All'ombra di Gregorio Magno. Il notaio Paterio e il «Liber testimoniorum» 8831164007, 9788831164009


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All'ombra di Gregorio Magno. Il notaio Paterio e il «Liber testimoniorum»
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FUNDAMENTIS NOVIS Studi di letteratura cristiana antica, mediolatina e bizantina

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Direzione della Collana Emanuela Prinzivalli (coordinamento generale e sezione cristianesimo antico) Paolo Chiesa e Rossana Guglielmetti (sezione letteratura mediolatina) Antonio Rigo (sezione bizantinistica) Comitato scientifico-editoriale / Editorial Board Paulo J.F. Alberto (Lisboa), Francesco D’Aiuto (Roma), Benedetto Clausi (Cosenza), Bernard Flusin (Paris), Michael Lapidge (Cambridge), Michel-Yves Perrin (Paris), Marco Petoletti (Milano), Peter Van Deun (Leuven), Martin Wallraff (Basel) Fundamentis Novis è una collana sottoposta a valutazione da parte di revisori anonimi. Il contenuto di ciascun volume è valutato e approvato da specialisti scelti dal Comitato scientifico-editoriale e periodicamente resi noti.

 Fundamentis Novis is a peer-reviewed series. The content of each volume is assessed by specialists who are chosen by the Editorial Board and whose names are periodically made known.

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Testatina

ALL’OMBRA DI GREGORIO MAGNO.

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IL NOTAIO PATERIO E IL LIBER TESTIMONIORUM

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Testatina 3



Testatina 3 Fabrizio Martello

All’ombra di Gregorio Magno il notaio Paterio e il Liber testimoniorum

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Testatina

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La realizzazione di questo volume è stata resa possibile da un parziale contributo offerto dall’Università di Roma «Tor Vergata» e dall’Associazione Marilena Amerise.

Grafica di copertina di Rossana Quarta © 2012, Città Nuova Editrice - Via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma tel. 063216212 - e-mail: [email protected] ISBN 978-88-311-6400-9 Finito di stampare nel mese di novembre 2012 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M. Via Pieve Torina, 55 00156 Roma - tel. 066530467 e-mail: [email protected]

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PREFAZIONE

«All’ombra di Gregorio Magno». L’espressione ben sintetizza il percorso della ricerca giunta ora alla pubblicazione: questa ha infatti il suo focus nel Liber testimoniorum, il florilegio attribuito a Paterio, notarius sanctae ecclesiae Romanae durante il pontificato di Gregorio Magno (590-604), ma l’identità biografica dell’autore e la sua opera sono illuminate dal contesto storico e culturale dominato dalla figura del grande pontefice. Si potrebbe anche aggiungere: e viceversa. Quale allora il vero “protagonista”? Per la risposta bisogna prima ricordare due antiche definizioni: come totus Gregorius presentava il contenuto dell’opera il curatore dell’editio princeps del 1553, Marco Antonio Giorgi, mentre l’autore veniva definito alter Gregorius dai Maurini nella loro introduzione al Liber del 1705; queste definizioni sottolineano la “subalternità” di Paterio. Alla luce di una sterminata storiografia, incrementata dalle celebrazioni per il centenario della morte, che ha gettato luce su ogni aspetto della vita e delle opere del grande pontefice, si può dire che la novità di questa ricerca sia costituita dalla scelta di un osservatorio apparentemente “minore”, il florilegio di passi gregoriani, che nell’immensa fortuna delle opere del pontefice, non ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato «per l’intrinseca originalità di alcune sue peculiarità letterarie, per la particolarissima caratteristica di essere un’antologia realizzata con opere di un autore vivente, e infine per la notevole fortuna incontrata nel Medioevo». L’autore è «compilatore intelligente, consapevole che un florilegio non è solo una giustapposizione di estratti d’autore, ma è una nuova opera, con caratteri peculiari, che si colloca entro un proprio genere letterario»; essa dimostra la capacità di organizzare gli insegnamenti gregoriani così da diventare fonte d’ispirazione e oggetto di emulazione nei secoli successivi. Paterio è uscito definitivamente “dall’ombra”. Una fine analisi del prologo del Liber testimoniorum, con edizione critica e commento, fornisce le linee guida per la ricostruzione della fisionomia biografica e culturale dell’autore – non escludendo una vicinanza

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Prefazione

anche di natura familiare al pontefice –, della genesi, delle finalità, delle modalità di redazione dell’opera, e ancora per il rapporto, variamente modulato nel tempo, fra il pontefice e il suo notaio, per la tradizione manoscritta e le edizioni a stampa, quando l’opera diviene oggetto di interpolazioni, complementi, imitazioni. «L’immaginario medievale ha fatto della scena del pontefice in compagnia di uno o più scrivani una delle tipologie iconografiche gregoriane di maggiore fortuna», suggellando il racconto secondo cui le Homiliae in Hiezechihelem sarebbero state ispirate direttamente dallo Spirito Santo in una scena che avrebbe avuto un testimone nascosto, identificato con l’exceptor-notarius cui il pontefice andava dettando l’opera. La qualifica di notarius, poi di secundicerius notariorum, di Paterio in documenti ufficiali e come compilatore del florilegio ha indotto l’autore a rivolgere la sua attenzione a questa categoria di funzionari, alla loro organizzazione, alle loro funzioni e competenze, e più generalmente alla loro cultura. Si tratta di una vera ricerca nella ricerca, che si presenta come contributo innovativo per la storia dell’organizzazione della chiesa romana fra IV e VII secolo e per la storia delle istituzioni in età tardoantica. Per il pontificato gregoriano emerge uno «spettro di funzioni», dai collaboratori del papa, di cui Giovanni Diacono nella Vita Gregorii sottolinea la vicinanza spirituale e fisica e la partecipazione alle opere letterarie (in questa categoria spicca il ruolo di Paterio), ai «funzionari operanti in modo stanziale nelle sedi periferiche, investiti di responsabilità di natura molto diversa di quelle assegnate ai primi»; tra i due poli attraverso l’epistolario gregoriano è possibile individuare un terzo gruppo: «i notarii impegnati a tenere le fila della rete dei rapporti tra il centro e la periferia e tra la stessa Chiesa romana e le altre istituzioni». Tutto il Liber mostra il grado di conoscenza posseduto dall’autore dei meccanismi di elaborazione e fruizione dei testi, che ancor più conferma la tesi che possa essersi formato in una struttura di produzione e gestione documentale di grande complessità quale, appunto, la cancelleria papale. Passando alla storia della cultura, si può notare come lo stesso metodo seguito per individuare l’identità biografica dell’autore venga applicato all’identità del testo con un percorso che cerca i precedenti letterari, le attestazioni antiche relative all’opera – di particolare interesse Taione e Beda –, fino a quando alla fine del secolo IX il biografo di Gregorio Magno Giovanni Immonide identifica l’autore del florilegio con il notarius Paterius citato nell’epistolario: «prima voce ufficiale romana ad attestare apprezzamento per il Liber testimoniorum nel luogo in cui era stato originariamente prodotto». Segue l’analisi del progetto stesso e del-

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le diverse fasi della redazione, puntualmente correlate al processo di revisione cui il pontefice sottoponeva le sue opere. Tra queste ultime e il florilegio di Paterio emerge un legame che appare più complesso della pura e semplice derivazione: nel citare le fonti gregoriane il compilatore interviene mostrando «una padronanza dei concetti e della verbalizzazione atta a esprimerli caratteristica di chi quei concetti deve averli sentiti come “propri”. E ciò perché, per il ruolo che ha rivestito, spesso deve essersi trovato a concretizzarli, trasformando i pensieri del papa, espressi oralmente e non sempre del tutto “strutturati”, in testo scritto». Il caso di Paterio diviene dunque occasione per riflettere, più in generale, sulla questione del rapporto tra il pontefice e i suoi interlocutori e collaboratori nella dinamica del processo elaborativo dei testi a lui riconducibili, di carattere sia “amministrativo”, sia “letterario”. Il percorso prosegue con i diversi prodotti che hanno la loro radice nell’opera di Paterio: contrario alla generica definizione di Pseudo Pateri, in quanto non rende giustizia né all’autore originario, né a quelli che si sono a lui rifatti, che non hanno inteso «portare avanti un progetto diacronico “collettivo”, ma hanno invece manifestato la propria personalità letteraria creando opere autonome», Fabrizio Martello preferisce parlare, tenendo conto della struttura “aperta”, e dunque facile da interpolare, dell’opera di Paterio, di «integrazioni» e di «completamenti», relativamente alla creazione di nuovi florilegi, con particolare riferimento all’opera di Alulfo di Tournai, composta fra il 1092 e il 1140, di cui si evidenziano le profonde diversità sia quantitative che qualitative dal modello; a quella di Bruno, monaco del secolo XII di area germanica, di cui studia il rapporto istituito con l’opera che intende “restaurare”; e infine al testo conservato in un codice del secolo XII dell’abbazia di Mont-SaintMichel ora ad Avranches, diffuso in area anglo-francese, sempre associato nella tradizione manoscritta al Liber testimoniorum. L’apporto alla storia della cultura è completato per l’età moderna dalla ricerca sulle edizioni a stampa, “vittime” della confusione dovuta alle diverse recensioni dell’opera, ma a loro volta “responsabili” di errori e fraintendimenti, che hanno compromesso la corretta valutazione storico-letteraria dell’opera e ne hanno favorito l’oblio. La stima maturata nel corso degli anni per Fabrizio Martello e l’ammirazione per la sua inesauribile passione scientifica mi hanno indotto a premettere alla pubblicazione questa breve prefazione, concepita come semplice invito al lettore affinché ne colga tutto l’interesse storico e culturale. Storici, filologi, letterati, gregorianisti e non, troveranno in questo affascinante percorso di ricerca un rilevante interesse dal punto di vista dei contenuti, dei metodi, delle interpretazioni. Il mio compito si

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Prefazione

conclude qui, ma non senza avere espresso il mio più vivo compiacimento e ringraziamento a Emanuela Prinzivalli e a Paolo Chiesa, nonché all’editore per avere deciso di “inaugurare” la nuova collana con questo volume: sono sicura che non se ne pentiranno.

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Sofia Boesch Gajano

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Testatina 9

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INTRODUZIONE

La ricerca che si presenta in questo volume verte su un esempio di prodotto letterario elaborato nell’ambito della curia pontificia tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo: il florilegio denominato Liber testimoniorum e attribuito a Paterio, notarius sanctae ecclesiae Romanae e secundicerius sotto il pontificato di Gregorio Magno. Si tratta di una raccolta di passi esegetici provenienti dalla produzione dello stesso pontefice e disposti secondo l’ordine scritturistico. L’opera non è stata oggetto di edizione critica né di studi di ampio respiro, eccetto alcune pionieristiche indagini sulla sua complessa tradizione manoscritta e sporadici interventi di specialisti che ne hanno sottolineato la grande diffusione nel corso del Medioevo, la contaminazione con analoghe raccolte redatte successivamente per imitazione, il ruolo nella tradizione e sintesi degli scritti gregoriani e, ancora, la sua importanza quale testimone diretto del processo elaborativo di tali scritti, in quanto presumibilmente realizzata nei medesimi anni della loro stesura. La difficoltà di chiarire quale fosse la parte autentica del florilegio – compromessa dai fraintendimenti degli editori moderni –, e la consapevolezza diffusa che il notarius non avesse sempre riprodotto alla lettera le sue fonti – rendendo l’opera meno utile per scopi di ricostruzione testuale – hanno fatto sì che l’interesse degli studiosi nei suoi confronti si sia mantenuto costantemente ridotto. La principale ragione di notorietà per il lavoro di Paterio, dal Seicento ai nostri giorni, deriva dalla potenzialità generalmente riconosciutagli di essere uno strumento utile per discriminare, entro la produzione attribuita a Gregorio Magno, le opere autentiche da quelle spurie. La polemica apertasi nell’ultimo ventennio del secolo scorso circa l’autenticità dei Dialogi è stata, non a caso, la più recente occasione in ordine di tempo in cui la raccolta abbia riscosso una certa attenzione. Raramente l’opera è stata studiata per le sue intrinseche caratteristiche formali, a prescindere dai suoi contenuti gregoriani, e pratica-

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Introduzione

mente mai il suo autore è stato finora ritenuto degno di una indagine sulla sua fisionomia culturale e letteraria. Eppure, la semplice constatazione della straordinaria fortuna avuta dal Liber testimoniorum nel corso del Medioevo, e della fioritura di imitazioni (più o meno dichiarate) che ha ispirato induce a riflettere sugli eventuali aspetti di novità apportati nell’ambito delle raccolte patristiche e dei commentari biblici medievali e, nello specifico, sull’importanza avuta nella definizione delle caratteristiche formali del genere del florilegio esegetico. Non diversamente, la considerazione che Paterio sia stato un addetto allo scrinium pontificio – l’ufficio deputato alla produzione, ricezione e conservazione dei documenti istituzionali – e abbia dunque operato per l’adempimento di compiti di cancelleria, e al tempo stesso sia stato anche investito di un incarico attinente alla sfera della attività letteraria del papa sembra fornire un’occasione pressoché unica per sondare il funzionamento del luogo-chiave dell’amministrazione della Chiesa di Roma, il ruolo svoltovi dal suo personale e, ancora, la natura e le dinamiche della collaborazione fra quest’ultimo e il capo dell’Istituzione, che, nel caso specifico affrontato, è una delle personalità più significative nella storia dell’Occidente tardoantico. Da parte mia, la curiosità per Paterio e la sua opera è sorta nel corso dell’elaborazione di una tesi di laurea dedicata alla composizione delle Homiliae in Hiezechihelem di Gregorio Magno, condotta sotto la guida di Sofia Boesch Gajano presso l’Università «Roma Tre» 1. Nell’ambito di quel lavoro mi ero, tra l’altro, posto l’interrogativo se il testo rielaborato da Gregorio per l’edizione ufficiale, a partire dagli appunti dei notarii, avesse conservato residui del livello dell’immediata esposizione al pubblico  2. La presenza nel Liber testimoniorum di alcuni frammenti gregoriani inediti, verosimilmente provenienti da una prima versione delle Omelie, sembrava offrire l’eccezionale possibilità dell’accesso all’esposizione orale del testo, e Paterio è così entrato di diritto a far parte del mio campo di interesse. Tuttavia, l’analisi del metodo redazionale del compilatore mi ha portato a constatare la Le Omelie su Ezechiele di Gregorio Magno. Composizione, pubblico, interpretazione, tesi di laurea in Lettere, Università degli Studi «Roma Tre», Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2001/2002. La concomitanza fra l’avvio di tali studi e la ricorrenza del XIV centenario dalla morte di Gregorio Magno, con le innumerevoli iniziative editoriali e incontri di specialisti che la hanno accompagnata (cf. Martello 2005b), ha costituito un contesto particolarmente stimolante per la ricerca. 2 Ho avuto modo di pubblicare parte delle considerazioni lì formulate in Martello 2005a. 1

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Introduzione 11

sua attenzione a eliminare dai brani citati ogni elemento contestuale o situazionale. Se ciò ha inevitabilmente disatteso l’aspettativa rispetto all’obiettivo cui miravo, mi ha al contempo reso consapevole di trovarmi di fronte a un’opera non solo fortemente strutturata per impianto e proporzioni, ma anche elaborata secondo criteri formali ideati e seguiti da una figura in possesso di sviluppate competenze nel campo della redazione testuale. All’interesse che dunque il Liber già meritava quale fonte per avvicinarsi alle prime redazioni delle opere gregoriane e alle dinamiche della loro tradizione indiretta, si è aggiunto dunque per me quello per la fisionomia propria dell’opera, nonché per l’autore e la sua identità culturale e professionale. Attorno a tale interesse si è sviluppata una successiva ricerca condotta in ambito di dottorato in Storia del cristianesimo e delle Chiese presso l’Università degli Studi di Roma «Tor Vergata», coordinata da Francesco Scorza Barcellona  3. Tale ricerca è stata poi ulteriormente sviluppata, soprattutto per gli aspetti propriamente filologici, grazie a una proficua collaborazione con Lucia Castaldi 4. Si presenta in questo volume una sintesi della ricerca dottorale, integrata con le successive acquisizioni, che si struttura in tre percorsi principali: il contesto di produzione, la redazione dell’opera, la sua trasmissione. Ciascuno di essi tenta di rispondere agli interrogativi che mi sono apparsi più urgenti: cosa implichi l’identificazione dell’autore del Liber testimoniorum con uno dei notarii ecclesiae Romanae citati nell’epistolario gregoriano (e dunque quali fossero le prerogative della sua categoria al tempo di Gregorio e se siano individuabili dei precedenti alla vicenda di Paterio nel suo medesimo contesto di azione); quali siano stati la genesi e lo scopo dell’opera, i modelli a cui si 3 Paterio, notarius ecclesiae Romanae e il Liber testimoniorum. La redazione, il contesto di produzione e la trasmissione del primo florilegio esegetico gregoriano, tesi di dottorato di ricerca in Storia del cristianesimo e delle Chiese, Università degli studi di Roma «Tor Vergata», XIX ciclo, a.a. 2008/2009. La partecipazione al convegno «Gregorio Magno e le origini dell’Europa», che si è tenuto a Firenze nel maggio 2006, ha costituito un momento fondamentale nella strutturazione del percorso di ricerca dottorale, in quanto occasione per compiere una prima sintesi delle varie indagini sviluppate fino allora in modo apparentemente slegato attorno al Liber testimoniorum e per confrontarmi con i massimi specialisti di questo ambito di studi (cf. Martello 2006). Un pensiero grato va alla memoria del professor Claudio Leonardi che ha voluto coinvolgermi nell’iniziativa. 4 Castaldi - Martello 2011. Il contributo ha condotto a nuove ipotesi di ricostruzione del processo di elaborazione dell’opera. All’acutezza di analisi della coautrice va ascritto, tra l’altro, il merito della prima intuizione circa lo stato incompleto del progetto lasciato da Paterio.

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Introduzione

possa essere ispirato l’autore e i criteri redazionali adottati; come si sia realizzato il processo di trasmissione dell’opera e quali interferenze lo abbiano caratterizzato. Se questi sono i principali ambiti di indagine, ragioni di opportunità espositiva mi hanno indotto talvolta a invertire l’ordine di presentazione forse apparentemente più logico degli argomenti. Ad esempio, il discorso sulla tradizione e la trasmissione dell’opera è stato in gran parte anticipato rispetto a quello sulla genesi e il processo di redazione, in quanto ho ritenuto necessario che il lettore che non avesse familiarità con il testo e volesse accedervi attraverso l’edizione presente nella Patrologia latina ricevesse per prima cosa le indicazioni necessarie per riconoscere cosa appartenga effettivamente a Paterio e cosa no. Altre questioni, correlate ai rispettivi argomenti, sono state affrontate all’occasione, contribuendo a ramificare l’itinerario complessivo. L’eterogeneità degli ambiti in cui mi sono dovuto introdurre – filologico, storico-letterario e più propriamente storico – mi ha costretto a misurarmi con i limiti delle mie conoscenze teoriche e competenze tecniche. Ho voluto tuttavia procedere senza eludere i problemi, intimamente persuaso che in questa fase ancora precoce della conoscenza del tema sarebbe stato utile anche il solo avanzare ipotesi di ricerca e questioni sul Liber testimoniorum e il suo autore, alle quali il proseguire degli studi avrebbe procurato risposte migliori di quante io stesso avrei attualmente potuto fornire. Agli insegnamenti di Sofia Boesch Gajano devo l’interesse che mi ha portato a questi studi, ma soprattutto la passione e il metodo per la ricerca storica. A lei va la mia più profonda gratitudine per la fiducia, associata a una presenza partecipe e lungimirante, che ha voluto accordarmi, motivandomi a continuare a percorrere la via iniziata. Sono estremamente grato a Francesco Scorza Barcellona per aver seguito il lavoro dottorale che qui si pubblica con costante e premurosa disponibilità, e per averne favorito lo svolgimento con il puntuale sostegno delle sue competenze. Paolo Chiesa ha generosamente voluto credere in questo progetto di ricerca, permettendomi di svilupparlo oltre le mie speranze: alla riconoscenza sincera che per ciò gli devo si aggiunge quella per la paziente rilettura del materiale elaborato e i fondamentali suggerimenti offertimi. Di indicazioni illuminanti di carattere filologico sono debitore alla competenza e alla gentilezza di Lucia Castaldi. Carole Straw mi ha offerto con amicizia materiali rari e spunti di riflessione tematica sempre di grande profondità. Paul Meyvaert, il cui metodo di investigazione della realtà storica è stato per me di esempio fin dal mio primo approccio a questi studi, è stato un interlocutore attento e generoso durante tutto il corso delle mie ricerche, alle quali ha fornito un apporto essenziale.

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Introduzione 13

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Consigli preziosi, paziente ascolto e incoraggiamenti ho ricevuto da Nicoletta De Angelis e da Daniele Silvestri: li ringrazio di cuore. Questo volume viene pubblicato anche grazie al contributo di un’istituzione universitaria e di un’associazione culturale privata. Desidero esprimere la mia riconoscenza a coloro che si sono adoperati perché tali interventi si concretizzassero: Franco Salvatori, dell’Università di «Tor Vergata», la famiglia Amerise. Ringrazio Pietro Podolak della casa editrice Città Nuova per l’attenta rilettura del lavoro. Un particolare ringraziamento va infine a Emanuela Prinzivalli, per la benevolenza con cui ha accolto il volume nella collana e la partecipazione con cui ne ha seguito le vicende editoriali.

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Introduzione

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Introduzione 15

SIGLE E ABBREVIAZIONI

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Per i rimandi al Liber testimoniorum si fa riferimento, salvo dove espressamente indicato, all’edizione dei Maurini riprodotta nella Patrologia latina [m]. Manoscritti e edizioni di riferimento A  Amiens, Bibliothèque centrale Louis Aragon, 220 (sec. VIII) C Cambrai, Médiathèque municipale, 337 (sec. XII) F  Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. lat. 1597 (sec. VIII) G Graz, Universitätsbibliothek, 435 (aa. 1190/1210) K Köln, Dombibliothek, 97 (sec. IX) M Milano, Biblioteca Ambrosiana, I 360 inf. (sec. XII) P Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2302 (sec. XII) 1 Tr Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne, Fonds ancien 1007 (sec. XII) Tr2 Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne, Fonds ancien 508 (sec. XII) g Expositio in omnes libros veteris et novi Testamenti (…) a divo Patherio congesta, Romae 1553 m Sancti Paterii Liber de expositione veteris ac novi Testamenti (…), PL 79, coll. 683-916 Opere di Gregorio Magno Dial. Ep. In Cant.

Dialogi Registrum Epistolarum (CCSL 140-140A) Expositio in Canticum canticorum

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In I Reg. Hom. Ev. Hom. Hiez. Mor. Past. Reg.

Sigle e abbreviazioni

Expositio in librum primum Regum Homiliae in Evangelia Homiliae in Hiezechihelem Moralia in Iob Regula pastoralis Registrum Epistolarum (MGH Epist. i-ii)

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Abbreviazioni di riviste AAT Atti della Accademia delle Scienze di Torino. 2, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche AB Analecta Bollandiana: revue critique d’hagiographie = a journal of critical hagiography AHP Archivum historiae pontificiae ALMA Archivum Latinitatis Medii Aevi AnnSE Annali di storia dell’esegesi APAW  Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften BISIAM Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano CArch Cahiers archéologiques CLHM Cahiers de linguistique hispanique médiévale FilMed Filologia mediolatina InvLuc Invigilata lucernis JEH The Journal of Ecclesiastical History MEFRA Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité MS Mediaeval Studies NAGAD Neues Archiv der Gesellshaft für altere deutsche Geschichtskunde QuadS Quaderni storici RABM Revista de archivos, bibliotecas y museos RAM Revue d’ascétique et de mystique RB Revue Bénédictine Rbi Revue biblique RecThAm Recherches de théologie ancienne et médiévale RHE Revue d’histoire ecclésiastique RSSR Ricerche di storia sociale e religiosa RMAL Revue du moyen âge latin RQS Revue des questions historiques RSR Revue des sciences religieuses

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Sigle e abbreviazioni 17

SD Studi e documenti di storia e diritto SEJG  Sacris erudiri: Jaarboek voor Godsdienstwetenschappen SM Studi medievali Sp Speculum. Journal of Mediaeval Studies VetChr Vetera Christianorum

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Altre sigle e abbreviazioni AA.SS. Acta Sanctorum, Antverpiae-Bruxellis 1643-1940 ACO  Acta Conciliorum Oecumenicorum, Berolini et Lipsiae 1914ss. BHL Bibliotheca Hagiographica Latina [cf. Bibliografia] BS Bibliotheca sanctorum [cf. Bibliografia] CCSL Corpus Christianorum, Series Latina, Turnhout 1953ss. CIL Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlin 1869ss. CLA Codices Latini Antiquiores [cf. Bibliografia] CRSA Ordo Canonicorum Regularium Sancti Augustini CSEL  Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vindobonae 1865ss. CPL Clavis Patrum Latinorum [cf. Bibliografia] DS Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique doctrine et histoire, Paris 1932-1995 ICUR Inscriptiones Christianae urbis Romae, septimo saeculo antiquiores [cf. Bibliografia] NS: ICUR Nova Series, Romae MGH Monumenta Germaniae Historica, Hannover-Berlin 1826 Auct. Ant.: Monumenta Germaniae Historica, Auctores Antiquissimi Epist.: Monumenta Germaniae Historica, Epistolae Gest. Pont. Rom.: Monumenta Germaniae Historica, Gesta Pontificum Romanorum Script.: Monumenta Germaniae Historica, Scriptores Script. rer. Germ.: Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum Script. rer. Lang.: Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX

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Sigle e abbreviazioni

Script. rer. Mer.: Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Merovingicarum OCarm Ordo Fratrum Beatae Mariae Virginis de Monte Carmelo OPraem Candidus et Canonicus Ordo Praemonstratensis OFM Ordo Fratrum Minorum OGM Opere di Gregorio Magno, Roma 1990ss. OSB Ordo Sancti Benedicti PCBE Prosopographie chrétienne du Bas-Empire [cf. Bibliografia] PL Patrologiae cursus completus. Series latina, cur. J.P. Migne, Paris 1844-1866 PLS  Patrologiae latinae Supplementum, cur. A. Hamman, L. Guillaumin, Paris 1958-1974 PLRE Martindale, The Prosopography of the Later Roman Empire [cf. Bibliografia] PmbZ Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit [cf. Bibliografia] SC Sources Chrétiennes, Paris 1942ss. SOCist Sacer Ordo Cisterciensis

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Sigle e abbreviazioni 19

CAPITOLO PRIMO

Gregorio Magno, I notarii ecclesiae Romanae e Paterio

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I.1. Una presenza costante Chi volesse rappresentare figurativamente in modo verosimile papa Gregorio Magno avrebbe senza dubbio da integrare lo sforzo di ricerca documentale con un buon esercizio di fantasia. Ciò benché il personaggio, pontefice tra il 590 e il 604, sia una delle figure del suo tempo per le quali si dispone della più ampia quantità di informazioni. Immaginazione sarebbe richiesta non solo per delineare le caratteristiche della sua persona – fattezze fisiche, atteggiamenti, costumi –, ma anche i luoghi entro cui si mosse, i suoi interlocutori e, via dicendo, gli infiniti elementi contestuali, dal più minuto al più cospicuo, necessari per riempire e articolare la scena. Tuttavia almeno su un particolare non si dovrebbe temere l’allontamento dal vero: ricordando di collocare una figura munita di stilo e tavoletta costantemente al suo seguito. Lo scriba, sia nelle circostanze ufficiali, con Gregorio nello svolgimento della sua attività pastorale o di amministratore dei patrimoni di San Pietro, sia in quelle (un po’) più private dello studio della Scrittura e della produzione letteraria, è una presenza che si può definire ben documentata, testimoniata, addirittura certa, se è lecito usare questo termine parlando di un passato così lontano. Già l’immaginario medievale ha fatto della scena del pontefice in compagnia di uno o più scrivani una delle tipologie iconografiche gregoriane di maggiore fortuna 1. Essa dipende da un episodio ben preciso del complesso della memoria legata al personaggio, quello secondo cui il testo delle Homiliae in Hiezechihelem, una delle sue opere più Ci si limita a citare, fra le immagini più rappresentative, quella a f. 3r del Sacramentario di Metz (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 1141 [aa. 869-877]) e il frammento di Treviri del Maestro del Registrum Gregorii (Trier, Stadtbibliothek 171/1626 [a. 983]). Sull’iconografia gregoriana cf. Réau 1955-1959, t. III/2, pp. 609616; Monachino - Cannata 1966, coll. 278-287; Thomas 1974; Bisogni  -  Cerutti 2008. Sull’origine della tipologia di Gregorio con lo scriba cf. Croquison 1962. 1

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celebri, sarebbe stato trasmesso a Gregorio direttamente dallo Spirito Santo, materializzatosi in forma di colomba. All’evento prodigioso avrebbe assistito di nascosto un testimone, che una delle agiografie gregoriane ha voluto identificare nell’exceptor-notarius a cui il pontefice andava dettando l’opera 2. Tale identificazione non è casuale, e implica certamente il ricordo di alcune delle non frequenti digressioni metatestuali che accompagnano la produzione del Padre della Chiesa, dove, tra l’altro, si trovano indicazioni specifiche sulle modalità di composizione seguite. Dalla prefazione delle Homiliae in Hiezechihelem, l’opera che la tradizione agiografica ha voluto considerare ispirata al pari delle Scritture, si ricava l’informazione che il testo sia stato appuntato dai notarii nel corso dell’esposizione all’uditorio e che le trascrizioni delle loro note siano state sottoposte a revisione in vista della pubblicazione ufficiale otto anni più tardi 3: Homelias, quae in beatum Hiezechihelem prophetam, ita ut coram populo loquebar, exceptae sunt, multis curis irruentibus in abolitione reliqueram. Sed post annos octo, petentibus fratribus, notariorum schedas requirere studui, easque favente Domino transcurrens, in quantum ab angustiis tribulationum licuit, emandavi.

La composizione per dettatura prevedeva la presenza assidua di personale ecclesiastico specializzato che fissasse per iscritto quanto l’autore andava elaborando. Alle dinamiche di questo processo Gregorio è tornato ad alludere nella lettera prefatoria delle sue Homiliae in Evangelia: le prime venti furono da lui dettate in privato e poi lette al pubblico, alla sua presenza, dai notarii nel corso delle celebrazioni liturgiche; le seconde venti il pontefice fece lo sforzo di predicarle

L’episodio si trova nella versione interpolata della biografia gregoriana di Paolo Diacono, realizzata nella seconda metà del IX secolo: Denique a fideli et religioso viro, ac huic nostro Patri sanctissimo pro suae religionis et utilitatis merito valde familiarissimo, fideliter post obitum eius nobis narratum didicimus, quod cum idem vas electionis et habitaculum sancti Spiritus visionem ultimam prophetae Ezechielis interpretaretur, oppansum velum inter ipsum et eumdem exceptorem tractatus sui, illo per intervalla prolixius reticente, idem minister eius stylo perforaverit, et eventu per foramen conspiciens, vidit columbam nive candidiorem super eius caput sedentem, rostrumque ipsius ori diu tenere appositum: quae cum se ab ore eiusdem amoveret, incipiebat sanctus pontifex loqui, et a notario graphium ceris imprimi. Cum vero reticebat sancti Spiritus organum, minister eius oculum foramini iterum applicabat, eumque ac si in oratione levatis ad coelum manibus simul et oculis, columbae rostrum more solito conspicabatur ore suscipere, Ps. Paulus Diaconus, Vita Gregorii 28, coll. 57c-58a. 3 Hom. Hiez. 1, Praef. (p. 3, ll. 3-8). 2

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estemporaneamente di persona, mentre i notai ne hanno eseguito la registrazione 4: Inter sacra missarum sollemnia, ex his quae diebus certis in hac ecclesia legi ex more solent, sancti evangelii quadraginta lectiones exposui. Et quarumdam quidem dictata expositio assistenti plebi est per notarium recitata, quarumdam vero explanationem coram populo ipse locutus sum atque ita ut loquebar excepta est.

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La lettura da parte dei notarii delle prime omelie deve essere risultata meccanica e scarsamente coinvolgente per l’uditorio, al quale avrebbe giovato senz’altro di più un rapporto di ideale diretta collocutio con il predicatore  5, come lui stesso riconosce nel prendere finalmente la parola 6: Multis vobis lectionibus, fratres carissimi, per dictatum loqui consuevi, sed quia, lassescente stomacho, ea quae dictavero legere ipse non possum, quosdam vestrum minus libenter audientes intueor. Unde nunc a memetipso exigere contra morem volo ut inter sacra missarum sollemnia lectiones sancti evangelii non dictando, sed colloquendo edisseram. Sicque excipiatur ut loquimur, quia collocutionis vox corda torpentia plus quam sermo lectionis excitat, et quasi quadam manu sollicitudinis ut evigilent pulsat.

Le citazioni riportate sopra, notissime, rendono chiaro che i notarii abbiano costituito, per così dire, le mani e spesso la voce del papa; e benché siano riferite a occasioni di predicazione pubblica, lasciano intuire che le modalità di composizione privata sostanzialmente non siano state differenti. In particolare, il fatto che Gregorio specifichi di aver «dettato» e non «scritto» anche le prime venti omelie sui Vangeli ci apre uno spiraglio di osservazione sulla intimità del processo di elaborazione delle sue opere, intimità a cui evidentemente erano ammessi i notarii, ai quali dettava e dai quali si faceva a mano a mano rileggere quanto composto. Occorre una precisazione. Per l’epoca e per il contesto, il termine notarii usato da Gregorio per definire i suoi collaboratori non era generico, ossia non indicava semplicemente chi sapesse scrivere in segni Hom. Ev., Ep ad Secundinum (p. 1, ll. 5-9). Per una discussione degli aspetti tecnici e teorici della comunicazione omiletica cf. Prinzivalli 2004. Sul doppio registro della dictatio e collocutio, che costituisce un’antinomia tipica nella terminologia gregoriana relativa alla predicazione e alla composizione letteraria, cf. Martello 2005a. 6 Ibid., 21, 1 (pp. 173-174, ll. 1-9). 4 5

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tachigrafici (notae) sotto dettatura, ma definiva gli esponenti di una precisa categoria di impiegati dell’amministrazione ecclesiastica romana, provvista almeno degli ordini minori e gerarchicamente ordinata, sulla cui organizzazione interna si hanno notizie non abbondanti e non troppo precise, ma sulla cui importanza cruciale per l’assetto amministrativo centrale e periferico dell’Istituzione non sussistono dubbi.

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I.2. Il notarius Paterio e il Liber testimoniorum Gli accenni fin qui fatti ai notarii ecclesiae e alle loro funzioni possono indurre a pensare a loro in termini di una specializzazione che non andava al di fuori dell’ambito delle attività di cancelleria. Tuttavia l’analisi delle fonti del V e del VI secolo e di quell’immenso serbatoio di informazioni che è l’epistolario gregoriano per gli anni a cavallo tra VI e VII secolo dimostra come le attività a loro affidate fossero estremamente ampie e diversificate e che quelle legate alla cancelleria degli uffici centrali della Chiesa di Roma, e più in particolare l’assistenza tecnica al pontefice per la redazione dei documenti fossero riservate solo ad alcuni di loro 7. Tra questi, sotto il pontificato gregoriano è attestato, per la verità, un solo nome sicuro, meritevole già per tale ragione di attenzione e curiosità scientifica: Paterio. Egli è nominato quattro volte all’interno di documenti ufficiali papali, fra il 595 e il 600, come verbalizzatore o lettore di atti. Nelle prime due occasioni la sua qualifica è quella di semplice notarius, nelle successive egli è secundicerius notariorum, ossia vicecapo della categoria, il che indica un suo avanzamento in carriera avvenuto nel corso degli anni. A Paterio è anche attribuita la realizzazione di un’opera di grande impegno redazionale: un florilegio dedicato al recupero e alla sistematica inventariazione di spiegazioni di passi di libri della Bibbia che il pontefice non avesse già commentato in forma integrale o diretta. Nell’ambito dell’immensa fortuna dell’opera di Gregorio Magno, che annovera, oltre a quantità impressionanti di manoscritti contenenti le sue opere  8, anche numerosi esempi di trasmissione indiretta 7 Cf. il paragrafo II.2. Per una classificazione dei funzionari dello scrinium al tempo di Gregorio cf. Santifaller 1940, in particolare, su Paterio cf. p. 16 e la lunga nota 5 (con numerosi riferimenti ai luoghi e agli autori medievali e moderni che ne hanno trattato). Galletti 1776, pp. 91s. 8 L’archivio elettronico Mirabile. Archivio digitale della cultura latina medievale (http://www.mirabileweb.it) permette di ricavare, a maggio 2012, i seguenti dati rela-

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del suo sapere attraverso forme di antologizzazione, epitomazione 9 e perfino imitazione  10, il lavoro allestito dal notarius ha finito per non ricevere molta attenzione. Almeno non quella che gli sarebbe stata dovuta per l’intrinseca originalità di alcune sue peculiarità letterarie, per la particolarissima caratteristica di essere un’antologia realizzata con opere di un autore vivente, e infine per la notevole fortuna incontrata nel Medioevo. L’opera si presenta come una successione di unità testuali (d’ora in poi “paragrafi”), costituite da uno o più brani esegetici tratti esclusivamente dalla produzione gregoriana. Nella parte introduttiva di ciascun paragrafo è segnalata la fonte da cui, di volta in volta, sono tratti i brani; è poi indicato il passaggio biblico (testimonium) che costituisce l’oggetto del commento. I paragrafi si succedono secondo il procedere del tetivi alla tradizione diretta delle opere gregoriane: 1.599 esemplari dei Moralia in Iob; 780 della Regula pastoralis; 1.416 delle Homiliae in Evangelia; 685 delle Homiliae in Hiezechihelem; 1.255 dei Dialogi; 537 del Registrum epistolarum; 175 dell’Expositio in Canticum canticorum. Circa la diffusione di Gregorio nel Medioevo si segnala la relazione di Anne-Marie Turcan-Verkerk dal titolo Gregorio Magno negli inventari di biblioteche medievali prima del sec. XIII presentata al convegno «Gregorio Magno e le origini dell’Europa». 9 Cf. Braga 2008, e soprattutto Boccini 2008. Quest’ultimo contributo censisce complessivamente 75 tra epitomi e florilegia, di cui 30 «riconducibili ad un autore», 13 «anonimi censiti nei repertori», 42 «anonimi o di autori non identificati derivanti dal progetto della S.I.S.M.E.L “Gregorio Magno. La tradizione manoscritta. Le opere. La fortuna” in fase di pubblicazione», ibid., p. 118. 10 Può forse interpretarsi così il tentativo di Pietro di Cava, che, secondo la ricostruzione proposta da Adalbert de Vogüé, sarebbe da identificare quale autore dell’Expositio in librum I Regum. Vale la pena ricordare brevemente i termini della questione: la paternità dell’opera è stata rimessa in discussione dallo studioso francese in seguito alla scoperta del frammento di una cronaca dell’abbazia di Venosa secondo il quale l’abate Pietro II (†1156) scripserat supra libros regum usque ad unctionem Davidis in regem (in Houben 1995, p. 439), lo stesso punto in cui termina il commento attribuito al pontefice. Prima di diventare abate di Venosa (nel 1141), Pietro, detto «Divinacellus», era stato monaco a Cava, luogo da dove proviene l’unico manoscritto noto del Commentario ai Re, del quale manca qualunque testimonianza precedente. L’addizione dei dati (confortata da numerosi altri indizi scaturiti dall’analisi a cui è stata sottoposta l’opera) ha dato come risultato la nuova assegnazione dell’opera a Pietro (sulla vicenda cf. de Vogüé 2000; Id. 1996). La conclusione di de Vogüé è parsa troppo radicale a Giorgio Cracco, che ha tentato di recuperare una originaria gregorianità del testo mettendolo in relazione con lo scomparso commento de libris regum stenografato dall’abate Claudio di Ravenna dalla viva voce di Gregorio e da quest’ultimo fatto requisire perché giudicato poco fedele al suo dettato (Ep. 12, 6, in part. ll. 31-42, lettera di Gregorio a Giovanni, suddiacono di Ravenna, del gennaio 602), cf. Cracco 2006. Se oltre agli appunti di Claudio non erano state effettuate altre registrazioni della spiegazione gregoriana sui Re (così sembra si possa inferire da Ep. 12, 6), ne consegue che quel commentario non sarebbe stato disponibile a Roma prima del 602 (cf. Castaldi 2005; Ead. 2008b).

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sto scritturistico. Ciò rende automatico, per chi disponga di una Bibbia o ne conosca a memoria il contenuto, il reperimento dell’eventuale spiegazione del Padre della Chiesa a un determinato passaggio. Per comodità si definisce qui “sezione” del Liber testimoniorum l’insieme dei paragrafi relativi a ciascun libro biblico 11. Ognuna di esse è introdotta, nei manoscritti che ci hanno trasmesso l’opera, da una tabula capitulorum che ne elenca il contenuto 12. Sono note soltanto quattordici sezioni del florilegio di Paterio, tutte relative all’antico Testamento: 1. Genesi, 2. Esodo, 3. Levitico, 4. Numeri, 5. Deuteronomio, 6. Giosuè, 7. Giudici, 8. I Re, 9. II Re, 10. III Re, 11. IV Re, 12. Salmi, 13. Proverbi, 14. Cantico dei cantici  13. Non rimane traccia di materiale ulteriore attendibilmente riferibile al Liber testimoniorum. Le sezioni hanno consistenza diversa, dai 186 paragrafi sui Salmi 14, la più ampia, ai soli due di quella sul Libro di Giosué. Grande disomogeneità si ha anche nella dimensione dei paragrafi: il n° 53 della sezione sul Genesi occupa da solo molte pagine di manoscritto (e cinque colonne della PL) 15, ma non è raro incontrare paragrafi di poche righe. La sezione sui Proverbi appare singolarmente lacunosa nella parte iniziale e finale  16, e in generale questa sezione e la successiva – sul Cantico dei cantici – si presentano notevolmente meno curate dal punto di vista redazionale rispetto alle precedenti. Il florilegio è introdotto da un prologo, presente nella maggior parte dei testimoni della tradizione manoscritta, in cui l’autore descrive le caratteristiche del prodotto letterario e le circostanze della sua genesi. Qui egli dichiara di essere persona vicina a Gregorio, espone le ragioni che lo avrebbero indotto a comporre l’opera, narra del subentrato interesse da parte dello stesso pontefice e dell’amSarebbe più corretto utilizzare, per indicare la partizione interna, il termine libri, che si incontra anche in alcuni degli esemplari che tramandano l’opera. La sua genericità rischia tuttavia di provocare confusione e induce a preferirgli qui quello di “sezioni”. 12 Nell’edizione del testo presente nella PL (vol. 79, coll. 683-916) le tabulae capitulorum sono state omesse. 13 Nell’edizione della PL le sezioni sono tredici, in quanto quella – brevissima – su Giosuè non è stata numerata. 14 L’edizione della PL presenta, per questa sezione, 287 paragrafi (coll. 819-895), molti dei quali sono da considerarsi interpolazioni, cf. il paragrafo III.6. 15 Coll. 704c – 709c. 16 Dei totali trentuno capitoli che costituiscono il Libro dei Proverbi, il Liber testimoniorum copre soltanto l’intervallo che va da Pr 3, 32 a 14, 30. La circostanza non può essere imputata a un casuale errore di selezione commesso da Paterio, in quanto le ulteriori parti del libro biblico sono state abbondamente commentate da Gregorio nel corso delle sue opere. 11

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pliamento del piano di lavoro che ne sarebbe conseguito; descrive infine dettagliatamente il proprio metodo redazionale. Dal prologo si viene anche a sapere che, secondo il progetto originario, l’opera avrebbe riunito in tre unità librarie commenti ai libri dell’antico Testamento (primi due volumi) e del nuovo (terzo volume). Se ne deduce che ci sia pervenuto, approssimativamente, il contenuto del solo primo volume. L’idea di allestire una simile raccolta sarebbe nata, secondo quanto si legge nel testo introduttivo, dalla lettura dei gregoriani Moralia in Iob e dalla considerazione che all’interno di quel monumentale commento al Libro di Giobbe si trovasse, frastagliata, la spiegazione dell’intera Bibbia. La ragione di ciò è da individuare nell’impiego assiduo e scrupoloso del procedimento esegetico per testimonia, che implicava da parte del predicatore il continuo richiamo, a supporto dell’interpretazione di un determinato passaggio scritturistico, di passi paralleli della Bibbia, che a loro volta venivano individualmente spiegati (spesso attraverso il confronto con ulteriori testimonia di terzo grado) 17. Paterio si proponeva dunque di recuperare all’interno della produzione gregoriana le spiegazioni ai testimonia di supporto – tralasciando l’esegesi diretta al testo di Giobbe, che costituiva già un commentario organico – e di riordinarle in forma quanto più possibile simile a quella del commentario continuato 18.

17 Sul ricorso ai loci paralleli per spiegare le obscuriores locutiones della Scrittura (ossia il procedimento antico di spiegare la Scrittura con la Scrittura), cf. Simonetti 1985. Augustinus, De doctrina christiana 2, 9, 14. Come spiega Beryl Smalley, «La “testimonianza” non è altro che “un passo parallelo”, che [l’esegeta] richiama valendosi dell’antica norma secondo la quale un passo scritturistico va interpretato confrontandolo con altri. L’interpretazione spirituale del testo suggerisce un altro testo che contenga un termine che abbia lo stesso significato spirituale del primo. A sua volta questo secondo testo viene spiegato secondo il suo significato spirituale; questo ne suggerisce un altro, e così via, fino a che colui che fa il commento “ritorna sulla scia del discorso che si era preparato”. Le “testimonianze” sono come il terreno molle attraverso il quale il discorso traccia il suo cammino lungo le valli di un’opportuna opera di edificazione», Ead. 1972, pp. 67-68. Sull’esegesi gregoriana si veda Recchia 1985-1986; Recchia 2000. 18 È opportuno specificare che il termine testimonium ha valore neutro di “citazione/argomentazione scritturistica”, non di citazione scritturistica di “secondo” o “terzo grado”. Va inoltre sottolineato che, al di là delle intenzioni che ha potuto avere il compilatore, il risultato finale non è affatto un commentario continuato ai libri della Bibbia. Ampiezza ed esaustività delle singole sezioni dipendono dalla quantità di testimonia citati e commentati da Gregorio, per rispettivo libro biblico, nel corso delle sue opere. Basti dire che per il Libro dei Giudici Paterio ha potuto mettere assieme soltanto otto paragrafi; per Giosuè appena due.

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All’ombra di Gregorio Magno

Nonostante la fiducia riposta nella esaustività dei soli Moralia, il notarius specifica di aver esteso il suo censimento a tutte le opere gregoriane. Di fatto, quelle di cui si riscontra effettivo impiego sono – oltre, appunto, ai Moralia – i cicli omiletici sui Vangeli e sul Libro di Ezechiele, e ancora due opere non propriamente esegetiche ma estremamente ricche di riferimenti scritturistici, la Regula pastoralis e i Dialogi. Quest’ultima è la fonte in assoluto meno citata da Paterio, che da essa trae solo tre passaggi, non particolarmente lunghi 19. Nemmeno una riga di testo proviene dall’amplissima produzione epistolare del pontefice, che pure, com’è nello stile di Gregorio, presenta non di rado concatenazioni di citazioni bibliche opportunamente corredate da spiegazione. Inoltre non si riconoscono nel florilegio passaggi tratti dall’Expositio in Canticum canticorum, né dell’Expositio in librum I Regum, la cui paternità gregoriana è tuttora in corso di discussione 20. Accanto ai testi noti, si rilevano nel Liber passaggi o interi paragrafi non riconducibili ad alcuna opera conosciuta e che tuttavia per stile, linguaggio e contenuto sono assolutamente compatibili con la scrittura del pontefice. Le rubriche che li introducono rimandano solitamente alle Homiliae in Hiezechihelem. Per spiegarne l’origine è necessario richiamare alla memoria quanto si conosce sui processi di redazione delle opere impiegate dal florilegista. Per quasi tutti i lavori di Gregorio Magno si ha notizia di una lunga gestazione 21, sia a causa delle pause intercorse tra l’esposizione diretta al pubblico e la redazione scritta (per le opere nate in forma omiletica), sia a causa dei successivi ripensamenti e interventi migliorativi ai quali l’autore ha voluto sottoporre anche versioni dei suoi lavori già entrate in circolazione. Di tali passaggi è rimasta talvolta traccia nella tradizione manoscritta 22.

Cf. il paragrafo III.7., nota 282. Cf. sopra, nota 10. 21 Per una sintesi sulla questione cf. Pietri 1995; Arnaldi 2004. 22 Per i Moralia la possibilità di riconoscere dei frammenti della versione non emendata (oltre a quelli che verosimilmente trasmette Paterio) è stata ipotizzata da Meyvaert 1995b. L’esistenza di una doppia redazione d’autore per la Regula pastoralis è stata scoperta da Clement 1985, e approfondita da Chiesa 2006a. Le successive versioni delle Homiliae in Evangelia sono state indagate da Étaix 1986, Id. 1996, Id. 1999, e inoltre da Bouhot 2007, che considera come risalente a Gregorio solo la seconda, mentre la prima “redazione” corrisponderebbe semplicemente alla trascrizione non autorizzata di alcune omelie lamentata dal pontefice stesso nella prefazione dell’opera (Hom. Ev., Ep. ad Secundinum [p. 1 ll. 10-17]). 19 20

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I. Gregorio Magno, i notarii ecclesiae Romanae e Paterio 27

Paterio conosce il testo finale della Regula pastoralis 23 e delle Homiliae in Evangelia 24; cita i Dialogi 25; sembra far riferimento a una versione ancora non del tutto compiuta dei Moralia  26 e, soprattutto, a quella provvisoria delle Homiliae in Hiezechihelem. Per quest’ultima opera sappiamo che la composizione ha avuto due tempi ben definiti, il primo si colloca probabilmente tra il 592 e il 593/594, quando le omelie La prima versione dell’opera è stata composta (e pubblicata) tra settembre 590 e febbraio 591, cf. Judic 1992, pp. 21-22; non è nota la data esatta in cui sarebbe stato eseguito il processo di revisione testimoniato dagli interventi sul codice Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne, Fonds ancien 504, cf. Petrucci - Nardelli 2006, p. 28. Sul testo della Regula usato da Gregorio cf. Chiesa 2006a, p. 63. 24 Secondo la ricostruzione proposta da Bouhot 2007, trentasette delle Homiliae (in parte esposte da Gregorio in parte lette al pubblico da un notaio) si collocano tra novembre 590 e gennaio 592; tre sono state aggiunte nel 593. Di un gruppo di quindici è prematuramente circolata una trascrizione pirata, di cui rimangono tracce; l’edizione ufficiale sarebbe stata allestita all’inizio del 594. Sul testo dell’opera citato da Paterio cf. Étaix 1999, pp. LIV-LVI. 25 La cui composizione si pone tra il 593 e il 594. L’unico riferimento esplicito di Gregorio a un progetto di scrittura di un’opera agiografica dalle specifiche caratteristiche che hanno i Dialogi si trova nella lettera indirizzata nel luglio 593 a Massimiano di Siracusa, Ep. 3, 50 (pp. 195-196, ll. 2-11), sulla quale cf. il paragrafo II.2., nota 130. Il destinatario della lettera è in più occasioni ricordato nei Dialogi come persona vivente (Dial. 1, 7, 1; 3, 36, 1; 4, 33, 1), ma risulta già morto prima del novembre 594 (Ep. 5, 20), perciò entro tale data si dovrebbe collocare la composizione dell’opera. Recentemente è stata espressa l’ipotesi che l’opera sia stata scritta nel corso di più anni (forse a iniziare da prima del 593), e si sia costituita per aggiunte successive (Pricoco 2005, pp. XVII-XXVIII). 26 Il Libro di Giobbe è stato commentato da Gregorio durante gli anni in cui ha svolto la sua missione diplomatica a Costantinopoli, dunque tra il 579 circa e il 585/586. Gli appunti dell’esposizione alla cerchia di amici e monaci che lo attorniavano hanno probabilmente avuto una loro circolazione indipendente, come suggerisce il fatto che Leandro di Siviglia, nel suo ritorno in patria, portava con sé una copia dell’opera (cf. Reg. 1, 41a [vol. I, p. 60 ll. 29-31], lettera di Liciniano di Cartagena a Gregorio, cf. Madoz 1948, pp. 18-23; Id. 1951, pp. 351-355; Meyvaert 1995b; Martello 2008). Una prima revisione del commentario è stata condotta fino al 591, come si ricava da una lettera di Gregorio a Leandro dell’aprile 591 (Ep. 1, 41) in cui il papa si giustificava per non poter inviare l’opera (evidentemente già emendata) al suo interlocutore, per colpa di un ritardo nella trascrizione. Nel luglio 595 Gregorio nuovamente si giustificava con Leandro per inviargli solo alcune parti del totale (Ep. 5, 53 [p. 348 ll. 5-10]). Poiché non è credibile che i copisti non avessero ancora terminato la copiatura di un lavoro consegnato quattro anni prima, si intuisce che Gregorio aveva continuato ad apportare modifiche al testo fino a quella data. Un riferimento alla conversione degli Angli presente in Mor. 27, 11, 21 (p. 1346, ll. 68-70) prova che ulteriori inserimenti siano stati effettuati almeno fino al 596 (anno di avvio del processo di evangelizzazione promosso da Gregorio, cf. Ep. 6, 51). L’opera è stata inviata a Innocenzo, prefetto del pretorio in Africa (Ep. 10, 16) nel luglio del 600. È forse un segnale che il testo fosse considerato concluso dall’autore. È tuttavia verosimile che Gregorio abbia continuato a riprenderlo e modificarlo anche successivamente, forse anche in concomitanza con la revisione a cui ha sottoposto le Homiliae in Hiezechihelem, cf. Castaldi - Martello 2011.

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sono state esposte in pubblico e contestualmente appuntate dai notarii 27, il secondo otto anni dopo, approssimativamente nel 601/602, quando Gregorio ha deciso di trasformarle nel testo che ci è pervenuto 28. Rispetto all’intricata cronologia di tale produzione il Liber testimoniorum si pone, per così dire, trasversalmente, fotografando una situazione in divenire che, con ogni probabilità, corrisponde agli anni finali del VI secolo o a quelli iniziali del successivo. Sembra lecito ipotizzare che quando il progetto compilativo di Paterio è stato concepito e avviato la produzione gregoriana vivesse una fase di relativa stasi e che le stesse Homiliae in Hiezechihelem non sembrassero ancora destinate alla revisione. Se così non fosse, si deve pensare che il notarius si sia volontariamente sottoposto al rischio di veder diventare inattuale il materiale selezionato, il che appare poco credibile, anche in considerazione della grande attenzione posta dal pontefice – e necessariamente nota al nostro autore – alla conformità fra le versioni circolanti delle sue opere e quelle ufficiali depositate presso l’archivum lateranense 29. Indipendentemente da quali possano essere state le intenzioni di Paterio, la presenza dei brani inediti nel Liber testimoniorum prova che la raccolta si sia trovata ad un certo punto non più allineate con le versioni ufficiali delle sue fonti, alle quali scrupolosamente rimandava i suoi lettori. Si deve immaginare che tale circostanza abbia avuto delle ripercussioni rispetto alla fruibilità dell’opera, e forse anche rispetto alla possibilità stessa che Gregorio ne consentisse la circolazione. Alla luce di quanto detto, si profila una eventuale spiegazione riguardo la fisionomia incompleta che presenta la raccolta fin dai primi testimoni che ce l’hanno tramandata. Benché infatti non si possa escludere che un incidente sia intervenuto a mutilare l’opera in una prima fase della tradizione, è altresì possibile che lo stesso processo di redazione si sia prematuramente interrotto nel corso del suo svolgersi, e che Paterio non lo abbia mai portato a compimento. Sembrerebbe 27 Si accoglie la cronologia ricostruita da Bouhot 2007, pp. 250-254, che mette in relazione l’interruzione della prima serie di omelie con la discesa a Roma del duca di Spoleto Ariulfo (primavera del 592) e l’interruzione della seconda serie con la minaccia di assedio da parte del re Agilulfo (campagna iniziata a fine autunno del 593). Tra la prima e la seconda serie sarebbe trascorso quindi almeno un anno e mezzo. 28 Cf. Hom. Hiez. 1, Praef. (p. 3, ll. 3-8), testo citato sopra a nota 3. Per una sintesi sulla gestazione delle Omelie cf. Martello 2005a, pp. 203-214. Utile ricordare che il monaco Colombano, nella lettera che invia a Gregorio dalla Gallia nel 600, richiedeva l’invio degli opuscula su Ezechiele da lui composti, di cui aveva avuto notizia (Columbanus, Epistulae 1, 9, ll. 13-16). Il monaco chiedeva in particolare la spiegazione dell’ultima sezione della profezia, sottintendendo il dato – o solo la supposizione? – che Gregorio fosse giunto a trattarla. 29 Cf. Arnaldi 2004.

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I. Gregorio Magno, i notarii ecclesiae Romanae e Paterio 29

confermare tale ipotesi l’analisi dei dati filologici testuali, che per le ultime due sezioni del florilegio mostrano una drastica riduzione del livello di cura redazionale da parte dell’autore. Tracce individuabili in alcuni punti del testo lasciano pensare che per un certo periodo l’autore abbia anche tentato di tenere la raccolta aggiornata alle nuove versioni, che venivano costituendosi, delle sue fonti 30. Può contribuire a rendere verosimile il quadro tracciato anche la mancanza di testimonianze relative a una immediata circolazione dell’opera: i primi frammenti della tradizione diretta sono rappresentati da due distinti gruppi di fogli del secolo VIII in onciale, rispettivamente conservati a Parigi  31 e a Worcester  32, contenenti alcuni paragrafi delle sezioni sull’Esodo e sul Genesi. Della seconda metà dello stesso secolo sono i due primi esemplari “completi”, ossia riportanti le quattordici sezioni note del florilegio, l’uno prodotto a Corbie e oggi conservato ad Amiens (di qui in poi indicato con la sigla A) 33, l’altro proveniente dall’abbazia di Fleury e attualmente a Parigi (d’ora in avanti F) 34. La prima attestazione indiretta si ha alla metà del VII secolo attraverso Taione di Saragozza, a sua volta autore di florilegi gregoriani, sia in forma di Sententiae, su modello di Isidoro di Siviglia, sia di raccolte esegetiche che presuppongono la conoscenza del Liber testimoniorum. Poiché è noto che Taione ha visitato lo scrinium lateranense per procurarsi copia delle opere gregoriane, è più che probabile che in quella occasione sia entrato in contatto con l’opera del notarius, da cui ha tratto silenziosamente idee e materiali. La dinamica secondo cui si sarebbe svolto il fatto lascia intuire che la raccolta non avesse ancora acquisito alcuna fama propria. Quando l’opera ha iniziato a circolare doveva essere accompagnata da un semplice riferimento a Paterio – talvolta specificato quale discipulus Gregorii – scritto in testa al prologo. Per tutti coloro che si sono imbattuti nella collezione le informazioni sull’autore non andavano oltre quel nome e quanto si evinceva dalla lettura del prologo stesso. L’identificazione con il notarius ecclesiae Romanae e secundicerius poteva venire solo da un profondo conoscitore della produzione epistolare papale, ed è puntualmente giunta attraverso il diacono roCf. Castaldi - Martello 2011. Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. lat. 641. 32 Worcester, Cathedral and Chapter Library, Fragmentum. 33 Amiens, Bibliothèque centrale Louis Aragon, 220. 34 Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. lat. 1597. 30 31

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All’ombra di Gregorio Magno

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mano Giovanni Immonide che, nella sua documentatissima Vita Gregorii redatta tra l’873 e l’876, ha elencato il personaggio nella ristretta cerchia dei quattro esponenti del clero più vicini al pontefice, specificando la sua carica e l’attività svolta di compilatore 35: Caeterum prudentissimus rector Gregorius, remotis a suo cubicolo saecularibus, clericorum sibi prudentissimos consiliarios familiaresque delegit, inter quos Petrum Diaconum coaetaneum suum, cum quo postea disputans, quatuor Dialogorum libros composuit; Aemilianum quoque notarium, qui quadraginta homilias Evangelii cum sociis suis excepit; Paterium aeque notarium, qui ab eo secundicerius factus, ex libris ipsius aliqua utillima defloravit; et Ioannem defensorem, qui eius iussu in Hispanias cognitor destinatus, Ianuarium episcopum civitatis Malacitanae, ab episcopis suis compatriotis depositum, sedi propriae restauravit, et depositores eius cum eo qui in locum eius obrepserat pari sententia condemnavit.

È opportuno mantenere ferma la consapevolezza che, per quanto a oggi non si siano individuati elementi che si oppongano a tale identificazione, essa può essere frutto di semplificazione (da parte di Giovanni), o di forzatura dei dati da parte di chi ha inserito il nome di Paterio (perché era evidentemente quello più noto o che più si prestava al caso) nella titolatura iniziale dell’archetipo della tradizione manoscritta. La collezione ha incontrato grande fortuna nel Medioevo, come testimoniano i circa centoventi manoscritti che, in parte o integralmente, l’hanno trasmessa. Anche a motivo della sua incompletezza, l’opera è andata soggetta a completamenti e interpolazioni. La sua originalità ne ha invece ispirato imitazioni e rifacimenti. Ne è derivata una considerevole circolazione di testi, talvolta anonimi, più o meno assimilabili alla sua struttura e alle sue caratteristiche, che ha generato non poca confusio35 Iohannes Hymmonides, Vita Gregorii 2, 11 (PL 75, col. 92a-b). Il gruppo dei confidenti si completa con sei monaci: Monachorum vero sanctissimos sibi familiares elegit, inter quos Maximianum, monasterii sui abbatem, quem postea Syracusis episcopum fecit, eique per Siciliam vices suas commisit; Augustinum eiusdem monasterii sui praepositum, et Mellitum, per quos Anglorum gentes ad Christianismi gratiam convocavit; Marinianum eiusdem monasterii sui monachum, quem in Ravennati metropoli episcopum consecravit; Probum, quem subito abbatem spiritu revelante constituens, pro construendo xenodochio Ierosolymam destinavit; simulque Claudium Classitanae civitatis abbatem, qui de Proverbiis, de Canticis canticorum, de Prophetis, de libris Regum, deque Heptateucho, papa disputante, multa, licet non eodem sensu, composuit, ibid. (col. 92b-c).

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I. Gregorio Magno, i notarii ecclesiae Romanae e Paterio 31

ne negli editori moderni che ne hanno voluto fornire una versione a stampa. La stessa edizione attualmente più diffusa e accessibile, quella allestita dai padri Maurini all’inizio del Settecento e poi rifluita nel volume 79 della Patrologia latina (d’ora in poi m), non può essere accostata senza avere preventiva consapevolezza delle mende che contiene, sia dal punto di vista strutturale che testuale. Per tale motivo nel presente volume le citazioni dirette dell’opera saranno normalmente riprese o comunque verificate da manoscritto, in particolare dai codici A ed F. Il prologo è stato completamente ricostruito sulla base di questi stessi testimoni e altri ritenuti significativi; le citazioni faranno pertanto riferimento alla versione del testo che si offre qui 36. Quanto alla numerazione dei paragrafi del florilegio, per esigenze pratiche si continuerà generalmente a far riferimento a quella di m, benché risulti gonfiata dall’inclusione di una grande quantità di interpolazioni. Per la sola sezione sul Cantico dei cantici, che nell’edizione a stampa presenta le maggiori discrepanze dalla versione attestata dalla tradizione manoscritta, si indicherà prima la numerazione ricavabile da quest’ultima, e a seguire, dove possibile, la corrispondenza con m.

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Alle pp. 192-199.

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I. Gregorio Magno, i notarii ecclesiae Romanae e Paterio 33

CAPITOLO SECONDO

L’ATTIVITÀ DEI NOTARII E IL SUO CONTESTO

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II.1. Exceptores e notarii La testimonianza del IX secolo di Giovanni Immonide relativa alla particolare familiarità del notarius ecclesiae Romanae Paterio con Gregorio Magno 1, per quanto non debba necessariamente essere presa alla lettera, poggia comunque su un dato ineludibile: un diretto collaboratore del papa ha avuto la possibilità di realizzare un’operazione di tipo letterario lavorando sugli esemplari delle opere da lui composte depositati nell’archivum Lateranense e addirittura sulle schedae papiracee contenenti le trascrizioni non riviste della sua predicazione omiletica – come nel caso del commento a Ezechiele. Ciò di fatto implica una certa confidenza, oltre che con i testi, anche con il loro autore. E inoltre implica notevoli competenze tecniche e culturali. L’eventualità che l’identità del collaboratore perda il carattere della genericità per definirsi con l’appartenenza a una delle categorie istituzionali dell’amministrazione ecclesiastica porta a chiedersi se sia possibile precisare meglio la natura e la dinamica della collaborazione, oltre che il contesto in cui ha avuto luogo, attraverso un’indagine sulle fonti relative alla Chiesa di Roma per il periodo in questione. Ciò non per ricostruire la storia dell’amministrazione ecclesiastica, e tantomeno quella della categoria dei notarii – impresa che andrebbe molto al di là delle ambizioni e delle finalità di questo volume –, ma per valutare semplicemente se la vicenda del personaggio che qui si prende in esame abbia dei precedenti o manifesti caratteri di eccezionalità, ed entro quali limiti. Si prescinderà dunque da qualsiasi tentativo di ricostruire o anche solo di descrivere il funzionamento dell’apparato amministrativo papale e porlo a confronto con quello imperiale, e si procederà a un semplice censimento dei notarii ecclesiae Romanae di cui sia attestato almeno il nome nelle fonti, per vagliare, se possibile, il tipo di attività da essi svolta. 1

Cf. paragrafo I.2., nota 35.

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Circa l’origine della cancelleria pontificia ci si limiterà soltanto a ricordare che essa si è sviluppata su imitazione di quella imperiale, da cui ha mutuato strutture, strumenti amministrativi e linguaggio  2. Se l’imitazione dello stile sarebbe avvertibile a partire da papa Siricio (384-399) 3, le testimonianze relative alla struttura dello scrinium, alle funzioni svolte e al personale impiegato giungono soltanto dai secoli successivi. È tuttavia fuor di dubbio che, così come avveniva in qualsiasi altra cancelleria, ecclesiastica o meno, fin dalle sue origini alcune figure specializzate si debbano essere occupate dell’attività di scrittura dei documenti, svolgendo la funzione di “notai” in senso etimologico, ossia di chi è in grado di stenografare quanto detto in circostanze pubbliche o appositamente dettato. Tuttavia il termine notarius che qualifica il personale della cancelleria pontificia nel Registrum di Gregorio Magno ha un senso più ampio, che indica, come già da alcuni secoli era avvenuto in ambito imperiale, anche un grado della carriera amministrativa. Una fonte particolarmente utile per comprendere l’evoluzione avvenuta, sia pure lontana cronologicamente e geograficamente dal nostro contesto, è costituita dagli atti del concilio di Cartagine del 411 tra cattolici e donatisti. Vi si possono osservare, compresenti, i diversi stadi dell’evoluzione del termine in relazione tanto all’ambito civile che ecclesiastico  4. Vi incontriamo anzitutto un vir clarissimus, tribunus et notarius Flavius Marcellinus, legato imperiale che ha il compito di sovrintendere il concilio stesso: il titolo di notarius non rimanda nel suo caso – e almeno in quella circostanza – ad alcun compito di scrittura. A tale scopo sono infatti reclutati quattro collaboratori occasionali i quali verbalizzano all’impronta i dibattimenti servendosi di segni tachigrafici, che in un secondo momento traslitterano «in apices evidentes» a beneficio di tutti i partecipanti. Il termine con il quale queste figure vengono ordinariamente definite negli atti stessi non è notarii, bensì exceptores 5. Al fine di disporre di più versioni delle discussioni e poter stabilire un verbale finale che non avvantaggi una parte rispetto all’al2 Per un inquadramento dello sviluppo della cancelleria pontificia rimando a De Rossi 1886; Bresslau 1998, passim; Arnaldi 1987; Noble 1998, in particolare pp. 203237; Recchia 1996. Per il pontificato gregoriano, Castaldi 2006. 3 Recchia 1996, p. 11. 4 Il caso è ampiamente illustrato da Teitler 1985. Per le funzioni dei notarii ecclesiastici, in particolare, cf. pp. 86-99. 5 I loro nomi sono Hilarus e Praetextatus, prestati a Marcellino dal proconsole della provincia d’Africa (Gesta conl. Carth. 1, 1, p. 54 ll. 13-15); Fabius, un exceptor del vicarius della diocesi d’Africa (ibid., ll. 15-16); Romolus, exceptor del legatus almae Karthaginis (ibid., ll. 16-17). I quattro sono dunque professionisti del mestiere, inquadrati ciascuno in un contesto amministrativo proprio.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 35

tra, ognuno dei due contendenti (Chiesa cattolica e donatista) dispone di propri rappresentanti che hanno il compito di registrare a loro volta le discussioni  6. Tali rappresentanti, a differenza del caso precedente, vengono detti notarii 7. L’apparente confusione e sovrapposizione delle denominazioni ha origine, come spiega Teitler 8, dal fatto che nell’ambito dell’amministrazione imperiale, a partire dal IV secolo, gli stenografi erano stati accorpati in una indipendente schola notariorum, ricevendo il rango di tribuni. Da allora il semplice tachigrafo civile non poteva più essere chiamato indifferentemente notarius ed exceptor (parole fino allora sinonime), ma solo exceptor, mentre il primo termine era stato riservato per i funzionari della schola. Nella differenziazione dei due termini l’uno avrebbe dunque assunto valore tecnico-amministrativo (notarius), l’altro avrebbe continuato a designare una funzione e un’abilità tecnica (exceptor). Viceversa, in ambito ecclesiastico il problema non si era ancora posto e notarius aveva un valore neutro 9. Le fonti relative alla Chiesa di Roma per quattro secoli non fanno riferimento a “notai” (nel senso generico di exceptores); ciò non ne esclude la presenza (indipendentemente dal termine con cui li si potesse designare) che anzi, come si è detto, era implicita nella stessa esistenza di una cancelleria. Quando nel V secolo finalmente si incontrano riferimenti individuali a notarii apostolicae sedis/Romanae ecclesiae, questi appaiono già invesititi di compiti amministrativi e diplomatici. In quel periodo deve aver avuto luogo l’evoluzione (che tuttavia deve essere ricostruita in gran parte per via induttiva) analoga a quella documentata per l’amministrazione imperiale. Il silenzio sui “notai” per l’epoca precedente può essere ricondotto al fatto che l’uso della cancelleria non prevedeva ancora la registrazione del nome dell’estensore di un documento ufficiale (epistula o constitutum che fosse), nonché, eventualmente, al ruolo subordinato e alla condizione sociale di chi era addetto a tale compito  10. Con l’estendersi delle incombenze Gesta conl. Carth. 1, 10. Due per la parte cattolica, Ianuarius e Vitalis (ibid., ll. 17-18), e due per quella donatista, Victor e Cresconius (ibid., ll. 18-19). 8 Teitler 1985, pp. 51-53. 9 Secondo la PCBE il riferimento più antico, per l’Italia, a un notaio ecclesiastico proviene da un’epigrafe di incerta datazione che rimanda a Brittius Dalmatius, notarius aeclisiae della Chiesa di Spoleto, l’iscrizione è collocabile tra 355/391 e 386/422, cf. PBCE, Italie, p. 529, Dalmatius 1 (fonte: CIL xi, 4970). 10 «I documenti pontifici del periodo più antico sembrano costituire una massa del tutto omogenea. La loro forma è uguale a quella dei documenti degli imperatori romani e delle autorità dello Stato romano, vale a dire è la forma della lettera (o epistula) (…) l’escatocollo consiste nella sottoscrizione autografa del papa, che però non fa menzione del suo nome ma contiene solo un augurio di buona salute rivolto al destinatario. Mai si 6

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All’ombra di Gregorio Magno

relative all’amministrazione della città e dei patrimoni territoriali distribuiti nella penisola e oltre, e di gestione dei rapporti politici con l’Impero e i regna, nonché delle questioni religiose a livello europeo, la Chiesa di Roma è stata costretta ad ampliare sempre più la quantità e l’ambito mansionistico del personale di cui la sua amministrazione era dotata, e i notarii ne hanno beneficiato attraverso l’acquisizione di maggiore visibilità, come dimostra la loro presenza sempre più insistente nelle fonti relative al VI secolo. D’altronde, forse, la stessa composizione sociale del gruppo è andata cambiando: il livello alto delle competenze richieste e la delicatezza degli incarichi, e il parallelo decadimento delle istituzioni civili devono aver reso l’ingresso negli apparati amministrativi della Chiesa uno sbocco professionale naturale per l’aristocrazia cittadina. L’acquisizione per i notarii del rango ufficiale all’interno della carriera amministrativa non pregiudica il mantenimento delle tradizionali mansioni implicate dal loro nome. È possibile tuttavia che tali mansioni, proprio a causa dell’aumentare e del diversificarsi dell’attività svolta dalla segreteria pontificia, siano divenute appannaggio di un sottogruppo specializzato o di pochi individui all’interno della categoria, come sarà il caso del personaggio di cui la presente ricerca principalmente si occupa. II.1.1. Attestazioni fra il IV secolo e l’inizio del VI Fatta questa premessa, sembra opportuno procedere con ordine nel rintracciare i singoli notarii attestati nelle fonti fino al tempo di Gregorio Magno: scorrendo alcuni repertori prosopografici 11 relativi all’epoca di cui si occupa, si ricava una trentina di nomi riferibili a notarii della Chiesa di Roma entro il 590. La menzione cronologicamente più remota comparirebbe nell’intestazione che accompagna parte della tradizione manoscritta di un’opera di Agostino, l’Enchiridion 12, trova la sottoscrizione di un cancelliere, quando viene menzionato il nome dello scrittore, cosa che si verifica raramente, ciò avviene nella frase finale del testo», Bresslau 1998, p. 72. 11 In particolare Santifaller 1940; PCBE. 12 CCSL 46. L’attestazione più antica è in Autun, Bibliothèque municipale, S 21 (20), ff. 151r-203v (sec. VIII; i primi 150 ff. contengono i Dialogi di Gregorio Magno), adoperato da Evans per l’edizione critica dell’opera. Così l’editore descrive il codice, sulla scorta, tra l’altro delle indicazioni del Lowe (CLA VI, 719): Franciae ut videtur septentrionalis parte orientali saeculo VIII litteris quae vocantur langobardicis conscriptus et in ecclesia cathedrali Augustodunensi diu conservatus, Gregorii Dialogos continet et Augustini Enchiridion. Litteris uncialibus partim rubricatis haec habet: in nomine di patris

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 37

dove si legge che l’opera sarebbe stata dedicata al primicerius notariorum Laurentius. La formula tuttavia deriva dalla confusione tra il presbitero romano Lorenzo  13 (effettivo dedicatario dell’opera) e suo fratello, il vir spectabilis tribunus et notarius Dulcitius  14 (dunque un funzionario dell’amministrazione imperiale, come il Flavio Marcellino già incontrato, e come lui impegnato nella questione donatista), corrispondente di Agostino. L’indicazione è doppiamente fuorviante: non solo perché intrinsecamente erronea, ma anche perché implica l’esistenza di una figura sovraordinata alla categoria dei notai, il primicerio, che le fonti attesteranno soltanto un secolo più tardi 15. Alcune lettere di papa Bonifacio I (418-422) dell’inizio di marzo del 422  16 ci offrono invece la prima testimonianza attendibile, in quanto menzionano un Severus, apostolicae sedis notarius, come latore delle lettere stesse a Rufo di Tessalonica e ad altri vescovi dell’Illirico: Severo è citato attraverso una formula che esprime l’autorità conferitagli dal papa di rappresentarlo e sottolinea l’opportunità che il legato sia quanto prima lasciato rientrare a Roma per relazionare sull’esito della missione 17. Pochi anni dopo, in un documento datato 31 luglio 431, incontriamo un Siricio, νοτάριος τῆς ἁγίας καθολικῆς ἐκκλησίας πόλεως Ῥωμαίων, nella delegazione mandata da papa Celestino al Concilio di Efeso del 431 18. La delegazione è composta dai vescovi Arcadio e Proiecto e dal presbitero Filippo, che gli atti conciliari citano a più riprese. Il notarius Siricio, quarto et filii et sps sci | incipit sci avgvstini episc ad lavrent

| primariv notatiorv vrbis | liber Praefatio, p. 27. La lezione primarium è senz’altro corruzione di primicerium, ben attestato in altri manoscritti; d’altronde la scrittura del codice è ricchissima di errori, che testimoniano non solo la scarsa conoscenza del latino dal parte del copista, ma anche la poca affidabilità dell’antigrafo. La datazione alta del codice smentisce l’impressione dei Maurini che il riferimento alla carica notarile si trovasse solo in codici recentiores (cf. Admonitio premessa all’edizione dei Maurini, PL 40, col. 230). Cf. anche Catalogue des manuscrits conservés à Autun, pp. 89-90. 13 PCBE, Afrique, p. 629, Laurentius 2; PCBE, Italie, Laurentius 8, p. 1236. 14 PLRE ii, p. 381, Dulcitius 1; PCBE, Afrique, pp. 330-333, Dulcitius 2. 15 Entro il 526, con Bonifacio (PBCE, Italie, p. 331, Bonifatius 19), cf. avanti, pp. 46-49. 16 Bonifacius I, Ep. 13 (PL 20, coll. 774-777), 14 (coll. 777-779) e 15 (coll. 779-784). 17 Ibid. 13, 5: Tuae charitatis est Severum apostolicae sedis notarium, animis acceptissimum nostris, de nostro proprio latere destinatum, peractis omnibus, tota celeritate dimittere; ut gestarum ordinem rerum, eodem festinius revertente, noscamus (PL 20, col. 777a), cf. ibid. 15, 7. La formula de/ex latere ritorna in riferimento agli ambasciatori (tra i quali anche un notarius) inviati da Leone I al secondo concilio di Efeso, del 449 (cf. nota 20). 18 PCBE, 2, Italie, p. 2087, siricius1 4, cf. Gesta Ephesena i, Coll. Vatic. 106, 5 (ACO I, 1, 3, p. 54 ll. 18-19) [= Ibid. Coll. Casinensis pars prior 35, 5 (ACO I, 3, p. 93 l. 20)]. enchiridion | de fide et spe et caritate,

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componente, compare in una sola circostanza, quando dà lettura ad alta voce della lettera indirizzata da Celestino all’assemblea. Un caso analogo si riscontra in occasione del secondo concilio di Efeso, del 449. I legati papali (il pontefice è ora Leone I) sono nuovamente quattro: tre alti ecclesiastici (il vescovo Giulio, il presbitero Renato e il diacono Ilaro, futuro pontefice), e un segretario, il notarius Dulcizio  19. Che il ruolo di quest’ultimo sia subalterno a quello degli altri è indicato dal fatto che il suo nome compare soltanto in due delle lettere affidate loro da Leone, rigorosamente in ultima posizione e accompagnato da una formula che ne attesta la fides 20: fratres nostros Iulium episcopum et Renatum presbyterum tituli sancti Clementis, sed et filium meum Hilarum diaconum vice nostra direximus, quibus Dulcitium notarium nostrum, cum nobis fides est probata, sociavimus.

Tale precisazione va forse intesa quale formale giustificazione da parte del papa per la presenza, nella delegazione, di un esponente dell’amministrazione, non appartenente ai sacri ordines. Evidentemente connaturata nella carica è invece l’ortodossia degli altri rappresentanti, che non viene ulteriormente sottolineata. Conferma il basso rango del notarius il fatto che nella lista delle presenze alla prima seduta del concilio il suo nome sia registrato in fondo, al centotrentasettesimo posto (a meno che non si tratti di un’aggiunta posteriore nella tradizione del testo) 21. Dagli ultimi casi considerati intuiamo che i notarii erano aggregati alle delegazioni romane con funzioni di supporto tecnico, vale a dire come lettori e tachigrafi. PCBE, 2, Italie, pp. 606-607, Dulcitius 3. Conc. univ. Chalced., Coll. Novar. de re Euthychis 5 (ACO II, 2, 1, p. 33 ll. 4-7) il documento in questione è il cosiddetto Tomus I ad Flavianum; cf. inoltre Leo I, Ep. 33 - Coll. Grimanica 12: fratres nostros Iulium episcopum Renatum presbyterum et filium meum Hilarum diaconum cumque his Dulcitium notarium probatae nobis fidei misi (ACO II, 4, p. 15 ll. 12-13). Il nome dei tre ecclesiastici compare anche in almeno altre due lettere: Leo I, Ep. 29 - Coll. Grimanica 7 (ACO II, 4, p. 9 ll. 25-26); Id., Ep. 30 - Coll. Grimanica 8, 4 (ACO II, 4, p. 11 ll. 6-7); Id., Ep. 34 - Coll. Grimanica 13 (ACO II, 4, p. 16 ll. 33-34), notare, in quest’ultima, la formula «ex latere meo vice mea misi» (l. 34), che era stata usata da Bonifacio I riguardo il notarius Severo (cf. nota 17). Un riferimento al notarius ritorna anche nel resoconto del concilio presente nei Gesta de nomine Acaci: interfuerunt etiam vicarii ab apostolica sede directi Iulius Puteolanus episcopus, Hilarus archidiaconus urbis, quia presbyter Renatus in Adelo insula morte praeventus est. adfuit etiam Dulcitius notarius ecclesiae, Coll. Avel. 99, 6, p. 442 ll. 2-5. 21 Conc. univ. Chalced., Gesta actionis primae, 78 (ACO II, 1, 1, p. 82 l. 6 = ACO II, 3, 1, p. 57 l, l. 18). 19 20

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 39

Parte della tradizione manoscritta del primo dei documenti leonini menzionati – il cosiddetto Tomus i ad Flavianum, che contiene la compiuta espressione della cristologia leonina in opposizione al monofisismo 22 – riporta in forma di nota un riferimento alla funzione dei notarii quali gestori ufficiali della corrispondenza dello scrinium papale: Tiburtius notarius iussu domini mei venerabilis papae Leonis edidi 23. Può essere interpretato come una autenticazione del testo della lettera e comunque come una formula relativa alla sua pubblicazione e diffusione 24. La funzione del notarius sembra sia quella di dare sanzione di ufficialità al documento, quale atto effettivamente proveniente dalla cancelleria del papa. Il confronto con analoghe formule presenti in documenti cronologicamente prossimi – anche se pertinenti a pontificati successivi –, che di seguito si passeranno in rassegna 25, suggerisce altresì che il verbo sottintenda lo stesso processo di redazione dell’atto. Al ritorno dell’ambasceria a Roma, Leone invia a Costantinopoli le sue proteste sull’esito del concilio attraverso il tribunus imperiale Epifanio accompagnato da un nuovo notarius, Dionisio 26. Il suo nome compare soltanto nell’epistola indirizzata ai cittadini di Costantinopoli, che si colloca probabilmente entro il mese di dicembre del 449 27, ma a lui è verosimilmente affidato l’intero gruppo di lettere datate 13 ottobre. Entro la fine del V secolo abbiamo altre notizie che rimandano a notarii, che appaiono investiti di responsabilità analoghe a quelle già viste. Prima fra queste la pubblica lettura, come nel caso di Paolino/Paolo, che compare negli atti del sinodo tenuto in Santa Maria Maggiore nel 465 sotto papa Ilaro (461-468) quale lettore del rapporto presentato a Roma da Ascanio, vescovo di Terragona 28; analogo il caso di Emiliano, che legge i decreti sinodali al concilio di Roma convocato da Simmaco

Conc. univ. Chalced., Coll. Novar. de re Euthychis 5 (ACO II, 2, 1, pp. 24-33). PCBE, 2, Italie, p. 2198, Tiburtius 1. Cf. Conc. univ. Chalced., Coll. Novar. de re Euthychis 5 (ACO II, 2, 1, p. 33 l. 3). Sui significati di edere, anche in associazione all’allestimento e alla pubblicazione dei prodotti scrittori, cf. Arns 1953, pp. 81-92. 24 Secondo Silva-Tarouca 1932, pp. 75-78, la formula costituisce l’autenticazione apposta dal notarius Tiburzio (probabilmente capo della cancelleria) sulla copia pulita del protocollo stenografico redatto materialmente non da lui stesso ma da altri scribi. Costituirebbe prova di ciò la nota Et alia manu che nella tradizione manoscritta (il codice di Novara 30) precede la subscriptio in questione, che dipenderebbe dal fatto che chi ha letto a posteriori il documento avrebbe notato il cambiamento di mano fra il testo e subscriptio e lo avrebbe segnalato. 25 Cf. note 30, 44, 45. 26 PCBE 2, Italie, pp. 565-566, Dionysius 2. 27 Leo 1, Ep. 59 - Coll. Grimanica 34 (ACO ii, 4, p. 34 ll. 12-13). 28 Hilarus, Ep. 15, 5, 7-9, pp. 162-163. PCBE 2, Italie, p. 1675, paulus1 19. 22 23

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(498-514) in San Pietro il 1° marzo 499 29. In secondo luogo l’“edizione” di documenti pontifici, come è testimoniato per Sisto, che autentica il verbale del sinodo tenuto in San Pietro il 13 maggio del 495, sotto Gelasio I (492-496): Sixtus notarius sanctae ecclesiae Romanae iussu domni mei beatissimi papae Gelasi ex scrinio edidi die tertio Id. Maii Flavio Viatore v. c. cons. 30. Le testimonianze epigrafiche coeve forniscono ulteriori nomi, ma aggiungono poche informazioni circa le responsabilità ricoperte: di un notarius Andrea si conosce solo l’età 31; di Mena che sarebbe stato padre di una bambina morta a tre anni 32; di Vittoriano il solo nome 33. Una lapide proveniente dal portico di San Pietro 34 testimonia la sepoltura comune di due notarii ecclesiae romanae, Dulcizio ed Eutiche 35, il primo dei quali è forse da identificare con il componente della delegazione papale al secondo concilio di Efeso 36.

Acta syn. rom. a. 499 3: Aemilianus notarius synodi decreta vulgavit, p. 493 ll. 23-24 = Symmachus, Ep. 1, 2, 4, p. 645. Cf. PCBE, 2, Italie, pp. 32-33, Aemilianus 1. 30 Gesta de absol. Miseni 3, p. 487 ll. 7-9. Si noti che la formula è analoga a quella che compare in fondo al Tomus i ad Flavianum, redatto da Tiburzio, cf. sopra, nota 23. Cf. PCBE, 2, Italie, p. 2091, sixtus 3. 31 ICUR NS ii, 5004: (hic r)eqviescit andreas notar · qvi vixit (p.m. a)nn · xxv · depositvs in pace svb die …t venantio vc · cons Si tratta di una lapide rinvenuta in San Paolo fuori le mura, cf. PCBE, 2, Italie, p. 126, Andreas 1. Si colloca tra il 453 e il 508, a seconda di chi sia da riconoscere nel console Venanzio. 32 ICUR NS II, 5182: hic reqvie(scit in pace) thalassia filia menae n(otarii scae ecc)lesia(e) romanae (qui vixit a)nnos tres mense vnvm (dies sept)em Anche questa proveniente da San Paolo fuori le mura, cf. PCBE 2, Italie, p. 1495, Mena 1. Si colloca entro il V secolo. 33 ICUR NS IV, 11461: (loc)vs victoriani nota(rii) dal Cimitero di Callisto, cf. PCBE 2, Italie, p. 2288, Victorianus 1. 34 ICUR NS II, 4202. 35 PCBE 2, Italie, p. 721, Euthiches. 36 Lo spazio destinato alla loro sepoltura (loc[us]… q[uem] c[om]p[a]r[a]b[e] r[unt]) sarebbe stato già appartenente al suddiacono Pietro, come si evince dalla linea aggiunta sopra all’iscrizione originaria: loc · dvlciti · et · evtichitis · not · eccl · rom · q ·c·p·r·b·r † locvs · petri · svbdiaconi · sancte ecclesiae · romane · reg · primae qvem · conparavit · se · bivvm 29

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 41

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Fin qui non sono emersi elementi che rivelino se al personale ecclesiastico amministrativo fosse richiesto l’ingresso negli ordini minori. Può far luce sulla questione una lettera di Gelasio indirizzata ai vescovi dell’Italia meridionale dove il pontefice traccia un percorso della carriera ecclesiastica – per chi vi aspiri e possieda gli opportuni requisiti – a tappe rapide, con restringimenti degli intervalli temporali rispetto alle consuetudini dovuti alle contingenti necessità di ricostituire i ranghi ecclesiastici che in molte parti d’Italia erano stati spogliati da guerre e carestia 37. Nel percorso delineato, che in pratica nel giro di un anno può condurre al presbiterato, il ruolo amministrativo dei notai e dei difensori viene assimilato all’ordo dei lettori, subito dopo quello degli ostiari e prima degli accoliti 38: ut si quis etiam de religioso proposito, et disciplinis monasterialibus eruditus, ad clericale munus accedit, imprimis eius vita praeteritis acta temporibus inquiratur: si nullo gravi facinore probatur infectus, si secundam non habuit fortassis uxorem, nec a marito relictam sortitus ostenditur; si poenitentiam publicam fortassis non gessit, nec ulla corporis parte vitiatus apparet; si servilis aut originariae non est conditioni obnoxius; si curiae iam probatur nexibus absolutus; si assecutus est litteras, sine quibus vix fortassis ostiarium possit implere: ut si his omnibus quae sunt praedicta fulcitur, continuo lector vel notarius aut certe defensor effectus, post tres menses exsistat acolythus, maxime si huic aetas etiam suffragatur; sexto mense subdiaconi nomen accipiat; ac si modestae conversationis honestaeque voluntatis exsistit, nono mense diaconus completoque anno sit presbyter: cui tamen, quod annorum interstitia fuerant collatura, sancti propositi sponte suscepta doceatur praestitisse devotio.

Il passo è interessante perché fornisce un termine di paragone, attraverso un testo istituzionale di tipo normativo, rispetto alla situazione che si troverà testimoniata un cinquantennio più tardi con l’assimilazione dei notarii alla dignità dei suddiaconi, cioè del più basso dei sacri ordines. L’appartenenza agli ordini minori, va detto, non contrasta con le testimonianze epigrafiche fin qui censite in cui si è visto

Gelasius, Ep. 14, 1, 1 (p. 362). Problemi analoghi di carenza di organico dovette affrontare anche Gregorio, cui in alcuni casi rispose ricorrendo alla prassi (peraltro esecrata) della promotio per saltum, ossia dell’elezione diretta a una carica alta che salta il passaggio per gli ordines precedenti, cf. P. Pellegrini 2008, pp. 113114. 38 Gelasius, Ep. 14, 2, 2 (pp. 362-363). 37

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che Mena avrebbe avuto una figlia, poiché sotto al grado di suddiacono non era richiesto l’impegno alla castità 39. Già dai primi decenni VI secolo il panorama di personaggi e funzioni si arricchisce notevolmente, come si evince dal dossier di testimonianze conservate nelle fonti relative al pontificato di Ormisda (514-523). Nel 515 il notarius Ilaro accompagna a Costantinopoli la delegazione composta da due vescovi (Ennodio di Pavia e Fortunato di Catania), un presbitero (Venanzio) e un diacono (Vitale) 40, inviata presso l’imperatore Anastasio nel tentativo di risolvere lo scisma acaciano. I cinque sono elencati in ordine gerarchico, ripetuto senza omissioni anche nei riferimenti all’ambasceria presenti nella corrispondenza indirizzata a Ormisda 41. Tra i documenti preparati dal pontefice per l’occasione c’è anche un indiculus che prescrive dettagliatamente il comportamento che i cinque avrebbero dovuto tenere  42, integrato da un libellus contenente la professione di retta fede che tanto l’imperatore che vescovi scismatici avrebbero dovuto accettare per pacificarsi con Roma  43. Secondo le istruzioni che vi troviamo premesse, l’uno e gli altri avrebbero dovuto rilasciare attestazione scritta della sottomissione; i vescovi in particolare avrebbero dovuto «riscrivere di proprio pugno» le formule così come il papa le aveva prodotte «attraverso i notai» 44: Ut santa synodus Calcedonensis et epistolae sancti papae Leonis serventur. atque clementissimus imperator consentiens debet pie39 Cf. sopra, nota 32. Sulla prescrizione dell’astinenza sessuale per i suddiaconi cf. avanti, nota 205. 40 Cf. PCBE 2, Italie, p. 996, Hilarus 10. Coll. Avel. 115, 12: suscipite preces nostras per Ennodium atque Fortunatum fratres et coepiscopos nostros nec non Venantium presbyterum atque Vitalem diaconum vel Hilarum notarium filios nostros, quorum apud nos fides in dei timore studiumque perclaruit, p. 513 ll. 5-8 = Hormisdas, Ep. 9, 3, p. 758. A differenza di Leone I (cf. sopra, nota 20), Ormisda certifica l’ortodossia di tutti i componenti della delegazione. 41 Cf. la lettera dell’imperatore Anastasio del 16 luglio 516: Gratias omnipotenti deo referimus, quod sanctitas vestra disciplinis coelestibus instituta, sicut poposcimus, legatos fidei Ennodium et Fortunatum venerabiles episcopos sed etiam viros religiosos Venantium presbyterum, Vitalem diaconum et Hilarum notarium, quales poscebat causae sublimitas, destinavit, Coll. Avel. 125, p. 537 ll. 16-20 = Hormisdas, Ep. 10, p. 761; e la Relatio synodi Epiri vet., 2: plurimi namque ex nobis in regnante fuere Constantinopoli, cum vestri sanctissimi vicarii Ennodius et Fortunatus episcopi, Venantius presbyter, Vitalis diaconus, Hilarus notarius degerent, pietatis agona susceptum tenentes, p. 527 ll. 4-7 = Hormisdas, Ep. 16, pp. 772-773. 42 Coll. Avel. 116, pp. 513-519 = Hormisdas, Ep. 7, pp. 748-754. 43 Coll. Avel. 116b, pp. 520-522 = Hormisdas, Ep. 7, 9, pp. 754-755. 44 Coll. Avel. 116a, 1, pp. 519 ll. 23-24; 520 ll. 1-5, 11-13 = Hormisdas, Ep. 7, 1-7, pp. 748-754.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 43

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tatis suae sacra generalia ad universos episcopos destinare, in quibus significet supra dicta se et credere et vindicare; consentientes etiam episcopi in ecclesia praesente plebe Christiana haec praedicare debent: amplecti se sanctam synodum Calcedonensem et epistolas sanctissimi papae Leonis, quas scripsit contra haereticos Nestorium et Eutychen (…). haec manu propria praesentibus electis viris venerabilibus scribentes faciunt secundum textum libelli, quem per notarios nostros edidimus.

