All'ombra dei classici 9788820767290, 9788820767303

Psiche amore e tanatos sono i tre perni tematici intorno cui si snodano con straordinaria intensità i versi poetici di R

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Indice
Prefazione
All’ombra dei classici
La notte stellante
Ecco il mondo
Fallace visione
Illusione
Gli alti cipressi
L’egoismo
Il piacere
Pur vive
Sussurri
Sono vostro
Canto di vergini
Fossile umile
Dolce promessa
Fiore di aprile
Luce pietosa
Ombre della notte
Tormento sottile
Il tempo perduto
Tutto passa
Le venti voci
La mia terra
Era di maggio
Sogno d’amore
La nave delle speranze
La terra bagnata
Le itale Alpi
Un morto tra persone vive
Solo la mia voce
Anima inquieta
Lungo la via
Rimpianti
Il freddo del buio
Desio del sonno profondo
A mio figlio
La sfida al cielo
Un ricordo felice
Il ricordo dell’estate
La farfalla cavaiola
La fontana dell’oche
Un mattino di dicembre
Un mondo senza senso
Tramonto rosato
L’ira
Imbianchito crine
Come allora
È tempo del silenzio
Amore sincero
La follia
Mendicante
Mi riconosco tuo servo
Per stare insieme
Breve amore
Memento
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All'ombra dei classici
 9788820767290, 9788820767303

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R E N AT O C A R L E O

ALL’OMBRA DEI CLASSICI Raccolta di versi Documento acquistato da () il 2023/04/26.

a cura di

Marilita Palmieri

L I G U O R I

E D I T O R E

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Renato Carleo

All’ombra dei classici Raccolta di versi a cura di Marilita Palmieri

Liguori Editore

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Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf ). L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati.. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=contatta#Politiche Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2017 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Giugno 2017 Carleo, Renato All’ombra dei classici. Raccolta di versi/Renato Carleo a cura di: Marilita Palmieri Napoli: Liguori, 2017 ISBN 978 - 88 - 207 - 6729 - 0  (a stampa) eISBN 978 - 88 - 207 - 6730 - 3  (eBook) 1.  Amore e psiche 2. Tanatos I. Titolo II. Collana III. Serie Aggiornamenti: 23 22 21 20 19 18 17    10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

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Indice

IX

Prefazione

1

La notte stellante

2

Ecco il mondo

3

Fallace visione

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4 Illusione 5

Gli alti cipressi

6 L’egoismo 7

Il piacere

8

Pur vive

9 Sussurri 10

Sono vostro

11

Canto di vergini

12

Fossile umile

13

Dolce promessa

14

Fiore di aprile

16

Luce pietosa

17

Ombre della notte

19

Tormento sottile

20

Il tempo perduto

21

Tutto passa

22

Le venti voci

24

La mia terra

25

Era di maggio

26

Sogno d’amore

27

La nave delle speranze

29

La terra bagnata

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31

Le itale Alpi

32

Un morto tra persone vive

33

Solo la mia voce

34

Anima inquieta

35

Lungo la via

Documento acquistato da () il 2023/04/26.

36 Rimpianti 37

Il freddo del buio

38

Desio del sonno profondo

39

A mio figlio

40

La sfida al cielo

41

Un ricordo felice

42

Il ricordo dell’estate

43

La farfalla cavaiola

44

La fontana dell’oche

45

Un mattino di dicembre

46

Un mondo senza senso

47

Tramonto rosato

48 L’ira 49

Imbianchito crine

50

Come allora

51

È tempo del silenzio

52

Amore sincero

53

La follia

54 Mendicante 55

Mi riconosco tuo servo

56

Per stare insieme

57

Breve amore

58 Memento

VI

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Ai miei genitori perenne ricordo di amore sincero

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… la poesia nasce dall’animo, è un dono che il Creatore concede a pochi, il poeta è l’unico essere mortale che carpisce la musica dell’Universo e la trasforma in parole. La poesia è armonia… (da Eloisa pag. 42 di Renato Carleo)

Ringraziamenti Ringrazio Marilita Palmieri che ha raccolto con intelligenza, sensibilità i versi delle mie poesie e ne ha curato la stesura evidenziando il senso logico e non utopistico dei rapporti umani con il Creatore che non devono restare fantasie, sono sogni che si possono avverare. Uno speciale ringraziamento va all’Editore Liguori per l’impagabile assistenza editoriale e la critica costruttiva che non è mai mancata per tutto il progetto.

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Prefazione

La lettura di un testo poetico non può non determinare una particolare e soggettiva interpretazione; chiunque infatti, si avvicini, legga, contempli, faccia propria una creazione poetica, sia essa un’opera in prosa o in versi, una scultura, un dipinto, una creazione musicale e così via, fino al più grande poema che è l’Universo, la rielabora in base alle proprie capacità, ai propri sentimenti, ai propri stati d’animo. Con sicurezza, tuttavia, si può affermare che la raccolta di versi di Renato Carleo, intitolata “All’ombra dei classici”, quasi a volerne sottolineare la lontananza rispetto al mondo della grande poesia, rientra, al contrario, a pieno titolo, in essa. Anche le opere in prosa di Renato Carleo, d’altra parte, sono da considerarsi vera poesia, se per poesia si intende creazione. Queste, come i versi, sono caratterizzate da una propria autonomia, da una propria ragion d’essere e penetrano le più riposte pieghe della nostra spiritualità. Nei versi, in particolare, l’animo umano, pur calato nelle caratteristiche peculiarità dei nostri giorni, risulta indagato nei suoi più oscuri meandri, che, nella sostanza, rimangono sempre uguali a se stessi. Questi versi, come ogni opera d’arte, come ogni poesia, hanno sempre qualcosa da dire, qualcosa di grande da insegnare, emozioni diverse da suscitare, perché è proprio dell’arte essere viva, parlare, a prescindere dal momento storico della sua creazione.

