Un oceano d'aria. Perché il vento soffia e altri misteri dell'atmosfera 8875781311, 9788875781316

Il 16 agosto 1960 Joseph Kittinger, capitano dell'aeronautica, si lanciò da un'altezza di 32.000 metri, in cad

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Italian Pages 256 [275] Year 2009

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Un oceano d'aria. Perché il vento soffia e altri misteri dell'atmosfera
 8875781311, 9788875781316

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Gabrielle Walker

Un oceano d'aria Perché il vento soffia e altri misteri dell'atmosfera Traduzione di Susanna Bourlot

EDIZIONI

Gabrielle Walker

Un oceano d'aria Perché il vento soffia e altri misteri dell 'atmosfera Progetto grafico : studiofluo srl In1paginazione: Maria Beatrice Zampieri Redazione: Stefano Milano Coordinamento produttivo : Enrico Casadei Gabrielle Walker

A n Ocean fAir Why the Wind Blows and Other Mysteries cf the A tmosphere ©

©

2007 by Gabrielle Walker All rights reserved

2009 Codice edizioni , Torino Tutti i diritti sono riservati ISBN 978-8 8-7578- 1 3 I -6

Per Fred e Hubert

lo adorno la terra tutta. Sono la brezza che nutre ogni viridità. Incoraggio i boccioli a fiorire difrutti presto maturi. Sono condotta dallo spirito ad alimentare le correnti più pure. Io sono la pioggia che viene dalla rugiada Che rallegra l'erba con la gioia della vita. Ildegarda di Bingen, badessa del X I I secolo

Indice

XI

Prologo

3

Parte

5

L'oceano sopra di noi

1.

Capitolo

Capitolo

Una coperta rassicurante

1

2

27

L'elisir della vita

59

Cibo e calore

Capitolo 3

Capitolo

4

Via col vento

1 23

Parte

1 25

La storia del buco

1 55

Lo specchio del cielo

191

L'ultima frontiera

225

Epilogo

n.

Capitolo

Protetti dal cielo

5

Capitolo 6

Capitolo

7

229 23 1 245 25 3

Ringraziamenti Note Suggerimenti per ulteriori letture Indice dei nomi e dei luoghi

Prologo

1 6 agosto 1 960, ore 7.00 del mattino Trentadue chilometri a nord del New Mexico,Joe Kittinger si libra­ va nel cielo. Per I I minuti rimase lì, sospeso in una navicella scoper­ ta che roteava lentamente sotto un immenso pallone aerostatico pie­ no d'elio. L' alba era passata da un pezzo, eppure l'aria circostante era buia come a notte fonda. Lontano, molto più un basso, dove la super­ ficie terrestre si curvava al confine con l'orizzonte, un alone azzurro e luminoso si stagliava contro l'oscurità dello spazio. Quel celeste era l'atmosfera, il più grande dono che il nostro pia­ neta possieda. Il meraviglioso colore azzurro della Terra non è dovu­ to agli oceani, ma al cielo, e gli astronauti che hanno visto quel deli­ cato alone al loro ritorno hanno raccontato tutti la stessa storia: face­ va apparire la Terra incredibilmente fragile, e incredibilmente bella. Qui sulla superficie, lontano da quel punto d'osservazione privi­ legiato, tendiamo a dare la nostra atmosfera per scontata. Eppure l'a­ ria è una delle sostanze più miracolose dell'Universo. Da sola, quella sottile linea azzurra ha trasformato il nostro pianeta da un'arida mas­ sa di roccia a un mondo pieno di vita. Ed è l'unica barriera a divide­ re noi terrestri dall'ambiente mortale del cosmo. Kittinger si era spinto troppo lontano. Lassù, al confine con lo spazio, l'aria era talmente rarefatta che se la sua tuta pressurizzata avesse smesso di funzionare, sarebbe morto nel giro di pochi minuti. Dapprima la saliva avrebbe iniziato a schiumare, poi gli occhi sareb­ bero sgusciati fuori dalle orbite e lo stomaco si sarebbe gonfiato, e in­ fine il sangue sarebbe andato in ebollizione. Di tutti i rischi che ave­ va corso nella sua vita - era un collaudatore dell'aeronautica militare americana - questo era di gran lunga il peggiore. Solo nella sua navicella, era perfettamente consapevole del peri­ c olo. Quel quasi-vuoto sembrava stranamente palpabile, come un manto imbevuto di veleno. Il buio lo innervosiva, come pure la

Un oceano d'aria

XII

cortina di nubi giù in basso che gli impediva di vedere casa. Chia­ mò via radio la base : , il grande contemplatore di stelle, e con biasimo gli dissero che la sua ce­ cità era una punizione divina, Galileo replicò pronto che perlomeno . Per B oyle, anche la Chiesa era affetta da cecità. D ecise che la reli­ gione doveva rivelare le meraviglie della natura creata da Dio, e non nasconderle dietro foschi dogmi. Boyle non voleva sentirsi dire cosa p ensare dei meccanismi del mondo. Scoprirli da sé sarebbe stato il suo modo di glorificare Dio. Il seme piantato dall'opera di Galileo rischiò comunque di avviz­ zire n" e gli anni successivi. Poco dopo che Boyle ebbe lasciato Firenze, nella natia Irlanda scoppiò una rivolta, mentre l'Inghilterra precipita­ va nella guerra civile. Ci vollero più di due anni perché Boyle riuscis­ se a tornare a casa, e anche allora non riuscì ad andare oltre l'Inghil­ terra, dove si stabili prima a Londra dalla sorella e poi a Stalbridge, un modesto maniera che suo padre gli aveva comprato nel Dorset. Era un buon momento, per Robert Boyle, per darsi alla vita del signorotto di campagna: l ' Inghilterra aveva ritrovato un po' di pace. D 'accordo, re Carlo I era stato arrestato, messo sotto accusa e infine decapitato sulla pubblica piazza, ma il Lord protettore, Oliver Crom­ well, aveva assunto il potere e insieme al suo N ew M o del Army ave­ va ripristinato in larga misura la stabilità politica. Boyle viveva tran­ quillo nella sua residenza. Si dava alle attività del vero gentiluomo : caccia, pesca e d equitazione. Ma alla sua vita mancava qualcosa. Era pieno di idee, n1a ancora non aveva trovato la sua strada. B oyle si diede ai componimenti reli-

14

Parte

I.

Una coperta rassicurante

giosi. Scrisse una serie di Occasionai Rejlections indirizzate alla sorella prediletta, Katherine, lady Ranelagh; spesso si trattava di stucchevoli insegnamenti morali ispirati da «Sopra lo spettacolo di una bella pa­ storella che canta alla sua mucca)> o «Sopra l'attenzione del mio spa­ niel a non perdermi in un luogo strano)> . Questo gli procurò più di un'ironia, che a essere giusti non meritava. Boyle sarà anche stato pio, ma non fu mai bigotto. Era gentile, affabile e di un' equanimità quasi patologica, e, se i suoi sentimenti religiosi ci sembrano naif, bi­ sogna ricordare che aveva poco più di 20 anni. Una delle più famose parodie delle Reflections di Boyle uscì molti anni dopo - dalla penna dello scrittore satirico Jonathan Swift, che all'epoca era il cappellano personale di una nobildonna che te­ neva in gran conto le opere di Boyle e se le faceva leggere di conti­ nuo dallo scrittore. Swift arrivò a un livello tale di esasperazione che infilò una sua "riflessione" , non autorizzata e molto divertente, inti­ tolata Meditazione su un manico di scopa: «Ma voi direte che un manico di scopa è l'emblema di un albero che si leva sulla chioma; e l'uomo allora cos'altro è , se non una creatura alla rovescia?)> (nonostante la presa in giro, è più che possibile che Swift debba alla vivida immagi­ nazione di Boyle l'ispirazione per il suo più celebre romanzo 1 0, I viaggi di Gulliver) . Boyle scrisse persino un romanzo sentimentale e insieme estre­ mamente moralistico, e per qualche tempo sembrò che potesse sfrut­ tare le sue doti intellettuali per una carriera letteraria. Ma la sua cu­ riosità sul funzionamento del mondo ebbe il sopravvento.Voleva ca­ pire il mondo in modo nuovo, quel modo che gli aveva indicato Galileo. Ma soprattutto voleva sperùnentare. Così, nel I 649 , Boyle installò un laboratorio a Stalbridge. Com­ missionò delle fornaci sul continente e tentò degli esperimenti al­ chemici per trasformare il piotnbo in oro. Ma gli parvero sforzi in­ sensati. Quel che gli occorreva era la compagnia di altre persone che, come lui, desiderassero capire il rnondo naturale tramite esperi­ menti e non solo con la ragione. Durante le visite alla casa !ondine­ se della sorella Katherine aveva conosciuto molti di questi uornini, che già stavano discutendo i migliori metodi di saggiare la natura. Si ritrovavano a casa dell ' uno o dell' altro e si facevano chiamare l"'Invisible College" , sebbene Boyle si riferisse a loro solo come gli " Invisibili" (fu l' antesignano di quello che sarebbe diventato la fa­ mosa Royal Society di Londra, quando alla morte di Cromwell fu restaurata la monarchia) . Da quei personaggi e dalle conversazioni

L'oceano sopra di noi

rs

con la riflessiva e intelligente sorella, Boyle aveva imparato molto. Ma Londra era diventata politicamente troppo instabile per quei p ensatori e molti di loro avevano lasciato la capitale per rifugiarsi dietro le mura sicure dell' università - un po' meno invisibile - di Oxford. E così, intorno al 1 6 5 0 , Boyle decise di imitarli. Abbandonò il suo maniera e si trasferì nelle stanze in affitto che la sorella gli tro­ vò presso un farmacista. Perlo meno Boyle era nel suo elemento. N o n gli era mai interes­ sato lo status privilegiato che gli spettava per nascita. (E neppure gli interessavano particolarmente la fama e il denaro. Per tutta la vita avrebbe sempre declinato le offerte di cariche e onorificenze. Con la sua tipica sagacia, disse che preferiva lavorare sulle cose «luciferous rather than lucriferous>> , cioè preferiva un lavoro che portasse l'illu­ minazione della scienza, più che la ricchezza materiale1 1) . Finalmente era circondato da persone animate dalla sua stessa pas­ sione. Erano chimici e matematici, fisici e medici. Tra loro c 'erano Richard Lower e Tom Willis, che qualche tempo dopo avrebbero ese­ guito i primi esperimenti di trasfusione di sangue; e Christopher Wren, un eclettico architetto, un vero uomo del Rinascimento. Ox­ ford sembrava traboccare di personalità ansiose di sperimentare e di scoprire come funzionava il mondo. Per i primi anni, B oyle guardò, ascoltò e imparò . Doveva ancora decidere quale area far sua. N el frattempo, nel Continente corse voce dell' esperimento di Torricelli con l'argento vivo. In Francia, che era fuori dalla p ortata dell ' Inquisizione, un filosofo di nome Blaise Pa­ scal aveva fatto scalpore con le sue dimostrazioni pubbliche, nelle quali usava tubi di vetro lunghi I o metri pieni di acqua e vino, oltre all'argento vivo tanto amato da Torricelli ma molto meno teatrale. Usò anche il livello di liquidi differenti spinti in su dall'aria per cal­ colare il valore del peso complessivo dell'atmosfera. Annunciò che il nostro oceano d'aria pesa circa 8 2 8 3 8 8 9 440 ooo ooo ooo libbre, e non ci era andato molto lontano 1 2 . Dalla Francia, la notizia dell' esperimento aveva attraversato la Manica ed era arrivata a Londra, dove gli " I nvisibili" ne furono conquistati e lo ripeterono più volte. Ancora prima di andare a Ox­ ford, B oyle si era imbattuto nell' esperimento durante una delle sue trasferte londinesi, e ne era stato subito incuriosito. Più tardi scrisse che l ' aria costituiva un perfetto oggetto di studio. N o n solo è ne­ cessaria per respirare, ma ci tocca dentro e fuori ogni giorno della nostra vita. Qualcosa che sia tanto essenziale e tanto pervasivo do-

16

Parte

1.

Un a coperta rassicurante

veva per forza racchiudere dei segreti scientifici insospettati. Tutta­ via l ' esperimento di Torricelli era stato dissezionato in ogni sua parte e riprodotto con frequenza; non sembrava che B oyle potesse farci molto altro. Poi, nel 1 6 5 7 , scoppiò la bomba. Il borgomastro di Magdeburgo, in Germania, un certo Otto von Guericke, aveva inventato un modo per aspirare l'aria. Il suo metodo era un po' rozzo, ma Gue­ ricke era uno showman nato e la sua invenzione fece scalpore. Prese due emisferi di rame dal diametro di circa 50 centimetri, ben rifilati così che i loro bordi combaciassero perfettamente a formare un glo­ bo sigillato ; poi usò la sua nuova pompa per rimuovere molta del­ l'aria presente all'interno del globo. Infine, attaccò dei cavalli da una parte e dall' altra e li fece tirare. A causa dell' enorme p eso dell' atmo­ sfera che premeva i due emisferi l ' uno contro l'altro, ci vollero 3 2 cavalli per separarli. Boyle rimase incantato dall'esperimento. , scrisse, «la grande forza dell'aria esterna [ . . . ] era resa più chiara ed evidente che in qualsiasi altro esperimento da me visto in precedenza» 1 3 . Ma non risolveva la questione. Chi era già convinto, interpretò l' esperimento come Boyle, però si poteva continuare a sostenere che fosse il vuoto dentro alla sfera di Magdeburgo ad attrarre, e non l'aria a spingere. Quel che più conta per la nostra storia, però, è che Guericke ave­ va inventato un nuovo modo di agire sull' aria. Prima di allora, l'uni­ ca maniera di creare il vuoto era alquanto maldestra, in cima a un tubo di Torricelli pieno di argento vivo. Ora c ' era un nuovo stru­ mento, adatto alla sperimentazione. Ed era esattamente ciò che servi­ va a Boyle. La pompa pneumatica di Guericke non era stata creata per gli esperimenti che Boy le aveva in mente. Non c 'era una camera in cui posizionare gli strun1enti, e l'aspirazione andava svolta sott' acqua. Ma era comunque un inizio, suscettibile di miglioramento. Boyle assunse subito Robert Hooke, il progettista più brillante d' Inghilterra, e lo mise all 'opera . Hooke era un gobbo irascibile, un ipocondriaco dall' umorismo caustico e dai modi tremendi. Era anche un genio. Come ingegnere e architetto fu secondo solo a sir Christopher W ren, con cui collabo­ rò per ricostruire Londra dopo che un devastante incendio aveva di­ strutto gran parte della città. Ora, sebbene avesse terminato d. a poco i suoi studi a Oxford, era già rinomato per il suo talento. Hooke co­ minciò a progettare una pompa pneumatica capace di fare tutto ciò