La formula finale rievoca quelle incontrate per i casi dei notarii Tiburzio e Sisto. Ormisda fa riferimento, verosimilmente, tanto alla pubblicazione del libello, autenticata dai funzionari della cancelleria, quanto al suo materiale allestimento, realizzato al suo posto (eventualmente sotto sua dettatura) dallo stesso personale apposito. Ci si chiede se si debba cogliere una accezione polemica nella formula usata, che sembra contrapporre la modalità redazionale manu propria (riservata ai vescovi) e quella per notarios (adottata dal papa), e che potrebbe implicare una possibile allusione all’umiliazione, intrinseca nell’atto stesso della redazione autografa di un documento, con la quale il pontefice intendeva sanzionare la colpa dei vescovi eretici. Un richiamo a questo passaggio si ha nella lettera con cui lo stesso Ormisda, due anni più tardi, invia il libellus all’episcopato spagnolo perché a sua volta lo sottoscriva: esso è preceduto da una glossa secondo cui il notaio Bonifacio avrebbe prodotto le copie «dallo» scrinium ecclesiastico: Bonifacius notarius sanctae ecclesiae Romanae ex scrinio edidit exemplaria libellum [-i ?]  45. La frase, nonostante le difficoltà grammaticali (per cui si rimanda all’apparato critico del Thiel) 46 sembra offrirci una precisazione rispetto a quella precedentemente censita (textum libelli, quem per notarios nostros edidimus), indicando chi sia stato il responsabile della composizione/pubblicazione delle copie del documento. Scrinium andrebbe intepretato come “cancelleria” dove sarebbero state redatte le copie (analogamente a casi precedenti), non come “archivio” (in questo caso il libellus sarebbe stato semplicemente “recuperato”, possibilità che tuttavia non è da escludere). Hormisdas, Ep. 26, p. 795. Cf. le spiegazioni offerte dal Thiel (su cui non è possibile soffermarsi in questa sede) secondo il quale il plurale exemplaria indicherebbe non più copie dello stesso documento, ma distinti documenti (oltre al libellus fidei) che sarebbero stati oggetto dell’invio agli spagnoli. In questo caso non si comprende la presenza del termine «libellum» al singolare, a meno di non interpretarlo come corruzione di «libellorum», ma il libellus qui è per antonomasia il documento contenente la formula di fede di Ormisda. 45

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È interessante aggiungere che della prima ambasceria di Ormisda ad Anastasio di Costantinopoli parla anche il Liber Pontificalis, dove viene ripetuta la lista dei cinque componenti 47. Il processo di soluzione dello scisma acaciano ha comportato l’invio di ulteriori ambascerie da parte di Ormisda, nelle cui rispettive compagini hanno figurato dei notarii. Una di esse è formata dai vescovi Germano di Capua e Giovanni (la cui sede non è specificata), i diaconi Felice e Dioscoro, il presbitero Blando e il notarius Pietro. In una lettera dell’inizio di marzo del 519 la delegazione riferisce a Ormisda della sottomissione di Troilo, vescovo di Scampa nell’Epirus Nova 48: antequam nos ingrederemur in civitatem ipsam, venerabilis Troilus episcopus cum suo clero vel plebe in occursum nobis egressus est (…). nobis praesentibus vel suo clero et nobilibus viris ipsius civitatis libellum scripsit. porrigit: suscepimus et praesenti omni clero vel plebe in gradu a servo vestro Petro notario sanctae ecclesiae Romanae est relectus. erat conventus in basilica sancti Petri.

Il testo critico del Günther è perfettamente coerente con le disposizioni fornite da Ormisda in allegato al primo invio del libellus nel 515 dove si prescriveva ai vescovi scismatici di scribere manu propria il libellus, e ciò avrebbe dovuto aver luogo in ecclesia praesente plebe Christiana  49. In apparato, rispetto a «scripsit. porrigit», compare la variante «subscribit porrexit», che è quella accolta nel testo dell’edizione del Thiel, e implicherebbe che il vescovo non avrebbe riscritto il libello di suo pugno, come originariamente si richiedeva, ma soltanto apposto la sottoscrizione a una copia già redatta dalla segreteria papale. Se quest’ultima possibilità appare più credibile quanto a intrinseca praticità, tuttavia il parallelo con il citato documento di Ormisda giustifica ampiamente la scelta del Günter.

47 Il passo corrispondente nella cosiddetta Epitome Feliciana del Liber Pontificalis, invece, omette il nome del notarius. Se ne tratterà più diffusamente in II.3., nota 243. Liber pont. 54: Sub Iohanne episcopo Constantinopolitano, cum consilio regis Theodorici, direxit Ennodium episcopum Ticinensem, et Fortunatum, episcopum Catinensem, et Venantium, presbiterum urbis Romae, et Vitalem, diaconum sedis apostolicae, et Hilarum, notarium sedis suprascriptae. Euntes ad Anastasium Augustum, nihil egerunt, p. 269 ll. 7-10. Abr. Félicien 54: Hic papa perrexit ad regem Theodericum Ravennam et ex consilio regis direxit Ennodio episcopo Ticinense et Fortunato episcopo Cathenense et Evantium presbiterum urbis et Vitalem diaconum urbis: euntes ad Anastasio Aug., ut sub libelli satisfactione revocarentur, nihil egerunt, p. 100 ll. 1-7. 48 Coll. Avel. 213, 2-3, pp. 671 ll. 18-20, 22-23; 672 ll. 1-3 = Hormisdas, Ep. 59, 2, p. 850. 49 Cf. sopra, nota 44.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 45

La presenza del notarius Pietro  50 presso l’ambasceria è riportata anche dal Liber Pontificalis 51. Quanto alla sua funzione si può immaginare che fosse di natura puramente tecnica, di amanuense e lettore; la mancanza della trascrizione del testo esatto della formula di pentimento non permette di valutare se il suo nome fosse o meno chiamato in causa in qualità di estensore e garante ufficiale dell’autenticità dei fatti dichiarati 52.

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In una lettera di Ormisda datata 3 dicembre 519 e indirizzata ai vescovi dell’Illiria Tommaso e Nicostrato, in esilio per la loro fedeltà a Calcedonia 53, è citato il notarius Mena 54: Animum nostrum pro negotio vestro otiosum aut desidem non putetis, nam non aliter de vestra fatigatione quam de propria cogitamus. Mena siquidem ecclesiae nostrae notario insinuante cognovimus caritem vestram adhuc observationum molestias sustinere et ideo, ut istis adversitatibus deus omnipotens dignetur praestare remedium, tam ad Iohannem fratrem et coepiscopum nostrum scripta direximus quam filio nostro Dioscoro diacono per litteras nostras iniunximus, ut domno et filio nostro Iustino principi necessitatem et causam vestrae dilectionis insinuet et instanter agat, quatenus desideriis vestris dominus noster congruum praestare dignetur effectum.

Per quanto incidentale sia il riferimento, esso implica, per il notarius, delle responsabilità di tipo diplomatico: è sulla base della sua relazione al pontefice infatti che si basano i provvedimenti successivi, Cf. PCBE 2, Italie, p. 1750, Petrus 46. Anche in questo caso l’Epitome Feliciana ignora il dettaglio. Liber Pont. 54, 5: Tunc Hormisda episcopus cum consilio regis Theodorici direxit a sedem apostolicam Germanum, Capuanum episcopum, et Iohannem et Blandum presbiteros et Felicem et Dioscorum, diacones sedis apostolicae, et Petrum notarium. quos monitos ex omni parte fidei, et textum libelli paenitentiae, p. 270 ll. 6-9. Abr. Félicien 54: Et direxit Germanum episcopum Capuano et Iohanne episcopo et Blando presbitero et Felicem diaconum sedis apostolicae et Dioscorum diaconum sedis suscepit, quos munitus ex omni parte fidei una cum libello, quomodo redirent Greci ad communione sedis apostolice, pp. 100 ll. 32-33 e 102 ll. 1-4. Cf. II.3., nota 243. 52 Questa funzione sarà attestata chiaramente nella formula contenuta nel Libellus che, alla morte dell’antipapa Dioscoro, i sessanta presbiteri scismatici sottoscriveranno a propria discolpa, cf. avanti, nota 67. In entrambi i casi, va sottolineato, si tratta di documenti non emanati direttamente dallo scrinium pontificio. 53 Coll. Avel. 172, 1-2, pp. 628 ll. 17-24; 629 ll. 1-4 = Hormisdas, Ep. 107, p. 908. Notare che lo scisma acaciano si era già ricomposto da mesi, con l’accettazione della formula di fede proposta da Ormisda da parte del patriarca Giovanni di Costantinopoli il 28 marzo del 519 (Coll. Avel. 159, pp. 607-610 = Hormisdas, Ep. 61, pp. 852-854). 54 Cf. cf. PCBE 2, Italie, Menas 1, pp. 1496-1497. 50 51

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vale a dire l’intervento presso il vescovo Giovanni di Costantinopoli e l’imperatore Giustino per perorare la causa dei due vescovi esiliati. Lo stesso personaggio si incontrerà nuovamente nelle fonti relative al concilio tenuto a Costantinopoli nel 536 55.

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II.1.2. Il primicerius Bonifacio Sotto Giovanni I (523-526) troviamo per la prima volta riferita a dei notai della Chiesa di Roma la nomenclatura relativa a una loro organizzazione gerarchica, vale a dire le qualifiche di primicerius e secundicerius notariorum, associate, rispettivamente, ai nomi di Bonifacio  56 e Bono  57. I due personaggi risultano in modo esplicito assegnatari, nel 526, di un compito del tutto originale rispetto alla casistica fin qui incontrata, in quanto viene loro chiesto di indagare sul computo da adottare per determinare la data corretta della successiva Pasqua  58. La delicatezza dell’incarico si evince dalla considerazione che il medesimo problema aveva fornito, nel 501, il pretesto per l’apertura dello scisma laurenziano, nel quale erano venuti allo scontro i due opposti orientamenti presenti nel clero romano, quello di completa opposizione all’Oriente (in coerenza con la scelta di Felice III che nel 484 aveva scomunicato Acacio) e la linea della riconciliazione. A quel tempo Simmaco, con atto di significato politico prima che liturgico, aveva optato per il ciclo romano (che fissava il giorno al 25 marzo), rifiutando il computo greco (22 aprile), benché questo fosse tradizionalmente accettato anche in Occidente. Nel corso della disputa che per cinque anni avrebbe diviso il clero e il popolo di Roma, tra i sostenitori dell’antipapa Lorenzo deve aver avuto un ruolo non secondario un diacono Giovanni che conosciamo dal documento con cui, nel settembre 506, riconobbe ufficialmente la propria colpa e si sottomise a Simmaco 59. Se questo perCf. avanti, nota 69. Cf. PCBE 2, Italie, p. 331, Bonifacius 19. 57 Cf. PCBE 2, Italie, p. 347, Bonus 3. Di poco posteriore alla testimonianza relativa a Bonifacio e Bono è quella che si ricava dal constitutum di Felice IV riportato da Agnello Ravennate all’interno della biografia di Ecclesio. Nel passaggio dedicato ai notarii il pontefice li elenca secondo il grado: Notarii vero iuxta ordinem matriculae, primicerii, secundicerii, tercius, quartus, quintus, sextus et septimus (…), Agnellus Ravennas, Liber pont. 60, p. 229 ll. 135-136. Il modello che Felice indica è dunque quello della schola notariorum, evidentemente già esistente a Roma. 58 Sardella 2000a, p. 485. Sul computo pasquale cf. Loi - Amata 2006. Cf. la ricostruzione della vicenda e i suoi riflessi sulla redazione delle diverse recensioni del Liber Pontificalis in Duchesne 1981, pp. lxiii-lxiv. 59 Symmachus, Ep. 8, p. 697. 55 56

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 47

sonaggio fosse da identificare, come si ipotizza 60, con l’omonimo papa eletto nel 523, se ne potrebbe dedurre che il suo interesse per la questione del computo pasquale e la conseguente richiesta a Bonifacio si riallacciavano appunto a quel conflitto tra orientamenti ideologici filo- e antiorientali che aveva avuto apice nello scisma laurenziano, e rappresentavano la volontà di tornare sull’annosa questione per risolverla, anche sulla base dei nuovi strumenti cronologici approntati proprio in quegli anni da Dionigi il Piccolo. Di qui l’importanza della documentazione relativa alla questione trattata da Bonifacio e Bono. Da quanto possiamo ricostruire della vicenda, i due funzionari si sarebbero rivolti proprio a Dionigi, la cui risposta, che argomentava la validità del computo alessandrino (al quale indicava di attenersi), sarebbe stata girata al pontefice, non è noto con quale influenza sulle decisioni finali. Si conserva la lettera di Dionigi con il computo pasquale, indirizzata congiuntamente a Bonifacio e Bono  61, e il rapporto a Giovanni I 62 redatto a nome del solo primicerio Bonifacio, che non fa menzione della sua fonte di informazioni 63. Non si hanno invece documenti relativi alla iniziale richiesta fatta a Dionigi. Un aspetto interessante di questo pur minimo carteggio sembra consistere nella modalità formale (si direbbe “burocratica”) con cui viene trattato il problema (non è il papa a formulare la richiesta a Dionigi, pur essendo quest’ultimo un interlocutore autorevole, e il suo nome viene del tutto omesso dal rapporto conclusivo). Ciò sta forse a indicare non solo un grado elevato di burocratizzazione raggiunto dalla struttura segretariale ecclesiastica, ma anche l’acquisione di una certa autonomia dal vertice da parte di quest’ultima. Per il resto, va sottolineato il notevole livello culturale che dimostra il primicerio nel trattare la materia.

Cf. Sardella 2000a, p, 483-484. PL 67, coll. 23-28 e 513-520. Dionysius Exiguus, Ep. ad Bonifacium (inc. Reverentiae [aliter: Observantiae] paschalis regulam): Dominis a me plurimum venerandis, Bonifatio primicerio notariorum, et Bono secundicerio Dionysius Exiguus, p. 82 ll. 1-2. Nella lettera Dionigi fa riferimento anche agli scripta sulla questione del computo pasquale del vescovo Pascasino di Lilibeo, provenienti de archivio Romanae ecclesiae, testimonianza della funzione di conservazione svolta, tra l’altro, dallo scrinium pontificio. 62 Bonifatius primicerius notariorum, Suggestio Bonifati. Krusch offre solo la prima parte del documento. Cf. anche Krusch 1884. 63 Quia dignata est beatitudo vestra praecipere, ut, quota luna sit diei festi pascalis, inquirerem et rationem rei huius breviter intimarem, mox iussionibus venerandis obtemperans, cum his quibus lunaris cursus aliqua videtur inesse notitia, id quod quaesitum est investigare curavi, ibid., p. 56. 60 61

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Ci si può chiedere se Bonifacio sia lo stesso personaggio che sette anni prima aveva fornito ex scrinio i documenti che Ormisda aveva inviato ai vescovi spagnoli 64, e, soprattutto, lo stesso che quattro anni più tardi sarebbe diventato papa, ossia Bonifacio II, che al momento della sua designazione da parte di Felice IV era archidiaconus e aveva prestato attività nella Chiesa romana ab ineunte aetate sua 65. L’insolita modalità della designazione diretta del successore adottata da Felice IV a beneficio di Bonifacio ha dato origine a un nuovo breve scisma a Roma e alla parallela elezione di Dioscoro  66, arcidiacono della Chiesa di Alessandria e già uomo di fiducia di Simmaco e Ormisda, sostenuto da almeno sessanta presbiteri e da una parte del senato. Il dettaglio relativo al numero dei sostenitori di Dioscoro si ricava dalla ritrattazione pubblica che Bonifacio II avrebbe loro imposto in seguito alla morte dell’avversario. Il documento, relativo all’anno 530, contiene l’indicazione esplicita del nome del notaio a cui è stato dettato 67: errorem meum hac cupio satisfactione corrigere, ob quam rem anathematizans Dioscorum persuasorem, qui contra constitutum decessoris vestri beatae recordationis papae Felicis ad episcopatum Romanae adspiravit ecclesiae, promittens me sub divini testifica-

Cf. sopra, nota 45. Felix IV, Praeceptum: deum quibus possum precibus exorando, | hoc mihi [in] ipso fateor adspirante conpactum ut si me deus pro voluntate sua de hac luce, sicut habet humana condicio, transire praeceperit, [ut] Bonifatius archidiaconus, qui ab ineunte aetate sua in nostra militavit ecclesia, episcopatur honore suscepto, in qua proceditis, Romanam deo adiuvante gubernet ecclesiam, ACO iv, 2, pp. 96 l. 30 e 97 ll. 1-4. Santifaller ritiene probabile tale identificazione, pur segnalando come eccezionale la rapidità con cui la carriera ecclesiastica sarebbe stata percorsa, Id. 1940, p. 11, nota 2. 66 Lo stesso che si è visto in qualità di membro di una delle delegazioni di Ormisda in Oriente, cf. sopra, nota 48. 67 Libellus presbiterorum, p. 97 ll. 28-31, 33-34 e p. 98 ll.1-2. L’episodio è riportato anche dal Liber Pontificalis e costituisce un motivo di aspra critica al pontefice. Vi si dice anche che il documento di condanna di Dioscoro sarebbe stato messo agli atti nello scrinium: Eodem tempore defunctus est Dioscorus, prid. id. oct. Ipsis diebus Bonifatius, zelo et dolo ductus, cum grande amaritudine sub vinculo anathematis cyrographi reconciliavit clero; quem cyrographum arcivo ecclesiae retrudit, quasi damnans Dioscorum; et congregavit clerum, Liber Pont. 57, 2, p. 281 ll. 4-6. Il testo del Liber prosegue con una inserzione, assente dall’Epitome Cononiana, che in qualche modo riabilita il pontefice, riferendo delle elargizioni che le gerarchie più alte della Chiesa romana avrebbero ricevuto da lui, tratte direttamente dai suoi averi: Hic presbiteris et diaconibus et subdiaconibus et notariis scutellas de adeptis hereditatibus optulit, ibid., l. 8. Si noti la posizione dei notarii subito dopo i suddiaconi. Cf. più avanti, nota 245. Il Liber torna sull’episodio della sottomissione anche nella vita di Agapito: Hic ortum episcopatus sui libellos anathematis, quos invidiae dolo extorserat Bonifatius presbiteris et episcopis contra canones et contra Dioscorum, in medio ecclesiae, congregatis omnibus, incendio consumpsit et absolvit totam ecclesiam de invidia perfidorum, 59, p. 287 ll. 2-4. 64 65

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 49

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tione iudicii nunquam [me] similia temptaturum (…). quam libelli mei seriem Redempto notario ecclesiae Romanae scribendam dictavi, cuique propria manu subscripsi et beatitudini vestrae, Bonifati papa venerabilis, et sub praesentia sacerdotum optuli sub die vi kal. Ian. Fl(aviis) Lampadio et Oreste vv. cc. consulibus.

Questa testimonianza assume un particolare valore all’interno del percorso che si sta delineando: attesta infatti il ricorso al personale amministrativo dell’istituzione per allestire un atto che, seppure relativo a figure ecclesiastiche, non è emesso direttamente dall’autorità pontificia. Come si vedrà meglio più avanti, a tale prassi – che implica un incremento delle funzioni con valore giuridico pubblico affidate ai notarii ecclesiae – fa riferimento anche Liber Pontificalis, che ne colloca l’origine in corrispondenza della vita di Giulio I (337-352)  68. Già allora, secondo il redattore della biografia, i notai, il primicerius notariorum in particolare (carica che, ricordiamo, non è attestata prima del 526), avrebbero svolto la funzione esclusiva di rogatari di atti giuridici riguardanti il clero, che sarebbero stati di esclusiva competenza dello scrinium sanctum e non più dei tribunali civili. Il grande divario cronologico tra la data segnalata dal Liber per l’istituzione della norma (metà IV secolo) e la sua prima sicura attestazione (anno 530) forse non va soltanto imputato a mancanza di documentazione. Dalle testimonianze fin qui censite sui notarii ecclesiae e le loro mansioni sembra più probabile che il redattore del Liber Pontificalis abbia voluto compiere un anacronismo, e che la prassi in questione – per la quale comunque non si hanno notizie nella legislazione di epoca più antica – possa aver avuto inizio proprio nel periodo di cui si sta trattando. Si tornerà più avanti sulla relazione tra le fasi di redazione del Liber Pontificalis e il periodo di Bonifacio, la cui biografia, peraltro, non è affatto benevola nei suoi confronti, e ha tra i bersagli polemici proprio la ritrattazione imposta ai suoi oppositori. Nelle liste dei partecipanti al concilio di Costantinopoli del 536 si incontrano il secundicerius Mena (probabilmente lo stesso personaggio che si è già visto operare sotto Ormisda) 69 e il notarius Pietro 70 tra gli accompagnatori nella città imperiale di papa Agapito, in missione per conto del re goto Teodato e destinato a morire pochi giorni prima Cf. avanti, pp. 86-88. Cf. sopra, nota 54. Meno probabile la sua identificazione con il padre di Thalassia, cf. sopra, nota 32. 70 Cf. PCBE 2, Italie, p. 1755-1756, Petrus1 59. 68 69

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All’ombra di Gregorio Magno

dell’apertura del concilio che avrebbe condannato il patriarca Antimo. I due funzionari compaiono nella parte più bassa dell’elenco, lontano dai cinque vescovi italiani, che invece occupano i primi posti 71, e insieme ai due diaconi  72 (i cui nomi sono pure ricordati all’inizio)  73. Nel corso delle sedute Mena, analogamente a quanto si è visto in casi precedenti, interviene in qualità di lettore di documenti 74.

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II.1.3. Il “verbale” di Surgenzio Sotto Vigilio (537-555) è attestato il primicerius notariorum Surgenzio  75. La prima testimonianza che lo riguarda si colloca verso la fine della prima parte del pontificato, nell’anno 544: è il testo che riferisce l’accoglienza riservata all’Historia apostolorum di Aratore all’atto della sua oblatio. Tale notizia, spesso citata dagli studiosi sia quale momento di estremo rilievo nella carriera di Aratore («au point d’avoir finalement éclipsé le De actibus lui-même»)  76, sia in quanto esempio tardo della pratica delle pubbliche letture e recitationes a Roma  77, compare in gran parte dei testimoni che ci trasmettono il poema, in testa o in coda a esso. La sua stessa formulazione è stata messa in relaSabino di Canosa, Epifanio di Eclano, Asterio di Salerno, Leonzio di Nola, Rustico di Fiesole. 72 Teofane e Pelagio, futuro papa Pelagio I (556-561). 73 Collectio sabbaitica 5, 52: Συμπαρόντων δὲ αὐτῷ καὶ συνακροωμένων καὶ Θεοφάνους καὶ Πελαγίου τῶν θεοφιλεστάτων διακόνων τῆς ἀποστολικῆς καθέδρας καὶ Μηνᾶ καὶ Πέτρου τῶν θεοσεβεστάτων νοταρίων καί τινων εὐλαβεστάτων ὑποδιακόνων καὶ ἐκδίκων καὶ λοιπῶν κληρικῶν τοῦ αὐτοῦ ἀποστολικοῦ θρόνου, οἳ καὶ συνόντες ἔτυχον παραγενομένῳ ἐνταῦθα Ἀγαπητῷ τῷ τῆς ἁγίας μνήμης γενομένῳ πάπᾳ τῆς πρεσβυτέρας Ῥώμης, p. 127 ll. 25-30 (actio prima, 2 maggio) = Ibid. 5, 73, p. 156 ll. 1-6 (actio secunda, 6 maggio); 5, 87, p. 162 ll. 42-43 e 163 ll. 1-4 (actio tertia, 10 maggio); 5, 104, p. 171 ll. 15-21 (actio quarta, 21 maggio); 5, 4, p. 29 ll. 2-7 (actio quinta, 4 giugno). 74 Collectio sabbaitica 5, 65: Kαὶ ἀνέγνω φωνὴν Μηνᾶς ὁ θεοσεβέστατος ἀναγνώστης τῆς ἀποστολικῆς καθέδρας τῆς πρεσβυτέρας Ῥώμης καὶ νοτάριος σεκουνδοκήριος ἔχουσαν οὕτως, p. 136 ll. 17-18; ibid. 5, 70: Kαὶ μετὰ τὴν ἀνάγνωσιν τῶν λιβέλλων Μηνᾶς ὁ θεοσεβέστατος ἀναγνώστης καὶ νοτάριος σεκουνδοκήριος τῆς πρεσβύτιδος Ῥώμης προκομίσας τὸ ἄκτον τῆς γραφείσης παρὰ Ἀγαπητοῦ τοῦ τῆς ἁγίας μνήμης συνοδικῆς Ῥωμαικῆς ἐπιστολῆς ἀνέγνω, p. 152 ll. 7-9; ibid., 5, 123: Kαὶ ἀνέγνω φωνὴν Μηνᾶς ὁ θεοσεβέστατος ἀναγνώστης καὶ σεκουνδοκήριος νοταρίων τοῦ ἀποστολικοῦ θρόνου τῆς πρεσβυτέρας Ῥώμης ἔχουσαν οὕτως, p. 178 ll. 6-7; ibid., 5, 15, ll. 10-11; ibid., 5, 19: Kαὶ ἀνέγνω Μηνᾶς ὁ θεοσεβέστατος ἀναγνώστης καὶ σεκουνδοκήριος νοταρίων τοῦ ἀποστολικοῦ θρόνου τῆς πρεσβυτέρας Ῥώμης ἐκ τῶν παρ᾽αὐτοῖς ἄκτων δύο Ῥωμαικὰς ἐπιστολὰς γραφείσας ὑπὸ Ὀρμίσδου τοῦ τῆς ὁσίας μνήμης γενομένου πάπα τῆς πρεσβυτέρας Ῥώμης, p. 52 ll. 27-30. 75 PCBE 2, Italie, p. 2139, Surgentius. 76 Châtillon 1963, p. 71. 77 Cf. Cavallo 2001. 71

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 51

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zione con l’attività dello scrinium pontificio, in quanto, com’è stato ipotizzato, potrebbe essere di mano dello stesso primicerius o di un notaio da lui autorizzato 78. Alla definizione tradizionale di “prefazione” di Surgenzio 79 è da preferire quella indicata da François Châtillon di “processo verbale”, data la non costante collocazione del brano in posizione di apertura dell’opera. Gli editori  80 hanno in vario modo incluso questo testo nelle appendici di corredo all’opera. L’ultimo editore, Orbán, lo riproduce addirittura in tre distinte versioni: le prime due 81 sono tratte da altrettanti manoscritti che contengono il testo in forma di praefatio 82; la terza 83 da un gruppo di dieci codici che lo riportano in forma di epilogus 84. Si riproduce, da questa terza versione, la parte significativa della notizia: Beato domino Petro adiuvante oblatus est huiusmodi codex ab Aratore subdiacono sanctae e˛cclesiae Romane¸ sancto atque apostolico viro papae Vigilio, et susceptus ab eo die .viii. Idus Aprilis in presbiterio ante confessionem beati domini Petri, cum ibidem plures episcopi, presbiteri, diaconi et clerus pars maxima pariter interesset. Quem cum ibidem legi mox pro aliqua parte fecisset, Surgentio viro venerabili primicerio scole˛ notariorum in scrinio dedit aecclesiae collocandum. Cuius beatitudinem litterati omnes doctissimi continuo rogaverunt, ut eum iuberet publice recitari. Quod cum fieri precepisset in e˛cclesia beati Petri, que vocatur Ad vincula, religiosorum simul ac laicorum nobilium, sed et e populo diversorum turba convenit (…).

Châtillon 1963, p. 96. Cf. Sotinel 1989, p. 820. 80 L’opera di Aratore ha avuto molteplici edizioni. Si ricordano qui, nell’ordine, quella a cura di Arntzen, confluita nella raccolta del Migne (PL 68, coll. 45-252), e le due più recenti: quella a cura di McKinlay (CSEL 72), e quella a cura di Orbán (CCSL 130, 130A). Le sigle qui adoperate per indicare le edizioni e i testimoni manoscritti del poema sono quelle introdotte da Orbán nell’edizione del Corpus Christianorum. 81 CCSL 130A, p. 1 ll. 14-31 e pp. 1-2 ll. 31-53. 82 Si tratta di Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2773 [P1] (prodotto a Reims, nel periodo in cui era vescovo Incmaro [845-882]); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1716 [V1], f. 1rv (da Lorsch, sec. X-XI). 83 CCSL 130A, p. 692 ll. 5-22. 84 Rispettivamente: Cambridge, University Library, B 14.3 (sec. X-XI); Einsiedeln, Stiftsbibliothek, 302 (450) (sec. X); Leiden, Bibliotheek der Rijks-universiteit, Voss. lat. Q 86 (sec. IX); Voss. lat. F.12.C (sec. IX/X); Voss. lat. Q.15.I (sec. IX); München, Bayerische Staatsbibliotheek, clm 19451 (sec. X/XI); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 8096 (sec. XI); lat. 9347 (inizio sec. X); lat. 12284 (da Corbie, inizio sec. IX); Trier, Stadtbibliothek, 1093/ 1694 (sec. XI, in part. 1048 o 1049). 78 79

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All’ombra di Gregorio Magno

Il brano assegna al pontefice Vigilio l’iniziativa di far depositare il poema di Aratore nello scrinium. Châtillon, facendo riferimento alle lezioni proprie di un codice Vaticanus che non è stato possibile individuare e che poneva il nome di Surgenzio in caso nominativo  85, assegna invece l’iniziativa al primicerius notariorum  86. Ciò dava allo studioso motivo di interpretare la vicenda come una testimonianza della scarsa autorità avuta da Vigilio nei confronti dell’élite cittadina, e del concreto ruolo politico rivestito invece da Surgenzio, che avrebbe organizzato l’intera cerimonia per compiacere gli esponenti dell’alto clero romano, di cui Aratore faceva parte 87. Tuttavia le scelte di tutti gli editori moderni concordano sulla lezione al dativo per il nome del primicerius e sembrano far cadere le osservazioni di Châtillon 88. Può rimanere un dubbio di interpretazione rispetto a chi sia la persona alla quale si rivolgono i litterati omnes per far eseguire la successiva lettura pubblica, che avrebbe avuto luogo nella chiesa di San Pietro in Vincoli 89. A tal proposito si osserva però che il titolo d’onore che viene usato per riferirsi al destinatario della richiesta, beatitudo, è solitamente riservato ai vescovi, quindi l’interpretazione più naturale lo vedrebbe rivolto a Vigilio; più difficile appare giustificare come possa essere riferito a Surgenzio. Un termine di confronto può essere rintracciato nel modo in cui Dionigi si rivolge a Bonifacio e Bono: egli ricorre all’appellativo di domini venerandi  90, da La lezione al nominativo del Vaticanus è citata anche dall’Arntzen in nota al suo testo, PL 68, col. 55a-b ed era conosciuta anche da Aldo Manuzio, il quale cita la formula al nominativo (sebbene all’interno di una libera parafrasi del testo) nella Aratoris Vita da lui premessa al secondo tomo della raccolta denominata Poetae Christiani veteres (Manuzio 1501, p. 22r). 86 Châtillon 1963, pp. 77-98. Lo studioso giunge a ipotizzare (peraltro per via del tutto intuitiva) che la lezione al dativo trovata nei manoscritti sia «une pieuse correction, à une date qui m’est inconnue mais qui devait être marquée, dans l’histoire ecclésiastique, par un niveau de la puissance pontificale un peu plus élevé que lors de la première rédaction du document», ibid., p. 98. 87 Ibid., pp. 92-93. 88 Cf. l’edizione Arntzen, PL 68, col. 55A-B; l’edizione McKinlay, CSEL 72, p. XXVIII; l’edizione Orbán (nella triplice versione), CCSL 130A, p. ll. 14-25; pp. 1-2 ll. 32-41; p. 692 ll. 5-16. 89 Secondo Châtillon, la persona in questione, indipendentemente da chi sia il soggetto della frase precedente, è necessariamente Surgenzio: «Il ne peut grammaticalement en être autrement vu la phrase qui précède, où le primicier, quelle que soit la leçon choisie, est le dernier nommé», Châtillon 1963, p. 104. È la stessa interpretazione che dà il Manitius, che così parafrasa il brano: «nachdem ein Teil des Gedichts vorgelesen war, wurde die Handschrift dem päpstlichen Obernotar Surgentius zur Aufbewahrung übergeben. Bald darauf wandten sich die literarisch Gebildeten des Klerus an Surgentius und baten ihn, das Werk öffentlich vorlesen zu lassen», Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur, pp. 163-164. 90 Cf. sopra, nota 61. 85

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 53

lui normalmente riservato a ecclesiastici dei gradi più alti 91, ma anche, in un caso, a una nobildonna (destinataria della traduzione della Vita di Pacomio) 92. L’interpretazione dello Châtillon appare dunque complessivamente forzata e troppo intenta a trarre elementi per sminuire la personalità e il ruolo del pontefice nel contesto di quegli anni drammatici, tuttavia, qualora si rivelasse fondata, potrebbe fornire un indizio anche per la decifrazione dell’identità del destinatario del Liber testimoniorum: nelle due occasioni in cui Paterio si rivolge al suo anonimo interlocutore, dedicatario dell’opera, lo fa attraverso l’appellativo di beatitudo vestra 93. Poiché, come si dirà a suo luogo, il Liber non è dedicato direttamente a Gregorio (del quale si parla in terza persona), non è da escludere la possibilità che il destinatario sia da identificare con il diretto superiore del florilegista (che, all’epoca in cui ha redatto il proemio, era con ogni probabilità già vice capo dei notai), ossia il primicerius. Con la testimonianza in esame abbiamo anche la prima attestazione esplicita dell’esistenza di una schola notariorum, al cui vertice erano il primicerius e il secundicerius  94, cariche che occupavano un posto di prestigio all’interno dell’apparato amministrativo, per le quali è probabile fosse anche previsto un grado alto della carriera ecclesiastica 95. Nel VII secolo, secondo quanto attestato dalle formule raccolte nel Liber diurnus, il primicerio dei notai sarebbe assurto a tale importanza da Cf. Dionysius Exiguus, Ad Eugipium presbiterum, p. 33 ll. 1-2 (inscr.: Domino sancto, et a me plurimum venerando, sacro Eugipio presbytero, Dionisius Exiguus); Id., Ad Stephanum episcopum, p. 39 ll. 1-7 (inscr.: Domino venerando mihi patri Stephano episcopo, Dionisius exiguus in Domino salutem); Id., Ad Gaudentium abbatem, p. 69 l. 1 (Domino venerando mihi Gaudentio abbati, Dionisius). 92 Cf. Id., Ad Dominam venerandam, p. 79 ll. 1-2 (Dominae venerandae mihi et in Christo quoque magnificentissimae, Dionisius Exiguus). L’anonima destinataria sarebbe da identificare con una delle figlie del senatore Simmaco, vale a dire Galla o Proba, cf. PCBE 2, Italie, Dionysius Exiguus 4, p. 567. 93 Liber testimoniorum, Prologus: Qui [scil. Gregorius] me verbis mox, quibus beatitudo vestra novit suasoriis, atque ad superna trahentibus hortando coepit accendere, cf. qui p. 194 ll. 34-36 [cf. m, col. 684a]; Quae [scil. testimonia] beatitudini vestrae, non temeritatis ausu, sed amore vestri provocatus studii, quod in inquisitione divini olim fervet eloquii, sciens maxime in dictis praedicti pontificis nostri quanta noscendi vestrae sit aviditas mentis, ex multis voluminibus pauca componens, studui destinare, p. 198 ll. 81-85 [cf. m, 686a]. Cf. IV.1.1., nota 7. 94 L’esistenza della schola era dunque implicita già dal 526, quando è attestata l’attività del primicerio Bonifacio e del secundicerio Bono, sotto papa Giovanni I, e ancora sotto Felice IV, il cui constitutum indirizzato alla Chiesa di Ravenna specificava quali fossero l’ordo matriculae e i compiti dei notarii ecclesiae, cf. sopra, nota 57. 95 Si è detto che i semplici notarii appartenevano probabilmente agli ordini minori, cf. sopra, nota 38. 91

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All’ombra di Gregorio Magno

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ricevere l’incarico di sostituire il papa, assieme con l’archidiaconus e l’archipresbyter, in caso sede vacante 96. Tale prassi si sarebbe imposta però in tempi successivi a quelli di cui ora si tratta, considerato che all’inizio del VI secolo (quando non è certo che fosse ancora nata la schola notariorum), nell’inasprirsi dello scisma laurenziano, il re Teodorico aveva sostituito papa Simmaco con un visitator esterno alla curia, il vescovo Pietro di Altino 97. Surgenzio ha seguito Vigilio nel suo viaggio a Costantinopoli del 547 ed è stato tra coloro che godevano della sua fiducia: viene ricordato a più riprese nel corso della lettera, datata 18 marzo 551, di deposizione dei diaconi Rustico e Sebastiano, che avevano assunto una posizione intransigente nei confronti della questione dei Tre Capitoli, facendo riferimento al Iudicatum di condanna che lo stesso Vigilio aveva emesso e poi ritirato 98. Il provvedimento del pontefice non puniva i soli Rustico e Sebastiano, ma anche altre sei persone che avrebbero condiviso e coadiuvato l’operato dei due diaconi 99: Iohannem, Gerontium, Severinum, Importunum, Iohannem atque Deusdedit, quos constat vestrae coniurationis et conspirationis esse participes, quos nos putantes bonos militare ecclesiae cui deo praesidemus auctore, nostro tempore feceramus, tamen ut et ipsi possint et diversi cognoscere, de subdiaconorum et notariorum vel defensorum officio praesenti se sententia noverint fuisse depositos et nullum penitus in ecclesia nostra gradum ulterius detinere, nisi forte, sicut praefati sumus, nobis in hac luce superstitibus et ipsi paenitentiae canonicae colla submiserint.

Non è possibile individuare quali fra i personaggi elencati siano da ascrivere alla categoria dei notarii 100, ma c’è un elemento di ambi96 Liber diurnus 59 (pp. 49-50); 61 (pp. 55-57); 62 (pp. 57-58); 63 (pp. 58-59), la formula usata in tutti i casi è servantes locum sanctae sedis apostolicae. 97 Cf. Sardella 2000c, p. 468. 98 Il primicerio sarebbe stato testimone della proposta di Rustico di profanare i resti degli autori degli scritti incriminati (Vigilius, Ad Rusticum et Sebastianum 1, p. 189 ll. 13-17); Rustico si sarebbe rifiutato di consegnare il testo del Iudicatum a Surgenzio, incaricato di custodirlo, e anzi gli avrebbe dato diffusione (ibid., 2, p. 189 ll. 19-26); il primicerius avrebbe fatto parte della delegazione inviata al patriarca di Costantinopoli Mena per discutere delle modalità di partecipazione di Vigilio alla liturgia del Natale del 549 (ibid., 11, p. 191). La lettera stessa è formalmente consegnata, tra gli altri, a Surgenzio, perché la notifichi agli interessati (ibid., 24, p. 194). 99 Ibid., 22, p. 194 ll. 17-24. 100 Cf. rispettivamente PCBE, 2, Italie, pp. 1086-1087, Iohannes 38; p. 930, Gerontius 10; p. 2050, Severinus 4; p. 1039, Importunus; p. 1087, Iohannes 39; p. 553, Deusdedit 4.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 55

guità nella formula che potrebbe essere foriero di informazioni: nel riferimento all’officium subdiaconorum et notariorum vel defensorum si possono infatti intendere due, non tre distinte categorie, la prima costituita dai subdiaconi et notarii, l’altra dai defensores 101. In alternativa, si devono individuare tre categorie, distinte in due raggruppamenti, il primo comprendente suddiaconi e notai, il secondo solo i difensori, in tal caso si deve comunque notare che vengono messi sullo stesso piano un grado ecclesiastico e un ruolo amministrativo.

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II.1.4. Da Pelagio I a Pelagio II Sotto il pontificato di Pelagio I (556-561) le fonti edite ricordano complessivamente quattro notarii. Il primo compare nella biografia del papa nel Liber Pontificalis 102: Eodem tempore posuit Valentinum notarium suum timentem Deum et restitui fecit omnia vasa aurea et argentea et pallea per omnes ecclesias.

Oltre a quello di Valentino 103, pochi nomi vengono citati espressamente nella breve «vita» (il padre del pontefice, i due vescovi e il presbitero che lo avrebbero consacrato, il predecessore Vigilio); ciò sembrerebbe porre il personaggio in una posizione di prestigio nel contesto in cui ha operato. Tuttavia egli non è noto da altre fonti, in particolare non compare mai nell’epistolario di Pelagio, con tutto che, come segnala Duchesne, il tema del recupero dei beni ecclesiastici, molti dei quali perduti nel corso della guerra gotica, è stato particolarmente a cuore al pontefice, che ne tratta in numerose lettere 104. L’inserimento del nome del notarius nella vita di Pelagio va forse messa in relazione con le modalità di stesura delle biografie del Liber Pontificalis, che ha probabilmente visto l’intervento di esponenti della categoria, interessati a far risaltare l’operato dei precedessori 105. Così la intende ad esempio Santifaller 1940, pp. 13-14, nota 3, mentre il Galletti risolve il problema aggiungendo una virgola: De subdiaconorum, et notariorum, vel defensorum, Galletti 1776, p. 28, e distingue così nettamente tre cariche. L’edizione critica dello Straub non registra varianti. 102 Liber pont. 62, p. 303 ll. 13-14. Tra i notarii dell’epistolario di Gregorio Magno, ad esempio, Pantaleone sarà specializzato a trattare il recupero e la gestione di suppellettili ecclesiastiche, cf. Greg. M., Ep. 8, 26; 9, 19. 103 Cf. PCBE 2, Italie, p. 2234, Valentinus 15. 104 Ibid., p. 304, nota 5. 105 Cf. avanti, II.3. 101

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All’ombra di Gregorio Magno

Altri due nomi provengono dalla corrispondenza del pontefice: il primo, Augusto  106, trasmette al pontefice la richiesta del vescovo Ostilio di poter procedere contro alcuni chierici che avevano sottratto suppellettili ecclesiastiche (a conferma della ricorrenza del tema)  107; il secondo, Proiecto  108, è citato in due lettere come inviato nella Tuscia Annonaria, assieme al presbitero Pietro, con il compito di accertare le colpe dei vescovi Terenzio e Massimiano, che si oppongono alla condanna dei Tre Capitoli, e di farli quindi arrestare e trasferire a Roma. Le autorità militari e civili, destinatarie delle lettere, sono invitate a offrire ai messi papali tutto il supporto logistico necessario all’operazione, in virtù del fatto che le leggi umane e divine impongono alle seculares potestates di reprimere chi disturba la pace della Chiesa 109. Vi è poi il caso di Dulcizio, apparentemente un ex notarius dispensato dalla carica da Pelagio II affinché non avesse a che fare con la riscossione di emolumenti. Egli tuttavia anche nella nuova veste di defensor 110 avrebbe trovato modo, falsificando i conti 111, di accrescere

Cf. PCBE 2, Italie, p. 225, Augustus 4. Augusto sedis nostrae notario suggerente didicimus, quod ei dilectio tua directis indicasset apicibus, quosdam de clero tuo et maxime parrochiarum ad te pertinentium, non pauca sacrata vasa vel ministeria distraxisse, Pelagius I, Ep. 51, 1, p. 132 ll. 1-4, lettera del marzo 559. La formula che fa riferimento ad Augusto è strutturalmente identica a quella già incontrata nell’epistolario di Ormisda in relazione al notaio Mena, cf. sopra, nota 53, e a quella presente in Id., Ep. 88, 1: Notariorum sedis nostrae insinuatione didicimus (…), p. 214 ll. 1-2. 108 Cf. PCBE 2, Italie, p. 1859, Proiectus 9. 109 Pelagius I, Ep. 65, 3-5, al magister militum Carellus, marzo/aprile 559: Petrum, presbyterum sedis nostrae, sed et Proiectum notarium ad eadem loca duximus destinandos, ut ea quae canonicis statutis a praedictis pseudo episcopis compererint fuisse conmissa, vel digna debeant ibi ultione conpescere, vel eosdem ad nos usque perducere. Et ideo salutantes paterno affectu gloriam vestram petimus, ut praefatis, qui a nostra sede directi sunt, in omnibus praebeatis auxilium, nec putetis alicuius esse peccati, si huiusmodi homines conprimuntur. Hoc enim et divine et mundanae leges statuerunt, ut ab ecclesiae unitate divisi, et eius pacem iniquissime perturbantes, a saecularibus etiam potestatibus conprimantur, pp. 172-173 ll. 11-15; ibid., 67, 3-4, al comes Anilas, stessa data: Huic [scil. a Pietro] autem, ut possint ea quae iussa sunt facilius, Domino adiuvante, compleri, Proiectum notarium sedis nostrae adiungendum esse credimus, ut participato consilio, quae rationabilia sunt exequi non morentur, p. 176 ll. 14-19. 110 Nella lettera in esame non è specificata l’area geografica di competenza, ma il soggetto in questione può essere forse identificato con il defensor Dulcius, che opera in Puglia nel 559 (cf. Ep., 29, pp. 84-86). 111 Avrebbe infatti truccato i conti relativi alle spese per due case rurali: Praeterea rationes nobis nescio quas, Graecorum more fucatas, de sextae indictionis pensionibis direxisti, suggerens te pro quinquaginta solidis et pro aliis sexaginta a diacono Varino, et nescio quo alio, casas recollegisse, Ep., 12, 1, p. 41 ll. 1-5. 106 107

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 57

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il suo patrimonio personale ai danni di quello della Chiesa 112. La vicenda ci permette di sapere che già al tempo di Pelagio i notarii potevano essere impiegati anche nella gestione del patrimonio della Chiesa, amministrandone le entrate. Offrono importanti informazioni di natura sociale due lunghe epigrafi funerarie che si collocano a poca distanza di tempo tra loro: la prima, portata alla luce nel 1757, ricorda la morte di Geronzio, avvenuta nel 564 (da leggere 565, come precisa De Rossi) 113, sotto il pontificato di Giovanni III (560-573). L’uomo è definito primicerius notariorum e stretto parente di Ormisda 114. Forse è da mettere in relazione con l’omonimo che, con altri cinque personaggi, era stato deposto dall’ufficio di subdiaconus et notarius o di defensor da papa Vigilio nel 550 (la formula di deposizione contemplava la possibilità di redimersi) 115. Da notare che l’epigrafe, pur facendo riferimento a una pluralità di parenti illustri («proavos») di Geronzio, ed elogiando il suo comportamento improntato al rispetto del «pontificale decus», menziona la sola figura di Ormisda (†523), omettendo il nome di suo figlio Silverio, papa tra il 536 e il 537, cronologicamente molto più prossimo al tempo di esecuzione dell’epigrafe. Era evidentemente ancora vivo il ricordo delle drammatiche vicende che avevano segnato quel breve pontificato e l’accusa di tradimento con cui si era concluso. Geronzio deve essere morto in tarda età, motivo per cui, secondo il Galletti, egli 112 Ibid., 12, 1-2: Et cum tibi cotidie hinc et inde accrescant praedia, tu nobis de pensionibus angustias generas. Non tibi sufficit quod te a notariis et aliis diversis officiis, ne commoda exigeris, vix te liberare potuimus, ut, ad summam acriviam, quod non vidimus neque accepimus, te implesse testeris, pp. 41-42 ll. 5-9. 113 ICUR i, 1098, pp. 501-503, a p. 502. 114 ICUR NS ii, 1477, p. 181: in tvmulo mors saeva iace caelestia regna ° (i)ste videt cvivs ° membra sepvlta p(remis) lvx fvgitiva svae complevit tempor(a uitae) redditvr hec meritis ° qvae sine fine m(anet) (pr)ofvit ergo tibi senivm finisse ger(onti) (cum) pro tot titvlis ° vita perennis e(rit) (bla)ndvs dvlcis obans pollens gravitate ma(gistra) (or)nast(i p)roavos ° mente pvdore fide (pon)ti(fici f)veras hormisdae sangvine ivnct(us) (m)or(ibu)s egisti ° pontificale decvs (es f)el(i)x parvo sociatvs corpore nato ° (lim)ine qvem primo ° svstvlit atra dies ° (hic quies)cit in pace gerontivs primic ° notariorvm sce ecl romane qvi vixit an ° (…….de)positvs viiii kal febrvarias pc basili vc anno xxiii ° ind xiii diae sabbato °. 115 Cf. sopra, nota 99.

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All’ombra di Gregorio Magno

avrebbe certamente avuto parte agli affari del pontificato di Ormisda 116. In ogni caso sembra da escludere la possibilità che sia diventato primicerius prima degli altri due nomi noti di funzionari che hanno rivestito la carica, Bonifacio (nel 526) e Surgenzio (almeno fino al marzo 551). Si fa riferimento alla sepoltura accanto al corpo del figlio, dal che si deduce il suo stato di coniugato. Successiva di alcuni anni l’epigrafe che segnalava la sepoltura del piccolo Boezio (deceduto nel 577) e di sua madre Argentea (nel 578) 117. Nella parte in versi dell’iscrizione (otto distici) si finge che Argentea stessa canti le lodi del figlio, per poi rivelare di averlo raggiunto nella medesima sepoltura 118. Una riga preposta al testo informa che si tratta della tomba del notarius Eugenio cum suis, ma non viene specificata la sua appartenza alla curia papale  119. L’iscrizione proverrebbe, secondo Pazzogni, «senza dubbio dal Vaticano (…) precisamente dal quadriportico dell’antica basilica» 120, da dove sarebbe stata trasportata a Sant’Angelo dei Corridori nel sec. XVI, durante i lavori per la fabbrica di San Pietro, tra il 1505 e il 1610 121. Due ulteriori parti di iscrizione, rispettivamente a destra e a sinistra del poema funerario, fanno riferimento ad alcuni possedimenti della famiglia: un orto presso la porta Portuense, ereditato da Micino «cancel[larius] inl[ustris] urb[anae] s(e)d[is] patris me(i)» 122, e un fondo sulla via Labicana; il reddito ricavato da essi sarebGalletti 1776, pp. 27-28, è seguito in questo dal Moroni 1852, p. 219 e oggi da Sardella 2000b, p. 476. 117 ICUR I, 1122, pp. 512-514, a p. 512 = CIL VI, 8401, p. 1113. 118 CIL VI, 8401, p. 1113 ll. 2-3, 12-17: + impia mors rapiens teneris te nate svb annis invidit meritis ° criscere magna tvis (…) morte tva genetrix optavit svmere morte(m) se qvoqve felicem · si poteritvr ait 116

ter denos primvm qvam lvna resvmeret ignes conivncxit membris · membra sepvlta tvis

nvnc commvne nobis cvstvs tv serva sepvlcrvm

qve nos hec tecvm mox teget orna simvl.

Ibid., l. 1: + sepvlchrum evgeni not cvm svis 120 Pazzogni 1909-1910, p. 71. 121 «La ragione poi del trasporto sembra chiaramente presentarsi alla mente di chi non ignora che l’Arciconfraternita di Sant’Angelo contava sempre tra gli Uffiziali della Banca maggiore personaggi cospicui addetti ai SS. Palazzi Apostolici: protonotari, architetti, scudiferi, camerieri segreti, ecc. come si rileva da moltissimi documenti», ibid., p. 74. 122 Secondo De Rossi, il titolo riferito a Micino equivarrebbe a quello di praefectus Urbis, ma egli non sarebbe identificabile con alcuna persona nota da altre fonti in quanto 119

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 59

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be stato impegnato «ad oblatione(m) vel luminaria nostra». Non è chiaro chi sia da intendere come io parlante, se ancora Argentea o Eugenio, e dunque chi dei due sia figlio di Micino; in ogni caso, il ceto della famiglia doveva essere elevato. Rimane incertezza sulla effettiva appartenenza del notarius all’amministrazione ecclesiastica 123. Si collocano in data non precisabile all’interno del VI secolo altre quattro testimonianze epigrafiche, molto più frammentarie di quelle appena considerate. Tre di esse provengono da Roma e fanno riferimento rispettivamente a un notarius, Calopodio 124, a un secundicerius, Leo 125, a un primicerius (notariorum?), Giovanni 126; una proviene dalla Sardegna e testimonia di Mena, un notarius subregionarius sanctae romanae ecclesiae et rector 127. le serie dei prefetti manca per il periodo compreso tra il 536 e il 572 circa (ICUR I, 1122, p. 513). 123 Sull’appartenenza di Eugenio allo scrinium pontificio non sembrano avere dubbi Pazzogni 1909-1910, e Petrucci 1958, p. 3. Il nome non è affatto incluso nella PCBE (segno che i curatori del progetto lo hanno ritenuto notaio civile?), compare invece in PLRE IIIA, p. 459, Eugenius 2, dove si precisa la possibilità che sia un notaio ecclesiastico, mentre si esprimono dubbi sulla effettiva relazione tra lui e i personaggi a cui fa riferimento l’iscrizione e si sostiene che Micino sarebbe padre di Argentea (ibid., p. 113, Argentea; p. 237, Boethius 2; IIIB, pp. 889-890, Micinius). 124 ICUR NS II, 5737: (+ hic requiescit in pace b ) m calopodivs notar (eccl . rom. qui vix. pl. min.) ann · xlviii deposit ° (sub die ……. v.c. co) nsvl indictione L’iscrizione proviene dalla basilica di San Paolo fuori le mura, cf. PCBE, 2, Italie, p. 384, Calopodius 9. 125 ICUR NS II, 5199: via s dies nora fide filio adivtvs

(…ca)tholicae · ecclesiae qveris leo secvndice(rius) qui vixit annos lx v indictione

da San Paolo fuori le mura, cf. PCBE, 2, Italie, p. 1281, Leo 25. 126 ICUR NS I, 1220: + io ahns primicir(ius ….. qui vixit) annis plvs mn (us… depositus …) kle ds nbre(s) Proviene forse da un cimitero romano, cf. PCBE, 2, Italie, p. 1140, Iohann(e)s 143. 127 Sotgiu 1961, n. 114 p. 82: + hic reqviescit bone mem menas notar subregiona rivs scae rom eccl et rec qvi vixit plvs min ann qua dragint reqvievit in

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All’ombra di Gregorio Magno

II.2. I notarii ecclesiae nella memoria e nella prassi amministrativa di Gregorio Magno

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Attorno alla metà del secolo VI si situa la vicenda, emblematica all’interno di questo percorso attraverso le figure di notarii di cui è rimasta memoria, di uno dei personaggi cui Gregorio, nei Dialogi, ha dedicato un profilo: il notarius ecclesiae Romanae Anastasio  128, che avrebbe abbandonato il suo incarico per dedicarsi esclusivamente a Dio, diventando abate presso il monastero di Subpentoma 129: Eodem quoque tempore venerandus vir Anastasius (…) sanctae Romanae ecclesiae, cui Deo auctore deservio, notarius fuit. Qui soli Deo vacare desiderans, scrinium deseruit, monasterium elegit, atque in eo loco quem praefatum sum, qui Subpentoma vocatur, per annos multos in sanctis actibus vitam duxit eique monasterio sollerti custodia praefuit.

Com’è noto, ci è rimasta una sola fonte gregoriana che testimonia la genesi dei Dialogi: la lettera inviata a Massimiano di Siracusa nel luglio 593. È particolarmente interessante notare come in questo documento il pontefice, nell’illustrare la propria intenzione di scrivere qualcosa sui miracoli dei padri italici, abbia fatto riferimento, pur brevemente, proprio ad Anastasio, il cui nome doveva essere familiare anche all’interlocutore 130: Fratres mei, qui mecum familiariter vivunt, omnimodo me compellunt aliqua de miraculis patrum, quae in Italia facta audivimus, sub brevitate scrivere. Ad quam rem solacio vestrae caritatis vehementer indigeo, ut quaeque vobis in memoria redeunt, quaeque cognovisse vos contigit, mihi breviter indicetis. De domno enim Nonnoso abbate, qui iuxta domnum Anastasium de Pentumis fuit, aliqua retulisse te memini, quae oblivioni mandavi. Et hoc ergo et si qua sunt alia tuis peto epistulis imprimi, et mihi sub celeritate transmitti, si tamen ad me ipsum non proferas.

Dunque il personaggio aveva lasciato un preciso ricordo di sé nell’ambiente della curia: un “precedente” che, forse, non va trascurato

pac svb d prid id febrvar ind prima

proviene dalla basilica di San Saturno di Cagliari. 128 Cf. PCBE, 2, Italie, p. 116, Anastasius 9. 129 Dial. 1, 8, 1. 130 Ep. 3, 50, pp. 195-196.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 61

se si vogliono indagare le origini dei Dialogi nel luogo in cui è stato raccolto e assemblato il materiale che li hanno costituiti. C’è da chiedersi, per esempio, se tra i fratelli qui mecum familiariter vivunt ci fossero, oltre ai monaci di Sant’Andrea, il monastero fondato da Gregorio, anche quei chierici che Giovanni Immonide elenca come suoi intimi, tra i quali vengono annoverati i notarii Paterio ed Emiliano (oltre al diacono Pietro, che è presente nei Dialogi come personaggio)  131. Se è anche a costoro che pensava il pontefice nel formulare quella frase, non è improbabile che la loro richiesta fosse ispirata proprio dalla notizia della santità dell’illustre predecessore nella carica, e magari anche interessata a voler conferire a quella stessa notizia il carattere dell’ufficialità e dall’autenticità, attraverso la mediazione gregoriana 132. Si ha così, nella menzione di Anastasio, un elemento di riflessione sulle origini della più controversa delle opere gregoriane e sulle esigenze che possono aver condotto alla sua ideazione, ma si ha anche una notizia significativa circa la storia del personale amministrativo della curia e sulle aspirazioni ascetiche da cui almeno parte di esso doveva essere pervasa 133. Durante il periodo in cui, da diacono, era apocrisario a Costantinopoli, Gregorio ha ricevuto, per mano del notarius Onorato 134 e del vescovo Sebastiano di Risinium, una lettera di Pelagio II (datata 4 ottobre 584), che lo incaricava di sensibilizzare l’imperatore circa la minaccia longobarda in Italia, affinché questi inviasse qualche autorità militare a difendere almeno la zona di Roma  135. Di Onorato, il personaggio che qui interessa, non si hanno altre notizie per gli anni del pontificato di Pelagio, egli è però identificato solitamente con il diacono che ha rivestito la funzione di apocrisario durante i primi anni del pontificato di Cf. il paragrafo I.2., nota 35. È bene ricordare che quello della certificazione dei fatti narrati è un problema che emerge con decisione nei Dialogi, in cui più livelli di autorità si richiamano e si completano a vicenda: il narratore si rifà ai racconti di testimoni la cui fama di santità o la cui condizione sociale è di per sé garanzia di veridicità degli episodi, ma questa, in ultima analisi, è decretata dal papa stesso che rielabora i fatti e li fissa nella scrittura, affermando di crederli veri. Cf. Boesch Gajano 1979a; Ead. 2004a, pp. 253-264. 133 Cf. anche il breve accenno alla vicenda da parte di Dagens («Peut-être le moine que reste Grégoire veut-il suggérer ainsi que la vie contemplative attend les transfuges de l’administration ecclésiastique autant que les fonctionnaires civils», Dagens 1977, p. 282). 134 Cf. PBCE, 2, Italie, p. 1010, Honoratus 12. 135 Greg. I, Reg., App. ii: Omnia quidem quae necessaria fuerunt per Honoratum notarium tibi curavimus indicare, quem cum fratre et coepiscopo Sebastiano ad dilectionem tuam direximus, p. 440 ll. 10-11. 131

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All’ombra di Gregorio Magno

Gregorio 136. L’identità tra le due figure confermerebbe una certa facilità di carriera per i notarii, e l’esito diplomatico suonerebbe quasi naturale, considerata la natura degli incarichi che (come dimostra una casistica piuttosto nutrita fin qui incontrata) venivano loro affidati. In secondo luogo proverebbe una certa permeabilità tra quella carica amministrativa e la carriera ecclesiastica nei suoi gradi più alti: sotto Gregorio, infatti, il personaggio sarebbe divenuto anche arcidiacono  137. Da un altro punto di vista, la vicenda di Onorato rappresenta un primo esempio della grande fiducia riposta da questo papa negli esponenti delle carriere amministrative, in primo luogo notarii e defensores, categorie che, come si ricava dalla quantità di documentazione disponibile che le riguarda, dal 590 troviamo coinvolte in tutti gli aspetti della gestione della struttura amministrativa che sorregge il patrimonio della Chiesa di Roma 138. Per completezza di informazione, si accennerà a un ulteriore caso, offerto da un documento sulla cui autenticità sussistono forti sospetti: l’atto, datato 28 dicembre 587 e proveniente dal regesto del monastero di Sant’Andrea ad Cliuvm Scauri, con cui Gregorio, diacono, avrebbe ceduto all’istituzione da lui fondata quattro territori siti sulla via Tiburtina. Quale rogatario viene citato il notarius Deusdedit 139: In qua donatione pagina spondeo atque promitto numquam me heredesque successoresque meos, nec per aliam quamlibet dolosam, fictitiamque personam per cuiuslibet legis interventum contrariam inferre voluntatem. Sed in huius me heredesque successoresque meos promitto fidem cartule duraturos, quam largita-

136 A lui doveva essere indirizzata una delle prime lettere del pontificato, che gli chiedeva di intercedere presso l’imperatore Maurizio per la causa di alcune persone (fratres) che erano a cuore al pontefice (fra cui forse Alessandro, il deposto patriarca di Antiochia), tale lettera non ci è pervenuta, ma a essa si fa riferimento in Ep. 1, 6, p. 8 ll. 30-31, indirizzata a Narsete dell’ottobre 590. A Onorato sono direttamente indirizzate Ep. 1, 47 e 2, 49; mentre viene ricordato in Ep. 3, 6 (p. 152 ll. 37-38) e 7 (p. 154 ll. 54-55). 137 L’identità tra l’apocrisario e l’arcidiacono eletto nel settembre del 591 al posto di Lorenzo è suggerita dal Recchia (in Greg. I, Lettere [OGM 5/1], pp. 121-122, nota 5), cf. Ep., App. iii (= Narratio de depositione Laurentii archidiaconi et promotione Honorati): Temporibus papae Gregorii, consolatu Mauricii Augusti anno septimo depositus est Laurentius, qui primus fuerat in ordine diaconii sedis apostolicae, propter superbiam et mala sua quae tacenda duximus. Et factus est archidiaconus Honoratus coram omnibus presbyteris, diaconibus, notariis atque subdiaconibus vel cuncto clero in Basilica Aurea, p. 1095. 138 Un esame dell’evoluzione delle funzioni del personale amministrativo sotto Gregorio è svolto da Recchia 1978, pp. 25-55. 139 Regestum Gregorianum 1, pp. 6-7 [cf. Greg. M., Reg., App. I, vol. ii, p. 438 ll. 15-26].

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 63

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tis mee paginam omni vi, dolo, metu et circumscriptione cessante Deusdedit viro nobili notario, rogatarioque meo, scribendam mandavi, cuique subtus manum meam propriam subscripsi et testibus a me rogatis obtuli scribendam, allegandi etiam gestis, quibus tibi placuerit, non expectavi deinceps professione mea ex more concedi licentiam, sub stipulatione et sponsione solemniter interposita, imperante domino nostro Mauritio Tiberio perpetuo augusto anno sexto, post consolatum eiusdem domini nostri anno quarto indictione sexta, vigesima octava die mensis decembris.

Prescindendo in questa sede dalla questione dell’autenticità 140, ci si chiede se il notarius che vi compare quale rogatario possa essere o meno un funzionario ecclesiastico. La formula con cui lo si identifica, vir nobilis notarius, priva di qualsiasi riferimento alla Chiesa, non lascerebbe spazio a dubbi circa la natura civile della sua professione. Si deve tuttavia tener conto dell’indicazione del Liber Pontificalis secondo cui ogni atto giuridico relativo a un ecclesiastico dovesse essere istruito da un notarius ecclesiae 141. Va inoltre rilevato che una nota presente in calce al documento (e aggiunta, secondo quanto si legge, in occasione di una trascrizione effettuata nella prima metà del XII secolo) qualifica Deusdedit come «sancte Romane Ecclesie scriniarius» 142. Il termine scriniarius è anacronistico rispetto alle formule fin qui censite in riferimento agli ufficiali ecclesiastici preposti alla redazione di documenti (sempre definiti notarii), ma di per sé l’intera definizione può non essere probante in quanto corrisponde al titolo che qualifica anche l’autore della copia, Falconio, che può averlo semplicemente replicato per il suo predecessore; alla sua epoca era infatti quello il titolo con cui si designavano i tabelliones pubblici 143. Su cui si esprime Alberto Bartola nell’introduzione e nelle note di commento all’edizione da lui curata del Regestum Gregorianum (parte ii, 1, pp. 1-8). In un intervento successivo sull’argomento lo studioso sembra non escludere che ci sia ancora margine di discussione circa l’autenticità dell’atto, Bartola 2007, pp. 121-124. 141 Liber Pont. 36, p. 205 ll. 5-8. Si tornerà su questo argomento più avanti, cf. nota 241. 142 Falconius scriniarius sancte Romane Ecclesie hec que superius leguntur ex antiquiori thomo quod Deusdedit sancte Romane Ecclesie scriniarius descripserat, compleverat et absolverat, quatenus emarcuerant et fere iam deperierant, rogatu domini Ruberti venerabilis abbatis monasterii Sanctorum Andree et Gregorii de Clivo Scauri, ne ex tomo consumeretur, decerpsi et in hanc transferre curavi, Regestum Gregorianum 1, pp. 7-8 [cf. Greg. M., Reg., App. I, vol. ii, p. 439, nota a] 143 «Secondo le disposizioni di Giustiniano i tabellioni (…) erano scrittori pubblici che svolgevano la loro attività sotto il controllo e il potere disciplinare delle autorità statali e nella cui assunzione queste ultime avevano una qualche parte. (…) Allorché però a Roma, nel corso del secolo VIII, con il venir meno dell’autorità imperiale il go140

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All’ombra di Gregorio Magno

Tornando agli indizi del riconoscimento da parte di Gregorio dell’utilità rappresentata dai notarii per l’amministrazione ecclesiastica, si prenderà spunto da una constatazione di ordine meramente quantitativo: il numero totale delle testimonianze nominative relative a notai censite fino al 590 è di poco superiore all’insieme di quelle riferibili al solo pontificato di Gregorio. Le fonti utili sono sostanzialmente due: il Registrum epistolarum che, per la parte sopravvissuta, cita i nomi di poco più di venti notarii (inclusi un primicerius e due secundicerii), e la Vita Gregorii di Giovanni Immonide, che offre in due occasioni riferimenti estemamente significativi: la prima volta nel passo – già considerato – in cui accenna a Emiliano, che cum sociis suis avrebbe messo per iscritto le Homiliae in Evangelia, e Paterio, che avrebbe «allestito utilissimi florilegi» delle opere gregoriane 144; la seconda in un brano in cui, trattando dei rectores patrimoniorum che il papa aveva inviato pro custodia sacrae religionis, rebusque pauperis strenue gubernandis 145, Giovanni enumera – accanto a nove defensores 146, quattro suddiaconi 147, un presbitero 148, un diacono 149 e un chartularius 150 – ben sette notarii 151: Pantaleonem notarium Syracusani, (…) Romanum notarium Apuli, (…), Castorium notarium Histriani, (…) Ioannem notarium Illyricani, (…) Bonifacium notarium Corsicani, (…) Pantaleonem notarium Liguriae, (…) Hilarium notarium Germaniciani.

Le attestazioni offerte dal biografo si prestano ad essere verificate sulla base dell’epistolario, ma offrono alcuni elementi in più. Del priverno della città passò al pontefice, a quest’ultimo toccarono anche quei poteri che fino ad allora lo stato aveva esercitato nei confronti dei tabellioni (…). A questo punto però si verificò un’evoluzione che fu peculiare di Roma e dei suoi dintorni, vale a dire avvenne che i tabellioni, dopo essere stati subordinati all’autorità pontificia, assunsero anche il titolo di notai della cancelleria papale, e dalla metà circa del IX secolo in poi si designarono scriniarii et tabelliones urbis Romae, più in là senz’altro scriniarii sanctae Romanae ecclesiae», Bresslau 1998, p. 187 (= 206-207). 144 Iohannes Hymmonides, Vita Gregorii 2, 11 (PL 75, col. 92a-b). 145 Ibid., 2, 53 (col. 110a). 146 Fantinum defensorem Panormitani, Sergium defensorem Calabritani, (…) Benenatum defensorem Samnitici, (…) Candidum defensorem Tusci, Urbicum defensorem Sabini, Optatum defensorem Nursini, Benedictum notarium defensorem Carseolani, (…) Symmachum defensorem Sardiniae, (…) Hieronymum defensorem Alpium Cottiarum, ibid. (col. 110a-b). 147 Anthemium subdiaconum Neapolitani, (…) Petrum subdiaconum Campani, (…) Felicem subdiaconum Appiae, (…) Antonium subdiaconum Dalmatiani, ibid. 148 Candidum presbyterum Gallicani, ibid. (col. 110b). 149 Cyprianum diaconum patrimonii Siculi, ibid. (col. 110a). 150 Castorium chartularium Ravennatis, ibid. (110b). 151 Ibid. (col. 110a-c).

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 65

mo, brevissimo gruppo di nomi si è detto: l’associazione tra il nome dell’autore del Liber testimoniorum e il notarius/secundicerius presente nell’epistolario doveva essere immediata; non sappiamo, invece, da quale fonte egli abbia tratto l’informazione sulla collaborazione di Emiliano alla redazione delle Omelie. Anche la lista dei rectores merita alcune osservazioni: anzitutto i due notai di nome Pantaleone, distinti per essere l’uno sovraintendente del patrimonio siracusano, l’altro di quello ligure, sono probabilmente la medesima persona 152 che, a quanto risulta dall’epistolario, a Siracusa avrebbe svolto incarichi ispettivi senza esservi nominato rector 153. Il notarius Castorio è certamente da identificare con il personaggio che Giovanni, poco dopo, qualifica come chartularius Ravennatis: tra il 593 e il 599, infatti, incontriamo un Castorio a Ravenna, dove svolge funzioni di apocrisario  154 e probabilmente anche di rector del patrimonio di San Pietro 155. Il suo raggio d’azione arriva fino all’Istria, dove è impegnato in particolare tra la primavera e l’estate del 599. Nelle lettere in questione non si parla di reggenza del patrimonio ma Giovanni così deve avere interpretato 156. Nella corrispondenza, specie quella dell’ultimo periodo, oltre che notarius viene definito chartularius, fornendo motivo di confusione al biografo gregoriano. Tornando alla lista, il Bonifacio definito notarius Corsicani potrebbe coincidere con uno dei notarii di questo nome presenti nell’epistola-

152 Anche i curatori del PCBE, probabilmente sulla scorta dell’indicazione di Giovanni Immonide, distinguono i due personaggi (ibid., 2, Italie, pp. 1585-1587, Pantaleo 1 e pp. 1587-1588 Pantaleo 2), tuttavia il nome non è comune (per lo stesso periodo si conosce solo un prefetto del pretorio in Africa, destinatario di una lettera di Gregorio, Ep. 4, 32) ed è lecito dubitare che due omonimi si trovassero a ricoprire la medesima carica negli stessi anni. 153 Sugli incarichi e le competenze di Pantaleone cf. più avanti, nota 203. 154 A lui sono indirizzate sei lettere dell’epistolario (5, 24; 5, 25; 6, 31; 9, 168; 9, 169; 9, 179); in altre vi si fa riferimento (3, 54; 5, 56; 6, 24; 6, 33; 6, 34; 9, 150; 9, 152; 9, 154; 9, 155; 9, 174; 9, 178; 9, 234), a lui accena anche una lettera scritta da Giovanni di Ravenna a Gregorio (App. vi dell’ed. Norberg), e ancora il verbale che riassume la vicenda di Massimo di Salona (App. v). 155 Tale funzione è dedotta da un passo di una lettera a lui indirizzata in cui Gregorio lo autorizza a computare sui redditi della Chiesa di Roma ogni spesa che avrebbe sostenuto: Praterea ne quam necessitatem in expensis tua experientia patiatur, de reditibus sanctae Romanae ecclesiae, qui illic te providente aggregati sunt, omnes expensas tuas te facere volumus. Et si quid superfuerit, nobis cum veneris defer, Ep. 5, 25, p. 293 ll. 30-34. 156 Una di esse lo raccomanda al vir clarissimus Basilio per alcune commissioni che deve svolgere in Istria: Praesentium vero portitorem Castorium cartularium nostrum, quem pro quibusdam illic causis transmisimus, magnitudo vestra, ut bona sua multiplicet, suis in omnibus studeat solaciis adiuvare, Ep. 9, 154, p. 710 ll. 16-19.

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All’ombra di Gregorio Magno

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rio  157, mentre Hilarius è l’inviato nel patrimonium Germanicianum in Africa, almeno tra l’agosto 591 e il marzo 602 158. Anch’egli, come Castorio, è definito tanto notarius che chartularius e sorge l’interrogativo se i due titoli fossero del tutto sinonimi 159, o se il secondo termine servisse a specificare una qualifica individuale, che comportasse un “livello” diverso rispetto al resto dei notarii. Lo scambio dei titoli avviene prevalentemente in riferimento a notai che sono anche rettori di patrimonio, e ai casi già citati si può aggiungere quello di Adriano 160. Tuttavia l’oscillazione si nota anche per Salerio, per il quale non conosciamo incarichi di “rettorato”  161, dunque non è possibile giungere ad alcuna conclusione certa in proposito e l’uso dei due termini sembra sia indifferenziato 162. Il passo citato della Vita Gregorii ci permette di introdurre la riflessione sullo spettro delle funzioni dei notarii ecclesiae Romanae alla fine del VI secolo mostrandocene due estremi: da un lato abbiamo i “collaboratori” del papa, di cui Giovanni sottolinea la vicinanza spirituale e fisica e la partecipazione alla redazione delle opere letterarie; resta solo implicito che siano stati anche cancellieri. Dall’altro lato abbiamo i funzionari operanti in modo stanziale nelle sedi periferiche, investiti di responsabilità di natura molto diversa da quelle assegnate ai primi. Tra i due poli, l’epistolario ci mostra l’esistenza un ulteriore Ne possiamo distinguere quattro: il primo, del quale si hanno notizie tra il giugno 593 e il luglio 599, opera in Puglia, probabilmente in ausilio ai rectores che vi si sono succeduti nel tempo (cf. Ep. 3, 41; 9, 133; 9, 175); un altro risiede a Roma prima del settembre 594 (5, 6); un terzo è inviato da Roma in Sardegna nel febbraio-aprile 599 a comprare schiavi barbaricini (9, 124); un quarto è a Costantinopoli nel febbraio 603 (13, 25). Non va escluso che il secondo e il terzo siano la stessa persona, che possa anche aver avuto per qualche tempo l’incarico di rector del patrimonio della Corsica. 158 Destinatario di due lettere (1, 82 e 9, 133) e chiamato in causa in altre otto (1, 73; 1, 74; 1, 75; 2, 39; 10, 16; 12, 2; 12, 8; 12, 9), viene definito notarius solo nella lettera indirizzata all’esarca d’Africa Gennadio (1, 73, p. 82 l. 22) e nell’intestazione di quelle a lui indirizzate; in tutte le altre è qualificato come chartularius. 159 Come ritiene Recchia 1978, p. 42, nota 106. 160 Rettore di un patrimonio siciliano non specificato nel 599 (9, 111); poi notaio a Palermo con funzioni di controllo (11, 30; 11, 33); poi nuovamente rettore del patrimonio siracusano dal 603 (13, 20; 13, 21, 13, 23, 13, 35). 161 È citato in tre lettere come informatore del pontefice su abusi commessi nei patrimoni siciliani: Ep. 9, 21 (notarius noster); 9, 38 (notario nostro); 13, 35 (cartulario nostro). 162 È bene ricordare che nell’epistolario sono presenti anche chartularii non ecclesiastici, che rivestono incarichi amministrativi o militari: il vir magnificus Maurenzio, chartularius (1, 3; 6, 31) e magister militum (8, 12; 9, 17; 9, 53; 9, 109; 9, 125); il vir clarissimus/gloriosus Felice (2, 21; nelle altre lettere che lo riguardano non compare il titolo: 9, 41; 9, 42; 9, 91; 9, 92); Stefano, cartarius Siciliae (2, 26), chartularius (3, 3), marinarum chartularius (3, 38). 157

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 67

gruppo: i notarii impegnati a tenere le fila della rete dei rapporti tra il centro e la periferia, e tra la stessa Chiesa romana e le altre istituzioni. Sembra dunque utile esaminare singolarmente le tre sottodistinzioni.

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II.2.1. I notai dello scrinium I notai dei primo gruppo svolgono tecnicamente e funzionalmente i compiti legati al nome che portano: essi in primo luogo scrivono la corrispondenza ufficiale, e all’occasione (sotto dettatura) le opere di impegno dottrinale del pontefice; danno pubblica lettura degli atti nei sinodi  163; gestiscono la documentazione dell’archivio della Chiesa  164. Nonostante la presenza dell’intervento tecnico di un notarius per gli scritti pervenutici, la prassi dell’epoca non prevedeva per i documenti pontifici né la menzione del nome dello scrittore nel testo, né la sottoscrizione da parte del cancelliere 165. Fa eccezione il piccolo ma considerevole corpus delle tre lettere gregoriane redatte da Paterio, il cui nome compare direttamente nel testo, all’interno della frase finale 166. Le lettere appartengono ad annate diverse del Registrum, nelle prime due (del febbraio e settembre 595) 167 il personaggio è definito semplicemente notarius, nella terza (del gennaio 599)  168 è secundicerius. Prima e terza sono molto simili fra loro, in quanto contengono formule di nomina di defensores, rispettivamente Vincomalo e Vito. In quella relativa a Vito al nome dello scriniario si aggiunge l’annuncio della sottoscrizione papale: L’unico caso censibile è quello di Paterio in Ep. 11, 15. Sulle ricerche condotte negli archivi della Chiesa per esigenze varie nel corso del pontificato cf. Ep. 3, 54 (indirizzata a Giovanni di Ravenna; si cercano i privilegi concessi nel corso del tempo alla Chiesa di Ravenna per verificare la presenza di particolari concessioni legate all’uso del pallio: Sed ne forte putes quia nos, haec vobis scribentes, quae pro fraterna sunt caritate negleximus, scitote in nostro scrinio de privilegiis ecclesiae tuae subtiliter perquisitum. Et quidem quaedam inventa sunt quae omnino possint fraternitatis tuae intentionis obviare, nihil autem in quo de huiusmodi capitulis pars vestrae possit ecclesiae roborari, p. 201-202 ll. 49-54). 165 Bresslau 1998, pp. 72-74 (= 74-76). In qualche caso, anch’esso eccezionale, come si è visto, si è conservata la nota di autenticazione della provenienza del documento dallo scrinium pontificio, che include il nome del cancelliere (Tiburzio, che autentica nel 449 il Tomus ad Flavianum di Leone I, cf. sopra, nota 23; Sisto, che pubblica il verbale del sinodo tenuto in San Pietro sotto Gelasio il 13 marzo 493, cf. sopra, nota 30; Bonifacio, che produce, nel 517, delle copie del libellus fidei di Ormisda, cf. sopra, nota 45). 166 Ciò comporta che il soggetto grammaticale della frase sia Gregorio, che afferma di aver «dettato a Paterio» il testo del documento. 167 Gregorius Magnus, Ep. 5, 26 e 6, 12 (CCSL 140, pp. 293 e 381s.). 168 Ibid., 9, 98 (CCSL 140A, p. 651 = MGH Ep. ix, 97 [ii, p. 107]). 163

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All’ombra di Gregorio Magno

Ep. 5, 26: Hanc autem epistulam Paterio notario ecclesiae nostrae scribendam dictavimus 169. Ep. 9, 98: Hanc autem Paterio secundicerio nostro scribendam dictavimus, cuique subscripsimus 170.

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La seconda lettera in ordine cronologico concerne la manumissione degli schiavi Montana e Tommaso, di proprietà della Chiesa di Roma, contiene anch’essa nella formula finale – qui particolarmente solenne – il riferimento a Paterio quale redattore ufficiale e l’annuncio della sottoscrizione 171: Hanc autem manumissionis paginam Paterio notario scribendam dictavimus et propria manu una cum tribus presbyteris prioribus et tribus diaconibus pro plenissima firmitate subscripsimus vobisque tradidimus. Actum in urbe Roma.

Il documento, ai fini della ricostruzione della storia dei notarii che si tenta di tracciare è doppiamente interessante: non solo per il ruolo che vi svolge Paterio, ma anche perché contiene la disposizione gregoriana che uno dei due schiavi affrancati, Tommaso, a coronamento della libertà ricevuta, «presti la sua opera fra i notai»  172, che sembra fornire un dato interessante circa la composizione sociale della categoria, su cui sarà utile tornare 173. L’epistolario contiene un quarto documento in cui Paterio è citato esplicitamente come secundicerius. Tale documento si discosta tipologicamente dagli altri tre in quanto costituisce il verbale del sinodo riunitosi il 5 ottobre del 600 alla presenza del papa, cinque vescovi, undici presbiteri di titoli romani e non meglio specificati «diaconi e clero» per concedere all’abate Probo di poter disporre dei beni ottenuti precedentemente all’ingresso in monastero 174. Paterio vi svolge la funzione di cerimoniere (annuncia la presenza del postulante)  175 e di lettore (della petizione di Probo) 176.

CCSL 140, p. 293 ll. 10-11. CCSL 140A, p. 651 ll. 8-9. 171 Gregorius Magnus, Ep. 6, 12 (p. 381 ll. 39-43). 172 Tibi autem suprascripto Thomae, quem pro libertatis tuae cumulo etiam inter notarios volumus militare (…), ibid., p. 381 ll. 21-22. 173 Cf. avanti, paragrafo III.1. 174 Ibid. 11, 15 (CCSL 140A, p. 881s.). 175 Paterius secundicerius dixit: “Probus abbas monasterii sanctorum Andreae et Luciae vestris, si praecipitis, desiderat aspectibus praesentari”, Ep. 11, 15 (p. 881 ll. 16-18). 176 Quae dum suscepta fuisset, Paterius in his recitavit: “In nomine domini Tiberio (…)”, Ep. 11, 15. (p. 882 ll. 24-25). 169 170

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 69

La circostanza che Paterio sia, fra la nascita della cancelleria pontificia e la fine del secolo VIII (quando è attestato un cambiamento di prassi)  177, l’unico funzionario a essere mai esplicitamente nominato all’interno di un documento ufficiale nella sua qualità di scrittore  178 appare piuttosto singolare e genera, oltre che stupore, qualche perplessità. Innanzitutto sorge il dubbio se la presenza di questo nome rappresenti un’anomalia all’interno della prassi redazionale, o piuttosto della modalità della trasmissione della documentazione nel suo complesso, per cui non si sarebbe conservato un dato di per sé normalmente registrato. Lasciando da parte l’intrinseca improbabilità che ciò si sia verificato senza che restasse qualche ulteriore traccia (non limitata al solo pontificato di Gregorio, e non al solo cancelliere di nome Paterio), si può obiettare che la registrazione del nome dello scrittore all’interno del testo della lettera, come avviene nei casi in esame, avrebbe di fatto impedito la perdita di quel nome. E anche qualora esso fosse scomparso per una qualche ragione, se ne sarebbe almeno conservato l’annuncio, così come avviene, ancora nell’epistolario gregoriano, in un caso che appare formalmente analogo ai nostri 179. Accettando dunque l’unicità della vicenda di Paterio, ci si chiede perché proprio lui, nella molteplicità di scrittori che i papi hanno avuto a disposizione per la redazione dei documenti, sia stato protagonista di un episodio così inconsueto nella storia della diplomatica pontificia antica. Ancora più in generale va osservato che, nel panorama delle funzioni svolte dal personale assegnato all’officium notarile sotto Gregorio – come la prosecuzione dell’esame delle testimonianze del Registrum mostrerà –, spicca decisamente la quantità di citazioni nominative di incaricati a compiti di tipo amministrativo, diplomatico e ispettivo presso le realtà periferiche, mentre appaiono numericamente minoritarie le citazioni relative agli addetti alle attività di cancelleria presso lo scrinium romano. Sebbene non manchino riferimenti di tipo generico a costoro, anche significativi per la ricostruzione delle prassi segretariali, di fatto l’unico nome riconducibile a tali operazioni è proprio quello di Paterio, accanto al quale viene generalmente ricordato, su 177 «Solo verso la fine del secolo VIII si manifesta un cambiamento chiaramente riconoscibile. Per la prima volta sotto Adriano I, per quanto ne sappiamo fino ad ora, nell’escatocollo di numerosi documenti pontifici compare regolarmente la menzione dei funzionari di cancelleria partecipanti alla loro redazione», Bresslau 1998, p. 74 (= 76). 178 Cf. anche Rapisarda 2004, p. 552. 179 Si tratta del testo della donazione di uno schiavo al vescovo di Porto: Hanc autem donationem notario nostro perscriptam relegimus atque subscripsimus, tribuentes etiam non exspectata professione vestram, quo volueris tempore, allegandi licentiam stipulatione et sponsione interposita. Actum Romae, Ep. 9, 99, p. 652 ll. 12-15.

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impulso della testimonianza di Giovanni Immonide, quello di Emiliano, che, a ben guardare, nell’epistolario compare solo come redattore di un atto privato di un ecclesiastico, non di documenti pontifici  180. Viene allora spontaneo considerare la particolare delicatezza del loro ruolo, che li poneva a conoscenza diretta di ogni informazione relativa alla persona del pontefice e all’Istituzione, qualunque ne fosse il livello di riservatezza, e pensare che la scelta delle figure da adibirvi possa aver comportato per la gerachia ecclesiastica la necessità di orientarsi su soggetti particolarmente fidati 181 ed eventualmente l’opportunità di mantenere il numero complessivo degli addetti per quanto possibile contenuto. Con ciò non si vuole affermare che i due personaggi noti possano essere stati gli unici responsabili dello scrinium durante il pontificato gregoriano, quanto suggerire che, forse, non molte altre persone siano state contemporaneamente adibite a quell’ufficio 182. II.2.2. I notai periferici: rectores e ispettori Scorrendo le testimonianze del Registrum gregoriano relative ai notarii all’opera nei possedimenti territoriali periferici della Chiesa di Roma, troviamo anzitutto un gruppo di rectores patrimonii che comprende, oltre i già ricordati Ilaro per l’Africa 183 e Castorio per il patrimonio ravennate  184, Pietro per il Bruzzio (tra il 591 e il 594)  185, Benenato per la pars Panormitana del patrimonio di Sicilia (tra il 592 e il 593) 186, Eugenio per la Tuscia (599) 187, Adriano in Sicilia, prima in un territorio non specificato (599)  188, poi nel patrimonium SyracusaSi tratta della stessa petizione dell’abate Probo letta da Paterio al sinodo presieduto da Gregorio: Hanc autem suggestionem supplicationemque meam Aemiliano notario sanctae ecclesiae Romanae noto meo scribendam dictavi, cuique propria manu ego Probus servus vester subscripsi et vobis beatissimo domino meo Gregorio papae porrexi, Ep. 11, 15 (pp. 881-882 ll. 16-17; 24). Si ricorda che gli atti privati degli ecclesiastici dovevano essere redatti da notarii ecclesiae, cf. avanti, pp. 86-88. 181 Si vedrà più avanti, al paragrafo III.1., come non sia da escludere la possibilità che lo stesso Paterio sia stato un parente di Gregorio, o comunque persona nota al papa per il servizio prestato presso esponenti della sua famiglia. 182 Per una riflessione sulla quantità dei notarii operanti nello scrinium si può prendere in esame il dato ricavabile dagli Atti del sinodo lateranense del 649, su cui si tornerà più avanti, II.4. 183 Cf. sopra, nota 158. 184 Cf. sopra, nota 154. 185 Ep. 2, 2; 5, 9. 186 Ep. 2, 50; 3, 27. 187 Ep. 9, 97; 9, 111. 188 Cf. Ep. 9, 111. 180

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 71

num (dal 603) 189. A questi si aggiungono i due nomi della testimonianza di Giovanni Immonide che non trovano riscontro altrove, Romano notarius Apuli e Giovanni notarius Illyricani 190. Non risulta che quella di rector patrimonii fosse una carica formalizzata, era piuttosto un compito affidato di volta in volta a figure che ne fossero tecnicamente e moralmente all’altezza e rivestissero un grado elevato della carriera amministrativa o ecclesiastica  191. Ne deriva che i poteri di fatto esercitati dai rectores prescindevano dalla loro qualifica individuale e che risulterebbe vano sia cercare una qualche specificità nei compiti svolti dai notarii di cui si ha testimonianza nel corso dei loro mandati di rettorato, sia cercare di vedere nei mandati stessi una sorta di specializzazione di categoria. Può anzi essere interessante aggiungere che Vincenzo Recchia, nel tentativo di individuare nel pontificato gregoriano qualche linea di tendenza rispetto alla gestione delle cariche amministrative, ha osservato come, tra tutti, sia l’officium del defensor quello che maggiormente si evolva, culturalmente e funzionalmente, in direzione di una ideale identificazione con la figura dell’amministratore di patrimonia, estendendo le proprie attribuzioni anche oltre questa 192. Sembra utile domandarsi se qualche notaio avesse rivestito incarichi simili prima di Gregorio. La testimonianza più prossima è offerta proprio dal caso di Ilaro, che era alla guida del patrimonio d’Africa già sotto Pelagio II 193; un altro caso è offerto dall’epigrafe di Cagliari che menziona il notaio Menas, rector – verosimilmente – del patrimonio sardo in data Ep. 13, 20; 21; 23; 35; 14, 17. Cf. sopra, nota 151. 191 «Il “rettorato” non era un officium con relativo titolo», come dimostra il fatto che nelle lettere circolari spedite da Gregorio a più rectores, i singoli destinatari sono qualificati con il rispettivo titolo amministrativo o ecclesiastico (defensor, notarius, subdiaconus, ecc.), Recchia 1977, p. 26, nota 2 . 192 Ibid., pp. 30-36, «A noi pare di scorgere un ampliamento progressivo delle prerogative dei defensores sulla base dei poteri amministrativi che essi per tradizione avevano sui patrimonia. (…) La creazione in Roma della schola defensorum (…) rappresenta il punto più significativo nella riforma gregoriana dell’amministrazione dei beni della Chiesa e dei poteri di chi era preposto ai patrimonia. Il modello a cui il santo si ispirò fu quello della schola notariorum et subdiaconorum. I defensores insigniti del privilegio regionario furono sette, di cui uno fu il primicerius», p. 33-34. Prosegue l’autore: «Il defensor si configura sempre più come amministratore del patrimonio pontificio e legato del papa. La base, tuttavia, sulla quale la complessa figura del funzionario cresce, è quella dell’amministrazione di patrimoni agricoli. (…) Non pare tuttavia da sottolineare eccessivamente, come verrebbe tentazione di fare, il rapporto tra la funzione economica e gli altri aspetti dell’attività del defensor, compreso quello pastorale», p. 36. Sull’istituzione della schola defensorum su modello di quella notariorum et subdiaconorum cf. avanti, nota 207. 193 Così si deduce da Ep. 1, 75: Petistis etenim per Hilarum cartularium nostrum a beatae memoriae decessore nostro ut omnes vobis retro temporum consuetudines ser189

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non precisabile nel corso del VI secolo 194; infine possiamo menzionare la vicenda di Dulcizio, notaio dispensato dall’incarico da Pelagio I e quindi trasformato in defensor, con il compito, probabilmente, di sovrintendere il patrimonio della Puglia, ma di cui in effetti non si conoscono le mansioni svolte sotto il precedente ufficio 195. Paradossalmente, dunque, si fatica a trovare testimonianze precedenti a Gregorio di una prassi che l’epistolario ci mostra come del tutto normale, cioè l’assegnazione di patrimoni ai notai. Quanto si è detto per i rectores vale anche per altri incarichi con valenza istituzionale e diplomatica di rilievo. Ad esempio, nel prestigioso incarico di apocrisario a Ravenna Castorio è stato preceduto da un altro notaio, il primicerio Gaudioso, ma anche dai defensores Pietro 196 e Michele 197. Anche per ciò che riguarda gli incarichi periferici occasionali non sembra che particolari responsabilità siano appannaggio esclusivo dei notai, dalla documentazione si evince piuttosto che le assegnazioni vengano fatte sulla base delle competenze e delle capacità personali: troviamo così notarii impegnati, in modo stanziale o occasionale, nel controllo sulla gestione dell’amministrazione dei beni e della popolazione dei patrimoni 198, nell’acquisto di schiavi per gli stessi 199; nell’inventariazione di beni mobili e immobili 200; nella verifica di segnalazioni circa la moralità del clero e dei religiosi 201. varentur, quae a beati Petri apostolorum principis ordinationum initiis hactenus vetustas longa servavit, p. 83 ll. 8-12. 194 Cf. sopra, nota 127. 195 Cf. sopra, nota 112. 196 Lo stesso personaggio che sarebbe successivamente divenuto suddiacono e poi diacono, e che figura come interlocutore di Gregorio nei Dialogi. 197 Ep. 3, 54, p. 202 ll. 54-61. 198 Pantaleone nel giugno 593 è chiamato a recarsi a Siponto per indagare sulla violenza perpetrata ai danni della figlia del diacono Evangelo (3, 40). Sappiamo che il notarius Bonifacio, operante nel patrimonio Puglia, priva un individuo della condizione di libertà, in maniera forse indebita, e che sul caso Gregorio chiama ad indagare il tribuno Giovanni e il vescovo Vitaliano (9, 175). Nel giugno 603 Pantaleone è controllore del patrimonio di Siracusa e fa distruggere alcune misure contraffatte che penalizzano i coloni della chiesa; è incaricato, con il rector, il notaio Adriano, di sovraintendere a una redistribuzione ai poveri del denaro requisito dall’indagine sulla frode (13, 35). 199 Nel febbraio-aprile 599 Bonifacio è inviato da Gregorio in Sardegna per comprare schiavi barbaricini in utilitatem parrochiae, 9, 124, p. 675 ll. 3-4. 200 Ep. 3, 41; 8, 26; 9, 75; 9, 133. 201 Il notarius Giovanni nell’agosto 592 è inviato in Sardegna per controllare l’operato di Gennaro, vescovo di Cagliari (2, 41), dopo circa un anno, a causa di un mancato esito nelle indagini e di nuove segnalazioni contro il prelato, è invitato a condurre, insieme al defensor Sabino, lo stesso Gennaro a Roma, affinché sia esaminato e

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 73

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Tutto ciò comporta, da parte del pontefice, il conferimento di deleghe che spaziano dall’ambito propriamente istituzionale  202 a quello giuridico, a quello economico-patrimoniale, e implica, da parte degli esecutori, un ampio raggio di conoscenze. Esemplare in questo senso è il caso di Pantaleone, le cui competenze in materia giuridica ed economica devono averlo reso utile più come ispettore inviato in aiuto dei rectores dove e quando necessario che come ufficiale stanziato in maniera continuativa in una medesima sede: tra il giugno 593 e il giugno 603 lo troviamo impegnato in una serie di missioni tra loro estremamente eterogenee in Puglia, in Sicilia e in Liguria 203. giudicato da Gregorio (3, 36). Nell’ottobre 599 Gregorio ricorda di quando il notarius Grazioso aveva ricondotto in monastero una donna che ne era stata portata fuori da un uomo (10, 3). Nel febbraio 601 il notarius Adriano è incaricato di indagare sul motivo della monacazione a Palermo di un uomo sposato e, in caso di mancato consenso della moglie, di obbligarlo a tornare da questa (11, 30). Solo ai fini di un confronto, si segnalano alcuni esempi di incarichi di questo tipo affidati a notarii-rectores di patrimoni: al notarius Benenato, che gestisce la pars Panormitana della Sicilia, nell’aprile 593 è affidato il compito di indagare, congiuntamente all’abate Martiniano, sull’appropriatezza della pena comminata dal vescovo Vittore al vir clarissimus Bonifacio (3, 27). Il notarius Castorio, apocrisario a Ravenna, nel febbraio 595 è chiamato a informarsi sulla condotta del vescovo di Pesaro. Ma la testimonianza più significativa rispetto al controllo affidato ai rectores sulla moralità del clero anche di massimo grado è forse quella che leggiamo nella lettera con cui Gregorio informa i vescovi siciliani dell’invio del nuovo rettore del patrimonio di Siracusa, il notarius Adriano nel gennaio 603: Latorem siquidem praesentium Adrianum cartularium nostrum ad regendum ecclesiae nostrae patrimonium Syracusanarum videlicet partium dirigentes, fraternitati vestrae necessario duximus commendandum (…). Nam eidem praefato cartulario nostro iniunximus ut, si qua de reverentissimis fratribus nostris episcopis inordinate acta cognoverit, prius quidem secreta ac modesta adhortatione ipse corripiat. Quae si emendata non fuerint, nobis celeriter innotescat, 13, 20, pp. 1020-1021 ll. 7-10, 17-22. 202 Nell’ottobre del 600 Gregorio invia a Pantaleone l’ordine di recarsi a Genova per consacrare il vescovo eletto di Milano Deusdedit, lì residente (11, 14). 203 Nel giugno 593 indaga a Siponto su un caso di violenza (3, 40), contestualmente deve redigere l’inventario degli arredi delle chiese della zona (3, 41); nel giugno e ottobre 598 è in Sicilia per rintracciare suppellettili ecclesiastiche vendute abusivamente e inventariarle (8, 26; 9, 19). Nell’ottobre 600 si reca a Genova per consacrare il vescovo di Milano e contestualmente si deve occupare di alcuni possedimenti ecclesiastici nella zona (11, 6; 11, 14). Nel giugno 603 a Siracusa esegue l’ispezione sulle misure che penalizzano i coloni, e sovrintende alla redistribuzione del denaro recuperato (13, 35). Sulle sue competenze si pronuncia in due occasioni lo stesso Gregorio (Quia Pantaleo notarius in ecclesiasticis sit utilitatibus occupatus, experientia tua non habet incertum, 9, 133, p. 683 ll. 2-3; Experientia tua, quod vel quale apud sacratissimum corpus beati Petri apostoli iusiurandum praebuerit, memor est; unde nos quoque securi discussionis causam in patrimonio partis Syracusanae commisimus, 13, 35, p. 1037 ll. 2-5). Segno di attenzione nei suoi riguardi possiamo anche considerare il fatto che nel marzo 599, alla morte, in sua assenza, di un suo parente in Puglia, Gregorio ordina che i beni di famiglia siano fatti inventariare in attesa del suo ritorno così che nessuno possa compiere frodi ai suoi danni.