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“All’ombra dei classici”, nella complessa varietà delle sue composizioni, esprime con estrema lucidità i quesiti che da sempre l’uomo si è andato ponendo circa l’essenza della vita, il significato del dolore, o ancora quello dell’impenetrabile buio della morte. Vani però vi risultano i tentativi di comprenderli, come senza risposta rimangono i quesiti riguardanti i fallimenti delle aspettative giovanili. Il pessimismo, e lo si comprende, risulta dominante nella raccolta con note che vanno dai nostalgici ricordi giovanili alla sofferenza di fronte al decadimento dell’uomo per l’inarrestabile e ineluttabile scorrere del tempo, allo strazio di fronte ai comportamenti egoistici, a quelli gaudenti, a quelli inneggianti alla guerra, a quelli, ancora, di chi è capace di uccidere il proprio fratello, o a quelli dei non pochi, incuranti, della natura, spesso sentita in tutta la sua forza vitale o, anche, umanizzata, a quelli, ancora, di chi si limita a considerare l’amore solo nella sua mera sessualità, nelle sue meno edificanti manifestazioni. È significativo a questo proposito, che nel componimento l’“egoismo”, si dica a proposito del protagonista: “vai stretto alla tua bella”, con un’espressione che è in contrapposizione con altre come, in particolare, quella di “fiore d’aprile”: candida bimba, fiore d’aprile, appena sbocciato,

rivolta a un ideale femminile che, nella sua ineffabile purezza, si va aprendo alla vita. Si avverte nella raccolta un’accorata e pungente solitudine; è la sofferenza dell’intellettuale che sa di essere solo in una società che non comprende e da cui sa di non essere compreso, solo in un mondo X

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senza senso, come recita l’omonimo componimento. Egli ha difficoltà a “mescersi” con la “gente comune”. Non può prestare fede ai facili entusiasmi o ai momentanei ottimismi, né si lascia affascinare dai falsi bagliori delle luci artificiali, come sovente avviene ai nostri giorni. Si comprende, pertanto, come si trovino affermazioni quale, ad esempio, … la prece rivolgo che morte sovvenga acerba (mendicante).

Colpiscono, nella loro cruda realtà, le bassezze morali alle quali l’uomo può giungere, le egoistiche e egocentriche posizioni a cui può arrivare, i ridicoli perbenismi dai quali può essere attratto, i comportamenti sfacciatamente menefreghisti che non poche volte assume. Fallace visione, pertanto, come recita il titolo dell’omonima poesia è, dunque, quella di chi considera positiva la vita fermandosi, evidentemente, ai suoi aspetti esteriori. I versi della poesia “egoismo”, la cui introduzione è data da “Beato”, riferito a chi rimane insensibile di fronte alle sofferenze dell’uomo e della natura, rendono, con sapiente maestria, il dolore universale che si estende dall’umanità alla natura tutta come “alla quercia secolare” sofferente, perché colpita da chi si diverte “ad incidere sul vecchio tronco” grossi cicatrici. In “alti cipressi”, poi, i cipressi, addirittura, diventano partecipi della sofferenza umana. Altre volte, con un sentire che ricorda quello leopardiano, si esprime il desiderio, da parte del poXI

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eta, di confondersi con la realtà universale come, ad esempio in “ombre della notte”. La stessa natura, altre volte, è vista seguire semplicemente il suo corso ed essere del tutto incurante dell’uomo, con richiami che, ancora una volta, fanno pensare al poeta di Recanati e a “La ginestra” in particolare. Si pensi alla “piena tremenda” “dei fiumi” che inondano i “campi sereni” provocando il terrore degli abitanti in “la terra bagnata”. Le espressioni “Beato” e “Beati”, poi in “ecco il mondo” riferite a coloro che vivono spensieratamente in una realtà in cui, ancora, “Caino uccide Abele” traducono tutta l’allucinante incoerenza dell’umanità. Il verso appena citato, scarno e scultoreo, dove l’uso del presente rende ancor più tragicamente attuale il dramma rappresentato, è profondamente emblematico del dolore che il poeta avverte per la società e della società. Significative a questo proposito sono le espressioni di dolore di fronte all’assurda illogicità di certi comportamenti, di chi, ieri come oggi, con incongruenza agghiacciante, inneggia alla guerra, mentre diventa sempre più vergognoso il divario tra la sofferenza dei paesi sfruttati e poveri e l’opulenza nauseabonda di quelli ricchi. È, in definitiva, la contestazione e la condanna dell’eterno dualismo tra l’io e il non io, tra me e il fuori di me che, invece di tendere alla sintesi produttiva, giungono, troppo spesso, alla non considerazione reciproca, o, addirittura, allo scontro. Il poeta, tuttavia, che giunge a riconoscersi “fossile umile” nell’omonima poesia, o, ancora “opera inutile, inutilmente creata”, dove il concetto di inutilità è sottolineato dal rincorrersi dell’aggettivo e dell’avverbio XII

