Ulisse nel tempo. La metafora infinita 8831781871, 9788831781879

Eroe dai molti nomi, dalle molte identità, multiforme, non scolpito a grandi tratti come Achille, ma plasmato e plasmabi

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Italian Pages [685] Year 2004

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Ulisse nel tempo. La metafora infinita
 8831781871, 9788831781879

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Ulisse nel tempo La metaforainfinita a cura di Salvatore Nicosia

Marsilio

Il Convegno internazionale Odissea2000.

Ulissenella culturacontemporanea, di cui questo volume raccoglie le relazioni, si svolse a Palermo nei giorni 12-15 ottobre 2000. L'incontro di allora, e la presente pubblicazione, si sono potuti realizzare grazie al contributo di: Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e Pubblica Istruzione della Regione Siciliana

AGLAIA. Dipartimento di Studi greci, latini e musicali dell'Università di Palermo

© 2003 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: dicembre 2003

ISBN88-317-8187-1 www .marsilioeditori.it Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione, anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia

INDICE·

9

INTRODUZIONE

L'identità di Ulisse

di SalvatoreNicosia 23

A Note on Demodocos

di GeorgeSteiner 31

Odisseo, l'eroe che narra se stesso

di Giovanni Cem· 57

Odisseo fra terra e mare: l'assedio di Troia

di Maria GraziaCiani 69

Odisseo fra terra e mare: il ritorno a Itaca

di ElisaAvezzù 79

Ulisse: conoscere o regnare?

107

di VincenzoDi Benedetto L'incontro di Odisseo e Nausicaa tra epos ed eros di GiuseppeMastromarco

127

Ulisse e l'uomo selvaggio

di SalvatoreD'Onofrio 151 Alla ricerca del «divino Ulisse»

di GioachinoChiarini 167

Profilo omerico di Ulisse

di MarcelloGigante 195

Ulisse nella letteratura cristiana antica

di GennaroD'Ippolito

5

INDICE

211

Zweite Reiseund Tod des Odysseus. Miinclliche Traditionen und literarische Gestaltungen

di PeterGrossardt 255 Odisseo, metafora dell'Europa

di VittorioCitti 279

Omero e Dante, Dante e Borges: un viaggio nella cultura

di Antonino Buttitta 291 L'Odysséecomme paradigme philosophique - dalla «dialettica dell'Illuminismo» alla dialettica dei chiaroscuri dell'esistenza

di ]ean-RenéLadmiral 323 Il ritornodi Ulissein patriadi Claudio Monteverdi di PaoloEmilio Carapea.a 333 Le molte anime dell'Ulisse di Dallapiccola

di Amalia Collisani 347 Ulisse in musica: Outis di Luciano Berio di DarioDel Corno 353 Elpénordi]ean Giraudoux: un ulisside nostro contemporaneo di GiovanniSaverioSantangelo 379 Ulysse en France au début du xxcsiècle: de Giraudoux à Giono di SuzanneSaia 405

L'Ulisse di Gide e quello di Heiner Miiller

di Giulio Guidori:ai 417 La SecondaOdisseadi Kavafis di RenataLavagnini 435 Motivi odissiaci nella poesia di Seferis di VincenzoRotolo 445 Influencias de la Odiseaen dos autores de la literatura espafiola del siglo veinte: Gonzalo Torrente Ballester y Antonio Buero Vallejo

di ]uan Antonio LopezFérez 469

L'imperfezione di Ulisse: un racconto di Eça de Queiroz

di FrancoFe"ari 481

L'Ulisse pedagogo di un poeta dimenticato dell'età napoleonica

di DonatellaFedele 489

L'impaziente Odisseo. Ulisse nella poesia italiana del Novecento

di PietroGibellini 6

INDICE

517

Il momento pascoliano dell'Odissea di Antonino Sole

545

Le maschere dd mito: CapitanoUlissedi Savinio di MichelaSaccoMessineo

563

La scrittura di Ulisse di PietroPucci

579

Il ritorno di 'Ndrja Cambrìa (HorcynusOrcadi Stefano D'Arrigo)

di WalterPedullà 593

Appunti su Odisseo e il suo viaggio nella cultura siciliana contemporanea: da Vittorini a Consolo e a Cattafi

di Antonino Grillo 605

Il professore e la Sirena

di SalvatoreNicosia 625 Ulisse2001: Mito, Letteratura e Storia fra due Millenni di Piero Boitani 643 Indice dei nomi

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Introduzione L'IDENTITÀ DI ULISSE

Al cane Argo lasciato ancora cucciolo ad Itaca venti anni prima, ed ora morente tra il letame ammassato davanti alla casa di Ulisse, è sufficiente il solo suono della voce per riconoscere il proprio padrone: quanto basta a fargli ritrovare la forza di sollevare il capo e le orecchie, esprimere scodinzolando la gioia dell'avvenuto ritrovamento, e chiudere gli occhi nel sonno della morte (Odissea,XVII 290-327). Con lui, con la sua istintualità capace di cogliere le radici dell'identità, non hanno avuto efficacia le strategie dell'occultamento, dell'elusione, della metamorfosi, della dissimulazione, della clandestinità, che Ulisse ha posto in atto, con l'aiuto di Atena, fin da quando è arrivato nella propria isola, e continuerà a perseguire fino alla fine: così come esse risulteranno vane con la nutrice Euriclea, che lo inchioda alla inoppugnabile fisicità della ferita palpabile alla coscia (XIX392-393, 467-475). Queste sono sovrastrutture "culturali", costruzioni di atteggiamenti e comportamenti finalizzati ad una cangiante immagine di sé, creazioni della parola che narra e compone e inventa: capaci di trarre in inganno altri esseri "culturali", ma inefficaci di fronte alla forza di un istinto che isola l'essenza liberandola da ogni consapevole modificazione. Che una volta giunto in patria debba mantenere l'incognito, dopo vent'anni di assenza, e in una situazione a lui sfavorevole, Ulisse non aspetta certo che glielo raccomandi Atena («e non dire ad alcuno, né uomo né donna, a nessuno, che sei arrivato ramingo, ma devi patire in silenzio i molti dolori, subendo le violenze degli uomini», XIII 308-31 O). Lo sa già fin da quando ha messo piede in una terra irriconoscibile che un pastore (in realtà Atena) gli rivela essere Itaca, 9

SALVATORE NICOSIA

anzi l'ha già messo in atto proprio con lei. Al pastore-Atena, infatti, reprimendo la gioia per la patria ritrovata, Ulisse «si trattiene dal dire la verità» (XIII 254), delineando una identità fittizia: 'Sono un ricco cretese fuggito dall'ampia Creta per avere ucciso il figlio di Idomeneo, che voleva privarmi del bottino conquistato nella guerra di Troia; mi hanno portato in questa terra, che non era la mia meta, mercanti fenici' 1 (XIII 256-286). Una Trugrede- la prima di tante abilissima, dove ogni elemento, ogni parola, ogni dettaglio ha una funzione, in grado di ingannare e rassicurare chiunque. Non certo Atena, che di tanta abilità e astuzia si compiace, e rende esplicita }"'affinità elettiva" che sta a fondamento del singolare rapporto fra quest'uomo e questa divinità: «Suvvia, non parliamone più, perché entrambi conosciamo bene le astuzie: tu sei il migliore di tutti i mortali per consiglio e parola, io tra tutti gli dèi sono celebre per senno ed astuzie» (XIII 296-299): ciò che lega Ulisse ed Atena è una solidarietà del senno e dell'intelligenza. La condizione di incognito di Ulisse domina l'intera "Odissea domestica", quella che il poeta, nella sua ineguagliabile sapienza compositiva, fa iniziare con l'arrivo dell'eroe in patria, alla metà esatta del poema (libro XIII). Nei confronti di una realtà, politica e sociale, mutata per il lungo trascorrere degli anni, ostile per l'insorgere di una nuova aristocrazia non più disposta a riconoscere il potere e l'autorità dell'antico sovrano, indecifrabile nella mappa dei sentimenti e delle disposizioni d'animo nei suoi confronti, Ulisse deve avere il vantaggio dell'incognito, che solo può consentirgli, superando lo svantaggio dei numeri (XVI241-257), dell'estraneità, dell'oblio, dell'ostilità, di "riconquistare" progressivamente la situazione, fino al conseguimento della vittoria finale. Legati ai luoghi, ai rapporti sociali, alle cose, alle occupazioni, gli altri non possono occultare la propria identità, mentre il viaggiatore sconosciuto e inconoscibile può ricostruirsene, una o molte, con la forza del racconto inverificabile. E Atena si incarica di mutarne la fisionomia trasformandolo in un vecchio mendicante 2 : sostituisce ai biondi capelli la calvizie, fa avvizzire la sua pelle intorno al corpo, appanna la luminosità dei suoi occhi, lo veste di un cencio, in maniera da farlo apparire ignobile e «irriconoscibile» (ayv(l)(J"toç,XIII 397) agli occhi di chiunque. Ma qual è la "vera" fisionomia di Ulisse? Tutto ciò che in accenni isolati e occasionali ci viene detto del suo aspetto fisico si riduce ai «capelli biondi» 3 , «gli occhi bellissimi» 4 , la statura non molto alta', se è vero che Atena gliela accresce, rinvigorendolo, in varie oc10

L'IDENTITÀ DI ULISSE

casioni. In realtà, Ulisse non ha una fisionomia definita, e muta spesso di aspetto assumendo, sempre con l'aiuto della dea che lo protegge, quello che più si addice alla circostanza, ed è più funzionale al conseguimento dello scopo. Reduce dal naufragio, si presenta a Nausicaa «orribile» (aµeQ{)aÀÉoç) e «bruttato di salsedine» (KEK..uµrixavoç 'di molte risorse', xoÀU'tÀaç (xoÀU'tÀ:qµoov)'che molto sopporta', xoÀuatvoç 'dalle molte favole', xotKtÀOµT)'tTJç 'dai variegati piani', dotato di vooç xoÀUKEQbflç, 'animo dalle molte astuzie'; mentre condivide con il solo Efesto, il dio dell'ingegnosità artigianale, la qualifica di 3tOÀUµT}'tLç 'dai molti 27 accorgimenti' e xoÀucpgoov'molto ingegnoso'. Ulisse è eroe "culturale" per eccellenza, in quanto ha una straordinaria capacità di superare il dato naturale conferendogli senso all'interno di un sistema di valori, di rapportarsi agli altri in termini di identità e alterità, di riportare gli eventi al soggetto e di adattarsi con duttilità alle circostanze, se occorre modificandosi e inventandosi. In lui riescono a conciliarsi la domesticità del comignolo e le avventure più strabilianti e fantastiche, la prudenza estrema e la temerarietà conoscitiva, la fedeltà coniugale e la seduzione extraconiugale, la virile sopportazione dei mali e la tendenza a «nuotare in un mare di lacrime» (bQal>Éç, ai due servi fedeli, il porcarto Eumeo e il bovaro Filezio (XXI217-225): ammesso che l'intero passo contenente il frettoloso e goffo riconoscimento da parte dei due servi non sia da considerareun'aggiunta posteriore, come si propende a credere. 11 Un antico scolio la identifica, non si sa su che base,con Metaponto. 16 Wf.1€V ,peubra Jtollà }i;yF,tvhuµo1ow 17 E aggiunge: «Come quando un uomo fissaun aedo che, istruito dagli dèi, canta parole gradite ai mortali, ed essi bramano senza posa ascoltare il suo canto, cosi costui mi incantava (f&ÀyE), seduto nella mia casa» (XVII 518-521). 18 Alcinoo ad Ulisse (XI 363-367). 19 Accanto ai principali, passati in rassegna, ve ne sono altri di minore consistenza. Al pretendente Antinoo, per es., Ulisse narra, con identiche parole (XVII 427-441 = XIV 258-272), un solo episodio della lunga narrazione fatta ad Eumeo, premettendovi un preambolo moraleggiante che poi riproporrà, in forma identica, alla serva infedele Melantò (XIX 75-80). 20 E difatti, in situazione del rutto analoga,Glauco risponde al dubbio di Diomede sciorinandotutta la sua genealogia (IliadeVI 123 ss.). 21 per es. XIX 172 ss. «C'è una terra nel mare [. ..] Creta [ ...] dove regnava [ ...] Minosse [ ... ] padre del padre mio». 22 L 'abnormità di questa situazione risulta evidente dal confronto con tutte le altre situazioni analoghe: lo straniero che arriva in una casa viene prima rifocillato e poi risponde allarichiesta di presentarsi e dire il proprio nome. Così avviene con Mente-Atena nella casa di Telemaco (I 102 ss.), con Telemaco prima presso Nestore (11131 ss.) e poi nella reggia di Menelao (IV l ss.), con lo stesso Ulisse nella capanna di Eumeo (XIV 45 ss.). 2 ' Della riluttanza di Ulisse a dichiarare il proprio nome, e del "ritardo" nelle scene di riconoscimento, si sono occupati vari studiosi. Rinvio, per tutti, a B. Fenik, Studies in the Odyssey, Wiesbaden 1974 (Hermes, Einzelschriften 30), pp. 1-60 («Tbc nameless Stranger»), che offre un quadro chiaro delle varie interpretazioni proposte, e chiama in causa, a sua volta, le convenzioni narrative del genere epico. Come «un gioco sottile cd ironico, che Omero intreccia con i suoi lettori• lo percepisce P. Citati, La mente colorata.Ulisse e l'Odissea, Milano 2002. p. 149. 2◄ Analogodesiderio, non ricambiabile, esprime Nausicaa (vm 461-462). 2' Per es. vn1 154-15', 182-185. 26 I 1-4: µai.a :n:ollà / :ll:Ml"fX8ri, [ ...] I :n:ollwv 6' àvOQci>:n;(l)Vi&v runra Kai VOOV fyvw, I :n:ollà b' l>y' b itovtqi mi8rv aÀyEa ovKatà 8uµov. 17 Comunissimo per Ulisse,ma una sola volta attribuito ad Efesto (IliadeXXI 355).

oµow.

a.

