L'universo nel tempo 8804208910, 9788804208914

L’Universo nel tempo. Milano, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, 1982, in-8, br., pp. 392. Con 87 ill. e biblio

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Italian Pages 352 [396] Year 1982

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L'universo nel tempo
 8804208910, 9788804208914

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Paolo Maffei

L'universo nel te01po

© 1982 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Edizione Club del Libro su licenza della Arnoldo Mondadori Editore

Indice

PREMESSA

7

DAL VIAGGIO NELLO SPAZIO AL VIAGGIO NEL TEMPO Dalle galassie alla Terra, 13 - Il tempo e i cicli, 18 - Risalendo il passato della Terra, 26 - Origine dell'universo e della Terra, 31.

IJ

Il

ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE Caratteristiche fondamentali, 33 - Connotati essenziali delle stelle, 34 Il diagramma di Hertzsprung e Russe!, 36 - Formazione delle stel­ le. 38 - I globuli oscuri. 39 - Le protostelle, 4 I - La sequenza princi­ pale, 48 - Evoluzione delle stelle, 5 I - Le stelle degli ammassi, 51 Modelli stellari, 55 - Vita delle stelle, 59 - Le giganti rosse, 61 - La fine, 68 - Nane nere e nane bianche, 69 - Le nebulose planetarie, 71 Le supernovae, 73 - Stelle complicate, 76 - La perdita di massa, 76 Le stelle doppie, 79 - Evoluzione delle stelle doppie, 85 - Un pro­ cesso ciclico?, 90.

33

III

FORMAZIONE DEI SISTEMI PLANETARI Origine del sistema solare, 92 - Nasce il Sole, 93 - Formazione del sistema solare, 94 - Teorie e osservazioni, 100 - Ipotesi varie, 100 Altri sistemi planetari, 106 - Completando il panorama, I 10 - Il si­ stema Terra-Luna, 110 - I satelliti degli altri pianeti, 116 - Evoluzio­ ne dei pianeti e dei satelliti, 118 - La Terra, 119.

92

IV

LE TRASFORMAZIONI DELLA TERRA I primi aspetti della Terra, 120 - Struttura della Terra e formazione della crosta solida, 120 - Gli oceani, 123 - L'atmosfera, 125 - La vi­ ta, 127 - Origine della vita, 127 - Le testimonianze più antiche, 134 I primi animali, 137 - L'atmosfera e il clima, 140 - Ondate di fred­ do, 142 - La vita si evolve, 145 - Le ere geologiche, 145 - L'evolu­ zione nelle acque, 146 - La vita esce dall'acqua, 150 - Continenti alla deriva, 153 - I continenti si muovono, 154 - I fondali oceanici. 159 Tettonica a zolle e nascita delle montagne. I 64 - Continenti del pas­ sato, 166 - Catastrofi e rinnovamenti, 172 - Le foreste del Carbonife­ ro, 172 - La grande era glaciale, 173 - Gli animali dal Carbonifero al Permiano, 175 - Rinnovamento nei mari, 179 - Tramonto degli

120

anfibi. 180 - I nuovi animali del Triassico, I 81 - La grande epoca dei dinosauri. 183 - Il Cretaceo 188 - La vita nell'aria e il problema cru­ ciale dei dinosauri 192 - L•estinzione alla fine del Cretaceo, I 97 La nuova vita, 199 - Origine ed evoluzione dei mammiferi, 200 - I mammiferi in America meridionale e in Australia, 205 - La Terra nel­ la nuova era glaciale, 208 _ L'uomo, 211 - Dal microscopio al tele­ scopio, 214.

217

V

LA FINE DEL MONDO La fine della Terra, 218 - Una catastrofe, 218 - Gli E GA, 219 Altre catastrofi, 224 - La fine dell'uomo. 225 - Variazioni sul Sol�. 226 - Le supernovae, 230 - L'autodistruzione, 232 - I successori, 239 - La fine del sistema solare, 241 - La grande vampata, 242 - La morsa di ghiaccio, 243.

VI

LA VITA ALTROVE Preludio nello spazio. 245 - Dove nasce la vita, 25 I - Lo sviluppo. 254 - Tentativi di stime, 258 - La vita nell'universo, 262.

245

VII

VERSO L'ORIGINE DI TUTTO Le stelle antiche, 266 - Gli ammassi globulari, 267 - L'evoluzione della Galassia, 273 - Le popolazioni stellari, 273 - Formazione e tra­ sformazione della Galassia, 275 - Come vive la Galassia, 280 - Il ro­ vescio della medaglia, 283 - La formazione del mondo attuale, 285 il tempo, 287 - Il crollo dei cicli, 287 - Il tempo cosmico, 289.

266

VIII

DAL BIG-BANG ALLE GALASSIE La sfera di fuoco, 292 - Temperature altissime, 292 - La radiazione di 3 K, 294 - La struttura dell'universo, 300 - Le particelle, 300 L'antimateria, 302 - Le forze, 302 - Leggi e principi, 304 - Il proble­ ma della validità, 305 - Nasce il mondo, 307 - Le quattro ere dell'uni­ verso, 310 - La nascita delle galassie, 313.

291

IX

QUALE UNIVERSO? Universi possibili, 324 - Le soluzioni di Fridman, 324 - Tre universi possibili, 325 - Riassumendo e precisando, 330 - Il futuro dell'uni­ verso, 331 - Rallentamento e collasso, 331 - E dopo?, 333 - L'espan­ sione eterna, 335 - Le due prospettive, 339 - Il vero universo, 341.

323

X

DAL PASSATO AL FUTURO Le frecce del tempo, 347 - Le tre frecce, 347 - Le frecce a confron­ to. 349 - Possibili spiegazioni, 350 - L'universo è speciale?, 35 I Strane evidenze, 351 - Il principio antropico, 355 - Caso o finali­ smo?, 356 - Il ruolo del mondo vivente, 357 - L'umanità, 357 - La vita universale, 359 - L'evoluzione eterna, 362.

346

APPENDICI Il lii

STRUTTURA ED EVOLUZIONE DI UNA GIGANTE ROSSA

367

PRECISAZIONI SUL LIMITE DI CHANDRASEKHAR E SUI TRACCIATI EVOLUTIVI DELLE STELLE

373

CENNI SULLA CLASSIFICAZIONE DEI DlNOSAURI BIBLIOGRAFIA FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI INDICE ANALITICO

3n 377 382 384

Premessa

Questo libro è il seguito di Al di là della Luna. Già mentre scrivevo quel volume mi ero accorto che un viaggio nello spazio, anche se mostrava corpi celesti che nascevano, stelle che si autodistruggevano e, a un cerio punto, diventava addirittura una risalita nel tempo, rivelava l'universo solo come ci appare ora. Niente di male se tutto restasse sempre lo stesso o cambiassero le cose ma non la loro essenza, come avviene in un fiume che vediamo scorrere avanti a noi, in cui le molecole che passano non sono mai le stesse ma sono sempre di acqua. In realtà, invece, si è scoperto che l'universo cambia, sia come un tutto unico sia nelle sue strutt1•re, come avviene nelle cose più vicine, quelle che tutti vedono mutare anche nel corso della breve vita umana. Ma come cambia? Per scoprirlo occorreva affrontare un nuovo viaggio: un viaggio nel tempo. Questa esplorazione era più difficile della prima ma non impos­ sibile e d'altra parte, pur presentando ancora molti punti oscuri, si pro­ spettava ben più avventurosa, suggestiva e ricca di significati di quella spaziale. Ma non era opportuno compiere insieme il viaggio nello spa­ zio e quello nel tempo. Sarebbe diventato troppo lungo, troppo fatico­ so e, soprattutto, troppo complesso. Cominciai così a pensare di vivere il viaggio nel tempo attraverso un secondo libro e mentre scrivevo il ca­ pitolo sugli ammassi, nel quale la distinzione tra le stelle di varie età faceva emergere il problema più di quanto era avvenuto fino a quel mo­ mento, mi confermai in questa convinzione. Presi la decisione defini­ tiva di rinunciare momentanear'nente al secondo viaggio, anche per evi7

