Nell'officina dei classici: come lavoravano gli autori antichi [1a ed.] 9788843040889, 884304088X


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Nell'officina dei classici: come lavoravano gli autori antichi [1a ed.]
 9788843040889, 884304088X

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Tiziano Dorandi

Nell'officinadei classici Come lavoravano gli autori antichi

Carocci editore

1• edizione, marzo 2007 © copyright 2007 by Carocci editore S.p.A.,Roma

Realizzazioneeditoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel marzo 2007 dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN978-88-430-4088-9

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171della legge 22 aprile 1941,n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parziahnente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

9

I.

Lo stilo e le tavolette

2,

Letture, note, estratti

3.

Tra autografia e dettato

4.

«Queste opere non sono scritte per la pubblicazione»

5.

La pubblicazione di un libro

6.

«Voce dal sen fuggita/ più richiamar non vale»

103

7.

Anche i libri hanno il loro destino

123

13

Bibliografia Indice dei passi citati

159

Indice dei nomi antichi Indice dei nomi moderni Indice analitico

175 7

Premessa

a ]aape Margot

Sono trascorsi già quasi due decenni da quando ho cominciato a interessarmi al problema affascinante delle pratiche della composizione di un'opera letteraria e al metodo di lavoro degli autori antichi. Agli inizi degli anni Novanta, avevo pubblicato le prime conclusioni delle mie ricerche in due articoli: Den Autoren uber die Schultergeschaut.Arbeitsweise und Autographiebei den antiken Schri/tsteller,in "ZPE", 87, 1991, pp. 11-33e ZwischenAutographieund Diktat:Momente der Textualitatin der antiken Welt, in W Kullmann, J. Althoff (hrsg.), Vermittlungund Tradierungvon Wissenin der griechischenKultur, Narr, Tiibingen 1993, pp. 71-83;una sintesi ne avevo anche presentato nel primo capitolo della Einleitung indie griechischePhilologiediretta da H.-G. Nesselrath, Teubner, Stuttgart-Leipzig 1997, pp. 3-13,intitolato Tradierungder Texte im Altertum; Buchwesen,ora disponibile anche in traduzione italiana con il titolo Trasmissionedei testi nell'antichità:Storiadel libro,in H.-G. Nesselrath, Introduzioneallafilologia classica,ed. it. a cura di S. Fornaro, Salerno, Roma 2004, pp. 23-40. L'insieme dei miei argomenti aveva trovato un'accoglienza favorevole; ad esempio, Hans Christian Giinther aveva tentato di ricostruire il metodo di lavoro di Virgilio (Oberlegungenzur Entstehung von Vergils Aeneis, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1996, pp. 63-84: VergilsArbeitsweiseund die Ausgabedes Varius)a partire dai miei risultati (cfr. anche N. Horsfall, in "RFIC", 125, 1997, p. 470). Alcuni aspetti particolari, tuttavia, non avevano convinto tutti i lettori: Valérie Naas proponeva un'interpretazione diversa del metodo di lavoro di Plinio il Vecchio e David Blank criticava la mia esegesi del termine v,roµvT]µaT1K6v nelle subscriptionesdei rotoli della Retoricadi Filodemo. Avevo dunque ragioni sufficienti per mettere alla prova i miei risultati alla luce dei progressi della ricerca. L'opportunità mi venne offerta dal professor Alain Blanchard, quando mi chiese di tenere cinque seminari all'Istituto di papirologia della Sorbona durante l'anno accademico 1998-99; in questa occasione prepa9

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

rai il testo di cinque lezioni cui detti il titolo provvisorio Écrireau temps de l'Antiquité classique. Il testo delle cinque lezioni rappresentò la redazione "ipomnematica" di un libro pubblicato nel 2000 in francese presso la casa editrice Les Belles Lettres e intitolato Le Stylet et la Tablette.Dans le secret des au-

teurs antiques. Grazie all'intervento e alla sollecitazione di diversi amici, ho infine deciso di riprendere in mano, per l'ultima volta, l'insieme delle mie indagini e di preparare questo nuovo volumetto che si ispira, in larga misura, all'edizione francese. Non si tratta di una traduzione (anche se diverse pagine sono rimaste immutate), ma di una vera e propria "seconda edizione" rivista e corretta, frutto di lunghi e proficui ripensamenti e della riorganizzazione dei miei risultati. Il lettore paziente che abbia voglia di confrontare le due versioni si renderà conto dei numerosi ritocchi, delle soppressioni, delle aggiunte e delle rielaborazioni che ho apportato al testo e alle note, talvolta indicandoli, talvolta in maniera tacita. Questa redazione rappresenta lo stadio ultimo delle mie ricerche e rimpiazza, nelle mie intenzioni, tutto quanto avevo finora scritto su questo soggetto: deve essere pertanto considerata come l'espressione definitiva delle mie riflessioni. Nel primo capitolo mi soffermo sull'uso di foglietti di papiro o di pergamena e di tavolette per riunire appunti e per redigere brogliacci. Il secondo capitolo ha come oggetto la preparazione di raccolte di estratti in vista della composizione di un'opera letteraria. Vi analizzo, in particolare, il metodo di lavoro di Plinio il Vecchio e di Aulo Gellio alla luce della testimonianza del PHerc. ro2r di Filodemo. Il terzo capitolo affronta la questione se, nell'antichità greca e latina, un autore scriveva personalmente i propri testi, almeno nella prima fase della loro composizione, oppure se li dettava. Il quarto capitolo studia la pratica comune a diversi autori antichi di riservare una parte della loro produzione letteraria a una circolazione ristretta, limitata a uno o più amici o compagni di studio, pratica che li portava a rinunciare a pubblicare quegli scritti. Era tuttavia in vista di una pubblicazione, cioè di una diffusione fra un vasto pubblico, che un autore antico componeva i propri libri (quinto capitolo). Il sesto capitolo è consacrato al divenire di un'opera dopo la sua pubblicazione: questione dei diritti di autore e di editore; casi di libri pubblicati da un autore in due o più esemplari; possibilità di preparare una "seconda edizione" di un'opera. Nel settimo e ultimo capitolo ho infine ripreso l'annoso problema delle varianti d'autore. Ho analizzato le testimonianze che ci vengono dalle fonti letterarie - passi di autori che contengono osservazioni e note sul proprio metoIO