21

GEORGE STEINER

A NOTE ON DEMODOCOS

In Homer, the aoidosis an almost sacred personage (consider the sparing of Phémios in Book XXII of the Odyssey).He is privileged by immediacy of contact with the divine and the prophetic. Tue aura is that of magical powers of perception and foresight as in the case of the Shaman. One recalls Stalin's peculiar sentiments of fear in reference to Akhmatova and to Pastemak, neither of whom he would consign to death. As the Ion of Plato tells us, Socrates is wholly sceptical of the claims to divine authority made by the rhapsode. But Socrates' ironies are uneasy. In the Phaedo,he will confess to direct contact with the Muses and the mystery of supematural inspiration. This mystery is compounded, notably in archaic Hellas, by the conjunction of music with the formally poetic expression of philosophic-scientific doxa. Empedocles, Parmenides are also major poets. lt is these contiguities which so disturb Plato, himself in many ways a supreme poet. Ton péri Mousa philese: the Muse has loved Demodocos (Od. v111 62 ss.). But with a punishing love (agathonte kakon te). She has made him blind in exchange for the gift of song. This seems to be an Ur-moti/,present in numerous cultures and traditions. Sight is traded /or insight. The ascription of blindness to Homer himself is, most likely, a typological convention. The wandering hard is blind. This divinely-inflicted or bestowed deprivation will bave a prodigai legacy in western literature and literary history: in Milton's determinant invocations of blindness; in the explicit identifications which Joyce makes between this epic-Homeric vocation and his loss of sight; in blind Borges's equivocations on Homer. A more technical 23

GEORGE STEINER

point may also be relevant: the observation, perhaps pre- or protohistoric, that blindriess seems to strengthen the arts of memory, of oral recall and transmission. I have ventured the suggestion that the Homeridae, the professional minstrels and rhapsodes, may have emphasized Homer's blindness, in order to mask his illiteracy at a time when the claims of literacy were making themselves felt. First Demodocos sings of a stinging quarrel between Odysseus and Achilles, a quarrel which rejoices the rancorous heart of Agamemnon. No such episode occurs in our Iliad. Scholars conjecture that it derives from one or another of the several epics on the matter of Troy which are lost to us. But there is another possibility, richer in implication. Demodocos has invented this incident. He is himself one of the bards who are expanding, who are elaborating on the epic-heroic "ground-bass" of the Homeric songs. This invites the fascinating thought that blind Demodocos, inspired by intuition and Apollo, whom he cites in this passage mythésato Ph6ibos Ap6llon - has guessed the identity of the Stranger. From the very beginning, he aims to have Odysseus reveal himself to his hosts. And immediately, indeed, the Stranger drapes his cloak over his head and weeps. Demodocos' second offering (VIII 266 ss.) is comic-erotic (like a satyre-play following on tragedy). lt recounts Aphrodite's adultery with Ares and Hephaistos' cunning revenge when he traps the lovers in his net and summons the other immortals to witness their discomfiture. This is precisely the kind of libertine bawdy which Plato finds wholly unacceptable in Homer and which he would purge from the texts taught to the young. Demodocos' third canto (VIII 471 ss.) at the feast arises from a direct challenge by the as-yet nameless but formidably present Odysseus. He pays lofty tribute to the singer's powers, to his ability to narrate the events at Troy as if he had himself been there - 6s té pou aut6spare6n.Let Demodocos now relate the contrivance of the Wooden Horse and its conveyance of Odysseus and his compagnons at arms into the unsuspecting city. If Demodocos can narrate this feat, again not included in the Iliad as we know it, that will be proof of the authentically divine source of his inspiration: 6s tiratoi

pr6phronthe6s 6pasethéspinaoidén. With fierce concision, Demodocos now sings the catastrophe at

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A NOTE ON DEMODOCOS

Troy and how Odysseus, comparable to Ares and seconded by Athena, brought on victory (nikésat)for the Achaeans. Hearing Demodocos' narration, Odysseus' heart mdts. He is overwhdmed by sorrow (VIII 523-529), weeping the way a wife moums for ber lord on the lost field wbere be bas gone down fighting, weeping the day of wrath that carne upon bis cbildren. At the sight of tbe man panting and dying there, sbe slips down to enfold bim, crying out. Then sbe feels the spears prodding ber back and sboulders and goes bound into slavery and grief.

Have scholars and exegetes taken sufficient notice of these lines? Have they observed that it is not only the most haunting, compacted simile in Homer, but alsoone of the moment of miracle in world literature as a whole? This passage conjoins Andromache and Penelope in a common sorrow. The horror of defeat, of the destruction to be visited on one's children, brings home to Odysseus, to all men of war, the cost of their cunning and glory. Hecuba, Ahdromache, Cassandra will go bound into slavery and death. As he listens to Demodocos, Odysseus does not know what fate may have befallen his own wife and son. The terrible force and inclusiveness of the simile makes it unbearable for the Stranger to conceal his true identity any longer (by this point, to be sure, both Demodocos and Alkinoos have guessed). «Eim' Odyséus Laertitides;my fame reaches to the heavens» (IX 19-20). And whatever the tragic cost of that fame, it is transmitted to the ages by singers such as blind Demodocos. The richness, the complexities of perspective in Book VIII of the Odyssey seem to me almost to defy any comprehensive or formai analysis. No one can know whether the "Homer" of the Odysseywas the first to arrive at the truly awesome move whereby a character, a persona in a fiction, listens to a tale about him or herself. The Odyssey deepens this device - the play within the play in Hamlet varies on it - by making this "audience of the self" as incarnate in another man's voice or representation the means of enforced self-disclosure. The listener (spectator) is now compelled to reveal his or her authentic identity (authentic within the fiction). The effects of Demodocos' songs on Odysseus are manifold. A living man experiences the dialectical transmutation of his being into the realm of undying fame. But this glorification also makes him

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GEORGE STEINER

posthumous to himself. lt marks his removal from the living. Listening to the hard, Odysseus recognizes himself to be already among the illustrious dead. He has become shadow as are Ajax and Achilles whom he will encounter in the Underworld. Secondly, Demodocos' narration of the fall of Ilium and of Odysseus' cruel role therein compels our hero to confront the catastrophic nature of the entire enterprise against Priam's city. Who can guard distant Penelope from a comparable fate? Thus Odysseus' self-identification after Demodocos' recital-be is no longer «No One» as he was in the cavern of the Cyclops - is, in the fullest sense, an anagnorismos.He now knows who he is by virtue of what he will become in epic song and legend. T echnically, the shifts in perspective are intricate. They easily surpass the vaunted sophistications of post-modernism. I have suggested the possibility that Demodocos has intuited the Stranger' s identity from the outset. There are vivid hints that Alk.inoosdoes so when his guest first cloaks his face and sobs. Throughout, Demodocos' narrative idiom and style are "Homeric". But the materiai of the Odysseus-Achilles polemic and of the actual ruin of Troy is imported into the fabric of the Iliad and Odysseyimplying an epic or epics within the epic. This constitutes a mise en abyme of the most adroit and complex type. Others, after Homer, have played this deep game.Dante's name appears only once in the Commedia.Throughout the work, however, the interplay between the presumed author and the Pilgrim is crucial. The first person singular, the "I" in Dante's journey is always questionable, being both that of the poet and that of the protagonist. The second half of Don Quixote enlists delightfully the notion that Cervantes's hero has already become the object of a rivai and mendacious book. The entrance of characters, now enigmatically autonomous, into the play is famously staged by Pirandello. In Borges's Fictionswe find the teasing duplicity of "Borges and I". Buiiuel and Hitchcock become unnerving presences in the imaginary of their own films. Yet only one other "self-quotation" and intervention of apreceding in a later fiction, seems to me to rivai the polyphonic wealth of Book VIII. lt is the moment in the Mozart-Da Ponte Don Giovanni in which the doomed seducer, waiting for the Man of Stone to knock fatally at his door, orders his house-orchestra to play. What

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A NOTE ON DEMODOCOS

theyperform is an air out of The Marriageo/ Figaro!Fiction is made immortal by fiction. Here, and perhaps only here, I feel, do we have a tragic merriment (Spinoza's hilaritas),a density of multiple reference, to match that of the Demodocos-Odysseus pas de deux. lt has long been my conviction - to be sure of one who is not a qualified classical scholar - that the Demodocos episode throws a deterrninant light on the perennial question of the authorship and interrelation of the two Homeric epics. lt does indeed appear to be plausible that our lliad originates in the redaction, possibly under Peisistratus, of an ancient, diverse, linguistically many-layered body of myths and heroic sagas, some of them specifically locai and dynastic. lt is difficult to believe, though by no means impossible, that this redaction, the evolution of a uniformizing special idiom and the recitations which gave these canonic status, were the work of a single master-band whom tradition designates as "Homer". The analogy would be that of the anonymous but, quite possibly, presiding editoria! genius at work in the harmonization of the Authorized Version of the English Bible. What seems to me virtually undeniable is the authorship,writing now becaming available, of our Odysseyby an individuai sensibility and literary intelligence of the very first order (was that author one of the redactors of the lliad?). At decisive points, the Odysseynot only presumes familiarity with the Iliad: it is a radical critique,a rebuttai of its informing source and predecessor. The sovereign simile which I have cited from Demodocos' third song reduces to barbarie illusion the heroic, ferocious innocence of the lliad's celebration of warfare,of human sacrifice, so significant at the dose of the work, and of enslavement. Comparable in impact to this simile is Odysseus' dialogue with Achilles in Hades, in the Nekyia of Book XI. When Achilles responds to Odysseus' glorification of his, Achilles' undying fame, the world of the Iliad is reduced to dust. Achilles would rather be the menial serf of an impoverished master than monarch over all the host of heroic shades. lt is, I believe, nearly inconceivable that these two texts, together with other passages in the Odyssey,could have resulted from a redaction of heroic oral sagas of the kind which form the stratigraphy of the lliad. Surely we are dealing here with one of the supreme masters of what we know as literature (almost certainly written) to whom the world and the values of the Iliad are not only archaic but, 27

GEORGE STEINER

in certain vital ethical and psychological aspects, unacceptable. This is nota matter of and for classica! philology and text-criticism. lt is a proposal, I venture, that follows on being attentive to the nature of the poetic imagination and of hurnan mentality itself. Pictorial representations of blind Homer abound in renaissance and neoclassica! allegories ad Parnassum.Raphael and Poussin provide eminent examples. The XIXthcentury relishes what I would cali the "Belisarius motif", the image, more or less kitsch, of the blind poet, unrecognised and begging his bread from indifferent or derisive passers-by (d. the heart-wringing finale of Schubert's Winterreise).In fact, this motif of aged Homer as an unrecognised mendicant and homeless wanderer dates back to Hellenistic anecdotes at least. But unless I am mistaken, the inclusion of Homer as a dramatis personawithin a fictional or iconic context, is exceedingly rare. Goethe may, playfully, have entertained the thought when working on projects fora Nausicaa.Homer's is an oblique presence in Robert Graves's Homer's Daughter,a novel articulating Samuel Butler's thesis of a female authorship of the Odyssey.We do, nevertheless, have two modem instances of this trope. Homer's appearance in Joyce's Ulysses is brief but unforgettable. The "Tap. Tap. Tap ..." of the blind beggar's cane punctuates the chapter of the Sirens (where "Tap" plays also on the use of a spout when drawing and pouring beer). The tapping pursues Leopold Bloom as he leaves the tavem, which is the hant of the Sirens: Tap. Tap. A stripling, blind, witb a tapping cane, carne taptapping by Daly's window wbere a mermaid, bair all streaming (but be couldn't see) blew wbiffs of a mermaid (blind couldn't), mermaid coolest whiff of all.