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II.2.3. L’organizzazione della categoria Il mansionario dei notarii ecclesiae Romanae al tempo di Gregorio si presenta dunque estremamente variegato in relazione sia alle caratteristiche logistiche dell’istituzione, articolata in una sede centrale e numerosi territori periferici, sia alle diverse esigenze di ognuna di queste realtà. Ne deriva una serie di specializzazioni all’interno della medesima carriera, in base alle competenze individuali. Tuttavia, se molti degli incarichi svolti, come quelli ispettivi, sono affidati indifferentemente anche a esponenti di altre carriere (quella ecclesiastica e defensores), la cura della cancelleria pontificia, che resta soltanto uno dei possibili esiti della carriera notarile, forse quello storicamente più tipico, sembra rimanere di competenza di quest’ultima, almeno in maniera prevalente. Ciò ci fa chiedere in che modo fosse organizzata la categoria, se l’inserimento prevedesse una preparazione specialistica e se questa si potesse acquisire all’interno di una istituzione formalizzata; se fosse previsto un progresso per livelli gerarchici e se ai diversi impieghi che si sono notati corrispondessero delle sottoqualifiche. Dal censimento effettuato (che ha il dichiarato limite di avere base prosopografica, e di non prendere in considerazione i riferimenti generici), emergono pochi dettagli che illuminino su questi aspetti. Nella lettera di Vigilio a Rustico e Sebastiano si è sottolineato il riferimento all’officium subdiaconorum et notariorum inteso come distinto dall’officium defensorum  204. Ciò ha dato l’occasione di riflettere sull’equivalenza funzionale, almeno dal punto di vista amministrativo, tra notai e suddiaconi, un dato che trova precisi riscontri nel Registrum gregoriano, dove leggiamo un riferimento a un suddiacono siciliano sposato che, a seguito dell’applicazione delle norme relative alla castità per il suo grado 205, decide, piuttosto che adeguarsi, di tenersi lontano dal miniCf. sopra, nota 99. La norma era stata emanata (o meglio recuperata, vista la sua prima formulazione sotto Innocenzo I [402-417] e Gelasio [492-496]) da Pelagio II, in senso molto restrittivo, come si apprende da Ep. 1, 42 del maggio 591: Ante triennium subdiacones omnium ecclesiarum Siciliae prohibiti fuerant ut, more Romanae ecclesiae, suis uxoribus nullatenus miscerentur, p. 54 ll. 167-169. Gregorio ne aveva precisato il senso assegnando agli interessati la facoltà di restare uniti alle mogli pur impegnandosi a rimanere casti: Quod mihi durum atque incompetens videtur, ut qui usum eiusdem continentiae non invenit, neque castitatem ante proposuit, compellatur a sua uxore separari, atque per hoc, quod absit, deterius cadat. Unde videtur mihi ut a praesenti die episcopis omnibus dicatur ut nullum facere subdiaconum praesumant, nisi qui se victurum caste promiserit, quatenus et praeterita, quae per propositum mentis appetita non sunt, violenter non exigantur et futura caute caveantur. Qui vero post eandem prohibitionem, quae ante triennium facta est, continenter cum suis coniugibus vixerunt, laudandi atque 204 205

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 75

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sterium che gli compete e di limitarsi alle funzioni di notarius 206. Una seconda testimonianza è l’atto che istituisce, nel marzo 598, la carica del primicerius defensorum, un testo di fondamentale importanza per la ricostruzione dell’organigramma dell’amministrazione ecclesiastica romana nel nostro periodo. Il documento è formalmente indirizzato a Bonifacio, che per primo riceve il nuovo titolo, ma tale conferimento implica al contempo l’elezione, all’interno della sua categoria, di un gruppo di (sette) elementi che, distintisi per meriti speciali, vengono insigniti honore regionario, così come avviene in schola notariorum atque subdiaconorum 207: Ecclesiasticis utilitatibus fideliter insudantes congruae remunerationis sunt beneficio prosequendi, ut et nos respondisse eorum digne obsequiis videamur et illi ex indulta consolationis gratia utiliores exsistant. Quia igitur defensorum officium in causis ecclesiae et obsequiis noscitur laborare pontificum, hac eos concessa prospeximus recompensationis praerogativa gaudere, constituentes ut, sicut in schola notariorum atque subdiaconorum per indultam longe retro pontificum largitatem sunt regionarii constituti, ita quoque in defensoribus septem, qui ostensa suae experientiae utilitate placuerint, honore regionario decorentur.

Dell’esistenza di una schola notariorum a Roma si hanno indizi fin dal 526, Gregorio tuttavia fa riferimento a un collegio che raccoglie assieme – notare l’uso del singolare per indicare la schola – notai e suddiaconi che offre ulteriore conferma della parificazione delle dignità. remunerandi sunt et ut in bono suo permaneant, exhortandi. Eos autem qui post prohibitionem factam se a suis uxoribus continere noluerunt pervenire ad sacrum ordinem nolumus, quia nullus debet ad ministerium altaris accedere, nisi cuius castitas ante susceptum ministerium fuerit approbata, pp. 54-55 ll. 169-182. 206 Multorum relatione comperimus hanc apud vos olim consuetudinem tenuisse, ut subdiacones suis licite miscerentus coniugibus. Quod ne denuo quisquam praesumeret a Servo-dei sedis nostrae diacone ex auctoritate nostri est decessoris istomodo prohibitum, ut eodem tempore hi qui iam uxoribus fuerant copulati unum e duobus eligerent, id est aut a suis uxoribus abstinerent, aut certe ministrare nulla ratione praesumerent. Et quantum dicitur, Speciosus tunc subdiaconus hac pro re ab administrationis se suspendit officio et usque in obitus sui tempore notarii quidem gessit officium et a ministerio, quod subdiaconus oportuerat exhibere, cessavit, Ep. 4, 34, p. 254 ll. 2-12. Particolarmente illuminante rispetto alla terminologia con cui si esprime Gregorio in questo passo una riflessione di Pietrina Pellegrini: «La differenza fra ordini sacri e minori è in relazione a due termini che assumono una sottile sfumatura semantica: officium e ministerium. Officium è per lo più il servizio negli ordini minori, servizio che evoca il dovere di chi, consapevole delle proprie reponsabilità, è chiamato a svolgere attività pratiche. Esso è però inferiore all’honor delle funzioni spirituali, al ministerium degli ordini sacri», Ead. 2008, pp. 78-79. 207 Ep. 8, 16, pp. 534-535 ll. 3-15.

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Sembra sia da tenere distinto il concetto di schola qui espresso da quello di istituzione finalizzata alla preparazione alla professione di notarii (“scuola”), che probabilmente è esistita in qualche forma anche all’interno della Chiesa di Roma. Lo stesso Gregorio pare offrire un indizio in tal senso nel passo di una lettera del settembre 595 in cui, rivolgendosi a Giovanni di Ravenna, ne stigmatizza l’atteggiamento, che ricorda la loquacità vana e impertinente tipica degli apprendisti notarii, poco consona alla dignità del maturo vescovo 208: Primum me hoc contristat quia mihi fraternitas tua duplici corde scribit et alia blandimenta in epistulis suis exhibet, alia in lingua sua saeculariter ostendit. Deinde grave mihi est quia irrisiones illas quas habere notarii adhuc pueri solent usque hodie frater meus Iohannes in lingua sua retinet: mordenter loquitur et quasi de tali astutia laetatur; amicis praesentibus blanditur, de absentibus obloquitur.

Nella battuta di Gregorio sarebbe sottinteso, secondo Recchia, un riferimento alla schola notariorum di cui si parla nell’epistola precedente, che avrebbe previsto anche la presenza di «una scuola con allievi adhuc pueri, la cui serietà non era del tutto garantita» 209. Osserviamo, tuttavia, che il binomio notai-suddiaconi nella prima epistola sembra far riferimento a un contesto corporativo che può non avere relazione con le forme di avviamento alla professione tecnica. D’altra parte tali istituzioni dovevano essere piuttosto diffuse anche al di fuori dell’ambito ecclesiastico 210, e l’allusione di Gregorio potrebbe essere molto più generica di quanto non sia sembrata a Recchia. Vale la pena ricordare la tendenza, nelle istituzioni ampiamente burocratizzate come la cancelleria imperiale e pontificia (con la prima che funge da modello per la seconda), alla perdita del valore semantico del termine notarius verso l’acquisizione di un senso amministrativo, che individua un tipo di carriera integrata nell’organizzazione complessiva dell’istituzione, con i suoi gradi gerarchici e attribuzioni di responsabilità eterogenee, più che una categoria di collaboratori tecnici specializzati nella scrittura. Ciò non toglie che l’abilità scrittoria sia stato il requisito fondamentale per l’ammissione tra i notarii ecclesiae Romanae, che infatti mantengono di diritto, come si è visto, la gestione della cancelleria papale. Il caso dell’ex schiavo Tommaso  211 (e Ep. 5, 14, pp. 279-280 ll. 2-8. Recchia 1996, p. 14. 210 Cf. Riché 1984, pp. 250-253. Per un breve esame della questione della formazione del clero sotto Gregorio I cf. Id. 1962, pp. 215-219. 211 Affrancato e aggregato al gruppo dei notarii da Gregorio, cf. Ep. 11, 6 e sopra, nota 172. 208 209

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 77

forse dello stesso Paterio, come si dirà più avanti) 212 dimostra però che la formazione possa non essere necessariamente avvenuta in una scuola “interna”, e che uno dei bacini di approvvigionamento di personale competente possa essere stato esterno, e anche schiavile. Ma non sarà superfluo a questo proposito sottolineare che la formalizzazione del grado amministrativo e il complessivo ampliamento dello spettro mansionistico avevano nel frattempo reso il notariato ecclesiastico un traguardo interessante anche per i ceti aristocratici, come dimostrano, ad esempio, i casi del notarius Eugenio del primicerius Geronzio 213. Della lettera di elezione del defensor Bonifacio a primicerio va valutato un altro dato: il conferimento del titolo di regionarius ai sette elementi della categoria che vanno a sovraordinarsi gerarchicamente agli altri. Tale qualifica doveva dunque già caratterizzare i primi sette fra notari e suddiaconi. A confermare l’uso effettivo della qualifica si incontra, nell’epistolario gregoriano, un Savino, rettore del patrimonio del Bruzzio, destinatario di due lettere in cui è definito subdiaconus regionarius  214. Un’altra figura dell’epistolario è designata con il solo titolo di regionarius: Giovanni, messo della Chiesa di Roma in Gallia 215. Si ricorda, infine, che è stato incontrato per un rettore operante in Sardegna il titolo di notarius subregionarius, indicante l’esistenza di forme di sottograduazione della qualifica 216. II.3. I notarii ecclesiae nel Liber Pontificalis Quale fosse il valore originario del termine regionarius lo si ricava da alcuni passi del Liber Pontificalis; passi in cui si parla della costituzione e dell’evoluzione della categoria dei notarii. La peculiarità di questa fonte, dal punto di vista dei tempi e delle modalità di redazione, nonché della quantità di rifacimenti, dei rispettivi responsabili e delle intenzioni specifiche che ne hanno caratterizzato la scrittura, ha indotto a trattarne solo in fondo alla presente rassegna, per evitare che l’autorità normalmente assegnatagli e il carattere dei riferimenti che presenta, intrinsecamente esplicito ma spesso politicamente orientato, influenzasse in modo indebito la complessiva ricostruzione dei fatti. Cf. il paragrafo III.1. Cf. sopra, pp. 57-59. 214 Ep. 9, 123; 10, 2. 215 8, 4, p. 519 l. 21; 9, 221, p. 793 l. 2. Non è chiara la ragione dell’uso assoluto del titolo. 216 Cf. sopra, nota 127. 212 213

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II.3.1. La cronologia del Liber Pontificalis È opportuno premettere anzitutto un breve accenno alla cronologia messa a punto da Louis Duchesne, editore ottocentesco dell’opera 217. Lo studioso, analizzando simultaneamente le raccolte di biografie dei vescovi romani legate al Liber per evidenti sovrapposizioni testuali, ossia le cosiddette Epitomi Feliciana e Cononiana (rispettivamente, nella sua terminologia, Abrégé Félicien e Cononien), rileva che la prima parte del Liber, in una recensione non pervenutaci, che chiama “prima edizione”, sarebbe stata complessivamente redatta tra il secondo e il terzo decennio del VI secolo. Ne consegue che i dati storici contenuti nel Liber (vale a dire nella sua prima edizione, ma poi passati nella seconda) fino alla fine del V secolo circa sarebbero stati ricostruiti a posteriori dall’autore o dagli autori dell’opera, che avrebbero anche composto le vite dei papi che possiano considerare loro contemporanei (per le quali si riconosce una maggiore puntualità storica, dovuta alla vicinanza ai fatti): Anastasio II e Simmaco (tra il 496 e il 514), e soprattutto Ormisda, Giovanni I e Felice IV (tra il 514 e il 530)  218. L’Epitome Feliciana, che prende il nome dall’ultimo dei papi trattati, rappresenterebbe una riduzione di questa prima edizione del Liber 219. Un secondo testo, detto Epitome Cononiana in quanto giunge fino al pontificato di Conone (686-687), si presenta anch’esso, per la parte fino a Felice IV, come riduzione della prima edizione – eseguita in maniera indipendente dall’altra epitome –, mentre per il seguito (da Bonifacio II fino a Conone) lo studioso francese non rileva che vi siano discrepanze con il testo Liber pervenutoci tali da implicare l’interposizione di uno stadio testuale ulteriore.

Cf. Duchesne 1981, pp. xxxiii-lxvii. Duchesne 1981, pp. xli-xlviii. Cyrille Vogel precisa che a un primo autore è da attribuire la parte che va da Pietro a Ormisda, a un secondo la parte relativa ai pontificati di Giovanni I e Felice IV, Id. 1975, p. 103. 219 Duchesne scarta l’ipotesi contraria, cioè che il Liber a noi noto (ossia la seconda edizione) riproduca, ampliato, il testo feliciano: «1° parce que les phrases ou parties de phrases que le livre pontifical a de plus que le catalogue félicien se rapportent toujours à des faits ou à des renseignements du même ordre que ce qu’on trouve dans le texte commun aux deux rédactions, et ne trahissent nulle part un esprit ou un âge différent; 2° parce que le catalogue félicien présente des traces évidentes de suppressions arbitraires, faites uniquement en vue d’abréger le texte. Ainsi, dans la vie de Silvestre, il reproduit les premières lignes de cinq alinéas du Liber pontificalis, avec des formules qui ont leur raison d’être dans un texte développé, mais nullement dans un texte abrégé comme est le sien (…)», Duchesne 1981, p. xlii. Sulla tradizione manoscritta e le caratteristiche dell’Abrégé Felicien cf. ibid., pp. xlix-liv. 217 218

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 79

Nuovamente uno o più testimoni contemporanei ai fatti sarebbero i responsabili del gruppo di vite che immediatamente segue il nucleo interrottosi a Felice IV, ossia quelle di Bonifacio II, Giovanni II, Agapito, Silverio (tra il 530 e il 537) 220, l’ultima delle quali si compone di una prima parte redatta da un detrattore del pontefice, e una seconda parte aggiunta da un suo estimatore. La stesura materiale di questa sezione non si dovrebbe collocare oltre la metà del secolo, dunque entro il pontificato di Vigilio (537-555). Duchesne non esclude che proprio agli autori di quest’ultima parte (quello/i delle quattro vite, o il continuatore della vita di Silverio) sia da attribuire la revisione del testo che giungeva a Felice IV, e quindi la seconda edizione della prima parte del Liber 221. La vicinanza cronologica tra la scrittura e i fatti, che caratterizza l’insieme delle biografie fra Anastasio II e Silverio (tra il 498 e il 537), sarebbe deducibile non solo dalla complessiva puntualità e correttezza storica del resoconto, ma anche dalla partecipazione emotiva ai fatti stessi, che si traduce in esplicite prese di posizione politica da parte dei cronisti. Il confronto con le Epitomi, che ci avvicinerebbe alla prima edizione del testo, mostra anche la diversa disposizione d’animo rispetto agli avvenimenti da parte dell’autore/i originaro/i e del/i revisore/i 222. Dei quattro pontificati successivi (Vigilio, Pelagio I, Giovanni III, Benedetto), che assieme hanno coperto un intervallo di oltre quarant’anni (tra il 537 e il 579), sarebbe stato dato conto soltanto al tempo di Pelagio II (579-590) 223. La biografia di quest’ultimo e di Gregorio I sarebbero state entrambe inserite dopo il 604 224. In considerazione dei limiti cronologici di questa ricerca (vale a dire le premesse e il contesto storico entro cui si pone l’attività di Paterio), sarà sufficiente fermarsi qui. L’edizione del Liber curata da Mommsen e pubblicata quasi in contemporanea con quella di Duchesne individua a sua volta, dal confronto con le Epitomi, una duplice redazione dell’opera, ma lo studioso tedesco pone l’allestimento di queste oltre la conclusione del pontificato di Gregorio Magno 225. La maggiore puntualità complessivamente riscontrabile nel resoconto relativo agli anni 476-530 dipenderebbe, a suo parere, non da contemporaneità tra gli scrittori e i Ibid., pp. xxxix-xli. Ibid., p. ccxxxi. 222 Cf. gli esempi addotti da Duchesne, ibid., pp. lxiiss. 223 Ibid., pp. ccxxxi-ccxxxii. 224 Ibid., p. ccxxxii. 225 Mommsen 1898, pp. vii-xviii. 220 221

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fatti narrati, ma da un impiego più intensivo di documentazione contemporanea a quella fase storica, secondo un metodo non adottato per il resto della narrazione. Gli studi successivi compiuti dallo stesso Duchesne e da Vogel hanno dimostrato in maniera convincente la scarsa attendibilità della proposta di Mommsen, ribadendo i risultati già esposti 226. Negli ultimi anni sono state elaborate nuove proposte di ricostruzione delle fasi redazionali della prima parte del Liber, che sovvertono del tutto o in parte la dinamica delineata da Duchesne quanto ai rapporti con le Epitomi 227. Esula dai limiti di questa ricerca ripercorrere la storia degli studi sull’opera e le questioni nodali circa tempi, fasi e protagonisti della sua redazione 228. La loro complessità e articolazione impedisce di dare conto nel dettaglio delle diverse ipotesi e di esprimere nei loro confronti un parere fondato. Dunque, pur tenendo conto delle proposte successive, ci si atterrà qui allo schema tradizionale proposto da Duchesne 229 e ci si limiterà a focalizzare la peculiare vicenda dei notarii quale emerge dalle testimonianze sparse all’interno dell’opera e delle sue Epitomi entro l’inizio del VII secolo, cercando al contempo di osservare come le informazioni che da esse si ricavano si relazionino con i dati fin qui censiti. In particolare si vaglierà quanti e di che tipo siano i riferimenti ai notarii ecclesiae fino al pontificato gregoriano e come si distribuiscano nello sviluppo della narrazione. Nello scorrere questi passaggi, sarà utile porre attenzione alla differenza di atteggiamento riguardo l’esistenza e il ruolo svolto dai notai da parte degli autori della prima e della seconda edizione del Liber. Cf. le note postume di Duchesne pubblicate da Vogel 1975, iii, pp. 45-140 (passim), e Vogel 1975, pp. 111-115. 227 In particolare si segnalano gli studi di Herman Geertman (2001-2002, pp. 269270; Id. 2009, pp. 37-49) e di Lidia Capo (2009). 228 Tuttavia si rimanda a Bertolini 1970; Vogel 1975; Noble 1985; Id. 1990; Davis 2000; Geertman 2001-2002; Capo 2009; Pollard 2009, pp. 27-31. Si segnala inoltre che su questi temi Andrea Antonio Verardi ha elaborato una tesi dottorale in Storia del cristianesimo e delle Chiese presso l’Università degli Studi di Roma «Tor Vergata». 229 Rispetto alla ricostruzione dello studioso francese si segnala, sebbene di passaggio, una difficoltà che sembra si possa ravvisare: se gli autori della porzione di opera che copre gli anni 530-537 sono gli stessi che, sotto Vigilio, hanno rielaborato la prima parte, non è chiaro come abbia poi potuto circolare quel testo misto (“prima edizione” + seguito) da cui sarebbe stata tratta l’Epitome Cononiana. Difficoltà che si risolverebbe spostando molto più avanti (oltre Gregorio, almeno) l’epoca in cui è stata eseguita la revisione, che avrebbe incluso tutti i pontificati del VI secolo. Il carattere puntuale e aggiornato di gran parte dei dati assenti dalla Cononiana e presenti nelle biografie della “seconda edizione”, rende tuttavia assai improbabile che essi siano stati inseriti in un tempo così lontano dai fatti. 226

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 81

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Entro il termine indicato (anno 590) è possibile distinguere due categorie di riferimenti ai notarii: 1. notazioni istituzionali relative alla costituzione dell’officium e alle sue funzioni; 2. riferimenti occasionali, generici o nominativi (questi ultimi implicanti la menzione di singoli esponenti le cui vicende si siano intrecciate alle gesta dei pontefici in modo da poter/dover essere ricordati nelle loro biografie). In totale si contano quattro testimonianze del primo tipo, collocate tutte nelle vite dei pontefici vissuti fino alla metà del IV secolo, e cinque del secondo tipo, concentrate nelle vite del VI secolo. Il confronto tra le varie versioni pervenute, all’occorrenza allargato al cosiddetto Catalogo Liberiano, tratto da una raccolta cronografica del 354, sicura fonte del Liber Pontificalis  230, permette di capire quali di esse fossero presenti nella prima edizione e quali siano state aggiunte in fase di revisione. II.3.2. Le testimonianze di tipo istituzionale La prima testimonianza di tipo istituzionale si incontra nella vita di Clemente: Abrégé Félicien 4 [p. 52 ll. 26-29]

Abrégé Cononien 4 [p. 52 ll. 26-29]

Liber Pontificalis I, 4 [p. 123 ll. 3-5]

(…) Martyrio coronatur. Hic fecit vii regiones et dividit notariis fidelibus ecclesiae qui gesta martyrum sollicite et curiose unusquisque per regionem suam diligenter perquireret; et fecit duas epistolas. (…)

(…) Martyrio coronatur. Hic dividit notariis fidelibus ecclesiae qui gestas martyrum curiose unusquisque per regionem suam diligenter perquireret; et fecit ii epistolas. (…)

(…) martyrio coronatur. Hic fecit vii regiones, dividit notariis fidelibus ecclesiae, qui gestas martyrum sollicite et curiose, unusquisque per regionem suam, diligenter perquireret. Hic fecit duas epistolas, quae catholicae nominatur. (…)

Viene qui spiegata l’origine della partizione ecclesiastico-amministrativa del territorio dell’Urbe, che è messa in relazione con la neces230 Cf. Duchesne 1981, pp. vi-x. «la base est un document primitivement arrêté en 235; ce catalogue a été rédigé en 336 et réédité du vivant du pape Libère (352366)», ibid. p. vii. Circa la dipendenza del Liber dal Catalogo, cf. ibid., p. xlii.

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All’ombra di Gregorio Magno

sità di cercare (perquirere) gli atti dei martiri, documenti presentati come fondativi dell’identità della comunità cristiana di Roma. Il compito è affidato ai notarii, che vi avrebbero avuto titolo in virtù non solo delle capacità professionali, al contempo tecniche – ossia la conoscenza della scrittura tachigrafica e quindi capacità di svolgere un lavoro che richiedeva tempi rapidi di esecuzione («sollicite») – e, diciamo, investigative («curiose»), ma anche per le qualità morali, in particolare la loro «fedeltà» alla Chiesa. La categoria, la cui origine è collocata in un passato mitico, è designata immediatamente come la responsabile dell’accumulazione scritta della memoria storica dell’Istituzione  231. È di per sé evidente che ci si trova di fronte a un anacronismo, tanto più sospetto se si considera che la prima attestazione sicura dell’esistenza di notarii della Chiesa di Roma è riferibile soltanto al terzo decennio del V secolo 232, oltre trecento anni più tardi. La medesima informazione viene ribadita in altre due occasioni, la prima delle quali è all’interno della vita di Antero (235-236), dove viene esplicitata la finalità conservativa della ricerca. La costruzione della frase pone l’accento sull’iniziativa del pontefice, che sarebbe stata incentivata dalla vicenda, altrimenti ignota , di un presbitero Massimino: 233

Abrégé Félicien 19 [p. 62 ll. 28-32]

Abrégé Cononien 20 [p. 64 ll. 7-11]

Liber Pontificalis I, 20 [p. 147 ll. 1-4]

(…) Martyrio coronatur temporibus Maximini et Africani consulibus. Hic gesta martyrum diligenter a notariis exquisivit et in ecclesia recondit propter quondam Maximo presbytero martyr effectus est. Hic ordinavit unum episcopum. (…)

(…) Martyrio coronatur temporibus Maximini et Africani consolibus. Hic gestas martyrum exquisivit et in ecclesia recondit propter quondam Maximum presbyterum martyr effectus est. Hic ordinavit unum episcopum in civitate Fundis Campaniae. (…)

(…) Martyrio coronatur temporibus Maximini et Africani conss. Hic gestas martyrum diligenter a notariis exquisivit et in ecclesia recondit, propter quodam Maximino presbitero qui martyrio coronatus est 233. Hic fecit unum episcopum in civitate Fundis Campaniae per mens. decemb. (…)

231 232

ta 16.

Ma cf. Scorza Barcellona 2000a, p. 202. È quella relativa a Severo, inviato in Illiria da Bonifacio I nel 422, cf. sopra, no-

Sull’interpretazione del passo cf. De Rossi 1886, p. XIX, nota 3, cf. anche Fatti 2000. 233

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 83

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Da notare l’assenza del riferimento ai notai nell’Epitome Cononiana, dovuta probabilmente alla prossimità della terza testimonianza, che compare nella vita del successore di Antero, Fabiano (236-250), e in forma più articolata rispetto a questa (trattandosi di un’epitome, il redattore avrà tagliato, delle due notizie analoghe, quella portatrice della minor quantità di informazione). Vengono offerte infatti precisazioni sulle dinamiche organizzative del costituendo apparato amministrativo: Catalogue Libérien, texte philocalien, p. 4 ll. 32-36

Abrégé Félicien 21 [p. 64 ll. 2024]

Abrégé Cononien 21 [p. 64 ll. 1924]

Liber Pontificalis I, 21 [p. 148 ll. 1-4]

Fuit temporibus Maximini et Cordiani et Filippi a cons. Maximini et Africani usque Decio ii et Grato. Passus xii kl. feb. Hic regiones divisit diaconibus et multas fabricas per cimiteria fieri iussit. Post passionem eius (…)

Fuit autem temporibus Maximi et Africani usque ad Decio ii et Quadrato, et passus est xiiii kl. feb. Hic regiones divisit diaconibus et fecit vii subdiaconos qui septem notariis inminerent ut gesta martyrum fideliter colligerent. Post passionem eius (…)

Fuit temporibus Maximi et Africani usque ad Decio ii et Quadrato. Hic regiones dividit diaconibus et fecit vii subdiaconos qui septem notariis inminerent ut gestas martyrum fideliter colligerent et multas fabricas per cimiteria fieri precepit. Hic fecit ordinationes (…)

Fuit autem temporibus Maximi et Africani, usque ad Decio ii et Quadrato, et passus est xiiii kal. febr. Hic regiones dividit diaconibus et fecit vii subdiaconos qui vii notariis inminerent, ut gestas martyrum in integro fideliter colligerent, et multas fabricas per cymiteria fieri praecepit. Et post passionem eius (…)

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All’ombra di Gregorio Magno

Si noti che il Catalogo Liberiano, che fornisce all’autore del Liber la traccia per la vita di Fabiano, segnala qui per la prima volta – e in una vita insolitamente lunga rispetto ai suoi standard – l’esistenza delle regioni ecclesiastiche. Per Duchesne è questa la prima indicazione attendibile sull’argomento  234, che dimostrerebbe l’esistenza della suddivisione, se non entro la metà del III secolo, come dichiarato dalla fonte, almeno entro la metà del IV, quando essa è stata redatta. Tuttavia, secondo le ricerche dello stesso studioso, non si avrebbero altre testimonianze di tale ripartizione fino alla guerra gotica, un tempo, cioè, più prossimo a quello della redazione del Liber: sarebbe a partire da questo periodo che la ripartizione territoriale di Roma si sarebbe imposta nell’uso dei riferimenti topografici, e tale saraebbe rimasta fino al XII secolo 235. Se comunque si accetta l’autenticità del passo del Catalogo Liberiano, si deve riconoscere che esso ha fornito la base testuale che si legge, ampliata, nella corrispettiva biografia del Liber e delle Epitomi. Nella “fonte” le figure protagoniste della riforma amministrativa sono i diaconi, che vengono preposti alle rispettive regiones; nelle opere successive vengono introdotti due gradi gerarchici subordinati: sotto la direzione dei diaconi operano sette suddiaconi che a loro volta coordinano quei notarii di cui si è letto nelle vite di Clemente e Antero, che continuano a svolgere il loro lavoro di raccolta dei gesta martyrum 236; la precisazione dunque rende coerente la notizia con quelle date in precedenza 237. Duchesne 1878, p. 218. Ibid., passim. 236 Cf. Scorza Barcellona 2000b. 237 Se da un lato la combinazione notarii-gesta martyrum andava a radicare i primi al tempo delle stesse origini della Chiesa di Roma e conferiva alla loro attività quasi un aspetto di provvidenzialità, contemporaneamente – come nota Scorza Barcellona – era quello stesso tipo di letteratura che veniva ad assumere, proprio «per la funzione dei notarii, un carattere di autenticità e di ufficialità» (Id. 2000a, p. 202). Tale duplice implicazione del binomio notarii-gesta, sottolineato dall’iterazione nelle vite di Clemente, Antero e Fabiano, instaura un ambiguo rapporto di reciprocità tra la categoria di funzionari ecclesiastici e quel tipo di produzione agiografica, che appare meritevole di ulteriore indagine. La volontà del redattore delle biografie papali di nobilitare le origini di una categoria che proprio in quel momento storico raggiungeva un alto livello di prestigio sembra infatti fuori di dubbio (come riconosce anche il Duchesne), ma affinché l’iniziativa di promozione funzionasse, era necessario che né i suoi beneficiari né i destinatari del Liber sentissero alcun disagio di fronte al conferimento del carattere dell’ufficialità a una produzione letteraria che il decreto pseudo-gelasiano attesta «ai margini dell’ortodossia» (Boesch Gajano 2004a, p. 207), che non era permessa nei contesti liturgici (de Gaiffier 1954, Id., 1969) e verso la quale più tardi lo stesso «Gregorio Magno, nella sua posizione istituzionale estremizza la sfiducia» (Paoli - Susi 2007, p. 74). Viene naturale il riferimento alla discussa interpretazione del Dufourcq che ne vedeva i responsabili nel clero romano dell’età ostrogotica (Dufourcq 1900-1907, i, pp. 279-292), ossia in tempi e luoghi corrispondenti alle successive redazioni del Liber, tuttavia non è possibile sviluppare 234 235

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 85

Sottolinea il Duchesne come il redattore della prima edizione del Liber, nello sforzarsi di porre la nascita del grado amministrativo in corrispondenza con una attività di valore fondativo per la comunità – dunque altamente nobilitante – ha del tutto sovrapposto la figura del notaio-exceptor a quella del funzionario della Chiesa, formalmente detto notarius, ma titolare, al tempo della redazione del Liber, di mansioni molto più varie ed estese rispetto alla semplice scrittura 238. Se la fonte non è attendibile dal punto di vista della ricostruzione storica, permette almeno di comprendere il senso dell’attributo regionarius che alla fine del VI secolo Gregorio Magno estende ai defensores su modello di quanto avviene «per indultam longe retro pontificum largitatem» per i primi sette elementi della schola notariorum atque subdiaconorum. A ben guardare le tre notizie riferite dell’età delle persecuzioni, con il loro insistere sulla relazione tra le sette regiones e i sette notarii, alla luce della consapevolezza del ruolo che nel VI secolo i notarii regionarii avevano acquisito (sovraordinato rispetto a tutti gli altri della categoria, e privilegiato in senso assoluto nella complessiva amministrazione ecclesiastica), assumono un valore eziologico. Esse sono infatti funzionali a spiegare ai contemporanei la ragione di un titolo (e del prestigio che da esso consegue) che risale a un tempo che già Gregorio Magno, a fine secolo, non avrebbe più saputo precisare, e la cui “invenzione”, forse, non precede di molto il tempo in cui il Liber stesso è stato redatto. Di fatto, il Catalogo Liberiano non fa mai parola dei notarii, e comunque bisogna attendere il 422 per incontrarne uno che abbia le caratteristiche del funzionario di amministrazione e non svolga semplicemente la funzione di exceptor. Da quella data in poi si incontrano molteplici accenni a figure cui sono affidate mansioni subordinate ai gradi alti della carriera ecclesiastica e dignità certamente inferiore. Come si è visto, è all’incirca a partire dal pontificato di Ormisda che si nota uno sviluppo di funzioni e crescita di prestigio, e forse non a caso per la prima volta un primicerius compare nel terzo decennio del VI secolo: è questo, probabilmente, il segnale che era stata ormai formalmente riconosciuta una schola dei notarii, di cui si ha attestazione a partire dal 526, con conseguente distinzione di sette il problema in questa sede. Per una discussione generale sull’argomento, anche con riferimento a Gregorio, cf. Paoli - Susi 2007; Philippart 2007. 238 «Autre chose est l’emploi d’un notarius dans un cas donné, autre chose l’institution d’une fonction hiérarchique, comme celle des notaires ecclésiastiques de Rome. Notre auteur aura confondu ici les deux acceptions du mot notarius. Désireux de faire remonter le plus haut possible l’origine d’un corps de fonctionnaires auquel il porte un intérêt visible, il s’est cru obligé de leur donner des attributions compatibles avec la situation de l’Eglise pendant les persécutions, au moins telle qu’il se la figurait», Duchesne 1981, p. ci.

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All’ombra di Gregorio Magno

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esponenti eccellenti, decorati «honore regionario». La crescita nella scala gerarchica deve aver portato alla parificazione per dignità e incarichi con i suddiaconi entro la metà del secolo, come dimostra la lettera di Vigilio a Rustico e Sebastiano; tuttavia per il redattore della prima edizione del Liber, che ha operato entro gli anni Trenta del secolo, i notarii sono ancora un gradino sotto («et fecit vii subdiaconos qui vii notariis inminerent»). Il primo redattore, dunque, conosce e intende sanzionare il prestigio della schola notariorum e dei suoi notai regionarii, che avrebbero conosciuto ulteriore ascesa negli anni successivi, registrata, potremmo dire “in diretta”, dagli inserti che caratterizzano la seconda redazione del Liber. All’interno della vita di papa Giulio I (337-352), infatti, leggiamo: Catalogue Libérien, texte philocalien, p. 8 ll. 13-16

Abrégé Félicien, Abrégé Liber Pontificalis i, 36 [p. 82 ll. 2-3] Cononien, 36 [p. 36 [p. 205 ll. 1-2, 82 ll. 2-5] 5-9]

(…) Fuit temporibus Constantini, a consulatu Feliciani et Titiani, ex die viii id. feb. in diem pridie idus apr., Constancio v et Constancio Caes. Hic multas fabricas fecit (…).

(…) Fuit temporibus Constantini et Feliciani et Maximini. Hic fecit ordinationes iii per mens. decemb. presb. xviii (…).

(…) Fuit autem temporibus Constantini et Feliciani et Maximini. Hic constituit ut nullus clericus causam in publicum ageret. Hic fecit ordinationes iii presb. xviii (…).

Fuit autem temporibus Constantini filii Constantini heretici a consulatu Feliciani et Maximini. Hic multas tribulationes (…). Hic constitutum fecit ut nullus clericus causam quamlibet in publico ageret, nisi in ecclesia, et notitia quae omnibus pro fide ecclesiastica est per notarios colligeretur, et omnia monumenta in ecclesia per primicerium notariorum confectio celebraretur, sive cautiones vel extrumenta

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 87

aut donationes vel conmutationes vel traditiones aut testamenta vel allegationes aut manumissiones, clerici in ecclesia per scrinium sanctum celebrarentur. Hic fecit ordinationes iii in urbe Roma per mens. decemb., presbiteros xviii (…).

Si tratta della quarta e ultima delle testimonianze di tipo istituzionale sui notai; come si può notare, l’intero passaggio relativo alla figura del primicerio e alle funzioni dei notai è sconosciuto alle Epitomi, dunque era presumibilmente assente dalla prima edizione del Liber e vi potrebbe essere stato introdotto non prima del 530, ovvero negli anni in cui effettivamente quelle funzioni venivano esercitate in maniera sempre più estesa. Vi si attribuisce a papa Giulio l’introduzione di una giurisdizione parallela (e obbligatoria) per gli ecclesiastici, il cui esercizio faceva capo amministrativamente allo scrinium sanctum e al suo personale: i notarii ecclesiae e il loro diretto responsabile, il primicerius. Si accredita così a questa categoria la funzione di pubblici ufficiali, sebbene limitata al clero: ogni atto giuridico avrebbe avuto valore soltanto se rogato da un notaio della Chiesa. Un provvedimento che, secondo Duchesne, non troverebbe riscontro nella legislazione del IV secolo 239. Ma tale prassi doveva essere invalsa nel VI secolo, al tempo della redazione della seconda edizione del Liber, e ne troviamo una attestazione proprio nel 530, nella dichiarazione di sottomissione rilasciata al notarius Redento dai presbiteri che avevano sostenuto Dioscoro, avversario di Bonifacio II 240. 239 «Pour tous ces actes les laïques s’addresseaient ordinairement à la curie municipale. Quant-aux clercs, aucune loi de l’État ne leur interdisait d’en faire autant; on ne voit pas non plus que des lois ecclésiastiques les aient obligés à recourir en pareil cas à la curie épiscopale. L’usage cependant pouvait avoir introduit cette obligation; il n’en subsiste, en tout cas, aucun autre témoignage que celui-ci», Le Liber Pontificalis, p. 206, nota 10. 240 Cf. sopra, II.1.2.

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All’ombra di Gregorio Magno

Rientra nella tipologia degli atti elencati nella vita di Giulio la donazione di alcune proprietà da parte del diacono Gregorio al monastero di Sant’Andrea ad Cliuvm Scauri, redatta dal notarius Deusdedit, atto di cui si suppone la falsità ma che rappresenta comunque un caso teoricamente e tecnicamente valido 241. Ma soprattutto va ricordata la petizione dell’abate Probo relativa alla possibilità di fare testamento a beneficio del figlio, una richiesta messa per iscritto dal notarius Emiliano e presentata al pontefice dal secundicerius Paterio 242. Si vede così messa in pratica l’indicazione del Liber secondo cui «omnia monumenta in ecclesia per primicerium notariorum confectio celebraretur», salvo la sostituzione del secondicerio al primicerio. Una sostituzione che forse deve essere considerata occasionale (se la carica più alta sia stata, per esempio, impegnata altrove) o comunque legittima (se, come è lecito supporre, il sostituto abbia normalmente avuto funzioni vicarie nei confronti del superiore e questi, poniamo, nel caso specifico, avesse una diversa “specializzazione” nell’ambito amministrativo). II.3.3. Le altre testimonianze Se le testimonianze di tipo istituzionale relative ai notarii si collocano, nel Liber Pontificalis, in vite di papi molto lontani nel tempo dall’attualità dagli autori, le testimonianze di tipo occasionale e nominativo si incontrano invece all’interno di vite vicine dal punto di vista cronologico o addirittura contemporanee alla stesura dei fatti. La dislocazione cronologicamente differenziata dei due tipi di testimonianze può spiegarsi facilmente in considerazione, per quelle del primo tipo, della necessità di far risalire a un tempo remoto, anche a prezzo di vistosi anacronismi, una categoria che aveva necessità di accreditare prerogative e prestigio acquisiti che potessero risultare sgraditi a ruoli e forze concorrenti all’interno dell’istituzione ecclesiastica. Il carattere spesso puntuale di quelle del secondo tipo può invece essere ricondotto al fatto che chi scriveva aveva eventualmente potuto conoscere di persona i soggetti interessati. Due riferimenti contenuti nella vita del pontefice Ormisda offrono un indizio in tal senso:

241 242

Cf. sopra, nota 139. Cf. sopra, nota 180.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 89

Abrégé Félicien 54 [p. 100 ll. 1-7, 32-33; p. 102 ll. 1-4]

Liber Pontificalis I, 54 [p. 269 ll. 7-10, p. 270 ll. 6-9]

Hic papa perrexit ad regem Theodericum Ravennam et ex consilio regis direxit Ennodio episcopo Ticinense et Fortunato episcopo Cathenense et Evantium presbiterum Urbis et Vitalem diaconum Urbis: euntes ad Anastasio Aug., ut sub libelli satisfactione revocarentur, nihil egerunt. (…)

Sub Iohanne episcopo Constantinopolitano, cum consilio regis Theodorici, direxit Ennodium, episcopum Ticinensem, et Fortunatum, episcopum Catinensem, et Venantium, presbiterum urbis Romae, et Vitalem, diaconum sedis apostolicae, et Hilarum, notarium sedis suprascriptae. Euntes ad Anastasium Augustum, nihil egerunt. (…) Tunc Hormisda episcopus cum consilio regis Theodorici direxit a sedem apostolicam Germanum, Capuanum episcopum, et Iohannem et Blandum presbiteros et Felicem et Dioscurum, diacones sedis apostolicae, et Petrum notarium, quos monitos ex omni parte fidei, et textum libelli paenitentiae. (…)

Et direxit Germanum, episcopum Capuano, et Iohanne episcopo et Blando presbitero et Felicem diaconum sedis apostolicae et Dioscorum diaconum sedis suscepit, quos munitus ex omni parte fidei una cum libello quomodo redirent Greci ad communione sedis apostolice. (…)

Vengono qui elencati, nell’ordine gerarchico, i rispettivi componenti di due ambascerie inviate in Oriente per ricucire i rapporti con i monofisiti: la presenza dei notai è conosciuta anche attraverso altre fonti, che sono già state esaminate 243. Nessuna delle Epitomi riporta i due passaggi: la Cononiana è particolarmente breve e non accenna affatto alla questione; la Feliciana invece la riporta in maniera piuttosto dettagliata, salvo omettere la presenza dei notarii. Non si è in grado di dire se questa omissione si configuri come espunzione da un testo originario in cui i personaggi erano tutti elencati o, viceversa, si debba ipotizzare un’interpolazione da parte del redattore della seconda edizione del Liber Pontificalis. In caso di originaria assenza, si dovrebbe pensare a un preciso interesse, da parte del revisore, a dare risalto, all’interno di una fonte ufficiale, a esponenti – probabilmente ancora in vita – di una categoria complessivamente in ascesa.

243

Cf. sopra, nota 40 per Ilaro, e nota 48 per Pietro.

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All’ombra di Gregorio Magno

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Nella vita di Bonifacio II ci si imbatte in un ulteriore riferimento di tipo generico ai notai, annoverati assieme alle gerarchie ecclesiastiche come beneficiarie della generosità del papa. L’Epitome Cononiana omette l’episodio: Abrégé Cononien 36 [p. 108 ll. 6-11]

Liber Pontificalis I, 36 [p. 281 ll. 4-10]

(…) Tunc Bonifatius zelo et dolo ductus, cum grande amaritudine sub vinculo anathematis cyrographi reconciliavit clero; quem cyrographum archivo ecclesiae retrudit, quasi damnans Dioscorum. Hic congregavit synodum in basilica beati Petri et fecit constitutum ut sibi successorem ordinaret (…).

(…) Ipsis diebus Bonifatius, zelo et dolo ductus, cum grande amaritudine sub vinculo anathematis cyrographi reconciliavit clero; quem cyrographum arcivo ecclesiae retrudit, quasi damnans Dioscorum; et congregavit clerum. Cui tamen in episcopatum nullus subscripsit, dum plurima multitudo fuisset cum Dioscoro. Hic presbiteris et diaconibus et subdiaconibus et notariis scutellas de adeptis hereditatibus optulit et alimoniis multis in periculo famis clero subvenit. Hic congregavit synodum in basilica beati Petri apostoli et fecit constitutum ut sibi successorem ordinaret. (…)

Il passo sembra significativo, in quanto conferma il rango elevato della categoria, che viene assimilata, nella concessione di donativi, ai sacri ordines e, assieme a questi, distinta dal resto del clero. Stando alla ricostruzione del Duchesne, ci si troverebbe qui cronologicamente al di fuori dei limiti della prima edizione del Liber, che sarebbe giunta a Felice IV, eppure si nota il perdurare di quella tendenza all’omissione, nei testi ridotti, di ogni riferimento ai notai. Ma nel caso particolare in esame tale fatto non può in alcun modo essere imputato ad avversione nei confronti della categoria, poiché la frase omessa riguarda anche gli ordini consacrati. Bisogna forse valutare il carattere dell’intero passo, che contrasta con il tono aspro usato fin lì nei confronti del pontefice, reo di essersi imposto contro la parte del clero che a lui avrebbe preferito Dioscoro 244. Si può ipotizzare che un successivo revisore, non avverso a Bo244

Cf. sopra, II.1.2., nota 67.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 91

nifacio, abbia interpolato quella frase con l’intento di riabilitarne la figura (ma ciò implicherebbe l’esistenza di una ulteriore recensione, della quale l’editore ottocentesco non parla) 245. Un nuovo accenno a un notaio compare nella vita di Vigilio:

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Abrégé Cononien, 61 [p. 109 ll. 15-21]

Liber Pontificalis I, 61 [p. 297 ll. 1-5, p. 298 ll. 6-8]

(…) Tunc dedit ei alapam in faciem quidam dicens: «Homicida, nescis quibus loquaris? Nescis quia Silverium papam occidisti?» Hoc autem dicens quia a Romanis taliter est accusatus, dicentes taliter eum versum in furore ut daret alapam notario suo et mox ad pedes eius cadens expirassit, et filium mulieris viduae ad calces et fustibus interfecisset, et quod consilio suo Silverius papa depositus fuisset. (…)

(…) Tunc Romani fecerunt suggestiones suas contra Vigilium eo quod cum consilio eius depositus fuisset Silverius beatissimus papa «suggerentes pietati tuae quia male agit cum servis tuis Romanis et cum ipsa plebe sua, et quia homicidam illum accusamus: sic est in furore versus ut daret alapam notario suo; mox ad pedes eius cadens expiravit. Item dedit nepotem suam Vigilia Asterio consuli filio mulieris viduae; quo casu faciente fecit eum teneri nocte et tamdiu caedi quamdiu vitam finiret». (…) Tunc dedit alapam in faciem eius quidam, dicens: «Homicida, nescis quibus loqueris? Nescis quia Silverium papam occidisti et filium mulieris viduae ad calces et fustibus interfecisti». (…)

Che Bonifacio abbia adottato misure per contrastare la carestia a Roma e l’impoverimento del clero è confermato da suo epitafio (ICUR i, 1029, p. 467): (…) 245

egit ne sterilis romam consvmeret annvs nvnc orando fvgans nvnc miserando famem

(…)

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All’ombra di Gregorio Magno

Secondo il racconto i romani, ritenendo il pontefice colpevole di aver macchinato per far deporre Silverio, avrebbero accusato Vigilio di fronte all’imperatrice Teodora di varie nefandezze, nell’ordine: maltrattare il popolo della città; aver umiliato un suo notaio schiaffeggiandolo e provocandone la morte; aver dato prima in sposa sua nipote a un console, figlio di una vedova (della vedova del notarius?), per far poi trucidare quest’ultimo alla prima occasione. L’episodio dello schiaffo è replicato più avanti nella biografia, ma a parti invertite: vittima è lo stesso pontefice, picchiato da uno sconosciuto mentre si trova a Costantinopoli. Nel Liber la battuta assegnata al personaggio inizia con un’apostrofe sibillina («Assassino, non [ri]conosci le persone con cui parli?») e prosegue ricordando le ingiustizie patite da Silverio e dal console, senza menzionare il notarius, la cui presenza è però richiamata simbolicamente dall’atto che l’anonimo personaggio compie, diventando una sorta di fantasma vendicatore del funzionario defunto. Il recensore dell’Epitome Cononiana fonde i due episodi, lasciando sfumare l’effetto di ambiguità che il primo narratore sembrerebbe aver voluto creare. L’insistenza sul notarius nella vita proposta dal Liber potrebbe dunque non essere casuale, tuttavia tale suggestione perderebbe consistenza alla luce della cronologia del Duchesne, secondo cui la biografia di Vigilio seguirebbe di circa quarant’anni gli accadimenti. Molto più stretto il rapporto tra evento e tempo della fissazione scritta per l’ultimo riferimento utile alla presente rassegna, quello relativo al notaio Valentino sotto il pontificato di Pelagio, di cui si è già parlato 246: Abrégé Cononien, 62 [p. 109 ll. 2-6]

Liber Pontificalis I, 62 [p. 303 ll. 8-14]

Et adiecit: «Peto vos, ut si quis ille est qui promovendus in sancta ecclesia dignus invenitur, per nulla pecunia proficiat, quia symoniacum est». Eodem tempore initiata est basilica apostolorum Philippi et Iacobi. (…)

Item adiecit Pelagius papa et dixit: «Peto enim ut petitionem meam confirmetis, ut si quis ille est qui promovendus est in sancta ecclesia, ab hostiario usque ad grados episcopatus, ut neque per aurum neque per aliquas promissiones proficiat: vos omnes scitis quia simoniacum est. Sed si quis ille doctus in opere Dei, bonam

246

Cf. sopra, nota 102.

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 93

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vitam habens, non per dationem, sed iubemus eum per bonam conversationem usque ad primum gradum venire». Eodem tempore posuit Valentinum notarium suum timentem Deum et restitui fecit omnia vasa aurea et argentea et pallea per omnes ecclesias. Eodem tempore initiata est basilica apostolorum Philippi et Iacobi (…)

Come si è ipotizzato per i riferimenti nominativi presenti nella vita di Ormisda, si può pensare alla conoscenza diretta del personaggio da parte del redattore, e al desiderio di citarlo, per fissarne i meriti, tra i protagonisti di una vita – peraltro piuttosto povera di ragguagli di questo tipo – che fa parte di una collezione cui si conferisce un certo grado di ufficialità. II.3.4. I notarii e la redazione del Liber Pontificalis Dall’insieme delle testimonianze del Liber possiamo trarre delle considerazioni di massima: per le biografie dei pontefici più antichi si osserva, da parte dei redattori della prima edizione, uno sforzo di conferire prestigio al corpo dei notai, immaginando una tradizione che ne leghi l’origine all’età delle persecuzioni. L’interesse non sembra andare oltre il dato dell’istituzione della carica, e non comporta la promozione di figure viventi o la spiegazione delle funzioni svolte in epoca contemporanea alla scrittura. Apparentemente l’autore della revisione del testo, a cui si deve anche l’aggiunta della porzione successiva, avrebbe notato tale mancanza e conseguentemente operato per sanarla, inserendo alcuni passaggi, tra cui di particolare importanza quello interno alla vita di Giulio I sulle prerogative dello scrinium, dei notarii e del primicerius. Dalla biografia di Felice IV in poi non si pone più il problema di un livello testuale interposto tra la versione pervenuta del Liber Pontificalis e le sue riduzioni: per questa parte, stando al Duchesne, il confronto tra Liber ed Epitome Cononiana è diretto. Il raffronto delle testimonianze sui notai continua a mostrare una differenziazione nell’attenzione riservata alla categoria dal rispettivo autore, ma i riferimenti sono in numero estremamente ridotto (la loro assenza dall’Epitome può spiegarsi in quanto dovuta a espunzione di dettagli ritenuti insignificanti; viceversa,

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All’ombra di Gregorio Magno

la loro presenza nel Liber può eventualmente essere considerata frutto di interpolazione all’interno di un ramo della tradizione dell’opera 247). Il passaggio più critico sembra essere quello tra prima e seconda redazione del Liber, sul quale è opportuno formulare un’ultima riflessione prima di concludere. Tale passaggio è cronologicamente riferibile agli anni trenta/cinquanta del VI secolo 248 e interesserebbe di fatto soltanto gli inserti collocati nelle vite di Giulio e Ormisda, il primo dei quali abbiamo visto avere un valore decisamente rilevante per la definizione del ruolo dei notarii. La coincidenza con le prime attestazioni dell’esistenza di una schola diretta da un primicerio (fra 526 e 544), la (probabile) ascesa di uno di questi al soglio pontificio (nel 530), la simultanea comparsa fra le fonti diplomatiche di documentazione attestante le funzioni descritte nella biografia di Giulio (prima testimonianza del 530), sono elementi che suggeriscono l’idea che tra i responsabili della seconda edizione possano aver operato proprio dei notai, che avrebbero scorto nella costituenda raccolta di biografie papali un veicolo per promuovere la categoria, sancirne le funzioni (di acquisizione probabilmente non remota) nonché il prestigio, che la poneva per dignità subito al di sotto del clero consacrato e in posizione privilegiata rispetto alle altre categorie amministrative. Si è accennato alla singolare concomitanza di dati che sembra rimandare alle vicende della carriera del primicerio-pontefice Bonifacio quale punto di snodo per la ricostruzione delle fasi redazione della raccolta  249. Oltre al passo della vita di Giulio I che fa riferimento a una prassi attestata con sicurezza a partire, appunto, dal suo pontificato, costituisce indicazione in tal senso anche un ulteriore passaggio estraneo alle Epitomi (forse riconducibile alla seconda edizione del Liber Pontificalis), teso ad accreditare il computo alessandrino della Pasqua secondo i termini impostati da Dionigi solo nel 525, e inserito, con nuovo evidente anacronismo, nella vita di Vittore I (189-199) 250. Della questione pasquale, si ricorda, si era occupato Bonifacio nella sua qualità di primicerio nel 526, interpellando lo stesso Dionigi 251. Considerato il modo in Cf. la testimonianza relativa alla biografia di Bonifacio II, sopra, nota 245. Si tratta, naturalmente di un’ipotesi che richiederebbe riscontri filologici e analisi testuali apposite. 248 Secondo Vogel 1975, p. 103, la seconda redazione, con l’aggiunta delle vite da Bonifacio II a Silverio, sarebbe da collocare senz’altro sotto il pontificato di Vigilio, ma la vicenda della doppia biografia di Silverio mostra che una prima stesura delle vite dei quattro pontefici poteva già essere iniziata prima del 537. 249 Cf. II.1.2. 250 Cf. Duchesne 1981, pp. lxiii-lxiv, e Scorza Barcellona 2000c, pp. 232-233. 251 Cf. sopra, nota 61. 247

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 95

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cui nella sua biografia viene stigmatizzato il suo atteggiamento verso parte del clero 252, non è forse alla responsabilità diretta di Bonifacio II che si deve ricondurre l’interesse e l’eventuale coinvolgimento nella redazione del Liber da parte dei notai, che pure in qualche forma si ritiene possa avere avuto luogo. In ogni caso, la vicenda complessivamente sembra dar prova del prestigio che la categoria in quel periodo poteva vantare, un prestigio che essa può aver consolidato anche per impulso dell’ex primicerius Bonifacio. In un saggio del 1985 Thomas Noble ha espresso la tesi radicale che i notarii siano stati gli “autori” del Liber Pontificalis, senza distinguere fra le diverse fasi di redazione 253. A convincerlo di questo era soprattutto la testimonianza della vita di Fabiano, sulla base della quale sosteneva che «from very early times papal notaries may have been quasi-official historians» 254. Lo studioso riteneva superabile anche il problema della povertà linguistica e stilistica del Liber, che aveva indotto Duchesne a scartare i notarii e a guardare agli esponenti del vestiarius quali possibili autori: Duchesne mistakenly implies that the chancery was somehow a school for creative writing. Actually, clerks in the scrinium either took dictation or else copied out documents according to formulae such as those in the Liber Diurnus. Left to their own devices, papal notarii might well have turned out a somewhat unpolished work such as the Liber Pontificalis 255.

Alla luce di quanto detto finora, la tesi di Noble appare semplicistica, ma permette di riassumere lo stato della questione e focalizzare i nessi principali dell’intera vicenda dei notai, così come emerge dal percorso qui effettuato. Non c’è dubbio sul fatto che dei notarii-exceptores abbiano prestato la loro opera presso l’istituzione ecclesiastica fin dalle sue origini, ed è possibile che l’estrazione sociale di coloro che vi erano impiegati possa essere stata anche di tipo schiavile (fatto, peraltro, di cui si hanno prove fino alla fine del VI secolo). La loro assenza dalle fonti ufficiali può dipendere dal fatto che per lungo tempo la loro attività ha avuto carattere non formalizzato nei ranghi dell’amministrazione ecclesiastica. La comparsa nelle fonti del V secolo può, viceversa, essere proprio collegata alla loro trasformazione in funzionari amministrativi. Un Cf. sopra, nota 67. Noble 1985. 254 Ibid., p. 355. 255 Ibid. 252 253

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All’ombra di Gregorio Magno

tale passaggio, che ha implicato anche l’estensione delle loro mansioni, ad esempio, alle missioni diplomatiche, deve aver reso la posizione appetibile a esponenti di ceti sociali precedentemente meno attratti da quel tipo di carriera. È ancora verosimile che questi ultimi, spinti dal progressivo affermarsi del prestigio della categoria e dall’istituzione della schola notariorum, abbiano presto avuto interesse a reinventarne un passato glorioso: di qui sarebbe nata la tradizione che legava i notarii direttamente all’età delle persecuzioni e alla redazione dei gesta martyrum. Le notizie riferite dalle vite di Clemente, Antero e Fabiano nella prima edizione del Liber Pontificalis rappresentano probabilmente l’esito scritto di questa tradizione, accolta con le sue varianti, che ponevano la nascita della carica ora sotto l’uno, ora sotto l’altro pontefice. Non necessariamente chi ha redatto quel testo entro il 530 doveva provenire dalla categoria in questione: la stessa iterazione della notizia e la mancata opzione per una versione “ufficiale” dei fatti sembrerebbe indicare il contrario. Una maggiore possibilità di coinvolgimento diretto di notai nell’elaborazione del Liber è, come si è visto, nella fase di revisione della parte che giunge al 530 e nella redazione delle biografie immediatamente successive. In ogni caso, lo specifico passaggio su cui fa affidamento Noble è una ricostruzione a posteriori (ignota a una fonte cronologicamente intermedia come il Catalogo Liberiano) e, con ogni probabilità, tendenziosa. La pretesa che i notai siano stati, dal III secolo, gli storici ufficiali della Chiesa, per quanto suggestiva, non è dunque sostenibile con prove sufficienti. Si intende concludere con una riflessione sul secondo problema sollevato dallo studioso americano: i notai, senza poter fare riferimento a testi precostituiti e a formule di cancelleria, e senza la guida di un dettatore, non avrebbero avuto la capacità di scrivere un testo linguisticamente più corretto di quello che leggiamo nel Liber Pontificalis. Un saggio di Richard Matthew Pollard sull’impiego del cursus nella cancelleria papale tra la fine del VI e l’inizio del secolo VIII 256 richiama l’attenzione sul fatto che la documentazione ufficiale prodotta nel periodo considerato presenta generalmente una quantità di clausole accentative sufficiente 257 a far desumere che i notarii, per quanto intensivo potesse essere l’impiego dei formulari, conoscessero le norme cursus e fossero in grado di applicarle in maniera autonoma e automatica. Lo studioso ha Pollard 2009. «A text needed to contain significantly more than 55-60% of the three main cursus types before it was considered to be rhythmical», ibid., p. 13. 256 257

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 97

quindi preso in esame il Liber Pontificalis, limitatamente al gruppo di biografie comprese tra il 555 e il 618, che – seguendo la cronologia di Davis – 258 considera composte dopo il 630, rilevando un’incidenza statistica di clausole accentative inferiore alla soglia minima di discrimine tra la prosa non-ritmica e quella ritmica. Ciò porta a ritenere che questi testi non possano essere stati scritti nella cancelleria, e che la proposta di Noble sia sostanzialmente errata 259. La via indicata da Pollard sembra molto produttiva per definire meglio la questione della paternità dell’opera, sebbene le sue conclusioni valgano esclusivamente per la parte da lui analizzata, che, purtroppo, non comprende quella che interessa ai fini del presente lavoro. L’esame della presenza del cursus andrebbe dunque esteso alla parte precedente, con particolare riguardo ai pontificati del periodo 530-537 e a quei passaggi che si configurano come interventi del revisore sulla prima edizione del Liber. La tesi di Noble dovrebbe dunque essere riconsiderata tenendo conto della realtà estremamente complessa e articolata sia sul piano filologico che storico che contraddistingue la redazione del Liber Pontificalis. II.4. I notarii ecclesiae negli Atti del sinodo lateranense del 649 Esiste una fonte successiva di un cinquantennio al limite cronologico che ci si è imposti per questa ricerca alla quale è opportuno dedicare un breve excursus in quanto, sebbene sia da valutare con estrema cautela, sembra possa fornire delle indicazioni interessanti rispetto ad alcuni problemi che si sono esaminati, ossia il funzionamento della struttura segretariale pontificia, le competenze e la quantità dei suoi addetti. Ci si riferisce agli Atti del sinodo lateranense del 649 260. Gli Atti, «che per dimensioni e impianto sono paragonabili ai testi dei concili ecumenici» 261, si presentano ingannevolmente come il docuDavis 2000, pp. xlvi-xlviii. Ibid., pp. 27-31. «I do not profess to be able to address or refute all of Noble’s arguments for the L[iber]P[ontificalis] being written in the chancery. However, we can dismiss straight away his argument that the chancery was incapable of writing stylishly without resort to formulary books; (…) the writers in the chancery seemed to have been quite capable of using cursus without any resort to the L[iber]D[iurnus]. If there is no cursus in the LP, therefore, it is not because the writers in the chancery were incapable of using it in original composition, but rather because the LP was likely not written in the chancery at all», p. 30. 260 Concilium Lateranense a. 649 celebratum (ACO, II, 1). Al riguardo cf. Hefele 1907-1952, t. III, 1 (1909), pp. 434-451. 261 Jenal 2000, p. 599. 258 259

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mento protocollare – redatto in latino e quindi tradotto in greco a beneficio dei lettori d’Oriente – dello svolgimento di un sinodo di vescovi convocato a Roma da papa Martino I per discutere e condannare la concezione cristologica monotelita 262. Ciò è quanto dichiara il testo 263 e si è creduto vero fino ad alcuni decenni fa, fino cioè alle ricerche di Rudolf Riedinger, il quale, nel corso dell’esame filologico del testo ai fini dell’allestimento dell’edizione critica 264, ha scoperto che la lingua originaria di redazione non sarebbe stata il latino ma il greco, di parlanti greci (segnatamente Massimo il Confessore, coadiuvato da un gruppo di monaci bilingui presenti a Roma)  265, che lo avrebbero poi tradotto – senza essere in grado di mantenere la medesima spontaneità linguistica – in latino. Da ciò si è dedotto che i presunti “atti” non riproducano affatto in presa diretta lo svolgersi di un concilio, che può non aver mai avuto fisicamente luogo, sebbene si tenda a credere che possa esserci stata una lettura ufficiale da parte del pontefice, che abbia dato così valenza di episodio “storico” al dato letterario 266. Il sinodo è ambientato nel mese di ottobre del 649, in cinque successive sedute. Per ciò che concerne il presente lavoro, va rilevato che tra i personaggi e interpreti dello scritto si incontra un certo numero di funzionari ecclesiastici che appartengono alla categoria dei νοτάριοι/notarii. A loro Sulla ricostruzione del contesto storico e dottrinale di quegli anni cf. il volume Martino I papa (649-653) e il suo tempo; in particolare i saggi di Simonetti; Zocca; Jenal. Per una rassegna delle fonti coeve e successive cf. Conte 1989, pp. 109ss. 263 Si veda la richiesta fatta dai monaci greci di tradurre al più presto gli atti in greco, così che essi possano offrire la propria confessione di fede, secondo le deliberazioni del sinodo, p. 54 ll. 35-38: οὗτινος χάριν πρὸς ἐντελεστέραν τῆς ἡμῶν οὐδενείας οἰκοδομὴν καὶ ἀσφάλειαν παρακαλοῦμεν τὴν ὑμετέραν ἁγιωσύνην, ἄχρι μιᾶς κεραίας σὺν ἀκριβείᾳ πάσῃ πρὸς τὴν Ἑλλάδα μεθερμηνευθῆναι φωνὴν τὰ νῦν παρὰ τῆς ὑμετέρας ἁγιωσύνης πραττόμενά τε καὶ ἐκφωνούμενα τῆς ὀρθοδόξου πίστεως ἕνεκεν, ἵνα τὴν τούτων γνῶσιν λαμβάνοντες ἐν ἐπιγνώσει τὴν ἡμετέραν ἐν τούτοις προσοίσωμεν τοῖς μακαριωτάτοις ὑμίν συνκατάθεσιν (= p. 55 ll. 30-33: pro qua re ad perfectam nostrae humilitatis aedificationem et munitionem rogamus vestram sanctitatem, usque ad unam apicem cum omni acribia secundum Grecam interpretari vocem quae nunc a vobis sanctae aguntur ac definiuntur pro causa orthodoxae fidei, quatenus eorum scientiam accipientes cum cognitione nostram super his offeramus beatissimis vobis confessionem). 264 Cf. gli studi raccolti in Riedinger 1998. 265 Sull’identità dei monaci, presunti coadiutori di Massimo il Confessore nella redazione degli Atti, e le ragioni della loro presenza a Roma cf. Jenal 1992. 266 Si è espresso a favore della storicità del sinodo Pietro Conte, che ha sviluppato l’ipotesi che il testo greco, «teorico», abbia affiancato quello latino, «operativo-pratico» (Id. 1989, p. 144), letto nel corso di un reale incontro fra papa Martino e (almeno) i principali interlocutori presentati dagli Atti: «s’è trattato, “in quei giorni nell’aula lateranense” di una sorta di “dramma sinodale” in cui effettivamente i personaggi indicati dalle didascalie latine coincidevano con gli interpreti, e ciascuno di essi ha letto, nella nativa lingua latina, la propria parte, dal papa agli interventori (dottrinali e procedurali) ai notai di vario grado», ibid., p. 145. Per una sintesi sul dibattito cf. Zocca 1992, pp. 135-140. 262

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 99

è assegnata la mansione di lettori dei testi utili al dibattimento e di traduttori di questi stessi, a beneficio degli ascoltatori, qualora fossero redatti in lingua greca (si ricorda che nella finzione letteraria tutto il procedimento si svolge in latino). I riferimenti ai funzionari ecclesiastici non sono generici: ciascuno è ricordato con il proprio nome. È difficile, in mancanza di altre fonti, dire se questo corrisponda al nome di chi ha storicamente operato nella cancelleria papale dell’epoca; tuttavia, dato l’alto livello di verosimiglianza cercato dagli autori, miranti a costituire un documento ufficiale della Chiesa di Roma, si può senz’altro tendere a credere che lo sia. Lo stesso si dirà per il funzionario con le mansioni più alte, il πριμμικήριος/primicerius Teofilatto  267. A lui è affidato il compito di cerimoniere del sinodo, è, pertanto, uno dei personaggi che più spesso prende la parola, sia pure per semplici «interventi procedurali»  268. Nei suoi interventi si attua uno dei momenti di più raffinata imitazione della realtà da parte degli autori: essi (insieme ai discorsi di papa Martino e alle simulazioni di interazione fra due o più personaggi) servono a incastonare la varia documentazione pro- o antimonotelita in un contesto spazio-temporale determinato (uno dei luoghi fisici che ricorre con maggiore frequenza nelle sue battute è, non a caso, l’archivio papale: τὰ ἀποστολικὰ σκρίνια/scrinium sanctae ecclesiae) 269, e a conferire alla scena la sua – pur limitata – caratterizzazione, per così dire, “animandola”. Un esempio può essere costituito dall’invito formulato dal pontefice affinché alcuni dei documenti proposti da Teofilatto vengano letti (dai notai) non integralmente, ma nei soli passi evidenziati nella preliminare operazione di cernita  270, perché non sarebbe utile (né, d’altra parte, realistico) tediare l’uditorio protraendo la lettura con materiale non immediatamente utile allo scopo della riunione. Ripercorriamo rapidamente il ruolo assegnato a Teofilatto (πριμμικήριος τῶν νοταρίων τῆς ἀποστολικῆς καθέδρας) durante lo svolgimento del sinodo: nella prima giornata, egli pronuncia la formula di apertura (il suo nome è specificato nella sola versione latina)  271; nella seconda giornata introduce dapprima gli interventi di alcuni padri che testimoPmbZ iv, Theophylactus 8240, p. 660. Definizione di Conte 1989, p. 142. 269 Cf. Concilium Lateranense a. 649 celebratum, p. 58 l. 33 (= p. 59 l. 33). 270 Ibid., p. 118 ll. 38-40: Ἡ βίβλος Θεοδώρου τοῦ τῆς Φαρὰν ἐπισκόπου ληφθήτω καὶ ἀναγνωσθήτω κατὰ τοὺς ἐκφερομένους αὐτῇ δηλαδὴ καὶ σημειωθέντας τόπους (= p. 119 l. 38-40: Codex Theodori quondam Faranitae episcopi suscipiatur et loca quae praenotata sunt […] lectioni vulgentur). 271 Ibid., pp. 8-11. 267 268

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All’ombra di Gregorio Magno

niano contro i sostenitori del monotelismo (in particolare Ciro di Alessandria [†642] e Sergio di Costantinopoli [†638])  272, poi propone formalmente la lettura di una serie di dichiarazioni inviate al pontefice Teodoro I (642-649), predecessore di Martino e vero organizzatore del sinodo, da altri avversari dell’ortodossia 273: si tratta di documentazione cronologicamente vicina ai fatti narrati, che la Chiesa romana possiede in quanto ne è istituzionalmente destinataria. Nella terza seduta, a mano a mano che se ne fa richiesta, Teofilatto introduce la lettura degli scritti dove sono esposte le tesi dei principali accusati 274; nel corso dell’esposizione viene esaminato anche un passo della lettera a Gaio dello Pseudo Areopagita, chiamato in causa da uno scritto di Ciro di Alessandria  275. In maniera simile, nella quarta seduta Teofilatto presenta gli scritti di Paolo di Costantinopoli  276 e gli atti dei cinque concili ecumenici 277. Nella quinta introduce nuovamente il codice relativo al concilio di Calcedonia  278, quindi due lunghi florilegi, uno di testimonianze di padri ortodossi 279 e uno di eretici 280, entrambi raccolti per l’occasione su richiesta di Martino. Di tutti questi testi, un funzionario di grado inferiore (νοτάριος ῥεγεωνάριος τῆς ἀποστολικῆς καθέδρας [oppure τοῦ ἀποστολικοῦ θρόνου]/

Ibid., p. 36 ll. 24-29 (= p. 37 ll. 21-25); p. 48 ll. 23-30 (= p. 49 ll. 24-30). Ibid., p. 58 ll. 29-41 (= p. 59 ll. 29-40), in particolare ll. 33-37. Segue la presentazione delle singole dichiarazioni: p. 60 ll. 10-15 (= p. 61 ll. 9-13) (ἀναφορά/suggestio di Sergio, arcivescovo di Cipro); p. 66 ll. 1-8 (= p. 67 ll. 1-7) e p. 72 ll. 24-27 (= p. 73 ll. 2427) (ἀναφοραί/suggestiones dei vescovi africani); p. 96 ll. 9-20 e 31-34 (= p. 97 ll. 9-17 e 31-34) (συνοδικὴ ἐπιστολή/synodica di Vittore, vescovo di Cartagine). 274 Ibid., p. 118 ll. 30-33 (= p. 119 ll. 30-33) (scritti di Teodoro di Pharan, iniziatore della dottrina monotelita); p 132 ll. 32-35 (= p. 133 ll. 30-33) (scritti di Ciro di Alessandria e Sergio di Costantinopoli); p. 144 ll. 21-24 (= p. 145 ll. 21-24) (passi scelti da una lettera di Temistio al presbitero Marcellino e al diacono Stefano); p. 156 ll. 7-9 (= p. 157 ll. 7-10) (l’Ekthesis di Eraclio); p. 162 ll. 15-23 (= p. 163 ll. 15-23) (gli scritti di Sergio e Pirro di Costantinopoli a sostegno dell’Ekthesis di Eraclio); p. 170 ll. 24-27 (= p. 171 ll. 23-26) (lettera di Ciro di Alessandria). 275 Ibid., p. 140 ll. 18-21 (= p. 141 ll. 17-20). 276 Ibid., p. 196 ll. 1-5 (= p. 197 ll. 1-5): l’epistola indirizzata a papa Teodoro e una copia del Typus; il secondo viene presentato nuovamente dopo la lettura della prima (p. 206 ll. 23-26 [= p. 207 ll. 23-26]). 277 Ibid., p. 216 ll. 26-29 (= p. 217 ll. 26-29). 278 Ibid., p. 254 ll. 9-12 (= p. 255 ll. 9-12). 279 Ibid., p. 256 ll. 20-23: Θεοφύλακτος πριμμικήριος τῶν νοταρίων τῆς ἀποστολικῆς καθέδρας εἶπεν Κατὰ τὴν κέλευσιν τῶν ἁγιωτάτων ὑμῶν τοὺς ἀναλεγέντας ἡμῖν τῶν ἁγίων πατέρων λόγους ἤτοι τὰς χρήσεις κομίσας ἐπιφέρομαι πρὸς τὸ παριστάμενον (= p. 257 ll. 20-23: Theofylactus primicerius notariorum sanctae sedis apostolicae dixit Secundum iussionem beatitudinis vestrae deflorata a nobis sanctorum patrum testimonia deferens prae manibus gero. quid praecipitis?). 280 Ibid., p. 320 ll. 5-8 (= p. 321 ll. 5-8). 272 273

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 101

regionarius apostolicae sedis)  281 dà lettura: integrale, ovvero, come si è detto, limitata ai passi selezionati  282. Vengono ricordati complessivamente quattro nomi: Pasquale 283, Anastasio 284, Teodoro 285, Esuperio 286. L’ampiezza e varietà del vocabolario tecnico impiegato negli Atti per far riferimento alla massa documentale citata meriterebbe uno studio apposito, soprattutto in quanto il contesto narrativo la pone in diretta relazione con il luogo deputato alla sua conservazione, e offre forse elementi utili a ricostruire le modalità della conservazione stessa. I riferimenti vanno dalla tipologia documentale (ad esempio ἀνάφορα/suggestio, ἐπιστολή/epistula, συνοδικὴ ἐπιστολή/synodica) ai loro supporti 287; quanto ai luoghi, viene frequentemente specificato che la documentazione è conservata ἐν τοὶς σκρινίοις, l’archivio-cancelleria papale 288. Acquista particolare rilevanza il caso della citazione dello Pseudo Areopagita, sopra ricordata, che si segnala non solo perché viene letta da un codice, ma anche perché quest’ultimo viene recuperato da un luogo di conservazione non nominato altrove: la biblioteca 289. La menzione appare eclatante; 281 L’oscillazione καθέδρα - θρόνος per designare la apostolica sedes all’interno degli Atti è stata notata (e censita) anche da Conte 1991, pp. 376-377, nota 20. 282 Concilium Lateranense a. 649 celebratum, p. 118 l. 40 (= p. 119 l. 38); p. 144 l. 30 (= p. 145 ll. 29-30); p. 164 l. 10 (= p. 165 l. 10). 283 Ibid., p. 22 ll. 29 (= p. 23 ll. 29-30); p. 72 l. 36 (= p. 73 l. 36); p. 98 l. 1 (= p. 99 l. 1); p. 140 ll. 31-32 (= p. 141 ll. 31-32); p. 196 ll. 13-14 (= p. 197 ll. 13-14); p. 216 ll. 37-38 (= p. 217 l. 37). 284 Ibid., p. 38 ll. 4-5 (= p. 39 ll. 4-5); p. 134 ll. 1-2 (= p. 135 ll. 1-2); p. 156 ll. 1718 (= p. 157 ll. 16-17); p. 254 ll. 21-22 (= p. 255 ll. 21-22). 285 Ibid., p. 50 ll. 20-21 (= p. 51 ll. 20-21); p. 66 l. 16 (= p. 67 l. 16); p. 120 ll. 1-2 (= p. 121 ll. 1-2); p. 164 ll. 14-15 (= p. 165 14-15); p. 206 ll. 34-35 (= p. 207 ll. 34-35); p. 320 ll. 17-18 (= p. 321 ll. 17-18). 286 Ibid., p. 60 ll. 23-24 (= p. 61 ll. 23-24); p. 80 l. 5 (= p. 81 ll. 5-6); p. 144 ll. 3233 (= p. 145 ll. 32-33); p. 170 ll. 34-35 (= p. 171 ll. 32-33); p. 256 l. 31 (= p. 257 l. 31). 287 Il riferimento alla forma documentale è consueto per i testi di conservazione istituzionale, ossia la corrispondenza indirizzata specificamente alla Chiesa (come è il caso degli appelli rivolti a papa Teodoro letti nella prima giornata); ma anche per la documentazione di produzione recente o relativamente recente, perché occasionata proprio dall’attuale disputa (ad esempio l’Ekthesis e gli scritti a suo sostegno e il Typus), o sia stata acquisita da Roma ai fini del processo. Si nota il riferimento al βίβλος/ codex quale supporto di conservazione ad esempio per gli scritti di Teodoro di Pharan e di Temistio (ibid., rispettivamente p. 118 l. 33 [= p. 119 l. 33] e p. 144 l. 29 [= p. 145 l. 29]. Non sempre viene specificato se il luogo di conservazione degli scritti sia l’archivio (lo nota anche De Rossi 1886, p. LXVII), lo è, tuttavia, per i βιβλία/codices che contengono gli atti dei cinque concili ecumenici (Concilium Lateranense a. 649 celebratum, p. 216 l. 34 [= p. 217 l. 34]). 288 Cf. ad esempio ibid., p. 162 ll. 17-18 (= p. 163 l. 18). 289 Teofilatto dichiara: Κατὰ τὴν κέλευσιν τῆς ὑμετέρας μακαριότητος μετὰ χεῖρας ἔχω κομίσας τῆς ἱερᾶς ὑμῶν βιβλιοθήκης τὴν τοῦ ἁγίου Διονυσίου βίβλον, p. 140 ll. 20-21 (Secundum iussionem vestrae beatitudinis afferens de venerabili bibliotheca sedis vestrae codicem beati Dionysii prae manibus habeo, p. 141 ll. 19-20).

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tuttavia, nella sua unicità, non permette di dedurre con sicurezza una conservazione separata per gli scritti ai quali fosse riconosciuto un carattere letterario 290. In passato hanno suscitato grande meraviglia 291 non solo le incredibili doti di efficienza dimostrate dai notarii ecclesiastici nel reperire immediatamente tante fonti lontane tra loro nel tempo (avendo evidentemente a disposizione un fondo documentale di dimensioni eccezionali), ma anche la loro straordinaria competenza nel sapere estrarre da quelle fonti i passi utili, se necessario redigendo veri e propri florilegi all’impronta, tra cui alcuni (letti nella quinta seduta) di proporzioni vaste  292. Naturalmente la scoperta di Riedinger deve far rivedere questo giudizio: si è detto come gli autori dell’opera siano stati identificati in Massimo il Confessore (nella cui produzione si ritrova parte del materiale usato negli Atti) e nella sua cerchia di collaboratori monaci bilingui. Circa i collaboratori, tuttavia, ci si può chiedere se non li si possa piuttosto individuare negli stessi funzionari della cancelleria papale, che sono designati con nomi greci, e che di fatto, godendo di accesso privilegiato allo scrinium e alla biblioteca ecclesiastica, possono aver fornito parte della documentazione necessaria allo scopo. A sostegno di questa ipotesi si può portare un dato che emerge dalla già citata indagine di Pollard sulla presenza del cursus nella produzione epistolare pontificia del VII secolo 293: praticamente tutta la documentazione trasmessaci per quel periodo contiene una percentuale di clausole accentative sufficiente a indicare un impiego consapevole del cursus, con la vistosa eccezione di quella compresa fra i pontificati di Martino I (649-653) e Vitaliano (657-672), nella quale – a parte singole eccezioni – non si riscontra la quantità statistica minima di clausole 294. Sembra opportuno chiedersi se tale improvvisa (e solo momentanea) dimenticanza del cursus possa in qualche modo essere messa in relazione con il peso della presenza a Roma di intellettuali orientali, che aveva portato all’elezione di Teodoro (642-649), sotto il quale ha senz’altro preso avvio il progetto del sinodo Questo passo degli Atti induce De Rossi ad affermare: inde lucem capit discrimen inter scrinium et bibliothecam sedis apostolicae utraque commissa fidei et auctoritati primicerii notariorum, De Rossi 1886, p. lxvii. 291 De Rossi 1884; Id. 1886, pp. lxvi-lxxi. 292 Concilium Lateranense a. 649 celebratum, pp. 256-314 (= pp. 257-315) (florilegio patristico); pp. 320-334 (= pp. 321-335) (florilegio di testimonianze degli eretici). 293 Pollard 2009. Relativamente alle opere di Gregorio Magno, il rilevamento della presenza della prosa ritmica è stato effettuato da Brazzel 1939 (esame condotto su tutte le opere); Norberg 1980 (epistolario); M. Pellegrini 2008 (tutte le opere). 294 Pollard 2009, p. 14 e tavola 1, p. 38. 290

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II. L’attività dei notarii e il suo contesto 103

lateranense. Possiamo immaginare che in quel contesto anche l’organico della cancelleria, che, come si è detto, costituiva il luogo sensibile per eccellenza dell’apparato amministrativo, possa aver recepito elementi orientali, rimasti poi in attività anche sotto i pontefici immediatamente successivi. Qualora Teofilatto e gli altri notai degli Atti siano stati di madrelingua greca, potrebbero essere direttamente indicati tra i collaboratori di Massimo il Confessore. L’ampio respiro dell’opera avrebbe reso necessaria una preventiva redazione in greco anche nel caso in cui essi avessero avuto una elevata dimestichezza con il latino. Si spiegherebbe così lo stile poco cancelleresco della “traduzione”, ma si individuerebbe anche una possibile ragione per la simultanea scomparsa del cursus dalla produzione epistolare ufficiale per la durata di una intera generazione, cioè il tempo necessario per il fisiologico ricambio di personale, con il ritorno di funzionari di formazione e cultura latina 295. Della storicità del primicerius e dei notarii citati negli Atti potrebbe quindi sussistere un po’ più che il semplice nome e il numero. A proposito di quest’ultimo, infine, è opportuno richiamare una delle questioni che si erano sollevate nel corso dell’esame dello scrinium gregoriano, ossia il ridotto numero di notarii preposti alle mansioni di cancelleria a fronte dei tanti addetti agli incarichi esterni. Il dato che si ricava dagli Atti del concilio lateranense, di quattro unità più il primicerius 296, sembra infatti fornire un parametro più che ragionevole ai fini di una stima meramente quantitativa, e offrire una giustificazione alla penuria di addetti notata sotto Gregorio.

295 Il nuovo revival della cultura greca alla fine del VII secolo, e la provata presenza di greci nella Chiesa romana avrebbe portato a un nuovo e più duraturo declino del cursus nella cancelleria, ibid., pp. 22-24. 296 Non necessariamente anche il secundicerius doveva essere impiegato in compiti di cancelleria.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 105

CAPITOLO TERZO

IL LIBER TESTIMONIORUM E I SUOI PERCORSI

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III.1. Una nota biografica Nel capitolo precedente sono state segnalate le caratteristiche di eccezionalità dei documenti che fanno riferimento a Paterio, nonché la loro relativa quantità 1. Si osserva che le diverse occorrenze del nome in quei documenti verosimilmente sono riferite alla medesima persona, promossa a una carica più alta nel corso degli anni: lo si deduce, oltre che dal ruolo da essa svolto (sarebbe improbabile la presenza presso la medesima istituzione di due notarii omonimi attivi nello stesso torno di anni), anche dalla rarità del nome, scarsamente attestato dai repertori prosopografici relativi tanto al periodo in cui il nostro personaggio sarebbe vissuto, quanto alle epoche precedenti. Un Paterio sarebbe stato prefetto in Egitto negli anni 333-335 2; è poi noto un Flavio Paterio, prefetto del pretorio per l’Italia nel 442 e console nell’anno successivo 3. È inoltre noto un Paterio 4 allievo della scuola di retorica di Milano diretta da Deuterio 5, istituzione che godeva all’epoca di chiara fama e attraeva i rampolli delle famiglie nobili di ogni parte d’Italia, la cui ammissione veniva celebrata attraverso la composizione di dictiones da parte degli insegnanti. Tra questi ultimi va ricordato Ennodio che, da diacono, prestò la sua opera presso la scuola prima di diventare vescovo di Pavia nel 513. Entro tale data si colloca il suo discorso di benvenuto dedicato al Paterio di cui si è detto e a Severo, dei quali è lodata l’ascendenza nobile  6. Nella seconda metà Cf. paragrafo II.2.1. PLRE, Paterius 1, vol. i (260-395), p. 670. 3 PLRE, Fl. Paterius 3, vol. ii (395-527), p. 836. De Rossi registra almeno tre frammenti di iscrizioni che fanno riferimento al consolato di Paterio (insieme a Petronio Massimo), ICUR i, nn. 711, 713, 714, pp. 311-313, le prime due di queste provengono dal cenobio di San Gregorio ad Clivum Scauri. 4 PLRE, Paterius 2, vol. II (395-527), p. 836. 5 Cf. Riché 1962, p. 62-64. 6 Ecce Paterius et Severus, ornamenta curulium et parentiva vocabula purpurarum, eruditionem originariam in ipsis vitae praestulantur exordiis, dedignantes non 1 2

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del secolo è attestato un patricius Paterio nell’itinerario attribuito ad Antonino di Piacenza, datato entro il 570; la collocazione geografica del personaggio viene ricondotta all’Emilia 7. Qualora tra i personaggi citati fosse da rintracciarsi un legame di tipo gentilizio, ad esso andrebbe forse ricondotto anche l’unico personaggio femminile noto con questo nome, che ci è testimoniato dallo stesso Gregorio Magno in riferimento a una domna che il pontefice qualifica come propria «zia». Poiché Gregorio nelle Omelie sui Vangeli parla di altre tre zie, Tarsilla, Emiliana e Gordiana, che specifica come paterne, e di cui celebra (almeno per due di loro) la santità di vita 8, Pateria è stata identificata quale zia materna 9, ovvero sorella di quella Silvia che, secondo Giovanni Immonide  10, dopo la morte del marito Gordiano si sarebbe ritirata a vita religiosa in un luogo chiamato Cella nova. La lettera in cui si fa riferimento a Pateria risale ai primi mesi del pontificato ed è indirizzata al suddiacono Antemio, rettore del patrimonio della Campania. L’ecclesiastico viene anzitutto rimproverato per essersi fino ad allora poco occupato della cura pauperum, nonostante le esplicite raccomandazioni ricevute  11; seguono dispo-

studiorum diligentiam cum sapore lucis haurire, quos indiscretis temporibus die natura donavit et litteris. pro quibus quid parentum decora, quid insignia vetusta novis mentibus relator insinuem?, Ennodius, Opera CDLI (Dict. 13), p. 309 ll. 18-21. 7 Ibid., Paterius 1, vol. II, p. 1612, cf. Antoninus Placentinus, Itinerarium 14 (p. 136 l. 6) e Itinerarium rec. alt. 14 (p. 162 ll. 8-9). 8 Tres pater meus sorores habuit, quae cunctae tres sacrae virgines fuerunt, quarum una Tarsilla, alia Gordiana, alia Aemiliana dicebatur, Hom. Ev., 38, 15 (p. 374 ll. 366-369). Inizialmente vocate con il medesimo ardore alla vita religiosa, con il passare del tempo Gordiana, avrebbe perso lo slancio e sarebbe tornata alla vita laicale (cf. ibid., p. 375 ll. 415-416). Nelle Omelie sui Vangeli Gregorio offre un racconto ampio della vicenda delle tre donne, della perseveranza di Tarsilla ed Emiliana fino alla morte, annunciata da visioni e segnata da eventi prodigiosi, e della rinuncia per debolezza d’animo di Gordiana, duramente stigmatizzata dal nipote (Gordiana autem mox ut solam remansisse se reperit, eius pravitas excrevit: et quod prius latuit in desiderio cogitationis, hoc post effectu pravae actionis exercuit. Nam oblita dominici timoris, oblita pudoris et reverentiae, oblita consecrationis, conductorem agrorum suorum postmodum maritum duxit, p. 376 ll. 419-423). Gregorio torna a parlare della sola zia Tarsilla nei Dialogi, dove aggiunge qualche dettaglio relativo al transito ultraterreno, Dial. 4, 17. 9 È la conclusione di Hartmann, che la definisce matris sororem, Reg. 1, 37, p. 50, nota 2. 10 Iohannes Hymmonides, Vita Gregorii 2, 11 (PL 75, col. 66a). 11 Discedenti tibi mandavimus et postmodum praeceptis discurrentibus iniunxisse me memini ut curam pauperum gereres et, si quos illic egere cognosceres, scriptis recurrentibus indicares. Et vix de paucis illic facere curasti, Ep. 1, 37 (p. 44 ll. 2-5). Non è l’unica lettera ad Antemio in cui si tratti l’argomento in termini simili, cf. Ep. 1, 23 e

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 107

sizioni circa la distribuzione di denaro e generi alimentari a tre domnae 12:

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Volo autem ut domnae Pateriae, thiae meae, mox praesentem iussionem susceperis, offeras ad calciarium puerorum solidos quadraginta et tritici modios quadringentos, domnae Palatinae, relictae Urbici, solidos viginti et tritici modios trecentos, domnae Vivianae, relictae Felicis, solidos viginti et tritici modios trecentos.

Le tre beneficiate rientrano di diritto nella categoria dei pauperes: per due di esse, Palatina e Viviana, è specificata la condizione vedovile, per l’altra, Pateria, soltanto la parentela con Gregorio, ma resta implicito che sia anch’essa priva del sostegno economico di un uomo, e ciò, probabilmente, non per suo decesso, che sarebbe stato specificato, come avviene per le altre donne a cui fa riferimento la lettera  13. Quanto alla sua condizione, si è dunque tentati di pensare a una forma di vita religiosa 14, in linea con una prassi seguita dalle altre figure femminili no-

54. I passi delle lettere che fanno riferimento ai familiari del pontefice sono rari e, si nota, caratterizzati da disappunto nei confronti dell’interlocutore che ha omesso di eseguire una qualche disposizione a beneficio delle loro persone o dei loro beni. Due volte si parla di un “fratello” di Gregorio: nell’Ep. 1, 42 (p. 53 ll. 130-133), dove il suddiacono Pietro, rettore del patrimonio di Sicilia, viene rimproverato per essersi dimenticato di trasferire il suo argento (si tratta forse di denaro utile per la gestione del patrimonio che la famiglia possedeva in Sicilia, come suggerisce Boesch Gajano 2004a, p. 25); nell’Ep. 9, 201 (p. 759 ll. 13-15), dove il difensore Sergio viene minacciato di grave rimprovero se non si impegnerà al recupero del suo schiavo fuggito. 12 Ep. 1, 37 (p. 44 ll. 5-10). 13 Come ricorda Gregorio a Domenico, vescovo di Civitavecchia, è parte dell’ufficio sacerdotale occuparsi delle vedove e delle donne prive di marito: Officii quidem sacerdotalis est ut viduis ac maritali regimine desolatis impertiri solacia debeatis, ut unde in hoc mundo humana conditione privantur, sacerdotali tuitione possint remedia repperire, Ep. 1, 13 (p. 14 ll. 2-5). Cf. anche Ep. 3, 5. Oltre alle virgines, anche gli orfani avevano diritto al sostegno economico della Chiesa, come viene formulato in una sentenza analoga alla precedente: Officii nostri est orbatis ita parentibus ferre consultum, quatenus aliquid de his, quae iuste debentur ecclesiae, relaxantes, eorum possimus subvenire miseriis, Ep. 3, 21 (p. 166 ll. 2-5). La distribuzione di denaro ai poveri rientra nella prassi della ripartizione dei beni ecclesiastici, di cui a essi va destinata la quarta parte, mentre le altre tre vanno al clero, ai lavori di manutenzione degli edifici sacri e al vescovo, cf. Liber diurnus, LXXIV; Arnaldi 1987, pp. 48-53. 14 Ricaviamo dalla lettura delle stesse opere gregoriane, in particolare dai Dialogi quanto sia variegato il panorama delle forme di vita consacrata femminile. Cf. Recchia 1996, pp. 73-77; Carpinello 2005. Circa la presenza di schiavi presso i religiosi (nonostante alcune disposizioni contrarie presenti nelle Novellae di Giustiniano) abbiamo le testimonianze papiracee relative ai monaci dell’Egitto, che ci informano non solo sul possesso in sé, ma anche su come molti schiavi abbiano beneficiato della manumissio in virtù della credenza che la liberazione fosse «un’opera buona con l’aiuto della quale compensare i propri peccati» (Melluso 2000, p. 220).