PREMESSA

do cli lavoro o su quello cli altri scrittori - e ho cercato anche cli presentare alcuni esempi cli documenti originali - papiri, tavolette cli cera o di legno, pergamene - che conservano resti cliveri o presW1ti testi autografi, di brogliacci, cli redazioni cli un'opera non destinata alla pubblicazione, di "edizioni". Nonostante lo sforzo e la volontà cli essere esaustivo, come scriveva Plinio il Vecchio, «non dubito che anche a me molto sia sfuggito», nec dubitamus multa esse quae et nos praeterierint (Nat. hist., praef 18). Sarebbe stato interessante allargare l'indagine e chiedersi se queste pratiche abbiano lasciato tracce nel mondo moderno. In W1articolo intitolato Humanisme et culture de la note, Jean-Marc Chatelain (in "Revue de la Bibliothèque nationale de France", 2, 1999, pp. 26-36) ha studiato «l'operazione tecnica della nota» nel Rinascimento e nel mondo moderno. L'abitudine cliriunire estratti, incontestabilmente assai antica, trovò la sua "razionalizzazione" a cominciare dal XVI secolo, momento in cui «Le guide degli studi [. ..] accordano in generale una estrema attenzione alla tecnica che noi chiameremmo "prendere appunti" e che si chiamava allora ars excerpendi,cioè l'arte o piuttosto la tecnica dell' estratto» (p. 27). Vennero pubblicati i manuali cli padre Francesco Sacchini, De rationelibroscum pro/ectulegendilibellus (ap. Joan. Abelem, Lugduni 1614),cli.padre Jeremias Drexel, Auri/odina artium et scientiarum omnium (ap. uiduam J. Cnobbari, Antverpiae 1638),cli Vincentius Placcius, De arte excerpendi(Llebezeit, Holmiae et Hamburgi 1689)e cli Daniel Georg Morhof, Tractatuspolystoricusde excerpendiratione (ap. P. Boeckmannum, Lubecae 1708), che spiegano e insegnano l'arso ratio excerpendi.Ciò che per Filodemo, Plinio il Vecchio, Aulo Gellio e altri autori antichi era una pratica innata e naturale diveniva un metodo razionalizzato, che si impara artificialmente. Questo libro è stato concepito per un pubblico che va al clilà degli specialisti; è per questo motivo che tutti i passi in greco e in latino sono stati tradotti in italiano. Ho deciso di proporre una mia traduzione che, senza pretese letterarie, dia un'idea di come leggo e interpreto quei testi, talora controversi o ambigui. Per ragioni indipendenti dalla mia volontà, ho rinunciato a un apparato di immagini, ma ho segnalato dove è possibile consultare una riproduzione dei principali documenti scritti oggetto cli discussione. Non mi resta, infine, che ringraziare Alain Blanchard per l'invito ad animare i cinque seminari papirologici. Con lui siano ringraziati anche tutti coloro che parteciparono attivamente a quei seminari, senza cli.menticare Guglielmo Cavallo, Riccardo Chiaradonna, Pierre-Paul Corsetti, Cristina D'Ancona, Angelo Giavatto, Richard Goulet, Emicli.oSpinelli, Philippe Vachoux e Bemard Vitrac. Un grazie particolare II

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

va ad Alain Segonds per la fiducia che mi aveva accordato accettando

Le Stylet et la Tablettenella collezione "L' Ane d' or" da lui diretta: non dispero di vedere un giorno pubblicata una ristampa, anch'essa rivista e corretta, di quel libro ormai da tempo non più disponibile. Le Stylet et la Tabletteera dedicato a Jaap e Margot Mansfeld. Che la dedica sia rinnovata nel rimpianto profondo di Margot. Ancora una volta, non ho bisogno di spiegare i motivi, splendidioresuitro, che mi hanno dettato questo gesto. Chartres, 6 giugno 2006

12

I

Lo stilo e le tavolette

In un articolo apparso nel 1930, How Thucydides Wrote His History, William K. Prentice si chiedeva come Tucidide avesse composto i libri della storia della guerra del Peloponneso 1. Ci potremmo porre la stessa domanda, ma in maniera più generale,· e chiederci come gli scrittori antichi scrivevano le loro opere, quale era il loro metodo di lavoro. Alcuni anni fa avevo già tentato di dare una risposta a questa domanda 2 • Negli ultimi tempi ho avuto di nuovo l'occasione di riflettere, a più riprese, sul soggetto, e le mie riflessioni mi hanno portato a modificare talune ipotesi e ad ampliare il campo della mia indagine. Vorrei tentare oggi di presentare una sintesi dei miei risultati: essa dà un'idea del problema più larga di quella che avevo schizzato nelle mie precedenti ricerche, organizzate in maniera piuttosto analitica. Una premessa è fin d'ora necessaria: le conclusioni che presento sono spesso fondate su convinzioni e idee personali che mi sono fatto leggendo le fonti antiche e possono talora mancare di una certezza assoluta a causa della scarsità delle testimonianze, del loro dettato non sempre evidente e anche delle distanze cronologiche che le separano. Vorrei prendere le mosse dalla soluzione che Prentice proponeva per TucidideJ: Ma come fu possibile a Tucidide rivedere e ampliare continuamente il suo libro [il libro VIII], come avrebbe potuto acquisire certi "documenti mano a mano e incollarli insieme nel suo manoscritto per rielaborarli più tardi", se il suo manoscritto era su rotoli di papiro? Possiamo immaginarci una tale procedura solo se un autore scriveva su fogli di papiro volanti che conservava insieme in un fascio o in una scatola. Né c'è motivo di rifiutare una tale supposizione; essa spiegherebbe molti fenomeni imbaraz,:anti che il lungo studio di questo libro incompiuto ha messo in luce. Il manoscritto originale consisteva in una pila di fogli con molte correzioni, cambiamenti e inserzioni. Da questi fogli il testo venne trasferito su un rotolo dopo la morte dell'autore, quando il libro venne pubblicato e ne vennero fatte copie per la vendita.