Note Joyce's inversion of the tradition (is it unique?). His blind Homer is young:«A stripling ...». Where we never think of or image a young Homer. The richest ricorsoto Homer-Demodocos in modem literature is that enacted in Derek Walcott's Omeros,a retum intensified by Walcott's superposition of Homer and Joyce as fused shadows. Old St. Omere: tbe blind man sat on bis crate after tbe pirogues set out, muttering the dark language of tbe blind, gnarled bands on bis stick, bis ears as sbarp as the dog' s.

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A NOTE ON DEMODOCOS

Sometimes he would sing and the scraps blew on the wind when her bcads rubbed their rosary. Old St. Omere. He claimedhe'd sailed round the world. "Monsieur Seven Seas" ...

In tum, «our age's Omeros, und.immed master», can be found on the banks of the Liffey in Dublin, hymning his Muse, Anna Livia. Walcott takes up these themes again in his dramatized version of the Homeric epic: The Odysseyof 1993. Demodocos intervenes in propriapersona, seeking to tease Odysseus into self-disclosure in a bout of brilliant word-game. He has been waiting for Odysseus' homecoming in the palace at lthaka. He sings to the Wanderer a rapturous "Song of Penelope". Throughout, the action is accompanied by Billy Blue, a singer of Blues and Caribbean melodies. At the very dose, Billy and Athena tell of the poet's eminent task, which is to celebrate and call to life the immortal wonders of memory: Since that first blind singer, others will sing down the ages Of the heart in its harbour, then Long years after Troy, after Troy. And a house, happy for good, from a swallow's omen, Let the trees dap their hands, and the surf whisper amen.

Since that first blind singer in Book VIII, others have sung down the ages - and will continue to do so.

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GIOVANNI CERRI

ODISSEO,L'EROECHE NARRASE STESSO

Scrive Giambattista Vico: ... I di lui caratteripoetici [cioè i personaggi di Omero] [...] furono generifantastici, quali sopra si sono nella Metafisicapoeticadiffiniti, a' quali i popoli greci attaccarono tutti i particolari diversi appartenenti a ciascun d'essi generi. Come ad Achille, ch'è 'l subbietto dell'Iliade,attaccarono tutte le propietà della virtù eroica e tutt'i sensi e costumi uscenti da tali propietà di natura, quali sono risentiti, puntigliosi, collerici, implacabili, violenti, ch'arrogano tutta la ragione alla forza[ ...]. Ad Ulisse, ch'è 'l subbietto dell'Odissea,appiccarono tutti quelli dell'eroica sapienza, cioè tutti i costumi accorti, tolleranti, dissimulati, doppi, ingannevoli, salva sempre la propietà delle parole e l'indifferenza dell'azioni, ond' altri da se stessi entrasser in errore e s'ingannassero da se stessi. E ad entrambi tali caratteri attaccarono l'azioni de' particolari, secondo ciascun de' due generi, più strepitose, le qual'i greci, ancora storditi e stupidi, avessero potuto destar e muover ad avvertirle e rapportarle a' loro generi. I quali due caratteri, avendogli formati tutta una nazione, non potevano non fingersi che naturalmente uniformi (nella quale uniformità,convenevole al senso comune di tutta una nazione, consiste unicamente il decoro, o sia la bellezza e leggiadria d'una favola) 1•

Qui Vico stabilisce un preciso rapporto di correlazione tra la natura orale e collettiva della narrazione epica e la struttura caratteriale tipica degli eroi oggetto della narrazione stessa. Il "carattere poetico" è una figura, un personaggio immaginario la cui individualità si risolve, sia sul piano della descrizione caratteriale sia su quello del1'azione, nella personificazione monocorde, e in grado superlativo, di uno solo degli aspetti o delle qualità o delle attitudini differenti 31

GIOVANNI CERRI

che nella realtà della vita sono in varia misura mescolate nella personalità di base dell'uomo comune. Il termine "genere fantastico" è in certo senso un ossimoro, in quanto predica la fantasia, che è il contrario dell'astrazione logica, in riferimento al genere, che dell'astrazione logica è appunto un grado determinato. In effetti i "caratteri poetici", come Achille o Ulisse, hanno l'apparenza di individui viventi, legati a precise circostanze biografiche, ma sono in realtà "uniformi", cioè privi di dialettica interna e di sviluppo, perché, al di là dell'apparenza, si esauriscono in uno solo dei momenti in cui la personalità umana si articola. Appaiono concreti, ma rispondono invece ad un'esigenza elementare di astrazione. Achille è la furia guerriera, Ulisse l'accortezza astuta e ingannevole. E sono così concepiti perché elaborati coralmente da un gruppo sociale, la cui cultura non si esprime in termini logici, ma attraverso un sistema di immagini. Vent'anni fa esatti inserivo questa pagina nel quadro di quella che mi sembrava allora, e mi sembra tuttora, una teoria compiuta dell'oralità, attribuibile a Vico. E sottolineavo come in essa sia ravvisabile una connessione profonda tra i due concetti di "oralità" e di "mito" 2 • La stessa pagina mi interessa oggi da un altro punto di vista: vi troviamo la definizione sintetica, ridotta per così dire ai minimi termini, della figura eroica di Odisseo, astuto e ingannatore, capace per questa sua qualità di affrontare e superare positivamente qualsiasi difficoltà e avventura. È appunto il nucleo semantico primario con il quale si è stagliato fin dall'inizio, almeno ad un livello più superficiale, nella fantasia degli antichi Greci, poi dei Romani, della cultura medioevale, infine dell'uomo moderno. L'eroe stesso, nell'Odissea,al momento di rivelare la propria identità ad Alcinoo, così si presenta (rx 19-20): Ei'.µ''Obuaeùç AaEQTu:ibriç, oç xéiat b6À.01m.v av6Ql03tOIATI. µiÀro,Kai. µEUKÀ.ÉoçOÙQaVÒVlKEt. Sono Odisseo figlio di Laerte, che per ogni sorta d'inganno sono noto tra gli uomini, la mia fama raggiunge il cielo.

Un nucleo semantico spesso inclusivo di una condanna morale, che si esplicita nel confronto con il coraggio leale e diretto, scevro di menzogne e di raggiri, proprio degli eroi puri, quali Achille e Aiace: Pindaro, il cantore dell'àQetci assoluta, poté sostenere, in uno dei suoi epinici, che la gloria di Odisseo è nella sostanza immeritata, gonfiata rispetto alla consistenza delle sue imprese, indotta dalla sa32

ODISSEO, L'EROE CHE NARRA SE STESSO

piente orchestrazione della poesia omerica J; Dante colloca l'anima di Ulisse nell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio dell'inferno, tra i consiglieri di frode ◄, anche se, come accenneremo oltre, la sua rappresentazione effettiva del personaggio è poi ben più complessa. Si tratta, come dicevamo, di una definizione semplificata del nostro eroe, quella che sarebbe venuta alle labbra per prima a chiunque, sia nell'antichità sia nel mondo moderno, fosse stato richiesto di stigmatizzarne in poche parole l'essenza. Lo spessore del personaggio va comunque molto al di là di questo cliché,sia nella realtà testuale dei poemi omerici sia nella coscienza profonda di chi ne abbia una nozione appena più articolata di quella desumibile da un riassunto cursorio del suo mito. Altrimenti non avrebbe esercitato quel fascino sottile e irresistibile, che ne ha fatto l'eroe per eccellenza nell'immaginario collettivo di ogni tempo, il più noto e amato fra tutti gli eroi greci. Non avrebbe conseguito quella "gloria", che Pindaro, in una determinata occasione di canto, ritenne opportuno contestare, per proclamare la superiorità di Achille e di Aiace, i due Eacidi cari alla memoria del suo pubblico egineta. In questo contributo, mi propongo appunto di sottolineare la poliedricità della sua figura, cercando poi di individuarne l'elemento unitario, che la rende inconfondibile fra tutte le altre'. Anzitutto, sarà bene ricordare che in Odisseo l'astuzia non sostituisce, bensì integra la prerogativa eroica primaria, che è il valore guerriero. Nell'Iliadepiù volte egli svolge il ruolo di combattente risolutivo nel corso di mischie particolarmente accanite, si batte con coraggio, forza fisica, abilità nel maneggio delle armi, non certo in subordine, ma almeno alla pari con gli altri campioni achei, assumendo anzi a tratti la statura del primo tra i primi: basti pensare alla battaglia durissima descritta nel libro XI (soprattutto w. 401-488), battaglia che prelude all'attacco finale dei Troiani al muro degli Achei. Così si rivolge a lui Soco, guerriero di parte troiana, sfidandolo al duello (Il. XI 430):

ti>'Obuo-Eii :n:oì.:uatve, OOÀWV &t' ~oè 3t0VOI.O . Odisseo glorioso, ingordo d'inganni e d'imprese.

La locuzione vocativa esprime bene il binomio costitutivo della personalità di Odisseo, l'inganno (ooÀ.oç)e l'impresa (novoç), che in questo caso è inequivocabilmente l'impresa bellica, lo scontro frontale in anni. Tuttavia, anche nell'infuriare della battaglia, Odis-

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seo si connota tra gli altri guerrieri per un elemento tutto particolare di riflessione, più specificamente di autocoscienza vigile. La scena di cui stiamo parlando si era aperta per l'appunto con un discorso del1'eroe fra sé e sé, con una di quelle allocuzioni al proprio cuore (0uµoç) che tanto spesso, sia nell'Iliade sia nell'Odissea,fanno da commento alla sua azione pratica (Il. XI 401-410): Restò solo Odisseo, maestro di lancia, non gli era al fianco nessuno degli Argivi, presi tutti dal panico; turbato allora parlò al suo stesso cuore animoso: «Misero me, che mi succede? Gran male se fuggo per paura del numero; ma peggio se sono preso da solo: gli altri Danai li ha dispersi il Cronide. Ma perché queste cose m'ha detto il mio cuore? Questo so, che sono i vili a lasciare la guerra, mentre chi è valoroso in battaglia, è necessario comunque che stia al suo posto con forza, colpisca o resti colpito!».