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da esso derivato, pur nella consapevole certezza del suo essere distante dalla “gente comune”, dalla società in cui si trova a vivere, con cristallina trasparenza non si esclude da coloro che, in un modo o nell’altro, si trincerano nelle proprie piccole realtà. Egli, infatti, in un “mondo senza senso” definisce addirittura “vile e codardo” il suo “grido” quello di chi, consapevole di trovarsi in una posizione privilegiata, di lontananza, quale mero spettatore dei drammi dei nostri giorni e del nostro pianeta, “si nasconde nel gioco poetico”. Se è inconfutabile, dunque, il divario tra il poeta e la società è ugualmente vero che egli senta la sua realtà sostanzialmente non diversa da quella degli altri. La sua humanitas fa pensare a quella cui fa riferimento Terenzio, quando, ne “il punitore di se stesso” afferma: “Homo sum nihil humanum a me alienum puto”. Fortemente sentito, poi, nella sua drammatica ineluttabilità, risulta il “πάντα ῥεῖ” di Eraclito. L’età del declino, infatti, scolpita in tutta la sua precarietà, è vista come momento nel quale il passato è solo doloroso ricordo, superato dal “silenzio” che “ogni cosa sovrasta” (è tempo del silenzio); questa età, col suo grigiore e la sua opacità, è in evidente contrasto con quella giovanile, guardata con struggente rimpianto, anche perché mai pienamente vissuta in virtù dei grandi progetti, per i quali, troppo spesso, si è sacrificata e immolata la primavera della vita. Tale stagione con i frequenti richiami alle sue caratteristiche, alle brezze, ai colori a volte delicati, a volte brillanti, fa spesso da sfondo a un ricorrente ideale di donna, che, nella sua pura, ma pur concreta realtà, quasi novella Beatrice, è la “fede immutabile”, la “speranza”, l’“amore” (fiore d’aprile). XIII

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Questo ideale, in contrasto con la quotidianità, avulso dal letame in cui si è costretti a vivere, rimane un sogno, un ideale, appunto, verso il quale, tuttavia, è impossibile non tendere. Non è un caso che i versi di “per stare insieme”: “ci volgeremo al futuro, felici di essere nati per stare insieme” chiudano l’intera raccolta; in essi l’amore è ancora una volta, sentito, nella pienezza del suo significato, come caritas, o, più squisitamente, come ἀγάπη. A questo proposito l’intensa aspirazione a porre tale sentimento in proiezione infinita, di eternità, caratterizza, in maniera sublime il componimento “sussurri”. In esso la “… nera piccola croce” più che trovarsi fra urne funeree, sembra posta in un’oasi di pace dove il senso della vita non è dato soltanto dal tepore del sole, dall’alito di vento e dal “verde prato”, ma, molto più profondamente, dalla delicata levità di quel “sussurrava amore”, che, quasi a suggello, chiude il componimento e, in cui, anche l’uso dell’imperfetto contribuisce a suggerire l’idea della continuità, dell’andare oltre. La tensione a superare i limiti del finito è espressa anche altrove come nella poesia “a mio figlio” nei versi: … il desio della verità smarrita alla ricerca di una vita infinita.

O in quelli “il freddo del buio”: alla ricerca di una vita nuova che fluisca nell’etere e dall’etere raggiunga le stelle eterne. XIV

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La fede, poi, pur nella consapevole certezza della sua illusorietà, rappresenta un evanescente barlume inteso come ristoro per l’“anima inquieta”; si pensi a “canto di vergini” e, in particolare ai versi nei quali si esprime l’illusoria speranza che il “fresco canto” delle “vergini, votate a Maria” possa lenire l’intima sofferenza di “chi non crede in quest’ora di male”; o, si pensi, ancora, alla delicatezza ineffabile dei versi di “fiore di aprile” quando la “… candida bimba, fiore di aprile”, incarnazione di una “… fede immutabile”, “… conduce” il poeta verso l’alto monte, là, dove la gente comune, dinanzi a Dio, china supplice il capo.

XV

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All’ombra dei classici

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La notte stellante

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Imbianca la notte stellante, ti rode, animo mio, la speme di dolce Cupido saettante La cocca crudele, supreme ti porta illusioni d’amore. Ricordi il bel tempo lontano, quando di dolcezza il tuo cuore s’empia, affidato all’insano desio di un sereno bel viso di bimba dagli occhi cilestri, la treccia sul volto a sorriso, bruna scendeva, di campestri pur spighe nel maggio fiorito, odorante soave purezza, la bocca leggiadra nel rito d’amore leggera carezza. Dimentica quel tempo fugace, de’ venti l’assurdo destino sull’ali commette la pace pel corpo sfinito e reclino.

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Ecco il mondo

Beato colui che lo sguardo dritto può mirar fiso all’astro nel cielo, ancor più beato colui, che grida, vedendo schiudersi l’ovo dell’augello, evviva alla natura. Beati siano coloro che non sanno quel che sono: pietre nel nulla, polvere soltanto. Caino uccide Abele: ecco il mondo. Ancor vo chiedendo se l’essere nato rappresenti un vanto, oppure condanna che non conosca fondo. Mi fu detto che la carne vale la mente, e che l’intelletto ogni ora distrugge e crea inutilmente. Debole fede, malfida compagna, fede che più volte dicesti il contrario dammi almeno la speme che lo spirito esiste.

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Fallace visione

Ascoltai tremante, immerso nel tutto, lo scroscio dell’acque sulle costiere di mille cittadi, l’urlo del vento, infuriante sulle vette più alte, il rombo assordante della valanga a valle scendente, l’acuto grido dell’uomo morente, e il pianto, Sandro, dell’umana gente. Bella mi dici la vita, lieta mi sussurra il fiore novello ridente alle luci dell’alba, dolce ripete l’eco nel silenzio dei nascosti monti, cara cinguetta l’augello nel cielo sereno, amica, il muto sussurrio di bocche amanti, gioconda grida la natura tutta, vana fallace visione del mondo.