tare di sciuparlo con la brevità e la frella, come accade in certe gite turistiche(« Parigi in Ire giorni!») e nell'ultima parte del paragrafo 'Altri gruppi: altre stelle' accennai a/l'impossibilità di approfondire contem­ poraneamente le due esplorazioni. Mentre scrivevo quelle righe sentivo che, più che avvertire il [e/lore, intendevo prendere un impegno con me stesso. Cercai di mantenerlo subito e, appena pubblicato Al di là della Luna, cominciai a preparare il nuovo viaggio. Ma la cosa non fu semplice. Per scoprire i vari cambiamenti che si svolgono nell'universo e collegarli tra loro in una ragionevole succes­ sione dei tempi, occorreva approfondire meglio la conoscenza di corpi celesti e di fenomeni dei quali in Al di là della Luna avevo parlato poco (l'origine delle comete, le loro variazioni e quelle delle loro orbite; le supernovae; le galassie anomale; ecc.) o non avevo parlato affallo (le nebulose planetarie: i buchi neri; le stelle nane nere: ecc.). Questi e altri oggetti e fenomeni erano generalmente rari e strani: vere anomalie, .5CO­ perte con stupore dagli astronomi di varie epoche o previste dalla teo­ ria e mai osservate. Ma nel nuovo discorso diventavano molto impor­ tanti perché la loro presenza poteva essere necessaria per spiegare al­ cuni fenomeni, come la fine delle stelle di massa maggiore, e perché, forse, la loro rarità ed eccezionalità era dovuta proprio al fallo che corrispondevano a fasi rapide, sitmificative, nella trasformazione del­ l'universo e dei suoi corpi. Per questa ragione, pur avendo cominciato a preparare q11esl0 libro fin dalla primavera del 197 3, prima di proseguire dovei/i scriverne un altro. Nacque così I mostri del cielo, un libro che pote1•a soddisfare certe curiosità sollevate dalla lel/ura del primo e al quale si sarebbe potuto attingere per chiarire argomenti che, trattali per esteso in quesw (e/re diventava il terzo), ne avrebbero appesantito la lettura, sviando qua e là dalla linea principale del discorso. Anche queste pagine, come quelle di Al di là della Luna, saranno il resoconto di un viaggio, anzi di più viaggi, che invece di svolgersi nello spazio si svolgeranno nel tempo. Basandoci su fatti concreti e su teorie oggi molto elaborate, come quella dell'evoluzione stellare, seguiremo le stelle dall'origine alla fine. Assisteremo alla nascita del Sole e del suo .ristema, alle trasformazioni della Terra e di tutto ciò che si è svilup­ pato su di essa, soprattutto all'evolversi di quel particolare processo che conosciamo solo sul nostro pianeta: la vita. In un secondo viaggio esploreremo tempi più remoti, conosceremo le stelle più antiche, diver­ .re da quelle attuali, vedremo formarsi le galassie e risaliremo fino a un attimo dall'istante iniziale in cui nacque l'universo. Scopriremo co.5e molto strane e, partendo da tu/lo ciò che è avvenuto finora e che rite-

niamo avvenga in altri luoghi e in altri tempi, azzarderemo anche viag­ gi nel fumro, in quello più vicino e in quello più remoto, tentando di scoprire, via via, l'ultimo fato dell'uomo, della Terra, dell'universo. Essendo il seguito di Al di là della Luna, questo libro è destinato prima di tutto agli stessi le/lori, che potranno estendere la loro visione spaziale anche nel tempo e, dopo aver superato i vincoli che ci legano materialmente al nostro pianeta con l'osservazione, la ragione e la fan­ tasia, possono superare ora, con gli stessi mezzi, anche quelli, ugual­ menle limitanti, della nostra breve vita. Estendersi nel tempo è ancor più emozionante che viaggiare nello spazio. E; un po' come sentirsi immortali. Vedere la vila de/l'universo, assistendo a quanto è accaduto finora e lanciando sguardi sui possibili futuri, è non solo esaltante, ma indispensabile all'uomo, nel tentativo di inquadrare la sua posizione e la sua funzione nel cosmo. E attraverso la progressiva scoperta delle trasformazioni dell'universo anche nei suoi particolari più limitati ma meglio conosciuti, come per esempio sulla Terra, la prospettiva temporale in cui appare l'uomo sembra mostrarlo più importante di come aveva fallo una visione che lo inquadrava solo nello spazio. Da quanto siamo arrivati a sapere oggi a//raverso la Scienza, non soltanto astronomica, l'uomo ci appare come un punto culminante, un mezzo che ha l'universo stesso per conoscersi, un'importan,e base d'ap­ poggio per lo sviluppo futuro. 1'11110 questo non può interessare solo chi vuole conoscere il cosmo. Anzi è sempre più evidente che chiunque voglia scoprire la funzione che ha l'uomo ne( mondo, i (imiti e l'importanza di se .1·tesso, non può più fare a meno di conoscere l'universo. Gfi antichi greci, come punto di partenza per la conoscenza dell'uni­ verso, avevano preso l'uomo, tanto che sul tempio di Apollo a Del/i avevano scritto: « conosci te stesso». Ora è giunta l'epoca in cui possia­ mo affermare: conosci l'universo e conoscerai te stesso. PAOLO MAFFEI

L'Autore ringrazia vivamente i colleghi che hanno contribuito alla realizzazione di questo libro attraverso discussioni. indicazioni e fornendo materiale illustra­ tivo. In particolare è profondamente grato ai Proff. Pierluigi Ambrosetti. Alfonso Cavaliere. Domenico Faraone. Marcello La Greca, e ai Dott. Angioletta Cora­ dini, Italo Mazzi1elli e Roberto Nesci. che hanno letto il manoscritto parzialmen­ te o completumente. Nel ringraziarli per i consigli e per le interessanti discussioni �caturite dalla lettura, fa presente che, in ogni caso, essendo la sh:sura definitiva il frutto di un'ulteriore elaborazione dell'Autore, è solo sua la responsabilità scien­ tifica di ciò che ha scritto.

L'UNIVERSO NEL TEMPO

Dal viaggio nello spazio al viaggio nel tempo

Dalle galassie alla Terra

Immaginiamo di essere in un'astronave sperduta in una parte dello spazio vuota di galassie e di guardare avanti a noi, da un oblò, con un occhio più potente del nostro. Vedremo uno scorcio dell'universo a grandi di­ stanze e, trovandoci in una zona deserta, scorgeremo solo galassie lon­ tane. La visione che ci si offrirebbe sarebbe quella di un brulichio di deboli punti luminosi, inconfrontabile con quella di una nostra notte stellata, perché il numero di galassie sarebbe almeno mille volte più grande di quello delle stelle che vediamo in cielo in una notte senza Luna. li loro insieme non formerebbe qualcosa di simile a una nebbia distribuita uniformemente, ma una specie di reticolato, perché le galassie sono rag­ gruppate in ammassi e superammassi (ammassi di ammassi) e vedrem­ mo quindi zone più ricche e zone più povere. Una pallida idea di questa visione possiamo averla attraverso la carta che hanno costruito due astro­ nomi dell'Osservatorio di Lick, C.D. Shane e C.A. Wirtanen, registrando tutte le galassie più luminose della J 9• magnitudine apparente (FIG. 1). Quel brulicare di punti che vediamo dal nostro oblò ricorda un po' la Via Lattea osservata con un telescopio a grande luminosità. Ma in quel caso ogni punto era una stella, ossia un corpo più o meno simile al Sole; ora, invece, ogni punto luminoso è almeno una galassia, un agglomerato di milioni o addirittura di miliardi di stelle. Oggi sappiamo che le galassie non sono tutte uguali (FIG. 2 e TAV. I). Tutte, comunque, sono come città autonome, separate, le une dalle altre, da sterminati spazi vuoti che si allargano continuamente. Infatti, come è stato rivelato dalle osservazioni, l'insieme che forma l'universo è in 13

Fig.l Galassie più luminose della 19' 111;11-:niludinc :1p1•arcnlc: 4uc3la ,u1:i.:1:,1i,a mappa è slala coslruila di,·idendo il ciclo in un grnn numero di 4u.1dr.itini a l'iasnmo dei quali è staia assci.:nal;1 un'intensità lanto 111a1.a:iorc quanto mai.:i.:iorc l' il 1rn11h:ro delle galassie che contiene. Se potessimo OSSl•rvare J'unh·crso da una :tona nwta di i.:alassie potrebbe ;1pparirci come questo rclicolato di galassie e di :1111111:tssi di i.::il:13sil'.

Fig.2 Galassie di vari tipi nella costellazione del P�tvonc. Così si risolve il rclicola­ to di galassie della FiJ.!, t. quando ci avviciniamo a uno dei gruppi che lo for111anu.

