, “che si unisce saltando a tutti i cori” ([῞Ηρα] ἣ πᾶσι τοῖς χοροῖσιν ἐμπαίζει)1036, con un senso diverso da quello attestato dall’ antico lessicografo in questo lemma. anapestici catalettici. Mi sembra quindi preferibile la scelta di mantenere il testo tràdito, adottata dalla maggioranza degli editori del Pluto (cfr. Torchio 1998–99; 2001a ad loc.). 1035 Cfr. Prato 2001, 314 (ad loc.). 1036 Cfr. van Leeuwen 1904b, 124; Dover 1993b, 176–7; Austin–Olson 2004, 303 (ad loc.). Prato 2001, 104, in questo verso corregge il tràdito χοροῖσιν ἐμπαίζει (R) in χοροῖσι συμπαίζει, accogliendo la proposta di Biset (ap. Port 1607), come già Meineke 1860, 165, e Coulon, IV (1928), 58 (cfr. anche Horn 1970, 117–8 n. 224). La lezione tràdita è tuttavia conservata da Bergk, II (18722), 159, van Leeuwen 1904b, 124, Hall–Geldart, II (19072), 89, Rogers, III (1924), 218, Cantarella, IV (1956), 510, e nelle recenti edizioni di Henderson 2000, 578, Austin–Olson 2004, 39, e Wilson, II [2007], 113; cfr. anche Thomsen 1988, 28.
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Per il significato nella lingua comune di ‘schernire, farsi beffe’ con un complemento obbligatorio in dativo cfr. invece Aesop. 299 Hsr. (ἐνέπαιζεν αὐτῇ); Hdt. 4, 134, 2 (ὁρῶν αὐτοὺς ἐμπαίζοντας ἡμῖν), a cui fa probabilmente riferimento Phot. ε 731 (vd. supra, Contesto della citazione). Si potrebbe supporre che, se nel primo Pluto il verbo era utilizzato con questo significato prosastico, non ricorresse nel contesto di un canto corale, ma non abbiamo elementi per affermarlo con certezza.
fr. 464 K.-A. (449 K.) Poll. (FSACB) 7, 115 καὶ ἁρματοπηγεῖν εἴποις ἂν καὶ ἁμαξοπηγεῖν (καὶ ἁμ. om. B), καὶ ἁρματοποιεῖν (καὶ ἁρμ. om. A), καὶ ζ υ γ ο π ο ι ε ῖ ν, ὡς ἐν Πλούτῳ Ἀριστοφάνης. ζυγοποιεῖν 〈καὶ τροχοποιεῖν〉 Kraus Potresti dire harmatopēgein (‘costruire carri’) e hamaxopēgein (‘fabbricare carri’) e harmatopoiein (‘fare carri’) e z y g o p o i e i n (“fare gioghi”), come nel Pluto Aristofane.
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Non determinabile
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Bibliografia Dobree 1820, add. 100; Dindorf 1829, 79 (= II [1835], 560; 18695, 192); Kock, I (1880), 507; Blaydes 1885, 230; Ludwig 1888, 99–1000; van Leeuwen 1904a, VII–VIII; Kraus 1930, 52; Edmonds, I (1957), 698–9; De Cristofaro 1959, 27; Torchio 1998–99, 45; 2001a, 253; Henderson 2007, 330–1; Pellegrino 2015, 268. Contesto della citazione Il lessicografo Polluce (7, 115) elenca una serie di sinonimi per la fabbricazione dei carri, nel contesto di una voce relativa all’ arte del carpentiere, attestando l’ uso del verbo ζυγοποιεῖν (‘fare gioghi’ nel senso di ‘fare carri’, per metonimia) nel Pluto di Aristofane. Dal momento che tale verbo non è attestato nella redazione superstite, Polluce poteva fare riferimento alla prima versione della commedia. Dobree (1820, add. 100) suppone invece che Polluce facesse riferimento a Pher. fr. 137, 1 (vd. infra), dove ζυγοποιῶν è però un nome al genitivo plurale (“dei fabbricanti di gioghi”)1037. Testo Sulla base di Ar. Pl. 513 (vd. infra), Kraus 1930 ha proposto l’ integrazione ζυγοποιεῖν 〈καὶ τροχοποιεῖν〉, che non è adottata in nessuna edizione dei frammenti aristofanei. Interpretazione In Ar. Pl. 513 ricorre il sinonimo τροχοποιεῖν (‘fabbricare ruote’ nel senso di ‘fabbricare carri’, anch’ esso metonimico) nel contesto di un elenco di mestieri destinati a scomparire quando tutti gli uomini saranno divenuti ricchi: Penia, nell’agone, chiede infatti a Cremilo “chi vorrà fare il fabbro o costruire navi o 1037
Cfr. Kock, I (1880), 507.
Πλοῦτος αʹ (fr. 464)
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cucire o fabbricare ruote o fare il calzolaio o fabbricare mattoni o lavare o conciare le pelli” (trad. Torchio 2001a) o coltivare la terra quando nessuno avrà più bisogno di lavorare per vivere (Ar. Pl. 512–6)1038. La domanda contenuta in Pher. fr. 137, 1–2 (τίς δ᾽ ἔσθ᾽ ἡμῖν τῶν σῶν ἀροτῶν ἢ ζυγοποιῶν ἔτι χρεία, | ἢ δρεπανουργῶν ἢ χαλκοτύπων ἢ σπέρματος ἢ χαρακισμοῦ;)1039, è affine, anche se di senso diverso, a quella di Ar. Pl. 513–6: sottolinea il fatto che, nel paese dell’abbondanza, non c’è più bisogno di esercitare le varie attività, perché la natura produrrà spontaneamente il necessario e il superfluo per l’ alimentazione degli uomini (φύσις αὐτομάτη)1040. Il frammento di Ferecrate, trasmesso da Athen. 6, 269c, è tratto dai Persai1041, una delle commedie appartenenti al filone ‘di evasione’ della commedia attica antica, caratterizzato dal tema utopico del ‘paese di cuccagna’ (Schlaraffenland)1042. Come è stato evidenziato da Mastromarco (1992, 346–8; 375–7; 19962, 160–6), già nelle commedie aristofanee del secondo periodo (dal 420 al 404 a. C.) acquistano spazio sempre maggiore i tratti fantastici e utopici del filone di evasione dell’ archaia1043, che risulterebbero infine decisamente prevalenti nelle ultime due commedie superstiti, le Ecclesiazuse e il Pluto1044. Si può quindi ipotizzare che anche nella prima redazione del Pluto, cronologicamente appartenente alla seconda fase (vd. supra, Datazione), fossero presenti elementi utopici, come il ritorno all’ età dell’ oro, in cui non era necessario lavorare per vivere, in connessione con il sogno della ricchezza elargita dal dio agli uomini.
1038
[…] ἀμφοῖν δ᾿ ὑμῖν τούτοιν ἀφανισθέντοιν ἐθελήσει | τίς χαλκεύειν ἢ ναυπηγεῖν ἢ ῥάπτειν ἢ τροχοποιεῖν, | ἢ σκυτοτομεῖν ἢ πλινθουργεῖν ἢ πλύνειν ἢ σκυλοδεψεῖν, | ἢ γῆς ἀρότροις ῥῆξας δάπεδον καρπὸν Δηοῦς θερίσασθαι, | ἢν ἐξῇ ζῆν ἀγροῖς ὑμῖν τούτων πάντων ἀμελοῦσιν; 1039 Per un’ analisi di Pher. fr. 137 cfr. Rehrenböck 1985, 195 ss.; Urios-Aparisi 1992, 395 ss.; Pellegrino 2000, 111 ss.; Franchini 2020, 185 ss. 1040 Penia, invece, insiste molto sulla mancanza della volontà (cfr. ἐθελήσει in Ar. Pl. 512, ripreso in Ar. Pl. 523 e 528) di lavorare come conseguenza della realizzazione del progetto di Cremilo (cfr. Torchio 1998–99, 222; 2001a, 170 s.); inoltre, la scomparsa dei mestieri non eliminerà la necessità di esercitarli per procurarsi tutto quanto abbisogna alla sopravvivenza e gli oggetti di lusso (cfr. Ar. Pl. 525 ss.). 1041 Datazione 430–415 a. C. (cfr. Franchini 2020, 178). 1042 Per tale filone comico, vd. supra, n. 227. 1043 Per i due filoni della commedia antica, quello politico (‘impegnato’) e quello ‘di evasione’, cfr. Mastromarco 1987a, 524–5; 1992, 362–77; 19962, 166–7; Corsini 1998, 465 ss. Bertelli 1992, 506–10, ha evidenziato come “le due anime della Commedia Antica […] producano due varianti utopiche” (506): quella del “paese della felicità come paese dell’ abbondanza, dell’ assenza di lavoro, dell’ automatismo del cibo” (506), testimoniata dai frammenti citati da Athen. 6, 267e–270a (vd. supra, n. 227), “e la ‘città ideale’ come rovesciamento della città reale” (506), presente in alcune commedie aristofanee (Uccelli, Lisistrata, Ecclesiazuse); cfr. anche Bertelli 1982, 520–8; 1983, 229–61 (= Bertelli–Gianotti 2012, 229–58). 1044 Per gli elementi di collegamento tra il Pluto e il filone utopico del ‘paese di cuccagna’ vd. Torchio 1998–9, 304 ss.; 2001a, 33–8.
218
Aristophanes
ζυγοποιεῖν Hapax legomenon; il sostantivo ζυγοποιός, anch’ esso un hapax, è attestato in Pher. fr. 137, 1 (vd. supra)1045. Per la ricca terminologia relativa al mestiere di ‘fabbricante di carri’, abbastanza sviluppato nel mondo antico, vd. Bluemner, II (1879), 324–5.
fr. 465 K.-A. (450 K.) Antiatt. ρ 5 (= An. Gr. I p. 113, 11) ῥ υ φ ῆ σ α ι· διὰ τοῦ υ. Ἀριστοφάνης Πλούτῳ. r h y p h ē s a i (“ingollare”): con la y. Aristofane nel Pluto.
Metro
Non determinabile
kll
Bibliografia Dindorf 1829, 79 (~ II [1835], 560; 1838, 462; 18695, 192); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1131; Bothe 1844, 130; Kock, I (1880), 507; Blaydes 1885, 230; Ludwig 1888, 100; van Leeuwen 1904a, IX–X; Edmonds, I (1957), 698–9; De Cristofaro 1959, 28; Henderson 2007, 330–1; Pellegrino 2015, 268. Contesto della citazione L’ Antiatticista (ρ 5) cita come attestazione dell’ uso del verbo ῥυφῆσαι (inf. aor. di ῥυφέω, ‘inghiottire’, ‘ingollare’) il Pluto di Aristofane, senza precisarne la redazione. Siccome il verbo in questione non ricorre nella versione integralmente conservata, si può supporre che il lemma facesse riferimento al primo Pluto. Interpretazione La grafia con υ proposta dall’ Antiatticista è propria del dialetto ionico (cfr. Phot. ρ 200 = Hippon. fr. 165 W.2 = 175 Deg.: ῥυφεῖν· τὸ ῥοφεῖν Ἴωνες· οὕτως Ἱππῶναξ)1046, ma anche dorico (cfr. Eust. ad Od. p. 1430, 39–40: […] ἀπὸ τοῦ ῥοφεῖν. ὃ ῥυφεῖν λέγουσι Ἴωνες καὶ Δωριεῖς)1047. Forse il commediografo introduceva nel Pluto primo un personaggio proveniente dalla Ionia (cfr. Kock, I [1880], 507) o di area dorica1048. Il verbo con la grafia attica ῥοφέω, frequentissimo nei testi medici1049, è attestato in Ar. Ach. 278; Eq. 51, 905; Vesp. 812, 814, 906, 982; Pac. 716; fr. 208; cfr. anche Antiph. fr. 185, 5.
1045
Cfr. Franchini 2020, 188. Cfr. Degani 2007, 158 (ad Hippon. fr. 165 W.2 = 175 Deg.). West (ad loc.) cita il testo secondo l’ edizione di Naber, che omette Ἴωνες. 1047 Cfr. anche καταρρυφῆσαι in Sophr. fr. 4D, 37 Hordern (= 169d Latte, in Kaibel, CGF, I 1 [19582], X). 1048 Cfr. anche PCG, III 2 (1984), 247. 1049 Cfr. ad es. Hp. VM 6, 2; 6, 3; Acut. 24; 25; Epid. 7, 2, 2; 2, 3; 3, 3; Morb. 2, 40, 4; 42, 3; 44, 4; Nat. mul. 6, 4; 9, 4; 11, 3. 1046
219
Ποίησις (Poiēsis) (“Poesia”) Data
Sconosciuta
Bibliografia Casaubon 16212, 395; Dindorf 1829, 169 (~ II [1835], 639; 1838, 499; 18695, 214); Meineke, I (1839), 209; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1131; Bothe 1844, 131; Kock, I (1880), 507; Blaydes 1885, 232; Schmid 1946, 223; Rostagni 1955a (= 1955b, 60–75); Bianco 1961, 93–5; Oliva 1968, 36–7 n. 21; Lloyd-Jones 1981, 23–5 (= 1990, 4–6); Stephens 1981, 23–5; PCG, III 2 (1984), 247; Gil 1989, 93–6 (=1996, 177–9; 2010, 105–7); Pieters 1989, 540; Luppe 1992, 77; Carrière 2000, 201; 226; Hall 2000, 414 (= 2006, 180); Imperio 2004, 184–5; Henderson 2007, 331 (~ 2011, 316); Zimmermann 2011a, 768; 2012, 24–5; Storey 2012, 4–6; Sonnino 2014, 181–4; Pellegrino 2015, 269. Titolo e attribuzione Il titolo, attestato dai Catalogi fab. Ar. (Catal. fab. Ar. pap. = test. i; Prol. de com. XXXa, p. 142, 18 Koster = test. ii) e dalla Vita Ar. (Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66–7 Koster = test. iii), secondo la quale questa commedia era attribuita da fonti antiche al poeta Archippo1050, deriva probabilmente dalla presenza scenica di una personificazione femminile della Poesia (cfr. fr. 466, 4–5; 16)1051. Antifane, nel IV sec. a. C., scrisse un dramma omonimo, di cui si è conservato un ampio frammento in trimetri giambici (Antiph. fr. 189), contenente una riflessione metateatrale sulla maggiore difficoltà che comporta il lavoro del commediografo, il quale deve inventare trama e personaggi, rispetto a quello del tragediografo, che invece porta in scena vicende mitiche, ben note agli spettatori1052. Il titolo Kōmōidotragōidia, che fonde insieme i nomi dei due principali generi teatrali, ricorre per Alceo (frr. 19–20) e Anassandride (fr. 26)1053. Per Platone comico sono inoltre attestati i titoli Poiētēs (frr. 118–26)1054 e Lakōnes ē Poiētai (frr. 69–75)1055;
1050
Tale attribuzione, tuttavia, è per lo più posta in dubbio dai moderni: vd. supra, ad Nēs., test. ii (= Poiēs., test. iii). 1051 Vd. infra, Contenuto, e il commento ad fr. 466. 1052 Cfr. ad es. Bianco 1961; Oliva 1968, 35 ss.; Hall 2000, 414 (= 2006, 181). Rostagni 1955a, 408 ss. (= 1955b, 63 ss.), seguendo una supposizione di Casaubon 16212, 395, ha proposto di attribuire anche questo frammento alla Poiēsis di Aristofane; contro tale attribuzione si vedano tuttavia Bianco 1961, 93–5; Oliva 1968, 36–7 n. 21; Bain 1977, 189 n. 1. Cfr. inoltre, per lo status quaestionis attuale, Gil 1989, 93–6 (=1996, 177–9; 2010, 105–7); Pellegrino 2015, 269. 1053 Per la dubbia attribuzione di una commedia omonima a Dinoloco (Antiatt. π 34 [= An. Gr. I p. 112, 29–30] = Dinol. fr. 3) cfr. Kaibel, CGF, I 1 [19582], 149; Latte 1915, 375–6 (= 1968, 614); Wackernagel 1916, 256; PCG, I (2001), 179 (ad loc.); II (1991), 9; Kerkhof 2001, 116 n. 3; Ornaghi 2002, 137 n. 47; Orth 2013, 86. 1054 Per la possibile datazione, vicina a quella delle Rane di Aristofane (405 a. C.), cfr. Pirrotta 2009, 251. 1055 Per la datazione ipotizzata (tra il 410 e il 400 a. C.) cfr. Pirrotta 2009, 41 e 63.
220
Aristophanes
per Alessi Poiētai o Poiētēs (frr. 187–8)1056 e Poiētria (fr. 189)1057; per Fenicide (III sec. a. C.) e Biotto (II sec. a. C.) Poiētēs (cfr. Phoenicid. test. 5 K.-A.; Biott. test. 1 K.-A.). Contenuto Si conservano solo due frammenti, uno (fr. 467), di un solo verso, per tradizione indiretta (Et. gen. B), l’ altro (fr. 466), più esteso ma estremamente lacunoso, papiraceo (P. Yale 1625 = P. Turner 4)1058. Non è pertanto possibile ricostruire la trama della commedia, né il sistema dei personaggi; neppure possiamo avanzare ipotesi sufficientemente fondate sulla composizione del Coro1059. Si può tuttavia supporre che il tema fosse costituito dalla critica letteraria e musicale. Dal fr. 466 sembra che la Poesia venisse personificata in una donna maltrattata (cfr. i vv. 14 e 16), fuggita da Atene (cfr. v. 3), di cui un personaggio non meglio precisato va alla ricerca (vv. 4–5). In modo analogo nel Cheirōn di Ferecrate (fr. 155) la Musica è personificata in una donna violentata dai poeti del ‘nuovo ditirambo’, che rivoluzionarono l’ armonia tradizionale nella seconda metà del V sec. a. C. (vd. infra, ad fr. 467); tuttavia già Cratino, nella Pytinē (423 a. C.), aveva portato sulla scena la Commedia come una moglie legittima, che accusa il poeta di tradimento (cfr. Cratin. frr. 193–4)1060. Alcuni ipotizzano che anche in Antiph. fr. 189 (vd. supra, Titolo e attribuzione) fosse la Poesia1061, segnatamente comica1062, a parlare, ma è anche possibile che fosse un autore di commedie a contrapporsi a un poeta tragico1063. Dal fr. 467, contenente un giudizio negativo sulle melodie tradizionali da parte di un esponente (o estimatore) della ‘nuova musica’, sembra inoltre che la critica aristofanea riguardasse le innovazioni introdotte in questo ambito nel corso del V sec. a. C. (vd. infra, p. 231), come nel Cheirōn di Ferecrate (vd. supra).
1056
Cfr. Arnott 1996, 551 ss. Cfr. tuttavia Arnott 1996, 555, per il quale ποιήτρια potrebbe anche significare, in senso letterale, “female contriver”. 1058 Vd. infra per il testo e il commento dei frammenti. I vv. 4–5 del fr. 466 erano già noti per tradizione indiretta (Prisc. IG 18, 264 = GrL III, p. 344, 9–12). 1059 L’ ipotesi che il Coro fosse costituito da poeti in cerca della Poesia (cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1131; Stephens 1981, 24) non appare suffragata dai frammenti pervenuti (cfr. Lloyd-Jones 1981, 24 = 1990, 5); vd. infra, ad fr. 466 (Interpretazione). 1060 Cfr. ad es. Zimmermann 2012, 21 ss. 1061 Cfr. Bain 1977, 189 n. 1. 1062 Cfr. Edmonds, II (1959), 256–7; Bianco 1961, 91 n. 3. 1063 Cfr. Hall 2000, 414 (= 2006, 181). Per le ricorrenti personificazioni femminili della Poesia e della Musica nella commedia antica cfr. ad es. Taillardat 19652, 427–9; 458–9; Lloyd-Jones 1981, 25 (= 1990, 6); Hall 2000, 414–5 (= 2006, 181–2); Imperio 2004, 184–5; Zimmermann 2012, 24–5; Orth 2013, 87–8. Per la personificazione dell’ arte tragica (τέχνη; cfr. Ar. Ran. 939) nelle parole di Euripide in Ar. Ran. 939 ss. cfr. Newiger 1957, 130–1; Taillardat 19652, 451–3; Lloyd-Jones 1981, 25 (= 1990, 6); Dover 1993a, 310. Per altre personificazioni femminili, come ad es. Penia nel Pluto di Aristofane, la Pace e le Nuvole nelle commedie omonime del medesimo autore, cfr. Newiger 1957; Zimmermann 2012; 2017. 1057
Ποίησις (test. i)
221
Elmsley, in un’ annotazione manoscritta (cfr. Blaydes 1885, 357), attribuiva dubitativamente alla Poiēsis anche Ar. fr. 6231064. Datazione Nei frammenti conservati non ci sono elementi che consentano di datare con certezza la commedia. Carrière 2000, 201 e 226, ipotizza una datazione posteriore al 405 a. C. (se non addirittura dopo il 400 a. C.) sulla base della tematica, che per lo studioso presuppone la critica letteraria presente nel Gērytadēs (ca. 408 a. C.)1065 e nelle Rane (405 a. C.), ai quali drammi la Poiēsis potrebbe tuttavia anche essere anteriore1066.
test. i K.-A. (= Ar. test. 2c 18 K.-A.) Catal. fab. Ar. pap. = P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 2, col. I 18 Ποίησι[ς Poiēsi[s (“Poesia”)
Contesto fane.
Catalogo papiraceo (II sec. d. C.) dei titoli delle commedie di Aristo-
test. ii K.-A. (= Ar. test. 2a 22 K.-A.) Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 18 Koster Ποίησις Poiēsis (“Poesia”)
Bibliografia Contesto fane.
1064
Vd. supra, ad Ar. Nēs. test. i.
Catalogo alfabetico manoscritto dei titoli delle commedie di Aristo-
Cfr. Bagordo 2016, 141. Cfr. Geißler 19692; Mastromarco 19962, 72; Carrière 2000, 201. Nel Gērytadēs Sannirione, Meleto e Cinesia, rappresentanti rispettivamente della commedia, della tragedia e del ditirambo, scendono all’ Ade per scoprire quali poeti contemporanei siano reputati i migliori da quelli antichi (cfr. ad es. Beta 2009, 98–9; Pellegrino 2015, 112). 1066 Cfr. Rostagni 1955a, 408 (= 1955b, 62–3). 1065
222
Aristophanes
test. iii K.-A. (= Ar. test. 1, 59–61 = Nēs. test. ii = Arch. test. 4 K.-A.) Vita Ar. = Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66–7 Koster (Ἀριστοφάνης) ἔγραψε δὲ δράματα μδ ,́ ὧν ἀντιλέγεται δ ́ ὡς οὐκ ὄντα αὐτοῦ· ἔστι δὲ ταῦτα Ποίησις, Ναυαγός, Νῆσοι, Νίοβος, ἅ τινες ἔφασαν εἶναι τοῦ Ἀρχίππου. (Aristofane) scrisse 44 drammi, di cui quattro sono contestati come non autentici; questi sono Poiēsis, [Dionysos] Nauagos, Nēsoi, Niobos, che alcuni affermarono essere di Archippo. Vd. supra, ad Ar. Nēs. test. ii.
fr. 466 K.-A. (vv. 4–5 = fr. 451 K.) P. Yale 1625 = P. Turner 4 fr. 1
5
10
15
]ε̣ν[ ]η̣ τε[ ]ἁπάσης Ἑλλάδ[ος γυναῖκα δὴ ζητοῦŋντες ἐνθάδ᾿ ἥŊκομεν ἥν φασιν εἶναι πŋαρὰ σέ· ταύτη̣ [ κ]αὶ χαριεῖ του̣ [ τ]ινῶν εὖ ἴσθ᾿ ὅτ[ι ]ο̣ν ζώπυρον τ[ ]ον Δί᾿ ὅτι δηπ̣ [ ]δημων· παρω[ ]ω ἔργα καὶ τὰ π̣ [ ]ειν ὑμῖν φρα̣ [ ] ̣ἧσπερ οὕνεχ᾿ ̣[ ]ἔφασκ᾿ ἀδικουμ[ ]ε̣ιτ᾿ ἐγὼ ̣ γν̣̣ ωμ̣ [ ] ̣ἀδικουμένη ̣[ ]δοκῶμεν σοι ̣ μ̣ [ ] ̣[ ̣ ̣] ̣ ̣ ̣ ̣[
fr. 2
].ο[ ]…[ 1 vel ]c̣ 2 vel ]π̣ 3 ἁπάσης ed. princ. δι᾿] ἁπάσης Austin 4 δὴ Prisc. M: δὲ Prisc. O ΖΗΤΟΙΝΤΕΣ Prisc. M: ΖΗΓΟΥΝΤΕΣ Prisc. R: δ᾿ ἐξαιτοῦντες Bergk: 4–5 ἐνθάδ᾿ ἥŊκομεν | ἥν φασιν Haupt, Fritzsche: ΕΝΔΑΔΕ ΕΙΚΟΜΕΝ. ΗΝΘΑΣΙΝ Prisc. V: ΕΝΕΑΔΕ ΕΙΚΟΜΗΝ ΗΝΘΑΣΙΝ Prisc. R: ΕΝΕΑΔΕ ΙΚΟΜΝΝΗΝ ΕΑΣΙΝ Prisc. M 5 η̣[ potius quam α̣δ̣[ ταύτη[ν οὖν λέγω e. g. Austin 6 υ̣[ potius quam τ̣[ ἐμοὶ παραδοῦναι κ]αὶ χαριεῖ τού̣[τοις ἅμα e. g. Austin 7 τ]ινῶν ed. princ. 8 ]ο̣ potius quam ]ε̣ vel ]α̣ 9 μὰ τ]ὸν ed. princ.: νὴ τ]ὸν Kassel-Austin (dub.)
Ποίησις (fr. 466)
223
π̣[ potius quam τ̣[ 10 ]δ᾿ ἡμῶν· παρ᾿ ὧ[ν ed. princ.: ἀπο]δημῶν· παρὼ[ν KasselAustin (dub.) 11 καὶ τὰ ed. princ.: κᾆτα Kassel-Austin (dub.) πρ̣[άγματα e. g. Austin 12 φρά[σω vel -σει vel –σαι vel -σας Luppe 13 ἥ̣ [κομεν Austin 14 ἀδικουμ[ένη Kassel-Austin (dub.) 15 ἔπ]ειτ᾿ ed. princ. εγ̣ potius δοκῶμεν quam ε fort. γν̣̣ ώμ̣ [ην, sed etiam γν̣̣ ωρ̣ [ Kassel-Austin 16 η̣ [ vel ηι [ σοι̣ μ̣ ed. princ.: δοκῶ μέν σοι μ̣[έλειν e. g. Austin fr. 1
5
10
15
… en … … ēte … … (per) tutta quanta la Grecia cercando la (una) donna, siam giunti dunque qua; la quale dicono sia presso di te; cost(ei) … … (e) farai un favore (a costoro?) … … (di alcune persone?) sappi bene (che) … …on tizzone t… … (per) Zeus! - che cert(amente) … dēmōn; parō… …ō opere e i (le) p… …ein a voi dir(ò ?)… … per la quale (siamo venuti?) … … affermava (che), maltrattat(a) … … (poi) io gnōṃ (penso?) … … maltrattata … … ti sembra che noi ṃ … …. ….
fr. 2
…o… …… Prisc. IG 18, 264 (= GrL III p. 344, 9–12) Attici παρὰ σέ pro παρὰ σοί, quomodo et nos ‘apud te’. Aristophanes (sic r, crist- VR, ChristN qui verba Graeca om.) Ποιήσει (ΠΟΙΝΣΕΙ V): γυναῖκα ― σέ (vv. 4–5). Gli Attici (dicono) para se (“presso di te”) per para soi, come anche noi diciamo apud te (“presso di te”). Aristofane nella Poiēsis: “cercando ― te” (vv. 4–5).
Metro fr. 1
Trimetri giambici
〈alkl alk〉]l [〈alku〉 〈alkl alk〉]l a[〈lku〉 〈alkl al〉]kl llk[l klkl llk|l klkl
224
Aristophanes 5
10
15
llkl lkkk|l l[⟨lku⟩ 〈alkl a〉]Zlkkl l[〈lku〉 〈alkl〉] klZkl k[k〈uku〉 〈alkl〉] lZlkl [a〈lku〉 〈alkl a〉] lkkk l[〈lku〉 〈alkl〉] llZkl [〈alku〉 〈alkl〉] lZlkl k[〈lku〉 〈alkl a〉]lZkl k[〈lku〉 〈alkl a〉]Zlkl k[〈lku〉 〈alkl al〉]kl kkl[〈ku〉 〈alkl a〉]lkl l[〈lku〉 〈alkl al〉]kkl kl[〈ku〉 〈alkl al〉]kl ll[〈ku〉 ]?[
fr. 2
]. a[ ] ?[
Bibliografia Dindorf 1829, 169 (~ II [1835], 639; 1838, 499; 18695, 214); Fritzsche 1832, 6; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1132; Bothe 1844, 131; Kock, I (1880), 507; Blaydes 1885, 232; Edmonds, I (1957), 698–9; Lloyd-Jones 1981 (= 1990, 4–6); Stephens 1981; PCG, III 2 (1984), 248–9; Gil 1989, 93 (=1996, 177; 2010, 105); Pieters 1989, 540; Luppe 1992, 77; Carrière 2000, 226; Hall 2000, 414 (= 2006, 180); Henderson 2007, 332–3 (~ 2011, 316); Sonnino 2014, 181–4; Pellegrino 2015, 269–70. Contesto Il frammento è trasmesso, in modo molto lacunoso, da un papiro della fine del II sec. d. C. appartenente alla Yale Papyrus Collection (P. Yale ined. 1625 = P. Turner 4) e conservato nella Beinecke Rare Book and Manuscript Library (Yale Univ., New Haven, Connecticut)1067. Il fr. 1 contiene una sezione di 18 versi incompleti; il fr. 2, in cui si legge solo una lettera, è di incerta collocazione. L’ editio princeps è Stephens 1981, a cui rimando per la descrizione materiale del supporto. Non sappiamo se il papiro contenesse integralmente il testo della commedia o se si trattasse di un’ antologia di passi comici1068. I vv. 4–5 erano già noti, perché trasmessi per tradizione indiretta dal grammatico latino Prisciano (IG 18, 264, 7 = GrL III, p. 344, 9–12), attivo a Costantinopoli tra fine V – in. VI sec. d. C.1069, la cui fonte è probabilmente un lessico atticista anteriore alla Praeparatio sophistica 1067
http://findit.library.yale.edu / catalog / digcoll:2758962 (cons. 6/1/2020). Cfr. Sonnino 2014, 184. 1069 Cfr. ad es. Ghisalberti 1935; Sasso 1971. 1068
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di Frinico e all’ Onomasticon di Polluce1070. Prisciano riporta questi versi come esempio dell’ uso attico della preposizione παρά con l’ accusativo (invece del più comune dativo) per il complemento di stato in luogo, con un costrutto analogo a quello latino (apud con accusativo). La testimonianza del grammatico latino è di grande importanza, perché, attribuendo alla Poiēsis di Aristofane i vv. 4–5, consente di assegnare alla medesima commedia anche il più esteso frammento papiraceo. Testo Nel v. 3 l’ integrazione della preposizione δι᾿ (διά) è stata proposta da Austin (ap. PCG, III 2 [1984], 248). I vv. 4–5 sono trasmessi per tradizione indiretta anche dai mss. di Prisciano, ma il testo greco è corrotto, sembra per la difficoltà dei copisti nel discriminare le lettere greche. Nel v. 4 Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1132) propone di emendare δὴ ζητοῦντες (corrotto in ΖΗΤΟΙΝΤΕΣ nel ms. M, in ΖΗΓΟΥΝΤΕΣ nel ms. R) in δ᾿ἐξαιτοῦντες, di significato analogo (“chiedendo”)1071; tale emendazione non è accolta tuttavia da nessun editore successivo, discostandosi troppo dalla lezione tràdita. Nei vv. 4–5 il testo di Prisciano (ΕΝΔΑΔΕ ΕΙΚΟΜΕΝ. ΗΝΘΑΣΙΝ nel ms. V; ΕΝΕΑΔΕ ΕΙΚΟΜΗΝ ΗΝΘΑΣΙΝ nel ms. R; ΕΝΕΑΔΕ ΙΚΟΜΝΝΗΝ ΕΑΣΙΝ nel ms. M) è stato emendato in ἐνθάδ᾿ ἥκομεν | ἥν φασιν da M. Haupt in una scheda manoscritta1072 e da F. V. Fritzsche, sembra indipendentemente1073; tale correzione è ora in parte confermata dal testimone papiraceo per il v. 4. Austin (ad loc.) propone a titolo di esempio le seguenti integrazioni dei vv. 5–6: ταύτη[ν οὖν λέγω alla fine del v. 5; ἐμοὶ παραδοῦναι κ]αὶ χαριεῖ τού̣[τοις ἅμα nel v. 6 (“costei dunque dico di consegnarla a me ed insieme farai un favore a questi”). Nel v. 7 l’ integrazione τ]ινῶν (“di alcune persone”) è stata proposta già da Stephens 1981 e accolta da Kassel e Austin (ad loc.)1074. Nel v. 9 Kassel e Austin (ad loc.) propongono dubitativamente di integrare νὴ τ]ὸν Δί(α) (“certo, per Zeus!”), invece di μὰ τ]ὸν Δί(α) (Stephens 1981: “per Zeus!”)1075. Nel v. 10 Stephens 1981 scrive ]δ᾿ ἡμῶν· παρ᾿ ὧ[ν (“… di noi; da parte dei quali…”), mentre Kassel e Austin (ad loc.) propongono anche ἀπο]δημῶν· παρὼ[ν (“… lontano dalla patria; presente…”). Nel v. 11 Kassel e Austin (ad loc.) suggeriscono la grafia κᾆτα (“e poi”) come alternativa per καὶ τὰ (Stephens 1981); alla fine del verso Austin (ad loc.) propone inoltre, a titolo di esempio, l’ integrazione πρ̣[άγματα (“azioni”).
1070
Cfr. Sonnino 2014, 181–4. “Cf. Maur. Schmidt act. ant. Marb. 1856, 535” (Hertz, ad loc.). 1072 “M. Hauptius in scheda ms. in apparatu Lindemanniano servata” (Hertz, ad loc.). 1073 Cfr. Fritzsche 1832, 6 (“iam alibi emendavimus”). 1074 Diversamente Lloyd-Jones 1981, 23 (= 1990, 4). 1075 L’ esclamazione μὰ τὸν Δί(α) è usata più frequentemente in frasi negative: cfr. ad es. Ar. Ach. 368; Nub. 261b; 817; Vesp. 832; 1126; Ran. 1043; Pl. 106; 715; Xen. Mem. 1, 4, 7; 3, 6, 6; Oec. 11, 25; 19, 14… 1071
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Alla fine del v. 12 era probabilmente presente una forma del verbo φράζω1076, che Luppe 1982, 81, propone di integrare con φρά[σω (ind. fut. att. 1a pers. sing.), o, in alternativa, φρά[σει (ind. fut. medio 2a pers. sing.), φρά[σαι (inf. aor. att.), φρά[σας (part. aor. att. nom. masch. sing.). Data l’ estrema frammentarietà del verso, si potrebbe intendere φρά[σει anche come una 3a pers. sing. att. e φρά[σαι come imperat. aor. medio 2a p.s. Alla fine del v. 13 Austin (ad loc.) suggerisce di integrare ἧσπερ οὕνεχ᾿ ἥ̣[κομεν (“per la quale siamo venuti”; cfr. v. 4), confrontando l’ analoga espressione in Eur. El. 392 (οὗπερ οὕνεχ᾿ ἥκομεν). Alla fine del v. 14 è probabilmente da integrare ἀδικουμ[ένη, come nel v. 16 (PCG, ad loc.). Nel v. 15 Stephens 1981 integra ἔπ]ειτ᾿ (“poi”); alla fine del verso Kassel e Austin (ad loc.) propongono dubitativamente γ̣ν̣ώμ̣[ην (“pensiero”, “opinione”), ma ritengono possibile anche la lettura γ̣ν̣ωρ̣ [. Nel v. 16 ἀδικουμένη potrebbe anche essere al dativo (sing.), se si legge una ι ascritta (cfr. PCG, ad loc.). Nel v. 17 Stephens 1981 scrive δοκῶμεν σοι ̣ (“ti sembra che noi […]”), ma Austin (ad loc.) propone come divisione alternativa δοκῶ μέν σοι ̣ e l’ integrazione μ̣[έλειν alla fine del verso (“ritengo che a te stia a cuore”). Interpretazione Il frammento, in trimetri giambici, sembra contenere un dialogo tra alcuni personaggi (cfr. i vv. 4, 10, 12, 17), che stanno cercando una donna (cfr. i vv. 4–5), e un altro personaggio, indicato con la seconda persona singolare (cfr. i vv. 5, 6, 7, 17), presso cui la donna in questione si è rifugiata (cfr. il v. 5) e a cui i primi si rivolgono chiedendone l’ aiuto (cfr. il v. 6)1077. Il personaggio che presenta sé e i compagni dicendo ἐνθάδ᾿ ἥκομεν (v. 4) sembra tenere un discorso di una certa estensione in trimetri giambici, spiegando agli spettatori la situazione, forse nel contesto di un prologo dialogico1078. Il metro fa supporre che il parlante fosse un attore piuttosto che il Corifeo1079. La donna di cui questi personaggi non meglio identificabili vanno alla ricerca1080 doveva essere la Poesia personificata1081, fuggita perché stanca degli oltraggi subìti, molto probabilmente ad opera dei poeti
1076
Cfr. Stephens 1981, 25 Lloyd-Jones 1981, 24 (= 1990, 5) ipotizza invece che il Coro fosse formato dai compagni del destinatario e che al Coro ci si rivolga con la seconda persona plurale nel v. 12; se però il frammento è tratto dal prologo (vd. infra), il Coro non doveva ancora trovarsi nell’ orchestra. 1078 Cfr. ad es. Ar. Eq. 40 ss.; Vesp. 54 ss.; Pac. 50 ss.; Av. 30 ss.; vd. inoltre Lloyd-Jones 1981, 24–5 (= 1990, 5–6). 1079 Cfr. Lloyd-Jones 1981, 24 (= 1990, 5). 1080 Per l’ ipotesi, non sufficientemente fondata, che un Coro di poeti stia cercando la Poesia, vd. supra, n. 1059. 1081 Per analoghe personificazioni comiche della Poesia e della Musica vd. supra, Contenuto. 1077
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contemporanei1082. Neppure è identificabile con certezza il personaggio, a cui è chiesto aiuto per ritrovare la fuggitiva. Il frammento sembra presentare una situazione tipica di alcuni prologhi dialogici aristofanei, in cui due personaggi arrivano in un luogo e dialogano con un terzo: cfr. Av. 1 ss., in cui Pistetero ed Evelpide, diretti verso il luogo dove avrà sede la nuova città di Nubicuculia, dialogano con l’ Upupa; Thesm. 1 ss., in cui Euripide e il Parente si dirigono verso la casa del poeta Agatone e cercano di persuaderlo a recarsi travestito alle Tesmoforie; Ran. 1 ss., in cui Dioniso e Xantia vanno a casa di Eracle a chiedergli indicazioni per il viaggio nell’ oltretomba1083. Se il frammento faceva parte del prologo della commedia, allora molto probabilmente il Coro non doveva essere ancora nell’ orchestra (in caso contrario, si tratterebbe infatti di un unicum in Aristofane). Non si può tuttavia escludere anche una collocazione diversa del frammento all’ interno della commedia, per esempio dopo la parodos (nel qual caso forse anche il Coro aveva un ruolo nella ricerca di Poesia)1084 o nelle scene ‘episodiche’1085, se qualcuno ha già trovato Poesia nella prima parte della commedia e qualcun altro entra in scena a reclamarla dopo la parabasi (anche in quest’ ultimo caso il Coro sarebbe allora presente). 3 ἁπάσης Ἑλλάδ[ος Il sintagma non è attestato altrove nei testi comici conservati, benché il sostantivo Ἑλλάς ricorra abbastanza frequentemente nelle commedie aristofanee (vd. ad es. Ar. Ach. 8, 531; Eq. 1330; Vesp. 520, 577; Pac. 59, 108, 270, 408, 646; Lys. 29, 41, 343, 525, 1006; Pl. 463)1086 e sia attestato anche nei frammenti della mesē (Eub. fr. 67, 10; Philetaer. fr. 5, 3 = 8, 2) e della nea (Posidipp. fr. 30, 1; CGFP 286, 2, 16)1087. Per il sintagma ἁπᾶσα Ἑλλάς al di fuori dei testi comici cfr. ad es. Pind. Nem. 6, 28; Hdt. 3, 122, 4; 6, 8, 60α, 1; Thuc. 1, 123, 1; 143, 1; 6, 92, 5; Eur. Her. 954; Or. 564; 1133; IA 1553; Isocr. 4, 86; 185.
1082
Per Lloyd-Jones 1981, 25 (= 1990, 6) il commediografo rielabora qui il mitologema della divinità che, offesa, scompare e deve essere placata per ritornare a svolgere le sue funzioni, presente nel mito greco (vd. ad es. le vicende mitiche di Demetra ed Efesto), ma anche nella civiltà egizia (Tefnut; cfr. West 1969a, 161–2) ed ittita (Telepinus; cfr. Burkert 1979, 123–5 = 1987, 197–200). Per l’ analogo ritiro della Pace, adirata per il rifiuto espresso dagli Ateniesi nei suoi confronti, cfr. Ar. Pac. 658 ss. e il commento di Olson 1998, 205. 1083 Cfr. inoltre Ar. Pl. 1 ss. per il dialogo tra due personaggi (Cremilo e Carione) e il dio Pluto. 1084 Cfr. ad es. Ar. Pac. 400 ss., in cui Trigeo e Hermes, con l’ aiuto del Coro, estraggono Pace dalla caverna sotterranea in cui Polemos l’ aveva sepolta. 1085 Cfr. ad es. Ar. Av. 1565–705, in cui una delegazione divina composta da Eracle, Posidone e Triballo è inviata a parlamentare con Pistetero. Per l’ uso moderno del termine ‘episodio’ a indicare le scene esemplificative successive alla parabasi vd. supra, n. 27. 1086 Dunbar 19732 registra in tutto venti occorrenze. 1087 Cfr. tuttavia Euthycr. test. K.-A. (= IG II2 11387, 1: ζηλοῖ σε Ἑλλὰς πᾶσα), datata alla metà del IV sec. a. C. (cfr. PCG, V [1986], 540).