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Illusione

Credevo che il vento che batte le vette più alte, e che l’onda irruente, ed il mar tutto, e il sospiro leggero delle foglie, il canto degli augelli fossero miei. Oggi mi accorgo che anche lo spirito, giorno per giorno, ora per ora, sempre si allontana da me. Ho le mani bianche e linde, ho i capelli ancora neri, ho nel corpo il fuoco della giovinezza. Credevo che le stelle sfavillanti, e che il tramonto rosato per il sole che muore, e che la furia del fiume per la piena di autunno fossero miei. Non v’è speranza per chi già l’ebbe, non v’è amore per chi lo conobbe, non v’è nulla per chi è nulla.

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Gli alti cipressi

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Vanno pel sentiero lunghi e mesti al cimitero gli alti cipressi, ombre alla terra di spirti desti, vane angosce di pianti repressi. Vanno pietosi all’acerbo loco, mandria di un solo tragico pascolo, divorante l’erba di fatuo foco, mesta corona di un vasto tumolo. Blandisce il vento l’umili fronde, si rinnova di un augel il canto, tremolante che all’anima infonde inutile speme, umile pianto.

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L’egoismo

Beato te, amico, che non piangi d’inverno per la quercia spoglia dei suoi frutti, per la capinera in cerca del nido, per il bimbo che nasce in qualche misera stamberga, dove già la morte attende e spia dalla porta aperta. Tu non piangi, amico, tu non soffri, la vite geme, l’uomo muore, che importa! Vai stretto alla tua bella ad incidere sulla quercia secolare e da grosse cicatrici afflitta, un cuore che vuol dire amore, ma che dice solo egoismo.

6

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Il piacere

Il piacere sempre lo cercai, nel grido rauco del supplicante, nel volto puro di una fanciulla, e lo trovai sordido e maledetto, nel putridume della fogna, tra sterco e sputo nel giaciglio del povero, nelle coltri lussuriose. Lo rividi nel volto afflitto del morente, nella stretta disperata del rantolo finale, nell’ostia consacrata, nel perpetuo moto delle forze umane. E sempre lo perdetti nell’immagine del bene nel desio del male.

7

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Pur vive

Sui ciottoli dalla pioggia battuti, in questa sera di maggio fiorito, rotolano rotolanti le ruote di un carro: senti il profumo dei fiori, che di lontano dai prati ingemmati, olezzante ti giunge per la fresca aura della sera profonda di buio. Senti che tra empiti di urla felici, tra pianti sommessi di grida serrate, il mondo umano, quel mondo vile del Golgota sprezzante pur vive.

8

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Sussurri

Il sole batteva tiepido il levigato marmo, ed una tremula rosa e il bianco giglio movevansi appena al soffio del vento, e una nera piccola croce sul verde prato, nel quieto cimitero sussurrava amore.

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Sono vostro

Vanno veloci per il cielo offuscato, le densi nubi nel triste dicembre, nere sul nero drappello maroso. Da lungi dal corno volto ad oriente della campagna battuta dal vento che l’alto albero inchina piangente e la trepida foglia del virgulto nascente, l’acque del Liri ribelle fluttuanti, piene, si portano a valle. Nell’aria vibra la furia tempesta, il turbo avanza dai colli vicini. Oh! perdermi nella foga dei venti, sentir presso l’urlo roco del mare ed il corpo dalla pioggia battuto, gridando all’ombre profonde son vostro.

10

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Canto di vergini

Canto di vergini, che ti giunge per l’aria aprica, dalla chiesetta di Santa Maria, dolce mormorio, che a sera ti accompagna lungo la via. Canto di vergini, votate a Maria, lasciate che viva tranquilla l’anima mia. “Ave Maria” che il fuoco che brucia il mio petto si ristori nel fresco canto dalle tue figlie innalzante per chi non crede in quest’ora di male, “Ave Maria, piena di grazia” s’innalza il canto al cielo sereno, trapunto di stelle, puro e virgineo, e ti lascia sgomento, e ti lascia sperare.

11

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Fossile umile

Chi sono fossile umile alla terra, imbianchito dal sole, roso dal vento, calpestato dagli uomini, opera inutile, inutilmente creata.

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Dolce promessa

Lasciano, nella trepida quiete di un cielo sereno, le rondini il nido, le valli splendenti di viti s’ingemmano: è settembre. Tu donna, nella carezzevole nenia di una musica lontana, dolcemente mi sussurri addio. Col capo chino, cinto dai neri capelli ricciuti, ed il passo frettoloso ten vai, sperdendoti tra la folla. Di nuovo mi assale l’angoscia. S’alza nei campi il grido del contadino festante, lieto per la vendemmia, dolce promessa.

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Fiore di aprile

La gente si muove felice nell’incanto che la sera porta, col pensiero levato al prossimo domani. Tu candida bimba, fiore di aprile, appena sbocciato, che con gli occhi incantati ascolti le favole d’amore, che l’età novizia, ti rende felice, mai saprai quello che rappresenti per questo cuore incallito, per questa mente perduta alla ricerca di vani ideali. Sei l’adolescenza non vissuta, per la foga di essere il primo, per il desio di stringere nel pugno lo scettro del comando. Sei la fede immutabile che mi viene incontro e prendendomi per mano mi conduce 14

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verso l’alto monte, là, dove la gente comune, dinanzi a Dio, china supplice il capo. Sei la speranza, che dopo lunga assenza, ritorna per rendermi figlio della terra, e darmi la forza di gettare chimere al vento e mescermi tra la folla, che a sera, alla luce brillante di artificiali stelle, ride beata. Sei l’amore che bussa finalmente alla mia porta, solo battuta da nocche bruciate, da mani avide, da bocche senza sorriso.