La situazione è particolare. Odisseo è rimasto isolato dai suoi, che sono fuggiti. Se non fugge anche lui, rischia di rimanere accerchiato dai nemici, soverchianti di numero, e di rimanere ucciso. Ma non fugge: prevale il dettame dell'etica eroica, che però non opera in lui come cieca furia combattiva (µévoç) o audacia irriflessa (06.Qo-oç),bensì come determinazione ponderata, scelta cosciente di vita o di morte. Il suo valore guerriero rifulge anche nell'Odissea,la cui seconda parte è dedicata interamente allo scontro con i Pretendenti e con le loro famiglie, scontro che egli gioca sempre con una sintesi geniale di astuzia e di superiorità operativa in campo aperto: la gara dell'arco è uno stratagemma che si fonda sulla certezza che lui solo avrà la forza di tendere l'arco fatale e la mira infallibile, per colpire a morte tutti i Pretendenti, uno dopo l'altro; la battaglia finale vicino alla casa di Laerte è una vera e propria battaglia iliadica, nella quale strategia e forza hanno pari dignità, con l'immancabile contrappunto degli interventi divini. Del resto, la sua stessa astuzia non è mai la furbizia del trickster, è piuttosto saggezza, conoscenza approfondita dell'uomo e delle cose umane. A ben vedere, questo aspetto è presente nella definizione vichiana dalla quale abbiamo preso le mosse: « ... l'eroica sapienza, cioè tutti i costumi accorti, tolleranti, dissimulati, doppi, ingannevoli, salva sempre la propietà delle parole e l'indifferenza dell'azioni, 34

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ond'altri da se stessi entrasser in errore e s'ingannassero da se stessi». È evidente che qui Vico tiene presenti soprattutto i numerosi casi in cui Od.isseo, nell'Odissea,racconta menzogne, spesso pseudoautobiografiche, atte a depistare i suoi interlocutori, inducendoli in errori che possano tornare utili ai suoi piani. Probabilmente pensa anche alla falsa promessa fatta a Dolone nel libro x dell'Iliadee allo stratagemma del cavallo di legno, narrato nei poemi ciclici e rievocato nei libri IV e VIII dell'Odissea.Ma non si tratta in realtà soltanto di bugie e inganni: al di là e prima di questo, è un saper rivolgersi agli altri tenendo conto delle loro probabili reazioni razionali ed emotive, una padronanza del linguaggio consapevole dell'effetto che la parola può avere sul destinatario, non sul destinatario in astratto e in generale, ma su quell'interlocutore in particolare, tenuto conto della sua tipologia sociale ed etica; è in ultima istanza attitudine oratoria e tecnica retorica ante litteram. Nella «Teichoscopia» Antenore narra ad Elena di un'ambasceria svoltasi nel passato: si erano recati a Troia Menelao e Odisseo, per parlamentare; proprio lui li aveva ospitati nella sua casa in quei giorni e aveva avuto così agio di studiare il loro carattere e il loro modo di pensare (q>uriv... Kai µrioea 1tUKVa., Il. III 208); li aveva poi visti parlare di fronte all'assemblea troiana. Ne viene fuori un doppio ritratto, straordinariamente vivace, in cui sono posti a confronto due oratori del tutto diversi fra loro per indole, stile e bravura (Il. III 216224). Menelao è conciso, di poche parole, chiaramente non molto esperto nell'arte, anche per la sua giovane età, tuttavia preciso ed efficace... Quando invece s'alzava a parlare Odisseo scaltrito 6 , se ne stava in piedi a lungo, guardava all'ingiù, fissando gli occhi a terra, non agitava lo scettro né avanti né indietro, ma lo teneva immobile, alla maniera di un inesperto 7 : avresti detto che era imbronciato o addirittura fuori di sé•. Ma quando svolgeva dal petto la sua voce possente e le parole, dense come fiocchi di neve d'inverno, con Odisseo allora nessuno si sarebbe messo in gara: non stavamo più come prima a stupirci di lui, per il suo aspetto.

È l'Odisseo di sempre: domina pienamente la tecnica, in questo caso la tecnica oratoria; ma, prima di metterla in opera, riflette; deve commisurarla alla situazione concreta e alla natura dei personaggi che ha di fronte; ha bisogno dunque di un certo tempo, per ricapito35

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lare quanto è stato già detto dagli altri oratori, focalizzare l'indole del pubblico e scegliere di conseguenza argomenti e tono. Da un punto di vista storico, potremmo dire che quest'Odisseo precorra i tempi: sembra quasi una prefigurazione dell'oratore ideale, quale sarà tratteggiato da Platone nel Fedro. Ma il pubblico eroico e iper-arcaico della scena iliadica non può capire il senso di quella pensosità e di quel silenzio iniziali: è inevitabile che li scambi per impaccio, incapacità o distrazione, salvo poi ricredersi, quando è investito dal1'onda delle parole. È per questa sua capacità persuasiva che viene inviato, insieme a Fenice e Aiace, come ambasciatore alla tenda di Achille, ritiratosi dalla guerra per odio verso Agamennone. È il primo a parlare, fra i tre ambasciatori: pronuncia un discorso lungo e ben costruito (Il. IX 225-306), nel quale non tralascia nulla che possa commuovere il cuore di Achille, dalla sofferenza dei compagni, al ricordo del vecchio padre, che gli aveva raccomandato esplicitamente di controllare sempre l'irascibilità del suo animo, fino alla previsione della sconfitta, che l'esercito acheo dovrà subire, se egli continuerà ad astenersi dal combattimento; e cerca di allettare il suo orgoglio ferito, insistendo sul pentimento di Agamennone e procedendo ali'elenco minutq dei doni regali che quest'ultimo gli promette in ricompensa dell'offesa da lui subita. È un capolavoro di arte oratoria, che però in questo caso non sortisce l'effetto voluto, perché Achille è irremovibile; fuori della finzione narrativa, perché la vicenda deve svilupparsi fino al suo esito catastrofico. A proposito dell'ira implacabile di Achille, Nestore fa la seguente riflessione (Il. XI 763-764): Godrà solitario il proprio valore; e penso dawero che tardi rimpiangerà molte cose, una volta annientato l'esercito!

Oloç i-Tjç Nell'ambito della saga propriamente odissiaca, quella del VOLÀ.osetvot, Kai.aq>Lvvooç Èatt 0eoubriç.

Ora voi altri state ad attendere, miei bravi compagni: io intanto andrò con la nera nave e altri compagni a fare esperienza di questi, che gente sono, se sono violenti, selvaggi, se la giustizia ignorano, o sono invece ospitali, la loro mente rispetta gli dei.

Raggiungono la grotta di Polifemo, che però è fuori a pascolare il bestiame. Si rendono conto che il suo abitatore deve essere un mostro gigantesco. A questo punto i compagni scongiurano Odisseo di non aspettarlo, di fare razzia di viveri e fuggire subito alla nave, prima che il Ciclope rientri. Ma la sua sete di sapere non è ancora soddisfatta (Od. IX 228-230): àM' èyÒ>où 1tt80µ11v,~ t" civ rtOÀ.ÙKÉQbLOV ~EV, Oq>Q' aùtov tE tbotµL, Kat et µoLSELVI.Cl ooi.11. oùo• liQ' lµeU' ÉTavetçÈQatnvòç laea0at.

Ma io non detti retta, - e sarebbe stato assai meglio! perché volevo vederlo, se mi desse doni ospitali. Non era destino che, apparso, fosse benevolo ai miei compagni!

Emblematico più di ogni altro è l'episodio delle Sirene. Questa volta non è Odisseo a inventare lo stratagemma, ma Circe, che, essendo dea, maga e amante dell'eroe, ne conosce perfettamente l'indole e la vocazione: egli dovrà farsi legare all'albero della nave dai

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compagni, che invece avranno le orecchie turate dalla cera; così potrà ascoltare e conoscere il canto meraviglioso e mortale, senza essere attirato sullo scoglio (Od. XII 39-54, 154-164). Il canto delle Sirene è stupendo dal punto di vista melodico, e perciò irresistibile, ma è nello stesso tempo caratterizzato da alta densità informativa: convogliatutto il sapere mitico (Od.XII 189-190): sappiamo tutti gli affanni che sulla vasta piana di Troia per volontà degli dei Argivi e Troiani soffrirono,

e, insieme, una conoscenza totale, a quanto sembra non solo storica e antropologica, ma anche ontologica e cosmologica (Od.XII 191): sappiamo ogni cosa che possa avvenire sulla terra feconda.

Per Odisseo, che è riuscito ad ascoltare il loro canto senza esserne travolto, risulta vero in effetti quanto le Sirene millantano per ingannare le loro prede (Od. XII 188): dopo averlo goduto, se ne torna sapendo più cose 12•

Di nuovo Odisseo prefigura il futuro. Già brilla in lui la luce della scienza. Anticipa l'atto di Empedocle e di Plinio, che si avventureranno nel cratere del vulcano per studiare il mistero del sottosuolo. Dunque non fu gratuita l'invenzione di Dante, quando immaginò che Ulisse vecchio fosse preso dalla malia del mare e dei suoi segreti, in misura tanto intensa ed esclusiva da dimenticare famiglia, ricchezza e potere, per un nuovo viaggio, questa volta non imposto dalla sorte, ma voluto, per «l'ardore / ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto, / e delli vizi umani e del valore», per non negarsi «l'esperienza / di retro al sol, del mondo sanza gente», in sintesi, «per seguir virtute e conoscenza». Come Empedocle e Plinio, andò incontro alla morte. Fu il suo primo fallimento, ma anche l'ultimo e supremo successo, perché finalmente dispiegò fino alle estreme conseguenze la propria natura eroica, e prefigurò l'impresa astronomicogeografica di Cristoforo Colombo u. No, quella di Dante non fu invenzione gratuita; fu invece legittimamente e genialmente ispirata dalle poche notizie antiche in suo possesso sul personaggio. Non lesse né l'Iliadené l'Odissea,nemmeno in traduzione latina 14• Ma quanto i classici a lui noti tramandavano sporadicamente sull'eroe e sul suo mito, fu sufficiente a suggerir41

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gli l'ultima, la più stupefacente rapsodia di Ulisse. Come non furono gratuite le successive elaborazioni poetiche e narrative di T ennyson, Pascoli e Joyce, che invece conoscevano direttamente i due poemi omerici, ma, nello stesso tempo, tennero presente anche la reinterpretazione dantesca. Odisseo realizza a livello di paradigma mitico la duplicità e unità semantica della radice 'tÀa-, portatrice della nozione di 'soffrire', ma anche di 'osare'. Lo ha rilevato tra gli altri P. Pucci in una monografia sull'Odissea,ricca di osservazioni molto fini 15• Di qui l'epiteto fisso JtOÀU'tÀaç,che ricorre di norma nella formula di fine verso JtOÀU'tÀaçt>toç 'Ol>uuueuç, 'Odisseo divino che molto sofferse' o 'che molto osò' ovvero 'che molto sofferse ed osò'. La formula ricorre con frequenza sia nell'Iliadesia nell'Odissea,ma è in quest'ultimo poema che l'eroe mostra una piena autocoscienza del suo processo biografico perennemente in fieri, nonché del lessema-semantema atto a connotarlo. Basterà qualche esempio, tratto dai suoi discorsi diretti, talvolta dialoghi, talaltra monologhi. Dice a Calipso, che lo mette in guardia dai pericoli e dai dolori che dovrà sopportare, se lascerà la sua isola per tornare in patria

(Od. v 221-224): eto' a~ ttç Q«i.nat0e(Ì)VÉVÌ.OÌVOl'tL l'tOvti.ÀoL, où yciQ,tO) tL K«KWVàbaiJµovéç eì.µev· où µtv Ofl toOe µeit,ov El'tLK«KÒViì ote KUKÀW'ljl EÌÀEL ÉvLO'lti\t yì..acj>UQql KQ«tEQi\cj>L ~tT]cj>LV• àUà Kal ev0evéµfi .oçUlisse mostri grande interesse (e con lui anche Penelope che lo propone). È la gara dell'arco. Ma questa gara diventa strumento dell'uccisione violenta dei Proci. Anche in questo caso si ha uno snodo concettuale di grande rilievo. Ma oltre a quella di "gara" c'è un'altra valenza del termine àe8ì..oç,quella che attiene alle vicende del percorso di ritorno. Questa valenza è ben presente in XXIII 248, quando Ulisse rivela a Penelope che ancora non sono arrivati - lui e Penelope - al termine conclusivo delle prove. Certamente è compreso nel termine lo scontro con i Proci, e probabilmente sono coinvolte anche le vicende della guerra, ma certo sono comprese anche le peripezie per le quali lui è dovuto passare nel viaggio di ritorno. Il poeta dell'Odissea,in effetti, presupponeva una linea di continuità tra le "prove" del viaggio di ritorno e le "prove" - quelle decisive - che Ulisse dovette affrontare subito dopo essere arrivato ad Itaca. Questo è confermato dal Proemio. In 1 18, infatti, il poeta annuncia che nemmeno dopo che aveva ritrovato i suoi, nemmeno allora si trovò nella situazione di chi sia venuto a capo delle "prove", neq>uyµÉvoç~ev aÉ8À.wv. In xx:115-7(un breve discorso, proiettato verso l'imminente azione) Ulisse riconosce come àe8ì..oç l'impresa dell'arco, ma appare 95