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te della famiglia di Gregorio e da questi apprezzata 15, ma mancano riferimenti espliciti in questo senso. In ogni caso, Pateria riceve quaranta solidi d’oro – una somma maggiore di quella offerta alle altre – come sussidio per gli schiavi, e quattrocento moggi di frumento. È lecito domandarsi se esista un legame diretto tra la zia e il notarius di Gregorio Magno, ma purtroppo non vi sono prove per argomentarlo. Un elemento di pura suggestione, ispirato dalla presenza del riferimento agli schiavi della donna, si può ricavare dalla lettera di manumissione dei famuli sanctae Romanae ecclesiae Montana e Tommaso, documento che appartiene al gruppo di quelli dettati allo stesso Paterio 16. Gregorio, come si è detto, vi dispone che Tommaso sia aggregato alla compagine dei notarii  17. La destinazione di uno schiavo all’attività di notarius (anche nel senso di exceptor, tachigrafo) probabilmente non ha in sé nulla di straordinario, e possiamo pensare che il famulus in questione già fosse preparato a quel compito, o che lo avesse fino allora svolto per il presbitero Gaudioso, citato nel documento. La lettera è ritenuta importante anche dal punto di vista giuridico, in quanto vi si mette a confronto l’atto di manumissione dei servi con la Redenzione dell’umanità operata da Cristo e si esprime il principio che gli uomini sono creati liberi da Dio e sono fatti schiavi dal diritto delle genti  18. Tale principio non deve tuttavia far dimenticare che la manumissione di schiavi della Chiesa era una forma di liberazione più di diritto che di fatto, tanto che il libertus ecclesiae «non aveva di simile agli altri liberti nulla fuorché il nome», in quanto rimaneva comunque obbligato a servire la Chiesa in cui era stato manumesso, che assumeva la condizione giuridica di patrona e poteva esercitare su di lui un diritto sostanzialmente perenne 19. Lo deduciamo dal tono sprezzante («quasi a far coincidere decadenza morale e decadenza sociale», Boesch Gajano 2004a, p. 22) con cui racconta del rinnegamento della scelta religiosa da parte della zia Gordiana per sposare un fattore dei suoi campi, cf. sopra, nota 8. 16 Cf. paragrafo II.2.1., nota 171. 17 Ep. 6, 12 (p. 381 ll. 21-22). 18 Cum redemptor noster totius conditor creaturae ad hoc propitiatus humanam voluit carnem assumere ut divinitatis suae gratia, disrupto quo tenebamur capti vinculo servitutis, pristinae nos restitueret libertati, salubriter agitur, si homines, quos ab initio natura liberos protulit et ius gentium iugo substituit servitutis, in ea qua nati fuerant manumittentis beneficio libertate reddantur, Ep. 6, 12 (p. 380 ll. 2-7), cf. Abignente 1972, p. 207; Damizia 1948, p. 212. Sulla concezione della schiavitù presso alcuni Padri e nei canoni conciliari cf. Melluso 2000, pp. 241-277. 19 Fabbrini 1965, p. 240. Continua l’autore: «I liberti ecclesiae, infatti, erano posti sotto la defensio e l’alto patronato della chiesa in cui erano stati manumessi, con la conseguenza che dovevano sottostare a tutti gli obblighi che la chiesa volesse imporre. Essi 15

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 109

Tornando a Paterio, di cui sappiamo che è notarius nel 596, ci si chiede se il suo rapporto con la zia di Gregorio, che nel 591 aveva sicuramente dei pueri, possa essersi configurato come quello di schiavo di lei, di cui avrebbe assunto il nome (magari perché entrato a far parte della familia in tenera età) 20, e da cui infine sarebbe stato manumesso in ecclesia 21, ricadendo soggetto alla tutela della Chiesa di Roma, dunque tenuto a svolgere le attività da questa richieste 22. Il passaggio dalla Campania, dove evidentemente risiedeva Pateria, a Roma potrebbe essere ricondotto al fatto che la zona in questione, amministrata dal suddiacono Antemio, costituiva parte del patrimonio di San Pietro 23. Se l’originaria condizione servile del nostro notarius resta una pura e indimostrabile ipotesi, di contro la sua appartenenza a una gens che tra i suoi esponenti aveva annoverato, all’inizio del secolo, celebri retori non sembrerebbe affatto sorprendente. Si è potuto constatare infatti come, nel VI secolo, la carriera notarile fosse diventata – dato il contidovevano inoltre restare perennemente deputati ad officia ecclesiae (…). E da questa gravosa situazione non sarebbero potuti uscire per tutta la vita; poiché tale situazione durava fino alla morte della patrona e cioè della chiesa manumittente. E così, dato che si trattava di una patrona che non muore mai, il patronato della chiesa, con tutti gli obblighi gravosi che comportava per il liberto, non veniva mai a cessare», ibid., pp. 240-241. 20 L’eventuale assunzione del nome del dominus renderebbe impossibile riconoscerne la provenienza geografica. In caso di origine orientale, la sua competenza linguistica lo avrebbe reso prezioso per la curia (ma sappiamo che Gregorio lamenta l’assenza di buoni traduttori dal greco, Ep. 10, 21 [p. 855 ll. 112-116]). Sull’assunzione, nell’epoca di cui ci occupiamo, di nomi latini da parte di orientali cf. Sansterre 1980, I, p. 12 (e II, p. 68, nota 22). 21 Ciò mentre lei era viva, oppure per testamento (manumissio in ecclesia mortis causa, che, tuttavia, era di norma riservata agli ecclesiastici): il padre di Gregorio, secondo una ricostruzione, all’epoca dei fatti descritti doveva già essere morto da una ventina d’anni (cf. Boesch Gajano 2004a, p. 23); due zie paterne sono sicuramente morte entro il gennaio 592 (per la datazione delle singole Omelie sui Vangeli cf. Bouhot 2007, pp. 225-250), ma è verosimile che lo sia anche la terza sorella, Gordiana, di cui si parla al passato e in termini troppo aspri (si direbbe offensivi) perché possano esserle rivolti direttamente. Nemmeno Pateria, verosimilmente, doveva più essere giovane. 22 La differenza con il caso di Tommaso starebbe nel fatto che questi era originariamente servus ecclesiae, dunque la medesima Chiesa che lo affrancava passava dalla condizione di domina a quella di patrona; Paterio invece sarebbe stato manumesso in ecclesia da un laico, passando sotto la defensio della Chiesa, quindi comunque una forma di controllo (su quest’ultimo concetto cf. Fabbrini 1965, pp. 235-236: «la Chiesa traeva molti vantaggi dai liberti che si ponevano sotto la sua protezione, o che comunque erano manumessi in ecclesia. Ad esempio, quale corrispettivo a tale protezione, la Chiesa esigeva dallo schiavo particolari servizi, legandolo specialmente ad assolvere impegni connessi ad officia ecclesiastici», ibid., p. 236, nota 73). Un esempio di manumissio di schiavi da parte di una donna è citato in Ep. 1, 53 (p. 66 ll. 12-13; altra lettera, come quella relativa a Pateria, indirizzata al suddiacono Antemio). 23 Si osservi che in quel periodo non era ancora fissato l’obbligo di manumettere nella rispettiva diocesi di appartenenza (Fabbrini 1965, p. 130).

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nuo estendersi della quantità e della qualità delle mansioni affidatole, il prestigio connesso alle funzioni e il livello di preparazione necessario per farne parte – una meta professionale ambita dagli esponenti dell’antica aristocrazia che da secoli già occupava le cariche civili. Indipendentemente da quale possa essere stata la classe sociale di provenienza di Paterio, considerati i particolari compiti a cui egli è stato addetto, implicanti la continua vicinanza al pontefice e la gestione degli atti relativi anche agli affari più riservati della sua segreteria, l’ipotesi che sia stato un parente di Gregorio, o comunque persona le cui virtù erano già note al papa per il servizio prestato presso esponenti della sua famiglia, non sembra del tutto fuori luogo. Fonti agiografiche riportano almeno altre due attestazioni del nome Paterio per l’epoca di cui ci occupiamo: la prima è riferita a un exconsul citato nelle apocrife Gesta Sixti redatte al tempo di papa Simmaco 24; la seconda a un vescovo di Brescia 25. Circa quest’ultimo va osservato che la sua eventuale identificazione con il discipulus Gregorii è difficilmente dimostrabile per totale mancanza di fonti, per quanto non sia inverosimile che un secundicerius notariorum abbia compiuto una carriera che lo abbia portato alla carica di vescovo (si è visto il caso del primicerio Bonifacio probabilmente diventato papa) 26. Premesso che per il periodo compreso tra V e VII secolo – come asserisce Picard – non si sa praticamente nulla sulla storia religiosa di Brescia 27, va rilevato che il nome Paterius compare in una lista dei vescovi della città che è nota attraverso due canali. Il primo è rappresentato dalla tradizione del racconto, redatto dal vescovo Ramperto, della traslazione del corpo di san Filastrio alla cattedrale di Brescia nell’anno 838 28; i più antichi testimoni della translatio risalgono al XII secolo e non si possono escludere modifiche alla lista subentrate successivamente alla redazione di Ramperto. Il secondo canale è costituito dalla tradizione del frammento di un libro liturgico confezionato probabilmente nel XII secolo e di cui sono note soltanto copie del XVI e XVII secolo. La lista riportata da quest’ultima fonte appare più ricca di informazioni di quella contenuta nella prima, in quanto ai nomi dei presuli viene accostato il rispettivo appel-

PBCE, **Paterius, vol. II, p. 1614. Ibid., **Paterius, vol. II, p. 1613. 26 Cf. sopra, il paragrafo II.1., nota 56. 27 Picard 1988, p. 227. 28 Rampertus, Translatio s. Philastrii, pp. 388f - 389a (BHL 6797). 24 25

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 111

lativo: sanctus per i primi ventisei, fra cui Paterio; episcopus domnus o soltanto domnus per i successivi 29. Inoltre una mano giudicata anteriore al XIV secolo vi ha aggiunto la data e il luogo della sepoltura. Paterio si sarebbe trovato «ad Sanctam Euphemiam», luogo identificato con il monastero extraurbano fondato dal vescovo di Brescia Landolfo II nella prima metà del secolo XI; da lì, secondo quanto riferisce Picard, in conseguenza della decadenza del monastero, sarebbe stato successivamente trasportato presso la chiesa cittadina dedicata, anch’essa, a Santa Eufemia 30. Non vi sarebbero testimonianze del culto di san Paterio precedenti al secolo XIV 31. Non è chiaro, al momento, se l’attributo della santità per il notarius Paterio che – come si dirà più avanti – ricorre fin dal secolo VIII nella titolatura iniziale di un ramo della tradizione manoscritta del Liber testimoniorum  32, abbia in qualche modo a che fare con un’eventuale identificazione fra il discipulus Gregorii e il vescovo di Brescia, del quale, è bene ribadire, non esistono notizie precedenti al XII secolo. III.2. Precedenti letterari Il Liber testimoniorum può essere definito, con una formula sintetica, un florilegio esegetico monoautoriale 33. Il primo attributo fa riferimento al contenuto (commenti biblici) e alla loro disposizione (l’ordine scritturistico); il secondo alle fonti impiegate (le opere di un solo padre della Chiesa). Una terza caratteristica saliente dell’opera è rintracciabile nel fatto che ciascun paragrafo è introdotto da un rimando alla provenienza del testo citato per la rispettiva opera gregoriana. Tale espediente va a configurare un ingegnoso meccanismo di indicizzazione dei contenuti presentati e deriva, secondo quanto scri-

Nota Picard che «la mention de saints évêques témoigne en fait d’un usage liturgique tout récent et l’emploi des divers titres honorifiques, inconnus des manuscrits de la translation, relève d’une initiative personnelle du copiste», Id. 1988, p. 439. 30 Ibid., pp. 237-238, e cf. pp. 327-328 (quanto alla presenza nel monastero di Santa Eufemia, si deve ipotizzare una prima traslazione, di cui non è rimasta traccia, a partire da un – ignoto – primitivo luogo di sepoltura ) e p. 597. 31 Ibid. Su san Paterio cf. Bolland 1658. Cf. anche Nodari 1968. 32 Cf. avanti, pp. 123-124. 33 Falmagne 1997, pp. 151-152. Per un inquadramento del genere letterario (non sempre con riferimenti specifici al tipo del florilegio esegetico), oltre alla classificazione e alle note ricavabili dagli studi di Falmagne, sono utili Rochais 1962; Delhaye 1962; Munk Olsen 1982; Rouse - Rouse 1982; Hamesse 1990; Spallone 1990. 29

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ve l’autore nel prologo, da una esplicita richiesta del pontefice committente 34:

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Qui me verbis mox, quibus beatitudo vestra novit suasoriis, atque ad superna trahentibus hortando coepit accendere, quatenus hoc quod neglecte coeperam explere studiosius debuissem, ita ut et opus et librum in quo testimonium positum legeretur, vel ex qua re ortum esset, in tituli eius praenotatione signarem.

Presupposto perché il lettore si orienti all’interno dell’opera è, naturalmente, che possieda una conoscenza abbastanza approfondita della Scrittura che gli permetta di saper cercare la giusta posizione del testimonium d’interesse. Una volta individuato questo e letto il relativo commento gregoriano, attraverso le coordinate di riferimento fornite nell’intestazione del paragrafo è possibile teoricamente risalire al contesto originale nel quale si trova il passaggio citato. Il Liber sembra dunque pensato per dei lettori che abbiano a disposizione anche copie delle intere opere gregoriane. Considerate individualmente, le tre caratteristiche elencate (ordinamento biblico, unicità della fonte, coordinate di provenienza delle citazioni) non appaiono innovative; è tuttavia la loro simultanea combinazione ad apparire poco usuale. Poiché essa diviene tipica nei florilegi esegetici successivi che si ispirano al Liber, a partire da quelli di Taione e Beda, è opportuno chiedersi se il Liber testimoniorum debba essere considerato capostipite del genere che rappresenta. Per rispondere fondatamente alla domanda sarebbe necessaria una vasta e capillare esplorazione della precedente produzione di tipo antologico, impresa che esula dalle pretese del presente lavoro. Una ricerca rapida e limitata all’ambito letterario latino (certamente quello più familiare all’autore, senza che con ciò si intenda escludere che cultura e lingua greca gli siano stati noti) non ha permesso di individuare una singola opera che possa essere considerata suo modello diretto. Piuttosto ha fatto emergere una molteplicità di precedenti letterari e potenziali modelli (opere singole o, in senso più ampio, tipologie letterarie) che possono aver complessivamente ispirato l’autore (e il suo committente) e che non sembra inutile passare in rassegna.

34 Per il testo del prologo del Liber testimoniorum si fa riferimento a quello ricostruito alle pp. 192-198 di questo volume. La frase qui citata è alle ll. 34-39 (cf. m col. 684a).

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 113

Poco ha in comune con il nostro florilegio il genere delle cosiddette raccolte di testimonia 35, raccolte tematiche di passi biblici finalizzate alla definizione di assunti dottrinali che si collocano cronologicamente agli albori della letteratura cristiana e di cui sono pervenuti esempi celebri a opera dei Padri, come l’Ad Quirinum e l’Ad Fortunatum di Cipriano nel mondo latino 36. Sembra più immediato collegare la nostra silloge al genere delle catene bibliche  37 e dei commenti scoliastici  38, per alcune somiglianze estrinseche. Tanto le une che gli altri rispettano la logica biblica progressiva, sebbene, come nella nostra opera, in maniera non sistematica, ossia senza che sia fornito un commento integrale ai libri biblici. Va però osservato che nel Liber testimoniorum la quantità di testo commentato dipende non da selezione operata da Paterio, ma dal caso che un certo passo sia mai stato trattato da Gregorio. Le catene bibliche sono frutto del lavoro di compilatori che intrecciano le voci di una pluralità di padri, e in questa pluralità, che implica il confronto delle opinioni (anche ai fini di mostrarne la concordanza), sta il divario con Paterio, che presenta il magistero gregoriano in maniera univoca. I commenti scoliastici sono invece opere originali di autori che hanno scelto di commentare solo alcuni passi di un libro della Scrittura e raccolto poi tali commenti in forma continuata, disponendoli, fino al VII secolo – secondo la ricostruzione proposta da Sergio Leanza –, «a piena pagina»  39. Il risultato finale ha 35 Su questo genere cf. Harris 1916-1920; Dodd 1972; Prigent 1961; Scorza Barcellona 1975; Daniélou 1966; Norelli 1993. 36 Cyprianus, Ad Quirinum; Id., Ad Fortunatum; inoltre lo Speculum «Quis ignorat» di Agostino. 37 Mi limito a citare alcuni contributi che mi sono stati metodologicamente utili: Curti - Barbàra 2000; i saggi contenuti in Curti 1989; Leanza 1997; Id. 1989; Dorival 1986-1995; Id. 1984. 38 Cf. soprattutto Leanza 1995: lo studioso ripercorre la storia del commento scoliastico in ambito greco e latino (in quest’ultimo, con Girolamo, il genere assume il nome un po’ fuorviante di raccolta di excerpta, pur trattandosi non di raccolta di passi d’autore scelti da un compilatore, ma di un commento d’autore, e procedente non in maniera continua, ma per passi selezionati della Scrittura) e ne sottolinea l’analogia con il genere delle Quaestiones et Responsiones. Si veda anche Leanza 1991. 39 «I Padri della Chiesa, non diversamente dagli autori profani, da Origene sino a Procopio di Gaza e oltre, per lo meno sino a circa il 700, quando sembra da collocare l’introduzione della catena di tipo marginale, non hanno conosciuto e adoperato che una sola maniera di scrivere le loro opere, quella a piena pagina», Leanza 1995, p. 224. Il commento poteva nascere ai margini del testo biblico, ma poi veniva trascritto «a piena pagina, esattamente come si faceva per i commentari (ὑπομνήματα), facendo cioè seguire in maniera continuata al versetto biblico citato la relativa spiegazione», ibid., p. 214. Assumeva pertanto lo stesso aspetto del florilegio esegetico. Farebbe eccezione, rispetto alla cronologia indicata dallo studioso, il commento scoliastico ai Salmi di Esichio di Gerusalemme (prima metà del V secolo), che avrebbe introdotto

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All’ombra di Gregorio Magno

aspetto simile a quello del florilegio esegetico, con la differenza che tale forma è assunta per iniziativa diretta di un esegeta, e non di un compilatore. Catene e scolii sono per lo più diffusi in lingua greca, anche se non ne mancano testimonianze nel mondo latino; in particolare, un catenista molto vicino cronologicamente e geograficamente a Paterio è il diacono Giovanni autore dell’Expositio in Heptateuchum 40, figura operante nei medesimi luoghi del nostro notarius nella quale si è tentato di riconoscere papa Giovanni III (561-574). Forse di poco precedente è Vittore di Capua (†553), che ha elaborato una catena di citazioni di padri greci. Può essere ricordata in questa sede anche la silloge detta Exempla sanctorum Patrum, di incerta attribuzione (si è proposto in passato Dionigi il Piccolo [†545 ca.]), una raccolta tematica riguardante la questione teopaschita 41. Un esempio di commento scoliastico latino si ha invece nei cosiddetti Commentarioli in Psalmos di Girolamo 42. Al commento esegetico scoliastico si riallaccia, come è stato notato 43, quello in forma di Quaestiones et Responsiones 44, genere in cui l’artificio retorico del dialogo tra maestro e discepolo dissimula e in qualche modo giustifica l’asistematicità della spiegazione. Sarà interessante notare che una delle modifiche operate da Paterio sugli escerti gregoriani in apertura di paragrafo consiste nel passare le frasi che introducono la spiegazione del termine-chiave del testimonium dalla forma assertiva a quella interrogativa, che appare come un accorgimento utile a conferire al monotono susseguirsi dei paragrafi la dinamica del procedere didattico dei commentari del tipo citato, con la differenza, rispetto ad essi, che l’interlocutore è assente dal testo come personaggio, quindi le domande vengono poste in forma retorica e contengono già la loro rispo-

(forse per fini liturgici) l’«impaginazione marginale» nella redazione e trascrizione del commento (cf. ivi, e 1991). 40 CPL 951. Sull’autore e la sua opera, di cui manca un’edizione critica, si veda Genevois 1998. 41 CCSL 85, pp. 85-129; CPL 654. 42 CCSL 72, pp. 177-245; il titolo con cui quasi la totalità della tradizione manoscritta ci tramanda l’opera è Excerpta de Psalterio, dove il termine excerpta indica propriamente gli scolii, come si deduce dalla celebre definizione che Girolamo stesso dà degli scritti di Origene nella Praefatio alla traduzione delle Omelie di quest’ultimo su Geremia ed Ezechiele (PL 25, coll. 583-586), cf. Leanza 1991, p. 522. 43 Cf. Leanza 1995, pp. 217 sgg.; si veda inoltre Mandolfo 1995, lo studio si concentra sull’influsso che i Commentarioli di Girolamo hanno esercitato su Eucherio a livello esegetico e linguistico. 44 Sulle origini e l’evoluzione del genere si veda Bardy 1932-1933; Perrone 1991.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 115

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sta 45. Tra i molti esempi in lingua latina (da Agostino a Girolamo) ci si limita a citare il primo libro delle Instructiones ad Salonium di Eucherio di Lione, opera che condivide con il Liber testimoniorum l’impostazione biblica progressiva (dal Genesi all’Apocalisse) e che la tradizione manoscritta ha talvolta trasmesso assieme al nostro florilegio 46. Per quanto riguarda la caratteristica della unicità della fonte, possiamo ricordare, per il mondo latino 47, almeno otto florilegi unicamente agostiniani composti entro il VII secolo  48: il Liber sententiarum (ca. 450) 49 e gli Epigrammata ex sententiis s. Augustini (ca. 450) 50 di Prospero d’Aquitania; gli anonimi ‘Capitula sancti Augustini’ in urbem Romam transmissa (430-435[?]), attribuiti almeno parzialmente a Prospero 51; gli Excerpta ex universo beatae recordationis Augustini episcopi in unum collecta (432-440) di Vincenzo di Lérins 52; gli Excerpta ex operibus s. Augu-

45

e 47.

Su questo si tornerà più avanti con degli esempi, cf. paragrafo IV.2.2., note 46

Il manoscritto Köln, Dombibliothek, 82, del IX secolo, contiene una parte del Liber testimoniorum di Paterio (ff. 2r-53r) e il primo libro delle Instructiones ad Salonium di Eucherio (ff. 54r-87r). Dell’opera è stata pubblicata una nuova edizione critica a cura di Carmela Mandolfo. 47 Va detto che nel mondo greco si trova una straordinaria testimonianza di florilegio monoautoriale nella Philocalia di Origene, composta, secondo la tradizione (messa in dubbio dalla critica più recente) da Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo nella seconda metà del IV secolo. Tale opera consta di ventisette ἐκλογαί (estratti) dalle opere di Origene organizzate secondo un criterio tematico (dunque non esegetico). Ha in comune con il Liber testimoniorum, oltre alla unicità di fonte, la modalità di presentazione dei capitoli, ciascuno dei quali «est précédé d’un titre (“kephalaion”) indiquant le problème traité, puis l’œuvre et la partie de l’œuvre d’où est extraite la citation», Junod 1976, p. 11. Cf. avanti, nota 61. 48 Nell’enumerazione che segue si ripercorre, sostanzialmente, la presentazione fatta da Dekkers dei florilegi agostiniani antichi (Id. 1990), rispetto alla quale si operano alcune modifiche, funzionali all’individuazione di opere (florilegi) che possano costituire dei precedenti letterari del Liber testimoniorum: è stata dunque esclusa dalla lista del Dekkers l’Expositio Psalmorum di Prospero d’Aquitania (CCSL 68A, pp. 3-211) che è, propriamente, un’epitome delle Expositiones in Psalmos di Agostino e non un florilegio, pertanto accostabile più all’Egloga di Lathcen sui Moralia in Iob (CCSL 145) che al Liber testimoniorum di Paterio (con il quale comunque condivide la struttura biblica progressiva). Epitome sembra essere stata anche la Excerptio Prosperi ex libris de Trinitate sancti Augustini, non pervenuta, e di cui si ha solo notizia dal catalogo di Lorsch del IX secolo (cf. Becker, Catalogi bibliothecarum antiqui, n. 37, pp. 102-105 [articolo 313]), e va dunque sottratta dal nostro computo. Dekkers prende in considerazione inoltre l’Expositio in Heptateuchum di Giovanni diacono, che tuttavia, come si è detto, è una catena biblica di più autori, tra cui anche Agostino. 49 CCSL 68A, pp. 257-365. 50 PL 51, coll. 497-532. 51 CCSL 85A, pp. 241-273. 52 CCSL 64, pp. 196-231. 46

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All’ombra di Gregorio Magno

stini (inizio VI secolo) di Eugippio  53; infine due florilegi anonimi in forma di dialogo, il Contra Philosophos 54 e il Contra Iudaeos 55, entrambi della prima metà VI secolo. Una riflessione a parte andrebbe svolta sul perduto florilegio agostiniano di Pietro di Tripoli sulle lettere di Paolo, di cui parla Cassiodoro 56: in un tentativo effettuato in passato per identificarlo si era proposta una silloge che successivamente è stata riconosciuta come una di quelle realizzate, nel IX secolo, da Floro di Lione. Paradossalmente, si era dunque attribuito all’ignoto autore africano il metodo compositivo nato (dopo di lui) con lo stesso Paterio 57. A differenza del Liber testimoniorum, nessuno tra i florilegi agostiniani qui elencati presenta la struttura biblica progressiva: essi si definiscono piuttosto florilegi tematici 58. Tra le loro caratteristiche generalmente non si nota la presenza dei rimandi alla originaria collocazione degli estratti che distingue la nostra opera. Fanno tuttavia eccezione, e costituiscono un significativo precedente, gli Excerpta agostiniani di Eugippio. Ognuno dei capitoli che costituisce questa raccolta è infatti preceduto da una formula introduttiva che specifica in modo puntuale il contenuto del passo e la sua provenienza 59. Quella del richiamo alle fonti è considerata da Eugippio una caratteristica importante della propria raccolta, tanto che vi dà risalto nella letteraprologo indirizzata ad Probam virginem 60: a singulis sane capitulis diversae res vel etiam quaestiones atque sententiae de quo opere vel libro sint indicantur, ut, si qui ignorat ubi eas plene possit invenire, cognoscat.

Tale modalità, com’è noto, è successivamente stata adottata in maniera del tutto analoga da Paterio, e non si esclude che Eugippio abbia costituito per lui un modello di riferimento, come suggerisce la ripresa del binomio opus et librum che si incontra nel passaggio del CSEL 9/1. CCSL 58A. 55 CCSL 58B. 56 Cassiodorus, Institutiones 1, 8, 9. 57 Ha fatto giustizia del «mito» di Pietro di Tripoli Wilmart 1926a; Id. 1926b, e soprattutto Id. 1931. 58 Ad esempio, Prospero nelle Sententiae raccoglie citazioni dottrinali agostiniane relative soprattutto al problema della grazia. 59 Si riporta, a titolo di esempio, l’introduzione di alcuni capitoli: An virtutes, quibus ad aeternitatem tenditur, desiturae sint cum ad aeterna perduxerint, agit in libro de trinitate XIIII, Eugippius, Excerpta 3, p. 51 ll. 17-19; De ligno scientiae boni et mali. Ex libro VIII. de genesi ad litteram inter cetera et ad locum, ibid., 26, p. 196 ll. 2-3; item de eodem ligno. ex eodem libro VIII de genesi ad litteram, ibid., 27, p. 197 ll. 2-3. 60 Ibid., Ep. ad Probam virginem, p. 3 ll. 10-13. 53 54

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 117

prologo del Liber testimoniorum dove l’autore dà conto della caratteristica in questione 61. Un’analisi comparata delle due opere verosimilmente potrebbe rilevare altri punti di somiglianza fra il metodo redazionale impiegato dai rispettivi autori 62. Alla luce della tradizione esaminata, sia pure rapidamente, si deduce che l’autore del Liber testimoniorum abbia fuso l’idea del florilegio monoautoriale – mutuando da esempi celebri come quello di Eugippio alcune scelte formali e redazionali – con la forma strutturale del commento esegetico a catena e, forse, di quello per scolii. Ne è derivata un’opera che dal punto di vista morfologico appare innovatrice per la compresenza di caratteristiche che nella precedente letteratura cristiana di ambito occidentale non sembrano comparire associate. Paterio, al quale direttamente o indirettamente si sono ispirati molti autori che ne hanno riprodotto il metodo e la logica compilativa, potrebbe dunque aver codificato i tratti tipici della tipologia del florilegio esegetico. L’incoraggiamento a compiere una tale innovazione sarebbe venuto da Gregorio stesso, come si è detto, ma anche dalla convinzione dell’autore di avere a che fare con un caso, a suo dire, sine comparatione 63. III.3. Le attestazioni antiche La più antica attestazione dell’esistenza della raccolta di Paterio risale a poco prima della metà del VII secolo, quando l’abate visigoto Cf. sopra, p. 112. La modalità di introdurre gli estratti d’autore con un titolo che dà conto della provenienza secondo opera e libro, e del loro contenuto, ha un precedente nella già menzionata Philocalia di Origene (cf. sopra, nota 47), che può forse aver costituto un modello anche per Eugippio. Gli estratti origeniani della Philocalia, così come quelli degli Excerpta di Eugippio, sono molto lunghi, e questo giustifica il numero ridotto dei corrispondenti titoli. Come è stato notato, questi ultimi, raccolti nei manoscritti in testa all’antologia, hanno anche assunto una funzione di chiave interpretativa dell’opera (cf. Harl 1983, pp. 27-29). Si veda, come esempio di schema di intitolazione, quello del capitolo 1, 29: Ἐκ τῶν εἰς τὸν ν΄ ψαλμὸν ἐξηγητικῶν. Ἐν μέρει τῆς κατὰ τὸν Οὐρίαν ἱστορίας τὴν ἀρχὴν ἀλληγορήσας, ἐπιφέρει, p. 212. 62 Il metodo di Eugippio è descritto da de Vogüé (Id. 1971, pp. 237-258). Tra le caratteristiche degli Excerpta illustrate dallo studioso si annovera l’abitudine a omettere passaggi interni ai testi riprodotti, qualora ritenuti superflui; a riunire passaggi provenienti da opere diverse sotto un medesimo titolo, non sempre dandone avviso al lettore; a modificare la sintassi degli estratti, in particolar modo quella iniziale, ai fini di costruire unità testuali autonome. Sono tutte caratteristiche redazionali comuni al Liber testimoniorum, come si vedrà nel paragrafo IV.2. 63 Vale a dire quello di poter ricavare, dal commento al solo libro di Giobbe, un commento dell’intera Bibbia. Cf. Liber testimoniorum, Prologus, p. 192 l. 6 (cf. m col. 683a). 61

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All’ombra di Gregorio Magno

Taione, che dal 651 sarebbe diventato vescovo di Saragozza, ha redatto un proprio florilegio esegetico gregoriano, i cosiddetti Excerpta Gregorii, riproponendo i criteri della compilazione di Paterio. Ce ne sono pervenuti solamente la lettera dedicatoria, indirizzata al vescovo Eugenio di Toledo (646-657), che descrive una suddivisione dell’opera in sei unità librarie (sex codices) che avrebbero coperto l’intera Scrittura, e un frammento consistente in cinque sezioni, su Proverbi, Ecclesiaste, Sapienza, Ecclesiastico, Cantico dei cantici. Finora non ne sono state riconosciute porzioni ulteriori. Poiché la lettera-prologo e le sezioni sui libri sapienziali hanno avuto canali di trasmissione del tutto indipendenti tra loro, a lungo si è dubitato se fosse corretto attribuire queste ultime a Taione, come suggerito nel secolo scorso dal loro scopritore, Angel Custodio Vega 64. La paternità può tuttavia essere accertata attraverso il confronto con i cinque libri di Sententiae prodotti dallo stesso autore nei primi anni del suo vescovato a Saragozza, dunque successivamente agli Excerpta. Anche le Sententiae sono costituite da materiale gregoriano, integrato all’occorrenza con citazioni di Agostino e Isidoro. L’esame comparato fra le due opere dimostra che esse sono senz’altro legate, e più precisamente che le Sententiae dipendono dagli Excerpta Gregorii: molto del materiale esegetico che era stato già assemblato in quest’opera è stato infatti riutilizzato, con gli opportuni aggiustamenti testuali, nella successiva 65. Si è detto che, oltre al Liber testimoniorum, probabilmente non esistevano altri modelli letterari per creare un florilegio esegetico con caratteristiche analoghe; in ogni caso, la prova che Taione si sia ispirato all’opera del notarius romano deriva dal fatto che parte della sua lettera a Eugenio – soprattutto l’argomentazione tecnica che spiega i criteri di redazione adottati – riproduce testualmente o rielabora formule del prologo di Paterio 66. Il documento fornisce inoltre informazioni che ci permettono di ricostruire le circostanze in cui Taione sarebbe entrato Vega 1957. Cf. Castaldi - Martello 2011, pp. 72-100. Un esempio eclatante di reimpiego nelle Sententiae di materiale escertato nel precedente florilegio esegetico si ha in Sent. 2, 24 (De sanctae Ecclesiae assiduis incrementis, coll. 810d-813c), costruito riproducendo in modo parziale o integrale undici paragrafi della sezione sul Cantico dei cantici degli Excerpta Gregorii: In Cant. 17 (p. 282 ll. 3-20; p. 283 ll. 4-9); 14 (p. 278 ll. 12-24); 15 (p. 279 l. 21 - p. 280 l. 3); 21 (p. 284 ll. 15-18, 29-30; p. 285 ll. 1-4, 7-11); 22 (p. 286 ll. 2-8); 25 (p. 286 ll. 21-28); 26 (p. 291 ll. 15-26); 38 (p. 301 ll. 10-15, 1820); 39 (p. 301 ll. 22-27); 44 (p. 304 ll. 16-25); 46 (p. 305 ll. 23-27). Un altro esempio può essere identificato in Sent. 4, 7 (Quot sunt testamenta somniorum, coll. 919d921a), che riproduce Excerpta Gregorii, In Eccli. 21 (pp. 395-396). 66 Vega 1957, pp. 248-251; Meyvaert 1988, pp. 362-363; Castaldi - Martello 2011, pp. 72-80. 64 65

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 119

in contatto con il nostro florilegio: egli avrebbe infatti compiuto un viaggio a Roma 67 con lo scopo (se non l’unico, almeno quello dichiarato) di copiare le opere gregoriane 68; lì, secondo una suggestiva immagine usata, egli avrebbe “visto” Gregorio, attraverso non soltanto i suoi scritti, ma anche i suoi collaboratori 69:

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Vidimus, vidimus Gregorium nostrum Romae positum, non visibus corporis, sed obtutibus mentis. Vidimus enim, non solum in suis notariis, sed etiam familiaribus, qui ministerio corporali eidem fidele exhibuerunt famulatus obsequium (…).

A voler cogliere alla lettera l’espressione, Taione sembra far riferimento a qualcuno che aveva conosciuto personalmente il pontefice. Conosciamo, o presumiamo di conoscere, dagli Atti del sinodo lateranense del 649 70, alcuni nomi di notai in carica presso lo scrinium pontificio al tempo del viaggio dell’abate visigoto, ma nessuno di essi ci rimanda a persone citate nell’epistolario gregoriano. Ci possiamo allora chiedere se Taione attraverso quella frase abbia voluto tradurre il suo stupore per essersi imbattuto nel Liber di Paterio – strumento che gli ha permesso di accedere più agevolmente alla vastità dell’opera gregoriana –, o addirittura alludere a un reale (quanto improbabile) incontro con l’anziano notarius. Più plausibilmente la frase va interpretata come semplice iperbole: la sola vista del personale della cancelleria pontificia aveva ricondotto la fervida mente del viaggiatore alla quotidianità vissuta da Gregorio. L’“incontro” con Paterio resta comunque un dato estremamente problematico: a dispetto della dipendenza per la creazione del suo florilegio biblico, e diversamente da quanto faranno gli autori successivi, Taione censura il riferimento alla fonte e al suo autore; si “appropria”

Per la datazione del viaggio si deve far riferimento alla richiesta pervenuta a Taione da parte dell’anziano vescovo Braulio di Saragozza di visionare il materiale gregoriano copiato a Roma (Braulio Caesaraugustanus, Epistolae 42, pp. 177-185). Tale documento è datato al 649/650 (Madoz 1941, p. 54) ossia non molto tempo prima della morte di Braulio stesso e della successione alla cattedra episcopale della città da parte di Taione. 68 Sulla celebre vicenda del viaggio romano di Taione cf. Serrano 1909; Madoz 1951; Vega 1957; López Pereira 1980, pp. 65-74; García Moreno 2002, pp. 299-306 (valuta le possibili implicazioni politiche della missione di Taione a Roma); Garcia 2005, pp. 16-26 (considera il portato ideologico del racconto leggendario del viaggio di Taione quale rivendicazione dell’identità culturale della Spagna nei confronti di Roma); Martello 2008 (sottolinea il significato polemico e antiromano della leggenda). 69 Taio Caesaraugustanus, Ep. ad Eugenium, p. 343 ll. 45-49. 70 Su cui cf. paragrafo II.4. 67

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All’ombra di Gregorio Magno

dell’idea del notarius senza citarlo esplicitamente né ringraziarlo 71. Tale comportamento può essere forse ricondotto al fatto che Paterio non costituiva ancora un punto di riferimento riconosciuto, e il suo scopritore non deve aver sentito alcuna esigenza di citarlo (ben diversa sarebbe stata la considerazione di cui, di lì in poi, forse anche grazie all’abate visigoto, il Liber testimoniorum avrebbe goduto) 72. È altresì possibile, come ha suggerito il Vega, che l’omissione del riferimento a Paterio sia da imputare al carattere eccessivamente orgoglioso di Taione, che lo avrebbe trattenuto dal dividere con altri il merito letterario. Possediamo altri probabili indizi di questa sua inclinazione: anni prima Braulio, suo predecessore nell’episcopato di Saragozza, gli aveva aspramente rimproverato in una lettera la sua condotta insolente, che aveva portato l’allora giovane presbitero a ingiuriare l’anziano vescovo 73. Un caso di occultamento di fonte simile a quello cui qui si assiste avviene poi nelle Sententiae, il cui prologo manca di qualsiasi riferimento a Isidoro di Siviglia e alla celebre analoga opera da lui composta, benché Taione si sia non solo senz’altro ispirato ad essa, ma vi abbia attinto una cospicua quantità di testo 74. Resta tuttora da approfondire l’eventuale circolazione – anche per il tramite di Taione – e l’influsso di Paterio in area iberica a partire dalla seconda metà del VII secolo. Riferimenti alla silloge del notarius compaiono sporadicamente negli studi recenti sulla produzione esegetica veterotestamentaria di ambito visigoto, ad esempio essa viene segnalata tra le fonti di un florilegio di controversa attribuzione, ma riferibile a tale area geografica, noto come Recapitulatio de paradiso o Lectiones sull’Esateuco 75. La prova più diretta che il Liber testimonorum si sia precocemente diffuso in Spagna è però fornita dai cosiddetVega 1957, pp. 248-251; Meyvaert 1988, pp. 363ss. Devo questo spunto a Paul Meyvaert, il quale richiama l’attenzione su un caso che può essere considerato analogo: la non dichiarata dipendenza di Teodulfo di Orléans da Beda: «When Theodulf borrows a passage from one of the great fathers of the church, Augustine, Ambrose, Jerome or Gregory, he is careful to name his source. But for Theodulf, the Spaniard, writing little more than fifty years after Bede’s death, Bede was not yet an authoritative figure who must be quoted by name», Meyvaert 2008, pp. XIV-XV. 73 Braulio Caesaraugustanum, Ep. 11. L’editore José Madoz assegna la lettera al 632 circa. 74 Ibid., p. 249. 75 Gorman 1995. In alcuni dei manoscritti che la trasmettono, l’opera è assegnata ad Ambrogio, ma è in realtà posteriore a Isidoro, dato che il commento al Genesi del vescovo sivigliano costituisce una delle sue principali fonti; il fatto, poi, che sarebbe stata impiegata da Wigbod nel suo commentario sull’Ottateuco ne indica la redazione entro la seconda metà del secolo VIII. 71 72

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 121

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ti «frammenti visigotici» descritti da Wilmart 76, vale a dire le sei carte in onciale del secolo VIII, oggi conservate a Parigi, contenenti una ventina di paragrafi dalla seconda sezione del florilegio, sull’Esodo 77. Il florilegio deve aver precocemente raggiunto anche l’Inghilterra, come prova un ulteriore frammento in onciale conservato a Worcester dalla sezione sul Genesi, caratterizzato da tratti paleografici insulari 78. Ma soprattutto lo prova il riferimento da parte di Beda alla raccolta esegetica composta da un Paterius discipulus Gregorii a cui lui stesso si sarebbe ispirato per realizzare un nuovo florilegio esegetico composto di soli estratti del pontefice e limitato al Cantico dei cantici 79: audivi autem quia Paterius eiusdem beati papae Gregorii discipulus de tota sancta scriptura quaeque ille per partes in suis operibus explanavit collecta ex ordine in unum volumen coegerit, quod opus si haberem ad manus facilius multo ac perfectius studium meae voluntatis implerem; verum quia necdum illud videre merui ipse per me hoc prout potui imitari domino adivuante curavi 80.

La testimonianza di Beda è molto significativa, soprattutto se confrontata con quella di Taione: ci informa che all’inizio del secolo VIII la fama del Liber testimoniorum era abbastanza estesa perché al suo autore potesse essere riconosciuta autorità in materia di antologizzazione delle opere di Gregorio, e che ormai ci si dovesse riferire a quella collezione come modello ideale. Così Beda si propone di «imitarla» pur non potendo, paradossalmente, prenderne visione diretta. Scendendo nei dettagli, notiamo che le notizie fornite – unum volumen e tota sancta scriptura –, sono in contrasto con quelle del prologo del Liber testimoniorum, che parla di complessivi tre volumina contenenti l’opera completa, mentre, come si è detto, l’estensione massima della parte originale tràdita va dal Genesi al Cantico dei cantici e in tale forma occupa solitamente un solo codice. È possibile che l’informatore del monaco, di fronte a un esemplare non diverso da quelli a noi giunti, abbia semplicemente sommato la notizia letta nel

Wilmart 1927, pp. 81-85. Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. lat. 641, ff. 1-6 (VIII; Paterius, Liber testimoniorum, In Ex. 19-21; 33-37; 40-41; 45-46; 48-51) (CLA 5, 678). 78 Worcester, Cathedral and Chapter Library, Fragmentum (sec. VIII, contiene Paterius, Liber testimoniorum, In Gen. 24-26 e 35-36) (CLA II, 265), riprodotto in Turner 1916, pp. 27-30 (cf. anche l’introduzione alle pp. XXIV-XXVII). 79 L’opera, considerata di difficile datazione, secondo una proposta recente sarebbe da collocare tra il 709 e 716, cf. Holder 2005, p. 102. 80 Beda, In Cantica Canticorum 6 (CCSL 119B, pp. 359 ll. 17-23). 76 77

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All’ombra di Gregorio Magno

prologo con l’evidenza materiale, senza appurare se il suo volume contenesse o meno «tutta la Scrittura». Tra la silloge bediana e la sezione sul Cantico del Liber è stata segnalata una singolare coincidenza nelle dimensioni 81, che tuttavia non inficia in alcun modo la sincerità della dichiarazione del monaco anglo sulla mancata conoscenza diretta del modello. La quantità complessiva di paragrafi nelle due raccolte differisce per sei unità: quarantasette compongono quella di Paterio  82, cinquantatré quella di Beda, che quindi presenta citazioni in più, frutto di ricerca autonoma. Il dato assoluto non è però indicativo, non solo perché va messo in relazione con la quantità di passaggi utili ai fini delle rispettive raccolte complessivamente reperibili nelle opere gregoriane (e si noti che nessuno dei due autori ricorre alla gregoriana Expositio in Canticum canticorum), ma anche perché, ponendo le due sillogi a confronto, si osserva che esse hanno effettivamente soltanto quaranta passi in comune, e questi ultimi, per di più, spesso non condividono i medesimi incipit ed explicit. Si osserva, inoltre, che Beda tende a riprodurre porzioni più ampie di testo rispetto a Paterio. Autonoma, nella raccolta del monaco anglo, oltre che la scelta dei brani da riprodurre, è anche la loro collocazione in successione: ad esempio il passo scritturistico meliora ubera tua vino è considerato da Beda come Ct 1, 1, e pertanto posto tra i primi paragrafi della raccolta, da Paterio come Ct 4, 10 e dunque posto in coda ad altri venticinque paragrafi. Nemmeno i criteri redazionali dei due autori coincidono: ad esempio Beda non ritiene necessario – come invece fa Paterio – cancellare le forme allocutorie al pubblico delle opere omiletiche. Di contro, un forte elemento di somiglianza appare l’uso di indicare, nell’intestazione dei paragrafi, la provenienza degli estratti citati: l’indicazione assume forma pressoché uguale nei due autori (In expositione beati Iob libro…; In expositione Evangelii homilia… parte…; In expositione Hiezechihelis homilia…; In codice Regulae pastoralis titulo…), secondo il criterio che Paterio ha descritto nel suo proemio.

81 Wasselynck 1965, pp. 160-162, l’osservazione dello studioso era però basata sull’analisi del testo del Liber pubblicato nella Patrologia latina, che è particolarmente inaffidabile per la sezione sul Cantico. 82 Il computo, coerentemente con ciò che si è detto nella nota precedente, è stato effettuato sul contenuto della sezione presentato dai manoscritti, non su quello dell’edizione a stampa, che contiene alcuni paragrafi interpolati (In Cant. 4, 14 e 16) e include una sequenza di otto paragrafi non originaria, ereditata dall’editio princeps dell’opera e probabilmente costruita dal primo editore sulla base di una lista di capitula presente nell’esemplare a sua disposizione (cf. il paragrafo III.6.).

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 123

Con Taione e Beda si può appurare che il florilegio esegetico ha iniziato ad avere la propria diffusione quale sottogenere letterario autonomo. Non sembra un caso che, in modo implicito o esplicito, diretto o indiretto, i due autori abbiano quale punto di riferimento proprio il Liber di Paterio. Il fatto che Beda non vi abbia avuto accesso diretto (in compenso, probabilmente, deve averne ricevuta una accurata descrizione, forse corredata dalla trascrizione di qualche passo esemplificativo) e sia comunque stato in grado di realizzare un prodotto così simile al florilegio del notarius dimostra la sostanziale semplicità dell’idea avuta da quest’ultimo. Tuttavia la scelta di introdurre i paragrafi con le coordinate degli escerti (opus et librum) lascia supporre che Beda abbia potuto trarre ispirazione anche altrove, e precisamente dalla raccolta agostiniana di Eugippio, vale a dire la stessa fonte che, a suo tempo, aveva probabilmente influenzato anche Paterio. Al proposito è bene ricordare che, oltre agli excerpta gregoriani sul Cantico, Beda ha composto un florilegio esegetico agostiniano sulle lettere di Paolo per il quale è stata dimostrata la dipendenza da Eugippio  83. Dipendenza che riguarda i contenuti, non la struttura letteraria, che invece dobbiamo supporre sia stata influenzata dalle notizie circa la collectio del discipulus Gregorii 84. La testimonianza di Beda è significativa anche per un’altra ragione: dimostra che la nostra opera si stava finalmente diffondendo associata a un nome specifico di autore, Paterio appunto. La definizione di Gregorii discipulus con cui il monaco anglo si riferisce all’autore romano è, infatti, la stessa che incontriamo nell’intitolazione iniziale di uno degli esemplari completi antichi del Liber testimoniorum, il codice F 85, vergato o comunque presente a Fleury alla fine del secolo VIII: Incipit prologus sancti Paterii discipulati Gregorii papae amen (f. 1v) 86. Ne consegue che l’informatore di Beda abbia visto un codice dipendente dallo stesso subarchetipo da cui sarebbe successivamente disceLa relazione fra gli Excerpta ex operibus sancti Augustini di Eugippio e la cosiddetta Collectio ex opusculis sancti Augustini in epistulas Pauli apostoli di Beda è stata indagata da Fransen 1987, pp. 189-194. 84 Accennando alla questione della prima produzione di florilegi esegetici da parte di Beda, e successivamente da parte di Floro di Lione, Dekkers ha espresso un concetto molto simile: «Ils avaient [lo studioso si referisce a Beda e Floro di Lione] (…) un modèle célèbre entre tous dans le recueil bien connu de Patérius (…). Bède connaissait ce recueil de nom et en louait volontiers et la disposition et l’utilité: il se propose même de suivre cet exemple. Et de fait, il suivra la même méthode pour composer un commentaire suivi sur les épîtres paulinniennes», Dekkers 1990, p. 32. 85 CLA V, 687. 86 Sulla non sicura origine di questo manoscritto cf. Chiesa 2007, p. 331, nota 93. 83

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All’ombra di Gregorio Magno

so F, e che la fattura di tale subarchetipo non possa essere posteriore ai primi anni del secolo 87. Il codice F e il coevo codice A  88, prodotto a Corbie  89, attestano l’arrivo del florilegio pateriano nella Gallia carolingia. A presenta una titolatura d’apertura decisamente più essenziale: Incipit prologus Paterii. La versione di F rappresenta una fioritura di quest’ultima, interessante anche per la presenza dell’attributo della santità per Paterio, che non sembra aver a che fare con eventuali tradizioni romane (Giovanni Immonide, che pure esalta la vicinanza del personaggio al pontefice e ne loda l’operato, non vi fa alcun accenno) e che non sappiamo se poter mettere in connessione con un eventuale culto legato al vescovo Paterio di Brescia, di cui abbiamo notizie molto tarde 90. Molto interessanti, nei due codici antichi, anche le titolature intermedie, in particolare quelle che si trovano fra il prologo e l’inizio della serie dei capitula della sezione sul Genesi, in quanto attestano la denominazione ufficiale dell’opera: F: In nomine sanctae Trinitatis incipit Liber testimoniorum, f. 3v; A: In nomine sanctae Trinitatis incipit Liber testimoniorum veteris testamenti quem Paterius de opusculis sancti Gregorii papae urbis Romae cum summo studio excerpi curavit, f. 2v.

Stavolta è A a contenere una fioritura (veteris… curavit), apposta verosimilmente da un copista che voleva puntualizzare che il contenuto del suo codice riguardava solo l’antico Testamento, e non tutta la Scrittura, come ci si sarebbe potuti aspettare dopo la lettura del prologo. La parte in comune della titolatura (In nomine… testimoniorum) doveva invece comparire nell’archetipo. Contiene la definizione dell’opera, Liber testimoniorum appunto, e non si può escludere che costituisca la formula scelta da Paterio in persona per il proprio lavoro, dunque quella che compariva nell’originale lateranense dell’opera. Si può osservare che l’autore con tale formula apparentemente ha indirizzato l’attenzione sul principio ordinatore della materia, scritturistico, più che sul contenuto concreto, l’esegesi gregoriana. Nella stessa regione da cui provengono i primi esemplari manoscritti completi si moltiplicano le testimonianze indirette, giacché l’opera Va rilevato che Beda non fa alcun riferimento alla presunta “santità” di Paterio, dunque forse l’attributo non compariva nell’esemplare di cui ha avuto notizia. 88 CLA VI, 711. 89 Una scheda del manoscritto, redatta da Lucia Castaldi, è contenuta in Gregorio Magno e l’invenzione del Medioevo, pp. 80-83. 90 Cf. sopra, pp. 110-111. 87

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 125

compare tra le fonti dei coevi commentatori veterotestamentari, come è stato stabilito per il commentario all’Ottateuco redatto da Wigbod su richiesta di Carlo Magno 91 e il commento ai Re preparato da Claudio di Torino sotto Ludovico il Pio 92. In tale contesto, un nuovo esplicito riconoscimento di autorità viene dalla riduzione dei Moralia detta, dal nome del primo editore, Epitome Marrier 93, la cui paternità è stata recentemente attribuita a Benedetto di Aniane 94. Quest’ultimo, in uno dei due prologhi che accompagnano l’opera 95, menziona lo sforzo che aveva profuso Paterio per estrapolare e organizzare gli estratti gregoriani. Imitando il suo esempio, Benedetto avrebbe deciso di cimentarsi a sua volta nella riorganizzazione dei testi del Padre della Chiesa, non solo nella forma della citata epitome dei Moralia, ma anche attraverso una raccolta di sententiae dedicata alla spiegazione dei Libri dei Re 96. È difficile stabilire per quale via il Liber sia giunto in Gallia; in ogni caso, a partire dalla fine del secolo VIII la diffusione dell’opera del discipulus Gregorii non conosce ulteriori ritardi né limitazioni geografiche, divenendo uno strumento per la conoscenza dell’esegesi gregoriana, tenuto in grande riguardo proprio in quanto commissionato dal pontefice stesso, e sentito quasi come parte del canone della sua produzione 97. PL 93, coll. 233-430 e PL 96, coll. 1101-1168; cf. Gorman 2002d. PL 50, coll. 1047-1208 e PL 104, coll. 623-834; cf. Gorman 2002c; Italiani 1979; Ead. 1988. 93 Gia attribuita a Oddone di Cluny, cf. Braga 1977; Ead. 1986. 94 Chiesa 2007. 95 Per l’edizione critica del prologo doppio (in prosa e in versi) dell’Epitome Marrier cf. ibid., pp. 335-338. 96 Is etenim mirabilis doctor [scil. Gregorius], divinis imbribus haustis, studuit luculento enodare affatu eas quae in exponendo menti occurrerent sententias patrum; ex quibus protensis numerosa in praefatam historiam contraxit volumina, quas nempe norunt, quibus sacra non latet Scriptura, a sancto viro Paterio nomine mirabili opere abstractas propriisque voluminibus redditas, lucida sibi reposuisse volumina. Ex quibus et ipse ante biennium in Regnorum libro aggregatis omnibus patrum sententiis, maxime autem sanctissimi papae Gregorii, unum quem non puto temnendum coniunxi libellum, ibid., p. 335. Secondo la ricostruzione proposta da Chiesa, il florilegio sui Re è da individuare in una delle raccolte esegetiche presenti nella miscellanea fatta allestire da Teodulfo di Orléans e contenuta in Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 15679. Vi predominano gli estratti gregoriani, che derivano direttamente dalle opere del pontefice e non dal Liber testimoniorum, come aveva erronamente ritenuto Gorman 1999. 97 Interessante il fatto che Notkero Balbulo, monaco di San Gallo (ca. 840-912), nella bibliografia ragionata per la conoscenza della Scrittura che redige per Salomo, futuro vescovo di Costanza, scrive che se questi è interessato al senso profondo del Genesi (si medulla eiusdem libri [scil. Geneseos] dulcissima pasci volueris), è sufficiente che si procuri il florilegio di Paterio: quod de libris beati Gregorii per ordinem singulorum librorum deflorando confecit, unquam reperire potueris, illud tibi ad omnimodam sufficiet sapientiam, Nokterus Balbulus, De int. div. script. 1 (PL 131, col. 995a-b). Non è un caso che Notkero faccia riferimento al Liber testimoniorum solo in 91 92

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All’ombra di Gregorio Magno

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Riassumendo quanto detto fin qui, la prima attestazione sicura dell’esistenza del Liber testimoniorum risale a Taione, il quale, pur non fornendo alcuna indicazione sull’autore, offre comunque il terminus ante quem per la datazione e la conferma che l’opera provenga effettivamente dall’ambiente dello scrinium pontificio. Nelle testimonianze successive, al Liber si trova sempre associato il nome di Paterio, talvolta definito discipulus Gregorii. Fino a Giovanni Immonide, dunque alla fine del IX secolo, nessuna fonte mette in relazione l’autore del florilegio con il notarius dell’epistolario. Il diacono sarà anche la prima voce ufficiale romana ad attestare apprezzamento per il Liber testimoniorum nel luogo in cui era stato originariamente prodotto. III.4. Il progetto e i suoi sviluppi La tradizione diretta del florilegio di Paterio ammonta a circa centoventi testimoni. Il dato non è considerarsi definitivo, a causa del fatto che i cataloghi delle biblioteche – in particolare quelli più datati –, i repertori e i censimenti a disposizione 98 non sono sempre attendibili. In qualche caso sotto la generica indicazione di Paterius celano compilazioni gregoriane che nulla hanno a che vedere con quella del notarius. Come si è già avuto modo di dire, sebbene l’opera sia presentata nel prologo come un commento all’intera Bibbia, i suoi testimoni più completi non contengono più di quattordici sezioni per altrettanti libri dell’antico Testamento 99: Genesi (76 paragrafi; m = 79), Esodo (58 parr.; m = 62), Levitico (15 parr.), Numeri (24 parr.), Deuteronomio (24 parr.; m = 28), Giosuè (2 parr.), Giudici (8 parr.), I Re (14 parr.; m = 15), II Re (15 parr.), III Re (15 parr.; m = 13), IV Re (11 parr.), Salmi (186 parr.; m = 287), Proverbi (36 parr.; m = 37), Cantico dei cantici (47 parr.; m = 49). relazione al primo libro della Bibbia: il codice a lui disponibile era verosimilmente lo stesso che è tuttora conservato a San Gallo (Stiftsbibliothek, 241, pp. 2-47), che riproduce i soli paragrafi 1-53 della sezione sul Genesi. 98 Per il Liber testimoniorum sono particolarmente utili il Repertorium biblicum Medii aevi iv e ix, 6264-6277, La tradizione manoscritta dei commenti latini al Cantico dei cantici, pp. 327-328, nonché i dati presenti nell’archivio elettronico online Mirabile. Archivio digitale della cultura latina medievale. Si vedano inoltre i censimenti presenti in Wilmart 1927; Étaix 1958; Falmagne 1997, pp. 151-152. 99 Per ciascuna sezione si indica, tra parentesi, la quantità costitutiva di paragrafi. Il primo dato è ricavato dal riscontro con la tradizione manoscritta più antica; il secondo – dove presente – fa riferimento alla quantità di paragrafi dell’edizione della Patrologia latina (m) che, come si dirà meglio più avanti, si distingue dalla tradizione più antica per riportare numerose interpolazioni e per distribuire diversamente il testo di alcuni paragrafi.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 127

La principale variazione che si incontra nella tradizione manoscritta rispetto a tale sequenza è la caduta di una o più sezioni. Tale fenomeno, è bene precisare, non costituisce un elemento valido di per sé per ricostruire vincoli di parentela fra i testimoni manoscritti 100, in quanto si tratta di un tipo di corruttela che può essersi prodotta in maniera indipendente nei singoli casi 101. Solitamente sono soggette a caduta le parti finali dell’opera: la serie Genesi-Proverbi (senza Cantico) è attestata da un quantitativo cospicuo di testimoni 102; un gruppo meno numeroso si ferma ai Salmi 103; altri non vanno oltre il IV Libro dei Re 104. Contrariamente a quanto proponeva Wilmart 1927, pp. 91-94. Ciò vale soprattutto quando sono coinvolte le sezioni finali; potenzialmente diverso il caso della caduta di sezioni interne, come si vedrà per i Salmi, cf. nota 105. 102 Alençon, Médiathèque de la Communauté Urbaine (olim Bibliothèque municipale), 19 (sec. XII; Saint-Évroul); Cambrai, Médiathèque municipale (olim Bibliothèque municipale), 508 (467), ff. 1-126 (sec. XII; Saint-Sépulcre); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 126, ff. 1-159v (sec. XII); Laon, Bibliothèque municipale «Suzanne Martinet», 21 (sec. XIII; Vauclair); London, British Library, Royal 3.A.XV, ff. 2-121 (sec. XIV; Sempringham); London, British Library, Royal 7.F.VI (sec. XII; Cirencester, St. Mary, abbazia CRSA); Lyon, Bibliothèque municipale, 1660 (sec. XIV); Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 493 (472 T.L.) (sec. XII; Saint-Victor); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2815, ff. 1-177v (sec. XII); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 14861, ff. 1-87 (sec. XII; Saint Victor; fino a In Prov. 13); Reims, Bibliothèque municipale, 115, ff. 1-141 (sec. XII; Chapitre); Rouen, Bibliothèque municipale, A. 391 (519) (sec. XIII); Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka (olim Gosudarstvennaja ordena Trudovogo Krasnogo Znameni Publicnaja Biblioteka im. M.E. Saltykova Scedrina), lat. Q.v.I.22 (sec. XI-XII; Collectio Suchtelen); Strasbourg, Bibliothèque nationale et Universitaire, 12 (Lat. 10) (sec. XI); Valenciennes, Bibliothèque municipale, 183 (175) (sec. XII; Saint-Amand). Alcuni di questi codici (Arsenal 493; BNF lat. 2815; Laon 21; Rouen A. 391; S.Peterburg lat. Q.v.I.22) sono caratterizzati dalla presenza di un paragrafo aggiuntivo su 1 Cor 15, 50 alla fine della sezione sul IV Libro dei Re (cf. avanti, nota 141). 103 Einsiedeln, Stiftsbibliothek, 35, pp. 4-260 (Fol. 192); Gent, Universiteitsbiblioteek, 247 (440) (sec. X; Trier, Saint-Maximin; fino a In Ps. 39 [NB: segue nota Quod sequitur in alium libellum continetur]); München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 5119, ff. 1v-167v (sec. XII; Beuerberg); Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, VI.D.28, ff. 1-75; Oxford, Bodleian Library, Laud. Misc. 349, ff. 1-231 (sec. XIIex.; Paterius, In Gen.-In Ps. 109); Paris, Bibliothèque Mazarine, 681, ff. 1-97 (sec. XV; Villeneuve-les-Soissons, Célestins); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2303, (sec. XI-XII; Limoges, St. Martial); Praha, Národní Knihovna Ceské Republiky (olim Národní a Universitní Knihovna), I.F.3 (235), ff. 1-144 (sec. XII); Salisbury, Cathedral Library, 76 (sec. XII[I ?]); Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 1281, ff. 1-248 (sec. XII). 104 Burgo de Osma, Archivo Biblioteca de la Santa Iglesia Catedral, 172, ff. 1-110 (sec. XIII); El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial, d.II.14, ff. 1-115 (sec. XV, collectio Agustin); El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial, m.III.18 (a. 1171; collectio Olivarès); Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. 20 dext. 9, ff. 1-104 (sec. XII-XIII; Firenze, Santa Croce, Convento OFM); Heilbronn, Stadtarchiv, 15, ff. 99 tot. (sec. XIII); London, British Library, Add. 18316 (sec. XII; St. 100

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All’ombra di Gregorio Magno

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La sezione sui Salmi, forse perché sovradimensionata rispetto a tutte le altre, è in qualche caso stata sacrificata individualmente dai copisti 105. Numerosi testimoni riportano frammenti isolati dell’opera – per distruzione o smembramento del codice originario –  106, o sue parti (una o più sezioni, o semplici gruppi di estratti) giustapposte ad altro materiale letterario. La serie “completa”, ossia Genesi-Cantico, è tuttavia quella attestata in maniera più solida dalla tradizione, non solo per la quantità dei testimoni la riportano ma anche per la loro antichità, giacché vi annoveriamo i già citati codici A ed F 107. Georgenberg, Tirol); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2304 (sec. XIII); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2814 (sec. XII; fino a In IV Reg. 10); Zwettl, Bibliothek des Zisterzienserstifts, 265, 40r-145r (sec. XIIex.; Paterius). Due testimoni (El Escorial d.II.14 e BNF lat. 2304) sono caratterizzati da un’aggiunta finale di 33 estratti. 105 Ciò avviene nei due testimoni di Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne (olim Bibliothèque municipale), Fonds ancien 508 e 1007 (entrambi del sec. XIII e provenienti da Clairvaux, Notre-Dame, abbazia SOCist) [di qui in poi, rispettivamente, Tr1 e Tr2], oltre che in Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique, 1312 (20026-20027), ff. 1-106 (sec. XIII; Villers-en-Brabant, abbazia SOCist); Dendermonde, Sint-Pieters en Paulus Abdij, Bibliotheek, 19, ff. 1v-86v + ff. 100v-106v (sec. XII; Affligem, SS. Peter und Paul, abbazia OSB; assente anche la sezione sul Cantico); Douai, Bibliothèque municipale, 316, ff. 1-106v, e 317 ff. 1-112 (entrambi sec. XII, Anchin, SS. Sauveur et André, abbazia OSB); Liège, Bibliothèque Générale de Philosophie et Lettres, 79, ff. 1-89v (sec. XII; Saint-Trond, Limbourg, abbazia OSB); Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. lat. 1571, ff. 1-112 (sec. XII prima metà; Trois Fontaines, Marne, abbazia SOCist); Semur-en-Auxois, Bibliothèque municipale, 26 (27) (sec. XII; Semur-en-Auxois, convento OCarm). Nell’impossibilità di verificare direttamente tutti i testimoni in questione, un elemento di suggestione per ipotizzare la parentela fra loro sembra sussitere nel fatto che la maggior parte è di provenienza cistercense, e comunque appartiene a un’area geografica circoscritta. Si ha testimonianza dell’antichità di tale versione dal catalogo di Lorsch del IX secolo, che descrive analiticamente il contenuto di un esemplare del Liber testimoniorum mancante, appunto, della sezione sui Salmi: Liber testimoniorum veteris testamenti quem Paterius ex opusculis sancti Gregorii papae urbis Romae cum summo studio excerpi curavit: id est in Genesi lib. I, in Exodo lib. I, in Numeris lib. I, in Levitico lib. I, in Deuteronomio lib. I, in Iesu Nave lib. I, in Iudicum lib. I, in Regum lib. IIII, in Proverbiis Salomonis lib. I, in Canticis Canticorum lib. I: in uno volumine, Becker 1885, n. 37, p. 114, articolo 515. 106 Ci si limita a ricordare i già citati frammenti visigotici di Parigi (cf. nota 77) e di quelli di Worcester (cf. nota 78). 107 Tra i testimoni per i quali è stato possibile recuperare notizie precise del contenuto, si segnalano: Admont, Stiftsbibliothek, 450, ff. 219 (sec. XII); Amiens, Bibliothèque centrale Louis Aragon, 220, ff. 2-149 (sec. VIII; Corbie, St.-Pierre, abbazia OSB) [= A]; Arras, Bibliothèque municipale, 924 (169), ff. 1-69 (sec. XI; St. Vaast); Avranches, Bibliothèque municipale, 104, ff. 1-72 (sec. XII; Mont-St.-Michel, abbazia OSB); Beaune, Bibliothèque municipale, 20, ff. 67-165 (sec. XII; Beaune, Notre-Dame); Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique, 1313 (II. 1412) (Phillipps 3759), ff. 132v251v (sec. XIII, Tongerloo, Notre-Dame, abbazia OPraem [NB: i paragrafi sui Salmi

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 129

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Tra i primi a dedicarsi allo studio della tradizione del Liber, Raymond Étaix ha ipotizzato che la sezione sui Salmi potesse costituire il possibile confine della parte originale del florilegio, a cui le sezioni su Proverbi e Cantico si sarebbero aggiunte successivamente, entro la fine del secolo VIII. Lo studioso considerava indizi in tal senso alcune difformità redazionali che caratterizzano queste parti rispetto a quelle che le precedono 108, notava poi che in qualche esemplare si incontra un’indicazione conclusiva in fondo agli estratti sui Salmi, anche quando

sono aggiunti successivamente, ai ff. 228v-251v]); Cambrai, Médiathèque municipale (olim Bibliothèque municipale), 337 (319), ff. 1-113 (sec. XII, Cambrai, Notre-Dame, cattedrale) [= C]; Cambridge, Pembroke College (nn. 1-316 in deposito presso la University Library), 174, ff. 11v-179 (sec. XII); Cambridge, University Library, Ii.III.6, ff. 1-167 (sec. XII); Cava de’ Tirreni, Monumento Nazionale dell’Abbazia della SS. Trinità, 11, ff. 1-122 (sec. XII); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 339, ff. 7-194 (sec. XII); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1150, ff. 1-123 (XI-XII); Graz, Universitätsbibliothek , 435 (39/52 f.), ff. 164 tot. (aa. 1190/1210; Seckau, St. Maria, abbazia CRSA, poi OSB); Heiligenkreuz, Bibliothek des Zisterzienserstifts, 224, ff. 1-155 (aa. 1150/1175); Köln, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibliothek, 97, ff. 1-208 (sec. IX primo/secondo quarto) [= K]; Lucca, Biblioteca Capitolare Feliniana, 32 (I), ff. 1-97 (XIII [XI?]); Lüneburg, Ratsbücherei, Theol. 2° 34, ff. 1-143 (a. 1459, Lüneburg, convento OFM); Luzern, Zentral- und Hochschulbibliothek, P. 36/4, ff. 1-118 (sec. XII); Milano, Biblioteca Ambrosiana, I 360 inf., ff. 1-173 (sec. XII) [= M]; Montecassino, Archivio e Biblioteca dell’Abbazia, 350 cc, ff. 1-185 (sec. XIex.); München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 5255, ff. 1r-169v (Chiems. can. 5) (sec. X; Chiemsee, St. Salvator, abbazia CRSA [olim OSB]); München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 9542 (Ob. Alt. 42), ff. 1r-183r (sec. XII, Oberaltaich, SS. Peter und Paul, abbazia OSB); Oxford, Bodleian Library, Canonici Script. Eccl. 135 (19121), ff. 1-80 (sec. XIV); Oxford, St. John’s College, 185, ff. 1-158 (sec. XIin., Southwark, SS. Saviour and Mary Overie, priorato CRSA); Paris, Bibliothèque Mazarine, 682, ff. 1-114 (sec. XII, Grands-Augustins, convento CRSA); Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 2302, ff. 1-170 (sec. XII prima metà; La Noë, Notre-Dame, abbazia SOCist) (= P); Paris, Bibliothèque Nationale de France, nouv. acq. lat. 1597, ff. 1-181 (sec. VIII; Fleury, Saint-Benoît-sur-Loire, abbazia OSB) [= F]; Schaffhausen, Stadtbibliothek, Min. 56, ff. 1-137 (sec. XI primo terzo; Schaffhausen, Allerheiligen, abbazia OSB); Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 707, ff. 1-190 (sec. XII). Tra questi, un gruppo è caratterizzato dall’inversione della serie sul Cantico dei cantici (cf. avanti, pp. 131ss.) (Avranches 104; Beaune 20; Bodleian L. Can. Script. Eccl. 135; BNF lat. 2302; F; M). Un gruppo presenta, alla fine della sezione su IV Re, il paragrafo aggiuntivo su 1 Cor 15, 50 (Avranches 104; BNF 2305; Ottob. lat. 1150; F). Un gruppo (A; K; Lucca 32; München 5255) è caratterizzato da una lacuna di circa venti paragrafi all’interno della sezione sui Salmi (cf. avanti, nota 143). In qualche caso sono le sezioni iniziali del florilegio a mancare, come in Berlin, Staatsbibliothek - Preussischer Kulturbesitz, Theol. Lat. Qu. 326, ff. 1r-103v (sec. IX secondo quarto; Paterius, In Lev.-In Cant. 36-47 [m = 38-49] + 1-13 [m = 1-12]); Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 2305, ff. 1-55 (sec. XIII; Paterius, In I Reg. 9-In Cant. 25 [m = 28]; NB: l’ultimo cap. regolare di In Prov. è seguito da 18 altri estratti). 108 Tali difformità verranno qui vagliate in dettaglio, limitatamente alla sezione sul Cantico, cf. il paragrafo IV.2.3.

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All’ombra di Gregorio Magno

questi sono seguiti dalle altre due sezioni  109. Ulteriore peculiarità è il fatto che le due sezioni finali generalmente non presentano, nei codici, le liste riassuntive del contenuto 110, come accade invece per tutte le altre, fin dai testimoni più antichi 111. Vi è infine da rilevare, fra le prime e le ultime sezioni, una difformità nella presentazione dei paragrafi del Liber. Le coordinate di provenienza degli estratti non sono infatti l’unico accorgimento redazionale che l’autore offre a beneficio degli utenti dell’opera: egli, piuttosto che trascrivere meccanicamente la citazione scritturistica (propriamente il testimonium) e, a seguire, i relativi passi gregoriani di commento, si preoccupa generalmente di aggiungere una brevissima descrizione del tema a cui si riferisce la spiegazione del Padre. Dunque, fin dalla sezione sul Genesi, i paragrafi del florilegio presentano normalmente una sequenza di elementi introduttivi composta, nell’ordine, da: 1. coordinate di provenienza, 2. argomento trattato, 3. testimonium. Il primo elemento viene rubricato in forma di titolo; il secondo e il terzo elemento vengono invece accorpati, in forma discorsiva, attraverso la formula dum de (…) tractaretur, adiunctum est:(…). Si riproduce un esempio, tratto da In Gen. 3 (secondo K, f. 5rv): Ne offrono esempi A e C (Explicit liber Paterii ex quibusdam testimoniis excerptus psalmorum); Beaune, Bibliothèque municipale, 20 (Explicit liber testimoniorum de veteris testamenti partibus atque ex opusculis sancti Gregorii excerptus); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2303 (che termina proprio con la sezione sui Salmi) e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 126 (Explicit liber testimoniorum quem Paterius de diversis opusculis sancti Gregorii papae urbis Romae summo studio excerpi curavit), cf. Étaix 1958, p. 68. 110 Le liste di capitula che solitamente precedono le sezioni del Liber sono con grande probabilità originarie. L’uso di apporre tali liste per facilitare l’accesso al contenuto dell’opera ha un testimone d’eccezione, per il periodo gregoriano, nel codice Troyes, Médiathèque de l’agglomeration Troyenne, Fonds ancien 504, contenente la Regula pastoralis, alla cui realizzazione non si esclude che possa aver lavorato lo stesso Paterio (cf. avanti, paragrafo IV.2.1.). Come avverte Pierre Petitmengin, è noto che fin dall’epoca tardoantica per alcune categorie di testi è stato previsto l’inserimento di liste di capitula, in particolare per i libri biblici, le regole e i trattati di direzione spirituale, le opere tecniche, «enfin les florilèges de toutes sortes et de toutes époques, qui ne se conçoivent pas sans table, qui révèle souvent leurs principes de sélection et d’organisation du matériel: on pourrait citer l’exemple d’Eugippe, de Défensor de Ligugé, d’Alcuin, des abréviateurs qui ont facilité l’accès à l’Histoire naturelle de Pline, à l’Institution oratoire de Quintilien ou aux Étymologies d’Isidore de Séville», Petitmengin 1997, p. 500. L’autore cita anche il caso del Liber testimoniorum, che nella ristampa della PL avrebbe perso le sue liste per pure «ragioni commerciali» del Migne (ibid., p. 501). 111 Cf. Étaix 1958, p. 69. 109

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 131

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in expositione beati iob libro viii 1. Dum de electorum temptationibus tractaretur, adiunctum est: 2. | Facta est lux, et paulo post: Factum est vespere. 3. | Nequaquam sic in hac vita (…) funditus non extinguit.

Il motivo per cui Paterio sceglie di usare una formula discorsiva all’inizio di paragrafo potrà risultare più chiaro alla luce dell’insieme delle caratteristiche del suo metodo redazionale; interessa al momento sottolineare che tale impostazione va progressivamente attenuandosi nelle ultime sezioni dei florilegio, già dai Salmi, fino a scomparire in quelle su Proverbi e Cantico, contribuendo a rendere sospetta l’autenticità di queste. L’ipotesi di esclusione delle ultime due sezioni va però valutata con cautela, anche semplicemente in considerazione della antichità e ampiezza della diffusione della tradizione che le attesta: oltre la metà dei manoscritti del Liber contiene almeno una tra le sezioni sul Cantico e Proverbi, già ben testimoniate tra VIII e X secolo 112. Per affrontare meglio il discorso sulla originalità occorre concentrare l’attenzione sulla complessiva fisionomia che attualmente presentano le ultime due sezioni e su alcuni loci critici che caratterizzano la tradizione manoscritta. La sezione sui Proverbi consta di complessivi trentasei paragrafi 113 che commentano dal versetto 3, 32 fino a 14, 30, e non include alcuno dei passaggi gregoriani relativi a testimonia provenienti dalla restante metà del libro biblico (consistente in complessivi trentuno capitoli). Una lacuna così ampia, decisamente non imputabile a mancanza di materiale utile allo scopo, non ha riscontri nelle altre sezioni del florilegio, e può essere messa in relazione o alla presunta non originalità della parte o a una perdita di fogli nell’archetipo.

Oltre a F e A, si possono segnalare: Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin - Preussischer Kulturbesitz, Theol. Lat. Qu. 326, ff. 1r-103v (sec. IX secondo quarto); Erlangen, Universitätsbibliothek Erlangen-Nürnberg, 87 (Irm 217), ff. 1-135v (sec. IX); Köln, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibliothek, 97, ff. 1-208 (sec. IX primo/secondo quarto); München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 5255, ff. 1r-169v (sec. X). 113 Nell’edizione della Patrologia latina i paragrafi sono trentasette, tuttavia In Prov. 21 e 22 sono in realtà da considerare un unico nucleo testuale. Il codice Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2305, riporta, dopo l’ultimo paragrafo regolare dei Proverbi, altri diciotto estratti (livor vulneris […] per fidem pensat), la cui analisi rivela che essi non possono costituire il completamento originario della sezione (cf. Étaix 1958, p. 70, nota 14). 112

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All’ombra di Gregorio Magno

La sezione sul Cantico è composta da una serie di quarantasette paragrafi 114 che copre in maniera più o meno omogenea da Ct 1, 1 a 8, 14: una quantità rappresentativa più o meno di tutto il libro biblico (anche se non della totalità dei passaggi gregoriani potenzialmente utili). In un gruppo non numeroso di manoscritti, ma significativo in quanto include il codice F, la serie risulta spezzata e invertita: i primi trentacinque paragrafi compaiono dopo gli ultimi dodici 115. A complicare le cose si nota un frammento di testo gregoriano (d’ora in poi “frammento Tempera”) tratto dalle Homiliae in Hiezechihelem  116, apparentemente estraneo per contenuto sia ai Proverbi che al Cantico, che è certamente residuo di una citazione più estesa 117. Il frammento compare tanto nei testimoni “con inversione”, dove generalmente trova posto tra il trentaseiesimo (ultimo regolare) dei Proverbi e il trentaseiesimo (primo a seguito dell’inversione) del Cantico (il modello è, appunto, il codice F, f. 173r), quanto nei testimoni con la serie sul Cantico “corretta”. In questi ultimi esso o si inserisce alla fine dei Proverbi (il modello è C, f. 107v) 118, o va a saldarsi al trentacinquesimo del Cantico (il modello è A, f. 147r) 119. Si cerca di chiarire la situazione con uno schema 120: Modello F: In Prov. 1-36 [m = 1-37] | Tempera | In Cant. 36-47 [m = 38-49] | In Cant. 1-35 [m = 1-37] Modello C: In Prov. 1-36 [m = 1-37] | Tempera | In Cant. 1- 35 [m = 1-37] ( | ) 36-47 [m = 38-49] Modello A: In Prov. 1-36 [m = 1-37] | In Cant. 1-35 [m = 1-37] | Tempera | In Cant. 36-47 [m = 38-49] 114

IV.2.3.

Quarantanove nell’edizione a stampa, cf. sopra, nota 82 e avanti, paragrafo

115 La sequenza è quindi 36-47 + 1-35, che corrisponde nell’edizione della Patrologia latina (= m) a 37-49 + 1-36. Come si è già indicato alla nota 107, mostrano questa corruttela, oltre a F, almeno Avranches 104, Beaune, Bibliothèque municipale, 20; Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin - Preussischer Kulturbesitz, Theol. Lat. Qu. 326; M; Oxford, Bodleian Library, Canonici Script Eccl. 135 (19121); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2302. 116 Greg. M., Hom. Hiez. 1, 2, 14 (CCSL 142, pp. 25s. ll. 283-291). 117 Cf. Castaldi - Martello 2011, pp. 29-33. 118 Altri testimoni che presentano analoga disposizione: Cava de’ Tirreni, Monumento Nazionale dell’Abbazia della SS. Trinità, 11; Paris, Bibliothèque Mazarine, 682. 119 Altri esempi: G; K; Lucca, Biblioteca Capitolare Feliniana, 32; München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 5255; Tr1; Tr2. Anche Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1150 mostra il Tempera nella stessa posizione, tuttavia le caratteristiche che presenta il frammento permettono di tenere il codice distinto dai precedenti, cf. avanti, nota 126. 120 La numerazione dei paragrafi è quella che si ricava dalla tradizione manoscritta; tra parentesi quadre si indica la numerazione di m.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 133

Incrociando i dati, si riconosce che il frammento Tempera, pur nell’irregolarità della sua posizione, si colloca comunque a uno degli estremi della zona di sutura tra i due nuclei di paragrafi sul Cantico, e tra questi ultimi e la serie sui Proverbi  121. Secondo Étaix tanto il caso rappresentato da A quanto quello rappresentato da C sarebbero il frutto di ricomposizioni che hanno tentato di ripristinare il giusto ordine di quei paragrafi, mentre la situazione di F mostrerebbe quella dell’archetipo più antico che attualmente si possa ricostruire. Nel caso di A, naturalmente, i paragrafi 1-35 del Cantico sarebbero stati riposizionati davanti al frammento Tempera, in C, invece, dopo di esso 122. La ricostruzione offerta da Étaix è stata oggetto recentemente di attenta riconsiderazione alla luce di una nuova analisi dei dati filologici 123. Sarà dunque utile ripercorrere qui, seppure brevemente, la nuova pista tracciata. Un confronto dell’aspetto che il frammento Tempera assume nei diversi casi sembra suggerire una dinamica parzialmente diversa da quella indicata dallo studioso francese. Si riproduce di seguito il testo dei tre modelli considerati, segnalando in apparato, dove necessario, eventuali varianti presenti in altri testimoni dei rispettivi gruppi, l’ultima colonna riporta il testo gregoriano di partenza, che è tratto dalle Homiliae in Hiezechihelem (secondo l’edizione critica di Marc Adriaen):

Cf. Étaix 1958, pp. 70-72. Se tale ipotesi fosse vera, riassume Étaix, ne deriverebbe che «le manuscrit de Fleury nous présenterait un témoin du plus ancien archétype que l’on puisse atteindre actuellement; il serait issu d’un exemplaire où non seulement le dernier folio aurait été déplacé, mais où plusieurs folios (du commentaire sur les Proverbes) auraient été perdus», ibid., p. 72. 123 Castaldi - Martello 2011. 121 122

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134 F, f. 173r

C, f. 107v

A, f. 147r

Hom. Hiez. 1, 2, 14 (CCSL 142, pp. 25-26 ll. 283-291)

Temperab quasi aurora nubes. Unigenitusc incarnatus nubisd palluit per argentum, illa enim natura inmutabilis quae in se manens innovat omnia. Si auteme ut est nobisf apparere voluisset, fulgore suo nos incenderet potius quam renovaretg. Sed claritatem suae magnitudinis temperavit nostris oculis Deus ut dum nobis eius claritas temperatur, etiam nostra infirmitas per eius similitudinem in eius luce clarescereth, per acceptam gratiam ut ita dicam suae habitudinis colorei mutaret.

Tempera penitudines quasi aurora nubes. Unigenitus incarnatus nobisα palluit per argentum. Illa enim natura immutabilis quae in se manens innovat omnia si ut est nobis apparere voluisset, fulgore suo nos incenderet potius quam renovaret. Sed claritatem sue magnitudinis temperavit nostris oculis Deus ut dum nobis eius claritas temperatur, etiam nostram infirmitas per eius similitudinem in eius luce claresceret, et per acceptam gratiam ut ita dicam suae habitudinis colore mutaret.

TemperaA quasi aurum nobis palluit per argentum, illa enim natura inmutabilis queB in se manens innovat omnia. Si autem ut est nobis apparere voluisset fulgore suoC nonD incenderet pocius quam renovaret. Sed claritatem suae magnitudinis temperabitE nostris oculis DeiF ut dum nobis eius claritas temperatur etiamG nostramH infirmitas per eius similitudinem in eius luce claresceret et per acceptam graciam ut ita dicam suae habitudinis coloremI mutaret.

[et quia divinitas a fulgore suo nostris est aspectibus] temperata, quasi aurum nobis palluit per argentum. Illa enim natura immutabilis, quae in se manens innovat omnia, si ita ut est nobis apparere voluisset, fulgore suo nos incenderet potius quam renovaret. Sed claritatem suae magnitudinis temperavit nostris oculis Deus, ut dum nobis eius claritas temperatur, etiam nostra infirmitas per eius similitudinem in eius luce claresceret, et per acceptam gratiam, ut ita dicam suae habitudinis colorem mutaret.

a

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 135

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a  α  in commentario nobis] in nubes iezechielis omilia Ca.m. ii add. P b  tempera] temperat Pp.c. c  Unigenitus] dei filius add. P d  nubis] nubes Fp.c., nobis P e  autem] ita Pa.c. f  nobis] nubis Fa.c. g  renovaret] innovaret P h  claresceret] clariscerit Fa.c. i  colore] colorem P

tempera] in temperatum corr. Ka.m., timpora G B  inmutabilis que] immutabiles que Aa.c., immutabilisque KG C  fulgore suo] fulgorem suum G D  non] exp. A, in nos corr. K E  temperabit] in temperavit corr. Aa.m., temperabat G F  Dei] om. G G  etiam] nam Ka.c., om. G H  nostram] nostra KG I  colorem] colore K



Nel gruppo con modello F il frammento Tempera si presenta separato (anche con opportuni accorgimenti grafici: segni di interpunzione, capolettera) dal paragrafo che lo precede (In Prov. 36 [m = 37]), come fosse un paragrafo autonomo. Le prime parole (Tempera quasi aurora nubes), sebbene prive di senso, vengono isolate in modo da far loro visivamente occupare il luogo di norma assegnato al testimonium. Le parole che seguono vengono sintatticamente rielaborate, con l’aggiunta arbitraria di un soggetto, in modo da far loro costituire una breve frase che può occupare la funzione dell’“argomento” (Unigenitus incarnatus nubis palluit per argentum). La parte restante del frammento va così a costituire il corpo del paragrafo, ossia il “commento” al quel finto testimonium individuato. L’imitazione della norma è particolarmente accentuata nel codice Parigino latino 2302 (P), dove è persino premessa la provenienza (veritiera) del paragrafo («in commentario iezechielis omilia ii»). Insomma, il copista che ha rielaborato l’anomalo frammento Tempera ha tentato di normalizzarlo seguendo lo schema consueto dei paragrafi del Liber testimoniorum, badando solo alla forma e non al significato del testo. Il codice C presenta notevoli affinità con F sia riguardo la distribuzione che la sintassi del testo: finto testimonium (però unito alla fine del paragrafo precedente, In Prov. 36 [m = 37], salvo un segno di separazione, forse di mano posteriore) + finta introduzione (dove si ripete la stessa formula di F) + commento.

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All’ombra di Gregorio Magno

Il codice A, invece, non riserva alcuna sorpresa dal punto di vista testuale: il frammento Tempera si presenta unito senza soluzione di continuità al paragrafo precedente (In Cant. 35 [m = 37]) e il testo 124 è molto vicino a quello dell’originale gregoriano, senza aggiunta di elementi che ne modifichino la sintassi. Étaix aveva notato i diversi tentativi di aggiustamento dell’incipit del frammento e li aveva classificati come interventi dei copisti che, di volta in volta, avrebbero cercato di dare coerenza al brano 125; non aveva tuttavia rilevato l’aderenza di A alla fonte, che complica lo schema secondo cui questo codice rappresenterebbe l’esito del ripristino della paginazione di un esemplare del gruppo di F. Il passaggio da F ad A, a ben guardare, appare poco plausibile, sia che l’esemplare contenesse già gli aggiustamenti sintattici notati nel frammento Tempera, sia che non li contenesse. Nel primo caso infatti l’estensore di A li avrebbe di sua iniziativa individuati ed eliminati per ripristinare il testo gregoriano originario, operando uno sforzo filologico che stride con l’incongruenza sintattica e semantica del testo generato; nel secondo caso, ugualmente, avrebbe dimostrato la sensibilità di saper riconoscere che nell’ultimo dei Proverbi si saldavano due passaggi tra loro estranei, e avrebbe giustamente separato il frammento Tempera per poi ricombinare quest’ultimo, così com’era, a In Cant. 35 (m = 37), con il quale aveva ancor minore nesso. Dello schema immaginato da Étaix l’unico passaggio realmente plausibile è dunque quello da F a C 126. Rimane da spiegare il motivo della diversa collocazione del frammento in F e A. Appare verosimile che esso facesse originariamente parte del Cantico (e non dei Proverbi), e si sia trovato decontestualizzato a causa o di una perdita o di uno scambio di ordine di fogli, o ancora per intromissione di una o più carte. Poiché la situazione più vicina a quella originaria, circa la posizione del frammento Tempera, sembra quella Salvo oscillazioni sulla parola iniziale nei diversi testimoni: tempera (A  K) / timpora (G). 125 «Les manuscrits cités du Liber Testimoniorum présentent un texte manifestement tronqué, auquel les copistes ont essayé de donner un sens en le triturant chacun à leur façon», Étaix 1958, p. 71. 126 Va sottolineato che, a partire dalla situazione di F, è ben possibile che si siano verificati casi di ripristino del giusto ordine del Cantico che abbiano coinvolto il frammento Tempera. È quanto si riscontra ad esempio in Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1150, nel quale il Tempera (f. 94r) assume la posizione di A, tuttavia presenta le caratteristiche notate nei modelli F e C (inc. Tempera quasi aurum nobis. Unigenitus incarnatus nobis palluit per argentum; a capo dopo In Cant. 35; ampio capolettera iniziale). 124

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 137

presentata dal codice A, non sarà inutile, ai fini di una maggiore intelligibilità della ricostruzione che si propone, riprodurre la porzione del manoscritto (ff. 146v-147r) nella quale si colloca il frammento, tanto più che m riporta, in questo punto, una sequenza completamente difforme da quella presente nella tradizione manoscritta 127: in expositione beati iob libro xxxiv

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Caput eius aurum optimum (Ct 5, 11). Quia capud Christi Deus, nihil vero est in metallis fulgentius, sponsi capud aurum dicitur, quia eius humanitas ex divinitatis suae nobis caritate principatur. in commentario hiezechihelis omelia viii pars i

Pulchra es, amica mea, suavis et decora sicut Hierusalem, terribilis ut castrorum acies ordinata (Ct 6, 3). Quae enim Hierusalem pacis visio interpretatur, cuius nomine patriae caelestis exprimitur. Sancta Ecclesia suavis et decora ut Hierusalem, quia eius vita et desiderium visione iam pacis intimae comparatur, ut in eo quod auctorem suum diligit, quod eius specie videri concupiscit. De quo scriptum est: In quem desiderant angeli prospicere (1 Pt 1, 12), per ipsa iam amoris sui desideria angelis similis dicatur. Quae quantum Deo amabilis efficitur, tanto ait ut malignis spiritibus terribilis fiat. Qualiter autem sit terribilis subiuncta conparatione ostenditur, id est ut castrorum acies ordinata. Quid est quod sancta ecclesia hostibus suis ut castrorum acies sit timenda? Non enim a magno intellectu vacat ista comparacio, et idcirco est subtiliter intuenda. Scimus et constat quia castrorum acies tunc hostibus terribilis ostenditur, quando ita fuerit constipata atque densata, ut in nullo loco interrupta videatur. Nam si ita disponitur, ut locus vacuus, per quem hostis possit ingredi dimittatur, profecto iam suis hostibus terribilis non est. Et nos ergo cum contra malignos spiritus spiritalis certaminis aciem ponimus,

In Cant. 34 (36) [A, f. 146v; cf. m, coll. 913b-914a = Mor. 34, 15, 26 (CCSL 143B, p. 1752 ll. 7-10)] In Cant. 35 (37) [A, f. 146v-147r; cf. m, col. 914a-c = Hom. Hiez. 1, 8, 6-7 (CCSL 142, p. 105 ll. 135-172)]

Si noti che nell’edizione il frammento Tempera non compare affatto. Si riproduce qui il testo che compare in A, normalizzato nella punteggiatura. 127

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All’ombra di Gregorio Magno

summopere necesse est ut per caritatem semper uniti atque constricti, et numquam interrupti per discordiam inveniamur, quia quaelibent bona in nobis opera fuerint, si caritas desit, per malum discordiae locus aperitur in acie, unde ad feriendos nos valeat hostis intrare. Antiquus vero inimicus castitatem in nobis, si sine caritate fuerit, non timet, quia ipse ne carne premitur, ut in eius luxuria dissolvatur. Abstinentiam non timet, quia ipse cybo non utitur, qui necessitate corporis non urguetur. Distribucionem terrenarum rerum non timet, si et eidem operi caritas desit, quia diviciarum subsidiis nec ipse eget. Valde autem in vobis caritatem veram, id est amorem humilem quem nobis vicissem impendimus timet, et nimis concordiae nostrae invidet, quia hanc nos tenemus in terra quam ipse tenere nolens amisit in caelo. Bene ergo dicitur: Terribilis ut castrorum acies ordinata, quia electorum multitudinem eo maligni spiritus pertimescunt, quo eos per caritatis concordia unitos contra se et conglobatos aspiciunt. Tempera quasi aurum nobis palluit per argentum, illa enim natura inmutabilis que in se manens innovat omnia. Si autem ut est nobis apparere voluisset fulgore suo non incenderet pocius quam renovaret. Sed claritatem suae magnitudinis temperabit nostris oculis Dei ut dum nobis eius claritas temperatur etiam nostram infirmitas per eius similitudinem in eius luce claresceret et per acceptam graciam ut ita dicam suae habitudinis colorem mutaret.