13

NELL'OFFICINA

DEI CLASSICI

Ho citato per intero questo passo di Prentice perché esso contiene in nuce un vero e proprio tentativo di capire il metodo di lavoro di uno scrittore antico - nel suo caso, Tucidide - e perché presenta anche alcuni elementi che sono stati considerati comuni a molti altri autori. Se partiamo dalle conclusioni di Prentice, si potrebbe supporre che gli scrittori antichi utilizzassero per la redazione dei loro testi singoli fogli di papiro, riuniti insieme in fasci o conservati in una o più scatole; il manoscritto di un'opera letteraria si sarebbe dunque presentato come una pila di fogli che sarebbero stati poi trascritti in bella copia su rotoli di papiro interi nel momento in cui l'autore decideva di pubblicare il proprio testo. Non si trattava di un'ipotesi nuova, ma è nella formulazione proposta da Prentice che essa ha conosciuto un largo successo 4 • Una procedura simile è stata postulata per spiegare la presenza di specifiche anomalie nella tradizione manoscritta di talune opere letterarie, in particolare alcuni spostamenti erronei di pericopi testuali, individuati, ad esempio, nella trasmissione di Aristofane, Demostene, Platone, Senofonte, dell'autore anonimo della CostituzionedegliAteniesi e nel De rerumnatura di Lucrezio, e che si è presunto risalissero a un'epoca antica. Si è fatto ricorso a questa ipotesi per risolvere anche alcuni problemi connessi con la composizione di testi complessi come le Vite dei filosofi di Diogene Laerzios e la Storianaturaledi Plinio il Vecchio 6. Io stesso l'avevo applicata, in un primo momento, alla trasmissione della Storiadell'Accademia di Filodemo di Gadara 7 • Soffermiamoci su alcuni di questi casi. Carlo Ferdinando Russo ha messo in evidenza come nei manoscritti bizantini delle Vespedi Aristofane ci siano almeno due passi che sembrano fuori luogo: i vv. 1265-1291 si trovano infatti al posto che spetterebbe piuttosto ai vv. 1450-1473equesti ultimi al posto dei vv. 1265-1291.La stessa situazione si ripete per i vv. 290-316, che bisognerebbe inserire tra i vv. 265 e 266: i vv. 266-289 (corifeo e coro) avrebbero occupato infine il posto dei vv. 290-316 (corifeo e bambino) e i vv. 290-316quello dei vv. 266-2898• Luciano Canfora ha fatto notare che una serie importante di passi della TerzaFilippicadi Demostene sembrano trasmessi in un ordine erroneo 9 • Eccone un solo esempio ' 0 : nei manoscritti di Demostene, i parr. 36-40 sono seguiti dai parr. 41-45 [46]. Canfora ha tuttavia mostrato che nel § 36: où yàp avev Àoyov KaÌ BtKaias aiTias OVTET00' OUTc.:>S eTxov éToiµws npòs ÈÀeu0epiav oi "EÀÀTJVES ovTe npòs TÒ BouÀeve1v,«poiché, non senza ragione e un motivo adeguato, i Greci allora eTxov erano tanto inclini alla libertà e ora a servire», la frase To0' ouTc.:>S éToiµws npòs ÈÀev0epiav(«allora erano tanto inclini alla libertà») si riferisce esplicitamente all'episodio raccontato ne~parr. 41-45.Possiamo 14

I, LO STILO E LE TAVOLETTE

comprendere questa frase e quella che segue - e'era nei Greci di una volta {ToT') qualcosa che sconfisse l'oro persiano (''Hv TI TOT' [ ...), o Ka\ Twv TTepowv èKpcrn,oe nÀoVTov) - solo se la si traspone dopo i parr. 41-45.La successione di questi paragrafi quale venne concepita da Demostene sarebbe stata dunque la seguente: 41-45[46] ➔ 36-40". Friedrich Solmsen ha supposto che, nelle pagine che Platone consacra alla critica dei poeti nei libri o e m della Repubblica,ci sia un passo (m 389b2-d6) fuori posto 12 • Si tratta del brano in cui Platone sostiene che i governanti (Toì's àpxovo1v) della città, ed essi soltanto, hanno il diritto di dire il falso per ingannare nemici o concittadini nell'interesse dello Stato. Solmsen ipotizza che Platone avesse scritto questo capitolo in un'epoca in cui pensava di inserire nella sua Repubblicauna sezione sulla condotta dei cittadini e sui loro rapporti con i governanti. Poiché nella redazione della Repubblicache ci è giunta non troviamo traccia di questa rubrica, è possibile concluderne che essa faceva parte di una prima redazione dell'opera e che Platone l'aveva eliminata nel momento in cui aveva preparato la redazione finale della Repubblica.È difficile immaginare che Platone stesso abbia collocato questo passo al posto sbagliato: «Probabilmente dobbiamo pensare a un editore che ebbe accesso alla stesura che Platone aveva abbandonato»''· L'errore si sarebbe prodotto verisimilm.ente nell'edizione che i membri dell'Accademia avevano preparato dell'opera di Platone dopo la sua morte 14 • Anche un passo (II 9-10) della CostituzionedegliAteniesi, falsamente attribuita a Senofonte, ci sarebbe giunto fuori posto: Ben sapendo il popolo che per quanto riguarda sacrifici, vittime, feste, recinti sacri non è possibile - a ciascuno dei poveri individualmente - fare sacrifici e banchetti sacri e procurarsi vittime e abitare una bella e grande città, ha trovato in che modo avere tutto questo. Sacrificano dunque a spese pubbliche, in quanto città, molte vittime; è il popolo che consuma il banchetto e si spartisce le vittime. E ginnasi e bagni e spogliatoi, alcuni ricchi li posseggono in proprio: il popolo invece costruisce per sé, per proprio uso, molte palestre, spogliatoi, bagni. E di queste cose si giova più la massa che non i pochi e i benestanti.