L'oceano sopra di noi

17

che B oyle desiderasse. N o n avrebbe avuto bisogno di trafficare con l' argento vivo e i fragili tubi di vetro usati da Torricelli, né di tenere la p ompa sott' acqua come Otto von Guericke. Con la macchina ideata da Hooke, Boyle sarebbe stato presto in grado di far andare e venire l'aria a suo piacimento. Mentre Hooke lavorava, il mondo esterno stava diventando ogni giorno più spaventoso. La stabilità che Oliver Cromwell aveva dato all' I nghilterra cominciava a sgretolarsi . Persino la natura sembrava essere contro di lui. L'inverno del I 6 5 7- I 6 5 8 fu il più rigido mai re­ gistrato e le basse temperature durarono fino a giugno. Vi furono giorni di pubblico digiuno nella speranza di scongiurare il male che infestava il paese. Il 2 I agosto, Oliver Cromwell si ammalò e la na­ zione rimase con il fiato sospeso. Solo I O giorni dopo, l ' Inghilterra fu flagellata da un violentissimo uragano, e i seguaci di Cromwell dichiararono che si trattava di un castigo divino contro i suoi detrat­ tori, mentre i suoi nemici dissero che il demonio aveva cavalcato il · vento per venire a prendere l'anima del grande traditore e regicida. Qualunque fosse la ragione dell'uragano, a Cromwell restavano po­ chi giorni da vivere e la sua morte fu foriera di un nuovo periodo di scompiglio. I realisti cominciarono a macchinare per il ritorno del re, mentre i parlamentaristi unirono le forze sotto il vessillo del figlio malaugura­ tamente debole di Cromwell. Nonostante tutte queste tensioni, Boy­ le e Hooke rimasero ignari della situazione. Saggiamente rintanati a Oxford, continuavano a lavorare sulla loro pompa pneumatica. Non fu facile 1 4. Boyle stava lottando disperatamente con il ci­ murro agli occhi. Alcuni anni prima era caduto da cavallo in Irlanda e aveva contratto una malattia debilitante. Poco dopo la sua vista ave­ va cominciato a creargli dei problemi , e c'erano dei momenti in cui faticava a lavorare sull' apparecchio. Ma desiderava con tutte le sue forze quel che definì 2 0. Ma quando si ritrovò nel recipiente e l'aria ditninuì, non passò n1olto ten1po che anche lei s'accasciò . Presto cotninciò a contorcersi in pre­ da alle convulsioni e a lanciarsi in folli capriole. Subito l'assistente di Boyle girò la valvola e fece entrare aria fresca, n1a anche questa volta era troppo tardi. >, scrisse. E un'altra volta: >. Teneva un comportamento gradevole e sul pulpito aveva uno stile colloquiale più che incendiario. Ma soprattutto Priestley credeva nella forza della ragione. Per tutta la vita rimase nella soave convinzione che il ragionamento razionale avrebbe avuto la meglio. Ma succedeva di rado. Il problema è che si presumeva che i preti incarnassero l'ordine costituito, e non che lo mettessero in dubbio. N el caso di Priestley, il suo atteggiamento spesso gli costava il posto. Le sue scandalose opinioni (per quanto espresse con gentilezza) uni­ te alla sua esasperante abitudine di voler far cambiare idea ai suoi in­ terlocutori facevano sì che raramente passasse più di qualche anno nello stesso luogo. A volte faceva il pastore, altre l'insegnante, e altre ancora il polemista e il prolifico autore di pamphlet. Quando morì, lasciò r 5 0 libri e pamphlet oltre a più di un centinaio di articoli, cosa che indusse alcuni contemporanei a ironizzare sul fatto che Priestley scriveva più in fretta di quanto non leggesse il pubblico. Scrisse così tanto in parte per ovviare alla sua pessima memoria. Una volta, per un pamphlet che stava scrivendo, gli ocèorrevano al­ cuni dettagli sulle tradizioni della Pasqua ebraica. Dopo aver consul­ tato diversi autori e condensato le informazioni in un paragrafo ste­ nografato, in un momento di distrazione perse il foglietto. Due setti­ mane dopo, non ricordandosi del lavoro di documentazione già svolto, ripeté l'intero processo fino al paragrafo stenografato. Proprio mentre aveva questo secondo foglio in mano, ritrovò inaspettata­ mente il primo che guardò , disse, con un «certo terrore», preoccupa­ to che le sue capacità mentali lo stessero tradendo. Ma con un ulte­ riore sforzo di memoria si rese conto che non si trattava del primo episodio del genere, e in seguito prese l'abitudine di annotare e con­ servare religiosamente tutto ciò che non voleva dimenticare. Per un intellettuale come Priestley, l'incapacità di ricordare pote­ va essere un handicap penoso, ma anche la fonte di parte del suo ge­ nio, perché gli consentiva di vedere il mondo con occhi sempre nuo­ vi .Viveva costantemente nel momento presente. Diversamente da al-

XVI I I

L'elisir della vita

29

tre menti più fredde, che per concentrarsi avevano bisogno di un ri­ fugio tranquillo, Priestley riusciva a scrivere ovunque. In realtà il suo posto prediletto era accanto al camino, circondato dalla sua allegra, rumorosa famiglia, con cui scambiava commenti e battute prima di rimettersi al lavoro. Il problema di Priestley non era certo la procrastinazione, ma la fretta: dietro a tutto quel che faceva c' era un'indomabile curiosità. La struttura della grammatica, la storia della filosofia, le teorie di giuri­ sprudenza e l' elettricità stati ca erano già state tutte oggetto del suo intenso - e talvolta destabilizzante - studio. «Il mio metodo è sempre stato quello di dedicare la mia intera attenzione a un soggetto finché non mi ritenevo soddisfatto al riguardo>> 1 , affermò . Era immancabil­ mente entusiasta di imparare. Da autentico eroe dell' Illuminismo, pensava alla conoscenza come a un'onda che corresse in tutte le di­ rezioni, e credeva che presto avrebbe messo fine a ogni autorità im­ meritata del mondo. Una volta dichiarò che la gerarchia inglese «ha ragione a tremare perfino davanti a una pompa pneumatica>> . Questo tipo di esternazioni lasciava incantati i suoi ammiratori. (Uno com­ pose addirittura un poema per lodare la schiettezza di Priestley: ) . In ogni caso, era esattamente il genere d'affermazione che lo metteva nei guai con i datori di lavoro e che alla fine avrebbe causa­ to la sua rovina. Priestley non temeva le false partenze e le idee erronee, e descris­ se nel dettaglio tutti i suoi sbagli per il bene degli . Inizialmente Priestley si lin1itò a lasciare per una notte un recipiente d'acqua tra le bolle. In seguito sviluppò una tecnica più sofisticata che comprendeva un mantice. Si divertiva a preparare questa nuova, fresca bevanda per gli amici e gli ospiti. N o n aveva idea - e probabilmente non gliene sarebbe impor­ tato nulla - che la sua invenzione avrebbe finito per dare brio a un'industria da miliardi di dollari 2 • Il probletna, per quanto riguarda gli esperimenti più sofisticati con le arie, era che le attrezzature richieste costavano molto, troppo, per un umile parroco e studioso - seppure brillante - come Priest­ ley. Tuttavia, aveva appena trovato un n1ecenate ricco e comprensivo. Quando veniva cacciato o i suoi sforzi erano ingiustamente bloccati, Pristely reagiva con indignazione, ma il suo malumore non durava mai più di un giorno o due. Pensava con ottimisn1o che sarebbe arri­ vato qualcosa d' altro, e di solito aveva ragione. Questa volta il " qual­ cosa d'altro" si era presentato nella forma di William Fitzmaurice Petty, secondo duca di Shelburne, un uomo giovane, bello e soprat­ tutto ricchissimo, con un debole per i rivoluzionari. I due uomini simpatizzavano per i coloni americani, in lotta per l'indipendenza dai padroni inglesi. Priestley era un buon amico di Benjamin Franklin, e pare che i suoi scritti abbiano ispirato la famosa frase di Jeremy B en-

L'elisir della vita

3

l

tham > , per non dire di una certa altra frase che due anni dopo finì addirittura nella Dichia­ razione d'indipendenza, e che parlava di vita, libertà e ricerca della felicità. Shelburne aveva deciso che Priestley sarebbe stato una divertente aggiunta alla sua famiglia, e lo aveva invitato ad accettare il posto di bibliotecario per 2 5 0 sterline l' anno. Priestley non rimase particolar­ mente impressionato da Shelburne e dai suoi amici facoltosi e vizia­ ti . «Posso dire con sincerità che non ero affatto affascinato da quello stile di vita>> , scrisse. «Nei ceti medi non solo c'è più virtù e più feli­ cità, ma anche la vera educazione. [ . . . ] D ' altra parte, giacché le pas­ sioni delle persone altolocate sono meno controllate, esse sono più propense a infiammarsi: l'idea del loro rango e della loro superiorità li abbandona di rado>> . Shelburne aveva un temperamento molto vo­ lubile, il che, unito all'aura di privilegio che lo circondava, faceva sì che persino i suoi pari faticassero a relazionarsi con lui. Priestley co­ munque non si sentì mai intimidito e rifletté anzi che la mancanza di abitudine a considerare gli altri rendeva i membri della classe di Shelburne meritevoli di pietà e non di invidia. 4. Tuttavia, durante gli anni della giovinezza di Lavoisier, proba­ bilmente non ci furono quasi segnali della carneficina rivoluzionaria che sarebbe venuta, e del tragico effetto che avrebbe avuto sulla sua stessa vita. Anzi, la sua famiglia sembrava baciata dalla fortuna. N el giro di poche generazioni, i suoi avi erano saliti dal rango di corrieri postali a una posizione importante nella società. Lavoisier fu sempre molto preciso nel suo pensiero e nel suo comportamento, e l ' educa­ zione ricevuta gli servì solo a rafforzare quella tendenza: crebbe in­ fatti in una casa dove le apparenze erano tutto e le maniere poggia­ vano su una delicata rete di complessi codici sociali. Anche all' esclusiva scuola parigina che cominciò a frequentare a I I anni la precisione era tenuta in grande considerazione. Il profes­ sore di matetnatica e scienze era un noto astronomo, Abbé La Caille, che in passato aveva dedicato quattro anni della sua vita a una spedi­ zione astrononlica fino al Capo di Buona Speranza, dove aveva os­ servato I O ooo nuove stelle e dato il nome a 1 4 costellazioni . Al ri­ torno, La Caille calcolò le spese sostenute con un'accuratezza che fece sorridere molti parigini. Dichiarò che l'intero viaggio era co­ stato 9 I I 4 livres (lire) e cinque sous (centesimi) ; un po' come somma­ re ogni singola spesa di quattro anni di università fino all'ultimo cen­ testmo. Comunque Lavoisier imparò moltissime cose da La Caille e dagli altri insegnanti, i quali non ci misero molto a capire di avere davanti un talento fuori dal con1une. A essere onesti, Lavoisier non era molto portato per le discipline umanistiche : non ebbe mai ùna buona pa­ dronanza delle lingue, e, in quanto all'arte, più che coglierla intuiti­ van1ente ne apprezzava la tecnica. Ma eccelleva in matematica e scienze, e l'incoraggiamento del suo professore alimentò la sua inna­ ta ambizione. Era determinato a scoprire qualcosa di davvero straor­ dinario. «Sono giovane», scrisse, . Si dilettava di geologia, astrononlia e dei nlisteri della meteorologia, alla ricerca di qualcosa che gli procurasse la fama. L' atteggiamento adorante della famiglia non contribuì certo a smorzare la sua estrema sicurezza in se stesso. Una volta, quand' era ancora un giovanotto, aveva accompagnato un geologo di nome Guettard in una spedizione di ricerca di diverse settimane, e il padre si offrì di raggiungere i due viaggiatori in una cittadina sulla via del ritorno. " Splendido" , rispose Lavoisier; tra l' altro, gli sarebbe mica dispiaciuto portare una boccia con un pesciolino, come presente per la gentile signora presso cui si erano appena sistemati? All a richiesta,

L} elisir della vita

37

persino quel padre infatuato si sentì preso alla sprovvista, e obiettò che avrebbe dovuto tenere in braccio la boccia per tutta la strada, at­ tento a non far traboccare l' acqua nonostante i sobbalzi della carroz­ za. Ma alla fine cedette. Lavoisier era indiscutibilmente arrogante, ma era anche equo, perlomeno in confronto all' odiosa corruzione dell'epoca. Nel 1 767, a 2 4 anni, usò un' eredità di famiglia per acquistare una quota della famosa Ferme Générale· (un organismo che aveva in appalto la ri­ scossione delle imposte) e incrementare così il suo patrimonio. A quel tempo vigeva in Francia un sistema fiscale iniquo. I contadini erano obbligati, pena la deportazione nelle galere, a pagare delle ga­ belle rovinose persino per beni di prima necessità come il sale, men­ tre i ricchi erano esenti. Tutta questa tassazione indiretta su beni come sale e tabacco era ammi nistrata da un oscuro gruppo di perso­ ne, i Fermiers Généraux. Purché portassero al re abbastanza denaro, questi appaltatori erano liberi di addebitare agli sfortunati contadini tutta la tassazione indiretta che volevano. . Nonostante queste critiche ai parigini e alle loro maniere, cosa forse dovuta al suo scadente francese più che a una reale maleduca­ zione, Priestley fu trattato come una celebrità in tutta la capitale.