VINCENZO DI BENEDETTO

consapevole anche del fatto che questa gara sta per cambiare natura, nel senso che essa non sarà più innocua per i Proci, come lo è stata finora e con:i,eaveva annunciato Antinoo, le cui parole di XXI 91Ulisse ripete. Ora - dice Ulisse - la gara avrà un obiettivo diverso, che nessun · · ora mai centrato. Si capisce subito cosa vuoldire Ulisse: stnunento di un gioco in uno strumento della lotta deci · ere, nel senso che di colpo si elimina tutta la classe dir' (e c'è anche una risonanza di compiacimento che dice cose che non appartenevano al repe ola in poesia), o che l'autore dell'Odisseasi Questecor1il confronta con:sai;iev,oln1er to degliArgonauti, nel mentre ne rifiuta reimpostazioni fine del poema non è secondo la · · indicati ella rv Piticaper Giasone - garante un giuramento oer e tore provvisorio del potere lo trasmette a colui che su . e al di fuori del di un giuramenproprio paese. Zeus alla fine dell'Odissea o sovrano (opto, ossia di un patto giurato che sì stipula f ità) e i suddipure, se si vuole, il sovrano che ha ripreso la sua ti; e si tratta di un patto sbilanciato, già nella for e, a favore del sovrano. E chi sono questi sudditi? Sono quelli poco dopo nel poema si racconta che Ulisse stesse per massacrare, p uccidere tutti, e poi continua ad inseguirli con ferocia anche dopo c e essi, gli Itacesi, desistono spaventati dalla voce di Atena. Zeus deve arlo con un fulmine come aveva fatto con Diomede che combatt va contro i Troiani. Ma Ulisse e Telemaco combattono contro col o che prima Laerte e poi Atena stessa chiamano "gli Itacesi" tout (XXIV 354 e 531). C'è nell'Odisseaun ridimensionamento straordinario di Zeus è subalterno ad Atena. Nel I e nel v accetta i suggeriment · Atena, e soprattutto riconosce lo scopo del progetto di Atena e n gli si oppone, nonostante che esso avesse come suo obiettivo quel o di giustificare (attraverso il viaggio per mare di Telemaco e il cons . guente agguato e tentato omicidio) la strage dei pretendenti. Perfin !f a livello di conoscenze geografiche Zeus è surclassato da Atenm· L'autore dell'Odisseainventa una nuova teologia. Posidone ha u,fl ruolo circoscritto. Gli altri, compresi Hera, Apollo e Ares, non son('-) presenti. E Atena teorizza se stessa in quanto insigne nei trucchi; e negli inganni, come Ulisse. L'Odisseaè un poema areligioso, con t1e pochi nella letteratura. Solo le Ninfe, cioè culti locali, conservai · 10

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ULISSE: CONOSCERE O REGNARE?

una loro genuinità. La conquista del potere è un valore che si concilia poco con una visione religiosa, inevitabilmente incardinata con valorietici. In questo ordine di idee la nozione stessa di patria e di comunità viene "messa in discussione". Si può ricostruire una trama di rapporti che collegano la strage dei pretendenti all'uccisione spietata di Ettore da parte di Achille, rispettivamente nel XXII dell'Odisseae nel XXII dell'Iliade. Il confronto è molto perspicuo. Eurimaco chiede di non essere ucciso, lui e i suoi compagni, e fa per sé e per gli altri una grande offerta, in oro e bronzo. Ettore faceva per sé, perché il cadavere fosse restituito, anche lui una forte offerta, con oro e bronzo. Ulisse rifiuta, Achille rifiutava. Sia per l'uno che per l'altro viene usata la frase: 'tòv o' a.(>'intoOQa towv 1tQ0fl. Ulisse dice: oùo' " µoL ..• OUuE ' ll. ' KEVwç .. ' ll.• EL " KEV••. ouu ' ll.• EL " KEV.•. EL ..•, AChille d.tceva: OUu , i._, ~

ouu wç ..•

Eurimaco dopo il rifiuto (v. 79 dopo vv. 61-67): &ç aQa wKéQòE(a) e 298-299 ÈyÒJo'Èv rtO.LÀ.ÉEv):mai la terra ne produsse una simile. E cosi, donna, ti ammiro e stupisco»(èiyaµai. tE tÉ8t)3tcitt:). Il motivo viene riproposto con particolare evidenza dopo la dettagliata descrizione dell'operazione compiuta da Atena al fine di ringiovanire Odisseo e renderlo più bello: ai vv. 236-237a, l'eroe «va a sedersi sulla riva del mare, in disparte, splendente di belleuae di fascino» (E~t:'t' ... wtcivt:u8e KLÒ>V énì.8tva 0aÀ.ciaO'TI'tTI ~rociyQt'òcpéllii.ç, «Addio, straniero; sii felice, e quando sarai nella tua patria ricordati di me: è a me che devi la vita» (vv. 461-462). Due versi memorabili, che non a caso saranno presenti alla

ov't'

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GIUSEPPE

MASTROMARCO

memoria poetica di Saffo, che nel fr. 94 Voigt, ai vv. 7-8, così si rivolge a una fanciulla che ha abbandonato il tiaso: xaiQota' EQ)(EO Kèiµe0ev/ µéµvaw', okea yàQ còçae JtEOT)Jtoµev, «Addio, va' felice, e ricordati di me: sai che ti ho amata». Se è dunque vero che quello di Nausicaa è l'episodio omerico che presenta la più rilevante accumulazione di motivi che pertengono alla sfera dell'eros, allora si comprende bene perché, a partire da Saffo, esso abbia ispirato poeti e prosatori greci che trattarono temi d'amore. In questa sede, mi limiterò a ricordare i primi quattro versi di un celebre frammento di Anacreonte, il fr. 13 Gent. (= 358, 1-4 PMG):~aiQn Ofl'Ò'téµe JtOQ$UQÉTI / fmlloov XQUaOKOµflç "EQroc; / VT)VLJtOLKI.À.OO'aµ(3aÀ.q> / O'UµJtat~ELVJtQOKaÀ.Et'taL(«Di nuovo colpendomi con una palla purpurea, Eros dall'aurea chioma m'invita a giocare con una fanciulla dal sandalo variopinto»). Modello generativo di questo componimento anacreonteo è un passo del canto VI dell'Odissea,al quale si è già fatto cenno e che precede solo di pochi versi la similitudine Odisseo-leone montano. Si tratta dei vv. 100 e 115-117: Nausicaa e le sue ancelle, liberatesi dai veli, giocano a palla; in seguito a un lancio errato da parte della principessa, la palla cade nell'acqua ((3a0ei.n... oi.vn,v. 116), e, provocando l'alto grido delle fanciulle (at o' ÈJtÌ.µaKQÒVèii.iaav, v. 117), sveglia l'eroe, e svolge così, per volontà di Atena, un ruolo determinante nell'incontro tra Odisseo e Nausicaa. Ebbene, è stato felicemente argomentato che Anacreonte ha sapientemente «reimpiegato e, al tempo stesso, reso esplicito (consegnandolo così alla tradizione poetica successiva) il significato che il gioco della palla assumeva implicitamente nel1'episodio di Nausicaa: attraverso i termini apparentemente generici di 'fanciulla', 'gioco', 'palla', il poeta richiamava gli elementi essenziali della scena odissiaca e ne rievocava così il senso fondamentale, l'incontro tra un uomo adulto e una fanciulla»'°. 5. In conclusione. La similitudine che, sulla scia di una consolidata tradizione epica, il poeta dell'Odisseaaveva instaurato tra Odisseo e un leone montano nei vv. 130-136 del VI canto fu ripresa da un poeta post-omerico (forse Archiloco, l'omericissimo Archiloco) e "ricaricata", sulla base di una tecnica poetica ben attestata nella lirica arcaica, di una valenza erotica, che si farà topica nella poesia d'amore greco-latina. A questo processo di risemantizzazione avrà decisamente contribuito la circostanza che quella similitudine - che fa parte di un ampio segmento narrativo, l'incontro di Odisseo e 120

L'INCONTRO

DI ODISSEO E NAUSICAA TRA EPOS ED EROS

Nausicaa, su cui insistono significativi elementi, formali e contenutistici, che pertengono alla sfera dell'eros - si presta "naturalmente" a un reimpiego in chiave erotica; un reimpiego che, in virtù del sottile gioco allusivo sperimentato dal non meglio identificabile poeta postomerico, farebbe di Nausicaa e di Odisseo le figure archetipiche, rispettivamente, della fanciulla-cerbiatta e del maschio-leone ' 1 •

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«E si avanzò, come un leone montano, il quale, fidandosi della sua forza, va sotto la pi0g8ia e il vento; e gli occhi gli lampeggiano. Va a caccia di buoi o di pecore o di cerbiatte selvatiche; la fame lo spinge ad assalire le greggi, a entrare anche in un chiuso recinto. Così Odissco si apprestava a venire a contatto con le fanciulle dai bei capelli: era nudo, ma necessità lo spingeva,.. 2 È stato affermato che il racconto dell'incontro di Odisseoe Nausicaaè «il più antico esempio di adattamento del linguaggio militare ad una scena d'amore» (Fornaro 1995, p. 129): a questo contributo si rimanda per un'analisi puntuale del linguaggio militare nella scena dell'incontro fra Odisseo e Nausicaa; ma si vedano anche Lattimore 1%9, pp. 88-91; Rissman 1983, pp. 66-67. ' Per una approfondita analisi dell'immagine del leone nell'Iliadee della sua evoluzione nella parte finale del poemasi veda Di Benedetto 1998, pp. 140-155. • Frinkel 1921, pp. 69-70. ' È stato tuttavia notato che differenze intercorrono anche tra la similitudine di Odissea XXJI 401-406 e le analoghe similitudini iliadiche: cf. Friedrich 1981, pp. 124-125. 6 «wird [ ...) das Lowengl. [ ...] vollig umgedeutet» (Friinkel 1921, p. 69). L'interpretazione di Frinkel è stata di recente accolta da Schnapp-Gourbeillon 1981, pp. 59-63; e si veda anche Friedrich 1981, p. 123. Per Marzullo 1970, il leone montano di OdisseaVI 130-136 è un «leone borghese»: «all'involontario umorismo», scrive lo studioso, «qui non si sfugge: evidentemente, in questa che dobbiamo giudicare epigonale Odissea,persino i leoni si immiseriscono, divengono meno eroici, per così dire borghesi, hanno da fare anch'essi con le petulanti necessità della quotidiana esistenza» (p. 300); e, a parere di Shipp 1972, questa similitudine del leone odissiaco è «somewhat grotesque» (p. 220). 7 Cf., ad es., Lonsdale 1990, p. 17; Fornaro 1995, pp. 132, 133, 13', 138. 8 Glenn 1998, p. 111. Che µil;ro&u di Odisseavt 136 si presti a un doppio senso sessuale era staro suggerito, prima di Glenn, tra gli altri, da Lonsdale 1990, p. 17 e nt. 29; da Albicker 1991; da Garvie 1994, p. 117. ' Glenn 1998, pp. 111-112 e nt. 21 (dove si rimanda a Henderson 1991, p. 48, e a S. Freud, The Standard Edition o/ the CompletePsychologicalWorks, voi. v, London 1958, p. 410, e voi. xv, London 1%3, p. 158). 10 Glenn 1998, p. 112; e si veda anche Miiller 1980, pp. 29-39. 11 Glenn 1998, pp. 112-113 (dove si rimanda a Coriat 1921, e a Bruch 1%9). Nell'immaginario erotico dei Greci è esemplare, a proposito del rapporto fame-sesso, il passo platonico in cui si afferma che «l'amicizia di un innamorato nasce allo stesso modo del desiderio del cibo,è fame che cerca di saziarsi: come i lupi amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro il loro ragazzo» (Fedro24 lc-d). Il motivo del cibo associato al sesso è ben attestato nella civiltà letteraria greca, dalla giambografia arcaica alla commedia adAteneo. Sull'argomento si veda almeno Henry 1992, pp. 256-2.59. 12 Glenn 1998, p. 116. 11 In realtà questa obiezione era stata prevista dallo stesso Glenn 1998, p. 113, il quale ad essa ha tuttavia reagito osservando che, a parere suo e di altri studiosi (C.R. Beye, S.L. Schein, M.W. Edwarcls, i cui contributi sono ricordati da Glenn alle pp. 1 B-114, ntt. 25-26), tre passi iliadici (111 52-55; VI 506-511; XXII 125-130) assumono, nei loro rispettivi contesti, «subtly