Canfora ha suggerito che Il 9-10 dovrebbe precedere I 13: «Dopo Kaì yvµvaoia KTÀdi II, 9 segue infatti in modo del tutto naturale, Toùs 5è yvµvaçoµévouç KTÀ (I 13). In questo modo i due contesti in cui si parla di ginnasi e palestre vengono a ricongiungersi» •s. Più complesso è il caso della cosiddetta "apologia" di Alcibiade nelle Elleniche(I 4, 13-20)di Senofonte 16 • Questo passo è evidentemente corrotto e si è tentato in diverse occasioni di correggerlo anche a prezzo di interventi radicali. La soluzione proposta da Canfora ha il vantaggio 15

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

di non intervenire sw testo in maniera troppo congetturale. Lo studioso suppone che qui Senofonte riferisca brevemente le posizioni favorevoli e contrarie degli Ateniesi nei confronti di Alcibiade, la notizia del suo sbarco ad Atene nel 408 a.C., quella dei due discorsi che costui aveva tenuto dinanzi al Consiglio e all'Assemblea per difendersi dall'accusa di empietà (I 4, 13fino a Kaì µ6vos più 17-20). Nell'ambito di questa narallafine di 16 OVK razione leggiamo un brano (da I 4, 13 aneAoyiJ8n C.::,ç eìxov XPfia8a1) che non ha legami né con quello che precede né con quello che segue e che costituisce una specie di "apologia" di Alcibiade che Senofonte riferisce in forma di discorso indiretto. Canfora spiega questa anomalia supponendo la presenza di una scheda el!Wte maldestramente inserita in questo contesto. Anche il prologo al primo libro del De rerum natura di Lucrezio (I 1-148) sarebbe stato trasmesso in maniera confusa. Ancora una volta, Canfora ne propone una lettura frutto dell'inversione di alcune pericopi testuali: 1-43;62-79; 44-61; 136-145;80-136; 146-14,811 • La conclusione generale che possiamo trarre da questi esempi non si distingue molto da quella alla quale Canfora era giunto a proposito del "manoscritto d'autore" della TerzaFilippicadi Demostene: il manoscritto di un autore antico si presentava spesso sotto forma di una pila di fogli di papiro, e non di tavolette, «poiché solo con dei fogli - e non già con tavolette (adatte ad appunti fugaci o a brevissimi componimenti) e tanto meno con il rotolo- possiamo spiegarci lo spostamento di un'intera unità di una quarantina di righi» 18• A parte questi esempi che restano, più o meno, nel dominio della specwàzione, sono riuscito a trovarne un altro che non può effettivamente spiegarsi se non ammettendo lo spostamento erroneo di una "scheda" (sia essa un foglietto di papiro, pergamena o una tavoletta). Mi riferisco alla colonna IV del papiro di Ercolano 1021 (Filodemo, Storia dell'Accademia). La sua collocazione attuale tra le colonne m e v è sicuramente erronea, come riswta evidente già a una prima lettura. Gli editori sono d'accordo che la prima parte della colonna IV (1-25)deve essere sistemata dopo la colonna vm e prima della colonna IX, e la seconda parte (IV 25-45) tra le colonne XII e XIII'9 • Nelle colonne me v, Filodemo narra l'ultima notte di Platone seguendo il racconto che ne aveva fatto Filippo di Opunte (IV secolo a.C.) trasmesso da Neante di Cizico (seconda metà del IV secolo a.C.): Platone malato riceve la visita di un caldeo accompagnato da una suonatrice tracia che cerca di addolcire gli wtimi momenti di vita del filosofo con il canto. Se teniamo conto della sintassi e del contenuto del testo, si nota senza difficoltà che alla fine della colonna m segue direttamente l'inizio della colonna V: 16

I. LO STILO E LE TAVOLETTE

IlI 39

v1

r EYTJpaK~S i\Sri TTÀaTCùV çév[ov] ÙTTE6É~[aT]OXaÀOa[ìo]v erre· iiµépas] 'T1vàs' èmipÈ~e[v.'EKei]llv[o]s 6' \Ì1Tb 0patTTTJS èyye[vès] µÉÀoçilp(µ)one MKTVÀ[v.>1] èv6Ì6où[s) pv_8µ6v.

Platone, ormai vecchio, ebbe come ospite un caldeo, poi per alcuni giorni [Platone] ebbe la febbre. E quello, accompagnato da una [schiava] tracia, voleva intonare un canto della sua terra dando un ritmo con un dito 20 •

Ora, sul papiro, tra le due colonne, se ne legge un'altra (la colonna IV) che niente ha a che fare con le due restanti. Dal punto di vista del contenuto, la colonna IV si compone di due brani di testo fra loro indipendenti. Il primo (Il. 1-25)conserva la fine del racconto della vittoria di Senocrate a una gara simpotica alla corte del tiranno Dionisio II di Siracusa e si ricongiunge con la fine della colonna VIII2.1: VIII 45 IV 1

Kaì v1Kiiaas~[e]v0Kpém1s eÀa[l3e]v·aù[Tòv Ka:)11nì TÒV'Epµijv 6:n~eè-i-o,Ka8anep EÌW8EI To"1s[a]v81VOU!).

E Senocrate quando ebbe vinto la prese [la corona d'oro] e la pose sulla testa della statua di Ermes come era solito fare con quelle di fioriu..

Il secondo testo (Il. 25-45)deriva dalla Vitadi Palemonee risale alle Biografiedi Antigono di Caristo. Esso si ricongiunge con l'inizio della colonna XIII: IV 45

• laTopeìTai Sè KanJ veav1K[~s] ètK[6Àaa]Toç yev[éa]8a1 nìv np&l[Tflv, Il waTE]·Kaì 61à T[o]ù Kepaµe1[KoùTTO]TE µe86ovTa KCù-. [µaa]a1 µe8' ii'µé'pav. 0

XIII1

Si racconta che [Polemone] all'inizio era stato un giovane sfrenato nella maniera più audace, al punto che una volta era anche andato in giro ubriaco attraverso il Ceramico in pieno giorno 2 3•

Il caso del PHerc.1021è estremamente importante perché - lo vedremo meglio nel secondo capitolo - questo rotolo tramanda, se non una pri17