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Luce pietosa

Volgete gente ria lo sguardo alla luce della lunga strada, che il passo percorre nella notte oscura. Luce di lontano che l’almo sfinito per la trepida via rinfranca di speme. Tu, luce pietosa, dell’umana virtù, dei vizi sapiente perdona la stirpe d’Adamo feconda di stile di pianto.

16

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Ombre della notte

Ombre della notte, ricordi lontani del mattino, pietose immagini di sogni vissuti, di vita passata. Ombre che date l’ illusione che il fuoco di vita continui, vi amo per quello che siete, vacue, senza corpo, solo illusione, con voi credo di vivere e di sentire quella gioia che il mattino rivela nel volto di ognuno che mi passa accanto. Vi cerco a sera, quando la gente felice saluta con nostalgia l’ultimo raggio di sole, nei posti più oscuri, nei luoghi silenziosi, dove la mia parola riverberi, perché la mia voce mi sembri la voce del mondo, e aspetto che voi, pietose del mio inganno, porgiate la illusione di un nuovo sogno, 17

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allora mi pare di sentire che non v’è differenza tra me e la terra, e l’umidore che mi circonda, e il lento soffiare del vento, e la nuvola che appanna nelle notti di luna lo specchio del cielo.

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Tormento sottile

L’ombre della notte scura, ed il triste silenzio di questo loco solingo mi sussurrano parole d’angoscia, ed un tormento sottile l’animo mio lentamente corrode. Sento la morte vicina che il fato predisse in un giorno d’inverno, lontano da casa, senza il conforto ed il pianto amoroso dei cari.

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Il tempo perduto

Vieni nel tempo perduto dell’ombre, il martirio sovrano ricerca la vittima di un arduo destino. Lascia sollazzi e diporti all’essere alla vita congiunto. Senti il rimbombo dell’acque del mare che sovrastano la nave che vacilla nel turbo furioso. Odi il passo della morte che avanza lenta e sicura nel silenzio cupo dell’animo. Il grido d’una spiga è simile a quello di un uomo che invano volge speme alla falce che taglia. Ridi alle note armoniose del cigolio del carro sulla via arsa dal sole. La foga degli anni ha spento l’ardire che nacque alla mente di fede feconda. Giaci inerte nel pianto ché il disio avvolge tra foglie di rose ché il profumo riporta il sogno degli anni felici.

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Tutto passa

Pianto di bimbo nel mattino di sole, singhiozzo di donna nel tardo meriggio, leggero fruscio di un cipresso mosso dal vento, un’angoscia sottile ti ferma il respiro e la lacrima incerta urge dagli occhi, un brivido freddo ti corre pel corpo, e quando la paura del male ti afferra, ti perseguita, senti la morte vicina, inutilmente cerchi nello specchio un’immagine di vita, allora lacrime sincere ti corrono per le guance, là dove la lingua gusta il sale delle lacrime, e quando i singhiozzi t’hanno squassato il petto, ed una quiete ti scende nell’animo, che importa se tutto passa!

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Le venti voci

Sono venti e sono passati così veloci, invano ho cercato di afferrarli, “voi” gridai “perché scappate” , non udirono, continuare a fuggire. Tutti in volto li guardai, e tutti, gemendo, mi dicevano tremenda angoscia. Erano tristi ed avevano ragione. Dolcemente mi sorrise il primo, tenera bocca aveva e gli occhi aperti: era un bimbo che ignorava il mondo. Il secondo, il terzo, il quarto fino al decimo passarono così di fretta, che non ebbi da loro nessun segno. Gli occhi al ciel levati in mistica preghiera passò l’undicesimo e mi sorrise, era un bimbo che credeva nel Divino, poi gli altri fuggirono, più volte li chiamai, non mi vollero ascoltare. Su di un carro luccicante di fede e di speranze, gli occhi fiammeggianti arrivò il diciassettesimo, stringeva nella mano il segno dell’imperio e l’alloro gli cingeva il capo. Mi passò vicino e vedendomi negletto fuggì velocemente. Gli altri due mi vennero dappresso, non si fermarono neppure. 22

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Stanco, nel volto macilento, arrivò il ventesimo, cercai di afferrarlo e mi cadde nella braccia. Trepidante gli domandai “dove andate? perché non vi arrestate?” Mi guardò stancamente e disse “non vedi in qual stato siamo ridotti? non t’accorgi che siamo prossimi alla morte, quelli che verranno non avranno nome.” Allor mi accorsi che quel giovane accasciato mi somigliava stranamente, quando a un tratto vidi quel corpo entrar nel mio, allora sentii le venti voci urlare “ci hai ucciso maledetto, tu che ci nutristi solo di speranze”.

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La mia terra

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Settembre, la mia terra è sterile ché vendemmia solo stille di pianto.

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Era di maggio

Era di maggio ricordi quel giorno, fulgeva d’argento l’onda spumosa, e tu più bella di candida grazia soffusa e le nere pupille socchiuse, mirabili fiori di una tenera pianta, nel mirabile dolce volto a sorriso, con trepida voce parlavi d’amore.

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Sogno d’amore

Coi riccioli d’oro al vento gittati, nella fresca aura del dolce mattino, quando natura cingeva ridente, al levito Zefiro l’albero ed il piano, e lungi s’udia lo scroscio dell’acque sulla marina, deserta alle luci dell’alba, ti vidi sogno d’amore. Rorido fiore tenevi sul petto, sul capo poggiava eterna corona e la mano stringeva un fascio di rose e dicea la bocca a sorriso dolce desio.