L'elisir della vita

41

Sebbene non fosse ancora giunta in Francia la notizia del suo esperi­ mento con il mercurius calcinatus, che risaliva ad appena qualche mese prima, il suo precedente lavoro sulle nuove arie era noto in tut­ ta Europa e lui era già un uomo famoso. Lavoisier, dal canto suo, era considerato il più insigne filosofo della natura di Francia, e un incon­ tro tra i due era inevitabile. Così una sera d' autunno i Lavoisier invi­ tarono a cena Priestley, insieme ai più importanti intellettuali di Pari­ gi . E, com' era prevedibile, nel corso della serata, con uno zoppicante francese e talvolta la premurosa traduzione di madame Lavoisier, Priestley parlò al padrone di casa dei propri esperimenti. Gli raccontò di aver ottenuto il mercurius calcinatus bruciando mercurio nell'aria fino a che il liquido argenteo non si era trasforma­ to in una friabile polvere rossa; quindi aveva versato quella polvere in un tubo di mercurio e lo aveva scaldato grazie al prezioso specchio ustorio finché il materiale non aveva sprigionato una misteriosa nuo­ va aria, che aveva fatto ardere la candela con una luce accecante, in­ candescente. Era quasi come se il mercurius calcinatus avesse intrap­ polato dentro di sé l'essenza del fuoco. Lavoisier rimase folgorato. Che fosse questo il materiale che stava tanto cercando? Quando Priestley se ne andò , si disfò dell'inutile piombo e dello stagno e cominciò a lavorare sul mercurius calcinatus. D apprima, Lavoisier prese quattro once di mercurio purissimo e le mise in un vaso di vetro sigillato insieme a 5 0 pollici cubici di aria comune. Poi scaldò il tutto fino al punto d'ebollizione e lo lasciò a sobbollire per 1 2 giorni . All'inizio non successe un granché. Ma poco alla volta sulla superficie argentata del mercurio cominciarono a com­ parire dei granelli rossi, che ingrandivano di giorno in giorno. All a fine del dodicesimo giorno la reazione sembrava essere giunta al ter­ mine. Lavoisier aveva perso nove pollici cubici di aria e guadagnato 4 5 grani di mercurius calcinatus. L'aria rimasta nel vaso non consenti­ va alla candela di bruciare, ma diversamente dall'aria fissa non rendeva torbida l'acqua di calce. Era un'altra forma d'aria che apparentemente esisteva solo per diluire la parte attiva. Con la massima cura, Lavoisier raccolse i 4 5 grani e li mise in un piccolo vaso di vetro il cui lungo collo sottile si avvitava più volte su se stesso e s'infilava in una campana di vetro piena d'acqua. Ora non doveva far altro che scaldare i grani di mercurius calcinatus. Quando lo fece, l ' aria intrappolata al loro interno cominciò a formare delle bollicine. Esattamente nove p ollici cubici salirono nella campana so­ vrastante. Come prova finale, Lavoisier prese quest'aria e la ricambi-

42

Parte

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Una coperta rassicurante

nò con il residuo d'aria del primo esperimento, quel residuo che non aveva permesso la combustione ma che non aveva neppure intorbi­ dito l'acqua di calce. Subito questa miscela divenne indistinguibile dall' aria comune : le candele vi bruciavano normalmente, gli animali respiravano tranquillamente per tutto il tempo previsto. Lavoisier aveva trovato l'ingrediente magico, la parte attiva dell'a­ ria. L'aveva estratta, intrappolandola nel mercurio, liberata e ricom­ binata con la parte passiva così da rigenerare l ' aria comune. Appli­ cando la sua meticolosità da ragioniere alla scienza, era arrivato al cuore del fuoco. Adesso sapeva con esattezza cosa alimentava ogni fiamma sulla Terra. Ma co1ne chiamarlo? Lavoisier non gradiva il nome dato da Priestley a questo nuovo gas : "aria deflogisticata" . I suoi esperimenti avevano dimostrato oltre ogni dubbio che la combustione non aveva nulla a che fare con il flogisto, ma dipendeva invece dalla presenza o assenza di questo cruciale ingrediente attivo. E siccome sembrava es­ sere intrappolato in molti tipi diversi di acido, lo battezzò " ossi­ gena" , cioè "generato dall'acido " . Lavoisier era affascinato dal suo nuovo gas e cominciò a studiarlo con zelo. In particolare voleva saperne di più sulla relazione tra com­ bustione e respirazione, e sul ruolo che l' ossigeno poteva svolgere in entrambe le attività. Come Priestley, Lavoisier aveva notato la sinù­ larità esistente tra i due processi. Mettete una candela accesa in un barattolo chiuso d'aria comune e la fiamma crepiterà per poi spe­ gnersi . Ponete un topo vivo in un barattolo analogo e dopo un po' l' animale non riuscirà più a respirare. Per Priestley, la candela e il topo emettevano flogisto. Per Lavoisier, entrambi usavano l'ossigeno fino a esaurirlo. Il francese si domandò fino a che punto si spingesse­ ro le analogie tra i due processi . La sostanza che alimentava la fiam­ ma, co1ne poteva alimentare anche la vita? Fino ad allora nessuno aveva svolto una vera indagine sistematica sulla natura della respirazione. Ovviamente era necessaria alla vita. E , altrettanto ovvian1ente, anche il cibo sostentava l a vita. M a non si pensava che il cibo fosse per una persona come il carburante per una macchina. Secondo Aristotele, lo scopo della respirazione era di raf­ freddare il sangue, e questa nozione era ancora diffusa al tempo di Lavoisier. Secondo altri fùosofi, la respirazione in uno spazio limitato diventava sempre più difficoltosa perché riduceva l' elasticità dell' a­ ria, impedendole di ritornare a gonfiare correttamente i polmoni. Quanto al rapporto che aveva con il cibo, nessuno ne sapeva nulla.

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Così Lavoisier diede inizio ai suoi esperimenti . Diversamente dal so­ lito, li condusse con un collaboratore, un giovane matematico di nome Pierre-Simon Laplace. Tra i tanti successi, Laplace fu in seguito l'autore delle complesse equazioni che governano il comportamento del sistema solare; si dice che i suoi sforzi in questo campo s'inter­ ruppero perché le sue equazioni resero perfettamente conto dei fatti disponibili e, finché non si poterono compiere nuove osservazioni, non c' era altro da spiegare8 . Laplace era già famoso, anzi, era il mate­ matico più talentuoso del mondo conosciuto, e insieme lui e Lavoi­ sier escogitarono una serie di esperimenti per capire la natura della respirazione. Per i loro esperimenti usarono dei piccoli roditori pelosi appena imp ortati dalle giungle del Sud America. Questi "porcellini d' India" erano molto utili in laboratorio, scrisse Lavoisier, perché erano . Lavoisier ave­ va ideato un'ingegnosa apparecchiatura per scoprire la relazione tra la quantità di ossigeno che i porcellini d'India consumavano e il ca­ lore da loro emanato. Il calore era la parte più difficile. Lavoisier ave­ va deciso di misurarlo facendo sciogliere il ghiaccio. Preparò una grossa camera circolare, chiusa, con all'interno tre anelli concentrici. L'anello centrale conteneva il porcellino d'India, il secondo anello era pieno di una quantità nota di ghiaccio e l'anello esterno era col­ mo di neve per impedire al calore della stanza di raggiungere il ghiaccio e liquefarlo. Lavoisier e Laplace cominciarono a osservare quel che succedeva quando i porcellini d' India erano a riposo e poi quando diventavano più attivi. I risultati, rafforzati da alcune complesse equazioni di Laplace, furono proprio quelli che Lavoisier aveva sperato. Più i porcellini d' I ndia erano attivi, più ossigeno veniva usato, e più calore emette­ vano. Lavoisier non ebbe più dubbi : , scrisse, «il quale, per quanto si svolga con lentezza, è perfettamente analogo alla combustione del carbone>> . Proprio come il carbone fornisce il carburante al fuoco, alcuni derivati del cibo devono fornire il materiale grezzo per l'energia grazie alla qua­ le tutti noi viviamo. E come l' ossigeno alimenta la fiamma ardente, così deve anche liberare l ' energia immagazzinata da qualche parte dentro di noi. Lavoisier aveva scop erto qualcosa di davvero importante. Le fiamme usano l'ossigeno p er sprigionare energia dalle candele o dal .

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legno, e, come ipotizzato dal francese, quando respiriamo usiam ? quello stesso gas per bruciare il cibo in modo non tanto diverso. E una delle ragioni per cui diciamo di "bruciare calorie" . Suona peri­ coloso, e in effetti lo è. Come aveva sospettato Priestley, e Lavoisier stava cominciando a dimostrare, respirare ossigeno è ciò che ci con­ sente di vivere le nostre vite intense e attive. Ma il prezzo da pagare è alto, perché l'ossigeno è anche la ragione per cui invecchiamo e moriamo. Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di respirare. I n altre parole, al­ l' occorrenza devono generare energia dalle scorte di cibo imnlagaz­ zinate nei loro corpi. N el nostro caso, abbiamo riserve di zuccheri, proteine e grassi, che se ne stanno dentro di noi come una catasta di legna pronta da ardere. Ogni nostro respiro usa energia per converti­ re parte di quelle riserve nell' energia che ci serve per n1uoverci, re­ stare caldi e fare qualsiasi altra cosa che fa di noi degli esseri umani. Ma l'ossigeno non è l'unica sostanza chimica che gli esseri viven­ ti possono usare per respirare. I batteri che costituirono la prima for­ ma di vita sulla Terra dovettero per forza usare qualcosa di meno effi­ cace, per il semplice motivo che, quando il mondo si formò più di 4, 5 miliardi di anni fa, l'atmosfera non conteneva neppure un po' di ossigeno. L'ossigeno comparve nell'atmosfera più di due miliardi di anni dopo, e solo grazie a un eccezionale ma involontario caso d'in­ quinamento planetario. Senza quell' accidentale fuoriuscita d'aria, sulla Terra non ci sarebbe forma di vita più grande di ,una capocchia di spillo. Fin dalla sua nascita, il nostro pianeta è stato avvolto da un ocea­ no d'aria. Come il sole e gli altri pianeti del nostro sistema solare, la Terra si formò quando un'informe nube di gas, polvere e franm1enti di roccia con1inciò a collassare e a fondersi. Le rocce e la polvere in­ trappolarono in n1ezzo a loro parte dei gas, come calce tra mattoni, e gran parte dei gas restanti si sistemò all' esterno dei pianeti in un 1nanto che la forza di gravità trattiene al suo posto9 . Questo primordiale oceano d' aria era denso quanto l'odierno, e ci sarebbe sembrato molto simile. Ma l'assenza di ossigeno faceva una bella differenza per la superficie terrestre. Per esempio, le rocce erano di un uniforme, monotono color grigio : senza ossigeno, il ferro in esse contenuto non poteva arrugginirsi e " fiorire" con le belle sfu­ nlature rosse e ocra che vediamo oggi. Ma la giovane Terra aveva le sue bellezze. Il cielo era periodicamente soffuso di una gialla piogge-

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rellina di zolfo elementale, e le primitive spiagge rilucevano di dora­ ta pirite di ferro. Noto anche come " oro degli stolti" , questo minera­ le esiste oggi solo a grandi profondità (al riparo dall' aria ossidante) , dove il suo colore brillante riesce ancora a confondere ingenui mi­ natori a caccia di pepite di oro vero. Per gli animali come noi, questa primitiva atmosfera sarebbe stata un luogo mortalmente soffocante; i primi occupanti del pianeta ave­ vano invece un modo alternativo di sprigionare energia. Invece del­ l' ossigeno, "respiravano" il gas che Priestley e i suoi contemporanei chiamavano " aria infiammabile" e che noi chiamiamo "idrogeno " . N el processo, producevano metano ("gas naturale") . Siccome il siste­ ma non era efficiente quanto quello basato sull'ossigeno, le creature in questione non poterono crescere di dimensione e rimasero co­ m' erano, microscopici pois nel tessuto della vita. Così era, e così sarebbe sempre stato se tra 2 , 5 e i 3 , 5 miliardi di anni fa non fosse intervenuta una nuova reazione chimica inventata da microbi chiamati " cianobatteri" . Queste creature sono talmente minuscole che una goccia d' acqua può contenerne miliardi, tante quante sono le persone sulla Terra. Sono anche onnipresenti. Oggi potete trovarle nelle grondaie, nelle pozzanghere o dovunque l'acqua ristagna per qualche tempo e comincia ad assumere quella caratteri­ stica tinta verdastra, segno che stanno operando la loro magia. Perché furono proprio quei microbi a imparare a usare l' energia del sole per scindere l'acqua e trar ne cibo, in un processo che oggi chiamiamo "fotosintesi" . E , nel farlo, rilasciavano delicate bolle di un certo pro­ dotto di scarto : l'ossigeno. Questa è la ragione per cui oggi possiamo respirare. I cianobatte­ ri e le piante verdi che in seguito adottarono la loro invenzione sono oggi parte di una gigantesca impresa che funge da polmone della Terra. Le piante restituiscono ossigeno all'atmosfera alla stessa velocità con cui noi lo consumiamo respirando. E quasi come se le piante vive lavorassero per offrirei un mondo abitabile - come se l' ingre­ diente più importante della nostra atmosfera fosse stato creato dalla vita per la vita. (In realtà l ' ossigeno comparve nell 'atmosfera solo centinaia di milioni di anni dopo essere stato creato in questo modo, come sot­ toprodotto della fotosintesi, perché all'inizio reagiva con le rocce e gli oceani del pianeta con la stessa velocità a cui veniva creato. N el caso degli o ceani, il ferro disciolto nelle loro acque si arrugginì e si depositò sui fondali, dando origine a grandi montagne di detriti che ,

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diventarono le più grandi miniere di ferro del pianeta . Ogni volta che mangiate con una forchetta d'acciaio inossidabile, o guidate un'auto, probabilmente state beneficiando di questa primitiva piog­ gia di ruggine) . L'ossigeno è meravigliosamente reattivo. Quando partecipa a una reazione chimica, può sprigionare energia in grandi quantità, che a loro volta possono essere usate per alimentare l'attività degli esseri vi­ venti. Dunque l'avvento dell'ossigeno nell'aria ebbe un effetto deci­ sivo sul corso dell' evoluzione. Finché l ' ossigeno nell' atn1osfera fu troppo poco per essere utile alle creature sottostanti, queste furono obbligate a restare lente e microscopiche. Per miliardi di anni, il pia­ neta fu ricoperto da null' altro che una melma primordiale. Ma poco alla volta, inesorabilmente, sempre più ossigeno si alzò verso il cielo finché, circa 6oo milioni di anni fa, il livello di quel gas nell'atmosfera superò una certa soglia. Il risultato fu il più sensazio­ nale scatto evolutivo nella storia della Terra. All'improvviso, compar­ vero nuove creature, alcune lunghe più di un metro. N o n erano solo grosse; erano anche ingegnose e incredibilmente varie in confronto alla monotona melma che le aveva precedute 1 0. Queste nuove crea­ ture avevano una forma. Avevano occhi, denti, zampe e gusci . Aveva­ no imparato a crearsi un corpo fatto non di una sola cellula, ma di tante. Furono i primi animali del mondo. E difficile esagerare l'importanza di questa conquista evolutiva. Pensate alla transizione tra le cottage industries (i laboratori artigia­ nali a conduzione famigliare) e la Rivoluzione industriale. Prima, un' unica cellula doveva espletare ogni funzione vitale : mangiare, espellere, respirare, riprodursi , tutto in una sacca piccolissima . Dopo, invece, le cellule poterono specializzarsi e dividersi i com­ piti. Alcune divennero braccia, altre capelli , cervelli oppure ossa. Le creature non erano più confinate alla dimensione di una capocchia di spillo. E , soprattutto, possedevano muscoli per azionare i loro nuovi corpi, e ciò significava che perlomeno potevano muoversi. In1maginate di vivere senza potervi tnuovere, e poi all'improvviso di riuscirei : fa una bella differenza. I nuovi abitanti della Terra po­ tevano andare a cercare nuove fonti di cibo, comprese altre crea tu­ re. Alcuni erano bravi a cacciare e altri a scappare. Svilupparono ar­ mature per proteggersi e armi per aggredire. I mpararono nuove abilità, assunsero nuove forme e colori e alla fine diventarono le at­ tive e variabili forme viventi che vedian1o oggi intorno a not, utnani inclusi . '