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

ma raccolta di note messe insieme da Filodemo, almeno il brogliaccio della sua Storiadell'Accademia24. Si tratta pertanto di uno dei rari esempi di "manoscritto d'autore" che ci sia stato trasmesso dall'antichità, una caratteristica che spiega l'anomala posizione della colonna IV ..5• L'ipotesi di Prentice, se usata con cautela, può dunque rivelarsi utile per spiegare alcune tipologie di errori nella primissima fase della redazione di un'opera letteraria (come nel caso, almeno, di Filodemo). In uno studio sulla trasmissione del testo della Storiadell'Accademia di Filodemo, Cronert,. 6 aveva già avanzato una teoria per certi aspetti simile a quella di Prentice, ma molto più aleatoria. Lo studioso tedesco, a partire dallo studio del PHerc.1021,presumeva che fossero i singoli fogli che contenevano la prima redazione scritta di un'opera letteraria a essere infine incollati insieme a formare un rotolo intero. L'esame di diversi papiri scoperti in Egitto e a Ercolano ha invalidato questa teoria fantasiosa: vi scorgiamo infatti senza difficoltà un gran numero di kolléseis(punti in cui due fogli di papiro si sovrappongono) coperte di scrittura, un fenomeno che non si spiegherebbe affatto con il metodo postulato da Cronert. Eccone qualche esempio. Tra i papiri di Ercolano, proprio il PHerc. 1021:si intravedono kolléseiscoperte di scrittura a livello della colonna 7 • Tra i papiri di provenienza egiziana, se ne VII e forse della colonna XX:Z. ritrovano frequenti esempi nel papiro di Bacchilide (PLitLond.46 [MP3 175= LDAB438]: seconda metà del II secolo d.C.) e in quello di Eronda (PLitLond. 96 [MP3 485 = LDAB 1164]:II secolo d.C.),. 8 ; ma è possibile segnalare anche il PSorb.inv. 2272b (fine del III secolo a.C.: Menandro, I Siciont);il POxy. XXIV 2399 ([MP3 2194= LDAB823]: metà del I secolo a.C.: Duride di Samo?) e il POxy. IX 1176([MP3 1473= LDAB3929]: II secolo d.C.: Sofocle, I segugi),.9 • Questo dimostra in maniera indiscutibile che un rotolo antico non era formato incollando insieme singoli fogli già scritti, ma che usciva compiuto dalla manifattura e come tale era venduto e utilizzato 3°.Possiamo rilevare una conferma complementare di questa pratica nel fatto che quando si aveva bisogno di un foglio di papiro, più o meno grande (ad esempio, per prendere un appunto o scrivere un biglietto o una lettera), lo si ritagliava da un rotolo e non da un singolo foglio volante, venduto singolarmente, e lo si utilizzava spesso transversacharta(girato cioè di 90 gradi) 3'. Nelle pagine che seguono, vedremo che l'uso seppur occasionale e non sistematico di foglietti di papiro o di pergamena oppure di tavolette di cera o di legno è ben documentato fra gli scrittori antichi; bisogna tuttavia, fin d'ora, escluderne un uso massiccio quale è stato presupposto da Prentice. Non è difficile citare la testimonianza, di nume-

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1. LO STILO E LE TAVOLETTE

rosi autori che confermano un ricorso alquanto frequente a foglietti o tavolette, almeno nella prima fase della composizione di un'opera letteraria, come supporto per gli appunti presi leggendo le fonti e talora anche per la stesura di brogliacci o per stesure iniziali di testi di estensione limitata. Esaminando la questione delle fonti di Diogene Laerzio, Mejer 32· ha criticato l'ipotesi di Wtlamowitz 33 e di Schwartz3-1che Diogene raccogliesse note su foglietti (Zetteln), a partire dal presupposto che non ci sarebbero esempi di questa pratica fra gli autori antichi. Riprendendo un'idea di Lloyd W Daly 35, Mejer afferma che, in greco e in latino, non esiste un termine specifico per designare un pezzetto di carta o una scheda, e sostiene inoltre che tale pratica non avrebbe apportato un vero vantaggio, tenuto conto che i libri antichi si presentavano sotto forma di rotoli. Questa affermazione non è corretta. Sia in greco sia in latino troviamo una serie di parole che designano fogli di papiro (xapTiov, xapTi51ov, xapTap1ov, xapTapi51ov, chartula)36 e di pergamena (51cp8épa1,µEµ(3pava1, membranae) o tavolette di cera o di legno (ypaµµaTEìa, 5ÉÀTot,cerae,tabellae,tabulae).Questi fogli o tavolette sono spesso designati con il nome latino generico di pugillares(o pugillaria),ma nelle fonti antiche, la terminologia è più varia 37 • Talvolta questi termini sono utilizzati in connessione - ad esempio pugillarestabulae38 e ceraepugillares39- o in maniera sinonimica -ad esempio pugillariae codicilliin Catullo 40. Per ragioni di comodo, nelle pagine che seguono utilizzo esclu. sivamente il sostantivo pugillares. Il termine pugillaresè così spiegato nei glossari latini: parui libri uel tabulaequaspossispugno includere,«libriccini o tavolette che puoi tenere nel pugno» 41• I pugillarespotevano presentarsi sotto forma di due o più tavolette di legno semplice 42 , di legno spalmato di cera, oppure di avorio (pugillareseborei)43,ma anche di fogli di pergamena 44 e papiro 45 • Alcuni autori - Seneca e Plinio il Giovane - fanno la distinzione fra pugillares,nel senso di "tavolette per scrivere", "taccuini", e liber46e libellus47,nel senso di "testo redatto": CelsusNepoti ex libello respondit et CelsoNepos ex pugillaribus,«Celso replicò a Nepote a partire da un testo scritto, Nepote a partire da appunti», scrive Plinio 48• L'uso dipugillaresper prendere appunti è bene attestato 49 • Eccone alcuni esempi recuperati in autori greci e latini. Roberts e Skeat 50 hanno dimostrato che il sostantivo µEµ(3pava1 utilizzato da san Paolo (I secolo d.C.) nella Secondaletteraa Timoteo5' ha il senso di "quadernetti di pergamena", "taccuini": Tòv èpx6µEVOS,Seneca scrive al suo amico Lucilio: «Alcuni ci vengono [alle lezioni di Attalo] portando con sé tavolette (cumpugillaribus):non certo per trascrivervi le idee, ma parole che ripeteranno senza profitto per gli altri, allo stesso modo che le hanno ascoltate senza profitto per se stessi»S4. Plinio il Giovane, degno erede di suo zio Plinio il Vecchio, scrive in una lettera a Tacito che, anche durante la caccia, occupa il tempo a lavorare: «Avevo a portata di mano [...] uno stilo e delle tavolette (stiluset pugillares);meditavo qualche pensiero e prendevo nota (meditabaraliquid enotabamque);se rientravo a casa con le mani vuote, le tavolette di cera (cerae)almeno sarebbero state piene»ss. In Apuleio, il giovane Lucio, trasformato in asino, rimpiange di «non avere né tavolette né stilo (pugillareset stilus) per prender nota (praenotare)» della bella favola di Amore e Psiches 6 • Siamo meglio informati sull'abitudine di utilizzare pugillarescome supporto di prime stesure o brogliacci. Comincio con i versi famosi del prologo degli Aitia di Callimaco (m secolo a.C.), dove il poeta si rappresenta seduto con una tavoletta sulle ginocchia, pronto a scrivere i suoi versi ispirato da Apollo Licio: Ka\ yàp oT]e ,rpt:)T10Tov ȵois è,rì Séhov e8T)Ka eTmv o µ01 A~Kios. yovvacri]v, •~ir~ÀÀc..:>V E infatti, quando per la primissima volta posi la tavoletta sulle mie ginocchia, Apollo Licio mi dissei 7 •