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continua espansione e tutte le galassie si allontanano l'una dall'altra in una specie di fuga reciproca. Scegliamo ora una galassia, uno dei tanti punti luminosi che vediamo, e andiamole incontro. Al rapido diminuire della distanza la vedremo tra­ sformarsi in un dischetto grande come una capocchia di spillo, che di­ venta sempre più esteso, sempre più ricco di particolari e, se si tratta di una spirale, vedremo finalmente i suoi enormi bracci uscenti dal centro: colmi di stelle, a gruppi o sparse, di nebulose luminose e di zone oscure dovute a nubi di polvere. Tutt'intorno a questa specie di girandola ve­ diamo alcune centinaia di punti nebulosi e, passando nei pressi di uno di essi, mentre stiamo arrivando, ci accorgiamo che è una specie di palla di stelle: un enorme aggregato in cui vediamo accalcarsene centinaia di migliaia. e un ammasso stellare di tipo globulare, così chiamato per il suo aspetto (TAV. II). Quasi tutte le galassie hanno una simile corte di ammassi, generalmente proporzionata alla galassia stessa. Alcune, pic­ cole, ne hanno meno di una decina, altre, come la gigantesca M 87. alcune migliaia. Anche lungo i bracci spirali troviamo molti ammassi, ma diversi dai primi per aspetto e numero di stelle. Sono agglomerati di poche centinaia o, al massimo, qualche migliaio di stelle, sparse in modo talmente irregolare e così poco concentrato da farli chiamare aper­ ti (TAV. III). Entro un piccolo spessore intorno al piano dell'equatore galattico, ma sparsa su tutta la galassia, sempre secondo una disposi­ zione a spire, si trova una gran quantità d'idrogeno allo stato neutro. In moltissime zone particolari, inoltre, vediamo nubi d'idrogeno eccitato da stelle ad alta temperatura, che lo fanno splendere nei colori azzurro. verde e, soprattutto, rosso. Queste nubi, oltre all'idrogeno, contengono anche diversi altri elementi, come ossigeno, elio, azoto, zolfo, ecc., e, a volte, anche molecole. Spesso le nebulose gassose sono associate a polveri e a gruppi di stelle calde o a insiemi di stelle con caratteristiche simili, chiamate associazioni (TAV. IV). Tutti questi oggetti di grandi dimensioni e luminosi non devono farci dimenticare i corpi più piccoli, quelli che non è facile vedere ma che a noi interessano più di tutti gli altri, perché possono ospitare la vita: i pianeti. Anche se conosciamo con certezza appena nove pianeti (quelli del nostro sistema solare), ci sono diverse prove dirette e indirette del­ l'esistenza di pianeti appartenenti ad altre stelle. Pur se soltanto la metà o una frazione ancora più piccola delle stelle sparse per tutto l'universo avesse pianeti, il loro numero totale sarebbe enorme perché conosciamo milioni di galassie ognuna delle quali è composta da miliardi di stelle. Una galassia non è qualcosa di statico. Tutti i corpi che la compc,n­ gono si muovono e, nel suo insieme, ruota intorno a un asse passan­ te per il centro e perpendicolare al piano equatoriale. Non è neppure

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DAL VIAGGIO NELLO SPAZIO AL VIAGGIO NEL TEMPO

immutabile, perché cambia d'aspetto per effetto dei moti delle sue parti e perché tutti i suoi componenti si trasformano, col passar del tempo. Alcuni cambiano con tanta lentezza da rendere il mutamento imper­ cettibile in tempi brevi; altri variano in modo armonico, come le stelle variabili pulsanti; altri in modo rapido, come le novae, che sem­ brano apparire improvvisamente dal nulla, anche se in realtà sono stelle già esistenti che espellono di colpo nello spazio gli strati gassosi più ester­ ni; altri in modo catastrofico, come le supernovae che si autodistruggono in una gigantesca esplosione dell'intera stella. Le galassie hanno dimensioni, strutture e composizioni molto diverse tra loro. Ci fermeremo, quindi, a un solo caso; quello della galassia nella quale ci stiamo addentrando. Supponiamo che sia proprio quella in cui si trovano il Sole e il suo sistema, che è una spirale abbastanza tipica e tra le più grandi, con un diametro di 100 mila anni luce e uno spessore massimo di 16 mila. Nel suo sterminato volume, in cui lo spazio vuoto è di gran lunga superiore a quello occupato dalla materia, cerchiamo di rintracciare il Sole dirigendoci verso una zona, su un braccio, alla distanza di 30 mila anni luce dal centro. Non sarà facile trovarlo ma, se ci riusciremo, per raggiungere la Terra entreremo nel sistema plane­ tario del quale fa parte puntando direttamente verso il centro. Il nostro pianeta, infatti, gli è talmente vicino che anche dalla distanza di Plutone non appare scostarsi sensibilmente dal Sole, che d'altronde vediamo. per ora, solo come un brillantissimo punto luminoso. Dopo aver supe­ rato le orbite dei pianeti esterni giungeremo in vista della Terra, ci av­ vicineremo sempre più, finché il nostro spostamento nello spazio si. tra­ sformerà nella discesa su un corpo al di sotto di noi, che riempirà tutto il nostro campo d'osservazione apparendoci immenso, proprio come, poco fa, ci era apparso lo spazio intergalattico col suo reticolato di ga­ lassie. A un certo punto toccheremo il suolo, vedremo intorno a noi un orizzonte e, al di sopra, il cielo, dove si spiegherà ai nostri occhi, ri­ baltata, quella metà dell'universo che si trova al di sopra del nostro orizzonte. Il nostro lunghissimo viaggio nello spazio è terminato. Siamo final­ mente a casa nostra e da qui ne cominceremo uno nuovo ben più emo­ zionante; un viaggio nel tempo. In questo viaggio non lasceremo più la Terra, ma cercheremo di ricostruire il passato e di anticipare il futuro dei corpi celesti; delle stelle, del Sole, della Terra, delle galassie e infine dell'intero universo preso come un tutto unico. Questi corpi ci scorre­ ranno davanti trasformandosi ai nostri occhi secondo una visione che purtroppo non sarà né completa né definitiva ma solo a sprazzi. Ma sa­ ranno sprazzi che ci meraviglieranno per la loro ampiezza, soprattutto pensando che siamo riusciti a ottenerli da questo nostro osservatorio

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terrestre sperduto e limitato, in un periodo di osservazione brevissimo rispetto agli immensi intervalli di tempo nei quali ci mostrano ampie trasformazioni di parti significative dell'intero universo. Il tempo e i cicli

L'esistenza del tempo è una venia mtu1t1va perché le nostre azioni si svolgono nel tempo e questo solo fatto ce lo rende palpabile come lo spa­ zio nel quale ci muoviamo. Tuttavia, come nel caso dello spazio, una sua idea precisa riusciamo ad averla solo operativamente, cioè misuran­ dolo. Da un punto qualsiasi della superficie terrestre, se è giorno e non ci sono nuvole, vediamo il Sole. Notiamo presto che la sua posizione non è immutabile perché lentamente -percorre un arco di cerchio e infine scen­ de verso l'orizzonte e tramonta. Se aspetteremo vedremo il cielo azzurro farsi sempre più scuro e apparirvi le stelle che si muoveranno nello stesso senso in cui prima si era spostato il Sole, sorgendo e tramontan­ do dopo aver percorso archi più o meno ampi. Attendendo ancora abbastanza, da un certo punto dell'orizzonte, preceduto da un chiarore dapprima debole poi tanto forte da cancellare tutte le stelle, vedremo sorgere nuovamente il Sole che inonderà con la sua luce cielo e terra. percorrerà un arco simile a quello precedente e infine tornerà nuovamen­ te a tramontare. A questo punto avremo la sensazione che si è compiuto un ciclo, cioè una successione di eventi tutti diversi l'uno dall'altro alla fine della quale, però, gli stessi eventi tornano a ripetersi allo stesso modo e nello stesso ordine. Infatti, dopo il tramonto del Sole, tornerà la notte con la sua volta stellata, poi sorgerà ancora il Sole che, dopo aver percorso un altro arco diurno, tramonterà, e così via. Contando un certo numero di cicli come questo, potremo misurare il corrispondente inter­ vallo di tempo nel quale i cicli si sono ripetuti. Potremo far questo per intervalli comunque lunghi: si tratterà di esprimerli, semmai. con nu­ meri più o meno grandi. Il ciclo diurno deve essere staio il primo scoperto dall'uomo; anzi si può dire che non l'abbia neppure scoperto poiché regolò la sua vita su di esso prima di razionalizzarlo, prima di essere uomo, per il solo fatto che la luce e il buio determinavano la sua attività e il suo riposo come quelli di tanti altri animali. Ma vi sono altri cicli, più lunghi, che possono essere facilmente sco­ perti e forniscono unità maggiori per la misura del tempo. Osservando il tramonto del Sole ogni sera da uno stesso luogo, si nota facilmente che non avviene sempre nello stesso punto (quella casetta lontana, sulla collina che affiora appena all'orizzonte), ma si sposta un poco ogni