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GIUSEPPE MASTROMARCO

erotic ovenones» (p. 113): il fatto è, però, che in quei passi non sono presenti elementi testuali che autorizzino a condividere il parere di Glenn e degli altri tre studiosi. 14 Cf. Fomaro 199,, p. 132. Anche nel xx canto dell'Iliade,ndl'cpisodio del combattimento tra Enea e Achille, allorché quest'ultimo è paragonato, ai vv. 164-17', a un leone ferito che si scaglia contro i cacciatori, yÀ.a\)l(t.()(l)V (un hapax che potrebbe alludere allo sguardo ardente del leone: d. Leumann 19,o, p. 1, 1), la similitudine leonina con un eroe guerriero è dd tutto estranea a una qualsiasi implicazione erotica; e in OdisseaXI 611-612, dove si fa riferimento a leoni XOQ01toi (che questo aggettivo possa significare 'dallo sguardo brillante' è possibile, ma non ceno: d. Heubeck 1983, p. 397), l'eventuale sguardo lampeggiante del leone nulla avrebbe comunque a che fare con l'eros: nel passo viene descritto il balteo d'oro di Eracle adorno, oltre che di leoni XOQ01toi., di «orsi e maiali sdvatici, e mischie e combattimenti e massacri e stragi di uomini». 1 ' Glenn 1998, p. 112. 16 Per il significato sessuale di 1tEl()liV, si veda Henderson 1991, p. 1,8; ndl'epica omerica, invece, questo verbo non hamai valenza erotica. 17 In Omero, nel tema del presente, non è mai attestata la forma attica µELyYUfU, ma compare esclusivamente la forma µiayw (d. Montanari 1979, p. 50). 18 Iliade u 232,111445,VI 25, 161, 16,, IX 133, 27', XIV 29,, xv 32-33, XIX 176, XXIV 130131; Odissea1433, v 126, VIII 267-268, x 334-33,, xv 420-421, XIX 266, XXIII 219. A rigore a questi passi si può aggiungere un altro passo odissiaco (VIII 271), dove però compare l'unica attestazione del denominativo µiyatoµru. 19 IliadeXXI 142-143;Odissea171-73, VII 61, XI 268, 306-307. 20 Odisseaxv 430: d. i vv. 420421. 21 OdisseaXVIII 325; xx 7, 12; XXII 445. 22 Non mi pare abbia quindi fondamento l'affermazione di Caims 1990 che «in one pas• sage of Book 20 it is the verb itself, alone and unaided, which conveys the sexual connotation [20.7 and 12, of the maidservants' intimacy with the suitors]» (pp. 263-264 e nt. 5). 2 ' Per' Aq>QOOLTI'J = 'amore carnale', cf. M. Fernandez-Galiano, in Femandez-Galiano Heubeck 1986, p. 273. 2 ◄ Per le interpretazioni in chiave sessuale di VI 288 e VII 247, d. Garvie 1994, p. 117; e in particolare per VI 288 si veda Caims 1990. Giova tuttavia ricordare che, a proposito di VI 288, Mader 1993 annota: «Vmgang haben, obwohl es anklingen musste (vgl. 2d), wohl nicbt vom Geschlechtsverkehr» (col. 227). 2 ' Come ha felicemente osservato Steinthal 1991, p. ,06, la forma indiretta con cui Nausicaa esprime il desiderio che lo straniero diventi suo sposo («Ah, se un uomo come lui fosse il mio sposo») non è espressione generica (che l'uomo si debba identificare proprio con Odisseo è provato dalla circostanza che Nausicaa esprime contestualmente il desiderio che possa resta• re nell'isola dei Feaci!), ma è espressione di pudore. 26 Per il motivo della posizione isolata di Ogigia si vedano, inoltre, IV 498, v 278, Xli 447. Giova in ogni caso ricordare che né OdisseaVI 288 né OdisseaVII 247 sono annoverati da Montanari 1979, pp. 59-61, tra i passi omerici in cui µit,yw indica l'unione sessuale. 27 Cf. Mader 1993: «sichunter Menschenmischen,zu einer Gruppe (oft e. kriegerische), sdtener zu einer Einzelpers. treten: mit jem. verkehren, besuchen, zu jem. kommen, gelangen [...] sich unter Leuten mischen, zu einer Gruppe stossen, kommen, gelangen» (col. 227); e si veda già Ebeling 1880, s.v. µtyvuµi, p. 1103. Come lucidamente nota Garvie 1994, quando Odissea sbuca dagli arbusti, «the girls, to whom he appears like a lion, cannot be sure that bis intentions are peaceful» (p. 117). 28 Per la lettura e l'interpretazione del tràdito twç; OlCTCE vtf3{,[òv,d. Slings 1987,pp. 46-47. 29 Xlii 3: su questo passo del Sublime, si veda Russell 1964, pp. 115-116. Sappiamo inoltre che Eraclide Pontico scrisse un trattato 1tEQi 'AQXIÀoXOU Kai Oµ'1QOU(fr. 178 Wehrlil. Per gli omerismi in Archiloco basterà rimandare al saggio di Page 1964. 10 Si veda E. Degani. in Degani - Burzacchini 1977. pp. 7-8. li In generale sulla simbologia erotica della cerbiatta e della coppia leone-cerbiatta, si vedano almeno Nisbet- Hubbard 1970, pp. 273-274, e Vetta 1980, p. 75. Due casi di r-.1ppresentazione figurata ddla coppia Icone-cerbiatta sono menzionati da Young 1964, p. 361.

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L'INCONTRO

DI ODISSEO E NAUSICM TRA EPOS ED EROS

32

Per una fondata interpretazione di questo frammento saffico si rimanda a G. Burzacchini, in Dcgani-Burzacchini 1977, pp. 147-148. n E. Degani, in Degani - Burzacchini 1977, pp. 46-47. M Che con questa immagine il poeta intenda affermare di essere stato temprato da una disavventura amorosa, venendone cosi rafforzato e ringiovanito, è ipotesi esegetica che, suggerita già nd 1895 da G. Pascoli (Prose1, Milano 1956', p. 666), è stata convinccntemente argomentata da Schwyzcr 1930. 1' Cf., ad es., van Leeuwen 1911, pp. 56-63; Woodhousc 1930, pp. 54-65, 102-105;Germain 1954, pp. 314-315; Garvie 1994, pp. 29-30 (con ulteriore bibliografia: p. 30 nt. 97). M> Si veda, ad es., Odisseaxv 420-421 (su cui cf. Hockstra 1984, p. 266). H Per il significato di µokmj (cf.v. 101), si veda Garvie 1994, pp. 106-107. 38 Cf. Hainsworth 1982, p. 194. 39 Cf. Hainsworth 1982, p. 194; Rissman 1983, pp. 107-108 nt. 9. E, sul fondamento di una sapiente lettura iconografica dei vasi dd v secolo a.C. che rappresentano la scena ddl'incontro tra Odissco e Nausicaa, Shapiro 1995 è giunto alla conclusione che «for the Classical Athenian there was no doubt as to the sexual nature of the threat to Nausikaa and her friends» (p. 161). «> Per un denco delle testimonianze letterarie dd rapimento di Europa, si veda Robertson 1988, p. 77, allacui voce Europesi rimanda per l'analisi ddle testimonianze iconografiche delmito. 41 Da notare che Odissco riprenderà alcuni versi dopo il paragone suggerito dal poeta in VI 102-109:ai vv. 151-152 afferma infatti che Nausicaa è simile ad Artemide «in volto, statura cd aspetto,. (elb6ç 'tE µé-yf86çte cl>'U'IJV t'); e anche il paragone che l'eroe istituisce al v. 163, od corso del makarismos,tra la figlia di Alcinoo e l'alta, sndla palma ddl'isola di Delo (cf. v. 163)sottintende un raffronto tra Artemide e Nausicaa(cf. Harder 1988;Garvie 1994, p. 123). 42 A proposito di JtCIQ8évoçàOµT)ç annota Garvie 1994: «the words suggcst a further point of comparison with the virgin goddcss, described as èiOµTjtoç at Aesch. Suppi. 149, Soph. E/. 1239" (p. 109). Notevole è inoltre l'uso ddl'aggettivo àOµT)çalla luce della tradizio(per cui cf., ad es., Il. XIV 315-316; Hes. Theog. 120, %2; Sapnale valenza erotica di oaµ1trovàì..Eetvrov.

Il culmine del destino di Bellerofonte coincide col crepuscolo del favore divino; così lo descrive Cicerone (Tusc.11163): Qui miser in campis maerens errabat Aleis ipse suum cor edens, hominum vestigia vitans.

Sull'antica gloria dell'eroe si è posata la tristezza dell'effimero. La malinconia dell'umano prevale sull'impegno eroico di un intrepido agire e sul motivo stesso dell'odio degli dèi. La solitudine di Ulisse aperta alla solidarietà viene riscattata da un dio, ma rimane un segno della sua grandezza eroica, un aspetto indimenticabile dell'umanità dell'eroe e del suo poeta. Il v. 157 del x canto dell'Odisseaè quasi una prefigurazione dell'eroe tragico kat'exochén,Edipo viandante solitario, dalla sola cinsecondo Sofocle (EdipoRe 846). tura, anér éis oi61.onos, Ma il soccorso divino non è un dono facile e la cattura della grandissima bestia esige un eccezionale impegno dell'eroe non immemore del suo valore di bravo artigiano (158-184): Ulisse che doma con l'arte la bestia dopo averla trafitta con la bronzea asta, può annunciare agli afflitti compagni la vittoria sulla fame e sulla morte. La presenza della divinità continua nella marcia solitaria di Ulisse, sotto l'impulso della forte necessità (273), verso la grande dimora di Circe po/yphtirmakos.Gli viene incontro Ermete- che sa che egli va a liberare i compagni, maiali nelle stalle di Circe - col messaggio di salvezza (286): àll' àyE Oflae K' È3taQT)YEL.

Il rapporto Atena-Ulisse è decisamente privilegiato, come fu, tra l'altro, ampiamente mostrato da Marion Miiller e da W. Krehmer 8 : entrambi conoscono i kérdea, le scaltrezze (XIII 297), entrambi hanno boulé e noos (XIII 305). Questo sa bene Nestore quando augura a Telemaco che possa godere lo stesso favore (111 218-224). E Telemaco ha la certezza che Zeus e Atena sono eccellenti difensori (epamjntore) di Ulisse (XVI 263 ). Il vecchio cavaliere gerenio sa che durante la guerra nella terra dei Teucri Atena era in ansia (In 219: perikédeto), si preoccupava per Odysséus kydtilimos (219), dove egli e gli Achei pativano dolori (220: hothi pdschomen dlghea): «mai vidi un dio amare così apertamente come Pallade Atena amava quello e lo assisteva apertamente», III 221-222: où yétQ11:wtl>ov avl>àq>LÀ.EOvtaç; wç;KELVq> àvaq>avl>à3taQiatato IlaìJ..àç; 'Afhivri.

