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Italian Pages 249 Year 2018
OSWALD SPENGLER
Osw ALD 5PENGLER
ANNI DELLA DECISIONE A curo di Gennaro Molgieri
Il editrice
Titolo originale dell'opero, Johre der Enrscheidung. Traduzione di Anna Virroria Giovannucci
© 2010 - OAKS Editrice
w ww .ooksedirrìce.it E-moil, [email protected] Collana, Vette n. 7 ISDN, 9700094007219 Distribuzione, AL.I. - Agenzia Librario lnrernarionol L'editore ho effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli avenrl rlrolo risperro ai diritti dell'opera. Pertanto resto disponibile od assolvere le proprie obbligazioni.
INDICE
Prefazione di Gennaro Malgicri
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Prefazione di_Julius Evola
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Introduzione di Oswald Spengler
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L'orizzonte politico
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Le guerre e le potenze mondiali
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La iivoluzione mondiale bianca
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La rivoluzione mondiale di colore
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PREFAZIONE Un manifesto dell'opposizione conservatrice al nazionalsocialismo
Gennaro Malgiai
In Italia (ma anche in Germania) due anni fo è passato pressoché sotto silenzio l'ottantesimo anniversario della morte di Oswald Spengler. Pochi se ne sono occupati ed è piuttosto bizzarro se si considera che, negli ultimi decenni, a fronte della crisi dell'Occidente, leitmotiv di tutte le analisi politiche, sociali, culturalì ed economiche, è diventato uno degli autori più citati anche se non tra i più indagati, o meglio correttamente interpretati. Si leggono datate rimasticature ideologiche, tendenti alla "demonizzazione" delle sue opere, caratterizzate dall'annosa afflizione circa il ~pessimismo cosmico" del pensatore tedesco racchiuso nell'idea dell'inevitabile "tramonto" sempre negato, sia pure come eventualità, dai progressisti di professione che non si avvedono della decadenza nella quale siamo immersi. Nel tempo, dunque, forse più propizio ad una ripresa della riflessione sull'opera di Spengler, rari sono stati i contributi per tentare un approccio sine ira et studio alla luce degli eventi che si sono prodotti in Occidente negli ultimi decenni. Per fortuna, sono riapparsi di recente, per i tipi dell'editore Nino Aragoo, il primo volume de Il tramonto dell'Occzdente e L'uomo e la tecnica, l'uno pubblicato nel 1918 e l'altro nel 1931: due anni "fatali", successivo l'uno alla sconfitta militare della Germania, precedente l'altro ali' avvento del nazionalsocialismo nel gennaio-marzo 7
1933. Se nella sua opera maggiore Spengler si spendeva come morfologo della storia nel dare conto della "ciclicità" delle "aurore e dei tramonti'' delle civiltà, nell'altro anticipava, rielaborando una conferenza tenuta l'anno precedente, le conclusioni politiche che avrebbe riassunto più tardi in ]ahre dei· Entscheidung. "La pietra rotolante si appressa, con furiosi sbalzi, all'abisso", si legge in Der Mensch und die Technik: è l'annuncio della fine di un'epoca con l'aggiunta della preconizzazione dell'avvento della civiltà della tecnica, anticipando Martin Heìdegger e Ernst Jtinger, che non coincide necessaria.mente con il dispiegarsi della decadenza, ma con un rapporto nuovo dell'"animale da preda", cioè l'uomo, utilizzatore degli strumenti della modernità per sottomettere al suo volere la Natura, la quale, ovviamente, ha le sue ragioni per opporsi alle distorsioni minacciosamente prodotte dalla tecnica stessa. Spengler, comunque, aveva mostrato già al tempo dell'uscita della prima parte del Tramonto una spiccata tendenza a valutare politicamente i mutamenti storici che stavano maturando. Con Preussentum und Sozialismus, del 1919, compreso poi nel volume che raccoglie tutti i suoi scritti politici, Politische Schrif ten, non a caso uscito in Germania nel 193 2, egli offre una "visione" della "politica dell'avvenire", scaturita dal suo animo "pmssiano" suggestionato dall'idea della Grossepolitik di derivazione nietzschiana. Una "politica dell'avvenire" che, per quanto "realistica", non trovò particolare ascolto nella platea degli intellettuali se non in coloro che, pur tra molti "distinguo", militavano nelle file scomposte, e dunque tutt'altro che unitarie, di quel movimento all'epoca di difficile comprensione che sarebbe poi passato alfo storia come "Rivoluzione conservatrice~.
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Un'immensa attività spirituale L'8 maggio del 1936, all'età di cinquantasei anni cd al culmine della sua fama, Oswald Spengler si spegneva a Monaco dì Baviera, sua città di elezione dove aveva vissuto nella solitaria osservazione di un mondo che si disfaceva davanti ai propri occhi. Contemplativo e vigile, componendo opere che ruotavano inevitabilmente attorno alla sua morfologia della storia, la quale ancora ci appare come il compendio della decadenza europea ed occidentale, si era concesso negli ultimi anni «divagazioni" più marcatamente politiche pur tenendosi lontano dalla vita pubblica che detestava dimostrandolo pericolosamente. Nel contempo andava elaborando una sorta di "sommario", per aforismi, sull'essere umano e il destino che nel 1965, ad opera di Anton Koktanek e Manfred Schroter, sarebbe stato pubblicato con il titolo di Ur/ragen, forse la sua opera più attraente cd evocativa dopo Il tramonto dell'Occidente, nella quale l'influenza dei classici si mescola con quella di Nietzsche ed il "passaggion da Eraclito alla modernità è una s011a di viaggio spirituale che chi riesce a comprenderlo non può che restarne soggiogato. Del resto della sua "sensibilità" Spengler non ha mai fatto mistero. In quella sorta di intima autobiografia, Eis heauton (tradotta in italiano con il titolo A me stesso, da Adelphi), si colgono gli elementi che lo avrebbero indotto a diventare una sorta di analista della storia con l'ausilio delle inquietudini congenite e maturate nel corso della sua vita fino ad esplodere in confessioni personali che denotano il disagio provocato . La prussianità è opposta sia al socialismo operaio marxista, sia al liberalismo capitalista; essa diffida di ttttto ciò che è massa e maggioranza. Stile prussiano è, però, anche il piegarsi di un Io forte dinanzi a doveri e compiti grandi, con un atto di auto-dominio nel quale si esprimerebbe quanto ogJ(Ì è possibile di più alto in fatto di « individualismo>>.
Lo Spengler ritiene che attualmente sì vive m una « epoca forte», che la vita pericolosa, la vera vita 28
della storia riprende i suoi diritti e che conta solamente l'uomo che sa osare, che ha il coraggio di vedere !e cose quali sono, senza fiacchi idealismi. E7.li parla della fase anarchica di transizione, oggi chiamata «democrazia», che dalla distruzione delle culminazioni monarchiche di precedenti regimi, attra• verso il razionalismo politico plebeo, conduce verso il cesarismo dell'avvenire che già si preannuncia con le tendenze dittatoriali e che è destinato a dominare dispoticamente sulle rovine delle tradizioni storiche. Solo, noi non vediamo chiaro in questo « cesarismo » o almeno esso ci sembra poco convincente. Nella morfologia generale della civiltà, tracciata dallo Spengler nella sua opera principale, il cesarismo in effetti era stato collocato in una fase terminale e crepuscolare. Qui esso viene invece presentato, in una certa misura, come un fenomeno positivo, tale da poter bloccare la del pensiero dello Spengler poco accordandosi col clima, in fondo proletario-dittatoriale, del movimento hitleriano. In effetti, tmo Spengler ammiratore fanatico di Hitler sarebbe stato inconcepibile. E il nazional-socialismo negli «anni della decisione.t• lo ignorò, prese da sé le sue decisioni, e delle decisioni sbagliate. JuLIUS EvoLA
N.B. - Sono state conservate, nella presente traduzione, tutte le note di Spengler che si riferiscono alle edizioni originali di altri suoi libri. Di questi, però, si è segnalata la corrispondente edizione italiana, quando esisteva (N.d.R.).
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INTRODUZIONE di 01wfl!d Spet1gler
Con la violenza si agitano le norme: esse nulla possono cambiare tanto meno agitare. RicHARD WAGNER; Siegfried.
poteva desiderare più di me lo sconvolN gimento nazionale di quest'anno Ho odiato fin ESSUNO
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dal primo momento la sporca rivoluzione del 1918 2 come un tradimento della parte peggiore del nostro popolo, contro quella combattiva e costruttiva, e non ancora logora, che era sorta nel 1914 perché poteva e voleva avere un avvenire. Tutto ciò che da allora ho scritto sulla politica era rivolto alle potenze che, con l'aiuto dei nostri nemici, si erano trincerate sulla montagna. delle nostre miserie e delle nostre calamità per rendere questo avvenire della Nazione impossibile. Ogni mia riga doveva contribuire alla loro caduta ed io spero che sia stato così. Qualcosa dovrebbe succedere, sotto un qualsiasi aspetto, per liberare gli istinti più profondi del nostro sangue da tale oppressione, perché noi tedeschi dobbiamo intervenire e cooperare nelle future decisioni degli avvenimenti mondiali, e non esserne soltanto la loro vitrima predestinata. Il grande giuoco della politica 1 Il 1933. II 30 gennaio Adolf Hitler era stato nominato Cancelliere del Reicb dal Maresciallo Hindenburg (N.d.R.). 3 La sommos.,a comwùsta promossa a Berlino dalla Lega Spartaclrista (N.d.R.).
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mondiale non è giunto alla fine. Le più importanti mosse vengono compiute soltanto ora. Per ciascuno dei popoli viventi si tratta della grandezza o dell'annientamento. Ma gli avvenimenti di questo ultimo anno ci danno la speranza che tale speranza non sia ancora per noi impossibile e che noi, come al tempo di Bismarck, prima o poi torneremo ad essete di nuovo soggetto e non soltanto oggetto della Storia. Quelli in cui viviamo sono decenni violenti, vale a dire spaventosi e sfortunati. Grandezza e felicità sono due condizioni che si alternano ed a noi non è concessa la scelta. Nessuno che oggi vive in una qualsiasi parte del mondo sarà felice; ma a molti è possibile il cammino degli anni secondo la volontà personale, in grande od in piccolo. Invece, chi vuole soltanto benessere non merita di vivere su questa terra. Colui che agisce, spesso non guarda lontano. Viene sospinto senza conoscere la vera meta. Egli forse farebbe resistenza se vedesse che la logica del destino non ha mai preso atto dei desideri umani. Ma è molto più frequente che sbagli perché, intorno e dentro di lui, si è sviluppata una falsa visione delle cose. Il grande compito dello studioso di storia è quello di capire i fatti del suo tempo e in base a questi prevedere, interpretare, descrivete il futuro che verrà, che lo vogliamo o no. Un'epoca di tale consapevolezza come l'attuale non è possibile senza una critica creativa, precorritrice, previdente e dominante. Io non biasimerò né adulerò. Mi astengo da ogni valutazione personale riguardante le realtà che soltanto adesso hanno incominciato a formarsi. Invero, un avvenimento si lascia giudicare solamente quando diventa passato remoto e i risultati conclusivi o gli insuccessi sono divenuti da lungo tempo realtà; dunque, dopo decenni. Una comprensione completa di Napoleone non era possibile pri36
ma della fine del secolo scorso. Riguardo a Bismarck non possiamo ancora avere un'opinione definitiva. Esclusivamente i fatti restano, i giudizi fluttuano e cambiano. E per finire: un grande avvenimento non ha bisogno del giudizio estimativo dei contemporanei. La stessa Storia lo giudicherà quando nessuno di coloro che vi hanno preso parte vivrà più. Ma fin da oggi si può dire questo: lo sconvolgimento nazionale del 19.33 è stato qualcosa di poderoso e rimarrà tale nel futuro, a causa della forza elementare e più che personale con la quale si è realizzato, e della disciplina spirituale con la quale è stato compiuto. Esso fu prussiano in tutto e per tutto, come la marcia del 1914, che mutò in un attimo gli spiriti di un intero popolo. I sognawri tedeschi si alzarono, tranquilli, con impressionante sicurezza, ed aprirono una via all'avvenire. Ma proprio per questo coloro che guidarono la riscossa devono aver chiaro che non si trattò di vittoria semplicemente perché mancavano i nemici. Di fronte alla violenza dell'insurrezione sparì subito tutto ciò che era ancora operante o già fatto. Fu una promessa di future vittorie, che avrebbero dovuto essere conquistate combattendo difficili battaglie e per le quali eta stato preparato il posto, qui, nella nostra terra. I nuovi capi ne hanno assunto la piena responsabilità, e devono quindi sapere od imparare ciò che questo significa. È un compito pieno di pericoli giganteschi, e si attua non all'interno della Germania, ma al di fuori, nel inondo delle guerre e delle catastrofi, dove soltanto la grande politica conduce la danza. La Germania è, più di un qualsiasi altro Paese, unita a1 destino di tutti gli altri; meno di qualsiasi altro può essere ~overnata come se fosse una cosa a sé. E oltre a ciò, questa non è la prima rivoluzione nazionale che Ria avvenuta in Europa (Cromwell e Mirabeau ci
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hanno preceduto), ma è la prima che si compie in un Paese politicamente impotente e in una situazione molto pericolosa: questo accresce notevolmente la difficoltà dei compiti. Essi sono stati soltanto proposti, appena compresi, certo non ancora assolti. Non c'è tempo né occasione per entusiasmi e sentimenti di trionfo. Guai a coloro i quali confondono 1a mobilitazione con la vittoria! È appena iniziata una mobilitazione delle coscienze, non si è certo raggiunta la meta, ed i grandi problemi umani della nostra epoca non sono per questo minimamente cambiati. Essi non riguardano la sola Germania, ma il mondo intero, e non sono problemi nati in questi anni, ma vecchi di almeno un secolo. Il pericolo degli entusiasti è di vedere la situazione in maniera troppo semplice. L'entusiasmo mal si concilia con gli scopi della vita per più generazioni. Con tali scelte iniziano le vere decisioni della storia. Questa conquista del potere si è compiuta in un turbinio di forze e di debolezze. lo vedo con preoccupazione che essa viene celebrata ogni giorno con tanto frastuono. Sarebbe più opportuno che noi riservassimo gli evviva clamorosi ad un giorno di successi più veri e più definitivi, cioè a quelli di politica estera. Non ce ne sono altri. Se un giorno saranno raggiunti questi successi, gli uomini d'oggi che compirono il primo passo saranno forse già morti da tempo, forse dimenticati od ingiuriati, fino a quando una qualche generazione di posteri si ricorderà della loro importanza. La storia non è sentimentale, e guai a colui che si fa prendere da sentimentalismi! In ogni evoluzione politica con un simile inizio esistono molte possibilità, delle quali coloro che vi partecipano sono raramente consapevoli. Essa può irrigidirsi in principi e teorie, perdersi in una anat• 38
chia politica, sociale, economica, ritornare senza risultati all'inizio, come nel 1793 a Parigi quando si sentiva chiaramente que ça cbangerait. All'entusiasmo dei primi giorni, che spesso ha rovinato delle possibilità che già si presentavano, segue secondo la regola un disincantamento e la insicurezza sopra il « passo successivo~>. Sono giunti al potere elementi che prendono il godimento del potere come un risultato definitivo e desidererebbero rendere perpetua una situazione che è tollerabile solo per il momento. Idee giuste vengono pubblicamente sbandierate dai fanatici, che mirano al loro successo personale. Ciò che all'inizio prometteva qualcosa di grande, finisce in tragedia o commedia. Noi vogliamo tempestivamente ed oggettivamente prendere in considerazione questi pericoli, per essere più prudenti di qualche generazione del passato. Se tuttavia qui deve essere posto il fondamento duraturo di un grande avvenire, sul quale le future generazioni possano costruire, occorre ricordare che questo non sarebbe stato possibile senza l'azione costante delle antiche generazioni. Ciò che abbiamo nel sangue dai nostri padri, idee senza parole, è l'unica cosa che garantisce la solidità dell'avvenire. È importante quello che io da alcuni anni ho chiamato « prussianesimo » (i fatti lo hanno esattamente confermato), non un tipo qualsiasi di « socialismo». Abbiamo bisogno di una educazione di stile prussiano, quale era nel 1870 e nel 1914 e quale nel fondo delle nostre anime dorme come costante possibilità. Questa educazione è attua• bile soltanto attraverso l'esempio vivo e l'autodisciplina morale di una classe dirigente; non con una gran quantità di parole o con la costrizione. Per poter servire una idea, dobbiamo dominare noi stessi, essere preparati per convinzione a sacrifici interiori. Colui che scambia questo con la l:Jres39
sione morale di un progrremma, non sa di che cosa qui si parla. Con ciò io torno al mio libro con il quale nel 1919 ho iniziato la dimostrazione di questa necessità morale, senza la quale non si può costruire niente di duraturo: Prussianesimo e socialismo . Tutti gli altri popoli del mondo hanno ricevuto un carattere attraverso il loro passato. Noi non abbiamo avuto un passato educatore e perciò dobbiamo solo svegliare, sviluppare, raffinare, il carattere che si trova in embrione nel nostro sangue. Questo lavoro, di cui io qui presento la prima parte 1, è destinato anche a tale scopo 2• Io faccio quello che ho sempre fatto: non offro una prospettiva ideale dell'avvenire, ed ancor meno un programma per la sua attuazione, come è di moda tra i tedeschi, ma un quadro chlaro dei fatti, come sono e come saranno. Io cerco di vedere più lontano di altri: vedo non solo grandi possibilità, ma anche grandi pericoli, la loro origine e forse la via per sfuggire ad essi. E se nessuno ha il coraggio di guardare e di dire ciò che vede, voglio farlo io. Ho diritto alla critica, perché con questa ho sempre e più volte mostrato ciò che deve accadere, e perché accadrà. Una serie decisiva di avvenimenti si è iniziata. Una volta che il fatto è avvenuto nulla può farlo tornare indietro. Ora dobbiamo tutti proseguire in questa direzione, sia che l'abbiamo voluta o no. Sarebbe vile e di poca intelligenza dire
1 Il titolo completo del libro è infatù: Jahre der Entscheidung: I - Deutschland tmd die we!tgeschichtlicbe Entwicklemg (N.d.R.). 2 l1 progetto rimase incompiuto ìn quanto Spengler mor} tre anni dopo la pubblicazione di questo libro, nella notte tra il 7 e 1'8 maggio 1936, ed un secondo volume non vide mai la luce (N.d.R.).