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La nave delle speranze

Là dove il sole sorge all’infinito, s’immergeva pietoso il verde mare a lambire teneramente la nera terra, un corvo gracidava nell’aria opaca, ed io piangevo, contro un albero poggiato, la nave che partiva per lontani lidi. Era la nave delle mie speranze, che lasciava il porto angusto di quell’isola deserta, dove solo la gramigna tra roveri ed ortiche primeggia. Piangevo la mia nave, che un abile nocchiero, libera dall’arrugginita ancora, ora guidava pel mare aperto, e già vedevo le mie speranze prone adulare il nobile padrone. Piangevo la speranza, quella cara, quella che a lungo nelle notti d’inverno, quando il vento mugghiava contro il vetro della finestra, dava la forza di pregare Dio. Piangevo la speranza più segreta, che quella donna, dalla lunga e nera treccia, 27

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poggiasse sulle mie labbra, aride e fredde, un tenero bacio. Piangevo la speranza di portare, correndo per lontane terre, l’afflato della mia esistenza, e che il tempo con la sua polve, non avesse a cancellare la mia tomba.

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La terra bagnata

Dall’acque pescose dei fiumi, scendenti per balze nevose, al piano cadenti, s’avanza balzante di suono tonante pei campi sereni la piena tremenda; ai neri terreni rovina d’orrenda, che pianto riporta, in sorte s’apporta La gente fuggente s’arresta tremante, lo sguardo a ponente rivolge a levante, che latebre ascose, che cime pietose ricerca smarrito d’asilo desioso. Il gregge spaurito dal greppo smanioso, fugge sull’orma che veloce informa 29

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il pié fuggitivo del primo, sperante nel corso tardivo dell’acque inondante. Tal speme solleva Il petto, che alleva del forte nocchiero crude ansie mortali, che il curvo veliero per i lidi natali, ponga la prua distanza dal turbo che avanza e quando il periglio di furia tempesta s’appressa al naviglio, la speme si arresta, che estrema salvezza nel cor accarezza. La piena sovrasta la gente che fugge, urla, lai e poi basta. Il fiume rifugge dal sole scottata la terra bagnata.

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Le itale Alpi

L’alba nascente tingeva di rosa, dalle lunghe colonne della quiete chiesetta, là dove l’acque tranquille dell’Adda si portano a valle, l’alto pinnacolo nello spazio superbo levantesi. In quell’alba gaudente, più ridente mi sembrava la vita, non affanni, non angosce represse, né lo spirito ansimante per la pugna di vita. Quanta dolcezza nell’aria arrossata, punteggiata d’azzurro! Quanti desideri inespressi davanti alla mistica offerta della madre natura, lì infra il ventre dell’Itale Alpi.

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Un morto tra persone vive

Me ne andavo quel mattino per la strada che porta al mare, camminavo tra la gente, solo con i miei pensieri. Pensavo a me che cerco di ascoltare la voce amata, a me che la sorte avara, dandomi la vista rendea orbo, a me che spero che la gente non s’accorga che sono un morto tra persone vive.

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Solo la mia voce

Il mio mondo non ha luce, la mia terra non ha sole. Non vedo volti, odo solo voci, solo la mia voce.

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Anima inquieta

Nereggia pei campi dal sole di giugno infuocati, l’ombra gradita e solinga di un elce fronzuto. Dai monti sereni, a lato stremato, pel piano dorato, scende rilucente un rivo d’argento: dal vento sospinta, la spiga biondeggia tra fiori e mirtilli. E tu alma affannosa, irrequieta, t’aggiri al quiete d’intorno. Ti fermi, desisti al canto sfinito del grillo paziente che pace non trova.

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Lungo la via

Ti ho accompagnato lungo la via, eri davanti al mio sguardo, eppure ti sentivo al mio fianco, il mondo viveva d’intorno, solo tu nel funebre carro non miravi l’azzurro del cielo, Gianni piangeva accostato al mio braccio, sentivo il lamento d’Alfredo, io non piangevo, non parlavo, perché ti avevo accanto lungo la via. Guardavo per te la strada annerita. che cambiava di volto ad ogni passo, e sentivo la tua voce di sempre che mi consigliava la pace, la quiete dell’anima.

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Rimpianti

Dolci frastuoni di allegre giornate, quieti baci all’ombre dei platani, lievi carezze sulla fronte sudata per la corsa sull’erba del prato regale, quante volte tornaste alla mente, stanca talvolta dal troppo studiare, quante volte ho lasciato che la vita scorresse, senza intoppi, col capo chinato sui libri, sordo ai richiami che tu, giovinezza amica, mi davi. Ho perduto del fiore il profumo e l’essenza, ed ora raccolgo stanco nell’ingrata vetustà il mutilato stelo.

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Il freddo del buio

Quando a tarda sera Il freddo del buio lambisce ed il sonno cordiale ed amico invita al sogno, senti dappresso le ombre vive del passato, e con loro ti confondi alla ricerca di una vita nuova che fluisca nell’etere e dall’etere raggiunga le stelle eterne.

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Desio del sonno profondo

Terso nell’infinito pianto di un mattino di autunno, il ramo piegato dal vento, impietoso si porgeva vinto all’insulto della pioggia. Così tu, madre, nel sogno prostrata l’andito nero mi mostravi avvilita. Luceva splendente la lacrima sulle pallide gote, ed incerta una prece il labbro moveva. O madre, il desio del sonno profondo per lo sconforto di questo mio essere stanco, per l’inganno del Nume, a sera, in questa mia triste sera, vale più di un figlio e di una amorevole amante, se spento sarà il fuoco del mio spirito e le angustie, ricordo lontano nella notte di quiete di un mondo promesso.