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DAL VIAGGIO NELLO SPAZIO AL VIAGGIO NEL TEMPO

giorno, per esempio verso nord*. In quegli stessi giorni anche il punto in cui il Sole sorge si sposta verso nord, in modo che ogni giorno il Sole viene a percorrere in cielo un arco sempre più ampio, raggiunge un'altezza sempre maggiore e rimane al di sopra dell'orizzonte sempre di più, dando luogo a giornate via via· più lunghe a scapito delle notti che divengono sempre più corte. A partire da un certo giorno, però, i punti dell'orizzonte in cui il Sole sorge e tramonta non avanzano più e anzi, subito dopo, riprendono a spostarsi in senso inverso, cioè verso sud. Durante lo spostamento in senso contrario il Sole percorrerà in cielo archi sempre più corti e rimarrà al di sopra dell'orizzonte sempre meno. Finalmente anche lo spostamento diurno verso sud si arresterà e, subito dopo, tornerà a riprendere verso nord, finché il Sole tramon­ terà nuovamente nel punto in cui era tramontato all'epoca della nostra prima osservazione, dietro alla casetta lontana, sulla collina all'orizzon­ te. Naturalmente c'era già stata una sera in cui era tramontato in quella stessa direzione, durante il percorso di ritorno da nord a sud, ma solo ora che l'escursione è stata completata ritornando al punto di partenza dopo aver compiuto l'intero percorso sull'orizzonte, possiamo dire che il ciclo è completo. Mentre si svolge questo più ampio ciclo si verificano altri fenomeni di un'evidenza simile a quella dell'alternarsi del giorno e della notte, dei quali tennero conto certamente anche gli uomini primitivi. Quando il Sole resta a lungo al di sopra dell'orizzonte la quantità di calore che raggiunge un luogo della superficie terrestre nel corso della. giornata è maggiore, mentre quando l'arco diurno percorso è corto lo stesso luogo riceve meno calore. Rimanendo sempre in uno stesso posto ve­ diamo quindi alternarsi giorni freddi a giorni caldi e, in mezzo a que­ sti, giorni instabili ma temperati. Così, pur senza compiere osservazioni astronomiche, anche l'uomo delle caverne si accorse di questo ciclo at­ traverso le stagioni, come se ne accorge il moderno cittadino, prigioniero della casa e del luogo di lavoro. li tempo si può misurare anche con un terzo ciclo, di lunghezza in­ termedia, ugualmente evidente. Anche gli uomini primitivi si erano certamente accorti che non sempre al finire del giorno subentravano le tenebre della notte più profonda. Certe sere, quando il Sole tramon­ tava, vedevano sorgere, dalla parte opposta, un disco luminoso, non accecante come quello solare e, anzi, macchiato da zone scure, che con la sua luce argentea permetteva di vedere bene le cose anche di notte. 0 In questo ragionamento si suppone che l'osservalore si trovi in un punto della zona lemnerata dell'emisfero boreale, pe1 esempio in Italia. Il ragionamento vale anche per l'altro emisfero, ma i punti di riferimento devono essere ribaltati.

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Questo secondo disco che, come oggi sappiamo, ci appare al massimo (in cifra tonda) mezzo milione di volte meno luminoso di quello del Sole, non era sempre presente nel cielo, non manteneva lo stesso aspetto e lo stesso splendore e non sorgeva tutte le volte nel momento in cui il Sole tramontava. Già dalla sera successiva appariva più tardi del tramonto del Sole e non perfettamente rotondo; e ogni notte sorgeva più tardi e sempre più ridotto, fino a divenire una falce sottilissima che appariva solo nella luce dell'alba, poco prima del sorgere del Sole. A questo punto spariva per qualche giorno tornando poi ad apparire, n.::I cielo del tramonto, ancora sotto forma di una falce sottile ma con la zona lu­ minosa rovesciata in modo da essere sempre volta dalla parte del Sole. Nelle sere successive a 4uella della riapparizione la falce si mostrava sem­ pre più ampia e in una zona del cielo sempre più lontana da 4uella del tramonto del Sole, fino a divenire nuovamente un disco luminoso com­ pleto che sorgeva nel momento in cui il Sole tramontava. A questo punto il ciclo si concludeva e ne iniziava uno nuovo. Anche questo corpo celeste e questo ciclo sono ben noti, perché tutti abbiamo visto la Luna e sap­ piamo cos'è una lunazione. I cicli descritti hanno dato origine rispettivamente al giorno, all'anno e al mese che, combinati insieme, hanno formato quello schema di rife­ rimento di tutte le nostre azioni noto col nome di calendario. Purtroppo l'anno non è costituito da un numero intero di giorni né da un numero intero di lunazioni. Così sono sorti calendari che si riferiscono soltanto al Sole, come quello nostro attuale, o solo alla Luna, come quello mao­ inettano o che tengono conto di entrambi, come quello ebraico. Il nostro calendario è basato appunto sul Sole, che determina il giorno e l'anno, con la correzione dell'anno bisestile, per tener conto della frazione di giorno che avanzerebbe ogni anno rispetto alla lunghezza dell'anno stesso. Il mese lunare è invece ormai pressoché abbandonato e al suo posto sono subentrati mesi di 30 o 31 giorni che non hanno niente a che fare con la lunazione, la quale si ripete scorrendo lungo i mesi senza alcuna sovrapposizione fissa, dal momento che le rispettive lunghezze sono di­ verse. Per questa ragione non ha alcun senso parlare di Luna di gennaio, di febbraio, ecc. come si sente dire talvolta nelle nostre campagne, sulla base delle reminiscenze degli antichi tentativi di conciliare due cicli in­ commensurabili come quello lunare e quello solare. L'esistenza dei cicli s'impose e fu accettata fin dai primordi per ragioni non solo pratiche e astronomiche ma anche culturali. L'uomo ha sempre avuto un grande rispetto, se non addirittura un culto per tutto ciò che è ciclico, perché il ciclo allontana l'idea di un principio e di una fine assolu­ ti. Col ciclo tutto finisce ma poi tutto ricomincia. E lo svolgersi dei feno­ meni celesti che abbiamo esaminato tendeva e tende ancor oggi a con-

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fermare questa convinzione, perché si era visto che tutto ciò che cam­ biava in cielo, cioè nel cosmo, alla fine tornava a ripetersi. Se qualche fenomeno sembrava sfuggir.! a questa regola voleva dire che faceva parte di cicli più ampi che in un primo momento non si riusciva a porre in evidenza per la loro lunghezza. come, d'altronde fu trovato più volte fin dall'antichità. Ma c'è di più. Sotto la spinta di questa esigenza culturale, rinforzata e sancita dalla scoperta dei cicli celesti, l'uomo ha adottato cicli anche di tipo non astronomico, come quello settimanale, e addirittura ne ha introdotti alcuni che non hanno agganci neppure con la vita pratica. Insomma, i cicli astronomici confermarono e si inserirono perfetta­ mente in una fondamentale esigenza culturale dell'uomo. Anche oggi. attraverso l'alternarsi dei diversi tipi di lavoro, dei momenti di svago, delle ricorrenze festive settimanali e annuali e in tanti altri modi, cer­ chiamo continuamente di esorcizzare il tempo che passa, aggrappandoci a cicli che ci danno la sensazione che tutto ritorna e potremo avere domani o domenica prossima quello che non siamo riusciti ad avere ieri o domenica scorsa. Tutto ciò è solo un'apparenza. Il senso di assoluto ed eterno, che tro­ viamo nei cicli letti sulla volta del cielo e che si riflettono sulla Terra, con l'alternarsi dei giorni e delle notti, delle lunazioni, delle stagioni, ecc., sorge e permane solo finché la nostra conoscenza del cosmo è limitata. Ben diverso appare il quadro se li esaminiamo a fondo risalendo all'es­ senza dei fenomeni che li provocano. 11 giorno è conseguenza della rotazione della Terra intorno al suo asse polare; il mese lunare, della rivoluzione della Luna intorno alla Terra; le stagioni e l'anno, dell'inclinazione dell'asse terrestre e della rivoluzione della Terra intorno al Sole. Basta spostarsi sulla superficie terrestre rag­ giungendo uno dei due poli o l'equatore perché i fenomeni cambino, pur conservando un carattere ciclico. Se però abbandoniamo la Terra, portan­ doci in un punto qualunque dello spazio, tutto svanisce: non ci sono più né giorni né lunazioni né anni né stagioni. I fenomeni ciclici che aveva­ mo osservato erano dunque solo una conseguenza della nostra partico­ lare posizione sulla superficie del pianeta Terra e non sono affatto uni­ versali. La relatività dei cicli non appare subito in modo evidente. Proviamo ad allontanarci dalla Terra e a guardare il sistema solare da un punto d'osservazione nello spazio, che possiamo immaginare sulla perpendi­ colare al piano dell'orbita terrestre, a una certa distanza dal Sole ri­ spetto al quale restiamo immobili. Osservando il Sole, la Terra e la Luna, ritroveremo facilmente il ciclo diurno, quello lunare e quello annuo. sem­ plicemente seguendo la Terra che ruota su se stessa, la Luna che le cir21