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4 ἐνθάδ᾿ ἥŊκομεν All’ inizio di una tragedia, frequentemente un personaggiο si presenta, entrando in scena, con il verbo ἥκω / ἥκομεν: cfr. Aesch. Pr. 1 (χθονὸς μὲν τηλουρὸν ἥκομεν πέδος); Ch. 3 (ἥκω γὰρ ἐς γῆν τήνδε […]); fr. 190, 1 R. (…ἥκομεν…), attribuito al Coro; Eur. Bacch. 1 (ἥκω Διὸς παῖς, τήνδε Θηβαίων χθόνα); Hec. 1–2 (ἥκω νεκρῶν κευθμῶνα καὶ σκότου πύλας | λιπῶν); Ion 5 (ἥκω δὲ Δελφῶν τήνδε γῆν […]); Tr. 1 (ἥκω λιπὼν Αἴγαιον ἁλμυρὸν βάθος)1088; cfr. inoltre la parodia di Ar. fr. 1 (ἥκω Θεαρίωνος ἀρτοπόλιων | λιπών […])1089; Eub. fr. 123, 2 (βεβρεγμένος ἥκω […])1090; Men. fr. 246, 1 (ἥκει λιπὼν Αἰγαῖον ἁλμυρὸν βάθος)1091. L’uso di ἥκομεν non esclude tuttavia una diversa collocazione del frammento (vd. supra), dal momento che ἥκω / ἥκομεν sono utilizzati frequentemente all’ ingresso in scena di uno o più personaggi, come forma di auto-presentazione, non solo all’ inizio di un dramma: cfr. ad es. Aesch. Pers. 692; Ag. 258 (Coro); Ch. 659; 838; Eum. 236; Pr. 284; Soph. El. 666; 1201; Ant. 394; 407; 988; Tr. 1122; OC 287; 732; Eur. Alc. 614; Med. 460; 866; Andr. 309; Hec. 503; Her. 929; Suppl. 634; 670; IA 634; El. 228; 392; Tr. 238; 869; Bacch. 174; 180; 661; 666; 1237; Ar. Ach. 91; Nub. 142; Thesm. 579. Cfr. inoltre l’ uso di ἥκω / ἥκομεν nelle scene ‘episodiche’ aristofanee per introdurre l’ ingresso degli alazones (Ar. Av. 992; 1022; 1039; 1587b; 1595; Pl. 828; 841)1092. 6 χαριεῖ Il parlante si attende che la persona a cui si rivolge faccia un favore a lui e ai suoi compagni, probabilmente fornendo assistenza nella ricerca. 8 ζώπυρον È attestato in prosa l’ uso del termine (‘tizzone’, ‘scintilla’) in senso figurato (‘resto’, ‘avanzo’): cfr. ad es. Plat. Leg. 3, 677b (σμικρὰ ζώπυρα τοῦ τῶν ἀνθρώπων διασεσωμένα γένους), riferito ai sopravvissuti al diluvio; Nic. Dam. FGrHist 90 F 127, 8 [18] (οὐκ ὀλίγα ζώπυρα καὶ φιλανθρωπίας ἅμα καὶ φρονήσεως φυσικῆς ἀπεδείκνυτο), riferito al giovane Ottaviano; Dion. 1, 21 (ζώπυρα τοῦ Πελασγικοῦ γένους) e 45 (ζώπυρα […] τοῦ παλαιοῦ γένους); Strab. 4, 3 (τὰ ζώπυρα τοῦ πολέμου); Plut. Inst. 240a (πάνυ βραχέα τινὰ ζώπυρα διασώζοντες τῆς Λυκούργου νομοθεσίας), in relazione agli Spartani nell’ età di Alessandro; Luc. Tim. 3 (ζώπυρόν τι τοῦ ἀνθρωπίνου σπέρματος). In questo contesto potrebbe indicare che il parlante cerca un residuo di ispirazione poetica ancora vivo1093. Non si può tuttavia escludere che si tratti di un nome proprio1094, con un riferimento al persiano Ζopiro (Ζώπυρος) che, fintosi vittima di Dario, conquistò la fiducia dei
1088
Cfr. anche Lloyd-Jones 1981, 25 (= 1990, 6). Cfr. Rau, 1967, 209; PCG, III 2 (1984), 35; Pellegrino 2015, 40. 1090 Cfr. Hunter 1983, 224. 1091 Cfr. Gomme–Sandbach 1973, 702. 1092 Per la possibilità che il frammento sia da collocare nella seconda parte della commedia, vd. supra. 1093 Per Lloyd-Jones 1981, 24 (= 1990, 5) “no spark of the true art of poetry is left”. 1094 Cfr. Stephens 1981, 25; per Lloyd-Jones 1981, 24 (= 1990, 5) è comunque più probabile che si tratti del nome comune. 1089
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Babilonesi per poi consegnare la città a tradimento al re di Persia (Hdt. 3, 153–60). Questo personaggio era proverbiale già nella commedia archaia, come attesta il detto Ζωπύρου τάλαντα (Cratin. fr. 187), trasmesso da Phot. ζ 83 (~ Apost. 8, 35)1095 e da Hesych. ζ 2541096, che si riferisce a quanti, per la ricchezza, sopportano pesi gravosi (cfr. Macar. 4, 32)1097. 12 ὑμῖν φρα̣[ Se si accoglie la proposta di integrazione φρά[σω o una delle forme alternative attive del verbo φράζω (vd. supra, Testo), il parlante si accingerebbe a spiegare qualcosa a un gruppo di persone; se invece accogliamo la forma media alla 2a pers. sing., il parlante dichiara che il suo interlocutore dovrà ‘riflettere’ su qualcosa, o ‘escogitare’ qualcosa (φρά[σει), oppure lo invita a ‘stare attento’ a qualcosa (φρά[σαι)1098. Non si può tuttavia escludere (se intendiamo φρά[σει come 3a pers. sing. att.)1099 che il parlante si riferisca a una terza persona (forse la stessa Poesia?), la quale dovrà fare una dichiarazione (a coloro che la stanno cercando?). 16 ἀδικουμένη Il verbo ἀδικέω (nel senso generico di ‘fare ingiustizia, torto’, ‘offendere’; p. ‘subire ingiustizia’, ‘essere offeso, maltrattato’) è proprio del linguaggio giuridico1100; in contesto erotico assume il significato dell’ingiustizia amorosa (amore non ricambiato, con la violazione della norma della reciprocità)1101. La risemantizzazione nell’ ambito della critica letteraria è possibile, in questo frammento, grazie alla personificazione della Poesia in una donna che subisce oltraggi e maltrattamenti. Analogamente, in Pher. fr. 155, 18 (εἰ γάρ τι κἀξήμαρτεν,
1095
Ζωπύρου τάλαντα· Κρατῖνος ἐν Πυλαίᾳ (fr. 187). τοῦτόν φησι Θεόπομπος ἐν τῇ ὀγδόῃ τῶν περὶ Φίλιππον (FGrHist 115 F 66) Πέρσην ὄντα, ὑπὸ φιλοτιμίας χαριζόμενον βασιλεῖ, μαστιγώσαντα ἑαυτὸν καὶ τῆς ῥινὸς καὶ τῶν ὤτων ἀποστερήσαντα εἰσελθεῖν εἰς Βαβυλῶνα καὶ πιστευθέντα διὰ ταύτην τὴν κακουχίαν καταλαβεῖν τὴν πόλιν· ἐκ μεταφορᾶς οὖν εἶπε τάλαντα καὶ ζυγά, οἰονεὶ ἔργα καὶ πράξεις. Cfr. anche Phot. ζ 82 (Ζωπύρου τάλαντα· Ζώπυρος ὁ Πέρσης, αἰκισάμενος ἑαυτόν, Δαρείῳ Βαβυλῶνα εἷλεν, ὡς Ἡρόδοτος ἐν γ′ [153–60], πιστευθεὶς ἀποστάτην εἶναι). 1096 Ζωπύρου τάλαντα· Κρατῖνος ἐν Πυλαίᾳ (fr. 187). Ζώπυρος ὁ Πέρσης, βασιλεῖ χαριζόμενος, μαστιγώσας ἑαυτόν, τῆς ῤινὸς καὶ τῶν ὤτων ἀφελόμενος, εἰσελθὼν εἰς Βαβυλῶνα προὔδωκε τὴν πόλιν; cfr anche Sud. ζ 158 (~ Zenob. 4, 9; Prov. Bodl. 457). 1097 Ζωπύρου τάλαντα· ἐπὶ τῶν φορτικά τινα διὰ πλοῦτον ὑπομεινάντων. 1098 Vd. supra, Testo. 1099 Vd. supra, Testo. 1100 Cfr. ad es. Lys. 1, 15 (αὕτη […] ἀδικεῖσθαι νομίζουσα); 1, 25 (κἀκεῖνος ἀδικεῖν […] ὠμολόγει); 12, 4 ( […] ὥστε μήτε εἰς τοὺς ἄλλους ἐξαμαρτάνειν μήτε ὑπὸ τῶν ἄλλων ἀδικεῖσθαι); 32, 17 (τοὺς δ᾿ ἐμοὺς ἀδικεῖς); Dem. 45, 19 (ἐγὼ δ᾿ ἀπεκλείσθην τοῦ λόγου τυχεῖν ὑπὲρ ὧν ἀδικοῦμαι); 51, 12 ([…] προδιδάσκειν ἑτέρους ἀδικεῖν); 56, 4 ([…] ἂν δοκῶμεν ἀδικεῖσθαι); 59, 117 ([…] ἐκολάσατε δόξαντα ἀδικεῖν); Antiphont. 6, 26 (ἐγὼ μὲν ὁ […] ἀδικῶν […]· οἱ δ᾿ αἰτιώμενοι καὶ φάσκοντες ἀδικεῖσθαι […]); And. 1, 3 (ὁπόσοι […] μηδὲν ἀδικεῖν ὑπέμειναν). 1101 Cfr. ad es. Sapph. fr. 1, 19–20 ([…] τίς σ᾿, ὦ | Ψάπφ᾿, ἀδικήει;). Per il tema dell’ adikia amorosa nella lirica e nella Medea di Euripide cfr. Gentili 1972; 1983a; per la legge della reciprocità vd. inoltre Pellizer 1984; Brillante 1998.
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αὖθις ἀνέλαβεν), la Musica (vd. supra, p. 220) parla delle violenze subite da parte del ditirambografo Frinide di Mitilene1102.
fr. 467 K.-A. (659 K.) οὐχ οἷα πρῶτον ᾖδον ἑπτάχορδα πάνθ᾿ ὁμοῖα ᾖδον Kock: ἦδ᾿ cod.
Non melodie a sette corde, quali cantavano prima, tutte uguali Et. gen. (B) ἑπτάχορδα. Ἀριστοφάνης· οὐχ ― ὁμοῖα. heptachorda (“a sette corde”). Aristofane: “non ― uguali”. Phot. (z) ε 1855 ἑπτάχορδα· αὐτὰ τὰ κρούματα καὶ μέλη. Ἀριστοφάνης Ποιήσει. heptachorda (“a sette corde”): (connota) i suoni stessi e le melodie. Aristofane nella Poiēsis.
Metro
Tetrametro giambico catalettico
llkl klkl| klkl klk
Bibliografia Miller 1868, 124; Kock, I (1880), 555; Blaydes 1885, 389; 124; Edmonds, I (1957), 752–3; PCG, III 2 (1984), 249; Tsantsanoglou 1984, 90; Gil 1989, 93 (= 1996, 177; 2010, 105); Carrière 2000, 226; Henderson 2007, 334–5 (~ 2011, 316–7); Pellegrino 2015, 271–2. Contesto della citazione Il frammento è trasmesso dall’ Etymologicum genuinum (B)1103 come esempio dell’ uso dell’ aggettivo ἑπτάχορδα (n. pl.) ed è attribuito ad Aristofane. Il lessico di Fozio (ε 1855) non riporta il testo del frammento all’ interno del lemma analogo, ma indica, oltre all’ autore, anche la commedia da cui esso era tratto. Sembra inoltre riflettere il fr. 467 anche Hesych. ε 5560 (ἑπτάχορδα· παλαιὰ μέλη δι᾿ ἑπταχόρδου ᾀδόμενα), che tuttavia non cita Aristofane. Τesto Il tràdito ἦδ᾿, evidentemente corrotto, è stato emendato in ᾖδον (“cantavano”) da Kock, I (1880), 555, il quale propone anche dubitativamente, in nota, di correggere l’ avverbio πρῶτον in πρότερον (di analogo significato), il quale emendamento non appare tuttavia necessario1104. 1102
Per il verbo ἐξαμαρτάνειν come opposto di ἀδικεῖσθαι in ambito giuridico cfr. Lys. 12, 4 (riportato supra, n. 1100). 1103 Per questo lessico di età bizantina vd. supra, p. 73. 1104 Vd. ad es. Ar. Thesm. 380 ([…] περίθου νυν τόνδε πρῶτον πρὶν λέγειν), in cui il principale testimone manoscritto (R) ha πρῶτον, mentre Sud. π 1166 riporta il verso con
Ποίησις (fr. 467)
231
Interpretazione Sembra che un esponente – o un estimatore – della ‘nuova musica’ critichi le melodie tradizionali, accompagnate da uno strumento a sette corde (vd. infra, ἑπτάχορδα), da lui considerate monotone e ripetitive1105. Nel corso del V sec. a. C. sono infatti introdotte grandi innovazioni in ambito musicale, soprattutto ad opera dei poeti del ‘nuovo ditirambo’, con un progressivo aumento del numero di corde della lira (lyra)1106, portate da sette a nove da Frinide di Mitilene e poi a undici: cfr. Ion. Ch. fr. 32 W.2 (= 93 L. = 5 G.-P.2 = 4 V.)1107, con l’ invocazione alla “lira dalle undici corde” (trad. Valerio 2013), contrapposta a quella arcaica a sette corde, che produceva una “musica scarsa”; Timoth. PMG 791, 229 ss., che rivendica l’ introduzione dell’ undicesima corda della cetra (kitharis)1108. Lo strumento raggiunge così una ricchezza tonale pari a quella del flauto (aulos). Il ‘nuovo ditirambo’, i cui esponenti principali sono Filosseno di Citera (435–380 a. C.) e lo stesso Timoteo di Mileto (vissuto all’ incirca tra la metà del V e la metà del IV sec. a. C.), era conseguentemente caratterizzato dal prevalere dell’ elemento melodico sul testo poetico, che viene ridotto a ‘libretto’1109. I poeti comici sono spesso molto critici nei confronti del recente fenomeno musicale, con le sue complicate e tortuose variazioni tonali, paragonate a sottili file di formiche interrompentisi
πρότερον; cfr. inoltre Austin 1977, 64 (“πρότερον and πρῶτον have a tendency to get mixed up in the Mss. of Aristophanes”). 1105 Cfr. Tsantsanoglou 1984, 90; Gil 1989, 93 (= 1996, 177; 2010, 105); Carrière 2000, 226; Pellegrino 2015, 271. 1106 Cfr. ad es. Grandolini 2010, 950a–b. Maas e McIntosh Snyder (1989, 154 e 203) pensano invece che il numero delle corde della lira sia rimasto costante e che le testimonianze antiche si riferiscano ad altri strumenti a corda, quali l’ arpa (cfr. però West 1992b, 24 = 2013, 221–2). 1107 ἐνδεκάχορδε λύρα, δεκαβάμονα τάξιν ἔχουσα | †τὰς† (εἰς Wilamowitz; τρεῖς Marx; καὶ West) συμφωνούσας ἁρμονίας τριόδους· | πρὶν μέν σ᾿ ἑπτάτονον ψάλλον διὰ τέσσαρα πάντες (πάντα West) | Ἕλληνες, σπανίαν μοῦσαν ἀειράμενοι. Per un’ interpretazione dettagliata di questa testimonianza cfr. Wilamowitz 1902, 305–7 (= 1962, 147–9); Marx 1934, 376–8; West 1974, 173–4; 1992a, 63; 1992b, 23–8 (= 2013, 220–6); Leurini 1992, 130–1; Rocconi 2003, 21; Valerio 2013, 97 ss. 1108 νῦν δὲ Τιμόθεος μέτροις | ῥυθμοῖς τ᾿ ἐνδεκακρουμάτοις | κίθαριν ἐξανατέλλει […]. Timoteo sembra non distinguere a livello terminologico tra lyra e kitharis (cfr. Janssen 1984, 143). Per la discussione critica relativa a questo passo e alla questione dell’ attribuzione dell’ undicesima corda a Ione di Chio (vd. supra) piuttosto che a Timoteo cfr. Wilamowitz 1903, 68–80; Maas 1937, 1333–4; West 1974, 173–4; Janssen 1984, 140 ss.; Valerio 2013, 98–9. Per le testimonianze antiche su Timoteo cfr. Del Grande 1946, 83–7; Sutton 1989, 61–3. 1109 Cfr. Dion. Comp. verb. 63, 11 U.-R. ([…] τάς τε λέξεις τοῖς μέλεσιν ὑποτάττειν ἀξιοῖ καὶ οὐ τὰ μέλη ταῖς λέξεσιν). Per le innovazioni del ‘nuovo ditirambo’ e il loro influsso sulle monodie euripidee vd. inoltre Schönewolf 1938; Schmid 1946, 489 ss.; PickardCambridge 19622, 38–58; Rau 1967, 103 s.; Privitera 1979, 317 ss.; Comotti 19912, 37–42; Wallace 1995, 25–7; Rossi 2000, 69–74; Zimmermann 20082, 116–33; D’ Angour 2011, 184–206; Zimmermann 2011b; Fongoni 2014, 23 ss.
232
Aristophanes
e intersecantisi1110: cfr. Pher. fr. 155 ((dal Cheirōn; vd. supra, p. 220), in cui la Musica personificata lamenta le violenze subite ad opera di alcuni dei più importanti artisti di V–IV sec. a. C. (Melanippide di Melo, Cinesia di Atene, i già citati Frinide e Timoteo)1111; Ar. Nub. 966–72, in cui il Discorso Forte respinge le modulazioni (cfr. καμπήν, v. 969) dei musicisti contemporanei come oltraggio verso le Muse, contrapponendole all’ armonia tradizionale. Anche Platone (Leg. 3, 700d)1112 è critico nei confronti delle nuove tendenze musicali, che sovvertono i generi tradizionali1113. ἑπτάχορδα Melodie suonate sulla lira tradizionale, le cui corde furono probabilmente portate da quattro a sette in epoca arcaica da Terpandro1114; strumento considerato vetusto e sorpassato da Fidippide in Ar. Nub. 1357–8. πάνθ᾿ ὁμοῖα Cfr. Ar. Ran. 1249–50, in cui Euripide attacca Eschilo, definendolo “un cattivo poeta lirico, che compone sempre le medesime cose” ([…] κακὸν | μελοποιὸν ὄντα καὶ ποιοῦντα ταῦτ᾿ ἀεί). Per l’ originalità della creazione letteraria (kainotēs) come motivo critico nella commedia, cfr. inoltre Ar. Nub. 546–8 (οὐδ᾿ ὑμᾶς ζητῶ ᾿ξαπατᾶν δὶς καὶ τρὶς τἄυτ᾿ εἰσάγων | ἀλλ᾿ αἰεὶ καινὰς ἰδέας εἰσφέρων σοφίζομαι | οὐδὲν ἀλλήλαισιν ὁμοίας καὶ δεξιάς); Vesp. 1044 (πέρυσιν καταπρούδοτε καινοτάτας σπείραντ᾿ αὐτὸν διανοίας) e 1051 ss. (ἀλλὰ τὸ λοιπὸν τῶν ποιητῶν, | […] τοὺς ζητοῦντας | καινόν τι λέγειν κἀξευρίσκειν | στέργετε μᾶλλον καὶ θεραπεύετε), in cui il poeta rivendica la novità delle sue invenzioni poetiche, con particolare riferimento alle Nuvole; Metag. fr. 15 (κατ᾿ ἐπεισόδιον
1110
Cfr. Ar. Thesm. 100 (μύρμηκος ἀτραπούς, ἢ τί διαμινύρεται;), riferito al successivo canto corale di Agatone (Thesm. 101–29), che presenta una parodia delle innovazioni musicali del ‘nuovo ditirambo’ (cfr. schol. Ar. Thesm. 100: ὡς λεπτὰ καὶ ἀγκύλα ἀνακρουομένου μέλη τοῦ Ἀγάθωνος· τοιαῦται γὰρ αἱ τῶν μυρμήκων ὁδοί); Pher. fr. 155, 23, in cui la Musica in persona rimprovera Timoteo di Mileto, ἄγων ἐκτραπέλους μυρμηκιάς; Sud. φ 393 (= Philox. Cyth. T 5 Fongoni), secondo cui Filosseno di Citera era chiamato Μύρμηξ. Vd. inoltre Guglielmino 1928, 83–4; Taillardat 19652, 457; Gentili 1988, 9–10; Urios-Aparisi 1992, 452 s.; Torchio 2001b, 131–2. 1111 Cfr. Rau, 1967, 103; Gentili 1984, 35; 1988, 10; Urios-Aparisi 1992, 433–58; Conti Bizzarro 1999, 130–71; Olson 2007, 183–6; Beta 2009, 162–5; Franchini 2020, 242 ss. Questa commedia, probabilmente una delle ultime composte da Ferecrate, potrebbe essere stata rappresentata addirittura postuma, dopo il 415 a. C. (cfr. Urios-Aparisi 1992, 430–1; Franchini 2020, 240–1). 1112 μετὰ δὲ ταῦτα, προϊόντος τοῦ χρόνου, ἄρχοντες μὲν τῆς ἀμούσου παρανομίας ποιηταὶ ἐγίγνοντο φύσει μὲν ποιητικοί, ἀγνώμονες δὲ περὶ τὸ δίκαιον τῆς Μούσης καὶ τὸ νόμιμον, βακχεύοντες καὶ μᾶλλον τοῦ δέοντος κατεχόμενοι ὑφ᾿ ἡδονῆς, κεραννύντες δὲ θρήνους τε ὕμνοις καὶ παίωνας διθυράμβοις, καὶ αὐλῳδίας δὴ ταῖς κιθαρῳδίαις μιμούμενοι, καὶ πάντα εἰς πάντα συνάγοντες. 1113 Cfr. Wallace 1995, 26–7; Mosconi 2000, 300. A Frinide e a Timoteo gli efori spartani tagliarono dalla cetra le corde in eccesso, come ricorda Plutarco (Inst. 238c–d; Agid. 10, 4). 1114 Cfr. ad es. Grandolini 2010, 950a.
Ποίησις (fr. 467)
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μεταβάλλω τὸν λόγον, ὡς ἂν | καιναῖσ〈ι〉 παροψίσι καὶ πολλαῖς εὐωχήσω τὸ θέατρον); Lysipp. fr. 4 (οὐδ᾿ ἀνακνάψας καὶ θειώσας τὰς ἀλλοτρίας ἐπινοίας)1115.
1115
Cfr. inoltre Del Corno 19922, 231 (ad Ar. Ran. 1250); Pellegrino 1998, 330–2 (ad Metag. fr. 15); Imperio 2004, 297–9 (ad Ar. Vesp. 1044); Lauriola 2010, 64–6; D’ Angour 2011, 72–3 e 212–6; Ruffell 2011, 365–9; Prauscello 2013, 330–3; Bagordo 2014b, 57 (ad Lysipp. fr. 4); Orth 2014, 468 (ad Metag. fr. 15).
234
Πολύιδος (Polyidos) (“Poliido”) Data
Sconosciuta
Bibliografia Dindorf 1829, 169 (~ II [1835], 640; 1838, 500; 18695, 214); Welcker 1839, 776–7; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1132–3; Bothe 1844, 131–2; Kock, I (1880), 508; Blaydes 1885, 233–4; Schmid 1946, 194 n. 3; Geißler 19692, 50–51; PCG, III 2 (1984), 250; Gil 1989, 96–7 (= 1996, 180; 2010, 107–8); Mastromarco 19962, 68; Carrière 2000, 201; 226–7; Henderson 2007, 335; Zimmermann 2011a, 767; Pellegrino 2015, 273. Titolo Il titolo è attestato con la grafia Πολύειδος nel Catal. fab. Ar. pap. (= test. i), con quella Πολύϊδος nel Catal. fab. Ar. ms. (Prol. de com. XXXa, p. 142, 17 Koster = test. 2), in Cyrill., An. Par. IV p. 188, 25–31 e in Et. Gud. p. 474, 24–29 Sturz (= test. iii). Nonostante la grafia con -ει- sia quindi molto antica (II sec. d. C.)1116, quella con -ι- è testimoniata già in un’ iscrizione del 100 a. C. ca. ritrovata al Pireo e contenente un elenco di titoli di drammi (forse un catalogo della biblioteca del ginnasio)1117, tra cui l’ euripideo Polyidos (IG II / III2 2363, col. II 42 = Eur. test. 7a, 42 Kn.: Πολύιδος)1118. Si tratta di un nome parlante, composto dal prefisso πολυ- e dalla radice (Ϝ)ιδ- collegabile a οἶδα (‘colui che sa molto’), adatto a un indovino (mantis), quale è, nella tradizione mitica, Poliido di Corinto, figlio di Cerano e discendente da Melampo1119. In Il. 13, 663–72, questo personaggio è citato a proposito dell’ uccisione, da parte di Paride, del suo primogenito Euchenore, a cui il padre aveva profetizzato la morte in combattimento, se fosse andato a Troia, o per malattia, se fosse rimasto in patria. In Pind. Ol. 13, 74–84, Poliido è collegato al mito corinzio di Bellerofonte, in cui prescrive all’ eroe, ignaro della tecnica per domare il cavallo alato Pegaso, una incubatio notturna presso un altare della dea Atena, spiegandogli poi il significato della visione ricevutane e la funzione delle briglie, materializzatesi miracolosamente al di lui risveglio1120. [Apollod.] Bibl. 3, 17–20 (= Eur. Pol. test. iv b Kn.), e, con alcune varianti1121, Hyg. Fab. 136 (= Eur. Pol. test. iv a Kn.) narrano l’ episodio della risurrezione di Glauco, figlio del re di Creta, Minosse, e di Pasifae, compiuta da Poliido. Il mantis corinzio, interpretando correttamente l’ ainigma 1116
Vd. infra, ad test. i. Cfr. Carrara 2014b, 292–3. 1118 Bibliografia in TrGF, V 1 (2004), 58; Carrara 2014b, 292 n. 2. Per l’ oscillazione tra le due grafie cfr. Kannicht, ap. TrGF, V 2 (2004), 623; Carrara 2014b, 147–8. 1119 Per la genealogia mitica del personaggio cfr. Pherecyd. fr. 115 Fowler (= 150 Dolcetti = FGrHist 3 F 115a = BNJ 3 F 115) e, con alcune varianti (per cui vd. Carrara 2014b, 13–7), Hes. fr. 136 M.-W. 1120 Per una rassegna completa delle scarse presenze di Poliido nella letteratura di età arcaica e classica non drammatica e nelle arti figurative, cfr. Carrara 2014b, 5–41. 1121 Cfr. Carrara 2014b, 67–71. 1117
Πολύιδος
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proposto dai Cureti ([Apollod.] Bibl. 3, 18)1122 ovvero da Apollo (Hyg. Fab. 136, 1)1123, prima ritrova, grazie alle sue arti divinatorie, il cadavere del bambino, morto soffocato perché caduto in una giara di miele mentre inseguiva un topo ([Apollod.] Bibl. 3, 17) o giocava a palla (Hyg. Fab. 136, 1); quindi, imprigionato da Minosse insieme al corpo del fanciullo finché non lo avesse resuscitato, dopo aver assistito al prodigio di un serpente da lui ucciso1124 ritornato in vita grazie a un’ erba magica, la applica al cadavere di Glauco, compiendo così la sua miracolosa risurrezione. Questa vicenda mitica fu portata sulla scena da Eschilo nelle Krēssai (frr. 116–20 R.), da Sofocle nei Manteis ē Polyidos (frr. 389a–400 R.) e da Euripide nel Polyidos (frr. 634–646 Kn.)1125, il quale ultimo dramma1126 fu probabilmente oggetto della parodia aristofanea nell’ omonima commedia (vd. infra, Contenuto). Una raffigurazione iconografica dell’ episodio è presente in una kylix del British Museum (London, BM D 5)1127 a fondo bianco e figure rosse attribuita al Pittore di Sotade e datata al 460–50 a. C. ca.1128, che probabilmente trae ispirazione da uno dei drammi su Poliido (sulla base della datazione della coppa, quello eschileo oppure quello sofocleo)1129. Il personaggio comico dell’ indovino era inoltre presente nella commedia di IV–III secolo1130: vd. i Manteis di Alessi (fr. 150)1131, il Mēnagyrtēs (o Mētragyrtēs) di Antifane (frr. 152–3) e l’ omonima commedia di Menandro (Mēnagyrtēs, frr. 234–5), l’ Oiōnistēs di Antifane, l’ Agyrtēs di Filemone (fr. 2). Dalla commedia nuova il tipo passa a quella latina, come mostrano titoli quali l’ Ariolus di Nevio (frr. I–II, 20–4 R.3), l’ Augur di Afranio (frr. I–V, 8–14 R.3) e di Pomponio (21–2 R.3) e l’ omonimo mimo di Laberio (8–9 R.3), l’ Omen di Afranio (frr. I–X, 221–31 R.3).
1122
Comparandum dell’ ainigma: una giovenca dal manto tricolore (τριχώματον […] βοῦν; [Apollod.] Bibl. 3, 18). 1123 Comparandum dell’ ainigma: un vitello che cambiava colore tre volte al giorno (vitulum qui ter in die colorem mutaret […]; Hyg. Fab. 136, 2). 1124 Con una pietra ([Apollod.] Bibl. 3, 19) o con una spada (Hyg. Fab. 136, 6). 1125 Una recente edizione critica di questi tre drammi è stata pubblicata a cura di L. Carrara (Carrara 2014b). 1126 Per la possibilità che il Polyidos, dramma ‘a lieto fine’, occupasse il quarto posto di una tetralogia (prosatyric play), cfr. Murray 1904, 341 (vd. anche, più recentemente, Jouan–van Looy 2002, 557); la questione è riassunta in Carrara 2014b, 243–4. 1127 Beazley, ARV (19632), 763, 2 = LIMC Glaukos II 1 (= Polyidos 1). Per un’ immagine a colori vd. https://www.britishmuseum.org / research / collection_online / collection_ object_details.aspx?objectId=461865&partId=1&searchText=polyeidos&page=1 (cons. il 16 / 6/2019). 1128 Cfr. Palagia 1988, 274a; Zimmermann 1997, 1010b. 1129 Cfr. Carrara 2014b, 38–41. 1130 Cfr. Bertolini 2019, 72. 1131 Per l’ ipotesi che questa commedia, omonima della tragedia sofoclea (vd. supra), contenesse una parodia del mito di Poliido, cfr. Arnott 1996, 441.
236
Aristophanes
Contenuto I frammenti conservati sono troppo scarsi per ricostruire la trama e il sistema dei personaggi. Anche composizione e genere del Coro non sono determinabili in base alle testimonianze1132. Si può ipotizzare che il dramma fosse incentrato sulla parodia mitologica (mito di Poliido) o, più specificatamente, della tragedia euripidea omonima1133 (vd. infra, ad fr. 468), ma non abbiamo elementi che permettano di delineare con precisione come fosse sviluppata tale parodia. L’ ambientazione potrebbe essere ateniese (vd. ad fr. 475). Se è corretta l’ ipotesi di una datazione al secondo periodo della produzione aristofanea (vd. infra, Datazione), il mito del mantis Poliido sarebbe collegato all’ attualità politica per il ruolo assunto dagli indovini nell’ influenzare l’ opinione pubblica prima dell’ infausta spedizione contro Siracusa: cfr. Plut. Nic. 13, 11134, per i tentativi di Alcibiade di strumentalizzare i responsi oracolari prima della mutilazione delle Erme; Thuc. 8, 1, 11135, per l’ ostilità degli Ateniesi, dopo la sconfitta contro Siracusa, nei confronti dei manteis che avevano fatto nascere in loro la speranza di conquistare la Sicilia1136. Forse Aristofane riprendeva il tema del contrasto tra il sapiente e il tiranno, presente nell’ ἀγὼν λόγων del Polyidos euripideo1137, in polemica con la classe dirigente che aveva portato Atene al disastro. Poll. 10, 45, attribuisce erroneamente alla commedia aristofanea anche Ar. Thesm. 633 (σκάφιον Ξένυλλ᾿ ᾔτησεν· οὐ γὰρ ἦν ἁμίς), verso citato dal lessicografo come esempio del termine σκάφιον1138. Datazione Nelle testimonianze e nei frammenti conservati non ci sono elementi che consentano di datare con certezza la commedia. Neppure la relazione intertestuale con il Polyidos euripideo offre dati sicuri, dal momento che neanche della tragedia conosciamo con esattezza l’ anno di rappresentazione. In genere si ritiene
1132
Allo stesso modo per l’ omonimo dramma euripideo ignoriamo composizione e genere del Coro; per le ipotesi avanzate dalla critica cfr. Carrara 2014b, 244–9. 1133 Così già Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 250; cfr. inoltre Rau 1967, 211; Gil 1989, 96–7 (= 1996, 180; 2010, 108); Mastromarco 19962, 68; Carrière 2000, 201; 226. Per una ricostruzione della trama della tragedia, che probabilmente era riassunta in Hyg. Fab. 136 (vd. supra, Titolo), cfr. Carrara 2014b, 217–33. 1134 καίτοι λέγεται πολλὰ καὶ παρὰ τῶν ἱερέων ἐναντιοῦσθαι πρὸς τὴν στρατείαν· ἀλλ᾿ἑτέρους ἔχων μάντεις ὁ Ἀλκιβιάδης ἐκ δή τινων λογίων προὔφερε παλαιῶν μέγα κλέος τῶν Ἀθηναίων ἀπὸ Σικελίας ἔσεσθαι. 1135 […] ὠργίζοντο δὲ καὶ τοῖς χρησμολόγοις τε καὶ μάντεσι καὶ ὁπόσοι τι τότε αὐτοὺς θειάσαντες ἐπήλπισαν ὡς λήψονται Σικελίαν. 1136 Cfr. Gomme−Andrewes−Dover, IV (1970), 197 (ad Thuc. 6, 1, 1); V (1981), 5–6 (ad Thuc. 8, 1, 1). 1137 Cfr. Carrara 2014b, 256 ss. 1138 Dindorf 1829, 171 (= II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214), suppone che sia caduto un altro esempio, tratto dal Polyidos, piuttosto che un errore di citazione del lessicografo antico (così anche Kaibel, ap. PCG, III 2 [1984], 253). La questione è tuttavia più complessa (cfr. Fritzsche 1838, 230–1), perché potrebbe trattarsi di un errore della fonte di Polluce oppure dovuto a una citazione mnemonica.
Πολύιδος
237
questo dramma posteriore al 415 a. C. sulla base dell’ analisi metrica e lessicale dei frammenti superstiti, nonché della tematica1139. Anche la parodia di Eur. fr. 638 Kn. presente in Ar. Ran. 1477 (vd. infra, p. 240) non può che confermare l’ ovvio terminus ante quem del 405 a. C.1140 Si è quindi ipotizzato che il Polyidos possa trovare collocazione negli ultimi anni della produzione euripidea (tra il 415 e il 409 a. C.), come altri drammi ‘a lieto fine’, quali Elena e Andromeda (entrambe del 412 a. C.) e Ifigenia in Tauride. Il Polyidos di Aristofane è inoltre sicuramente posteriore all’ Elettra di Sofocle, del cui v. 1173 il fr. 468, 2, è una citazione parodica. Anche la cronologia di questo dramma è tuttavia molto incerta: alcuni studiosi lo hanno considerato posteriore all’ Elettra euripidea1141 (la cui datazione è tuttavia questione critica ancora aperta)1142, altri ritengono invece precedente la versione del secondo grande tragico1143. La commedia potrebbe quindi collocarsi, ipoteticamente, nel secondo periodo della produzione aristofanea, tra il 415 e il 408 a. C.1144 Un collegamento tra il mito del mantis Poliido e l’ attualità politica di questi anni potrebbe essere individuato nel ruolo importante assunto dagli indovini per influenzare l’ opinione pubblica prima della spedizione in Sicilia (vd. supra, Contenuto). Ciò non esclude, tuttavia, che la parodia aristofanea possa essere stata portata in scena molti anni dopo l’ ipotesto euripideo1145, collocandosi quindi nel terzo periodo (inizio IV sec. a. C.), insieme a commedie di argomento mitologico quali Kōkalos ed Aiolosikōn1146. 1139
Per bibliografia e discussione della datazione del Polyidos euripideo, cfr. Jouan−van Looy 2002, 554; Collard–Cropp, II (2008), 91; Carrara 2014b, 235–44. 1140 Cfr. Carrara 2014b, 238. 1141 Cfr. ad es. Wilamowitz 1883 (= 1972, 161–208), il quale tuttavia rivide in seguito la sua posizione (vd. infra, n. 1143); Perrotta 1935, 367–404, il quale ultimo considera “l’ Elettra sofoclea forse posteriore, certo non anteriore al 415” (Perrotta 1935, 367) e fissa come terminus ante quem il 408 a. C. (Perrotta 1935, 401–2), datando la tragedia al 409 a. C.; Pohlenz 1954, I, tr. it. 362–4. 1142 Weil 18792, 568–9 (seguito più recentemente da Parmentier, ap. Parmentier–Grégoire, IV [19902], 189) data la tragedia di Euripide al 413 a. C. sulla base di alcuni riferimenti interni (allusione all’ imminente composizione dell’Elena nei vv. 1280–2 e alla spedizione in Sicilia nei vv. 1347–8), male interpretati per Zuntz 1955, 64–71, il quale la colloca invece tra il 422 e il 416 a. C. sulla base di criteri metrici (cfr. anche Cropp 1988, L-LI). 1143 Cfr. ad es. Jebb 18702, XIII–XIV (440–10 a. C.); Wilamowitz 1899, 57–8 n. 2 (= 1972, 212 n. 1); Dain, ap. Dain–Mazon 1994, 134; Cropp 1988, L; Parmentier, ap. Parmentier– Grégoire, IV [19902], 176–8. 1144 Cfr. Gelzer 1970, 1413, e Zimmermann 2011a, 767, per il terminus post quem; Geißler 19692, 51, per il terminus ante quem. Henderson 1998a, 5 data la commedia dopo il 415 a. C.; Gil 1989, 97 (= 1996, 180; 2010, 108) al 413 a. C.; Carrière 2000, 226–7 tra il 413 e il 407 a. C.; Pellegrino 2015 tra il 413 e il 408 a. C. 1145 La parodia del Tēlephos di Euripide (438 a. C.) nelle Tesmoforiazuse di Aristofane (411 a. C.) ne è un esempio. 1146 Cfr. Gelzer 1970, 1413; Carrara 2014b, 239 n. 67.
238
Aristophanes
test. i K.-A. (= Ar. test. 2c 19 K.-A.) Catal. fab. Ar. pap. = P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 2, col. I 19 Πολύ]ειδος Poly]eidos (“Poliido”)
Contesto fane.
Catalogo papiraceo (II sec. d. C.) dei titoli delle commedie di Aristo-
Testo Per l’ oscillazione tra la grafia con -ει- e quella con -ι- nel titolo della commedia, vd. supra, p. 234.
test. ii K.-A. (= Ar. test. 2a 21 K.-A.) Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 17 Koster Πολύιδος πο*υίδος M (“dicas κ vel η ante υ” Koster): πολύ** Rs: deest Vat. 918 Polyidos (“Poliido”)
Bibliografia
Vd. supra, ad Ar. Nēs. test. i.
Contesto Catalogo alfabetico manoscritto dei titoli delle commedie di Aristofane. Testo Per l’ oscillazione tra la grafia con -ει- e quella con -ι- nel titolo della commedia, vd. supra, p. 234.
test. iii K.-A. Cyrill., An. Par. IV p. 188, 25–31 ~ Et. Gud. p. 474, 24–29 Sturz Πολύϊδος· οὕτως καὶ Ἀπολλώνιος ὁ τοῦ Ἀρχιβίου· καὶ ἔστι, φησί, πολυΐδμων, μάντις ὤν. οὕτως δὲ καὶ τὸ δρᾶμα ἐπιγράφεται παρὰ Ἀριστοφάνει· μαρτυρεῖ δὲ καὶ Φιλόξενος (fr. 580 Theod.). καὶ Σοφοκλῆς δ᾿ ἐν Μάντεσι συνέστειλεν· ὁρῶ πρόχειρον Πολυΐδου τοῦ μάντεως (fr. 390 R.), καὶ πάλιν· οὐκ ἔστιν εἰ μὴ Πολυΐδῳ τῷ Κοιράνῳ (fr. 391 R.). φησί Et. Gud. dal: φασί Cyrill., Et. Gud. zw παρὰ Ἀριστοφάνει Et. Gud. dal: -νῃ zw: ὑπὸ Ἀριστοφάνους Cyrill. Μάντεσι Et. Gud.: Μαντεῦσιν Cyrill. Polyïdos (“Poliido”): così anche Apollonio figlio di Archibio; ed è, dice, un uomo che sa molto, essendo indovino. Così è intitolato anche il dramma in Aristofane; lo attesta anche Filosseno (fr. 580 Theod.). Inoltre Sofocle nei Manteis abbrevia (la iota): “vedo presente (?) dell’ indovino Poliido” (fr. 390 R.), e ancora: “non è possibile se non per Poliido, figlio di Cerano” (fr. 391 R.).