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di no. Ciò che il singolo non vuole fare, la storia lo farà con lui o per lui. Ma il sì presume una comprensione. A ciò deve servire questo libro. È un'ammonizione di fronte ai pericoli. Pericoli ce ne sono sempre. Ogni individuo che agisce è in pericolo. La vita stessa è pericolo. Ma chi ha collegato il destino di Stati e di Nazioni al suo destino privato, deve andare incontro ai pericoli a viso aperto. E forse il più 11;rande coraggio consiste nel vederli. Questo libro è nato da una conferenza, « La Germania in pericolo », che io ho tenuto nel 1930 ud Amburgo, senza incontrare molta comprensione. Nel novembre del 1932, sempre di fronte alla stessa situazione in Germania, iniziai la redazione del lavoro. Il 30 gennaio 19.33 il libro era stampato fino alla pagina 106. Non vi ho cambiato nulla, perché io scrivo non per i prossimi mesi od il prossimo anno, ma per l'avvenire. Ciò che è giusto non può essere mutato da un evento contingente. Ho mutato soltanto il titolo per non far nascere malintesi: non l'avvento al potere del Nazionalsocialismo è il pericolo, ma i pericoli c'erano già, parte dal 1918, parte da molto tempo prima, cd esistono ancora, perché non possono essere eliminati da un singolo avvenimento il quale, per essere efficace di fronte ad essi, ha bisogno almeno di alcuni anni e di un giusto e continuo sviluppo. La Germania è in pericolo. La mia paura per la Germania non è diminuita. La vittoria di marzo 1 è stata troppo facile per aprire gli occhi ai vincitori ~ulla dimensione, sulla origine e sulla durata del pe-
ricolo. 1 Il 5 marzo 1933 si svolsero in Germania le ultime elerooni con il sistema pluripartitico: il NSDAP di Hitler con-
•cuistò il 44 per cento dei voti e 288 seggi (N.d.R.). 41
Nessuno può sapere verso quali forme, situazioni e personalità conduce questa rivoluzione e quali reazioni, per conseguenza, avrà all'estero. Ogni rivoluzione peggiora la situazione di politica estera di un Paese, e solamente per tenete testa a questo fatto, sono necessari uomini di Stato del tipo di Bismarck. Noi forse siamo già vicini alla seconda guerra mondiale, con una ripartizione ancora sconosciuta delle potenze, e con imprevedibili mezzi e scopi militari, economici e rivoluzionari. Non abbiamo tempo per chiuderci negli avvenimenti di pohtica interna. Dobbiamo essere per ogni possibile evento. La Germania non è un'isola. Se noi non consideriamo la nostra condizione in rapporto al mondo intero come il nostro problema più importante, il destino (e quale destino!) passerà sopra di noi spietatamente. La Germania è la terra decisiva del mondo, non soltanto a causa della sua posizione, ai confini con l'Asia (che per quanto riguarda la politica mondiale oggi è la patte più importante del globo), ma anche perché i Tedeschi sono ancora abbastanza giovani per vivere in se stessi i problemi della storia mondiale, per plasmarli e definMi, mentre altri popoli sono diventati troppo vecchi ed irrigiditi per opporre ai problemi qualcosa più di una resistenza. Ma anche di fronte ai gt·andi problemi, l'attacco contiene la maggiore promessa di vittoria. Questo ho cercato di descrivere. Avrà l'effetto desiderato?
OswALD SPENGLER
Monaco, luglio 1933
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L'ORIZZONTE POLITICO
1 un qualsiasi uomo di razza bianca osserva ciò che accade sulla terra? La vastità del pericolo, che minaccia e incombe su questa massa di popoli? Non mi riferisco alla folla colta od ignorante Jelle nostre città, dei lettoci di giornali, degli elettori, tra i quali da tempo non esiste più alcuna distinzione di rango tra elettori ed eletti, ma parlo dei ceti sociali dirigenti delle Nazioni di razza hianca, se non sono già stati annientati, degli uomini di Stato, se ne esistono ancora alcuni, dei legittimi fiihrer della politica e dell'economia, de1-\li eserciti e del pensiero. In questi anni, osserva davvero qualcuno il suo Paese, al di là del suo mondo e perfino della stretta cerchia della sua attività? Noi viviamo un'èra fatale. Questa drammatica epoca storica è iniziata non soltanto con la fau~ t iana cultura dell'Europa occidentale e la sua straordinaria dinamica, ma proprio col dipanarsi della storia universale tutta, più grande e molto più terribile che ai tempi di Cesare e Napoleone. Ma come sono ciechi gli uomini, sopra i quali freme questo
F oggi
ORSE
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destino potente, e che, muovendosi disordinatamente, esso innalza e distrugge! Chi di loro vede e comprende ciò che vicino ed intorno a loro accade? Forse qualche vecchio saggio cinese o indiano tace, e si guarda attorno ricco di un millenario passato di pensiero, ma come è invece superficiale, limitato e meschino tutto quello che nell'Europa occidentale ed in America si presenta sotto forma di previsioni e giudizi! Chi, degli abitanti del Middle West degli Stati Uniti, comprende veramente qualcosa di quello che avviene al di là di New York e di San Francisco?
Che cosa pensa un uomo della classe media inglese di quello che dall'altra parte del Canale, sul Continente, si va preparando; per non parlare poi della provincia francese? Che cosa sanno tutti della direzione nella quale si muove il loro destino? Allora nascono parole d'ordine ridicole, come « superamento della crisi economica », « intesa fra i popoli », « sicurezza nazionale )> e « autarchia », per soggiogare, attraverso la prosperity e il disarmo, le generazioni sopraggiungenti. Ma qui intendo ora riferirmi alla Germania, che nel turbinio degli avverumenti è minacciata più profondamente di una qualsiasi altra Nazione, e della cui esistenza si discute nel senso più vuoto e più inutile della parola. Quale limitatezza di vedute e quale rumorosa superficialità dominano qui in terra tedesca, quali e quanti modi di vedere provinciali emergono quando il discorso si rifà ai più grandi problemi! Si costituisca entro i nostri confini il Terzo Reich o lo Stato sovietico; si sopprima l'esercito o la proprietà, i fili conduttori dell'economia industriale o la tanto più semplice economia rurale; si conceda ai singoli paesi la maggiore indipendenza possibile o si elimini invece ogni forza di autono-
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mia; si lascino i vecchi padroni dell'industria o dell'amministrazione pubblica lavorare di nuovo nello stile del 1900, o si faccia infine una rivoluzione, si proclami la dittatura, per la quale un dittatore sarà certo già pronto (almeno quattro dozzine di persone, a dir poco, si sentono già da tempo all'altezza di questo compito) e tutto, dico tutto, apparirà sempre ugualmente bello e buono a questo popolo. La Germania, però, non è un'isola. Non esiste altra Nazione che da sempre sia coinvolta nel destino mondiale, attivamente o passivamente, in egual misura. Già la sua posizione geografica, la sua mancanza di confini naturali, la condannano a questo. Nel XVIII e XIX secolo la Germania era «Mitteleuropa»., nel XX è di nuovo una regione di confine verso l'Asia, e nessuno, più dei Tedeschi, ha maggiormente bisogno di pensare la Germania come espansa, politicamente ed economicamente, oltre i suoi confini. Tutto ciò che accade lontano, invece, si propaga fino al centro della Germania. Ma il nostro passato si vendica: questi settecento anni di divisione politica miserabile e provinciale, senza un bariurne dì grandezza, senza aspirazioni, senza una meta; -tutto questo plurisecolare smarrimento non si lascia riassorbire in due generazioni. E l'opera di Bismarck possedeva il grande difetto di non avere educato la generazione degli adolescenti alla realtà del nuovo modello della nostra vita politica. La si inI ravvide, quella realtà, ma non la si comprese, non la assimilammo intimamente coi suoi orizzonti, coi suoi problemi e coi suoi nuovi doveri. Non vivem1110 con essi e per essi. Il tedesco medio guardò, dopo come prima, ai destini della sua grande terra in un modo proporzionato solamente alla sua posizione sociale e del tutto particolaristico, cioè superI tciale, limitato, sciocco, ristretto nelle idee. Tutto si è iniziato, è vero, quando gli impe-
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ratori di Casa Sveva con lo sguardo volto e sul Mediterraneo e sull'Ansa, loro che in passato avevano dominato daUa Schelda fino a Novgorod, avevano dovuto soggiacere a forze più saldamente fonda te, in conseguenza della mancanza di una concreta puntellatura politica e militare nel retroterra. Da quando la Germania si rinchiuse in innumerevoli piccole patrie ed innumerevoli tortuosi interessi, si paragonò la storia universale agli innu• merevoli piccoli suoi orizzonti, e si sognò ardentemente e miserabilmente un regno per il quale si inventò l'espressione . Ancor oggi noi ci troviamo nell'Epoca del Razionalismo, che iniziato nel XVIII secolo, si esaurisce rapidamente nel XIX secolo, sotto i nostri
occhi 1• Siamo tutte sue creature, sia che noi lo sappiamo o no, e che lo vogliamo o no. La parola è familiare ad ognuno, ma chi conosce tutto quello che ad essa appartiene? È l'arroganza dello sradicato spirito cittadino, non più accompagnato da alcun forte istinto, che guarda con disprezzo dall'alto il pensiero carico di sangue del passato e la saggezza delle antiche generazioni di contadini. Siamo nell'epoca in cui ognuno può leggere e scrivere e perciò vuole interloquire e :ficcare il naso in tutte le faccende. Questo spirito è dominato dai concetti, le nuove divinità del nostro tempo, e critica tutto e tutti: questo non Ycrve a niente, noi potremmo farlo meglio,
' Tramonto dell'Occidente, II, pagg. 374 sgg. Il Tramonto ,ldl'Occidente è citato secondo le nuove edizioni dopo il 1924 (Vol. I 65, Vol. II 43). {La traduzione italiana dell'opera in un uoico volume a cura di Juliu:; Evola, è apparsa presso Longanesi, Milano, 1957; II ed.: Milano 1971 - N.d.R.), 49
suvvia, facciamo un programma di un mondo migliore! Niente è più facile di una tale critica quando si ha un po' di faccia tosta. Poi, la realizzazione verrà da se stessa! Per il momento si chiama questo il « Progresso dell'Umanità». Poiché ha un nome, esso esiste. Chi dubita di ciò è di idee ristrette, un reazionario, un eretico, soprattutto un uomo senza virtù democratica: lontano da lui! Così il timore per la verità è stato superato dall'arroganza intellettuale, dalla presunzione proveniente dall'ignoranza in tutte le cose della vita, dalla povertà psichica, dalla mancanza di rispetto, infine dalla stupidità dell'individuo inesperto della vita, poiché niente è più sciocco della superficiale intelligenza cittadina. Nei ritrovi e nei clr,bs inglesi questo si chiamava common sense, nei salotti francesi ésprit, nei salotti letterari tedeschi la Ragion pura. L'ottimismo superficiale del filisteo della cultura comincia a non temere più le realtà elementari della storia, ma anzi le disprez1.a. Ogni saccente vuole inserirle nel suo inesperto sistema, farle più perfette di quelle che sono, perché egli non le vive, ma per ora le riconosce soltanto. Questa tendenza dottrinale per la Teoria proveniente da mancanza di esperienza, meglio, da ingegno che difetta nel fare esperienze, si manifesta letterariamente nel progettare instancabilmente Sistemi ed Utopie politiche, sociali ed economiche, cioè nella smania dell'organiz1.azione, del disporre, che diviene astratto scopo a se stesso ed ha come conseguenza le burocrazie le quali, nella loro marcia a vuoto, vanno in rovina o mandano alla perdizione gli ordinamenti viventi. Il razionalismo, in fondo, non è altro che critica ed il critico è l'opposto di colui che crea: egli insieme fa e disfa; concepfmento e nascita gli sono estranei. 50
Per questo la sua opera è artificiale, senza vita ed uccide; essa uccide quando viene a contatto con la vita reale. Tutti questi sistemi ed organizzazioni sono rutti sulla carta in un modo metodico ed assurdo e vivono solamente sulla carta. Ciò che ebbe inizio al tempo di Rousseau e di Kant con ideologie filosofiche che si perdono nel generico, giunge nel XIX secolo alle costruzioni scientifiche con metodi di scienze naturali, fisici, darwinisti - sociologia, economia nazionale, storiografia materialistica - e scompare nel XIX secolo con gli scrittori di romanzi a tesi e con gli statuti di partito. Ma non illudiamoci; Idealismo e Materialismo appartengono a questo mondo nella stessa misura. Sono tutti e due in tutto e per tutto razionalistici, Kant non meno di Voltaire e Holbach, Novalis nello stesso modo di Proudhon, gli ideologi delle guerre d'Indipendenza nella stessa maniera di Marx, la concezione materialistica della storia nello stesso grado di quella idealistica: quando noi guardiamo al loro « significato » e « scopo », il progresso, la tecnica, la « 1ibertà », il « benessere della maggioranza », od il periodo aureo dell'arte, poesia e pensiero, contano davvero poco. In ambedue i casi non ci si è accorti che nella storia il destino dipende da altre forze ben più vigorose. La storia degli uomini è storia della guerra. Dei pochi veri storici di classe nessuno è divenuto popolare, e tra gli uomini di Stato lo fu soltanto Bismarck e proprio quando non ne aveva più bisogno. Ma esattamente come l'Idealismo ed il Materialismo, il Romanticismo è una espressione di presunzione razionalistica derivante dalla carenza di sensibilità per la verità. Essi sono profondamente congiunti e diventerebbe complicato trovare, in un qualsiasi romantico politico o sociale, i confini tra queste correnti di pensiero. In ogni materialista di 51
un certo rilievo si trova nascosto un romantico 1 • Certo, disprezziamo il freddo, superficiale, metodico spirito degli altri, ma ne possediamo perfino troppo per agire con gli stessi identici mezzi e con la stessa alterigia. Il Romanticismo non è affatto indice di forti istinti, ma di scarso intelletto che odia se stesso. Sono tutti infantili questi romantici, uomini che sono rimasti fanciulli per troppo tempo o per sempre, senza la forza di fare un'autocritica, ma con eterne inibizioni nate dalla sorda coscienza della debolezza personale e sospinti da1 pensiero malsano di mutare la società, che è per loro troppo virile, troppo sana, troppo positiva, non con il coltello ed il revolver come in Russia, assolutamente no, ma con i nobili discorsi e le poetiche teorie. Poveri loro se non possiedono sufficiente talento artistico per credersi in possesso della forza creativa di cui mancano! Ma anche quando ne possiedono, sono effeminati e deboli: non arrivano a mettete in piedi né un grande romanzo, né una tragedia seria, ancor meno una organica e forte filosofia; ma danno alla luce solamente una lirica di contenuto informe, degli schemi esangui e dei pensieri frammentari; estranei ed ostili fino all'assurdo. Pure erano cosl anche gli eterni « giovani » dopo il 1815 con le loro giubbe e le loro pipe di vecchio stile tedesco, anche Jahn e Arndt; lo stesso Stein non poté cosl a lungo domare il suo gusto romantico per gli antichi ordinamenti statali, da fare della sua grande esperienza pratica un uso diplomatico e ricco di consegul!nZe. Certo, essi erano eroici, nobili, e pronti a discutere in ogni momento dei martiri, ma
1 Die W eltriitsel, per esempio, di Haeckels, è il libro di un vero sognatore debole nella logica. Poiché è la fede, più forte di tutte le dimostrazioni, che contraddistingue il romantico.
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parlavano troppo della natura tedesca e troppo poco di ferrovie e di unione doganale, e per questo sono stati solo un impedimento per il vero avvenire della Germania. Hanno essi mai udito il nome del grande Federico List, il quale si suicidò nel 1846 perché nessuno capì ed appoggiò il suo obiettivo politico realistico, la creazione di una economia nazionale tedesca? Però tutti hanno conosciuto i nomi di Arminio e Tusnelda. E proprio questi stessi eterni giovani sono oggi di nuovo alla ribalta, del tutto immaturi, senza alcuna esperienza o buona volontà di formarsela, ma intenti a scrivere ed a parlare in modo risoluto di politica, pieni di entusiasmo per fo uniformi ed i distintivi e con una fede fanatica per una qualsiasi teoria. Esiste un romanticismo sociale del comunismo più esaltato; un romanticismo politico che considera realtà le cifre elettorali e l'entusiasmo dei discorsi dei comizi; ed un romanticismo economico, che, senza alcuna conoscenza delle intime forme di una economia reale, corre dietro le teorie monetarie di cervelli malati. Essi si sentono a loro agio solo nella massa, perché soltanto mentre si moltiplicano possono far tacere la vaga sensazione della propria debolezza. E questo lo chiamano superamento dell'individualismo. E ancora essi sono, alla maniera dei razionalisti e dei romantici, sentimentali come una canzonetta popolare. Il Contratto sociale e i diritti dell'uomo provengono già dall'epoca della sensibilità. Al contrario Burke, da vero uomo di Stato, rilevò e con ragione, che i suoi connazionali esigevano lassù i propri diritti non come uomini, ma come inglesi. Questo era un pensiero pratico e politico, non un vano razionalismo derivato dalla indisciplinatezza dei sentimenti. Infatti, questo cattivo sentimentalismo che pesa su tutte le correnti teoretiche di questi due secoli, il liberalismo, il comunismo, il 53
pacifismo, sopra tutti i libd, discorsi e rivoluzioni, nasce dallo smarrimento spirituale, dalla debolezza personale, dalla mancanza di disciplina foroiata da una antica e severa tradizione. Esso è « borghese » o «plebeo», per quanto queste parole suonino offesa. Vede le cose umane, la storia, il destino politico ed economico dal basso, in maniera piccola e gretta, dalla finestra della cantina, dal vicolo, dal caffè dei letterati, dal comizio popolare, non dall'alto e da lontano. Ogni tipo di grandezza, tutto ciò che si innalza, domina, sovrasta, gli è odioso, e costruire significa per lui in realtà la demolizione di tutte le creazioni della cultura, dello Stato, della società fino al livello della gentarella, al di là del quale il suo miserabile sentire non può elevarsi. Questo solamente oggi è popolare e gradito al popolo, perché « popolo » nella bocca di ogni razionalista e romantico significa non la nazione storica di forma perfetta, formata dal destino nel corso di lunghi anni, ma la parte della massa debole ed informe che ognuno percepisce come proprio simile, dal « proletariato » fino alla ~< umanità ». Questo predominio dello sradicato spirito cittadino sta per tramontare. Come ultima maniera del capire le cose quali esse sono, appare lo scetticismo, il fondamentale dubbio per il senso ed il valore della riflessione teorica, per la sua capacità di dedurre una qualsiasi cosa con la critica e col concetto, e di seguire qualcosa praticamente: lo scetticismo nella forma delle grandi esperienze storiche e fisiognomiche, dell'incorruttibile sguardo sui fatti, della vera conoscenza degli uomini, la quale insegna come l'uomo è stato ed è, e non come egli dovrebbe essere; del vero pensiero storico il quale fra l'altro insegna come spesso quelle tali epoche della critica onnipotente già esistessero, e come siano trascorse senza lasciar tracce; del rispetto per gli avvenimenti storici mondiali, i quali in sostanza 54
sono e rimangono misteri che noi possiamo solo descrivere e non spiegare e che praticamente pos• sono essere superati solo da uomini di razza forte, i quali sono essi stessi realtà storiche, e non da programmi e sistemi sentimentali. Questo severo studio storico sui fatti, quale si inizia in questo secolo, è insopportabile alle nature deboli ed incapaci di dominio di se stesse. Esse odiano colui che osserva i fatti e lo chiamano un pessimista, Orbene, questo vigoroso pessimismo, al quale è legato il disprezzo del genere umano per tutte le grandi azioni degli uomini che sono conoscitori della vera realtà, è tutt'altra cosa di quello vile delle stanche animucce, che temono la vita e non sopportano la visione della realtà, Sperar di vivere nella felicità, nella pace, senza pericolo, nel piacere, è cosa noiosa, vecchia ed inoltre è solo pensabile, non possibile. Di fronte a questa realtà, alla verità della storia, naufraga ogni ideologia.