cola intorno, e il moto di entrambe intorno al Sole. Anzi, ora ci sem­ brerà che questi cicli non possano più sfuggirci perché li abbiamo colti proprio nella loro essenza: il moto regolare e periodico di corpi nello spazio. Basterà prendere opportuni punti di riferimento per constatare che, trascorso l'intervallo di tempo che sulla Terra avevamo chiamato giorno, il nostro pianeta avrà fatto una rotazione completa; dopo un certo numero di giorni la Luna avrà compiuto un giro completo intorno alla Terra e dopo un numero di giorni, molto più lungo ma sempre ugua­ le al nostro anno, la Terra avrà completato un giro intorno al Sole e tornerà a solcare da capo, ancora una volta, una strada che percorre dall'eternità. Anche questo è falso. La velocità di rotazione della Terra varia conti­ nuamente col passare degli anni (FIG. 3a) e nel corso dell'anno (FIG. 3b) e talvolta persino bruscamente, all'improvviso. Le cause sono diverse e non tutte ben chiare: maree oceaniche, spostamenti stagionali di grosse masse d'aria, variazioni, pure stagionai i, della vegetazione, del peso delle nevi e persino grossi terremoti. Insomma non c'è un giorno che sia lungo esattamente come il precedente, perché la Terra non rimane mai la stessa da un giorno all'altro. Naturalmente queste variazioni sono piccolissi­ me, pochi millesimi di secondo, ma ci sono e, nel corso delle migliaia o dei milioni di anni, potrebbero avere conseguenze decisive, per esem­ pio rallentare tanto la velocità di rotazione terrestre da rendere la lun­ ghezza del giorno uguale a quella dell'anno. Così la Terra finirebbe per volgere al Sole costantemente lo stesso emisfero nel quale sarebbe sempre giorno; nell'altro sarebbe sempre notte e il ciclo diurno non esisterebbe più. Anche negli altri cicli ciò che è passato non ritorna e neppure si ripete esattamente. La Luna non chiude mai il suo cerchio intorno alla Terra come ci mostrano le figure con cui si spiegano le fasi lunari nei libri di geografia per le scuole. Mentre si sposta intorno alla Terra nel corso della lunazione, questa si muove sulla sua orbita intorno al Sole e la Luna è costretta ad accompagnarla su un'orbita che, appunto per questa ragione, non può mai chiudersi. Inoltre anche l'orbita lunare, supposta chiusa, non è un cerchio ma un'ellisse, inclinata sul piano dell'orbita che la Terra percorre intorno al Sole e le sue caratteristiche, come l'eccentricità, i punti in cui la distanza dalla Terra raggiunge i suoi valori massimo e minimo, l"inclinazione sul piano dell'orbita terrestre, ecc. variano con­ tinuamente. La combinazione di queste variazioni si manifesta con altri cicli, come quello col quale appaiono ripetersi le eclissi di Sole e di Luna, ma anche questi cicli, seguiti a lungo, appaiono cambiare, for­ marsi e dissolversi. Analoghe considerazioni valgono per il ciclo annuo. Prima di tutto ci

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Fig.3 Variazione della duraca del giorno: In a) nel corso di date (mese) quasi due secoli; In b) nel corso bJ delle stagioni di un intero anno. '-------------------------'

sono variazioni degli elementi orbitali terrestri sul tipo di quelle ricordate per l'orbita della Luna. Inoltre, neppure la Terra riesce a chiudere an­ nualmente la propria orbita intorno al Sole. Perché anche il Sole si muo­ ve: intorno al centro della Galassia, coprendo l'intero percorso in 226 mi­ lioni di anni, alla velocità di 250 km/s. La Terra, per seguirlo, deve spo­ starsi nello spazio sempre avanti, senza mai tornare indietro come vor­ rebbe l'orbita ellittica disegnata supponendo il Sole fermo. Le lunazioni e gli anni sembrano tornar� perfettamente identici, almeno nel cielo, ma in realtà né la Luna né la Terra ripassano mai per lo stesso punto dello spazio. Neppure dopo una completa rivoluzione intorno al centro della Galassia, perché anche il percorso del Sole e del nostro sistema solare non si ripete uguale a se stesso, dal momento che variano anche le po­ sizioni relative di tutte le stelle e degli altri corpi della Galassia, cambia

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la distribuzione delle masse in seno alla nostra città stellare e di conse­ guenza, a poco a poco, cambiano le orbite di tutti i corpi che la formano. Quest'ultima affermazione ci sembra smentita dai fatti perché le stelle appaiono tutte le sere nello stesso punto della volta celeste. Cambia, è vero, da una stagione all'altra, la loro visibilità, perché il Sole vi scorre in mezzo nel corso dell'anno,- ma le costellazioni ci appaiono immutate e alla fine di ogni anno torniamo a vedere alla stessa ora le stesse stelle nella stessa posizione. Anche questa è un'illusione; sono solo le gran­ dissime distanze delle stelle da noi che rendono impercettibili anche spostamenti notevoli. In effetti, misurando le loro posizioni sulla volta celeste e ripetendo queste misure dopo lunghi intervalli di tempo, si è trovato che le stelle non sono •fisse', come avevano creduto gli antichi. Così anche le costellazioni cambiano aspetto. Basterà un esempio per tutti: un confronto (FIG. 4) della costellazione dell'Orsa Maggiore come appare oggi, con l'aspetto che aveva 100 mila anni fa e quello che avrà tra 100 mila anni. Tutto cambia, nulla resta uguale a se stesso, nulla finisce e risorge ci­ clicamente. E non solo nei moti. Il Sole, il nostro Sole, che ci sembra tutti i giorni perfettamente ugual.: a quello del giorno prima, oltre a cambiare continuamente d'aspetto alla sua superficie, come ci mostrano le osservazioni al telescopio, disperde continuamente nello spazio una parte della sua massa, secondo un processo irreversibile. Crediamo di veder tramontare sempre lo stesso Sole e invece ogni sera quel corpo

Flg.4 AspeUI della costellazio­ ne dell'Orsa Maggiore nelle Ire diverse epoche indicate in figura.

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rosso che sta lentamente raggiungendo l'orizzonte 'pesa' 370 miliardi di tonnellate di meno della sera precedente: tanta è la massa che ha trasfor­ mato in energia e disperso nello spazio in 24 ore, mentre nel suo interno è scomparsa una grande quantità d'idrogeno che si è trasformato in elio. Ciò che avviene per il Sole accade per tutte le stelle, anche se ogni sera ci appaiono ugualmente immutate. In effetti per la maggior parte di esse, come per il Sole, lo splendore non è variato (e il perché lo vedremo in seguito) ma ognuna ha subito, nelle ultime 24 ore, perdite di massa enor­ mi, in alcuni casi superiori addirittura a quella di tutto il nostro pianeta. Nessuno dei cicli che abbiamo visto, che erano stati i primi a colpire l'uomo dandogli il senso di immutabilità della natura, è dunque generale, costante ed eterno e, soprattutto, nessuno di essi ha il potere di ridurre il tempo a un circuito chiuso che, almeno per alcuni fenomeni, torni a ripetersi ogni volta nello stesso modo. Secondo questa nuova visione, più realistica, il tempo ci appare come qualcosa che trascina tutto, in cui tutto si trasforma e nulla si ripete, come una dimensione che si percorre in un senso solo, cioè una sola volta. Indipendentemente da queste considerazioni, che terremo sempre pre­ senti, possiamo definire in modo convenzionale il giorno, il mese e l'anno, insieme all'ora e ai minuti primi e secondi per gli intervalli di tempo più piccoli, e usare queste unità per misurare gli eventi nel cosmo, come già facciamo disinvoltamente nella vita di ogni giorno. Per far que­ sto, partendo dall'esperienza che ci siamo fatta con le osservazioni astro­ nomiche, immaginiamo un tempo ideale, puramente matematico, scandito da un orologio con moto perfettamente uniforme che avanza al ritmo di secondi tutti uguali: il 'secondo standard', che potremmo prendere be­ nissimo dalle osservazioni astronomiche assumendo come sua durata quella avuta in un istante definito da un'ora, un giorno e un anno deter­ minati. Nel 1957 si stabilì la durata del secondo con questo metodo. Tuttavia nel 1964 anche questo aggancio astronomico fu superato con l'introduzione del tempo atomico, che garantisce un campione di secon­ do stabile e sempre a disposizione. Così gli astronomi, che una volta erano i sacerdoti del tempo come le vestali Io erano state per il fuoco, attraverso questo nuovo secondo possono controllare sempre meglio quanto e come varia il secondo ricavato attraverso il giorno, cioè come cambia la velocità di rotazione della Terra. L'introduzione del secondo attraverso l'atomo ci mostra che vi possono essere anche metodi non astronomici per scandire il tempo. E non è tutto: le teorie quantistiche e la teoria della relatività ci hanno fatto conoscere anche altri tipi di tempo. Quello che abbiamo introdotto (e le sue pro­ prietà) vale nella statistica dei grandi numeri sulla quale è basata la vita quotidiana e andrà bene anche per studiare l'universo, a meno di non

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esaminare pochi atomi per volta o di cadere in un buco nero, cosa che cercheremo sempre di evitare. Risalendo il passalo della Terra