Anche l' epigrammatista Posidippo (m secolo a.C.) così si rivolge alle Muse: Nvv Sè TTooe[l]S(,r,r~ cnvyepòv owaeipaTe yiipas ypa41aµevm SéÀTCùVÈVxpvaéms OEÀimv58• Ebbene alleviate ora o Muse l'odiosa vecchiaia a Posidippo scrivendo in colonne d'oro sulle tavolette. 20

I. LO STILO E LE TAVOLETTE

Dionigi di Alicarnasso racconta che, alla morte di Platone, venne ritrovata una tavoletta (6éÀToç) che conservava alcune varianti all'inizio della Repubblica59; Tlàai yàp 6fi1rouToì5 cp1À0Myo15 yvC.:,p11-1a Tà 1repìTi'iscp1Ào1rovia5 TavSpòs iOTopouµeva Tér TE a:ÀÀa Kaì STJKaì Tà 1repì TTJV6éÀTov fiv TEÀEuTT)aavT05aùToù Afyoua1v evpe8i'jva1 no1KIÀ005t-1ETaKe11-1évTJV TTJV àpXTJVTi'jç TT0A1nlas exouaav TfivSe· KaTé(3nv x8ès .eis Tle1paià µeTà n,aVKCùVOS TOÙ'ApiaTc..:,vo5. Tutti gli studiosi conoscono quanto si racconta della sua [di Platone] infatica• bile attività, e tra l'altro in particolare, la storia della tavoletta che, si dice. fu trovata allasua mone e che conteneva diverse varianti dell'inizio della Repubblica:

Discesiieri al Pireoin compagniadi Glaucone,figlio di Aristone.

Lo stesso episodio è narrato anche da Quintiliano, ma senza citare il testo di Platone 60 • Diogene Laerzio fa risalire la notizia a Euforione e a Panezio 61• Galeno ripete più volte nel suo Commentoalle «Epidemie»di Ippocrateche i libri n e VI di quell'opera non sono di Ippocrate, ma che vennero messi insieme, dopo la morte del medico, da suo figlio Tessalo, tenendo presenti note inedite del padre che aveva trovato scritte su foglietti di papiro, di pergamena e su tavolette (VTToypacpàs[...] yeypaµµévas EVXClpTatçTEKaÌ61cp8épa1ç KaÌ6éÀTOlç)61 . Tra gli autori latini,posso richiamare i versi conosciutissimidi Catullo: Hesterno, Licini, clie otiosi multum lusimus in meis tabellis, ut conuenerat esse delicatos: scribens uersiculos uterque nostrum ludebat numero modo hoc modo illoc. Ieri, Licinio, non avendo niente da fare, ce la spassammo a lungo con le mie tavolette, poiché avevamo deciso cli essere lascivi. Ciascuno cli noi si divertiva a scrivere qualche verso senza pretesa ora in un metro, ora in un altro 6';

oppure quelli dell'Arte poeticadi Orazio: Si quid tamen olim scripseris, in Maeci descendat iuclicis auris et patris et nostras, nonumque prematur in annum membranis intus positis. Se infine, un giorno, tu scriverai qualcosa, sottomettilo all'orecchio critico cli Mecio, a quello cli tuo padre e al mio e conservalo per nove anni ben racchiuso nei quadernetti di pergamena 64• 2.1