Frammento Tempera [A, f. 147r = Hom. Hiez. 1, 2, 14 (CCSL 142, pp. 25-26 ll. 283291)]

Si noterà l’estrema brevità del paragrafo 34, che contrasta con l’ampiezza del successivo. Ma è anche il tema trattato dal paragrafo ad attirare l’attenzione: l’equivalenza tra il capo di Cristo e l’oro, la cui claritas, come accenna la magra spiegazione, rappresenta la parte divina della sua persona incarnata. Il frammento Tempera, si osserva, sembra costituire una sorta di naturale sviluppo del paragrafo 34: vi si paragona la natura divina di Cristo all’oro e la sua natura umana all’argento, che stempera la claritas del primo elemento e i conseguenti effetti abbaglianti per le capacità dell’uomo (il soggetto logico dell’estratto, che va recuperato dal contesto originale del passo, in Hom. Hiez. 1, 2, 14, è l’electrum, lega naturale di oro e argento, assunto da Gregorio a simbolo di Cristo).

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 139

Risulta piuttosto interessante che nel passato qualcuno abbia già notato l’analogia tematica tra i due estratti e abbia proposto di riunirli, posponendo il paragrafo 35. Ciò è avvenuto nel codice di Troyes 508 (Tr2), che qui si riproduce: In Cant. 34 (m = 36) [Tr2, f. 122r]

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in expositione libri beati iob libro xxxiiii

Caput eius aurum obtimum. Quia caput christi deus, nichil vero est auro in metallis fulgentius, sponsi caput aurum dicitur, quia eius humanitas ex divinitatis suae claritate nobis principatur.a Et quia divinitas a fulgore suo nostris est aspectibus temperata quasi aurum nobis palluit per argentum. Illa enim natura inmutabilis quae in se manens innovat omnia, si ut est nobis apparere voluisset, fulgore suo nos incenderet potius quam innovaret. Sed claritatem suae magnitudinis temperavit nostris oculis deus, ut dum nobis eius claritas temperatur, etiam nostra infirmitas per eius similitudinem in eius luce claresceret et per acceptam gratiam ut ita dicam suae habitudinis colorem mutaret.b a  Mor. 34, 15, 26 (CCSL 143B, p. 1752 ll. 7-10); b Hom. Hiez. 1, 2, 14 (CCSL 142, pp. 25-26 ll. 283-291)

Secondo questa proposta, il frammento Tempera costituirebbe il regolare seguito di In Cant. 34 (m = 36), dal quale potrebbe essere stato spezzato per l’intromissione di una carta contenente l’attuale paragrafo 35 (m = 37) (Pulchra es, amica mea, suavis et decora). Il copista di Tr2 ha ripristinato il nesso logico e sintattico tra le due parti del paragrafo recuperando una frase delle Homiliae (et quia divinitas a fulgore suo nostris est aspectibus […]). Tale ricostruzione appare per molti aspetti verosimile. Si è specificato che si tratta solo di una proposta di ricostruzione, è infatti da escludere che il codice possa rappresentare la situazione precedente alla presunta scissione del paragrafo 34 e, quindi, derivare in maniera diretta dall’archetipo della tradizione. Ciò lo si è evince dal suo confronto con un altro codice conservato a Troyes, il n. 1007 (Tr1), anch’esso proveniente dall’abbazia di Clairvaux, e ad esso perfettamente coevo. Entrambi i codici presentano i paragrafi del Cantico nell’ordine corretto e mancano della sezione sui Salmi. Dall’esame comparato appare estremamente probabile che tra essi ci sia un diretto collegamento: le imprecisioni testuali presenti in Tr1 appaiono sistematicamente corrette in margine di pagina e le correzioni si trovano incorporate in Tr2. Si può rilevare anche una certa somiglianza tra la mano che ha inserito le correzioni nel primo manoscritto e quella che ha vergato il secondo. Nel punto che qui interessa, Tr1 presenta la situazione nota da A, ossia il

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All’ombra di Gregorio Magno

paragrafo 34 in forma breve e il frammento Tempera saldato al fondo del paragrafo 35. A fine paragrafo 34 (f. 132r) il correttore ha aggiunto in interlinea un rimando alla pagina successiva 128, dove, alla fine del paragrafo 35, si trova anche inserita la frase di raccordo tratta dalle Homiliae in Hiezechihelem (et quia divinitas a fulgore suo nostris est aspectibus […]). Si è visto che Tr2 presenta invece la versione “ricomposta” del paragrafo 34, che, naturalmente, è seguìto dal 35. Se ne desume che Tr1 sia stato utilizzato come copia di lavoro, in cui sono state inserite le correzioni ricavate dalla collazione con altri esemplari del florilegio (evidentemente anch’essi mancanti della sezione sui Salmi) 129, o anche dalla diretta consultazione delle opere gregoriane 130. A partire da esso sarebbe stato realizzato Tr2, con l’intenzione di fornire un esemplare del Liber mondo da errori (omissioni di righe, inesattezze grafiche) e dalle relative correzioni. L’autore di questa operazione avrebbe condotto, insomma, un lavoro simile a quello realizzato dai continuatori di Paterio, che in qualche caso (come si vedrà più avanti, ciò vale in particolare per il monaco Bruno) hanno voluto non solo “finire” il Liber testimoniorum, ma anche rettificare i tanti difetti che, a loro modo di vedere, il tempo vi aveva stratificato 131. Tornando nel merito della proposta circa la posizione originaria del Tempera, bisogna domandarsi perché e secondo quale dinamica la carta contenente il paragrafo 35 si sia interposta. Ma occorre preventivamente riflettere su una caratteristica piuttosto singolare del testo del frammento Tempera, che costituisce la ragione che ha reso difficile individuarne la possibile primitiva collocazione (non intuita nemmeno da Étaix), ossia il fatto che il testo non contiene alcun riferimento diretto a Ct 5, 11, e più in generale ad alcun testimonium biblico. Il legame con il testo del paragrafo 34 è dunque solo di natura tematica, non scritturistica. AnaHuius sententiae partem verte folium et invenies, ad tale (…); segue un segno di rimando, puntualmente rintracciabile nel verso del foglio. 129 Che il correttore di Tr1 abbia fatto riferimento a codici appartenenti a un medesimo ramo si intuisce dalla presenza di mende che non è riuscito a sanare: ad esempio non è in grado di indicare le coordinate di provenienza di una successione di paragrafi sul Genesi (da In Gen. 24 a 29), assenti sia da Tr1 che da Tr2. 130 Ci si può chiedere se derivi dalla consultazione diretta della Regula pastoralis una brevissima integrazione inserita alla fine in In Gen. 69, rispettivamente aggiunta al margine della pagina in Tr1 (f. 29r) e inclusa nel corpo del testo in Tr2 (f. 27v): Plerumque autem temptatur cor, et ex carnis nequicia delectatur, Past. 3, 29 (= 53) (p. 472 ll. 71-72). La frase rappresenta il naturale proseguimento dell’estratto, ma non ne è stata riscontrata la presenza in altri esemplari del Liber consultati. All’origine di questo inserimento c’è probabilmente la volontà di concludere in modo opportuno la sententia, evidentemente sentita come incompleta (a meno che l’integrazione non derivi da un altro esemplare del Liber usato per la collazione nel quale la frase era stata precedentemente interpolata). 131 Cf. avanti il paragrafo III.5.3. 128

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 141

lizzando meglio il metodo redazionale di Paterio, si vedrà che ciò non è affatto coerente con l’impostazione del Liber testimoniorum, che usa fondere assieme più estratti di diversa provenienza, ma solo se tutti sono riconducibili al medesimo passaggio biblico. Il legame tra il 34 e il Tempera è pertanto giustificabile solo ipotizzando che quest’ultimo costituisse il punto finale di un’argomentazione esegetica di cui è andata perduta la parte maggiore, e che prendeva le mosse da Ct 5, 11. Tuttavia, nel contesto di provenieza del frammento Tempera (la seconda omelia del primo ciclo su Ezechiele) si cercherà invano un’evoluzione del tipo descritto. L’ipotesi che è stata formulata nello studio a cui si fa qui riferimento, che prende in considerazione anche altri fenomeni analoghi all’interno del Liber testimoniorum, è che il testo originario da cui Paterio avrebbe tratto il passaggio con il Tempera fosse differente da quello attualmente noto 132. Si sarebbe cioè di fronte a uno dei punti del testo delle Omelie interessati dal processo di revisione e riscrittura operato da Gregorio negli ultimi anni del suo pontificato; un processo originato dalla decisione di emendare le Homiliae in Hiezechihelem al fine di pubblicarle, e che probabilmente ha presto coinvolto anche i Moralia in Iob – per antonomasia il “cantiere” infinito nell’ambito della produzione gregoriana. Nel caso in esame, Paterio avrebbe inizialmente citato la versione non emendata del passo, salvo poi intervenire a correggere il proprio testo al fine di seguire le nuove decisioni del pontefice  133. La sua correzione del paragrafo sarebbe probabilmente consistita in una netta semplificazione del brano, per depennamento e/o eliminazione di carte  134. Il frammento Tempera, acefalo, sarebbe forse sopravvissuto in quanto costituiva la conclusione dell’unità testuale, e si trovava sul recto di una carta che conteneva ulteriori paragrafi.

Cf. Castaldi - Martello, pp. 39-42 e 65-66. In particolare, secondo l’ipotesi proposta dagli autori (cf. ibid.), l’attuale testo del paragrafo 34 si sarebbe originariamente trovato nella prima versione delle Homiliae in Hiezechihelem, dove sarebbe proseguito esplorando i significati biblici dell’oro, per evolvere fino a trattare della sua “corruzione” (in maniera analoga a quanto si legge oggi nei Moralia nel contesto in cui si incontra il brano in questione: Mor. 34, 15, 26 [pp. 1752-1753 ll. 10-40]). L’argomentazione sarebbe quindi giunta a introdurre l’esempio dell’electrum per esprimere l’unione di umanità e divinità di Cristo (interpretazione cara a Gregorio ma «quanto mai infelice», come ha rilevato Simonetti 2004, p. 207). Nel corso della revisione delle Omelie il pontefice avrebbe deciso di separare la parte relativa alle interpretazioni sull’oro (facendola rifluire nel penultimo libro dei Moralia) da quella relativa all’elettro, lasciata nelle Omelie. 134 Sarebbe cioè stata corretta l’intestazione del paragrafo, dichiarandone l’appartenenza ai Moralia (in expositione beati iob libro xxxiv, A, f. 146v), e sarebbe poi stato cassato tutto quanto non pertinente al Cantico, cf. Castaldi - Martello, p. 66. 132 133

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142

All’ombra di Gregorio Magno

Il processo di emendatio condotto dal pontefice avrebbe generato anche il contenuto della carta con l’attuale paragrafo 35: il lungo passaggio esegetico su Ct 6, 3, che troviamo nella versione ufficiale delle Homiliae in Hiezechihelem (1, 8, 6-7), probabilmente non compariva nella redazione originaria dell’opera gregoriana e pertanto potrebbe non essere stato escertato da Paterio nel corso del suo primo censimento. La sua successiva formulazione da parte dell’esegeta deve aver indotto il florilegista a recuperarlo nella raccolta. La scheda che lo conteneva sarebbe andata fisicamente a prendere il posto delle carte eliminate relative al paragrafo 34. Tale collocazione ne avrebbe favorito la fusione con il residuale Tempera dell’inizio della carta successiva, secondo quanto si vede in A e nei testimoni del medesimo gruppo. Come si può intuire, tale ricostruzione ha delle importanti implicazioni rispetto all’intera vicenda del Liber testimoniorum. La prima è che il progetto di Paterio sia stato avviato prima che Gregorio decidesse di rivedere il testo delle Homiliae in Hiezechihelem, dunque prima del 601/602, e più precisamente, forse, negli anni a cavallo tra la fine del VI secolo e l’inizio del successivo; la seconda è che anche le ultime due sezioni pervenute, su Proverbi e Cantico, siano autenticamente pateriane; la terza è che l’autore abbia, almeno per un certo tempo, tenuto conto del processo di revisione messo in atto da Gregorio e abbia tentato di aggiornare la propria raccolta, a mano a mano che le fonti dell’opera cambiavano fisionomia rispetto ai testi già escertati. Ciò posto, le difformità redazionali che distinguono le ultime due sezioni (che più avanti si analizzeranno nel dettaglio), l’assenza di tabulae capitulorum al loro inizio, le indicazioni conclusive che si notano al termine dei Salmi, l’assenza di una titolatura esaustiva a introdurre l’intera opera sono indizi che portano a formulare l’ipotesi più ampia – pure espressa nello studio citato e che qui ci si limita a riassumere – secondo cui Paterio, vedendo progressivamente diventare superato il materiale già raccolto, abbia ad un certo punto deciso di sospendere la redazione dell’opera, forse per attendere che le sue fonti pervenissero allo stadio definitivo. Per quanto si può desumere dalla tradizione dell’opera, però, egli non avrebbe più avuto occasione di riprendere e portare a compimento il suo progetto 135. Bisogna specificare che, considerate le caratteristiche del florilegio in questione, la sua realizzazione deve verosimilmente aver previsto due fasi distinte: la prima dedicata al censimento del materiale esegetico e alla sua escertazione, in forma grezza, su schedae – come l’autore stesso

135

Ibid.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 143

afferma in un passaggio del prologo 136 –, ovvero fogli sciolti probabilmente papiracei ordinati e raggruppati in fascicoli, uno per ciascun libro della Bibbia. La seconda fase dedicata alla riscrittura di tale materiale in bella copia, con l’inserimento di una serie di accorgimenti redazionali quali le tabulae capitulorum riassuntive, la revisione sintattica degli escerti al fine di renderli autonomi dal contesto originario, la loro eventuale fusione, la formulazione dell’“argomento” introduttivo. La riscrittura ha verosimilmente implicato l’uso di un supporto più durevole, forse fogli di pergamena che nelle intenzioni dell’autore sarebbero poi andati a costituire il codice finale. Che la prima fase – l’escertazione e il raggruppamento in fascicoli delle schedae – sia stata compiuta per l’intera Bibbia e non per le sole sezioni pervenute (Genesi-Cantico) lo si può inferire dal fatto stesso che l’autore abbia deciso di avviare la fase successiva, e vi abbia premesso un prologo in cui ha anticipato che la struttura finale del lavoro sarebbe stata articolata in tre parti, due sull’antico e una sul nuovo Testamento. Che poi la seconda fase si sia interrotta è deducibile dal fatto che le caratteristiche redazionali sopra elencate si riscontrano soltanto fino ai Salmi. La documentazione raccolta da Paterio sugli ulteriori libri biblici si sarebbe trovata in uno stato non soltanto non rifinito dal punto di vista testuale, ma soprattutto precario e deperibile dal punto di vista fisico. Ciò potrebbe aver costituito la circostanza all’origine della perdita definitiva di tutto ciò che attiene al nuovo Testamento e a buona parte dell’antico. Di quel materiale si sarebbe salvata soltanto una porzione della sezione sui Proverbi (della cui probabile incompletezza si è detto), e l’intera sezione sul Cantico, le cui schedae sono però andate soggette a rimescolamento. In sintesi, il testo pervenutoci del Liber testimoniorum ci presenterebbe simultaneamente, distribuita fra le prime e le ultime sezioni, la stratificazione delle successive fasi del lavoro: quella dell’escertazione del materiale esegetico grezzo (ultime due sezioni); quella del prodotto semicompiuto (prime dodici sezioni) e, ancora, tracce sparse di possibili interventi di aggiornamento operati sugli stessi testi già elaborati. Considerata la precarietà della parte non trascritta a pulito, le diverse configurazioni dell’ultima sezione dell’opera, rappresentate rispettivamente da F e A, potrebbero rimandare a due distinti stadi del medesimo manufatto originale pateriano custodito nell’archivio papale: uno di essi mostra la serie sul Cantico che, per l’occorrenza di un qual136

Cf. Liber testimoniorum, Prologus, pp. 194-196 ll. 49-54.

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All’ombra di Gregorio Magno

che incidente, si sarebbe spezzata e sarebbe poi stata ricomposta al contrario; l’altro offre la sequenza degli estratti nel suo ordine naturale. Sulla relazione di priorità fra i due stadi testuali non ci si può esprimere con sicurezza; appare tuttavia probabile che lo stato di confusione delle carte sciolte allegate al nucleo compiuto del Liber attenga alla più antica fase della conservazione dell’opera. Va inoltre sottolineato che la titolatura iniziale di F, contenente il riferimento a Paterio quale discipulus Gregorii, ha un preciso riscontro nella più antica attestazione esplicita dell’opera, quella di Beda 137. Viceversa, la solenne titolatura che si trova in A (in corrispondenza dell’inizio della sezione sul Genesi)  138 sembra il frutto di una più accurata trascrizione e “edizione” del florilegio, nell’allestimento della quale, verosimilmente, anche le carte finali sono state ricollocate nel giusto ordine. Il capovolgimento dell’ordine naturale dei paragrafi della sezione sul Cantico e la simultanea diversificata dislocazione del frammento Tempera sono errori significativi della tradizione che permettono di tornare ai tre codici individuati da Étaix quali modelli di altrettanti gruppi e collocarli tra loro in relazione diversa da quella ipotizzata dallo studioso francese, secondo il seguente schema 139: ω

(Ordine dei paragrafi

del Cantico invertito) ω0

F

(Ordine dei paragrafi del Cantico corretto)

ω1

A

C Nessuno dei codici indicati nello schema sembra discendere in maniera diretta dal rispettivo stadio dell’originale lateranense: per quanto rigurada F, si è detto come la titolatura in cui viene celebrata Cf. sopra, rispettivamente pp. 121 e 123-124. Cf. sopra, p. 124. 139 Si ripropone, semplificato ai suoi dati fondamentali, lo stemma codicum presente in Castaldi - Martello, p. 105. 137 138

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 145

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la santità di Paterio suoni poco “romana” 140; il codice inoltre presenta, alla fine della sezione su IV Re, un estratto dai Moralia su 1 Cor 15, 50 141. Tale paragrafo appare confezionato alla maniera di Paterio, con completa formula introduttiva e interventi di aggiustamento interni al testo. Dal canto suo il codice C presenta delle variazioni nell’intestazione del frammento Tempera che presuppongono la discendenza dallo stesso subarchetipo di F, dove già era stata tentata la trasformazione formale del frammento in paragrafo autonomo 142. Il codice A presenta una lacuna di una ventina di paragrafi compresi fra la metà di In Ps. 56 (m = 83) e la metà di In Ps. 85 (m = 119) 143. Si tratta della probabile perdita di un intero fascicolo nel suo subarchetipo, riassorbita dalle successive trascrizioni senza che i copisti abbiano lasciato segno di essersi avveduti del salto logico nel discorso 144.

140

Cf. sopra, p. 124.

in expositione beati iob liber xiiii. Dum de misterio resurrectionis dominicae tractaretur adiunctum est: cum scriptum sit caro et sanguis regnum dei possidere non possunt. Qua ratione credendum est resurgere veraciter carnem? (…) diversam per potentiam, F, f. 113r; riproduce Mor. 14, 56, 72 + 14, 57, 77 (CCSL 143A, p. 744 ll. 31-52; p. 746 ll. 9-14]. Come si è anticipato alle note 102 e 107 tale caratteristica compare in un gruppo complessivamente numeroso di codici: oltre a F, anche Avranches, Bibliothèque municipale, 104 (sec. XII); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1150 (sec. XI-XII); Laon, Bibliothèque municipale, 21; Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2305 (sec. XIII); lat. 2815 (sec. XII); lat. 14861 (sec. XII); Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 493 (472 T.L.) (sec. XII); Rouen, Bibliothèque municipale, A. 391 (519) (sec. XIII); Sankt-Peterburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka (olim Gosudarstvennaja ordena Trudovogo Krasnogo Znameni Publicnaja Biblioteka im. M.E. Saltykova Scedrina), lat. Q.v.I.22 (sec. XI-XII). Al gruppo va con ogni probabilità ricondotto anche il codice P (testimone del tutto analogo a F quanto alla distribuzione del Cantico, alla posizione del Tempera e alle sue caratteristiche), il quale presenta, esattamente nella posizione occupata dal paragrafo sui Corinzi, un brano sostitutivo tratto dalle Sententiae di Taione (Sent. 5, 19, PL 80, 974a-c). 142 Stessa conformazione del frammento Tempera in Paris, Bibliothèque Mazarine, 682 (cf. Étaix 1958, p. 71, nota 17). 143 A, ff. 111v-112r: in expositione beati iob libro viii. Dum per cognitionem infirmitatis (…) sed de his cogitare contempnunt [cf. PL 79, col. 842a]; eiciunt, et quia transitoria cuncta dispiciunt (…) se solo solum inveniret [cf. PL 79, col. 854a-b]. 144 Cf. sopra, nota 107. Esattamente la medesima situazione di A si riscontra in K, cronologicamente molto vicino, essendo stato vergato entro l’anno 833 (cf. Mayr Harting 1992, p. 54), München, Bayerische Staatsbibliothek, lat. 5255, del X secolo, e infine Lucca, Biblioteca Capitolare Feliniana, 32, di datazione più incerta, XI (Repertorium biblicum Medii aevi, iv, p. 176) o XIII secolo (Catalogus Antiquae Bibliothecae Illustrissimorum et Reverendissimorum DD. Maioris Lucanae Ecclesiae Canonicorum, pp. 14-15). Il manoscritto di Lucca mostra tutte le caratteristiche del gruppo: ordine dei paragrafi del Cantico; posizione del Tempera e suo testo; salto del fascicolo all’interno dei Salmi. Va evidenziato che una mano successiva ha corretto l’incipit del frammento Tempera utilizzando un esemplare del gruppo di Fleury: Tempera [a.m. add. in marg. Unigenitus incarnatus nobis] quasi aurum nobis, palluit per 141

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All’ombra di Gregorio Magno

Un’ultima osservazione: lo stato incompleto del manufatto prodotto dal notarius e rimasto nell’archivum lateranense permette di intuire la ragione della mancanza, nel prologo, del nome del dedicatario dell’opera. Tale informazione, nelle intenzioni dell’autore, sarebbe stata probabilmente aggiunta – in una formula che avrebbe compreso, si può supporre, lo stesso nome del dedicante – in fase di rifinitura finale del lavoro, fase a cui però il lavoro non è mai pervenuto. Dunque l’originale del Liber testimoniorum probabilmente presentava, prima dell’inizio dell’attuale testo che costituisce il prologo, uno spazio libero destinato a tali inserimenti. Le titolature che leggiamo nei codici più antichi si dimostrano invece, come si è visto, in gran parte fattizie e verosimilmente inserite in tempi successivi (quella di F entro i primi anni del secolo VIII). A tal proposito è opportuno richiamare la questione del comportamento apparentemente irriconoscente tenuto da Taione nei confronti del notarius 145: se le condizioni del manufatto consultato dal monaco visigoto alla metà del VII secolo erano ancora le medesime lasciate da Paterio, e non vi erano stati apportati interventi ulteriori, è possibile che il nome dell’autore non vi comparisse affatto, e dunque che Taione non abbia potuto citarlo non per ingratitudine, ma per mancanza di informazioni. Al di là di tale dato, è comunque estremamente significativo sottolineare che, secondo la ricostruzione proposta, le opere di Taione dipenderebbero direttamente dallo stadio più antico dell’originale pateriano. III.5. “Pseudo Pateri” e interpolatori Nel corso dell’Età medievale il florilegio esegetico impostato da Paterio deve aver rappresentato, per i suoi lettori, un progetto virtualmente “aperto” da un punto di vista duplice. Il primo, intrinseco, dovuto al fatto che, benché il materiale costitutivo fosse distribuito secondo un criterio rigido (la progressione biblica), la sua quantità poteva, in teoria, essere incrementata attraverso l’inserimento di ulteriori escerti gregoriani eventualmente sfuggiti al censimento originario. Il secondo era costituito dalle oggettive condizioni in cui il prodotto si presentava, corrispondente solo in parte (quantificabile approssimativamente come un terzo) alle dimensioni annunciate nel argentum, f. 96v. Interessante segnalare la nota aggiunta in interlinea da un lettore di K in corrispondenza della lacuna nei Salmi: hic integer quaternio deficit (f. 161r). 145 Cf. Castaldi - Martello, pp. 98-100.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 147

prologo: l’incompletezza poteva indurre i suoi fruitori ad assumersi l’onere di portare a termine il lavoro avviato dal notarius. Le caratteristiche ora richiamate sono all’origine, rispettivamente, dell’esistenza di integrazioni e di completamenti dell’opera di cui si tratta. Si parla di integrazioni in riferimento all’inserimento di interpolazioni nel suo tessuto, di completamenti relativamente alla creazione di nuovi florilegi che coprono i libri biblici posti, nel canone, a seguire il Cantico dei cantici. Occorre tuttavia precisare meglio la questione: sarebbe erroneo considerare il Liber testimoniorum un progetto che abbia, per così dire, vissuto vita propria, indipendentemente dalle personalità che vi hanno posto mano. Tale, ad esempio, sembra l’ottica adottata dal repertorio dei manoscritti medievali contenenti commentari biblici realizzato dallo Stegmüller, che assegna a ognuno dei continuatori del notarius la generica definizione di «Pseudo Paterio». Tranne un caso (lo Pseudo Paterio A), per il quale l’appellativo è forse giustificato, dei continuatori conosciamo il nome e, soprattutto, le intenzioni: sappiamo che non hanno voluto portare avanti un progetto diacronico “collettivo”, ma hanno invece manifestato la propria personalità letteraria creando opere autonome dal Liber del discipulus Gregorii, sia pure adeguandosi al suo modello. Li si prenderà in esame singolarmente, a partire da Taione di Saragozza, che, sebbene non considerato uno Pseudo Paterio dallo Stegmüller, con buona probabilità è stato invece il primo autore di un completamento. Tra i secoli XI e XII sono inoltre stati allestiti ben tre florilegi esegetici gregoriani sistematici, che esplicitamente si richiamano al notarius e decretano il momento di massimo successo del suo progetto. III.5.1. Taione di Saragozza Secondo le indicazioni presenti nella lettera di dedica a Eugenio di Toledo, gli Excerpta Gregorii di Taione occupavano sei codices, quattro dei quali erano dedicati all’antico e due al nuovo Testamento 146. La di146 Si cuncta discreto ordine in huius operis serie ponerentur, proculdubio magnitudo voluminum brevitatis modum excederet atque sui recapitulatione lectoris animus offendens facerent nihilominus repetita fastidium. Cuius rei quantitatem in sex codicibus, quattuor scilicet veteris instrumenti, duobus etiam novi testamenti, suis conexis ordinibus, pretermissis scribturis, quas isdem virorum sanctissimus ex ordine tractavit, adiutus orationibus vestris explere curavi, Taio Caesaraugustanus, Ep. ad Eugenium, p. 345 ll. 104-110.

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All’ombra di Gregorio Magno

pendenza della lettera a Eugenio dal prologo di Paterio ha fatto ritenere, forse troppo sbrigativamente, che la sua raccolta possa essere stata poco più che un plagio di quella del notarius 147. Alla luce della ricostruzione sopra esposta, secondo cui l’opera modello non sarebbe mai pervenuta alla fase finale della redazione, tale valutazione del lavoro condotto dal Padre visigoto va forse riconsiderata. Del suo florilegio esegetico, si ricorda, sono state ad oggi rinvenute solo cinque sezioni relative ai libri sapienziali, fre le quali una dedicata al Cantico dei cantici e una ai Proverbi 148. Tale circostanza lascerebbe supporre che vi sia materiale utile per un diretto confronto con il Liber testimoniorum. Ci si può infatti immaginare che Taione, in quanto ha frequentato i luoghi in cui hanno operato sia Paterio che Gregorio, abbia potuto attingere anche al materiale esegetico grezzo raccolto su schedae dal notarius su tutta la Bibbia, a partire da quello su Proverbi e Cantico. Tuttavia tale eventualità sembra smentita da un raffronto tra le due coppie di sezioni dei rispettivi autori: vi si riscontrano infatti divergenze tali che lasciano supporre che esse siano tra loro indipendenti, e che dunque il saragozzano abbia realizzato le proprie sezioni ex novo, e non abbia tenuto conto di quelle del predecessore 149. Piuttosto che a un deliberato rifiuto di farne uso, si sarebbe portati a credere che Taione non abbia affatto avuto accesso a quelle sezioni, e dunque, più in generale, ai fascicoli contenenti il materiale preparatorio della seconda e terza parte del Liber testimoniorum. In tal caso, le raccolte sui libri biblici successivi ai Salmi sarebbero frutto di una campagna di setacciatura delle opere gregoriane condotta da lui stesso, che pertanto potrebbe essere considerato il primo autore di un completamento del florilegio romano. Posto che le raccolte di Taione sui Proverbi e sul Cantico non dipendono dalle rispettive sezioni pateriane, ci si domanda quale sia stato l’atteggiamento dell’autore visigoto nei confronti della parte “conclusa” dell’opera modello: se ne abbia tratto del materiale, e in quale misura, e se vi abbia apportato di propria iniziativa modifiche o integrazioni. Offre la possibilità di un riscontro indiretto l’opera più nota, nonché l’unica pervenuta integralmente, di Taione: le Sententiae. Come si è accennato, gli Excerpta Gregorii hanno costituito una base essenziale per la loro realizzazione 150. Analizzando i paragrafi che le costituiscono si rinCf. Vega 1957, p. 230. Taio Caesaraugustanus, Excerpta Gregorii, In Cant. (pp. 269-305); In Prov. (pp. 309-351). 149 Per l’argomentazione di questo punto si rimanda a Castaldi - Martello, pp. 88100. 150 Cf. sopra, III.3., nota 65. 147 148

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 149

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vengono però, allo stesso tempo, combinazioni di estratti che incontestabilmente derivano dalle prime sezioni del Liber testimoniorum (per il modo in cui sono concatenati, o perché ripropongono formulazioni proprie di Paterio o passaggi gregoriani inediti e noti attraverso il solo notarius). Per dimostrarlo si esaminerà il caso del paragrafo 1, 24 delle Sententiae (De praevaricatione primi hominis), di cui si schematizza la struttura 151: Taio, Sent. 1, 24 (PLS, vol. 4, 1670-1672) [fonti]

Paterius, Liber test.

1

Greg. M., Mor. 24, 7, 14 (CCSL 143B, p. 1197 ll. 14-33)

In Gen. 14 (m, coll. 689d-690b)

2

Greg. M., Hom. Ev. 16, 2-3 (CCSL 143, pp. 1112 ll. 30-39, 43-54)

In Gen. 16 (m, col. 690c-d) [= Greg. M., Hom. Ev. 16, 2-3, CCSL 143, pp. 111-2 ll. 30-54]

3

Greg. M., Past. 3, 29 (= 53) (SC 382, p. 474 ll. 83-93)

In Gen. 18 (m, col. 691b-c)

4

Greg. M., Past. 3, 28 (= 52) (SC 382, p. 460 ll. 49-53)

5

Greg. M., Mor. 25, 3, 4 (CCSL 143B, p. 1232 ll. 43-46)

6

Greg. M., Mor. 4, 28, 54 (CCSL 143, p. 198 ll. 24-28)

7

Greg. M., Mor. 12, 9, 13 (CCSL 143A, p. 636 ll. 7-10)

8

Greg. M., Mor. 4, 31, 62 (CCSL 143, p. 206 ll. 35-38)

In Gen. 27 (m, col. 695b)

In Gen. 28 (m, col. 695d)

Nel paragrafo sono intessuti fra loro complessivamente otto estratti gregoriani provenienti dai Moralia, dalle Homiliae in Evangelia e dalla Regula pastoralis. Caratteristica comune fra questi passaggi (che non sorprende, considerato il tema di riferimento) è che tutti commentano Gen

Il caso è stato già esaminato in Castaldi - Martello 2011, pp. 85-88; se ne riprende qui lo schema per sviluppare ulteriormente l’argomentazione. 151

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All’ombra di Gregorio Magno

3 152. Cinque di essi compaiono anche nella sezione sul Genesi del Liber testimoniorum. Non si tratta di una coincidenza: alcuni condividono i medesimi incipit ed explicit (estratti 1 - 2 - 3); alcuni di essi (estratti 1 - 2) sono contigui nel Liber 153 (pur avendo provenienza diversa) e come tali sono riproposti nell’opera successiva; il testo del Padre visigoto può talvolta omettere alcuni passaggi dalla sua fonte 154, ma non avviene mai che riporti del testo in più. Variazioni al testo gregoriano apportate da Paterio si ritrovano in Taione: esse possono essere di modesta entità (come nell’incipit del primo estratto) 155 ma anche decisamente macroscopiche, come è il caso di un’integrazione (alla fine dell’estratto n. 3) sconosciuta alla tradizione della Regula pastoralis e costruita su Rm 7, 24-25 156. La simultanea presenza del Liber testimoniorum e delle sezioni note degli Excerpta Gregorii fra le fonti delle Sententiae sembra offrire una parziale risposta alla domanda di partenza circa il contenuto della perduta prima parte dell’ampio florilegio esegetico di Taione: è ragioPer la precisione, nel contesto gregoriano originario l’estratto n. 4 viene immediatamente a seguire la citazione di Is 30, 20-21. Tuttavia il testo contiene chiari richiami al racconto del Genesi, e come tale ben si amalgama con gli altri. 153 Si tratta di Liber test., In Gen. 14 e 16. Notare che m qui è fuorviante: riporta infatti un paragrafo 15 che è in realtà un’interpolazione, assente dalla tradizione più antica. I due paragrafi 14 e 16 sono pertanto da considerarsi contigui. 154 In corrispondenza dell’estratto n. 2 una parte di testo gregoriano regolarmente riprodotta da Paterio (= Hom. Ev. 16, 2 [CCSL 143, p. 111 ll. 39-43]) viene espunta da Taione in quanto rappresenta una digressione sentita come superflua nell’economia del paragrafo delle Sententiae. 155 Paterio: Callidus humani generis inimicus quod in paradiso egit, hoc quotidie agere non desistit. Verba quippe Dei (…), In Gen. 14 (m, col. 689d); Taione: Callidus hostis et humani generis inimicus quod in paradiso egit hoc quotidie agere non desistit. Verba quippe dei (…), Sent. 1, 24 (PLS, vol. 4, p. 1671); la corrispondente versione gregoriana suona invece: Quod enim in paradiso egit, hoc cotidie antiquus hostis agere non desistit. Verba quippe Dei (…), Mor. 24, 7, 14 (CCSL 143b, p. 1197 ll. 14-15). 156 Unde exclamandum nobis cum Apostolo est: Infelix ego homo, quis me liberabit de corpore mortis huius? Et audiamus subsequentem nos consolationem: Gratia Dei per Iesum Christum Dominum nostrum, Paterius, In Gen. 18 (m, col. 691b-c) = Taio, Sent. 1, 24 (PLS, vol. 4, p. 1671). Un fenomeno analogo, sebbene di minore rilevanza, si presenta in corrispondenza dell’incipit dell’estratto n. 5: vi compare un testimonium (Gen 3, 19) che è assente dalla fonte gregoriana (notare che il caso può essere rilevato solo ricorrendo alla tradizione manoscritta del Liber, in quanto m omette il passaggio in questione): At ubi vetitum contigit, mox offenso Creatore coepit ire cum tempore, [unde et ei dictum est: Terra es, et in terram ibis - add. A F]. Statu videlicet immortalitatis amisso, cursus eum mortalitatis absorbuit (…), Paterius, In Gen. 18 (m, col. 695b); Primo homini, postquam in culpae suae voraginem lapsus est, a domino dictum est: Terra es et in terram ibis, quia statu videlicet immortalitatis amisso cursus eum mortalitatis obsorbuit (…), Taio, Sent. 1, 24 (PLS, vol. 4, p. 1672); da confrontare con il corrispondente passaggio in Gregorio: At ubi vetitum contigit, mox offenso creatore coepit ire cum tempore. Statu videlicet immortalitatis amisso, cursus eum mortalitatis absorbuit (…), Mor. 25, 3, 4 (CCSL 143B, p. 1232 ll. 42-45). 152

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 151

nevole infatti credere che quest’ultimo in qualche modo avesse inglobato il Liber testimoniorum, e che solo per il suo tramite il materiale pateriano sia poi rifluito anche nelle Sententiae 157. Rimane da rispondere alla seconda parte dell’interrogativo, cioè se Taione abbia banalmente e meccanicamente riproposto la raccolta del predecessore, appropriandosene, o vi abbia invece apportato rimaneggiamenti e/o incrementi. L’analisi delle Sententiae sembra offrire indicazioni anche in tal senso. Si richiama nuovamente l’attenzione sul paragrafo appena esaminato, e in particolare sui tre estratti (4 - 6 - 8) che non sono stati mediati da Paterio. Nell’economia complessiva del paragrafo il loro apporto non appare indispensabile all’illustrazione del tema del peccato di Adamo ed Eva. La loro relativa brevità e il modo in cui si fondono con gli altri estratti gregoriani inducono a dubitare che Taione, che già attraverso l’apposita sezione del Liber testimoniorum disponeva di abbondante testo utile, abbia intrapreso una ricerca apposita all’interno della produzione del pontefice al fine di ricavare dati ulteriori; e in tal caso apparirebbe comunque singolare che il risultato di una tale esplorazione sia consistito nel magro bottino dei tre frammenti aggiuntivi. Sembrerebbe più verosimile che questi ultimi, che come tutti gli altri del paragrafo concernono Gen 3, facessero già parte di una selezione di escerti esegetici sul relativo libro biblico, che comprendeva non solo l’intera serie già raccolta da Paterio, ma anche ulteriore materiale individuato autonomamente da Taione. D’altronde, se l’autore degli Excerpta Gregorii ha realizzato le sezioni sui libri biblici mancanti dal Liber testimoniorum, e ha dunque sottoposto la produzione gregoriana a un censimento analogo a quello già compiuto dal suo predecessore, è ben possibile che abbia individuato anche nuovo materiale riferibile alle sezioni già pronte, e abbia deciso di integrarle con esso. In tal senso Taione sarebbe autore non solo del primo completamento ma anche della prima sistematica operazione di integrazione della raccolta pateriana 158. L’ipotesi che Taione abbia realizzato le sue raccolte esegetiche sui primi libri della Bibbia in modo autonomo e indipendente da Paterio, pur avendone l’opera a disposizione, e sia poi andato ad attingere al materiale pateriano per realizzare le Sententiae sarebbe assurda. 158 A riprova dell’ipotesi esposta, si può indicare un caso simile a quello già esaminato nel paragrafo Sent. 1, 25 (De voce domini Dei deambulantis in paradiso ad auram post meridiem, PLS, vol. 4, coll. 1672-1673). Vi si tratta un tema chiaramente derivato dal contenuto di Gen 3, 9, e vi sono riprodotti alla lettera due paragrafi del Liber testimoniorum (In Gen. 20 e 21, il primo dei quali è a sua volta una elaborata sincresi di frasi gregoriane di diversa provenienza, tale che Taione non avrebbe mai potuto produrla identica in via indipendente). Si nota però l’aggiunta di un solo ulteriore frammento, proveniente dai Moralia, che Paterio evidentemente non aveva identificato 157

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All’ombra di Gregorio Magno

Va segnalata una differenza nelle caratteristiche tecniche che contraddistinguono l’opera di Paterio e quella di Taione: mentre il notarius aveva prestato particolare cura alla parte iniziale dei paragrafi, inserendovi, ogni volta, coordinate di provenienza dei passi, sintesi del contenuto trattato e testimonium di riferimento, le informazioni prodotte dall’autore visigoto si riducono al semplice testimonium  159. Se la mancanza dell’argomento (informazione tutto sommato accessoria) può essere imputata all’eventuale esigenza di abbreviare i tempi di esecuzione del lavoro, appare singolare l’omissione dei riferimenti alle opere gregoriane, che precludeva al lettore la possibilità di risalire al contesto originario delle citazioni. Sull’autore deve aver evidentemente influito il modello tradizionale delle catene bibliche, che solitamente non fornivano queste precisazioni, mentre Paterio, nell’impostare il suo lavoro, aveva ritenuto fondamentale che il contatto con le fonti non venisse perso. III.5.2. Alulfo di Tournai Come si apprende dal racconto del suo confratello Erimanno, l’attività letteraria di Alulfo si colloca tra il 1092 e il 1140 160. La prima data rappresenta l’anno della ricostituzione dell’abbazia di Saint-Martin di Tournai, nelle Fiandre, dove l’autore sarebbe entrato adolescens e avrebbe trascorso il resto della vita, svolgendo le mansioni di bibliotecario; la seconda è quella della sua morte. Appassionato lettore di Gregorio Magno, Alulfo avrebbe realizzato un ampio florilegio dalle opere del Padre della Chiesa in quattro libri, di cui tre concepiti su imitazione del Liber testimoniorum di Paterio e un quarto come raccolta di sententiae. All’opera, nel suo complesso, avrebbe imposto il nome di Gregorialis 161.

o considerato utile, e che, alla luce di quanto detto, Taione aveva da parte sua reperito e inserito a integrazione della raccolta pateriana. 159 Si veda, ad esempio, l’incipit di In Cant. 1: Osculetur me osculo oris sui (Ct 1, 2). Ecce enim vocata gentilitas (…) (ed. Vega, p. 272 ll. 2-3); o di In Prov. 1: Fili mi, si te lactaverint peccatores, ne adquiescas (Prv 1, 1). Peccatores etenim lactant cum vel perpetranda mala blandimentis inferunt (…) (p. 309). 160 Herimannus, Liber de restauratione, 38, pp. 75-78. Cf. Wasselynck 1962, pp. 23-25. 161 Adolescens vero (…) Alulfus, monachus factus in cenobio nostro armarii seu cantoris officium XLVII annis tenuit, omnesque libros beati Gregorii sepius relegens, imitatus Paterium universas tam veteris quam novi testamenti sententias ab eo expositas excerpens tres exinde codices composuit et quartum de diversis et valde utilibus sententiis superadditit, eisque Gregorialis nomen indidit, sicque XLVIII° conversionis sue anno in bono proposito terminavit, ibid., p. 77 ll. 1270-1279.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 153

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In quanto suo contemporaneo, la testimonianza di Erimanno è diretta per ciò che riguarda le vicende personali di Alulfo; nel far riferimento alla sua attività letteraria dipende invece dallo stesso prologo del Gregorialis  162. Quest’ultimo costituisce un documento di grande interesse: sebbene infatti sia ricalcato per buona parte sull’analogo testo di Paterio, ugualmente offre, nei pochi inserti originali, informazioni che chiarificano ogni possibile dubbio circa le intenzioni con le quali l’opera è stata realizzata. Già nell’incipit, in poche parole (premesse alla ripetizione di quelle di Paterio), Alulfo fornisce le coordinate fondamentali circa se stesso, il luogo in cui ha operato e la data, e lo fa, è bene sottolineare, proprio in quanto tali dati mancano dal suo modello, dunque per distinguersene 163: Post restaurationem Coenobii sancti Martini Tornacensis, quae facta est anno millesimo nonagesimo secundo Dominicae Incarnationis, cum ego Frater Alulfus, eiusdem loci Monachus, beatissimi atque Apostolici Gregorii dicta saepius lectione percurrerem, et in libris eius legendis aliquantum intentus et avidus essem propter luculentissimam verborum eius satisfactionem; quiddam in eis repperi sine comparatione potissimum (…).

Il livello di elaborazione del Gregorialis implica, oltre alla presenza di tutti gli scritti gregoriani a Saint-Martin, anche una straordinaria familiarità con essi, e porta a ritenere realistico un periodo di composizione in corrispondenza dell’età matura di Alulfo, tra il primo e il secondo quarto del XII secolo. Nel narrare la genesi dell’opera, Alulfo ne assegna il merito al suo superiore, Odone, fondatore e primo abate di Saint-Martin 164. L’autore si preoccupa inoltre di saldare il debito di riconoscenza nei confronti di Paterio, che, a quanto dichiara, avrebbe conosciuto attraverso un manoscritto contenente la sola sezione sul Genesi (oltre, evidentemente, al prologo), sebbene l’iniziale richiesta di Odone faccia piuttosto pensare che egli abbia conosciuto uno dei testimoni del Liber che giungono ai Salmi 165: Quae igitur Paterium, beati Gregorii discipulum, eiusdem iussu Praesulis opus simile fecisse cognoveram, cuius quidem principium super Edito da Mabillon nei Vetera analecta, pp. 131-132. Vetera analecta, p. 131 (in grassetto l’“aggiunta” di Alulfo). 164 Dehinc etiam a Domno Odone nostri Coenobii fundatore et primo Abbate (…) verbis suasoriis sum rogatus, quatinus testimonia de libris Salomonis de praedicti Pontificis opusculis extraherem, et de multis collecta voluminibus, uno volumine coartarem, ibid. 165 Ibid. 162

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All’ombra di Gregorio Magno

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Genesim libentissime legeram, sequentes autem libros nequaquam invenire poteram; gratanter et ardentius Abbatis mei hortamentum et imperium suscepi: et huius occasione praecepti, quo valui studio, non solum Salomonis, sed etiam totius veteris ac novi Testamenti de omnibus opusculis beati Gregorii in unum testimonia congesta collegi.

L’affermazione circa la conoscenza della sola prima sezione del Liber è decisamente contraddetta dai fatti, in quanto, nel corso dell’opera, Alulfo riporta alcuni dei passaggi inediti gregoriani presenti nelle ulteriori sezioni del florilegio del notarius, dichiarandone il luogo di reperimento, appunto, «in Paterio»  166. Ne consegue che egli abbia avuto a disposizione un manoscritto che andava ben oltre la sezione sul Genesi. Il Gregorialis è costituito da una originale giustapposizione di un florilegio esegetico e di una raccolta di sententiae (genere per il quale Isidoro aveva fornito il modello generale e Taione il modello gregoriano), ma deve essere percepito come opera unitaria, come dimostra la scelta del titolo, che mira a individuarla e distinguerla da ogni possibile precedente, rispetto a cui Alulfo ha voluto offrire uno strumento più completo, caratterizzato da propria specificità e maggiore ambizione 167. La tradizione manoscritta dell’opera ammonta a oltre quaranta testimoni, ognuno dei quali contiene solitamente soltanto una parte delle quattro che costituiscono l’insieme. Il fatto che questo sia costituito da due anime letterariamente eterogenee (florilegio esegetico e raccolta di sententiae) ne ha favorito la scissione e la dispersione. Fra i codici pervenuti è dunque possibile ricostruire solo cinque o sei serie originarie  168. La trasmissione indipendente delle singole parti ha peraltro favorito la loro confusione con quelle mancanti del Liber testimoniorum. La parte del Gregorialis sul nuovo Testamento ha avuto due edizioni indipendenti fra loro, una nel 1516, come opera di AlulÈ il caso dei commenti a Nm 19, 3 (Paterius, Liber test., In Num. 13 = Alulfus, Gregorialis, In Num. 19 [cf. Troyes 292, ff. 70r-72v]); ma anche della seconda parte di Liber test., In III Reg. 13 che riproduce all’interno di Gregorialis, In III Reg., 24 [cf. Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne (olim Bibliothèque municipale), Fonds ancien, 292, f. 108rv]. Quanto ai frammenti inediti di Gregorio presenti in Paterio, si nota anche la ripresa del lungo commento a Gen 25, 2 (Liber test., In Gen. 53 = Gregorialis, In Gen. 63 [cf. Troyes 292, ff. 21r-24r]). 167 Quartum etiam, quod his tribus superaddidi, non iam testimonia sed sententias diversas et non inutiles habeat. Et quoniam hoc opus, quod in partes dividitur, ex opusculis tantum Gregorii Papae constat esse defloratum; iuste tanti Pontificis nomine est insignitum, et a beato Gregorio nomen ei Gregorialis est impositum, ibid., p. 132. 168 Cf. Repertorium biblicum Medii aevi, nn. 6320-6320,3; Falmagne 1997, pp. 139140; La tradizione manoscritta dei commenti latini al Cantico dei cantici; archivio elettronico Mirabile. Archivio digitale della cultura latina medievale. 166

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 155

fo 169, e una, di cui ci si tornerà a occupare più avanti, nel 1553, sotto il nome di Paterio 170. A queste si aggiunge un’ulteriore edizione parziale, relativa alla sola sezione sul Cantico dei cantici, inserita in appendice all’edizione degli Opera omnia di Gregorio pubblicati nel 1572 ad Anversa. Anche in quest’ultimo caso quale autore è stato indicato Paterio 171. Il prologo è stato edito dal Mabillon nel 1723 172. La scelta di Alulfo di ricalcare in maniera pedissequa il prologo di Paterio trae in inganno, perché induce a ritenere che la sua opera dipenda da quella del notarius più di quanto non sia avvenuto in realtà. È bene sottolineare invece che anche la prima parte ha subito un sistematico rifacimento, come prova un’analisi anche rapida della sezione sul Genesi del Gregorialis. Questa consta di novantadue paragrafi, dato che implica, rispetto ai settantasei del Liber testimoniorum  173, una ricerca autonoma di nuovi estratti da parte del suo autore. L’analisi dei testimonia comuni alle due sezioni dimostra poi che Alulfo non copia Paterio, anzi scompone le combinazioni di passaggi gregoriani a suo tempo effettuate dal notarius realizzandone di nuove 174. Un esempio è costituito dal paragrafo relativo a Gen 2, 15 (Tulit ergo Dominus Deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis ut operaretur et custodiret illum): Paterio riproduce Mor. 19, 21, 33-34, opportunamente adattando la citazione per motivi di chiarezza espositiva (in particolare, divide il passaggio Gregoriana super Novum Testamentum (…), Strasbourg 1516. Expositio super novum Testamentum ex libris beatissimi Gregorii papae a divo Patherio urbis Romae congesta, in Expositio in omnes libros veteris et novi testamenti, ex libris beatissimi Gregorii papae a divo Patherio congesta (…), Romae 1553, ii parte, pp. 1-226v. 171 In Cantica Canticorum e d. Gregorii scriptis Paterij Romani Secundicerij Collectanea, in Divi Gregorii papae, huius nominis primi, cognomento Magni, omnia, quae extant, opera [= Ed. Pamèle], t. ii, pp. 387b-392a. L’editore, Jacques de Joigny de Pamèle (15361587), nella prefazione cita entrambi i florilegisti, mostrando di conoscerli e saperli distinguere, e avverte di pubblicare solo un saggio delle loro raccolte, rimandando l’edizione integrale ad altra occasione; tuttavia egli ritiene che il secundicerius sia autore di Testimoniorum libri «sull’uno e l’altro», mentre Alulfo sul solo «nuovo Testamento», dunque non ha dubbi che la parte che dà alle stampe sia del primo autore (cf. Ad Lectorem in D. Gregorii Adpendicem, Iacobi Pamelii Praefatio, ibid., t. ii, p. 357a e b). 172 Cf. nota 162. 173 In m i paragrafi della prima sezione sono 79. In Gen. 15 (col. 690b), 52 (col. 704c) e 74 (col. 721a-b) sono da considerarsi interpolati. 174 L’impegno nella combinazione di più estratti nonché nella loro rielaborazione è stato notato dai Padri Maurini, editori della terza parte del florilegio (Alulfi de expositione Novi Testamenti, PL 79, coll. 1137-1424). Essi tuttavia non sembrano aver valutato troppo benevolmente il comportamento del florilegista: operae pretium est admonere, hac in collectione liberius quam in Pateriana, Gregorii sententias immutatas esse ac interpolatas, adeo ut saepius excerptor solum sensum retinuerit, de verbis minime curans, PL 79, coll. 677-682, a col. 682. 169 170

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All’ombra di Gregorio Magno

gregoriano in due microsequenze e ne inverte l’ordine)  175. Alulfo riproduce a sua volta parte del frammento dal libro 19 dei Moralia, ma vi lega una nuova citazione, relativa allo stesso testimonium, reperita nel libro 4 del commento a Giobbe (Mor. 4, 28, 54) 176. Tra le altre caratteristiche che distinguono il Gregorialis dal Liber va segnalato l’uso del Registrum epistolarum di Gregorio  177, non contemplato da Paterio tra le proprie fonti. Va inoltre sottolineata la differente modalità di presentazione dei passi: Alulfo (non sistematicamente, ma con una certa regolarità, soprattutto nella parte sul nuovo Testamento) 178 mantiene i tre elementi costitutivi individuati in Paterio (coordinate di provenienza | argomento trattato | testimonium biblico), ma adotta, nel proporli, una maggiore schematicità; in particolare taglia il legame sintattico tra l’argomento e il testimonium (assicurato da Paterio dalla formula dum de… tractaretur, adiunctum est…). L’argomento viene quindi isolato e posto a capo del paragrafo, in forma di titolo. Il sistema è solo apparentemente più sbrigativo, in quanto implica comunque che il compilatore estrapoli il significato complessivo dal frammento proposto, e che lo sintetizzi in una breve frase, come si osserva nel seguente esempio, relativo ancora al citato paragrafo su Gen 2, 15 179: Paterius, Liber testimoniorum, In Gen. 12 [K, ff. 7v-8r]

Alulfus, Gregorialis, In Gen. 11 [Cesena, Biblioteca Malatestiana, D viii 3, ff. 5v-6r]

xii in expositione beati iob libro xviii

xi. De servanda custodia boni operis. Tulit deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis. Mor. l. IIII et XIX. Pensandum magno opere est (…).

Dum de servanda custodia boni operis tractaretur adiunctum est: Tulit dominus deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis ut operaretur et custodiret illum. Pensandum magnopere est (…).

175 La sequenza risulta alla fine composta da: Mor. 19, 21, 34 / 33-34 (CCSL 143A, p. 983-984 ll. 54-61, p. 983 ll. 43-54). 176 La sua sequenza è dunque: Mor. 19, 21, 34 (CCSL 143A, p. 983-984 ll. 54-61) + Mor. 4, 28, 54 (CCSL 143, p. 198 ll. 2-15, 17-28). 177 Ad esempio la seconda parte di Gregorialis, In Gen. 80 è tratta da Ep. 3, 62 (pp. 211-212 ll. 11-46), cf. Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne (olim Bibliothèque municipale), Fonds ancien, 292, f. 30rv (In epistula ad domicianum metropolitanum). 178 Non a caso è proprio da questo libro che Marco Antonio Giorgi, primo editore di Paterio, mutuerà il metodo di presentazione dei paragrafi del Liber testimoniorum (cf. avanti, paragrafo III.6.). 179 Si offre la trascrizione, rispettivamente, dal codice K per Paterio, e dal codice D viii 3 della Biblioteca Malatestiana di Cesena per Alulfo.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 157

Alla luce di queste pur brevi note si comprende come sia poco appropriato l’appellativo di Pseudo Paterio con il quale Stegmüller ha identificato Alulfo 180: il monaco di Saint-Martin ha profuso un grande sforzo per ampliare il suo modello, sia in senso quantititivo (per la più ampia selezione di citazioni) che qualitativo (per l’estensione del genere di appartenenza dell’opera), dimostrando inoltre la sua personalità letteraria nello scegliere un titolo per la propria opera e darne ragione, esplicitare il proprio nome come autore e offrire i riferimenti per essere individuato nel tempo e nello spazio 181.

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III.5.3. Bruno Anche nel caso dello “Pseudo Paterio B”, un monaco di nome Bruno attivo nella prima metà del XII secolo, il senso dell’operazione compiuta è accuratamente spiegato in un testo che fa da proemio al completamento realizzato 182. Del personaggio non si hanno ulteriori notizie, Wilmart si limita a ipotizzare che si collochi in ambiente germanico  183 mentre Falmagne lo dice Claraevallensis 184. La tradizione comprende poco più di venti codici; è dunque meno abbondante di quella di Alulfo, e inoltre appare concentrata geograficamente in un’area franco-tedesca 185. Per l’esattezza Pseudo Paterio C, cf. Repertorium biblicum Medii aevi, nn. 6320-6320, 3. 181 Sembra interessante aggiungere, a questo proposito, che Alulfo, proprio in virtù della sua originalità è stato a sua volta oggetto di imitazione, come ricorda Mabillon: Alulfi vestigiis insistens Willelmus, (ut id obiter observem) eiusdem Abbatiae Monachus, selectas sancti Bernardi Abbatis Clarevallensis sententias in communes locos scite distribuit, opusque suum Bernardinum inscripsit, tametsi in editis titulus est Flores Sancti Bernardi, absque nomine Auctoris. Id vero mihi suggessit Cisterciensis codex, in quo Willelmi Collectaneum hunc titulum praefert: Incipit Prologus Domni Willermi Monachi Sancti Martini Tornacensis in Bernardino, quem idem excepit, et compilavit de libris et dictis sancti Bernardi Claraevallis. Tum incipit Prologus: Cum non essem alicui exercitio magnopere occupatus, etc. Willermus saeculo XIII. floruisse videtur, Vetera analecta, p. 132 (sull’autore del Bernardinum, probabilmente Guglielmo di Courtrai [e non di Tournai], offre indicazioni Falmagne 1997, pp. 146-147). 182 Il prologo di Bruno è edito dai Maurini, all’interno del dossier di testi relativi a Paterio (PL 79, coll. 682-684). La dedica è a un ignoto Werner: Domino Wernero, sponsae Virgini permansurae sacris nuptiis copulato, Bruno ex ipsius virginitate semine verbi plurimos filios spirituales spiritualiter procreare, pro quibus et cum quibus praemia merearis aeterna percipere, ibid., 682. Si ripete anche per il Supplementum Paterii di Bruno l’anomalia del Liber testimoniorum: l’opera non è dedicata al suo committente. 183 Wilmart 1927, p. 98, nota 1. 184 Falmagne 1997, p. 142. 185 Per una lista di manoscritti è opportuno fare riferimento ai censimenti già segnalati (Repertorium biblicum Medii aevi, iv e ix, nn. 6317-6319, 24; Falmagne 180

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All’ombra di Gregorio Magno

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Nel suo proemio Bruno, pur essendo molto meno attento di Alulfo a offrire coordinate di riconoscimento, spiega di aver intrapreso l’opera di correzione e completamento di una copia del Liber testimoniorum su incarico del venerabilis Pater Bernardus 186, che aveva giudicato il testo troppo corrotto perché fosse utilizzabile 187: Domnus ergo Bernardus venerabilis Pater, qui si quando quid otii datur sacrae Scripturae solet incumbere (…) forte collectaneum Paterii reperit, in quo ille testimonia ex operibus sancti Gregorii decerpta per ordinem congessit. In quo dum Gregorianae mel eloquentiae cognovisset redolere, caeteris aliquantisper sepositis, ei totum quod habere posset otium studuit impendere. Sed codex ille qui sibi venerat in manus, sic fuit ex incuria scriptorum falsatus, ut in eo vix integras caperet sententias quilibet etiam ab aliis aestibus curarum vacuus. Ergo mihi id voluit negotii dare, ut curarem diligenter illud sibi corrigere quatinus, dum legenti tempus datum fuisset, liber corruptus a se eum non repelleret.

Si ripete in qualche modo quanto accaduto ad Alulfo: un superiore, probabilmente abate, fa lavorare un monaco su una copia insoddisfacente del Liber testimoniorum. Si tornerà più avanti sui motivi di insoddisfazione di Bernardo. Ciò che, da parte sua, Bruno rileva nel visionare il manoscritto è l’incompletezza del contenuto dell’opera rispetto alle promesse del prologo, ma la descrizione che dà del suo esemplare ci fa intuire che esso non possa essere stato particolarmente diverso da quelli a noi noti 188: Accepto itaque libro cum Prologum eius totumque sequens opus festinarem perspicere, deprehendi eum nonnisi tertiam partem habere. Nam quod ex omnibus utriusque Testamenti libris explanationes testimoniorum de Gregorianis operibus collegisset, et totum illud opus in tria volumina divisisset, in Prologo praemisisse cognoscitur. Sed ibi de parabolis Salomonis, vel Canticis canticorum

1997, p. 142; La tradizione manoscritta dei commenti latini al Cantico dei cantici; archivio elettronico Mirabile. Archivio digitale della cultura latina medievale), tenendo presente che, sulla sola base dei repertori, non è sempre possibile distinguere tra la parte originale del Liber testimoniorum e la sua rielaborazione a opera di Bruno. In ogni caso essi offrono dati indicativi sulla diffusione della collezione. 186 Wilmart, pur sottolineando che i nomi richiamati nel prologo sembrino far riferimento a un ambiente germanico, non esclude che in questo personaggio si possa riconoscere Bernardo di Chiaravalle, Id. 1927, p. 98, nota 1; l’ipotesi è accolta da Wasselynck 1962, p. 26. 187 Bruno monachus, Prologus Paterii, PL 79, coll. 681-682. 188 Ibid., coll. 682-683.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 159

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pauca; de caeteris vero libris qui appellantur Salomonis nulla, de Prophetis nulla, de novi Testamenti libris nulla inveniuntur.

L’esemplare riporta dunque la versione per noi più completa, con le sezioni sui Proverbi e il Cantico, e il monaco si rende (giustamente) conto che queste contengono pauca rispetto a quanto sarebbe disponibile negli scritti gregoriani sui rispettivi libri (sebbene ciò riguardi soprattutto i Proverbi). Va sottolineato come qui, e nel resto del prologo, Bruno non metta mai in dubbio la buona fattura originaria del Liber: egli, così come il suo superiore Bernardo, attribuisce ogni colpa della “corruzione” del testo ai copisti (scriptores). Bruno confronta il suo codice con altri che è in grado di reperire (circostanza che ci informa dell’ampia diffusione dell’opera), che si rivelano analoghi tanto nei microdifetti testuali (mendacia) quanto nella lacuna di due libri (defectus), e inutili ai fini di una correzione. La somiglianza è tale che il monaco si pone il problema se possa trovarsi di fronte a codici esemplati tutti a partire da un medesimo archetipo corrotto (quodlibet exemplum falsissimum) 189: Adducti itaque alii quoscunque per amicos habere potui nominis eiusdem libri, de quorum forma nostri Codicis depravatio corrigeretur, sic in mendaciis et defectu, nostro similes esse videbantur, ut aut illos ad exemplum nostri, vel nostrum cum illis ad quodlibet exemplum falsissimum scriptum esse coniici potuisset, nisi quod illi quo nostro noviores, eo mendaciis erant pleniores.

Tolti di mezzo i codici rivelatisi inutili, Bruno decide di controllare l’esattezza delle citazioni direttamente sui testi gregoriani, pensando di essere agevolato nella ricerca delle fonti dai rimandi presenti nell’intestazione dei singoli paragrafi. Le sue attese rimangono nuovamente frustrate, perché le trascrizioni hanno corrotto la maggior parte dei riferimenti (si intende certamente quelli numerici: è un elemento in qualche modo veritiero, riscontrabile in qualsiasi testimone del Liber) 190: Illis ergo abiectis titulos qui capitibus testimoniorum praenotati erant consului, ut illorum auxilio liber, et libri locus unde sententia quae decerpta erat posset inveniri; et ita si quid depravaverant scriptores, attestatione libri de quo scriptum est, potuisset emendari. Sed eos ita transmutatos inveni, ut paucissimis exceptis, nun-

189 190

Ibid., coll. 683-684. Ibid.

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All’ombra di Gregorio Magno

quam in eo libro capitulum quodlibet posset inveniri, in quo tituli praenotatio illud docebat haberi.

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Il monaco si rende infine conto che per emendare il suo testo non gli resta che compiere il percorso inverso, sebbene estremamente antieconomico: raccoglie tutte le opere gregoriane a sua disposizione 191 e inizia a esaminarle minuziosamente, fino a rintracciare tutte le citazioni (capitula) presenti nel florilegio che, finalmente, “corregge” sulla base dei passaggi corrispondenti (ex ipsis locis). Rettifica e integra al contempo le coordinate di provenienza che introducono i paragrafi, indicando non solo l’opera (quo libro), ma la parte di essa (quoto libri capitulo) in cui la citazione si trovi 192: Tunc ergo ad laborem accinctus, cepi omnes quos habemus sancti Gregorii libros percurrere, et nunquam a labore quievi donec capitula quae liber ille Paterii tenebat, quo libro essent posita investigavi, et sic ex ipsis locis unde sumpta fuerant emendare curavi, et ut deinceps si quid scriptorum culpa corruptum fuerit, facilius eodem modo possit emendari; non solum quo libro, sed quoto libri capitulo sententia habeatur superscripsi.

Va sottolineato che probabilmente Bruno, nel correggere il testo, se anche crede di ripristinare il “vero” Gregorio – tradìto, a suo parere, dall’incuria dei copisti –, commette un torto nei confronti del vero Paterio, il cui sforzo era stato proprio quello di adattare le citazioni alle finalità della nuova opera che andava componendo. A mano a mano che setaccia le opere gregoriane per correggere il suo codice, Bruno incontra materiale utile per completare il progetto: decide di raccoglierlo accuratamente e di disporlo secondo il criterio di Paterio, realizzando le due parti mancanti. Così, sebbene avesse avuto da Bernardo un incarico diverso, estende di propria iniziativa il lavoro 193: Sed licet mihi quaerenti dum multa de libris quorum codex ille nihil habebat, testimonia sponte occurrerent, placuit mihi maiori diligentia quaeque possent inveniri scrupulosius investigare, et eadem ratione qua illa vidi per ordinem digesta, colligere. Itaque factum est ut dum tertiam solummodo partem patris illius praecepto L’espressione omnes quos habemus sancti Gregorii libros ha un valore limitativo, dovuto forse al fatto che Bruno non ha potuto rintracciare tutti i passi citati da Paterio (in particolare si pensi a quelli “inediti”), e ha dunque potuto supporre che esistessero altre opere gregoriane, di cui la sua biblioteca non era in possesso. 192 Ibid. 193 Ibid. 191

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 161

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corrigendam suscepissem, non solum illam corrigerem, sed etiam duas quas in his regionibus invenire non poteram, superadderem.

L’intervento di Bruno non è dunque in nessun modo pertinente alla richiesta di Bernardo: questi biasimava la mancata integrità delle sententiae, con il che alludeva, probabilmente, a un problema di contenuto, di modalità di organizzare e riferire il pensiero gregoriano. Bruno invece, che non intende snaturare l’opera, ma piuttosto “restaurarla”, rileva nel suo codice altri problemi, di natura formale, sui quali ritiene di poter intervenire: il fatto che l’opera sia scempia di due terzi, che i legami intertestuali si siano interrotti, che il testo originario si sia progressivamente alterato. Quest’ultimo punto è particolarmente interessante, poiché Bruno dà per scontato che il florilegista abbia ritagliato i brani senza modificarli in nulla, come se l’eventuale alterazione del testo fosse una scelta troppo deviante dalla norma del genere letterario perché Paterio potesse averla messa in atto deliberatamente. Sappiamo invece che Paterio aveva avuto le sue ragioni per operare in tal modo e certamente non si era posto il problema di infrangere delle regole. Semmai, si può dire, è Bruno a disconoscere la lezione del notarius, non viceversa. Le dettagliate modalità secondo cui Bruno è intervenuto sul suo codice pateriano, nel tentativo di riportare la raccolta del predecessore alla sua forma originaria, fanno rilevare forti affinità con l’operazione che il copista di Tr2 ha realizzato, a partire dal codice Tr1, rispetto alla collocazione del frammento Tempera 194. Considerata la provenienza cistercense dei due manoscritti di Troyes e di alcuni altri manoscritti appartenenti al medesimo gruppo (caratterizzato dall’omissione dell’intera sezione sui Salmi) 195, e stante la provenienza cistercense di una parte significativa della tradizione del Supplementum Paterii di Bruno, non sembrerebbe fuori luogo l’idea che Tr2 costituisca proprio la copia corretta redatta dal monaco per il suo superiore Bernardo, la cui richiesta aveva occasionato il lavoro. Tuttavia resta ancora da avviare un esame diretto della tradizione manoscritta dell’opera che permetta di far luce sulla questione. Bruno, alla pari di Alulfo, non ha alcuna intenzione di sostituirsi all’autore del Liber testimoniorum, come la definizione poco felice di Pseudo Paterio può far pensare  196: non solo l’opera-modello è troppo nota e diffusa, ma egli – come Alulfo – appare fiero dello sforzo fatto Cf. sopra, pp. 139-140. Cf. sopra, nota 105. Si noti che Falmagne 1997, p. 142, indica Tr1 e Tr2 tra gli esemplari della tradizione del Supplementum Paterii. 196 Nel repertorio di Stegmüller Bruno è lo Pseudo Paterio B (Repertorium biblicum Medii aevi, iv e ix, nn. 6317-6319,24). 194 195

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All’ombra di Gregorio Magno

per completare e “migliorare” il repertorio gregoriano. Dichiara di essere pronto, il giorno in cui verrà alla luce la versione originale e integrale del Liber testimoniorum, a mettere da parte il proprio lavoro, del quale nel frattempo avranno beneficiato lui stesso e i suoi amici 197, e conclude sottolineando che suo proemio ha appunto lo scopo di permettere al lettore di ricondurre al rispettivo autore quanto gli appartiene 198.

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III.5.4. Pseudo Paterio A Con la definizione di Pseudo Paterio A 199 si fa riferimento all’ignoto autore di un completamento del Liber testimoniorum che ha fra i suoi testimoni più noti un codice del XII secolo dell’abbazia di Mont-SaintMichel, ora conservato ad Avranches  200. Ad accompagnare la silloge non c’è alcun elemento paratestuale utile a chiarire al lettore la natura e l’epoca della composizione. Anche per questo i padri Maurini la hanno ritenuta quale l’originale seguito dell’opera di Paterio, e come tale la hanno edita 201. Se ne conoscono, ad oggi, circa quindici testimoni, di provenienza prevalentemente anglo-francese, che riportano la raccolta quasi sempre associata al Liber testimoniorum (mentre Alulfo e Bruno si sono diffusi soprattutto in maniera indipendente da esso), senza che alcuna interruzione si ponga a distinguere la parte originalmente pateriana da quella aggiuntiva. La lunghezza non eccessiva di questa permette che la scrittura possa concentrarsi in un singolo volume, tuttavia solo raramente si hanno le tre parti assieme  202: la versione più

197 Quod ne quis me putet fecisse causa iactantiae, si collectaneum Paterii totum mihi potuerit et voluerit exhibere, omni me sciat alacritate exhibere, meoque libenter postposito, illius opus in multa sicut decet veneratione teneremus, quandiu vero illud habere non potero, istud mihi tantum et amicis legendum seruare volo, Bruno monachus, Prologus Paterii, PL 79, coll. 683-684. 198 Hoc ergo prooemium idcirco libri principio inserere curavi, ut si cuiquam qui illud opus integrum habeat, hoc in manus venire contingat, utriusque diversitate cognita, quod cui praeponere debeat intelligat. Sed quia magnitudo vestra, ut sibi transcriberetur idem opus dignata est praecipere, vestri nominis hoc mihi placuit corroborare auctoritate, quatenus dum in prima pagina vestrum nomen aspiciat, omnis obtrectator ori suo digitum ponat, ne ullus malevolus audeat reprehendere, quod tantae probitatis virum et prudentiae, viderit non despexisse, ibid. 199 Repertorium biblicum Medii aevi, iv e ix, nn. 6278-6316. 200 Avranches, Bibliothèque municipale, 104. 201 PL 79, coll. 917-1136. 202 A parte il caso del codice di Mont-Saint-Michel, ciò avviene solo in Cambridge, University Library, ii.iii.6, ff. 1-167.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 163

comune è quella che associa il Liber alla sola parte sul nuovo Testamento; il seguito dell’antico Testamento è attestato invece in casi sporadici  203. All’interno del gruppo che trasmette Paterio assieme alla terza parte dello Pseudo Paterio A, si distinguono almeno tre sottogruppi: nel primo il Liber testimoniorum si presenta completo, dal Genesi al Cantico  204; nel secondo si ferma ai Proverbi  205; nel terzo si interrompe ai Salmi 206 o addirittura presenta solo la sezione sui Salmi 207. Come gli altri completamenti presi in considerazione, anche quello dello Pseudo Paterio A attende uno studio sistematico che ne chiarisca la genesi. In questa sede ci si limiterà a segnalare una caratteristica che riguarda le ultime sezioni della raccolta. Si nota che l’insieme dei paragrafi relativi alle lettere di Paolo compare dopo la sezione sull’Apocalisse, non prima, come ci si aspetterebbe; inoltre tale gruppo è seguito da una successione di complessivi dieci paragrafi attinenti alle sezioni precedenti (Atti, lettere cattoliche, Apocalisse), delle quali costituiscono un’integrazione. Va precisato che i Maurini, nel trovare questi paragrafi aggiuntivi “fuori posto”, li hanno collocati nel giusto ordine all’interno delle rispettive serie 208. La sezione paolina dello Pseudo Paterio A offre l’occasione per una breve digressione. Si è detto come l’idea del florilegio esegetico monoautoriale sia entrata nella letteratura cristiana di lingua latina forse proprio attraverso la raccolta di Paterio. Tra i primi autori di raccolte di questo tipo, assieme a Taione e Beda, troviamo Floro di Lione (†860), che compone delle raccolte monoautoriali di testimonia sulle lettere di Paolo, tratte rispettivamente da Agostino e da Gregorio. La catena gregoriana 209, che qui maggiormente interessa, è tuttora inedita, e ci è trasmessa da tre manoscritti, il cui contenuto è descritto dettagliatamente da Paul-Irénée Fransen 210:

Due manoscritti di Cambridge: quello citato alla nota precedente e Pembroke College (nn. 1-316 in deposito presso la University Library), 174. 204 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1150 (sec. XI-XII). 205 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 126 (sec. XII; usato dai Maurini); Laon, Bibliothèque municipale, 21, (sec. XIII; usato dei Maurini); London, British Library, Royal 3.A.15 (sec. XIV); London, British Library, Royal 7.F.6 (sec. XII); Lyon, Bibliothèque municipale, 1660 (sec. XIV). 206 Ad esempio Salisbury, Cathedral Library, 76 (sec. XII[I ?]). 207 Ad esempio Luxembourg, Bibliothèque nationale, Rés. Préc. 72, ff. 41-130 (sec. XII). 208 Cf. Wilmart 1927, p. 97, nota 1. 209 Sententiae epistolarum beati Pauli apostoli a sancto papa Gregorio expositae et ex opusculis eius iuxta earumdem epistolarum ordinem decerptae. 210 Fransen 1988. 203

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All’ombra di Gregorio Magno

Berne, Burgerbibliothek, 344, ff. 76v-143r (sec. X; da Saint-Maximin de Micy); Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 1764, ff. 60r-98v (sec. IX-X; da Saint-Martial de Limoges); Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. lat. 1460, ff. 122r-169v (sec. X; da Cluny). Essa si presenta anonima ma Fransen la attribuisce senz’altro a Floro sulla base del fatto che nei testimoni citati è seguita da una raccolta analoga, composta di frammenti geronimiani, della cui preparazione si trova traccia in altri codici appartenuti al compilatore. In questa sede è opportuno soffermare l’attenzione sul terzo dei manoscritti elencati, quello di Cluny, che presenta, oltre alla citata raccolta, due ulteriori dossier gregoriani su Paolo: il primo consta di quarantasei estratti dai libri 17-35 dei Moralia (ff. 160v-167r), ognuno dei quali è introdotto da relativo lemma biblico e provenienza 211; il secondo di quindici estratti da dodici lettere del Registrum epistolarum (ff. 167r-169r), stavolta del tutto privi di coordinate. Fransen attribuisce, implicitamente, allo stesso Floro la composizione dei due dossier, quasi si trattasse di lavori preparatori al florilegio maggiore 212. Chiude la serie un estratto dai Moralia (35, 20) sul significato del numero quattordici (riferito alla quantità delle lettere di Paolo). Esso si trova anche in chiusura degli altri due manoscritti, che però, come si è detto, non presentano i due brevi florilegi dai Moralia e dal Registrum. La ragione dell’interesse per queste raccolte consiste qui nel fatto che il dossier dai libri 17-35 dei Moralia presente nel codice di Cluny corrisponde quasi esattamente alla sezione paolina dello Pseudo Paterio A 213. Una sola differenza si rileva tra la serie di estratti paolini dello Pseudo Paterio e quella del manoscritto di Cluny: la prima presenta un paragrafo in più alla fine del gruppo dedicato alla Lettera ai Filippesi (PL 79, col. 1132a-b) e consta dunque complessivamente di quarantasette paragrafi. Si noti, inoltre, che nella sottosezione dedicata a 1 Cor dell’edizione dello Pseudo Paterio (PL 79, coll. 1121-1126), i Maurini hanno spostato un paragrafo dalla prima posizione, che occupava nei manoscritti, alla quarta. Hanno così voluto ricollocare nel corretto ordine il lemma Sapientia huius mundi stultitia est apud Deum, che corrisponde a

211 Il fatto che nessuna citazione provenga dai libri 1-16 significa che il compilatore non disponeva di quella parte dell’opera. 212 Ibid., pp. 279-280. 213 Seguendo la descrizione di Fransen riconosciamo la medesima sequenza di paragrafi, che hanno in comune gli stessi incipit ed explicit.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 165

1 Cor 3, 19, non a 1 Cor 1, 20. Si tratta dunque di una arbitraria correzione degli editori – non la prima del genere rilevata 214 –, non di una discrepanza fra la tradizione dello Pseudo Paterio e il manoscritto di Cluny. Si deve dunque concludere che il cosiddetto Pseudo Paterio A (raccolta di cui non si conoscono testimoni precedenti al XII secolo) contenga una sezione già realizzata almeno entro il X secolo, forse (ma altre ricerche sarebbero necessarie per dimostrarlo) da far risalire addirittura a Floro di Lione. Ci si offre così un concreto indizio per ricostruire la dinamica che potrebbe aver portato alla realizzazione del più ampio completamento anonimo dell’opera del notarius. Ha fatto notare Wilmart, analizzando il manoscritto di Mont-Saint-Michel, uno dei rari testimoni che riportano il florilegio dello Pseudo Paterio A nella forma completa, che la seconda e la terza parte (cioè quelle che costituiscono propriamente il “completamento”) sono da distinguere tra loro sia dal punto di vista delle scritture che dei tempi di realizzazione: forse nel codice sono stati riuniti «deux manuscrits indépendants à l’origine» 215. Da parte sua, Wasselynck ha sostenuto invece che il completamento in questione sia opera, per così dire, unitaria, sebbene si tratti non di creazione originale, bensì di riduzione del Gregorialis di Alulfo 216. Tale ipotesi va rivista alla luce della nuova acquisizione relativa alla provenienza della sezione paolina. Per comprendere l’origine di quello che chiamiamo Pseudo Paterio A sarà necessario non solo condurre un nuovo confronto con gli altri completamenti noti del Liber testimoniorum, per verificare se, e in che modo, possa da essi derivare, ma andranno anche vagliate le raccolte esegetiche gregoriane, anche limitate a singoli libri biblici, compilate entro il XII secolo. Non è escluso che si potranno così riconoscere altri frammenti dell’insieme. Quanto all’anonimo personaggio (si continua a usare il singolare per comodità) che ha assemblato il materiale nel chiaro intento di completare il progetto del notarius, gli si deve forse riconoscere una motivazione diversa da quelle che hanno sostenuto Alulfo e Bruno. Il rinvenimento da parte sua di florilegi gregoriani omologhi al Liber testimoniorum, quali la silloge paolina, può infatti averlo indotto a credere di avere trovato altrettante sezioni dell’opera

Si veda sopra, a proposito della ricollocazione dei dieci estratti finali della raccolta dello Pseudo Paterio A entro le rispettive sezioni. 215 Cf. Wilmart 1927, p. 95, nota 4. 216 Wasselynck 1962, p. 25. 214

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All’ombra di Gregorio Magno

pateriana. Egli in tal caso avrebbe ricucito i pezzi, inserendo magari, dove non è stato in grado di reperire un precedente, delle sezioni di sua fattura. Tale operazione avrebbe caratteristiche diverse da quelle viste per gli altri “Pseudo Pateri”: Alulfo ha creato un’opera originale, partendo dallo spunto che il Liber testimoniorum forniva, ma “nuova” dal punto di vista della ricerca del materiale, e più ampia del modello (giacché include anche una raccolta di sententiae), come ha puntualizzato in un circostanziato proemio; Bruno ha cercato di “restaurare” il testo presente nel codice in suo possesso, ma ha poi creato di sua iniziativa il seguito dell’opera, lasciando il resoconto della vicenda in un proemio-dedica che funge anche da nota di avvertimento al lettore. I due personaggi hanno percepito se stessi, a ragione, come autori originali, e lo hanno implicitamente dichiarato nelle loro premesse. Lo Pseudo Paterio A, invece, può aver avuto coscienza di non creare nulla di nuovo, semmai di restituire un’opera le cui parti erano andate disperse; può forse essere questa la ragione per cui non troviamo spiegazioni ad accompagnare i suoi interventi. III.5.5. Le integrazioni del Liber testimoniorum Passando in rassegna le operazioni di completamento del florilegio di Paterio ci si è mostrata una casistica abbastanza diversificata rispetto all’atteggiamento tenuto dai singoli autori nei confronti della parte direttamente allestita dal notarius: nel caso di Taione si può supporre che questa sia stata sottoposta a integrazioni, anche se non sappiamo quanto numerose e consistenti. Per Alulfo parlare di integrazioni sarebbe del tutto improprio: il primo libro del Gregorialis è una collezione di escerti autonoma dal Liber testimoniorum per la quale la raccolta di Paterio costituisce il modello letterario e una delle principali fonti. Bruno ha compiuto sulla propria copia del Liber una sorta di restauro integrativo, volto a riportare l’opera, anche attraverso microinterventi sul testo, alle presunte condizioni originarie; da lui è tuttavia stata ben lontana l’idea di aggiungere nuovi contenuti. Per quanto riguarda la raccolta dello Pseudo Paterio A, infine, si può solo osservare che le copie pervenuteci sono unite a una versione tradizionale, non interpolata, del Liber, e ciò fa ritenere che il testo di quest’ultimo non sia stato intaccato dall’autore della compilazione. Lasciando da parte i diversi progetti degli imitatori e continuatori di Paterio, la parte originale del Liber testimoniorum, dal Genesi al Cantico, è non di rado andata soggetta a forme di integrazione, più o meno

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 167

invasive 217. Il caso più interessante è rappresentato dal codice Ambrosiano I 360 inf. (codice M), del XII secolo 218, che contiene centoventisette passaggi gregoriani non presenti nella versione originaria del florilegio, per la quasi totalità (centosedici) sussistenti come paragrafi autonomi, e nei restanti casi aggregati a paragrafi già esistenti  219. Le interpolazioni sono per la gran parte concentrate nella sezione sui Salmi, dove si colloca l’ottanta per cento del totale; nelle altre sezioni, decisamente meno coivolte nel processo, se ne possono individuare complessivamente una ventina. I paragrafi aggiuntivi mostrano un minore livello di elaborazione rispetto a quelli originali: l’interpolatore non si è preoccupato di esplicitare l’argomento, che fa solitamente parte della formula introduttiva pateriana, né di ritoccare la sintassi dei brani citati per mascherare lo stacco dal rispettivo contesto di provenienza. Dal punto di vista della forma le interpolazioni di M non sono molto dissimili dai paragrafi che costituiscono le sezioni su Proverbi e Cantico, che, secondo l’ipotesi vista, pur essendo allestite da Paterio, conterrebbero materiale esegetico grezzo che il florilegista non avrebbe potuto (o voluto) rielaborare. Non è stato possibile individuare l’archetipo di questo ramo interpolato e rimane incerto se le aggiunte siano il frutto di stratificazioni successive oppure siano state inserite in un’unica soluzione. A una prima ricognizione, tuttavia, non sembra che esso abbia avuto una grande diffusione  220. Del tutto casuale appare dunque l’estrema importanza che, attraverso lo stesso codice M, tale ramo avrebbe assunto nell’ambito della trasmissione della nostra opera. Il codice ambrosiano è infatti, con ogni probabilità, quello su cui è stata esemplata l’editio princeps del Liber. 217 Interpolazioni isolate si riscontrano tutt’altro che raramente nei codici. Solo a titolo di esempio si può citare il codice Reginense latino 126, che riporta, a f. 6rv, un paragrafo in più tra In Gen. 16 e 17, tratto da Mor. 21, 2, 5 (pp. 1067-1068 ll. 84-94, 96-101) + Mor. 21, 3, 6 (p. 1068, ll. 1-4). Singole sezioni sono state sottoposte a integrazione, come nel caso di El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial, d.II.14, e Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2304, che mostrano un supplemento di 33 paragrafi alla fine della sezione su IV Re. Nel caso del Parigino latino 2305 e di Avranches 104, le integrazioni riguardano la sezione sui Proverbi. 218 Inventario Ceruti dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, ii, p. 631 219 Il computo è effettuato assumendo come codici “canonici” A ed F. 220 Se ne trova traccia, ancora nel XII secolo, nel codice Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 339, che presenta a testo le interpolazioni del ramo di M, ma limitatamente a una porzione della sezione sui Salmi, ovvero in corrispondenza della lacuna propria degli esemplari del ramo di A (tra In Ps. 83 e In Ps. 119, cf. sopra, p. 145). Ciò indica che il manoscritto deriva appunto da un codice del ramo di A che è stato sanato a partire da un codice del ramo interpolato. Altre interpolazioni sono riportate occasionalmente nei margini delle pagine.

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All’ombra di Gregorio Magno

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III.6. La vicenda editoriale del Liber testimoniorum Il florilegio di Paterio ha avuto cinque edizioni a stampa, a cui se ne aggiunge una limitata ai soli frammenti inediti gregoriani. L’editio princeps è stata pubblicata a Roma nel 1553 per iniziativa dell’ecclesiastico bolognese Marco Antonio Giorgi  221. Considerata la quantità di errori formali e strutturali che contiene, e l’influsso che ha avuto sulle edizioni successive sarà bene soffermarvisi, sia pure sinteticamente. L’editore, come si apprende dalla prefazione del volume, si era dapprima imbattuto in un codice contenente un florilegio esegetico gregoriano sul nuovo Testamento (si trattava della terza parte del Gregorialis di Alulfo) privo di alcuna intestazione che rimandasse all’autore, e successivamente in un esemplare della versione interpolata del Liber testimoniorum, verosimilmente il codice M, munito di titolature che specificavano il contenuto come pateriano 222. Ritenendo che i due testi costituissero la prima e l’ultima parte della medesima opera, Giorgi li ha pubblicati assieme, entusiasmato dall’idea di poter rendere disponibile ai fedeli il grande beneficio spirituale della conoscenza di «tutto Gregorio», racchiuso nella comodità di un solo volume 223. Per tutto ciò che si è detto finora, appare evidente quanto l’aggregato messo in circolazione da Giorgi fosse difforme dalle fattezze del florilegio originale del notarius romano. Expositio in omnes libros veteris et novi Testamenti, ex libris beatissimi Gregorii papae a divo Patherio congesta (…), Romae 1553. Una ristampa del 1557 premette al vecchio un nuovo frontespizio che reca quale titolo: Divi Gregorii papae in omnes libros veteris et novi Testamenti expositio a divo Paterio congesta, Nunc primum reperta, nec unquam antea impressa (…), Romae 1557. Il nuovo titolo meglio esprime la concezione che l’editore ha dell’opera: non tanto un florilegio di passi escertati «dagli scritti» gregoriani (così il primo titolo), ma una vera e propria ulteriore opera esegetica del pontefice (a divo Paterio congesta è quasi ossimorico dopo divi Gregorii… expositio). L’intestazione dell’opera, all’interno del volume, è la seguente: In nomine sanctae et individuae Trinitatis. Incipit Liber de expositione Novi ac Veteris Testamenti; quem Sanctus Paterius de diversis libris beati Gregorii Papae urbis Romae summo cum studio excerpere curavit. È tratta dal codice M, f. Ar. 222 La vicenda editoriale dell’editio princeps del Liber testimoniorum è ripercorribile attraverso le parole di Giorgi stesso nella premessa al volume indirizzata ai lettori (Expositio in omnes libros veteris et novi testamenti, ex libri beatissimi Gregorii papae a divo Patherio congesta, p. 2r). 223 Quid enim utilius aut sanctius esse potest, quam haec tam praeclara per tot libros diffusa, quasi in apertissimo theatro, mandante praesertim beatissimo Gregorio sic conspicere, ut qui negociis impediti, totum Gregorium legere non possint, iis tamen totus appareat, velut in breviorem formam redactus, et tanquam in promptuario quodam expositus, et species ac vultus latens in marmore, summo artificis opere pulcherrime expressus?, ibid., p. 2v. 221

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 169

Ciò che ha reso ancor più grave la situazione è stato che agli errori involontari dell’editore (il mancato riconoscimento della paternità di Alulfo della parte sul nuovo Testamento 224, e l’utilizzo di un codice interpolato per il Liber testimoniorum) si sono aggiunti alcuni suoi interventi del tutto arbitrari sul testo, miranti a ottenere uniformità fra le due parti dell’opera che andava a pubblicare, nonché la maggiore possibile completezza. Il primo intervento redazionale di Giorgi lo si riscontra nelle intestazioni dei paragrafi: rispetto allo schema voluto da Paterio, già illustrato, l’editore ha distaccato graficamente l’argomento dal corpo del testo e lo ha semplificato sintatticamente, facendolo diventare titolo del paragrafo (nella forma de + ablativo). Vi ha aggiunto le coordinate della provenienza del passo (in forma più puntuale e completa di quella fornita dai manoscritti) e quindi ha fatto seguire – regolarmente – il versetto biblico, saldato all’escerto gregoriano. Tale modalità altro non è che quella che egli riscontrava in modo prevalente nella parte sul nuovo Testamento a sua disposizione, ossia quella che aveva escogitato Alulfo. La ragione della modifica introdotta è dunque da individuare, probabilmente, nella volontà di rendere uniformi i criteri di presentazione, che altrimenti sarebbero stati diversi tra la prima e la terza parte. Un esempio chiarirà meglio la questione: Paterius, Liber testimoniorum, In Gen. 12 [M, f. 4r]

Paterius, Liber testimoniorum, In Gen. 12 [Ed. Giorgi, I parte, pp. 7v-8r]

Alulfus, Gregorialis, In Gen. 11 [Cesena, Biblioteca Malatestiana, D VIII 3, ff. 5v-6r]

In exp. Beati iob lib. viiii. Dum de servanda custodia boni operis tractaretur adiunctum est: Tulit dominus deus hominem, et posuit eum in paradiso voluptatis ut operaretur et custodiret illum. Pensandum magnopere est (…).

12 De servanda custodia boni operis. In expositione beati Iob lib. XXIX. Tulit dominus Deus hominem, et posuit eum in paradiso voluptatis ut operaretur, et custodiret illum. Pensandum magnopere est (…).

XI. De servanda custodia boni operis. Tulit deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis. Mor. l. IIII et XIX. Pensandum magno opere est (…).