E Demodoco canta (VIII 517-520) che Ulisse simile ad Ares uscito dal cavallo lottò aspramente con Deifobo e lo vinse per l'aiuto della magnanima Atena (520: dia megdthymon Athénen). Come a Troia, così a Itaca. Ulisse confessa al figlio appena ritrovato che è giunto da lui per gli ammonimenti di Atena e per ordire 186

PROFILO OMERICO DI ULISSE

insieme il piano della strage dei nemici (XVI233-234): vOv aÙ 6E0Q'ÙQaKEbuoµEVÉE,nç 'A8rtVTJ).Risucchiato da un'altra onda, sbattuto lontano come un polpo strappato via dal suo nascondiglio, urta contro la roccia scorticandosi le mani e viene sommerso da una grande ondata. Il misero Ulisse al di là della sua sorte sarebbe morto, se Atena non gli avesse donato densa accortezza (437: EL µiJÉ1tLQOKE 'A8rtVTJ). yÀ.auKéì>1ttç Del soccorso di Atena si giovano altri eroi, ma nessuno nella misura di Ulisse: Tideo nella sfida ai Cadmei che egli solo vinse facilmente (Il. IV 390: t6ie hoi epf"othos éen Athéne), e il figlio di Tideo, Diomede, compagno di Ulisse, che la invoca nel ricordo paterno(//. x 284-294) e ben conosce l'amore di Atena per Ulisse (I/. x 243245). Il soccorso divino sorregge Ulisse, l'eroe che tra le molte manifestazioni della sua personalità non è privo di pietas, del sentimento di autentica religiosità che è la consapevolezza dell' effimerità della condizione umana. 4. Ulisse, l' e"ante Alla madre annientata dalla nostalgia del figlio assente, Ulisse nell'Ade dice (Od. XI 167): all'aién échon aldlemai oizjn, «ma erro con sventura perenne», e ad Achille, ancora nell'Ade, più semplicemente (XI 482): all'aién écho kakd, «ma sempre sono preda di mali». Ad Atena, XIII 320-323:

à>J.•ald QEulv ùatv fxoovbEòa"tyµévov~'tOQ ~À.WµflV,~6ç µE 0Eol K'OµT}QC\> e KCÌKEi.ae Kaì. µe'taf:3aU6µeva· µovri l>ÈK'triµa'toov~ CÌQE'tllCÌQE'tllcivaaiQE'tov, trovtt Kaì.'tEÀ.EU'tTJO'avtL xaQaµÉVouaa. 7. Come io ho sentito affermare da un valente interprete del pensiero del poeta [non «des poètes» o «dei poeti», come traducono Boulenger e Naldini: si allude proprio ad un omerista], per Omero tutta la poesia è un elogio della virtù, e tutto in lui tende a questo fine, tranne quel che è accessorio; sopra tutto quando presenta il capo dei Cefalleni [gli Itacesi: l'attributo ricorre anche nella Epistola147) che, scampato nudo al naufragio, prima ispira rispetto alla principessa con la sola sua presenza (tanto era lontano dall'esporsi a vergogna per essere veduto nudo), poi che il poeta lo aveva fatto adorno di virtù in vece di vesti; 8. poi anche dagli altri Feaci fu tanto stimato, che essi, rinunziando alla mollezza nella quale vivevano, tutti lo guardavano e cercavano di imitarlo, e non uno dei Feaci, in quel momento, si sarebbe augurato altro che essere Odisseo, anche se scampato a un naufragio. 9. Perché in questi versi, affermava l'interprete del pensiero del poeta, Omero dice quasi gridando: «O uomini, voi dovete coltivare la virtù, che si salva a nuoto con il naufrago e, una volta ch'egli giunga sulla terraferma, lo farà apparire, per quanto nudo, più rispettabile dei ricchi Feaci». 10. E infatti è cosi. Gli altri beni non appartengono a chi li possiede più di quanto non siano anche di chiunque altro, passando da questo a quello come nel giuoco dei dadi: solo la virtù è un bene inalienabile, e permane sia durante la vita sia dopo la morte.

La testimonianza, in quanto costituisce la riflessione più ampia che Basilio ci presenta sul maggiore poeta greco e in particolare sull'Odissea,ha trovato già largo spazio nella mia indagine, sopra accennata, sfociata in una relazione congressuale su «Basilio di Cesarea e la poesia greca» (D'Ippolito 1983, pp. 361-363 ), mentre una precedente monografia americana dedicata a «San Basilio e la letteratura greca» (Jacks 1922, p. 37) si limita a considerarne i righi 33-35 Boulenger. Quanto sia gradito a Basilio l'exemplum di Odisseo a dimostrazione della inalienabilità della virtù lo prova la sua, più sintetica, ricorrenza in Epist. 147. 200

ULISSE NELLA LETTERATURA CRISTIANA ANTICA

Come non mancai di osservare nella citata relazione, bisogna guardarsi dalla tentazione di attribuire a Basilio, per Omero e per la poesia in genere, un entusiasmo che invece viene riservato soltanto alla SacraScrittura.Quando egli chiama la poesia omerica "elogio della virtù" non lo fa in prima persona: si appoggia all'autorità di un valente interprete, tanto famoso che può non nominarlo, tanto familiare al suo pubblico come può esserlo un contemporaneo. Si è fatto, con ottime probabilità di cogliere nel segno, il nome di Libanio (cf. Boulenger p. 65 nt. ad /oc., Wilson p. 5 nt. ad /oc., Naldini pp. 174175 nt. ad /oc.), che fu tra i maestri di Basilio (lo conobbe a Costantinopoli, intorno al 350, e conservò per lui stima ed amicizia: cf., e.g., Epistt. 335 e 337) e si interessò di Omero anche scrivendo un Encomio di Odisseo (Progymn.8, 2): ed il retore antiocheno si inserisce in una lunga tradizione esegetica allegorica che, sulla base del concetto della sacralità di Omero, ne tenta un adeguamento sul piano concettuale con la cultura del tempo, e, per quel che più ci interessa e interessava i padri della Chiesa, attraverso un tipo di allegoresi morale e mistica, con l'etica e con la religione (cf. Rahner pp. 305-423). Anche qui egli, se sposa la interpretazione cristiana di Omero, lo fa senza cadere nell'eccesso della allegoresi mistica, che fa il poeta precursore dei Cristiani nella scoperta del monoteismo, nella escatologia, nei frequenti paralleli tematici con la Bibbia,ma mantenendosi sulla linea di quella allegoresi morale che trova uno dei primi autorevoli sostenitori nel suo Platone. Dalla intepretazione morale-cristiana di Omero, e sopra tutto dell'Odissea,deriva il privilegiamento di quei temi che più la sostengono, in primo luogo le già ricordate Sirene, delle quali anche in Basilio si può notare una insistita presenza (Ad adol. 4; Comm. in Is. proph. 13, 274; Epist. 1, 2) come, del resto, in molti altri autori, anche latini (per Gerolamo, cf. Antin). Basilio dunque non commette le ingenuità storiche di suoi predecessori cristiani, come l'autore (Ps.-Giustino) della Cohortatioad Graecos(14; 24; 28) o Clemente Alessandrino (Strom.v 14, 99-101), i quali pretendono di conciliare Omero con la Bibbia facendo del poeta addirittura un lettore della SacraScrittura,né, sul piano estetico, accede agli entusiasmi per la sublimità della poesia che trascinano invece più di un'anima cristiana. Fra gli entusiasti v'è, senza dubbio, Gregorio Nazianzeno, ma non è vero quanto scrive Rahner (p. 311), rimandando alla Epistola 70: «"Dolce consolazione e farmaco dell'anima" chiama il suo Omero Gregorio di Nazianzo». Si tratta di un vero e proprio fraintendi201

GENNARO D'IPPOLITO

mento del testo, che dice (Epist. 70, 4 Gallay): :l':i, bé µot yevou tò AlyinttLOV q>aQµaQµ

397 XQaQµaKove Kéòµa (w. 3 e 6), cui la posizione metricaprecedente la dieresi bucolica nel primo caso, dopo la dieresi mediana del pentametro nel secondo - conferisce aggetto. Nell'ambito dei motivi, almeno due appartengono alla sfera erotica: la ricerca della solitudine nella sofferenza, e sopra tutto, perché più specifico, l' abbandono di ogni partecipazione alla vita esterna (-réòv ... OÙK ~ov,v.13). Mase dal campo interdiscorsuale passiamo a quello intertestuale vero e proprio, allora scopriamo un secondo livello di senso, che richiede una più vasta competenza del lettore. La competenza che Gregorio esige è la conoscenza di Omero, e Omero, se si leggeva poesia, era il primo ad esser letto. I confronti istituiti con Saffo, con vario grado di convinzione (Koster, Cataudella, Nicastri pp. 422-429), in particolare con l'ostracon fiorentino (fr. 2 Voigt), limitati alla EKq>Qaai.c; dell'èiì..aoç e specificamente a tre immagini - Kéòµa, a'Òga1.,ubwg ,i,uxg6v - denunziano in realtà, più che una relazione diretta, la presenza di un comune intertesto omerico. Il Kµa(v. 6: Saffo fr. 2, 8) è, appunto, già in Omero (Il. XIV 359; Od. XVIII 201), proprio in due contesti erotici; e la derivazione omerica è confermata da un esempio di intertestualità interna: il locus amoenustorna in un epigramma, dove Gregorio si diverte a riutilizzare i medesimi elementi linguistici miscedandoli

205

GENNARO D'IPPOLITO

con abilità; e in particolare, usando diversamente - come avverbio e al verso precedente - l'aggettivo KaÀov riferito a KÙ>µa,ad esso restituisce l'attributo tradizionale omerico, cioè µaÀaKov (Anth. Pa/. VIII 129, 1-3: KQiìVaLKaÌ. 1tO'taµoì. KUÌ. und in der eigentümlichen Zirkelbewegung des Odysseus von Punkt A nach Punkt B und zurück nach Punkt A ◄• e) Ein beinahe funktionsloses Motiv in der Odysseeist die Erzählung von der einstigen Fahrt des Odysseus nach Taphos zur Beschaffung eines Gifts für seine Pfeile (Od. 1 255-266). Diese Giftpfeile finden in der vorliegenden Odysseekeine Verwendung, doch deutet eine beiläufige Bemerkung der Freier den möglichen Gebrauch des Gifts für die Ermordung der Rivalen an (Od. n 328-330)' und wiederum weist die geographische Lage dieser Abenteuerstation auf die Unterweltsregion von Thesprotien hin 6. f) Eine Dublette dieses Motivs ist die Schilderung von der Reise des jugendlichen Odysseus nach Messenien zur Rückforderung von gestohlenen Schafen (Od. XXI 11-41). Bezeichnenderweise erfaiihren wir den Ausgang der eigentlichen Mission nicht. Im Mittelpunkt der Erzählung steht vielmehr das Motiv des Waffentauschs, d.h. ()dysseus erhält unterwegs von seinem Gastfreund Iphitos den berühmten Bogen und die Pfeile von Iphitos' Vater Eurytos, mit denen Odysseus in der Folge die Freier töten wird. Wie vergleichende: Studien zeigen, ist das Motiv der (Zauber-) Waffe ein typisches Märchenmotiv, das bisweilen Jenseits- oder Unterweltszüge aufweist und seinen natürlichen Platz in der letzten Episode vor der I-[eimkehr hat 7 •

212

ZWEITE REISE UND TOD DES ODYSSEUS

2. Wiederau/bruchsmotive in der Odyssee

In einer Symmetriebeziehung zur Unterweltsfahrt - in traditionellen Heimkehrergeschichten meist das letzte Abenteuer vor der Rückkehr nach Hause - steht das Motiv der zweiten Reise. Die Odysseeweist dieses Motiv nicht auf, deutet aber in gebrochener Form mehrfach darauf hin: a) Wie Teiresias ihm in der Unterwelt aufträgt, wird Odysseus nach seiner Heimkehr wieder aufbrechen müssen und mit einem geschulterten Ruder solange über das Festland ziehen, bis niemand mehr das Seemannsutensil erkennt. Dort soll er das Ruder in die Erde rammen und dem Poseidon einen Hammel, einen Stier und einen Eber opfern und nach seiner endgültigen Rückkehr nach Ithaka der Gesamtheit der Götter eine Hekatombe (Od.XI 121-137). Odysseus ist bedrückt über die neuerliche Trennung von Penelope (Od. XXIII 266 f.: ouöe ya.Q airto~ / xai.Qro),doch lassen die Worte des Sehers keinen Zweifel am glücklichen Ausgang auch dieses Abenteuers zu (Od. XI 137: Ta öe 't0L 8 XXIII 284: 't(l ÖEµot a~). das er ihnen in der Odysseein Aussicht gestellt hatte (XIII 355-360) 20 • Schliesslich bricht der Held nach Elis auf, um die dortigen Herden zu besichtigen und um freundschaftliche Beziehungen mit König Polyxenos zu pflegen (p. 102, 4 215