Πολύιδος (fr. 468)
Bibliografia
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Carrara 2014b, 147–52.
Contesto La voce dedicata all’ antroponimo Πολύϊδος nel Lessico trasmesso sotto il nome di Cirillo (V sec. d. C.)1147 e nell’ Etymologicum Gudianum (XI sec. d. C.)1148, che presentano come corretta la grafia con -ι- rispetto a quella concorrente con -ει- (Πολύϊδος/ Πολύειδος), pure attestata1149, rifacendosi all’ autorità di antichi grammatici, quali Apollonio il Sofista (I sec. d. C.)1150 e Filosseno di Alessandria (I sec. a. C.)1151 (Philox. gramm. fr. 580 Theod.), nonché a citazioni letterarie (Soph. frr. 390–1 R., in cui la ϊ è breve).
fr. 468 K.-A. (452 K.) τὸ γὰρ φοβεῖσθαι τὸν θάνατον λῆρος πολύς· πᾶσιν γὰρ ἡμῖν τοῦτ᾿ ὀφείλεται παθεῖν Aver paura della morte, infatti, (è) una grande sciocchezza: perché a tutti noi tocca tal sorte subire Stob. (SA) 4, 51, 15, p. 1069, 6–8 H. (περὶ θανάτου) Ἀριστοφάνης Πολυΐδου (Πολ. om. S)· τὸ ― παθεῖν. (sulla morte) Aristofane, del Polyidos: “aver ― subire”.
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Bibliografia Dindorf 1829, 170 (~ II [1835], 640; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1133–4; Bothe 1844, 132; Bakhuyzen 1877, 196; Kock, I (1880), 508; Blaydes 1885, 236–7; Edmonds, I (1957), 700–1; Rau 1967, 211; Wankel 1983, 148; PCG, III 2 (1984), 250; Gil 1989, 96–7 (= 1996, 180; 2010, 108); Carrière 2000, 227; Henderson 2007, 334–5; Carrara 2014b, 238–9 e 328; Pellegrino 2015, 273. Contesto della citazione Questi due versi sono riportati nella sezione sulla morte (περὶ θανάτου) dell’ Antologia di Stobeo (4, 51, 15, p. 1069, 6–8 H.)1152. Nella medesima sezione sono citati anche Soph. fr. 951 R. (= Stob. 4, 51, 10, p. 1068,
1147
Cfr. Tosi 1999; Dickey 2007, 100. Cfr. ad es. Dickey 2007, 91. 1149 Vd. supra, Titolo. 1150 Cfr. Montanari 1996b. 1151 Cfr. Theodoridis 1976, 3; Damschen 2000; Dickey 2007, 85. 1152 Per questa antologia tematica di citazioni vd. supra, p. 63 n. 251. 1148
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Aristophanes
5–9 H.)1153 ed Eur. Alc. 782 ss. (= Stob. 4, 51, 13, pp. 1068, 19–1069, 3 H.)1154, che presentano lo stesso topos gnomico (vd. infra, Interpretazione). Interpretazione Il frammento, paratragico (vd. infra, p. 241), contiene una riflessione sentenziosa sull’ ineluttabilità della morte, sorte comune a tutti gli uomini, e che pertanto non si deve temere. La γνώμη riflette un topos letterario diffuso nella tragedia, con una citazione di Soph. El. 1173 (vd. infra, p. 241). Inoltre il frammento richiama le riflessioni euripidee sul rapporto tra la vita e la morte1155, pur senza citazioni letterali: nel Polyidos (Eur. fr. 638 Kn.: τίς δ᾿ οἶδεν εἰ τὸ ζῆν μέν ἐστι κατθανεῖν, | τὸ κατθανεῖν δὲ ζῆν κάτω νομίζεται;) un personaggio 1156 poneva agli spettatori un sottile dilemma sulla differenza tra morte e vita, presentando un motivo tematico caratteristico del teatro del terzo grande tragico1157 fin dall’ Alcesti1158, uno dei suoi drammi più antichi (438 a. C.), e parodiato da Aristofane in Ran. 1477–8 (τίς δ᾿ οἶδεν εἰ τὸ ζῆν μέν ἐστι κατθανεῖν, | τὸ πνεῖν δὲ δειπνεῖν, τὸ δὲ καθεύδειν κῴδιον;)1159. La riflessione sulla ‘vera vita’, che forse coincide con la morte, è strettamente collegata alla vicenda scenica del dramma euripideo, incentrato su un mito di risurrezione (vd. supra, Contenuto). La mancanza di un contesto più ampio non ci permette tuttavia di comprendere come fosse
1153
Per il testo vd. infra, p. 241. Per il testo vd. infra, p. 241. 1155 Cfr. Carrara 2014b, 328. 1156 La persona loquens è stata variamente identificata in Poliido, minacciato di morte da Minosse e rinchiuso nella tomba di Glauco (Welcker 1839, 777; Jouan–van Looy 2002, 556; Collard–Cropp, II [2008], 99 n. 1), oppure in un personaggio femminile (così già Kock 1856, 168; Coulon, ap. Coulon–van Daele, IV [1928], 137 n. 4), quale una nutrice, come in Eur. Hipp. 191–7 (riportato infra, n. 1157; cfr. Carrara 2014b, 331–2), o Pasifae, sposa del re e madre di Glauco (Sommerstein 1996a, 254; Henderson 2002, 175 n. 107; Carrara 2014b, 332–3), sulla base della parodia di Ar. Ran. 1082 (καὶ φασκούσας οὐ ζῆν τὸ ζῆν;), che attribuisce alle eroine euripidee simili considerazioni sulla “vita che non è vita”. Per una sintesi della questione cfr. Carrara 2014b, 329–33. 1157 Cfr. anche Eur. fr. 833 Kn. (τίς δ᾿ οἶδεν εἰ ζῆν τοῦθ᾿ ὃ κέκληται θανεῖν, | τὸ ζῆν δὲ θνήσκειν ἐστί;); fr. 370, 21–2 Kn. (τέθνηκ᾿· ἐγὼ δὲ τοὺς καλῶς τεθνηκότας | ζῆν φημι. μᾶλλον † τοῦ βλέπειν τοὺς μὴ καλῶς †); Hipp. 191–7 (ἀλλ᾿ ὅτι τοῦ ζῆν φίλτερον ἄλλο | σκότος ἀμπίσχων κρύπτει νεφέλαις. | δυσέρωτες δὴ φαινόμεθ᾿ ὄντες | τοῦδ᾿ ὅτι τοῦτο στίλβει κατὰ γῆν | δι᾿ ἀπειροσύνην ἄλλου βιότου | κοὐκ ἀπόδειξιν τῶν ὑπὸ γαίας, | μύθοις δ᾿ ἄλλως φερόμεσθα). 1158 Cfr. Gianotti 1997. 1159 Dioniso ritorce contro Euripide la sua famosa sentenza con intento ‘consolatorio’, con una citazione diretta del fr. 638, 1 (v. 1477), e proseguendo poi con altri due dilemmi burleschi, che presentano idealità tipicamente comiche (v. 1478); cfr. Bakhuyzen 1877, 178–9; Rau 1967, 122 e 204; Del Corno 19922, 246; Dover 1993a, 379. Cfr. inoltre Ar. Ran. 1082 (citato supra, n. 1156), per la quale parodia vd. Bakhuyzen 1877, 155; Rau 1967, 122 e 204; Del Corno 19922, 222; Dover 1993a, 328. 1154
Πολύιδος (fr. 468)
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realizzato l’ effetto comico della parodia nel fr. 4681160, né abbiamo informazioni sulla persona loquens1161. 1 τὸ … πολύς Non sembra una citazione diretta dell’ ipotesto euripideo, perché la riflessione gnomica vi è espressa in uno stile non particolarmente elevato, quasi prosastico1162: cfr. ad es. Isocr. 6, 60 (φοβεῖσθαι τοὺς πολεμίους); Xen. Cyr. 5, 2, 32 (διὰ τὸ φοβεῖσθαι ἐκείνους); Arist. Cat. 9b, 31 (διὰ τὸ φοβεῖσθαι ὠχρίας). Il sostantivo λῆρος è usato nella poesia giambica (Arch. fr. 327, 2 W.2) e comica (cfr. ad es. Ar. Nub. 359; Lys. 860; Thesm. 880; Ran. 809; 1497; Pl. 23; 517, con figura etimologica), ma anche nella prosa del IV sec. a. C. (cfr. ad es. Xen. An. 7, 7, 41; Plat. Phaed. 72c; Theaet. 151c; 176d); per il sintagma λῆρος πολύς cfr. inoltre Luc. Dial. mort. 19, 2 (κόνις πάντα καὶ λῆρος πολύς). 2 πᾶσιν … παθεῖν Citazione di Soph. El. 1173, in cui il Coro conforta Elettra con parole cariche di partecipazione al dolore della fanciulla, che crede morto il fratello Oreste1163. La γνώμη riflette un topos letterario diffuso nella tragedia1164: cfr. ad es. Soph. fr. 951 R. (ὅστις δὲ θνητῶν θάνατον ὀρρωδεῖ λίαν, | μῶρος πέφυκε· τῇ τύχῃ μέλει τάδε. | ὅταν δ᾿ ὁ καιρὸς τοῦ θανεῖν ἐλθὼν τύχῃ, | οὐδ᾿ ἂν πρὸς αὐλὰς Ζηνὸς ἐκφύγοι μολών); Eur. Alc. 419 (ὡς πᾶσιν ἡμῖν καὶ θανεῖν ὀφείλεται); 782 (βροτοῖς ἅπασι καὶ θανεῖν ὀφείλεται); Andr. 1271–2 (πᾶσιν γὰρ ἀνθρώποισιν ἥδε πρὸς θεῶν | ψῆφος κέκρανται κατθανεῖν τ᾿ ὀφείλεται); fr. 757, 926–7 Kn. ([…] τί ταῦτα δεῖ | στένειν ἅπερ δεῖ κατὰ φύσιν ἐκπερᾶν;)1165. ὀφείλεται Il verbo ὀφείλω (‘dovere’), al medio, indica qui la necessità della morte, a cui l’ uomo non può sfuggire: cfr. anche Eur. Alc. 419 e 782; Andr. 1272 (riportati supra); fr. trag. adesp. 327a K.-Sn. (τό τοι γενόμενον κατθανεῖν ὀφείλεται); Men. Sent. 110 (= 14, 15: βροτοῖς ἅπασι κατθανεῖν ὀφείλεται).
1160
Cfr. Wankel 1983, 148. Cfr. Kock, I (1880), 508 (“quis haec dicat non constat”). Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), ha ipotizzato che questi versi fossero pronunciati, nella tragedia euripidea, da Minosse, nel momento in cui ordina che Poliido sia rinchiuso nel sepolcro di Glauco (vd. infra). Per Gil 1989, 96 (= 1996, 180; 2010, 108), e Carrière 2000, 227, queste parole erano pronunciate da Poliido, minacciato dal re perché restituisse la vita al di lui figlio. 1162 Cfr. Carrara 2014b, 238–9 n. 67. 1163 L’ ipotesi di Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1133–4, che il verso fosse in realtà una citazione dal Polyidos di Euripide, è stata respinta già da Kaibel 1896, 254, come non sufficientemente fondata; cfr. inoltre Hense, ad Stob. 4, 51, 15 (p. 1069: “fieri potest, ut solus prior [versus] Aristophanis sit, ante alterum autem non nihil perierit”). 1164 Cfr. Wankel 1983. 1165 Per la necessità della morte cfr. inoltre Soph. Ant. 460–1 ([…] θανουμένη γὰρ ἐξῄδη - τί δ᾿ οὔ; - | κεἰ μὴ σὺ προὐκήρυξας. […]). 1161
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Aristophanes
fr. 469 K.-A. (453 K.) ἰδοὺ δίδωμι τήνδ᾿ ἐγὼ γυναῖκά σοι Φαίδραν· ἐπὶ πῦρ δὲ πῦρ ἔοιχ᾿ ἥκειν ἄγων 2 ἔοιχ᾿ ἥκειν Meineke: ἔοικ᾿ ἥξειν SMA (ἔοιχ᾿ ἥ. Trincavelli)
Ecco, io ti do (in sposa) questa donna, Fedra: sembra che io sia venuto fuoco a fuoco aggiungendo Stob. (SMA) 4, 22b, 43, p. 517, 9–11 H. (ὅτι οὐκ ἀγαθὸν τὸ γαμεῖν) Ἀριστοφάνης ἐν Πολυΐδῳ· ἰδοὺ ― ἄγων. (che il matrimonio non è un bene) Aristofane nel Polyidos: “ecco ― aggiungendo”.
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Bibliografia Dindorf 1829, 170 (~ II [1835], 640; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1134–5; Bothe 1844, 132; Kock, I (1880), 508; Blaydes 1885, 235–6; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 251; Gil 1989, 96 (= 1996, 180; 2010, 108); Carrière 2000, 227; Henderson 2007, 336–7; Di Bari 2013, 463–4; Pellegrino 2015, 273–4. Contesto della citazione Questi due versi sono riportati nella sezione dell’ Antologia di Stobeo (4, 22b, 43, p. 517, 9–11 H.)1166 che raccoglie testi in cui è presente una visione negativa del matrimonio (ὅτι οὐκ ἀγαθὸν τὸ γαμεῖν). Testo La correzione dell’ infinito futuro tràdito ἥξειν (SMA) nel presente ἥκειν è stata proposta dubitativamente già da Meineke 1856, VII, nella sua edizione dell’ Anthologium di Stobeo1167, e introdotta nel testo da Hense 19091168; nelle edizioni dei frammenti di Aristofane è adottata da Kock (I [1880], 508), seguito da Kassel e Austin (PCG, III 2 [1984], 251), Henderson (2007, 336) e Pellegrino (2015, 273). Interpretazione Nel frammento un personaggio non identificabile con certezza promette in sposa Fedra a un interlocutore sconosciuto1169. Il parlante potrebbe essere verosimilmente Minosse, padre di Fedra, che giocava un ruolo importante 1166
Per questa antologia tematica vd. supra, n. 251. Cfr. inoltre van Herwerden 1878, 61. 1168 Già V. Trincavelli nell’ editio princeps (Trincavelli 1536) aveva corretto con l’ aspirazione finale la grafia di ἔοικ᾿, perché seguito da spirito aspro, mantenendo però l’ infinito futuro. 1169 Il matrimonio finale risponde bene agli stereotipi comici; cfr. Di Bari 2013, 463 (“happy end nuziale”). 1167
Πολύιδος (fr. 469)
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nell’ ipotesto euripideo (vd. supra); il suo interlocutore l’ indovino Poliido, a cui Fedra è forse promessa come ricompensa per la risurrezione di Glauco1170, oppure Teseo1171, sposo di Fedra secondo la tradizione mitica1172, che non sembra avere un ruolo nella tragedia1173 – non essendo nominato in Hyg. Fab. 136 –, ma poteva essere presente nella parodia aristofanea (vd. infra, ad fr. 475). Anche Fedra probabilmente non compariva nell’ ipotesto, in cui personaggio femminile di rilievo doveva invece essere la di lei madre Pasifae1174; tuttavia il dimostrativo deittico τήνδ(ε) nel v. 1 ne fa supporre la presenza sulla scena. 1 δίδωμι τήνδ᾿ ἐγὼ γυναῖκά σοι Per δίδωμι nel senso di ‘dare in sposa’ (una donna a qualcuno)1175, cfr. ad es. Il. 6, 192 (δίδου δ᾽ ὅ γε θυγατέρα ἥν); Od. 2, 223 (ἀνέρι μητέρα δώσω); con complemento predicativo in Hdt. 1, 107, 2 (οὐδενὶ διδοῖ [τὴν θυγατέρα] γυναῖκα); Arr. An. 4, 15, 2 (τὴν θυγατέρα […] Ἀέξάνδρῳ δοῦναι γυναῖκα). 2 ἐπὶ πῦρ … πῦρ Proverbio corrispondente al sardo “aggiungere fuoco a fuoco” (Lelli 2007, 457) o al più diffuso “gettare benzina sul fuoco”. Attestazioni antiche in Zenob. 5, 69 (= Hesych. π 4415 = Phot. π 1562 = Sud. π 3211: πῦρ ἐπὶ πῦρ [πυρί Phot., Sud.]· παροιμία, ἧς μέμνηται Πλάτων. καὶ [καὶ om. Phot., Sud.] κακὸν ἐπὶ κακῷ)1176, in cui il detto è spiegato con “(aggiungere) male a male”1177. Il passo platonico a cui paremiografi e lessicografi antichi fanno riferimento come origine del proverbio è Plat. Leg. 2, 666a (νομοθετήσομεν […] τοὺς παῖδας μέχρι ἐτῶν ὀκτωκαίδεκα τὸ παράπαν οἴνου μὴ γεύεσθαι, διδάσκοντες ὡς οὐ χρὴ πῦρ ὀχετεύειν εἴς τε τὸ σῶμα καὶ τὴν ψυχήν), in cui esso esprime il divieto di dare vino ai fanciulli, per non accrescere il ‘fuoco’ naturale dell’ età con una bevanda alcolica1178. Cfr. inoltre Arist. Probl. 880a, 21 (πῦρ ἐπὶ πῦρ φέρειν); Phil. Legat. 125 1170
Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 251; Bergk, ap. Meineke, II 2 [1840], 1134; Bothe 1844, 132; Kock, I (1880), 508; Pellegrino 2015, 274. Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1134–5) pensa anche, per la somiglianza con la vicenda di Glauco, a Ippolito, il quale, secondo una tradizione mitica attestata da Ovidio (Fast. 6, 743 ss.), fu riportato in vita da Asclepio con le medesime erbe usate per Glauco da Poliido e divenne oggetto di onori divini nel bosco di Aricia, nel Lazio, con il nome di Virbio. 1171 Cfr. Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 251; Gil 1989, 96 (= 1996, 180; 2010, 108); Carrière 200, 227; Pellegrino 2015, 274. Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1134–5) esclude invece che Teseo avesse un ruolo nella commedia. Vd. anche infra, ad fr. 475. 1172 Cfr. ad es. l’ Ippolito di Euripide e la Fedra di Seneca. Secondo la tradizione attestata da [Apollod.] Epit. 1, 17, fu tuttavia Deucalione, figlio di Minosse e suo successore, a dare in sposa la sorella Fedra a Teseo. 1173 Per una ricostruzione del contenuto del dramma euripideo cfr. Carrara 2014b, 217 ss. 1174 Cfr. Carrara 2014b, 249–56. 1175 Raramente ‘dare in sposo (un uomo a una donna)’: cfr. Pind. Pyth. 9, 117–8 (ἐδίδου […] κόρᾳ | […] ἄνδρα). 1176 Cfr. inoltre Macar. 7, 48; Apost. 15, 15. 1177 Cfr. Diogen. 6, 71 (μὴ πῦρ ἐπὶ πῦρ· […] ἐπὶ δὲ τῶν κακοῖς συνεχέστερον περιπιπτόντων). 1178 Cfr. inoltre Sen. De ira 20, 2 ([…] vinum, quod pueris Plato negandum putat et ignem vetat igne incitari); Plut. Mor. 123e (πῦρ ἐπὶ πυρί); 143f; 610c (πῦρ ἐπὶ πῦρ).
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Aristophanes
(πῦρ ἐπιφέρων πυρί); Plut. Mor. 61a (πῦρ ἐπὶ πῦρ εἰσφέρουσα); il detto è probabilmente anche alla base di Cratin. fr. 20 (cfr. PCG, IV [1983], 132–3; Bianchi 2016, 136–7 [ad loc.]). Nel contesto del fr. 469 il poliptoto1179 evidenzia “la perniciosità del matrimonio” (Tosi 1542), male che si aggiunge a sventure precedenti o forse alla passione amorosa o alla lussuria, incarnata da Fedra1180; cfr. Ov. Ars 1, 244 (et Venus in vinis ignis in igne fuit), all’origine dell’analogo detto latino ignis in igne1181. Per l’ immagine del fuoco in riferimento alla donna, cfr. inoltre Eur. fr. 429 Kn. (ἀντὶ πυρὸς γὰρ ἄλλο πῦρ | μεῖζον ἐβλάστομεν γυναῖ|κες πολὺ δυσμαχώτερον), accostabile al fr. 469 per l’ analogo poliptoto1182, che esprime tuttavia un concetto diverso rispetto al proverbio πῦρ ἐπὶ πῦρ1183. ἥκειν ἄγων Per un sintagma analogo cfr. Soph. Tr. 400; Eur. Ph. 466 (ἥκεις ἄγων); Ar. Pl. 284–5 (ἥκει | ἄγων); Plat. Phaed. 117a (ἥκεν ἄγων); ἥκω con il participio presente (congiunto) anche in Aesch. Sept. 40 (ἥκω […] φέρων); Soph. OC 579 (ἥκειν φέρων); Plat. Gorg. 518a (ἥκεις […] λέγων).
fr. 470 K.-A. (454 K.) διὰ τῆς ἀγορᾶς τρέχων, ἀναρίστητος ὤν τρέχων Phot.: τρέχω Sud.
Correndo per l’ agora, senza aver fatto colazione Phot. (b, z) α 1632 ἀνάριστος, μᾶλλον δὲ ἀναρίστητος. Ἀριστοφάνης (Ἀριστοφάνης in marg. z) Πολυίδῳ (Πολυείδῳ b, cum poetae verbis z)· διὰ ― ὤν. οὕτως δὲ 〈καὶ〉 (Reitzenstein) Ἄλεξις (fr. 235). Μένανδρος (fr. 521) 〈ἀ〉νάριστον (Reitzenstein). anaristos, o piuttosto anaristētos (“digiuno”, “senza aver fatto colazione”). Aristofane nel Polyidos: “correndo ― colazione”. Così 〈anche〉 Alessi (fr. 235). Menandro (fr. 521) 〈a〉nariston. Sud. (AGITFSM) α 2048 ἀνάριστος· μᾶλλον δὲ ἀναρίστητος. Ἀριστοφάνης Πολυίδῳ (Πολυείδῳ GIT)· διὰ ― ὤν. Ἄλεξις Καταψευδομένῳ (fr. 235)· πάντως ἀναρίστητος οὐ δυνήσομαι | διακαρτερῆσαι τηλικαύτην ἡμέραν. Ἀντιφάνης Λευκαδίῳ (fr. 139)· ἐνταῦθ᾿ ἀναρίστητος εὐθὺς κιθαριεῖ (κιθαρεῖ GIT). Τιμοκλῆς Νεαίρᾳ (Leopardi; Νεαράν codd.) (fr. 26)· ἔπειτα [τὸ] (Kuster) διά τε ταῦτ᾿ ἀναρίστητος ὤν. Μένανδρος (fr. 521) δὲ ἀνάριστον. 1179
Per la forma espressiva del proverbio cfr. Fraenkel 1964, 289 n. 5; Gygli-Wyss 1966, 87. In Ar. Ran. 1043 (ἀλλ᾿ οὐ μὰ Δί᾿ οὐ Φαίδρας ἐποίουν πόρνας οὐδὲ Σθενεβοίας) Fedra è considerata da Eschilo una ‘prostituta’ (come un altro personaggio femminile euripideo, la Stenebea del Bellerophontēs), per la passione nei confronti del figliastro Ippolito. 1181 Cfr. Otto 1890, s. v. ignis, 3; Tosi 1542. 1182 Cfr. Zintzen 1960, 89 n. o; Barrett 1964, 20. 1183 Cfr. PCG, III 2 [1984], 251. 1180
Πολύιδος (fr. 470)
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anaristos; o piuttosto anaristētos (“digiuno”, “senza aver fatto colazione”). Aristofane nel Polyidos: “correndo ― colazione”. Alessi nello Katapseudomenos (fr. 235): “completamente digiuno, non potrò sopportare un giorno simile”. Antifane nel Leukadios (fr. 139): “là, senza aver fatto colazione, subito suonerà la cetra”. Timocle nella Neaira (fr. 26): “poi per questi motivi, senza avere fatto colazione”. Menandro (fr. 521) invece anariston.
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Trimetro giambico
kklkkl kl|kl llkl
Bibliografia Dindorf 1829, 170–1 (~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1135; Bothe 1844, 132; Kock, I (1880), 508; Blaydes 1885, 237; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 251; Henderson 2007, 336–7; Pellegrino 2015, 274. Contesto della citazione Il frammento è riportato nel lessico di Fozio (α 1632) e nella Suda (α 2048) come esempio dell’ uso dell’ aggettivo ἀναρίστητος (‘digiuno’, ‘senza aver fatto colazione’), sinonimo del più comune ἀνάριστος (vd. infra, Interpretazione). Testo A partire dalla lezione di Sud. α 2048, con il verbo τρέχω all’ indicativo invece che al participio (Phot. α 1632), Porson 1812, 281 (seguito da Dindorf 1829, 171 [~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214]), propone uno spostamento di parole (τρέχω διὰ τῆς ἀγορᾶς ἀναρίστητος ὤν), probabilmente per evitare i due anapesti successivi nel primo metro giambico; Bothe 1844, 132, integra dubitativamente γ᾿ἄν (διὰ τῆς ἀγορᾶς τρέχω, γ᾿ἂν ἀναρίστητος ὤν); Kock, I (1880), 508, propone la correzione di τρέχων in ἔτρεχον. Fritzsche (1832, 7; 1835, 208), partendo dall’ emendazione di Porson, collega il verso con Eup. fr. 77 (ἀναρίστητος ὤν | κοὐδὲν βεβρωκώς, ἀλλὰ γὰρ στέφανον ἔχων), che egli ritiene parte del medesimo fr. 470, attribuito per errore a un altro autore, proponendo quindi τρέχω διὰ τῆς ἀγορᾶς ἀναρίστητος ὤν | κοὐδὲν βεβρωκώς, ἀλλὰ γὰρ στέφανον ἔχων1184. Tutte queste proposte di correzione del testo tràdito non appaiono però sufficientemente motivate. Interpretazione Non possiamo ricostruire con sicurezza chi sia il parlante, e neppure se si riferisca a se stesso o a una terza persona. Si può solo ipotizzare che si tratti di un antesignano del servus currens della nea1185, che lamenta di essere stato mandato all’ agora ancora digiuno. ἀναρίστητος L’ aggettivo (composto del prefisso negativo ἀν- e del tema di ἄριστον, ‘colazione’ e, in epoca postomerica, ‘pasto del mezzogiorno’)1186 è attestato, nel medesimo sintagma e posizione metrica, oltre che nel già citato Eup. fr. 77, 1 1184
Cfr. anche Olson 2017a, 249. Per il personaggio del servus nella commedia antica, e in particolare aristofanea, cfr. ad es. Caciagli 2016b. 1186 Non è attestata la forma positiva dell’ aggettivo; cfr. tuttavia il sostantivo ἀριστητής (‘chi fa colazione’, ‘ghiottone’). 1185
246
Aristophanes
(vd. supra, Testo), in Timocl. fr. 26; cfr. inoltre Alex. fr. 235, 1, e Antiph. fr. 1391187. Il suo utilizzo appare dunque limitato a testi comici di V–IV sec. a. C. Ateneo (2, 47d–e) cita ἀναρίστητος insieme ad altri aggettivi rari collegati al cibo (σῖτος), quali ἀπόσιτος (‘che si astiene dal cibo’; Philon. fr. 1), αὐτόσιτος (‘che si porta il cibo’; Crobyl. fr. 1, 1), ἀναγκόσιτος (‘che mangia per forza’; Cratet. fr. 50)1188. Potrebbe trattarsi di variante metrica rispetto all’ analogo aggettivo composto ἀνάριστος, del medesimo significato (‘che non ha fatto colazione’), che è usato più comunemente nella prosa di V–IV sec. a. C. (cfr. ad es. Xen. Hell. 4, 5, 8; 7, 5, 15; Symp. 1, 11; Hp. Vict. 76, 26), ma anche in Men. fr. 521 (= Phot. α 1632; Sud. α 2048).
fr. 471 K.-A. (755 K.) καὶ τῶν βελέκκων E dei belekkoi Et. magn. p. 194, 31–3 βέλεκκοι· ὄσπρια. καὶ τῶν βελέκκων· Ἀριστοφάνης. belekkoi: legumi. “E dei belekkoi”: Aristofane Gloss. com. P. Oxy. XV 1801 (= CGFP 343), 21–2 [βέλεκκοι - - - Ἀριστοφάνη]ς̣ ἐν Πολυίδῳ· καὶ | [τῶν βελέκκων [belekkoi - - - Aristofane] nel Polyidos: “e [dei belekkoi”.
Metro
Trimetro giambico (forse la parte iniziale del verso)
llkl lY〈lwl alku〉
Bibliografia Dindorf 1829, 226–7 (~ II [1835], 688; 1838, 525; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1207; Bothe 1844, 176; Kock, I (1880), 571–2; Blaydes 1885, 315; Edmonds, I (1957), 700–1; Luppe 1967a, 95–6; PCG, III 2 (1984), 251; Henderson 2007, 336–7; Pellegrino 2015, 274. Contesto della citazione Il frammento è riportato nell’ Etymologicum magnum (p. 194, 31–3) come attestazione aristofanea del sostantivo βέλεκκοι. Il lemma corrispondente del glossario conservato in P. Oxy. XV 1801 (= CGFP 343)1189,
1187
Alex. fr. 235, Antiph. fr. 139 e Timocl. fr. 26 sono riportati dopo Ar. fr. 470 in Sud. α 2048; Alex. fr. 235 è citato anche in Phot. α 1632, che non ne riporta il testo. 1188 Cfr. Olson 2017a, 248. 1189 Si tratta di un papiro datato alla fine del I sec. d. C., contenente parte di due colonne di un glossario di parole rare (lettera β), i cui lemmi presentano maggior ricchezza di esempi (per lo più tratti da testi comici o da drammi satireschi) rispetto a quelli analoghi del Lessico di Esichio; cfr. Grenfell–Hunt 1922; Luppe 1967a; ulteriore bibliografia in CGFP, 340–1 (ad loc.); Luppe 1967a, 86 n. 3.
Πολύιδος (fr. 472)
247
21–2, integrato sulla base dell’ Etymologicum magnum, del quale è probabilmente una fonte1190, consente di attribuire il fr. 471 al Polyidos. Testo Prima della pubblicazione di P. Oxy. XV 1801 (Grenfell–Hunt 1922) il frammento era edito tra quelli incertae fabulae; è stato quindi inserito tra quelli del Polyidos a partire da Edmonds, I (1957), 700–1. Kock, I (1880), 571, scrive solo il sostantivo βελέκκων. Interpretazione Il frammento può essere stato estrapolato da un passo di argomento gastronomico. I legumi facevano parte dell’ alimentazione quotidiana anche degli strati più umili della popolazione ateniese1191, quindi il riferimento potrebbe essere posto sulla bocca di uno schiavo o di un altro personaggio di bassa condizione sociale. τῶν βελέκκων Secondo Hesych. β 485 (βέλεκκος [Latte; βέλλεκυς H]1192· ὄσπριόν τι ἐμφερὲς λαθύρῳ μέγεθος ἐρεβίνθου ἔχον) il belekkos era un legume simile alla veccia e delle dimensioni di un cece. Il fr. 471 è l’ unica attestazione letteraria del termine (hapax legomenon)1193.
fr. 472 K.-A. (455 K.) ἐλλιμενίζεις ἢ δεκατεύεις ἐλλιμενίζης ἢ δεκατεύης F
Esigi i diritti portuali o riscuoti la decima Poll. (FS) 9, 31 καὶ ὡς Ἀριστοφάνης ἐν Πολυείδῳ· ἐλλιμενίζεις ― δεκατεύεις. E come Aristofane nel Polyidos: “esigi ― decima”.
Metro
1190
Dimetro anapestico (o parte di tetrametro anapestico catalettico)
lkkll| lkkll (opp. lkkll lkkll| 〈ytyt kklu〉)
Cfr. Grenfell–Hunt 1922, 151. Cfr. Thiercy 1997, 136. 1192 Per la variante grafica cfr. Beekes, EDG, s. v. βέλεκκος, per il quale potrebbe trattarsi di parola pregreca (quindi di origine non indoeuropea). 1193 La parola è attestata, con una variante grafica, anche in P.Louvr. AF 7073 (= 7396), 3, 12 (τῶν βελοκίων), papiro documentario datato al 621 d. C. (cfr. Kovarik 2007); cfr. anche P.Fay. 118 (= Olsson 60), 20, datato al 110 d. C., in cui Crönert 1903, X, legge un diminutivo βελενκάρεια dal tema βελεγκ-/βελεκκ- (βελενκώθια, [“baskets (?)”] Grenfell–Hunt; cfr. anche Olsson, ad loc.). 1191
248
Aristophanes
Bibliografia Bekker, II (1829), 291; Dindorf 1829, 171 (~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1135; Bothe 1844, 132; Kock, I (1880), 509; Blaydes 1885, 235; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 252; Henderson 2007, 336–7; Pellegrino 2015, 275. Contesto della citazione Il frammento è riportato in una sezione dell’Onomasticon di Polluce (9, 28–34) con la terminologia relativa a tasse e tributi, all’ interno di una più ampia catalogazione delle parole relative alla polis. Un contesto analogo in Poll. 8, 132 ([…] ἐλλιμένια καὶ ἐμπορικά […] δεκάτη τὸ τέλος […]). Testo Bekker, II (1829), 291, seguito da Bothe 1844, 132, e Blaydes 1885, 235, scrive il frammento con il punto di domanda, come interrogativa disgiuntiva. Interpretazione Il lessico usato nel frammento pertiene all’ ambito dei dazi imposti da Atene sul commercio marittimo. Il parlante (non identificabile) allude alla riscossione, da parte del suo interlocutore (ma potrebbe trattarsi anche di un ‘tu’ generico), della tassa portuale (ellimenion)1194 o (in alternativa) all’ imposta del dieci per cento (dekatē) sulle merci delle navi che transitavano per l’ Ellesponto1195. La mancanza di un contesto più ampio non permette di stabilire se i due verbi siano usati in senso proprio1196 oppure figurato1197.
1194
Cfr. [Xen.] Ath. Pol. 1, 17 (tassa dell’1% sulle merci che approdavano al Pireo); Xen. Vect. 4, 40 (fonte di entrate pubbliche, come le tasse sui beni venduti nell’ agora); Dem. 1, 22 (i Tessali non vogliono più concedere a Filippo i diritti economici su porti e mercati); Aen. Tact. 29, 5 (secondo il quale la tassa portuale dipendeva dal valore delle merci trasportate, distinguendola dal semplice diritto di ormeggio); Arist. Oec. 2, 1350a, 16–22 (sull’ appalto della riscossione dei diritti portuali); Dem. 34, 34 (tassa dipendente dal valore delle merci). Cfr. inoltre Pleket 1958, 129–33, per il quale l’ ellimenion era una flat-tax, indipendente dal valore della merce trasportata; Gofas 1969, 344–5; Chankowski 2007, 313–19; Carrara 2014a; Fawcett 2016, 160–2. 1195 Tale imposta fu introdotta da Alcibiade dopo le vittorie di Abido e Cizico, nel 410 a. C. (Xen. Hell. 1, 1, 22), ma era probabilmente precedente (cfr. Fawcett 2016, 159); dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso, fu ripristinata da Trasibulo nel 390 / 89 a. C. (cfr. Xen. Hell. 4, 8, 27). Il suo valore alto, se paragonato all’ imposta del 5% (eikostē) sul traffico marittimo, che nel 413 a. C. aveva sostituito il tributo versato annualmente ad Atene dalle città alleate, si spiega considerando la grande importanza strategica e commerciale della zona degli stretti (cfr. Fawcett 2016, 159–60). Cfr. inoltre Chankowski 2007, 311–2; 314–5. 1196 Cfr. ad es. Ar. Vesp. 656 ss., in cui Bdelicleone calcola le rendite annue della polis ateniese per dimostrare al padre che solo una piccola parte delle entrate sono impiegate a favore del popolo, disvelando le mistificazioni della classe dirigente (per l’ esagerazione di questo computo, cfr. Mastromarco 1983, 498); Ran. 363–5, in cui il Coro attacca Toricione, corrotto esattore della ‘ventesima’ (eikostē; vd. n. 1195), che approfittava della sua posizione per speculare sul contrabbando di attrezzature navali (delle quali era vietata la vendita ai nemici durante la guerra del Peloponneso). 1197 Cfr. ad es. ἐλλιμένιον in Eup. fr. 55, per il quale vd. infra.
Πολύιδος (fr. 473)
249
ἐλλιμενίζεις Per il verbo denominativo ἐλλιμενίζω (da ἐν- e λιμήν, ‘porto’), che compare per la prima volta in questo frammento, cfr. Hesych. ε 3173 (ἐνλιμενίζειν· τελωνίζειν τὰ ἀπὸ λιμένων καὶ θαλάσσης); dal verbo deriva il nome di agente ἐλλιμενιστής (cfr. Lex. Bekk. V p. 251, 30: ἐνλιμενισταί· οἱ ἐν τοῖς λιμέσι τελῶναι). L’ aggettivo sostantivato (τὸ) ἐλλιμένιον (‘tassa portuale’) è attestato per la prima volta, forse con uso figurato (la tariffa di ingresso in un bordello)1198, in Eup. fr. 55 (= Poll. 9, 30: ἐλλιμένιον δοῦναι πρὶν εἰσβῆναι σε δεῖ); λιμένες (‘porti’) indica per metonimia la tassazione portuale in Ar. Vesp. 6591199. δεκατεύεις Per il verbo denominativo δεκατεύω (da δεκάτη, ‘decima’), cfr. Hesych. δ 563 (δεκατεύειν· τελωνεῖν, δεκάτην εἰσπράττεσθαι […]). Il verbo è attestato, prima di Ar. fr. 472, nel senso di ‘offrire la decima (a una divinità)’ (cfr. ad es. Hdt. 1, 89, 3; 7, 132, 2).
fr. 473 K.-A. (456 K.) Phot. ε 1912 = Et. gen. B (Et. magn. p. 373, 18–20) = Sud. ε 2965 = Apost. 7, 92 ἔ ρ η μ ο ν ἐ μ β λ έ π ε ι ν· ἀκίνητον καὶ νωθρόν, οἷον ὅταν εἰς ἐρημίας ἢ πέλαγος μέγα καὶ ἀχανὲς βλέπωμεν. Ἀριστοφάνης Πολυΐδῳ (Πολυείδῳ Et. magn. DP, Apost.; Ἀρ. Πολ. om. Et. gen.) ἐρήμην βλέπειν Bergk e r ē m o n e m b l e p e i n (“fissare il vuoto”): immobile e assente, come quando volgiamo lo sguardo a regioni deserte o a un mare vasto e immenso. Aristofane nel Polyidos.
Metro
Giambico
wlwl wl
Bibliografia Dindorf 1829, 171 (~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1135–6; Bothe 1844, 132–3; Kock, I (1880), 509; Blaydes 1885, 234–5; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 252; Henderson 2007, 336–7; Pellegrino 2015, 275. Contesto della citazione Il lemma relativo all’ espressione idiomatica ἔρημον ἐμβλέπειν (“fissare il vuoto”) in Phot. ε 1912 (= Et. gen. B, da cui Et. magn. p. 373, 18–9; Sud. ε 2965, da cui forse Apost. 7, 92)1200 cita come esempio il Polyidos di Aristofane, senza riportare il testo. La fonte poteva essere il lessico atticista di Elio Dioniso (Ael. Dion. ε *61), per il quale vd. supra, p. 69. Testo Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1136), propone in nota, sulla base di considerazioni stilistiche, la correzione ἐρήμην βλέπειν, che non è adottata da 1198
Cfr. PCG, V (1986), 324; Olson 2017a, 201. Cfr. Olson 2017a, 201–2 n. 112. 1200 Cfr. Theodoridis, ad Phot. ε 1912. 1199
250
Aristophanes
nessun editore moderno. Il testo tràdito, infatti, si inserirebbe perfettamente in un trimetro giambico. Interpretazione Per il senso dell’ espressione figurata, non attestata altrove, corrispondente all’ italiano ‘fissare il vuoto’, cioè ‘guardare fisso davanti a sé’ con sguardo assente, cfr. Taillardat 1965, 264. Per modi di dire analoghi, con βλέπειν e l’ accusativo sostantivato, cfr. ad es. Ar. Ach. 254 (βλέπουσα θυμβροφάγον); Eq. 631 (κἄβλεψε νᾶπυ); Vesp. 455 (βλεπόντων κάρδαμα); Pl. 328 (βλέπειν […] Ἄρη); Aesch. Sept. 498 (φόβον βλέπων)1201.
fr. 474 K.-A. (457 K.) Moer. (CVF) ο 34 Hansen (= p. 205, 19 Bekk.) ο ὐ κ ἀ π ή ρ κ ε ι ἀντὶ τοῦ οὐκ ἀπέχρη Ἀριστοφάνης Πολυίδῳ. Aristofane nel Polyidos (usa) o u k a p ē r k e i invece di ouk apechrē (“non bastava”).