Va ricordato che della terza parte del Gregorialis esisteva già una versione a stampa, pubblicata a Strasburgo nel 1516 (cf. sopra, nota 174). 224

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All’ombra di Gregorio Magno

Un secondo intervento imputabile all’editore è da riscontrarsi nella sezione del Liber testimoniorum dedicata al Cantico dei cantici. Per comprenderne la natura occorre premettere qualche dettaglio sulla fisionomia dell’esemplare a sua disposizione. Anzitutto va notato che, diversamente dalla tradizione più antica, il codice M presenta, all’inizio della sezione sui Proverbi, una tabula capitulorum (f. 162rv). Essa accorpa le ultime due sezioni e ne elenca il contenuto senza alcuna soluzione di continuità. Va notato che la serie dei titoli che fa riferimento del Cantico è spezzata e invertita. È un indizio che M appartenga al gruppo che ha quale modello il codice F. Andando ad appurare la situazione sul testo delle due sezioni, troviamo che, dopo quello che riconosciamo essere l’incipit dell’ultimo paragrafo dei Proverbi (In Prov. 36 [m = 37]), la scrittura si interrompe bruscamente 225, per poi riprendere, dopo uno spazio vuoto che occupa due mezze pagine (la fine di f. 168r e l’inizio di 168v) 226, con i paragrafi sul Cantico, presentando dapprima, ai ff. 168v-169r, il gruppo In Cant. 38-47 (m = 40-49), e a seguire, ai ff. 169v-173r, il gruppo In Cant. 1-26 (m = 1-29). La serie presenta dunque effettivamente l’inversione, ma non solo: essa è anche vistosamente lacunosa, essendo priva dei paragrafi 27-37 (m = 30-39) 227. Non disponendo, probabilmente, di altri testimoni, l’editore deve essersi accorto della lacuna proprio attraverso la tabula capitulorum, che elencava, per il Cantico, otto paragrafi in più rispetto a quelli che si trovavano presenti nel testo. È interessante notare che – come si evince dal confronto con il resto della tradizione – i paragrafi di testo assenti da M sono in realtà nove; dunque chi aveva vergato la lista dei relativi titoli ne

Expl.: quaedam ante humanos oculos robusta, f. 168r. Poiché il senso dell’ultima frase del paragrafo restava sospeso, una mano posteriore, verosimilmente quella di Giorgi stesso o di un suo collaboratore, ha utilizzato lo spazio libero della pagina per inserire, recuperandolo direttamente dal contesto gregoriano, il seguito del brano, giungendo fino a un punto in cui il significato del testimonium sembrasse sufficientemente spiegato: exerceant, sed tamen erga (…) putrescere, est quaedam etiam robusta deperire, Mor. 5, 46, 85 (CCSL 143, p. 282 ll. 45-53). In realtà, come si appura dal resto della tradizione manoscritta, il paragrafo avrebbe dovuto proseguire ben oltre, includendo buona parte della sequenza di Mor. 5, 46, 86 (Sed cur haec de invidia […] adhuc in desideriis infirmantur, pp. 282-283 ll. 54-77), ma la persona che ha inserito l’integrazione in M non poteva saperlo. L’aggiunta parziale si ritrova identica nell’edizione di Giorgi e in quelle successive. 227 Se ne deduce che un fascicolo del subarchetipo da cui dipende M si era distaccato dal resto del codice e che alcuni fogli erano andati perduti. Le perdite sarebbero consistite complessivamente in tre carte non consecutive. Sulla prima è verosimile che si trovassero la fine di In Prov. 36 (m = 37), il frammento Tempera e In Cant. 35-37 (m = 38-39); sulle altre due (consecutive), In Cant. 27-35 (m = 30-37). 225 226

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 171

aveva omesso uno per errore 228. Così avvisato, Giorgi deve aver ritenuto di poter sanare in modo autonomo il difetto della sua fonte. Non si può escludere che abbia potuto avvalersi di qualche collezione di estratti gregoriani a lui nota che non è stato qui possibile individuare. In ogni caso, la sua edizione presenta un gruppo di otto paragrafi corrispondenti ai titoli presenti nella tabula capitulorum, il cui contenuto rispecchia solo in modo molto approssimativo il corrispettivo intervello di paragrafi attestato dalla tradizione manoscritta del Liber testimoniorum. Il semplice fatto che Gregorio Magno avesse trattato in più occasioni e in opere diverse i medesimi testimonia biblici contribuiva a conferire all’operazione di Giorgi un certo carattere aleatorio; senza contare il fatto che, seppure l’editore avesse individuato i medesimi luoghi scelti a suo tempo da Paterio, meno probabile sarebbe stato per lui riuscire a selezionare esattamente le stesse porzioni di testo. Le concidenze che si riscontrano tra le due serie (in qualche caso significative) si devono dunque considerare del tutto fortuite. Si schematizza il risultato dell’operazione, raffrontato alla versione attestata dalla tradizione manoscritta antica (A ed F) 229: Paragrafo

Testimonium

Contenuto secondo g

Contenuto secondo A ed F

In Cant. 27 (m Mel et lac sub = 30; g = 29) lingua tua (Ct 4, 11)

Mor. 15, 11, 13 Mor. 15, 11, 13 (CCSL 143A, pp. (CCSL 143A, p. 755s. ll. 9-22) 756 ll. 13-22)

In Cant. 28 (m Surge Aquilo, et = 31; g = 30) veni Auster, perfla hortum meum et fluant aromata illius (Ct 4, 16)

Mor. 9, 11, 17 (CCSL 143, p. 468 ll. 125-134)

Mor. 9, 11, 17 (CCSL 143, pp. 468s. ll. 128-149)

Ego dormio, et cor Mor. 5, 31, 54 meum vigilat (Ct (CCSL 143, pp. 5, 2) 255s. ll. 4-19)

Hom. Hiez. 2, 1314 (CCSL 142, p. 234 ll. 315-324)

In Cant. 29 (m = 32; g = 21 230)

Si tratta di In Cant. 33 (Vulneraverunt me et tulerunt pallium meum [Ct 5, 7] da Mor. 27, 2, 4, p. 1333 ll. 39-44). Di questo paragrafo, ovviamente, non c’è alcuna traccia nell’editio princeps, né in quelle successive, dunque lo si cercherebbe invano in m. 229 Per maggiore chiarezza (e consentire l’eventuale riscontro sulle edizioni) si specifica, per ognuno dei paragrafi (elencati nella prima colonna), il numero assegnatogli nell’edizione a stampa: quella dei Maurini che è rifluita nella Patrologia Latina (m), e quella di Giorgi (g). 230 Si tratta naturalmente di un refuso dell’editore per 31. 228

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All’ombra di Gregorio Magno

In Cant. 30 (m Item unde supra = 33; g = 32)

Mor. 23, 20, 38 (CCSL 143B, p. 1173 ll. 48-57)

Mor. 23, 20, 38 (CCSL 143B, p. 1173 ll. 54-57)

In Cant. 31 (m Dilectus meus = 34; g = 33) misit manum suam per foramen, et venter meus intremuit ad tactum eius (Ct 5, 4)

Hom. Hiez. 2, 7, 10 (CCSL 142, pp. 323s. ll. 302312)

Hom. Hiez. 2, 7, 10 (CCSL 142, pp. 323s. ll. 302312)

In Cant. 32 (m = 35; g = 33 231)

Anima mea liquata est ut locutus est (Ct 5, 6)

Hom. Ev. 25, 2 (CCSL 141, p. 207 ll. 69-73)

Mor. 4, 33, 67 (CCSL 143, p. 210 ll. 48-53)

In Cant. 33

Vulneraverunt (assente) me et tulerunt pallium meum (Ct 5, 7)

Mor. 27, 2, 4 (CCSL 143B, p. 1333 ll. 39-44)

In Cant. 34 (m Caput eius aurum = 36; g = 35) optimum (Ct 5, 11)

Mor. 34, 15, 26 Mor. 34, 15, 26 (CCSL 143B, pp. (CCSL 143B, p. 1752s. ll. 1-40) 1752 ll. 7-10)

In Cant. 35 (m Pulchra es, amica = 37; g = 36) mea, suavis et decora sicut Hierusalem, terribilis ut castrorum acies ordinata (Ct 6, 3)

Hom. Hiez. 1, 8, 6-7 (CCSL 142, p. 105 ll. 135172)

Hom. Hiez. 1, 8, 6-7 (CCSL 142, p. 105 ll. 135172)

Frammento Tempera (solo in A) 232

(assente)

Hom. Hiez. 1, 2, 14 (CCSL 142, pp. 25s. ll. 283291)

Hom. Hiez. 2, 4, 8 (CCSL 142, p. 264 ll. 253-259)

Hom. Hiez. 2, 4, 8 (CCSL 142, p. 264 ll. 253-265)

In Cant. 37 (m Quae est ista quae Mor. 4, 11, 19 = 39; g = 38) progreditur quasi (CCSL 143, pp. aurora consurgens? 176s. ll. 37-58) (Ct 6, 9)

Mor. 4, 11, 19 (CCSL 143, pp. 176s. ll. 39-58)

-

In Cant. 36 (m Sicut cortix mali = 38; g = 37) punicae genae tuae, absque oculis tuis (Ct 6, 6)

Si tratta di un refuso per 34. Si ricorda che il frammento Tempera soltanto nel codice A occupa la posizione tra In Cant. 35 e 36; in F trova posto dopo In Prov. 36, e verosimilmente la stessa 231 232

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 173

Quella di Giorgi è l’unica fra le edizioni a stampa a offrire il Liber testimoniorum in forma autonoma; già a partire dalla successiva, infatti, esso viene incluso nei maggiori progetti di pubblicazione degli Opera omnia gregoriani  233. La prima occasione utile si presenta alla fine del secolo, con l’edizione romana promossa da Sisto V e realizzata tra il 1583 e il 1593 a cura del francescano Pietro Ridolfi. Per il florilegio di Paterio, che va a occupare quasi l’intero sesto volume 234 viene riproposta con poche varianti l’edizione precedente, dunque la combinazione fra il Liber testimoniorum nella versione interpolata del codice M (nonché integrata nel Cantico) e la terza parte del Gregorialis di Alulfo. Segnali di qualche intervento di revisione sono da individuarsi nella occasionale presenza di nuove interpolazioni  235 e nella diversa distribuzione del testo di alcuni paragrafi consecutivi 236. Si nota inoltre un gran numero di differenti lezioni, che in molti casi è da ricondurre all’influsso delle fonti gregoriane 237. Va segnalata, infine, la nuova disposizione degli elementi costituenti l’introduzione dei paragrafi. Essi mantengono la schematicità introdotta da Giorgi su modello di Alulfo, ma dislocano sia l’argomento che la provenienza degli estratti sul margine della pagina; rimane così in testa al paragrafo, quale titolo, il testimonium, seguito dal numero progressivo del paragrafo. posizione occupava nel subarchetipo di M. Si sarebbe dunque trovato su uno dei fogli caduti del manoscritto che ha originato il codice ambrosiano. 233 Per un esame complessivo di tali progetti cf. Castaldi 2008a. 234 Liber de expositione Novi ac Veteris Testamenti, quem Sanctus Paterius de diversis libris S. Gregorij Papae summo cum studio excerpere curavit, in Sancti Gregorii Magni papae primi Operum tomus vi (…), Romae 1593, pp. 1-143. 235 Ad esempio In Ex. 11 (= m, col. 726d), assente dall’edizione del 1553. 236 Due casi tra loro contrari: In Ps. 110 e 111 (= m, col. 850a-c) nell’editio princeps si presentano uniti in un unico paragrafo, senza alcuna soluzione di continuità (p. 127a). Lo stesso avviene in M (f. 127r), dove la mano del correttore moderno ha tracciato una linea separatrice a segnalare di aver riconosciuto la presenza di una fusione fra due paragrafi diversi (ma viene scritta a margine la provenienza del secondo). Nell’edizione Sistina i paragrafi sono invece divisi, così com’è nei manoscritti appartenenti ad altre famiglie, come C e G (dove tuttavia manca l’indicazione della provenienza del secondo). Viceversa, In Ps. 152 (= m, col. 862b-c) nell’editio princeps è diviso in due paragrafi (il 149 e 150, p. 135), secondo la rispettiva provenienza dei passi gregoriani che lo compongono (cf. M, f. 134r), mentre nell’edizione Sistina è unito in un unico paragrafo (come ad esempio nel manoscritto C, f. 81v). 237 Un esempio in In Ex. 4 (= m, col. 724b-c): dove la citazione gregoriana inizia con saepe simul terrenis et coelestibus substantiis per angelos loquitur Deus nell’edizione del 1553 (p. 33r) e con aliquando simul terrenis et caelestibus substantiis per angelos loquitur Deus in quella del 1593 (p. 27F), in coerenza con il corrispettivo passo dei Moralia (28, 2, 5 [CCSL 143B, p. 1397 ll. 146-147]) nell’edizione Sistina (t. ii, p. 938).

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All’ombra di Gregorio Magno

L’edizione del Ridolfi viene ristampata senza apparenti variazioni nel tomo terzo dell’edizione degli Opera omnia gregoriani pubblicati a Parigi nel 1675 e curati da Pierre de Goussainville 238. L’iniziativa, se non apporta novità dal punto di vista filologico, si segnala per un tentativo di esame critico a cui vengono sottoposte le opere gregoriane, a partire dalla questione della loro autenticità, per la cui definizione lo stesso Liber testimoniorum viene chiamato in causa. Goussainville per primo mette in discussione l’autenticità di alcune opere, in particolare i commentari ai Re, ai sette Salmi penitenziali 239 e al Cantico. Quale argomento a sfavore l’erudito osserva come assuma valore probante il fatto che quelle opere non compaiono affatto nel florilegio di Paterio 240. Viceversa, la presenza dei Dialogi nel Liber avrebbe costituito la prova della loro autenticità 241. L’edizione successiva del florilegio, curata dai Padri Maurini, riveste maggiore interesse per la storia della trasmissione dell’opera, anche perché costituisce tuttora il testo di riferimento più comune, nonostante i limiti di cui si è già detto e che si tenterà di illustrare meglio. Fa parte degli Opera omnia gregoriani curati da Denys de SainteMarthe 242 e pubblicati a Parigi nel 1705, in quattro tomi 243 . Il notarius è annunciato con enfasi come un «secondo Gregorio», conosciuto fino allora in versione mutila e finalmente restituito alla sua dimensione originaria: Sanctum Paterium Gregorii Magni discipulum, imo alterum veluti Gregorium hic offerimus tibi, studiose lector, non mutilum,

238 Sancti Gregorii papae primi cognomento Magni Opera in Tres Tomos distributa (…), Lutetiae Parisiorum 1675. 239 Goussainville è il primo a mettere in discussione l’assegnazione di quest’opera a Gregorio da parte del suo primo editore, il tipografo di Magonza Jacob Meydenbach (colophon: Explanatio beatissimi Gregorij pape in septem psalmos penitentiales finit foeliciter. Impressa Maguntie per Jacobu[m] Medenbach civem ibid. Anno a partu virginis salutifero. Millesimo Quadringe[n]tesimo Nonagesimoquinto. die v[er]o penultima mensis Marcij). Confermando l’intuizione di Goussainville, essa sarà riconosciuta come opera di Eriberto, vescovo di Reggio Emilia nel secolo XI, cf. Mercati 1914-1919. 240 Praefatio de auctore commentariorum in libros Regum, in Septem Psalmos Poenitentiales et in Cantica canticorum, in Sancti Gregorii papae primi cognomento magni Operum tomus tertius, Lutetiae Parisiorum 1675. 241 Vindiciae Dialogorum S. Gregorii papae, ibid., ii, coll. 327-344 [= PL 77, coll. 129-138]. 242 Su cui cf. Tassin 1770, pp. 445-469, in particolare pp. 457-459. 243 Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia Ad manuscriptos codices romanos, Gallicanos, Anglicanos emendata, aucta, & illustrata notis. Studio & labore Monachorum Ordinis Sancti Benedicti, e Congregatione Sancti Mauri. Parisiis 1705. L’edizione è ristampata nei volumi 75-79 della PL.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 175

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qualis hucusque prodiit, sed maiori sui parte auctum ac prorsus integrum 244.

Le ricerche condotte dal benedettino e dai suoi collaboratori hanno permesso loro di individuare più di un codice del Liber testimoniorum e delle sue diverse continuazioni. Essi hanno così potuto riconoscere che la parte sul nuovo Testamento pubblicata da Giorgi apparteneva al Gregorialis di Alulfo; hanno inoltre scoperto l’esistenza della continuazione del monaco Bruno e quella dello Pseudo Paterio A. Di queste ultime due opere, la prima, in virtù del prologo che la accompagna, non ha costituito per gli editori motivo di fraintendimento; la seconda, invece, essendo priva di intestazioni, è stata da loro ritenuta l’originale seguito del Liber testimoniorum, e come tale pubblicata 245. Per la prima parte (il Liber pateriano vero e proprio) i Maurini hanno collazionato le precedenti edizioni a stampa con cinque nuovi manoscritti 246, nessuno dei quali hanno verificato oltre In Cant. 35 (m = 37) 247 . Delle edizioni hanno voluto riproporre tutte le interpolazioni (paragrafi interi e parti di paragrafo) 248,  benché i loro codici ne fossero privi (circostanza di cui hanno lasciato di volta in volta note di avviso Praefatio in librum s. Paterii de expositione veteris et novi Testamenti, ubi de simili Alulfi opere disseritur, i, PL 79, coll. 677-682, alle coll. 677-678. 245 Il complessivo dossier di testi presentato ai lettori risulta composto dal prologo di Bruno, dal Liber testimoniorum nella versione interpolata, dalla seconda e terza parte dello Pseudo Paterio A (presentate come originale seguito di Paterio), dalla terza parte del Gregorialis di Alulfo. 246 Ibid., coll. 677-680. I cinque codici sono il Michaelinus (= Avranches, Bibliothèque municipale, 104 [sec. XII; Mont-Saint-Michel]), il Vaticanus (= Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 126 [sec. XII]); l’Uticensis Sancti Ebrulphi (= Alençon, Médiathèque de la Communauté Urbaine [olim Bibliothèque municipale], 19 [sec. XII; Saint-Évroul]); il Gemeticensis (= Rouen, Bibliothèque municipale, 519 [sec. XIII; Jumièges]); il Sagiensis coenobii Sancti Martini (da Seez, non individuato). Cf. Wilmart 1927, p. 89, nota 5. 247 Il Vaticanus, l’Uticensis e il Gemeticensis si fermano ai Proverbi. Allo stesso punto doveva arrestarsi anche il Sagiensis in quanto, secondo quanto affermano i curatori, è stato impiegato per la sola collazione delle sezioni sui Re e sui Proverbi, Praefatio in librum s. Paterii de expositione veteris et novi Testamenti, ubi de simili Alulfi opere disseritur, ix. Il codice Michaelinus è l’unico dei cinque a contenere l’intera sezione sul Cantico (ai ff. 70r-72v), tuttavia essa si presenta nella forma spezzata e invertita: gli editori non devono essersi accorti della corruttela (complicata da una sequenza spuria di paragrafi alla fine della sezione sui Proverbi) e hanno considerato il paragrafo 35 come conclusivo (si noti che tale paragrafo si interrompe a metà, dunque è assente il frammento Tempera). 248 È possibile individuare complessivamente 118 interi paragrafi in più rispetto alla successione normale offerta dai manoscritti, oltre a una decina di passi che estendono il contenuto di altrettanti paragrafi. L’elenco degli uni e degli altri in Étaix 1958, 244

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al lettore). Per la parte finale del Cantico si sono dovuti affidare del tutto alle edizioni precedenti, e hanno dunque riprodotto la sequenza di otto paragrafi a suo tempo costruita da Giorgi. Come avevano fatto i loro predecessori, anche i nuovi editori hanno deciso di operare un intervento redazionale sistematico sulla modalità di introduzione dei paragrafi. Essi hanno ripreso dall’edizione Sistina l’uso di distaccare il testimonium in forma di titolo e hanno portato le coordinate di provenienza all’interno del testo. Riproponendo l’esempio già familiare: Paterius, Liber testimoniorum, In Gen. 12 [K, f. 7v]

Paterius, Liber testimoniorum, In Gen. 12 [m, col. 689b]

xii in expositione beati iob libro

Cap. xii. – Tulit Dominus Deus hominem, et posuit eum in paradiso voluptatis, ut operaretur, et custodiret illum (Gen I, 15).

xviii

Dum de servanda custodia boni operis tractaretur adiunctum est: Tulit dominus deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis ut operaretur et custodiret illum. Pensandum magnopere est (…).

Dum de servanda custodia boni operis tractaretur, in expos. beati Iob, l. XIX (Num. 34), adiunctum est: Tulit Dominus Deus hominem, etc.- Pensandum magnopere est (…)

Il fatto che tutti gli editori moderni abbiano rifiutato la scelta di Paterio di rubricare e dunque dare valenza di indice alle coordinate di provenienza degli escerti sembra significativo. Alla loro sensibilità tale scelta doveva evidentemente apparire poco funzionale, e ciascuno, a suo modo, si è ingegnato per attenuarla: Giorgi, sulla scorta di Alulfo, ha fatto emergere l’argomento di volta in volta trattato; il Ridolfi e poi i Maurini hanno invece dato rilievo alle coordinate bibliche. Non sembra inutile sottolineare che lo spostamento degli elementi comporta sfumature interpretative diverse circa la funzione dell’opera: la scelta del primo editore ha conferito al florilegio il carattere della raccolta di sententiae (genere in cui il contenuto è, appunto, indicizzato per temi); quella dei successori ha trasformato invece l’opera in una sorta di catena biblica (dove l’interesse è esclusivamente concentrato sulla Scrittura). In ogni caso è stata sminuita la funzione del Liber come strumento di orientamento entro la produzione gregoriana; funzione

pp. 73-75. La leggera discrepanza numerica con il computo delle interpolazioni nel codice M è da imputare ad alcune aggiunte subentrate nell’edizione Sistina.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 177

che, nelle intenzioni del suo autore (e soprattutto del committente), non doveva essere affatto secondaria 249. Con l’edizione dei Maurini è proseguito il coinvolgimento del florilegio di Paterio nel dibattito sulla produzione gregoriana. In polemica con il Goussainville, la raccolta è stata stavolta setacciata alla ricerca di elementi che provassero l’originalità delle opere dubbie 250 . È interessante, ad esempio, notare che l’erronea attribuzione al notarius della seconda e terza parte dello Pseudo Paterio A abbia fornito a Denys de Sainte-Marthe la prova (fallace) che il commento In Canticum canticorum fosse opera del pontefice 251. Il ristretto numero di manoscritti consultati rispetto alla massa di quelli attualmente noti, l’accoglimento delle interpolazioni, la riproduzione della sequenza spuria all’interno della sezione sul Cantico, l’accostamento alla parte autentica di una seconda e terza parte di altro autore, lo stravolgimento del corretto ordine degli elementi di presentazione dei paragrafi sono elementi che rendono l’idea di come l’edizione dei Maurini sia poco attendibile. Tuttavia essa è rimasta il principale strumento per la conoscenza del Liber testimoniorum: è stata ristampata dapprima nell’edizione veneziana delle opere gregoriane curata tra il 1768 e il 1776 da Giambattista Gallicciolli 252, successivamente nel volume 79 della Patrologia latina del Migne, pubblicato a Parigi nel 1849. La raccolta del Migne apporta poche varianti alla conformazione dell’edizione settecentesca, la maggiore delle quali è l’esclusione delle tabulae capitulorum; quella di Gallicciolli offre invece significative postille di commento e un’appendice all’opera. Nelle prime l’editore veneto smentisce (correttamente) che la seconda e terza parte del Liber pubblicate dai Maurini possano essere autentiche, e ne assegna (erro-

Cf. avanti, Conclusione, pp. 244-246. Cf. De opere subsequenti censura, premessa a Sancti Gregorii Magni Romani Pontificis In septem psalmos poenitentiales expositio, PL 79, col. 550; Praefatio de commentario S. Gregorii Magni in Librum primum Regum», 12, PL 79, coll. 13-14. 251 La sezione sul vangelo di Luca contiene infatti una citazione dal commentario, cf. Admonitio premessa a Sancti Gregorii Magni Romani Pontificis Super Cantica Canticorum Expositio, 4 (PL 79, coll. 469-470). Il passo in questione è Ps. Paterius A, In Lucam 17 (PL 79, col. 1060b-d) = Gregorius Magnus, In Cant. 18 (CCSL 144 ll. 356-387). Cf. anche Godding 2008; Guglielmetti 2008. 252 Sancti Gregorii papae I cognomento Magni, Opera omnia, jam olim ad manuscriptos codices Romanos, Gallicanos, Anglicanos emendata, aucta, et illustrata (…): Nunc autem a Johanne Baptista Gallicciolli Sacerdote Veneto, ad Codices praesertim Marcianos iterum exacta, atque novis accessionibus locupletata, Venetiis 1768-1776. Il Liber testimoniorum è contenuto nel tomo xiv, del 1775. 249 250

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neamente) la paternità al monaco Bruno 253 ; nella seconda raccoglie tredici passaggi gregoriani inediti presenti nella silloge del notarius, suggerendo (anche in questo caso, con buona verosimiglianza) che potessero derivare da una versione non pervenuta delle Homiliae in Hiezechihelem 254 . Gli escerti inediti (complessivamente diciannove, tra paragrafi interi e parti di essi) 255 sono stati nuovamente pubblicati nel 1971 in appendice all’edizione critica delle Homiliae in Hiezechihelem curata da Marc Adriaen per il Corpus Christianorum 256 . Con i fragmenta omiletici si è aperta la fase contemporanea della vicenda editoriale del Liber testimoniorum, che negli stessi anni di Adriaen ha visto anche un tentativo di edizione critica complessiva a cura di Roel Vander Plaetse per il Corpus Christianorum 257 , mai giunta a pubblicazione. Per quanto riguarda la fase precedente è invece opportuno ribadire che essa è stata caratterizzata da una serie di fraintendimenti legata alla sovrapposizione dei completamenti all’opera pateriana, oltre che, a monte di tutto, dalla adozione di una versione interpolata del florilegio.

253 Animadversiones E[ditoris]. V[eneti]. in superiorem praefationem P. Sammarthanaei, posposta all’introduzione del Sammarthanus all’In Canticum Canticorum, in ibid., t. xiv, pp. ix-xiv, in particolare p. xiiI. Nonostante il nuovo scambio fra Pseudo Paterio A e Bruno, va dato atto a Gallicciolli di aver intuito l’errore degli editori benedettini con circa centocinquant’anni di anticipo rispetto ad André Wilmart che, con ben altri mezzi e consapevolezza scientifica, avrebbe posto fine alla catena di equivoci. 254 Fragmenta ex homiliis in Ezechielem Quae in Paterio passim leguntur, nec tamen exstant in Homiliis Gregorianis ut hodie habentur. Haec cum fere pertineant ad priorem librum, ea hic apponere visum est, quamvis hoc Sammarthanus non fecerit, pp. 263-267. L’operazione è poco accurata, non solo perché riporta soltanto tredici paragrafi mentre i benedettini ne avevano segnalati molti di più, ma anche perché ne include alcuni che trovano effettiva corrispondenza in Gregorio. I paragrafi raccolti sono: In Ex. 9; In Ex. 29; In Lev. 11; In Num. 11; In Deut. 9; In iii Reg. 11 (non inedito, ma = Hom. Hiez. 2, 1, 17-18 [CCSL 142, p. 223 ll. 554-572]); In iv Reg. 5; In Ps. 108; In Ps. 139; In Ps. 144 (non inedito, ma = Hom. Hiez. 2, 1, 5 [CCSL 142, p. 212 ll. 183-187]); In Ps. 163; In Ps. 186; In Ps. 249. 255 Rispettivamente: In Gen. 2; In Gen. 53; In Ex. 9; In Ex. 14; In Ex. 20 (seconda parte: Dei sacrificio […] ad ovem mutavit); In Ex. 29; In Lev. 11; In Num. 11; In Deut. 9; In Deut. 12; In IV Reg. 5; In Ps. 39; In Ps. 80; In Ps. 108; In Ps. 139; In Ps. 143; In Ps. 163 (seconda parte: nigra gentilitas […] gratiam Dei, praevenimus); In Ps. 186; In Ps. 249. 256 CCSL 142, pp. 399-432. Per la realizzazione vengono impiegati cinque testimoni, tre dei quali comprendono l’intera serie da Genesi a Cantico (A F C); uno giunge fino ai Proverbi (Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 493), uno fino ai Salmi (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2303). La scelta dei testimoni è stata probabilmente influenzata dallo studio di Étaix che aveva posto in sospetto l’autenticità delle ultime due sezioni. 257 Cf. CPL 1718.

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 179

III.7. The key to the whole question: il Liber testimoniorum

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nel dibattito scientifico sulla produzione gregoriana

La confusione e i fraintendimenti prodotti dagli editori sono stati ricondotti a ordine da un primo paziente lavoro di disamina della tradizione manoscritta del Liber testimoniorum compiuto negli anni Venti del secolo scorso da André Wilmart 258. Lo studioso, che ha preso in esame direttamente o indirettamente un’ottantina di testimoni contenenti sia il Liber che i suoi continuatori, ha offerto un primo orientamento, riservando particolare attenzione ai codici A ed F, che per antichità e caratteristiche ha considerato modelli dei due rami principali della tradizione 259 . Diretta prosecuzione di tale lavoro è la ricerca compiuta trent’anni più tardi da Raymond Étaix 260 , che si è fin qui più volte richiamata. Lo studioso, oltre a formulare l’ipotesi a che le sezioni su Proverbi e Cantico non facessero parte del nucleo autentico dell’opera 261, e proporre una nuova configurazione della situazione relativa alla tradizione più alta, ha sottolineato la presenza nel florilegio di brani irreperibili nelle opere gregoriane note, spiegabili, come si è detto sopra, quali residui delle versioni non emendate, in particolare delle Omelie su Ezechiele. I due saggi citati sono i primi che hanno preso in considerazione l’opera nella sua individualità, ma non ha avuto molto séguito: dopo la ricerca Étaix sono trascorsi alcuni decenni di relativa indifferenza nei confronti del Liber testimoniorum. Esso tuttavia non è scomparso dall’orizzonte degli studiosi, se non altro perché costituisce un passaggio obbligato per tutti coloro che si occupano dell’influsso della produzione gregoriana sugli autori successivi, ma anche dell’autenticità, datazione e tradizione dei singoli lavori del pontefice. Di qui dunque, indirettamente, sono venuti interessanti contributi alla conoscenza del florilegio. Tuttavia, la mancanza di una edizione critica e la difficoltà a districarsi tra le mende dell’edizione maurina ne fanno una sorta di convitato di pietra per chi si occupa di tali questioni. Di recente, e per la verità in forma piuttosto embrionale, si è aperto un nuovo orizzonte di interesse per l’opera, quello legato alla sua specificità letteraria e

Wilmart 1927. Ibid., pp. 91-92. 260 Étaix 1958. 261 Ibid., pp. 68-73, ma cf. Castaldi - Martello 2011. 258 259

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All’ombra di Gregorio Magno

all’influsso esercitato, dal punto di vista tecnico e strutturale, sulla successiva produzione di florilegi esegetici 262. Al pari della contestualizzazione letteraria, sono mancati tentativi di complessiva interpretazione della funzione dell’opera. Acquistano perciò rilievo le pagine dedicate a Paterio da una ricerca, rimasta inedita, di Judith McClure sull’esegesi e il pubblico del pontefice, in cui al Liber si accenna come strumento concepito per integrare gli intenti didattici gregoriani 263. I due principali ambiti di interesse nei confronti del Liber sono tuttavia riconducibili non alla sua specificità, ma alla migliore conoscenza di Gregorio, e vanno perciò esplorati in maggiore dettaglio. Il primo attiene al Fortleben del pontefice. Precursore in tale campo è stato René Wasselynck, che ha dedicato un’ampia ricerca dottorale al tema de «L’influence des Moralia in Iob de s. Grégoire le Grand sur la théologie morale entre VIIe et le XIIe siècle», pubblicata in forma di articoli di rivista tra il 1962 e il 1965 264. Qui è emerso con grande evidenza il ruolo di tramite avuto da Paterio per la conoscenza di Gregorio, o meglio dei suoi Moralia. Lo studioso ha segnalato la dipendenza dal Liber in particolare per Rabano Mauro, Angelomo di Luxeuil, Claudio di Torino, Ruperto di Deutz, la Glossa ordinaria 265, e ha sottolineato come il contenuto dell’opera sarebbe orientato verso temi ascetici e morali 266. Grazie agli studi di Angel Custodio Vega 267 e, più tardi, di Paul Meyvaert 268 è stato possibile fissare un sicuro punto di riferimento per l’avvio del processo di diffusione del Liber nella produzione di Taione di Saragozza. Occasionali indicazioni emerse negli ultimi vent’anni da studi dedicati alla produzione esegetica tra VII e IX secolo sembrano indicare che una precoce diffusione dell’opera si sarebbe proprio verificata in ambito visigoto 269, ma non prima

In questo senso vanno considerate con attenzione le note metodologiche e storico-letterarie che si ricavano da Falmagne 1997; Id. 2001, passim. 263 McClure 1978, pp. 250-258, ringrazio Carole Straw per avermi indicato questo studio e messo a disposizione la sua copia. 264 Wasselynck 1962; Id. 1964; Id. 1965. 265 Id. 1965, passim. Una lista completa di debitori del notarius sarebbe senz’altro molto più lunga di questa, ma un tale lavoro non è stato ancora effettuato, e non sarà possibile compierlo in questa sede, dove ci si limita a considerare la prima fase della diffusione dell’opera, fino alla sua scoperta da parte dei primi commentatori carolingi (cf. sopra, paragrafo III.3.). 266 Id. 1962, p. 5. 267 Vega 1957. 268 Meyvaert 1988. 269 Cf. paragrafo III.3. 262

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 181

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della metà del VII secolo 270 , ossia, appunto, di Taione. Queste indicazioni, come altre sull’impiego del Liber quale fonte per i commentatori di epoca carolingia 271 richiedono attenta verifica, in quanto in qualche caso gli studiosi, affidandosi all’edizione del Liber curata dai Maurini hanno potuto trarre conclusioni erronee. Il secondo ambito di interesse per il Liber è costituito dal suo ruolo di testimone della produzione gregoriana nel corso della sua stessa realizzazione. È una potenzialità intuita già dai curatori delle prime edizioni a stampa del florilegio, almeno da quella secentesca di Pierre de Goussainville, ed è questo il campo che anche recentemente ha maggiormente attratto gli studiosi e prodotto, probabilmente, i risultati scientifici più importanti, che qui si cercherà di ripercorrere per singola opera. Non è stato ancora tentato un sistematico confronto fra la silloge di Paterio e i Moralia in Iob, principalmente a causa della difficoltà di censire la quantità di testo rifluito nel Liber e valutarne le discrepanze, che si ritiene siano da ricondurre all’utilizzo da parte del notarius di una versione del commentario diversa da quella finale 272 . Va segnalato che alcuni esemplari del florilegio sono stati collazionati da Marc Adriaen per l’edizione critica dei Moralia 273 . Situazione analoga si verifica per le Homiliae in Hiezechihelem, per le quali l’ipotesi espressa da Étaix 274 circa l’utilizzo da parte di Paterio della versione primitiva non emendata ha trovato piena adesione da parte del citato Adriaen, che ha pubblicato, in appendice alla sua edizione dell’opera, i più consistenti tra i passi del Liber indicati dai manoscritti come provenienti dalle omelie ma non reperibili né lì né altrove 275.

270 In particolare, Donald Jacob Uitvlugt ha negato la possibilità che Isidoro di Siviglia si sia basato sul Liber testimoniorum per la redazione della sezione relativa al Genesi delle cosiddette Quaestiones in vetus Testamentum (Uitvlugt 2002), come era stato precedentemente sostenuto da O’Loughlin 1997. Ricordo che l’opera in questione di Isidoro segue di circa un ventennio la morte di Gregorio e la probabile redazione del Liber testimoniorum. 271 Cito alcuni saggi in cui il Liber emerge quale fonte utilizzata: Gorman 2002b; Id. 2002c; Id. 2002d. Cf. anche Italiani 1979; Ead. 1988. 272 Come suggerito per la prima volta da Étaix 1958, p. 78 e ribadito da Wasselynck 1962, p. 6. 273 CCSL 143, 143A, 143B. 274 Cf. Étaix 1958, p. 78. 275 Cf. III.6., p. 178.

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All’ombra di Gregorio Magno

Rispetto alle Homiliae in Evangelia, interessanti spunti sono emersi in margine agli studi per l’edizione critica realizzata da Étaix 276. Lo studioso ha appurato che anche queste omelie hanno avuto due successive redazioni da parte di Gregorio, la seconda delle quali ha tra le sue caratteristiche quella di aver adeguato le citazioni bibliche alla Vulgata geronimiana. La necessità di tale modifica e forse dell’intera revisione potrebbe essere stata suggerita, secondo Étaix, proprio dal progetto contestualmente avviato dal notarius, nella cui opera, egli ha notato, è stata utilizzata la seconda redazione delle Omelie. A conclusioni simili sembra condurre l’analisi del più antico testimone della Regula pastoralis, il codice Troyes, Médiathèque de l’Agglomération Troyenne, Fonds ancien 504, che si fa risalire ai tempi del pontificato gregoriano 277 . Anche per la Regula sono state individuate le tracce di due distinte redazioni, la seconda delle quali apporta, rispetto alla prima, modifiche del tutto conformi a quelle sottolineate da Étaix per le Homiliae in Evangelia. L’ipotesi di un legame con la preparazione del Liber testimoniorum è stata dunque riproposta anche per questo caso, che però offre motivi di riflessione in più: la possibilità di osservare sul codice di Troyes i diretti interventi compiuti sul testo iniziale dalla mano di un “revisore”. Ciò getta infatti nuova luce sui meccanismi messi in atto nello scrinium per la realizzazione delle opere papali e sul ruolo svolto dai collaboratori dell’autore, con suggestivi indizi che rimandano direttamente al metodo e alla natura del lavoro compiuto da Paterio 278 . Decisamente più problematico è stato il ricorso al Liber da parte degli studiosi quando fosse dibattuta la stessa attendibilità dell’attribuzione a Gregorio di alcune opere. A partire dal Seicento la silloge del notarius è stata considerata in grado di dirimere ogni questione: era sufficiente individuare la corrispondenza fra un suo escerto e un passaggio di un’opera di incerta paternità gregoriana. Purtroppo, invece, l’“argomento pateriano”, viziato com’era dalla presenza, nel testo edito, di interpolazioni e continuazioni ha finito per giustificare conclusioni erronee 279 . Oggi il problema dell’autenticità non si pone 276 Étaix 1986; Id. 1996; Id. 1999. Si collega direttamente a questi lavori, completandoli e precisandoli in alcuni punti, Bouhot 2007. 277 CLA VI, 838. Sul codice cf. gli studi contenuti nel volume Codex Trecensis. 278 Petrucci - Nardelli 2006, e soprattutto Chiesa 2006a. Si veda inoltre qui IV.2.1. 279 Ad esempio Goussainville (ed. 1675) ha creduto di poter stabilire l’inautenticità del commento al primo Libro dei Re e delle esposizioni su Salmi e Cantico, i Maurini (ed. 1705) hanno ritenuto il contrario e Gallicciolli (ed. 1768-1776) ha nuo-

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 183

più per opere sicuramente pseudo-gregoriane quali il commento ai Salmi penitenziali 280 , ma forse non è del tutto superato per l’Expositio in Canticum canticorum e in Liber I Regum, rispetto alle quali il totale silenzio del notarius può costituire causa di imbarazzo 281. Il problema riguarda inoltre una delle opere più celebri e dibattute della produzione assegnata al pontefice, i Dialogi. Si tratta per la verità di un caso per il quale l’argomento pateriano può applicarsi appieno, visto che l’opera, seppure in quantità di testo minime, perché limitate a tre soli passaggi 282, è presente nel florilegio, ed è esplicitamente citata dall’autore nell’intestazione dei relativi paragrafi 283. E in proposito la tradizione manoscritta fornisce indicazioni abbastanza univoche. La riapertura della questione della originalità dei Dialogi negli anni Ottanta del secolo scorso, dovuta agli studi di Francis Clark, che contestavano l’attribuzione dell’opera a Gregorio 284 , ha dunque necessariamente coivolto il Liber, facendone uno degli elementi centrali del dibattito.

vamente ribaltato tali conclusioni, almeno relativamente all’In Canticum canticorum (cf. il paragrafo III.6., pp. 174-178). 280 Cf. ibid., nota 239. 281 A quanto si è detto al paragrafo I.2., nota 10, aggiungiamo che, se le trascrizioni di Claudio di Ravenna sono state disponibili a Roma solo dopo il 602, è ben possibile che Paterio non ne abbia tenuto conto per la sua opera, la cui realizzazione potrebbe essersi interrotta tra la fine del 601 e l’inizio del 602, ossia in concomitanza con l’avvio della revisione delle Omelie su Ezechiele. Cf. anche Cracco 2006, pp. 18-19. 282 In Gen. 54 (m, coll. 709c-710a) = Dial. 1, 8, 5-6 (SC 260, p. 74 ll. 40-45; 4863); In Num. 4 (m, col. 763a-c) = Dial. 2, 2, 4 (SC 260, p. 140 ll. 37-39; 39-41), quest’ultimo si fonde con un estratto da Mor. 23, 11, 21 (CCSL 143B, p. 1160 ll. 8595; 95-97); In Ios. 1 (m, coll. 783d-785a) = Dial. 3, 34, 1-5 (SC 260, pp. 400-404 ll. 23-39; 1-22; 40-48) e anche Ep. 7, 23 (CCSL 140, pp. 475-476 ll. 39-53; 23-38; 53-60), in quest’ultimo caso, la sovrapposizione con il testo dell’epistola deve essere considerata casuale: confrontando le tre versioni del brano (quella dei Dialogi, quella dell’epistola e quella di Paterio), si nota che le lezioni dei manoscritti del Liber testimoniorum coincidono con il testo dei Dialogi, non con quello della lettera, e se ne deduce che Paterio deve aver attinto dall’opera agiografica. Il fatto che le sequenze che compongono il brano compaiano in Paterio in ordine diverso rispetto a Gregorio si spiega con la necessità che ha avuto il compilatore di portare in evidenza il lemma tratto dal libro di Giosuè. Si tratta di un tipo di modifica strutturale degli originali consueta in Paterio e finalizzata a rendere il suo florilegio un’opera fruibile autonomamente, come si spiegherà nel paragrafo IV.2. Si ricorda che Paterio non cita mai il Registrum. Per un’esame della tradizione indiretta antica dei Dialogi cf. Chiesa 2006b. 283 All’opera si fa riferimento in due delle tre intestazioni: In Gen. 54: in codice dyalogorum [dealegorum F] liber i (A, f. 18r; F, 22v); In Ios. I: in codice dialogorum [dealigorum F] lib. (A, f. 71v; F, 83r). 284 La questione è stata riaperta dal suo intervento ai Colloques di Chantilly del 1982 (Clark 1986), cui ha fatto seguito la pubblicazione di una ponderosa monografia (Id. 1987), riedita in una forma più snella qualche anno più tardi (Id. 2003), e numerosi altri interventi in varie sedi (per i quali si rimanda a Godding 1990, nn. 1079-1091

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Essendo la vicenda particolarmente significativa rispetto al problema che qui si affronta, anche per il fiorire dell’interesse sul Liber che ha causato, non sembra fuori luogo dedicarle spazio. La tesi sostenuta da Clark consiste, in estrema sintesi, nello spostamento della redazione dei Dialogi di un’ottantina di anni (al decennio 670/680 circa) e la sua attribuzione a un personaggio anonimo, operante nell’ambito dello scrinium romano, che avrebbe volutamente realizzato un falso anche allo scopo di promuovere la figura di san Benedetto. A tal fine egli avrebbe non solo sfruttato il nome e la fama di Gregorio, ma anche vero materiale letterario da lui prodotto, sia edito che inedito, conservato nell’archivio del Laterano. In totale, nell’opera Clark ha riconosciuto ottanta passaggi di testo gregoriani (da lui denominati IGP, ovvero Inserted Gregorian Passages), inseriti in un tessuto narrativo di forma dialogica creato ad arte dall’anonimo autore. La difficoltà posta a tale ricostruzione dalle tre citazioni pateriane dei Dialogi è stata così risolta dallo studioso: 1. Paterio (che può eventualmente anche essere il secundicerius; in ogni caso, sicuramente uno scriniarius) avrebbe compiuto la sua opera dopo la morte del pontefice; 2. non avrebbe citato direttamente i Dialogi (che non esistevano), ma materiale inedito a cui aveva accesso, e che in seguito, indipendentemente da lui, anche il “Dialogista” avrebbe impiegato; 3. le intestazioni che rimandano al codex Dialogorum non sarebbero da ascrivere a Paterio ma sarebbero state inserite (probabilmente per correggere delle indicazioni vaghe lasciate dal notarius) dopo il 680 da un copista che avrebbe “riconosciuto” quei passaggi come provenienti dall’opera agiografica, nel frattempo composta 285 .

e D’Imperio 2005, ad indicem), volti, nella maggior parte dei casi, a controbattere le argomentazioni dei suoi avversari. 285 Questa la ricostruzione di Clark, come appare nella rielaborazione del 2003 della sua tesi, nella quale l’autore ha metabolizzato le osservazioni da più parti formulate alla sua esposizione precedente, cf. Clark 2003, pp. 320-327. Nella prima versione egli aveva affermato che tutte le intestazioni sarebbero state inserite dopo la redazione dei Dialogi, e che il Liber originariamente non le avrebbe affatto avute, in palese contraddizione con quanto dichiarato da Paterio nel prologo (in un passaggio tra l’altro letto e riprodotto da Taione entro il 650), cf. Id. 1987, pp. 98-100. Successivamente Clark ha apportato una modifica piccola ma significativa alla sua ricostruzione: le intestazioni dei paragrafi sarebbero sì di Paterio, salvo le due che fanno riferimento ai Dialogi, corrette nel senso in cui attualmente si leggono da un copista (Clark 2003, p. 326).

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 185

Nel tentativo di confutare tale proposta, studiosi illustri si sono accostati al Liber testimoniorum: ne sono risultate riletture del prologo e della tecnica redazionale del notarius lì descritta 286 , nonché tentativi di analisi della struttura della raccolta 287 . Il loro intento era di ribadire l’attendibilità dello stato apparente dei fatti, secondo cui il Liber sarebbe effettivamente opera del notarius di Gregorio, e avrebbe presentato fin dall’origine le caratteristiche che in qualche modo Clark aveva messo in dubbio. Per la verità, in mancanza di un radicale riesame di quelle caratteristiche alla luce dei testimoni che ci hanno trasmesso l’opera, nessun assunto o ipotesi relativa a essa e al suo autore poteva essere considerata realmente solida. A prescindere dal caso sollevato da Clark, appariva dunque utile una indagine più estesa, che prendesse finalmente in considerazione la tradizione manoscritta del Liber per riavvicinarsi al suo testo originario, lo ponesse a confronto con la tradizione delle opere gregoriane, ricostruisse la genesi dell’opera e la fisionomia del suo autore dal complesso dei dati a disposizione. Per quanto riguarda i primi due aspetti, le ricerche hanno in questo periodo avuto finalmente un concreto avvio 288 e gli elementi osservati hanno dato adito a ricostruzioni che, seppure ancora per via ipotetica, dimostrano su base molto più solida che in passato la collocazione del florilegio nel concreto svolgersi del pontificato gregoriano, e permettono di osservarne l’intreccio con le opere del papa nel loro costituirsi. Questo stesso volume intende proseguire nel tentativo di far complessiva luce sull’opera, il suo autore e il contesto in cui ha operato – obiettivo che richiederà, ovviamente, molti altri approfondimenti. Prima di concludere questa presentazione degli studi sul Liber testimoniorum non sembra superfluo aggiungere qualche considerazione in merito ai problemi sollevati da Francis Clark. Tra le confutazioni opposte alla ricostruzione dello studioso inglese, nessuna ha colto un aspetto di quella che sembra possa essere stata l’idea originaria – poi evolutasi e strutturatasi nella nota tesi –; un aspetto che è direttamente connesso con il protagonista di questo volume. Paterio non è stato per Clark solo uno scomodo ostacolo sulla via della dimostrazione della inautenticità dei Dialogi, ma anche una fonte preziosa di ispira-

Godding 1988, pp. 205-208; Meyvaert 1988, pp. 351-366; de Vogüé 1988, pp. 301-306. 287 Cf. soprattutto Meyvaert 1988. 288 Castaldi - Martello 2011. 286

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All’ombra di Gregorio Magno

zione. È evidente infatti che la fisionomia del Dialogista, così com’è stata tratteggiata, sia influenzata dalle caratteristiche proprie del nostro personaggio: entrambi sono scriniarii, con accesso diretto e illimitato alla produzione letteraria papale, ufficiale e non; entrambi hanno un interesse precipuo per le opere di Gregorio I, cui dedicano le proprie energie; il loro metodo di lavoro contiene punti di somiglianza molto stretta, poiché entrambi ritagliano sententiae gregoriane e le adattano con opportuni accorgimenti sintattici al nuovo tessuto narrativo che vanno a costruire 289. Tuttavia è bene ricordare che l’autore del Liber è il personaggio storico che realmente ha posseduto le caratteristiche sopra elencate (l’essere scriniarius, florilegista ecc.); l’altro è un personaggio ipotetico, estrapolato dall’interpretazione (oltretutto largamente ideologica) dei Dialogi 290 , e, bisogna ribadire, costruito su modello del primo. Clark plasmando il Dialogista ha insomma sostanzialmente duplicato Paterio. Come Paterio – va precisato –, anche Taione, altro compilatore attivo nello scrinium romano, sebbene solo come temporaneo visitatore, può aver contribuito alla formazione dell’idea del Dialogista. Eppure, da un certo punto di vista, i due modelli sono stati fuorvianti: se si pensa alla natura specifica delle opere che consideriamo – Dialogi, Liber testimoniorum e, per l’autore saragozzano, Excerpta Gregorii e Sententiae –, si percepisce infatti che i criteri di selezione e composizione non possano essere stati i medesimi per i rispettivi autori. Ciò che essi avrebbero avuto in comune è la (amplissima) base dati, costituita dalla produzione gregoriana, con una particolare predilezione dimostrata dal Dialogista per la produzione inedita e le prime versioni, recuperate, delle opere. Rispetto a tale ingente mole di testi si pone però per il Dialogista una questione d’ordine meramente tecnico: come ha potuto egli individuare il materiale utile alla sua creazione, e soprattutto, che cosa cercava esattamente? Il notarius romano, ad esempio, ha ricercato i testimonia impiegate da Gregorio e le relative spiegazioni: ne ha facilmente individuate centinaia 291, ma si è poi potuto avvalere di criteri sicuri per scartare quelle superflue, escertare e riordinare quelle signiCostituisce una stimolante occasione di approfondimento il confronto fra il modo in cui i passaggi esegetici sono stati assemblati nella costruzione dei paragrafi del Liber e quello secondo il quale i presunti IGP sarebbero stati fusi nel dialogo. 290 Non è inutile ricordare che Clark ha concepito la sua “crociata” contro i Dialogi come un atto di pietas nei confronti di Gregorio, l’evangelizzatore della sua madrepatria (Clark 2003, p. 23). 291 Su possibili tracce rimasteci della sua operazione di selezione, cf. paragrafo IV.2.1. 289

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 187

ficative. Ha dunque seguito un percorso ben strutturato in un progetto in virtù del quale non ha vagato invano. Il monaco visigoto ha compiuto un’operazione analoga per gli Excerpta Gregorii (agevolato dal fatto che parte del lavoro era già stato svolto dal suo predecessore); ha poi filtrato nuovamente il materiale a disposizione, riorganizzandolo per rispettivi temi dottrinali, e ha composto le Sententiae 292. Più difficile, al confronto, è riuscire a immaginare quale possa essere stato, concretamente, il criterio-guida del Dialogista nell’individuare i passi utili. Astraendo i presunti IGP dai contesti in cui sarebbero stati inseriti, e osservandoli individualmente e in sequenza, essi non appaiono omogenei dal punto di vista della tipologia o del contenuto, né riconducibili a un qualche criterio di selezione uniforme. Appare dunque poco plausibile che siano stati escertati preventivamente e che attorno al loro numero sia stato costruito il percorso espositivo. Bisogna forse immaginare che siano stati cercati e trovati all’occasione per supportare i concetti che di volta in volta l’autore intendeva esporre, secondo un metodo palesemente antieconomico che sembra contrastare con i principi della costruzione di opere compilative 293 . Non sembra, d’altronde, maggiormente credibile un’ipotesi di creazione estemporanea della narrazione, che avrebbe assorbito gli elementi gregoriani per rinvenimento casuale e felice scelta intuitiva. In quest’ultimo caso sarebbe infatti mancata la fase progettuale, e ciò contrasterebbe con la “struttura” che, come generalmente si riconosce, caratterizza i Dialogi 294. Indipendentemente dalla plausibilità della concezione antologica dell’opera, la proposta di Clark si scontra con una quantità di difficoltà di ordine esterno che la rendono poco realistica, soprattutto dovute alla forzata collocazione dell’opera nel tardo VII secolo. Restano tuttavia alcuni aspetti della sua argomentazione che appaiono suggestivi (si pensi alla critica interna, rispetto allo stile e al linguaggio, ma anche alla stessa analisi degli IGP e alla circostanza che essi per lo più siano integrati nella cosiddetta parte “espositiva” dell’opera) 295. La presenza Un esempio particolarmente chiaro del suo metodo (o almeno di uno dei metodi da lui impiegati) è illustrato in Castaldi - Martello 2011, pp. 89-96. 294 Sulla struttura dei Dialogi cf. Tateo 1965; Vitale Brovarone 1975. Più cauto sulla questione, e favorevole all’idea di un’opera prodotta «per successivi allargamenti in itinere rispetto al progetto originario», Pricoco 2005, pp. XVII-XXVIII (citazione a p. XXII). 295 L’opera è costruita secondo il sistema dell’alternanza fra passaggi narrativi puri, ai quali sono affidati i racconti di miracoli (narratio), e passaggi di riflessione dottrinale ed esegetica (expositio), cf. Boesch Gajano 1979b. Gli IGP appaiono particolarmente funzionali a coprire le parti di tipo espositivo. 292

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di alcune caratteristiche anomale nei Dialogi inducono a valutare come non inconciliabile con la realtà l’idea che altre mani oltre a quelle di Gregorio possano aver avuto un ruolo nella sua redazione, in forma – si sottolinea – di collaborazione attiva con il pontefice (al quale l’opera deve continuare a essere riferita, a meno di ulteriori insospettabili scoperte), e presumibilmente per sua esplicita richiesta. L’approfondimento dei compiti e delle funzioni del personale dello scrinium appare dunque in questo senso particolaremente utile. E Paterio offre un’occasione sicuramente stimolante di studio. Viene anzi in mente che, se non fosse stato troppo impegnato ad allontanare da Gregorio qualunque contaminazione con il culto dei santi, forse Clark avrebbe pensato probabilmente a lui quale “dialogista”. Numerosi elementi fra quelli individuati sia dallo studioso inglese che dai suoi oppositori avrebbero trovato la collocazione naturale: dallo «style de notaire» di cui è pervaso il linguaggio 296, alla straordinaria verosimiglianza dei   dettagli dal punto di vista cronologico, topografico e prosopografico 297 : normale, se l’opera è stata scritta da Gregorio stesso, con l’eventuale collaborazione di qualcuno del suo entourage, ma altamente improbabile se i Dialogi fossero invece stati progettati e concretizzati ottant’anni dopo la sua morte, come un anacronistico romanzo storico 298. Tornando dunque a Paterio e al posto che gli è stato assegnato dallo studioso inglese nella sua ricostruzione della vicenda dei Dialogi, appare opportuno ricordare quanto lucidamente ha scritto Paul Meyvaert in proposito 299 : Paterius is the key to this whole question. It is he who is most closely linked to Gregory, both in life and in the written work he left behind. It will be useful to know his story in as much detail as can be recovered, since a proper understanding of is role will clear away much of the doubt and confusion that becloud the situation as Clark sees it.

Nessuna formulazione poteva essere più felice: rappresenta infatti il superamento dell’approccio al Liber testimoniorum come mero

È la cifra stilistica propria di quest’opera, riconosciuta in tempi non sospetti da de Vogüé 1978, pp. 81-82. 298 «Clark’s basic premise was untenable, for in claiming the Dialogues, as such, to be a forgery, “one of the most successful forgeries of all time,” he had endowed the late seventh century with an absolutely brilliant and totally modern, even avant-garde, historical novelist – born, alas, a millennium and a half before his due time, and therefore, provably non existent», ibid., p. 62. 299 Meyvaert 1988, pp. 352. 296

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III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi 189

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strumento di riscontro dell’esistenza delle opere ritenute gregoriane, e l’invito a considerare finalmente l’autore nel contesto in cui ha operato e il suo lavoro letterario secondo i meccanismi adottati per realizzarlo. Le testimonianze che lo riguardano, uniche del genere, devono diventare occasione per indagare più in generale sul ruolo dei notarii, dei collaboratori tecnici e dei consulenti del papa attivi nello scrinium lateranense, considerato quest’ultimo nella sua valenza di centro di produzione documentale e letteraria. Ciò, si ritiene, non può che andare a vantaggio della comprensione delle modalità di redazione delle stesse opere di Gregorio Magno, e dunque di molte delle caratteristiche che presentano.

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I. Gregorio Magno, i notarii ecclesiae Romanae e Paterio 191

CAPITOLO QUARTO

LA REDAZIONE DELL’OPERA

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IV.1. Il prologo Qualunque considerazione sulla redazione del Liber testimoniorum non può che partire dal suo prologo, innanzitutto perché è la sola parte paratestuale di un lavoro compilativo, e dunque l’unica a trasmetterci direttamente le parole del suo realizzatore, inoltre perché ci offre, come già si è avuto modo di notare, fondamentali informazioni sulle circostanze di composizione, l’origine e la finalità del lavoro, l’interesse suscitato in Gregorio e il subentro della sua committenza, le modalità adottate per la realizzazione. Importanti indizi si possono anche ricavare sul periodo in cui questa può aver avuto luogo. Poiché dunque l’interpretazione del prologo si pone come pregiudiziale per l’analisi del florilegio e poiché il confronto dei manoscritti più antichi con m mostra discrepanze che in alcuni punti si rivelano fuorvianti, si è ritenuto opportuno (senza pretendere affatto di ricostruire un testo critico in senso stretto) allestirne una versione “di lavoro” che tenesse conto, anzitutto, della lezione dei principali rappresentanti dei due rami della tradizione individuati, ossia A ed F. Si sono voluti inserire nel confronto anche altri testimoni: C, di cui si è detto; K, che, pur essendo strettamente imparentato con A, riporta alcune lezioni discordanti che meritano di essere valutate individualmente e inoltre mostra delle caratteristiche di leggibilità che lo rendono particolarmente utile per la comprensione del codice più antico; G, che presenta le caratteristiche comuni ad A, salvo non avere la lacuna nella sezione sui Salmi, e che dunque, dal punto di vista strutturale, potenzialmente rappresenta un gruppo a sua volta discendente dalla versione “ricomposta” dell’originale lateranense, ma in modo indipendente dal codice di Amiens 1. Alcune forme lessicali sono state tacitamente normalizzate. Il testo viene affiancato dalla traduzione italiana e fatto seguire da un commento. L’interpretazione di alcuni passaggi è favorita anche dal confronto con i prologhi premessi alle rispettive opere dai successivi imitatori e continuatori. 1

Cf. sopra, p. 145, e Castaldi - Martello, p. 104.

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All’ombra di Gregorio Magno

Prologus

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Dum beatissimi atque apostolici Gregorii pontificis nostri vestri quoque addam nutritoris dicta saepius lectione percurrerem, avidiusque mihi eis assiduum esse ipsa luculentissima verborum eius satisfactio suaderet, quiddam in eis repperi sine comparatione potissimum. Dum igitur unius sancti viri hoc est beati Iob historiam abstrusis mysteriorum opacitatibus textam sub triplici, id est typica, morali, atque historica, studuit expositione discutere, ac repulso ignorantiae nubilo, in aperto cunctis luce clarius serena patefactione monstrare, paene totam veteris ac novi Testamenti seriem rerum explanandarum necessitate est coactus exponere. Ubi enim occultae nimis rei dilucidandae necessitas imminebat, ne aut obscurum quid apud audientium animos remaneret, aut ipse non liquidissima satisfactione obscuritatis interna ad lucem videretur eicere, non solum disertissimis verborum assertionibus quod clausum erat aperuit, sed ita esse prolati quoque testimonii non intellecta si inesset forsan obscuritas rei explanandae augeret potius caliginem quam auferret, idque testimonium studuit additae expositionis explanatione disserere. In quibusdam namque locis in expositione etiam testimonii non solum verborum satisfactionem sibi posse sufficere iudicavit, nisi alterius iterum deducti ad medium testimonii evidenti interpretatione latius edoceret.

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1  incipit prologus sancti Paterii discipulati Gregorii papae amen F, incipit prologus Paterii K G, incipit proemium Paterii de sequenti opere C, prooemium m || 2  dum] cum C m || 3  nutritoris] no- Aa.c.K a.c. || 4  percurrerem] perrerem Fa.c. || mihi] me in C || assiduum] assidium K || 5  satisfactio] satisfacio F || suaderet] suadere Fa.c. || quiddam] quidam K || 5-6  in eis] add. Asup. l. || 6  comparatione] comperatione C || 7  abstrusis] abstrosis Aa.c., obstrusis G || mysteriorum] mi- K C || 8  textam] textum F, tectam corr. C a.m. in marg. || typica] tipica Aa.c. K, sub praem. C || 9  historica] hystorica C || studuit] studivit K  a.c. || ac repulso] atque pulso F || 9-10  ignorantiae] Ap.c. || 10  aperto] apertum C || 11  monstrare] monstraret G || ac novi] add. F a.m. sup. l. || 12  est coactus] ~ C || est] add. F sup. l. || 13  occultae] occulte C || occulte nimis] ~ G || dilucidandae] delucidande Aa.c. Ka.c., dilucidande C || 14  audientium] audientum K || animos] animus Fa.c. Aa.c. Ka.c. || 15  ipse] ipsi A ut vid., K || interna] internam F || 16  disertissimis] disserentissimis F, dissertissimis A, dissertissimus Ka.c. || 16-17  assertionibus] Kp.c. || 17  ita] si praem. G || esse] add. Csup. l. || 18  non intellecta] ut praem. C a.m. in marg., assertione firmavit, ne praem. m || si inesset] sineret G || forsan] forsitan F C m || 19  caliginem quam auferret] q. a. c. m

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IV. La redazione dell’opera 193

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Prologo Trovandomi spesso a percorrere con la lettura le parole dettate dal nostro e vostro beatissimo e apostolico pontefice nonché maestro Gregorio, con quel senso di chiarissima soddisfazione che mi induceva a non distaccarmene e desiderarne sempre di più, vi ho scoperto qualcosa che è davvero senza confronto. Quando egli si impegnò a commentare secondo triplice senso, cioè tipico, morale e storico, la vicenda, intessuta nella fitta oscurità dei misteri, di un solo uomo santo, il beato Giobbe, e a renderla manifesta a tutti e più chiara della stessa luce, spingendo via la nube dell’ignoranza, si trovò costretto a commentare quasi tutta la serie degli argomenti del vecchio e del nuovo Testamento che necessitano di interpretazione. Dove infatti incombeva la necessità di chiarire un significato troppo nascosto, sia perché non rimanesse nulla di oscuro negli animi degli uditori, sia perché egli apparisse in grado di trarre alla luce i significati interni con la più luminosa compensazione dell’oscurità, non solo aprì ciò che era stato chiuso con le sue dichiarazioni eloquentissime, ma lo dimostrò [anche apportando testimonianze della Scrittura; e poiché] un’eventuale difficoltà non compresa in una testimonianza addotta avrebbe accresciuto l’oscurità del passo da spiegare invece di portarla via, si impegnò a discutere anche tale testimonianza attraverso la spiegazione di commento aggiuntivo. E in alcuni luoghi, nel commentare la testimonianza, giudicò di non potersi solo accontentare delle risposte date con le sue parole senza offrire una più ampia dimostrazione attraverso il significato di per sé perspicuo di un seconda testimonianza ulteriormente addotta.

|| 20  idque] idem G || additae] addita A, addite C || 20-21  explanatione] explanatio F || 22  solum] solam K G C || satisfactionem] satisfactione A || sibi] ibi C || 24  interpretatione] interpretati ne Ka.c.

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Actumque est ut hac occasione, sicut praefatus sum veteris Testamenti tota paene series occulta patesceret, quae divini nutus aspiratione reserata, famis nostrae esuriem superni pabuli copia satiaret. Huius ergo rei ardenti nimis desiderio provocatus quaedam de eisdem testimoniis coeperam sub quadam brevitate decerpere, aliqua vero neglegendo transire, quod dum fieret, sicut conscientia mea mihi testis est, me nolente atque hoc cautius providente ne a quoquam aliquo modo nosceretur, per quosdam ad eiusdem apostolici pontificis nostri notitiam usque pervenit. Qui me verbis mox, quibus beatitudo vestra novit suasoriis, atque ad superna trahentibus hortando coepit accendere, quatenus hoc quod neglecte coeperam explere studiosius debuissem, ita ut et opus et librum in quo testimonium positum legeretur, vel ex qua re ortum esset, in tituli eius praenotatione signarem. Cuius rei pondus mearumque virium impossibilitatem pensans in ancipiti deprehensus sicut nauta gravi fluctuum procella turbatus ad orationum eius portum pavens fateor fidensque confugi, sciens impossibile non fore quod a tanto mihi praesule ut res ad multorum aedificationem profutura fieret iuberetur. Moxque hoc imperantis suffragio provocatus assumens quo valui studio veteris ac novi Testamenti in unum testimonia congesta collegi, et iam non solum de beati Iob expositione, sed nec de aliis eius opusculis quicquam curavi, sicut prius facere coeperam, neglectum relinquere. Quae dum disperse sicut quippe reperta fuerant in schedis suis relata transcurrerem visum mihi est licet esset laboris immodici, ut uniuscuiusque rei testimonia iuxta quod in suis

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|| 25  hac] ac Ka.c. || 26-27  divini nutus] divini notus K in divinitus mut. || 27  nutus] notus F Aa.c. || famis nostrae] ~ C || 28  cupia Ka.c. || 31  sicut] sic C || 32    nolente] volente m || 33-34    pontificis nostri notitiam] notitiam pontificis nostri m || 35  suasoriis] sua soris Ka.c. || 36  accendere] agnoscere praem. sed del. G || 37  neglecte] negligenter G || ut et] et om. sed praem. C sup. l. || 38  vel] ut K || 39  ortum] hortum A Ka.c. || 39  signarem] signare K, designarem m || 41  ancipiti] ancipite Aa.c.Ka.c. G || 43  a] om. sed add. F sup. l. || 43-44  praesule] praesole Fa.c. A a.c.K a.c. || 44-45  fieret iuberetur] fieri iubetur F || 45  moxque] -que add. C sup. l. || imperantis] imperat nos F || 46  studio] studia F || 47  et iam] aetiam F || non solum] n. s. non F C || 48  opusculis] oposculis A || 49  facere coeperam] ceperam facere C G || neglectum] negligendum G || 50  disperse] dispersae F Aa.c.Ka.c. G || schedis] scedis F A K G C || 51  transcurrerem] percurrerem C || mihi est] ~ C || 51-52  laboris immodici] inmodici laboris C || 52  immodici] non modici G ||

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IV. La redazione dell’opera 195

È accaduto che in tale circostanza, come ho detto sopra, sia diventata chiara quasi tutta la serie dei misteri del vecchio Testamento, così che essa, rivelata per ispirazione del volere divino, saziasse il nostro appetito con l’abbondanza del pascolo celeste. Spinto da troppo ardente desiderio di tale conoscenza, avevo iniziato a raccogliere qualcuna di queste testimonianze bibliche in forma sintetica, tralasciandone diverse. Ciò, benché io non volessi – me ne è testimone la mia coscienza – che si sapesse in alcun modo, e per quanto ci stessi attento, finì per arrivare, per tramite di qualcuno, a conoscenza del nostro apostolico pontefice. E questi subito, con parole persuasive, note alla vostra beatitudine, capaci di innalzare alle cose più alte, iniziò con incoraggiamenti a invogliarmi a compiere con maggiore impegno il lavoro intrapreso in maniera superficiale, fino al punto di indicare, nell’intestazione posta a capo di ogni testimonianza biblica, l’opera e il libro in cui la si poteva leggere, nonché l’argomento che la aveva richiamata. Considerando la mole di una tale impresa e i limiti delle mie forze, in difficoltà come un navigante sbattuto dalle onde di una tempesta violenta, mi rifugiai nel porto delle sue preghiere, timoroso, lo confesso, ma anche con fiducia, consapevole che non sarebbe stato impossibile quello che mi veniva ordinato da un tale presule al fine di far cosa utile all’edificazione di molti. E subito, accettando l’incarico, incitato dal sostegno di chi mi comandava, raccolsi insieme, con tutto l’impegno di cui fui capace, le testimonianze del nuovo e del vecchio Testamento. E feci attenzione a non tralasciare nulla non solo dal commento al beato Giobbe, ma neppure dagli altri scritti, come avevo fatto all’inizio. E mentre rileggevo questi escerti annotati sulle rispettive schede senza un ordine preciso, ovvero così come erano stati trovati, mi parve opportuno, sebbene costasse una fatica enorme, di organizzare le testimonianze relative ai singoli argomenti distribuendole per libri secondo l’ordine che occupano nella Bibbia, così che nessuna difficoltà in alcun modo frenasse anche solo minimamente la volontà del lettore scrupoloso di chiarirsi qualunque luogo oscuro, una volta individuato il titolo del libro ricercato.

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ex ordine sunt sita codicibus, per libros suos ordinando componerem, quatenus studiosi lectoris desiderium ad elucidandam sibi quam velit obscuritatem, invento libri quem requireret titulo, nihil morae vel ad parum aliquo modo praepediret. Hoc autem lectorem huius operis prae omnibus nosse commoneo: ut quia quaedam testimonia diversis locis sita repperi, et in quibusdam sicut res expetiit typice in quibusdam moraliter, in quibusdam etiam historice in expositione perducta, quae praedictis modis exposita comperi, ita et seorsum sequentia siquidem invicem translata composui. In quibusdam vero locis quia ita satisfactionis norma poscebat, hoc idem de eodem testimonio retexuit, quod dudum explanasse relegitur. Alicubi autem quaedam quae de eo minus pridem dixerat, inter repetita addens verba supplevit. Quod ego de iam dictis excerpens, eidem testimonio, ubi poposcit locus inserendum aptavi, quia res non erat, quae separatim poni utiliter potuisset, dum ex praecedentibus quae dicta iam fuerant subsequentibusque penderent. Si enim propter novitatem parvae rei rursum dicta ponerentur, facerent procul dubio repetita fastidium. Ne ergo expositionis unde haec excerpta sunt recurrens ordinem, plus in quibusdam huius operis locis aliquid quam in textu libri est positum minusve reperias, causae fecit ratio quam praemisi. Perpendens autem quod utriusque Testa-

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53  ex ordine] ex ordini K in ordinibus mut. || 54-55  ad elucidandam] ad delucidandam F, dilucidandam C m || 55  velit] vellet Fp.c. G, vellit Aa.c. || 80 55-56  quem requireret titulo] t. q. r. C || 56  requireret] requirere Aa.c. K || nihil morae] nichil more C || 57  lectorem] lectorim Ka.c. || 59  et] add. C sup. l. || expetiit] expetit Aa.c. m || typice] typica Aa.c.K F m || 60  moraliter, in quibusdam etiam] om. m || 60-61  historice in expositione] historicae expositione F || 60  historice] historicae Aa.c., historiae K, historicae G, historica m || in] om. F C, del. K || 61  praedictis] a praem. F || 62  sequentia] sequenF, se quidem Aa.c., a se quidem G || 40 tias F, sententia K || siquidem] quidem 63  satisfactionis] satisfactiones Fa.c., satisfactione K || 64  retexuit] retexui G m || 65  dudum] dum F Aa.c.K G || explanasse] explanassem G || relegitur] legitur C, relegeretur G || 66  minus pridem] ~ C || 67  supplevit] supplevi m || eidem] eodem K || 68  testimonio] testimonia Ca.c. || 69  erat] erant m || poni utiliter] ~ C || potuisset] Cp.c., possent m || 70  iam] om. m C || subsequentibusque] subsequentibus quae K ut vid. a.c. || 71  penderent] 45 penderet G || 72  facerent] etiam add. m || procul dubio repetita fastidium] r. f. p. d. m || 73    ne] exp. A sed ut add. sup.l., ut m || expositionis] expositiones Fp.c. a.m. || excerpta] excepta F Cp.c. || sunt] sint K || 73-74  ordinem] ordine F || 75  textu] textum F || minusve] minus vae F, minus A (sed exp.), munus K sed in minus mut. || 76  quod] si add. C m, cum add. G ||

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IV. La redazione dell’opera 197

Ma una cosa soprattutto mi raccomando che sappia il lettore di quest’opera: poiché alcune testimonianze bibliche le ho trovate in più di un luogo, e sviluppate, come richiedeva il contenuto, in alcuni casi secondo il senso tipologico, in altri morale, in altri ancora storico, resomi conto che esse erano spiegate nei modi descritti, e che si susseguivano separate, le ho spostate e composte l’una con l’altra. In alcuni luoghi Gregorio, come gli imponeva l’esigenza di essere sempre esaustivo, è tornato a ripetere, relativamente a una medesima testimonianza, quanto si trova che aveva spiegato in un luogo precedente dell’opera. Altrove, nel riprendere quelle spiegazioni, ha aggiunto al commento della testimonianza già trattata elementi che prima aveva tralasciato. Io allora, ritagliando questa parte nuova dal già detto, la ho adattata, dove opportuno, in modo da aggregarla a quella medesima testimonianza, in quanto non sarebbe stato utile porla separatamente, fintanto che coerente con le cose che erano state dette in precedenza e con quelle che seguivano. Se infatti, per dar conto di un dettaglio diverso, si fossero ripetute le stesse argomentazioni, la ripetizione avrebbe senz’altro generato fastidio. Dunque, se tu, facendo il confronto con la sequenza originaria dell’esposizione da cui questi escerti sono stati tratti, trovassi di più o di meno in alcuni passi di questa raccolta rispetto a quanto non sia nel testo dell’opera, ne è motivo quanto ho detto qui sopra.

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menti in unum vellem testimonia redacta colligere, et voluminis normam excederet et legentis desiderium impediret; in tribus hoc voluminibus Domino est cooperante dispositum, ut duo veteris, tertium novi dicta contineat. Quae beatitudini vestrae, non temeritatis ausu, sed amore vestri provocatus studii, quod in inquisitione divini olim fervet eloquii, sciens maxime in dictis praedicti pontificis nostri quanta noscendi vestrae sit aviditas mentis, ex multis voluminibus pauca componens, studui destinare; humili obsecrans prece qua valeo, ut dum vobis vel quisquis legerit in hoc opere laboris mei cura placuerit, pro me ad Dominum intercessores esse dignentur, quatenus hoc pondere corruptionis exuto a meorum absolutus inveniri merear vinculis peccatorum.

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77  in unum vellem testimonia] ve. t. i. un. C || vellem] vellim F || colligere] collegere Aa.c.K || et] exp. A sed ne add. sup.l. || 78  excederet] excideret Aa.c.K || 80  contineat] conteneat Aa.c.K || 81  beatitudini] beatitudine Aa.c.Ka.c. || ausu] ausus F || 82  vestri] vestro F ut vid. || studii] studui F Aa.c. || 83  maxime] maximae F || dictis] om. A  K || praedicti] predictis A K || 84  noscendi] sit praem. sed del. G || 86  ut dum] om. G || vobis] vos G || 87  in hoc] et cui praem. G || laboris] labores Aa.c.Ka.c. || 87-88  ad Dominum] om. C || 88  dignentur] dignemini C || 89  corruptionis] corpus- in corrumut. K || exuto] exutus Ap.c. G  C || inveniri] invenire F

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IV. La redazione dell’opera 199

Calcolando poi che [se] avessi voluto raccogliere tutte insieme le testimonianze recuperate la loro quantità avrebbe superato le dimensioni normali di un volume e frenato la volontà del lettore, esse sono state distribuite, con l’aiuto di Dio, in tre volumi, in modo che due contengano le spiegazioni relative al vecchio e uno al nuovo Testamento. E mi sono impegnato a dedicarli alla vostra beatitudine, mettendo insieme poche cose da tanti volumi, non per sfrontatezza, ma stimolato dall’amore del vostro impegno che da lungo tempo arde nell’investigare la parola divina, consapevole soprattutto di quanto grande sia il vostro desiderio di conoscenza delle parole del detto pontefice nostro. E imploro con l’umile preghiera di cui sono capace che, qualora a voi o a chiunque dovesse leggere fosse gradita la cura profusa in questo prodotto della mia fatica, vi degnaste di farvi intercessori per me presso Dio, così che, deposto questo peso della corruzione, ottenga di essere trovato sciolto dai vincoli dei miei peccati.

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Commento 2. beatissimi atque apostolici: la formula beatissimus atque apostolicus in riferimento al pontefice in carica è attestata nel Registrum in due casi, entrambi molto significativi: il primo è il verbale del sinodo del 5 ottobre 600 con cui si concede all’abate Probo di fare testamento, letto da Paterius secundicerius: praesidente beatissimo et apostolico papa Gregorio atque consedentibus reverentissimis episcopis (…), Paterius secundicerius dixit, Ep. 11, 15 (CCSL 140A, p. 881 ll. 5-6, 16-17). La seconda occorrenza è in uno dei documenti predisposti dalla cancelleria romana e affidati al defensor Giovanni per l’attuazione della giurisdizione pontificia nella causa di Gennaro, vescovo di Malaga: dum igitur ex deputatione beatissimi atque apostolici domni mei papae Gregorii ego Iohannes defensor inter Ianuarium episcopum civitatis Malacitanae atque idem illum et illum episcopos cognitor resedissem, necesse habui causam praedicti Ianuarii interna inquisitione discutere (…), Ep. 13, 48 (CCSL 140A, p. 1057 ll. 5-8). Si noti come la struttura della frase (sintatticamente articolata) corrisponda a quella dell’incipit del proemio, con in apertura la subordinata retta da dum, che contiene anche la formula di riferimento al pontefice. Entrambi i casi presi in considerazione consistono in puri documenti di cancelleria – nel secondo sono addirittura lasciate in sospeso le parti da redigere al momento dell’elaborazione della sentenza, a cura dello stesso Giovanni – in cui si fa riferimento al pontefice in terza persona, riferendosi alla sua autorità istituzionale. Sono dunque ben diverse dalle lettere che Norberg definisce “personali”, e dimostrano la dimestichezza dell’autore del prologo con il linguaggio cancelleresco. Un confronto interessante è dato dall’occorrenza della medesima formula nel verbale del primicerius Surgenzio, redatto in occasione dell’offerta dell’Historia Apostolorum di Aratore: Domino sancto beatissimo atque apostolico et in toto orbe primo omnium sacerdotum, papae Vigilio, Arator subdiaconus (CCSL 130, p. 213 l. 1), su cui cf. il paragrafo II.1.3. Meyvaert (in polemica con Clark) sottolinea come l’uso di questa formula non implichi affatto che la persona a cui si fa riferimento non sia più in vita; l’eventuale morte di Gregorio al tempo della redazione del prologo sarebbe stata segnalata dal «quasi-obligatory term memoriae used when alluding to the dead» (Meyvaert 1988, p. 353, nota 67). 3-4. Lectione percurrerem: di questo sintagma si trova, nella produzione gregoriana, una sola occorrenza, all’interno del Registrum: quem [scil. codicem] quia ad nos studuit pro satisfactione transmittere, priores eius partes sollicita lectione percurrimus et, quoniam manifesta in eo haereticae infectionis venena repperimus, ne denuo debuisset legi, vetuimus, Ep. 6, 65 (CCSL 140, p. 441 ll. 23-26). 5. satisfactio: è uno dei termini-chiave di questo testo, dove compare quattro volte: verborum satisfactio (ll. 5 e 22); satisfactio obscuritatis (l. 15); satisfactionis norma (ll. 63-64). Tali sintagmi non sono tipici del linguaggio gregoriano.

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IV. La redazione dell’opera 201

6-12. Dum igitur… coactus exponenere: la descrizione del metodo esegetico adottato da Gregorio per i Moralia in Iob è basata su precisi riferimenti al testo della lettera dedicatoria di quello stesso commentario a Leandro di Siviglia, dove il metodo era stato esposto in forma programmatica. La fonte del passo in questione è la seguente: sciendum vero est, quod quaedam historica expositione transcurrimus et per allegoriam quaedam typica investigatione, quaedam per sola allegoricae moralitatis instrumenta discutimus, nonnulla autem per cuncta simul sollicitius exquirentes tripliciter indagamus, Mor., Ep. ad Leandrum, 3 (p. 4 ll. 106-110).

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13. dilucidandae: dilucidare è verbo che non si trova nel lessico gregoriano. 17-21. sed ita esse… explanatione disserere: la frase, così come si legge nei manoscritti, mostra alcune difficoltà sintattiche. Come provano i puntuali rimandi lessicali e il senso generale dell’espressione, prosegue qui, da parte di Paterio, la citazione del passaggio della lettera di Gregorio a Leandro di Siviglia, in particolare del passo in cui il pontefice illustra il metodo seguito per esaudire la richiesta dei monaci “committenti” dell’opera: qui hoc quoque mihi in onere suae petitionis addiderunt, ut non solum verba historiae per allegoriarum sensus excuterem, sed allegoriarum sensus protinus in exercitium moralitatis inclinarem, adhuc aliquid gravius adiungentes, ut intellecta quaeque testimoniis cingerem et prolata testimonia, si implicita fortasse viderentur interpositione superadditae expositionis enodarem, Mor., Ep. ad Leandrum, 1 (CCSL 143, p. 2 ll. 46-53). Rispetto a questa formulazione, nella parafrasi di Paterio sembra mancare un passaggio logico, vale a dire quello che nella lettera a Leandro è racchiuso nell’espressione ut intellecta quaeque testimoniis cingerem, che introduce la funzione dei testimonia nell’esegesi gregoriana. La versione di Paterio (al di là delle difficoltà sintattiche che presenta) parafrasa solamente il senso di prolata testimonia, si implicita fortasse viderentur interpositione superadditae expositionis enodarem, ossia dice che ogni testimonium «addotto» viene spiegato dal pontefice con opportuna esposizione, ma lascia implicita la premessa, cioè che Gregorio sia solito addurre dei testimonia a illustrare le sue verborum assertiones. Si può concludere che il passo sia corrotto, come sostengono anche i Maurini, che, seguendo il codice Vaticanus (= Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 126), lo correggono come segue: sed ita esse prolati quoque testimonii assertione firmavit, ne non intellecta, si inesset forsitan obscuritas rei explanandae, augeret potius quam auferret caliginem. Ma la lezione del Vaticanus è solo uno dei tentativi fatti dai copisti per sanare il passo (che evidentemente causava loro qualche imbarazzo) e non va considerata come originaria. Lo stesso Alulfo di Tournai, nel prologo del Gregorialis, che, come si è detto, riproduce per buona parte quello del Liber testimoniorum, apporta alcune modifiche: sed etiam ne prolati quoque testimonii non intellecta (si forsitan inesset) rei obscuritas rei explanandae augeret potius caliginem, quam auferret; id quoque testimonium studuit additae expositionis explanatione disserere (p. 131). Con-

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siderata la fonte di questa frase, e il passaggio logico mancante rispetto ad essa, in questa sede si propone un’interpretazione del passo che presuppone la caduta di alcune parole tra ita esse e prolati quoque. 17. ita esse: l’espressione ita esse è molto frequente nel Registrum, soprattutto all’interno di formule con cui si impartiscono istruzioni ai collaboratori (ad es.: «se si accerta che le cose stanno così, procedere nel modo seguente…»; cf. Ep. 2, 38 [p. 123 ll. 16-19]; 3, 22 [p. 168 ll. 36-38]; 3, 47 [p. 192 ll. 12-13]; 4, 12 [pp. 228-229 ll. 13-15]; 5, 25 [p. 292 ll. 20-24]; 5, 36 [p. 305 ll. 19-20]; 8, 21 [p. 541 ll. 12-15]; 9, 85 [p. 639 ll. 4-10]; 9, 123 [p. 674 ll. 6-10]; 9, 131 [p. 682 ll. 29-31]; 9, 136 [p. 687 ll. 59-63]; 9, 168 [p. 726 ll. 6-8]; 9, 195 [p. 750 ll. 25-31]; 11, 15 [p. 883 ll. 65-66, è il documento nel quale Paterio compare in qualità di lettore]; 11, 28 [p. 916 ll. 58-62]; 12, 9 [p. 981 ll. 27-31]; 13, 17 [p. 1017 ll. 8-10]; 14, 6 [p. 1073 ll. 10-13]). L’espressione compare anche in alcuni passaggi dei Dialogi, affidati alla voce del diacono Pietro, uno dei quali presenta singolare somiglianza lessicale con la frase in questione (cf. nota di commento seguente): ita esse ut doces, et manifesta ratio et prolatum congruum testimonium declarat, Dial. 2, 3, 12 (p. 124 ll. 104-105); ita esse ut adseris, magna ratio clamat, Dial. 2, 21, 5 (p. 172 l. 37). 17-18. prolati quoque testimonii: l’espressione testimonia proferre è consueta nel lessico gregoriano per esprimere l’uso di argomentare attraverso le testimonianze bibliche. Il sintagma prolatum testimonium, in particolare, compare una volta nel passaggio della lettera a Leandro che ispira tutta questa frase pateriana (citato sopra, nella nota a 17-21) e per tre volte nei Dialogi. Le prime due occorrenze si trovano in altrettante battute di Pietro all’interno di un medesimo nucleo narrativo del II libro dell’opera: iam quidem prolati testimonii mihi aliquantum intellectus interlucet, sed tamen hoc plenius postulo exponi (Dial. 2, 2, 4 [vol. i, p. 114 ll. 30-31]); quia prolati testimonii claustra reserasti, quaeso ut de vita iusti debeas ea quae sunt inchoata percurrere (2, 2, 5 [p. 114 ll. 39-41]). La terza occorrenza è costituita dal passaggio già richiamato sopra (cf. nota precedente) di Dial. 2, 3, 12 (vol. i, p. 124 ll. 104-105). Vale la pena rimarcare il fatto che sintagmi dal sapore cancelleresco caratterizzano sia il prologo del Liber testimoniorum, sia le battute con funzione didascalica assegnate all’interlocutore dei Dialogi, anch’egli un funzionario della curia. Se ne potrebbe dedurre che l’autore abbia voluto adottare lo “stile notarile” soprattutto per caratterizzare il personaggio di Pietro. 31. sicut conscientia… testis est: una formula molto simile ricorre nel già richiamato verbale della lettura della petizione di Probo, eseguita da Paterio: Ea quae nunc beatitudini vestrae suggero olim domino meo bene comperta sunt vestramque mihi conscientiam testem esse [quae] desidero quoniam, dum ante hos annos ex laico ad religiosum migrassem officium, disposueram in cellulam super me solitarius habitare ibique ipsis paucis diebus qui supersunt vitam transigere, Ep. 11, 15 (p. 882 ll. 27-32).

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IV. La redazione dell’opera 203

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31-32. me nolente: il segreto mantenuto da Paterio sulla sua ricerca (condotta inizialmente per puro fine edificatorio personale), trova corrispondenza nell’atteggiamento riluttante di Gregorio rispetto all’impegno istituzionale. A partire da questo me nolente, che rimanda all’espressione usata da Gregorio nei confronti della chiamata alla cura pastorale (Postque hoc nolenti mihi atque renitenti cum grave esset altaris ministerium, etiam pondus est curae pastoralis iniunctum, Mor., Ep. ad Leandrum, 1 [CCSL 143, p. 2 ll. 23-25]; cf. anche Ep. 1, 5 [CCSL 140, p. 6 ll. 38-42]), viene instaurata dal notarius una precisa analogia letteraria con la vicenda del pontefice, che culmina nella ripresa della metafora della nave in tempesta. 35. beatitudo vestra: l’appellativo usato da Paterio nei confronti del destinatario ci fa comprendere che questi potesse essere di rango vescovile (cf. sopra, nota a l. 2). È bene ricordare che il primicerius era una delle più alte cariche dell’istituzione ecclesiastica; nel secolo successivo, con l’archipresbyter e l’archidiaconus, avrebbe assunto la funzione di vicario del pontefice in caso di vacanza, come ricaviamo dal Liber diurnus (cf. i formulari nn. 59, 61, 62, 63). 37-38. et opus… legeretur: la frase in questione è di importanza centrale nel testo di cui ci occupiamo e ha giustamente beneficiato di analisi minuziose (de Vogüé 1988, pp. 301s.; Godding 1988, p. 206) che ne hanno messo in evidenza le ambiguità semantiche che non sempre permettono un’interpretazione univoca di tutti i termini tecnici che vi compaiono (opus, librum, testimonium, res). Per un esempio di intitolazione di un paragrafo del florilegio cf. il paragrafo III.4., p. 131. Se opus fa certamente riferimento alla fonte di volta in volta usata, librum – come fa notare de Vogüé 1988, p. 302, nota 1 – potrebbe riferirsi tanto alla parte di opera gregoriana quanto al libro biblico, tuttavia la prima interpretazione appare più probabile. Nelle intestazioni dei paragrafi Paterio, infatti, adotta una modalità di riferimento specifica per ciascuna opera: ad esempio, dell’Expositio Evangelii e del Commentarius Hiezechihelis indica l’homilia e talvolta la pars; del Codex Regulae pastoralis il titulus. Poiché l’unità costitutiva dell’Expositio beati Iob è il liber, e da quest’opera è tratta la maggior parte dei paragrafi del florilegio, il termine passa a indicare per antonomasia (nella formula sintetica del prologo) la «sezione dell’opera gregoriana». Liber è anche usato, in un solo caso, per la partizione del Codex dialogorum. Può fornire un dato interessante la “lettura” che del passo in questione ha fatto nel XII secolo il monaco Bruno, che – come si è visto sopra (cf. il paragrafo III.5.3) – spiega come, di fronte a un codice del florilegio del notarius pieno di lezioni difformi dalla lettera del dettato gregoriano, si sia dapprima proposto di correggerlo provando ad avvalersi delle intitolazioni dei paragrafi per reperire i passi originari, per poi accorgersi che le trascrizioni dei copisti avevano corrotto anche queste. I termini tecnici impiegati per la descrizione di questo episodio non sono scelti a caso, e Bruno fa puntuale ricorso alla terminologia pateriana: titulos qui capitibus testimoniorum praenotati erant consului, ut illorum auxilio liber, et libri locus

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All’ombra di Gregorio Magno

unde sententia quae decerpta erat posset inveniri; et ita si quid depravaverant scriptores, attestatione libri de quo scriptum est, potuisset emendari. Sed eos ita transmutatos inveni, ut paucissimis exceptis, nunquam in eo libro capitulum quodlibet posset inveniri, in quo tituli praenotatio illud docebat haberi, PL 79, col. 683. La formula liber, et libri locus richiama e puntualizza l’opus et librum di Paterio, segno che Bruno leggeva «l’opera gregoriana e la sua parte», non «l’opera gregoriana e il libro biblico».

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38-39. ex qua re… esset: circa la presenza delle coordinate di provenienza degli estratti riprodotti, precedenti significativi possono essere identificati nella Philocalia di Origene e soprattutto negli Excerpta ex operibus sancti Augustini di Eugippio, del cui possibile influsso su Paterio si è detto (cf. il paragrafo III.2., pp. 116-117). 39. re: de Vogüé avverte che il termine res subisce un’oscillazione semantica nel corso del prologo («le mot res désigne le contenu du texte sacré [683 a; 685 a et b] ou de son explication [686 a, deux fois]», Id. 1988, p. 302 nota 2). Per interpretare l’occorrenza in questione va richiamato un elemento importante della costituzione delle intitolazioni dei paragrafi, vale a dire l’argomento generale di cui tratta il passo del commento gregoriano entro il quale era stato utilizzato il testimonium, che Paterio riassume nella formula «dum de… tractaretur, adiunctum est…» (cf. sopra, III.4., p. 131). 39. in tituli… signarem: una corrispondenza lessicale e concettuale con questa espressione si ha, nuovamente, con una frase dei Dialogi, là dove, nel prologo, Gregorio spiega di voler uscire dalla modalità narrativa in discorso indiretto e adottare quella dialogica al fine del migliore esito della narratio: Sed iam quae prolata sunt melius insinuo, si ea quae per inquisitionem ac responsionem dicta sunt sola nominum praenotatione distinguo, Dial. 1, Prol., 7 (vol. i, p. 10 ll. 49-51). 41-43. sicut nauta… confugi: tipica fra i loci communes delle prefazioni latine in prosa, la metafora del navigante in tempesta è quasi abusata da Gregorio per esprimere il proprio stato d’animo nei confronti della responsabilità episcopale. Dunque nel passo qui in esame essa assume una evidente valenza intertestuale e Paterio, nuovamente, opera una implicita analogia fra l’impegno da lui assunto (ufficialmente) nei confronti del proprio superiore (e del più vasto pubblico delle sue opere) e quello da Gregorio stesso assunto verso la comunità cristiana di Roma e d’Occidente (cf. sopra, nota alle ll. 31-32). Il riferimento letterario immediato con il quale Paterio sicuramente si confronta è ancora un passo della lettera a Leandro: Quae [scil. cura] tandem cuncta sollicite fugiens portum monasterii petii et relictis quae mundi sunt, ut frustra tunc credidi, ex huius vitae naufragio nudus evasi. Quia enim plerumque navem incaute religatam etiam de sinu tutissimi litoris unda excutit, cum tempestas excrescit, repente me sub praetextu ecclesiastici ordinis in causarum saecularium pelago repperi et quietem monasterii, quia habendo non

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IV. La redazione dell’opera 205

fortiter tenui, quam stricte tenenda fuerit, perdendo cognovi. Il testo prosegue ricordando come molti fratres ex monasterio avessero seguito Gregorio nel suo destino, Quod divina factum dispensatione conspicio, ut eorum exemplo ad orationis placidum litus quasi anchorae fune restringerer, cum causarum saecularium incessabili impulsu fluctuarem. Ad illorum quippe consortium velut ad tutissimi portus sinum terreni actus volumina fluctusque fugiebam (…), Mor., Ep. ad Leandrum, 1 (pp. 1-2 ll. 13-20, 34-39). La similitudine, come si vede, viene estesa da Gregorio e applicata tanto al monastero nel suo valore fisico e istituzionale, quanto alla comunità di persone che lo rappresentano, pur non vivendo più al suo interno. La medesima immagine torna in un celebre passo del prologo dei Dialogi: Ecce etenim nunc magni maris fluctibus quatior atque in navi mentis tempestatis validae procellis inlidor, et cum prioris vitae recolo, quasi postergum ductis oculis viso litore suspiro. Quodque adhuc est gravius, dum inmensis fluctibus turbatus feror, vix iam portum valeo videre quem reliqui. (…) Unde hoc agitur quod praemisi, quia cum navigamus longius, iam nec portum quietis quem reliquimus videmus, Dial. 1, Prol. 5 (vol. i, p. 8 ll. 30-34, 39-41). L’elenco dei possibili riferimenti continua con Ep. 1, 5 (p. 6 ll. 24-25), ibid. 1, 7 (p. 9 ll. 12-13); Past. 1, 9 (pp. 158-160 ll. 30-32). 47. collegi: riguardo il termine colligere Richard e Mary Rouse affermano: «the words that the florilegist chooses to express the activity of compilation reveal something of his attitudes and unconscious assumptions. Virtually all, of course, from Defensor onward, use the neutral word colligere», RouseRouse 1982, p. 169. Facendo riferimento unicamente al Defensor di Ligugé, gli studiosi dimenticano Paterio, che lo precede cronologicamente, ma il valore generale della definizione resta immutato. 49-57. Quae dum dispersae… modo praepediret: Paul Meyvaert così traduce (sintetizzando alcuni dettagli) il passo: «the testimonia had been found scattered here and there, and when I went through them as they stood, copied into their notebooks [in schedis suis relata], it occurred to me that, although it would be an immense labour, I should arrange each testimonium according to the place it occupied in its own Book of the Bible. Thus, by finding the title of that Book, the earnest reader who whished to have some obscure question explained to him, would suffer little or no delay», Id. 1988, p. 354. Con questa traduzione Meyvaert contesta l’interpretazione di Francis Clark, che ha considerato il relativo quae come riferito a opuscula, ponendo l’accento sullo stato in cui si sarebbero trovate le opere gregoriane, ossia disperse (…) relata in schedis suis. Tale stato di dispersione su schede provvisorie (che avrebbe soprattutto interessato le opere rimaste inedite, comunque conservate nello scrinium, secondo Clark) avrebbe permesso al Dialogista, ancora nel tardo VII secolo, di ricavare gran parte dei cosiddetti IGP (cf. sopra, III.7., p. 184).

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50-51 in schediis… trancurrerem: questo passaggio, che si può considerare una testimonianza sulla tecnica di composizione letteraria nell’antichità (su cui cf. Arns 1953), trova un riscontro lessicale esatto nella lettera dedicatoria delle Homiliae in Hiezechihelem, dove Gregorio asserisce di aver riletto le schede contenenti la versione originaria dell’opera, trascritta dai notai, Hom. Hiez. i, Praef. (p. 3 ll. 3-8), cf. sopra, I.1., p. 20. 58-63. Quia quaedam testimonia… translata composui: da queste parole non sembra che Paterio voglia dire di aver seguito un ordine ben preciso (in base al tipo di esegesi) nel ricomporre gli estratti relativi a un medesimo testimonium biblico. Di fatto, non tutti i testimonia sono stati spiegati più di una volta da Gregorio nel corso delle sue opere: la maggioranza dei paragrafi del Liber è costituita dall’unica spiegazione che Paterio è riuscito a trovare (oppure l’unica che presentasse le sufficienti caratteristiche di esaustività che permettessero di costruire un’unità testuale autonoma). Quando Paterio ha rintracciato e riprodotto più di una spiegazione dello stesso testimonium, almeno in alcuni casi ha disposto la spiegazione allegorica prima di quella morale: un esempio è dato dal testimonium corrispondente a Lv 5, 7-8, per il quale il florilegista ha a disposizione sia un passo dei Moralia, che fornisce l’interpretazione tipica (tortora = Cristo) (Mor. 6, 18, 32), sia una pagina delle Homiliae in Hiezechihelem, dove Gregorio fornisce tanto l’interpretazione morale (tortora = ogni fedele) che quella tipica (tortora = Cristo) (Hom. Hiez. 1, 7, 10). Nella sua riorganizzazione del materiale, Paterio realizza due paragrafi distinti: nel primo combina assieme i due passaggi dai Moralia e dalle Homiliae contenenti il senso tipico (= In Lev. 3 [m, col. 755a-c]); nel secondo offre il passo con l’interpretazione morale (In Lev. 4 [m, coll. 755c-756a]). Cf. anche In Lev. 9 e 10 (m, coll. 757d758a), che riportano, dello stesso lemma, l’uno l’interpretazione allegorica (i pesci con le pinne sono le anime elette, destinate alla salvezza), l’altro quella morale (i pesci con le pinne rappresentano tutti coloro che si sforzano di alternare momenti di riflessione sulle cose celesti alle operazioni quotidiane). Andrebbe condotta una rassegna sistematica del contenuto dei paragrafi per poter stabilire se tale criterio di presentazione della materia sia occasionale o sia stato rispettato in via generale. 68. testimonio: secondo de Vogüé questa sarebbe l’unica occorrenza del termine testimonium con valore di «spiegazione gregoriana» (ossia, secondo la terminologia qui adottata, «paragrafo»), altrove significa infatti «passo biblico» (Id. 1988, p. 301 nota 5). Nella traduzione si è tuttavia cercato di rispettare il consueto senso tecnico (sebbene non sia da escludere che il termine sia usato in forma metonimica per indicare anche la relativa spiegazione); sembra infatti che eidem testimonio si riferisca sintatticamente al de eodem testimonio poco precedente: Paterio recupera tutti i commenti relativi al medesimo testimonium (de eodem testimonio) sparsi per le opere e li riadatta per formare una spiegazione unitaria da aggregare a quello stesso (eidem testimonio).