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Per ciò che riguarda l'attuale situazione mondiale, tutti corriamo il rischio di vederla in modo errato. Fin dalla guerra civile americana (1865) dalla guerra franco-tedesca (1870) e dall'epoca vittoriana si diffuse nei popoli di razza bianca fino Hl 1914, un inverosimile stato di tranquillità, di sicurezza, di esistenza che avanzava pacifica e priva Ji preoccupazioni, tale che si cerca inutilmente in tmti i secoli qualche cosa di simile. Chi ha vissuto o da altri ha udito parlare di quel periodo, soggiace sempre alla tendenza di considerarlo normale, di interpretare il dissoluto tempo presente come un turbamento di quel naturale stato, e di 55
desiderate che esso giunga , a malapena, sopravvivere alla morte dell'imperatore Francesco Giuseppe, e ci si domandava in quale forma si sarebbe impostato il nuovo ordinamento di quel)'immenso territorio, e sf!' ciò sarebbe stato possibile a dispetto dei diversi progetti e tendenze che si escludevano a vicenda: c'erano le aspirazioni di Stati vicini speranzosi ed in più le aspettative di lontane potenze, che deslderavano un conflitto qui, per raggiungere poi altrove le pmprie mete. Il sistema d1 Stati dell'Europa come unità era dunque alla fine, e la guerra mongiale, rinviata nel 1878, minacciava di scoppiare per le stesse cause e nella stessa situazione. Il che avvenne nel 1914. Intimto questo sistema cominciava a trasformarsi m un tipo che ancora oggi perduta e che ricorda l'Orbis terrarum dei secoli tardo-ellenici e romani: al centro stavano allora le antiche città-stati dei Greci, comprese Roma e Cartagine, e tutto intorno il « cerchio dei paesi », che forniva per le loro guerre, eserciti e denaro 1 • Dall'eredità di Alessandro Magno ebbero origine la Macedonia, la Siria e l'Egitto; da quella di Cartagine l'Africa e la Spagna; Roma aveva conquistato l'Italia Settentrionale e Meridionale e Cesare vi aggiunse la Gallia. La lotta per stabilire chi doveva organizzare e reggere l'impero che si stava formando, fu condotta da Annibale e Scipione fino ad Antonio ed Ottaviano con i mezzi e gli uomini dei grandi domini periferlci. E nello stesso modo si svilupparono le circostanze negli ultimi decenni che precedettero il 1914. Una grande potenza di tipo europeo era uno Stato che 1
Tramonto dell'Occidente, Il, pag. 506 seg.
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teneva sotto le armi m territorio europeo qualche centinaio di migliaia di uomini, e possedeva abbastanza denaro e materiale per decuplicarli rapidamente in caso di emergenza, ed inoltre dominava in continenti stranieri estesi territori periferici, i quali con i loro punti di appoggio per le flotte, con truppe coloniali ed una popolazione che produceva materia prima e consumava prodotti, formavano il sostrato per la ricchezza, e per ciò stesso la forza d'urto militare del paese centrale, Era la forma, in certo modo ancora attuale, dell'Impero britannico, dell'Africa occidentale francese e dell'Asia russa, mentre in Germania la limitatezza dei ministri e dei partiti si era lasciata sfuggire per diversi secoli l'occasione di formare nell'Africa Centrale un grande impero coloniale, che in caso di guerra, sarebbe stato una forza, anche senza legami con la madrepatria, e comunque avrebbe impedito la totale esclusione dal mare. Dalla sopravvenuta tendenza a distribuire in sfere d'influenza le parti del mondo ancora disponibili, derivarono i gravi dissidi tra Russia ed Inghilterra nella Persia e nel golfo Persico, tra l'Inghilterra e la Francia a Fascioda, tra Francia e Germania in Marocco, e tra tutte queste potenze in Cina. Dappertutto c'erano motivi per una grande guerra che era sempre sul punto cli scoppiare con una distribuzione molto dive.rsa di avversari - nel caso di Fascioda e nel conflitto russo-giapponese, tra Russia e Francia da una parte, Inghilterra e Giappone dall'altra, - fino a che questa scoppiò nel 1914 in una forma completamente insensata. Fu un assedio della Germania come « impero centrale » da parte di tutto il mondo, l'ultimo tentativo di risolvere con la guerra, alla maniera antica, le grandi questioni lontane sul suolo tedesco, senza alcun riguardo allo scopo ed al luogo; questo conflitto avrebbe subito preso un diverso aspetto, altri scopi 70
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ed un altro esito, se si fosse riusciti tempestivamente a convincere la Russia ad m1a pace separata con la Germania, ciò che necessariamente avrebbe avuto come conseguenza il passaggio della Russia dalla parte delle potenze centrali. Sotto questo aspetto la guerra fu un inevitabile insuccesso, poiché i grandi problemi sono ancor oggi insoluti c si fosse opposto all'assolutismo che in verità non esisteva quasi più, non a causa della miseria e dell'indebitamento del paese, i quali altrove erano molto più gravi, ma perché l'Autorità era considerata in disfacimento. T rttte le rivolttzìoni nascono dal decadimento della superiorità dello Stato. Una rivolta della piazza non può avere questo effetto; ne è solo una conseguenza. Una repubblica mo• derna è nient'altro che la rovina di una monarchia, che si è arresa. Con il XIX secolo le potenze passano dalla forma di Stato dinastico a quella dello Stato nazionale. Ma che significa ciò? Nazioni, cioè popoli aventi propria cultura, esistevano naturalmente da molto tempo. Grosso modo coincidevano con le zone di dominio delle grandi dinastie. Queste Nazioni erano idee, nel senso in cui Goethe parla delle idee del proprio essere: la forma intima di una vita significativa che inconsciamente ed inavvertitamente si realizza in ogni azione ed in ogni parola. Ma « la nation » nel senso del 1789 era un ideale razionalistico e romantico, una aspirazione di tendenza espressamente politica per non dire sociale. Non si può distinguere oggi niente di simile in questo tempo superficiale. Un ideale è il risultato
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r della meditazione, un concetto o principio che deve essere formulato per « avere » l'ideale. In consegt1enza di ciò, dopo breve tempo l'ideale diventa una parola d'ordine che adoperiamo senza pensarci sopra. Al contrario le idee sono senza parole. Raramente e spesso mai coloro che le portano ne sono coscienti, e da altri le stesse idee sono appena afferrabili in parole. Devono essere sentite nel quadro degli avvenimenti e descritte nelle loro realizzazioni. Esse non si lasciano definire. Non hanno niente a che fare con desideri o scopi. Sono l'oscuro impulso che prende figura in una vita e sorpassando la vita di un singolo mira fatalmente in una determinata direzione: l'iaea della romanità, l'idea delle crociate, l'idea faustiana dell'aspirare all,infinito. Ancora oggi le vere nazioni sono idee. Ma che cosa nazionalismo significhi dopo il 1789 è già chiarito dal fatto che esso scambia la lingua madre con la lingua scritta delle grandi città, nelle quali ognuno impara a leggere ed a scrivere, vale a dire con il linguaggio dei giornali e dei fogli volanti, con i quali ognuno viene informato sul « diritto » della nazione e la sua necessaria liberazione da qualcosa. Come ogni corpo vivente le vere nazioni sono provviste di un insieme di organi interni; per la loro sola esistenza sono già un tipo di ordinamento. Il razionalismo politico intende sotto il nome di « nazione » la libertà da ogni ordinamento e la lotta contro di esso. La nazione è per lui uguale alla massa, priva di forma e senza organizzazione, senza reggitori e sen2a scopo. Chiama questo sovranità del popolo. Esso dimentica ciò che è da tenere ben presente, il pensiero ed il sentimento che si evolvono dei ceti rurali, disprezza gli usi ed i costumi della vera vita popolare, ai quali ed in modo particolare appartiene il rispetto per l'autorità. Non conosce alcun rispetto. Conosce sola-
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mente dei principi che provengono da teorie. Soprattutto quello plebeo dell'uguaglianza, cioè la sostituzione della quantità all'odiata qualità, del numero alla invidiata intelligenza. Il moderno nazionalismo sostituisce la massa al popolo. È rivoluzionario e cittadino da cima a fondo. Alquanto infausto è l'ideale di governo del popolo « attraverso sé stesso ». Ma un popolo non si può mai governare da sé, così come una armata non può condursi da sé stessa. Il popolo deve essere governato ed anche esso stesso lo vuole, fino a quando possiede sani istinti. E tuttavia si pensa a qualcos'altro: il concetto della rappresentanza popolare ha in ogni movimento demagogico subito la parte principale. Allora giungono delle persone che si definiscono da sole « rappresentanti » del popolo e come tali si raccomandano. Esse non vogliono affatto « servire il popolo >>; vogliono servirsi del popolo per propri scopi più o meno sporchi, tra i quali il più innocuo è la soddisfazione della vanità. Esse combattono le forze della tradizione, per mettersi al loro posto. Combattono l'ordinamento dello Stato poiché impedisce il loro genere di attività. Combattono ogni sorta di autorità perché non vogliono essere responsabili verso alcuno, ed anzi vogliono sfuggire ad ogni responsabilità. Nessuna costituzione contiene un tribunale, davanti a cui i partiti debbano giustificarsi. Essi combattono soprattutto la realtà culturale dello Stato lentamente sviluppata e maturata, perché non l'hanno in sé stessi come la buona società, la society del XVIII secolo, e di conseguenza la sentono come oppressione, ciò che non è per le persone di cultura. Cosl sorge la « democrazia)> del secolo, non una forma, ma la mancanza di forma in ogni senso, come principio; il parlamentarismo, come anarchia costituzionalizzata; la repubblica, come negazione di ogni tipo di autorità. Cosl gli Stati Eu-
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topei si ridussero tanto più « fuori forma » quanto più vennero governati in maniera « progressi.sta ». Questo era il « caos » che indusse Metternich a combattere la democrazia senza distinzione di indirizzo la romantica delle guerre cli liberazione, come la razionalistica degli assalitori della Bastiglia, democrazie che poi si unirono nel 1848 e ad essere ugualmente conservatore di fronte ad ogni riforma. In tutti i Paesi si formarono da allora dei partiti, cioè, accanto a qualche singolo idealista, gruppi di politicanti affaristi di dubbia provenienza e di ancor più dubbia morale: giornalisti, avvocati, agenti di Borsa, letterati, funzionari di associazioni professionali.· Questi governavano e nello stesso tempo tutelavano i loro interessi privati. Monarchi e ministri erano stati sempre responsabili nei riguardi di qualcuno, per lo meno della pubblica opinione. Questi nuovi gruppi di potere non dovevano rendere conto ad alcuno. La stampa, nata come org4no dell'opinione pubblica, serviva da tempo chi la pagava; le elezioni, una volta espressione di questa opinione, portavano alla vittoria il partito, dietro il quale stavano i più facoltosi elargitori di denaro. Se malgrado questo esisteva ancora una specie di ordine statale, di governo cosciente, di autorità, questi erano i resti della forma del XVIII secolo, che si erano conservati nell'immagine della monarchia per quanto resa costituzionale, nel corpo degli ufficiali, nella tradizione diplomatica, in Inghilterra negli antichissimi usi del parlamento. Se Bismarck non avesse potuto appoggiarsi al suo re, sarebbe subito soggiaciuto alla democrazia. Il dilettantismo politico, la cui arma erano i parlamenti, considerava queste forze della tradizione con diffidenza ed odio e le combatteva per principio e senza tregua, senza considerarne le conseguenze nei rapporti con l'estero. Cosl la politica interna diventò ovunque un domiì7
nio, che necessariamente attirò a sé l'attività di tutti gli uomini di Stato esperti, al di sopra e fuori della sua reale importanza, sprecò il loro tempo e la loro forza, ed oltre a questo dimenticò e volle dimenticare il senso originario del governo dello Stato, cioè la direzione della politica estera. Questa è la condizione anarchica di transizione, che oggi viene indicata come democrazia e che conduce dalla distruzione dell'elevatezza monarchica dello Stato, attraverso il razionalismo politico plebeo, al cesarismo dell'avvenire, che oggi comincia lentamente ad annunciarsi con le tendenze dittatoriali, ed è destinato a dominare dispoticamente sulle rovine della tradizione storica,
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Uno dei segni p1u gravi della decadenza della dignità dello Stato sta nel fatto che nel corso del XIX secolo predomina la convinzione che l'economia sia più importante della politica. Tra le persone che oggi stanno in qualche modo vicine alle responsabilità decisive, non ce n'è neanche una che respinga questo assunto in maniera risoluta. Si considera la potenza politica forse soltanto come un elemento della vita pubblica, il cui primo compito, se non l'unico, è di servire l'economia, ma ci si aspetta che essa obbedisca completamente ai desideri ed alle intenzioni dell'economia, e alfine che essa venga comandata dai capi dell'economia. Questo è già avvenuto in grandi proporzioni, la storia dei nostri tempi ci insegna con quale esito. In realtà nella vita dei popoli la politica e l'economia non si possono separare. Esse sono, come devo sempre ripetere, due aspetti della stessa vita, ma si comportano come il governo di una nave e 78
la determinazione del suo carico. A bordo il capitano è la prima persona, non il mercante cui appartiene il carico. Se oggi domina l'impressione che la direzione dell'economia sia l'elemento più importante, ciò deriva dal fatto che la direzione politica è passata sotto il dominio della anarchia partigiana e non merita più il nome di un vero governo, e perciò quello economico pare ergersi più alto. Ma se dopo un terremoto una casa è rimasta in piedi tra le rovine, questo non vuol dire che era la più importante. Nella storia, fino a quando essa si svolse in una certa « forma » e non in mezzo a tumulti e rivoluzioni, il condottiero economico non è mai stato signore delle decisioni. Egli obbediva alle considerazioni politiche, le serviva con i mezzi che aveva nelle mani. Senza una politica energica non vi è stata mai, ed in nessun posto, una economia sana, nonostante che la teoria materialistica insegni il contrario. Adam Smith, il suo fondatore, aveva considerato la vita economica come la vita privata umana, il fare denaro come il senso della storia, ed era solito indicare gli uomini di Stato come animali nocivi. Ma proprio in Inghilterra non furono i mercanti ed i proprietari di fabbriche, ma i veri politici come i due Pitt, i quali attraverso una grandiosa politica estera, spesso contro l'opposizione accanita di uomini d'affari dalla vista corta, resero l'economia inglese la prima nel mondo. Furono puri uomini di Stato quelli che condussero la lotta contro Napo, leone fino ai limiti del crollo economico, perché essi guardavano più in là del bilancio dell'anno venturo, come invece ora è uso. Ma oggi si verifica il fatto che in seguito allo scarso valore degli uomini che dirigono lo Stato, i quali in gran parte sono interessati essi stessi agli affari privati, l'economia si intromette in modo determinante nelle decisioni politiche, e proprio l'economia in tutta la sua sfera: 79
non solo le banche ed i consorzi più o meno abilmente camuffati, ma anche i consorzi per aumento delle paghe e diminuzione delle ore di lavoro, che si chiamano partiti operai. Quest'ultima assurdità è la necessaria conseguenza della prima. In ciò si trova la tragicità di ogni economia che vuole assicurare se stessa sul piano politico. Anche questo iniziò nel 1789 con i girondini, i quali vollero fare gli affari della borghesia benestante, con l'appoggio delle potenze statali, ciò che divenne ampiamente realtà più tardi sotto Luigi Filippo, il re borghese. La famigerata frase: « Enrichissez-vous » diventò una morale politica. Essa fu sin troppo bene compresa e seguita, cioè non solo dai commercianti, dagli industriali e dai politici stessi, ma anche dalla classe degli operai salariati, i quali ad un certo momento - nel 1848 - profittarono per se stessi della decadenza della dignità dello Stato. Con questo la strisciante rivoluzione di tutto il secolo, che si chiama democrazia e che si manifesta periodicamente nelle rivolte della massa contro lo Stato attraverso la scheda elettorale o le barricate, dei « rappresentanti del popolo » attraverso cadute ministeriali parlamentari ed i rifiuti dei bilanci preventivi, acquista una determinante tendenza economica. Anche in Inghilterra dove la teoria del libero scambio sostenuta dai manchesteriani venne applicata dalle Trade Unions anche al traffico della merce «lavoro», proprio quello che Marx ed Engels avevano espresso ancora in modo teorico nel Manifesto dei comunisti. Con questo si completa la detronizzazione della politica da parte dell'economia, dello Stato per mezzo dell'ufficio commerciale, del diplomatico attraverso il dirigente sindacale; qui, e non nelle conseguenze della guerra mondiale stanno i germi della catastrofe economica attuale. Essa è in tutta 80
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la sua gravità niente altro che una conseguenza della decadenza della potenza dello Stato. L'esperienza storica avrebbe dovuto mettere in guardia il secolo. Le imprese economiche non hanno mai raggiunto veramente il loro scopo senza essere coperte dall'autorità ispiratrice di uno Stato politicamente forte e consapevole. Ed è invece errato giudicare nello stesso modo le scorrerie brigantesche dei Vichinghi, con le quali ha inizio il dominio marittimo dei popoli d'Occidente: chiaramente il loro scopo era cli fare delle prede, se di terre, di persone o di tesori, ciò aveva poca importanza. Ma la nave era di per se stessa uno Stato ed il piano del viaggio, il comando supremo, la tattica erano politica pura. Nel caso che la nave si trasformasse in flotta, si giungeva subito alla foncfazione di Stati ed anzi di Stati con governi spiccatamente autoritari come in Normandia, Inghilterra e Sicilia. La Lega Anseatica Tedesca sarebbe rimasta una potenza economica se la Germania lo fosse diventata politicamente. Dopo la fine di questa potente alleanza di città (che nessuno ritenne compito di uno Stato tedesco assicurare politicamente), la Germania venne eliminata dalle grandi combinazioni economiche mondiali dell'Occidente. Riapparve solo nel XIX secolo, non attraverso sforzi privati, ma unicamente e solo per la creazione politica di Bismarck, che è stata la premessa per l'ascesa impe• rialistica dell'economia tedesca. L'imperialismo marittimo, la tendenza per il pdncipio faustiano della conquista all'infinito, prese ad 1.1cquistare grandi forme concrete, quando con la conquista di Costantinopoli per merito dei Tw:clù nel 1453, le vie economiche verso l'Asia furono politicamente sbarrate. Questo è il vero motivo di fondo che spinse alla scoperta della via marittima verso l'India Orientale i Portoghesi e alla scoperta dell'America gli Spagnoli, cioè praticamente le
grandi potenze del tempo. I motivi dei singoli scopritori erano d'altronde l'ambizione, il desiderio di avventura, la gioia per la lotta ed il pericolo, la sete dell'oro, non precisamente quindi ciò che intendiamo oggi per « buoni affari}>. Le terre scoperte dovettero essere conquistate e dominate; esse dovevano in seguito aumentare la potenza degli Asburgo nelle combinazioni europee. Il regno nel quale il sole non tramonta mai era un'immagine politica, il risultato di una politica statale superiore, e soltanto fino a questo punto un campo per successi economici. Non accadde niente di diverso, quando l'Inghilterra conquistò la supremazia, non attraverso la sua potenza economica, che all'inizio non c'era affatto, ma attraverso il dominio intelligente della nobiltà, fossero ora Tories ora 1Vhigs. L'Inghilterra è divenuta ricca con le battaglie, non attraverso la contabilità e la speculazione. Per questo il popolo inglese, cosl « liberale » come si pensava e si diceva, è stato in pratica il più conservatore d'Europa: conservatore nel senso del mantenimento di tutte le forme di potenza del passato fino alle più piccole forme del cerimoniale, delle quali si potrebbe anche ridere e che qualche volta perfino taluno arriva a disprezzate; ma fino a quando non si vide una nuova « forma » più forte, si conservarono tutte le vecchie. I due partiti, la maniera in cui il governo riusciva a mantenersi indipendente nelle sue decisioni dal Parlamento, la Camera Alta e la Monarchia come forze frenanti nelle situa• zioni critiche. Questo istinto ha sempre salvato nel tempo l'Inghilterra, e se esso ora si spenge, dò significa non soltanto la perdita della posizione mondiale politica, ma anche economica. Mirabeau, Talleyrand, Metternich, Wellington non capivano niente di economia. Erano forse una eccezione. Ma sarebbe stato peggio se al loro posto uno specialista di economia avesse cercato di fare della poli82
tica. Solo quando l'imperialismo cade nelle mani di uomini d'affari materialisti, o, più cortesemente, economisti, quando smette di essere politicamente potente, esso scende molto rapidamente dagli interessi concreti degli Stati economici, nel dominio della lotta di classe degli « esperti sindacali », e cosl. le grandi economie nazionali si dissolvono e trascinano con sé nell'abisso le grandi potenze.