Metro
Non determinabile
lwll
Bibliografia Dindorf 1829, 171 (~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1136; Bothe 1844, 133; Kock, I (1880), 509; Blaydes 1885, 234; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 252; Henderson 2007, 336–7; Pellegrino 2015, 275. Contesto della citazione Il lessico atticista di Meride (ο 34 Hansen = p. 205, 19 Bekk.), del II sec. d. C., attesta l’ uso, nel Polyidos di Aristofane, del verbo ἀπαρκέω (impf. 3a p. s.) al posto del più comune ἀποχράω nel senso di ‘(non) bastare’ (vd. infra, Interpretazione); il lemma non riporta tuttavia il testo. Interpretazione In relazione al mito oggetto della parodia aristofanea1202, forse la capacità mantica di Poliido (oppure la prepotenza di Minosse) “non bastava” per risuscitare Glauco, senza la visione del serpente. In mancanza di un contesto più ampio, tuttavia, qualunque ipotesi interpretativa risulta aleatoria. Il verbo ἀπαρκέω, nel senso di ‘bastare’, ‘essere sufficiente’, pur non essendo attestato esclusivamente nella tragedia1203, potrebbe essere qui paratragico: cfr. Aesch. Pers. 474 (κὀυκ ἀπήρκεσαν); Soph. OC 1769 (ταῦτ᾽ ἂν ἀπαρκοῖ); Eur. fr. 892, 4 Kn. (ὧν οὐκ ἀπαρκεῖ πλησμονή).
1201
Cfr. anche Mastromarco 1983, 134. Espressioni analoghe, con un accusativo avverbiale, sono ὀξὺ βλέπειν (cfr. ad es. Ar. Lys. 1202; Plat. Symp. 219a; Xen. Cyn. 5, 26), δριμὺ βλέπειν (cfr. ad es. Ar. Ran. 562). 1202 Vd. supra, pp. 234–5. 1203 Cfr. ad es. Aeschn. Socr. fr. 35, 12; Dion. 11, 1, 2.
Πολύιδος (fr. 475)
251
fr. 475 K.-A. (458.459 K.) Et. gen. AB (Et. magn. p. 451, 52–4) = Sud. (A2GIFVM) θ 369 θ η σ ε ι ό τ ρ ι ψ· ὁ ἐν τῷ (τοῖς Sud.) Θησείῳ (θησέω ) διατρίψας (Et. gen. A, θησέως Et. magn. D, Sud. A2GF, θησέ Sud. M, θησέοις Sud. V, θησείοις Sud. I). Ἀριστοφάνης Πολυΐδῳ. καὶ θ η σ 〈 ε ι 〉 ο μ ύ ζ ω ν δὲ ἐν τῷ αὐτῷ λέγει (vel λέγεται, compend. inc.). Ὦρος ὁ Μιλήσιος (Ἀρ. ― Μιλ. deficit Sud.). θησειότριψ· 〈ει·〉 Reitzenstein
θησ〈ει〉ομύζων Anon. ap. Gaisford: θησομύζειν Et. M.
t h ē s e i o t r i p s: chi risiede nel tempio di Teseo. Aristofane nel Polyidos. E nel medesimo (dramma) dice (si dice) t h ē s 〈 e i 〉 o m y z ō n (“che geme nel tempio di Teseo”). Oros di Mileto.
Metro
Non determinabile
llwl (θησειότριψ) l〈l〉wll (θησ〈ει〉ομύζων)
Bibliografia Dindorf 1829, 171 (~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1136; Bothe 1844, 133; Kock, I (1880), 509; Blaydes 1885, 234; Reitzenstein 1897, 297 n. 3; van Herwerden 1903, 44; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 252; Henderson 2007, 336–7; Gottesman 2014, 161; Pellegrino 2015, 275–6. Contesto della citazione L’ Etymologicum genuinum (da cui Et. magn. p. 451, 52–4), che cita come fonte Oros di Mileto1204, indica il Polyidos di Aristofane come attestazione dell’ uso del composto θησειότριψ (“che risiede nel tempio di Teseo”), senza riportare il testo1205; nel lemma collegato si cita il medesimo dramma come esempio dell’ utilizzo del composto simile θησ〈ει〉ομύζων (“chi geme nel tempio di Teseo”)1206. Testo Reitzenstein 1897, 297 n. 3, ha proposto la correzione θησειότριψ· 〈ει·〉, perché il lemma di Oros doveva segnalare la grafia del composto con il dittongo ει. Il tràdito θησομύζων è corretto in θησ〈ει〉ομύζων da un anonimo filologo (cfr. Gaisford 1848, 1291g [ad loc.])1207; per quanto riguarda la forma composta, van Herwerden 1903, 44, ipotizza la grafia θησειομυξεῖν1208, mentre Kaibel (ap. PCG,
1204
Per l’ incerta identificazione di questo lessicografo e la confusione con l’ ononimo Oros di Alessandria, cfr. Alpers 1981, 86–7; 2000, 52; per le fonti dell’ Etymologicum genuinum vd. anche Tosi 1998b, 198–9. 1205 Il medesimo lemma in Sud. θ 369, dove però manca il riferimento al dramma aristofaneo. 1206 Per le due forme composte, vd. infra, Interpretazione. 1207 Correzione introdotta nel testo del fr. 475 da Kassel–Austin, PCG, III 2 (1984), 252, seguiti da Henderson 2007, 336; Pellegrino 2015, 275. 1208 Seguito da Edmonds, I (1957), 700 (θησειομυξῶν).
252
Aristophanes
III 2 [1984], 252) suppone dubitativamente θησειομυστεῖν o θησειομυχεῖν. La correzione dell’ anonimo appare tuttavia più rispettosa del testo tràdito. Interpretazione Ad Atene il sacrario di Teseo, dove erano conservate le ossa del mitico re della città, era un luogo di asilo per schiavi maltrattati dai padroni, che vi si rifugiavano in attesa di essere venduti nuovamente, e in genere per perseguitati e supplici1209: vd. ad es. Ar. fr. 577 (ἐμοὶ κράτιστον ἐς τὸ Θησεῖον δραμεῖν, | ἐκεῖ δ᾿ ἕως ἂν πρᾶσιν εὕρωμαι μένειν), tratto dalle Hōrai1210; Eq. 1311–2 (ἢν δ᾿ ἀρέσκῃ ταῦτ᾿ Ἀθηναῖοις, καθῆσθαί μοι δοκῶ | εἰς τὸ Θησεῖον πλεούσας […])1211 con lo schol. Ar. Eq. 1312a (εἰς τὸ Θησεῖον· ἐνταῦθα οἱ καταφεύγοντες τῶν ἱκετῶν ἀσυλίαν εἶχον, μέσον δὲ τῆς πόλεως ἦν τῶν Ἀθηνῶν); Eup. fr. 229 (κακὰ τοιάδε | πάσχουσιν οὐδὲ πρᾶσιν αἰτῶ)1212; Pher. fr. 46 (Κάλλαισχρον ἐν τῷ Θησέῳ καθήμενον)1213. In mancanza di un contesto più ampio, non abbiamo indicazioni per stabilire a chi fossero riferiti i due composti del fr. 475: potrebbe trattarsi di uno schiavo maltrattato (quindi di un tipo comico)1214, oppure di un altro personaggio che subiva le angherie di un potente, come Poliido nella tragedia euripidea. Il riferimento al Thēseion fa pensare a un’ ambientazione ateniese, ma non denota di per sé un ruolo di Teseo nella commedia1215. θησειότριψ Aggettivo (hapax legomenon) composto da θησειο- e dalla radice τριβ- del verbo τρίβω (‘dimorare, soggiornare’); cfr. l’ analogo οἰκότριψ (“schiavo nato in casa”) in Ar. Thesm. 426; per il significato di (δια)τρίβω, Ar. Nub. 1002 (ἐν γυμνασίοις διατρίψεις)1216. θησ〈ει〉ομύζων Participio (hapax legomenon) composto da θησειο- come primo elemento e dal verbo onomatopeico μύζω (‘mugolare, gemere’), attestato in Ar. Thesm. 231 e derivato dall’ interiezione μῦ μῦ (cfr. Ar. Eq. 10; Thesm. 231), che riproduce un mugolio lamentoso (cfr. López Eire 1996, 159; Labiano Ilundain 2000, 245–6)1217. 1209
Cfr. ad es. Mastromarco 1983, 313; Christensen 1984, 23–42; Hansen 1991, 121; Di Cesare 2011, 553a; Tordoff 2013, 44; Bravi 2014, 162–4; Gottesman 2014, 155–79; Olson 2016, 263–4 (ad Eup. fr. 229). 1210 In questo frammento il parlante potrebbe non essere uno schiavo, ma un dio straniero, respinto dagli Ateniesi (Kaibel, ap. PCG, III 2 [1984], 297), oppure, secondo un’ altra ipotesi interpretativa, una delle Stagioni, che davano il titolo alla commedia (Moreau 1954, 339 = 1964, 191–2), “benefiche […] e tuttavia malamente trascurate” (Delneri 2006, 81); cfr. PCG, III 2 (1984), 297; Delneri 2006, 79–81; Pellegrino 2015, 328; Bagordo 2020, 186. 1211 In questi versi il Corifeo riferisce le parole pronunciate da una trireme ateniese personificata, che rifiuta di essere comandata dal demagogo Iperbolo (vd. supra, pp. xx). 1212 Cfr. PCG, V (1986), 431; Storey 2003, 220; Olson 2016, 262–5. 1213 Cfr. PCG, VII (1989), 125; Urios-Aparisi 1992, 183. 1214 Così Taillardat 19652, 155. 1215 Diversamente Pellegrino 2015, 476. 1216 Per i composti come caratteristici dello stile comico, cfr. Tribulato 2015, 336. 1217 Per i composti come caratteristici dello stile comico, vd. supra, n. 1216.
Πολύιδος (fr. 476)
253
fr. 476 K.-A. (460 K.) Poll. (FSCLBA) 9, 130 εἴποις ἂν ἐπὶ τοῦ ὅμοιος ἐοικώς, προσόμοιος – ὁ γὰρ (ὁ γὰρ om. ABCL) παρόμοιος παρ᾿ ὀλίγον ὅμοιός ἐστι (παρ᾿ ὀλ. ― ἐστι om. ABCL) – παρεοικώς, παραπλήσιος, ἐμφερής, προσφερής, προσφέρων. Ἀριστοφάνης δὲ ἐν Πολυείδῳ καὶ π ρ ο σ ε μ φ ε ρ ὴ ς εἶπε, Πλάτων (Pol. 261d) δὲ προσεοικώς (Ἀρ. ― προσεοικώς om. AB; Ἀρ. ― Πλάτων δὲ om. CL). Potresti dire, in riferimento a homoios (“simile”), eoikōs, prosomoios – paromoios, infatti, è “pressoché simile”– pareoikōs, paraplēsios, empherēs, prospherēs, prospherōn. Aristofane nel Polyidos disse anche p r o s e m p h e r ē s, Platone (Pol. 261d) proseoikōs.
Metro
Giambico
wlwl
Bibliografia Dindorf 1829, 171 (~ II [1835], 641; 1838, 500; 18695, 214); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1136; Bothe 1844, 133; Kock, I (1880), 509; Blaydes 1885, 235; Edmonds, I (1957), 700–1; PCG, III 2 (1984), 253; Henderson 2007, 338–9; Pellegrino 2015, 276. Contesto della citazione Il lessico di Polluce (mss. FS), nel contesto di una lista di sinonimi di ὅμοιος (“simile”), attesta l’ uso dell’ aggettivo προσεμφερής nel Polyidos di Aristofane, senza riportare il testo. Interpretazione L’ aggettivo προσεμφερής (“simile”), meno comune rispetto ad altri sinonimi elencati da Poll. 9, 130 (quali, ad es., προσφερής e παρόμοιος), è attestato, nella medesima posizione metrica (l’ ultimo metron di un trimetro giambico), in Eur. fr. 382, 13 Kn. (τὸ λοίσθιον δὲ τῷ τρίτῳ προσεμφερές), tratto dal Thēseus; Agathon. fr. 4, 3 Sn. (Σκυθικῷ τε τόξῳ τὸ τρίτον ἦν προσεμφερές); Theodect. fr. 6, 4 Sn. (τρίτον δ᾿ ἑλικτῷ βοστρύκῳ προσεμφερές)1218. Pur non trattandosi di parola esclusiva della tragedia (cfr. ad es. Hdt. 4, 2, 11219; Arist. HA 9, 43, 629a1220)1221, non si può escludere che nel Polyidos suonasse paratragico1222.
1218
Può trattarsi di variante metrica, preferita cioè metri causa, per chiudere il trimetro giambico. In tutti e tre i frammenti il parlante cerca di descrivere una lettera dell’ alfabeto. 1219 ἐπεὰν φυσητῆρας λάβωσι ὀστεῖνους αὐλοῖσι προσεμφερεστάτους […]. 1220 ἡ δὲ τενθρηδὼν προσεμφερὴς μέν ἐστι τῇ ἀνθρήνῃ […]. 1221 Cfr. anche Xen. Symp. 4, 19 (ὁ δὲ Σωκράτης καὶ ἐτύγχανε προσεμφερὲς τούτοις ὤν), probabile interpolazione (cfr. Henderson, ap. Marchant–Todd 20132, 603: “probably an interpolated comment”), perciò espunta da alcuni editori moderni (cfr. ad es. Marchant 19212; Henderson, ap. Marchant–Todd 20132 ad loc.). 1222 Cfr. Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 253.
254
Προάγων (Proagōn) (“Proagone”) Data
422 a. C. (?)
Bibliografia Bothe 1828, 4; Dindorf 1829, 64–9 (~ II [1835], 548–52; 1838, 457–8; 18695, 189); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1136–7; Bothe 1844, 133–4; Petersen 1862, 662–3; Green 1868, VII; Hiller 1873, 404–5; Rogers 1875, III–XI; Wilamowitz 1875, 153 n. 4; Leo 1878, 404; Kock, I (1880), 509–10; Blaydes 1885, 238–40; Briel 1887, 49–51; Gröbl 1889–90, 55–63; Zacher 1890, 332; Zelle 1892, 20–2; van Leeuwen 1893, 4–5 (=19092, 4–5); Starkie 1897, 391–2; Merry 18982, V–VIII; van Daele, ap. Coulon, II (1925), 7; Schmid 1946, 190–1; Cantarella, III (1954), 213; Russo 1962 (= 1994, 121–4); Geißler 19692, 38–9 e add. XIV; Edmonds, I (1957), 700–3; Gelzer 1970, 1405–6; MacDowell 1971, 124; Blum 1977, 76–7; 85–7 (= 1991, 36; 40–1; 222); Mastromarco 1978, 29–32; 1983, 55–7; Sommerstein 1983, XV; PCG, III 2 (1984), 253; Gil 1989, 97–9 (= 1996, 180–2; 2010, 108–10); Mastromarco 19962, 53–4; Carrière 2000, 201; 227–8; Henderson 2007, 339 (~ 2011, 317); Zimmermann 2011a, 767; Bagordo 2014b, 166; Biles– Olson 2015, 72–3; Pellegrino 2015, 277. Titolo È attestato dai Catalogi fab. Ar. (Catal. fab. Ar. pap. = test. i; Prol. de com. XXXa, p. 142, 18 Koster = test. ii) e dallo schol. Ar. Vesp. 61c (= test. iv). Il proagōn (‘proagone’) era una cerimonia che si svolgeva qualche giorno prima delle Grandi Dionisie, durante la quale i tragediografi in gara agli agoni teatrali presentavano al pubblico l’ argomento dei loro drammi: cfr. schol. Aeschn. 3, 67 [= 145 Dilts]1223; schol. Ar. Vesp. 1109a1224. Il proagone avveniva nell’ Odeion, un edificio teatrale utilizzato come auditorium musicale, fatto costruire da Pericle intorno al 440 a. C. (cfr. schol. Aeschn. 3, 67 [= 145 Dilts]; schol. Ar. Vesp. 1109a)1225. I tragediografi erano accompagnati dagli attori e probabilmente anche dai coreuti1226,
1223
ἐγίγνοντο πρὸ τῶν μεγάλων Διονυσίων ἡμέραις ὀλίγαις ἔμπροσθεν ἐν τῷ Ὠιδείῳ καλουμένῳ τῶν τραγῳδῶν ἀγὼν καὶ ἐπίδειξις ὧν μέλλουσι δραμάτων ἀγωνίζεσθαι ἐν τῷ θεάτρῳ, δι’ ὃ ἐτύμως προαγὼν καλεῖται. εἰσίασι δὲ δίχα προσωπείων οἱ ὑποκριταὶ γυμνοί. Come dimostrato da Rohde 1883, 252 ss. (= 1901, 382 ss.), contra Hiller 1873, non doveva trattarsi di un agōn vero e proprio, ma appunto di una presentazione pubblica o anteprima (epideixis o apangelia; cfr. anche infra lo schol. Ar. Vesp. 1109a); vd. inoltre Pickard-Cambridge 19882, 67–8 (= 1996, 93–5); Mastromarco 1992, 345; Gil 1989, 97–8 (= 1996, 180–1; 2010, 108–9); Wilson 2000, 95–7. 1224 οἱ δ´ ἐν τῷ Ὠιδείῳ· τόπος ἐστὶ θεατροειδής, ἐν ᾧ εἰώθεσαν τὰ ποιήματα ἀπαγγέλλειν, πρὶν τῆς εἰς τὸ θέατρον ἀπαγγελίας. […]. 1225 Per il significato politico di questo edificio teatrale e il suo rapporto con la ‘ nuova musica’ (per la quale vd. supra, pp. 231–2), cfr. Mosconi 2000. Non a caso Cratin. fr. 73 raffigura comicamente Pericle con in testa l’ Odeion. 1226 Vd. infra (n. 1228), Vita Eur. 2, p. 3, 11–5 Schwartz (= T 1 Ia, 11 Kn. = Soph. T 54 R. = TrGF DID C 20); cfr. Wilson 2000, 96
Προάγων
255
senza maschere e abiti di scena (cfr. schol. Aeschn. 3, 67 [= 145 Dilts]), ma con le corone sul capo (poiché si trattava di una cerimonia religiosa, preceduta da un sacrificio e conclusa da un banchetto)1227, come si inferisce dalla Vita Eur. 2, p. 3, 11–5 Schwartz (= T 1 Ia, 11 Kn. = Soph. T 54 R. = TrGF DID C 20)1228, secondo la quale, dopo l’ annuncio della morte di Euripide (406 a. C.), Sofocle si presentò al proagone vestito a lutto, accompagnato dal coro e dagli attori senza corone (ἀστεφανώτους). Questa presentazione pubblica aveva luogo anche prima delle Lenee, stante la testimonianza di Plat. Symp. 194a–b1229, riferito alla vittoria di Agatone agli agoni lenaici del 416 a. C. (cfr. Athen. 5, 217a), preceduta da un’ epideixis (cfr. ἐπιδείξεσθαι in Plat. Symp. 194b)1230 del giovane tragediografo, accompagnato dagli attori. Analoghe tematiche metateatrali sembrano attestate da titoli della commedia archaia quali le Didaskaliai di Cratino (fr. 38)1231, i Rhabdouchoi1232 e le Skeuai di Platone comico (frr. 136–42)1233. Contenuto Il titolo sembra suggerire la parodia di un evento culturale molto importante nella vita cittadina, preludio agli agoni tragici (vd. supra, Titolo)1234. Lo schol. Ar. Vesp. 61c (= test. iv) ci informa che Euripide era uno dei personaggi, come negli Acarnesi (vv. 407–79), in cui il dialogo tra il poeta tragico e Diceopoli introduce la parodia del discorso di Telefo da parte del protagonista1235, e nei perduti Dramata (per i quali vd. infra, ad test. iv). Euripide è portato in scena da Aristofane anche nelle Tesmoforiazuse (citate dallo schol. Ar. Vesp. 61b, riportato 1227
Cfr. Gil 1989, 98 (= 1996, 181; 2010, 109). λέγουσι δὲ καὶ Σοφοκλέα, ἀκούσαντα ὅτι [sc. Εὐριπίδης] ἐτελεύτησεν, αὐτὸν μὲν ἐν ἱματίῳ φαιῷ προελθεῖν, τὸν δὲ χορὸν καῖ τοὺς ὑποκριτὰς ἀστεφανώτους εἰσαγαγεῖν ἐν τῷ προαγῶνι […]. 1229 ἐπιλήσμων μεντἂν εἴην, ὦ Ἀγάθων, εἰπεῖν τὸν Σωκράτη, εἰ ἰδὼν τὴν σὴν ἀνδρείαν καὶ μεγαλοφροσύνην ἀναβαίνοντος ἐπὶ τὸν ὀκρίβαντα μετὰ τῶν ὑποκριτῶν, καὶ βλέψαντος ἐναντία τοσούτῳ θεάτρῳ, μέλλοντος ἐπιδεῖξασθαι σαυτοῦ λόγους […], νῦν οἰηθείην σε θορυβήσεσθαι ἕνεκα ἡμῶν ὀλίγων ἀνθρώπων. 1230 Cfr. Pickard-Cambridge 19882, 67 (= 1996, 94); Gil 1989, 97 (= 1996, 180–1; 2010, 108); Wilson 2000, 345, n. 206. Dover 1980, 122, intende invece tale epideixis come la rappresentazione del dramma di Agatone al festival teatrale vero e proprio. 1231 Cfr. Bakola 2010, 118–9; Bianchi 2016, 193–4. 1232 Cfr. Pirrotta 2009, 270–1. 1233 Cfr. Pirrotta 2009, 272–83. 1234 Anche in altre commedie di Aristofane la parodia verte su forme stabili non letterarie, come ad es. le procedure e le preghiere preliminari di un’ assemblea (ekklesia) in Thesm. 295–371, una seduta giudiziaria in Vesp. 868–1008, il ricevimento di una delegazione da parte dell’ ekklesia in Ach. 61–173; l’ estetica moderna ha perciò ampliato il significato del termine, comprendendo pure l’ imitazione di modi di pensare, consuetudini e tradizioni, e la caricatura della mimica e del modo di parlare di personaggi noti (cfr. ad es. Grellmann 1926–28, 631a–632a; Mitsdörffer 1954, 60 e n. 2; Rau 1967, 10). 1235 Per la parodia del Tēlephos euripideo negli Acarnesi (vv. 280–625), cfr. ad es. Rau 1967, 19–42. 1228
256
Aristophanes
infra, n. 1257), quasi interamente incentrate sulla parodia dei drammi del terzo grande tragico1236, e nelle Rane, in cui egli si confronta con Eschilo in un dibattito (Ar. Ran. 830 ss.) che rappresenta una importantissima fonte sul teatro classico, per la sapiente deformazione comica delle caratteristiche dei due poeti1237. Anche il Proagōn poteva forse contenere una riflessione metateatrale, sviluppata attraverso il confronto sulla scena degli autori (tra cui Euripide), che presentavano una burlesca parodia dei propri drammi (‘proagone’). I frr. 477–8 suggeriscono la parodia del Thyestēs euripideo (frr. 391–7b Kn.)1238, una tragedia incentrata su un mito molto noto, portato in scena anche da Sofocle (frr. 247–69 R.)1239, Agatone (TrGF 39 F 3), Diogene di Atene (TrGF 45 T 1), Apollodoro (TrGF 64 T 1), Carcino II (TrGF 70 F 1), Cheremone (TrGF 71 F 8), Cleofonte (TrGF 77 F 7), Diogene di Sinope (TrGF 88 F 1d) e, nel teatro romano, da Ennio (frr. I–XI, 295–312 R.3), Vario Rufo (1–2 R.3), Gracco (3 R.3) e dal filosofo Seneca1240. Atreo, per vendicare il tradimento del fratello Tieste1241, ne uccide i figli e glieli imbandisce in un orrido banchetto, fingendo una riconciliazione: in tal modo il padre, senza saperlo, si ciba delle loro carni. Questa leggenda è alla base di tutte le successive vicende tragiche degli Atridi, portate sulla scena da Eschilo nell’ Oresteia, da Sofocle nell’ Elettra e da Euripide nell’ Elettra e nell’ Oreste.
1236
Nuovamente Tēlephos (Ar. Thesm. 689 ss.), quindi Palamēdēs (Ar. Thesm. 765 ss.), Elena (Ar. Thesm. 850 ss.) e Andromeda (Ar. Thesm. 1009 ss.); cfr. ad es. Rau 1967, 42–89. 1237 Per la parodia tragica nelle Rane cfr. ad es. Rau 1967, 115–36. 1238 Vd. infra il commento relativo. Terminus ante quem per la rappresentazione del dramma è il 425 a. C., se a questo allude il riferimento agli “stracci di Tieste” in Ar. Ach. 433 (κεῖται δ᾿ἄνωθεν τῶν Θυεστείων ῥακῶν); cfr. schol. Ar. Ach. 433 (= Eur. Thyest. test. ii Kn. = Krēss. test. iv Kn.: ἢ τῶν Κρησσῶν ἢ αὐτοῦ τοῦ Θυέστου) e Kannicht, ap. TrGF, V 1 (2004), 438; Collard‒Cropp , I (2008), 430. 1239 È questione dibattuta quante tragedie con questo titolo furono portate in scena da Sofocle, a cui sono riferiti tre distinti titoli relativi a questo mito: Atreus ē Mykēnaiai (frr. 139–41 R.), Thyestēs e Thyestēs Sikyōnios (o en Sikyōni); cfr. ad es. Radt, ap. TrGF, IV 1 (1977), 162 e 239; Lloyd-Jones 20032, 106; Carpanelli 2014, 21–3; Bonandini 2019, 137. 1240 Per altre attestazioni del mito di Tieste sulla scena tragica romana vd. Ribbeck, I (18973), 335; Bonandini 2019, 135. Cfr. inoltre Aesch. Ag. 1215 ss., in cui il macabro banchetto offerto da Atreo al fratello è rievocato da Cassandra. Nel teatro romano del II–I sec. a. C. composero inoltre un Atreus Accio (frr. I–XX, 196–2342 R.3) e Pomponio (1–2 R.3); per altre attestazioni del titolo vd. Ribbeck, I (18973), 333; Bonandini 2019, 135. 1241 Nella contesa tra i due fratelli per il trono di Micene, Erope, moglie di Atreo, innamorata di Tieste, gli dona segretamente un vello d’ oro che risulta di fondamentale importanza per dirimere la controversia a favore di quest’ultimo. Tieste, sconfitto in seguito da Atreo ed esilato, manda contro il fratello il di lui figlio Plistene, che era stato allevato dallo zio come proprio e che il padre uccide senza riconoscerlo. Per i particolari di questo scontro fratricida vd. ad es. Ferrari 1999, s. v. Atreo.
Προάγων (test. i)
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Datazione L’ arg. Ar. Vesp. II Koster (= test. iii) permette di datare la commedia alle Lenee del 422 a. C.1242, in cui essa conseguì il primo premio, ma ne attribuisce la paternità a Filonide, che fu didaskalos delle Vespe, seconde classificate nel medesimo agone. Si suppone in genere che Aristofane, non potendo partecipare alle Dionisie a causa della sconfitta subitavi con le Nuvole prime l’ anno precedente1243, abbia fatto richiedere formalmente il coro per il suo Proagōn a Filonide, per poter presentare due commedie alle Lenee1244; tuttavia alcuni ritengono che il Proagōn del 422 a. C. fosse di Filonide1245, nel qual caso l’ omonima commedia aristofanea sarebbe stata rappresentata in una data diversa e non determinabile1246.
test. i K.-A. (= Ar. test. 2c 16 K.-A.) Catal. fab. Ar. pap. = P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 2, col. I 16 Προ]άγων Pro]agōn (“Proagone”)
Contesto fane.
Catalogo papiraceo (II sec. d. C.) dei titoli delle commedie di Aristo-
test. ii K.-A. (= Ar. test. 2a 22 K.-A.) Catal. fab. Ar. (M Rs Vat. 918) = Prol. de com. XXXa, p. 142, 18 Koster Προάγων προαγών M Vat. 918: προ*** Rs Proagōn (“Proagone”)
Bibliografia
Vd. supra, ad Ar. Nēs. test. i.
Contesto Catalogo alfabetico manoscritto dei titoli delle commedie di Aristofane. Testo Per l’ accentazione parossitona cfr. supra, test. i; Arcad. p. 10, 17–20 Bark. (= p. 9, 7–10 Schm.: τὰ εἰς γων ὑπὲρ δύο συλλαβὰς […] βαρύνεται μὲν, ὅσα φυλάττει τὸ ω κατὰ τὴν γενικήν, […] προάγων […]). 1242
Cfr. ad es. Geißler 19692, 82; Carrière 2000, 201; Zimmermann 2011a, 767. Cfr. Mastromarco 1978, 25 ss. 1244 Vd. infra, ad test. iii. 1245 Vd. infra, n. 1252. 1246 Per la discussione critica relativa all’arg. Ar. Vesp. II Koster e al rapporto tra il Proagōn di Aristofane e l’ omonima commedia filonidea, vd. infra, ad test. iii. 1243
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Aristophanes
test. iii K.-A. (= Leuc. test. 3a K.-A.) Arg. Ar. Vesp. (RVlhAld) II, p. 6, 37–9 Koster (= I MacDowell) ἐδιδάχθη ἐπὶ ἄρχοντος Ἀμεινίου (423 / 2 a. C.) διὰ Φιλωνίδου ἐν τῇ πθʹ Ὀλυμπιάδι (424 / 1 a. C.). βʹ ἦν, εἰς Λήναια. καὶ ἐνίκα πρῶτος Φιλωνίδης Προάγωνι, Λεύκων Πρέσβεσι γʹ. Ἀμεινίου Brunck: ἀμυνίου codd. ἐν τῇ πθʹ Kanngiesser: ἐν τῇ πόλει codd. Ὀλυμπιάδι R V: ὀλυμπίων lh Ald c βʹ ἦν RV: ἦν βʹ lh Ald c: ἔτει βʹ Kanngiesser Προάγωνι Koster: Προαγῶνι R: sine accent. V: Προάγων lh Ald c Λεύκων Dindorf: λευκῶν R V: γλευκεῖς lh c: γλαύκων Ald Πρέσβεσι R Ald: -βεις V lh c γʹ R V: τρεῖς lh c: τρίτος Ald (La commedia) fu rappresentata sotto l’ arcontato di Aminia (423 / 2 a. C.) per (la regia di) Filonide, nella 89a Olimpiade (424 / 1 a. C.). Fu seconda alle Lenee. E vinse come primo (classificato) Filonide con il Proagōn, Leucone con i Presbeis (fu) terzo.
Bibliografia Brunck, II (1783), notae 201; Kanngiesser 1817, 270; Bothe 1828, 4; Dindorf 1829, 64–9 (~ II [1835], 548–52; 1838, 457–8; 18695, 189); Hermann 1829, 1631; Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1136–7; Petersen 1862, 662 ss.; Hiller 1873, 404–5; Wilamowitz 1875, 153 n. 4; Leo 1878, 404; Kock, I (1880), 509–10; Blaydes 1885, 238–40; Briel 1887, 49–51; van Leeuwen 1888, 251–8; Gröbl 1889–90, 55–63; Merry 18982, V–VIII; Zelle 1892, 20–2; van Leeuwen 1893, XXXVI–XL; 4; Starkie 1897, 391–2; van Leeuwen 19092, 4–5; Rogers 1875, III–XI; Russo 1962 (= 1994, 121–4); Geißler 19692, 38–9 e add. XIV; Gelzer 1970, 1405–6; MacDowell 1971, 123–5; Blum 1977, 76–7; 85–7 (= 1991, 36; 40–1; 222); Mastromarco 1978, 29–32; 1983, 55–7; Sommerstein 1983, XV; Gil 1989, 98–9 (= 1996, 182; 2010, 109–10); Henderson 2007, 337–9 (~ 2011, 317); Bagordo 2014b, 13–4 e 166; Biles–Olson 2015, 72–3. Contesto Argomento (hypothesis) delle Vespe di Aristofane. Sono riportate le commedie rappresentate nel medesimo agone e la loro posizione nella classifica finale. Testo Il nome dell’ arconte Aminia (Ἀμεινίου) è emendamento di Brunck, II (1783), not. 201, del tràdito ἀμυνίου, accettato da tutti gli editori moderni. La correzione di Kanngiesser 1817, 270, del tràdito ἐν τῇ πόλει in ἐν τῇ πθʹ (Ὀλυμπιάδι) è accolta da quasi tutti gli editori moderni delle Vespe1247 , mentre Koster (ad loc.) 1247
Cfr. ad es. Bergk, I (18672), 174; Starkie 1897, 4; Rogers 1875, V e XI; Coulon, II (1925), 14; Cantarella, III (1954), 224; MacDowell 1971, 44; Mastromarco 1983, 446; Wilson, I (2007), 206; Biles–Olson 2015, 3; cfr. anche Dindorf 1829, 67 (= II [1835], 550; 1838, 457; 18695, 189); PCG, III 2 (1984), 253; Bagordo 2014b, 13. Van Leeuwen, 19092, 4, corregge invece ἐν τῇ πόλει in ἐν ἄστει, espungendo Ὀλυμπιάδι e datando conseguentemente le Vespe alle Dionisie del 422 a. C. (ancora più invasivo l’ intervento precedente [van Leeuwen 1893, 4–5], che stravolgeva completamente il testo tràdito: […] διὰ Φιλωνίδου 〈ἐν ἄστει. πρῶτος ἦν.〉 Εὔπολις Πόλεσι δεύτερος ἦν, Λεύκων Πρέσβεσι
Προάγων (test. iii)
259
propone di integrare il testo tràdito in ἐν τῇ πόλει Ὀλυμπιάδι 〈πθʹ ἔτει βʹ〉 (“in città, nella Olimpiade 〈89a, anno secondo〉”)1248, accogliendo la correzione di βʹ ἦν in ἔτει βʹ proposta anch’ essa da Kanngiesser (1817, 270). Hermann 1829, 1631, propone di espungere Φιλωνίδης, assegnando così il primo posto ad Aristofane stesso. Ancor più invasivi rispetto al testo tràdito1249 gli interventi proposti da Petersen 1862, 661–3, in aggiunta alle correzioni di Kanngiesser 1817, con l’ inserimento di un segno di interpunzione dopo πρῶτος, in modo da attribuire il primo posto ad Aristofane con le Vespe, e l’ integrazione di δεύτερος in riferimento a Φιλωνίδης, il quale si sarebbe quindi classificato secondo con il Proagōn 1250. Interpretazione L’ arg. Ar. Vesp. II, p. 6, 37–9 Koster, attribuisce il Proagōn a Filonide, che curò anche la rappresentazione delle Vespe stesse. Molto dibattuto è stato il rapporto tra i due drammi omonimi (vd. supra, p. 257). Dal momento che di quello di Filonide non sono stati trasmessi frammenti, si è in genere ritenuto che Aristofane, non potendo presentare due commedie a suo nome nel medesimo agone, abbia fatto richiedere a Filonide, didaskalos delle Vespe, il coro per il suo Proagōn1251. Questa ipotesi appare rafforzata dalla considerazione di Briel 1887, 50, per il quale difficilmente Aristofane avrebbe affidato la rappresentazione delle Vespe a un commediografo rivale1252. Kyriakidi 2007, 94 n. 172, pensa tuttavia a
τρίτος. καὶ εἰς Λήναια ἐνίκα πρῶτος Φιλωνίδης Προάγωνι; cfr. anche van Leeuwen, 1888, 251–8; 1893, XXXVI–XL). 1248 Per esempi dell’ uso di indicare l’ Olimpiade di riferimento per la datazione con il dativo semplice in argomenti tragici (arg. Aesch. Ag.; Eur. Hipp.), cfr. Koster, ad loc. 1249 Cfr. Gröbl 1889–90, 55–63; Starkie 1897, 391–2; Geißler 19692, 38; Gelzer 1970, 1405–6; Koster, ad loc. 1250 ἐδιδάχθη ἐπὶ ἄρχοντος Ἀμεινίου [διὰ Φιλωνίδου] ἐν τῇ πθ′ Ὀλυμπιάδι ἔτει δεύτερος εἰς Λήναια· καὶ ἐνίκα πρῶτος· Φιλωνίδης Προάγωνι 〈δεύτερος〉· Λεύκων […]. Cfr anche Rogers 1875, X; Leo 1878, 404; Coulon, II (1925), 14 ([…] πρῶτος. 〈δεύτερος ἦν〉 Φιλωνίδης Προάγωνι Λεύκων […]). 1251 Cfr. ad es. Bothe 1828, 4; Petersen 1862, 662 ss.; Rogers 1875, IX–XI; Wilamowitz 1875, 153 n. 4; Briel 1887, 50; Gröbl 1889–90, 61; Zacher 1890, 332; Zelle 1892, 20–2 (per il quale, tuttavia, fu Aristofane, e non Filonide, il didaskalos delle Vespe); van Leeuwen 1893, XXXVII–XXXVIII; 19092, 4 n. 2; Schmid 1946, 190–1; Cantarella, III (1954), 213; Russo 1962 (= 1994, 121–4); Geißler 19692, 38–9; Gelzer 1970, 1405–6; MacDowell 1971, 124 (per il quale Filonide fu didaskalos solo del Proagōn e non delle Vespe); Mastromarco 1978, 29–32; 1983, 55; Sommerstein 1983, XV (Filonide didaskalos solo del Proagōn); Mastromarco 19962, 53–4; Henderson 2007, 338 n. 118 (~ 2011, 317 n. 64); Zimmermann 2011a, 765. 1252 Contra Hiller 1873, 404; Leo 1878, 404; Blum 1977, 76–7; 85–7 (= 1991, 36; 40–1; 222), per i quali i Proagones erano due, e quello del 422 a. C. era di Filonide. Per MacDowell 1971, 124, è possibile che Filonide, didaskalos del Proagōn aristofaneo del 422 a. C., abbia scritto anch’ egli un dramma omonimo, rappresentato in altra data.
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Aristophanes
una confusione da parte dell’ autore dell’ arg. II, che avrebbe attribuito anche alle Vespe la regia di Filonide, didaskalos del solo Proagōn1253.
test. iv K.-A. (= Ar. Dram. test. iv K.-A.) Schol. (VLhAld) Ar. Vesp. 61c οὐ μόνον ἐν τοῖς Δράμασιν, ὡς εἴρηται, εἰσῆκται οὕτως Εὐριπίδης, ἀλλὰ καὶ ἐν τῷ Προαγῶνι καὶ ἐν τοῖς Ἀχαρνεῦσιν. ἐν τοῖς Δράμασιν V: ἐν τούτῳ τῷ δράματι Lh Ald ὡς εἴρηται Lh: om. V Ald οὕτως V Ald: om. Lh Προαγῶνι Lh Ald (hoc accent.): προαγωγῶ V τοῖς V: om. Lh Ald Non solo nei Dramata, come si è detto, è stato così portato sulla scena Euripide, ma anche nel Proagōn e negli Acarnesi.
Bibliografia Wilamowitz 1870, 11; PCG, III 2 (1984), 253; Carrière 2000, 227; Henderson 2007, 240–1 (~ 2011, 317). Contesto Scolio antico (V) e della recensio Tricliniana (Lh) ad Ar. Vesp. 61 (οὐδ᾽ αὖθις ἀνασελγαινόμενος Εὐριπίδης), in cui lo schiavo Xantia, nel dare agli spettatori anticipazioni sul contenuto del dramma, dichiara che non vi si vedrà Euripide “maltrattato ancora una volta” (trad. Mastromarco 1983). Testo Si mantiene nel testo la lezione di V ἐν τοῖς Δράμασιν, seguendo Kassel e Austin (ad loc.)1254; Koster (ad loc.) e , prima di lui, Dübner (p. 137a, 48) scrivono invece ἐν τούτῳ τῷ δράματι, che appare tuttavia lectio facilior e non corrisponde al contenuto delle Vespe, in cui Euripide non compare come personaggio. L’ accentazione properispomena del dativo sing. Προαγῶνι (Lh Ald) presuppone un nominativo ossitono (vd. ad test. ii per l’ accentazione parossitona di προάγων)1255. Interpretazione Lo schol. Ar. Vesp. 61c ci informa che la commedia portava in scena Euripide come personaggio (vd. supra, Contenuto), in modo analogo ad altri drammi aristofanei, quali gli Acarnesi (vv. 407–79) e i perduti Dramata1256 (vd. supra, Testo)1257.
1253
Per una sintesi della questione del Proagōn filonideo, cfr. anche Bagordo 2014b, 166. Così anche Henderson 2007, 240. 1255 Cfr. Προαγῶνι (R) in test. ii, corretto in Προάγωνι da Koster. 1256 Per le due commedie con questo titolo (Dramata ē Kentauros; Dramata ē Niobos) e una sintesi della discussione critica al riguardo, vd. PCG, III 2 (1984), 158–9; Pellegrino 2015, 179. 1257 Lo schol. Ar. Vesp. 61b (κατ᾽ αὐτοῦ γὰρ καθῆκε τὰς Θεσμοφοριαζούσας [V Ald]; ὅτι τὰς Θεσμοφοριαζούσας καθῆκε κατὰ τοῦ Εὐριπίδου [Lh]) cita invece le Tesmoforiazuse. 1254
Προάγων (fr. 477)
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fr. 477 K.-A. (462 K.) οἴμοι τάλας, τί μου στρέφει τὴν γαστέρα; βάλλ᾽ ἐς κόρακας· πόθεν ἂν λάσανα γένοιτό μοι; 1 τί ― γαστέρα mss. om. FS μου ABC: μοι L: με Blaydes βαλ ABCL βάλλ᾽ ― ἂν om., tum ἀναγίνοιτό μου FS
2 βάλλ᾽ Jungermann:
Ohimé sventurato, che cosa mi torce la pancia? Va’ alla malora! Dove potrei trovare un vaso da notte? Poll. (FSCLBA) 10, 44–5 ὅτι δὲ οὐ μόνον ἐπὶ τοῦ ἀκινήτου ἀποπάτου τὰ λάσανα ὀνομαστέον ἀλλὰ καὶ ἐπὶ τοῦ τιθεμένου καὶ ἀναιρομένου (καὶ ἀν. om. FS) μαρτυροῦσιν Ἀριστοφάνης μὲν ἐν Προάγωνι εἰπών· οἴμοι ― μοι; (45) εἰ δὲ τοῦτο ἀμφίβολον, ἀλλὰ Φερεκράτης ἐν τοῖς Κραπατάλοις (-λλ- codd.) (fr. 93)· πρὸς τῇ κεφαλῇ μου λάσανα καταθεὶς πέρδεται. Che non bisogna dire lasana solo per un gabinetto fisso, ma anche per un vaso che si può posare e alzare, lo attestano Aristofane, quando dice nel Proagōn: “ohimé ― notte?”. Se questo (esempio) può lasciare qualche dubbio, tuttavia Ferecrate (attesta) nei Krapataloi (fr. 93): “messo vicino alla mia testa un vaso da notte, scorreggia”.