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Nessuno conosce esattamente il meccanismo grazie al quale quel fi­ nale incremento d' ossigeno provocò la comparsa degli animali I I ; quel che è certo, è che senza non ci potrebbero essere forme di vita complesse. Essere grossi e pluricellulari esige enormi quantità di energia, e ci vuole l' ossigeno per generare quel tipo di potenza. Qualsiasi altro modo di respirare sarebbe semplicemente troppo de­ bole. Abbiamo bisogno dell'ossigeno perché ci occorre la sua spetta­ colare reattività. Senza, gli esseri umani non sarebbero mai esistiti. Questa reattività non è priva di rischi . Come sospettò Priestley quando vide la vivacità con cui bruciava la sua candela nel nuovo gas, respirare ossigeno è come scherzare con il fuoco. E tutti noi, a poco a poco, ci scottiamo. I nfatti, ogni volta che l' ossigeno è coinvolto in una reazione chi­ mica, rilascia piccole particelle a carica negativa, gli elettroni. Tutti gli atomi e le molecole contengono queste particelle che, come le per­ sone, sono più stabili quando sono in coppia. Un'entità chimica che contenga uno di quegli elettroni solitari, senza legami, è detto "radi­ cale libero " , ed è tra le forze più reattive e distruttive del pianeta. I radicali liberi demoliscono tutto quel che incontrano sul loro cam­ mino, dividono coppie stabili e creano altri radicali liberi, che intraprendono a loro volta un percorso altrettanto devastante. E quel che succede, per esempio, quando vi esponete alla radioattività. Il danno non deriva dalla radiazione in sé, ma dai radicali liberi che genera. Il problema è che quando usiamo l'ossigeno per respirare si libera sempre qualche elettrone. Anche se non fate niente salvo respirare, circa il 2% dell 'ossigeno che consumate fugge sotto forma di radica­ li liberi . Se state svolgendo attività fisica, la percentuale arriva al I o% . Secondo un calcolo, il danno potenziale della semplice respirazione, in un anno, equivale alla radiazione di I O ooo raggi x al toracei 2 . Quando l ' ossigeno comparve per la prima volta sulla Terra circa 2 , 2 miliardi di anni fa, fu senza dubbio un veleno mortale per mol­ ti dei primi microbi. Quei produttori di metano non potevano te­ ner testa ai radicali liberi che all'improvviso devastavano i loro cor­ pi, distruggendone le sostanze chimiche vitali. Per sopravvivere, questi organismi dovettero trovare un rifugio. Oggi sopravvivono in luoghi piacevolmente umidi e si tengono lontani dall' atmosfera. Ecco perché le risaie rilasciano metano e gli acquitrini rilasciano " gas di palude " (sempre metano) che talvolta si accende in fiamme danzanti e spettrali dando vita a leggende, e perché gli animali, noi comp resi, generano gas naturale nei loro intestini . Noi scoreggia,

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mo perché i nostri intestini sono i rifugi senz' aria di quelle creatu­ re avvelenate. Altri organismi, quelli da cui discendiamo, svilupparono com­ plesse strategie per far fronte ai danni peggiori dell ' ossigeno. I n par­ ticolare, i nostri corpi sono perennemente pronti a dispiegare un esercito di sostanze chimiche dette " antiossidanti" . Ogni secondo, in ogni cellula del nostro corpo ha luogo un' autentica guerra per impedire ai radicali liberi di formarsi, per elimi nare quelli formatisi o "far suicidare " le cellule se la forza degli invasori è travolgente. Ma le centrali elettriche dentro alle nostre cellule passano la vita a gio­ care con il fuoco e, alla lunga, quello stillicidio di radicali liberi fini­ sce per logorarci. Tutte le n1alattie della vecchiaia - demenza, can­ cro, cardiopatia - derivano dall' accumulo dei danni causati da radicali liberi fuggiti . E uno dei motivi per cui mangiare frutta e verdura ci aiuta a proteggerei da queste patologie : sono due alimen­ ti ricchi di antiossidanti . E anche il motivo per cui il fumo anticipa l'insorgenza di queste patologie. Il problema non è la nicotina (se non per il fatto che, dan­ do assuefazione, induce a fumare di più) . Il vero danno deriva dal fumo stesso, che è pieno zeppo di sostanze chimiche che reagiscono con l'ossigeno dando origine a schiere di radicali liberi, talvolta un milione di miliardi a ogni boccata1 3 . Dunque se consumiamo più antiossidanti possian1o sottrarci alla vecchiaia? Pare di no. Nonostante gli evidenti benefici della frutta e della verdura, non c'è una chiara prova che l'assunzione di "integra­ tori antiossidanti" , comprati nel reparto macrobiotica del supermer­ cato sotto casa, abbia lo stesso effetto benefico. Anzi, troppi antiossi­ danti confezionati potrebbero nuocere invece che giovare. Noi im­ pieghiamo tanti anni a invecchiare perché i nostri corpi hanno sviluppato delle attente strategie per proteggerei dagli effetti peggio­ ri dei radicali liberi. Assun1ere antiossidanti extra potrebbe interferire con questi meccanistni naturali, come mercenari indisciplinati che disturbino l'operazione di un esercito estren1an1ente addestrato. Il danno dovuto all'ossigeno è anche una delle ragioni per cui il genere umano è diviso in due sessi . Ogni cellula del nostro corpo possiede minuscole centrali elettriche dette "mi tocondri" , che sono il luogo dove avviene la combustione dell' ossigeno. Questi mito­ condri sono il primo baluardo contro i danni da radicali liberi, ed è cruciale assicurarsi che quelli trasn1essi alla generazione successiva siano esenti dai danni dell'invecchiamento. Gli ovuli di una donna ,

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nascono insieme a lei, e per tutta la vita quasi non usano energia. I loro mitocondri sono conservati allo stato originale, pronti a essere usati dai figli: ecco perché gli ovuli se ne stanno tranquilli ad aspet­ tare di essere fecondati invece di aggirarsi alla ricerca di uno sper­ matozoo. Al contrario, ogni volta che un uomo produce sperma, i mito­ condri contenuti nei nuovi spermatozoi sono un po' più vecchi. I noltre usano molta energia per nuotare e trovare il sedentario ovu­ lo. Ma a missione compiuta - e questa è la parte intelligente - i mi­ tocondri degli spermatozoi vengono "sganciati" , come i propulsori ormai spenti di un razzo. Quindi ogni bambino eredita mitocondri intatti dalla madre, e l'orologio dell'invecchiamento comincia a tic­ chettare solo alla formazione del feto. Se avessimo un solo sesso con cui dilettarci, sarebbe impossibile. I nsomma: i dolori, e le gioie, del­ le relazioni romantiche tra uomini e donne nascono dalla chimica dell' ossigeno 1 4 . La lezione dell ' ossigeno è che molte cose stimolanti non sono esenti da pericoli: fare scoperte, farsi nemici, sfidare l'autorità, inna­ morarsi. Di fatto, tutto quel che riguarda il nostro stile di vita attivo e dinamico comp orta un terribile costo. I n cambio delle nostre agili menti, i nostri forti corpi, i nostri sessi diversi e la possibilità stessa di muoverei, dobbiamo accettare l'inevitabilità della vecchiaia e la mor­ te. L'ossigeno di ogni respiro che fate vi porta tutto ciò per cui vale la pena vivere, ma alla fine ve lo farà pagare con la vita. D entro alla sua chimica si cela l' essenza della condizione umana. Lavoisier ignorava in quali straordinari modi l'ossigeno avesse mo­ dellato il nostro mondo e la nostra esistenza, però sapeva di aver di­ mostrato che l'ingrediente più essenziale e stimolante della vita pro­ viene dall'aria. Aveva anche scoperto che respiriamo per bruciare il carburante presente nel nostro corpo, il che fu una vera sorpresa per gli scienziati del XVI I I secolo. Fino ad allora, mangiare e respirare era­ no considerate due attività del tutto scollegate. E questo portò l'e­ quanime Lavoisier a una scomoda conclusione. « Fino a quando con­ sideravamo la respirazione una m era questione di consumo dell'a­ ria», scrisse, «la p osizione del ricco e del povero sembravano la stessa; l'aria è disponibile a tutti e non costa nulla>>. Ora, invece, era chiaro che quando la gente lavorava più alacre­ mente e quindi respirava più in fretta, consumava anche più carbu­ rante dentro al corpo. > che lui e Laplace avevano scoperto. «Accontentiamoci di benedire il pro­ gresso della filosofia e dell' umanità, le quali si uniscono a prometter­ ci delle istituzioni sagge, che tenderanno a pareggiare le ricchezze, ad aumentare il prezzo del lavoro e ad assicurarne il giusto compenso, a offrire a tutte le classi della società, e soprattutto a quelle indigenti, più gioie e più felicità» 16. In Inghilterra, Priestley continuava a battibeccare per corrispon­ denza con Lavoisier sull'esistenza o n1eno del flogisto, ma anche lui era eccitato dalla caduta della Bastiglia. Vista la recente indipendenza dell'America, Priestley decise che il mondo era di fronte all' > che, disse, stava succhiando la linfa del paese, comportando­ si come un parassita. L'opinione non riscosse molto successo tra la fedele popolazione di Birmingham, alle cui orecchie l'appello di Priestley alla razionalità suonò più che altro come un tradimento. D el resto, era già abituato a vedere «Priestley, impiccati! >> scaraboc­ chiato sui muri, e a essere seguito per strada da ragazzini che ripete­ vano quanto, evidentemente, sentivano dai genitori. Non che la cosa gli importasse : era gioiosamente conscio di non meritare nulla del genere. Ma, quando i suoi amici organizzarono una cena in onore della Rivoluzione francese, cominciò a girar voce che Priestley avesse chiesto la testa del re e minacciato di far saltare in aria le chiese an­ glicane, e più tardi quella stessa sera il popolo venne sobillato. In un insolito attacco di prudenza, Priestley non era andato alla cena. Era a casa a giocare a backga mm on quando udì un violento bussare alla porta; dei giovani, ansimanti per la corsa, balbettarono la notizia. Una folla aveva già ridotto in frantumi le finestre della locanda dove si era tenuta la cena e appiccato il fuoco alla chiesa dove predicava Priest­ ley. Ora si stava dirigendo verso casa sua, assetata di sangue. Priestley non riusciva a capacitarsi di essere in pericolo. Chi pote­ va voler far del male a qualcuno che era palesemente innocuo? Ma capì che poteva succedergli qualcosa di poco gradevole se fosse ri­ masto a casa, e acconsentì a rifugiarsi ten1poraneamente da un vici­ no. Andò con calma al piano di sopra . N ascose alcune carte e altre cose di valore dove pensava che quei miscredenti non potessero tro­ varle e uscì solo con gli abiti che aveva indosso. Disse alla servitù di chiudere a chiave le porte e di tenersi lontana dalle finestre, nel caso qualcuno lanciasse delle pietre. Il figlio di Priestley fu meno fle mm atico. Fece del suo meglio per mettere al sicuro la casa e gettò acqua su ogni fuoco e ogni candela. A n1ezzanotte la folla arrivò . Il ten1po era sereno e l'aria limpida, e dalla casa del vicino, a neppure un miglio di distanza, Priestley poté udire ogni urlo e ogni in1precazione, ogni colpo sferrato per abbatte­ re porte e finestre. Poi ci fu il rumore di n1obili che venivano demo­ liti, seguito da vetri che andavano in frantumi. Con orrore crescente, Priestley si rese conto che la folla non stava solo fracassando le fine­ stre, ma si stava accanendo contro le sue attrezzature scientifiche. Il suo amato laboratorio era tra i meglio equipaggiati d'Europa. Ora, stava assistendo alla sua distruzione senza poter alzare un dito.