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L'espressione pm ricca di conseguenze della rivoluzione « nazionale » del 1789 sono stati gli eserciti permanenti del XIX secolo. Gli eserciti di te• dutamento volontario degli Stati dinastici vennero sostituiti da eserciti di massa basati sul servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini. Nella sua più profonda essenza era un ideale giacobino: la levée en masse del 1792 corrispondeva al concetto di nazione come massa, la quale doveva venire organizzata in una. perfetta uniformità, al posto dell'antica nazione cresciuta ed articolata settorialmente. Che allora negli assalti di queste masse uniformi qualcosa di diverso venisse alla luce, una magnifica, barbara, completamente irrazionale gioia del pericolo, potere e vittoria, residuo di una razza sana, che ancora viveva in questi popoli dall'eroismo nordico, fu una esperienza che i sognatori dei « diritti dell'uomo» fecero molto presto. Il sangue fu ancora una volta più forte dello spirito. L'entusiasmo teorico per l'ideale del « popolo in armi » aveva avuto tutto un altro scopo, più cosciente e razionalistico, che non la liberazione di questi istinti elementari, anche in Germania durirnte e soprattutto dopo le guerre di liberazione, quando esso portò alle rivoluzioni del 1830 e del 83
1848. Questi eserciti, « nei quali non esisteva differenza tra il nobile ed il plebeo, il ricco ed il po-vero » dovevano essere una copia deTie nazioni future, nelle quali dovevano sparire tutte le differenze del rango, del patrimonio, e dell'ingegno. Questo era il pensiero nascosto di molti volontari del 181.3, ma nello stesso tempo della gioventù letteraria germanica (Hcine, Herwegh, Fteiligrath) e di molti uomini della Paulskirche (come Uhland). Il principio della uguaglianza inorganica era per loro determinante, Gli uomini della razza di Jahn e Arndt non pensavano che era stata la uguaglianza a far risuonare per la prima volta nei massacri di settembre del 1792 il grido di « Vive la nation ». Si dimenticò un fatto fondamentale: nel Romanticismo dei canti popolari si parlava solo dell'eroismo dei comuni soldati, ma il valore interiore di questi eserciti, qualche volta dilettanti nell'esercizio della guerra, il loro spirito, la loro educazione, la loro istruzione completa dipendevano dalle qualità del corpo degli ufficiali, il cui « essere in forma » si basava completamente sulle tradizioni del XVIII secolo. Moralmente anche presso i giacobini una truppa valeva tanto quanto l'ufficiale, il quale l'aveva educata per mezzo della sua istmzione. Napoleone confessò a Saot'Elena che egli non sarebbe stato vinto se avesse avuto, oltre al magnifico materiale dei soldati del suo esercito, un corpo di ufficiali come quello austriaco, nel quale erano ancora vive le tradizioni cavalleresche di fedeltà, onore, e silenziosa, disinteressata disciplina. Se questa guida vacilla nei suoi sentimenti e nella sua condotta, o si arrende da sé come nel 1918, allora in un attimo un reggimento coraggioso diventa un gregge vile e sbandato. Nel rapido dissolvimento delle forme di potenza dell'Europa, sarebbe stato un miracolo se questo 84
mezzo di potenza avesse res1st1to. E nonostante tutto fu cosl. I grandi eserciti sono stati l'elemento più conservatore del XIX secolo. Essi e non la Monarchia indebolita, la Nobiltà o magari la Chiesa, conservarono in piedi ed in maniera vitale, la forma dell'autorità dello Stato contro le tendenze anarchiche del liberalismo. Che cosa si formerà dalle macerie, oggi non lo può sapere nessuno. Un elemento di forza si è innalzato non solo in Austria, ma nell'Europa intera così profondamente angustiata, e questo elemento si chiama l'esercito permanente. Disgraziatamente è solo una realtà conservatrice e non creatrice., ed , scrisse Metternich nel 1849 1• Ed invero questo dipende esclusivamente dai metodi rigidi e severi del corpo degli ufficiali, con i quali i soldati erano stati educati. Quando si giunse, nel 1848 e più tardi, ad ammutinamenti e tumulti locali, la colpa derivava dal minor valore morale degli ufficiali. Generali politicanti, i quali deducevano dal loro rango militare l'abilità ed il diritto di giudicare come gli uomini di Stato e quindi di agire in conformità, ce ne sono sempre stati, in Spagna e Francia come in Prussia e Austria, ma il corpo degli ufficiali come complesso si proibiva dappertutto una propria opinione politica. Solo gli. eserciti e non le corone rimasero in piedi nel 18.30, nel 1848 e nel 1870. Dal 1870 essi hanno anche impedito la guerra, perché nessuno osava mettere in movimento questa enorme forza per timore di effetti incalcolabili, e con ciò hanno generato l'anormale stato di pace dal 1870 fino al 1914, che oggi quasi non ci rende possibile di giudicare in modo giusto lo stato delle
1 In Hartig, 30 marzo. Cosl Bismattk, Gedanken und Erinttl!rungen, I, pag. 63.
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cose 1 • Al posto della guerra diretta subentrò quella indiretta nella forma di un continuo accrescimento dei preparativi di guerra, dell'aggiornamento ac• celerato degli armamenti e delle scoperte tecniche, una guerra nella quale vi furono parimenti vittorie, sconfitte e brevi periodi di pace 2• Questa specte di guerra nascosta presuppone però una ricchezza nazionale, che solo Paesi con grande industria hanno sviluppato - essa si sosteneva in gran parte su questa industria stessa, in quanto rappresentava un capitale e questo aveva come presupposto la presenza di carbone, sui cui giacimenti erano fondate le industrie . Per condurre la guerra ci vuol denaro, per prepararla ne occorre ancora di più. Così la grande industria diventò essa stessa una arma; quanto più essa era produttiva, tanto più decisamente essa assicurava in anticipo il successo. Ogni altoforno, ogni fabbrica rafforzava la preparazione delle guerre. La prospettiva cli operazioni coronate da successo divenne sempre più dipendente dalla possibilità di un consumo di materiale, soprattutto di munizioni. Si è diventati consapevoli molto lentamente di questa realtà. Bismarck nelle trattative di pace del 1871 diede valore, come del resto Metz e Belfort, soltanto ai punti strategici e nessun valore alla zona mineraria della Lorena. Ma quando cl si rese conto di tutti i rapporti tra l'industria e la guerra, tra il carbone ed i cannoni, come ora accade, si mutò opinione: la potente industria divenne la premessa decisiva dell'impostazione della guerra; essa esigeva perciò la massima attenzione, e da allora i cannoni cominciarono in una maniera sempre ere1
Cfr. pag. 12. Tramonto dell'Occidente, II, pag. 534. Scritti politici, pag. 132. 2
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scente a servire il carbone. La decadenza del con• cetto di Stato fu poi strettamente legata al parlamentarismo che afferrava e corrompeva tutto in• torno a sé. L'economia - dal trust fino all'artigianato - cominciò a contare sempre di più nel governo, ed a decidere col suo ' no • od il suo ' sì ' gli scopi ed i metodi della politica estera. La politica coloniale e quella d'oltremare diventarono una lotta per i mercati e per le sorgenti di materie prime dell'industria, tra l'altro in misura crescente coi giacimenti di petrolio. Perché il petrolio cominciò a combattere il carbone, a sostituirlo, ed a eliminarlo. Senza i motori a scoppio, le automobili, gli aeroplani ed i sommergibili sarebbero stati impossibili. Nella stessa direzione mutò la preparazione per la guerra marittima . Ancora all'inizio della guerra civile americana le navi mercantili armate erano pressappoco quante le navi da guerra contemporanee. Tre anni dopo le corazzate erano il tipo di nave che dominava il mare. Di queste navi da guerra, con un tempo di costruzione sempre più breve, si ebbero dei tipi sempre più grandi e potenti, ciascuno dei quali dopo un paio d'anni era già invecchiato: fortezze galleggianti della svolta del secolo, macchine mostruose, le quali in seguito al loro bisogno di carbone divennero sempre più dipendenti dai punti d'appoggio sulla costa. L'antico agone per il predominio sul mare o sulla terraferma cominciò in un certo senso a trasferirsi di nuovo sulla terraferma: chi era in possesso dei punti di appoggio per la flotta, con i loro docks di carbone e riserve di materiale, dominava il mare,
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indipendentemente dalla potenza della flotta. La Rule Britannia si basava in ultima analisi sulla ricchezza delle colonie inglesi che erano là per le navi e non viceversa. Questo fu da allora in poi il significato di Gibilterra, Malta, Aden, Singapore, le Bermude e di diversi altri simili punti d'appoggio strategici. Si perse il senso della guerra, della battaglia decisiva sul mare. Si cercò di rendere inefficace la flotta nemica non ammettendola alle coste. Non è mai avvenuto sul mare qualcosa che corrispondesse ai piani d'operazione degli Stati Maggiori, e con queste squadre di navi da guerra non si è mai combattuta una battaglia decisiva. Il diverbio teorico sul valore delle Dreadnoughts 1 dopo la guerra russogiapponese si basava proprio sul fatto che il Giappone aveva costruito questo tipo di nave da guerra, ma non lo aveva provato. Anche durante la guerra mondiale, le navi rimasero tranquille nei porti, Non avrebbero assolutamente avuto bisogno di esistere. Anche la battaglia dello Skagerrak fu solo un attacco, l'invito ad una battaglia alla quale la flotta inglese si sottrasse meglio che poté 2• Quasi tutte le grandi navi che negli ultimi cinquanta anni furono messe fuori servizio perché invecchiate, non avevano mai sparato un colpo contro un pari avversario. Ed oggi lo sviluppo dell'arma aerea pone 1 Nome della tecnica faustiana, Fino alla guerra. monruale, gli antichi e famosi reggimenti di cavalleria dell'Europa occidentale caratterizzati dalla fierezza cavalleresca, dall'amore per l'avventura e dall'eroismo, erano considerati più di una qualsiasi altra arma. Essi furono per vari secoli i veri e propri Vichinghi del paese. Essi rappresentarono sempre dì più la vera professione interiore del soldato, la vita del milite, molto di più della fanteria, simbolo del comune dovere di difesa. In avvenire ciò cambierà. L'aviazione ed i carri armati li vanno sostituendo. La mobilità perciò aumenterà e, superando i limiti delle possibilità organiche, giungerà a quelle inorganiche delle macchine, ma esse sono, per così dire, delle mac90
chine individuali, le quali in contrasto con il fuoco tambureggiante anonimo delle trincee offrono di nuovo grandi occasioni all'eroismo personale. Ma molto più profonda che non questa distinzione tra massa e mobilità interviene nel destino degli eserciti permanenti un'altra realtà, e questa porrà fine al principio del servizio militare collettivo, obbligatorio e nazionale del secolo passato: la decadenza dell'autorità, la sostituzione del partito allo Stato, dunque l'anAtchia avanzante, che fino al 1914 si era fermata davanti all'esercito. Fino a che un corpo permanente di ufficiali allevò una truppa di soldati in cotitinuo ricambio, i valori etici dell'onore dell'arma, di fedeltà e di silenziosa obbedienza, lo spirito di Federico il Grande, di Napoleone e Wellington, quindi del XVIII secolo con il suo stile di vita cavalleresco, rimasero un grande elemento di stabilità. Esso fu scosso per la prima volta, quando nelle guerre di posizione i giovani ufficiali addestrati in poco tempo si misero contro quelli più vecchi, in campo già da molti anni. Anche qui la lunga pace dal 1870 fino al 1914 aveva impedito un'evoluzione, che doveva subentrare con la progressiva decadenza dell' « essere in forma » delle nazioni. La truppa, compresi gli strati più bassi del corpo degli ufficiali, che vedevano il mondo dal basso, perché essi erano condottieri non per vocazione interiore, ma per impiego transitorio, ebbe sulle prospettive politiche del proprio Paese un'opinione del tutto personale la quale, come è comprensibile, era stata importata dal di fuori, dal nemico o dai partiti radkali del Paese attraverso la propaganda ed i gruppi disfattisti. Per queste vie l'elemento distruttivo dell'anarchia è penetrato nell'esercito, il quale solo era riuscito fino ad allora a tenerlo lontano. E la disttu1.ione continuò dopo la guerra, soprattutto nelle caserme degli eserciti permanenti di pace. A ciò 91
si aggiunga che per quarant'anni il semplice uomo del popolo - così come il politicante di profes. sione ed il capopartito radicale - temette e sopravvalutò l'azione potenziale degli eserciti moderni sì contro eserciti stranieri, ma anche contro le insurrezioni interne, e prese a mala pena in considerazione la resistenza contro di essa come una possibilità pratica . I partiti socialdemocratici prima della guerra avevano dappertutto abbandonato da tempo l'idea di una rivoluzione e conservarono nei loro programmi solo la parola. Una compagnia bastava per tenere in scacco migliaia di borghesi o di proletari eccitati. Ma la guerra dimostrò quanto era limitata l'efficacia perfino di una potente truppa fornita di artiglieria pesante contro le nostre città di pietra, quando esse fossero tenacemente difese casa per casa. L'esercito regolare perse l'aureola di invincibilità nelle rivoluzioni. Oggi ogni recluta trascinata a forza pensa in maniera completamente diversa che non prima della guerra. E con questo ha perduto la coscienza di essere soltanto un oggetto nelle mani del potere. Dubito molto che, per esempio in Francia, si possa attuare una generale mobilitazione contro un nemico pericoloso. Cosa accadrà, quando le masse si sottrarranno all'ordine di leva? E quanto è grande il valore di una tale truppa, quando non si sa fino a che punto in essa è penetrata la disgregazione morale e su quale minima parte di soldati si possa veramente contare? Questa è la fine del servizio militare obbligatorio, fine che ebbe inizio nel 1792 con l'entusiasmo nazionale per la guerra, e poi con eserciti volontari di soldati di professione, che si riunivano intorno ad un condottiero popolare o sotto una bandiera ideale.