Metro
Trimetri giambici
llkl k|lkl llkk llkkl kk|lkkk klkl
Bibliografia Dindorf 1829, 70 (~ II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1138; Bothe 1844, 134–5; Kock, I (1880), 510; Blaydes 1885, 243; Lesky 1922–23, 196–7 (= 1966, 539); Schmid 1946, 190–1; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 254; Bowie 2000, 317–8; Carrière 2000, 228; Henderson 2007, 338–9 (~ 2011, 317); Pellegrino 2015, 278. Contesto della citazione L’ Onomasticon di Polluce (10, 44) usa il frammento, attribuendolo al Proagōn di Aristofane, come attestazione dell’ uso di λάσανα (pl. di λάσανον) con il significato di ‘pitale’, e non solo per indicare un gabinetto fisso; segue, come ulteriore esempio, Pher. fr. 93. Testo Nel v. 2 l’ imprecazione βάλλ᾽ ἐς κόρακας è forse da attribuire a un altro personaggio per Boissonade, IV (1826), 288; Kock, I (1880), 510. Bάλλ᾽ è correzione di Jungermann, II (1706), 1195, del tràdito βαλ (ABCL). Interpretazione Il frammento potrebbe contenere la parodia di un ipotesto, non conservato tra i frammenti del Thyestēs di Euripide1258, in cui il protagonista, 1258
Cfr. Wilamowitz 1870, 11–2; Lesky 1922–23, 196–7 (= 1966, 539); Schmid 1946, 190–1; PCG, III 2 (1984), 254; Bowie 2000, 317–8; Carrière 2000, 228; Pellegrino 2015, 278; Haley 2018, 166–7; Bonandini 2019, 139; Webster 1967, 113–4, pensa piuttosto a una
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Aristophanes
dopo essersi reso conto di aver mangiato le carni dei figli, lamentava un profondo sconvolgimento interiore, con un effetto di abbassamento prodotto da elementi lessicali caratteristici dello stile comico (vd. infra). In mancanza dell’ ipotesto, non è possibile tuttavia determinare con maggior precisione come tale parodia fosse realizzata1259. Non abbiamo neppure elementi che ci consentano di stabilire chi fosse il parlante o il contesto scenico. 1 οἴμοι τάλας Lamento tragico (cfr. ad es. Soph. OC 744; Ph. 416; 622; 778; 995), molto frequente tuttavia anche nella commedia (cfr. ad es. Ar. Ach. 174; 210; 1018; Eq. 858; 887; Nub. 23; 742b; Av. 62; 1260; Thesm. 241; Ran. 307; Pl. 169), in genere non in contesti evidentemente paratragici1260. τί μου στρέφει τὴν γαστέρα; Cfr. l’ analogo lamento di Tieste in Sen. Thyest. 999 s. (quis hic tumultus viscera exagitat mea? | quid tremuit intus? […])1261. Il verbo στρέφω è un elemento stilistico basso, usato frequentemente nei testi comici per denotare coliche intestinali: cfr. ad es. Ar. Pl. 1131 (ὀδύνη σε περὶ τὰ σπλάγχ᾽ ἔοικέ τις στρέφειν); Antiph. fr. 175, 3–4 (ἐὰν δ᾽ ἄρα | στρέφῃ με περὶ τὴν γαστέρ᾽ ἢ τὸν ὀμφαλόν)1262; cfr. anche il termine medico στρόφος (‘colica’)1263 in Ar. Thesm. 484 (στρόφος μ᾽ ἔχει τὴν γαστέρα). Anche il sostantivo γαστήρ (‘pancia’, ‘ventre’), rispetto al lat. viscera (cfr. Sen. Thyest. 999 e 1041), che ha un campo semantico più ampio e può denotare anche il ‘cuore’1264, sembra più adatto al contesto comico. 2 βάλλ᾽ ἐς κόρακας Tipica imprecazione comica per mandare qualcuno ‘alla malora’, augurandogli di restare insepolto e di essere mangiato dai corvi
parodia delle Krēssai di Euripide (frr. 460–70a Kn.), dramma incentrato anch’ esso sulla saga di Atreo e Tieste, in cui tuttavia il riferimento al celebre banchetto appare “improbabile” (Carpanelli 2014, 25). 1259 In particolare, il riferimento al “vaso da notte” (λάσανα) nel v. 2 può forse contenere un aprosdoketon, se nell’ originale il personaggio di Tieste cercava un oggetto scenico (anch’ esso non meglio determinabile). 1260 Cfr. Olson 1998, 83; Austin‒Olson 2004, 133. 1261 Cfr. Lesky 1922–23, 196–7 (= 1966, 539); PCG, III 2 (1984), 254; Kannicht, ap. TrGF, V 1 (2004), 437. Vd. anche Sen. Thyest. 1040 ss. (hoc est quod avidus capere non potuit pater. | volvuntur intus viscera et clusum nefas | sine exitu luctatur et quaerit fugam); cfr. Kannicht, ap. TrGF, V 1 (2004), 437. Per la discussione relativa al rapporto tra il dramma di Euripide e quello di Seneca, evidenziato da Lesky 1922–23 (= 1966, 519–40), vd. ad es. Gigon 1938, 181; Coffey 1957, 148; Webster 1967, 113–4; Lefèvre 1973, 103–4; Dingel 1985, 1054–62; per le fonti del dramma di Seneca cfr. anche Marchesi 1908 (= 1978, 493–527); Tarrant 1978; Boyle 2017, LXIX–LXXVIII. 1262 Dal significato analogo il verbo derivato στροφέω: cfr. Ar. Pac. 174–5 (ὡς ἐμὲ | ἤδη στροφεῖ τι πνεῦμα περὶ τὸν ὀμφαλόν), in cui il tràdito στροφεῖ è corretto in στρέφει da Cobet (cfr. l’ apparato di Wilson, I [2007], 289), seguito ad es. da Mastromarco 1983, 580; Olson 1998, 13. 1263 Cfr. ad es. Hp. Acut. 37; Southard 1971, 109–11; Rodríguez Alfageme 1981, 192bis-3. 1264 Cfr. ad es. Cic. Att. 6, 1, 8; Apul. Met. 5, 21; Hier. ep. 22, 30.
Προάγων (fr. 478)
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(cfr. ad es. Ar. Nub. 1331265; Vesp. 835; Thesm. 1079; Pl. 782), per la quale vd. Mastromarco 1983, 179; Belardinelli 1994, 198–9; Totaro 1998, 185–6; Tosi 1537; Di Bari 2013, 441–2. λάσανα Per le attestazioni nei testi comici con il significato di ‘pitale’, oltre a Pher. fr. 93 (riportato da Poll. 10, 44)1266, cfr. Eup. fr. 240 (ἐμοὶ γὰρ οὐκ ἔστ᾽ οὐδὲ λάσαν᾽ ὅπου χέσω)1267; Plat. com. fr. 124 (λάσανα); con il significato di ‘pentola (posta su un treppiede)’1268; Ar. Pac. 893 (πρὸ τοῦ πολέμου τὰ λάσανα τῇ βουλῇ ποτ᾽ ἦν)1269.
fr. 478 K.-A. (461 K.) ἐγευσάμην χορδῆς ὁ δύστηνος τέκνων· πῶς ἐσίδω ῥύγχος περικεκαυμένον; 1 τέκνων A: κύων Jacobs 2 πῶς εἰσίδω ῥ. πέριξ κεκαυμένον; Dindorf: πῶς 〈σφ᾽〉 ἐσίδω ῥ. περικεκαυμένος; Kock
Assaggiai io, l’ infelice, le interiora dei figli: come posso guardare un grugno bruciacchiato? Athen. 3, 95d Ἀριστοφάνης Προάγωνι (-ῶνι A)· ἐγευσάμην ― περικεκαυμένον; Aristofane nel Proagōn: “assaggiai ― bruciacchiato?”.
Metro
Trimetro giambico (v.1); due docmii (v. 2)
klkl ll|kl llkl lkklll| kkklkl
Bibliografia Dindorf 1829, 69–70 (~ II [1835], 552; 1838, 458; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1138; Bothe 1844, 134; Bachmann 1878, 85; Kock, I (1880), 510; Blaydes 1885, 241; Lesky 1922–23, 196–7 (= 1966, 539); Edmonds, I (1957), 702–3; Rau 1967, 211; PCG, III 2 (1984), 254; Bowie 2000, 317–8; Carrière 2000, 228; Henderson 2007, 338–9 (~ 2011, 317); Corbel-Morana 2012, 317; Pellegrino 2015, 278–9; Haley 2018, 164–70.
1265
Varia lectio βάλ᾽ (V). Cfr. Urios-Aparisi 1992, 287 s.; Franchini 2020, 43–5. 1267 Per questo frammento vd. Storey 2003, 220–1; Olson 2016, 282–4. 1268 Cfr. Hesych. λ 352 (λάσανα· χυτρόποδες). 1269 Vd. anche Olson 1998, 241 e 301; Pirrotta 2009, 256 (ad Plat. com. fr. 124); Olson 2016, 284. 1266
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Contesto della citazione Ateneo nei Deipnosofisti (3, 95d) riporta il frammento in una sezione relativa alle ‘interiora’ (χορδή) e alle parti commestibili del maiale (3, 94c–95d), come attestazione dell’ uso del termine ῥύγχος (“grugno”). Testo Nel v. 1 la correzione di τέκνων in κύων, proposta da Jacobs 1809, 65, confrontando il proverbio χαλεπὸν χορίω κύνα γεῦσαι (Theocr. 10, 11)1270, oltre a non essere necessaria, nel contesto della parodia del macabro banchetto di Tieste (vd. infra, Interpretazione) eliminerebbe l’ effetto comico veicolato dall’ aprosdoketon τέκνων, in posizione di rilievo (alla fine del verso)1271; pertanto non è accolta da nessun editore moderno. Nel v. 2 Dindorf 1829, 69 (= II [1835], 552; 1838, 458: πῶς εἰσίδω ῥύγχος πέριξ κεκαυμένον;)1272 cerca di ricostituire un trimetro giambico, con un’ emendazione del testo tràdito poco motivata, dal momento che, come ha già notato Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1138), i docmii sono pertinenti al contesto paratragico (vd. infra). La proposta di correzione di Kock, I (1880), 510 (πῶς 〈σφ᾽〉 ἐσίδω ῥύγχος περικεκαυμένος;), infine, modifica in modo piuttosto arbitrario il testo1273, inserendo un pronome personale come oggetto e intendendo ῥύγχος come un accusativo di relazione. Interpretazione Anche il fr. 478, come il precedente (vd. supra), sembra la parodia di un ipotesto tragico, non conservato tra i frammenti del Thyestēs euripideo1274, contenente il lamento del protagonista, il quale, di fronte alle teste troncate dei propri figli, si rende conto di essersi cibato delle loro viscere1275. Anche la presenza di un verso docmiaco (v. 2) in associazione con un trimetro giambico1276 è caratteristica della paratragōidia aristofanea1277. Dal punto di vista stilistico, a elementi caratteristici dello stile tragico (vd. infra) sono mescolate parole di livello molto più basso (χορδῆς, v. 1, ῥύγχος, v. 2), appartenenti alla sfera della cucina,
1270
“C’ est-à-dire: il faut éviter de prendre goût à ce qui est nuisible ou défendu” (Legrand 1925, 63). 1271 Cfr. già Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1138 (“τέκνων qui tentant […] universum fabulae propositum ignorant”). 1272 Cfr. anche Dindorf 18695, 190. 1273 Cfr. già van Herwerden 1903, 44, che dà tuttavia a ῥύγχος un senso meno adatto al contesto, intendendo che il parlante non può sopportare di vedere il proprio volto riflesso nello specchio. 1274 Cfr. Wilamowitz 1870, 11–2; Bachmann 1878, 85; Lesky 1922–23, 196–7 (= 1966, 539); Schmid 1946, 190–1; Rau 1967, 2011; PCG, III 2 (1984), 254; Carrière 2000, 228; Bowie 2000, 317–8; Corbel-Morana 2012, 217; Pellegrino 2015, 278; Haley 2018, 164–5 e 166–7; Bonandini 2019, 139. Per il rapporto tra il dramma di Euripide e quello di Seneca vd. supra, n. 1261. 1275 Cfr. Sen. Thyest. 1038 s. (abscisa cerno capita et avulses manus | et rupta fractis cruribus vestigia). Per la discussione relativa al rapporto tra il dramma di Euripide e quello di Seneca vd. supra, n. 1261. 1276 Cfr. ad es. Ar. Vesp. 729–30 = 743–4; vd. Conomis 1964, 50; PCG, III 2 (1984), 254. 1277 Vd. ad es. Ar. Thesm. 913–5; cfr. Conomis 1964, 48–50; Martinelli 1995, 275–6.
Προάγων (fr. 478)
265
che producono un effetto grottesco1278. In mancanza dell’ ipotesto, non è possibile tuttavia determinare con maggior precisione come tale parodia fosse realizzata. Non abbiamo neppure elementi che ci permettano di stabilire con sicurezza chi fosse il parlante o il contesto scenico1279: forse un attore, che vestiva i panni di Tieste sulla scena, lamenta di non poter sopportare la vista del “grugno bruciacchiato” dei figli1280. 1 ἐγευσάμην χορδῆς Cfr. Aesch. Ag. 1221–2 (σὺν ἐντέροις τε σπλάγχ᾽, […] ὧν πατὴρ ἐγεύσατο)1281, in cui Cassandra evoca, in una visione, il macabro banchetto in cui Tieste si cibò delle viscere dei figli (cfr. παῖδες θανόντες in Aesch. Ag. 1219). Il verbo γεύομαι (diat. media) con il genitivo è usato frequentemente nei testi tragici, con valenza quasi sempre metaforica: cfr. ad es., oltre ad Aesch. Ag. 1222, Soph. Ant. 1005 (ἐμπύρων ἐγευόμην); Tr. 1101 (ἄλλων τε μόχθων μυρίων ἐγευσάμην); Eur. Alc. 1069 (ὡς ἄρτι πένθους τοῦδε γεύομαι πικροῦ); Hec. 375 (ὅστις γὰρ οὐκ εἴωθε γεύεσθαι κακῶν); HF 1353 (ἀτὰρ πόνων δὴ μυρίων ἐγευσάμην). L’ aprosdoketon parodico1282 è dato dal nome χορδή (“interiora”) inserito come complemento del verbo invece del più solenne ἔντερα o σπλάγχα (cfr. Aesch. Ag. 1221): si tratta infatti di un termine appartenente alla sfera culinaria e ricorrente spesso nei testi comici (cfr. ad es. Ar. Ach. 1119; Nub. 455; Cratin. fr. 205; Eup. fr. 34; Pher. fr. 137, 9; Eub. fr. 63, 3; Antiph. fr. 73; Axion. fr. 8, 4)1283, nei quali denota un manicaretto ottenuto dalla trasformazione delle interiora, in genere di capretto1284. ὁ δύστηνος Lamento poetico, particolarmente tragico1285: cfr. ad es., in riferimento al parlante stesso (1a pers. sing.), Aesch. Pers. 290; 909; Pr. 656; Soph. Ai. 1000; El. 77; 677; Tr. 326; 713; 1143; OC 844; Eur. Med. 1032; Hipp. 239; 341; 1348; Andr. 71; 614; Hec. 683; Suppl. 1073; HF 448; Tr. 112; 431; Hel. 461; 862. τέκνων Senza articolo, è tratto stilistico tragico1286: cfr. ad es. Eur. Med. 11; 329; 461; 513; 620; 877; 1019.
1278
Cfr. Haley 2018, 164–5. Per Gil 1989, 98 (= 1996, 181; 2010, 109) il banchetto conclusivo del proagone. 1280 Per Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 254, l’ attore che vestiva i panni di Tieste lamenta di doversi adattare a cibarsi di un “grugno di maiale bruciacchiato” (“quomodo nunc rostro suillo adusto vesci sustineam?”), ma non è chiaro come questo potrebbe inserirsi nella parodia del proagone; per l’ interpretazione di van Herwerden 1903, 44, vd. supra, n. 1273. 1281 Cfr. PCG, III 2 (1984), 254; E. Greselin, ap. Deipnosofisti, III (2001), 257; Pellegrino 2015, 278–9. 1282 Cfr. Rau 1967, 211. 1283 Cfr. anche Alex. fr. 137 (χορδαρίου). 1284 Un tipo di ‘salsiccia’ (cfr. ad es. García Soler 2001, 238) o, più probabilmente, qualcosa di simile alla ‘corda’ sarda, formata da interiora di agnello intrecciate tra loro. 1285 Cfr. Rau 1967, 211. 1286 Cfr. Rau 1967, 211. 1279
266
Aristophanes
2 ἐσίδω Il verbo εἰσοράω / ἐσοράω è poetico e tragico, molto frequente soprattutto in Euripide (cfr. ad es. Alc. 24; 283; 667; Med. 163; 1099; 1145; 1156; Hipp. 355; 822; Her. 234; Andr. 494; 629; Hec. 88; 206; 706; Suppl. 49; 53); in contesto paratragico ricorre anche in Ar. Thesm. 905. Nel fr. 478 il preverbio ἐσ- per εἰσ- è richiesto dal metro (cfr. Bachmann 1878, 84–5). ῥύγχος Parola di livello stilistico basso, nel senso letterale di ‘grugno (di maiale)’ appartenente alla sfera culinaria e frequente nei testi comici nel senso figurato di ‘volto’1287: cfr., oltre a Pher. fr. 107, citato da Athen. 3, 95d1288, Cratin. fr. 486; Archipp. fr. 1; Arar. fr.1.
fr. 479 K.-A. (463 K.) κάμνοντα δ᾽ αὐτὸν τοῦ θέρους ἰδών ποτε ἔτρωγ᾽, ἵνα κάμνοι, σῦκα τῆς μεσημβρίας Avendolo visto, una volta, star male d᾽estate, mangiava, per star male (anche lui), fichi a mezzogiorno Athen. 3, 80a ἄλλοι δέ φασιν ὅτι μὴ δεῖ σῦκα προσφέρεσθαι μεσημβρίας· νοσώδη γὰρ εἶναι τότε, ὡς καὶ Φερεκράτης ἐν Κραπατάλοις (-λλ- codd.) εἴρηκεν (fr. 85). Ἀριστοφάνης δ᾽ ἐν Προάγωνι (-ῶνι A)· κάμνοντα ― μεσημβρίας. Altri poi dicono che non bisogna mangiare fichi a mezzogiorno: infatti allora sono nocivi, come ha detto anche Ferecrate nei Krapataloi (fr. 85). Aristofane nel Proagōn: “avendolo ― mezzogiorno”.
Metro
Trimetri giambici
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Bibliografia Dindorf 1829, 70 (~ II [1835], 552; 1838, 458–9; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1138–9; Bothe 1844, 135; Kock, I (1880), 511; Blaydes 1885, 240; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 255; Carrière 2000, 228; Henderson 2007, 340–1 (~ 2011, 318); Pellegrino 2015, 279. Contesto della citazione Ateneo nei Deipnosofisti (3, 80a) riporta il frammento, attribuendolo al Proagōn di Aristofane, in un’ ampia sezione relativa alle varietà e alle proprietà dei fichi (Athen. 3, 74c–80e), come attestazione della credenza popolare che sia nocivo mangiar fichi a mezzogiorno (vd. infra, Interpretazione). 1287
Vd. Pearson, III (1917), 54 (ad Soph. fr. 838); Taillardat 19652, 86; Headlam 1922, 248 (ad Herod. 5, 41); Imperio 1998, 204. 1288 Cfr. Urios-Aparisi 1992, 313 s.; Franchini 2020, 81–3. Van Leeuwen 1901, 126 (ad Ar. Ach. 744), suppone anche in questo frammento una parodia del Thyestēs euripideo.
Προάγων (fr. 480)
267
Il frammento è preceduto dal richiamo a Pher. fr. 85, il cui testo è riportato in Athen. 3, 75b. Seguono le citazioni di Eub. fr. 105 (Athen. 3, 80a–b) e Nicoph. fr. 20 (Athen. 3, 80b), per i quali vd. infra. Interpretazione In mancanza di un contesto più ampio, è difficile stabilire chi sia il parlante e chi sia il personaggio a cui egli si riferisce in terza persona. È stato ipotizzato che si tratti di un servo fedele, il quale, vedendo il padrone star male, vuole condividerne la sofferenza1289, oppure di un adulatore, piuttosto che di un vero amico1290. Desrousseaux 1942, 16 n. 2, ha visto inoltre nel frammento un riferimento all’ amore fraterno tra Atreo e Tieste prima dell’ odio mortale intercorso tra loro. La credenza della medicina popolare a cui alludono questi versi, attestata anche negli altri frammenti comici citati in Athen. 3, 80a–b (vd. supra, Contesto della citazione), riguarda l’ indigestione di fichi, frutti tipici dell’ estate inoltrata e comunissimi in Attica1291, che, se mangiati a mezzogiorno (dunque ancora caldi per il sole meridiano), causerebbero disturbi del sonno e febbre elevata (vd. infra, ad v. 2)1292. Nonostante la valenza figurata dei ‘fichi’ come metafora per l’ organo sessuale femminile1293, questo frammento non sembra contenere allusioni oscene1294. 2 ἔτρωγ᾽ […] σῦκα τῆς μεσημβρίας Per altre attestazioni (comiche) della credenza sul consumo di fichi a mezzogiorno, cfr. Pher. fr. 85 (ὦ δαιμόνιε, πύρεττε μηδὲν φροντίσας, | καὶ τῶν φιβάλειν τρῶγε σύκων τοῦ θέρους, | κἀμπιμπλάμενος κάθευδε τῆς μεσημβρίας, | κᾆτα σφακέλιζε καὶ πέπρησο καὶ βόα); Eub. fr. 105 (νὴ τὸν Δί᾽, ἠσθένουν γάρ, ὦ βέλτιστε σύ, | φαγοῦσα πρῴην σῦκα τῆς μεσημβρίας); Nicoph. fr. 20 (ἐὰν δέ γ᾽ ἡμῶν σῦκα τις μεσημβρίας | τραγὼν καθεύδῃ χλωρά, πυρετὸς εὐθέως | ἥκει τρέχων, οὐκ ἄξιος τριωβόλου | κᾆθ᾿ οὗτος ἐπιπεσὼν ἐμεῖν ποιεῖ χολήν).
fr. 480 K.-A. (464 K.) ὥρα βαδίζειν μοὐστὶν ἐπὶ τὸν δεσπότην· ἤδη γὰρ αὐτοὺς οἴομαι δεδειπνάναι 1 μοὐστὶν ἐπί Bergk: μοἰστὶν ἐπί A: μοι᾿στὶ πρός Casaubon: μοὐστὶ πρός Dindorf 1289
Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1139; cfr. anche Bothe 1844, 135. Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 255 (“nescio de amico dicta an de adulatore”). 1291 Cfr. ad es. Thiercy 1997, 139–40; Sanchis Llopis 2000, 152–3 (ad Nicoph. fr. 20); García Soler 2001, 111–5. 1292 Cfr. Hunter 1983, 200 (ad Eub. fr. 105); Rodríguez Alfageme 1981, 178; Rehrenböck 1985, 68, 218; Urios-Aparisi 1992, 272–4 (ad Pher. fr. 85); García Soler 2001, 115; Pellegrino 2013, 62–4 (ad Nicoph. fr. 20). 1293 Cfr. ad es. Taillardat 19652, 76; Henderson 19912, 118 e 135; Thiercy 2003, 21. 1294 Cfr. anche Pellegrino 2013, 63; invece Catenacci 1998, 30 n. 14, si chiede se l’ espressione non celi “un doppio senso erotico”. 1290
268
Aristophanes
È tempo per me di andare incontro al padrone: penso infatti che ormai abbiano cenato Athen. 10, 422e ἐπὶ τοῦτοις ὁ Οὐλπιανὸς ἔφη· ἐπεὶ δεδείπναμεν - εἴρηκεν δὲ οὔτως […] καὶ Ἀριστοφάνης ἐν Προάγωνι (-ῶνι A)· ὥρα ― δεδειπνάναι. Dopo questo discorso, Ulpiano disse: –Poiché abbiamo pranzato – disse così […] anche Aristofane nel Proagōn: “è ― cenato”.
Metro
Trimetri giambici
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Bibliografia Dindorf 1829, 70 (~ II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1139; Bothe 1844, 135; Kock, I (1880), 511; Blaydes 1885, 241; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 255; Henderson 2007, 340–1; Pellegrino 2015, 279. Contesto della citazione Ateneo nei Deipnosofisti (10, 422e) riporta il frammento, attribuendolo al Proagōn di Aristofane, in una sezione nella quale l’ atticista Ulpiano1295 discute del lessico letterario relativo al banchetto e al simposio (Athen. 10, 422e–424f), come attestazione dell’ uso comico delle forme di perfetto misto del verbo δειπνεῖν (‘pranzare’, ‘ cenare’) ed ἀριστάω (‘fare colazione’, ‘pranzare’), le cui attestazioni comiche sono riportate in Athen. 10, 422e–423a (vd. infra, Interpretazione). Il fr. 480 è seguito da Ar. fr. 260 (ἤδη παροινεῖς 〈εἰς〉 ἐμὲ πρὶν δεδειπνάναι), contenente la medesima forma di infinito perfetto. Testo Nel v. 1 il tràdito μοἰστὶν è stato corretto in μοι᾿στὶ da Casaubon 16122 e in μοὐστὶ da Dindorf 1829, 70 (= II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190), seguito da Blaydes 1885, 241; da questo emendamento deriva anche la correzione della preposizione ἐπί in πρός per evitare lo iato. Interpretazione Il parlante è un servo1296, il quale si prepara ad andare incontro al padrone, di notte, dopo un simposio in casa altrui, probabilmente per accompagnarlo a casa con una fiaccola o una lucerna1297; per questa abitudine, attestata nella commedia latina, cfr. ad es. Ter. Ad. 26–7 (non rediit hac nocte a cena Aeschinus |
1295
Sulla vexata quaestio dell’identificazione di questo personaggio, che nei Deipnosofisti è un grammatico atticista, con il giurista omonimo, vissuto tra la fine del II e l’ inizio del III sec. d. C., vd. ad es. Kaibel, I (1887), VI–VII; Jacob, ap. Deipnosofisti, I (2001), XXXI s.; Paolucci 2004, 245. 1296 Cfr. Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1139. Per Desrousseaux 1942, 16 n. 2, si tratterebbe del servo di Tieste. 1297 Cfr. Ehrenberg 19512, tr. it. 252.
Προάγων (fr. 481)
269
neque servolorum quisquam qui advorsum ierant), in cui un padre si preoccupa perché né il figlio né gli schiavi mandati a prenderlo sono rientrati. 1 ὥρα βαδίζειν μοὐστὶν Per un’ espressione simile cfr. Ar. Thesm. 1189–90 (ὥρα ᾽στι νῷν | ἤδη βαδίζειν); 1228; Ach. 393; Eccl. 30; 285; 3521298. μοὐστὶν Crasi di μοι ἐστὶν. 2 δεδειπνάναι Il verbo δειπνέω (‘pranzare’, ‘cenare’) è un denominativo da δεῖπνον, che in epoca post-omerica denota il pranzo principale della giornata, consumato alla sera1299. Questa forma di infinito perfetto attico, modellata su quello atematico di ἵστημι (ἑστάναι)1300, probabilmente tipica dell’ attico parlato, ricorre nella commedia ed è attestata anche in Ar. fr. 260 (riportato supra); Eub. fr. 91 (ὃν χρὴ δεδειπνάναι πάλιν); Antiph. fr. 141 (ἀλλὰ πρὶν δεδειπνάναι | ἡμᾶς παρέσται); Plat. com. fr. 157; Epicr. fr. 1 (δεδειπνάναι γὰρ ἄνδρες εὐκαίρως πάνυ | δοκοῦσί μοι)1301; cfr. inoltre il perfetto indicativo 1a p. pl. δεδείπναμεν in Alex. fr. 114 (ἐπεὶ πάλαι δεδείπναμεν) ed Eub. fr. 90 (ἡμεῖς δ᾽ οὐδέπω δεδείπναμεν)1302. Forme analoghe di perfetto, dal denominativo ἀριστάω (‘far colazione’, ‘pranzare’), sono l’ infinito ἠριστάναι in Hermipp. fr. 60 e l’ indicativo 1a p. pl. ἠρίσταμεν in Ar. fr. 513 (ὐποπεπώκαμεν 〈k〉, ὦνδρες, καὶ καλῶς ἠρίσταμεν) e Theop. fr. 23 (ἠρίσταμεν δεῖ γὰρ συνάπτειν τὸν λόγον), citati in Athen. 10, 422f-423a (vd. supra, Contesto della citazione).
fr. 481 K.-A. (465 K.) ὁ δ᾿ ἀλφίτων 〈a〉 πριάμενος τρεῖς χοίνικας κοτύλης δεούσας ἑκτέα λογίζεται 1 ἀλφίτων A: γε vel γὰρ add. Schweighaeuser, δὴ vel μοι Kock, μὲν Austin: ἀλφιτώνης (sic) Nauck 〈εἰς〉 τρεῖς Bergk 2 ἑκτέα λογίζεται Dobree: οἴκαδ᾿ ἀπολογίζεται A: εἴκοσ᾿ ἀπολογίζεται ex “membranis Italicis” Casaubon: εἴκοσιν λογίζεται Blaydes
Egli, avendo comprato tre chenici di farina meno una cotile, mi mette in conto un moggio
1298
Vd. inoltre Headlam 1922, 314 (ad Herond. 6, 97). Cfr. ad es. R. Cherubina, in Deipnosofisti, II (2001), 1040. 1300 Cfr. Osthoff 1884, 361–4. Per il perfetto misto cfr. inoltre Pieraccioni, 19753, 183. 1301 Szemerényi 1964, 25–7, suppone che questa forma di infinito perfetto sia utilizzata in alternativa all’ infinito perfetto debole (δεδειπνηκέναι) per ragioni metriche, dal momento che è attestata solo in posizioni in cui δεδειπνηκέναι non avrebbe potuto trovare collocazione (tre volte alla fine di un trimetro giambico in Ar. frr. 260, 480 e in Antiph. fr. 141; una volta all’ inizio del trimetro in Epicr. fr. 1; una volta all’ interno del verso in Eub. fr. 91). 1302 Questi frammenti sono tutti riportati da Athen. 10, 422e–f (vd. supra, Contesto della citazione). 1299
270
Aristophanes
Athen. 11, 478f Ἀθηναῖοι δὲ μέτρον τι καλοῦσι κοτύλην. […] Ἀριστοφάνης Προάγωνι (-ῶνι A, acc. circumfl. man. rec.)· ὁ ― λογίζεται. Gli Ateniesi chiamano kotylē una misura. […] Aristofane nel Proagōn: “egli ― moggio”. Athen. Epit. 11, 478f Ἀριστοφάνης· ἀλφίτων χοίνικας τρεῖς, κοτύλης δεούσας. Aristofane: “tre chenici di farina meno una cotile”.
Metro
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Bibliografia Dindorf 1829, 70 (~ II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1139; Bothe 1844, 135; Kock, I (1880), 511; Blaydes 1885, 242; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 256; Grimaudo 1998, 101–2; Henderson 2007, 340–1; Pellegrino 2015, 280. Contesto della citazione Ateneo nei Deipnosofisti (11, 478f) trasmette il frammento, attribuendolo al Proagōn di Aristofane, in un’ ampia sezione sui bicchieri e vasi potori (Athen. 11, 782d–503d), come attestazione dell’ uso attico di κοτύλη per indicare una misura di capacità (vd. infra, Interpretazione). L’ Epitome di Ateneo, nel medesimo passo, riporta una versione abbreviata del frammento, senza indicare la commedia da cui è tratto, ma solo l’ autore (da qui Eust. ad Il. p. 1282, 53). Testo Nel v. 1 la metrica indica una lacuna di una sillaba, per colmare la quale sono state avanzate diverse proposte di integrazione: γε oppure γὰρ (Schweighaeuser 1804, 273)1303; τοι (Bothe 1844, 135); δὴ oppure μοι (Kock, I [1880], 511); μὲν (Austin, ap. PCG, III 2 [1984], 256). Nauck (1859, 43 n. 1) propone la correzione del tràdito ἀλφίτων in ἀλφιτώνης, non attestato altrove. Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1139) suggerisce in nota 〈εἰς〉 τρεῖς; Edmonds (I [1957], 702) 〈ὅσα〉 τρεῖς, con l’ integrazione di due sillabe, che tuttavia comporterebbero la sequenza di ben cinque brevi (kkk kkl), in genere evitate nel trimetro giambico (pur con qualche eccezione in Aristofane)1304. Nel v. 2 il tràdito οἴκαδ᾽ ἀπολογίζεται, che non dà senso, è emendato “feliciter” (Blaydes 1885, 242) in ἑκτέα λογίζεται da Dobree (1833, 255), seguito da Dindorf (18695, 190); Blaydes (1885, 242); Kassel–Austin (PCG, III 2 [1984], 256); Henderson (2007, 340). Blaydes (1885, 242) propone anche εἴκοσιν λογίζεται sulla base della lezione εἴκοσ᾽ ἀπολογίζεται (cfr. Casaubon 16122, ad Athen. 478f; 16212, 1303
L’ integrazione γε è adottata anche da Dindorf (1829, 70 = II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190); Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1139) e Kock (I [1880], 510) a testo; Hall–Geldart (II [19072], 303). 1304 Ar. Ach. 47 e 928 con tribraco secondo; Av. 1283 con tribraco primo (per il quale ultimo esempio vd. supra, ad fr. 433); cfr. Martinelli 1995, 110.
Προάγων (fr. 481)
271
504)1305, adottata da Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1139); Bothe (1844, 135); Kock (I [1880], 511); Hall–Geldart (ΙΙ [19072], 303); Edmonds (I [1957], 702). Interpretazione Il parlante sembra far riferimento a un personaggio disonesto, forse un amministratore o un servo incaricato di far provvista1306, che, in modo fraudolento, mette in conto al padrone una spesa molto superiore: cfr. Ar. Pl. 382 (τρεῖς μνᾶς ἀναλώσας λογίσασθαι δώδεκα), in cui Cremilo sospetta che l’ amico Blepsidemo voglia spillargli del denaro; fr. 647 (ἑκτεὺς δέ 〈γ᾽〉 ἐστὶν ἑξαχοίνικον μέτρον), per la battuta sull’ erronea equivalenza dell’ hekteus (vd. infra)1307. 1 ἀλφίτων […] τρεῖς χοίνικας La chenice (koinix) attica era una misura di capacità per i solidi equivalente a l. 1,081308; tre chenici di farina corrispondevano quasi al doppio di una razione giornaliera1309 e al triplo di quella di uno schiavo1310. 2 κοτύλης δεούσας L’ espressione con il participio attributivo (δεούσας) riferito a χοίνικας (v. 1) e il complemento in genitivo dell’unità di misura (κοτύλης) indica sottrazione; la cotile (kotylē) nel sistema attico corrispondeva a l. 0,27 ca.1311, per cui “tre chenici meno una cotile” equivale a una capacità di circa tre litri. ἑκτέα L’ hekteus (“moggio”) era una misura di capacità per i solidi corrispondente a l. 8,64 (quindi a circa otto chenici)1312: si tratta perciò di una quantità di farina molto superiore a quella effettivamente comprata dal personaggio di cui si parla (vd. supra). In Ar. fr. 647 (vd. supra) è considerato erroneamente equivalente a sei chenici.
1305
Il verbo composto ἀπολογίζομαι può avere in questo contesto il senso di ‘calcolare’ (”[ne] calcola [venti]”); cfr. Grimaudo 1998, 101. 1306 Dal contesto risulta meno probabile che si tratti di un commerciante disonesto (contra Grimaudo 1998, 101–2), per il participio congiunto πριάμενος, che fa piuttosto pensare a un acquirente; per il luogo comune della disonestà dei commercianti cfr. ad es. Ehrenberg 19512, tr. it. 170. 1307 Cfr. Lapini 1993, 444–5 n. 14; Pellegrino 2015, 380; Bagordo 2016, 196–7. 1308 Cfr. Hultsch 18822, 104 ss.; 703. 1309 Cfr. Vetta 19942, 187 (ad Ar. Eccl. 424 s.). 1310 Cfr. Mastromarco 1983, 482 (ad Ar. Vesp. 440); A. Rimedio, ap. Deipnosofisti, II (2001), 646 (ad Athen. 6, 272c). 1311 Cfr. Hultsch 18822, 101 ss.; 703. 1312 Cfr. Hultsch 18822, 104 ss.; 703; Mondio, ap. Radici Colace–Mondio 2005, 44–7. Il sostantivo ἑκτεύς deriva dalla radice ἑκ- del numerale cardinale ἑξ (“sei”; cfr. il numerale ordinale corrispondente ἕκτος), perché equivale a un sesto di medimno; cfr. Mondio, ap. Radici Colace–Mondio 2005, 46.
272
Aristophanes
fr. 482 K.-A. (466 K.) τί οὐκ ἐκέλευσας παραφέρειν τὰ ποτήρια; Perché non ordinasti di portare in tavola le coppe? Athen. 9, 380d καὶ ὁ Μάγνος ἔφη· Ἀριστοφάνης ἐν Προάγωνι· τί ― ποτήρια; E Magno disse: Aristofane nel Proagōn: “perché ― coppe?”
Metro
Trimetro giambico
wlkkl l|kkkl kklkk
Bibliografia Dindorf 1829, 70 (~ II [1835], 552; 1838, 459; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1139; Bothe 1844, 135; Kock, I (1880), 511; Blaydes 1885, 241; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 256; Henderson 2007, 340–1; Pellegrino 2015, 280. Contesto della citazione Ateneo nei Deipnosofisti (9, 380d) trasmette il frammento, attribuendolo al Proagōn di Aristofane, come esempio dell’ uso del verbo παραφέρειν nel senso di ‘portare in tavola’ (Athen. 9, 380d–e), in una discussione tra l’ atticista Ulpiano (per il quale vd. supra, ad fr. 480) e il grammatico Magno1313. Seguono, come ulteriori attestazioni comiche, Sophr. fr. 14; Plat. com. fr. 73; Alex. fr. 176 (per i quali vd. infra). Interpretazione Il parlante sembra essere un ospite, che si rivolge al padrone di casa con tono spazientito per un ritardo nel simposio: cfr. Kock, I (1880), 511 (“erus compellari videtur a conviva aliquo morae impatienti”); van Herwerden 1878, 61; Kaibel, ap. PCG, III 2 (1984), 2561314. παραφέρειν Altre occorrenze comiche del verbo nel medesimo significato in Sophr. fr. 14 (πάρφερε, Κοικόα, τὸν σκύφον μεστόν); Plat. com. fr. 73 (πάσας παραφερέτω); Alex. fr. 176, 1 (παρέθηκε τὴν τράπεζαν, εἶτα παραφέρων | ἀγαθῶν ἁμάξας)1315.
fr. 483 K.-A. (467 K.) σταθερὰ δὲ κάλυξ νεαρᾶς ἥβης 1313
Cfr. Jacob, ap. Deipnosofisti, I (2001), XXXIII. Per Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984]), 256) si tratta del padrone del servo di cui al fr. 480 (vd. supra, p. 268). Diversamente Bergk (ap. Meineke, II 2 [1840], 1139), per il quale è il padrone di casa a rivolgersi a un servo, rimproverandolo per il ritardo. 1315 Cfr. Arnott 1996, 258. 1314
Προάγων (fr. 483)
273
Fermo (è il) bocciolo di fresca giovinezza Phot. (g, z) σ 489 = Sud. σ 982 σταθερόν· […] τινὲς καὶ ἐπὶ τοῦ στασίμου, ὡς Αἰσχύλος ἐν Ψυχαγωγοῖς (fr. 276 R.)· σταθεροῦ χεύματος. καὶ Ἀριστοφάνης ἐν Προάγωνι (-ῶνι Sud., Phot. z)· σταθερὰ ― ἥβης. σημαίνει καὶ τὸ μόνιμον. statheron (‘saldo’): […] Alcuni (lo dicono) anche di ciò che è ‘fermo’, come Eschilo negli Psychagōgoi (fr. 276 R.): “acqua stagnante”. Pure Aristofane nel Proagōn: “fermo ― giovinezza”. Significa anche ciò che è ‘stabile’.