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A mio figlio

O figlio, vorrei tanto lasciarti erede del mio credo, dei sogni realizzati, degli amori vissuti, della speranza di un mondo migliore per una umanità più vera, di un Nume cosmico di cui sentirsi parte. Ti lascio invece un ricordo tenue di una onestà mai vinta, di una coscienza mai prona, di un coraggio caparbio, di una volontà tenace, e il desio della verità smarrita alla ricerca di una vita infinita.

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La sfida al cielo

Sul pendio s’ergeva la mia donna con il pugno levato a sfida del cielo e mostrava ignuda la femminea natura, proterva e dissoluta, verginea e pura.

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Un ricordo felice

Ti ho ritrovato sai lungo la strada che porta al pendio del convento dei Cappuccini, un ricordo, una immagine felice. Pura e verginea la pietra bianca si fondeva con il tuo viso, e l’azzurro del cielo con i tuoi occhi.

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Il ricordo dell’estate

O Padre, mi restituisci l’incanto della vista perché veda lo sfascio di questo mio corpo, gravoso dagli anni ed afflitto dai mali. Supplice ti prego, ingeneroso Nume, che togli in cambio di un eterno vivere la gioia della giovinezza, lasciami, almeno, in questo tardare il ricordo della mia estate.

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La farfalla cavaiola

Danzava lieve sul prato verde la bianca farfalla cavaiola, e il dolce levitare seguiva incauto il vento capriccioso, che l’erba implorante piegava, quando il nero merlo la imbeccò. Tremula ed indifesa creatura cadesti quel giorno nel gioco del dolce parlare d’amore, e mostri, avvilita, quest’oggi le palme vuote, gli occhi cerchiati e il pallido viso altero, negante al merlo la bimba che stringi al petto dalle smunte mammelle.

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La fontana dell’oche

Un anno è passato, la gente felice si muove nel mattino dorato. E tu, come allora, ricordi? Quando la tua mano stringeva la mia e gli occhi tuoi belli ridevano d’amore, ti sei specchiata, dai riflessi rosati pel sole splendente, nell’acqua cheta della fontana dell’oche. Mi hai scorto! i tuoi neri occhi e la candida bocca, non hanno riso come allora, scuri, malevoli fissavano immobili l’acqua nera e il riverbero pallido della mia immagine.

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Un mattino di dicembre

Stavo seduto là nel banco, e fissavo triste il piccolo riquadro bianco che la porta aperta dava sulla cattedra, nell’aula di Fisiologia, e tu piano mi chiedesti, o amica “A che pensi? perché sei triste? La mano poggiavi a carezza sul mio braccio, ed avvertivo attraverso l’inerte stoffa della giacca il calore della tua vita. “perché sei triste” ripetesti, notai nella voce un tremito d’angoscia e sul nero ciglio l’argento delle lacrime, e soltanto allora, dolce amica, capii la mia tristezza. Mi eri stata accanto per tant’anni nei giorni di commedia, nelle ore bianche e vuote degli esami, con te avevo sognato, al luccicore delle stelle, di scalare le vette della gloria, ora partivi, anche tu eri triste in quel freddo mattino di dicembre per le frasi non dette, pei baci non dati e le promesse non fatte. 45

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Un mondo senza senso

Mi pareva ieri ed era il presente di un mondo senza senso, di un ciondolare per le strade deserte di una città mai vista, ed era la realtà, mai accettata, di un destino non voluto, di folle immense, acclamanti la guerra, e l’eccidio di popoli. Sapevo che l’avrei, di nuovo, incontrata nel viso, martoriato, dei giovani soldati, nel sacrificio per una fede, che nulla prova, per un Dio cattivo dai mille volti e dalle mille sembianze. Vile e codardo, il mio grido si nasconde nel gioco poetico, e resto a rimirar me stesso, gonfio, di un benessere fasullo e ad oriente si muore per la libertà. 46

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Tramonto rosato

Lungo il viale dagli alberi in fiore, lo sguardo sereno seguiva il tuo passo, frettoloso, per l’ora tarda. Nel tramonto rosato di primavera, l’incanto dei baci e il dolce parlare d’amore l’aria di intorno ancora riempivano.

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L’ira

Proterva l’ira mi scuote il petto, nulla vale il pianto angoscioso, il sangue sgorgante, e gli occhi vitrei della morte. È solo il sogno fugace di un Io diverso, che si affaccia alla mente, il capo chino, vinto da una coscienza senza senso, ad un Nume che non esiste, per una pietà che, serva, mi rende misero agnello sacrificale.

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Imbianchito crine

L’erba verde e maligna nell’anfratto, roso dal vento, s’erge sulla roccia, vinta dal tempo, così impietoso l’imbianchito crine mostra crudele il mio decadere, le gioie segrete ed il dolce affanno d’amore, perverso, mi nega.

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Come allora

La sera di rumorosi passi s’empiva, cadenzati al suono di un tango, lontano il pianto s’udia sommesso di bimbo che, silenziose, del frenetico ballo sovrastava le pause. Alte le stelle nel cielo allunato, da scure nubi appena sporcato, indifferenti come da sempre, e con loro il mio Io nulla degnava che il mondo d’intorno soffrisse o gioisse, preso dalla vana attesa del giorno, dell’ora e dell’anno che il fato non amico predisse. La musica di un ritornello festoso, di una fanciulla il dolce canto, la voce amica dell’amante, ed il sentimento sottile per un domani migliore pervadevano il mio animo che dopo tant’anni ho gridato, come allora, che importa se tutto passa!