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È accaduto varie volte nella storia: si pensi alla sostituzione degli eserciti romani di contadini arruolati con eserciti di professione retribuiti fin dal tempo di Mario ed alle conseguenze che ne derivarono: la via al Cesarismo, e nel profondo la ribellione istintiva del sangue, della razza non logorata, della volontà primitiva di potenza contro le forze materialistiche del denaro, delle teorie anarchiche e della speculazione che le sfrutta, dalla democrazia fino alla plutocrazia 1 . Queste forze materialistiche e plebee hanno dalla fine del secolo XVIII logicamente adoperato mezzi di lotta del tutto diversi,_più vicini al loro modo di pensare ed alla loro esperienza. Accanto agli eserciti ed alle flotte, che furono allestiti in misura sempre crescente per scopi del tutto estranei alle nazioni stesse e corrispondevano unicamente agli interessi d'affari dei singoli gruppi il nome « guerra dell'oppio » è in proposito emblematico - si svilupparono i metodi di guerra economica, i quali spesso in tempi di presunta « pace » portarono a vere battaglie economiche, con vittorie ed armistizi. Certo, essi furono disprezzati dai veri soldati, per esempio Moltke, e purtroppo sicuramente sottovalutati nella loro efficacia. Molto di più li seppero apprezzare i « moderni » uomini di Stato, i quali, secondo la loro origine ed il loro talento, prima pensavano economicamente e poi - forse - politicamente. La progressiva dissolu1.ione della autorità dello Stato attraverso il par[umentarismo offrl la possibilità di sfruttare gli organismi della potenza statale io questa direzione. 11 che avvenne soprattutto in Inghilterra, che alla metà del secolo XIX era diventata sempre più una • nazione di shopkeepers » 2 : la potenza nemica non 1
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Tramonto dell'Occidente, II, pag. 498 seg., 538 seg. >, che probabilmente è an,. cora lontana dal raggiungere l'apice del proprio smarrimento e delle fugaci configurazioni, si delineano piano piano le nuove tendenze che annunziano il lontano avvenire. Incominciano a formarsi secondo la loro impostazione e la loro posizione, le potenze che sono destinate a condurre la lotta finale per il predominio su questo pianeta, delle quali solo una può e darà il nome all'Imperium mundi, se un destino immane non lo distruggerà prima che esso sia compiuto. Nazioni di una nuova specie sono in procinto di sorgere, non uguali a come sono oggi: somme di individui sottoposti a uno stesso regime, della stessa lingua, e neanche come lo erano una volta, quando nel Rinascimento si riconosceva un quadro, una battaglia, un volto, un pensiero, un modo di comportamento morale, secondo uno stile, uno spirito italiano per esempio, quantunque uno Stato italiano non ci fosse. Le nazioni faustiane della fine del secolo XX saranno affinità elettive di uomini con uguale sentimento della vita, con paxi imperativi di una forte volontà, ovviamente con lo stesso linguaggio, senza che la conoscenza di questa lingua li determini o li delimiti, uomini di razza più forte, non nel senso odierno del razzismo oggi in voga, ma nel senso mio, che intende i forti istinti ai quali appartiene la più alta intuizione della realtà, quello che oggi nelle grandi città e fra gli scrittori di libri non si riesce a distinguere, lo « spirito » di pure intelligenze tra uomini che si sentono nati e chiamati per essere padroni. Che cosa importa il numero? Esso ha già tiranneggiato il secolo passato che giaceva in ginocchio davanti alla quantità. Un uomo si96
,...---gnifica molto di fronte ad una massa di anime schiave, di pacifisti, e di rifor.m.atori del mondo, che anelano alla pace ad ogni costo, anche a prezzo della « libertà ►>. È il passaggio dal popt1lus roma11us del tempo di Annibale ai rappresentanti della « Romanità » nel I secolo, che come Mario e Cicerone non erano del tutto « romani ». Sembra che l'Europa Occidentale abbia perduto il suo senso determinante, all'apparenza indipendentemente dalla politica. L'idea de'lla cultura faustiana è nata qui. Qui essa ha le sue radici e qui essa riporterà l'ultima vittoria della sua storia o rapidamente soccomberà. _ Le decisioni, dovunque possano cadere, avvengono per volere dell'Europa Occidentale, certamente per la sua anima, non per il suo denaro o per la sua fortuna. Ma nel frattempo la potenza è trasferita nelle regioni periferiche, verso l'Asia e l'America. Là, in Asia, la potenza si esplica sulla più grande massa continentale de1 globo, qui - negli Stati Uniti e nei Dominions sopra i due oceani d'importanza storica collegati dal canale Panama. Intanto, fra le potenze mondiali del giorno d'oggi nessuna è cosl solida, della quale si possa dire con sicurezza, che essa sarà tra cento, tra cinquanta anni ancora una potenza, soprattutto che esisterà ancora. Che cosa è oggi una potenza in grande stile? Una figura di Stato o simile allo Stato, con un governo che ha scopi politici mondiali e con ogni probabilità nnche la forza di realizzarli; e non importa su quali mezzi si appoggi: eserciti, flotte, organizzazioni politiche, crediti, potenti gruppi di banche od industrie di uguale interesse, infine e soprattutto una potente posizione strategica sul globo terrestre. Si possono indicare tutte con il nome di città con mirioni di abitanti, neJle quali la potenza e Io spirito di ognuna di queste poteru:e sono riuniti. Di fronte 97
a loro interi Paesi e popoli non sono altro che « provincie». 1 Vi è prima di tutto « Mosca » piena di mistero e del tutto imprevedibile riguardo al pensiero ed al sentimento dell'Europa Occidentale, fattore decisivo per l'Europa del 1812, quando essa da un punto di vista statale apparteneva ancora a quell'Europa, e dopo il 1917 fattore decisivo per il mondo intero. La vittoria dei Bolscevichi ha storicamente nn significato del tutto diverso da quello social-politico o economic0-teorico. L'Asia riconquista la Russia, dopo che l'Europa se l'era annessa per mezzo di Pietro il Grande. Il concetto Europa scompare con ciò di nuovo dal pensiero pratico degli uomini politici, o così dovrebbe essere se noi avessimo degli uomini politici di alto rango. Ma questa «Asia» è un'idea, ed anzi un'idea che ha un avvenire. Le razze, le lingue, i caratteri popolari, la religione nelle forme attuali, sono inoltre insignificanti. Tutto ciò può trasformarsi e si trasformerà in maniera radicale. Ciò che vi è là, è unicamente il nuovo modo di vita, non definibile con parole e quasi inconsapevole di se stesso, di cui è gravido un grande Paese che si trova sulla via della gestazione. Volere definire, stabilire, chiudere in un programma l'avvenire, significa scambiare la vita con una frase su di essa, come fa il bolscevismo dominante, che non è sufficientemente cosciente della sua origine europeaoccidentale, razionalistica e metropolitana. La popolazione di questo potentissimo Stato è inattaccabile dall'esterno. La vastità è una Jorza, in senso politico e militate, che ancora non è mai stata vinta; Napoleone lo ha già pro• vato. A che cosa dovrebbe servire ad un nemico, se egli si impossessasse di un così grande 1
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territorio? Per rendere inefficace anche il tentativo di questo, i Bolscevichi hanno trasferito il centro di gravità del loro sistema sempre più lontano verso Oriente. Le zone industriali importanti per la potenza politica sono state tutte costruite ad oriente di Mosca, in gran parte ad est degli Urali fino ai Monti Altai, ed al sud fino al Caucaso. L'intero territorio ad ovest di Mosca, la Russia Bianca, l'Ucraina, che una volta da Riga ad Odessa era la parte più vitale dell'Impero degli Zar, forma oggi una sterminata pianura contro l'Europa e potrebbe venire abband~ nata senza che il sistema si spezzi. E con questo ogni pensiero di una offensiva dall'Occidente diviene insensato. Questo regime bolscevico non è Stato nel nostro senso, come lo era stata la Russia al tempo di Pietro. Esso consiste essenzialmente come Kiptschak, il regno dell'« orda d'oro» dei tempi mongoli, in un'orda dominante - chiamata partito comunista con caporioni ed un Khan onnipotente, ed una massa indifesa, sottomessa e circa cento volte più numerosa. Del vero marxismo qui ce n'è molto poco, a parte il nome ed i programnµ. In realtà esiste un assolutismo tartaro che istiga alla ribellione e sfrutta il mondo, senza badare ai limiti, siano essi anche quelli della prudenza: scaltro, crudele, con l'assassinio come mezzo quotidiano di potere, in ogni momento di fronte alla possibilità di veder comparire un Gengis Khan, tra travolga l'Asia e l'Europa. Il vero russo è rimasto nomade nel suo sentimento della vita, come il cinese del nord, il mancese ed il turkmeno. La patria è per lui non il villaggio, ma la pianura sterminata, la Madre Russia. L'anima di questo sconfinato Paese lo spinge ad errare senza meta. La «volontà» manca. Il sentimento germanico
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della vita ha uno scopo che deve essere conquistato, un paese lontano, un problema, un Dio, una potenza, la gloria o la ricchezza, Qui le famiglie di contadini, degli artigiani e degli operai migrano da una regione all'altra, da una fabbrica all'altra, senza necessità, solo seguendo l'impulso interiore. Nessuna misura di polizia dei Sovietici ha potuto impedire questo, sebbene essa renda impossibile il sorgere di una categoria di operai specializzati, e legati al loro lavoro. Già con questo naufraga il tentativo di creare e di mantenere una. economia di tipo occidentale senza la collaborazione straniera. Ma in genere, il programma comunista è ancora considerato sul serio, vale a dire come un idea• le, per il quale milioni di uomini sono stati sacrificati e per amor del quale altri milioni soffrono la fame e vivono in miseria? O esso è solo un mezzo di lotta, di difesa, estrema01ente efficace contro le masse assoggettate, soprattutto i contadini, e di assalto contro l'odiato mondo non russo, che deve essere decomposto prima di essere abbattuto? 1 B certo che in realtà non molto cambierebbe, se un giorno per ragioni di opportunità politica si faceg. se cadere il principio comunista. I nomi diventerebbero differenti: i rami amministrativi dell'organiz. zazione economica sarebbero chiamati consorzi, le commissioni consigli di sorveglianza, i comunisti stessi azionisti. Per il resto la forma di capitalismo occidentale esiste da molto tempo. Ma questa potenza non può condurre alcuna guerra con l'estero, né ad oriente né ad occidente, eccetto che con la propaganda. Inoltre, il sistema con le sue tendenze razionalistiche europee ed occiden1 Dostojewski scrisse nel 1878: « Tutti gli uomini devono diventare russi, come prima cosa e sopra tutte le cose. Se l'umanità è l'idea nazionale russa, allora prima di tutto ognuno deve diventare russo».
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tali, che provengono ancora dal basso mondo letterario di Pietroburgo, è molto artificioso. Esso non sopravviverebbe ad alcuna sconfitta, poiché non sopravviverebbe neanche ad una vittoria: di fronte ad un generale vittorioso la burocrazia di Mosca sarebbe perduta. La Russia sovietica sarebbe sostituita da un'altra Russia e l'orda dominante verrebbe forse abbattuta. Ma con questo sarebbe vinto solo il bolscevismo di stile marxista, mentre quello nazionalasiatico si accrescerebbe - non ostacolato - in maniera gigantesca. Ma l'Armata Rossa è in genere fidata? Può essere utilizzata? In che condizioni sono le qualità professio~ali e morali del « corpo degli ufficiali i>? Ciò che viene mostrato nelle patate di Mosca, sono solo i reggimenti scelti di comunisti fidati, la vera e propria guardia del corpo dei capi del regime. Nelle province si sente sempre parlare di congiure soffocate. E sono in genere le ferrovie, gli aeroplani, le industrie degli armamenti, nati per uno sforzo serio? È certo che il comportamento russo nella Manciuria ed i patti di non aggressione in Occidente tradiscono la decisione di evitate in ogni situazione una prova della verità di carattere militare. Gli altri mezzi, la distruzione economica dell'avversario per mezzo del commercio e soprattutto della rivoluzione, pensata non come scopo ideale, ma come arma, come essa venne usata nel 1918 dall'Inghilterra e dalla Francia contro la Germania, sono certo meno pericolosi e più efficaci. D'altra parte il Giappone ha una posizione molto forte, Dal mare è quasi inattaccabile a causa della catena delle isole i cui angusti passaggi possono essere sicuramente sbarrati con campi di mine, sommergibili ed aeroplani, così che il Mar della Cina è inaccessibile a qualsiasi flotta straniera. Oltre a questo il Giappone si è assicurato in Manciuria un territorio continentale di notevole avvenire economico - la soia oggi ha già distrutto la rendita della 101
palma di cocco e di quella da olio nell'Asia sudoccidentale e nell'Africa occidentale - la cui popolazione cresce smisuratamente I ed i cui limiti sono ancor oggi indefinibili. Il più piccolo tentativo dei Bolscevichi di intervenire militarmente di fronte a questo spostamento di poten2a, condurrebbe alla presa di Vladivostok, della Mongolia Orientale e probabilmente di Pechino, L'unica opposizione pratica è la rivoluzione rossa in Cina, ma essa dalla fondazione del Kuomintang 2 è sempre naufragata per le infiltrazioni « capitaliste }>, vale a dire per la corruzione dei generali e di interi eserciti di vari partiti. I popoli decaduti 3 di razza antichissima come gli Indiani ed i Cinesi non potranno mai più riavere un ruolo indipendente nel mondo delle grandi potenze. Essi possono cambiare i padroni, cacciarne uno - per esempio gll inglesi dall'India - per soggiacere ad un altro, ma non produrranno mai una propria forma interna di vita politica, Sono troppo vecchi, troppo rigidi, troppo consumati per questo. Anche la forma della loro attuale ribellione insieme con i suoi scopi - libertà, eguaglianza, parlamento, repubblica, comunismo ed altri simili - sono stati importati senza eccezione dall'Europa Occidentale e da Mosca. Essi sono oggetti e mezzi di lotta per potenze straniere, i loro Paesi sono campi di battaglia per decisioni straniere, anche se 1 In 1.:S anni con l'immigrazione di massa, si è triplicata ed o_ggi ha superato i 30 milioni. 3 Il Governo Nazionalista Cinese che assunse il potere nel 1912 quando venne abbattutta l'ultima dinastia cinese, quella dei Cbing, e fu proclamata la repubblica. La presenza nel suo seno dei nazionalisti di Sun Yat-sen e Chang Kai-shek e dei comunisti di Mao Tse-tung, portò nel 1927 alla rottura ed all'inizio cli una guerra civile che durò venti anni. Nel 1949 il regime del Kuomintang, dopo la proclamazione della Repubblica Popolare, si rif~ò a Formosa (N.d.R.). 3 Tramonto dell'Occidente, II, pag. 125 e 222.
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proprio per questo essi possono raggiungere una importanza politica notevole, pur se contingente e transitoria. Senza dubbio la Russia ed il Giappone hanno rivolto lo sguardo sulle possibilità latenti dell'Asia, e lavorano in silenzio con mezzi che il « bianco » non conosce né vede. Ma il Giappone è ancora oggi così solido come al tempo della guerra russa? Allora regnava l'antica, fiera, cavalleresca e coraggiosa stirpe dei Samurai, alla quale appartiene il meglio di quello che tutto il mondo possiede come « razza». Ma oggi si sente parlare di partiti radicali, scioperi, propaganda bolscevica e ministri assassinati. Ha già superato questo magnifico Stato l'apice della sua esistenza, avvelenato dalle forme di decadenza democratico-marxista dei popoli bianchi, ora che la battaglia per l'Oceano Pacifico entra nella sua fase decisiva? Esso dovrebbe possedere ancora la sua antica forza offensiva, giacché quest'ultima, unita alla incomparabile posizione strategica del Paese sul mare, è pari ad ogni coalizione di Stati ostili. Ma chi si presenta qui come avversario da prendersi in seria considerazione? La Russia, certamente no, e neanche una qualsiasi potenza dell'Europa Occidentale. In nessuna parte del mondo si può percepire la decadenza di tutti questi Stati dalla loro passata posizione politica in maniera cosi evidente come qui in Asia. Appena vent'anni fa furono occupati Port Arthur, Weihawei e Kiautschou e fu avviata la divisione della Cina in zone di influenza delle potenze occidentali. Il problema del Pacifico era una volta un problema europeo. Ora neanche più l'Inghilterra osa portare a termine lo sviluppo di Singapore progettato da decine d'anni. Questa città avrebbe dovuto essete il potente punto di appoggio della flotta inglese per ogni prova di forza nell'Estremo Oriente, ma può essere mantenu• ta contro il Giappone e la Francia, se questa apris103
se la via terrestre attraverso la penisola indocinese? E se l'Inghilterra rinuncia alla sua antica posizione in questi mari ed abbandona cosl l'Australia alla pressione giapponese, allora quella si separerà certamente dall'Impero e si unirà all'America. L'America è l'unico avversario serio, ma quanto è forte in questo punto del Pacifico, nonostante il caruùe di Panama? San Francisco e le Hawai si trovano troppo lontani per essere punti di appoggio delle flotte contro il Giappone, le Filippine si reggono appena, ed il Giappone possiede nell'America Latina dei possibili alleati contro New York, la cui importanza ovviamente non per questo diminuisce sulla scena mondiale.