Mentre il cielo misura il tempo coi suoi cicli, sia pure imperfetti e relativi, pure sulla Terra, attraverso una gran quantità di cose, abbiamo la sensa­ zione di un lento fluire del tempo. La vita stessa ci offre le varie unità di misura: da quelle più brevi, dell'ordine di grandezza del secondo. fornite dal battito del cuore e dalla respirazione, a quelle di media lun­ ghezza, dell'ordine del giorno, fornite dal bisogno di mangiare e di dor­ mire. Per i tempi più lunghi, dell'ordine dell'anno, avremmo bisogno al­ meno di un riflesso del ciclo astronomico, come il succedersi delle sta­ gioni, mentre lo scorrere di periodi lunghi d�cine di anni possiamo nuo­ vamente scoprirlo in noi stessi e negli altri esseri viventi: attraverso lo sviluppo del corpo, subito dopo la nascita e nell'infanzia; le prime in­ quietanti trasformazioni del viso, della voce, dei desideri; il lento mu­ tare dell'aspetto che avevamo assunto dopo questa prima, radicale tra­ sformazione; poi l'apparire e lo sviluppo dei segni della vecchiaia, i capelli bianchi, la calvizie, l'adipe, le rughe. E sono solo alcune decine di anni. Poche, anche se racchiudono l'intera nostra vita: il tempo che ci è dato per fare e subire cose che ci sembrano tanto numerose e tanto importanti, e per affacciarci sull'universo per un attimo così breve da darci l'illusione della sua immutabilità ed eternità. Il succedersi delle generazioni segna tempi ancora più ampi, nei quali, mentre passano tante vite che si susseguono e s'incalzano, si manifestano cambiamenti più lenti ma ben più vistosi nell'ambiente in cui gli uomini vivono, nelle loro abitudini, nel loro modo di pensare. Così, attraverso le testimonianze che i nostri antenati ci hanno lasciato e che sono state tramandate nei secoli, ci appaiono il sorgere e il tramontare di altre civil­ tà, di altre culture, in diverse zone della superficie terrestre, in epoche sempre più remote. Queste testimonianze ci fanno scoprire che non tutto ciò che esiste ed è conosciuto da noi è sempre esistito ed è stato sempre conosciuto. Ciò non ci meraviglia troppo, specialmente in un'epoca co­ me la nostra in cui non c'è nessuno talmente giovane da non ricordare l'introduzione di qualche novità nel corso della sua vita. Ma risalendo nel tempo questo aspetto diventa sempre più impressionante, perché il numero delle cose che ci sono oggi e c'erano anche una volta diviene sempre più piccolo e anche quelle che permangono appaiono, nel pas­ sato, diverse da come sono ora. Partendo dall'epoca presente e procedendo a ritroso, cominceremo col vedere sparire tanti oggetti, come i principali prodotti della nostra civiltà tecnologica, ma vedremo anche comparirne altri, perché pure il passato

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era ricco di arte, di scienza, di pensiero, e moltissime sono le cose ideate e costruite qualche centinaio o migliaio di anni fa, che i prodotti successi­ vi hanno cancellato e distrutto anche se, a volte, relegandone il ricordo in libri e documenti pervenuti fino a noi. Tutto questo avviene, però, solo finché consideriamo poche migliaia di anni. Arretrando ancora vedremo cambiare radicalmente l'ambiente formato dall'uomo. Le grandi città saranno le prime a rimpiccolirsi e a diradarsi ma poi, a poco a poco, tante altre cose si trasformeranno e spariranno : i canali irrigui, i fiumi arginati, i campi coltivati, le case, poi persino le capanne, gli animali domestici, le colture vegetali, frutto di una selezione. Tutto questo per un piccolo passo indietro di qualche decina di migliaia di anni. Proseguendo an­ cora non troviamo più nemmeno l'uomo, che non riusciamo a distinguere dagli altri gruppi di primati; ancora qualche passo indietro e non tro­ veremo più neppure scimmie e proscimmie. Tutto è cambiato. Persino la volta celeste, perché la Terra, col sistema solare, è situata in un'al­ tra parte della Galassia e le stelle che vediamo non sono tutte le stesse di oggi o sono disposte in modo completamente diverso, formando altre costellazioni. Anche le grandi linee dei paesaggi attuali si sono radicalmente trasfor­ mate. Certo, troviamo mari e monti come oggi, ma non vedreste pro­ prio quella valle ampia e ridente o quell'aspro dirupo che ora scorgete da una finestra di casa vostra; al suo posto, in quello stesso luogo, forse c'erano un deserto o una montagna altissima e la vostra stessa casa non avrebbe potuto essere costruita dove si trova adesso. Forse non c'era nep­ pure un terreno, perché non c'era ancora il continente su cui abitate o, pur esistendo, si trovava in un'altra parte della Terra e non era giunto là, dov'è ora. Basta andare indietro di alcune decine di milioni di anni e troviamo continenti e oceani diversi e spostati: retrocedendo nel tempo scopriamo che le terre erano via via più vicine tra loro, al punto tale che circa 200 milioni di anni or sono dovevano essere tutte riunite in un unico, enorme continente chiamato Pangea, che vuol dire 'tutta la terra'. A quei tempi anche la vita sulla Terra era differente, così come diver­ sa, da ora e da allora, fu in tempi ancora più remoti, finché si giunge a un'epoca in cui su tutto il globo terrestre non ce n'era traccia. A quel punto le sole cose che potremmo trovare simili ad altre oggi conosciute sono: la roccia, la lava e i venefici gas dei vulcani. Di tutte le epoche che abbiamo attraversato in un attimo troviamo ampie testimonianze in molti luoghi sezionando il terreno e leggendo il grande libro degli strati che racchiude nei suoi vari livelli, come in al­ trettante pagine, preziosi materiali che, opportunamente letti, ci svelano il passato (TAV. V). Si tratta di impronte di foglie o di rami, tronchi d'albero fossili, scheletri di animali e tanti, tanti altri resti che ci dicono com'era il

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luogo che stiamo esaminando, cosa c'era e chi lo abitava. Attraverso la stratigrafia si può scoprire anche con quale ordine tutto ciò che gli strati contengono ancora come resti si è succeduto nel tempo, vivendo nelle varie epoche come oggi noi viviamo nella nostra. Se il giacimento non ha subito sconvolgimenti, gli strati più recenti sono quelli più alti e sono regolarmente sovrapposti a quelli via via più antichi. Possiamo così sta­ bilire un ordine cronologico per le piante e per gli animali dei quali tro­ viamo i resti scoprendo, a seconda dello strato in cui sono presenti; quali vissero prima e quali dopo. Inoltre, trovando in diversi luoghi strati uguali o contenenti scheletri degli stessi animali, possiamo ricostruire l'aspetto della Terra per ogni epoca in cui si stava formando lo strato in esame. Possiamo vedere quali terre emergevano a quei tempi e quali erano co­ perte dalle acque, quali formavano vaste pianure e quali erano distribuite in colline o altipiani. Possiamo avere informazioni persino sul clima. Lo studio degli strati, insomma, ci permette di scoprire com'era il nostro pianeta nelle varie epoche del passato e con quale ordine tali epoche si sono succedute. Questa ricostruzione della Terra e degli esseri che la popolavano in altri tempi era stata iniziala già due secoli fa; ma se gli strati ci permet­ tevano di stabilire un ordine cronologico, non altrettanto facilmente ci rivelavano la loro età. Furono definite quattro ere suddivise in periodi ma non si riusciva a trovare un metodo preciso per sapere a quando risaliva tutto ciò che si andava scoprendo e quanto erano durati ere e periodi, cioè quanto erano stati lunghi gli intervalli di tempo che li separa­ vano tra loro e da noi. D'altronde non si conosceva neppure l'età della Terra, cioè il punto di partenza dal quale contare i tempi geologici. Da questo stato d'incertezza siamo usciti solo negli ultimi trent'anni usando un orologio che funzionava fin dalla nascita del pianeta con la stessa precisione di oggi. Questo orologio non è astronomico ma ci offre un modo per misurare il tempo con precisione, anche indipendentemente dal moto degli astri. Come è noto, la materia è composta di atomi, ciascuno dei quali, se­ condo lo schema più semplice, è formato da un nucleo, carico positiva­ mente, e da un certo numero di elettroni periferici, aventi una carica elet­ trica negativa che è dello stesso valore per tutti. li numero degli elettroni periferici è tale che la somma delle loro cariche negative neutralizza quella positiva del nucleo. Quest'ultimo, a sua volta, è composto da neu­ troni e da protoni che sono particelle pesanti aventi la stessa massa. Dei due, i primi sono elettricamente neutri, come è indicato dal nome, men­ tre i secondi hanno carica elettrica positiva, dello stesso valore di quella degli elettroni ma di segno contrario. Il numero di protoni presenti nel nucleo atomico di un elemento determina le caratteristiche chimiche