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È tempo del silenzio

Va il passo, frettoloso, per la strada del borgo antico che porta alla piazzetta del Gesù crocefisso, là dove, una volta s’empiva felice di giovani e giovanette di povertà provata e di beltà dovizie e di canti e di grida festose l’aria d’intorno. Il passo s’arresta, mendica i suoni ed i canti, ché solo il silenzio ogni cosa sovrasta. Invano lo sguardo del vico ricerca all’angolo il bel viso della fanciulla dai biondi capelli e dagli occhi cilestri, cui rivolse carme d’amore. Il riflesso del crine ingrigito negli occhi opachi della spenta donna, misera, del ricordo passato dubbiosa, par che dica che è tempo dei rimpianti, è tempo del silenzio.

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Amore sincero

Nubi dai riflessi dorati, pel il sole alto nel cielo sul parapetto dal vento battuto del ponte di una nave in disuso nel vecchio porto ancorata, straniero al suono delle campane, in questo mattino di marzo, che il fato donò mendace di acerbe promesse avaro e di sogni velati, l’amore rimpiango, vero e sincero, che altri non ebbi, di una madre e di un padre del figlio ingrato affettuosi.

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La follia

Errar m’è caro nella follia, per urlar la mia angoscia che il canto, gioioso di mille bambini, di mille campane all’unisono con mille voci di mille donne levantesi al cielo, cheta per lasciarmi pieno dell’essenza di vita.

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Mendicante

Nel segno di un destino voluto da un Nume malvagio, percorro la strada bagnata da pianti e da lacrime perse, da lutti infiniti doglioso, mendicante di gioie mostro le palme vuote e, misero, la prece rivolgo che morte sovvenga acerba per questo corpo malato per la mente impazzita, pavida delle sofferenze promesse e del dolore atteso.

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Mi riconosco tuo servo

Quando il sole da oriente sul soglio d’oro del cielo sorgendo luce darà sulla mano vetusta al segno della porta nel palmo racchiuso di un frutto di more, nulla dispera il sonno della morte sovvenga e che il destino si compia. Così un tempo lontano l’ oracolo predisse ad un padre angosciato pel figlio morente e vita gli fu data per lustri a venire. Un verbo, una parola soltanto il fato permise ché la storia seguisse il suo corso: l’ora è vicina e il tempo concesso è passato. “Hai vinto, tuo servo mi riconosco, Signore”, la parola ed il verbo, come volevi, detti son stati. Sia il premio la morte per la vita donata. 55

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Per stare insieme

Il tuo tempo ed il mio si sono incontrati nel giardino di rose della villa sul mare, una carezza, un bacio tenero ed il sogno avvolse etereo i giovani corpi frementi, tu giurasti ed io giurai amore. Oggi che il corpo ignudo si mostra impietoso, e la mente vacilla afflitta dai ricordi, negli occhi tuoi neri, amica, lo sguardo attende, trepido, un sorriso e con le mani unite, come l’augello nell’aria aprica si volge in alto nel cielo, felice di essere nato, ci volgeremo al futuro, felici di essere nati per stare insieme.

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Breve amore

Il canto sovrasta la sfera di cristallo appannata, che mostra la strada percorsa dal profondo buio afflitta. Piango stasera un sogno breve d’amore passato, e ritrovo, dolce donna, nel ricordo tuo perduto, quello amore vissuto di gioia e di allegri riti e di passione pieno per vivere lieto in un mondo sereno, là dove il sentimento costante del nulla e l’angoscia di morte nello splendore si perdono di un mai dimenticato amore.

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Memento

Anche stanotte ti ho sognato nella mano il segno di pace e sull’orribile volto un sorriso. La quiete agognata, o Tanatos, mi offrivi lasciva e sulla falce “Memento” a fuoco era scritto, “tutto passa, nulla resta, misero uomo, che nel tempo credesti la gloria perenne ricordo.”

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Psiche amore e tanatos sono i tre perni tematici intorno cui si snodano con straordinaria intensità i versi poetici di Renato Carleo. Nell’estrema varietà delle sue composizioni, emergono le eterne domande dell’uomo sull’essenza della vita, il senso dell’amore, il significato del dolore, l’impenetrabile buio della morte. Vani i tentativi di comprenderli, come senza risposta i principali quesiti riguardanti il tempo della giovinezza, l’incuria nei confronti della natura, l’egoismo, la guerra, la morte. Tramonto rosato Lungo il viale dagli alberi in fiore, lo sguardo sereno seguiva il tuo passo, frettoloso, per l’ora tarda. Nel tramonto rosato di primavera, l’incanto dei baci e il dolce parlare d’amore l’aria di intorno ancora riempivano. Renato Carleo, nato a Napoli, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. È stato docente universitario e primario ospedaliero. Membro dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), e dei Lions Club, ha già pubblicato per Liguori: Racconti di autunno (2009), Questi fantasmi... (2011), Eloisa (2012), La telepatia (2014) e L’inganno della mente (2016). Marilita Palmieri è nata a Benevento, ha frequentato le classi della scuola elementare a Colle Sannita (BN), indimenticabile luogo di origine. Ha frequentato l’Università degli Studi di Napoli Federico II ove ha conseguito la laurea in Lettere Classiche. Ha insegnato italiano, latino e storia presso gli Istituti Superiori statali.

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