9 Gli Stati Uniti sono una potenza che ha un avvenire? Osservatori superficiali parlavano prima del 1914 di possibilità illimitate, dopo essersi guardati attorno per un paio di settimane, e la nuova « società » dell'Europa Occidentale dopo il 1918, in un misto di snobismo e di marmaglia è entusiasta del!'americanismo giovane, forte, molto superiore a noi e schiettamente rappresentativo, ma essi scambiano i primati ed i dollari con la forza spirituale e la profondità del carattere nazionale, le quali sono necessarie se si vuole che una potenza sia duratura; scambiano lo sport con la salute della razza, e l'intelligenza negli affari con l'anima. Che cosa è l'americanismo al 100 per cento? Una esistenza delle masse unificate secondo la media inferiore, una prosa primitiva o una promessa dell'avvenire? È certo che fino ad ora, negli USA non vi è né un vero popolo, né un vero Stato. Si possono ambedue ancora formare attraverso un duro destino o 104
esclude ciò il tipo dell'uomo coloniale, il cui passato spirituale si trova in altro luogo e si è estinto? L'Americano come l'Inglese non parla di Stato o di Patria, ma di this country. In realtà si tratta di una regione immensa e di una popolazione di cacciatori vagante da una città all'altra, che vanno ora alla caccia del dollaro, senza riguardi e sciolti da ogni vincolo, perché la legge è solo per colui che non è abbastanza furbo e potente da disprezzarla. La somiglianza con la Russia bolscevica è molto più grande di quanto si creda: la stessa ampiezza del paesaggio che esclude ogni attacco vittorioso da parte di un avversario e con questo l'esistenza di un vero pericolo per la nazione, e così rende lo Stato non indispensabile, ma naturalmente non permette che si formi un vero pensiero politico. La vita è esclusivamente plasmata in maniera economica e perciò priva di profondità, tanto più quando le manca l'elemento della vera tragedia storica, il destino grandioso che durante i secoli ha approfondito ed educato l'animo dei popoli occidentali. La religione, all'origine un severo puritanesimo, è diventata una specie di divertimento conforme al dovere, e la guerra è un nuovo sport. La stessa dittatura della opinione pubblica la quale, seppure prescritta dal part ìto come dalla società, si estende a tutto ciò che nell'occidente europeo è rimesso alla volontà del singolo, flirt e bigiotteria, scarpe e belletto, balli e romanzi di moda, il pensare, il mangiare ed il divertirsi. Tutto è uguale per tutti. C'è un tipo di llmericano maschile, e soprattutto femminile, standardizzato nel fisico, nell'abbigliamento, nei sentimenti, e chi si oppone a questo conformismo, chi osa criticarlo, scade nella stima generale, è messo al hando, a New York come a Mosca. E finalmente si trova una forma quasi russa del socialismo e del rnpitalismo di Stato, rappresentata dalla massa dei 105
trusts, i quali, come accade per le amm1n1strazioni dell'economia russa, regolano e dirigono secondo un piano prestabilito la produzione ed il consumo. Essi sono i veri padroni del Paese, qui come là. È la faustiana volontà di potenza, ma trasferita dalla crescita organica naturale alla meccanizzazione priva di anima. L'imperialismo del dollaro, che penetra nell'intera America fino a Santiago e Buenos Aires, che cerca dappertutto di seppellire e di eliminare la economia occidentale e prima di tutto quella inglese, somiglia con la sua organizzazione di potenza politica con tendenze economiche, molto al bolscevismo, la cui nuova parola di ordine: « L'Asia agli asiatici », in sostanza corrisponde al concetto odierno della dottrina Monroe 1 per l'America Latina: tutta l'America per la potenza economica degli Stati Uniti. Questo è l'ultimo significato della fondazione di repubbliche « indipendenti » come Cuba e Panama, dell'intervento nel Nicaragua e della caduta di presidenti incomodi per mezzo della potenza del dollaro fino alle Repubbliche dell'estremo Sud-Ame-
rica. Ma questa « libertà }> senza disciplina statale né legale di vita, volta alla pura economia, ha un suo rovescio. Da essa ha avuto origine una potenza marittima, che comincia ad essere più forte dell'Inghilterra, e che domina due Oceani. Sono nati dei possedimenti coloniali: le Filippine, le Hawai, le isole dell'India Occidentale. Ed attraverso gli interessi econonnc1 e la propaganda inglese l'America è stata trascinata in misura sempre maggiore nella prima guer-
1 Jame1, Monroe (1758-1831), quinto presidente degli Stati Uniti, che nel 1823 formulò la famosa « dottrina » che porta il suo nome. Essa consiste nell'affennazione secondo cui tutto il continente americano doveva risultare chiuso alla colonizzazione ed agli interventi diplomatico-militari delle pote= europee (N.d.R.).
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r ra mondiale, fino a giungere alla partecipazione militare. Ma con questo gli Stati Uniti sono diventati un elemento di primaria importanza della politica mondiale, sia che l'abbiano saputo o voluto oppure no, ed essi devono ora pensare ad imparare ad agire di conseguenza nella politica sia interna che esterna, o devono rassegnarsi a scomparire nella loro odierna forma. Non c'è più una via di ritorno. È Io Yankee all'altezza di questo difficile compito? Rappresenta egli un genere resistente di vita oppure è solo una moda dell'abbigliamento fisico, intellet• tivo e sentimentale? E quanti abitatori del paese non appartengono intimamente a questo tipo anglosassone dominante? A parte i negri, nei venti anni prima della guerra sono immigrati soltanto pochi Tedeschi, Inglesi e Scandinavi, ma ben 15 milioni di Polacchi, Russi, Cechi, Slavi dei Balcani, Ebrei orientali, Greci, Armeni, Spagnoli ed Italiani. Essi in gran parte non sono stati assorbiti dall'americanismo, e formano un proletariato estraneo, di mentalità diversa e molto produttivo, con il suo centro di grnvità spirituale a Chicago. Anche essi vogliono la lotta economica libera da ogni legge, ma la concepiscono in maniera diversa. Certo, non v'è nessun partito comunista. Non c'era stato come organizzazione per scopi elettorali neanche nel regno degli Zar. Ma c'è oggi negli USA, come ieri in Russia, un potente mondo sotterraneo (.Juasi di impronta dostojewskiana, con propri scopi di potenza, metodi affaristici di disgregazione, il quale in seguito alla normale corruzione degli organi dell'amministrazione e della polizia, soprattutto a , 11usa del contrabbando dell'alcool, che ha aumen1nto fino all'estremo la demoralizzazione politica e ,ociale, risale agli strati benestanti della società. Es·,,) comprende sia la delinquenza di professione, come: le società segrete tipo Ku-Klux-Klan. Abbraccia ~in i negri che i cinesi, come gli elementi sradicati 107
di tutte le stirpi e razze europee, e possiede delle organizzazioni molto efficaci, in patte già vecchie, come la Camorra italiana, la guerilla spagnola ed i nichilisti russi e gli appartenenti alla Ceka 1 dopo il 1917. Il linciaggio, i rapimenti e gli attentati, l'assassinio, il furto e l'incendio sono da lungo tempo dei mezzi sperimentati della propaganda politicoeconomica. I loro capi, del tipo di Jack Diamond e Al Capone, posseggono ville e automobili di lusso, dispongono di depositi nelle banche che superano di molto quelli dei trusts e perfino quelli dei più piccoli Stati. Nelle ampie regioni poco popolate le rivoluzioni hanno necessariamente un altro carattere che non nelle capitali dell'Europa Occidentale. Le Repubbliche latino-americane lo dimostrano quasi quotidianamente. Qui non vi è alcun Stato forte che debba venire abbattuto con la lotta armata contro un esercito con vecchie tradizioni, ma non ve n'è nemmeno uno che garantisca l'ordine esistente per mezzo del rispetto dovuto a lui stesso ed alle sue leggi. Ciò che qui si chiama governtnent, può all'improvviso dissolversi in niente. Già prima della guerra i trusts in occasione di scioperi hanno spesso difeso le loro fabbriche per mezzo di fortificazioni proprie e milizie operaie. Nel « paese della libertà » in realtà gli uomini sono liberi soltanto di arrangiarsi da sé - la rivoltella nella tasca dei pantaloni è una scoperta americana - ed ognuno è libero dì fare il possidente come gli altri. Tempo fa gli agricoltori dello Jowa hanno assediato un paio di città e minacciato di affamarle, se i loro 1
Adattamento al linguaggio corrente della sigla Ch K
{Ckrewgcbainaya Komissiya po Borbe s Kontr-revolutisiei i Sabotazhem = Commissione straorclinaria pan-russa per la lotta alla controrivoluzione e al sabotaggio). Servizio di in• formazioni e di sicurezza sovietico che funzionò sino al 1922 (N.d.R.). 108
prodotti non fossero stati acquistati ad un prezzo ragionevole. Pochi anni fa sarebbe stato proclamato pazzo, uno che avesse pronunziato la parola rivoluzione in relazione a questo grande Paese. Oggi pensieri siffatti sono da lungo tempo all'ordine del giorno. Che cosa faranno le masse dei disoccupati - ripeto: in prevalenza non « americani al cento per cento » - quando le loro fonti di sostentamento saranno completamente esaurite e non ci sarà alcun sostegno, perché non esiste uno Stato organizzato con servizi precisi ed onesti di statistica e controllo dei poveri? Si ricorderanno essi della forza dei loro pugni e della comunanza dei loro interessi economici con il mondo dei bassifondi? E lo strato più elevato della società, spiritualmente primitivo e col pensiero rivolto solo al denaro, rivelerà ad un tratto, neJia lotta con questo immenso pericolo, le forze morali assopite, le quali conducono alla costruzione di un vero Stato ed alla disponibilità morale di sacrificare per esso tutto, anche la vita, invece dì considerare come ora la guerra un mezzo per RUadagnare denaro? Oppure gli interessi particolari economici delle singole regioni si conserveranno e condurranno, come già una volta nel 1861, alla divisione del paese in singoli Stati - forse il nordest industriale, la regione agricola del Middle W' est, gli Stati razzisti del Sud, e la regione al di là delle Montagne Rocciose? Vi è, se si eccettua il Giappone che ha unicamente il desiderio di realizzare indisturbato i suoi pian.i imperialistici nell'Asia Orientale ed in Australia, solo una potenza, che farebbe di tutto, fino a sacrificarsi, pur di favorire una simile divisione: l'In~hilterra. Essa lo ha già fatto una volta, fino a giun~cre quasi ad una dichiarazione di guerra: nel 18621864 durante la guerra di secessione, quando per gli Stati meridionali vennero costruite o comprate nei porti inglesi delle navi da guerra o corsare, le qua109
li armate ed equipaggiate nelle acque europee l'Alabama perfino con soldati di marina britannici - incendiarono ed affondarono dappertutto le navi mercantili degli Stati del Nord, ovunque esse si trovassero. Allora l'Inghilterra era ancora la signora incontrastata del mare. Era questa l'unica ragione per cui il governo di Washington non tentò la guerra. La « libertà dei mari » eta la libertà del commercio inglese, niente altro. Tutto questo è finito dal 1918. L'Inghilterra, nel XIX secolo banca del mondo, oggi non è più abbastanza ricca per essere in testa nel ritmo delle costruzioni marittime, e la sua potenza non è più sufficiente per impedire con la forza la supremazia degli altri. Il presentimento di questo limite storico fu una delle ragioni della go.erra contro la Germania, ed il novembre del 1918 l'ultimo, troppo breve momento, nel quale questa potenza di ieri si poté concedere rillusione di una grande vittoria. Ma lasciando da parte la crescente inferiorità nella costruzione di navi da guerra, il concetto del dominio del mare, come abbiamo appena dimostrato, si è profondamente mutato. Accanto ai sottomarini, gli aeroplani sono diventati un'arma superiore, e per ciò stesso il retroterra è più importante della costa e dei porti. Di fronte alle squadriglie francesi di aerei da bombardamento, l'Inghilterra ha cessato di essere strategicamente un'isola. Con le pesanti navi da battaglia l'Inghilterra, regina dei mari, sprofonda nel passato. E per giunta la nazione inglese, riguardo alla sua anima ed alla sua razza non è più forte, non è più abbastanza giovane e sana, per combattere con ferma fiducia questa terribile crisi. L'Inghllterra è ormai stanca. Essa ha versato nel XIX secolo anche troppo sangue prezioso per i suoi possedimenti, attraverso l'emigrazione nei Dominions bianchi, attraverso le decimazioni causate dal clima nelle colonie africane. E soprattutto le manca la base equilibra110
trice della razza: una forte classe rurale. La classe superiore dominante dai tempi dei Normanni formata dai Normanni e dai Celti - non c'è più alcuna differenza tra di loro si è consunta. Dappertutto penetra in massa, e in posizione dominante, la popolazione primitiva, che erroneamente chiamiamo Celti 1 con il suo diverso stile di vita « francese», e che ha per esempio già trasformato l'antica forma oligarchica del nobile governo parlamentare, nella forma continentale ed anarchica delle sporche lotte di partito. Galsworthy ha descritto nella sua Saga dei Forsyte questa tragedia di decadenza con una comprensione profonq.a e dolorosa. Oggi prevale nel campo economico l'ideale di colui che vive di rendita, sopra l'imperialismo capitalistico. Si pos• siedono ancora notevoli resti della ricchezza di una volta, ma manca la spinta per raggiungerne una nuova; l'industria ed il commercio invecchiano lentamente nei loro metodi, senza che vi sia l'energia creatrice per suscitare nuove forme secondo il modello americano o tedesco. Il desiderio di creare nuove imprese viene meno, e la giovane generazione mostra spiritualmente, moralmente e nella sua concezione del mondo, una decaden2a da quella altezza nella quale l'élite della società inglese nel secolo 11corso era stata sollevata con l'educazione, una decadenza che è qualcosa di spaventoso e senza esem1 :È. la stessa razza, alla quale appartengono il contadino cd il borghese francese e la maggioranza degli spagnoli, dopo rhe anche là l'elemento nordico è stato logorato nelle guerre modo di vedere le cose; nella stessa maniera essa prima del 1789 aveva mostrato un 2 quadro del tutto falso di un contadiname immiserito, ed invero unicamente perché essa sperava di reclutare tra i contadini un seguito
incondizionato. E la borghesia colta e semicolta credette, ha creduto alle fandonie demagogiche, e lo fa ancora oggi. La parola « lavoratore » venne dal 1848 circondata da un alone di santità, senza che 1 I celebri condottieri appartengono tutti alla «borghesia•· Owen, Fourier, Engels erano «imprenditori», Marx e Lassallc «Accademici», già Danton e Robespierre erano giuristi, Marat medico. Altri sono letterati o giornalisti. Non vi è un solo operai.o tra loro. 2 Che ben presto venne abbandonato, perché non ebbe l'effetto desiderato. In realtà i contadini francesi sotto Luigi XVI stavano meglio dei contadini di quals.iasi altra parte d'Europa.
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si riflettesse sul suo significato e sui limi.ti del suo impiego. E la > dell'Europa O> è al tempo stesso il povero ed il disgraziato, il diseredato, l'affamato, lo sfruttato, Solo per lui vengono usate le parole « preoccupazione» e « bisogno ». Nessuno pensa più al contadino di regioni poco fertili, ai suoi scarsi raccolti, ai pericoli della grandine e del gelo, alla preoccupazione per la vendita dei suoi prodotti, alla vita miserabile di poveri artigiani in regioni con forte industria, alla tragedia dei piccoli commercianti, pescatori d'al155
to mare, ricercatori, medici, i quali devono lottare nel timore e nel pericolo per ogni boccone di pane quotidiano, e muoiono a migliaia inosservati. Sol• tanto « il lavoratore» trova compassione. Egli solo viene appoggiato, curato, assicurato. Di più ancora, egli viene innalzato a santo, ad idolo dell'epoca. n mondo gita attorno a lui. Egli è il centro dell'economia ed il beniamino della politica. L'esistenza di tutti è là per lui; la maggioranza della nazione deve servirlo. Ci si può prendere gioco dello sciocco e grasso contadino, del pigro impiegato, del rivendu. gliolo imbroglione, per non parlare del giudice, dell'ufficiale, dell'imprenditore, bersagli preferiti di scherzi odiosi, ma nessuno oserebbe riversare sul « lavoratore » lo stesso scherno. Tutti gli altri sono fannulloni, lui solo non lo è. Tutti sono egoisti, lui solo non lo è. Tutta la borghesia fa oscillare gli incensieri davanti a questo fantasma; anche colui che produce almeno altrettanto durante la sua vita deve prostrarsi ai suoi piedi. La sua esistenza si trova al di sopra di ogni critica. Soltanto la borghesia ha fatto passare per buono questo modo di vedere le cose, ed i « rappresentanti del popolo », abili negli affari, vivono da parassiti su simili leggende. Essi le raccontarono cosl a lungo agli operai salariati, sino a quando questi hanno finito per credervi, sino a che si sono sentiti vessati e mise• rabili, sino a che hanno perduto la misura del loro rendimento e della loro importanza. Il liberali. smo, di fronte alle tendenze della demagogia, è la forma con la quale la società malata si suicida. Con tale prospettiva si rovina da sola. La lotta di classe, che viene condotta contro di lei in maniera esasperata e spietatamente, la trova pronta per la capitolazione politica, dopo che essa ha fornito il suo aiu• to per forgiare le armi dell'avversario. Soltanto l'elemento conservatore, per quanto debole fosse nel XIX secolo, è in grado, in avvenire, di impedirne la fine. 156
14 Chi è dunque che ha fatto insorgere questa massa di salariati nelle grandi città e nelle regioni industriali, che li ha organizzati, forniti di parole di battaglia, che attraverso una cinica propaganda dell'odio di classe li ha spinti contro la maggioranza della nazione? Non è l'operaio diligente e capace, ma il vagabondo, come viene appunto chiamato con profondo disprezzo nello scambio di corrispondenza tra Marx ed Engels. Nella lettera a Marx del 9 maggio 1851, Engels parla della plebe democratica rossa e comunista, mentre scrive sempre a Marx 1'11 dicembre 1851: « Che cosa c'è ancora di buono in questa gentaglia se disimpara a lottare? » L'operaio è solo un mezzo per gli scopi privati dei rivoluzionari di professione. Egli deve battersi per soddisfare il loro odio contro le potenze L-onservatrici e la loro bramosia di potenza 1 • Se si volessero riconoscere come raporesentanti dei lavoratori soltanto i lavoratori, i ban• chl delia sinistra di tutti i parlamenti diverrebbero parecchio vuoti. Fra i promotori dei programmi teorici ed i capi di azioni rivoluzionarie, non ce n'è uno solo che abbia veramente lavorato in una fabbrica 2• 1 Frederik Lenz ha dimostrato in Sta4t und MarxismuJ (1921, 1924) che Marx lottò soltanto per queste ragioni con tto gli Stati della Santa Alleanza, sopratttuto Prussia e Rus-. sia, prima di divenire socialista intorno al 1843, e che egli anche molto più tardi era pronto a lasciar cadere la propria teoria comunista del proletariato industriale ed a sostituirla con una del tutto diversa sul movimento dei contadini, puI di raggiungere con più sicurezza il suo scopo di distruggere lo zarismo. 2 Gli operai che con diligenza e talento siano « saliti di grado i>, si ritrovano imprenditori. Behel, con odio furioso, ha bollato ciò come tradimento verso la classe operaia. Secondo la sua concezione, la via « cosciente » dell'operaio è quella che porta soltanto, attraverso la Segreteria del Partito, ad essere un Capo della massa.