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e fisiche dell'elemento stesso, e si chiama numero atomico. Cambiare numero atomico significa passare da un elemento all'altro. Se due o più atomi di uno stesso elemento hanno nuclei di peso diverso, vuol dire che è diverso il numero di neutroni presenti nel nucleo. In tal caso si dice che sono isotopi di quell'elemento. Gli isotopi hanno dunque il mede­ simo numero atomico ma hanno diverso il numero di massa, cioè la som­ ma dei neutroni e dei protoni (che si scrive accanto al nome o al simbolo chimico dell'elemento). Come esempio consideriamo un atomo di elio che ha due protoni e due neutroni nel nucleo, e due elettroni periferici. Se togliamo uno dei due elettroni diventa un atomo di elio ionizzato una volta; se togliamo anche un protone diventa un atomo d'idrogeno, con una massa supe­ riore a quella normale, detto trizio; se a questo togliamo un neutrone diventa un atomo d'idrogeno pesante, chiamato comunemente deuterio: se poi togliamo anche il secondo neutrone otteniamo un atomo composto da un protone e un elettrone. Qust'ultimo è l'atomo dell'idrogeno co­ mune; gli altri due sono isotopi dell'idrogeno molto più rari. In natura esistono elementi instabili nei quali la massa e la carica elet­ trica dei nuclei, nonché il numero degli elettroni periferici, cambiano col tempo. In breve, sono elementi che si trasformano spontaneamente in altri. Prendiamo ad esempio l'atomo dell'uranio, il più complesso esisten­ te in natura, e più precisamente uno dei suoi isotopi, l'uranio-235, com­ posto da un nucleo con numero di massa 235 e da 92 elettroni periferici. Quest'atomo è instabile, cioè perde progressivamente alcuni protoni, neu­ troni ed elettroni e si trasforma in atomi sempre meno pesanti e con numero atomico sempre più basso, fino a diventare piombo con numero atomico 82 e numero di massa 207. L'intervallo di tempo impiegato da una certa quantità di uranio-235 per trasformarsi in piombo-207 si può determinare facilmente. Si è trovato così che il tempo impiegato dalla metà di un certo quantitativo di uranio-235 a trasformarsi in piom­ bo-207 è sempre lo stesso. Questo intervallo si chiama periodo di di­ mezzamento. A questo punto l'uranio può essere usato come una clessidra che mi­ sura il tempo attraverso il numero di granellini di sabbia che sono pas­ sati dalla parte superiore a quella inferiore. Chiudiamo una certa quantità di uranio-235 in una scatola e riapriamola dopo un certo tempo: dal numero di atomi di uranio divenuti piombo-207 sapremo quanto tempo è trascorso. Va sottolineato che ciò che è costante è il periodo di di­ mezzamento, cioè il tempo necessario per trasformare la metà del quan­ titativo di uranio rimasto ogni volta .. Nel caso dcll'uranio-235 il perio­ do di dimezzamento è di 7 I 3 milioni di anni. Se ne prendiamo 100 gram­ mi saranno necessari 713 milioni di anni per trasformarne SO grammi

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in piombo-207; · nei successivi 713 milioni di anni non si trasformeranno in piombo i restanti 50 grammi ma solo 25, negli altri 713 milioni-solo la metà dei 25 grammi rimasti e così via. A causa di questa legge che re­ gola il decadimento radioattivo, anche una piccola quantità di uranio è sufficiente a misurare tempi lunghissimi. Se troviamo una roccia che nel formarsi incorporò una certa quantità di uranio, dalla quantità di piom­ bo oggi presente in essa e tenendo conto del fatto che all'inizio anche il piombo attuale doveva essere uranio, ricaviamo il tempo trascorso, cioè quanti anni fa la roccia si formò e incorporò l'uranio. Il metodo che abbiamo appena visto vale anche per altri elementi ra­ dioattivi, cioè instabili. La TAB. I elenca gli isotopi radioattivi più im­ portanti per la datazione delle rocce e degli strati, in quali elementi si trasformano e i rispettivi periodi di dimezzamento in milioni di anni. L'uso di questo metodo ha permesso di collocare m,I tempo tutti quei reperti che avevamo incontrato nel grande libro degli strati, dal quale potevamo ricavare solo che cosa c'era stato prima e che cosa dopo. Ci sarà utilissimo quando saliremo, dall'epoca dell'origine della Terra a oggi, lungo il cammino evolutivo percorso. Ora, invece, lo utiliz­ zeremo continuando a risalire indietro nel tempo, cercando reperti sempre più remoti, fino a determinare il momento in cui nacque la Terra stessa. Datando oggetti sempre più antichi, ci accorgiamo che, da un certo punto in poi, non troviamo altro che rocce, poi neanche quelle. Le più antiche sono state trovate in Groenlandia e hanno un'età di 3,75 miliardi di anni. E,; possibile che esistano rocce anteriori, ancora da scoprire, ma certamente non troveremo mai una roccia che si formò nel momento in cui nacque la Terra e sia poi rimasta immutata.

TAB.1- PRINCIPALI ISOTOPI RADIOATTIVI USATI PER DETERMINARE L'ETA DELLE ROCCE Sostanza

Sostanza

madre

figlia

Periodo di dimezz■menlo (milioni di anni)

uranio-238

piombo-206

uranio-235

piombo-207

713

torio-232

piombo-208

13 900

argo-40

IISSO

potassio-40

rubidio-87

30

{

calcio-40

stronzio-87

4Sl0

1470

soooo

DAL VIAGGIO NELLO SPAZIO AL VIAGGIO NEL TEMPO

Per scoprire la data di nascita della Terra si è dovuto ricorrere quindi a un altro metodo, cioè alla determinazione dell'età di altri corpi celesti che si ha ragione di ritenere che nacquero insieme a essa come la Luna e i meteoriti. Con questo metodo è risultato che la Terra è nata 4,6 miliardi di anni fa. Naturalmente a quell'epoca non c'era ancora la crosta terrestre ed è per questo che non troveremo mai sulla Terra una roccia con quel­ l'età. Forse c'erano solo polveri e frammenti solidi che si stavano aggre­ gando e poi sarebbero fusi; forse solo materiale fuso. Certamente non c'era la Terra di oggi. Comunque la Terra, la Luna e, più in generale, il sistema solare non sono eterni ma si sono formati in un'epoca remotissima ma ben defini­ bile e la mutevolezza del mondo che avevamo cominciato a conoscere dall'instabilità dei cicli e dalla loro sostanziale inconsistenza, si spinge fino al punto di rendere inesistente anche ciò che oggi esiste in modo talmente solido ed evidente da darci la sensazione di esserci da sempre. Naturalmente al posto del sistema solare esisteva qualcos'altro, per esem­ pio la materia che l'ha formato, e questa, forse, esisteva dall'eternità o era stata creata appena prima. Una cosa è certa: che il sistema solare, come tale, ha avuto origine poco più di quattro miliardi e mezzo di anni fa. Prima di quel momento il sistema solare non esisteva e, quindi, non c'era neppure il nostro pianeta. Origine dell'universo e della Terra

Nella nostra visione iniziale dell'universo ci eravamo accorti che tutte le galassie si allontanano l'una dall'altra. Quest'osservazione induce a con­ cludere che l'universo intero si espande e conseguentemente che le ga­ lassie, in passato, erano tutte più vicine tra loro. Quindi, osservando le galassie oggi, si può risalire a un'epoca in cui tutta la materia era riu­ nita in uno spazio ridottissimo. forse in un punto. In quel momento deve aver avuto origine l'universo. Si può assumere che ciò avvenne 15 mi­ liardi di anni fa*. A quell'epoca si verificò una colossale esplosione ben nota col nome di big-bang e con essa ebbero origine anche il tempo e lo spazio. La scoperta del big-bang ci dice che tutto l'universo e non solo la Terra ha avuto un'origine. E ci dice anche qualcosa di più: che l'uni­ verso è nato almeno 15 miliardi di anni fa. Ma la Terra e il sistema

• L'età dell'universo è attualmente molto controversa pe1ché dipende dalla costante di Hubble (H) per la quale le misure attuali danno valori molto discordanti. li valore di _JS miliardi di anni è stato qui adottato dopo la 18.,, Assemblea dell'Unione Astronomica Internazionale (agosto J 982) nella quale sono slati discussi i più recenti risultati sulla costante di Hubble ed è emerso che le stelle più antiche si formarono almeno 15 miliardi di anni or sono.

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solare, come è stato trovato in questi ultimi anni, hanno avuto oriitine meno di 5 miliardi di anni or sono. C'è stato, dunque, un lunghissimo periodo di tempo, circa il doppio di quello trascorso dalla formazione della Terra a oggi, in cui esisteva già l'universo, con i suoi milioni di galassie, miliardi e miliardi di stelle, ma non c'erano né la Terra, né gli altri pianeti del sistema solare. Cosa c'era al loro posto? Il resto dell'universo era come oggi? E il ritardo della nascita della Terra ha avuto conseguenze per il nostro pianeta e in particolare per noi, esseri viventi, che oggi l'abitiamo? A queste domande e a tante altre simili, oggi, finalmente, possiamo cominciare a rispondere.