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IV. La redazione dell’opera 207

69-71. dum ex praecedentibus… penderent: ovvero, se poteva trovare coerenza semantica e sintattica all’interno dell’unità testuale creata da Paterio con le altre frasi de eodem testimonio. Non si è in grado di spiegare, se non come corruzione del testo, il plurale penderent con il singolare res cui si riferisce (ma G ha penderet, e lo stesso anche il passo corrispondente di Alulfus, Prologus, p. 131).

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86. prece qua valeo: espressione che si incontra nel Registrum gregoriano: Ep. 2, 44 (p. 134 l. 33); 7, 4 (p. 446 l. 5). 88-89. hoc pondere… exuto: anche per questa espressione si ha un parallelo nel Registrum: Ep. 5, 40: Sed peto, si illo me amore diligitis (…), ut pro me enixius exoretis, quatenus omnipotens Deus a peccatorum meorum nexibus me citius solvat et corruptionis huius pondere exutum suo conspectui liberum exsistere faciat (p. 319 ll. 8-10). Corruptionis pondus è sintagma tipicamente gregoriano (cf. Mor. 4, 34, 68 [p. 212 l. 7]; 5, 7, 12 [p. 226 l. 23]; 5, 32, 57 [p. 259 l. 50]; 7, 2, 2 [p. 335 l. 17]; 9, 17, 27 [p. 477 ll. 4-5]; 9, 36, 58 [p. 499 l. 87], 9, 37, 59 [p. 499 l. 12]; 10, 8, 13 [p. 546 l. 26]; 35, 20, 48 [p. 1809 ll. 43-44]; Ep. 5, 40 [p. 319 ll. 9-10]; 10, 14 [p. 841 l. 14]).

IV.1.1. L’autore fra committente e dedicatario Il prologo del Liber testimoniorum offre spunti di riflessione a vari livelli: filologico, innanzitutto, per lo stato probabilmente non perfetto in cui ce lo ha consegnato la tradizione manoscritta; stilistico, per la sintassi involuta che ne rende poco agevole la lettura; semantico, per l’occasionale ambiguità di alcuni dei termini tecnici impiegati. In generale si può affermare che il testo è sostanzialmente costruito sulla base di topoi tradizionali del genere delle prefazioni latine in prosa 1. Ne sono esempi il motivo dell’enormità della richiesta; quello dell’impossibilità di opporre un rifiuto al richiedente; dell’incapacità dell’autore e dello stato di insormontabile difficoltà in cui questi inizialmente versa, espresso attraverso l’immagine della nave in tempesta; della richiesta di assistenza al committente attraverso preghiere 2; dell’uscita dal dilemma per virtù del richiedente più che per la bravura dell’autore. Si è detto che la mancanza di una inscriptio iniziale che riporti i nomi dell’autore e del dedicatario può essere da ricondurre alla circostanza che il manufatto su cui Paterio ha lavorato non ha mai raggiunto

1 2

Cf. Janson 1964. Ibid., p. 145.

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lo stadio definitivo 3. Si può comunque notare un’anomalia di fondo: trattandosi di una tipica prefazione di tipo dedicatorio, in cui viene esposta, quale (altrettanto tipica) giustificazione dell’opera il tentativo di soddisfare il desiderio di un richiedente, appare singolare che il dedicatario non coincida con il committente, che formalmente, come rivela l’autore, è lo stesso Gregorio 4. Se ne può trarre un argomento per ipotizzare che il committente non fosse più in vita al momento della stesura del prologo, ma tale ipotesi sembra smentita dall’analisi dei dati filologici, come si è visto in precedenza. È possibile, viceversa, suggerire che la relazione gerarchica fra i due fosse troppo sbilanciata perché potessero essere messi in comunicazione attraverso una dedica diretta. Quest’ultima difficoltà sembra però in contraddizione con la familiarità che Paterio deve aver avuto con il pontefice a causa del suo lavoro nello scrinium, ma soprattutto della grande libertà che egli dimostra di avere sui testi su cui lavora, libertà rispettosa del senso ma, come si vedrà di seguito, non della lettera dell’espressione gregoriana. Si ricava dal contesto che il destinatario fosse un ecclesiastico dell’entourage gregoriano che aveva familiarità con i suoi scritti 5; forse di rango vescovile, considerato l’appellativo che Paterio due volte gli riserva 6, non è però da escludere che si sia trattato del primicerius notariorum 7. Di lui Paterio mette in risalto l’impegno nell’investigazione della Scrittura, e soprattutto l’aviditas mentis rivolta ai detti gregoriani 8, e bisogna notare che lo fa accostando nella medesima espressione il divinum eloquium ai dicta gregoriana e sottolineando che siano questi ultimi a costituire il vertice dei suoi interessi 9. La frase vuole senz’altro apparire come un complimento, ma forse ai conoscitori delle vicende del pontificato poteva richiamare qualcos’altro, ad esempio il celebre testo della lettera prefatoria delle Homiliae in Evangelia a SeCf. sopra, pp. 142-146. Sulla consueta stretta relazione tra dedica e richiesta cf. Janson 1964, p. 117. 5 Cf. Prologus, p. 192 ll. 2-3, e soprattutto il congedo finale, p. 198 ll. 81-85. 6 Cf. ibid. p. 194 l. 35 e p. 198 l. 81. 7 Cf. sopra, le note di commento alle ll. 2 e 35 del prologo. Circa la possibilità (non dimostrata) che l’appellativo di beatitudo potesse essere riferito a un primicerius notariorum, si veda il caso discusso a II.1.3., nota 93. 8 Cf. Prologus, ll. 81-85: Quae beatitudini vestrae, non temeritatis ausu, sed amore vestri provocatus studii, quod in inquisitione divini olim fervet eloquii, sciens maxime in dictis praedicti pontificis nostri quanta noscendi vestrae sit aviditas mentis, ex multis voluminibus pauca componens, studui destinare. 9 Vale la pena aggiungere che il sintagma aviditas mentis ricorre una sola volta in Gregorio e ha senso fortemente negativo: Ep. 7, 17 (p. 468 ll. 11-12). Ma il termine aviditas, pur raro nel lessico gregoriano, usato da solo, ha generalmente connotazione positiva (Hom. Ev. 22, 8 [p. 189 l. 233]; Ep. 1, 16 [p. 16 l. 3]). 3 4

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IV. La redazione dell’opera 209

condino di Taormina, che contiene l’ironico riferimento da parte di Gregorio ai «fratelli infiammati dalla passione per la parola sacra» (in particolare per quella da lui stesso commentata), responsabili di aver messo in circolazione gli appunti presi durante l’esposizione delle Omelie sui Vangeli:

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Sed quidam fratres, sacri verbi studio ferventes, antequam ad propositum modum ea quae dixeram subtili emendatione perducerem transtulerunt. Quos recte ego quasi quibusdam famelicis similes dixerim, qui prium escas edere appetunt, quam plenius excoquantur 10.

Il destinatario del Liber è persona vicina al pontefice almeno quanto l’autore; la descrizione del suo atteggiamento nei confronti dell’insegnamento gregoriano lo colloca plausibilmente tra le fila dei suoi ammiratori accesi (che comprendono, non dimentichiamo, lo stesso Paterio), per i quali l’interesse scritturistico tendeva a risolversi sostanzialmente in quello per l’esegesi del maestro, rei per questo, in qualche caso, di aver eseguito trascrizioni non autorizzate di testi e incorsi nel biasimo del pontefice pur di procurarsi il nutrimento spirituale delle sue parole 11. Considerare tale interesse una forma di fanatismo sembra decisamente semplicistico. Il movente principale deve essere stato la volontà di edificazione spirituale individuale, ma è opportuno chiedersi se esso non sia stato legato anche alle necessità pratiche di quella parte del clero chiamato a svolgere uffici pastorali, per il quale disporre di repertori di testi esegetici dottrinalmente corretti e retoricamente efficaci, come quelli elaborati da Gregorio, doveva rappresentare un’opportunità estremamente preziosa, tale da non poter attendere i lunghi tempi di edizione 12. D’altra parte la lettura della produzione esegetica gregoriana, naturalmente nella versione corretta e ufficiale, costituiva anche un preciso dovere del clero, che Gregorio si era impegnato a formare, sia sul piano Hom. Ev., Ep. ad Secundinum (p. 1 ll. 10-14). Una affascinante ipotesi circa le responsabilità individuali che avrebbe avuto nell’episodio della edizione pirata delle Homiliae in Evangelia lo stesso Secondino di Taormina è offerta da Bouhot, sulla base dell’analisi dei dati della tradizione delle Omelie stesse (Bouhot 2007). 12 A riprova di ciò va notato che, secondo la ricostruzione della vicenda della trascrizione abusiva di quindici omelie sui Vangeli proposta da Bouhot, il vescovo siciliano, probabile committente del “misfatto”, avrebbe evitato di far trascrivere i testi prettamente legati alla liturgia romana, evidentemente a lui meno utili. Ibid. p. 223. 10 11

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morale che intellettuale, in vista dell’impegno pastorale che avrebbe potuto assolvere. In quest’ottica trova forse una ragione d’essere anche un’opera come il Liber testimoniorum, che raccoglieva e organizzava in modo sistematico le interpretazioni dell’esegeta. Non è da escludere che il progetto del florilegio esegetico sia stato concepito anche quale risposta alla specifica esigenza di vescovi e presbiteri di possedere un repertorio di riferimento per la spiegazione della Scrittura.

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IV.1.2. Reminiscenze gregoriane Quale riferimento letterario più prossimo del prologo si individua senza difficoltà la lettera dedicatoria dei Moralia a Leandro di Siviglia, da cui è ripresa la descrizione del metodo esegetico di Gregorio. In particolare, tornano i termini chiave della sintetica descrizione del suo modo di esporre “per testimonia”, elaborato per assecondare una richiesta dei suoi interlocutori, i fratres ex monasterio, che avevano preteso che non solo esponesse l’interpretazione allegorica dei verba historiae, ricavandone poi le applicazioni morali, ma che provasse ogni interpretazione attraverso gli opportuni passi biblici paralleli, illustrando questi ultimi, qualora non fossero chiari, con l’aggiunta di ulteriori spiegazioni 13. La reazione di Paterio nei confronti dell’incarico ufficiale ricevuto da Gregorio è descritta con espressioni che rimandano con precisione all’atteggiamento riluttante rispetto al proprio impegno istituzionale manifestato dal pontefice nell’epistola al vescovo spagnolo 14. La stessa metafora del navigante in tempesta, puntualmente riproposta da Paterio, ha in quel documento una delle formulazioni più drammatiche. Non si tratta di un semplice topos: il notarius costruisce per sé una sorta di alibi retorico della coercizione valido da un lato per sollevarsi dalla piena responsabilità rispetto ai risultati, dall’altro per suggerire una assimilazione tra la propria condizione, stretta tra una quantità ingestibile di lavoro e l’obbligo morale di assolvere alla richiesta «di un tale presule», e la condizione di Gregorio stesso, sottratto dalle incombenze pastorali alla rimpianta vita contemplativa 15.

Cf. Prologus, p. 192 ll. 6-10 e 17-21, e relative note di commento. Cf. ibid., p. 194 ll. 31-33 e relative note di commento. 15 Cf. ibid., p. 194 ll. 39-45 e relative note di commento. 13 14

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IV. La redazione dell’opera 211

Dal punto di vista lessicale il linguaggio di Paterio mostra affinità con quello del Registrum epistolarum  16, dando consistenza alla tesi della sua identificazione con il notarius dello scrinium. Alcune espressioni si possono addirittura riscontrare nelle rare lettere per le quali l’epistolario ci ha notificato il ruolo attivo di Paterio 17. Assume rilievo l’occorrenza nel prologo di formule caratteristiche del linguaggio dei Dialogi, e in particolare (ma non solo) delle battute riservate al diacono Pietro, e non comuni nel resto della produzione gregoriana  18. Il dato si presta a una duplice interpretazione e può aprire una prospettiva di ricerca ulteriore sull’opera agiografica: da un lato, infatti, può suggerire che l’autore abbia adottato una modalità mimetica per conformare il proprio registro stilistico a quello del personaggio rappresentato come interlocutore (anch’egli, come Paterio, con ogni probabilità avvezzo al linguaggio di cancelleria). Viceversa, se ne può trarre argomento per ipotizzare che, più in generale, nella redazione l’opera vi sia stato un qualche apporto da parte dei collaboratori papali dello scrinium. IV.1.3. Committenza e licenze d’autore L’idea della raccolta dei passi esegetici sarebbe scaturita, secondo le parole di Paterio, dalla constatazione dell’eccezionalità 19 del commentario gregoriano a Giobbe, conferitale dalla sua capacità di contenere, pur nella spiegazione di un solo libro, quella di tutta la Scrittura. Così, attraverso l’esplicito elogio dell’esaustività dell’esegesi del maestro, Paterio ha implicitamente rivendicato anche l’originalità della propria iniziativa di allestire una raccolta dove l’asistematico flusso esegetico scaturito more fluminis dall’ispirazione del commentatore  20 trovasse un ordine logico. Cf. note di commento relative alle ll. 2, 3-4, 17, 31, 86, 88-89. Cf. note di commento relative alle ll. 2, 17, 31. 18 Cf. note di commento relative alle ll. 17, 17-18, 39. 19 Cf. Prologus, p. 192 ll. 5-6 (quiddam in eis repperi sine comparatione potissimum). 20 Così Gregorio aveva descritto il compito dell’esegeta: sacri enim tractator eloquii morem fluminis debet imitari. Fluvius quippe dum per alveum defluit, si valles ex latere concavas contingit, in eas protinus sui impetus cursum divertit, cumque illas sufficienter impleverit, repente sese in alveum refundit. Sic nimirum, sic divini verbi esse tractator debet, ut, cum de qualibet re disserit, si fortasse iuxta positam occasionem congruae aedificationis invenerit, quasi ad vicinam vallem linguae undas intorqueat et, cum subiunctae instructionis campum sufficienter infuderit, ad sermonis propositi alveum recurrat, Mor, Ep. ad Leandrum, 2 (p. 4 ll. 96-105). 16 17

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Il passaggio dal fine privato a quello pubblico della composizione sarebbe avvenuto per volere dello stesso Gregorio, che perciò definiamo committente formale dell’opera. Questi, richiedendo maggiore accuratezza filologica all’esecutore, avrebbe fissato il primo criterio di indicizzazione, da attuare specificando la provenienza delle citazioni 21. L’idea di introdurre un secondo criterio, quello della progressione biblica, viene invece presentata da Paterio come propria  22, così come l’iniziativa di allargare la base dati dai soli Moralia alle altre opere 23. Non si legge dunque che Gregorio abbia espresso preferenze sulla struttura generale da dare alla silloge, né sul metodo redazionale da utilizzare; si sottintende così che entrambi siano stati approvati dal committente. Eppure proprio il metodo redazionale seguito, che – si noti – ha implicato significativi interventi sul dettato gregoriano, sembra aver preoccupato non poco il notarius, che ne dà ampia giustificazione nella seconda parte del proemio, segnalata da un repentino cambio di orizzonte di attesa nel discorso: finché ha parlato della genesi dell’opera, il suo interlocutore è stato l’anonimo dedicatario; giunto al punto di dover dare descrizione del proprio lavoro, Paterio si rivolge a ogni lector, manifestando la consapevolezza di comunicare allo stesso tempo a un livello privato e pubblico 24 e riservando per quest’ultimo tanto le dichiarazioni con valore programmatico rispetto al genere entro cui si pone l’opera, quanto la giustificazione della libertà che si è preso di segmentare e modellare secondo le proprie esigenze il magmatico continuum esegetico del Padre della Chiesa. La prassi seguita dal compilatore per la selezione e combinazione della materia viene motivata, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, richiamando le caratteristiche del metodo espositivo gregoriano: se l’esegeta ha offerto più livelli di interpretazione (tipica, morale, storica) del medesimo testimonium in luoghi diversi delle sue opere, il compilatore li ha riuniti 25; se la spiegazione di un passo biblico ricompare in più occasioni, con parole simili ma con diverso livello di approfondimento 26, Paterio ha isolato le sole parti utili, eliminando le ripetizioni, e le ha

Cf. Prologus, p. 194 ll. 36-39. Cf. ibid., pp. 194-196 ll. 49-54. 23 Cf. ibid., p. 194 ll. 45-49. 24 Cf. ibid., p. 196 ll. 57-58: Hoc autem lectorem huius operis prae omnibus nosse commoneo: […]. 25 Cf. ibid., ll. 58-63. 26 Cf. ibid., ll. 63-67. 21 22

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IV. La redazione dell’opera 213

adattate a formare un unico nucleo testuale coerente 27. Ciò è all’origine delle discrepanze che il lettore può rilevare fra i paragrafi del florilegio e i rispettivi passi originali 28. Il testo prosegue con la nota strutturale sulla complessiva distribuzione della materia in tre libri 29 e con il congedo finale, contenente la dedica dell’opera al destinatario e un nuovo appello a quisquis legerit 30. Complessivamente, dunque, nel prologo viene data giustificazione, da un punto di vista macrostrutturale, dell’impianto biblico-progressivo del florilegio e, a livello testuale, del complesso degli interventi redazionali attuati sulle fonti affinché l’opera risultasse allo stesso tempo esaustiva, autonoma e non ridondante. Il fatto che Paterio abbia ricondotto ogni sua iniziativa, più che a disposizioni del committente (limitate soprattutto a un aspetto, come si è visto), alle caratteristiche stesse delle fonti su cui si è trovato a operare, e che abbia sentito l’esigenza di avvisarne il lettore, dimostra il grado di conoscenza da lui posseduto dei meccanismi di elaborazione e fruizione dei testi, che ancor più conferma la tesi che egli possa essersi formato in una struttura di produzione e gestione documentale di grande complessità, quale, appunto, la cancelleria papale. IV.2. Il metodo redazionale IV.2.1. Il reperimento del materiale esegetico Il prologo offre indicazioni piuttosto precise sulle operazioni compiute per il reperimento del materiale esegetico e la sua riorganizzazione secondo il criterio più efficace. Si tratta di operazioni svolte in tempi distinti. Si è visto con quanta attenzione Paterio abbia illustrato in particolare la fase del trattamento redazionale delle citazioni e dato giustificazione delle scelte effettuate. Decisamente più sommaria appare la descrizione della fase antecedente del lavoro, quella del censimento e trascrizione dei testimonia e dei relativi commenti, per la quale si limita a dire di non aver tralasciato alcuna delle fonti disponibili e di aver trascritto ogni escerto su opportune schedae. Si deve es-

Cf. ibid., ll. 67-72. Cf. ibid., ll. 73-76. 29 Cf. ibid., pp. 196-198 ll. 76-80. 30 Cf. ibid., p. 198 ll. 81-90. 27 28

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sere trattato, nei fatti, di un lavoro molto meccanico, sul quale tuttavia non sarebbe stato inutile ricevere maggiori informazioni. Sembra in parte supplire a tale carenza, aprendo anche qualche prospettiva interessante per lo studio dell’organizzazione dell’officina della produzione letteraria papale al tempo di Gregorio, nonché per l’interpretazione della funzione della nostra opera, il celebre codice Troyes 504, già richiamato  31, la cui scrittura rimanda a Roma e agli stessi anni di cui qui ci si occupa 32. Il Trecensis contiene la più antica copia nota della Regula pastoralis gregoriana, forse addirittura realizzata nel corso del processo elaborativo di quel trattato, e riportante le tracce della revisione cui la prima versione dell’opera sarebbe stata sottoposta. La presenza degli interventi sul testo iniziale del codice, inseriti in maniera piuttosto omogenea, lascia trapelare il profilo di un “revisore” che si configura «non come un altro semplice scriba, ma come un diretto collaboratore dell’autore, di cui sembra interpretare la volontà» 33. Tra gli interventi riconducibili alla sua mano ce n’è uno che appare qui estremamente interessante: ogni volta che nel testo è presente una citazione scritturistica, egli ha apposto un rinvio al relativo libro biblico nel margine della pagina 34 che doveva servire da segnale per chi, sfogliando il codice, vi cercasse i testimonia trattati o semplicemente citati da Gregorio. Tale accortezza può forse essere stata introdotta in concomitanza con un altro tipo di intervento che è stato operato sulla prima versione della Regula: il sistematico adeguamento delle citazioni bibliche alla lezione della Vulgata geronimiana 35. Si tratta di una forma di miglioramento del testo che è stata messa in

Cf. sopra, p. 182. Come si legge in uno studio sulla struttura e le scritture del codice, esso sarebbe stato «eseguito a Roma nell’ambiente lateranense, subito dopo la redazione dell’opera (fra il settembre del 590 e il febbraio del 591) e comunque nell’arco della vita del pontefice e sotto la sua diretta sorveglianza», Petrucci - Nardelli 2006, p. 28. Si veda anche Clement 1985; Chiesa 2006a. 33 Petrucci - Nardelli 2006, p. 23. 34 I rinvii sono disposti «secondo lo schema figurale “a grappolo” raccomandato da Cassiodoro, concluso sempre da un segno a forma di J. Esso è presente praticamente in tutto il manoscritto, da c. 6r a c. 154r», ibid. 35 Chiesa 2006a, p. 61-63. Lo studioso si chiede se «dietro questa operazione di revisione delle citazioni bibliche non possa esserci l’azione di Paterio», p. 63, specificando che l’allestimento del Liber testimoniorum avrebbe potuto fornire l’occasione per rilevare le numerose difformità fra le citazioni presenti nella Regula e la Vulgata e incitare il pontefice a effettuarne una regolarizzazione. 31 32

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IV. La redazione dell’opera 215

atto anche nelle Homiliae in Evangelia, per le quali, analogamente al caso della Regula, disponiamo di tracce di due edizioni successive 36. Le note bibliche in evidenza rimandano però anche alla dinamica dell’operazione che si ritiene abbia dovuto condurre da Paterio nel corso del censimento del materiale esegetico per il Liber testimoniorum, e viene da chiedersi se tra le une e l’altra non vi sia un collegamento diretto. Non sembrerebbe affatto improbabile che il florilegista, nel censire i testimonia, ne abbia segnalata la presenza nel margine delle pagine degli esemplari delle fonti usate. Sembra anzi configurarsi meglio la struttura del processo da lui seguito in quella fase di lavoro: prima sarebbero stati complessivamente individuati i lemmi, successivamente sarebbe stata curata la trascrizione dei relativi passaggi di testo (limitata a quelli che fossero accompagnati da effettivo commento esegetico). È stato notato che l’accuratezza grafica e l’omogeneità con cui i riferimenti biblici sono stati introdotti nel Trecensis «mostrano che essi erano concepiti come apparato al testo, e non semplicemente come elemento accessorio» 37. Tale apparato cioè, al di là di quelle che possano essere state le esigenze immediate (la correzione delle citazioni bibliche e/o l’escertazione dei relativi passaggi esegetici), sarebbe stato destinato a rimanere caratteristica permanente di un codice, già prezioso per la qualità della fattura, a disposizione degli addetti della cancelleria del pontefice. Ci si può dunque chiedere se anche tali caratteristiche di accuratezza formale dei rimandi possano essere messe in relazione con il progetto del Liber testimoniorum, per il quale Gregorio aveva esplicitamente richiesto che fossero poste in risalto le coordinate di provenienza di ogni paragrafo – una richiesta che, come si è accennato, si motiva solo se i fruitori dell’antologia avessero l’opportunità di risalire si volta in volta alle rispettive fonti. In tal senso, l’apparato dei riferimenti biblici del codex Trecensis sembra dialogare perfettamente con il Liber testimoniorum e costituirne l’esatta controparte. Naturalmente ciò è detto in modo assolutamente ipotetico, in quanto non vi è alcuna certezza che il Trecensis abbia costituito l’esemplare ufficiale della Regula in uso nello scrinium lateranense, né vi sono, nella tradizione manoscritta delle altre opere gregoriane, segnalazioni relative alla presenza di apparati biblici analoghi a quelli del codice di Troyes 38. Étaix 1999. Anche per questo caso si è ipotizzato che all’origine dell’intervento possa esservi stata la redazione del florilegio di Paterio (ibid., pp. LIV-LVI). 37 Chiesa 2006a, p. 62. 38 Se i rimandi biblici del Trecensis fossero parte di un progetto che integrava gli esemplari ufficiali delle opere gregoriane e il Liber testimoniorum, ci si aspetterebbe di trovarne qualche traccia anche nella tradizione delle altre opere – per le quali tuttavia, 36

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IV.2.2. La rielaborazione degli estratti gregoriani

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Nella prefazione alla loro edizione del Liber testimoniorum i Maurini, rifendosi alla prima delle sezioni dell’opera che andavano a pubblicare (dunque alla parte propriamente pateriana), avvisavano il lettore che non tutti i passi che mostravano difformità dai rispettivi contesti di provenienza erano da accogliere quali diverse lezioni (cui dare eventualmente credito per la ricostruzione dei testi gregoriani), in quanto il discepolo aveva, occasionalmente, di propria iniziativa apportato piccole modifiche al dettato del maestro 39: non omnia quae apud Paterium aliter leguntur, quam in locis operum sancti Gregorii assignatis, pro variis et diversis lectionibus habenda esse. Placuit enim aliquando discipulo magistri sententias tantisper mutare.

La lettura del prologo del Liber permette di comprendere che quella delle discrepanze dalle fonti è una caratteristica fondamentale del florilegio, che fa in qualche modo sembrare appropriato l’appellativo di alter Gregorius, con il quale gli editori hanno presentato l’autore 40. Di fatto, non sempre è possibile distinguere un intervento redazionale di Paterio da eventuali residui di recensioni non pervenute delle fonti impiegate. Dalle analisi a cui alcuni brani del florilegio scelti a campione sono stati sottoposti è stato tuttavia possibile concludere che le modifiche ascrivibili al compilatore sono estremamente ricorrenti e che trovano una plausibile spiegazione nell’esigenza di costruire delle piccole unità esegetiche autonome rispetto al contesto di origine. Poiché per mostrare i risultati di tali indagini era necessario far riferimento a un testo più vicino alla tradizione manoscritta di quello disponibile a stampa, quest’ultimo è stato confrontato e corretto su quello del gruppo di codici cui si è già fatto riferimento per la ricostruzione del prologo. È bene sottolineare che le osservazioni che si propongono hanno carattere puramente orientativo. Soltanto quando sarà disponibile il testo critico fondato sull’esame complessivo della tradizione e lo si va sottolineato, non sono disponibili testimoni che per datazione e provenienza possano paragonarsi al Trecensis. Ringrazio Lucia Castaldi e Paolo Chiesa per questa segnalazione. Tuttavia, va anche notato che tale progetto può essersi arrestato mentre era in fieri, in quanto, come si è detto, la redazione del Liber testimoniorum si è presto interrotta. 39 Praefatio in librum s. Paterii de expositione veteris et novi Testamenti, ubi de simili Alulfi opere disseritur, 10, PL 79, coll. 681-682. 40 Cf. sopra, III.6., pp. 174-175.

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IV. La redazione dell’opera 217

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potrà confrontare con le corrispondenti fonti gregoriane, potrà anche essere ricostruito compiutamente il metodo redazionale del florilegista e redatta una tipologia realmente attendibile degli interventi da lui operati. Sembra possibile distinguere fra interventi che riguardano la forma e quelli che riguardano la struttura dei brani citati. Entrambi mirano a procurare l’autonomia e la leggibilità dei segmenti di testo. La loro presenza costituisce solitamente una prova che le unità strutturali che li contengono appartengano alla sezione autentica del florilegio; gli interpolatori, infatti, hanno solitamente riprodotto i passaggi gregoriani in maniera meccanica, senza elaborarli ulteriormente 41. Iniziando dalle modifiche formali, un tipico intervento caratterizzante l’incipit dei paragrafi, o comunque delle parti di attacco degli escerti, consiste nell’eliminazione dei connettivi che legavano questi ultimi al loro contesto di origine 42. È un intervento riscontrabile quasi in tutti gli incipit dei paragrafi del Liber, e in maniera molto meno sistematica in quelli delle ultime due sezioni, sui Proverbi 43 e sul Cantico dei cantici 44, dove il livello di elaborazione formale diminuisce drasticamente, come si vedrà in dettaglio nel prossimo paragrafo. Le parti di attacco sono quelle maggiormente soggette alle trasformazioni della sintassi, attraverso l’inserimento di una proposizione reggente, contenente un nuovo soggetto, o il cambiamento dell’intera struttura del periodo 45. La frase reggente aggiunta da Paterio asSi veda, ad esempio In Ex. 42 (m, coll. 741d-742a), che riproduce Hom. Ev. 38, 10 (CCSL 141, pp. 369 sg. ll. 258-275). Il paragrafo, assente dalla tradizione manoscritta antica, ma leggibile in M, in g e in m, contiene, senza modificarla, un’allocuzione diretta all’uditorio (cf. avanti, nota 48), e questo porta a escluderne senza dubbio l’autenticità: cortinis tabernaculi intexi coccus bis tinctus iubetur. Vos estis, fratres, vos estis cortinae tabernaculi, qui per fidem in vestris cordibus secreta coelestia velatis, m, col. 741d. 42 Congiunzioni o avverbi: autem, vero, enim, etenim, itaque, quippe, iterum, et, quoque, unde, ecc. Ad esempio: In Ex. 46: supernae vocis imperio in utroque humero sacerdos velamine superhumeralis astringitur (cf. m, col. 743d), rispetto a Past. 2, 3 [= 14]: unde supernae quoque vocis imperio in utroque humero sacerdos velamine superhumeralis astringitur, SC 381, p. 182 ll. 28-29. 43 Si veda ad esempio l’incipit di In Prov. 1: Deo enim sermocinari est per illustrationem suae praesentiae humanis mentibus arcana revelare (cf. m, 895b), da Past. 3, 11 [= 35] (SC 382, p. 320 ll. 75-77). 44 Cf. avanti, note 69-71. 45 Ad esempio In Ex. 45: Patres veteris Testamenti, qui ab ipsa incarnatione Redemptoris nostri per intervalla temporum longius constiterunt, foris esse visi sunt. 41

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All’ombra di Gregorio Magno

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sume spesso forma interrogativa retorica per meglio introdurre il significato dei termini-chiave del lemma in questione 46: Paterius, In Num. 2 (cf. m, col. 761d)

Greg. M., Past. 2, 5 (SC 381, p. 198 ll. 44-46)

Quid est quod Moyses crebro tabernaculum intrat et exit, nisi quod is, qui intus in contemplatione rapitur, foris infirmantium negotiis urguetur?

Hinc Moyses crebro tabernaculum intrat et exit; et qui intus in contemplationem rapitur, foris infirmantium negotiis urgetur.

Analogamente, frasi originariamente assertive che si vengano a trovare in posizione iniziale sono spesso trasformate in domande rivolte virtualmente al lettore 47. Il procedimento di astrazione dei passaggi gregoriani comprende anche l’eliminazione, nel caso delle omelie, dei rimandi alla situazione in cui il brano era stato originariamente esposto. Nel florilegio sono state dunque censurate tutte le allocuzioni dirette all’uditorio della predicazione, mentre le forme pronominali e aggettivali di seconda persona sono state passate in prima persona plurale: la destina-

Et quidem ab Abel sanguine (…) (cf. m, col. 743a), rispetto a Hom. Hiez. 2, 3, 16: recte quoque exterius limen illos patres designat, qui ab ipsa incarnatione Redemptoris nostri per intervalla temporum longe constituerunt. Et quidem ab Abel sanguine (…) (CCSL 142, p. 248 ll. 368-370). Un altro esempio in corrispondenza dell’incipit di In Gen. 60: Liquido constat quod nullus iudaeorum qui plene legem didicit, adventum Redemptoris nostri ignoravit (cf. m, col. 713a), che riproduce Mor. 35, 14, 26: Nam nasciturum Christum nullus qui plene legem didicit ignoravit (CCSL 143B, p. 1790 ll. 60-61). In questa frase si ha non solo l’inserimento della proposizione reggente (liquido constat), ma anche la puntualizzazione del soggetto della subordinata (nullus Iudaeorum) e del suo complemento oggetto (adventum Redemptoris nostri). 46 Introdurre la spiegazione del termine-chiave di un testimonium sotto forma di domanda retorica è un procedimento consueto dell’esegesi patristica, di cui lo stesso Gregorio fa grande uso. Sulla probabile influenza esercitata su questa tecnica da parte del genere delle Quaestiones et Responsiones cf. paragrafo III.2., pp. 114115. Tra lo schema della domanda posta nelle Quaestiones et Responsiones e quello del nostro florilegio esegetico c’è una macroscopica differenza: nel primo caso, la domanda che permette lo sviluppo del dialogo è una proposizione interrogativa reale, che prevede una risposta aperta; in Paterio, invece, ciò che introduce la spiegazione del termine-chiave del lemma biblico di volta in volta in esame è un’interrogativa retorica, che non prevede altro che assenso o diniego. 47 Cf. ad esempio In Gen. 6: quid hoc loco per herbam, nisi bona operatio ponitur? [cf. m, col. 687c], che riproduce Mor. 29, 26, 52: herba bona operatio ponitur (CCSL 143B, p. 1469 l. 28).

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IV. La redazione dell’opera 219

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zione del messaggio è stata così estesa dall’interlocutore storico, di cui si è perso ogni connotato, ai fruitori del repertorio esegetico 48: Paterius, In I Reg. 5 (cf. m, col. 792c)

Greg. M., Hom. Ev. 7, 4 (CCSL 141, p. 52 ll. 164-168)

in cunctis ergo quae agimus radicem boni operis humilitatem teneamus, nec quibus iam superiores, sed quibus adhuc inferiores simus aspiciamus, ut dum meliorum nobis exempla proponimus, ad maiora semper ascendere ex humilitate valeamus.

in cunctis ergo quae agitis, fratres mei, radicem boni operis humilitatem tenete, nec quibus iam superiores, sed quibus adhuc inferiores estis, aspicite, ut dum meliorum vobis exempla proponitis, ad maiora semper ascendere ex humilitate valeatis.

Grande attenzione è stata prestata all’eliminazione dei rimandi intratestuali e, nello specifico, degli eventuali riferimenti a testimonia biblici non compresi nella parte selezionata. Qualora questi ultimi si trovassero in frasi necessarie strutturalmente all’economia del brano riprodotto, il redattore è stato costretto a comporre delle frasi sostitutive, simili per forma e senso a quelle soppresse, ma formulate in termini che richiamassero il testimonium che costituisce l’oggetto diretto della spiegazione, come nel caso seguente, tratto da In Ex. 61, che riproduce un passo dei Moralia 49: Paterius, In Ex. 61 (cf. m, coll. 752d- Greg. M., Mor. 30, 6, 24 (CCSL 753a) 143b, pp. 1507s. ll. 59-60 e 67-70) dum igitur alii per armillas et anulos forte magisterium exercent (…); alii per caprarum pilos deplorant aspere quod libenter admiserunt, quasi ex uno figmento opificis coadunata donorum ministeria, in tabernaculum Domini, hoc est intra sanctam Ecclesiam, prout ipse dederit proferuntur.

dum igitur alii per armillas et annulos forte magisterium exercent (…); alii per caprarum pilos, deplorant aspere quod libenter ammiserunt, quasi ex una terra innumerae glebae proferuntur, quia ex uno et pari obsequio facta fidelium disparia procedunt.

Per poter escludere che la versione che compare in Paterio appartenga a una fase redazionale intermedia dei Moralia e che sia realmente frutto di un intervento del compilatore è necessario analizzare il contesto da cui il brano è stato estratto: si tratta della spiegazione di Gb 38, 48 49

Cf. Godding 1988, p. 207; Martello 2005a, p. 211. Mor. 30, 6, 23-24 (CCSL 143B, p. 1507 sg. ll. 35-70).

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All’ombra di Gregorio Magno

38 (Quando fundabatur pulvis in terram et glebae compingebantur). All’interno dell’esposizione di questo lemma, Gregorio inserisce un testimonium secondario: Es 35, 21-23 (Quicquid in cultum et ad vestes sanctas necessarium erat, viri cum mulieribus praebuerunt, armillas et inaures, annulos et dextralia; omne vas aureum in donaria Domini separatum est. Si quis habuit hyacinthum, purpuram, coccum bis tinctum, byssum et pilos caprarum). Poco prima di introdurlo afferma, riferendosi alle diverse categorie dei fedeli: quasi ex una terra est diversa glebarum forma distincta, dum in una fide, in una caritate disparia demonstrantur bene operantium merita 50. Procede quindi all’illustrazione di Es 35, 21-23  51 e infine, per tornare sui suoi passi, si riaggancia all’immagine e alla terminologia propria del lemma principale utilizzando l’espressione che si è vista sopra: quasi ex una terra innumerae glebae proferuntur, quia ex uno et pari obsequio facta fidelium disparia procedunt. La sentenza gregoriana che nel Liber testimoniorum compare alterata è dunque perfettamente coerente con il contesto dei Moralia da cui deriva, e sembra improbabile che avesse originariamente una formulazione diversa, quale quella riportata da Paterio. Assumendo invece il punto di vista del compilatore, ci si accorge che egli ha avuto necessità di astrarre, dalla spiegazione di Gb 38, 38, il solo testimonium tratto dall’Esodo, al fine di porlo quale lemma a capo del suo paragrafo, di conseguenza può aver sentito la frase gregoriana con il riferimento alle glebae e alla terra come estranea alla nuova unità testuale creata e aver deciso di formulare una nuova sentenza, più calzante semanticamente con il proprio contesto (quasi ex uno figmento opificis coadunata donorum ministeria, in tabernaculum Domini, hoc est intra sanctam Ecclesiam, prout ipse dederit proferuntur). Si può perciò concludere che la discrepanza fra il passaggio dei Moralia e la citazione pateriana sia plausibilmente dovuta a un intervento redazionale del compilatore. Locuzioni di diversa ampiezza e natura si trovano qua e là aggiunte a rafforzare i punti-chiave del paragrafo o a suturare parti che sono venute a collidere a seguito di un taglio o di uno spostamento di sequenze 52.

Ibid. 23 (CCSL 143B, p. 1506 ll. 31-33). Ibid. 24 (CCSL 143B, p. 1507 ll. 40-68). 52 Un esempio di frase esplicativa, inserita a integrare il senso del discorso dopo un taglio, in In Lev. 15: hinc est quod superna voce morum vitia per corpora infirma signantur, dum ad Moysen Dominus dicit (cf. m, col. 760a), che riprende Past. 1, 11 (= 11): hinc etenim superna voce ad Moysen dicitur (SC 381, p. 164 ll. 5-6). 50 51

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IV. La redazione dell’opera 221

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Più difficile è infine valutare se talvolta Paterio abbia inserito delle modifiche per attenuare qualche elemento sentito inesatto nell’originale 53. Si tratta, fin qui, di modifiche che si possono definire formali. Passiamo ora ad alcuni esempi di interventi che implicano la trasformazione della struttura del brano di partenza, interventi che trovano ragione, come si è detto, nella stessa fisionomia della comunicazione esegetica del pontefice. I passi biblici di cui Paterio fornisce il commento generalmente non occupano, all’interno del discorso gregoriano, la posizione di lemma principale dell’esegesi (dove, ad esempio, si possono trovare le citazioni dal Libro di Giobbe nei Moralia o di Ezechiele nelle relative Omelie), ma si collocano nella catena dei testimonia subordinati. Per costruire attorno a ciascuno di questi ultimi un paragrafo indipendente ed esaustivo Paterio è stato dunque costretto a intervenire sulla struttura del testo originale per portare dei testimonia di secondo grado ad assumere la posizione di lemma principale, a capo di una catena di citazioni bibliche. A tal fine egli ha operato con notevole libertà, scegliendo di volta in volta la soluzione più opportuna: qualora il testimonium che intendeva illustrare avesse un significato spirituale equivalente al lemma direttamente trattato dall’esegeta nel contesto originale, il suo intervento è potuto consistere nella sostituzione del testimonium al lemma principale (in tutte le occorrenze di quest’ultimo), lasciando immutata la successione delle sequenze del discorso. 53 Sembra possa essere il caso di In Gen. 62, che riporta un passo di Past. 2, 5 [= 16] (SC 198-200 ll. 39-54 = Ep. 1, 24 [CCSL 140, p. 28 ll. 222-235]), relativo a Gen 28, 11. Nella fonte Gregorio fa una citazione solo indiretta del testimonium: hinc Iacob Domino desuper innitente, et uncto deorsum lapide, ascendentes ac descendentes angelos videt, e prosegue: quia scilicet praedicatores recti non solum sursum sanctum caput Ecclesiae, videlicet Dominum, contemplando appetunt, sed deorsum quoque ad membra illius miserando descendunt. Qui l’episodio della visione notturna di Giacobbe è sintetizzato in modo da non precisare l’intreccio degli eventi: nel passo biblico il patriarca unge la pietra sulla quale ha dormito la mattina successiva alla visione avuta in sogno (Gen 28, 18); nella formula implicita usata da Gregorio, invece, si perde la cognizione della corretta successione cronologica dei fatti. Paterio, nel citare il passo gregoriano, ne parafrasa l’inizio, omettendo – forse non a caso – la parte di frase che contiene l’ambiguità (Domino desuper innitente, et uncto deorsum lapide) e la volge nella consueta forma interrogativa retorica: quid per Iacob, nisi praedicatorum persona signatur? Praedicatores quippe recti non solum sursum caput Ecclesiae videlicet dominum contemplando appetunt, sed deorsum quoque ad membra illius miserando descendunt, quod videlicet angeli ascendentes descendentesque demonstrant (cf. m, col. 714b). Allo stesso tempo Paterio pone in rilievo, dislocandolo rispetto alla posizione originaria, il riferimento all’immagine simbolica della salita e discesa degli angeli, che è quanto a lui interessa commentare.

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All’ombra di Gregorio Magno

Si prenda come esempio In Ex. 57 54, che commenta Es 33, 20 (non poteris videre faciem meam. Non enim videbit homo, et vivet), e riproduce Mor. 18, 54, 88-91 55, che invece commenta Gb 28, 20-21 (unde ergo sapientia veniet et quis est locus intellegentiae? Abscondita est ab oculis omnium viventium). Nel contesto originale, la citazione dall’Esodo è un testimonium di secondo grado, e subentra a rafforzare il lemma principale, di cui condivide il medesimo significato spirituale, l’invisibilità di Dio: Paterius, In Ex. 57 (cf. m, coll. 749b- Greg. M., Mor. 18, 54, 88-91 (CC751a) SL 143A, pp. 950-952, ll. 1-3; 1438; 52-69)

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in expositione beati iob, libro xviii.

Dum de visione divinae essentiae tractaretur, adiunctum est: Non poteris videre faciem meam, non enim videbit me homo et vivet. Huic dominicae sententiae, qua ad Moysen dicitur: Non enim videbit me homo, et vivet, Iohannem audi concordantem, qui ait: Deum nemo vidit umquam. Sed cum testamenti veteris patres intueor, multos horum, teste ipsa sacrae lectionis historia, Deum vidisse cognosco. Vidit quippe Iacob Dominum qui ait: Vidi Dominum facie ad faciem, et salva facta est anima mea. Vidit Moyses Deum, de quo scriptum est: Loquebatur Dominus ad Moysen facie ad faciem, sicut loqui solet homo ad amicum suum. Vidit Iob 56 Dominum, qui dicit: Auditu auris audivi te, nunc autem oculus meus videt te. Vidit Isaias dominum, qui ait: Anno quo mortuus est rex Ozias, vidi Dominum sedentem super solium excelsum et elevatum.

Unde ergo sapientia veniet et quis est locus intelligentiae? Abscondita est ab oculis omnium viventium. (…) Sapientia quippe quae Deus est, si omnium viventium oculis occulta esset, hanc procul dubio sanctorum nemo vidisset. Sed ecce huic sententiae Ioannem audio concordantem, qui ait: Deum nemo vidit umquam. Rursumque cum testamenti veteris patres intueor, multos horum, teste ipsa sacrae lectionis historia, Deum vidisse cognosco. Vidit quippe Iacob Dominum qui ait: Vidi Dominum facie ad faciem, et salva facta est anima mea. Vidit Moyses Deum, de quo scriptum est: Loquebatur Dominus ad Moysen facie ad faciem, sicut loqui solet homo ad amicum suum. Vidit isdem Iob Dominum, qui dicit: Auditu auris audivi te, nunc autem oculus meus videt te. Vidit Isaias Dominum, qui ait: Anno quo mortuus est rex Ozias, vidi Dominum sedentem super solium excelsum et elevatum.

Cf. m, coll. 749b-751a. CCSL 143A, pp. 951-954 ll. 16-72, 92-135. 56 Si noti la caduta dell’aggettivo dimostrativo: nel brano originale Giobbe è il soggetto logico, quindi è normale riferirsi a lui come isdem Iob (quello di cui si sta parlando); nella citazione di Paterio Giobbe diviene invece solo un esempio fra i tanti. Cf. un caso opposto più avanti, nota 62. 54 55

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IV. La redazione dell’opera 223

Vidit Michaeas Dominum qui dicit: Vidi Dominum sedentem super solium suum et omnem exercitum caeli assistentem ei a dextris et a sinistris. Quid est ergo quod tot testamenti veteris patres Deum se vidisse testati sunt et tamen de hac sapientia quae Deus est, dicitur: Abscondita est ab oculis omnium viventium; et Ioannes ait: Deum nemo vidit umquam, nisi hoc quod patenter datur intellegi, quia quamdiu hic mortaliter vivitur, videri per quasdam imagines Deus potest, sed per ipsam naturae suae speciem non potest; ut anima, gratia spiritus afflata, per figuras quasdam Deum videat, sed ad ipsam vim eius essentiae non pertingat? (…) Et viderunt ergo patres testamenti Et viderunt ergo patres testamenti veteris Dominum; et tamen, iuxta veteris Dominum; et tamen, iuxta Ioannis vocem: Deum nemo vidit Iohannis vocem: Deum nemo vidit umquam; et iuxta beati Iob senumquam; et iuxta eiusdem Domini tentiam, sapientia quae Deus est, vocem: Nemo Deum vidit et vixit, abscondita est ab oculis omnium quia in hac mortali carne consistenvidentium, quia in hac mortali tibus, et videri potuit per quasdam circumscriptas imagines et videri non carne consistentibus, et videri potuit per quasdam circumscriptas imapotest per incircumscriptum lumen gines et videri non potest per inciraeternitatis. cumscriptum lumen aeternitatis. Sin vero a quibusdam potest Sin vero quibusdam potest in hac in hac adhuc corruptibili carne adhuc corruptibili carne viventibus, viventibus, sed tamen inaestimased tamen inaestimabili virtute cresbili virtute crescentibus, quodam centibus, quodam contemplationis contemplationis acumine aeterna acumine aeterna Dei claritas videri, hoc quoque ab eiusdem veritatis sen- Dei claritas videri; hoc quoque a tentia non abhorret qua dicitur: Non beati Iob sententia non abhorret qui ait: Abscondita est ab ocuenim videbit me homo et vivet, lis omnium viventium; quoniam quoniam quisquis sapientiam quae quisquis sapientiam quae Deus Deus est videt, huic vitae funditus est, videt, huic vitae funditus momoritur ne iam eius amore teneatur. ritur, ne iam eius amore teneatur. Nullus quippe eam vidit qui adhuc carnaliter vivit, quia nemo potest am- Nullus quippe eam vidit qui adhuc carnaliter vivit, quia nemo potest plecti Deum simul et saeculum. Qui amplecti Deum simul et saeculum. enim Deum videt eo ipso moritur Qui enim Deum videt, quo vel intentione cordis vel Vidit Micheas Dominum qui dicit: Vidi Dominum sedentem super solium suum et omnem exercitum caeli adsistentem ei a dextris et a sinistris. Quid ergo quod tot testamenti veteris patres Deum se vidisse testati sunt et tamen ipse dicit: Non enim videbit me homo et vivet; et Iohannes ait: Deum nemo vidit umquam, nisi hoc quod patenter datur intellegi, quia quamdiu hic mortaliter vivitur, videri per quasdam imagines Deus potest, sed per ipsam naturae suae speciem non potest; ut anima, gratia spiritus afflata per figuras quasdam Deum videat, sed ad ipsam vim eius essentiae non pertingat? (…)

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All’ombra di Gregorio Magno

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effectu operis ab huius vitae delectationibus tota mente separatur. Nemo ergo Deum vidit et vixit, ac si aperte diceretur: Nullus umquam Deum spiritaliter vidit et mundo carnaliter vivit. (…)

eo ipso moritur, quo vel intentione cordis vel effectu operis ab huius vitae delectationibus tota mente separatur. Unde adhuc ad eumdem quoque Moysen dicitur: Non enim videbit me homo et vivet. Ac si aperte diceretur: Nullus umquam Deum spiritaliter videt, et mundo carnaliter vivit. (…)

Come si può vedere nei brani di paragrafo qui riprodotti nella colonna di sinistra, Paterio inverte la gerarchia fra le citazioni bibliche della sua fonte e pone Es 33, 20 a capo-catena. Ne conseguono piccole modifiche e tagli al testo di origine, a cominciare dalla sostituzione di Es 33, 20 a Gb 28, 21 nei luoghi dove si trovava quest’ultimo. Si può obiettare che la versione di Paterio possa coincidere con quella composta originariamente da Gregorio, che dunque sarebbe stata pensata proprio come commento a Es 33, 20; tuttavia un’attenta analisi del brano sembra escludere tale eventualità. Rimane infatti un residuo del contesto dei Moralia, forse sfuggito a Paterio, e poco funzionale al testo riorganizzato per il Liber testimoniorum: la frase gregoriana hoc quoque a beati Iob sententia non abhorret qui ait: Abscondita est ab oculis omnium viventium; quoniam quisquis sapientiam quae Deus est, videt, huic vitae funditus moritur, ne iam eius amore teneatur 57, e il corrispettivo in Paterio: hoc quoque ab eiusdem veritatis sententia non abhorret, qua dicitur: Non enim videbit me homo et vivet, quoniam quisquis sapientiam quae Deus est videt, huic vitae funditus moritur ne iam eius amore teneatur 58. Si noti (oltre alla “normale” sostituzione di Gb 28, 21 con Es 33, 20 e di a beati Iob con ab eiusdem veritatis) l’espressione sapientiam quae Deus est, che si spiega solo in relazione al testo dei Moralia, in quanto sapientia è soggetto di abscondita est nel versetto di Giobbe lì commentato. Tale espressione ritorna costantemente nella versione gregoriana (quattro volte nella parte qui riprodotta), e di regola è stata tagliata da Paterio, tranne che nell’ultima occorrenza, dove può semplicemente essere stata dimenticata, o non ritenuta incompatibile con il contesto. In ogni caso si tratta di un indizio del fatto che il testo originario sia quello che leggiamo nella versione uf-

57 58



Mor. 18, 54, 89 (CCSL 143A, p. 952 ll. 62-65). Cf. m, col. 750a.

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IV. La redazione dell’opera 225

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ficiale dei Moralia, e che quello del Liber sia invece l’esito delle trasformazioni operate da Paterio. Nella maggioranza dei casi Paterio, dopo aver individuato la porzione di testo gregoriano utile, lo scompone in piccoli blocchi, isola quello contenente il testimonium prescelto e lo colloca in posizione iniziale del paragrafo che va a costituire, quindi lo fa seguire dalle restanti sequenze di testo, che ricompone nell’ordine che risulta più conveniente. Tali destrutturazioni e ricostituzioni necessitano normalmente di molti interventi sulla forma (adattamento della sintassi e dei “margini” delle frasi che si trovano a collidere, inserimento di frasi di raccordo, e così via)  59. Gli esempi da citare sarebbero moltissimi, e non sempre si può essere sicuri che Paterio abbia deliberatamente modificato il testo o non lo abbia semplicemente riprodotto nella forma che presentava in una redazione non pervenutaci. Si prende come esempio In Ex. 54 60, che riproduce Mor. 9, 16, 23 61, dove la gerarchia delle citazioni bibliche viene chiaramente invertita: 6

2

Paterius, In Ex. 54 (cf. m, coll. Greg. M., Mor. 9, 16, 23 (CCSL 143, pp. 173s. ll. 1-39) 747c-748a) B

Deus cuius resistere irae nemo potest, et sub quo curvantur Dum de distinguenda vi divinae qui portant orbem. Mirum valde quod irae Dei nullum posiracundiae tractaretur, adiunctum est: Dimitte me ut irasca- se resistere dicitur, cum multos indignationis supernae animadtur furor meus contra eos. versionis obviasse elequia diviOmnes sancti qui irae Dei na testantur. An non irae Dei obviant ab ipso accipiunt ut Moyses restitit qui, pro cadente contra impetum percussionis populo erectus, ipsum supernae eius opponantur; atque, ut ita percussionis impetum mortis dixerim, cum ipso se erigunt suae oblatione restrinxit dicens: contra ipsum; eosque vis divina Dimitte illis hanc noxam; aliosibi opponit secum, quia in eo quin dele me de libro tuo quem quod adversum saevientis iram scripsisti? An non irae Dei Aaforas opponent, intus eos gratia ron restitit cum inter viventes in expositione beati iob libro viiii.

A

59 Un’inversione delle sequenze del testo al fine di portare la frase con il testimonium prescelto a capo-catena avviene anche in uno dei tre passi tratti dai Dialogi: In Ios. 1 (cf. paragrafo III.7., nota 282). 60 Cf. m, 747c-748c. 61 CCSL 143, pp. 473-474 ll. 22-35; 2-22; 36-58.

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All’ombra di Gregorio Magno

B

irascentis fovet; et famulantes interius levat quos quasi adversantes exterius tolerat. Portat ergo contradictionem deprecantium quam aspirat; et velut nolenti imponitur quod ab ipso ut fiat imperatur. Moysi ergo dicitur: Dimitte me ut irascatur furor meus contra eos, faciamque te in gentem magnam. Quid est servo dicere: Dimitte me, nisi deprecandi ausum praebere? Ac si ei aperte diceretur: Pensa quanti apud me valeas et cognosce quia obtinere poteris quicquid pro populo exoras.

ac mortuos thuribulum sumA psit, atque animadversionis ignem incensi fumo temperavit? An non Phinees irae Dei restitit qui, luxuriantes cum alienigenis in ipso coitu trucidans, zelum suum divinae indignationi obtulit et furorem gladio placavit? An non David irae Dei restitit qui, angelo ferienti se offerens, placationis gratiam et ante tempus propositum exegit? An non Elias irae Dei restitit, qui longo iam tempore terra arente, subductas de caelo pluvias verbo revocavit? Quomodo igitur divinae irae nullus posse resistere dicitur, cum multos saepe restitisse exemplis exsistentibus demonstratur? Sed si subtiliter et haec beati Iob eloquia, et illorum facta pensamus, et verum cognoscimus quia divinae irae non resistitur, et verum quia multi saepe restiterunt.

A

Sed dum haec ita sint, nimis legentis animus movet, quid est quod econtra, in beati Iob historia per eundem sanctum virum dicitur: cuius resistere irae nemo potest? Mirum valde quod irae Dei nullum posse resistere dicitur, cum multos indignationis supernae animadversionis obviasse eloquia divina testantur. An non irae Dei isdem 62 Moyses restitit, qui pro cadente populo erectus ipsum supernae percussionis impetum mortis suae oblatione restrinxit dicens: Dimitte illis hanc noxam;

Omnes enim sancti qui irae Dei B obviant ab ipso accipiunt ut contra impetum percussionis eius opponantur; atque, ut ita dixerim, cum ipso se erigunt contra ipsum; eosque divina vis sibi opponit secum, quia in eo quod adversum se saevientis iram foris obtinent, intus eos gratia irascentis fovet; et famulantes interius levat quos quasi adversantes exterius tolerat. Portat ergo contradictionem deprecantium quam aspirat; et velut nolenti imponitur, quod ab ipso ut fiat imperatur.

Isdem è assente dalla versione dei Moralia, in quanto Mosé non è ancora stato citato, in Paterio invece ha valore epanalettico, e serve a rafforzare i legami con la prima parte del paragrafo. 62

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IV. La redazione dell’opera 227

A

alioquin dele me de libro quem scripsisti? An non irae Dei Aaron restitit cum inter viventes ac mortuos thuribulum sumpsit atque animadversionis ignem incensi fumo temperavit? An non Phinees irae Dei restitit, qui luxuriantes cum alienigenis in ipso coitu trucidans, zeluum suum divinae indignationi obtulit et furorem gladio placavit? An non David irae Dei restitit, qui angelo ferienti se offerens, placationis gratiam et ante tempus propositum exegit? An non Elias irae Dei restitit, qui longo iam tempore terrae aridae subductas de caelo pluvias verbo revocavit? Quomodo igitur divinae irae nullum posse resistere dicitur, cum multos saepe restitisse exemplis exsistentibus demonstratur? Sed si subtiliter et beati Iob eloquia et illorum facta pensamus, et verum cognoscimus quia divinae irae non resistitur, et verum quia multi saepe restiterunt.

Moysi etenim dicit: Dimitte me B ut irascatur furor meus contra eos, et deleam eos; faciamque te in gentem magnam. Quid est servo dicere: Dimitte me, nisi deprecandi ausum praebere? Ac si aperte diceretur: Pensa quantum apud me valeas, et cognosce quia obtinere poteris quicquid pro populo exoras. Quod quia hac mente agitur, statim venia subiuncta testatur.

C

Nam quo plerique sanctorum irae Domini, sicut uniuscuiusque superius ordo narratus edocuit . Resisti autem irae Dei non potest, cum eius indignatio sese, ut ita dixerim, medullitus movet. Quae dum se moverit, hanc oppositio humana non retinet, nec se utiliter cuiuslibet deprecatio obicit, cum semel Deus aliquid ab intimis irascendo disponit. (…)

Cum vero superna indignatio sese, ut ita dixerim, medullitus movet, hanc oppositio humana non retinet; nec se utiliter cuiuslibet deprecatio obicit, cum semel Deus aliquid ab intimis irascendo disponit. (…)

C

La sequenza centrale del paragrafo dei Moralia (B), dove compare Es 32, 10 (Dimitte me ut irascatur furor meus contra eos, et deleam eos; faciamque te in gentem magnam), nel Liber testimoniorum viene

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anticipata, mentre quella iniziale (A), su Gb 9, 13 (Deus cuius resistere irae nemo potest, et sub quo curvantur qui portant orbem), che il florilegista conserva in quanto costituisce un’utile integrazione del discorso, viene posposta. Per operare lo spostamento il notarius è costretto ad aggiungere due frasi di raccordo, estranee al testo dei Moralia: sed dum haec ita sint (…) nemo potest 63; namque plerique sanctorum (…) non potest 64, e a introdurre molti aggiustamenti alla sintassi del testo. La nuova disposizione delle sequenze (funzionale allo scopo di Paterio di illustrare l’Esodo, ma non a quello di Gregorio di spiegare Giobbe), fa pensare che sia stato Paterio a operare lo spostamento e a creare di propria iniziativa le frasi di raccordo. Sviluppando ulteriormente l’analisi sarebbe possibile apprezzare eventuale varietà di atteggiamento da parte del florilegista nei confronti delle singole opere gregoriane, e in qualche caso riconoscere, sotto lo strato degli interventi redazionali, passaggi effettivamente diversi da quelli delle versioni ufficiali licenziate da Gregorio, ma per ottenere tali risultati sarebbe necessario operare un confronto incrociato della tradizione delle singole opere con quella del Liber, come già hanno dimostrato gli studi di Étaix sulla Homiliae in Evangelia e di Chiesa sulla Regula pastoralis. IV.2.3. La sezione sul Cantico dei cantici Le ultime due sezioni del Liber presentano, come si è più volte ripetuto, un livello di elaborazione decisamente inferiore a quello delle precedenti, tanto da essere sospettate di inautenticità da Étaix 65. L’analisi della tradizione manoscritta permette, come si è visto, di avanzare l’ipotesi secondo cui le due sezioni risalgano effettivamente a Paterio e rappresentino un diverso stadio redazionale dell’opera, ossia quello della semplice raccolta di materiale grezzo, non ulteriormente elaborato. Concentrando l’attenzione sulla sola sezione relativa al Cantico, si offrirà di seguito qualche esempio per chiarire in cosa consista la differenza nel livello elaborativo. In considarazione della particolare inattendibilità della versione a stampa di questa sezione, l’analisi è condotta

62



Cf. m, col. 747c-d. Cf. ibid., 748a. 65 Étaix 1958, pp. 67-73. 63 64

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IV. La redazione dell’opera 229

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direttamente sul gruppo di codici di riferimento. La numerazione dei paragrafi rispetta la quantità presente effettivamente nei manoscritti; la corrispondenza con m viene comunque sempre specificata tra parentesi, salvo il caso che essa non riporti affatto il brano presente nei codici. Ripercorrendo la casistica di interventi che il florilegista ha ordinariamente effettuato sul materiale gregoriano, appare anzitutto evidente che dai paragrafi sul Cantico sono del tutto assenti modifiche di tipo strutturale sui passi gregoriani, quali la scomposizione delle sequenze al fine di trascinare un testimonium secondario a capo-catena o la sostituzione fra lemmi esegetici. Si nota d’altronde una complessiva maggiore brevità dei paragrafi, che pregiudicherebbe lo stesso spazio per eventuali interventi strutturali. La brevità è di per sé indice di mancata rielaborazione da parte dell’autore che, in generale, non ha neppure operato fusioni fra estratti di diversa provenienza per creare paragrafi compositi 66. Rispetto a quest’ultima caratteristica è possibile individuare una apparente eccezione, costituita dal frammento residuale Tempera. Si è detto come esso potesse costituire in origine il seguito del paragrafo In Cant. 34. Secondo la ricostruzione del caso proposta sulla base dell’analisi dei dati filologici, i due brani in questione potrebbero aver fatto parte di un testo unico, probabilmente situato nella medesima opera, vale a dire la versione delle Homiliae in Hiezechihelem precedente a quella ufficiale 67. Si spiegherebbe così non solo l’apparente duplice provenienza delle citazioni che lo compongono (il testo del frammento Tempera appartiene alle Homiliae in Hiezechihelem; il testo di In Cant. 34 si riscontra invece nell’attuale testo dei Moralia, dove sarebbe stato spostato da Gregorio in seguito alla rimodulazione dell’interno brano), ma anche l’altra vistosa anomalia del “paragrafo”, vale a dire il fatto che il le-

Per la verità una fusione di passaggi di diversa provenienza si nota, nei codici del gruppo rappresentato da F, in corrispondenza di In Cant. 1 (m = 1, col. 905a-b), che risulta composto da Mor. 14, 43, 51 (CCSL 143a, p. 729 ll. 9-11) + Hom. Ev. 33, 6 (CCSL 142, p. 294 ll. 166-167). Nel ramo di A il paragrafo è limitato alla sola citazione dai Moralia. Considerata la dimensione ridottissima delle due citazioni e il fatto che la fusione contraddistingua un solo ramo della tradizione, si è portati a considerare il passaggio dalle Homiliae in Evangelia come un’aggiunta non originaria, caso non unico nel ramo di F (si veda il paragrafo aggiuntivo sui Corinzi alla fine della sezione sul IV Libro dei Re, cf. sopra, p. 145). Bisogna aggiungere che in F il passaggio dalle Omelie non si presenta saldato senza soluzione di continuità con il precedente, ma è provvisto di una intestazione propria (item vnde svpra) che ne fa un paragrafo indipendente. 67 Cf. sopra, pp. 141-142. 66

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game tra i due passaggi sia solamente di natura tematica – in quanto basato sul valore allegorico dell’oro – e non esegetica 68. Tornando al tentativo di individuazione di un eventuale livello di rielaborazione degli estratti della sezione sul Cantico, resta da sondare l’ambito delle micromodifiche formali. Si è visto come nell’incipit dei paragrafi il florilegista abbia generalmente prestato attenzione a eliminare i residui dei legami sintattici con il contesto originario, a partire dai semplici connettivi esplicativi: nel caso del Cantico, su quarantasette paragrafi, ventiquattro mantengono il connettivo iniziale del passo riprodotto 69 e soltanto dieci lo eliminano 70, mentre i restanti tredici riproducono un brano di testo che già originariamente non lo presentava 71. Non sono generalmente apprezzabili ulteriori modifiche della sintassi iniziale, salvo rari casi: Paterius, In Cant. 26 (m = 29, coll. 911d-912a)

Greg. M., Mor. 30, 13, 48 (CCSL 143B, p. 1524 ll. 56-60)

in expositione beati iob libro xxx

Istae incurvatae cervae in Canticis canticorum sponsi ubera sunt vocatae, sicut scriptum est: Meliora sunt ubera tua vino. Ista enim sunt ubera, quae in arca pectoris fixa, lacte nos potant, quia ipsi arcanis summae contemplationis inhaerentes, subtili praedicatione nos nutriunt.

Meliora ubera tua vino. Ubera sunt quae in arca pectoris fixa lacte nos potant, quia ipsi arcanis summae contemplationis, summe inhaerentes, subtili praedicatione nos nutriunt.

Qui il florilegista ha semplificato l’inizio della frase, invertendo la posizione di soggetto e copula; si tratta di un intervento minimo, pro68 Il passaggio dai Moralia fa riferimento a Ct 5, 11 (caput eius aurum optimum), mentre quello dalle Omelie a Ez 1, 4c (et de medio eius quasi species electri id est de medio ignis). Il legame tematico fra due estratti di diversa provenienza sarebbe apparso normale in un florilegio strutturato per sententiae, mentre genera qualche perplessità in un florilegio esegetico, e Paterio stesso non sembra averlo ammesso nel prologo, dove ha parlato solo di fusione di citazioni relative al medesimo testimonium. 69 In Cant. 3 (m = 3); 4 (m = 5); 5 (m = 6); 7 (m = 8); 8 (m = 9); 10 (m = 11); 11 (m = 12); 13 (m = 15); 14 (m = 17); 16 (m = 19); 19 (m = 22); 20 (m = 23); 21 (m = 24); 23 (m = 26); 25 (m = 28); 27 (m = 30); 29; 31 (m = 34); 35 (m = 37); 37 (m = 39); 41 (m = 43); 42 (m = 44); 43 (m = 45); 46 (m = 48). 70 In Cant. 1 (m = 1); 2 (m = 2); 12 (m = 13); 18 (m = 21); 24 (m = 27); 26 (m = 29; in realtà qui si nota un più complessivo aggiustamento della frase originaria, operato probabilmente in maniera automatica dall’autore quando ha selezionato il brano, cf. avanti); 28 (m = 31); 34 (m = 36); 36 (m = 38); 38 (m = 40). 71 In Cant. 6 (m = 7); 9 (m = 10); 15 (m = 18); 17 (m = 20); 22 (m = 25); 30 (m = 33); 32; 33; 39 (m = 41); 40 (m = 42); 44 (m = 46); 45 (m = 47); 47 (m = 49).

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IV. La redazione dell’opera 231

babilmente operato in maniera automatica all’atto stesso della selezione e copiatura del passo. Rimanendo sulle modifiche dell’incipit, è interessante quanto si osserva in In Cant. 1: Paterius, In Cant. 1 (m = 1, col. 905a-b)

Greg. M., Mor. 14, 43, 51 (CCSL 143A, p. 729 ll. 9-11)

Taio, Sent. 2, 12 (PL 80, 793a)

Sancta quippe Ecclesia quot praecepta ex eius praedicatione cognovit, quasi tot oris eius oscula accepit.

Sancta Ecclesia quot praecepta ex Redemptoris nostri praedicatione cognovit, quasi tot oris eius oscula accepit.

in expositione beati

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iob libro xiii

Osculetur me osculo oris sui. Sancta Ecclesia quot praecepta ex eius praedicatione cognovit, quasi tot oris eius oscula accepit.

Il compilatore qui ha, contrariamente al solito, seguito l’accorgimento di lasciar cadere il connettivo iniziale, ma, si noti, non ha sciolto il pronome eius, che solo dal contesto dei Moralia ricaviamo essere riferito a Cristo. Taione di Saragozza, che cita lo stesso passaggio nel suo Liber sententiarum, trasforma il pronome in sostantivo. Sembra venga mantenuta da parte del compilatore l’attenzione all’omissione di allocuzioni dirette all’uditorio originario delle omelie, come si nota nell’unico caso a disposizione 72: Paterius, In Cant. 10 (m = 11, col. 907b)

Greg. M., Hom. Ev. 29, 10 (CCSL 141, pp. 253-254 ll. 229-235)

in expositione evangelii omelia xxix

Ecce iste venit saliens in montibus et transiliens colles. Consideravit namque tantorum Consideravit namque tantorum operum culmina, et ait: Ecce iste operum culmina et ait: Ecce iste vevenit saliens in montibus. nit saliens in montibus.

Invece Beda, nel citare il medesimo passo gregoriano, lascia intatta l’allocuzione al pubblico (In Cant. 6 [CCSL 119B, p. 362 ll. 129-130]). 72

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All’ombra di Gregorio Magno

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Veniendo quippe ad redemptionem nostram, quosdam, ut ita dixerim, saltus dedit. De caelo venit in utero, de utero venit in praesepe, de praesepe venit in cruce, de cruce venit in sepulcro, de sepulcro rediit in caelum. Ecce, ut nos post se currere faceret, quos pro nobis saltus manifestata per carnem Veritas dedit.

Veniendo quippe ad redemptionem nostram quosdam, ut ita dixerim, saltus dedit. Vultis, fratres carissimi, ipsos eius saltus agnoscere? De caelo venit in uterum, de utero venit in praesepe, de praesepi venit in crucem, de cruce venit in sepulcrum, de sepulcro rediit in caelum. Ecce ut nos post se currere faceret, quos pro nobis saltus manifestata per carnem Veritas dedit.

Il brano seguente, di cui si riproduce buona parte, mostra contemporaneamente i segni della mancata rielaborazione secondo i criteri impostati dall’autore (in particolare quello dell’eliminazione dei riferimenti intratestuali), e al tempo stesso indizi del fatto che l’operazione di escertazione del materiale esegetico sia comunque stata condotta con perizia: Paterius, In Cant. 21 (m = 24, coll. Greg. M., Hom. Hiez. 2, 3, 13-15 [CCSL 142, pp. 245-247 ll. 277-338] 909d-910b) Unde recte sponsa in Canticis canticorum loquitur, dicens: Ferculum Ferculum fecit sibi rex Salomon de fecit sibi rex Salomon de lignis Lilignis Libani, columnas eius fecit bani, columnas eius fecit argenteas, argenteas, reclinatorium aureum, reclinatorium aureum, ascensum ascensum purpureum, media caritate purpureum, media caritate constraconstravit propter filias Hierusalem. vit propter filias Hierusalem. Neque Neque enim credendum est Saloenim credendum est Salomonem monem tantae magnitudinis regem, tantae magnitudinis regem, qui sic qui sic immensis divitiis affluebat immensis divitiis affluebat ut ponut pondus auri eius aestimari non dus auri eius aestimari non posset, possit, et argentum in diebus illis et argentum in diebus illis pretium pretium non haberet, quia ferculum non haberet, quia ferculum sibi sibi ligneum fecit. Sed est Salomon ligneum fecit. Sed est Salomon; videlicet pacificus noster, qui sibi de est videlicet et pacificus noster, lignis Libani ferculum fecit. Libaqui sibi de lignis Libani ferculum ni quippe ligna cedrina valde sunt fecit. Libani quippe ligna cedrina imputribilia. Ferculum itaque regis valde sunt imputribilia. Ferculum nostri sancta Ecclesia est, quae de itaque Regis nostri sancta Ecclesia fortibus patribus, id est de impuest, quae de fortibus patribus, id tribilibus mentibus est constructa. est de imputribilibus mentibus est Quae rite ferculum dicitur; quia ipsa constructa. Quae recte ferculum difert cotidie animas ad aeternum con- citur, quia ipsa fert cotidie animas ad vivium conditoris sui. aeternum convivium Conditoris sui. in commentario hiezechihelis omelia iii

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IV. La redazione dell’opera 233

Cui ferculo columnae argenteae factae sunt, quia praedicatores Ecclesiae luce resplendent. Est autem cum columnis argenteis reclinatorium aureum, quia per hoc quod a sanctis praedicatoribus lucide dicitur, mentes audientium fulgorem claritatis intimae, in qua reclinentur inveniunt; per hoc enim quod luculente et aperte audiunt, in illud quod clarescit in corde requiescunt. Columnae ergo argenteae, et reclinatorium aureum factum est, quia per lucem sermonis invenitur apud animam claritas quietis. Ille iam quippe quietus fulgor internus mentem irradiat, ut per intentionem ibi requiescat, ubi praedicationis gratia non perquiratur.

Cui ferculo columnae argenteae factae sunt, quia praedicatores Ecclesiae sanctae eloquii luce resplendent. Est autem cum columnis argenteis reclinatorium aureum, quia per hoc quod a sanctis praedicatoribus lucide dicitur, mentes audientium fulgorem claritatis intimae, in qua reclinentur inveniunt. Per hoc enim quod luculente et aperte audiunt, in illud quod clarescit in corde requiescunt. Columnae ergo eius argenteae et reclinatorium aureum factum est, quia per lucem sermonis invenitur apud animum claritas quietis. Ille quippe fulgor internus mentem irradiat, ut per intentionem ibi requiescat, ubi praedicationis gratia non quaeratur. De eadem quippe sancta Ecclesia scriptum est: Pennae columbae deargentatae, et posteriora dorsi eius in specie auri. Quae enim hic spiritu mansuetudinis impleta quasi columba pennas deargentatas habet, in posteriora dorsi eius speciem auri continet, quia hic praedicatores suos sermonis luce induit, in posteriori autem saeculo fulgorem in se Sed ad hoc quod clarum intus osten- claritatis ostendit. Sed ad hoc quod clarum intus ostenditur, qualis sit ditur, qualis sit ascensus adiungit, cum de eodem ferculo protinus sub- ascensus adiungit, cum de eodem dit: Ascensum purpureum. ferculo protinus subdit: Ascensum (…) purpureum. (…) Habe quippe caritatem, et ibi sine dubio pervenis, ubi et columna argentea erigitur, et ascensus purpureus tenetur. Nam quia hoc propter nostram infirmitatem dicitur, aperte monstratur, cum illic protinus subdidit: Propter filias Hierusalem. Sermo etenim Dei, qui non filios, sed filias dicit, quid aliud per sexum femineum, quam mentium infirma signavit? Quod ergo illic

Habe quippe caritatem, et ibi sine dubio pervenis, ubi et columnae argenteae eriguntur, et ascensus purpureus tenetur. Tamen quia hoc propter nostram infirmitatem dicitur, aperte monstratur, cum illic protinus subdit: Propter filias Hierusalem. Sermo etenim Dei qui non filios, sed filias dicit, quid aliud per sexum femineum quam mentium infirma signavit? Quod ergo illic

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All’ombra di Gregorio Magno

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inter columnas argenteas reclinatorium aureum, et ascensum purpureum, inesse media caritas dicitur propter filias Hierusalem, hoc hic inter thalamos per quinque cubitos designatur, quia et qui in virtutibus infirmantur, si ipsi bona quae possunt facere cum caritate non neglegunt, a Dei aedificio alieni non sunt.

inter columnas argenteas, reclinatorium aureum, et ascensum purpureum, inesse media caritas dicitur propter filias Hierusalem, hoc hic inter thalamos per quinque cubitos designatur, quia et qui in virtutibus infirmantur, si ipsi bona quae possunt facere cum caritate non neglegunt, a Dei aedificio alieni non sunt.

Si nota, verso la fine del paragrafo un elemento di trascuratezza formale che non sarebbe stato accettato nelle prime sezioni del florilegio, ossia un richiamo analettico a una parte dell’omelia precedente a quella riprodotta: hic (= in questa omelia) inter thalamos per quinque cubitos designatur, che rimanda a una sequenza in cui Gregorio aveva illustrato il significato della distanza tra le camere nuziali (Hom. Hiez. 2, 3, 12-13) 73. Il confronto fra la versione gregoriana e quella pateriana del lungo passaggio offre un secondo elemento di riflessione. Il brano in questione consiste in un commento a Ct 3, 9-10, e come tale viene escertato da Paterio; esso contiene al suo interno un testimonium di secondo grado relativo a Sal 67, 14b (pennae columbae deargentatae, et posteriora dorsi eius in specie auri), che viene invece tralasciato dal compilatore. Sembra plausibile che il passo omesso, che costituiva un’unità esegetica e testuale autonoma, possa essere stato escertato a parte, per essere inserito nella sezione sui Salmi; tuttavia in quest’ultima quel passaggio non si incontra. Al suo posto, sempre a commento del medesimo testimonium biblico, si trova un testo diverso, che i manoscritti dichiarano provenire pure dalle Omelie su Ezechiele e che, tuttavia, non compare nella loro versione nota: si tratta cioè di uno dei brani gregoriani inediti e trasmessici dal solo Liber testimoniorum  74. 73 Un caso analogo è riscontrabile in In Cant. 28 (m = 31), dove viene tralasciato un riferimento (Interiora ergo Austri) a un versetto del libro di Giobbe (9, 9) estraneo al paragrafo in questione e pertinente invece al contesto del brano gregoriano. 74 In Ps. 139 (m, col. 858c-d), che corrisponde al Fragmentum xv dell’edizione di Adriaen: In commentario Hiezechihelis homilia xi. Si dormiatis inter medios cleros, pennae columbae deargentatae, et posteriora dorsi eius in specie auri. Cleros Latina lingua sortes dicimus. Dormire autem nostrum est a prava actione quiescere. Et quia electi quique a perversorum operum se inquietudine compescunt, terrena deserunt, caelestia concupiscunt nimirum inter medios cleros dormiunt, quoniam fugiendo temporalia, et aeterna praemia desiderando, a perversis actibus quiescunt. Mente quippe ad summa evolant, unde et pennae vocati sunt. Quae bene penne columbae deargentatae esse me-

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IV. La redazione dell’opera 235

L’analisi del passaggio porta a escludere che esso potesse costituire la versione precedente di quello che attualmente si legge in Hom. Hiez. 2, 3, 14: il frammento inedito contiene infatti, rispetto a quello edito, la spiegazione di una frase in più (Sal 67, 14a = si dormiatis inter medios cleros), e tale ulteriore porzione apparirebbe del tutto superflua nel contesto del brano omiletico in questione. Per la parte in comune (Sal 67, 14b), invece, i due frammenti offrono la medesima interpretazione dei simboli biblici. Ammesso che entrambi i testi fossero presenti nella versione primitiva del commento gregoriano a Ezechiele, rimane ragionevole credere che quello inedito si trovasse in un punto diverso dell’opera e che, per qualche motivo, sia stato cassato da Gregorio dalla redazione definitiva. Poiché non conosciamo il contesto originario, non è possibile esprimere ipotesi sul motivo per cui il pontefice l’avrebbe espunto, salvo sottolineare il fatto che il brano costituiva un “doppione” – sebbene più articolato! – di quello lasciato in essere. Si aggiungerà una considerazione circa la scelta effettuata di Paterio: essendo questi interessato a fornire la massima completezza d’informazione possibile relativamente ai singoli testimonia, sembra naturale che, delle due versioni disponibili di commento a Sal 67, 14, abbia scelto per il suo florilegio quella più estesa, a cui l’altra, che leggiamo nelle Omelie, non apporta concettualmente nulla, e con la quale non era neppure necessario operare una fusione. Tuttavia non stupisce che entrambi i passaggi possano essere stati in un primo tempo selezionati, in quanto l’operazione di individuazione del materiale esegetico e quella dell’allestimento delle sezioni bibliche attengono a momenti ben distinti del processo compositivo (si noti che il paragrafo sui Salmi rientra in una sezione del florilegio che si può ritenere compiuta dal punto di vista redazionale). L’omissione del passaggio sui Salmi dal paragrafo 21 della sezione sul Cantico può dunque costituire un indizio dell’accuratezza con cui è stata condotta la selezione del materiale esegetico, durante la quale

morantur. Columba vero deargentata, sancta Ecclesia est, quae aperte praedicationis luce resplendet. Sed haec columba in pennis quidem deargentata est, sed posteriora dorsi eius in auri specie refulgent, quia sancta Ecclesia, quae modo per praedicantium linguas clara est, in illa remunerazione, quae sequitur, non iam argenti sed auri fulgore decoratur. Ad illa quippe invisibilia bona perveniens, ad illa caelestia dona pertingens, quae nec oculus vidit, nec auris audivit, iam praedicationis eloquio non indigebit, sed sola auri specie in posterioribus pulchra est, quia in eo, quod post accipiet, solo resplendet fulgore claritatis (CCSL 142, p. 428 ll. 1-21).

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All’ombra di Gregorio Magno

si è badato a escertare separatamente i nuclei testuali relativi a testimonia diversi 75. Se dal caso precedente è apparso che la selezione dei testi sia stata condotta in modo accurato, un ulteriore caso attenua la portata di questo assunto:

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Paterius, In Cant. 8 (m = 9, coll. Greg. M., Mor. 6, 25, 42 [CCSL 143, 906d-907a) p. 315 ll. 19-25, 35-39] in expositione beati iob libro vi. Vulnerata caritate ego sum. Male enim sana anima, atque in huius exilii caeca securitate prostrata, nec videbat Dominum, nec videre requirebat. Percussa autem caritatis eius spiculis vulneratur in intimis affectu pietatis, ardet desiderio contemplationis et miro modo vivificatur ex vulnere quae prius mortua iacebat in salute. (…)

Unde et sponsa in Canticis canticorum dicit: Vulnerata caritate ego sum. Male enim sana anima, atque in huius exsilii caeca securitate prostrata, nec videbat Dominum, nec videre requirebat; percussa autem caritatis eius spiculis, vulneratur in intimis affectu pietatis, ardet desiderio contemplationis et miro modo vivificatur ex vulnere quae prius mortua iacebat in salute. (…) Voluptates priscae ad memoriam Voluptates priscae ad memoriam reredeunt, et contradicentem mentem deunt, et contradicentem mentem gravi certamine affligunt. Sed qui gravi certamine affligunt. Sed quia dum transitorio labore atterimur, a dum transitorio labore atterimur, a perpetuo dolore liberamur. perpetuo dolore liberamur, apte subiungitur (…).

La mancanza di verifica sia sulla forma che sul contenuto è qui evidente: nel selezionare il brano è stata copiata erroneamente una frase in più (sed qui[a] … liberamur), che nel contesto originario serve da passaggio logico a un nuovo testimonium. Tale frase, una proposizione causale introdotta da quia e priva della sua reggente, risulta sintatticamente insostenibile e deve aver causato qualche imbarazzo ai copisti: il qui che si trova nella maggior parte dei manoscritti presi in esame (e spesso espunto dai successivi lettori, ma ancora leggibile)

Si noti che Beda, che riproduce lo stesso passo gregoriano, omette anch’egli l’inserto su Sal 67, 14 (Cf. Beda, In Cant. 6 [CCSL 119B, pp. 366s. ll. 284-322]). 75

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IV. La redazione dell’opera 237

può essere frutto di un tentativo di correzione operato in una fase precoce della tradizione.

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In sintesi, gli interventi articolati e in quache caso raffinati attuati da Paterio sul materiale esegetico gregoriano nelle sezioni del Liber che vanno dal Genesi ai Salmi non sono affatto riscontrabili in quella sul Cantico, e talvolta i principali criteri redazionali seguiti dal compilatore appaiono persino contraddetti. Appare dunque verosimile che l’ultima sezione del florilegio rispecchi (assieme alla sezione sui Proverbi) il risultato della prima fase del processo compositivo, quello della semplice escertazione del materiale esegetico.

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All’ombra di Gregorio Magno

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V. Un prodotto letterario dello scrinium lateranense tra fine vi e inizio vii secolo 239

COnclusione

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UN PRODOTTO LETTERARIO DELLO SCRINIUM LATERANENSE TRA FINE VI E INIZIO VII SECOLO

Senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, si è tentato di sviluppare un percorso di ricerca attorno alla raccolta esegetica nota come Liber testimoniorum e alla figura cui viene attribuita, il discipulus Gregorii Paterio. La relativa scarsità di notizie e studi di riferimento ha reso necessario dare a questo percorso un carattere relativamente diversificato che sondasse più ambiti al fine di cogliere le caratteristiche proprie dell’opera, contestualizzarla dal punto di vista letterario e storico, seguire le vicende della sua tradizione. Tra gli obiettivi perseguiti, quello di ricostruire la fisionomia dell’autore ha offerto l’occasione per soffermarsi su una figura professionale importante nel contesto dello sviluppo dell’attività amministrativa della Chiesa romana a partire dal V secolo, quella del notarius, su cui sembra opportuno ritornare per svolgere qualche riflessione conclusiva. Si è visto come alla fine del VI secolo la categoria vanti un indubbio prestigio, dimostrato dal vasto campo in cui si esplica la sua attività, su cui offre ampiamente testimonianza l’epistolario gregoriano. Troviamo notarii impegnati a ogni livello nell’amministrazione e nell’organizzazione dei patrimonia e degli interessi territoriali della Chiesa di Roma e della popolazione di sua pertinenza, e ancora nella gestione dei rapporti con le altre sedi vescovili, l’impero, i regna 1. In tali ambiti, per la verità, le loro prerogative non appaiono molto dissimili da quelle dei defensores e degli appartenenti ai sacri ordines (dai quali, naturalmente, li distinguono le responsabilità pastorali e liturgiche), come prova l’omogeneità con la quale si trovano distribuiti, appunto, fra notarii, defensores, suddiaconi, diaconi e presbiteri gli incarichi di rettorato, che prevedevano l’accentramento nella medesima persona dei più ampi poteri di controllo e gestione dei patrimonia e richiedevano da parte dell’investito una vasta preparazione.

1

Cf. II.2.2.

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All’ombra di Gregorio Magno

Se ciò dimostra un adeguamento verso l’alto delle prerogative dei notarii, si può ancora individuare un settore specifico di competenza, almeno nel contesto dell’amministrazione romana, che li distingue dalle altre cariche dell’apparato ecclesiastico: quello della gestione degli aspetti concreti della comunicazione tra l’istituzione in cui operano e l’esterno 2. Di ciò si ha la testimonianza esplicita di Gregorio, che in più occasioni fa loro riferimento nella qualità di exceptores delle parole da lui dettate 3, di lettori nei contesti ufficiali 4, di estensori dei documenti istituzionali 5. Ma il pontefice lascia un accenno esplicito anche a un’altra funzione, che deve aver costituito un dovere quotidiano per i suoi collaboratori: la produzione diretta, al suo posto, della corrispondenza a suo nome relativa (per lo meno) alla routine amministrativa 6, una funzione che è stata dimostrata dagli studi sull’impiego del cursus nelle epistole del Registrum 7. Con il caso della redazione del Liber testimoniorum si ha testimonianza di un livello di impegno intellettuale ulteriormente diverso: ai notarii sarebbe stata, all’occasione, commissionata la realizzazione di strumenti finalizzati a coadiuvare l’attività pastorale del pontefice in carica e promuovere la diffusione e la conoscenza della sua esegesi delle Scritture. Sembra legittimo domandarsi, dunque, se l’impegno letterario di Paterio sia stato un episodio isolato nella storia della figura professionale da lui rappresentata – un caso capitato nel corso di un pontificato già straordinario dal punto di vista della produzione di testi e della trasmissione dei documenti, frutto del fortunato incontro tra le sue competenze e l’intuito di Gregorio Magno –, oppure rientri fra i compiti previsti per la sua carica. Documentazione relativa a episodi analoghi sembra scarseggiare, e dunque non resta che prendere in con-

Cf. II.2.1. Cf. Hom. Hiez. 1, Praefatio. 4 Cf. Ep. 11, 15; Hom. Ev., Ep. ad Secundinum. 5 Cf. Ep. 5, 26; 6, 12; 9, 98. 6 Cf. Ep. 6, 33, dove Gregorio, deluso dal fatto che il suo interlocutore, Mariniano di Ravenna, non aveva risposto alla precedente lettera in cui aveva affrontato questioni riguardanti la sua anima, nella successiva corrispondenza non spreca più energie a dettare personalmente (per qualcuno che, a suo dire, non lo avrebbe letto), ma fa scrivere direttamente a un suo consiliarius ciò che è necessario comunicare in causis terrenis: Quaedam vero eum per epistulam meam de anima sua admonui, sed nil mihi omnino respondit; unde credo quia ea neque legere dignatus est. Pro qua re iam necessarium non fuit ut eum per epistulam meam admonere debuissem, sed tantum illa scripsi quae in causis terrenis consiliarius dictare potuit. Nam ergo ad hominem non legentem fatigari in dictatu non debui (CCSL 140, p. 407 ll. 26-32). 7 Norberg 1937-1939; Id. 1980. 2

3

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Conclusione. Un prodotto letterario dello scrinium lateranense

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siderazione entrambe le ipotesi – dell’eccezionalità e della normalità – valutandone la rispettiva plausibilità e le implicazioni. Attribuendo all’episodio di Paterio una valenza di eccezionalità, è necessario metterlo in relazione con la capacità dimostrata da Gregorio di attuare strategie comunicative che gli hanno permesso di intrecciare e mantenere legami con tutto il mondo conosciuto, anche grazie alla rete di uomini di sua fiducia 8. Ciò dimostra infatti come egli abbia saputo scegliere il personale migliore, selezionandolo anche nell’ambito dei suoi amici, conoscenti e familiari (come suggerisce l’assonanza tra il nome di una sua zia e il nostro notarius). E avrebbe saputo inoltre sollecitare le risorse intellettuali dei suoi collaboratori più stretti, che a loro volta avrebbero risposto positivamente, aggiungendo la propria dose di creatività rispetto all’operato quotidiano e alle mansioni ordinarie. Viceversa, inquadrando la creazione del Liber testimoniorum all’interno di un contesto istituzionale strutturato di produzione documentale dove quell’opera non costituisce una particolare eccezione, sarà opportuno guardare disincantatamente alla cancelleria pontificia come a un centro di elaborazione di testi che soltanto per convenzione vengono tutti ricondotti al capo contingente, ma in realtà sono l’esito della sinergia di più figure, impegnate ognuna secondo le specifiche competenze. Le due interpetazioni possono naturalmente convivere. Poiché sull’intelligenza politica e organizzativa di Gregorio Magno si è già indagato moltissimo 9, è forse alla seconda che si deve dedicare una particolare attenzione, in quanto potenzialmente foriera di un ampliamento della conoscenza dei meccanismi di funzionamento dell’istituzione ecclesiastica. Si tende comunemente a riconoscere ai notarii soltanto una partecipazione diretta e autonoma alla redazione di una tipologia di documenti abbastanza standardizzata, e basata su formulari. Questa concezione, come sembra indicare il caso qui studiato, potrebbe essere riduttiva rispetto alle loro reali responsabilità. Si può obiettare che non siano molte le figure di collaboratori che emergono, nel senso in cui si indaga, a fianco dei rispettivi pontefici, e che dunque il caso qui considerato non sia probante; va tuttavia ricordato che l’anonima-

Boesch Gajano 2007. Si vedano soprattutto Boesch Gajano 1979a; Ead. 1980; Ead. 1986; Ead. 2004a; Ead. 2007. Ma i riferimenti significativi sarebbero moltissimi, mi limito a ricordare Straw 1988; Ead. 1992, e Leyser 1991; Id. 2000, pp. 131-187. 8 9

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All’ombra di Gregorio Magno

to degli scriniarii è condizione richiesta dalla natura stessa dell’istituzione di cui si tratta, che parla a una voce con il proprio capo. Le singole personalità che hanno operato, per così dire, all’ombra del papa vanno rintracciate sulla scorta di eventuale documentazione relativa ad affari che li abbia visti impegnati in prima persona e che permetta eventuali confronti di dati e analisi testuali: è il caso dello stesso Gregorio, al quale si attribuisce la composizione, mentre era ancora diacono, di una celebre lettera-trattato sulla questione tricapitolina per conto e a nome di Pelagio II 10. La lettera ai vescovi istriani – che esprime la dottrina di Roma, condanna l’eresia e con argomenti anche audaci rettifica precedenti posizioni ufficiali – rappresenta un caso emblematico che, da un lato, dimostra come i collaboratori del papa fossero coinvolti nella elaborazione di testi non solo “amministrativi”, dall’altro testimonia quanto il concetto di autorialità istituzionale fosse condiviso. Un altro caso può essere individuato nel progetto di elaborazione degli Atti del sinodo lateranense del 649, che viene fatto risalire a Massimo il Confessore, ma alla cui redazione non è da escludere che abbia preso parte il personale dello scrinium. Né Gregorio né Massimo sarebbero stati “riconosciuti” se non ci fosse pervenuta altra documentazione a loro nome. È, insomma, da considerarsi un caso che si abbia, nel Liber testimoniorum, una prova per argomentare circa la competenza e la capacità creativa dei notarii addetti alla cancelleria. Si tratta, va ribadito, di una testimonianza significativa, in quanto Paterio mostra di aver posseduto qualcosa in più di una raffinata tecnica compilatoria, cioè una padronanza dei concetti e della verbalizzazione atta a esprimerli caratteristica di chi quei concetti deve averli sentiti – almeno dal punto di vista dell’espressione – come “propri”. E ciò perché, per il ruolo che ha rivestito, spesso deve essersi trovato a concretizzarli, trasformando i pensieri del papa, espressi oralmente e non sempre del tutto “strutturati”, in testo scritto. Quello della collaborazione tra capo dell’istituzione e sottoposti nel campo che, con un termine forse troppo moderno, si potrebbe definire della “comunicazione”, sembra un ambito meritevole di appro10 La paternità della lettera agli istriani è nota fin dall’antichità: la afferma Paolo Diacono e la riprendono i successivi storici fino all’Età moderna. Si veda, ad esempio, quanto dice il Tritemio in proposito: Cum adhuc esset levita [scil. Gregorius] ex persona Pelagii pape conscripsit valde insignem epistolam ad Heliam Aquilegiensem epistulam: nolente tria capitula Calcedonensis synodi suscipere: quae inter epistulas eius non habetur, De script. eccl., fo. liiir. La gregorianità della lettera emerge con piena chiarezza dalle analisi di Meyvaert 1995a e Straw 2007.