Metro
Dimetro anapestico (o parte di tetrametro anapestico catalettico)
kklkkl| kklll (opp. kklkkl kklllY 〈ytyt kklu〉)
Bibliografia Dindorf 1829, 69 (~ II [1835], 552; 1838, 458; 18695, 189); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1137–8; Bothe 1844, 135–6; Kock, I (1880), 511–2; Blaydes 1885, 242; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 256; Henderson 2007, 340–1; Pellegrino 2015, 280–1. Contesto della citazione Il lessico di Fozio (σ 489) e la Suda (σ 982) riportano il frammento come attestazione dell’ aggettivo σταθερός (‘saldo’, ‘fermo’, ‘stabile’), dopo Aesch. fr. 276 R. Interpretazione Il frammento, per il lessico poetico utilizzato1316, può essere tratto da una sezione lirica in anapesti, forse da un canto corale1317. σταθερὰ L’ aggettivo, piuttosto raro in epoca classica, derivato dalla base radicale σταθ- (formata dalla radice στα- e dal suffisso -θ-)1318, è attestato nell’ accezione di ‘fermo’ in Aesch. fr. 276 R. (riportato supra in Phot. σ 489 = Sud. σ 982); in Antim. fr. 30 (θέρεος σταθεροῖο) indica l’ estate ‘piena’, ‘al suo culmine’1319. κάλυξ […] ἥβης Il sintagma κάλυξ ἥβης, non attestato altrove, è una variatio del più comune ἥβης ἄνθος (“fiore di govinezza”)1320, per il quale cfr. ad es. Il. 13, 484; Hymn. Hom. in Merc. 375 (ἄνθος […] φιλοκύδεος ἥβης); Hes. Theog. 988 (ἄνθος […]ἐρικύδεος ἥβης); Tyrt. fr. 10, 28 W.2 (ἥβης ἀγλαὸν ἄνθος); Mimn. frr. 1, 4 W.2 (ἥβης ἄνθεα); 2, 3 W.2 (ἄνθεσιν ἥβης); Theogn. 1007–8 (ἥβης | ἀγλαὸν ἄνθος); 1070 (ἥβης ἄνθος); Sim. fr. 20, 5 W.2 (ἄνθος […] πολυήρατον ἥβης); Phryn. fr. 3, 3
1316
Per l’ analisi stilistica vd. infra. Per Kaibel (ap. PCG, III 2 [1984], 256) “tragice loquitur chorus”; cfr. anche Dindorf 1829, 69 (= II [1835], 552; 1838, 458; 18695, 189); Kock, I (1880), 512. 1318 Cfr. Chantraine, DELG, s. v. στάθμη et σταθμός, C; Beekes, EDG, s. v. στάθμη. 1319 Cfr. anche, per il medesimo significato in relazione al mezzogiorno, il sintagma μεσημβρία […] σταθερά in Plat. Phaedr. 242a; vd. inoltre Wyss 1936, p. 16. 1320 Cfr. ad es. Kassel–Austin, PCG, III 2 (1984), 256; Pellegrino 2015, 280–1. 1317
274
Aristophanes
(ἄνθος ἥβης)1321. Per κάλυξ nel senso poetico di ‘bocciolo’ cfr. ad es. Hymn. Hom. in Cer. 427 (ῥοδέας κάλυκας); Cyp. fr. 4, 5 (ἔν τ᾽ ἀμβροσίαις καλύκεσσιν); Anacr. fr. 134 (PMG 479: κάλυκας); Bacchyl. fr. 53a, 1 (καλ[ύκεσσι); Aesch. Ag. 1392 (κάλυκος ἐν λοχεύμασιν); Soph. OT 25 (κάλυξιν ἐγκάρποις χθονός); Ar. Av. 1065 (ἐκ κάλυκος αὐξανόμενον […] καρπὸν)1322; Cratin. fr. 105, 3 (ἀνεμωνῶν κάλυξί τ᾽ ἠριναῖς); Theocr. 3, 23 (καλύκεσσι καὶ εὐόδμοισι σελίνοις). νεαρᾶς ἥβης Il sintagma è attestato anche in un carmen epigrafico attico del VI sec. a. C. (CEG I 13, 3: νεαρὰν hέβεν). Per l’ aggettivo νεαρός (‘giovane’, ‘fresco’, ‘nuovo’, ‘recente’) nella lingua poetica cfr. ad es. Il. 2, 289; Hes. fr. 357, 2 M.-W.; Pind. Pyth. 10, 25; Nem. 8, 20; Isthm. 8, 47; Aesch. Ag. 76; 359 (anap.); 1504 (anap.); Soph. Ant. 157; OC 702; Eur. Hipp. 1353; Tr. 835; IT 835–6.
fr. 484 K.-A. (468 K.) Schol. Luc. Alex. 4, p. 181, 12–6 R. ὁ Φ ρ υ ν ώ ν δ α ς ἐπὶ πονηρίᾳ βοᾶται Εὐπολίδι ἐν Ἀστρατεύτοις (fr. 45), Δήμοις (fr. 139), Ἀριστοφάνει δὲ Προάγωνι, Ἀμφιαράῳ (fr. 26), Θεσμοφοριαζούσαις (861). P h r y n ō n d a s (“Frinonda”) è tacciato di ribalderia da Eupoli negli Astrateutoi (fr. 45), nei Dēmoi (fr. 139), da Aristofane nel Proagōn, nell’Amphiaraos (fr. 26), nelle Tesmoforiazuse (861).
Metro
Non determinabile
lll
Bibliografia Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1140; Bothe 1844, 136; Kock, I (1880), 512; Blaydes 1885, 243; Edmonds, I (1957), 702–3; PCG, III 2 (1984), 257; Henderson 2007, 340–1 (~ 2011, 318); Pellegrino 2015, 281. Contesto della citazione Lo schol. Luc. Alex. 4 (p. 181, 12–6 R.), spiegando il riferimento a Frinonda come esempio di personaggio tristemente famoso per la sua ribalderia (ponēria), indica come attestazione il Proagōn di Aristofane (insieme ad altri testi comici), senza tuttavia riportare il frammento. La fonte potrebbe essere Phryn. Praep. soph. p. 124, 9–10 (Φρυνώνδειον· οἷον πανοῦργον. Φρυνώνδας γὰρ ἐπὶ πονηρίᾳ διεβεβόητο)1323. Annotazioni simili, con maggiori particolari, anche in Phot. φ 323 (= Sud. φ 770: Φρυνώνδας· τῶν ἐπὶ πονηρίᾳ διαβεβλημένων [διαβεβοημένων Sud.], ὃς ξένος ὢν κατὰ τὰ Πελοποννησιακὰ διέτριβεν Ἀθήνησιν. Ἀριστοφάνης Ἀμφιάρεω [fr. 26]· […] ἐκ τούτου τοὺς πονηροὺς Φρυνώνδας); cfr. inoltre Harp. p. 303, 10–11 Dind. (= φ 30 Keaney: Φρυνώνδας· Αἰσχίνης κατὰ 1321
Cfr. inoltre Taillardat 19652, 47 n. 3; Neri 2009, 122; Stama 2014, 67–8; per il motivo nella poesia latina, cfr. Lotito 1988. 1322 Brano lirico (ode della seconda parabasi); cfr. ad es. Dunbar 1995, 392. 1323 Cfr. Olson 2017a, 176.
Προάγων (fr. 485)
275
Κτησιφῶντος [3, 137]. ἦν δὲ Ἀθηναῖος περιβόητος ἐπὶ πονηρίᾳ […]); Hesych. φ 938 (Φρυνώνδας· πονηρούς); Synag. φ 211 (= Phot. φ 322: Φρυνώνδας· τοὺς πονηρούς, ἀπὸ Φρυνώνδα τινός); schol. Ar. Thesm. 861 ([Φρυνώνδας·] ἐπὶ πονηρίᾳ διαβάλλεται). Interpretazione Nei testi comici citati dallo schol. Luc. Alex. 4 (p. 181, 12–6 R.)1324 il nome proprio Frinonda (Φρυνώνδας)1325 denota, per antonomasia, un ribaldo (ponēros)1326; cfr. anche Isocr. 18, 57; Aeschn. 3, 137; Plat. Prot. 327d, nei quali ultimi due passi è associato a un altro delinquente antonomastico, Euribato (come in Luc. Alex. 4; Sud. φ 770)1327. Come nome di persona è attestato, ad Atene, solo in un ostrakon della fine del V sec. a. C. (SEG XLI 16 [i]: Φρυνονδ[---]/ Κρατεσ[---]/ Ἀθμο[νεύς])1328.
fr. 485 K.-A. (469 K.) Schol. (T) Plat. Lach. 187b, p. 117 Greene (= 13, pp. 177–8 Cufalo) παροιμία ἐ ν π ί θ ῳ τ ὴ ν κ ε ρ α μ ε ί α ν (-ίαν T)· ἐπὶ τῶν τὰς πρώτας μαθήσεις ὑπερβαινόντων, ἁπτομένων δὲ τῶν μειζόνων καὶ ἤδη τῶν τελειοτέρων. κέχρηται δὲ αὐτῇ Ἀριστοφάνης ἐν Προάγωνι (-ῶσι T) καὶ Πλάτων ὁ φιλόσοφος ἐν Γοργίᾳ (514e), λέγων τὸ λεγόμενον δὴ τοῦτο, ἐν πίθῳ τὴν κεραμείαν (-ίαν T) ἐπιχειρεῖν μανθάνειν. Proverbio: e n p i t h ō i t ē n k e r a m e i a n (“[imparare] l’arte della ceramica cominciando dalla giara”) (si dice) di coloro che trascurano i primi insegnamenti e si dedicano a lavori più difficili e già più perfezionati. Se ne serve Aristofane nel Proagōn e il filosofo Platone nel Gorgia (514e), quando dice “secondo questo detto, provare a imparare l’ arte della ceramica cominciando dalla giara”.
Metro
Dimetro ionico a minore
lkll kkll
Bibliografia Dindorf 1829, 71 (~ II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1139; Bothe 1844, 136; Kock, I (1880), 512; Blaydes 1885, 243; Edmonds, I (1957), 704–5; PCG, III 2 (1984), 257; Henderson 2007, 340–1 (~ 2011, 318); Pellegrino 2015, 281. 1324
Oltre ad Ar. fr. 484, Eup. frr. 45 e 139; Ar. fr. 26 (ὦ μιαρὲ καὶ Φρυνῶνδα καὶ πονηρὲ σύ); Thesm. 860–1 (σοί γ᾽, ὦλεθρε, | πατὴρ ἐκεῖνός ἐστι; Φρυνώνδας μὲν οὖν). 1325 PA 15033; LGPN II, Φρυνώνδας (2); PAA 966050. 1326 Cfr. Totaro, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 514–5; Kanavou 2011, 195; Olson 2017a, 176–7; Orth 2017, 154–5. 1327 Per Euribato cfr. ad es. Olson 2017a, 177. 1328 Per Schröder 1991 e 1993 Φρυνονδ[---] potrebbe essere un patronimico; per Masson 1992, 114–5, è invece da integrare un nominativo; per il primo editore dell’ostrakon (Phillips 1990, 129–33) il nome è attribuito al condannato come ingiuria (cfr. Phillips 1990, 131). Sulla questione vd. anche Totaro, ap. Mastromarco–Totaro 2006, 514–5; Olson 2017a, 176–7.
276
Aristophanes
Contesto della citazione Lo schol. Plat. Lach. 187b, p. 117 Greene (= 13, pp. 177–8 Cufalo), spiegando il proverbio ἐν πίθῳ ἡ κεραμεία, indica come ulteriore attestazione, oltre a Plat. Gorg. 514e, il Proagōn di Aristofane. Note simili, ma più ampie, in Hesych. ε 3276 (~ Zenob. 3, 65: παροιμία, ἐπὶ 〈τῶν〉 [Zenob.] τὰς πρώτας μαθήσεις ὑπερβαινόντων, ἁπτομένων 〈δὲ〉 [Zenob.] εὐθέως τῶν μεγάλων καὶ τελείων [τῶν μειζόνων (Zenob.)] ὡς εἴ τις μανθάνων κεραμεύειν, πρὶν μαθεῖν πίνακας ἢ ἄλλο τι τῶν μικρῶν πλάττειν, πίθῳ ἐγχειροίη […]); cfr. inoltre Tim. Lex. p. 985b, 4–7 Dübn. (παροιμία ἐπὶ τῶν τὰς πρώτας μαθήσεις ὑπερβαινόντων, ἁπτομένων δὲ τῶν μειζόνων· τουτέστι τῶν παριέντων τὰς πρώτας μαθήσεις καὶ ἐφιεμένων τῶν τελευταίων); Phot. ε 746 (= 1011: παροιμία ἐπὶ τῶν τὰς πρώτας μαθήσεις ὑπερβαινόντων, ἁπτομένων δὲ τῶν μειζόνων); Diogen. 4, 44 (παροιμία ἐπὶ τῶν τὰς πρώτας μαθήσεις ὑπερβαινόντων, μανθανόντων δὲ τὰ μείζονα); [Plut.] Prov. 2, 12 (ἐπὶ τῶν παριέντων τὰς πρώτας μαθήσεις καὶ ἁπτομένων τῶν τελευταίων). Nei lessicografi e nei paremiografi antichi, che sembrano derivare da un’ unica fonte per le somiglianze lessicali con lo schol. Plat. Lach. 187b1329, non compare tuttavia il riferimento al Proagōn aristofaneo; probabilmente lo scoliaste utilizza anche un’ altra fonte più antica, che potrebbe essere la raccolta di proverbi di Lucillo di Tarra (I sec. d. C.)1330. Interpretazione Il proverbio ἐν πίθῳ τὴν κεραμείαν (μανθάνειν), molto attestato nei testi antichi (oltre a Plat. Lach. 187b; Gorg. 514e, cfr. anche Poll. 7, 163; Dicaear. fr. 100; Lib. ep. 1441, 3)1331, nei lessici e nelle raccolte dei paremiografi (vd. supra, Contesto della citazione), significa trascurare i primi rudimenti di una disciplina, per passare subito ad attività più complesse, come modellare una giara per chi apprende l’ arte della ceramica1332; Dicaear. fr. 100 (= Hesych. ε 3276; Zenob. 3, 65: Δικαίαρχος δὲ φησι ἕτερόν τι δηλοῦν τὴν παροιμίαν, οἱονεὶ τὴν μελέτην ἐν τοῖς οἰκείοις ποιεῖσθαι· ὡς κυβερνήτης ἐπὶ τῆς νεώς, καὶ ἡνίοχος ἐπὶ τοῦ ἵππου) lo interpreta, tuttavia, in modo differente, come un riferimento al fare pratica in attività relative al proprio ambito (ad es. il nocchiero sulla nave e l’ auriga sul cavallo)1333. Nella forma abbreviata trasmessa dallo schol. Plat. Lach. 187b il proverbio è “un dimetro ionico a minore con sostituzione trocaica in prima sede” (Parlato 2010, 159 n. 3)1334: poteva quindi essere inserito in una sezione lirica, forse da assegnare al Coro, come il fr. 483.
1329
Forse il lessico di Diogeniano (II sec. d. C.), fonte comune di Esichio e degli scholia vetera a Platone (cfr. Lavagnini 1932a; Dickey 2007, 46). 1330 Cfr. Baumbach 1999; Dickey 2007, 46. 1331 Cfr. Lelli 2007, 416 n. 313. 1332 Cfr. Dodds 1959, 355 (ad Plat. Gorg. 514e); Müller 1974, 105; Lelli 2007, 139. 1333 Cfr. Lelli 2007, 139. 1334 Cfr. inoltre Martinelli 1995, 229, per la sostituzione trocaica in prima sede in Ar. Thesm. 111 s. (peana di Agatone).
Προάγων (fr. 486)
277
fr. 486 K.-A. (470 K.) Synag. B α 1535 (= Lex. Bachm. p. 106, 3–11) = Phot. (b Sz) α 2129 ἀντλιαντλητῆρας· Μένανδρος Μεσσηνίᾳ (fr. 229)· οἱ δ´ ἁρπάσαντες τοὺς κάδους 〈τοὺς〉 (Bekker, An. Gr. I p. 411, 13) στρογγύλους | ὕδρευον ἀνδρειότατα †κἠπόλις† (Phot.; †κηπολις† Synag. B) πάλιν. | ἤντλουν λέγειν δεῖ, καὶ κάδους οὐ δεῖ λέγειν, | ἀλλ’ ἀντλιαντλητῆρας. Ἀριστοφάνης δὲ Προάγωνι καὶ Ἐπίλυκος Κοραλίσκῳ (fr. 6) τὸ αὐτὸ τοῦτο ἀ ν τ λ ί ο ν κεκλήκασιν (†οὕτως Ἀριστοφάνης καὶ Ἐπίλυκος† Phot.). antliantlētēras (“gottazze”): Menandro nella Messēnia (fr. 229): “-Essi, presi i kadoi (“secchi”) rotondi, svuotavano di nuovo la sentina (hydreuon) con molta energia. -Bisogna dire ēntloun (“aggottavano”), e non bisogna dire kadoi, ma antliantlētēres”. Aristofane nel Proagōn ed Epilico nel Koraliskos (fr. 6) hanno chiamato questo stesso attrezzo a n t l i o n (†così Aristofane ed Epilico† Phot.).
Metro
Non determinabile
lku
Bibliografia Dindorf 1829, 71 (~ II [1835], 553; 1838, 459; 18695, 190); Bergk, ap. Meineke, II 2 (1840), 1140; Bothe 1844, 136; Kock, I (1880), 512; Blaydes 1885, 243; Edmonds, I (1957), 704–5; PCG, III 2 (1984), 257; Henderson 2007, 342–3; Pellegrino 2015, 281. Contesto della citazione La versione ampliata della Synagogē (Synag. B α 1535) testimonia che il sostantivo ἀντλίον (sinonimo di ἀντλιαντλητήρ) era attestato nel Proagōn di Aristofane e nel Koraliskos di Epilico (Epil. fr. 6), senza tuttavia riportare il testo del frammento. Il lessico di Fozio (α 2129), al lemma corrispondente, derivato da una medesima fonte1335, abbrevia in modo incomprensibile l’ ultima parte della voce (che è pertanto messa tra cruces da Theodoridis). Dalla stessa fonte dipende probabilmente anche Eust. ad Od. p. 1728, 58–9 (ἐντεῦθεν δὲ καὶ τὸ ἀγγεῖον, ᾧ ἀντλεῖται τὸ τοιοῦτον ὕδωρ, ἀντλίον, φασίν, ἐκαλεῖτο, κατὰ δέ τινας καὶ ἀντλιαντλητήρ). Il lemma riporta anche Men. fr. 229 (dalla Messēnia), nel quale sembra che un personaggio non meglio determinabile corregga l’ uso scorretto, da parte del suo interlocutore, del termine κᾶδος (‘secchio’, ‘bacile’) invece di ἀντλιαντλητήρ (‘gottazza’, ‘secchio’) e del verbo ὕδρεύω (‘attingere acqua’) invece di ἀντλέω (‘aggottare’, ‘attingere’)1336. Interpretazione Il sostantivo ἀντλίον (derivato da ἄντλος, ‘[acqua della] sentina’)1337 è un termine tecnico dell’ ambito marinaresco, che denota un recipiente di legno utilizzato per svuotare dall’ acqua la sentina di un’ imbarcazione1338. Non ci
1335
Per le fonti comuni a Fozio e alla Synagogē B, cfr. Cunningham 2013, 54–5. Cfr. PCG, VI 2 (1998), 160 (ad loc.). 1337 Cfr. Beekes, EDG, s. v. ἄντλος. Si tratta di una forma di diminutivo (cfr. Petersen 1910, 18 e 20). 1338 Cfr. Gulletta 1992, 204–5; Orth 2014, 276–7 (ad Epil. fr. 6). 1336
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Aristophanes
sono altre attestazioni letterarie classiche oltre al fr. 486 e a Epil. fr. 6 (vd. supra). Il sinonimo ἀντλιαντλητήρ, usato in Men. fr. 229, 4 (riportato supra), è forse creazione comica dal più comune ἀντλητήρ1339, anch’ esso formato col suffisso dei nomina agentis1340, per il quale cfr. ad es. Poll. 10, 311341, che lo registra tra i nomi dei recipienti usati per attingere l’ acqua dai pozzi insieme ad ἀντλία (anch’ esso derivato da ἄντλος)1342, e Athen. 10, 424a1343, che lo considera invece sinonimo di κύαθος (‘ciato’)1344; cfr. anche il diminutivo ἀντλητήριον, dal medesimo significato (cfr. Gulletta 1992, 198–9). La forma composta ὑπάντλιον è attestata in Synag. B α 1536 e in Phot. α 2126 (ἀντλίον· ὑπάντλιον) come glossema di ἀντλίον1345. In genere si ritiene che questi recipienti, usati anche per attingere l’ acqua dai pozzi1346, avessero la forma di un secchio1347. Tuttavia la ipotizzata derivazione di ἄντλος dalla radice di ἄμη (‘paletta’ per raccogliere materiali solidi e incoerenti)1348 e ἀμάομαι (‘raccogliere’, ‘ammassare’)1349 fa pensare piuttosto a un attrezzo dalla forma simile a quella delle odierne gottazze (o sàssole)1350, sorta di grosse cucchiaie con manico corto usate appunto per raccogliere e gettare in mare l’ acqua che si raccoglie nella sentina delle imbarcazioni.
1339
Cfr. Chantraine, DELG, s. v. ἄντλος; Gulletta 1992, 196; Bonati 2016, 60. Cfr. Chantraine, DELG, s. v. ἄντλος. 1341 εἰ δὲ καὶ ἐκ φρεάτων ἢ λάκκων τὸ ὕδωρ ἀπαντλεῖς, δέοιτ᾿ἂν σκευῶν ἀντλητῆρος, ἀντλίας […]. 1342 Cfr. Chantraine, DELG, s. v. ἄντλος. Il sostantivo ἀντλία denota, nel greco classico, sia la ‘sentina’ della nave (cfr. ad es. Ar. Eq. 434), sia il ‘recipiente’ usato per svuotarla (cfr. Gulletta 1992, 200–1; 209); nel greco moderno, una ‘pompa’ per l’ acqua. In Poll. 10, 102 (riportato supra, ad fr. 431) ἀντλία è inoltre sinonimo di κάρποδον, un recipente tondeggiante per impastare (vd. supra, n. 653), e di σκάφη (‘bacile’; cfr. Ar. Pac. 17–8); cfr. anche Hesych. α 5521 (ἀντλία· σκάφη, ἐν ᾗ μάσσουσι. καὶ τοῦ πλοίου τὸ σκαφίδιον); Gulletta 1992, 211. 1343 κύαθον δ᾿ἐπὶ τοῦ ἀντλητήρος Πλάτων εἴρηκεν ἐν Φάωνι οὕτως [Plat. com. fr. 192]. 1344 Cfr. Gulletta 1992, 196–7. 1345 Cfr. Gulletta 1992, 196. 1346 Cfr. ad es. Poll. 10, 31 (riportato supra, n. 1341); vd. anche Gulletta 1992, 211; Bonati 2016, 60. 1347 Cfr. le traduzioni di Edmonds, I (1957), 705 (“bucket”); Henderson 2007, 343 (“buckets”), che considera ἀντλιαντλητῆρας il lemma aristofaneo; Pellegrino 2015, 281 (“secchio per ripulire la sentina”). 1348 Cfr. Gulletta 1992, 208. 1349 Cfr. Chantraine, DELG, s. v. ἀμάω, ἀμάομαι; Gusmani 1968, 22–8; Beekes EDG, s. v. ἀμάομαι. 1350 Cfr. però Gulletta 1992, 208, per il quale tra ἄμη e ἄντλος ci sarebbe invece un rapporto non di sinonimia, ma di “complementarietà [sic] semantico-funzionale (paletta per ammucchiare, ammassare / secchio per attingere)”. 1340
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327
Indices Index fontium Antiatt. α 28 (= An. Gr. I p. 78, 11): fr. 460 Antiatt. α 123 (= An. Gr. I p. 82, 23): fr. 423 Antiatt. γ 37 (= An. Gr. I p. 88, 7): fr. 461 Antiatt. ε 88 (= An. Gr. I p. 95, 29): fr. 463 Antiatt. ζ 5 (= An. Gr. I p. 98, 1): fr. 398 Antiatt. κ 92 (= An. Gr. I p. 105, 2): fr. 400 Antiatt. ο 25 (= An. Gr. I p. 111, 7–8): fr. 456 Antiatt. ρ 5 (= An. Gr. I p. 113, 11): fr. 465 Apost. 7, 92: fr. 473 Ar. Vesp. 1037–42: Ὁλκάδες test. iv Areth. Schol. Plat. Ap. 18b, p. 420 Greene (= 7, p. 13 Cufalo): fr. 453 Arg. Ar. Nub. A 6 Holwerda (= II Dover): Νεφέλαι αʹ test. i a Arg. Ar. Nub. A 7 Holwerda (= I Dover): Νεφέλαι αʹ test. ii Arg. Ar. Nub. A 8, p. 5, 7 Holwerda (= VI 4–5 Dover): Νεφέλαι αʹ test. iii d Arg. Ar. Pac. A 3, 29–31 Holwerda: Ὁλκάδες test. iii Arg. Ar. Vesp. II p. 6, 37–9 Koster (= I MacDowell): Προάγων test. iii Athen. 3, 80a: fr. 479 Athen. 3, 91b–c: fr. 425 Athen. 3, 95d: fr. 478 Athen. 3, 111a: fr. 429 Athen. 3, 118d: fr. 430 Athen. 6, 246f–247a: fr. 452 Athen. 7, 329b: fr. 426 Athen. 9, 368d–e: fr. 449 Athen. 9, 380d: fr. 482 Athen. 9, 387f: fr. 448 Athen. 10, 422e: fr. 480 Athen. 11, 478f: fr. 481 Athen. 11, 479c: fr. 395 Athen. Epit. 2, 56b–c: fr. 408 Athen. Epit. 11, 478f: fr. 481 Choerob. in Heph. Ench. 9, p. 235 Consbr.: Πλοῦτος αʹ test. ii Cyrill., An. Par. IV p. 179, 27–8: fr. 436 Cyrill., An. Par. IV p. 188, 25–31: Πολύιδος test. iii
Diog. Laert. 2, 18: fr. 392 Et. gen., s. v. ἔλυμος: fr. 413 Et. gen., s. v. ἔνδημος: fr. 407 Et. gen., s. v. ἑπτάχορδα: fr. 467 Et. gen., s. v. ἐρανιστής: fr. 419 Et. gen., s. v. ἔρημον ἐμβλέπειν: fr. 473 Et. gen., s. v. θησειότριψ: fr. 475 Et. gen., s. v. οἰσυπηρά: fr. 415 Et. Gud. p. 474, 24–9 Sturz: Πολύιδος test. iii Et. magn. p. 182, 17–9: fr. 416 Et. magn. p. 194, 31–3: fr. 471 Et. magn. p. 333, 34: fr. 413 Et. magn. p. 338, 53–9: fr. 407 Et. magn. p. 373, 18–20: fr. 473 Et. magn. p. 451, 52–4: fr. 475 Et. Sym. ε 406: fr. 407 Eust. ad Il. p. 838, 55: fr. 406 Eust. ad Il. p. 863, 35: fr. 426 Eust. ad Od. p. 1423, 4: fr. 446 Eust. ad Od. p. 1534, 47: fr. 427 Gal. Alim. fac. 1, 27, 1 (CMG V 4, 2, p. 253 Helmr.): fr. 428 Gell. NA 19, 13, 2–3: fr. 441 Harp. p. 122, 7–9 Dind. (= ε 89 Keaney): fr. 440 Harp. p. 218, 9–12 Dind. (= ο 7 Keaney): fr. 446 [Hdn.] Philet. 83 (= exc. Hdn. 28 Dain): fr. 447 Hesych. α 6067: fr. 436 Hesych. θ 954: fr. 411 Hesych. μ 1705: fr. 431 IG II2 2321: [Ὀδομ]αντοπρέσ[βεις] Moer. β 1 Hansen (= p. 192, 13 Bekk.): fr. *450 Moer. ο 34 Hansen (= p. 205, 19 Bekk.): fr. 474 Or. fr. B 41 Alp.: fr. 428 P. Berol. 21163 (= BKT IX 66), col. I 8: Νεφέλαι αʹ test. iii a P. Oxy. XV 1801 (= CGFP 343), 21–2: fr. 471
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Index fontium
P. Oxy. XXXIII 2659 (= CGFP 18), fr. 1, col. I 13 et fr. 2, col. I: Νεφέλαι αʹ test. iii b; Ὁλκάδες test. i; Πλοῦτος αʹ test. i; Ποίησις test. i; Πολύιδος test. i; Προάγων test. i P. Yale 1625 = P. Turner 4: fr. 466 Paus. Att. α 85: fr. 406 Paus. Att. κ 61: fr. 427 Phot. α 325: fr. 416 Phot. α 1187: fr. 406 Phot. α 1285: fr. 405 Phot. α 1326: fr. 445 Phot. α 1364: fr. 457 Phot. α 1632: fr. 470 Phot. α 2129: fr. 486 Phot. α 2372: fr. 436 Phot. α 2595: fr. 421 Phot. α 2772: fr. 428 Phot. α 3138: fr. 437 Phot. α 3448: fr. 416 Phot. ε 668: fr. 413 Phot. ε 845: fr. 407 Phot. ε 1201: fr. 404 Phot. ε 1855: fr. 467 Phot. ε 1887: fr. 419 Phot. ε 1912: fr. 473 Phot. η 4: fr. 417 Phot. λ 36: fr. 420 Phot. μ 55: fr. 431 Phot. ξ 58: fr. 410 Phot. ο 89: fr. 446 Phot. π 419: fr. 394 Phot. π 865: fr. 393 Phot. σ 289–290: fr. 431 Phot. σ 445: fr. 425 Phot. σ 489: fr. 483 Poll. 1, 83: fr. *439 Poll. 3, 86: fr. 412 Poll. 6, 14: fr. 435 Poll. 6, 45: fr. 408 Poll. 7, 104: fr. 412 Poll. 7, 105: fr. 451 Poll. 7, 115: fr. 464 Poll. 9, 31: fr. 472 Poll. 9, 60: fr. 438 Poll. 9, 89: fr. 412 Poll. 9, 130: fr. 476 Poll. 9, 139: fr. 462
Poll. 10, 44–5: fr. 477 Poll. 10, 47: fr. 414 Poll. 10, 63: fr. *450 Poll. 10, 73: fr. 435 Poll. 10, 84: fr. 431 Poll. 10, 102: fr. 431 Poll. 10, 144: fr. 418 Poll. 10, 159: fr. 434 Poll. 10, 159: fr. 446 Poll. 10, 172: fr. 427 Poll. 10, 173: fr. 432 Poll. 10, 174: fr. 451 Prisc. IG 18, 264 (= GrL III p. 344, 9–12): fr. 466, 4–5 Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66–7 Koster: Νῆσοι test. ii; Ποίησις test. iii Prol. de com. XXXa, p. 142, 16–8 Koster: Νεφέλαι αʹ test. iii c; Νῆσοι test. i; Ὁλκάδες test. ii; Πελαργοί test. i; Ποίησις test. ii; Πολύιδος test. ii; Προάγων test. ii Schol Ar. Ach. 122: fr. 422 Schol. Ar. Ach. 710b: fr. 424 Schol. Ar. Ach. 710c: fr. 424 Schol. Ar. Av. 296a: fr. 403 Schol. Ar. Av. 440 α–β: fr. 409 Schol. Ar. Av. 440–441α: fr. 409 Schol. Ar. Av. 441a: fr. 409 Schol. Ar. Av. 1283a: fr. 433 Schol. Ar. Lys. 722a: fr. 442 Schol. Ar. Nub. 520: Νεφέλαι αʹ test. iv Schol. Ar. Nub. 524b : Νεφέλαι αʹ test. i b Schol. Ar. Nub. 543a: Νεφέλαι αʹ test. v Schol. Ar. Nub. 549a: Νεφέλαι αʹ test. vi a Schol. Ar. Nub. 549b : Νεφέλαι αʹ test. vi b Schol. Ar. Nub. 553: Νεφέλαι αʹ test. vii Schol. Ar. Nub. 591a: Νεφέλαι αʹ test. viii a Schol. Ar. Nub. 591b : Νεφέλαι αʹ test. viii b Schol. Ar. Nub. 699b.α: fr. 420 Schol. Ar. Nub. 699b.β: fr. 420 Schol. Ar. Nub. 1115a: Νεφέλαι αʹ test. ix Schol. Ar. Pac. 92a: fr. *401 Schol. Ar. Pac. 348e: fr. 397 Schol. Ar. Pl. 84a: fr. 455 Schol. Ar. Pl. 115b: fr. 458 Schol. Ar. Pl. 173b, 2–3: Πλοῦτος αʹ test. iii Schol. Ar. Pl. 665b: fr. 454
Index verborum Schol. Ar. Ran. 1096b: fr. 459 Schol. Ar. Vesp. 61c: Προάγων test. iv Schol. Ar. Vesp. 592b: fr. 424 Schol. Ar. Vesp. 1038a, 1–4: fr. 399 Schol. Ar. Vesp. 1038c: Νεφέλαι αʹ test. *x Schol. Ar. Vesp. 1044: Νεφέλαι αʹ test. i c Schol. Ar. Vesp. 1238a: fr. 444 Schol. Hom. Il. 3, 182b: fr. 420 Schol. Luc. Alex. 4, p. 181, 12–6 R.: fr. 484 Schol. Plat. Lach. 187b, p. 117 Greene (= 13, pp. 177–8 Cufalo): fr. 485 Steph. Byz. φ 42: fr. 443 Stob. 4, 14, 7, p. 374, 7–17 H.: fr. 402 Stob. 4, 22b, 43, p. 517, 9–11 H.: fr. 469 Stob. 4, 51, 15, p. 1069, 6–8 H.: fr. 468 Sud. α 430: fr. 416 Sud. α 2014: fr. 460 Sud. α 2048: fr. 470 Sud. α 3075: fr. 436 Sud. δ 565: fr. 409 Sud. ε 1684: fr. 404 Sud. ε 2965: fr. 473 Sud. ε 3367: fr. 424
Sud. η 8: fr. 417 Sud. θ 369: fr. 475 Sud. μ 496: fr. 453 Sud. ξ 129: fr. 410 Sud. ο 918: fr. 396 Sud. π 795: fr. 455 Sud. π 1531: fr. 393 Sud. σ 982: fr. 483 Sud. τ 509: fr. 420 Sud. τ 772: fr. 424 Synag. Β α 314 (= Lex. Bachm. pp. 26, 26–27, 2): fr. 416 Synag. B α 1535 (= Lex. Bachm. p. 106, 3–11): fr. 486 Synag. B α 1725 (= Lex. Bachm. p. 118, 20–2): fr. 436 Synag. B α 2092 (= Lex. Bachm. p. 141, 2): fr. 428 Synag. Β α 2610 (= Lex. Bachm. p. 176, 1–4): fr. 416 Thom. Mag. p. 337, 7–10 Ritschl: fr. 447 Zon., An. Par. IV p. 135, 20–2: fr. 419
Index verborum ἀγένειος (παῖς): 119 ἀγκαλίς (ξύλων): 146 ἀδαχέω: 106 ἀδικέω: 229–30 Ἀδμήτου λόγος: 167–8 αἴρα: 135 ἁλμαία: vd. πίνω ἁλμάς: 77 ἅλμη: 130 ἀμέργω: 72 ἄμυλος: 70–1 ἀμφιέννυμι (-ύω): 169 ἀμφίσβαινα: 191–2 ἀναπηρία (ἀναπειρία): 212–3 ἀναρίστητος: 245–6 ἀντιμαρτυρέω: 181–2 ἀντλιαντλητήρ: 278 ἀντλίον: 277–8 ἀπαλλάσσω (-ττω): 66 ἀπαρκέω: 250
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ἀποσημαίνομαι (οἰκίας): 173 ἀποσφακελίζω: 152–3 ἀπράγμων: 100 ἄρα: 103; 115 ἄρακος: 134 ἀργύρια: 86 Ἁρμοδίου μέλος: 168 ἀρύταινα: 178 ἀτταγᾶς: 174 Ἀττικωνικός: 153 αὐτίκα: 30 ἄχωρ: 106–7 βαβαί: 103 βαλανεύς: 177–8 βάλλ᾽ ἐς κόρακας: 262–3 βαρύσταθμος: 104 βέλεκκος: 247 βινέω: 46 βλέπω: 68 γεύομαι: 265
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Index verborum
γίγνομαι (in proposizione temporale): 108 γραΐζω: 213–4 δαρδάπτω: 127 δειπνέω: 269 δεκατεύω: 249 δέων, δέουσα (part.): 271 διαλείχω: 127 διαλλαγή (τῶν προσώπων): 30 διασκευή: 29 δίδωμι (γυναῖκα): 243 διόρθωσις: 29 διώκω: 181 δραχμιαῖος: 154 δρομάς (ὁλκάς): 155 δύστηνος: 265 ἐγκρούω (παττάλους): 145–6 εἴσοδος: 68 εἰσοράω (ἐσ-): 266 ἐκλέγω: 107 ἑκτεύς: 271 Ἑλλάς (ἅπασα): 227 ἐλλιμενίζω: 249 ἔλυμος: 86 ἐμπαίζω: 215–6 ἐν ἐκθέσει: 38 ἐν Μαραθῶνι: vd. τρόπαιος ἐν πίθῳ τὴν κεραμείαν (μανθάνειν): 276 ἔξεχ’ ὦ φίλ’ ἥλιε: 69 ἐξονυχίζω: 117 ἐπὶ μέρους: 29 ἐπὶ ξύλα: 108 ἐπίγυον: 156 ἐπίδημος: 74 ἐπικρούω: 215 ἐπινίκια (pl.): 174 ἐπισίτιος: 182 ἑπτάχορδος: 232 ἐρανιστής: vd. ἑστιάω ἔρημον ἐμβλέπειν: 250 ἑστιάω (ἐρανιστὰς): 111–2 ἔτνος: 112 ζειά: 135 ζευγάριον (βοοῖν): 66 ζυγοποιέω: 218 ζυμέω: 52 ζώπυρον: 228–9 ἥβη (νεαρά): 274 ἥκω (ἄγων): 244
ἥκω (ἔνθάδε): 228 ἠπίαλος: 38; 53–4; 100 θησομύζων (part.): 252 θησειότριψ: 252 θλαστή (ἐλάα): 77 θρανίδιον: 87 θυννίς: 140 ἰσχάς: 71 ἰώ: 115 καθόλου: 29 κακοῦργος (κάκουργος): 173 κάλυξ (ἥβης): 273–4 κάμαξ (ξυστὴ): 110 καυλίζομαι (di lancia): 109 κεῖμαι: 45 κίχλη: 66 κόλασμα: 54 κολίας: 139 κολλύρα (κολλούρα): 137 κοτύλη: 271 κοτυλίσκος: 49 κυνῆ (θύρσου): 84–5 κύπτω (ἐς τὴν γῆν): 83 κωλῆ: 175 κωρυκίς: 133 Λακεδαῖμον (voc.): 115 λάσανα (pl.): 263 λεβίας: 139 λῆρος πολύς: 241· λόγχη: 109 μαζονομεῖον (μοσσυνικόν): 143–4 μάκτρα: 142–3 μετεωρολέσχης: 55 μετόν (αὐτῷ): 50 μηδέ (con il futuro): 49 μιστύλλω: 127 μοὐστίν: 269 μύλλος: 139 νᾶνος: 157–8 ξυννέφω (συννέφω): 83 ὀβολίας (ἄρτος): 190 ὅδε (epanalettico): 65–6 οἰκίσκος (ὀρνίθειος): 171 οἰκίσκος (περδικικός): 149 οἴμοι τάλας: 262 οἰσυπερά (ἔρια): 103–4 οὗτος (prolettico): 65 ὀφείλω: 241