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La bohème politica dell'Europa Occidentale, nella quale il bolscevismo si sviluppa dalla metà del seco• lo XIX, è composta dagli stessi elementi di quella che ha formato il liberalismo rivoluzionario del 1770. Sia che la rivoluzione del febbraio 1848 a Parigi awenisse in favore del « capitalismo » o le battaglie di giugno fossero contro di lui, sia che « libertà e uguaglianza » nel 1789 dovessero significare quella del ceto medio, nel 1793 e nel 1918 quella degli strati inferiori, 1n verità gli scopi dei promotori di questi movimenti ed i loro motivi ultimi erano esattamente gli stessi, e non diversamente accade oggi in Spagna e domani forse negli Stati Uniti. È la plebe spirituale, che ha alla sua testa i naufraghi di tutte le professioni accademiche, gll incapaci nel pensiero e gli inibiti nella morale, quella da cui escono i gangsters delle sommosse liberali e bolsceviche. La « dittatura del proletariato », cioè la loro dittatura raggiunta con l'aiuto del proletariato, deve essere una vendetta contro i fortunati e gli arrivati, l'ultimo mezzo per calmare la loro vanità morbosa e la volgare avidità cli potere, entrambe provenienti da un'intima insicurezza, ultima espressione di istinti conotti e mal guidati. Fra tutti questi giuristi, giornalisti, maestri di scuola, artisti, tecnici, di solito non viene notato un tipo, che è il più pernicioso di tutti: il prete decaduto. Si dimentica la profonda differenza tra religione e Chiesa. Religione è il rapporto personale con le forze dell'universo, che si esprime nel modo di concepire la vita, nella consuetudine della pietà, nella rinuncia e nel sacrificio. Una Chiesa è l'orga• nizzazione di un clero, che lotta per il proprio potere temporale. Essa si impadronisce delle forme della vita religiosa e quindi degli uomini che da que• ste dipendono. È, perciò, la nemica innata di tutte le altre forme del potere, dello Stato, della società, della nazione. Durante le guerre persiane i preti di 158
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Delfo si agitarono in favore di Serse e contro la difesa nazionale. Ciro poté conquistare Babilonia e detronizzare l'ultimo re caldeo Naboned, perché i preti di Marduc erano d'accordo con lui. Le antiche storie egizie e cinesi sono piene di esempi di questo genere, e in Occidente ci fu tra Monarchia e Chiesa_, Trono e Altare, Nobiltà e Clero un temporaneo armistizio solo quando da un'alleanza contro terzi ci si riprometteva il vantaggio maggiore. « Il mio Regno non è di questo mondo » è il profondo detto che è valido per ogni religione e che ogni Chiesa tradisce. Ma ogni Chiesa deve sottostare, nella realtà del· la propria esistenza, alle condizioni della vita stori• ca: essa pensa come una potenza politica ed in ma• niera economico-materiale; conduce guerre di tipo diplomatico e militare e divide con altre potenze momenti di gioventù e di vecchiaia, di ascesa e di decadenza. E, soprattutto per quel che riguarda 1a politica conservatrice e la tradizione nello Stato e nella Società, non è leale e non può affatto esserlo proprio in quanto Chiesa. Tutte le giovani sette sono nella loro più profonda essenza nemiche dello Stato e della proprietà, sono contro le classi sociali e le categorie, ed hanno un debole per l'uguaglianza generale 1 • E la politica di Chiese divenute vecchie, per quanto siano conservatrici nei loro stessi riguar• di, ha sempre la tentazione, riguardo allo Stato ed alla Società, di divenire liberale, democratica, socialista, quindi livellatrice e distruttrice, appena ini• zia la lotta fra la tradizione e la plebe. Tutti i preti sono uomini e quindi il destino del. 1 E, al contrario, ogni movimento rivoluzionario ha la tendenza del tutto involontaria e spesso inosservata, di assumere forme religiose. Il culto della Ragione nella rivoluzione francese è un noto esempio. Il mausoleo di Lenin a Mosca è un altro.
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le Chiese è subordinato al materiale umano, del quale in un determinato periodo di tempo esse sono composte. Nemmeno la scelta più severa - ed essa è di regola magistrale - può impedire che, in tempi di decadenza sociale e demolizione rivoluzionaria di tutte le antiche forme, gli istinti volgari ed il pensiero volgare diventino frequenti e perfino dominanti. In simili periodi c'è sempre una plebe di preti che trascina la dignità e la fede della Chiesa nel sudiciume degli interessi di parte, che si unisce alle forze rivoluzionarie e che attraverso frasi sentimentali di amore per il prossimo in difesa dei poveri aiuta a scatenare il mondo dei bassifondi sociali allo scopo di distruggere l'ordine sociale - ordine al quale anche la Chiesa è irrevocabilmente e fatalmente legata. Una religione è ciò che è l'anima dei credenti. Una Chiesa ha valore tanto quanto il materiale sacerdotale di cui essa è composta. All'inizio della rivoluzione francese stavano, ac• canto alla massa degli abati depravati, che da anni scrivevano e parlavano beffardamente contro monarchia, autorità e ceto, il monaco rinnegato Fouché ed il vescovo apostata Talleyrand, ambedue regicidi e ladri di milioni, duchi napoleonici e traditori del Paese. Dal 1815 il prete cristiano diviene sempre più frequentemente democratico, socialista, politico di parte. Il Luteranesimo che è appena Chiesa, ed il Puritanesimo che non lo è affatto, non si sono occupati come tali di una politica distruttiva. Il sin!!.Olo sacerdote andava per conto suo « fra il popolo » ed al partito operaio, parlava in riunioni elettorali e parlamentari, scriveva su questioni « sociali » e finiva quale demagogo e marxista. Il prete cattolico invece, stretto in una disciplina più forte, si trascinava dietro per questa via l'intera Chiesa. Essa venne coinvolta nell'agitazione dei partiti_, prima come stnunento attivo ed infine come vittima di tale politica. Un movimento cattolico operaio con 160
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tendenze social-sindacaliste esistette in Francia gra sotto Napoleone III. In Germania sorse nel 1870 dal timore che solo i sindacati rossi conquistassero il potere sulle masse delle zone industriali. E subito se la intese con questi. Tutti i partiti di lavoratori sono consapevoli in modo oscuro della loto comunanza, per quanto i capi dei gruppi si odino a vicenda. È lontano ìl tempo in cui l'impostazione politica universale di Leone XII faceva scuola, ed in Germania governava il clero un vero principe della Chiesa come il cardinale Kopp. Allora la Chiesa era consapevole di essere una potenza conservatrice e sapeva molto bene che il suo destino era legato a quello delle altre potenze conservatrici, all'autorità dello stato, alla monarchia, aU'ordine sodale ed alla proprietà; che, nella lotta di classe, essa stava incondizionatamente a « destra » contro le potenze liberali e socialiste e che da ciò dipendeva la sua probabilità dì sopravvivere come potenza all'epoca rivoluzionaria. Tutto ciò cambiò presto. Oggi la disciplina morale è scossa. Gli elementi plebei nel clero tiranneggiano per mezzo della loro attività la Chiesa fino alle sfere più elevate, e queste devono tacere per non svelare al mondo 1a propria impotenza. La diplomazia della Chiesa, che una volta giudicava nobilmente e tatticamente le cose e dall'alto dei decenni, ha in gran parte fatto posto ai metodi volgari della politica quotidiana, all'agitazione democratica partigiana dal basso, con i suoi raggiri meschini ed i suoi argomenti menzogneri. Si pensa e si opera al livello dei bassifondi delle grandi città. Si è ridotto il tradizionale desiderio di potere mondiale alla piccola ambizione di successi elettorali ed alleanze con altri partiti popolari allo scopo di raggiungere successi materiali. La plebe clericale, una: volta severamente imbrigliata, esercita oggi con la sua ideologia proletaria il dominio sulla parte migliore dei sacerdoti, quella che considera l'anima dell'uomo più im161
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... portante del suo voto politico e le questioni metafisiche più serie delle intromissioni demagogiche nella vita economica. Errori tattici come in Spagna, dove ci si illuse di poter separare il destino del Trono e dell'Altare, non sarebbero stati fotti alcuni decenni fa. Ma dalla fine della guerra mondiale, soprattutto in Germania, la Chiesa, che è una potenza antica con antiche e rigide tradizioni e come tale deve pagar caro lo scendere per la strada, con la perdita della stima dei suoi fedeli, si abbassò alla lotta di classe ed alla comunanza con il marxismo, attraverso l'agitazione dei suoi chierici di minor valore. Esiste in Germania un bolscevismo cattolico che è più pericoloso di quello anticristiano, perché si nasconde dietro la maschera della religione. Ora, tutti i sistemi comunisti dell'Occidente sono nati in realtà dal pensiero cristiano-teologico. L'Uto• pia di Moro, la Città del Sole del domenicano Campanella, le dottrine degli allievi di Lutero, Karlstadt e Thomas Mi.inzer ed il socialismo di Stato di Fichte. Ciò che Fourier, Saint-Simon, Owen, Marx e cento altri sognarono e scrissero sugli ideali del futuro, ri• sale, del tutto contro quanto si desidera e contro quanto si sa, all'indignazione derico-morale ed a concetti scolastici, che proseguono il loro corso segretamente nel pensiero nazionale-economico e nella pubblica opinione sulle questioni sociali. Quanto del diritto naturale e del concetto di Stato di Tomaso d'Aquino si trova ancora in Adam Smith ed anche - in senso contrario - nel Manifesto dei comunisti! La teologia cristiana è la progenitrice del bolscevismo. Qualsiasi fantasticheria astratta su concetti economici, lontana da ogni concreta esperienza economica, conduce, se portata con coraggio e lealmente a termine, in qualche modo a conclusioni logiche contro lo Stato e contro la proprietà, e soltanto la mancanza di ottica politica risparmia a questi scolastici del materialismo di vedere che alla fine della loro con162
catenazione dialettica sta ancora il prmcip10: il comunismo realizzato è Burocrazia autoritaria. Per raggiungere questo ideale, occorre la dittatura, il dominio del terrore, il potere armato, la disuguaglianza di signori e schiavi, di coloro che comandano e di quelli che obbediscono, in breve il sistema di Mosca. Ma vi sono due specie di comunismo: uno credente per ossessione dottrinaria o femminile sentimentalità, il quale, estraneo e nemico del mondo, condanna la ricchezza dei mascalzoni fortunati e talvolta anche la miseria dei galantuomini sfortunati. Esso finisce o in utopie nebulose o con il ritiro nell'ascesi, nel convento, nella bohème, nel vagabondaggio, dove si predica la nessuna importanza di ogni aspirate politico, vuole distruggere, servendosi dei suoi zione economica. L'altro, « mondano », concretamenseguaci_, per invidia e per vendetta, la società, perché essa destina a questi ultimi - in base alla loro personalità ed ai loro talenti - un posto inferiore; oppure vuol trascinare dietro a sé, con un progr- della rivoluzione mondiale, oggi raggiunti. Poiché la rivoluzione ha raggiunto la mèta. Essa non
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minaccia più; trionfa, ha vinto, anche se i suoi fautori lo contestano, di fronte agli altri sgomey1tati di fronte alla propria coscienza. Si ripete cosl l'eterno destino della storia umana, la quale mostra crudelmente a chi ha lottato per raggiungere il suo scopo come tutto sia molto diverso da ciò che egli sperava e che, in generale, non vale proprio la pena di combattere. Questo risultato è mostruoso, È, per tutti i popoli « bianchi ►>, cosl terribile che nessuno vede od osa vedere tutto quanto è in ciò compreso; né i sopravvissuti dell'antica società che ancora vegetano nella borghesia, hanno il coraggio di confessare e di indicarne i veri responsabili. Il passaggio dal liberalismo al bolscevismo si era compiuto in un primo tempo con la lotta contro le potenze politiche. Esse sono oggi distrutte, spezzate, corrose. Si è di nuovo mostrato, come già nella Roma al tempo dei Gracchi, che tutto quello che nei secoli, pochi, grandi, forti uomini di ventura, statisti e conquistatori hanno creato, può essere sperperato in breve tempo dalla massa dei piccoli insetti umani. Le antiche venerabili forme dello Stato giacciono in frantumi. Sono state sostituite dal parlamentarismo informe: un cumulo di macerie di quella che fu l'autorità, arte di governo e saggezza di uomini di Stato, e sue queste macerie i partiti, le orde di politicanti, litigano come intorno alla preda abbattuta. La grandezza ereditaria è stata sostituita dalle elezioni, che introducono negli affari dello Stato sempre nuove schiere di persone mediocri. E tra questi partiti vi sono i partiti operai ed i loro sindacati che inseguono scopi politici con mezzi economici e viceversa, che sono diventati coloro che danno l'intonazione a tutti gli altri secondo la composizione del « materiale capi », e con i loro programmi e metodi di agitazione. Tutti si accattivano la massa delle grandi città e la incitano con le stesse ~peranze insensate ed accuse del tutto assurde. Quasi nes177
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suno osa più dichiarare che vuol rappresentare altre parti della nazione che non siano « i lavoratori ». Esse trattano questi « lavoratori », quasi senza eccezione, come un ceto privilegiato, per viltà o nella speranza di successi elettorali. Si è riusciti in tutti i paesi a demoralizzarlo, a renderlo al tempo stesso il più pretenzioso, il più scontento e quindi il più infelice, a fonderlo con la plebaglia della strada in ullJl unità di principi, in una « classe », a tirarne fuori il tipo del proletario morale, che garantisce con la sua sola presenza il successo rivoluzionario, che disprezza la diligenza ed il rendimento come tradimento alla 1 Questo lavoro spirit11ale non è assoluta.mente limitabile ad un numero di ore. Esso perseguita e tiranneggia le sue vittime durante il riposo, nei viaggi e nelle notti insonni; rende impossibile una vera liberazione dal pensare, il rilassarsi completa.mente, e logora proprio gli esemplari migliori prima del tempo. Nessun salariato si rovina per eccessivo sforzo o per pazzia. Tra i dirigenti avviene in numerosi casi: questo per illuminare il quadro demagogico del borghese crapulone ed ozioso. 2 Perché non volevano lasciar proibire lo sfruttamento completo della loro produttività, rom.e ogni sarto e falegname. Questo sano sentimento esplode, nonostante l'agitazione di tutti i partiti operai, nel desiderio dì ore lavorative straordinarie ed occupazioni supplementari. E clamorosamente nello sovietico.