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fondimento, e le vicende a cui si è fatto riferimento sembrano porre in qualche modo in crisi l’assunto che la collaborazione possa essere ammessa solo per questioni di carattere amministrativo. Limitandosi a considerare il caso di Gregorio, nell’ottica indicata andrebbero probabilmente riconsiderate e valorizzate tutte le testimonianze che lasciano intuire la presenza di interlocutori nel processo di elaborazione delle sue opere letterarie, nella fattispecie i notarii, da lui più volte citati, tenendo presente che, da lungo tempo, questi non erano più semplici exceptores. Le recenti acquisizioni circa la seconda edizione gregoriana della Regula pastoralis e sul ruolo svolto in tale circostanza dal “revisore” del codice di Troyes 504 offrono, ad esempio, stimolanti motivi di riflessione 11. Spingendo questa prospettiva ai limiti del consentito, non sarebbe forse errato rivalutare quanto di ammissibile sussiste nell’analisi fatta da Clark riguardo il caso dei Dialogi, e considerare la possibilità di un apporto alla loro redazione da parte di uno o più collaboratori del papa, senza dover postulare né un intervento abusivo, né successivo alla sua morte. Già nel corso di questo volume sono emersi elementi che lasciano trasparire, da un lato, qualche possibile interesse nell’opera da parte dei notarii dello scrinium gregoriano  12, dall’altro alcune somiglianze tra il linguaggio del prologo del Liber e quello delle battute affidate a Pietro nei Dialogi: tracce di uno «style de notaire» già rilevato da molto tempo 13. Sono piccoli spunti che forse meriterebbero approfondimento. Passando a focalizzare l’attenzione sul Liber testimoniorum, le prospettive di ricerca che si presentano appaiono piuttosto vaste: di alcune si è intravista la soglia; la maggioranza di esse è però subordinata alla redazione di un’edizione critica. È ad esempio il caso del confronto fra i testi gregoriani utilizzati nel florilegio e le loro versioni note dalla tradizione diretta, confronto da cui si potrebbero trarre dati per la conoscenza del processo redazionale delle opere gregoriane, in modo particolare dei Moralia e delle Homiliae in Hiezechihelem. Ne emergerebbero al contempo, su basi sicure, le caratteristiche del metodo di lavoro del compilatore, da cui si potrebbe ulteriormente dedurre la stessa ragione d’essere del Liber testimoniorum. Cf. sopra, pp. 214-215. Cf. sopra, pp. 60-61. 13 Cf. sopra, p. 211 e p. 188 nota 296. 11 12

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All’ombra di Gregorio Magno

Rispetto a quest’ultimo problema, l’analisi del prologo, unita ai tentativi qui fatti di ricostruire campioni di testo e di individuare i più frequenti interventi redazionali, porta già a formulare qualche ipotesi. Analizzando il racconto allestito da Paterio nel prologo circa la genesi del florilegio, si è avuto modo di notare come il narratore sia stato attento a ricondurre le diverse caratteristiche strutturali e redazionali della silloge al rispettivo responsabile. L’inserimento delle coordinate di provenienza di ciascun paragrafo in tituli praenotatione sarebbe stato dovuto a una precisa richiesta di Gregorio 14, mentre l’iniziativa di estendere la ricerca a tutta la produzione del maestro sarebbe stata del compilatore stesso, così come quella di ricomporre le citazioni rinvenute al fine di produrre paragrafi che rappresentassero in maniera esaustiva e netta l’interpretazione gregoriana del rispettivo testimonium, resa dall’esegeta in più luoghi e con diversa ampiezza 15. Nell’attribuirsi la responsabilità, o il merito, di queste scelte, egli le ha ricondotte, allo stesso tempo, a un condizionamento dato dalla natura del discorso gregoriano: asistematico, ridondante, ripetitivo. Le parole che ha usato non sono queste, ma il senso, volto in positivo, sì. Rileggendo il prologo sembra di poter cogliere, tra le richieste del committente e le ambizioni del compilatore, intenti leggermente diversi, che possono corrispondere a differenti aspettative rispetto alle finalità dell’opera. L’entusiasmo che Gregorio ha dimostrato per l’operazione avviata dal notarius e la raccomandazione data circa la presenza delle coordinate letterarie sembrano indicare che egli abbia visto nel progetto l’opportunità di costituire un indice complessivo e uno strumento di orientamento entro la sua produzione, reso funzionale dal duplice criterio dell’ordinamento scritturistico e dei riferimenti alle fonti. Egli non sarebbe stato interessato al taglio da dare ai brani e non avrebbe fornito indicazioni in proposito; il suo programma sembra sia stato piuttosto che le medesime informazioni già fornite, con diversa disposizione, dai suoi scritti venissero riorganizzate in modo sistematico, così da renderle facilmente reperibili e riconducibili al rispettivo contesto di provenienza. Gregorio pensava, probabilmente, a una destinazione interna del florilegio, per chi avesse già familiarità con le sue opere e possibilmente accesso ai codici dell’archivum lateranense con le versioni ufficiali 16. Cf. Prologus, p. 194 ll. 37-39, e IV.1.3., p. 212. Ibid., pp. 212-213. 16 Cf. Castaldi 2006. 14 15

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Tale interpretazione sembra trovare un riscontro diretto (e straordinario) nelle segnalazioni delle citazioni bibliche che corredano i margini delle pagine del codice di Troyes 504 della Regula pastoralis 17: queste, oltre che come «griglia di lettura esegetica» dell’opera 18, possono forse spiegarsi anche come contrassegni per il lettore che dal Liber volesse risalire al contesto originario della citazione. A ben guardare, infatti, i soli rimandi forniti dal florilegio al «libro» dei Moralia o dei Dialogi, all’«omelia», al «titolo» del Liber regulae pastoralis 19, erano sì indicativi, ma anche molto generici (un libro dei Moralia poteva da solo occupare decine di fogli), e dunque non propriamente sufficienti per un reperimento immediato, a meno che i codici di riferimento possedessero dei rimandi marginali simili a quelli che si incontrano, appunto, nel Trecensis. Il meccanismo di indicizzazione dei passi esegetici non si sarebbe dunque basato soltanto sulla raccolta di Paterio, ma avrebbe funzionato appieno attraverso la combinazione fra quest’ultima e il sistema di evidenziazione dei testimonia che vediamo messo in atto nel codice di Troyes e che possiamo solo immaginare abbia caratterizzato (o, forse, avrebbe dovuto caratterizzare) anche gli altri esemplari ufficiali delle opere conservate nello scrinium. A chi sarebbe stato utile un tale indice? Anzitutto a Gregorio stesso, che avrebbe così potuto disporre di un sistema per sapere dove e in che modo aveva trattato un particolare luogo scritturistico, onde evitare di contraddirsi e fornire interpretazioni differenti a distanza di tempo, o anche, eventualmente, per autocitarsi in maniera corretta 20. Dell’indice avrebbero potuto servirsi gli stessi notarii e gli altri collaboratori della cancelleria, quando avessero avuto bisogno di inserire un testimonium con relativa spiegazione gregoriana in un documento da loro preparato. È opportuno tuttavia specificare che quest’ultima possibilità non è provata dai fatti, in quanto non troviamo praticamente mai sovrapposizioni tra il Liber e il Registrum epistolarum 21. Ma è ancora più importante sotCf. sopra, pp. 214-215. Come ipotizzato da Chiesa 2006a, p. 62. 19 Sono questi i termini specifici con i quali Paterio fa riferimento alle partizioni interne di ciascuna delle opere gregoriane, cf. Liber testimoniorum, Prologus, p. 194 ll. 37-38, e relative note di commento alle pp. 203-204. 20 Si pensi ai tanti riferimenti intratestuali che si incontrano nel corso delle sue opere. 21 Fatta eccezione per In Ios. 1 (per cui cf. sopra, paragrafo III.7., nota 282) e per le parti tratte dalla Regula pastoralis che si sovrappongono a Ep. 1, 24, la cosiddetta epistola synodica, sovrapposizioni inevitabili in quanto quest’ultima attinge dalla Regula «ben trecentocinquantasei righe delle trecentottantuno di cui consta» (Arnaldi 17 18

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tolineare che prove di questo tipo non potrebbero affatto esserci, in quanto il florilegio non ha probabilmente mai raggiunto il suo stadio finale. L’opera che ci è pervenuta rappresenta, verosimilmente, solo la terza parte del totale previsto, e comprende quanto l’autore è riuscito a portare a forma definitiva dell’ampio insieme di materiale da lui censito e trascritto. Se mai è stato progettato un meccanismo di indicizzazione combinata del dettato esegetico gregoriano, del cui avvio il Liber testimoniorum e forse il codice di Troyes portano le tracce, esso non è mai entrato in funzione. Passando ora a considerare il punto di vista del compilatore, che ha raccolto il materiale esegetico a disposizione per ciascun testimonium, si deve riconoscere che egli si è dovuto confrontare con il problema pratico delle ripetizioni, di cui forse Gregorio non poteva rendersi conto appieno. Le modalità con cui è intervenuto sugli originali potrebbero rispondere dunque, prioritariamente, a un’esigenza di natura espositiva. Tuttavia osserviamo che un mero “indice” di testimonia avrebbe potuto anche conservare tutti i passaggi in successione nella loro forma originaria, senza preoccuparsi del fastidium che le ripetizioni avrebbero generato nel lettore 22. La scelta di creare, a partire da una molteplicità di frammenti simili di discorso, delle unità esegetiche autonomamente leggibili e quanto più possibile esaustive, tradisce allora un intento ulteriore rispetto a quello del committente: che il Liber potesse essere utile anche come repertorio esegetico autonomo. Un repertorio che non avrebbe semplicemente offerto degli spunti interpretativi, ma dei testi già organizzati dal punto di vista linguistico e astratti dal contesto originario; pronti, ad esempio, per essere riutilizzati da altri vescovi o presbiteri per le esigenze liturgiche nel proprio contesto di attività 23. Nelle intenzioni, Paterio si proponeva probabilmente soltanto di ampliare le potenzialità della sua opera, senza porsi in contraddizione con i programmi del maestro. Nei fatti, la fusione e rimodulazione dei 2004, p. 55) e che si riscontrano complessivamente in nove paragrafi del Liber (In Gen. 62; In Ex. 46; In Ex. 47; In Ex. 49; In Ex. 50; In Lev. 8; In Num. 2; In i Reg. 6; In iii Reg. 4). Un raffronto tra il testo citato da Paterio e le versioni offerte dalla Regula e dalla synodica permette comunque di stabilire che Paterio abbia attinto direttamente dalla prima opera e mai dalla lettera. 22 Cf. Liber testimoniorum, Prologus, p. 196 ll. 71-72 e relative note di commento. 23 Si pensi a Secondino e alla copia pirata delle prime Omelie sui Vangeli, redatta probabilmente alla vigilia della sua partenza per Taormina, alla cui cattedra era stato eletto: in tale occasione egli si sarebbe fatto riprodurre soltanto le omelie che avrebbe potuto riutilizzare. Cf. IV.1.1., nota 12.

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passaggi ha portato a un generale calo di attenzione da parte sua nella segnalazione delle coordinate letterarie; e in qualche caso le trasformazioni testuali sono state così profonde che i paragrafi elaborati non corrispondono più, almeno da un punto di vista formale, ai brani di partenza. Al contempo l’opera ha acquisito indubbi caratteri di autonomia dalle fonti, così che l’eventuale fruitore avrebbe potuto giovarsene anche a prescindere dalla consultazione diretta di quelle, e soprattutto anche al di fuori dello scrinium lateranense. E tuttavia l’autore è stato consapevole del fatto che il primo ambito di destinazione dovesse essere proprio quest’ultimo, dunque ha avvisato il lettore delle differenze che avrebbe riscontrato confrontando i suoi paragrafi con i contesti di provenienza 24. Dalla sicurezza con cui Paterio ha proceduto nella direzione intrapresa, e dal fatto che nel prologo non accenni ad alcun dissapore con il committente, si è indotti a concludere che ci sia stato un sostanziale accordo sia sul progetto che sui suoi sviluppi. Se ne deduce anche che il discipulus abbia goduto di una fiducia davvero ampia da parte di Gregorio, che lo ha lasciato libero di rimodulare le sue espressioni, nonostante la sua ben nota preoccupazione per la correttezza della riproduzione del suo pensiero 25. Ma tale concessione di fiducia a Paterio stupisce meno se si pensa che quello di modellare le espressioni del pontefice era precisamente, e a prescindendere dal Liber testimoniorum, il suo mestiere. Infine un’amara postilla. Committente e realizzatore hanno riposto forse aspirazioni diverse nel progetto della raccolta esegetica, ma ugualmente alte. Strumento dal valore quasi normativo indirizzato agli addetti allo scrinium per Gregorio, repertorio utile per la predicazione per Paterio, il Liber testimoniorum non sarebbe mai diventato né l’uno né l’altro. Il progetto sarebbe stato anzi accantonato e l’uso della parte già allestita verosimilmente proibito 26. Dopo l’avvio della revisione integrale delle Homiliae in Hiezechihelem e dei nuovi adattamenti del testo dei Moralia in Iob, il materiale raccolto da Paterio non aveva più nulla di normativo né poteva più rappresentare in modo attendibile il pensiero del pontefice.

Cf. Liber testimoniorum, Prologus, p. 196 ll. 57-63, e IV.1.3., pp. 212-213. Preoccupazioni ben riassunte da Arnaldi 2004. 26 È probabile che dallo scrinium l’opera non sia mai uscita fino alla ricognizione del materiale gregoriano effettuata da Taione attorno al 649. 24 25

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All’ombra di Gregorio Magno

«Tutto Gregorio» prometteva di offrire ai suoi lettori Marco Antonio Giorgi nella premessa all’editio princeps del Liber, che pubblicava a Roma nel 1553  27. In realtà sappiamo che ciò che andava a stampare corrispondeva solo in parte al florilegio esegetico del notarius, e che questo era comunque solo un frammento dell’incompiuto progetto complessivo. L’espressione usata dall’editore mantiene comunque un suo fascino. A distanza di centocinquant’anni, i benedettini di Saint-Maur, fatta giustizia di alcuni errori di attribuzione – e aggiunti i propri –, hanno in qualche modo precisato la pretesa del predecessore, qualificando Paterio, nella loro introduzione al Liber, come alter Gregorius. La definizione forse fa semplicemente riferimento alla sua attitudine a personalizzare – nella forma – il dettato del maestro. Quanto si è detto fin qui conferma l’avvertimento dei Maurini, e costituisce la probabile ragione principale del ritardo di uno studio più approfondito sul florilegio, non considerato utile ai fini dell’edizione critica delle opere del papa, che già beneficiano di una tradizione diretta perfino sovrabbondante. Ma per il giudizio sul personaggio può essere utile una puntualizzazione. Definire Paterio un altro Gregorio e sottolinearne la libertà rispetto alle parole del maestro non deve indurre a conferirgli i tratti dell’“imitatore”. Il suo sforzo si è concentrato verso una nuova organizzazione dei contenuti, funzionale a una loro migliore fruizione e più agevole diffusione, non a un loro ampliamento concettuale o rettifica. Per il notarius va ribadito il ruolo di compilatore; compilatore intelligente, consapevole che un florilegio non è solo una giustapposizione di estratti d’autore, ma è una nuova opera, con caratteri peculiari, che si colloca entro un proprio genere letterario. E in questo senso egli è autore originale, innovatore. All’inverso, è stata proprio la sua capacità di organizzare gli insegnamenti gregoriani a diventare fonte di ispirazione e oggetto di emulazione: è dunque accaduto che, nei secoli successivi, una schiera di “altri Pateri” abbia guardato al Liber testimoniorum come un progetto da completare e un modello da imitare, non sempre riuscendo a eguagliarne il grado di elaborazione formale.

27

Cf. III.6.

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Bibliografia 249

BIBLIOGRAFIA

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Fonti Le fonti sono elencate in ordine alfabetico secondo l’autore o il titolo. Il riferimento all’opera può essere preceduto da un’indicazione tra parentesi quadre che riporta il titolo abbreviato secondo il quale essa viene citata all’interno del volume. Per ogni opera si indica, in senso gerachico, l’edizione a cui si fa principalmente riferimento nel testo e le altre eventuali edizioni menzionate. [Acta syn. rom. a. 499] Acta synodi a. CCCCXCVIIII in Acta synhodorum habitarum Romae a. CCCCXCVIIII. DI. DII, ed. T. Mommsen, Berolini apud Weidmannos, 1894 (MGH Auct. Ant., 12), pp. 393455. Agnellus Ravennas (Agnellus qui et Andreas Ravennas presbyter) [Liber pont.] Agnelli Ravennatis Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, ed. D. Mauskopf Deliyannis, Turnhout 2006 (CCCM 199). Alulfus monachus Tornacensis Gregorialis [Prologus] Alulfi monachi prologus in librum qui dicitur Gregorialis, in Vetera analecta, sive collectio veterum aliquot operum et opusculorum omnis generis, carminum, epistolarum, diplomatum, epitaphiorum, etc. cum Itinere germanico, adnotationibus et aliquot disquisitionibus R.P.D. Joannis Mabillon, Presbyteri ac Monachi Ord. Sancti Benedicti e Congregatione S. Mauri, nova editio (…), Parisiis, apud Montalant, ad Ripam PP. Augustinianorum, prope Pontem S. Michaëlis, MDCCXXIII, cum privilegio Regis, pp. 131-132. [Pars i, In Cant.] In Cantica Canticorum e d. Gregorii scriptis Paterij Romani Secundicerij Collectanea, in Divi Gregorii papae, huius no-

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Bibliografia

minis primi, cognomento Magni, omnia, quae extant, opera [in Gregorius Magnus, Ed. Pamèle], t. ii, pp. 387b-392a. [Pars iii] Alulfi de expositione Novi Testamenti, PL 79, Parisiis 1849, coll. 1137-1424. Altre edizioni [Ed. 1516] Gregoriana super Novum Testamentum. Ex operibus beati Gregorii gloriosissimi pape et confessoris, insigne, pium, ac religiosum exceptionum opus super Novum Testamentum ex Alulpho egregio monastice professionis divi Benedicti viro (cuius fuit et divus Gregorius) collectum, Strasbourg, J. Knoblouch, 1516. [Ed. Giorgi] Expositio super novum Testamentum ex libris beatissimi Gregorii papae a divo Patherio urbis Romae congesta, in Expositio in omnes libros veteris et novi testamenti, ex libris beatissimi Gregorii papae a divo Patherio congesta (…), Romae 1553 [cf. Paterius, Liber testimoniorum, Ed. Giorgi], ii parte, pp. 1-226v. [Ed. Sistina] Sancti Paterii Liber ii, de expositione Novi Testamenti, in Sancti Gregorii Magni papae primi Operum tomus vi Complectens Expositionem in Vetus ac Novum Testamentum a b. Paterio ex libris s. Greg. Magni excerptam (…), Romae 1593 [cf. Paterius, Liber testimoniorum, Ed. Sistina], pp. 145-339. [Ed. Goussainville] Sancti Paterii Liber ii, de expositione Novi Testamenti, in Sancti Gregorii papae primi cognomento magni Operum tomus tertius, (…) Lutetiae Parisiorum 1675 [cf. Paterius, Liber testimoniorum, Ed. Goussainville], coll. 7771128. [Ed. Maurini] Alulfi de expositione Novi Testamenti, in Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia (…), Parisiis 1705 [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Maurini], tomus iv, pars ii, coll. 587-964 [= PL 79, 1137-1424]. Antoninus Placentinus [Itinerarium] Antonini Placentini Itinerarium, ed. P. Geyer, in Itineraria et alia geographica, Brepols, Turnholti 1965 (CCSL 175), pp. 129-153. [Itinerarium, rec. alt.] Antonini Placentini Itinerarium (recensio altera), ed. P. Geyer, in Itineraria et alia geographica, Brepols, Turnholti 1965 (CCSL 175), pp. 157-174.

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Bibliografia 251

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Arator subdiaconus [Historia Apostolica] Aratoris subdiaconi Historia Apostolica, 2 voll., ed. A.P. Orbán, Brepols, Turnhout 2006 (CCSL 130, 130A). Altre edizioni Aratoris subdiaconi de actibus Apostolorum libri duo et epistulae tres ad Florianum, Vigilium et Parthenium. Ex codicibus mss. recensuit suasque et aliorum observationes adjecit Henr. Joannes Arntzenius, Zutphaniae 1769 [= PL 68, coll. 45-252]. Aratoris subdiaconi De actibus apostolorum, ed. A.P. McKinlay, Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1951 (CSEL 72). Augustinus, Aurelius [De doctrina christiana] Sant’Agostino, L’istruzione cristiana, a cura di M. Simonetti, «Scrittori greci e latini», Fondazione Lorenzo Valla Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1994. [Enchiridion] Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate, cura et studio E. Evans, in Sancti Aurelii Augustini De fide rerum invisibilium et alia, Brepols, Turnholti 1969 (CCSL 46), pp. 49-114. [Speculum] S. Aurelii Augustini Hipponensis episcopi Liber qui appellatur Speculum, ed. F. Weihrich, Vindobonae apud C. Geroldi filium, 1887 (CSEL 12), pp. 3-285. Beda Venerabilis [In Cantica Canticorum] In Cantica Canticorum libri vi, ed. D. Hurst, in Bedae Venerabilis Opera, pars ii, Opera exegetica, Brepols, Turnholti 1983 (CCSL 119B), pp. 165-375. Bonifacius papa I [Ep.] S. Bonifacii I, papae, epistolae et decreta, PL 20, Parisiis 1845, coll. 749-784. Bonifatius primicerius notariorum [Suggestio Bonifati] Suggestio Bonifati primiceri notariorum ad Iohannem papam de ratione paschali [exemplum], in Krusch, Ein Bericht der päpstlichen Kanzlei [cf. Bibliografia], pp. 56-57. Braulio episcopus Caesaraugustanus [Epistolae] Epistolario de S. Braulio de Zaragoza, ed. J. Madoz, Facultades de teología y de filosofía del Colegio Máximo S.I. de Oña, Madrid 1941 (Estudios Onienses, ser. i, vol. ii).

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Bibliografia

Bruno monachus Supplementum Paterii [Prologus] Prologus Paterii in secunda parte exceptionum ex opusculis beati Gregorii papae, PL 79, Parisiis 1849, coll. 681-682. ‘Capitula sancti Augustini’ in urbem Romam transmissa, in Maxentii aliorumque scytharum monachorum necnon Ioannis Tomitanae urbis episcopi Opuscula, ed. F. Gloire, Brepols, Turnholti 1978 (CCSL 85A), pp. 241-273.

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Cassidorus senator [Institutiones] Cassiodori senatoris Institutiones, ed. R.A.B. Mynors, Oxford 1961; I ed. 1937. Collectio Avellana [Coll. Avel.] Epistulae imperatorum pontificum aliorum inde ab a. CCCLVII usque ad a. DLIII datae Avellana quae dicitur collectio, ed. O. Günther, F. Tempsky-G. Freytag, Pragae-VindobonaeLipsiae 1895-1898 (CSEL 35/1-2). Collectio Sabbaitica contra acephalos et origenistas destinata, insunt Acta synodorum Constantinopolitanae et Hierosolimitanae a. 536, ed. E. Schwartz, Walter de Gruyter & Co., Berolini 1940 (ACO iii). Columbanus abbas Bobiensis [Epistolae] Epistulae in Sancti Columbani Opera, ed. G.S.M. Walker, School of Celtic studies - Dublin institute for advanced studies, Dublin 1957 (Scriptores Latini Hiberniae ii). Concilium Lateranense a. 649 celebratum, ed. R. Riedinger, Walter de Gruyter & Co., Berolini 1984 (ACO II, 1). [Conc. univ. Chalced.] Concilium universale Chalcedonense, ed. E. Schwartz, Berolini et Lipsiae, Walter de Gruyter & Co., 1933 (ACO ii, 1-6). [Contra Iudaeos] Anonymi Contra Iudaeos, ed. D. Aschoff, Brepols, Turnhout 2009 (CCSL 58B). [Contra philosophos] Anonymi Contra philosophos, ed. D. Aschoff, Brepols, Turnholti 1975 (CCSL 58A).

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Bibliografia 253

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Cyprianus episcopus Carthaginensis [Ad Quirinum] Sancti Cypriani Episcopi Ad Quirinum, Ad Fortunatum, ed. R. Weber, in Sancti Cypriani Episcopi Opera, i, Brepols, Turnholti 1972 (CCSL 3), pp. 3-179. [Ad Fortunatum] Sancti Cypriani Episcopi Ad Quirinum, Ad Fortunatum, ed. R. Weber, in Sancti Cypriani Episcopi Opera, i, Brepols, Turnholti 1972 (CCSL 3), pp. 183-216. Dionysius Exiguus [Ep. ad Bonifacium] Epistula ad Bonifacium primicerium et Bonum secundicerium de ratione Paschae, in B. Krusch, Studien zur christlich-mittelalterlichen Chronologie [cf. Bibliografia], vol. II, pp. 82-86. Altra edizione Epistula Dionysii ad Bonifatium primicerium et Bonum secundicerium de ratione Paschae, PL 67, Parisiis 1848, coll. 3-8, 513520. [Ad Dominam venerandam] Praefatio Dionisii Exigui ad Dominam venerandam, in Id. Praefationes [cf.], pp. 69-71. [Ad Eugipium presbiterum] Praefatio Dionisii Exigui ad Eugipium presbyterum, in Id. Praefationes [cf.], pp. 33-34. [Ad Gaudentium abbatem] Praefatio Dionisii Exigui ad Gaudentium abbatem, in Id. Praefationes [cf.], pp. 39-42. [Ad Stephanum episcopum] Praefatio Dionisii Exigui ad Stephanum episcopum, in Id. Praefationes [cf.], pp. 39-42. [Praefationes] Dionisii Exigui Praefationes latinae genuinae in variis suis translationibus ex graeco, ed. F. Glorie in Scriptores ‘Illyrici’ minores, Brepols, Turnholti 1972 (CCSL 85). Ennodius episcopus Ticinensis Magni Felicis Ennodi Opera, ed. F. Vogel, Berolini apud Weidmannos, 1885 (MGH Auct. Ant. 7). Epistola di Barnaba, introduzione, testo critico, traduzione, commento, glossario e indici a cura di F. Scorza Barcellona, Società Editrice Internazionale, Torino 1975 (Corona Patrum, 1). Epistolae Romanorum Pontificum genuinae et quae ad eos scriptae sunt a s. Hilaro usque ad Pelagium II, ed. A. Thiel, Brunsbergae in aedibus Eduardi Peter, 1868.

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Bibliografia

Eucherius episcopus Lugdunensis [Instructiones] Eucherii Lugdunensis Formulae spiritalis intelligentiae, Instructionum libri duo, ed. C. Mandolfo, Brepols, Turnhout 2004 (CCSL 66). Eugippius abbas [Excerpta] Eugippii Excerpta ex operibus s. Augustini, ed. P. Knoell, Vindobonae apud C. Geroldi filium Bibliopolam Academiae, 1885 (CSEL 9/1).

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[Exempla Patrum] Exempla sanctorum Patrum quod “unum quemlibet” “ex beata Trinitate” dicere, ed. F. Glorie, in Scriptores ‘Illyrici’ minores, Brepols, Turnholti 1972 (CCSL 85), pp. 83-129. Felix papa IV [Praeceptum] Praeceptum papae Felicis, in Concilium universale constantinopolitanum sub Iustiniano habitum, ed. E. Schwartz, vol. ii, Argentorati, sumptibus Caroli J. Trübner, 1914, pp. 96-97 (ACO iv, 2). Gelasius papa I [Ep.] S. Gelasii papae Epistolae et decreta, in Epistolae Romanorum Pontificum genuinae [cf.], i, pp. 285-613. [Gesta conl. Carth.] Gesta conlationis Carthaginiensis anno 411, ed. S. Lancel, Brepols, Turnholti 1974. Altra edizione Actes de la conférence de Carthage en 411, 4 voll., ed. S. Lancel, Les éditions du Cerf, Paris 1972-1991 (SC 194, 195, 224, 373). [Gesta de absol. Miseni] Gesta de absolutione Miseni, in Coll. Avel. [cf.], 103, pp. 474-487. Gesta de nomine Acaci, in Coll. Avel. [cf.], 99, pp. 440-453. [Gesta ephesena] Concilium universale ephesenum anno 431, ed. E. Schwartz, voll. i (pars 1-8)-ii-iii-iv-v, Berolini et Lipsiae, Walter de Gruyter & Co., 1922-1929 (ACO i).

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Bibliografia 255

Gregorius Magnus Edizioni complessive [Ed. Pamèle] Divi Gregorii papae, huius nominis primi, cognomento Magni, omnia, quae extant, opera. Accuratiore, quam unquam antea, recognitione, ac solerti diligentia a multis mendis repurgata & aucta. In quibus quid hac nostra editione ultra superiores omnes, praestitum sit, tum ex praefatione doctissimi viri D. Iacobi Pamelij Brugensis adpendici novae praefixa, tum ex operum Catalogo, et adpendice non excusorum hactenus, lectori pio licebit cognoscere. Cum indice duplici, altero rerum & verborum: altero locorum Sacrae Scripturae explicatorum. Antverpiae aput Haeredes Arnoldi Birckmanni, 1572. [Ed. Sistina] Sancti Gregorii Magni papae primi Opera, Sixti V. Pont. Max. iussu, diligentissime emendata, atque aucta, et in tomos sex distributa, Romae, ex Typograpia Vaticana, 1583-1593. [Ed. Goussainville] Sancti Gregorii papae primi cognomento Magni Opera in tres tomos distributa. Ex quamplurimis mss. codicibus emendata. Additae sunt quaedam notae in dialogos et epistola ejusdem s. Gregorii, Lutetiae Parisiorum, impensis Societatis typographicae librorum Officii Ecclesiastici jussu Regis constitutae, 1675. [Ed. Maurini] Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia. Ad manuscriptos codices romanos, Gallicanos, Anglicanos emendata, aucta, & illustrata notis, Studio & labore Monachorum Ordinis Sancti Benedicti, e Congregatione Sancti Mauri. Parisiis, sumptibus Claudii Rigaud, via Chitaraea, 1705. [Ed. Gallicciolli] Sancti Gregorii papae I cognomento Magni, Opera omnia, jam olim ad manuscriptos codices Romanos, Gallicanos, Anglicanos emendata, aucta, et illustrata notis, Studio et Labore Monachorum Ordinis Sancti Benedicti, e Congregatione Sancti Mauri: Nunc autem a Johanne Baptista Gallicciolli Sacerdote Veneto, ad Codices praesertim Marcianos iterum exacta, atque novis accessionibus locupletata, 17 voll., Venetiis, Ex Typographia Sansoniana in Vico S. Raphaelis [tt. xvi-xvii Ex Typographia Sansoniana in Vico S. Jo. Bapt. Decollati], 1768-1776. Singole opere Dialogi [Dial.] Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli (Dialoghi), 2 voll., introduzione e commento di S. Pricoco, testo critico e traduzione di M. Simonetti, «Scrittori greci e latini», Fondazione Lorenzo Valla Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005-2006.

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Bibliografia

Altra edizione Grégoire le Grand, Dialogues, 3 voll., a cura di A. de Vogüé, traduzione di P. Antin, Les Éditions du Cerf, Paris 1978-1980 (SC 251, 260, 265). Expositio in Canticum canticorum [In Cant.] Sancti Gregorii Magni Expositiones in Canticum canticorum et in Librum primum Regum, ed. P.-P. Verbraken, Brepols, Turnhout 1963 (CCSL 144). Expositio in librum I Regum [In I Reg.] Sancti Gregorii Magni Expositiones in Canticum canticorum et in Librum primum Regum, ed. P.-P. Verbraken, Brepols, Turnhout 1963 (CCSL 144). Altra edizione Commentaire sur le Premier Livre des Rois, 6 voll., edd. A. de Vogüé (vol. I), C. Vuillaume (vol. II), A. de Vogüé (voll. III-VI, che indicano nel frontespizio l’attribuzione a Pietro di Cava), Les Éditions du Cerf, Paris 1989-2004 (SC 351, 391, 432, 449, 469, 482). Homiliae in Evangelia [Hom. Ev.] Gregorius Magnus, Homiliae in Evangelia, cura et studio R. Étaix, Brepols, Turnhout 1999 (CCSL 141). Altra edizione Grégoire le Grand, Homélies sur l’Évangile, 2 voll., texte latin, introduction, traduction et notes par R. Étaix, C. Morel, B. Judic, Les Éditions du Cerf, Paris 2005-2008 (SC 485, 522). Homiliae in Hiezechihelem [Hom. Hiez.] Sancti Gregorii Magni Homiliae in Hiezechihelem, ed., M. Adriaen, Brepols, Turnholti 1971 (CCSL 142). Moralia in Iob [Mor.] Sancti Gregorii Magni Moralia in Iob, 3 voll., ed. M. Adriaen, Brepols, Turnholti 1979-1985 (CCSL 143, 143A, 143B). Registrum epistolarum [Ep.] S. Gregorii Magni Registrum epistolarum, 2 voll., Ed. D. Norberg, Brepols, Turnholti 1982 (CCSL 140-140A). Traduzione Lettere, a cura di V. Recchia, Città Nuova Editrice, Roma 19961999 (OGM 5/1-4). [Reg.] Gregorii I papae Registrum epistularum, 2 voll., Edd. P. Ewald e L. Hartmann, Berolini apud Weidmannos, 1891-1899 (MGH Epist. I-II).

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Bibliografia 257

Regula pastoralis [Past.] Grégoire le Grand, Règle pastorale, 2 voll., introduction, notes et index par B. Judic, texte critique par F. Rommel, traduction par C. Morel, Les Éditions du Cerf, Paris 1992 (SC, 381, 382).

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Herimannus abbas Tornacensis [Liber de restauratione] Herimannus abbas, Liber de restauratione ecclesiae sancti Martini Tornacensis, ed. R.B.C. Huygens, Brepols, Turnhout 2010 (CCCM 236). Hieronymus Stridonensis [Commentarioli in Psalmos] S. Hieronymi presbyteri Commentarioli in Psalmos, ed. G. Morin, in S. Hieronymi presbyteri Opera, I/1, Brepols, Turnholti 1959 (CCSL 72), pp. 177-245. Hilarus papa [Ep.] S. Hilari papae Epistolae et decreta, in Epistolae Romanorum Pontificum genuinae [cf.], i, pp. 126-174. Hormisdas papa [Ep.] S. Hormisdae papae Epistolae et decreta, in Epistolae Romanorum Pontificum genuinae [cf.], i, pp. 739-1006. Iohannes Hymmonides diaconus Romanus [Vita Gregorii] Sancti Gregorii Magni vita a Joanne Diacono scripta libris quatuor, PL 75, Parisiis 1849, coll. 59-242. Isidorus episcopus Hispalensis [Quaest. in vetus Test.] Mysticorum expositiones sacramentorum seu quaestiones in vetus Testamentum, PL 83, Parisiis 1850, coll. 207424. Lathcen [Egloga de Moralibus Iob] Egloga quam scripsit Lathcen filius Baith de Moralibus Iob quas Gregorius fecit, ed. M. Adriaen, Brepols, Turnholti 1979 (CCSL 145). Leo Magnus [Ep. - Coll. Grimanica] Collectio Grimanica, in Leonis papae I epistularum collectiones, in Concilium universale Chalcedonense, ed. E.

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Bibliografia

Schwartz, Walter de Gruyter & Co., Berolini et Lipsiae 1932, vol. iv, pp. 1-131 (ACO ii). [Coll. Novar. de re Euthychis] Collectio Novariensis de re Euthychis, in Concilium universale Chalcedonense, ed. E. Schwartz, Walter de Gruyter & Co., Berolini et Lipsiae 1932, vol. ii, 2, 1, pp. 1-81 (ACO ii).

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Libellus presbiterorum, in Concilium universale Constantinopolitanum sub Iustiniano habitum, ed. E. Schwartz, vol. ii, Argentorati, sumptibus Caroli J. Trübner, 1914, pp. 97-98 (ACO iv, 2). Liber diurnus Romanorum pontificum ex unico codice Vaticano, ed. T.E. von Sickel, Vindobonae apud C. Geroldi filium bibliopolam, 1889. [Liber Pont.] Le Liber Pontificalis, par l’Abbé L. Duchesne, 3 voll., Edd. L. Duchesne (voll. I-II) e C. Vogel (vol. III), Éditions E. De Boccard, Paris 1981 (Réimpression conforme à l’édition de 19552-1957). Altra edizione Libri Pontificalis Pars prior, ed. T. Mommsen, Berolini apud Weidmannos, 1898 (MGH Gest. Pont. Rom. i). [Liber Pont. - Abr. Félicien] Abrégé Félicien in Liber Pont. [cf.], pp. 48108. [Liber Pont. - Abr. Cononien] Abrégé Cononien in Liber Pont [cf.], pp. 48-113. Origenes [Philocalia] Origène, Philocalie, 1-20. Sur les Écritures, Ed. M. Harl, Les Éditions du Cerf, Paris 1983 (SC 302); Id., Philocalie, 21-27. Sur le libre arbitre, Ed. É. Junod, Les Éditions du Cerf, Paris 1976 (SC 226). Notkerus Balbulus [De int. div. script.] Beati Notkeri Balbuli Sancti Galli monachi De interpretibus divinarum scripturarum liber, PL 131, Parisiis 1853, coll. 933c-1004a. Ps. Paulus Diaconus [Vita Gregorii] Sancti Gregorii Magni vita auctore Paulo Diacono monacho Cassinesi, PL 75, Parisiis 1849, coll. 41-59.

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Bibliografia 259

Paterius [Fragmenta] Fragmenta a Paterio Gregorii Magni Homiliis in Hiezechihelem adscripta, ed. M. Adriaen, Brepols, Turnholti 1971 (CCSL 142), pp. 399-432. Altra edizione Fragmenta ex homiliis in Ezechielem Quae in Paterio passim leguntur, nec tamet exstant in Homiliis Gregorianis ut hodie habentur. Haec cum fere pertineant ad priorem librum, ea hic apponere visum est, quamvis hoc Sammarthanus non fecerit, in Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia (…) [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Gallicciolli], tomus iv, pp. 263-267. Liber testimoniorum [m] Sancti Paterii Liber de expositione veteris ac novi Testamenti, de diversis libris s. Gregorii Magni concinnatus, PL 79, Parisiis 1849, coll. 683-916 [= Paterius, Ed. Maurini]. Altre edizioni [g] Expositio in omnes libros veteris et novi Testamenti, ex libris beatissimi Gregorii papae a divo Patherio congesta. Et Antonii Puccii Card. Sanctorum Quatuor de Sacramentalium verborum declaratione homiliae XIIII. Cognitu ob authoris religionem, et pietatem, mysteriiq. gloriam, et maiestatem dignissimae, Romae apud Valerium, et Aloisium Doricos fratres Brixienses, 1553, parte I, pp. 1-172r. [Ed. Sistina] Liber de expositione Novi ac Veteris Testamenti, quem Sanctus Paterius de diversis libris S. Gregorij Papae summo cum studio excerpere curavit, in Sancti Gregorii Magni papae primi Operum tomus vi Complectens Expositionem in Vetus ac Novum Testamentum a b. Paterio ex libris s. Greg. Magni excerptam; triplicemq. Indicem Primum scilicet, Rerum ac Verborum; Alterum, Auctoritatum Scripturae sacrae ab eodem Gregorio explicatarum; Tertium vero, Evangeliorum, quae per Homilias exposita sunt. Cum privilegiis [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Sistina], Romae 1593, pp. 1-143. [Ed. Goussainville] Liber de expositione Novi ac Veteris Testamenti, quem Sanctus Paterius de diversis libris S. Gregorij Papae summo cum studio excerpere curavit, in Sancti Gregorii papae primi cognomento magni Operum tomus tertius (…) [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Goussainville], Lutetiae Parisiorum 1675, coll. 513-776.

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Bibliografia

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[Ed. Maurini] Sancti Paterii Liber del expositione Veteris ac Novi Testamenti, de diversis libris Sancti Gregorii Papae concinnatus, in Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia (…) [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Maurini], Parisiis 1705, tomus iv, pars ii, coll. 1-310 [= Paterius, m]. [Ed. Gallicciolli] Sancti Paterii Liber del expositione Veteris ac Novi Testamenti, de diversis libris Sancti Gregorii Papae concinnatus, in Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia (…) [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Gallicciolli], tomus xiv, pp. 184-451. Ps. Paterius A [Supplementum Paterii] Sancti Paterii Liber de expositione Veteris ac Novi Testamenti, de diversis libris s. Gregorii Magni concinnatus, PL 79, Parisiis 1849, coll. 917-1136 [= Ed. Maurini]. Altre edizioni [Ed. Maurini] Sancti Paterii Liber del expositione Veteris ac Novi Testamenti, de diversis libris Sancti Gregorii Papae concinnatus, in Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia (…) [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Maurini], Parisiis 1705, tomus iv, pars ii, coll. 309-506 [= Ps. Paterius A, Supplementum Paterii]. [Ed. Gallicciolli] Sancti Paterii Liber del expositione Veteris ac Novi Testamenti, de diversis libris Sancti Gregorii Papae concinnatus, in Sancti Gregorii papae I cognomento Magni Opera omnia (…) [cf. Gregorius Magnus, Edizioni complessive, Ed. Gallicciolli], t. xv, pp. 1-242. Pelagius papa I [Ep.] Pelagii I papae Epistulae quae supersunt (556-561), edd. P.M. Gassó - C.M. Battle, Abadia de Montserrat 1956 (Scripta et documenta, 8). Prosper Aquitanus [Epigrammata ex sententiis s. Augustini] S. Prosperi Aquitani Epigrammatum ex sententiis s. Augustini liber unus, PL 51, Parisiis 1846, coll. 497-532. [Expositio psalmorum] Sancti Prosperi Aquitani Expositio Psalmorum, in Prosperi Aquitani Opera, ii, ed. M. Gastaldo, Brepols, Turnholti 1972 (CCSL 68A), pp. 3-211.

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[Liber sententiarum] Sancti Prosperi Aquitani Liber sententiarum, in Prosperi Aquitani Opera, ii, ed. M. Gastaldo, Brepols, Turnholti 1972 (CCSL 68A), pp. 257-365. Rampertus episcopus Brixiensis [Translatio s. Philastrii] Translatio et miracula s. Philastrii episc. auctore Ramperto episc. Brixiensi, AA.SS., Iul. iv, Antverpiae 1725, pp. 388-393.

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Et a Ioanne parvo: In vico sancti Iacobi sub sole et lilio aureis: quorum expensis impressus est [Parisiis 1512]. Vigilius papa [Ep. ad Rusticum et Sebastianum] Epistula ad Rusticum et Sebastianum, in Concilium universale Constantinopolitanum sub Iustiniano habitum, i, ed. J. Straub, Walter de Gruyter & Co., Berolini 1971 (ACO iv, 1), pp. 188-189.

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Bibliografia

Smalley B., Lo studio della Bibbia nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1972; tit. orig. The Study of the Bible in the Middle Ages, B. Blackwell, London 1952 (= Smalley 1952). Sotgiu G., Iscrizioni latine della Sardegna. Supplemento al Corpus inscriptionum Latinarum, x e all’Ephemeris epigraphica, viii, Cedam-Casa editrice dott. Antonio Milani, Padova 1961 (= Sotgiu 1961). Sotinel C., Un poète au service de la politique du pape Vigile?, in MEFRA 101 (1989), pp. 805-820 (= Sotinel 1989). Spallone M., I percorsi medievali del testo: accessus, commentari, florilegi, in Lo spazio letterario di Roma antica, a cura di G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Salerno Editrice, Roma 1990, vol. iii, La ricezione del testo, pp. 387-471 (= Spallone 1990). Spataro R., Il diacono Rustico e il suo contributo nel dibattito teologico postcalcedonese, «Biblioteca di scienze religiose» 199, Roma 2007 (= Spataro 2007). Straw C., Gregory the Great. Perfection in Imperfection, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1988 (= Straw 1988). —, Gregory’s Politics: Theory and Practice, in Gregorio Magno e il suo tempo [cf.], I, pp. 47-63 (= Straw 1992). —, Much Ado about Nothing: Gregory the Great’s Apology to the Istrians, in The Crisis of the Oikoumene: The Three Chapters and the Failed Quest for Unity in the Sixth-Century Mediterranean, a cura di C. Chazelle - C. Cubitt, Brepols, Turnhout 2007, pp. 121-160 (= Straw 2007). Tassin R.P., Histoire littéraire de la congrégation de saint-Maur, Ordre de s. Benoît, où l’on trouve la vie et les travaux des Auteurs qu’elle a produits, depuis son origine en 1618, jusqu’à présent: avec les titres, l’énumération, l’analyse, les diférentes éditions des Livres qu’ils ont donnés au Public, et le jugement que le Savants en on porté: ensemble la notice de beaucoup d’ouvrages manuscrits, composés par des Bénédictins du même Corps, A Bruxelles, et se trouve a Paris, chez Humblot, Libraire, rue S. Jacques, près S. Yves, 1770 (Tassin 1770). Tateo F., La struttura dei dialoghi di Gregorio Magno, in VetChr 2 (1965), pp. 101-127 (= Tateo 1965). Teitler H.C., Notarii and Exceptores. An Inquiry into Role and Significance of Shorthand Writers in the Imperial and Ecclesiastical Bureaucracy of the Roman Empire (from the Early Principate to c. 450 A.D.), «Dutch Monographs on Ancient History and Archaeology» 1, J.C. Gieben Publisher, Amsterdam 1985 (= Teitler 1985).

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Bibliografia 279

Thomas A., Gregor I, der Grosse, in Lexikon der christlichen Ikonographie, vol. VI, Herder, Rom-Freiburg-Basel-Wien 1974, coll. 432-441 (= Thomas 1974). Turner C.H., Early Worcester Manuscripts. Fragments of Four Books and a Charter of the Eighth Century belonging to the Worcester Cathedral, Clarendon Press, Oxford 1916 (= Turner 1916). Uitvlugt D.J., The Sources of Isidore’s Commentaries on the Pentateuch, in RB 112 (2002), pp. 72-100 (= Uitvlugt 2002). Vega A.C., Una obra inédita de Tajón de Zaragoza, in España Sagrada, 56, Madrid, 1957, pp. 225-261 (= Vega 1957). Vitale Brovarone A., La forma narrativa dei Dialoghi di Gregorio Magno: prospettive di struttura, in AAT 109 (1975), pp. 117-185 (= Vitale Brovarone 1975). Vogel C., Le «Liber Pontificalis» dans l’édition de Louis Duchesne. État de la question, in Monseigneur Duchesne et son temps, «Collection de l’École Française de Rome» 23, École Française de Rome, Rome 1975, pp. 99-127 (= Vogel 1975). Vogüé A. de, La Règle d’Eugippe retrouvée?, in RAM 47 (1971), pp. 233-266 (= de Vogüé 1971). —, Introduction a Grégoire le Grand, Dialogues, i (SC 251) [cf. Fonti] (= de Vogüé 1978). —, Grégoire le Grand et ses “Dialogues” d’après deux ouvrages récents, in RHE 83 (1988), pp. 281-348 (= de Vogüé 1988). —, L’auteur du Commentaire des Rois attribué à saint Grégoire: un moine de Cava?, in RB 106 (1996), pp. 319-331 (= de Vogüé 1996). —, Introduction a Grégoire le Grand (Pierre de Cava), Commentaire sur le Premier Livre des Rois, iv (SC 449) [cf. Fonti], pp. 9-42 (= de Vogüé 2000). Wasselynck R., L’influence des Moralia in Iob de s. Grégoire le Grand sur la théologie morale entre le VIIe et le XIIe siècle, Thèse de Doctorat en Théologie, Faculté de Théologie de Lille, 1956 (= Wasselynck 1956). —, Les compilations des Moralia in Job du VIIe au XIIe siècle, in RecThAM 29 (1962), pp. 5-32 (= Wasselynck 1962). —, Les Moralia in Iob dans les ouvrages de morale du haut moyen âge latin, in RecThAM 31 (1964), pp. 5-31 (= Wasselynck 1964). —, L’influence de l’exégèse de s. Grégoire le Grand sur les commentaires bibliques médiévaux (VIIe-XIIe s.), in RecThAM 32 (1965), pp. 157-204 (= Wasselynck 1965). Wilmart A., La collection de Bède le Vénerable sur l’Apôtre, in RB 38 (1926), pp. 16-52 (= Wilmart 1926a).

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280

Bibliografia

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—, Sommaire de l’exposition de Florus sur les épîtres, in RB 38 (1926), pp. 205-216 (= Wilmart 1926b). —, Le recueil grégorien de Paterius et les fragments Wisigothiques de Paris, in RB 39 (1927), pp. 81-102 (= Wilmart 1927). —, Le mithe de Pierre de Tripoli, in RB 43 (1931), pp. 347-352 (= Wilmart 1931). Zocca E., Onorio e Martino: due papi di fronte al monotelismo, in Martino I papa (649-653) e il suo tempo [cf.], pp. 103-147 (= Zocca 1992).

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Indice dei nomi 281

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INDICE DEI NOMI

Abignente, Giovanni: 108n Acacio, patriarca di Costantinopoli: 46 Adriaen, Marc: 133, 178, 181, 234n Adriano I, papa: 69n Adriano, notarius e rector: 66 e n, 70, 72n, 73n, Africano, Marco Pupieno, console: 82, 83 Agapito, papa, 48n-50n, 79 Agilulfo, re dei longobardi: 28n Agnello di Ravenna: 46n Agostino, Aurelio, vescovo di Ippona: 25n, 36, 37, 113, 115 e n, 118, 120n, 163 Agostino, abate a Roma, poi vescovo di Canterbury: 30n Alcuino di York: 130n Alessandro, patriarca di Antiochia: 62n Alulfo, monaco di Tournai: 7, 152158, 161, 165, 166, 168, 169, 173, 175 e n, 176, 201, 207 Amata, Biagio: 46n Ambrogio, vescovo di Milano: 120n Anastasio I, imperatore: 42, 44 e n, 89 Anastasio II, papa: 78, 79 Anastasio, notarius: 101 Anastasio, notarius, poi abate di Subpentoma: 60, 61 Andrea, notarius: 40 e n Angelomo, monaco di Luxeuil: 180 Anilas, comes: 56n

Antemio, suddiacono: 64n, 106 e n, 109 e n Antero, papa: 82-84 e n, 96 Antimo I, patriarca di Costantinopoli: 50 Antonino di Piacenza: 106 e n Antonio, suddiacono: 64n Aratore, suddiacono: 50-52, 200 Arcadio, vescovo: 37 Argentea, madre del puer Boezio: 58, 59 e n Ariulfo, duca longobardo: 28n Arnaldi, Girolamo: 26n, 28n, 34, 107n, 245n, 247n Arns, Evaristo: 39n, 206 Arntzen, Hendrik Johan: 51n, 52 Ascanio, vescovo di Terragona: 39 Asterio, console: 91 Asterio, vescovo di Salerno: 50 e n Augusto, notarius: 56 e n Barbàra, Maria Antonietta: 113n Bardy, Gustave: 114n Bartola, Alberto: 63n Basilio, vir clarissimus: 65n Basilio, vescovo di Cesarea: 115n Basilio, Anicio Fausto Albino, console: 57n Becker, Gustav Heinrich: 115n, 128n Beda il Venerabile: 6, 112, 120n124n, 144, 163, 231n, 236n Benedetto da Norcia, santo: 184 Benedetto I, papa: 79

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Indice dei nomi

Benedetto, abate di Aniane: 125 Benedetto, notarius, defensor: 64n Benenato, notarius: 70, 73n Benenato, defensor: 64n Bernardo, abate di Clairvaux: 157n, 158n Bernardo, abate: 158-161 Bertolini, Ottorino: 80n Bisogni, Fabio: 19n Blando, presbitero: 44, 45n, 89 Boccini, Fabiana: 23n Boesch Gajano, Sofia: 10, 61n, 84n, 107n-109n, 187n, 241n Boezio, puer: 58, 59n Bolland, Jean: 111n Bonifacio I, papa: 37 e n, 82n Bonifacio II, papa: 37n, 46 e n-49, 52, 53n, 58, 78, 79, 87, 90, 91, 94 e n, 95, 110 Bonifacio, primicerius notariorum poi arcidiacono: cf. Bonifacio II Bonifacio, primicerium defensorum: 75n, 77 Bonifacio, notarius (1): 43, 48, 67n Bonifacio, notarius (2): 64, 65 Bonifacio, notarius (3) in Puglia: 66n, 72n Bonifacio, notarius (4): 66n, 72n Bonifacio, notarius (5): 66n Bonifacio, vir clarissimus: 66n Bono, secundicerius notariurum: 46 e n, 47, 52, 53n Bouhot, Jean-Paul: 26n-28n, 109n, 182n, 209n Braga, Gabriella: 23n Braulio, vescovo di Saragozza: 119 e n, 120 e n Brazzel, Kathleen: 102n Bresslau, Harry: 34n, 36n, 64n, 67n, 69n Brittius Dalmatius, notarius: 35n Bruno, monaco: 7, 140, 157-162, 165, 166, 175 e n, 178 e n, 203, 204

Calopodio, notarius: 59 e n Candido, presbitero: 64n Candido, defensor: 64n Cannata, Pietro: 19n Capo, Lidia: 80n Carellus, magister militum: 56n Carlo Magno, imperatore: 125 Carpinello, Mariella: 107n Cassiodoro, Flavio Magno Aurelio, senatore: 116 e n, 214n Castaldi, Lucia: 11 e n, 23n, 27n, 29n, 34n, 118n, 124n, 132n, 133n, 141n, 144n, 146n, 148n, 149n, 173n, 179n, 185n, 187n, 191n, 216n, 244n Castorio, cartulario: cf. Castorio, notarius Castorio, notarius, apocrisario a Ravenna: 64-66, 70, 72, 73 Cavallo, Guglielmo: 50n Celestino I, papa: 37, 38 Cerutti, Viviana: 19n Châtillon, François: 50n-53 Chiesa, Paolo: 8, 26n, 27n, 123n, 125n, 182n, 183n, 214n-216n, 228, 245n Cipriano, vescovo di Cartagine: 113 en Cipriano, diacono: 64n Ciro, patriarca di Alessandria: 100 e n Clark, Francis: 183-188, 200, 205, 243 Claudio, abate a Ravenna: 23n, 30n, 183 Claudio, vescovo di Torino: 125 e n, 180 Clement, Richard W.: 26n, 214n Clemente I, papa: 81, 84 e n, 96 Colombano, abate di Bobbio: 28n Conone, papa: 78 Conte, Pietro: 98n, 99n, 101n Costante I, imperatore: 86 Costantino I, imperatore: 86

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Indice dei nomi 283

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Costanzo II, imperatore: 86 Cracco, Giorgio: 23n, 183n Cresconius, notarius: 35n Croquison, Joseph: 19n Curti, Carmelo: 113n D’Imperio, Francesca Sara: 184n Dagens, Claude: 61 Damizia, Giuseppe: 108n Davis, Raymond: 80n, 97 e n De Rossi, Giovanni Battista: 34n, 57n, 82n, 101n, 102n, 105n Decio, imperatore: 83 Defensor di Ligugé: 130n, 205 Dekkers, Eligius: 115n, 123n Delhaye, Philippe: 111n Deusdedit, vescovo di Milano: 73n Deusdedit, suddiacono, notarius o defensor: 54 e n Deusdedit, scriniarius: 62, 63 e n, 88 Deuterio, grammatico: 105 Dionigi il Piccolo: 47 e n, 52, 53n, 94, 114 Dionisio, notarius: 39 e n Dioscoro, diacono: 44, 45 e n, 48 e n, 87, 89, 90 Dodd, Charles Harold: 113n Domenico, vescovo di Civitavecchia: 107n Dorival, Gilles: 113n Duchesne, Louis: 46n, 55, 78 e n, 79 e n-81n, 84 e n, 85 e n, 87e n, 90, 92-95 Dufourcq, Albert: 84n Dulcius, defensor: cf. Dulcizio, defensor Dulcizio, tribunus et notarius: 37 e n Dulcizio, notarius: 38 e n, 40 e n Dulcizio, defensor: 56, 72 Ecclesio, vescovo di Ravenna: 46n Emiliana, zia di Gregorio Magno: 106 e n, 109n Emiliano, notarius (1): 39 e n

Emiliano, notarius (2): 30, 61, 64, 65, 70 e n, 88 Ennodio, vescovo di Pavia: 42 e n, 44n, 89, 105, 106n Epifanio, vescovo di Eclano: 50 e n Epifanio, tribunus: 39 Eraclio, imperatore: 100n Eriberto, vescovo di Reggio Emilia: 174n Erimanno, abate di Tournai: 152 e n, 153 Esichio di Gerusalemme, presbitero: 113n Esuperio, notarius: 101 Étaix, Raymond: 26n, 27n, 126n, 129-131n, 133 e n, 136 e n, 140, 144, 175n, 178n, 179, 181e n, 182 e n, 215n, 228 e n Eucherio, vescovo di Lione: 114 e n, 115 e n Eugenio, vescovo di Toledo: 118 Eugenio, notarius (1): 58 e n, 59 e n, 77 Eugenio, notarius (2): 70 Eugippio, abate: 116, 117 e n, 123, 130n Eugippio, presbitero: 53n Eutiche, archimandrita a Costantinopoli: 43 Eutiche, notarius: 40 e n Evangelo, diacono: 72n Evans, Ernest: 36n Evantius, presbitero: cf. Venanzio, presbitero Fabbrini, Fabrizio: 108n, 109n Fabiano, papa: 83, 84n, 95, 96 Fabius, exceptor: 34n Falconio, scriniarius: 63 e n Falmagne, Thomas: 111n, 126n, 154n, 157 e n, 158n, 161n, 180n Fantino, defensor: 64n Fatti, Federico: 82n Felice III, papa: 46

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Indice dei nomi

Felice IV, papa: 46n, 48 e n, 53n, 78 e n, 79, 90, 93 Felice, diacono: 44, 45n, 89 Felice, suddiacono: 64n Felice, vir clarissimus: 66n Felice, marito della domna Viviana: 107 Feliciano, Flavio, console: 86 Filastrio, santo: 110 Filippo l’Arabo, imperatore: 83 Filippo, presbitero: 37 Floro di Lione: 116, 123n, 163-165 Fortunato, vescovo di Catania: 42 e n, 44n, 89 Fransen, Paul-Irénée: 163 e n Gaiffier, Baudouin de: 84n Gaio, monaco: 100 Galla, domina illustris: 53 Galletti, Pier Luigi: 22n, 55n, 57, 58 Gallicciolli, Giambattista: 177 e n, 178n, 182n Garcia, Michel: 119n García Moreno, Luis A.: 119n Gaudenzio, abate: 53n Gaudioso, presbitero: 108 Gaudioso, primicerius notariorum: 72 Geertman, Herman: 80n Gelasio I, papa: 40, 41 e n, 67n, 74n Gennadio, esarca d’Africa: 66n Gennaro, vescovo di Cagliari: 72n Gennaro, vescovo di Malaga: 30, 200 Germano, vescovo di Capua: 44, 45n, 89 Gerolamo, defensor: 64n Geronzio, primicerius notariorum: 57 e n, 77 Geronzio, suddiacono, notarius o defensor: 54 e n Giorgi, Marco Antonio: 5, 122n, 156n, 168 e n-171 e n, 175, 176, 248 Giovanni I, papa: 46, 47, 53n, 78 e n Giovanni II, papa: 79

Giovanni III, papa: 57, 79 Giovanni II, patriarca di Costantinopoli: 44n-46, 89 Giovanni, arcivescovo di Ravenna: 65n, 67n, 76 Giovanni, vescovo: 44, 89 Giovanni, diacono, autore dell’Expositio in Heptateuchum: 114, 115n Giovanni, diacono: 46 Giovanni, primicerius: 59 e n Giovanni, suddiacono a Ravenna: 23n Giovanni, suddiacono, notarius o defensor (1): 54 e n Giovanni, suddiacono, notarius o defensor (2): 54 e n Giovanni, regionarius: 77 Giovanni, notarius (1): 64, 71 Giovanni, notarius (2): 72n Giovanni, defensor: 30, 200 Giovanni, tribuno: 72n Giovanni Diacono: cf. Giovanni Immonide Giovanni Immonide: 6, 30 e n, 33, 61, 64 e n-66 e n, 70, 71, 106 e n, 124, 126 Girolamo di Stridone: 113n-115, 120n Giulio I, papa: 49, 86-88, 93, 94 Giulio, vescovo: 38 Giustiniano I, imperatore: 63n, 107n Giustino I, imperatore: 45, 46 Godding, Robert: 177n, 183n, 185n, 203, 219n Gordiana, zia di Gregorio Magno: 106 e n, 109n Gordiano III, imperatore: 83 Gordiano, padre di Gregorio Magno: 106, 109n Gorman, Michael Murray: 120n, 125n, 181n Goussainville, Pierre de: 174 e n, 177, 181, 182n Grato, cf. Vettio Grato, Gaio

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Indice dei nomi 285

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Grazioso, notarius: 73n Gregorio di Nazianzo: 115n Guglielmetti, Rossana E.: 177n Guglielmo, canonico di Courtrai: 157n Gugliemo, monaco di Tournai: 157n Günther, Otto: 44 Hamesse, Jacqueline: 111n Harl, Marguerite: 117n Harris, James Rendel: 113n Hartmann, Ludo Moritz: 106n Heidenberg, Johann: 242n Hefele, Charles Joseph: 97n Hilarus, exceptor: 34n Holder, Arthur: 121n Houben, Hubert: 23n Ianuarius, notarius: 35n Ilaro I, papa: 38, 39 Ilaro, vescovo: cf. Ilaro I Ilaro, notarius (1): 42 e n, 44n, 89 Ilaro, notarius (2): 64, 66 e n, 70, 71 e n Importuno, suddiacono, notarius o defensor: 54 e n Incmaro di Reims: 51n Innocenzo I, papa: 74n Innocenzo, prefetto del pretorio: 27n Isidoro, vescovo di Siviglia: 29, 118, 120 e n, 130n, 154, 181n Italiani, Giuliana: 125n, 181n Janson, Tore: 207n, 208n Jenal, Georg: 97, 98n Junod, Éric: 115n Krusch, Bruno: 47 Lampadio, Flavio Postumo, console: 49 Landolfo II, vescovo di Brescia: 111 Lathcen, monaco: 115n Leandro, vescovo di Siviglia: 27n, 201, 202, 204, 210 Leanza, Sergio: 113 e n, 114n

Leo, secundicerius: 59 e n Leonardi, Claudio: 11n Leone I, papa: 37n-39, 42n, 43, 67n Leonzio, vescovo di Nola: 50 e n Leyser, Conrad: 241n Liberio, papa: 81n Liciniano, vescovo di Cartagena: 27n Loi, Vincenzo: 46n López Pereira, José Eduardo: 119n Lorenzo, antipapa: 46 Lorenzo, arcidiacono: 62n Lorenzo, presbitero: 37 e n Lowe, Elias Avery: 36n Ludovico il Pio, imperatore: 125 Mabillon, Jean: 153n, 155, 157n Madoz, José: 27n, 119n, 120n Mandolfo, Carmela: 114n Manitius, Max: 52n Manuzio, Aldo: 52n Mariniano, monaco a Roma, poi arcivescovo di Ravenna: 30n, 240n Marcellino, presbitero: 100n Marcellino, Flavio, tribunus et notarius: 34 e n, 37 Martello, Fabrizio: 7, 10n, 11n, 21n, 27n-29n, 118n, 119n, 132n, 133n, 141n, 144n, 146n, 148n, 149n, 179n, 185n, 187n, 191n, 219n Martiniano, abate: 73n Martino I, papa: 98 e n-100, 102 Massimiano, abate a Roma, poi vescovo di Siracusa: 27n, 30n, 60 Massimiano, vescovo: 56 Massimino Trace, imperatore: 82, 83 Massimino, presbitero: 82 Massimo, vescovo di Salona: 65n Massimo il Confessore: 98 e n, 102, 103, 242 Maurenzio, chartularius: 66n Maurizio, Flavio Tiberio, imperatore: 62n, 63, 68n Mayr Harting, Henry: 145n McClure, Judith: 180 e n

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Indice dei nomi

McKinlay, Arthur Patch: 51n, 52n Mellito, monaco: 30n Melluso, Marco: 107n, 108n Mena, patriarca di Costantinopoli: 54n Mena, notarius (1), poi secundicerius notariorum: 45 e n, 49, 50 e n, 56n Mena, notarius (2): 40 e n, 42, 49n Mena, notarius subregionarius: 59 e n, 71, 77 Mercati, Giovanni: 174n Meydenbach, Jacob: 174n Meyvaert, Paul: 26n, 27n, 118n, 120 e n, 180 e n, 185n, 188 e n, 189, 200, 205, 242n Michele, defensor, apocrisario a Ravenna: 72 Micino, cancellarius: 58 e n, 59 e n Migne, Jacques-Paul: 51n, 130n, 177 Mommsen, Theodor: 79 e n, 80 Monachino, Vincenzo: 19n Montana, schiava: 68, 108 Moroni, Gaetano: 58n Munk Olsen, Birger: 111n Nardelli, Franca: 27n, 182n, 214n Narsete: 62n Nestorio, patriarca di Costantinopoli: 43 Nicostrato, vescovo: 45 Noble, Thomas F.X.: 34n, 35, 80n, 95 e n-97 e n Nodari, Alberto: 111n Nonnoso, priore: 60 Norberg, Dag: 102n, 200, 240n Norelli, Enrico: 113n Notkero Balbulo: 125n, 126n O’Loughlin, Thomas: 181n Odone di Tournai: 153 Onorato, notarius poi arcidiacono e apocrisario a Costantinopoli: 61 e n, 62 e n

Orbán, Arpád Peter: 51 e n, 52n Oreste, Rufio Gennadio Probo, console: 49 Origene: 113n-115n, 117n, 204 Ormisda, papa: 42 e n-45 e n, 48 e n50n, 56-58, 67n, 78 e n, 85, 88, 89, 93, 94 Ostilio, vescovo: 56 Ottato, defensor: 64n Pacomio, santo: 53 Palatina, domna: 107 Pamèle, Jacques de Joigny de: 155n Pantaleone, prefetto del pretorio: 65n Pantaleone, notarius: 55n, 64, 65 e n, 72n, 73 e n Paoli, Emore: 84n, 85n Paolo II, patriarca di Costantinopoli: 100 Paolo, notarius: 39 e n Paolo Diacono: 242n Pascasino, vescovo di Lilibeo: 47n Pasquale, notarius: 101 Pateria, domna, zia di Gregorio Magno: 106 e n-109 e n Paterio, vescovo di Brescia: 110 e n, 111 e n, 124 Paterio, Flavio, console: 105 e n Paterio, exconsul: 110 e n Paterio, prefetto: 105 e n Paterio, patricius: 106 e n Paterio, retore: 105 e n Pazzogni, Pietro: 58 e n, 59n Pelagio I, papa: 50 e n, 55-57, 72, 79, 92 Pelagio II, papa: 55, 61, 71, 74n, 79, 242n Pelagio, diacono: cf. Pelagio I, papa Pellegrini, Marco: 102n Pellegrini, Pietrina: 41n, 75n Perrone, Lorenzo: 114n Petitmengin, Pierre: 130n Petronio Massimo, console: 105n

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Indice dei nomi 287

Petrucci, Armando: 27n, 59n, 182n, 214n Philippart, Guy: 85n Picard, Jean-Charles: 110 e n, 111 e n Pietri, Luce: 26n Pietro, vescovo di Altino: 54 Pietro II di Venosa, abate: cf. Pietro di Cava Pietro, presbitero: 56 e n Pietro, defensor, poi suddiacono, diacono, apocrisario a Ravenna, interlocutore di Gregorio Magno nei Dialogi: 30, 61, 72n, 107n, 202, 243 Pietro, suddiacono (1): 40n Pietro, suddiacono (2): 64n Pietro, notarius (1): 44, 45 e n, 89 Pietro, notarius (2): 49 e n, 50n Pietro, notarius (3): 70 Pietro di Cava, monaco: 23n Pietro di Tripoli: 116 e n Pietro Divinacellus: cf. Pietro di Cava Pirro I, patriarca di Costantinopoli: 100n Plinio il Vecchio: 130n Pollard, Richard Matthew: 80n, 96 e n, 97 e n, 102 e n Praetextatus, exceptor: 34n Pricoco, Salvatore: 27n, 187n Prigent, Pierre: 113n Prinzivalli, Emanuela: 8, 21n Proba, famula Dei: 53n Probo, abate: 30n, 68 e n, 70n, 88, 200, 202 Procopio di Gaza: 113n Proiecto, vescovo: 37 Proiecto, notarius: 56 e n Prospero di Aquitania: 115 e n, 116n Pseudo Dionigi Areopagita: 100, 101 en Pseudo Paolo Diacono: 20n Pseudo Paterio A: 7, 147, 162-166, 175 e n, 177 e n, 178n Pseudo Paterio B: cf. Bruno, monaco Pseudo Paterio C: cf. Alulfo di Tournai

Quintiliano, Marco Fabio: 130n Rabano Mauro: 180 Ramperto, vescovo di Brescia: 110 Rapisarda, Grazia: 69n Réau, Louis: 19n Recchia, Vincenzo: 25n, 34n, 62n, 66n, 71 e n, 76 e n, 107n Redento, notarius: 49, 87 Renato, presbitero: 38 Riché, Pierre: 76n, 105n Ridolfi, Pietro: 173, 174, 176 Riedinger, Rudolf: 98 e n, 102 Rochais, Henri M.: 111n Romano, notarius: 64, 71 Romolus, exceptor: 34n Rouse, Mary A.: 111n, 205 Rouse, Richard H. : 111n, 205 Rubertus, abate: 63n Rufo, vescovo di Tessalonica: 37 Ruperto di Deutz: 180 Rustico, vescovo di Fiesole: 50 e n Rustico, diacono: 54 e n, 74, 86 Sabino, defensor: 72n Sabino, vescovo di Canosa: 50 e n Sainte-Marthe, Denys de: 174, 177 e n, 178n Salerio, notarius: 66 e n Sansterre, Jean-Marie: 109n Santifaller, Leo: 22n, 36n, 48n, 55n Sardella, Teresa: 46n, 47n, 54n, 58n Savino, suddiacono regionarius: 77 Scorza Barcellona, Francesco: 11, 82n, 84n, 94n, 113n Sebastiano, vescovo di Risano: 61 e n Sebastiano, diacono: 54 e n, 74, 86 Secondino, vescovo di Taormina: 208, 209 e n, 246n Sergio I, patriarca di Costantinopoli: 100 e n Sergio, vescovo di Cipro: 100n Sergio, defensor: 64n, 107n Serrano, Luciano: 119n

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288

Indice dei nomi

Severino, suddiacono, notarius o defensor: 54 e n Severo, notarius: 37 e n, 82n Severo, retore: 105 e n Silva-Tarouca, Carlos da: 39n Silverio, papa: 57, 79, 91, 92, 94n Silvestro I, papa: 78n Silvia, madre di Gregorio Magno: 106 Simmaco, papa: 39, 46 e n, 48, 54, 78, 110 Simmaco, Quinto Aurelio Memmio iunior, senatore: 53n Simmaco, defensor: 64n Simonetti, Manlio: 25n, 98n, 141n Siricio, papa: 34 Siricio, notarius: 37 e n Sisto V, papa: 173 Sisto, notarius: 40 e n, 43, 67n Smalley, Beryl: 25n Sotgiu, Giovanna: 59n Sotinel, Claire: 51n Spallone, Maddalena: 111n Specioso, suddiacono: 75n Stefano, vescovo: 53n Stefano, diacono: 100n Stefano, chartularius: 66n Stegmüller, Friedrich: 147, 157, 161n Straub, Johannes Anton: 55n Straw, Carole: 180n, 241n, 242n Surgenzio, primicerius notariorum: 50 e n-52 e n, 54 e n, 58, 200 Susi, Eugenio: 84n, 85n Taione, vescovo di Saragozza: 6, 29n, 112, 118-121, 123, 126, 145n152, 154, 163, 166, 180, 181, 184n, 186, 187, 231, 247n Tarsilla, zia di Gregorio Magno: 106 e n, 109n Tateo, Francesco: 187n Teitler, Hans Carel: 34n, 35 e n Temistio, diacono: 100n, 101n Teodato, re dei goti: 49

Teodora, imperatrice: 92 Teodorico, re dei goti: 44, 45n, 54, 89 Teodoro I, papa: 100 e n, 101n, 102 Teodoro, vescovo di Pharan: 99n, 101n Teodoro, notarius: 101 Teodulfo, vescovo di Orléans: 120n, 125n Teofane, diacono: 50 e n Teofilatto, primicerius notariorum: 99 e n-102 Terenzio, vescovo: 56 Thalassia: 40n, 49n Thiel, Andreas: 43 e n, 44 Thomas, Alois: 19n Tiburzio, notarius: 39 e n, 40n, 43, 67n Tiziano, Fabio, console: 86 Tommaso, schiavo, poi notarius: 68 e n, 76, 108, 109n Tommaso, vescovo: 45 Trithemius, Iohannes: cf. Heidenberg, Johann Troilo, vescovo di Scampa: 44 Turcan-Verkerk, Anne-Marie: 23n Turner, Cuthbert Hamilton: 121n Uitvlugt, Donald Jacob: 181n Urbico, defensor: 64n Urbico, marito della domna Palatina: 107 Valentino, notarius: 55 e n, 92, 93 Vander Plaetse, Roel: 178 Varinus, diacono: 56n Vega, Angel Custodio: 118 e n-120 e n, 148n, 180 e n Venanzio, console: 40n Venanzio, presbitero: 42 e n, 44n, 89 Verardi, Andrea Antonio: 80n Vettio Grato, Gaio, console: 83 Viatore, Flavio, console: 40 Victor, notarius: 35n

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Indice dei nomi 289

Vigilia, nipote di papa Vigilio: 91 Vigilio, papa: 50-54 e n, 57, 74, 79, 80n, 86, 91, 92, 94, 200 Vincenzo di Lérins: 115 Vincomalo, defensor: 67 Vitale, diacono: 42 e n, 44n, 89 Vitale Brovarone, Alessandro: 187n Vitaliano, papa: 102 Vitaliano, vescovo: 72n Vitalis, notarius: 35n Vito, defensor: 67 Vittore I, papa: 94 Vittore, vescovo di Capua: 114 Vittore, vescovo di Cartagine: 100n Vittore, vescovo: 73n

Vittoriano, notarius: 40 e n Viviana, domna: 107 Vogel, Cyrille: 78n, 80 e n, 94n Vogüé, Adalbert de: 23n, 117n, 185n, 188n, 203, 204, 206 Wasselynck, René: 122 n, 152n, 158n, 165 e n, 180 e n Werner: 157n Wigbod: 120n, 125 e n Wilmart, André: 116n, 121 e n, 126n, 127n, 157 e n, 158n, 163n, 165 e n, 175n, 178n, 179 e n Zocca, Elena: 98n

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Indice dei nomi

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Indice dei manoscritti 291

INDICE DEI manoscritti

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Admont Bibliothek des Benediktinerstifts 450: 128n Alençon Médiathèque de la Communauté Urbaine (olim Bibliothèque municipale) 19: 127, 175n Amiens Bibliothèque centrale Louis Aragon (olim Bibliothèque municipale) 220: 29 e n, 31, 124 e n, 128 e n, 130139, 142-145 e n, 167n, 171, 172n, 178n, 179, 183n, 191-198, 229n Arras Bibliothèque municipale. Médiathèque 924 (169): 128n Autun Bibliothèque municipale S 21 (20): 36n Avranches Bibliothèque municipale 104: 128n, 132n, 145n, 162 e n, 165, 167n, 175n Beaune Bibliothèque municipale 20: 128n, 130n, 132n

Berlin Staatsbibliothek zu Berlin - Preussischer Kulturbesitz Theol. Lat. Qu. 326: 129n, 131n, 132n Bern Burgerbibliothek 344: 164 Bruxelles Bibliothèque royale de Belgique 1312 (20026-20027): 128n 1313 (II. 1412) (Phillipps 3759): 128n Burgo de Osma Archivo Biblioteca de la Santa Iglesia Catedral 172: 127n Cambrai Médiathèque municipale (olim Bibliothèque municipale) 337 (319): 129n, 130n, 132-136 e n, 144, 145, 173n, 178n, 191-198 508 (467): 127n Cambridge Pembroke College (in deposito presso la University Library) 174: 129n, 163n Trinity College B.14.3: 51n University Library Ii.III.6: 129n, 162n, 163n

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Indice dei manoscritti

Cava de’ Tirreni Monumento Nazionale dell’Abbazia della SS. Trinità 11: 129n, 132n

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Cesena Biblioteca comunale Malatestiana D VIII 3: 156 e n, 169 Città del Vaticano Biblioteca Apostolica Vaticana Ottob. lat. 339: 129n, 167n Ottob. lat. 1150: 129n, 132n, 136n, 145n, 163n Pal. lat. 1716: 51n Reg. lat. 126: 127n, 130n, 163n, 167n, 175n, 201 Dendermonde Sint-Pieters en Paulus Abdij, Bibliotheek 19: 128n

Firenze Biblioteca Medicea Laurenziana Pl. 20 dext. 9: 127n Gent Centrale Bibliotheek der Rijksuniversiteit 247 (440): 127n Graz Universitätsbibliothek 435 (39/52 f.): 129n, 132n, 135, 136n, 173n, 191-198, 207 Heilbronn Stadtarchiv 15: 127n Heiligenkreuz Bibliothek des Zisterzienserstifts 224: 129n

Douai Bibliothèque municipale 316: 128n 317: 128n

Köln Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibliothek 82: 115n 97: 129n, 131n, 132n, 135, 136n, 145n, 146, 156, 176, 191-198

Einsiedeln Stiftsbibliothek 35: 127n 302 (450): 51n

Laon Bibliothèque municipale «Suzanne Martinet» 21: 127n, 145n, 163n

El Escorial Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial d.II.14: 127n, 128n, 167n m.III.18: 127n

Leiden Bibliotheek der Rijksuniversiteit Voss. lat. F.12.C: 51n Voss. lat. Q.15.I: 51n Voss. lat. Q.86: 51n

Erlangen Universitätsbibliothek Nürnberg 87 (Irm 217): 131n

Liège Bibliothèque Générale de Philosophie et Lettres 79: 128n

Erlangen-

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Indice dei manoscritti 293

London British Library Add. 18316: 127n Royal 3.A.XV: 127n, 163n Royal 7.F.VI: 127n, 163n Lucca Biblioteca Capitolare Feliniana 32 (I): 129n, 132n, 145n

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Lüneburg Ratsbücherei Theol. 2° 34: 129n Luxembourg Bibliothèque nationale Rés. Préc. 72: 163n Luzern Zentral- und Hochschulbibliothek P. 36/4: 129n Lyon Bibliothèque municipale 1660: 127n, 163n Milano Biblioteca Ambrosiana I 360 inf.: 129n, 132n, 167 e n, 168 e n-170 e n, 173 e n, 217n Montecassino Archivio e Biblioteca dell’Abbazia 350 cc: 129n München Bayerische Staatsbibliothek Clm 5119: 127n Clm 5255: 129n, 131n, 132n, 145n Clm 9542 (Ob. Alt. 42): 129n Clm 19451: 51n Napoli Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» VI.D.28: 127n

Novara Archivio Capitolare di Santa Maria 30: 39 Oxford Bodleian Library Canon. Script. Eccl. 135 (19121): 129n, 132n Laud. Misc. 349: 127n Saint John’s College 185: 129n Paris Bibliothèque de l’Arsenal 493: 127n, 145n, 178n Bibliothèque Mazarine 681: 127n 682: 129n, 132n, 145n Bibliothèque nationale de France lat. 1141: 19n lat. 1764: 164 lat. 2302: 129n, 132n, 135, 145n lat. 2303: 127n, 130n, 178n lat. 2304: 128n, 167n lat. 2305: 129n, 131n, 145n, 167n lat. 2773: 51n lat. 2814: 128n lat. 2815: 127n, 145n lat. 8096: 51n lat. 9347: 51n lat. 12284: 51n lat. 14861: 127n, 145n lat. 15679: 125n nouv. acq. lat. 641: 29 e n, 121 e n, 128n nouv. acq. lat. 1460: 164, 165 nouv. acq. lat. 1571: 128n nouv. acq. lat. 1597: 29 e n, 31, 123 e n, 124, 128, 129n, 131n-136 e n, 143-146, 167n, 170-172n, 178n, 179, 183n, 191-198, 229n Praha Národní Knihovna Ceské Republiky (olim Národní a Univerzitní

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294

Indice dei manoscritti

Knihovna) I.F.3: 127n Reims Bibliothèque municipale 115: 127n Rouen Bibliothèque municipale A. 391 (519): 127n, 145n, 175n

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Salisbury Cathedral Library 76: 127n, 163n Sankt Gallen Stiftsbibliothek 241: 126n Sankt-Peterburg Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka (olim Gosudarstvennaja ordena Trudovogo Krasnogo Znameni Publicnaja Biblioteka im. M.E. Saltykova Scedrina) lat. Q.v.I.22: 127n, 145n

Trier Stadtbibliothek 171/1626: 19n 1093/1694: 51n Troyes Médiathèque de l’Agglomération Troyenne (olim Bibliothèque municipale) Fonds ancien 292: 154n, 156 e n Fonds ancien 504: 27n, 130n, 182 e n, 214-216n, 243, 245, 246 Fonds ancien 508: 128n, 132n, 139, 140 e n, 161 e n Fonds ancien 1007: 128n, 132n, 139, 140 e n, 161 e n Valenciennes Bibliothèque municipale 183: 127n Wien Österreichische Nationalbibliothek 707: 129n 1281: 127n

Schaffhausen Stadtbibliothek Min. 56: 129n

Worcester Cathedral and Chapter Library Fragmentum: 29 e n, 121 e n, 128n

Semur-en-Auxois Bibliothèque municipale 26 (27): 128n

Zwettl Bibliothek des Zisterzienserstifts 265: 128n

Strasbourg Bibliothèque nationale et Universitaire 12: 127n

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Indice delle opere citate 295

INDICE DELLE OPERE CITATE

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Acta synodi Romani a. 499: 40n Agnellus Ravennas (Agnellus qui et Andreas Ravennas presbyter) Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis: 46n Alulfus monachus Tornacensis Gregorialis: 7, 152-157, 165, 166, 168, 169 e n, 173, 175 e n, 178n, 201, 207 Antoninus Placentinus Itinerarium: 106 e n Arator subdiaconus Historia apostolorum: 50, 200 Augustinus, Aurelius De doctrina christiana: 25n Enchiridion: 36 Enarrationes in Psalmos: 115n Speculum: 113n Beda Venerabilis Collectio ex opusculis sancti Augustini in epistulas Pauli apostoli: 123 e n In Cantica Canticorum: 121-123, 231n, 236n Benedictus abbas Anianensis Sententiae expositae in regnorum libris de diversis doctoribus: 125 e n Epitome Moralium: 125 e n

Bonifacius papa I Epistolae: 37n, 38n Bonifatius primicerius notariorum Suggestio Bonifati: 47n Braulio episcopus Caesaraugustanus Epistolae: 119n, 120 e n Bruno monachus Supplementum Paterii: 7, 140, 157162, 166, 175 e n, 178n, 203, 204 ‘Capitula sancti Augustini’ in urbem Romam transmissa: 115 e n Cassidorus senator Institutiones: 116n Catalogus Liberianus: 81, 84, 85, 96 Chronographus a. 354: 81 Claudius episcopus Taurinensis Commentarium in libros Regum: 125 en Collectio Avellana: 42n, 44n, 45n Collectio Novariensis de re Euthychis: 38n, 39 Collectio Sabbaitica contra acephalos et origenistas destinata: 50n

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296

Indice delle opere citate

Columbanus abbas Bobiensis Epistolae: 28n Concilium Lateranense a. 649 celebratum: 97-103, 119, 242 Concilium universale Chalcedonense: 38n

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Contra Iudaeos: 116 e n

Florus diaconus Lugdunensis Sententiae epistolarum beati Pauli apostoli a sancto papa Gregorio expositae et ex opusculis eius iuxta earumdem epistolarum ordinem decerptae: 163n Gelasius papa I Epistolae: 41n

Contra philosophos: 116 e n

Gesta conlationis Carthaginiensis anno 411: 34 e n, 35n

Chronicon Venusinum: 23n

Gesta de absolutione Miseni: 40n

Cyprianus episcopus Carthaginensis Ad Fortunatum: 113 e n Ad Quirinum: 113 e n Dionysius Exiguus Ep. ad Bonifacium: 47n Praef. ad Dominam venerandam: 53n Praef. ad Eugippium presbiterum: 53n Praef. ad Gaudentium abbatem: 53n Praef. ad Stephanum episcopum: 53n Ps. Dionysius Areopagita Ep. ad Gaium monachum: 100 Ennodius episcopus Ticinensis Dictiones XXVII: 105n, 106n Eucherius episcopus Lugdunensis Instructionum ad Salonium libri II: 115 e n Eugippius abbas Excerpta ex operibus s. Augustini: 115-117n, 123 e n, 204 Exempla sanctorum Patrum: 114 e n Felix papa IV Praeceptum: 48n

Gesta de nomine Acaci: 38n Gesta Ephesena: 37n Gesta Sixti: 110 Gregorius Magnus Dialogi: 9, 23n, 26, 27 e n, 36n, 60 e n, 61 e n, 72n, 106n, 107n, 174, 183-189, 202-205, 211, 225n, 243, 245 e n Expositio in Canticum canticorum: 23n, 26, 122, 174, 177 e n, 178n, 182n, 183 e n (Petrus monachus Cavensis) Expositio in librum I Regum: 23n, 26, 174, 182n, 183 Homiliae in Evangelia: 20, 21 e n, 23n, 26, 27 e n, 64, 65, 106 e n, 109n, 149, 150n, 172, 182, 203, 208 e n, 209 e n, 215, 217, 228, 229n, 231, 240n, 246n Homiliae in Hiezechihelem: 10, 19, 20 e n, 23n, 26-28, 132 e n-135, 137-142, 171, 172, 178 e n, 179, 181, 183n, 203, 206, 218n, 221, 229, 230n, 232-235, 240n, 243, 247 Moralia in Iob: 23n, 25, 26, 27 e n, 125n, 137, 139, 141 e n, 145 e n,

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Indice delle opere citate 297

149-151n, 155, 156 e n, 164, 167n, 170n-173n, 180, 181, 183n, 200, 203-207, 210-212, 218n-231, 236, 243, 245, 247 Registrum epistolarum: 11, 22, 23n, 26, 27n, 34, 55n, 60 e n-65n, 67n72n, 74 e n-77n, 106 e n-109n, 156 e n, 164, 183n, 200, 202, 203, 207, 208n, 211, 240 e n, 245 e n, 246n Regula pastoralis: 23n, 26, 27 e n, 130n, 140n, 149, 150, 182 e n, 203, 214 e n, 215, 217n, 218, 220n, 221, 228, 243, 245 e n, 246n

Iohannes Diaconus Expositio in Heptateuchum: 114 e n

Ps. Gregorius Magnus Expositio in VII psalmos paenitentiales: cf. Heribertus episcopus Regii Lepidi, Expositio in VII psalmos paenitentiales

Iustinianus imperator Novellae 107n

Guillelmus de Curtracho Bernardinum: 157n

Leo Magnus Epistolae: 38n, 39 e n, 40n, 42, 67n

Heraclius imperator Ekthesis: 100n, 101n

Libellus presbiterorum: 48n

Heribertus episcopus Regii Lepidi Expositio in VII psalmos paenitentiales: 174n, 182n, 183 Herimannus abbas Tornacensis Liber de restauratione ecclesiae sancti Martini Tornacensis: 152 e n Hieronymus Stridonensis Commentarioli in Psalmos: 114 e n Translatio Homiliarum Origenis in Ieremiam et Ezechielem: 114n Hilarus papa Epistolae: 39 e n Hormisdas papa Epistolae: 42 e n, 44n, 45n, 56n, 67n

Iohannes Hymmonides diaconus Romanus Vita Gregorii: 6, 30 e n, 64 e n, 66 e n Isidorus episcopus Hispalensis Etymologiarum sive Originum l. XX: 130n Quaestiones in vetus Testamentum: 181n Sententiarum libri III: 120

Lathcen Egloga de Moralibus Iob: 115n

Liber diurnus: 53, 54n, 95, 97n, 107n, 203 Liber Pontificalis: 44, 45 e n, 46n, 48n, 49, 55 e n, 63 e n, 77-97 Notkerus Balbulus De interpretibus divinarum scripturarum liber: 125n Ps. Odo abbas Cluniacensis Epitome Moralium: cf. Benedictus abbas Anianensis, Epitome Moralium Origenes In Ezechielem homiliae XIV: 114n Homiliae in Ieremiam: 114n Philocalia: 115n, 117n, 204

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298

Indice delle opere citate

Ps. Paterius A Supplementum Paterii: 7, 162-166, 175 e n, 177 e n Ps. Paulus Diaconus Vita Gregorii: 20 e n Pelagius papa I Epistolae: 56n, 57n

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Plinius Maior Naturalis historia: 130n Prosper Aquitanus Epigrammata ex sententiis s. Augustini: 115 e n Expositio psalmorum: 115n Liber sententiarum: 115 e n, 116n Quintilianus Institutio oratoria: 130n Rampertus episcopus Brixiensis Translatio s. Philastrii: 110 e n

Relatio synodi Epiri veteris: 42n Symmachus papa Epistolae: 40, 46n Taio episcopus Caesaraugustanus Ep. ad Eugenium: 118, 119 e n, 147 e n, 148 Excerpta Gregorii: 118 e n, 147, 148 e n, 150, 151, 186, 187 Sententiarum libri V: 118 e n, 120, 145n, 149-151 e n, 186, 187, 231 Typus, edictum Constantii imp.: 100n, 101n Vigilius papa Ep. ad Rusticum et Sebastianum: 54n Vincentius Lerinensis Excerpta: 115 e n

Recapitulatio de paradiso: 120

Victor episcopus Capuanus Fragmenta: 114

Regestum Gregorianum: 62 e n, 63 e n, 88

Wigbodus Quaestiones in Octateuchum: 125 e n

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Indice delle opere citate 299

INDICE GENERALE

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Prefazione (di Sofia Boesch Gajano). . . . . . . . . . . . . . pag. 5 Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9 Sigle e abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15 Manoscritti e edizioni di riferimento. . . . . . . . . . . . Opere di Gregorio Magno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Abbreviazioni di riviste. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Altre sigle e abbreviazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» » » »

15 15 16 17

I. Gregorio Magno, i notarii ecclesiae Romanae e Paterio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 19 I.1. Una presenza costante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » I.2. Il notarius Paterio e il Liber testimoniorum. . . . »

19 22

II. L’attività dei notarii e il suo contesto . . . . . . » 33 II.1. Exceptores e notarii. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » II.1.1. Attestazioni fra il IV secolo e l’inizio del VI. . » II.1.2. Il primicerius Bonifacio. . . . . . . . . . . . . . . . » II.1.3. Il “verbale” di Surgenzio . . . . . . . . . . . . . . » II.1.4. Da Pelagio I a Pelagio II. . . . . . . . . . . . . . . » II.2. I notarii ecclesiae nella memoria e nella pras si amministrativa di Gregorio Magno. . . . . . . . . . » II.2.1. I notai dello scrinium. . . . . . . . . . . . . . . . . » II.2.2. I notai periferici: rectores e ispettori. . . . . . » II.2.3. L’organizzazione della categoria. . . . . . . . . » II.3. I notarii ecclesiae nel Liber Pontificalis. . . . . . . » II.3.1. La cronologia del Liber Pontificalis . . . . . . » II.3.2. Le testimonianze di tipo istituzionale. . . . . » II.3.3. Le altre testimonianze. . . . . . . . . . . . . . . . . » II.3.4. I notarii e la redazione del Liber Pontificalis. » II.4. I notarii ecclesiae negli Atti del sinodo latera nense del 649. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

33 36 46 50 55 60 67 70 74 77 78 81 88 93 97

III. Il Liber testimoniorum e i suoi percorsi . . . . . » 105

III.1. Una nota biografica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 105

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Indice generale

III.2. Precedenti letterari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. III.3. Le attestazioni antiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . » III.4. Il progetto e i suoi sviluppi. . . . . . . . . . . . . . . » III.5. “Pseudo Pateri” e interpolatori. . . . . . . . . . . . » III.5.1. Taione di Saragozza. . . . . . . . . . . . . . . . . . » III.5.2. Alulfo di Tournai. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » III.5.3. Bruno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » III.5.4. Pseudo Paterio A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » III.5.5. Le integrazioni del Liber testimoniorum. . » III.6. La vicenda editoriale del Liber testimoniorum. » III.7. The key to the whole question: il Liber testi moniorum nel dibattito scientifico sulla produ zione gregoriana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » IV. La redazione dell’opera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . » IV.1. Il prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Prologus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Prologo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Commento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » IV.1.1. L’autore fra committente e dedicatario. . . » IV.1.2. Reminiscenze gregoriane. . . . . . . . . . . . . . » IV.1.3. Committenza e licenze d’autore. . . . . . . . . » IV.2. Il metodo redazionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » IV.2.1. Il reperimento del materiale esegetico. . . . » IV.2.2. La rielaborazione degli estratti grego riani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » IV.2.3. La sezione sul Cantico dei cantici. . . . . . . » Conclusione. Un prodotto letterario dello scri nium lateranense tra fine vi e inizio vii secolo . . . » Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Studi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

111 117 126 146 147 152 157 162 166 168 179 191 191 192 193 200 207 210 211 213 213 216 228 239 249 249 262

Indice dei nomi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 281 Indice dei manoscritti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 291 Indice delle opere citate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 295

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Summary

Un gran numero di manoscritti medievali ci conserva un florilegio che raccoglie passaggi esegetici dalla produzione di papa Gregorio Magno († 604) disponendoli secondo il procedere del testo dei vari libri biblici. I manoscritti attribuiscono l’opera, denominata Liber testimoniorum, a Paterio, figura che può essere identificata con uno dei notarii ecclesiae attivi presso la cancelleria pontificia sotto lo stesso Gregorio. Il presente volume, basandosi su una pluriennale ricerca storica e filologica, ricostruisce in primo luogo il profilo di questa categoria di professionisti al fine di delineare la fisionomia dell’autore del florilegio e il contesto in cui ha operato. La seconda parte è costituita da un puntuale esame della tradizione manoscritta del testo e dall’analisi dei criteri guida che hanno ispirato questa raffinata operazione di selezione e di combinazione dei passi gregoriani, fino alla realizzazione di un prodotto letterario dotato di una sua originalità formale e contenutistica. A great number of medieval manuscripts have preserved an anthology consisting of exegetical passages drawn from the literary production of Gregory the Great (d. 604) but with the passages rearranged to agree with the accepted sequence of Biblical books. The anthology carries the title Liber testimoniorum and is attributed to a Paterius who can be identified as one of the notaries, notarii ecclesiae, working in the papal chancery in Gregory’s time. The result of several years of philological and historical research, the present volume first studies this group of professionals in order to delineate a fuller profile of Paterius and to provide a better understanding of the context in which he worked. It follows with a detailed examination of the manuscript tradition of the anthology and an analysis of the criteria that guided the author’s sophisticated selection and combination of Gregory’s passages resulting in a literary product with an originality of its own, both in form and content.

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