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Il peggio doveva ancora arrivare. Qualcuno cercò un fuoco.Volevano incendiare la sua biblioteca! Priestley ascoltò con angoscia la folla che cercava, dapprima senza trovarla, una fiamma. Pensò ai diari che teneva da 40 anni, su cui aveva scritto ogni giorno, ciascuno dei qua­ li racchiudeva il ricordo del suo stato d' animo, le sue speranze e le sue intenzioni e prospettive per l'anno seguente. Pensò ai tanti tac­ cuini con i frutti delle sue letture, inaugurati non appena aveva im­ parato a formulare le sue opinioni. Nella sua biblioteca c' erano an­ che tutti i sermoni che aveva scritto; le sue memorie, che dovevano essere pubblicate postume; ogni lettera ricevuta, da cari amici e da eruditi stranieri. E , com' è ovvio, pensò ai suoi libri. Aveva l'abitudine di leggere con una matita in mano, per segnare i passaggi su cui desiderava tor­ nare o che riteneva particolarmente utili a nuove imprese. Redigeva un indice di tali passaggi su un foglio bianco alla fine del volume. La sua biblioteca, la sua preziosa biblioteca, non conteneva solo dei tomi , ma il frutto delle sue fatiche e l'opinione che si era fatto leg­ gendoli. Il destino di tutto ciò dipendeva dalla folla, dalla possibilità di trovare una fiamn1a. Fu allora che, chissà dove, ne trovarono una. L'iniziale bagliore arancione diventò rosso quando il fuoco s'impossessò della casa. Ne bruciò ogni centimetro come la candela che tanto aveva affascinato Prie � tley quando l'aveva messa per la prima volta nell'aria deflogisti­ cata. Alimentate dall'ossigeno che lo aveva reso famoso, le fiamme di­ vorarono le pagine su cui il chimico aveva svelato i segreti di quel gas. Ricoprirono di detriti incandescenti i frammenti e i cocci di quel che prima erano storte, becher e camere di sperimentazione; persino il gigantesco specchio ustorio che aveva rivelato per la prima volta l'ossigeno al mondo era andato distrutto. N o n si salvò nulla. Nel corso di quella lunga notte, Priestley s'immaginò il suo pros­ simo sermone, da predicare tra le rovine della casa, citando «Padre, perdo nali, perché non sanno quello che fanno» . Ma quando sentì l'intensità della collera della gente, capì che ogni speranza di ragio­ nevole discussione era ormai p erduta. Spinto da costanti notizie di nuovi pericoli, fuggì a Londra, e alla fine si esiliò in America. Lì era al sicuro, così come la sua famiglia. Ma aveva più di 6o anni e la mag­ gior parte del suo lavoro era ormai alle sue spalle, ridotto in cenere. In Francia, anche Lavoisier aveva i suoi problemi . N o n aveva par­ ticolare motivo di temere la rivoluzione; anzi, l'aveva salutata con en­ tusiasmo. Sebbene fosse estremamente ricco, non era un aristocrati-

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co, e da molto tempo criticava la stupidità con cui era stato governa­ to il paese, a esclusivo vantaggio di un' élite privilegiata, a suo parere spesso indegna, e fondata sul diritto ereditario. L'appalto per l' esazio­ ne fiscale della Ferme Générale era stato annullato qualche mese pri­ ma dall' Assen1blea nazionale, ma Lavoisier aveva già guadagnato una fortuna e non aveva più né la necessità né la voglia di proseguire il suo lavoro in quell'organismo. I suoi problemi - quanto meno all'i­ nizio - sorsero dall' energia che riteneva di dover dedicare ai tentati­ vi di riforma sociale. Essendo una delle menti più istruite e progressiste del paese, La­ voisier si sentiva tenuto a dedicarsi anima e corpo alla pubblica am­ ministrazione. Diventato primo consulente finanziario del governo, introdusse un efficiente sistema di contabilità in quella che era stata la confusa nebbia della finanza nazionale. Stilò dei rapporti dettaglia­ ti sulle prospettive agricole e industriali del paese e din1ostrò, in quel che un contemporaneo definì «calcolo 1nolto patriottico>> , che i no­ bili formavano appena il 3% della popolazione. Con tutta quest'atti­ vità, non aveva più tempo per le sue idee scientifiche, e provava no­ stalgia per il suo an1ato, e ora trascurato, laboratorio. Ma un problema peggiore attendeva Lavoisier: si trattava di un vecchio nemico, Jean-Paul Marat. La storia della vita di Marat non è tra le più felici, piena com'è di desideri che non riuscì quasi mai a realizzare. Assunto come n1edico dal conte d'Artois, uno scellerato aristocratico di stirpe reale, Marat ebbe innumerevoli occasioni di vedere con i propri occhi i privilegi della ricchezza, senza mai riusci­ re a goderne anche lui. Lo stesso vale per la scienza. Desiderava di­ speratamente farsi un nome in an1bito scientifico e una volta, anni prima, aveva presentato un trattato all'Accademia reale delle scienze. Nell' opera, Marat sosteneva che in uno spazio chiuso una candela si spegne perché l' aria viene dilatata dal calore e alla fine soffoca la fiamn1a. Lavoisier, un luminare dell' accadenlia, era stato sprezzante. N o n solo il trattato era sbagliato; peggio ancora, era sciatto. Lavoisier, che esigeva precisione in tutto, fece in 1nodo che l' opera di Mara t venisse respinta e si assicurò che non potesse vantare l' approvazione dell'accademia. Marat se la legò al dito. E ora, nei primi anni della rivoluzione, quando ancora poco era cambiato nella vita dei ·poveri di Parigi, Mara t era diventato il portavoce della folla. Finalmente in una posi­ zione di potere, capì di potersi vendicare. Cominciò a denunciare questo Lavoisier, «figlio d'uno spilorcio » . In particolare, si concentrò

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s u una delle opere meno popolari del grande chinùco. N ella sua ve­ ste di Fermier Général, Lavoisier aveva fatto costruire un muro at­ torno a Parigi . Questo muro, che rifletteva la mentalità del suo ar­ tefice e i suoi esperi1nenti scientifici con l ' aria, era un modo magni­ ficamente efficace e accurato di chiudere ermeticamente la città e quindi registrare ogni oggetto in entrata o in uscita, così da calcola­ re le giuste tasse. La critica di Mara t a questa cinta muraria fu un ca­ polavoro d' ironia. Dichiarò che quel muro, edificato dall' uomo che aveva dato al mondo l' ossigeno, aveva bloccato il rifornimento d'a­ ria della città. Lavoisier non s'accorse del pericolo. Non gli passò neppure per la mente di lasciare Parigi in attesa di tempi nùgliori, né tentò di di­ fendersi dalle sciocche accuse di Marat. Il mondo era sempre stato buono con lui . Gli argomenti razionali e scientifici avevano sempre prevalso e Lavoisier non vedeva perché le cose dovessero cambiare. Ma, come Priestley, Lavoisier contava sulla ragione in un' epoca in cui essa aveva temporanea1nente perso il suo potere. La rivoluzione infatti stava aggredendo se stessa. In questa nuova era del Terrore, ba­ stò un semplice bisbiglio e Lavoisier si ritrovò d'improvviso in pri­ gione, insieme a molti altri ex Fermiers Généraux, senza neppure conoscere il capo d'imputazione. Il processo ebbe luogo l' 8 maggio I 794 . Gli atti d'accusa erano giunti la sera prima, uno per ciascun prigioniero, ma siccome le can­ dele erano proibite, nelle celle fu impossibile leggere quelle che poi si dimostrarono essere accuse ridicolmente infondate. L'avvocato che doveva difendere Lavoisier non si fece vedere al processo, e probabil­ mente anche se si fosse presentato l' esito non sarebbe stato molto di­ verso. Il giudice, un certo Pierre-André Coffinhal, era già noto per la sua crudeltà e il suo desiderio di compiacere la folla. A quanto pare una volta, dopo aver condannato a morte un ex maestro d' arnù, ave­ va dichiarato : «Bene, vecchio nùo, prova a parare anche questo ! » . Negò prontamente il permesso di leggere alla corte le dichiarazioni vergate con cura da Lavoisier, né quelle dei suoi anùci o sostenitori. Incoraggiò la giuria a ridere fragorosan1ente di qualsiasi cosa dicesse l'imputato. Molti degli ex Fermiers Généraux furono fatti sgattaio­ lare via dall'aula; una sola parola mormorata all' orecchio giusto aveva garantito loro una sospensione all'ultimo nùnuto. Non vi fu nessun bisbiglio a favore di Lavoisier. Il busto di Mara t lo fissò dall' alto per tutta la durata del processo. Quando si giunse alla sentenza, non fu che una formalità. Lui e i Fernùers rimasti furono giudicati colpevo-

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r.

Una coperta rassicurante

li del delitto capitale di complotto contro la Repubblica. Un ultimo appello per una dilazione di due settimane dell'esecuzione, così da consentire a Lavoisier di portare a termine un lavoro scientifico di grande importanza per l'umanità, fu respinto dal giudice con una frase celebre : > . Stava pasticciando per divertimento, in un momento di pausa tra la preparazione della tesi e lo studio per migliorare le cure ai suoi p a­ zienti affetti da disturbi assortiti . Infatti Black stava facendo pratica per diventare un medico, e prendeva la sua professione sul serio. Black piaceva a tutti, e si dice che non perse mai un amico. A vol­ te era anche troppo gentile. Una volta depositò tutti i suoi soldi in un istituto finanziario che poi si ritrovò in cattive acque. Black intuì la gravità del problema un anno prima che l'istituto fallisse, n1a non ritirò neppure un centesimo per paura di creare imbarazzo, e finì per perdere tre quarti dei suoi risparmi r .

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Una coperta rassicurante

Era pacatamente fiducioso, disponibile, gentile e di una curiosità quasi impossibile. Amava sperimentare, non solo per trovare nuove medicine ma anche per vedere come funzionasse il mondo. Forse caso unico tra gli accademici del tempo, Black non desiderava affatto la gloria. N ella sua vita condusse un numero enorme di esperimenti, ma ne pubblicò pochissimi . Non voleva primeggiare né diventare fa­ moso; voleva solo sapere. Anche l'insegnamento gli piaceva. Anni dopo, quando diventò professore di anatomia all'Università di Glasgow, dedicò quasi tutte le sue energie a preparare le lezioni, che erano straordinariamente popolari tra gli studenti. Era tutt'altro che appariscente; possedeva un entusiasmo gentile e una voce sommessa, ma il suo pubblico lo ascol­ tava in un tale silenzio che si riusciva a udirlo fin nell'ultima fila. Black era soprattutto saldo : poteva sollevare un becher colmo di aci­ do vetriolico e travasarlo in un sottile tubo di vetro senza versarne una goccia. Ogniqualvolta svolse un esperimento dimostrativo con gli acidi, le polveri, i colori e le fiamme, la sua mano non tremò mai. Black rimase scapolo tutta la vita, sebbene fosse molto apprezzato dalle signore di Edimburgo. Dedicava loro tempo e attenzione in quantità scrupolosamente soppesate, favorendo quelle dotate di un'in­ telligenza vivace. Anche i suoi più cari amici non si sposarono mai e, come Boyle, Black trasse grande beneficio della loro compagnia. Era­ no famosi in modo scoraggiante. All'epoca in Scozia c'era una tale concentrazione di menti talentuose che un famoso storico londinese commentò : 5 . La velocità di crociera era sbalorditiva: nel loro giorno migliore le navi coprirono I 8 2 miglia, a una velocità media di otto nodi. E il vento non cessava mai di soffiare. Colombo non aveva idea di quel che aveva trovato, ma questo ul­ tra-affidabile vento dell'est sarebbe risultato importante quanto la scoperta del N uovo mondo a cui li stava accompagnando. Infatti si tratta di una delle due grandi fasce di venti che circondano il globo

Via col vento

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ai tropici, una a nord e una a sud dell' equatore. Si tratta degli alisei, e sono così costanti e diligenti che in inglese presero il nome di trade winds, perché permettevano delle rotte sicure per il commercio. (È possibile che siano stati sfruttati dagli uomini anche prima di Co­ lombo. L' archeologo norvegese T h or Heyerdahl ha dimostrato che gli alisei potevano spingere un semplice scafo di canne munito di vela dall'Europa fino ai Caraibi, e suggerì che l'idea di costruire le pi­ ramidi sia stata portata in Centro America da antichi egizi che aveva­ no navigato lungo questa rotta. Ma se gli antichi egizi avessero dav­ vero raggiunto le Americhe con le loro tecnologie architettoniche, non pensate che avrebbero anche fatto cenno alla ruota?) . Per Colombo, però , gli alisei stavano cominciando a diventare un po' troppo efficaci. Erano così costanti, e così implacabili, che la ciur­ ma iniziò a innervosirsi . Aveva avuto non poche difficoltà a trovare marinai disposti a sfidare l'ignoto e a equipaggiare le navi di viveri per un anno, quando all'epoca il viaggio più temerario durava appe­ na qualche settimana. Ora, mentre la flotta correva verso ovest, co­ minciarono a diffondersi morn1orii preoccupati . Quel vento che li stava spingendo con una tale velocità ed efficienza sembrava non ca­ lare mai. Colombo annotò cupamente sul diario che l'equipaggio >, scrisse Colombo, >, su un argomento chiamato " trigonometria" . Ferrei tornò alla libreria di Martinsburg, comprò la cosa più prossima che riuscì a scovare un testo di agrimensura - e cominciò a studiare avidamente. Quell' estate non ebbe quasi tempo libero : doveva dedicare tutte le ore di luce alla trebbiatura, separando il grano dalla pula. Per fortu­ na il locale aveva delle grosse porte alle due estremità, fatte di grandi tavole di morbido pioppo. Fu così che Ferrei non ebbe bisogno di una lavagna o di carta e penna. Disegnava i suoi diagrammi sulle por­ te, tracciando cerchi con i rebbi del forcone e linee rette con un solo rebbio, mentre un pezzo di asse gli faceva da righello (questi disegni incisi sopravvissero alla p ioggia e al vento per diversi decenni, e, quand' era ormai un eminente scienziato, ogni volta che ritornava dalla famiglia andava a rivederli) . Quell'inverno, Ferrei prese in prestito un altro libro di geometria da un agrimensore che viveva sulle montagne e lo studiò alla debole luce di una candela di sego o più spesso accanto al caminetto. Aveva una scorta di legnetti e, ogni volta che ne buttava uno sul fuoco, le fiamme si ravvivavano per qualche minuto. L'inverno seguente, per due giorni cavalcò nella neve pur di raggiungere Hagerstown nel Maryland e comprare una copia di Playfair's Geometry. Più imparava, più era assetato di conoscenza. Ferrei non studiava soltanto per sapere cosa altri avessero capito. Era ansioso di fare lui stesso delle scoperte, di spiegare la Terra come nessuno aveva mai fatto prima. Grazie al suo lavoro sulle eclissi, si era appassionato a problemi concreti , che esistevano nel mondo reale in­ torno a lui. Con il denaro racimolato insegnando e un po' di soldi donatigli dal padre, che lo sosteneva divertito, Ferrei s 'iscrisse all'università, dove studiò algebra, geometria e trigonometria (siccome queste ma­ terie non bastavano a esaurire la sua energia intellettuale, scelse an­ che latino e grammatica greca) . Nel 1 844, dopo una pausa per gua­ dagnarsi il denaro per le rette, Ferrei finalmente si laureò, a 27 anni. L' ex agricoltore era diventato un matematico, 1na all'epoca un pove­ ro ragazzo del West Virginia non aveva grandi possibilità accademi­ che. Così tornò al suo lavoro d'insegnante, ma dedicava le sue serate e ogni ritaglio di tempo allo studio. Era sempre alla caccia di un nuo­ vo argomento capace di scatenare la sua immaginazione con quel fervore che faticava a controllare.