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

Bisogna qui dare a membranaeil senso di "quadernetti di pergamena" come fanno Brink e Roberts-Skeat 65 (note-book)e identificarli con i brogliacci di Orazio. Meno convincente mi pare l'interpretazione di Rudd: «Questo sembra implicare due fasi: (I) versi o espressioni (scripta)sono buttati giù (forse su una tavoletta cerata); (II) una stesura dell'intero poema è redatta su una membrana(pergamena)» 66 • Non mi resta che discutere qualche caso più controverso: la testimonianza di Diogene Laerzio su Filippo di Opunte, "editore" delle Leggi di Platone, e una serie di Apophoretadi Marziale nei quali il poeta sembra menzionare alcune "edizioni" di autori greci e latini copiate in membraniso in pugillaribusmembraneis. Nella Vita di Platone di Diogene Laerzio leggiamo 67 : VEv1oiTE cpaoìv 0T1iÀnmosò 'OnouvT1os Toùs N6µous avToù µETÉypaL'interpretazione della frase dipende dal senso 41evovTas èv KT)péj). Proche si dà al verbo µETÉypa41eve all'espressione ovTas èv KT)péj). pongo di tradurre µETÉypa41evcon "ricopiò" 68 e intendo l'espressione ovTas èv KT)péj) in un senso metaforico: le Leggi di Platone erano ancora in una stesura provvisoria, non avevano cioè ancora ricevuto l'ultima mano 69 • Possiamo dunque tradurre: «Alcuni raccontano che Filippo di Opunte ricopiò le Leggidi Platone quando erano ancora in una stesura provvisoria». Filippo avrebbe pertanto messo in circolazione, "pubblicato", le Leggi, che Platone aveva lasciato incompiute al momento della sua morte. L'ipotesi che le Leggi fossero realmente scritte nella loro totalità su miglia.iadi tavolette di cera mi sembra insostenibile, così come quella di Bergk secondo cui ci sarebbe qui un'allusione alla pratica dell'arte plastica, al sistema cioè della fusione del bronzo detta en cireperdue70. Non posso tuttavia trascurare il fatto che non sembrano attestati altri esempi nel senso metaforico di "ancora in una stesura provvisoria". di èv KT)péj) Il poeta Marziale (I secolo d.C.) descrive nei suoiApophoretaalcune "edizioni" di autori greci e latini che venivano offerti come presenti (apophoreton)in occasione dei Saturnali. Per alcuni libri dà solo il nome dell'autore (ad esempio, Sallustio e Tibullo) 7 ' talora accompagnato dal titolo (ad esempio, il Culex di Virgilio e la Thai'sdi Menandro) 72 • È stato suggerito che in questi casi Marziale indichi "edizioni" copiate su rotoli di papiro 73. Ci sono tuttavia nello stesso libro quattro altri epigrammi nei quali Marziale sembra descrivere "edizioni" di Virgilio, Cicerone, Tito Livio e Ovidio (Metamorfosi)su pergamena (in membranis)74e un quinto dove è questione di un esemplare dei poemi di Omero in pugillaribusmembraneis75.Gli esempi più interessanti sono quelli di Omero e Tito Livio. Di Omero leggiamo 76 : 22

I. LO STILO E LE TAVOLETTE

Ilias et Priami regnis inimicus Vlixes multiplici pariter condita pelle latent.

!;Iliade e la storia di Ulisse, il nemico del regno di Priamo, sono conservati insieme in numerosi fogli di pergamena.

E di Tito Livion: Pellibus exiguis artatur Liuius ingens, quem mea non totum bibliotheca capit. Queste piccole pelli condensano l'enorme Tito Livio, che la mia biblioteca non può contenere tutto intero.

Nei primi quattro esempi manca la menzione pugillares,ma la lettura delle due poesie appena analizzate porta a ipotizzare che anche in questi casi si possano presupporre pugillaresmembranei: Quam breuis inmensum cepit membrana Maronem! ipsius uultus prima tabella gerit. Quale piccola pergamena richiude l'immenso Virgilio! Sulla prima pagina c'è anche il suo ritratto 78; Haec tibi, multiplici quae structa est massa tabella, carmina Nasonis quinque decemque gerit. Questa grande opera, preparata per te in molteplici pagine, racchiude quindici libri dei poemi di Ovidio 79.

Marziale sembra alludere qui a codici di pergamena (in membranis,pelle, pellibus)e sembra utilizzare il termine pugillaresmembraneicome sinonimo di codex'°.È sotto forma di codice che aveva visto la luce }"'edizione" degli Epigrammidi Marziale (quosartat breuibusmembranatabellis),codice che aveva le dimensioni di pugillares8': Qui tecum cupis esse meos ubicumque libellos et comites longae quaeris habere uiae, hos eme, quos artat breuibus membrana tabellis: scrinia da magnis, me manus una capit. Tu che vuoi avere con te dovunque i miei libretti e che desideri la loro compagnia per un lungo viaggio, compra questi qui, che la pergamena condensa in piccole pagine. Riserva gli scaffali ai grandi libri: io tengo in una sola mano.

Un'interpretazione diversa, assai interessante, del primo di questi apophoretaha dato di recente Radiciottis,.. Lo studioso propone di interpreta23

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

re la testimonianza dell'"edizione" di Omero «come riferita all'uso di rivestire i uoluminapapiracei di guaine membranacee (questo indica il verbo latere}per favorirne la conservazione (si tratterebbe dunque solo di una normale edizione di Omero in più libri-uolumina)».In questo caso, il secondo verso va tradotto: «sono tutti ricoperti di guaine di pergamena». È con piena coscienza che non affronto il problema ~sai dibattuto dei rapporti fra pugillarese codex,se si possa cioè individuare nei pugillaresuna forma rudimentale di codex,né quello del ruolo che i pugillares svolsero nel passaggio dal rotolo al codice. Tutto questo mi porterebbe troppo lontano dal contenuto e dagli intenti del mio libro 8'. Per concludere, non posso che ribadire la mia opinione che si debba abbandonare definitivamente l'ipotesi che afferma che un manoscritto d'autore consistesse in una pila di fogli già scritti che sarebbero stati poi incollati insieme in modo da formare un rotolo oppure copiati su un papiro solo al momento della pubblicazione. Il ricorso a pugillaresera piuttosto limitato alla primissima fase dell'attività compositiva di uno scrittore, alla raccolta di appunti e di estratti, alla redazione di brogliacci di un testo di breve estensione, oppure per apportare qualche aggiunta sporadica. Le fasi della composizione di un'opera letteraria erano più complesse e sfumate di quanto non lascerebbe credere l'ipotesi di Prentice. Ma su tutto questo mi soffermerò nei prossimi capitoli.

Note 1. W. K. Prentice, How ThucydidesWroteHis History,in "CPh", 15, 1930,pp. u7-2.7. 1. T. Dorandi,DenAutorenuberdieSchu/Jer geschaut.ArbeitrweiseundAutographie in "ZPE", 87, 1991,pp. u-33; Id., ZwischenAutographieund bei den antikenSchriftsteller, Diktat:Momenteder Textualitiitin derantiken Weu, in W. Kullmann,J. Althoff(hrsg.), Vermittlungund Tradierungvon Wissenin dergriechischen Kultur,Narr, Tubingen 1993,

pp. 71-83. 3. Prentice, How ThucydidesWroteHis History,cit, p. 12.5. 4- L. Canfora,Tr1JSlocazioni testualiin testigrecie latini,in E. Flores(a cura di),La criticatestualegreco-latina, oggi.Metodie problemi,Edizionidell'Ateneo,Roma1981,pp. 199-315.

s,Cfr.S.N. Mouraviev,La Vie d'Héraditede DiogèneLairce(analysestratigraphique; letextedeba1e;un nwvfiç.Dobbiamo a Marcel Richard la corretta spiegazione dei due sensi di questa formula 7 9: a) dal Vo VIsecolo e fino all'VIII,ànò TTpÒçTT)VàvayV(.,)OIV

Infatti, una volta che lui [Plotino] aveva scritto, non sopportava di copiare di nuovo quello che aveva scritto, né lo rileggeva o rivedeva neppure una sola volta, poiché la sua vista non lo aiutava molto nella lettura.