Index locorum παραφέρω: 272 παρέχω: 169 πᾶς ὁμοῖος: 232–3 παύω: 207–8 περδικικός: vd. οἰκίσκος περιλαλέω: 42 πηνίον: 45–6 πίνω (ἁλμαίαν): 120 πλατεῖα (χείρ): 211 ποιέω (per la composizione di opere poetiche): 42 πολέμαρχος: 100 πολυτίμητος: 66 πονηρός: 124 προβάτιον (βληχώμενον): 66 πρὸς μυρρίνην: 168 προσεμφερής: 253 προσκεφάλαιον: 179–80 πτισάνη: 134 πυός: 71 πῦρ ἐπὶ πῦρ: 243–4 πυρετός: 100 πυρός: 134 ῥύγχος: 266 ῥυφέω: 218 σαπέρδης: 139 σεμίδαλις: 135 σκαφίς: 142 σκόμβρος: 139 σκυτάλιον: 147–8 σκύταλον ὑποσίδηρον: 146 σμινύδας (acc. pl.): 146 σοφός: 42
σπατάγγης: 127–8 σπινίδιον: 66 σπυρίς: 133 σταθερός: 273 στέμφυλα: 77 στρέφω (τὴν γαστέρα): 262 σῦκον (τῆς μεσημβρίας τρώγω): 267 συμφορά: 207 συνήγορος: 124 τάριχος: 71 τέκνον: 265 τήμερον: 115–6 τοξότης: 124 τριχίς: 130 τρόπαιος (ἐν Μαραθῶνι): 137–8 τροχιλία: 158–9 τρυγέω: 72 τυγχάνω: 30; 74 ὕρχη (οἴνου): 150 φακῆ: 71 Φασιανός: 159–60 φοβέομαι (τὸν θάνατον): 241 φράζω: 229 χάλκωμα: 179 χαρίζω: 228 χείρ (παρανομωτάτη): 66–7 χοίνιξ (ἀλφίτων): 271 χόνδρος: 134–5 χορδή: 265 ὦ μῶρε μῶρε: 65 ὠθέω: 178 ὥρα βαδίζειν (ἐστί): 269
Index locorum Aelianus NA 3, 23: 161 n. 756; 162 NA 6, 15: 184 NA 8, 20: 162 NA 8, 22: 162 NA 9, 23: 191 VH 2, 13: 39 n. 139 VH 13, 5: 184 Aelius Dion. α *109: 191 ε *61: 249
Aeneas Tact. 29, 5: 248 n. 1194 Aeschines 3, 137: 275 Aeschines Socr. fr. 35, 12: 250 n. 1203 Aeschylus Ag. 66: 110 Ag. 76: 274 Ag. 177: 12 Ag. 202: 215
331
332 Aeschylus [cont.] Ag. 258: 228 Ag. 359: 274 Ag. 1215 ss. : 256 n. 1240 Ag. 1219: 265 Ag. 1221–2: 265 Ag. 1233: 191 Ag. 1392: 274 Ag. 1486: 82 n. 335 Ag. 1504: 274 Ch. 3: 228 Ch. 659: 228 Ch. 838: 228 Eum. 83: 208 Eum. 200: 82 n. 335 Eum. 236: 228 Eum. 590: 45 Eum. 897: 207 Pers. 261: 68 Pers. 290: 265 Pers. 299: 68 Pers. 474: 250 Pers. 501: 138 n. 625 Pers. 692: 228 Pers. 742: 14 Pers. 817: 109 Pers. 908: 115 Pers. 909: 265 Pers.1004–5: 115 Pr. 1: 228 Pr. 58: 215 Pr. 284: 228 Pr. 656: 265 Pr. 773: 208 Sept. 40: 244 Sept. 498: 250 fr. 152 R.: 110 fr. 190, 1 R.: 228 fr. 276 R.: 273 Aesopus 208, 6–7 Hsr. : 191 299 Hsr.: 216 14 Perry: 81 n. 328 73 Perry: 81 n. 328 81 Perry: 81 n. 328 194 Perry: 162 352 Perry: 81 n. 328 514 Perry: 81 n. 328
Index locorum Agathon fr. 4, 3 Sn.: 253 Αlcaeus fr. 38a, 8 V. : 136 n. 610 fr. 69, 2 V. : 207 fr. 130b V.: 63 n. 253; 65 n. 265 Alciphron 3, 34, 1: 63 Alexander Mynd. fr. 1 Wellm. : 162 Alexis fr.15: 112 fr. 85, 2: 150 fr. 102, 4: 135 fr. 114: 269 fr. 124, 5 s.: 48 n. 190 fr. 129, 8: 52 fr. 137: 265 n. 1283 fr. 146, 3: 134 fr. 167: 176 fr. 173, 3: 135 fr. 176: 272 fr. 178, 11: 71 fr. 184, 2–3: 53 fr. 200, 3: 182 fr. 209: 103 fr. 235, 1: 246 Anacreon fr. 134 (PMG 479) : 274 Anaxandrides fr. 42: 71; 134; 135; 175 n. 828; 176 Anaxippus fr. 6, 3: 142 Andocides 1, 3: 229 n. 1100 1, 13: 81 n. 334; 82 1, 52: 81 n. 334; 82 1, 53: 82 1, 67: 81 n. 334; 82 3, 38: 91 n. 374 Androtion FGrHist 324 F 40: 34 Anecdota Graeca An. Ox., I (1835), p. 17, 28–33: 115 An. Ox., I (1835), pp. 17, 33 – 18, 1: 114 n. 493 An. Ox., I (1835), p. 260, 32: 114 n. 493; 115 n. 507
Index locorum Anecdota Graeca [cont.] An. Ox., II (1835), p. 430, 18–21: 107 n. 462 An. Par. IV p. 116, 23–4: 152 n. 714 Lex. Bekk. V. p. 251, 30: 249 Anthologia Palatina 9, 709, 4: 117 n. 516 12, 93, 9–10: 117 n. 516 Antiatticista β 4 (= An. Gr. I p. 84, 4–6): 198 δ 56 (= An. Gr. I p. 90, 26): 154 n. 726 π 34 (= An. Gr. I p. 112, 29–30): 219 n. 1053 Antimachus fr. 30: 273 Antiphanes fr. 36, 1: 133 fr. 73: 265 fr. 75, 10: 120 n. 527 frr. 130–1: 176 fr. 139: 246 fr. 141: 269 fr. 175, 3–4: 262 fr. 179, 1: 140 fr. 185, 5: 218 fr. 189: 219; 220 fr. 259: 189 n. 897 fr. 273, 2: 135 fr. 295, 1: 149 fr. 297: 71 Antiphon 5, 9: 173 5, 69: 91 n. 374 6, 26: 229 n. 1100 Apollodorus fr. 1: 81 n. 332 [Apollodorus myth.] Bibl. 3, 17–20: 234–5 Epit. 1, 17: 243 n. 1172 Apollonius Rhod. 2, 1015–29: 144 n. 668 Apostolius 8, 35: 229 13, 100: 188 n. 893 14, 15: 162 15, 15: 243 n. 1176
333
Apuleius Met. 3, 2: 83 Met. 5, 21: 262 n. 1264 Araros fr.1: 266 Arcadius p. 10, 17–20 Bark. (= p. 9, 7–10 Schm.): 257 p. 20, 20–2 Bark. (= p. 21, 5–7 Schm.): 107 Archilochus 2 fr. 327, 2 W. : 241 Archippus fr. 1: 266 fr. 23, 1: 67 fr. 27: 84 n. 340 fr. 38, 2: 116 fr. 37: 197 n. 942 fr. 38: 197 n. 942 fr. 39: 197 n. 942 Aristaenetus 1, 25, 27–8 Vieill. : 162 Aristophanes Ach. 8: 227 Ach. 32–6: 64 Ach. 47: 270 n. 1304 Ach. 61–173: 255 n. 1234 Ach. 64: 103 Ach. 91: 228 Ach. 117–22: 119 Ach. 156–72: 90–1 Ach. 174: 262 Ach. 210: 262 Ach. 245–6: 112 Ach. 254: 250 Ach. 269 s.: 66 Ach. 278: 218 Ach. 280–625: 255 n. 1235 Ach. 368: 225 n. 1075 Ach. 393: 269 Ach. 407–79: 255 Ach. 411–79: 195 n. 932 Ach. 433: 256 n. 1238 Ach. 440: 116 Ach. 457: 80 n. 326 Ach. 478: 80 n. 326 Ach. 500: 14 n. 21 Ach. 531: 227
334 Aristophanes [cont.] Ach. 551: 130 Ach. 628 ss.: 17 Ach. 692–700: 137 n. 619 Ach. 696 s. : 137 n. 624 Ach. 699: 124 Ach. 703–18: 122–4 Ach. 704: 124 Ach. 707: 124 Ach. 715: 124 Ach. 725–6: 159–60 Ach. 757: 66 Ach. 758–9: 64 Ach. 806–7: 103 Ach. 846–7: 18 Ach. 875: 174 n. 821 Ach. 907: 81 Ach. 928: 270 n. 1304 Ach. 944–5: 210 n. 1016 Ach. 990: 103 Ach. 1018: 262 Ach. 1071: 115 Ach. 1073: 116 Ach. 1078. 115 Ach. 1080: 115 Ach. 1089 ss. : 179 Ach. 1090: 179 Ach. 1092: 71 Ach. 1094b: 114 n. 496 Ach. 1098 ss.: 111 Ach. 1101: 71 Ach. 1119: 265 Ach. 1129: 181 Ach. 1141: 103 Ach. 1177: 101 Ach. 1204: 207 Ach. 1213: 116 Av. 1 ss.: 227 Av. 30 ss.: 226 n. 1078 Av. 40–1: 81 Av. 62: 262 Av. 68: 160 Av. 78: 112 Av. 263 ss.: 57 Av. 272: 103 Av. 295–6: 68 Av. 381: 119 n. 523 Av. 439 ss.: 79–80
Index locorum Aristophanes [cont.] Av. 602: 145 Av. 660: 86 n. 349 Av. 685–722: 93; 130 n. 580 Av. 992: 228 Av. 1022: 228 Av. 1039: 228 Av. 1065: 274 Av. 1238–9: 65 Av. 1259: 207 Av. 1260: 262 Av. 1280 ss. : 147 Av. 1281–3: 188 n. 894 Av. 1282: 189 n. 900 Av. 1283: 147; 148 n. 695; 270 n. 1304 Av. 1296: 44 n. 169 Av. 1353–7: 161 Av. 1502: 83 Av. 1554–5: 189 n. 900 Av. 1564: 44 n. 169 Av. 1565–705: 74; 227 n. 1085 Av. 1587b: 228 Av. 1595: 228 Eccl. 30: 269 Eccl. 56: 130 Eccl. 230: 42 Eccl. 254: 186 Eccl. 284: 146 Eccl. 285: 269 Eccl. 300: 178 Eccl. 352: 269 Eccl. 397 ss. : 163; 186 Eccl. 398: 186 Eccl. 400–2: 186 n. 880 Eccl. 404 ss. : 186 n. 883 Eccl. 452: 126 n. 555; 181 Eccl. 561–2: 181 Eccl. 667: 50 Eccl. 764: 103 Eccl. 845: 112 Eccl. 1000: 49 Eccl. 1022: 146 Eq. 10: 252 Eq. 19: 80 n. 326 Eq. 40 ss.: 226 n. 1078 Eq. 51: 218 Eq. 68: 116 Eq. 243: 82
Index locorum Aristophanes [cont.] Eq. 368: 181 Eq. 376: 146 Eq. 434: 278 n. 1342 Eq. 442: 181 Eq. 506: 17 Eq. 507 ss.: 130 Eq. 512 ss.: 17 Eq. 518 ss.: 17 Eq. 550: 15 n. 25 Eq. 562: 50–1 Eq. 631: 250 Eq. 662: 130 Eq. 692: 178 Eq. 756–940: 18 n. 48 Eq. 781: 137 n. 624 Eq. 806: 77 Eq. 858: 262 Eq. 887: 262 Eq. 905: 218 Eq. 908: 106 Eq. 972: 173 Eq. 1034: 127 Eq. 1061: 116 Eq. 1091: 178 Eq. 1094: 178 Eq. 1098: 66 n. 270 Eq. 1162: 116 Eq. 1247: 71 Eq. 1300–15: 92–3 Eq. 1304: 18 Eq. 1311–2: 252 Eq. 1330: 227 Eq. 1334: 137 n. 622 Eq. 1358: 124 Eq. 1363: 18 Eq. 1373–4: 119 Eq. 1403: 177 Lys. 29: 227 Lys. 41: 227 Lys. 343: 227 Lys. 525: 227 Lys. 574–6: 102–3 Lys. 621: 119 n. 523 Lys. 722: 158–9 Lys. 804: 51 Lys. 860: 241 Lys. 917–8: 49
Aristophanes [cont.] Lys. 946: 129 Lys. 1006: 227 Lys. 1061: 112 Lys. 1078: 103 Lys. 1092: 119 n. 523 Lys. 1169: 127–8 Lys. 1202: 250 n. 1201 Lys. 1206: 173 Lys. 1236–7: 166 Nub. 1: 15 n. 22 Nub. 23: 262 Nub. 45: 77 Nub. 103–4: 45 n. 171 Nub. 103: 54 Nub. 112–15: 18 n. 51 Nub. 120: 54 Nub. 126: 45 Nub. 133: 263 Nub. 141–2: 66 n. 270 Nub. 142: 228 Nub. 144 ss.: 45 n. 171 Nub. 167: 182 Nub. 218 ss.: 55 Nub. 252–3: 12 Nub. 257: 12 Nub. 261b: 225 n. 1075 Nub. 264–6: 12 Nub. 265: 12 Nub. 269 ss.: 12 Nub. 293 ss.: 47 n. 186 Nub. 314–477: 22 Nub. 318: 42 Nub. 323 s.: 47 Nub. 323–6: 68 Nub. 331–4: 12 Nub. 333: 55 Nub. 341: 12 Nub. 348: 12 Nub. 354–5: 12 Nub. 355: 119 n. 523 Nub. 359: 241 Nub. 360: 55 Nub. 367: 50 Nub. 380 s: 12 Nub. 398: 196 n. 938 Nub. 423–4: 12 n. 3 Nub. 424: 48
335
336 Aristophanes [cont.] Nub. 426: 48 Nub. 455: 265 Nub. 503–4: 44 n. 169 Nub. 504: 54 Nub. 510–7: 17 n. 41 Nub. 518–62: 13; 16–18; 29 Nub. 520: 42 n. 159 Nub. 522: 21 Nub. 528–33: 22 n. 82 Nub. 529: 167 Nub. 537–44: 15 Nub. 545: 15 Nub. 546–8: 232 Nub. 549–50: 18; 34 Nub. 550: 45 Nub. 551 s.: : 80 n. 326 Nub. 555–6: 15 n. 26 Nub. 563–74: 17 Nub. 575–94: 17; 37 Nub. 581 ss.: 34 Nub. 591 ss.: 34 Nub. 607–26: 17–8 Nub. 627: 12 n. 3 Nub. 653 ss.: 15 Nub. 698b: 114 Nub. 699: 116 Nub. 711: 126; 127 Nub. 717: 54 Nub. 734: 15 Nub. 742b: 262 Nub. 817: 225 n. 1075 Nub. 835–7: 189 Nub. 847 ss.: 24 n. 87 Nub. 876: 18 n. 46 Nub. 884: 18 n. 51 Nub. 889–1104: 13; 18–24; 29 Nub. 889–948: 18 n. 48 Nub. 929: 196 n. 938 Nub. 931: 42 Nub. 959 ss.: 18 n. 48 Nub. 966–72: 232 Nub. 1002: 252 Nub. 1017: 54 Nub. 1053: 42 Nub. 1065–6: 18 n. 46 Nub. 1070: 196 n. 938 Nub. 1105–6: 20
Index locorum Aristophanes [cont.] Nub. 1111: 20 Nub. 1115–30: 14; 37 Nub. 1155: 115 Nub. 1170: 115 Nub. 1171b: 54 Nub. 1193: 182 Nub. 1196–200: 48 Nub. 1259a: 115 Nub. 1297 ss.: 15 Nub.1307: 116 Nub. 1321–475: 19; 23 n. 83 Nub. 1353 ss. : 166–7 Nub. 1357–8: 232 Nub. 1364: 168 Nub. 1393–4: 42 Nub. 1452–61: 12 Nub. 1458–61: 14 Nub. 1474: 103 Nub. 1476–511: 13; 24–5; 29 Nub. 1482: 181 Nub. 1486: 145 Nub. 1490: 32 Nub.1491: 116 Nub. 1493/4: 32 Nub. 1500: 145 Nub. 1505: 44 n. 168 Pac. 17–8: 141 n. 634; 278 n. 1342 Pac. 50 ss.: 226 n. 1078 Pac. 59: 227 Pac. 108: 227 Pac. 123: 136–7 Pac. 174–5: 262 n. 1262 Pac. 208: 68 Pac. 212: 153 Pac. 215: 153 Pac. 218: 103 Pac. 236–7: 114 Pac. 242–3: 113–4 Pac. 245–6: 113 n. 490 Pac. 246: 114 Pac. 248–9: 103 Pac. 250: 114 Pac. 270: 227 Pac. 293: 66 Pac. 348: 51 Pac. 352 s.: 66 Pac. 400 ss.: 227 n. 1084
Index locorum Aristophanes [cont.] Pac. 408: 227 Pac. 520 s.: 63 Pac. 530 ss.: 64 n. 259 Pac. 531: 66 n. 273 Pac. 535: 63; 66 Pac. 546: 145 Pac. 563: 71 Pac. 569 ss.: 64 Pac. 576: 63 Pac. 601–50: 123 Pac. 637: 178 Pac. 646: 227 Pac. 648–56: 34 Pac. 658 ss.: 227 n. 1082 Pac. 670: 65 n. 267 Pac. 700: 42 n. 159 Pac. 716: 218 Pac. 734 ss.: 17; 130 Pac. 739 ss.: 17 Pac. 748–50: 17 Pac. 751 ss.: 17 Pac. 752–60: 98 n. 420 Pac. 767 ss.: 15 n. 25 Pac. 790: 157 Pac. 819: 103 Pac. 893: 263 Pac. 1127–39: 64 n. 259 Pac. 1128–9: 66 Pac. 1144 ss.: 70 Pac. 1149: 63–4; 66 Pac. 1150: 71 Pac. 1195: 71 Pl. 1 ss.: 227 n. 1083 Pl. 13: 195 Pl. 23: 241 Pl. 28 ss.: 186 n. 882 Pl. 29: 199 Pl. 80: 195 n. 932 Pl. 83–5: 187 Pl. 83–4: 188 n. 890 Pl. 84: 163; 189; 195 Pl. 87–92: 197 Pl. 88: 197 Pl. 106: 225 n. 1075 Pl. 114–6: 206–7 Pl. 115: 206; 207; 208; 212 Pl. 119–20: 205–6 n. 995
Aristophanes [cont.] Pl. 160 ss. : 210 n. 1019 Pl. 169: 262 Pl. 170–80: 200 Pl. 179: 203 n. 988; 204 Pl. 191–2: 71 Pl. 192: 71 Pl. 203–7: 188 n. 896 Pl. 237–8: 188 n. 896 Pl. 239–41: 188 n. 896 Pl. 265–7: 195 Pl. 265: 197 Pl. 266: 189; 195 Pl. 284–5: 244 Pl. 303: 204 n. 989 Pl. 325: 198 Pl. 328: 250 Pl. 382: 271 Pl. 463: 210; 227 Pl. 496: 210 n. 1019 Pl. 507–16: 210 n. 1020 Pl. 512–6: 216–7 Pl. 513: 216 Pl. 517: 241 Pl. 523: 217 n. 1040 Pl. 525 ss. : 217 n. 1040 Pl. 525–34: 210 n. 1020 Pl. 528: 217 n. 1040 Pl. 535–47: 214–5 n. 1034 Pl. 535: 177 n. 833 Pl. 541: 132 Pl. 545 s. : 141; 142 n. 651 Pl. 545: 87; 143 Pl. 548–54: 195 n. 931; 210 n. 1020 Pl. 548: 214 n. 1034 Pl. 557–61: 210 Pl. 559–60: 210 Pl. 561: 210 Pl. 581: 196 n. 938 Pl. 653 ss.: 185–6 Pl. 657: 102 Pl. 665–6: 163; 186 Pl. 715: 225 n. 1075 Pl. 716 ss.: 163; 186 Pl. 726: 186 n. 882 Pl. 727: 196 n. 936 Pl. 745–7: 186 n. 882 Pl. 747: 163
337
338
Index locorum
Aristophanes [cont.] Pl. 750 ss.: 186 n. 882 Pl. 771 ss. : 207 Pl. 777 s.: 103 Pl. 779: 214 Pl. 782: 263 Pl. 811: 71 Pl. 828: 228 Pl. 839: 189 n. 899 Pl. 841: 228 Pl. 862: 124 Pl. 868b: 66 n. 270 Pl. 869: 124 Pl. 913 ss.: 100 Pl. 920: 124 Pl. 939: 124 Pl. 955: 177 Pl. 957: 124 Pl. 1004: 71 Pl. 1128: 175 Pl. 1131: 262 Pl. 1205–7: 213 Ran. 1 ss.: 227 Ran. 48: 119 n. 523 Ran. 57: 119 n. 523 Ran. 63: 112 Ran. 66 s. : 127 Ran. 66: 126 Ran. 121: 87 Ran. 307: 262 Ran. 363–5: 248 n. 1196 Ran. 392 s.: 127 Ran. 505–6: 112 Ran. 558: 71 Ran. 562: 250 n. 1201 Ran. 708 ss.: 80 n. 327; 177 n. 836 Ran. 809: 241 Ran. 830 ss.: 256 Ran. 839: 42 Ran. 840: 80 n. 326 Ran. 916–7: 42 Ran. 939 ss.: 220 n. 1063 Ran. 954: 42 Ran. 1039: 210 n. 1018 Ran. 1043: 225 n. 1075; 244 n. 1180 Ran. 1054–5: 210 n. 1018 Ran. 1069: 42; 210 n. 1018 Ran. 1082: 240 nn. 1156; 1159
Aristophanes [cont.] Ran. 1083–6: 81 Ran. 1087–8: 210 Ran. 1089–96: 210 Ran. 1096: 211 Ran. 1114: 21 n. 71 Ran. 1159: 141; 143 Ran. 1195: 102 Ran. 1249–50: 232 Ran. 1302: 183; 184 Ran. 1397: 104 Ran. 1477–8: 240 Ran. 1477: 237 Ran. 1497: 241 Ran. 1518–9: 42 n. 159 Thesm. 1 ss.: 227 Thesm. 100: 232 n. 1110 Thesm. 101–29: 232 n. 1110 Thesm. 111 s.: 276 n. 1334 Thesm. 170: 53 Thesm. 216: 127 n. 564 Thesm. 222: 146 Thesm. 231: 252 Thesm. 235: 119 n. 523 Thesm. 241: 262 Thesm. 295–371: 255 n. 1234 Thesm. 380: 230 n. 1104 Thesm. 387: 80 n. 326 Thesm. 426: 252 Thesm. 456: 80 n. 326 Thesm. 484: 262 Thesm. 535: 178 Thesm. 571 ss. : 119 n. 523 Thesm. 579: 228 Thesm. 633: 236 Thesm. 643: 178 Thesm. 689 ss.: 256 n. 1236 Thesm. 765 ss.: 256 n. 1236 Thesm. 785–813: 93; 130 n. 580 Thesm. 806: 137 n. 624 Thesm. 840 ss.: 80 n. 326 Thesm. 850 ss.: 256 n. 1236 Thesm. 860–1: 275 n. 1324 Thesm. 880: 241 Thesm. 905: 266 Thesm. 913–5: 264 n. 1277 Thesm. 975: 215 Thesm. 1001 ss. : 124 n. 545
Index locorum Aristophanes [cont.] Thesm. 1004: 215 Thesm. 1009 ss.: 256 n. 1236 Thesm. 1047: 115 Thesm. 1079: 263 Thesm. 1189–90: 269 Thesm. 1228: 269 Vesp. 54 ss.: 226 n. 1078 Vesp. 129–30: 145–6 Vesp. 152: 178 Vesp. 179: 116 Vesp. 196: 178 Vesp. 199: 178 Vesp. 251: 178 Vesp. 390: 182 Vesp. 403–525: 123 Vesp. 452: 124 Vesp. 455: 250 Vesp. 491: 71 Vesp. 493: 139 n. 629 Vesp. 520: 227 Vesp. 577: 227 Vesp. 579: 182 Vesp. 585: 173 Vesp. 592–3: 124–5 Vesp. 596 s.: 125 Vesp. 643: 116 Vesp. 656 ss.: 248 n. 1196 Vesp. 657 ss.: 179 Vesp. 659: 249 Vesp. 673–7: 94–5 Vesp. 676: 150; 179 Vesp. 693: 182 Vesp. 710: 71 Vesp. 711: 137 n. 622 Vesp. 715–18: 100 n. 429 Vesp. 718: 182 Vesp. 729–30: 264 n. 1276 Vesp. 737–8: 134 Vesp. 743–4: 264 n. 1276 Vesp. 750: 115 Vesp. 771 s.: 69 Vesp. 808: 146 Vesp. 812: 218 Vesp. 814: 218 Vesp. 821: 103 Vesp. 832: 225 n. 1075 Vesp. 835: 263
Aristophanes [cont.] Vesp. 868–1008: 255 n. 1234 Vesp. 869–70: 210 n. 1016 Vesp. 880: 182 Vesp. 893: 182 Vesp. 899: 182 Vesp. 902: 181 Vesp. 904: 127 Vesp. 906: 218 Vesp. 941: 116 Vesp. 943: 182 Vesp. 947: 182 Vesp. 982: 218 Vesp. 1000: 182 Vesp. 1015 ss.: 130 Vesp. 1018 ss.: 17 Vesp. 1029 ss.: 17 Vesp. 1030–7: 98 Vesp. 1041: 181 Vesp. 1043 ss: 17; 99–100 Vesp. 1044: 232 Vesp. 1048 ss.: 17 Vesp. 1051 ss.: 99; 232 Vesp. 1060–121: 137 n. 619 Vesp. 1085: 178 Vesp. 1127: 119; 128–9 Vesp. 1207: 181 Vesp. 1214: 179 Vesp. 1224–35: 166 Vesp. 1226: 168; 225 n. 1075 Vesp. 1236–42: 166–7 Vesp. 1238/9: 165–6 Vesp. 1241–2: 166 Vesp. 1243–8: 166 Vesp. 1245–7: 166 Vesp. 1250–1: 111 Vesp. 1391: 190 Vesp. 1412–4: 44 n. 169 Vesp. 1514–5: 129 fr. 1: 228 fr. 23: 71 fr. 26: 275 n. 1324 fr. 28, 2: 173 fr. 46: 83 fr. 82: 156 fr. 88: 50 fr. 105: 190 fr. 111: 63; 64; 66
339
340 Aristophanes [cont.] fr. 117: 183; 184; 185 fr. 144, 2: 116 fr. 148, 2: 77 fr. 156: 103; 184; 185 n. 875 fr 165: 134 fr. 166: 108 n. 466 fr. 206: 22 n. 82 fr. 208: 135; 218 fr. 215: 86 fr. 235: 167 fr. 236: 175 fr. 260: 268; 269 fr. 273: 86 fr. 293: 108 fr. 295: 44 n. 169 fr. 322, 11: 53 n. 207 fr. 333: 70 n. 285; 71 fr. 346: 53 fr. 347, 2: 71 fr. 368: 86 fr. 444 K.: 198–9 fr. 504: 196 n. 936 fr. 513: 269 fr. 514: 112 fr. 527: 87 fr. 552: 44 n. 169 fr. 557: 133 fr. 577: 252 fr. 581: 71; 94 fr. 584: 44 n. 169 fr. 610: 108; 146 fr. 614: 116 fr. 623: 221 fr. 647: 271 fr. 672: 198 fr. 689: 106 fr. 866: 117 fr. 889: 145; 146 fr. 900 K.: 119; 128–9 fr. 931: 163 fr. 939: 146 Aristoteles Ath. Pol. 58, 2: 100 Cat. 9b, 31: 241 EM 26, 1192b, 2: 111 EN 4, 2, 1123a, 22: 111 EN 6, 8, 1142a, 22: 104 GA 769b: 213
Index locorum Aristoteles [cont.] GA 775a: 213 HA 5, 8, 542a: 46 n. 181 HA 5, 19, 551b, 6: 45 n. 177 HA 6, 24, 577b, 27: 157 n. 740 HA 9, 13, 615b, 23–4: 161 HA 9, 43, 629a: 253 Mir. 832a, 23: 191 Mir. 853a: 144 n. 668 Oec. 2, 135, 1350a, 16–22: 248 n. 1194 PA 660b: 213 Poet. 1450a, 4: 14 n. 20 Poet. 1459a, 18: 14 n. 20 Pol. 1300b, 33: 154 Probl. 880a, 21: 243 Probl. 880b: 213 Probl. 893b: 213 Rh. 1, 5, 1361b: 178 Rh. 2, 8, 1386a: 213 fr. 67 R.: 124 fr. 628 R.: 183 Arrianus An. 4, 15, 2: 243 Tact. 40, 4: 110 Athenaeus 2, 56d: 77 n. 314 3, 74c–80e: 266 3, 75b: 267 3, 80a–b: 267 3, 80b: 267 3, 94c–95d: 264 3, 111b: 190 3, 112f: 137 3, 118c: 139 4, 171c: 48 5, 197f: 143 n. 661 5, 200a: 143 n. 661 5, 202e: 143 n. 661 5, 217a: 255 6, 247e: 181 6, 264a: 91 n. 378 6, 267e-270a: 57 n. 227; 217 n. 1043 6, 269c: 217 7, 301c–d: 139 7, 308f: 139 9, 368d: 193; 202 9, 373a–374d: 173 9, 380d–e: 272 9, 384a–395f: 173
Index locorum Athenaeus [cont.] 9, 387f–388b: 173 10, 422e–424f: 268 10, 422e–423a: 268 10, 422e–f: 269 n. 1302 10, 422f–423a: 269 10, 424a: 278 11, 466d–503f: 48 11, 496a–b: 49 11, 782d–503d: 270 11, 782d–784d: 48 14, 645b–c: 190 15, 695a–b: 168 Axionicus fr. 8, 4: 265 Babrius 13, 7–8: 162 Bacchylides fr. 53a, 1: 274 Callias fr. 11: 179 n. 839 fr. 15: 40 fr. 26: 112 Callimachus Hymn. 2, 13: 74 fr. 43, 68 Pf. : 144 n. 669 fr. 194, 76 s. Pf.: 77 fr. 248 Pf.: 77 n. 313 fr. 454 Pf.: 16 n. 38; 35 fr. 787 Pf.: 114 Callistratus Schmidt 1838, 22 n. 55 (= 1848, 328 n. 55): 79 Callixenus FGrHist 627 F 2: 143 n. 661 Cantharus fr. 2: 104 Carmina convivialia PMG 885: 194 n. 921 PMG 893–6: 168 PMG 897: 167 PMG 911: 168 PMG 912a: 166 PMG 912b: 166 Carmina popularia 1 D.: 194 2 D.: 194 n. 925 867b PMG: 69
341
Catalogus fabularum Aristophanis Prol. de com. XXXa, p. 141, 6 Koster: 61 n. 247 Choeroboscus An. Gr. III p. 1380, 2–3: 199 An. Gr. III p. 1380, 4–6: 199 in Theodos. Can., Gr. Gr. IV 1, p. 395, 4–7: 115 in Theodos. Can., Gr. Gr. IV 1, p. 395, 7–9: 114 n. 493 Cicero Att. 6, 1, 8: 262 n. 1264 De nat. deor. 2, 66 : 196 n. 936 Tusc. 4, 63: 39 n. 139 Columella 5, 6, 18: 84 n. 341 Comica adespota fr. 307: 40 n. 147 fr. 787: 76 CGFP 255, 10: 67 CGFP 286, 2, 16: 227 Cornutus De nat. deor. 28: 194 Crates frr. 16–7: 57 n. 227 fr. 37, 1: 182 fr. 50: 246 Cratinus fr. 6, 1: 129 fr. 20: 244 fr. 40, 2: 84 n. 344 fr. 82: 122; 125 fr. 105, 3: 274 fr. 129: 115 fr. 150, 3–4: 129–30 fr. 154: 139 n. 629 fr. 171: 140; 162 n. 759; 193; 196 n. 938 fr. 176: 57 n. 227 fr. 179: 212 fr. 187: 229 frr. 193–4: 220 fr. 205: 265 fr. 208: 15 n. 27; 119 n. 523 fr. 245: 165 fr. 254: 165 n. 769; 166 fr. 384: 152 fr. 391: 150 fr. 486: 266
342
Index locorum
Cratinus [cont.] fr. 494: 111 fr. 503: 116 Crobylus fr. 1, 1: 246 Cypria fr. 4, 5: 274 Dantes Alagherius Inf. 6, 115: 196 n. 936 Inf., 24, 87: 191 De comoedia Prol. de com. III, p. 7, 41 Koster: 60–1 Demosthenes 1, 22: 248 n. 1194 4, 14: 116 4, 24: 203 n. 982 4, 40: 116 9, 28: 116 18, 97: 149; 170 18, 242: 81 n. 331 18, 323: 83 21, 127: 124 21, 176: 74 21, 217: 74 22, 28: 173 24, 36: 124 34, 34: 248 n. 1194 42, 2: 173 n. 817 42, 6: 173 42, 8: 173 42, 26: 173 n. 817 45, 19: 229 n. 1100 51, 12: 229 n. 1100 56, 4: 229 n. 1100 59, 14: 124 59, 117: 229 n. 1100 Dicaearchus fr. 100: 276 Didymus fr. 8, p. 35 Schm.: 102 fr. 14, p. 26 Schm.: 79 Dinarchus fr. 69, 2 Conomis: 112 Dinolochus fr. 3: 219 n. 1053 Diocles fr. 232: 139
Diodorus Sic. 14, 86: 203 14, 91–2: 203 Diogenes Laert. 9, 54: 124 Diogenianus 3, 64: 177 4, 44: 276 6, 71: 243 n. 1177 Dio Chrys. 4, 91: 189 Dionysius Hal. 1, 21: 228 1, 26–30: 161 n. 755 1, 26, 2: 144 n. 670 1, 45: 228 11, 1, 2: 250 n. 1203 Comp. verb. 63, 11 U.-R.: 231 n. 1109 Dionysius Per. De av. 1, 27: 162 Diphilus fr. 14, 5: 77 fr. 63: 182 frr. 74–6: 182 Empedocles fr. 31 B 6 D.-K: 12 fr. 31 B 146 D.-K: 12. Ephippus fr. 8, 1: 135 fr. 12: 139; 176 fr. 13: 135; 176 fr. 15, 8: 149 Epicharmus fr. 55,2: 140 fr. 88, 1: 64 fr. 91: 140 fr. 112, 2: 133 Epicrates fr. 1: 269 Epicurus Ep. 2, 47: 182 Ep. 2, 55: 182 Epilycus fr. 6: 277–8 Eratosthenes fr. 70 Str.: 36 n. 134 fr. 101 Str.: 29 n. 111
Index locorum Erotianus α 148: 106 π 11: 53 n. 206 Etymologicum genuinum β 129 Lass.–Liv. : 198 n. 950 Etymologicum magnum p. 87, 42–3: 70 n. 284 p. 91, 9–11 (= α 1194 Lass.–Liv.) : 191 p. 120, 13–4: 151 n. 711 p. 130, 42–3: 115 p. 198, 57–9: 198 n. 950 p. 431, 15–6: 199 p. *574, 11–2: 141 n. 635 p. 619, 12–7: 102 Etymologicum Orionis p. 108, 18–20 St.: 157 Etymologicum Symeonis β 117: 198 n. 950 ε 728: 111 Eubulus fr. 20: 180; 182 fr. 35, 2: 71 fr. 36: 70 n. 285 fr. 63: 176; 265 fr. 67, 10: 227 fr. 72: 112 fr. 74, 5: 71 fr. 89, 4: 135 fr. 90: 269 fr. 91: 269 fr. 105: 267 fr. 109: 70 n. 285; 71 fr. 120: 70 n. 285; 149 fr. 123, 2: 228 Eupolis fr. 34: 265 fr. 41: 132 fr. 44: 50–1 fr. 45: 275 n. 1324 fr. 55: 248 n. 1197; 249 fr. 77: 245–6 fr. 89: 15 n. 25 fr. 139: 275 n. 1324 fr. 147: 116 n. 509 fr. 156, 2: 130 fr. 162: 86 fr. 229: 252 fr. 240: 263
Eupolis [cont.] fr. 253: 44 n. 169 fr. 261, 2–3: 53 fr. 275, 2: 77 fr. 395: 168 n. 792 Euripides Alc. 24: 266 Alc. 280–325: 41 n. 149 Alc. 283: 266 Alc. 346: 168 n. 792 Alc. 419: 241 Alc. 614: 228 Alc. 667: 266 Alc. 673: 207 Alc. 782 ss.: 240 Alc. 782: 241 Alc. 1069: 265 Andr. 71: 265 Andr. 309: 228 Andr. 494: 266 Andr. 614: 265 Andr. 629: 266 Andr. 1271–2: 241 Bacch. 1: 228 Bacch. 46: 178 Bacch. 80: 84 n. 344 Bacch.113: 84 n. 344 Bacch.147: 84 n. 344 Bacch. 174: 228 Bacch. 180: 228 Bacch. 661: 228 Bacch. 666: 228 Bacch. 704: 84 n. 344 Bacch. 706: 84 n. 344 Bacch. 731: 155 Bacch. 866/7: 215 Bacch. 941: 84 n. 344 Bacch. 1237: 228 Cycl. 156: 103 El. 228: 228 El. 392: 226; 228 El. 569: 68 El. 852: 110 El. 1078: 83 El. 1189: 68 Hec. 1–2: 228 Hec. 88: 266 Hec. 206: 266
343
344 Euripides [cont.] Hec. 375: 265 Hec. 406: 178 Hec. 503: 228 Hec. 668: 68 Hec. 683: 265 Hec. 706: 266 Hec. 1155: 110 Hel. 60: 68 Hel. 362: 115 Hel. 445: 178 Hel. 461: 265 Hel. 862: 265 Hel. 983: 178 Hel. 1301: 155 Her. 234: 266 Her. 929: 228 Her. 954: 227 HF 448: 265 HF 1353: 265 Hipp. 57: 68 Hipp. 191–7: 240 n. 1156–7 Hipp. 239: 265 Hipp. 341: 265 Hipp. 355: 266 Hipp. 373–87: 41 n. 149 Hipp. 549: 155 Hipp. 822: 266 Hipp. 1348: 265 Hipp. 1353: 274 IA 634: 228 IA 1497/8: 115 IA 1553: 227 Ion 5: 228 Ion 536: 207 IT 835–6: 274 Med. 11: 265 Med. 40: 178 Med. 96: 115 Med. 115: 115 Med. 163: 266 Med. 214–66: 41 n. 149 Med. 329: 265 Med. 460: 228 Med. 461: 265 Med. 465–519: 41 Med. 470: 68 Med. 513: 265 Med. 521–75: 41
Index locorum Euripides [cont.] Med. 620: 265 Med. 625b: 207 n. 1005 Med. 866: 228 Med. 877: 265 Med. 1019: 265 Med. 1021: 65 Med. 1032: 265 Med. 1099: 266 Med. 1145: 266 Med. 1156: 266 Med. 1251: 115 Med. 1274: 115 Or. 280: 178 Or. 317: 155 Or. 564: 227 Or. 837: 155 Or. 1133: 227 Or. 1416: 155 Ph. 466: 244 Ph. 1125: 155 Ph. 1308: 83 Ph. 1403: 110 Ph. 1459: 178 Suppl. 49: 266 Suppl. 53: 266 Suppl. 243: 124 Suppl. 634: 228 Suppl. 670: 228 Suppl. 1000: 155 Suppl. 1073: 265 Tr. 1: 228 Tr. 42: 155 Tr. 112: 265 Tr. 238: 228 Tr. 356: 178 Tr. 365–405: 41 n. 149 Tr. 431: 265 Tr. 835: 274 Tr. 869: 228 Tr. 895–965: 41 Tr. 969–1032: 41 Tr. 1318: 109 Tr. 1331: 115 fr. 370, 21–2 Kn. : 240 n. 1157 fr. 382, 13 Kn.: 253 fr. 429 Kn.: 244 fr. 453 Kn.: 64 n. 262 frr. 482–4 Kn.: 41 n. 149
Index locorum Euripides [cont.] fr. 638 Kn.: 237; 240 fr. 757, 926–7 Kn. : 241 fr. 776 Kn. : 188 n. 897 fr. 833 Kn. : 240 n. 1157 fr. 892, 4 Kn.: 250 Eustathius ad Il. p. 1282, 53: 270 ad Il. p. 1325, 2: 114 n. 493 ad Od. p. 1430, 39–40: 218 ad Od. p. 1728, 58–9: 277 Galenus Diff. febr. 2, 6 (VII p. 347 Kühn): 53 Περὶ τῶν ἰατρικῶν ὀνομάτων I (pp. 31, 25–33, 8 Meyerhof–Schacht): 53 n. 211 Gellius NA 5, 10: 124 NA 15, 20, 4: 39 n. 139 Geoponica 9, 32: 77 Harmodius FGrHist 319 F 1: 143 n. 661 Harpocration p. 133, 14–5 Dind. (= ε 129 Keaney): 111 p. 215, 12–6 Dind. (= ξ 2 Keaney) : 203 n. 982 p. 303, 10–11 Dind. (= φ 30 Keaney) : 274 Hecataeus FGrHist 1 F 204: 144 n. 668 Hellanicus FGrHist 4 F 4: 161 n. 755 Hermippus fr. 56: 143 fr. 60: 269 fr. 63: 94; 134; 135 fr. 74, 1: 116 fr. 75, 2: 77 fr. 89: 42 Herodianus I p. 419, 23–4 Lentz: 115 II p. 40, 12–3 Lentz: 115 n. 508 Herodotus 1, 89, 3: 249 1, 94, 5–7: 161 n. 755 1, 107, 2: 243 2, 35: 178
Herodotus [cont.] 2, 35, 4: 169 2, 36, 2: 135 2, 77, 4: 135 3, 6, 1: 150 3, 14, 3: 83 3, 94, 2: 144 n. 668 3, 122, 4: 227 3, 153–60: 228–9 4, 2, 1: 253 4, 28, 4: 152 4, 134, 2: 216 6, 8, 60α, 1: 227 7, 78–9: 144 n. 668 7, 132, 2: 249 Hesiodus Op. 41–50: 65 Op. 109–19: 64 Op. 121–6: 193; 194 n. 920; 197 Op. 252 ss.: 194 n. 920 Theog. 969–74: 194 Theog. 988: 273 fr. 136 M.-W.: 234 n. 1119 Hesychius α 1007: 106 α 1020: 106 α 3842: 70 n. 286 α 3843: 70 n. 286 α 4102: 191 α 5521: 278 n. 1342 α 6953: 134 n. 597 α 8900: 107 α 8935: 106–7 β 145: 177–8 β 146: 178 β 485: 247 δ 563: 249 δ 689: 40 n. 147 ε 1990: 86 ε 2094: 86 ε 2229: 86 ε 3173: 249 ε 3276: 276 ε 4691: 156 ε 5167: 182 ε 5560: 230 ε 7077: 194 ζ 254: 229 η 687: 53
345
346 Hesychius [cont.] η 688: 53 θ 119: 120 θ 355: 53 n. 206 θ 951: 84 n. 340 θ 953: 84 κ 2263: 209 n. 1010; 211 κ 3345: 137 n. 615 κ 3818: 49 λ 352: 263 n. 1268 λ 485: 139 μ 1706: 142 n. 641; 143 ν 62: 157 n. 740 ο 18: 190 n. 905 ο 254: 170 n. 804 ο 409: 102 π 2570: 49 π 2625: 194 π 4415: 243 σ 1428: 127 τ 789: 113 n. 489 τ 796: 165 n. 773 υ 816: 150 nn. 703 ; 707: 709 υ 817: 150 n. 708 φ 938: 274 Hieronymus ep. 22, 30: 262 n. 1264 ep. 45, 5: 174 Hippocrates Acut. 24: 218 n. 1049 Acut. 25: 218 n. 1049 Acut. 37. 262 n. 1273 Art. 43: 158 Art. 69: 152 n. 718 Epid. 7, 2, 2: 218 n. 1049 Epid. 7, 2, 3: 218 n. 1049 Epid. 7, 3, 3: 218 n. 1049 Mochl. 35: 152 n. 718 Morb. 2, 40, 4: 218 n. 1049 Morb. 2, 42, 3: 218 n. 1049 Morb. 2, 44, 4: 218 n. 1049 Nat. mul. 6, 4: 218 n. 1049 Nat. mul. 9, 4: 218 n. 1049 Nat. mul. 11, 3: 218 n. 1049 Vict. 76, 26: 246 VM 6, 2: 218 n. 1049 VM 6, 3: 218 n. 1049