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Una coperta rassicurante

Passò un decennio, e tra una lezione e l'altra Ferrei continuò a lavo­ rare su questo e quello. Poi, nel I 8 5 5 , all' età di 3 8 anni, gli capitò tra le mani The Physical Geography oJ the Se a, un libro scritto da Matthew Fontaine Maury, tenente di vascello della Marina degli Stati Uniti. Era un testo curioso. Conteneva un mucchio di tabelle con i dati sui venti, le correnti e le pressioni atmosferiche raccolti in tutto il mon­ do. Ma era anche pieno di teorie alquanto stravaganti su come questi numeri si relazionassero tra loro. Ferrei comprò il volume e se lo portò a casa per studiarlo meglio. Ferrei non lo sapeva:, n1a Maury era già famoso, o per meglio dire tristemente famoso, nella capitale americana. Era un militare ambi­ zioso e ampolloso che si faceva pubblicità con un' energia apparen­ temente inesauribile. Si era fatto una reputazione grazie all'idea in­ negabilmente brillante di raccogliere i diari di bordo delle navi ocea­ niche, ritracciarne le rotte e collezionare la loro documentazione così da pubblicare le mappe dei venti principali. Il frutto di questa fa­ tica, Charts of Winds and Currents, era stato subito un successo. Dis­ graziatamente, aveva anche indotto l'ego già ingombrante di Maury a credersi un grande scienziato. Si riteneva qualificato a pronunciarsi con autorità scientifica su qualsiasi argomento possibile. E quando, nel I 8 44, riuscì a farsi nominare sovrintendente dell' osservatorio della Marina americana nonostante fosse digiuno di studi astrononu­ ci, Maury diventò davvero insopportabile. N o n era uomo da suscitare grandi simpatie, però per certi versi era anche da commiserare. In fin dei conti voleva sol0 entrare a far parte della cerchia degli scienziati . Ma il suo problema era che, sem­ plicemente, non era molto portato per la scienza. Le sue teorie erano assurde. Invocava bizzarre forze magnetiche per spiegare fenomeni che non si avvicinava neppure a capire, e quando questo non bastava, faceva ricorso a tonanti passaggi dell'Antico Testamento per giustifi­ care le sue asserzioni "scientifiche"7. Alcuni contemporanei di Ferrei erano disgustati o sinceramente allarmati da Maury, soprattutto quando questi cominciò a sostenere di essere un esperto di meteorologia e sollecitò il Congresso a met­ terlo a capo di un nuovo, e assai dubbio, sistema americano di previ­ sione del clima. Nel I 8 5 6, la comunità scientifica aveva già iniziato a riferirsi apertamente a Maury come all"'impostore " . Maury fu al­ trettanto offensivo nelle sue repliche. Quando venne criticato a un convegno scientifìco presso lo Smithsonian I nstitution di Washing­ ton, reagì dichiarando che jan1es Smithson, l'illustre fondatore dell'i-

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stituto, era un figlio illegittimo (fatto che tutti conoscevano ma che nessuno mai menzionava) 8 . Il principale quotidiano della città, il "Washington Star", lo bastonò a dovere, definendo la carriera di Maury «una delle più incredibili e riuscite imprese di spudorata ciar­ lataneria mai conosciute nella storia del mondo»9. Ferrei era soavemente all' oscuro degli insulti che volavano a Was­ hington, e comunque non gliene sarebbe importato un fico secco. Però fu affascinato da quanto lesse nell'opera di Maury, The Physical Geography of the Sea, in cui erano riuniti molti dati sulle correnti e sul­ le pressioni atmosferiche. Ma, nel tentativo di sembrare più scientifi­ co, l'autore aveva anche infarcito il libro di strampalate teorie sul fun­ zionamento dei venti. La lettura mise in moto le rotelle nella testa di Ferrei. Doveva esserci il modo di creare dei nessi tra tutti i vari venti descritti da Maury, un modo che chiaramente quest'ultimo non aveva trovato. Pareva un peccato sprecare quei dati preziosi per idee tanto deboli. E, soprattutto, Ferrei era sicuro che per arrivare a una risposta avrebbe dovuto usare la sua materia preferita: la geometria. D ecise di portare il libro a uno dei suoi più cari amici, il dottor William Bowling, un medico di Nashville che era stato suo compa­ gno di università. Ferrei non aveva nessun parente in città e neppu­ re molti amici. Era troppo timido per socializzare con degli estranei, ma le p oche persone che avevano fatto breccia nelle sue difese gli erano diventate molto care. Bowling era una di queste, e amava molto parlare con Ferrei di scienza. Era anche l' editore del " Nash­ ville Journal of Medicine and Surgery" e per anni aveva cercato di dare alla sua rivista quello stile intellettuale che Ferrei sembrava pos­ sedere per natura. Ferrei spiegò il suo interesse per i dati di Maury e la sua inquietudine per le conclusioni del libro. A queste parole, Bo­ wling s 'illuminò : «Scrivimi una recensione per la rivista>>, gli propo­ se. > , avevano scritto nel mezzo di un oscuro paragrafo verso la fine dell' articolo. Quei . Verso la fine della vita, non potendo pagare le bol­ lette, fu costretto a vivere senza gas, e quindi senza luce e riscalda-

Lo specchio del cielo

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mento, per quasi u n anno. Un a vicina l o vide sedersi in giardino, con l ' aria infreddolita e malaticcia. «Vada dentro», gli disse, «e si metta ac­ canto al fuoco>> . Heaviside sorrise. 3 5 . A parte il gas, Heaviside non sembrava interessarsi granché alle cose materiali. Non aveva molta pazienza neppure per le onorificen­ ze e i premi. Per il suo lavoro sull' elettromagnetismo, fu nella rosa dei candidati al premio Nobel del I 9 I 2 . Non lo vinse, ma del resto non lo vinsero neppure altri illustri personaggi sulla lista, compreso un certo fisico tedesco di nome Albert Einstein. Furono tutti battuti da un certo Nils Gustaf D alen, inventore dell'illuminazione automatica nei fari disabitati. Einstein, con1' è noto, vinse il No bel per la fisica qualche anno dopo, nel I 92 I ; Heaviside invece non ebbe un'altra chance. E forse va bene lo stesso, visto che è difficile immaginarlo mentre si agghinda e parte alla volta della Svezia per la cerimonia. Il 4 giugno I 89 I , la Royal Society aveva cercato di includere Heaviside tra i suoi membri . D oveva solo presentarsi a Londra per la cerimonia formale di ammissione. In tutta risposta, Heaviside inviò una poesia: Una cosa ancora orsù prima che tu sia perfetto infine p agaci tre sterline vieni in città adesso e poi sarai aminesso ma sé non vuoi diventare membro, allora lascia stare. .

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Naturalmente Heaviside lasciò stare (ma lo fecero membro co­ munque) . Più tardi diventò ancora più eccentrico ed esigente nei confronti dei premi, rifiutandoli o subordinando il suo consenso a strane condizioni. Nell' ultimo p eriodo della sua vita, quando il British I nstitute of Electrical E ngineers decise di assegnare a Hea­ viside il suo più alto riconoscimento, la medaglia Faraday, qualcu­ no suggerì di mandare una delegazione a casa sua per consegnar­ gliela p ersonalmente. Heaviside fu quanto mai indispettito. «Chi sono queste persone?>> , scrisse in preda all' agitazione. « I o non so parlare a più di una persona alla volta, e già questo non mi è facile [ . . . ] e forse non riuscirò a far ripulire in ten1po una stanza dalla p olvere di carbone. [ . . . ] N o n sarebbe meglio se veniste uno alla volta in quattro giorni consecutivi?>> 3 6 . Quando arrivò la notizia

Parte 11. Protetti dal cielo

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che l'istituto aveva cambiato i suoi piani e avrebbe mandato una sola persona con la medaglia, Heaviside fu chiaramente sollevato, e nella sua risposta s 'insinuò un tono di malcelata ironia: , il telegrafo di Marconi diventò l'eroe del giorno39. La nave su cui lavorava Harold Bride, il possente Titanic, aveva solo il meglio. Il suo telegrafo senza fili era il più recente e il più grande che il denaro potesse comprare. Premendo il tasto, il conden­ satore raggiungeva i I o ooo volt e la scintilla danzante scagliava onde invisibili a centinaia, addirittura nligliaia di chilometri di distanza, con un rumore talmente assordante che l'apparecchio trasmittente aveva una cabina insonorizzata tutta per sé.

Parte I l . Protetti dal cielo

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Ufficialmente il turno di Bride non sarebbe cominciato che di lì a due ore, ma sapeva che Phillips doveva essere stanco. Sebbene i mes­ saggi costassero la principesca somma di I 2 scellini e sei pcnny per le prime I o parole, e nove penny per ogni parola successiva4°, erano molti i passeggeri del Titanic che non lesinavano sui centesimi. Pro­ prio per soddisfare questa preponderanza di ricchezza, c ' erano due operatori invece di uno come al solito. Ma anche così, il giorno pri­ n1a avevano perso sette ore di trasmissione, a causa di un seccante guasto elettrico, e siccome i due giovani avevano fatto gli stra ordina­ ri per smaltire i messaggi arretrati, Phillips aveva dato il cambio a un Bride stremato con mezz'ora di anticipo, e ora Bride decise di ren­ dergli il favore. Ancora in pigiama, scostò la tenda verde ed entrò nel­ la sala operativa. Phillips era esausto. Non ci sarebbe voluto molto a convincerlo a cedere il posto. Ma prima di poter passare il testimone a Bride, il capi­ tano si affacciò alla porta della cabina. «Abbiamo colpito un iceberg», disse calmo. «Ho ordinato un'ispezione per verificare gli eventuali danni. E meglio che stiate pronti a inviare una richiesta di soccorsi. Ma aspettate che sia io a dirvelo». I due operatori rimasero un po' stupiti; nessuno di loro si era accorto di nulla. Restarono in attesa, e I o minuti dopo il capitano era di ritorno: >. Ma Bride non riusciva a scrollarsi di dosso il ricordo di quel fuochista che ave­ va ucciso, e continuò a cambiare versione. Lui e Phillips avevano lot­ tato insieme contro l'uomo. Poi era stato Phillips a ucciderlo, da solo. Bride tornò in I nghilterra da eroe, ma poco prima il decimo anni­ versario del disastro fece perdere le sue tracce in Scozia, cambiò nome e diventò commesso viaggiatore. Aveva ancora il suo apparec­ chio ricetrasmittente, e di tanto in tanto chiacchierava via radio con persone che ignoravano il suo passato. Ma restò il fatto che, se le onde di Marconi non avessero percorso a balzi il curvo oceano, nessuno avrebbe n1ai saputo del destino del Titanic e tutti i suoi occupanti sarebbero rnorti. Ora che il potere del telegrafo senza fili era stato an1piamente di­ mostrato, tutti ne volevano uno. Le stazioni radio si diffusero in tutto il mondo. Marconi guadagnò enormi quantità di denaro e acquisì tutta la fama che avrebbe n1ai potuto desiderare. Vinse persino il pre­ mio Nobel per la sua invenzione. Con1unque, nonostante la predi-

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Parte 1 1 . Protetti dal cielo

zio ne di Heaviside, nessuno, meno che mai Marconi, conosceva l'o­ rigine di quello specchio nel cielo. Il mondo senza fili aveva bisogno di un altro fisico, qualcuno che, come Oliver Heaviside, fosse in grado di capire il misterioso funzio­ namento dei raggi di Heinrich Hertz. La persona in questione era misurata, fredda, precisa, diligente e totalmente convenzionale, in­ somma, tutto quel che il povero Heaviside non era. Edward Vietar Appleton (''Vie" per la famiglia) era nato a Brad­ ford, nell ' Inghilterra settentrionale, nel I 892 . I suoi genitori erano della classe operaia.Vivevano in un tipico, tetro quartiere di casupole separate sul retro solo da un muretto divisorio o da un vicolo, e do­ minato dalle ernissioni industriali della fabbrica locale. Ma il quartie­ re degli Appleton, per quanto povero, era anche rispettabile. Le ten­ dine alle finestre erano immacolate. Anche i gradini di pietra davanti alla porta erano sempre meticolosamente spazzati e sfregati. Il padre di Appleton, un magazziniere, usava sempre la bombetta invece della coppola plebea degli operai . E i suoi vicini erano poliziotti, ferrovie­ ri e postini, che portavano l'uniforme con orgoglio. Appleton era un ragazzo prodigio. A I I anni vinse una borsa di studio per un liceo di prim' ordine, dove eccelse in tutto quello con cui si misurò . Aveva una bella voce e cantava bene ; capitanava le squadre di calcio e di cricket; era attraente e popolare, con seri occhi grigi e capelli castani ondulati che facevano furore tra le ragazze; pri­ meggiava in tutte le materie accadenuche, dalla letteratura alla scien­ za; e fu l'unico allievo a cui venne n1ai concessa la chiave del labora­ torio di fisica, così che potesse proseguire il suo lavoro di sera. A I 8 anni vinse un'altra borsa di studio, questa volta per Cambridge. Per aiutarlo a sistemarsi, i genitori incassarono una polizza assicurativa e lo zio gli regalò cinque ghinee d'oro. Per certi versi , Cambridge calzava a pennello ad Appleton . N el I 9 I I , quando arrivò per studiare al St. John's , il suo conservatori­ smo era ormai ben radicato. Portava rigidi colletti fatti da un sarto di Bradford, e continuò a comprare gli stessi colletti , nello stesso negozio, per il resto dei suoi giorni. Rimase abbagliato dagli splen­ dori del St. John's , una delle università più ricche di Cambridge. Quasi subito spedì una cartolina a un amico di Bradford, dicendo­ gli : > . A Cambridge App�eton eccelleva nello sport e nelle materie di studio, e si laureò nel I 9 I 4 con il massimo dei voti nelle due prove di fisica. Due mesi dopo la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Ger­ mania, e Appleton si arruolò senza indugio. Ma alla fine del conflitto tornò al St. John's in qualità di laureato che godeva di una borsa di studio. Le tradizioni di Cambridge continuavano a incantarlo : le to­ ghe e i ritratti formali, l' argenteria49, le candele tremolanti e le ora­ zioni in latino nel refettorio. Una parte di lui si gloriava dell'inaspet­ tato accesso a quel mondo augusto, e ci sarebbe voluto del tempo perché un outsider di Bradford come lui si accorgesse del rovescio della medaglia. Per esempio, quando Appleton chiese che venissero eliminati gli scarafaggi dalla cucina dell'università, rimase sbalordito dal rifiuto del dispensiere e dalla motivazione che gli offrì. Gli scarafaggi del St. John's, si sentì dire, erano stati portati dal continente durante il regno di Elisabetta I , e non bisognava disturbarli. E se Appleton teneva in gran conto l'approvazione dei suoi colleghi intelligenti e sicuri di sé, non gradiva il loro atteggiamento sdegnoso verso il mondo esterno alle mura dell'università. In seguito, più di una volta citò un docente che si vantava di non essere mai andato al cinema: > , brontolò . Finalmente, appena prima di mezzanotte, il

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Parte I I . Protetti dal cielo

programma terminò . Al telefono, il capitano West, capo della stazio­ ne di Bournemouth, avvisò i due ricercatori di tenersi pronti. E poi, pochi minuti dopo la mezzanotte, il segnale ebbe inizio. Alcuni mi­ nuti dopo ci furono le intermittenze che Appleton stava cercando. Il crepitante strato di Heaviside aleggiava a un centinaio di chilometri sopra la sua testa. Appleton aveva scoperto quel che Heaviside aveva solo te o rizza­ to. Ora cominciava il vero lavoro. Dalla sua nuova posizione di capo del dipartimento di fisica all'università di Londra, Appleton istituì una rete di ricercatori che studiassero il nuovo strato. Il compito di trasmettere segnali in continua mutazione fu affidato al N ational Physical Laboratory di Teddington, e Appleton fece approntare di­ verse nuove stazioni, comprese due casupole di legno appena fuori Peterborough. Per dirigere il sito di Peterborough, Appleton assunse un nuovo assistente, un certo signor W C. Brown, che aveva fatto l'operatore ra­ dio sulle navi durante la guerra e aveva viaggiato in lungo e in largo. Quella vita lo aveva fatto diventare, tra le altre cose, un uomo pieno di risorse. > . Era incredibile pensare che fosse un sa­ tellite artificiale, lanciato da n1ano e ingegno umani, e che annun­ ciasse la sua presenza quando sorvolava la nave con quel pigolio re­ golare e disciplinato. Era così diverso dai naturali - irregolari - suo­ ni dell'atmosfera, e calzava perfettamente con quel che Van Allen aspettava di sentire da anni.