Una piena fruizione di questa testimonianza è purtroppo ostacolata dalla difficoltà che abbiamo a decifrare il senso delle linee che seguono immediatamente86: "Eypacpe Sè oÙTeeis icéxUos àrroTUTTouµevos Tà Tàs avÀÀal3às 6taipc7lvOÙTE Tiis òp8oypaµµaTa OÙTEEVOT)IJCalS L'esegesi più ypacp(as cppovTi~c.Jv, àÀÀà µ6vov Toù vov èx61-1evos. convincente è quella cli Carlini, che dà a avÀÀal3ai il significato di "nessi significativi", "unità cli senso", e cosi paptfi:~~= «Plotino scrive piuttosto male e, non preoccupandosi per clipiù iliapporre segni di lettura, distinguendo le parti del discorso [le avÀÀal3a(],genera ambiguità non lievi» 87. Nel passo di Svetonio già citato a proposito dei brogliacci autografi di Nerone, e in altri due 88, troviamo il termine chirographumutilizzato nel senso di "manoscritto autografo" 89, ma sembra sia una peculiarità linguistica di questo autore. Il quadro che ho tracciato è abbastanza chiaro, ma è mio dovere mettere in guardia, ancora una volta, contro la tentazione di estendere questi risultati a tutti gli autori e a tutte le epoche della letteratura greca e latina. La scelta della scrittura autografa o del dettato dipendeva spesso da esigenze pratiche e situazioni personali e soggettive proprie di ciascuno 55

NELL'OFFICINA DEI CLASSICI

scrittore, che fosse poeta o prosatore 90 • Abbiamo visto che uno stesso autore poteva ricorrere all'autografia o al dettato in epoche differenti della sua vita. Il caso di Gerolamo che, per ragioni di salute, praticò il dettato a partire q.iuna certa data, ha valore paradigmatico. Non bisogna neppure credere che il ricorso all'uno o all'altro dei due metodi dipendesse dal fatto che un autore scriveva in prosa o in versi, né dal livello cui era giunta la composizione di un'opera letteraria: un autore avrebbe potuto riservare l'autografia ai brogliacci e il dettato alla redazione finale. La difesa accanita che Quintiliano fa dell'autografia delle opere in prosa 9 ' è un dato indicativo del fatto che la pratica del dettato rimaneva un fenomeno assai diffuso. Quintiliano cercava di evitare un ricorso eccessivo a questa procedura. Il dettato, infatti, più della scrittura autografa, richiedeva una revisione attenta, soprattutto nei giovani che non avevano ancora troppa esperienza, e poteva produrre testi sciatti e improvvisati. Anche l'autografia dei testi poetici nella Roma repubblicana dei circoli letterari influenzati dal neoterismo e dai poeti alessandrini è stata in larga misura messa in dubbio negli studi consacrati al significato del verbo dictaredi Norden 9\ Ernout 93 e Quinn 94 • Ernout, in particolare, sostiene che il sistema della dettatura dei testi poetici era il più diffuso nel mondo greco-latino e costituiva il processo abituale di composizione. Egli indica una conferma a questa ipotesi nello slittamento semantico, nel corso dei secoli, del verbo latino dictare,dal senso originale di "dettare" a quello di "comporre"; un'ipotesi che sarebbe, a suo avviso, confortata ulteriormente dal significato che il verbo dictareassume nelle parole tedesche dichten,Dichter,Gedicht95• A queste tesi obiettò, con argomenti poco convincenti, Herescu 96. Lo studioso non nega che i Romani avesser9 rico~_o..al dettato in determinate occasioni: venivano spesso dettati atti (ufticiali o privati), memorie, relazioni, lettere. Gli uomini politici, gli avvocati, gli scienziati ricorrevano anch'essi al dettato, ma non possiamo affermare lo stesso per i letterati. Dobbiamo rinunciare a una parte almeno delle testimonianze riunite da Norden e da Ernout e interpretare le restanti diversamente. Attraverso un'analisi puntuale di queste ultime, Herescu giunge alla conclusione che «il dettato non era la pratica normale di composizione almeno per le opere propriamente letterarie e per gli autori più conosciuti, soprattutto all'epoca classica» 97 ; gli autori antichi ricorrevano al dettato solo «nel momento in cui la composizione era finita o quasi finita»98. Nel processo di elaborazione di un'opera letteraria possiamo distinguere, a suo dire, tre tappe: la prima è quella in cui si prendono appunti o si preparano schizzi (notare,enotare);la seconda corrisponde al-

3. TRA AUTOGRAFIA E DETTATO

l'elaborazione del materiale raccolto, alla formazione dell'opera (formare o componere);la terza, infine, è quella del dettato (dictare)del testo in una maniera «quasi meccanica». tK&S, si prevedeva una vera e propria pubblicazione, (KotvJÌ)ÉK0001s:in questo caso specifico, il secondo libro delle Epidemie di Ippocrate conservò sempre la forma "ipomnematica", mentre il primo e il terzo della medesima opera vennero corretti, rivisti e infine pubblicati. È venuto il momento di analizzare la testimonianza delle subscriptiones ("titoli") di tre rotoli della biblioteca del filosofo epicureo del I secolo a.C., Filodemo di Gadara. I tre rotoli, che conservano i tre primi libri della Retoricadi Filodemo, portano scritta nelle rispettive subscriptiones, dopo la menzione TTepì PflTOptKJlS,la menzione vnoµvnµa70

4. «QUESTE OPERE NON SONO SCRITTE PER LA PUBBLICAZIONE»

TtK6v. Si tratta dei PHerc.1427 (libro I), PHerc.1674 (libro II) e PHerc. 1506 (libro m):

1À0Sfiµou I TTepìPTJTOpu