Index locorum Hippolytus Haer. 5, 8, 40: 195 Hipponax 2 fr. 28, 4 W. (= 39, 4 Deg.): 207 2 fr. 70, 8 W . (= 69, 8 Deg.) : 127 2 fr. 165 W. (= 175 Deg.) : 218 Homerus Il. 1, 465: 127 Il. 2, 289: 274 Il. 2, 428: 127 Il. 2, 595: 207 Il. 2, 721: 45 Il. 5, 19: 178 Il. 5, 834: 178 Il. 6, 192: 243 Il. 7, 247: 138 n. 625 Il. 8, 343: 138 n. 625 Il. 8, 537: 45 Il. 10, 330: 49 Il. 11, 479: 127 Il. 11, 659: 45 Il. 13, 162: 109 Il. 13, 484: 273 Il. 13, 608–9: 109 Il. 13, 663–72: 234 Il. 14, 178: 169 Il. 15, 15: 207 Il. 15, 250: 207 Il. 15, 668: 178 Il. 15, 694: 178 Il. 17, 607: 109 Il. 21, 137: 207 Il. 21, 294: 207 Od. 2, 223: 243 Od. 3, 462: 127 Od. 4, 244 ss. : 195 n. 932 Od. 4, 621–4: 111 n. 481 Od. 4, 801: 207 Od. 5, 492: 207 Od. 6, 272: 136 n. 610 Od. 7, 139: 138 n. 625 Od. 9, 223: 142 n. 646 Od. 11, 596: 178 Od. 14, 92: 127 Od. 15, 342: 207 Od. 16, 315: 127 Od. 22, 20: 178 Od. 23, 142: 169
Index locorum Homerus [cont.] Od. 23, 298: 207 Od. 24, 118: 136 n. 610 Horatius Ep. 2, 54–5: 174 Sat. 1, 5, 32–3: 117 Sat. 2, 8, 86: 143 n. 661 Hyginus Fab. 136: 234–5; 236 n. 1133; 243 Hymni Homerici in Cer. 427: 273–4 in Cer. 486–9: 194 in Merc. 375: 273 Iamblicus Pyth. 5, 24–5: 162 Inscriptiones Graecae CEG I 13, 3: 274 Didyma 424, 50: 143 n. 661 3 IG I 421, 140: 87 3 IG I 422: 76 3 IG I 61, 36–7: 91 n. 376 3 IG I 386, 112: 158 2 IG II 1478, 14–5: 143 n. 661 2 IG II 1611: 156 2 IG II 2319–23a: 89 2 IG II 2325 E, 46: 89 2 IG II 11387, 1: 227 n. 1087 2 IG II/III 2363, col. II 42: 234 2 IG IV 1, 122, 12: 74 IG VII 3498: 143 n. 661 SEG XXVI 203: 89 SEG XLI 16 [i] : 275 Ioannes Alex. 59, p. 53, 4–5 Xenis: 115 Ion Ch. 2 2 fr. 32 W. (= 93 L. = 5 G.-P. = 4 V.): 231 Isidorus Etym. 12, 7, 16: 192 Isocrates 4, 42: 94 n. 393 4, 86: 227 4, 185: 227 6, 60: 241 18, 57: 275 Iuvenalis 14, 74–5: 192 Latinus, Brunettus Trésor, 1, 5, 140: 191
347
Lexicum Patmense 97, p. 142 Sakkelion (= Lex. Gr. Min. p. 152) : 170 n. 804 Libanius ep. 1441, 3: 276 Lucanus 9, 179: 191 9, 708–21: 191 Lucianus Dial. mar. 14, 2: 169 Dial. mort. 19, 2: 241 Musc. 6: 46 n. 181 Nav. 20: 74 Tim. 3: 228 Tim. 21: 196 n. 936 Lysias 1, 15: 229 n. 1100 1, 24: 178 1, 25: 229 n. 1100 2, 2: 181 3, 36: 181 10, 31: 181 11, 12: 181 12, 4: 181; 229 n. 1100; 230 n. 1102 13, 9: 169 n. 799 13, 78: 173 13, 91: 169 15, 1: 181 32, 2: 181 32, 17: 229 n. 1100 fr. 16 Carey (= 16 S.): 156 fr. 39 Carey (= 34 S.): 112 fr. 275 Carey (= 223 S.): 183 fr. 299 Carey (= 245 S.) : 203 n. 988 Lysippus fr. 4: 233 Macarius 4, 32: 229 7, 48: 243 n. 1176 Macho 240 Gow: 215 259 ss. Gow: 53 279 ss. Gow: 53 Martialis 2, 11, 4: 83 13, 61: 174 Matro fr. 1, 102: 135
348 Menader Ep. fr. 6, 15 Koe. : 134 Sam. 297: 133 Sent. 110 (= 14, 15) : 241 Sic. 55–7: 181 fr. 229: 277–8 fr. 246, 1: 228 fr. 409, 8: 135 fr. 521: 246 fr. 838, 5: 181 fr. 885: 50 fr. 3, 2–3 Koe.: 63 Metagenes fr. 5: 149; 170; 171 fr. 6: 57 n. 227; 71 fr. 15: 15 n. 27; 232–3 fr. 18, 2: 71 Milton, John Par. Lost, 10, 524: 191 Mimnermus 2 fr. 1, 4 W. : 273 2 fr. 2, 3 W. : 273 Mnesimachus fr. 4: 112; 139; 175 n. 828; 176 Moeris ο 38 Hansen (= p. 205, 23 Bekk.): 104 Nicander Ther. 372–83: 191 Ther. 519: 154 Ther. 665: 154 Ther. 713: 154 Ther. 955: 154 Nicandrus Thiat. FGrHist 343 F 13: 48 Nicochares fr. 4: 204 n. 989 Nicolaus Dam. FGrHist 90 F 127, 8 [18] : 228 Nicophon fr. 2, 2: 147–8 fr. 6, 2: 190 fr. 9: 149 fr. 20: 267 fr. 21: 57 n. 227; 112 Nicostratus fr. 23: 197 n. 942 fr. 25, 3: 146
Index locorum Novum testamentum Mt. 13, 33: 52 n. 203 Mt. 16, 6: 52 n. 203 Mt. 16, 12: 52 n. 203 Mc. 8, 15: 52 n. 203 Cor.1, 5, 6–7: 52 n. 203 Oros fr. B 118 Alp.: 102 Orphei Argonautica 742: 144 n. 671 Orphici hymni 18, 4–5: 196 n. 936 Ovidius Ars 1, 244: 244 Fast. 6, 743 ss.: 243 n. 1170 Pamphilus [gramm.] fr. 28 Schmidt: 49 Papyri P. Fay. 118 (= Olsson 60), 20: 247 n. 1193 P. Köln VI 245: 195 n. 932 P. Louvr. AF 7073 (= 7396), 3, 12: 247 n. 1193 P. Oxy XII 1449: 143 n. 661 P. Oxy. XXXV 2737 (= CGFP 56): 35 n. 131 P. Oxy. LXXI 4807: 132 PSI IV 428: 150 n. 708 PSI V 535, 52: 77 P.Tebt. III 798 (= CPS II 246) : 177 Pausanias 1, 32, 5: 137 5, 9, 5: 91 n. 375 Persius 3, 50: 150 Pherecrates fr. 1, 3: 103 fr. 46: 252 fr. 57: 111–2 fr. 61: 190 fr. 85: 152; 267 fr. 93: 261; 263 fr. 107: 266 fr. 113: 57 n. 227; 70 n. 289; 71; 135 fr. 137: 57 n. 227; 112; 216–7; 218; 265 fr. 143: 119 n. 523 fr. 155: 220; 229–30; 232 fr. 201: 135 fr. 258: 211
Index locorum Pherecydes fr. 115 Fowler (= 150 Dolcetti = FGrHist 3 F 115a = BNJ 3 F 115): 234 n. 1119 Philemo fr. 68, 5: 181 Philetaerus fr. 5, 3: 227 fr. 8, 2: 227 Philo Legat. 125: 243–4 Philochorus FGrHist 328 F 130: 100 n. 429 FGrHist 328 F 140: 199; 204 Philocrates FGrHist 601 F 2: 91 n. 378 Philonides fr. 1: 246 Philoxenus gramm. fr. 580 Theod.: 239 Philoxenus Leuc. 836e, 18 PMG: 71 n. 290 Philyllius fr. 22: 204 n. 989 fr. 26: 139 Phoenicides fr. 2, 4–5: 174 Phoenix fr. 2, 8 Powell: 194 Photius α 1172: 126 n. 553 α 2126: 278 ε 731: 215; 216 ε 746: 276 ε 1011: 276 ε 1693: 181; 182 ε 1886: 111 ζ 82: 229 n. 1095 ζ 83: 229 λ 36: 114 λ 195: 139 ν 18: 157 ο 6: 190 n. 905 ο 93: 170 n. 803 ο 367: 117 π 921: 211 π 1562: 243 ρ 200: 218
Photius [cont.] φ 322: 274–5 φ 323: 274 Phrynichus com. fr. 3, 3: 273 fr. 21: 81 fr. 27: 58 n. 232 fr. 40: 77 n. 316 fr. 74, 3: 53 Phrynichus (att.) Praep. soph. p. 8, 3–5: 106 Praep. soph. p. 20, 3–4: 146 Praep. soph. p. 20, 6–10: 116 Praep. Soph. p. 33, 15–6: 178 Praep. soph. p. 38, 7: 119 Praep. soph. p. 78, 11; 212 n. 1027 Praep. soph. p. 96, 21–3: 103–4 Praep. soph. p. 124, 9–10: 274 Pindarus Isthm. 8, 47: 274 Nem. 6, 28: 227 Nem. 8, 20: 274 Ol. 3, 12: 91 n. 375 Ol. 13, 74–84: 234 Pyth. 4, 5: 74 Pyth. 8, 87: 207 Pyth. 9, 117–8: 243 n. 1175 Pyth. 10, 25: 274 Plato Alc. I 118b: 103 Alc. I 119c: 103 Alc. I 135e: 161–2 Apol.18a–d: 25 Apol.19b–c: 25 Apol. 21a: 44 n. 169 Apol. 23e: 184 n. 867 Apol. 25d: 184 n. 867 Apol. 26e: 184 n. 867 Crat. 384c: 154 Crat. 403a 3–8: 196 n. 936 Crit. 43d: 116 Euthyphr. 2b: 184 n. 867 Gorg. 514e: 276 Gorg. 518a: 244 Lach. 187b: 276 Leg. 2, 666a: 243 Leg. 3, 677b: 228 Leg. 3, 700d: 232
349
350 Plato [cont.] Lys. 203a: 108 Lys. 218c: 103 Phaed. 61c: 116 Phaed. 65c: 178 Phaed. 72c: 241 Phaed. 117a: 244 Phaed. 89b: 116 Phaedr. 229c: 178 Phaedr. 236e: 103 Phaedr. 242a: 273 n. 1319 Phaedr. 251a: 45 n. 173 Phileb. 62c: 178 Prot. 314c: 108 Prot. 327d: 275 Resp. 2, 361d: 103 Resp. 3, 415c: 146 Resp. 4, 420a: 180 Resp. 5, 457a: 169 Resp. 5, 459b: 103 Resp. 6, 489c: 55 Symp. 173a: 174 Symp. 174a: 174 Symp. 194a–b: 255 Symp. 203d: 189 Symp. 217e–218d: 45 Symp. 219a: 250 n. 1201 Theaet. 76d: 241 Theaet. 151c: 241 Plato com. fr. 23: 74 fr. 46, 9: 103 fr. 65, 5–6: 204 n. 989 fr. 73: 272 fr. 109: 122; 125 fr. 124: 263 fr. 157: 269 fr. 177: 143 fr. 188, 8: 71 fr. 196: 203–4 n. 988 Platonius 35–8 (= Prol. de com. I, p. 4, 29–31 Koster): 198 Plautus Bacch. 814: 65 Men. 219 s.: 133 Poen. 137: 137
Index locorum Plinius NH 8, 85: 191 NH 10, 62: 192 NH 17, 200: 84 n. 341 Plotinus 6, 4, 4: 182 n. 853 Plutarchus Agid. 10, 4: 232 n. 1113 Alc. 21, 4: 182 n. 853 Eum. 11, 7: 158 Inst. 238c–d: 232 n. 1113 Inst. 240a: 228 Lyc. 16, 2: 152 Lys. 17, 2: 104 Mor. 61a: 244 Mor. 123e: 243 n. 1178 Mor. 143f: 243 n. 1178 Mor. 380f: 191 Mor. 418a: 182 n. 853 Mor. 610c: 243 n. 1178 Mor. 962e: 162 Nic. 13, 1: 236 Pomp. 58, 2: 215 Quaest. conv. 6, 8, 693e ss.: 195 Quaest. conv. 8, 7, 727f: 191–2 Thes. 22, 7: 194 n. 925 [Plutarchus] Prov. 2, 12: 276 Polibius 1, 22, 8: 158; 8, 4, 5–6: 158 Poliochus fr. 2, 7: 77 Pollux 1, 93: 156 1, 248: 137 2, 61: 212 6, 45: 77 6, 47: 127 6, 72: 137 6, 74: 135 6, 75: 190 n. 909 6, 87: 141 n. 636; 143 6, 99: 49 6, 107: 120 n. 527 7, 28: 103 7, 163: 276 7, 166: 178
Index locorum Pollux [cont.] 8, 132: 248 9, 30: 249 9, 123: 69 10, 31: 278 10, 45: 236 10, 49–50: 87 n. 354 10, 134: 156 Posidippus com. fr. 30, 1: 227 Posidippus Pell. epigr. 63 A–B, 2: 117 Praxilla PMG 749: 167 Protagora 80 B 6a D.-K.: 19 n. 52 80 B 6b D.-K.: 19 n. 52 80 C 2 D.-K.: 18 n. 51 Proverbia Bodl. 457: 229 n. 1096 Quintilianus 3, 1, 10: 124 Sannyrio fr. 2: 184 Sappho fr. 1, 19–20: 229 n. 1101 Satyrus Vit. Eur. F 6 fr. 38 col. IV/39 col. I: 39 n. 139 Scholia in Aeschinem 1, 64 (= 145 Dilts): 90 n. 364 3, 67 (= 145 Dilts): 254–5 Scholia in Aristophanem arg. Nub. A 5, p. 4, 3–4 Holwerda: 20 arg. Pl. III Chantry: 193; 199; 200 nn. 969–70; 201; 203 Ach. 118: 118 Ach. 433: 256 n. 1238 Ach. 671a ii: 120 Av. 1297a: 58 n. 232 Eccl. 254a: 186 Eccl. 254b: 186 n. 879 Eccl. 254c: 186 n. 879 Eq. 1312a: 252 Lys. 801: 158 n. 742 Nub. 318c: 42 Nub. 323c: 47 n. 184 Nub. 540: 15 n. 25 Nub. 889a α–β: 19
351
Scholia in Aristophanem [cont.] Nub. 889c: 23–4 Nub. 889d: 19 Nub. 967: 29 n. 111 Nub. 1101b: 20 Pac. 48e: 36 n. 134 Pac. 123a: 137 Pac. 215a: 253 Pl. 84b: 188 n. 894 Pl. 84 c: 188 n. 893; 189 n. 898 Pl. 84d: 188 n. 893; 189 n. 898 Pl. 115a α: 205 n. 993 Pl. 115a β: 205 n. 994 Pl. 119b: 199; 205 n. 995 Pl. 173d: 203 n. 982 Pl. 179a: 199; 203–4 Pl. 541b/α: 132 Pl. 548b: 214 n. 1034 Pl. 619b: 197–8 n. 943 Pl. 665a: 186 Pl. post 770: 198 n. 943 Pl. 771a: 198 n. 943 Pl. 850a: 198 n. 943 Pl. 972i: 199 n. 959; 204 Pl. 1042a: 198 n. 943 Pl. 1146d: 199; 204 Ran. 988a: 76 Ran. 1093a: 209 n. 1010 Ran 1093b: 209 n. 1010 Ran. 1096a: 211 n. 1025 Thesm. 100: 232 n. 1110 Thesm. 861: 275 Vesp. 61b: 255; 260 n. 1257 Vesp. 676a: 150 nn. 707; 708 Vesp. 718a, 6–8: 100 n. 429 Vesp. 1037: 99 n. 423 Vesp. 1038b: 99 n. 423 Vesp. 1039a: 99 n. 423 Vesp. 1109a: 254 Scholia in Eusebium Praep. Ev. 9, 27, 37 (II p. 431 Mras): 86 Scholia in Hesiodi Theogoniam 971: 194 Scholia in Homeri Iliadem 13, 162: 109 n. 475 13, 608c: 109 n. 475 17, 607a–b: 109 n. 475 23, 361 a.1, 23–5: 193; 202
352
Index locorum
Scholia in Nicandri Alexipharmaca 91g: 213 n. 1032 Scholia in Platonem Apol. 20e, p. 421 Greene (= 19, p. 16 Cufalo): 44 n. 163 Scholia in Theocritum 9, 20/21c: 70 n. 288 9, 20/21d: 70 n. 288 Scholia recentiora in Aristophanem Pl. 84 a–b: 189 n. 899 Seneca De ira 20, 2: 243 n. 1178 Ep. ad Luc. 108, 29–30: 192 Thyest. 999 s. : 262 Thyest. 999: 262 Thyest. 1038 s.: 264 n. 1275 Thyest. 1040 ss.: 262 n. 1261 Thyest. 1041: 262 Simonides 2 fr. 20, 5 W. : 273 Solon 2 fr. 13, 9 ss. W. : 194 n. 922 2 frr. 74–6 W. : 194 n. 922 Sophocles Ai. 460: 136 n. 610 Ai. 1000: 265 Ai. 1042: 68 Ai. 1307: 178 Ant. 157: 274 Ant. 394: 228 Ant. 407: 228 Ant. 425: 68 Ant. 460–1: 241 n. 1165 Ant. 799/800: 215 Ant. 844 s.: 115 Ant. 850: 115 Ant. 988: 228 Ant. 1005: 265 Ant. 1263–4: 68 Ant. 1295: 68 El. 77: 265 El. 459a: 207 n. 1005 El. 666: 228 El. 677: 265 El. 798: 207 El. 1173: 237; 240–1 El. 1201: 228 OC 9: 68
Sophocles [cont.] OC 287: 228 OC 325–6: 68 OC 579: 244 OC 702: 274 OC 732: 228 OC 744: 262 OC 793. 105 OC 834: 115 OC 844: 265 OC 876: 115 OC 1099: 65 OC 1769: 250 OT 25: 274 OT 626: 68 OT 629: 65 OT 922–3: 68 OT 999: 68 OT 1321: 115 Ph. 392: 105 Ph. 416: 262 Ph. 484: 105 Ph. 622: 262 Ph. 680: 155 Ph. 885: 207 Ph. 778: 262 Ph. 995: 262 Ph. 1101: 65 Tr. 326: 265 Tr. 400: 244 Tr. 713: 265 Tr. 856: 109 Tr. 1101: 265 Tr. 1114: 169 Tr. 1122: 228 Tr. 1143: 265 Tr. 1145: 207 fr. 273 R.: 196 n. 936 fr. 283 R.: 196 n. 936 frr. 390–1 R.: 239 fr. 595 R.: 132 fr. 890 R.: 131–2 fr. 951 R.: 239–40; 241 Sophron fr. 14: 272 fr. 97: 126 fr. 4D, 37 Hordern (= 169d Latte) : 218 n. 1047
Index locorum Speusippus fr. 11 Tar.: 44–5 fr. 12c Tar. : 139 Stephanus Byz. μ 212: 144 nn. 668 e 671 μ 119: 144 n. 671 Stobaeus 4, 14, 1, p. 370, 3–15 H.: 64 n. 262 4, 14, 2, p. 371, 1–5 H.: 63 4, 14, 8, p. 374, 18–20 H.: 63 4, 51, 10, p. 1068, 5–9 H.: 239–40 4, 51, 13, p. 1068, 19–1069, 3 H.: 240 Strabo 4, 3: 228 12, 3, 1: 144 n. 670 Strattis fr. 2: 135 fr. 11: 70; 71 fr. 48: 69 Suda α 2707: 162 α 4115: 59 β 63: 177 ε 764: 76 n. 307 ε 1802: 117 ε 2570: 181; 182 ε 2892: 111 ε 3695: 40 ζ 158: 229 n. 1096 η 371: 199 μ 86: 141 n. 635 ν 26: 157 ν 193: 186 ο 411: 117 ο 919: 50 οι 63: 170 n. 803 π 1166: 230–1 n. 1104 π 3211: 243 υ 190: 214 n. 1034 φ 393: 232 n. 1110 φ 770: 274; 275 Synagōgē φ 211: 274–5 Synagōgē B α 1536: 278 Teleclides fr. 1: 57 n. 227 fr. 34, 2: 70; 71
Teleclides [cont.] fr. 41: 39–40 fr. 42: 40–1 Terentius Ad. 26–7: 269 Phorm. 345: 105 Theocritus 3, 23: 274 10, 11: 264 Theodectes fr. 6, 4 Sn.: 253 Theodoretus De spir. p. 15 Egenolff: 106 Theodosius Can., Gr. Gr. IV 1, p. 39, 3–4: 115 Theognis 105 ss.: 167 n. 789 111–2: : 167 n. 789 853–4: 167 n. 789 955–6: 167 n. 789 1007–8: 273 1070: 273 Theophrastus Char. 2, 3: 106 Hist. plant. 8, 8, 3: 134; 135 Hist. plant. 8, 9, 2: 135 fr. 339 Fortenb. : 157 n. 740 Theopompus com. fr. 5: 204 n. 989 fr. 23: 269 Thucidides 1, 1, 1: 108 1, 37, 3: 169 1, 64, 2: 51 1, 96, 2: 91 n. 374 1, 117, 2: 51 1, 123, 1: 227 1, 143, 1: 227 2, 38, 2: 94 2, 83–92: 51 2, 101, 3: 90 n. 368 3, 7, 1: 51 4, 3–23: 93 4, 11, 3: 178 4, 13, 1: 108 4, 26–39: 93 4, 35, 3: 178 4, 53–7: 93
353
354
Index locorum
Thucidides [cont.] 4, 69: 93 4, 70–4: 93 4, 90–101: 93 4, 102–8: 93 4, 117–9: 93 5, 6, 2: 90 5, 10, 9: 34 6, 28: 49 n. 191 6, 70, 2: 178 6, 92, 5: 227 7, 19: 59 n. 236 8, 1, 1: 236 8, 2, 2: 59 n. 237 8, 5: 59 n. 237 8, 62: 59 n. 237 8, 72 ss.: 59 n. 237 8, 73, 3: 25 n. 100 Timaeus Lex. p. 77 Ruhnk. (= p. 990a, 2 Dübn.): 53 n. 206 Lex. p. 985b, 4–7 Dübn.: 276 Timocles fr. 24, 2: 103 fr. 26: 246 fr. 31, 1: 182 fr. 35: 142 Timocrates fr. 5 (PMG 731): 188 n. 897 Timotheus PMG 791, 229 ss. : 231 Tragica adespota fr. *61b K.-Sn.: 207 fr. 327a K.-Sn. : 241 Tyrtaeus 2 fr. 10, 28 W. : 273 Tzetzes ad Pl. 84: 188 n. 893 ad Pl. 84b: 188 n. 894 ad Pl. 548: 214 n. 1034 Varro Sat. Men. 403 Buech.: 174 Vergilius Georg. 1, 2: 84 n. 341 Georg. 2, 320: 192 Georg. 2, 458–74: 65 n. 264 Vetus Testamentum Mac. 2, 7, 6: 182 n. 853
Vitae Aristophanis Prol. de com. XXVIII, p. 136, 58–9 Koster: 200 Prol. de com. XXVIII, p. 136, 66 Koster: 61 n. 247 Prol. de com. XXIXa, p. 139, 35–8 Koster: 200 n. 269 Vita Euripidis 2, p. 1, 10 ss. Schwartz: 39 2, p. 2, 13 Schwartz: 40 n. 143 2, p. 3, 11–5 Schwartz: 255 5, p. 5, 5 Schwartz: 40 Vita Homeri Herodotea 33, 469–71 Allen: 194 Xenophon An. 3, 4, 48: 178 An. 5, 4: 144 n. 668 An. 7, 7, 41: 241 Cyn. 5, 26: 250 n. 1201 Cyr. 5, 2, 32: 241 Cyr. 6, 2, 32: 110 Cyr. 7, 1, 36: 178: 178 Cyr. 7, 1, 38: 178 Eq. 12, 3. 91 n. 377 Hell. 1, 1: 59 n. 239 Hell. 1, 1, 22: 248 n. 1195 Hell. 1, 4, 9: 59 n. 240 Hell. 1, 5, 11 ss.: 59 n. 238 Hell. 1, 5, 17: 185 n. 875 Hell. 2, 3, 21: 173 Hell. 3, 8–10: 59 n. 239 Hell. 4, 3, 19: 178 Hell. 4, 4, 11: 178 Hell. 4, 4, 14: 203 n. 982 Hell. 4, 5, 7–18: 203 Hell. 4, 5, 8: 246 Hell. 4, 8, 27: 248 n. 1195 Hell. 7, 5, 15: 246 Mem. 1, 2, 49: 163 Mem. 1, 4, 7: 225 n. 1075 Mem. 1, 6, 2: 169 Mem. 3, 6, 6: 225 n. 1075 Mem. 3, 14, 1: 111 n. 481 Oec. 9, 7: 143 Oec. 11, 25: 225 n. 1075 Oec. 19, 14: 225 n. 1075 Oec. 19, 16: 86 n. 349 Symp. 1, 11: 246
Index rerum et personarum
355
Zenobius 1, 94: 162 3, 65: 276 4, 9: 229 n. 1096 5, 69: 243 Zonaras p. 270: 152 n. 714
Xenophon [cont.] Symp. 4, 19: 253 n. 1221 Symp. 6, 3: 168 n. 792 Vect. 4, 40: 248 n. 1194 [Xenophon] Ath. Pol 1, 17: 248 n. 1194 Ath. Pol. 2, 7: 94 Ath. Pol. 2, 11: 94 n. 394
Index rerum et personarum Accio, Atreus: 256 n. 1240 adikia (amorosa): 229 Admeto: 41 n. 149; 167 canto di: 166–7 adulatore: 106–7 Aere: 12 Afranio Augur: 235 Omen: 235 Agatone:174; 255; 256 Agatone (personaggio): 227; 232 n. 1110; 276 n. 1334 agone (epirrematico): 13; 16 n. 39; 18–20; 22; 29; 30; 37; 41; 49 n. 192; 95; 130; 175 n. 827; 177 n. 835; 198; 209–11; 216–7 agricoltura (esaltazione della): 65 Alceo, Komōidotragōidia: 219 Alcesti: 41 n. 149; 167 Alcibiade: 49 n. 191; 59; 122; 162; 185 n. 875; 236; 248 n. 1195 Alessi Manteis: 235 Poiētai (o Poiētēs): 220 Poiētria: 220 Amipsia, Konnos: 16 n. 36; 27 Anassandride, Komōidotragōidia: 219 Androzione (di Atene): 34 Antifane Mēnagyrtēs (o Mētragyrtēs): 235 Oionistēs: 235 Poiēsis: 219 Plousioi: 193 Apollinare, C. Sulpicio: 157 Apollonio (il Sofista): 239 apragmones: 95; 100 apragmosyne: vd. apragmones
archaia (commedia): 59; 61; 65 n. 265; 165 n. 771; 182 n. 861; 197–8; 217; 229; 255 Archiloco: 129 Archippo: 56; 59; 60–1; 219 Ploutos: 193; 197 n. 942 Aristofane (di Bisanzio): 79; 201 Aristofonte (commediografo): 89 Aristofonte (di Azenia): 90 n. 364 Armodio (canto di): 165 n. 769; 166; 168 Armodio e Aristogitone (tirannicidi): 168 Arpocrazione (lessicografo): 111; 156; 170 Atreo: 256; 262 n. 1258; 267 Atridi (saga): 256 automatos bios: 57; 64 bagno (pubblico): 177 Bdelicleone: 95; 111; 123; 166; 248 n. 1196 Beinecke Library (Yale University): 224 beni (confisca dei): 172–3 Biotto, Poiētēs: 220 Callia: 185 Callimaco (di Cirene): 16 n. 38; 35 Callistrato (di Alessandria): 79 Caos: 12 n. 3; 48 Cassandra: 41 n. 149; 256 n. 1240; 265 Ceramico (corsa del, schiaffi del): 209–10 cereali e farine farina (fior di): 135 farro (spelta): 135 grano (Triticum durum e Triticum vulgare): 134 loglio: 135 miglio: 86
356
Index rerum et personarum
cereali e farine [cont.] semola: 134 cetra (kitharis): 231; 232 n. 1113 Cherefonte: 22–3; 24 n. 92; 43–5; 54 n. 212 cibi carne salata: 71 cicerchie (Vicia cracca): 134 colostro: 71 fichi: 71; 266–7 focaccia (amylos): 70–1 focacce di farina d’orzo (mazai): 142–3 lenticchie (passato di): 71 olive: 75–7 pane (kollyra): 137 pane (obelias): 190 pesce salato: 71 semolino: 134 cicogne: 161–2; 167 n. 787; 191–2 tavole delle: 161 Cirillo (lessico): 151–2; 239 Cleone/Paflagone: 16–8; 34–7; 97 n. 417; 98–9; 106; 123 n. 538; 125 Clistene: 118–9 corali (intermezzi): 197–8 n. 943 cordace: 15 Corinto (guerra di): 199; 202–3 Cratino: 42 n. 159 Didaskaliai: 255 Odyssēs: 198 Ploutoi: 162 n. 759; 193; 196; 212 Pytinē: 27; 220 Crisippo: 184 Crono: 162 n. 759; 193; 196 n. 938 Daitalēs: 16 n. 39; 22–3 n. 82; 98 n. 418; 157; 163; 167; 175 dekatē (tassa): 248 Demetra:194–6; 227 n. 1082 Diceopoli: 57; 90; 103; 111; 179; 255 didascalia (scenica): 23 n. 84; 68 Didascalie: 35; 88–90 aristoteliche: 27; 123; 163; 183 Didimo (di Alessandria): 79–80; 102; 141; 201 Difilo (di Sifno): 75–6 dimetri anapestici (elenchi in): 175–6; 179 Discorso Forte/Debole: 18–9; 22; 232
dissoi logoi: 19; 41 Dissoi logoi: 19 n. 52 Euripide: 41 Protagora: 19 ditirambo (nuovo): 166 n. 781; 220; 231–2 Ecuba: 41 eikostē (tassa): 248 nn. 1195 e 1196 ekthesis: 31 Elena: 12; 41 Elio Dioniso (lessicografo): 69; 108; 191; 249 Eliodoro (metricista): 14; 37 Ellanico (di Lesbo): 34; 161 n. 755 ellimenion (tassa): 248 enumerazione: 132; 135; 142; 211 n. 1023 Ephemera vulgaris (effimera): 46 Epicarmo Elpis ē Ploutos: 193 Logos kai Logina: 19 n. 55 Nāsoi: 56 episodio (scena episodica): 15; 24; 47; 198; 211; 227–8 Eratostene (di Cirene): 28–9; 35–6; 60 n. 245; 201 n. 972 Erme (mutilazione delle): 58; 81–2; 236 Eros: 189 Eschilo: 42; 166–7 Krēssai: 235 Laios: 184 n. 874 Oresteia: 256 Eschilo (personaggio): 81; 104; 210; 232; 244 n. 1180; 256 esodo: 13; 15; 24; 29; 32–3; 37; 44; 47; 174 n. 820 età dell’oro: 64–5; 162 n. 759; 193; 197 n. 939; 217 Etere: 12; 17 Etymologicum genuinum: 73; 86; 101–2; 110–1; 230; 251 Etymologicum Gudianum: 239 Etymologicum magnum: 73 n. 295; 86; 105; 246–7 Etymologicum Symeonis: 73 nn. 295 e 298 Eufronio (grammatico): 201; 209 Eupoli: 15 n. 26; 32 Astrateutoi: 50 Marikās: 16; 25 n. 100; 27; 34–5 Poleis: 57 Taxiarchoi: 51
Index rerum et personarum eupolidei (versi): 16–7 Euripide: 12; 39–40; 80 n. 326; 167; 255; 256; 266 Andromeda: 237; 256 n. 1236 Chrysippos: 184 n. 874 Elena: 237; 256 n. 1236 Elettra: 237; 256 Ifigenia in Tauride: 237 Ippolito: 243 n. 1172 Krēssai: 261–2 n. 1258 Medea: 229 n. 1101 Oreste: 256 Polyidos: 234; 235; 236–7; 240; 241 n. 1163 Tēlephos: 237 n. 1145; 255 n. 1235; 256 n. 1236 Thyestēs: 256; 261; 262 n. 1261; 264; 266 n. 1288; Euripide (personaggio): 41–2; 81; 104; 210; 220 n. 1063; 227; 232; 240 n. 1159; 255–6; 260 evasione (filone della commedia antica): 59 n. 235; 217 Evatlo: 96; 121–5 Evelpide: 81; 227 fame (espulsione della): 194–5 Fasi: 159 Fedra: 41 n. 149; 242–3; 244 n. 1180 Fenicide, Poiētēs: 220 Ferecrate Cheirōn: 220; 232 Persai: 217 fiaccole: 24 (corsa con le): 209–11 Fidippide: 14; 18–9; 22; 23 n. 83; 24; 99 n. 423; 166; 232 Filemone, Agyrtēs: 235 Filocleone: 95; 129; 145–6; 166; 179 Filonide (di Melita): 203–4 Filonide, Proagōn: 257; 259–60 Filosseno (di Alessandria): 239 Filosseno (di Citera): 200; 231; 232 n. 1110 Formione: 50–1 Francolinus francolinus (francolino): 173–4 Frinide (di Mitilene): 230; 231–2 Frinonda: 274–5
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Frontone, M. Cornelio: 157 galli (da combattimento): 23 Giasone: 41 Glauco: 234–5; 240 n. 1156;241 n. 1161; 243; 250 Hermes (personaggio): 123, 227 n. 1084 hēsychia: 100 Iperbolo: 18; 25 n. 100; 80 n. 326; 92; 252 n. 1211 Ipparco (figlio di Pisistrato): 168 Ippolito: 243 n. 1170; 244 n. 1180 iresione (canto): 194 katastrophē: 14; 47 Laberio, Augur: 235 Laide: 203–4 Laio: 183–4 Lamaco: 97 Licabetto (colle): 47 Licofrone (di Fere): 167 Licofrone (grammatico): 201 n. 972 Lingua: 12 n. 3; 48 lira (lyra): 231–2 Lucillo (di Tarra): 276 Magno (grammatico): 272 Maratona (battaglia): 136–8 marinareschi (termini) gomena: 156 gottazza (sassola): 278 Medea: 41 Meleto I: 183–5; 221 n. 1065 Meleto II: 163; 183–4; 185 n. 874 Oidipodeia: 163; 183–4; 185 n. 874 Menandro, Mēnagyrtēs: 235 mesē (commedia): 56 n. 218; 59; 175–6; 179; 227 Metagene, Homēros ē Askētai: 89; 91 Minosse: 234–5; 240 n. 1156; 241 n. 1161; 242–3; 250 misteri eleusini: 48–9; 195–6 parodia sacrilega: 49 n. 191; 58; 81–2 misure chenice (attica): 271 cotile: 271 moggio: 271 Mnesiloco: 40 Morichide (decreto di): 193 n. 916 Mossineci: 142–4 musica (nuova): 166; 220; 231–2; 254 n. 1225
358
Index rerum et personarum
Myrtus communis (mirto): 165; 168 mythos: 14 nea (commedia): 197 n. 942; 227; 245 Neoclide: 163; 185–6 Nephelē: 12 Nevio, Ariolus: 235 Nicandro (di Tiatira): 48 Nicostrato, Ploutos: 193; 197 n. 942; 200 n. 970 Nuvole (divinità): 12; 14; 48 Odeion: 254 Odomanti: 90–1 oralità: 21–2 n. 77 originalità (kainōtēs): 16; 232–3 Pace: 220 n. 1063; 227 n. 1084 Paese di Cuccagna (Cuccagna): vd. Schlaraffenland palliata (commedia): 197 n. 942 Panezio (di Afidna): 58; 81–2 Panezio (scimmia): 58; 79–82 parabasi (seconda): 14; 37; 70; 274 n. 1322 parabasi (sezioni della): 17 n. 41 epirrema/antepirrema: 17–8; 34; 36–7; 122; 174 kommation: 17 n. 41 ode/antode: 17 parabasi (anapesti): 13; 15–7; 23 n. 82; 27; 29; 31–2; 34; 36–7; 41; 53; 83; 93; 98; 123; 130–1; 133–4; 137; 139; 142;150; 175; 177 pnigos: 17; 49 n. 192; 99; 175; 177 sigizia epirrematica: 17 Parnete (monte): 47 parodia: 32; 166; 200; 232 n. 1110; 255 tragica (paratragōidia): 21 n. 77; 64 n. 262; 65; 109; 131–3; 155; 207; 215; 228; 235–7; 240–1; 242–3; 250; 253; 255–6; 261–2; 264–6 parodos (canto corale): 47; 48–9; 68; 83; 193; 197; 227 Pasifae: 234; 240 n. 1156; 243 pasti (nomi dei) colazione/pranzo: 245–6; 268–9 cena: 269 Patrocle: 163; 187–8; 189 n. 898 Penia (Povertà): 19; 189; 210; 214 n. 1034; 216; 217 n. 1040; 220 n. 1063
periodi (commedia aristofanea): 16; 17; 41; 56 n. 219; 57–9; 82; 91 n. 383; 93; 94 n. 398; 95; 97; 98 n. 418; 130; 162; 163; 198 n. 943; 217; 236; 237 pesci lebias (ēpatos): 139 myllos (muggine): 139 ombrina (tilapia): 139 saperdēs: 139 Scomber japonicus colias (scombro): 139 Scomber scombrus (scombro): 139 tonnina: 140 physis automatē: 217 Pistetero: 65; 74; 79; 81; 161; 227; Platone (commediografo) Hellas ē Nēsoi: 56; 74 Lakōnes ē Poiētai: 219–20 Poiētēs: 219 Rhabdouchoi: 255 Skeuai: 255 Pluto (Ricchezza): 19; 185–6; 187; 188 nn. 896 e 897; 189; 194–7; 207; 210; 211 n. 1023; 212; 227 n. 1083 Plutone: 195–7 Polemos: 114–5; 227 n. 1084 Policrate (retore): 163 Poliido: 234–6; 237; 240 n. 1156; 241 n. 1161; 243; 250; 252 polypragmosynē: 100 Pomponio, Atreus: 256 n. 1240 Pomponio, Augur: 235 Posidone: 17; 73–4; 227 n. 1085 Prisciano (grammatico): 224–5 proagone (proagōn): 254–6; 265 nn. 1279–80 prologo: 12; 41; 68; 186 n. 882; 207; 210 n. 1019; 211; 226–7 reciprocità (violazione della): vd. adikia (amorosa) Respiro: 12 n. 3 salamoia: 119–20; 129–30 bere: 120 di Taso: 128–9 Schlaraffenland: 57; 64; 71; 112; 134; 196 n. 936; 217 scimmia: 80–1
Index rerum et personarum Seneca Fedra: 243 n. 1172 Thyestes: 256 servus currens: 245 Sicilia (spedizione in): 49 n. 191; 58; 204; 237 Sicofante (personaggio): 81; 100; 177 sicofanti: 44 n. 169 (Cherefonte); 53; 81; 95; 97 n. 417; 100; 121 (Evatlo); 124; 159–60; 181 n. 847; 186 (Neoclide) Simmaco: 79; 147 Siracosio (decreto di): 58 n. 232 skytalē (scitale): 146; 147; 148 n. 695 Socrate: 12; 14; 15 n. 25; 20; 22–5; 39–42; 43 n. 161; 44–5; 49 n. 191; 53; 55; 162–3; 183–4; 189 n. 901 Sofistica: 14; 18; 40–1 Sofocle: 42 n. 159; 255 Atreus ē Mykēnaiai: 256 n. 1239 Elettra: 237; 256 Epigonoi: 132 Manteis ē Polyidos: 235 Tēreus: 132 Thyestēs: 256 n. 1239 Thyestēs Sykyōnios (o en Sykyōni): 256 n. 1239 sorteggio (dei giudici): 204 Stobeo, Anthologium: 63; 64 n. 262; 239; 242
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Stratone: 96; 118–9 Strepsiade: 12–4; 19–20; 22; 23 n. 83; 24–5; 29; 32; 41; 47–8; 54; 127; 166–7 Terao francolinus: vd. Francolinus francolinus Teseo: 243; 252 Theseion: 252 testo drammatico/spettacolare: 20–1 Tieste: 256 n. 1238; 262; 264; 265; 267; 268 n. 1296 mito di: 256 nella tragedia: 256; 262 n. 1258 Timoteo (di Mileto): 231–2 tirso: 84–5 Trasibulo: 56 n. 219; 59; 199; 204; 248 n. 1195 travestimento: 74 triade bizantina: 13 Trigeo: 57; 123; 227 n. 1084 trygōidia: 14 n. 21 Ulpiano (atticista): 268; 272 utopico (tema): 57; 217 Vecchia (personaggio): 15 n. 26; 213 vecchiaia: 137 n. 619; 196 n. 938 Vortice: 12 Zonara (lessicografo): 111 Zopiro (Zōpyros): 228–9