Parte I l . Protetti dal cielo

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Dal r 948 andava dicendo che l'umanità sarebbe riuscita a mettere in orbita un satellite. Il "N ew York Times" lo aveva sbeffeggiato; il "New Yorker" lo aveva preso in giro con il classico garbo. Van All e n era stato costretto a omettere quella parte da un suo discorso a un' importante conferenza in quanto , esordì. «Sono appena stato informato dal " New York Times" che un satellite russo è in orbita a un'altezza di 900 chilometri. Desidero con­ gratularmi con i nostri colleghi sovietici per il loro successo» . L'America, ovviamente, rimase sbalordita. Dapprima calò il silen­ zio, poi cominciarono la battutine ironiche, seguite presto da re cri­ minazioni . I bar del paes.e si misero a vendere lo " Sputnik", un cock­ tail a base di vodka e succo di limone. E tutti volevano sapere come mai i russi ci fossero arrivati per primi. Gli Stati Uniti erano la culla dell'innovazione tecnologica. Erano la patria dei pionieri del volo ed erano stati alla guida del mondo per decenni. Come mai il program­ ma spaziale americano era stato sorpreso, come disse un acido avven­ tore, ? Le teorie abbondavano. Siccome il fatto era accaduto alla fine del maccartismo, alcuni diedero la colpa alla caccia alle streghe contro gli scienziati. Altri attribuirono la responsabilità alle alte sfere. Il presiden­ te non si era riferito ripetutamente agli scienziati come a «nient'altro che un ennesimo gruppo di pressione»? L'aiutante del presidente Sherman Adams non aveva forse parlato con disprezzo di «una partita di basket spaziale»? Su un'unica cosa tutti convenivano : gli americani avevano bisogno di una risposta, e ne avevano bisogno in fretta. Vanguard era il nome del programma spaziale americano. Dopo una terribile estate di intoppi tecnici, il team del progetto fu pronto a lanciare il suo primo razzo a più moduli, di cui i due superiori sareb­ bero stati fittizi. Ma a nessuno importava più dei test. Quel che oc­ correva era un satellite. Il direttore del programma, John Hagan, fece del suo meglio per spiegare al presidente lo stato delle operazioni. Avevano fissato un al­ tro lancio per il dicembre di quell'anno, e sì, questa volta sarebbe sta­ to un razzo completo, niente tnoduli fittizi . Avrebbe potuto traspor­ tare anche un piccolo carico - un satellite, magari, del peso di due chili. Comunque quello non era, ripeto non era, un volo di missione. Era progettato solo per testare il veicolo di lancio. Mettere in orbita il satellite con questo lancio, disse Hagan, sarebbe stato «un bonus» . Il 9 ottobre, l'ufficio stampa della Casa bianca informò i giornali­ sti che, entro due mesi, il razzo di prova, noto come Vanguard TV-3 , sarebbe stato portato alla base di lancio I 8A di Cape Canaveral, in Florida. Nei successivi quattro mesi, tutti i test filarono via lisci. Gli ingegneri erano cautamente ottimisti, anche se la folla che aveva co-

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Parte

Il. Protetti dal

cielo

minciato ad assieparsi a Cape Canaveral li metteva a disagio. Quello doveva essere un test, svolto in condizioni scrupolosamente control­ late, con un po' di pace e quiete. Ma l'annuncio del presidente lo aveva impedito. Si era sparsa voce che si trattasse del primo tentativo an1ericano di lanciare in orbita un satellite. E tutti volevano assistere ali' avvenimento. O quasi tutti. Hagan aveva deciso di restare a Washington per tener d'occhio la situazione nella capitale. Il suo vice, Paul Walsh, lo avrebbe informato in tempo reale di tutto quel che succedeva a terra. Il " New York Times" era presente, naturalmente. > . La sala esplose esultante.Van Allen,Von Braun e il direttore del Jet Propulsion Laboratory, William Pickering, furono immediatamente scortati con un'auto militare all'Accademia nazionale delle scienze e fatti entrare in gran segreto dalla porta di servizio perché facessero il loro rapporto. Poi ci fu la conferenza stampa. Van Alle n si stupì nello scoprire che la sala era stracolma, sebbene fosse l' 1 . 3 0 del mattino. In seguito definì l 'incontro . Le fotografie dei tre uomini Van Allen, Pickering e Von Braun - che brandivano un modello del­ l'Explorer 1 sopra le loro teste fecero presto il giro del mondo. I due "uomini razzo " faticano a contenere il sorriso; Van All e n ha un'aria serenamente soddisfatta, sebbene forse un po' affaticata.

Parte I I . Protetti dal cielo

Nei giorni seguenti, l'Explorer 1 trasmise un' enorme quantità di dati. Ma in quelle cifre c'era qualcosa di strano. Per la maggior parte del tempo, il contatore Geiger captava i bizzarri suoni intermittenti dei raggi cosmici, esattamente i nutneri che ci si sarebbe aspettati. Ma di tanto in tanto il numero precipitava a zero, come se la macchina avesse periodicamente dei disturbi. Il fatto era che il metodo per in­ viare i dati sulla Terra non funzionava a dovere, e non si riusciva ad avere un' orbita continua. L'Explorer I I avrebbe dovuto funzionare meglio, ma purtroppo spirò sulla rampa di lancio per colpa di un modulo difettoso del raz­ zo. Invece l'Explorer I I I fu in orbita in un battibaleno, il 26 marzo I 9 5 8 , e confermò ciò che Van Allen stava cominciando a sospettare: o era colpa del suo strumento, oppure lassù in cielo c ' era qualcosa di davvero strano. Poco dopo il lancio dell'Explorer I I I , Van Allen volò a Washing­ ton. Una stazione ricevente di San Diego aveva scaricato un'intera orbita di misurazioni dal satellite. Van Alle n voleva quei numeri. Pre­ se il nastro dal centro dati Vanguard di Pennsylvania Avenue e andò in hotel. Lavorò fino alle tre del mattino, facendo calcoli con il rego­ lo e riportando i risultati su un grafico, che tracciò con penna e ri­ ghello su un foglio di carta millitnetrata. Studiando il grafico, Van Allen capì perché i dati dell'Explorer I fossero stati tanto irregolari: provenivano da parti diverse del ciclo. Ma ànche adesso, che aveva una registrazione completa davanti ai suoi occhi, continuava a essere perplesso. A basse altitudini, il conta­ tore Geiger registrava solo I 5 -20 impatti al secondo, proprio quello che Van Allen si aspettava da raggi cosmici in collisione - in base ai suoi precedenti esperimenti con i palloni-razzo. Ma poi lo strumen­ to si zittiva. Era come se più in alto si andasse e meno raggi cosmici ci fossero. N o n aveva alcun senso. Van Allen ripose le sue carte e andò a dormire. Il giorno dopo, andò dritto in ufficio e porse il suo grafico a due colleghi, Ernie Ray e Cari Mcllwain. Ci capivano qualcosa? Anche Mcllwain si era dato da fare. Aveva passato il giorno prima a testare un prototipo di contatore Geiger, e aveva delle notizie im­ portanti. Naturalmente la macchina si zittiva se non c' era segnale. Ma si zittiva anche quando c' era troppo segnale. Si saturava a un im­ pulso di 2 5 ooo urti al secondo. Gli altri due lo fissarono. Questo si­ gnificava che l'intensità era I O ooo volte quella prevista. > che lo costringevano a letto per giorni. Ora gli attacchi si erano fatti più ravvicinati, accompagnati da paranoia, disperazione e una salute come sempre cagionevole. La sua teoria non stava otte­ nendo il riconoscimento internazionale che a suo parere meritava, e questo lo demoralizzava. Uno dei n1otivi era dovuto alla lingua in cui l 'aveva scritta, il francese, che aveva scelto non solo perché lo par­ lava molto bene, ma perché era stato per lungo tempo la principale lingua europea della cultura e della filosofia della natura. Ormai però si era nel xx secolo, l ' Impero britannico era al culmine e l'inglese stava diventando la nuova lingua franca. Inoltre gli scienziati inglesi non vedevano di buon occhio le idee di Birkeland. Nel r 892 , il grande Lord Kelvin, uno dei fisici più illu­ stri della Gran Bretagna, aveva dichiarato : > 2 7 . Del resto Van Allen era tranquillo riguardo alla faccenda: : si riem­ pivano di plasma fino a traboccare. Oggi sappiamo che assotnigliano a un parabrezza. Il plasma che è troppo energetico per essere incana­ lato verso i poli o assorbito dall'aria rimbalza verso la fascia di Van Al­ len più esterna. Le linee di campo che s'inarcano a circa 1 6 ooo chi­ lometri d'altezza sopra la Terra trattengono queste particelle; non possono fuggire di nuovo nello spazio né minacciare il suolo, e così gocciolano via innocue e vengono sostituite da altre in arrivoJ 1 • Birkeland sarebbe stato fiero di sapere quanto avesse ragione. Sa­ rebbe stato contento di vedere che oggi la sua effigie compare sulla banconota da 200 corone. L'in1n1agine lo ritrae con il tipico sorriso appena accennato, l'abito elegante e gli occhiali rotondi di metallo, purtroppo però senza il fez rosso. A sinistra c'è un minuscolo disegno della terrella, e alle spalle un'aurora stilizzata. Il retro della banconota mostra una cartina geografica dell'Artico, dove sono segnate le posi­ zioni aeree in cui i satelliti hanno rilevato flussi di elettroni. Si trova­ no esattamente dove aveva previsto lo scienziato grazie alle sue misu­ razioni magnetiche, e oggi si chiamano "correnti di Birkeland" in suo onore3 2 • Dal canto suo, James Van Allen diventò uno dei più famosi scien­ ziati d'America, comparendo - tra i tanti luoghi illustri - sulla coper­ tina del " T ime " . Naturaln1ente, anche lui ebbe il suo nome scritto in cielo, nelle nubi di radiazioni che galleggiano sopra la nostra testa. Ma non è tutto. Nel 1 97 3 , rnentre stava lavorando nella sala steriliz­ zata del satellite Pioneer I O,Van Allen si tolse furtivamente un guan­ to e lasciò l'impronta di un dito J J . Il Pioneer I O fu il primo satellite umano a incontrare Giove, e poi Saturno. Quindi proseguì la sua esplorazione, fino alle regioni più remote del sistema solare, e oltre. Nel 2004, al novantesimo compleanno di Van Allen, il Pioneer I O aveva percorso più di I OO miliardi di chilometri. Van Allen è scom­ parso nell'agosto del 2006, a 9 I anni, ma il satellite avanza silenzioso nelle profondità dello spazio, diretto alla stella rossa Aldebaran, che forma l' occhio del Toro. Continuerà il suo viaggio per più di due milioni di anni, insieme all'impronta di Van All e n.