PETER GROSSARDT

Bern.: E~ THÄ.t.v).Mit diesen Herden können nicht die in Od. XIV 100-102 genannten festländischen Herden des Odysseus gemeint sein 21 , sondern nur die berühmten Herden von Polyxenos' Grossvater Augeias 22 • Die weitere Handlung der Telegonie ist schwierig zu ermitteln: Nach dem Exzerpt des Proklos kehrt Odysseus sofort nach lthaka zurück, bringt dort die von T eiresias geforderten Opfer dar und bricht dann nach Thesprotien auf (p. 102, 7-9 Bern.: EJtEL'ta E~ 'l0 aöov ~E KQUq>TJOOV). ve, vor die Teiresias den echten Odysseus stellt (Od. XI 120: ~i::bo)..q, ij aµcj>aoov). ◄ Der fiktive Odysseus reist von der thesprotischen Küste nach Dodona und wieder zu. rück an die Küste, der echte Odysseus von Kirke zu Teiresias und wieder zurück zu Kirke. ' Zur Bedeutung dieses Motivs für die Rekonstruktion vorhomerischer Odysseencf. unten Kap. 111. 6 Taphos wird gemeinhin mit der modernen Insel Meganision nördlich von Ithaka gleichgesetzt. Ephyra, das hier als Zwischenstation dient und dieselbe Giftpflanze aufweist wie T aphos, ist mit dem modernen Kichyros identisch (zur Lokalisierung des homerischen Ephyra in Thesprotien cf. Hölscher 1989, 71 mit Anm. 50). 7 Cf. unten Kap. 111. 8 Die Odysseeweist also keinen offenen Schluss auf, wie Peradotto 1985 denkt, der im Rudermotiv den tragischen Kontrapunkt zum ansonsten märchenhaften Ende der Odyssee sieht, sondern allenfalls einen halboffenen. 9 Für die Interpretation von Pe-re-82als *ßi::QO'(l_ bzw. fiEQO'Eq>OVTJ cf. Ruiperez 1958. Kritik daran bei Gerard-Rousseau 1968, 172-174. Eine Übersicht über die nach wie vor offene Frage bei AuraJorro 1985/93, 11108 f. 10 Diod. Sie. IV 39, 1 (für Herakles); Paus. 11 11, 7 (für Euamerion). 11 Zur Verwendung der tQi.now ~~ (Dreitiere-Opfer, das mit einem Rind beginnen musste) in Eleusis cf. IG 5, 5 und IG 1 76, 37 (zum Reflex der Suovetaurilia in der eleusinischen Kultlegende cf. Burkert 1972, 311 Anm. 40). 12 Xen. An. 11 2, 9; Dem. XXIII 67-68; Plut. Py"h. 6, 8-9; Aa, b und T Scholien zu Horn. //. XIX 197, IV p. 614. 32 - 615,}3 Erbse; cf. Burkert 1977, 381. ll Für eine vollständi8e Ubersicht über die Verwendung des Dreitiere-Opfers im griechischen Bereich cf. Stengel 1910, 195 f. und L. Ziehen, in: REvn A 1, 328-330. 1 ◄ Ausführlich dazu Grossardt 1998, 59-62. 1' Cf. unten Kap. 111. 16 So zuletzt Ballabri~a 1989, 293 f., Carriere 1992, 38 f. und Danek 1998, 225-228. Für - 'ausserhalb des Meers' cf. z.B. Reinhardt 1960, 103 f., Höldie Gegenposition von l; a~ scher 1%7, 443 und Heubeck 1989, 86.

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ZWEITE REISE UND TOD DES ODYSSEUS 17

Die verschiedenen Übcrsctzungsmöglichkeiten wurden bereits in der Antike diskuim Sinne von 'ausserhalb von' ticn; d. die Scholien zu Od. XI 134, 11p. 487, 12-22 Dind. Zu cf. Schwyzer 19:JO,463 und Chantraine 1953, 99 (mit Beispielen aus Homer, aber ohne Verweisaufunsere Stelle). 18 Für die Datierung der Telegonieund für Fragen, die im Rahmen dieser knappen Besprechung nicht berühn werden, d. Hartmann 1917, 44-89. 19 Das Motiv der Bestattung wird oft als Dublette des entsprechenden Motivs in Od. XXIV 417 gesehen(so beispielsweise noch Huxley 1%9, 171 und Davies 1989, 88). Dochwerden in der Odysreenur die Freier aus lthaka selbst sogleich bestattet, und die Übergabe der auswärtigen Freier an Fährmänner (Od. XXIV 418 f.) liess Raum für die Bestattung eben dieser Opfer des Odysseus in späteren Dichtungen (so schon Svoronos 1888, 263 und Hartmann 1917, 64). 20 Möglicherweise war das Opfer für die Nymphen bereits an dieser Stelle durch ein zweites Opfer für die Unterweltsgötter und Teiresias ergänzt, das Apollodoros schildert (Epit. 7, 34: &ilaa\; ÖEu Aiön Kai. nEQoVU Kai.TEIQE So Svoronos 1888, 265 und 273-278 sowie Huxley 1%9, 170 f. 2 ◄ Allenfallsdenkbar wäre ein Wunsch des Odysseus nach zusätzlichem Reichtum, wie er in der Trugrede an Penelope für den Aufenthalt in Thesprotien vorgezeichnet ist (Od. XIX 28.3-286). 2' Dazu neigen Hartmann 1917, 62 f. und 71 f. sowie Davies 1989, 90 f. 26 Überliefen bei Synes. Epist. 148 Garzya (zur Rückführung des Verses auf die Telegonie d. Livrea 1998, 1-3). Der Hexameter ist offensichtliche Paraphrase von Od. XI 122 (el; Ö

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KE 1:0U\; acj>i.K 'l(lt, oi 27 Es wäre nun

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i.aacn8a.MlC70'(1V).

tatsächlich etwas spät für die Hekatombe an die Götter. Wahrscheinliche Lösung für die erwähnte Diskrepanz zwischen Proklos und Apollodoros ist also,dassdieses Dankopfer in der Telegonievorgezogen war, unmittelbar auf die Heimkehr von Elis folgte und somit den Suovetaurilia für Poseidon vorausging. 211 Zur Rekonstruktion der Odysseus-T etralogie von Aischylos, bestehend aus den Psych.gogoi(T,GF .3F 27.3-278), der Penelope(F 187), den Ostologoi(F 179-180) und dem Satyrspiel Kirkesatynke (F 11.3a-115), d. zuletzt Grossardt 1998, 294-310 (mit Verweisen auf ältere Literatur). 29 Anspielung auf diese Verse beiSext. Emp. Math. 1267. a. Venini 1954, Radt 1977, 37.3, Kiso 1984, 91 f. und Sutton 1984, 88-90. n Cf. vor allem F 454 mit Od. XI 128. 12 Dies also ein Unterschied zurTrugrede in Od. XIV .321-.3.3.3, wo der Gang nach Dodona nur im Anschluss an die Heimder Heimkehr vorausgeht. Entscheidend ist, dassdas Rudermotiv kehr erfolgen konnte, weil sonst die Versöhnung des Poseidon verfrüht gekommen wäre. n So jedenfallsbei Hyg. /ab. 127, 1. >◄ Die Verse sollten (trotz Hanmann 1917, 117 f. und 12.3,der sie auf die gemeinsame Kampfvorbereitung des Odysseus und des Telemachos gegen den Eindringlingbezieht) auf die tödliche Verwundung folgen, da erst jetzt Telemachos' Unschuld bzw. der Irnum des Orakels voll erwiesen scheint (so Venini 1954, 182 f. und Sutton 1984, 92 f.). Bestätigt wird dies durch Dilccys, Eph. 6, 15 (p. 1.32, 17-21 Eisenhut'), aber auch durch die Parallde im Kö-



nig Ödipus V. 964-972. " So die Interpretation des Stücks von Venini 1954, 184 f., Kiso 1984, 91 f. und Sutton 1984, 9.3. "' Für eine Reisedes Odysseusnach Elisoder für einen längeren Aufenthalt in Thesprotien bei Königin Kallidike, wie es die Telegoniedargestellt hatte, findet sich in den erhaltenen Fragmenten des Odysseusakanthoplexkein Anhaltspunkt.

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Zur Rekonstruktion der Tragödie cf. Hanmann 1917, 182-207, Radt 1977, 194 f., Sut• ton 1984, 46 und Lightfoot 1999, 385-388. 18 Paus. 1 12, 5. 19 Lyc. Alex. 800 (mit Scholien p. 252, 13-16 Scheer); Steph. Byz.s.v. Bouveipa, p. 182 Mein.; Scholien zu Horn. Od. XI 122, 11 p. 486, 5 Dind.; Eust. zu Horn. Od. x1 120, 1 p. 402, 27-28 Stallb. 40 Cf. Malkin 1998, 150-155. • 1 Paus. vm 44, 4. 2 • Lex. Icon. Myth. Class.s.v. OdysseusNr. 222 und 223. • 1 So Malkin 1998, 125 f. gegen Svoronos 1888 und Huxley 1969, 170 f., die schon für die Telegonieeine Wanderung nach Arkadien postuliert harten. -14 Aristoteles, lthakesion Po/iteiaFrg. 507 (= Plut. quaest.Gr. 14, 294c-d) und Frg. 508 Rose(= Scholien zu Lyc. Alex. 799, p. 252, 5-8 Scheer); Lyc. Alex. 799; Nie. Frg. 8 G.-Sch. (= Scholien zu Lyc. Alex. 799, p. 252, 8-9 Scheer); Apollod. Epit. 7, 40. 0 Plutarch nennt hier Italien anstelle von Aitolien. Doch stimmt sein Bericht sonst völlig mit den übrigen Quellen überein, sodass sicher eine Verwechslung der beiden Länder vor• liegt, sei diese nun Plutarch oder einem späteren Schreiber anzulasten; cf. Hanmann 1917, 139-144 (unbefriedigend die Gegenkritik von Malkin 1998, 125). 46 Cf. Malkin 1998, 101 f. ◄ 7 Cf. Hartmann 1917, 143. .a Zur Prioritätsfrage der beiden Varianten cf. unten Kap. 111. 9 • Hellanic. FGrHist4 F 84; cf. auch Lyc. Alex. 1242-1245, der von einem Zusammentreffen der beiden Helden in Etrurien berichtet. Zur historischen Relevanz dieser Stadtgründungssage cf. Philipps 1953, 57 f. und 67 sowie Malkin 1998, 194-203. Theopomp. FGrHist 115 F 354 (= Scholien zu Lyc. Alex. 806, p. 255, 4-8 Scheer); Lyc. Alex. 805 f. " Zur historischen Bedeutung dieser Sage und ihrer Beziehung zu Hes. Theog. 10111016, wo Odysseus als Stammvater der Etrusker gilt, cf. Malkin 1998, 173-175. ,z Cf. neben den genannten Quellen auch Serv. auct. Aen. n 44, 1 p. 223, 1-7 Thilo- Hagen. ,i Weitere Belege für die Untreue der Penelopc sind Paus. vm 12, 6, Apollod. Epit. 7, 38-39 und Cic. nat. J..a ... mi0EV ci).:y1m)ab und ersetzt sie durch eine polare Sichtweise (V. 7 f.: all times I have enjoy'd / Great(y,have su/fer'd great(y;V. 48: The thunder and the sunshine). 126 Cf. die V. 19-21 O'et all experienceis an arch wherethro' / Gleams that untrave//'d world, whose marginfades/ Fo, ever when I move). 127 Cf. bes. Horn. Od. XXIV 482-486. 128 Zu den Belegen für 1):nnysons Vertrautheit mit Dante d. Stanford 1%3, 275 Anm. 35. Sie ist sichtbar in solchen Ubereinstimmungen wie der von per seguirvirtute e C4noscenz.a (V. 120) mit to/o/low knowledge (V. 31) und von di retroa/ so/ (V. 117) mit to sai/ beyond the sunset (V. 60 l. 129 Cf. auch V. 32 (Beyond the utmost bound of human thought) und V. 49 (Freehearts, 124

/ree /oreheads). 110

Nachwort zur Erstausgabe von 1897, 189 Anm. 2.

Cf. Graf S. 49, 20 (Compagni,amici ...) mit Dante, In/ XXVI 112 (0 f,ati ...), Graf S. 50, 2 f. (vera/ Virtu) mit Dante V. 120 (virtute), Graf S. 50, 14 f. (di morta/i / Perig/iespertz) mit Dante V. 112 f. (per cento mi/ia I Periglisiete giuntz), Graf S. 50, 15 f.