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soltanto la metà della quantità originale, possibile e naturale. Così l'« operaio» che secondo la dottrina della religione marxista, è il solo a lavorare, è divenuto, in gran parte contro la sua volontà, quello che fa di meno. Quale libera professione si concilia, infatti, con una prestazione così ridotta? Determinante fu il mezzo di lotta dello sciopero, in una forma che agiva in modo indiretto e lento. Ma acquistò un significato soltanto per il fatto che il prezzo per questa è divenuto il pensionato della società, della nazione. Ogni nomo, come ogni animale, deve difendersi dal destino imprevedibile oppure sopportarlo. Ognuno ha la sua preoccupazione personale, la piena responsabilità per se stesso, la necessità di garantire attraverso la propria decisione, in tutti i pericoli, per sé e per i suoi figli. Nessuno pensa di liberare il contadino dalle conseguenze dei cattivi rac187
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I colti, delle malattie del bestiame, degli incendi, delle difficoltà di vendita; gli artigiani, i medici, gli ingegneri, i commercianti, gli scienziati dai pericoli di un disastro economico e di una inabilità professionale in seguito a mancanza di capacità, malattia o disgrazia, a spese degli altri. Ognuno deve osservare da sé ed a proprio rischio, a cosa va incontro, o dovrà portarne le conseguenze e mendicare o, a suo piacimento, finite male in qualche altro modo, Questa è la vita. Il desiderio di voler essere assicurato - contro vecchiaia, infortuni, malattia, disoccupazione, contro il Destino dunque in ogni sua manifestazione, segno di vitalità decrescente è nato in Germania ed ha preso piede ovunque nel modo di pensare di tutti i popoli «bianchi». Colui al quale accade una disgrazia, chiami in aiuto gli altri senza volersi aiutare da se stesso. Ma c'è una differenza che segna la vittoria del pensiero marxista sopra l'istinto individualistico antico-germanico della gioia della responsabilità, della lotta personale contro il destino, dell'amor fati. Mentre ognuno cerca di evitare o di opporsi all'imprevisto con una propria decisione e tramite la propria forza, soltanto « al lavoratore » questa alternativa viene risparmiata. Egli solo può essere certo che altri pensano ed agiscono pet lui. L'effetto degenerante di questo essere libero dalle grandi preoccupazioni, come si osserva nei figli di famiglie molto ricche 1, ha preso proprio in Germania tutti i lavoratori: appena si presenta una 1
In compenso ci sì occupa con ridicola importanza delle
piccole preoccupazioni sotto forma di « problemi » della moda, della cucina, delle dispute sull'amore coniugale ed illegit• timo, e soprattutto della noia, che porta al disgusto della vita, Si fa del vegetarianismo, dello sport, del gusto erotico, una « concezione della vita ». Ci si suicida perché non si ~ ottenuto l'abito da sera desiderato, o l'amante desiderato, oppure perché non d si poteva mettere d'accordo sull'alimentazione a base di vegetali crudi o su di una gita tmistic■, 188
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qualsiasi difficoltà, si chiama lo Stato, il partito, la società, in ogni caso « gli altri », in aiuto. Si è disimparato a prendere da sé delle decisioni ed a vivere sotto il peso di vere preoccupazioni. Ma ciò significa un maggiore aggravio per la classe lavoratrice più alta in favore di quella più bassa. Infatti, anche questa parte del salario politico, l'assicurazione di ogni tipo contro il Destino, la costruzione di appartamenti per operai - non viene in mente a nessuno di esigere case per i contadini - , gli impianti sportivi, gli ospedali, le biblioteche, le riduzioni sui prezzi degli alimenti, dei viaggi ferroviari, dei divertimenti, viene direttamente o per mezzo di tasse pagato « dagli altri » in favore della classe lavoratrice. Proprio questa è una parte molto importante del salario politico, alla quale non ci si cura di pensare. Intanto la ricchezza nazionale, del cui ammontare espresso in cifre ci si fida, è una finzione ecottomiconazionale. Essa viene calcolata - come capitale sul profitto delle imprese economiche o corso delle azioni, che dipende dalla corresponsione di interessi, e decresce con esse quando il valore delle fabbriche che producono è posto in forse a causa del forte gravame del salario. Una fabbrica che giunge all'immobilità non ha però un valore superiore a quello con cui viene pagato il materiale di smantellamento. L'economia tedesca, sotto la dittatura dei sindacati dal 1° gennaio 1925 fino all'inizio del 1929,dunque in quattro anni, ha subito un super-aggravio annuo per l'aumento dei salari, tasse ed imposte sociali, di 18.225 milioni di marchi. Cioè, un ter~o delle entrate nazionali complessive che unilateralmente vennero impiegate. Un anno più tardi, questa somma era cresciuta di molto oltre i 20 miliardi. C.h, cosa significavano in confronto ai due miliardi di ri parazioni di guerra! I 20 miliardi mettevano in pr1 I colo la situazione finanziaria del Reicb e 111 v ■ lurn La loro pressione sull'economia, di fronte 11.ili c-U11t1I
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del bolscevismo dei salari, non venne affatto presa in considerazione. Era l'espropriazione dell'intera economia a favore di una sola classe. 16
Esiste il lavoro più elevato ed esiste il lavoro inferiore: ciò non si può negare né modificare; è la manifestazione del fatto che esiste una cultura, Quanto più alta si sviluppa una cultura, quanto più potente è la sua forza creativa, tanto maggiore diventa la differenza tra il lavoro direttivo e ·quello subalterno di ogni specie, sia esso politico, economico od artistico. Infatti, la aùtura è espressione di vita che si forma spiritualmente, si matura e sì perfeziona, H cui dominio presuppone un grado sempre più elevato della personalità, C'è il lavoro per il quale si deve essere intimamente chiamati, ed altro che bisogna fare, perché non si può fare niente di meglio, per poter vivere. C'è il lavoro per il quale solo pochissimi uomini di rango sono nati, ed altri il cui intero valore consiste nella loro durata e quantità. Si può essere nati sia per l'uno che per gli altri. Questo è il destino. E ciò non si può mutare né per elucubrazione razionalistica, né sentimentale e romantica. Il generale spreco di lavoro che la cultura occidentale esige, identificandosi con esso, diviene ogni secolo più grande. Esso fu al tempo della Riforma parecchie volte quello del tempo delle Crociate, e crebbe in maniera mostruosa con il XVIII secolo, parallelamente con la dinamica del lavoro creativo dei capi, che ha reso necessario in dimensione sempre più grande il lavoro subordinato della massa. Ma per questo il rivoluzionario proletario che vede la cultura dal basso perché non la possiede, vuole distruggerla, per risparmiare il lavoro qualitativo e soprattutto il lavoro sic et simpliciter. 190
Il giorno in cui non d fossero più uomini di cultura - che egli ritiene un lusso superfluo - , ci sarà un lavoro minore e soprattutto di natura inferiore, che ognuno potrà eseguire. In un giornale socialista lessi una volta che dopo i milionari del denaro dovevano essere eliminati i milionari del cervello. Ci si adira nei confronti del lavoro veramente creativo, si odia la sua superiorità, si invidiano i suoi successi, sia che consistano in potere, in ricchezza o in prestigio. L'inserviente dell'ospedale è per costoro importante quanto il medico primario; il contadino salariato ha più valore dell'agricoltore, che alleva razze scelte di bestiame e coltiva cereali pregiati, il fuochista più dell'inventore della macchina. Un > sono una grandezza di ordine diverso e di altra provenienza di quelli « bianchi ». Essi venivano imposti e non pretesi, e venivano mantenuti bassi, se occorreva, con la forza delle armi. Questo non si chiamava reazione o privazione dei diritti del proletariato, ma politica coloniale, ed almeno l'operaio inglese che aveva imparato a pensare imperialisticamente, era completamente d'accordo. Marx, nella sua richiesta del « pieno valore del profitto » come stipendio dell'operaio, cercò di sopprimere un fatto che egli - se avesse avuto una maggiore· lealtà - avrebbe dovuto osservare e considerare: nel profitto delle industrie dél Nord erano compresi anche i costi delle materie prime tropicali cotone, gomma, metalli - e quindi ancbe i bassi salari dei lavora.tori di colore. Il maggior compenso del lavoro bianco si basava anche sulla paga minore dei lavoratori di colore 1 .
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1 Allo stesso modo il potere d'acquisto dei salari bianchi viene aumentato, mentre si diluisce la concorrenza degli ali-
menti, ottenuti con i salari di colore, sui contadini del proprio Paese, i quali a loro volta sono legati all'alto livello delle tariffe e delle spese. 198
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Ciò che la Russia sovietica ha proclamato come metodo di lotta contro l'economia « bianca », per distruggerne la vitalità attraverso un'offerta interiore, e cioè, di riportare la propria classe lavoratrice, per tenore di vita e durata di lavoro, allo stato del 1840, se necessario attraverso la morte per fame oppure come nel 1923 a Mosca - per mezzo dell'artiglieria,
era già da lungo tempo, senza violenza, in atto su tutta la Terra. E si manifestò con i suoi tremendi effetti non soltanto contro quelle industrie ma, e ancor di più, contro l'esistenza stessa della classe lavoratrice bianca. I Sovietici non hanno capito ciò in conseguenza del loro accecamento dottrinario, oppure era già la volontà di distruzione della coscienza di razza asiatica che si risvegliava per distruggere i po-, poli della cultura occidentale? Nelle miniere sudafricane lavorano bianchi e negri l'uno vicino all'altro, il bianco 8 ore con una paga otaria di 2 scellini, il cafro 12 ore con una paga oraria di 1 scellino. Questo rapporto grottesco viene mantenuto dai sindacati bianchi, che vietano i tentativi di organizzazione degli uomini di colore ed impediscono, attraverso la pressione politica sui partiti, che i 1avoratori bianchi siano gettati fuori in massa, sebbene questo sia nella natura delle cose e facilmente prevedibile in un futuro più o meno lontano. Ma questo è soltanto un esempio del rapporto complessivo tra lavoro bianco e di colore in tutto il mondo. L'industria giapponese con i suoi bassi salari batte dovunque la concorrenza bianca nell'Asia meridionale ed orientale e si presenta già sul mercato europeo ed americano 1 • Tessuti indiani appaiono a Londra. E intanto avviene qualcosa di terribile. An1 La settimana di 60 ore viene pagata clill'industri.a tessile giapponese cou 7 marchi, quella di 48 ore nel Lancashire con .35 IIlHrchi (inizio del 1933).
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cora intorno al 1880 soltanto nell'Europa e nella America del Nord c'erano giacimenti di carbone, che venivano sfruttati. Ora se ne conoscono in tutto il mondo, e tutti sono sfruttati. Il monopolio della classe lavoratrice bianca sul carbone è alla fine. Ma, per cli più, l'industria si è liberata della schiavitù del carbone per mezzo dell'energia idroelettrica, del petrolio, degli impianti d'energia elettrica. Essa può emigrare e lo fa, e sop1·attutto lontano dalla dittatura dei sindacati bianchi verso Paesi con bassi salari. La dispersione dell'industria occidentale è in pieno sviluppo dal 1900. Le filande dell'India vennero fondate come filiali delle fabbriche inglesi, per « essere più vicine al consumatore ». Così si era inteso originariamente, ma i salari di lusso dell'Europa occidentale hanno provocato un effetto del tutto diverso. Negli Stati Uniti l'industria emigra sempre di più da Chicago e New York verso i territori ~i 11egri » nel Sud e non si fermerà nemmeno ai confini del Messico. Ci sono zone industriali in sviluppo nella Cina, Giava, in Sud Africa, in Sud America. La fuga dei grossi impianti verso i popoli di colore continua, ed i salari di lusso dei bianchi cominciano a divenire teoria, poiché il lavoro offerto per essi non viene più tanto richiesto come in passato.
17 Già intorno al 1900 il pericolo era immenso. L'edificio dell'economia { di tipo fellah, ed iniziavano dal Nord e dall'Oriente le grandi offensive: la popolazione civile concluse non soltanto i trattati con gli invasori, ma passò volontariamente ad un rapporto di sudditanza nei loro confronti: tardo pacifismo di una civiltà stanca. Tuttavia, attraverso i secoli, fu possibile uru metodica difesa dello status quo, perché l'Orbis Terrarum dell'Impero Romano era un territorio chiuso, aveva con/ini che potevano essere difesi. Molto più difficile è, oggi, la situazione dell'odierno Impero dei popoli bianchi, che abbraccia l'intera superficie terrestre e comprende le popolazioni « di colore ». L'umanità bianca si è, fra le altre cose, dispersa 233
per ogni dove nel suo disperato desiderio di lontananze infinite, verso il Nord e Sud America, Sud Africa, Australia ed a1tri innumerevoli punti di riferimento. Il pericolo giallo, bruno, nero e rosso sta in agguato all'interno delle stesse potenze bianche, penetra tra di esse nelle vicende belliche e rivoluzionarie, le segue da vicino, ed alla fine minaccia perfino di prendere nelle proprie mani ogni capacità di decisione. Cosa appartiene, dunque, al mondo « di colore »? Non soltanto l'Africa, le Indie: oltre ai negri e i mulatti, sparsi in tutta l'America, i popoli islamici, la Cina, l'India fino a Giava, ma soprattutto il Giappone e 1a Russia, che è divenuta di nuovo una grande potenza asiatica « mongolica ». Quando i Giapponesi vinsero la Russia, si accese una speranza per tutta l'Asia: un giovane Stato asiatico aveva costretto, mediante mezzi occidentali, alla resa la più grande potenza d'Occidente e con questo aveva dìstrutto il prestigio di invincibilità che circondava l'« Europa ». Fu come l'effetto di un segnale in India, in Turchia, perfino nell'Africa del Sud e nel Sahara: era dunque possibile far pagate ai popoli bianchi dolori ed umiiJiazioni plurisecolari. Da quel momento in poi la profonda furberia degli uomini asiatici medita sui mezzi che sono inaccessibili e superiori al pensiero europeo occidentale. Ed infine la Russia depose la maschera « bianca », non senza la beffarda soddisfazione dell'alleata Inghilterra, dopo aver sofferto nel 1919 la seconda decisiva sconfitta da parte dell'Occidente, e divenne di nuovo asiatica con tutta l'anima e con un ardente odio nei confronti dell'Europa. Essa portò con sé le esperienze della grande debolezza deJl'Europa e costruì su di esse nuovi astuti metodi di lotta, con i quali riusci a far penetrare nel pensiero l'idea della resistenza comune di tutta la popolazione di colore della terra. 234
Questa è, accanto alla vittoria del socialismo operaio sulla società dei popoli bianchi, la seconda vera conseguenza della guerra mondiale, che dei problemi della grande politica non ne ha portato nemmeno uno alla comprensione, come non ne ha mai risolto alcuno. Quella guerra fu una sconfitta de'.lle razze bianche, e la pace del 1918 fu il primo grande trionfo del mondo di colore. È sintomatico che esso oggi, nella Società delle Nazioni di Ginevra - che non è nient'altro che il miserabile simbolo di cose obbrobriose - possa metter bocca nelle controversie degli Stati bianchi. Che i tedeschi all'estero fossero maltrattati dalla gente di colore su ordine inglese e francese, non fu un evento di sorprendente novità. Questo metodo ha inizio con la rivoluzione liberale del XVIII secolo: nel 1775 gli Inglesi arruolarono i pellerossa che, esaltati e scalpitanti, si precipitarono sugli Americani repubblicani; e non deve essere dimenticato, in qual maniera i Giacobini sobillarono i negri di Haiti per i « diritti dell'uomo ». Ma il fatto che le truppe di colore di tutto il mondo furono portate sul terreno europeo dai bianchi contro i bianchi, che impararono a conoscere i più moderni metodi di guerra ed i limiti della loro efficacia, e che vennero rispedite a casa dando loro a credere di aver vinto le potenze bianche, questo ha cambiato completamente la loro opinione sui rapporti con le potenze mondiali. Essi hanno sentito la loro forza comune e la debolezza degli europei; e cominciarono a disprezzare i Bianchi, come una volta Giugurta aveva disprezzato la potente Roma. Non la Germania, ma l'Occidente ha perso la guerra mondiale, e con essa ha perso la stima degli uomini di colore. La portata di questo spostamento politico di massimo peso psicologico fu compresa dapprima a Mosca. In Occidente ancora oggi non la si capisce! I popoli bianchi dominatori sono scesi dall'antico
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rango che avevano occupato nel loro passato. Essi oggi discutono, mentre ieri comandavano, e domani dovranno pregare per poter discutere, Essi hanno perso la coscienza della naturalezza della loto potenza, e non se ne accorgono nemmeno. I bolscevichi hanno dato il via alla « Rivoluzione dall'esterno» e si riservano la scelta dell'ora X, in Sud America e soprattutto in Africa e in Asia; i confini di que• sta rivoluzione oggi giungono alla Vistola ed ai Car• pazi. Per la prima volta, dopo l'assedio di Vienna da parte dei Turchi, gli Europei sono stati di nuovo indotti alla difesa e dovranno raccogliere grandi for• ze, sia spirituali che militari, nelle mani di uomini di grande valore, se vogliono superare il primo violento assalto, che non si farà molto attendere. In Russia nel 1917 le due rivoluzioni, la bianca e quella di colore, sono scoppiate insieme. L'una superficiale, cittadina, il socialismo operaio con il credo occidentale nel partito e nel programma, fatta da letterati, proletari, accademici e sobillatori nichilisti del tipo di Bakunin, uniti alla feccia delle grandi città, retorica e letteraria da cima a fondo: massacrò la società pietroburghese, di origine in gran parte occidentale, e portò in scena il culto rumoroso « del lavoratore». La tecnica delle macchi• ne, così estranea e cosl odiata dall'anima russa, di• venne all'improvviso una divinità ed il senso stesso della vita. Ma frattanto lenta, tenace, silenziosa, piena di avvenire, iniziava l'altra rivoluzione del mugik, del villaggio, il vero e proprio Bolscevismo asiatico. L'eterna fame di terra dei contadini, che spinse i soldati al fronte col miraggio della grande distribuzione di terre, fu la sua ptima espressione. Il socialismo operaio conobbe questo pericolo molto presto. Dopo un'iniziale alleanza iniziò, con l'odio di tutti i partiti cittadini, sia liberali che socialisti. nei confronti dei contadini, la lotta contro questo elemento conservatore che sempre nella storia è 236
sopravvissuto a tutte le trasformazioni politiche, sociali e economiche delle città. Esso espropriò il contadino, introdusse di nuovo l'effettiva servitù delfa gleba, ed i pesanti tributi che Alessandro II aveva nel 1862 abolito. E servendosi cli una amministra• zione ostile e burocratica dell'agricoltura ,- ogni Socialismo che balza dalla teoria alla prassi, finisce molto presto in Burocrazia ~ è giunto sino al punto che oggi i campi sono inselvatichiti, la ricchezza di bestiame del passato si è ridotta a niente, e la fame di stile asiatico è diventata una situazione stabile, che soltanto una razza senza volontà, e nata per una esistenza da schiavo, sopporta. Ma il Bolscevismo ~< bianco » scompare qui rapidamente. Conserva ancora H volto marxista esteriore per scatenare e dirigere nell'Asia Meridionale, neil' Africa, in America, l'insurrezione contro le potenze bianche. Una nuova classe di regnanti asiatici ha sostituito quella filo-occidentale. Essa vive di nuovo nelle ville e nei castelli intorno a Mosca, possiede la sua servitù ed osa sfoggiare un lusso barbaro nello stile dei Khan mongoli predatori del XIV secolo. C'è una nuova forma di « ricchezza » che si lascia ammantare di concetti proletari. Si ritornerà anche alla proprietà dei contadini, soprattutto alla proprietà privata: ciò che non esclude la servitù della gleba, e comunque questo accade poiché l'esercito ha il potere, non più il « Partito » civile. Il soldato è l'unico essere che in Russia non soffra la fame, ed egli sa perché e per quanto. Questa potenza è inattaccabile dall'esterno e causa dell'ampiezza geografica del nuovo Impero, e all'interno l'iniziativa è sua. Ha mercenari ed alleati dappertutto nel mondo, fatti a sua im• magine e somiglianza. La sua arma più potente è la nuova, rivoluzionaria, autentica diplomazia asiatica che agisce invece di discutere, dal basso e alle spalle, attraverso la propaganda, l'omicidio e
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r la rivolta, e che in questo modo è di molto superiore alla grande diplomazia dei Paesi bianchi, che nonostante giuristi e giornalisti politicizzanti, non ha ancora perso del tutto il suo antico stile aristocratico, che derivò dall'Escuriale ed il cui ultimo grande maestro fu Bismarck. La Russia è il signore dell'Asia. La Russia è Asia. Il Giappone vi appartiene solo geograficamente. Dal punto di vista della sua > dovunque, non soltanto in Germania. Il destino, una volta concretizzatosi in forme significative ed in grandi tradizioni, rifarà la Storia, oggi nascosta sotto l'aspetto di singole forze prive di forma. Le legioni di Cesare si risvegliano. Forse, già entro questo secolo le definitive decisioni attendono il loro Uomo. Di fronte ad esse le piccole mète ed i piccoli concetti della politica odierna sprofonderanno nel nulla. Colui che con la sua spada riporterà allora la vittoria, sarà signore del mondo. Eccoli, i dadi dell'immane giuoco. Chi oserà gettarli?
FINE