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Epilogo

1 6 giugno 2006, ore nove del mattino Tasiilaq, Groenlandia orientale > . Le opere di Galileo sono reperibili all'indirizzo : http : / / www. istitutocalvi­ no.it/ studenti/ si ti/ galileo/ opere.htm. Contrariamente alla leggenda, per il suo esperimento non usò la Torre di Pisa. Pur essendo di due volte più elevato, era comunque incredibiln1ente vicino al valore corretto. Quest'idea sorse con Aristotele nel Iv secolo a . C. e da allora non era mai stata confu­ tata. Per una volta Galileo aveva preso un granchio, attenendosi a un sapere traman­ dato invece di pensare con la sua testa. Sebbene non si sappia con certezza chi fu a condurre quest'esperimento, destinato a diventare famoso, Torricelli probabilmente chiese al suo caro amico Vincenzo Vivia­ ni, anch'egli allievo di Galileo, di conunissionare l'apparecchio e di svolgere in con­ creto il compito. Tuttora non è chiaro a chi vada la paternità dell'idea di usare il mercurio, se a Torri­ celli, a Viviani o addirittura a Galileo. In una copia dei suoi Dialoghi, dopo la parte sul limite di altezza per il trasporto dell'acqua tramite pompa aspirante, Galileo sembra aver dettato degli appunti a margine a Viviani sul fatto che altri liquidi avrebbero po­ tuto dimostrare un effetto simile ma a una maggiore o minore altezza a seconda dei pesi relativi dei liquidi stessi, e in particolare citò vino, olio e argento vivo. Vedi Middleton, The History of the Barometer, p. 20. Per la lettera integrale di Torricelli a Ricci, si rimanda all'indirizzo: http : / / www.imss. fi. it/multi/torricellle I I o644.html. La citazione di Swift è tratta da Meditazione su un manico di scopa e altre satire, a cura di Attilio Brilli, Archinto, Milano 200 8 , p. 50. Un'altra delle riflessioni di Boyle, Sopra la degustazione di un }ostrica, descrive due amici in1maginari che discutono di quanto sia ingiusto considerare barbare le usanze di altri paesi senza chiedersi come gli stranie­ ri vedano le nostre: «Noi imputiamo a molte nazioni degli indiani una barbara usan­ za» , sostiene uno dei due, «di mangiare carne cruda, come le bestie. E di grazia, non siamo forse noi peggiori, che mangiamo pesce crudo, come queste [ . . . ] ostriche complete di interiora, escrementi e tutto il resto?>> . Al che il compagno risponde: «Mi fate venire in mente un'immagine del vostro amico, il signor Boyle», e prosegue rac­ contando il desiderio di Boyle di scrivere una novella romantica ambientata in una

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Note qualche isola del Pacifico tneridionale governata da utopiche leggi razionali, i cui na­ tivi fanno un viaggio in Europa e al loro ritorno descrivono divertiti i nostri costumi stravaganti. Pilkington, Robert Boy/e, Father of Chemistry, p. 1 3 8 . Il valore di Pascal corrisponde a circa 3 7 5 0 milioni di milioni di tonnellate; oggi si parla di 5 600 milioni di milioni di tonnellate, come citato in Lyall Watson, Il libro del vento (trad. di Giuseppe Politi, Frassinelli, Milano 1 98 5 , p. r 8 ) . Nel 1 648 Pascal aveva convinto il cognato a trasportare la vasca di argento vivo e il tubo di vetro su e giù per una montagna, così da dimostrare che a un'altitudine maggiore l'aria pesa di meno. Il cognato riuscì egregiamente nell'impresa, anche se n o n dovette esser facile destreggiarsi con quegli scomodi aggeggi - bacinella, tubo, mercurio - per di più i n cima a i 1 464 metri del Puy-de-Dome, dove ripeté l'esperimento cinque volte, «una volta al chiuso, nella piccola cappelletta che vi si trova, una all' aperto, una in un luo­ go riparato, una nel vento, una col bel tempo e una con la n ebbia e la pioggia che di tanto in tanto ci venivano a trovare» (Middleton , The History of the Barometer, p. 5 I ; tratto da Blaise Pascal, Récit de l'expérience de l'équilibre des liqueurs, 1 64 8 , p. 1 2 ) . Boyle, Nuovi esperimenti, i n Id. , Opere, a cura di Clelia Pighetti, UTET, Torino 1 977, p. 752. Boyl e ebbe problemi d i salute per gran parte dell'età adulta, m a reagì sempre con grande pragmatismo. Per proteggersi dal freddo aveva commissionato u n assorti­ mento di mantelli adatti a ogni possibile variazione climatica, e per decidere quale indossare, prima di uscire consultava uno strumen to di recente i nvenzion e chiama­ to "termometro " . Boyle, Nuovi esperimenti, i n Id. , Opere, p. 8oo. In realtà non era proprio quello che Boyle si aspettava. Torricelli aveva riportato che il mercurio restava 26 o 2 7 pollici sopra la superficie, non 29, 5 . Se il livello del mer­ curio era dovuto al peso dell'atmosfera, perché questa discrepanza? I n fin dei conti , l'Inghilterra e l'Italia erano ricoperte dallo stesso manto d'aria. Che c i fossero dei problemi con lo strumento o, peggio ancora, con la teoria? Per fortuna, prima che preoccupazioni di questo tipo potessero sviarlo, Boyle scoprì che la risposta riguar­ dava la mancanza di coordinazione intra-europea più che un eventuale comporta­ mento scorretto dell' atmosfera. «l nostri pollici inglesi», annotò' con sollievo, «sono leggern1ente più corti delle dita usate all'estero». Il mercurio non scese mai al livello della scatola perché la pompa non riusciva a estrarre tutta l'aria. C'era sempre una piccola dispersione, a prescindere dall'intelli­ genza del progetto di Hooke. Ma scese abbastanza da soddisfare prima Boyle, e i nfine il resto del mondo. Purtroppo aveva un debole per le descrizioni prolisse. D ' altro nde, perché limitarsi a una parola quando se ne possono usare 3 0? hnnuginatevi Boyle, intento a dettare ai suoi sventurati segretari, la vista troppo annebbiata per scrivere di suo pugno ma la mente gremita di idee, deciso a non lasciare spazio all' errore o al dubbio . . . "Ancora una cosa, ancora una, devo ricordarnù di n1enzionare anche quest' altra " . Spesso una sola frase conteneva più di r oo parole. Per esempio, i n questo passaggio tratto dall'in­ troduzione a Nuovi esperimentijìsico-meccanici intorno all'elasticità dell'aria ed ai suoi effet­ ti, ecco cmne Boyle spiega perché avesse deciso di studiare l'aria (fate attenzione alla terza frase : raggiunge le 1 22 parole !) : , e aggiunse asciutto che era «improbabile che procurasse dei danni ispirando troppi en1ulatori» . Aveva quasi ragione. In realtà l'azzurro del cielo deriva dallo scattering (diffusione) rion delle particelle nell'aria ma delle molecole stesse dell'aria, come dimostrò suc­ cessivamente Lord Rayleigh. Vedi Weart, Febbre planetaria, pp. 4-7. lvi, pp. 23 -24. Oggi sappiamo che tra un terzo e la metà della C02 che abbiamo rilasciato è scom­ p arsa gradualmente nei mari, e questo ne ha considerevolmente rallentato l'accumulo nell'aria. Da solo, il crollo di biossido di carbonio non bastava a spiegare l'intero cambiamento di temperatura, ma questa pubblicazione dimostrò una volta per tutte che, insieme ad altri gas serra come il metano, ne è una componente importante. Vedi, per esempio, The ujlickering switch " of late Pleistocene climate change, di K . C. Taylor et al. , in " Nature", vol. 3 6 I , 4 febbraio I 993 , pp. 43 2-436. D.A. Stainforth et al. , in " Nature", vol. 43 3 , 27 gennaio 200 5 , pp. 403 -406.

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Watson, n libro del vento, Frassinelli, Milano I 98 5 pp. I 8 I - I 82. ' Vedi, per esempio, WD. Hamilton e T. M. Lenton, Spora and Gaia: how microbes Jly with their clouds, in "Ethology, Ecology and Evolution", vol. I O, I 998, pp. I - I 6 .

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Con tutto il dovuto rispetto per l'altrimenti impareggiabile canzone di lrving Berlin They A ll Laughed, Colombo non fu il primo a capire che il mondo era rotondo. Il fatto era noto agli studiosi fin dall'antichità. Quando Colombo si rivolse ai due sovrani, Isabella e Fernando erano esaltati dalla trionfale cacciata dei mori da Granada. Avevano deciso di allontanare tutti gli infede­ li dalla penisola iberica, e uno degli argomenti più convincenti di Colombo fu che, con le presunte ricchezze che avrebbe portato loro dalla Cina, i sovrani avrebbero potuto impegnarsi in una nuova crociata volta a strappare Gerusalemme e la Terra Santa al controllo n1usulmano. In accordo a quello spirito crociato, i monarchi ave­ vano già bandito tutti gli ebrei spagnoli che avevano rifiutato di convertirsi al cristia­ nesimo. Qualche marea prima di Colombo, era salpata l'ultima nave di esuli diretti in terre islarniche o in Olanda, l'unico paese cristiano disposto ad accoglierli. Co­ lombo sarebbe rin1asto stùpefatto se avesse saputo che stava per scoprire un conti­ nente destinato a offrire un rifugio da quella persecuzione. Tutte le citazioni di Cristoforo Colombo sono tratte dal suo Diario di bordo, a cura di Gaetano Ferro, Mursia, Milano 2006. Non tutti i nativi incontrati da Colombo furono così amichevoli , rna questa è un'al­ tra stona . Allora come oggi quest'approccio era controverso, e vi sono interessanti paralleli con l'attuale popolarità del "disegno intelligente" in quanto presunta branca scientifica. All'epoca, un recensore di The Physical Geography of the Sea scrisse: di Maury, ma aggiunse: «Sfortunatan1ente non si accorge che, nel forzare le Scritture per interpretare fatti fi s ici, fraintende il sen�o del­ la Bibbia, si appropria indebitamente delle sue parole e scredita le testin1onianze di quel testo sacro su questioni assai in1portanti, applicandole a oggetti e casi di natura totalmente differente» .Vedi l'introduzione a The Physical Geography of the Sea di Mat­ thew Fontaine Maury, a cura di John Leighly (Harvard University Press, Can1bridge, Massachusetts, 1 963 8 ) , p. XXVI. Cox, Storm Watchers, p. 63 . Ibid. Per fortuna , il Congresso non approvò n1ai la richiesta di Maury e l'uon1o scomparve dalla pubblica scena nel I 86 I , allo scoppio della Guerra di secessione, quando si unì ai Confederati. L'autobiografia di Ferrei in Biographical Memoirs of the National Academy of Scienccs, p. 296. Per una divertente descrizione di alcuni dei tanti, ignari divulgatori di questo nlito vedi: http : / /www. ems.psu. edu/-fraser/Bad/BadCoriolis. html. Vedi tre articoli in "Bulletin of the American Meteorologica! Society", vol. 4 7, 1 966: J.L.Jordan, Otz Coriolis and the deflectiveforce, pp. 40 I -403 ; H . E . Landsberg, Why indeed Coriolis, pp. 8 87-8 89; e Harold L. Burstyn, The deflectingforce atzd Coriolis, pp. 890- 89 1 . Già George Hadley c'era arrivato. Vedi il necrologio di Abbé su "Bulletin of the Philosophical Society ofWashington" . Biographical Memoirs, p. 298 . Vedi il necrologio scritto dal professar W M . Davis, i n " American Metereological Journal", vol. 8 , I 89 I , n. 8 , p. 3 5 9 Notate che sebbene le correnti oceaniche trasportino parte del calore necessario ad attenuare questo squilibrio, è l'aria a svolgere la maggior parte del lavoro. Gli oceani sono responsabili per circa un terzo e l'aria per i due terzi. Vedi Barry e Chorley, A t­

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Ferrei fu il primo a capire perché all'equatore non ci siano mai uragani: è l 'unico luogo della Terra in cui non opera la forza di Coriolis. L'aria non è ansiosa di girare a destra né a sinistra, e quindi si lascia cadere in buchi di bassa pressione senza trasfor­ marsi in un frenetico ciclone. Un uragano è largo circa 6oo chilometri, mentre un ciclone tropicale raggiunge i I 5 00-3 000 chilometri. I noltre gli uragani tendono a esaurirsi nel giro di pochi gior­ ni, mentre i fronti meteorologici delle medie latitudini possono durare una settimana o più. Vedi Barry e Chorley, A tmosphere, Weather an d Climate. New England Weather, I 876, citato in Watson, Il libro del vento, Frassinelli, Milano I 98 5 , p. 46. Sterling e Sterling, Forgotten Eagle, p. I 5 4. lvi, p. I 3 9· lvi, p. 6. lvi, p. I 5 3 · lvi, p. I 5 8 . L' aria contiene lo 0,03 5% dell'acyua della Terra, cioè I , 3 x I o 1 8 metri cubi, una quantità sufficiente a ricoprire il pianeta di soli 2, 5 centrimetri di pioggia.

Capitolo 5

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W N. Hartley, On the absorption of solar rays by athmospheric oxygen, i n "Journal o f the Chernical Society " , vol. XXXIX, I 8 8 I , p. I I I . La National Cash Register Company è una grande azienda di registratori di cassa e, oggi, anche di sportelli bancomat. Per quanto riguarda la Generai Motors, quando Midgley venne assunto la società si chiamava ancora Dayton Engineering Laborato­ ries Company (DELCO) ; cambiò nome quattro anni dopo. Haynes, Great Chemists, p. I 5 92 . Vedi Dictionary of Scientifìc Biography. Il primo sistema di refrigerazione pensato per la commercializzazione fu brevettato nel I 873 , ma solo da qualche anno era prodotto su scala industriale. H;aynes, Great Chemists, p. I 5 9 5 · lvi, p. I 5 96. Citato in C. F. Kettering, Biographical Memoir of the National Academy of Sciences, vol. XXIV, n. I I , I 95 7 , pp. 3 6 I -3 80. Qui ho parafrasato McNeill: in Qualcosa di nuovo sotto il Sole (trad. di Piero Arlorio, Einaudi , Torino 2002, p. I 44) scrive che Midgley ha avuto «il maggiore in1patto sul­ l' atn1osfera dell'intera storia terrestre». Kettering, p. 3 7 5 Father Earth, di Michael Bond, in " New Scientist", 9 settembre 2000, p. 44· Lovelock, Omaggio a Gaia, trad. di Isabella C. Blum, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. I 70. lvi, p. 292 . lvi, p. 276. lvi, pp. 2 3 5 -2 3 6 . lvi, p . 245 . J.E . Lovelock, R.J. Maggi e R .J . Wade, Halogenated Hydrocarbons In and Over the A t/an­ tic, in " Nature " , vol . 24 I , I 9 gennaio I 973 , p. I 9 5 · Le attuali reazioni sono n1olto più complicate, e coinvolgono svariati intermediari. Vedi, per esempio, la descrizione dettagliata nel brillante manuale di Richard Wayne, Chemistry ofA tmospheres, Oxford University Press, London 2oooJ . Ho preso a prestito quest'immagine memorabile da Sharon Roan, Ozone Crisis.

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Roan, Ozone Crisis, p. 2 . lvi, p. 3 1 . Lovelock, Omaggio a Gaia, p. 2 5 2 . "Nature", vol. 249, 28 giugno I 974, pp. 8 I o-8 I 2 . Le misurazioni stratosferiche di Lo­ velock comparvero poco dopo sulla stessa testata. «Non è sempre la stessa storia, che ti accorgi di quel che avevi solo quando l'hai per­ duto?». Il messaggio sembra aver lasciato un segno negli ann i . Nel 2003 feci ascoltare questa canzone a un gruppo di studenti del terzo e quarto anno di Princeton, duran­ te una lezione che stavo tenendo sulla scienza dell'ambiente e la scrittura, e dissi che chi avesse indovinato il nome della cantante e il titolo del pezzo avrebbe avuto un credito extra. All'unisono, i ragazzi scandirono