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II Origine, vita e fine delle stelle

CARATTERISTICHE FONDAMENTALI

Per sapere come si sono formati il Sole e la Terra la prima cosa da fare è cercare di scoprire come si formano le stelle. Se oltre a questo riuscire­ mo pure a trovare come si evolvono e finiscono, potremo giungere anche a ricostruire completamente la vita del Sole e a prevederne il destino. E soprattutto potremo avere un'idea di come funziona l'universo o, meglio, quella piccola parte che possiamo vedere e studiare più agevolmente, at­ traverso i corpi celesti della zona in cui ci troviamo. Purtroppo la nostra vita è ben poca cosa rispetto a quella delle stelle, che si trasformano tanto lentamente da non esserci nulla al mondo che ispiri il senso dell'immuta­ bile e dell'eterno come la volta celeste. Se le stelle cambiano non possia­ mo sperare di scoprirlo seguendone alcune nel corso della nostra vita e neppure nel giro di alcune generazioni di astronomi che si tramandino le osservazioni per qualche secolo. Il metodo che dobbiamo adottare è un altro. Immaginiamo un extraterrestre che non sa nulia della vita sul nostro pianeta e che, giungendo in una nostra città, vede gli abitanti come bam­ bini, ragazzi, adulti e vecchi. Egli vuole scoprire se quegli uomini riman­ gono sempre gli stessi, come gli dei di Omero in vetta all'Olimpo, o se sono soggetti a cambiamenti, a uno sviluppo nel tempo e, addirittura, a un principio e a una fine. Restando molti anni in mezzo a loro non gli sarebbe difficile sco­ prire la verità, anche se gli abitanti di quella città vivessero per la mag­ gior parte fino a cent'anni. Ma il nostro extraterrestre ha i minuti con­ tati e deve far tutto rapidamente, in meno di un giorno, servendosi

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solo dei mezzi d'indagine della moderna biologia e della sua fervida in­ telligenza. Cercherà allora di studiare il corpo umano, di spiegarne il fun­ zionamento e forse giungerà a scoprire l'esistenza di un metabolismo e a trovare che, nei giovani, prevalgono i processi di assimilazione e sintesi e, nei vecchi, quelli di disassimilazione e disintegrazione. Se sarà tanto fortunato da capitare in una clinica ostetrica potrà assistere a una nascita e, visitando le sale, potrà vedere tanti altri esseri che riterrà nati da poco, per la loro generica somiglianza con quello che ha visto appena uscire dal grembo materno. In un ospizio potrebbe assistere alla morte di un vecchio e vedere e studiare gli organismi degli altri pensionanti, dai quali avrebbe utili informazioni sulle ultime fasi della vita umana. Con questo metodo potrà ripartire per il suo pianeta con un quadro abbastanza chia­ ro della vita degli uomini anche senza essere riuscito a seguire la vita intera di uno solo di essi. Qualcosa del genere succede agli astronomi. Ma le stelle vivono molto più a lungo dei vegliardi centenari. Il Sole esiste da oltre quattro miliardi e mezzo di anni e vivrà almeno altrettanto. Ponendoci nell'ipotesi, favo­ revole, di stelle che vivono un miliardo di anni e tenendo presente che le osservazioni stellari delle quali possiamo disporre sono state accumu­ late soprattutto nell'ultimo secolo, si trova facilmente che la frazione di vita della stella che abbiamo sott'occhio è brevissima. A conti fatti, è co­ me se l'extraterrestre di prima, per scoprire che gli uomini della città nascono, si trasformano e muoiono, avesse a disposizione solo 52 minuti. Nonostante questo cerchuemo di farcela. Se riusciremo avremo in pre­ mio una visione che ci compenserà molto di più di quella che può offrirci una notte stellata, immobile nel suo splendore. Sarà una visione che do­ vremo conquistare a poco a poco, osservando e ragionando, come si sco­ pre un panorama, sempre più da lontano ma sempre più vasto, man mano che si sale faticosamente su una montagna, verso la vetta. Ma il pano­ rama che la nostra mente potrà scorgere alla fine sarà una prospettiva mutante, che ci mostrerà ciò che è accaduto nel passato, quando noi an­ cora non c'eravamo, e ciò che accadrà nel futuro, quando non ci saremo più. Una prospettiva che, oltre a farci spaziare nel cosmo, ci estenderà nel tempo, come se avessimo enormemente aumentato la durata della nostra vita. Connotati essenziali delle stelle

Cominciamo con una semplice riflessione: le stelle devono cambiare col tempo. La ragione è semplice. Esse splendono perché producono e di­ sperdono energia sotto forma di luce, di calore e di altri tipi di radiazio­ ne. E, come in una stufa la legna che brucia alla fine diventa cenere che non brucia più, anche nelle stelle deve avvenire qualcosa di simile. Ciò

34

ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

100000

10000

1000 /S', s,

100

Flg,5

Rappresentazione

delle

stelle nel diagramma temperatu­

10

ra-luminosità. Come unità di mi­



sura della luminosità, L, si pren­ de la luminosità del Sole, L,,. e

s,

per la temperatura Il grado Kel­

vin, K. 11 punto SI rappresenta una stella che ha la luminosità e la temperatura del Sole, mentre S, Indica una stella molto più lu­ minosa e calda. Se col tempo la stella aumentasse di luminosità diminuendo di temperatura, il suo punto nppresentativo si spo­ sterebbe, ad esempio, da S1 a S'i•

1/10

11100

40000

25000

16000 10000 temperatura (K)

6300

che si tratta di scoprire non è dunque se cambiano ma come cambiano. Ogni stella ha certe caratteristiche fisiche e chimiche fondamentali, come la massa, la luminosità, la composizione chimica, una certa tempe­ ratura negli strati più esterni e una, maggiore, nel suo interno. Durante la vita della stella tutte queste caratteristiche, quale più quale meno, va­ riano. Variano la massa e la composizione chimica, entrambe difficil­ mente osservabili. La prima perché si può ricavare solo per alcune stelle doppie e la seconda perché i suoi mutamenti si svolgono essenzialmente nelle zone interne, a noi invisibili. Ctò che invece possiamo ricavare dalle osservazioni, in un gran numero di casi, sono la luminosità e la tempe­ ratura superficiali, che sono anche le grandezze fisiche che devono cam­ biare maggiormente. Per la verità dalle osservazioni non ricaviamo direttamente la tempe­ ratura e la luminosità ma gli spettri (o i colori) e le magnitudini assolute che permettono, però, di risalire alle prime due. I teorici, invece, parten­ do da grandezze fisiche effettive o ipotizzate, giungono a ottenere diret35

4000

tamente luminosità e temperatura. In entrambi i casi si possono raffigu­ rare i risultati in un diagramma che ha in ascisse i tipi spettrali o gli indi­ ci di colore (-:ntrambi rappresentabili con numeri) e per ordinate le ma­ gnitudini assolute, oppure in uno avente direttamente temperature (nelle ascisse) e luminosità (nelle ordinate). È evidente che una stella avente una ben determinata temperatura e luminosità è rappresentata nell'uno o nell'altro dei due diagrammi con un punto. Un'altra stella avente tem­ peratura e luminosità diverse sarà rappresentata con un altro punto in altra posizione. Se poi in una medesima stella cambiano la temperatura o la luminosità o entrambe, il punto che la rappresenta si sposta sul piano al passare del tempo (FIG. 5). Entrambi i tipi di diagrammi, formati dal­ l'insieme delle stelle con t-:mperature e luminosità diverse, si chiamano 'diagramma di Hertzsprung e Russell' o più brevemente, oggi, 'diagram­ ma H-R.' Il diagramma di Hertzspruog e Russell

Hertzsprung e Russell, all'inizio di questo secolo, costruirono il loro dia­ gramma, indipendentemente l'uno dall'altro, rappresentando con un pun­ to ogni stella per la quale erano noti lo spettro e la magnitudine assoluta. Risultò così (FIG. 6) che le stelle non andavano tutte a coincidere nello stesso punto e questo significava che non avevano tutte la stessa tempe­ ratura .e lo stesso splendore. Ma non si disponevano neppure sparpagliate su tutto il piano come sarebbe avvenuto se avessero potuto avere qualsia­ si temperatura e luminosità. Esse andarono a occupare, invece, zone particolari del piano; la maggior parte si dispose più o meno diagonal­ mente secondo una fascia che fu chiamata 'sequenza principale', mentre un altro gruppo abbastanza cospicuo andò a collocarsi in una zona a destra, in alto. Le stelle di questo secondo gruppo hanno gli stessi tipi spettrali e quindi le stesse temperature superficiali (basse) di quelle più deboli della sequenza principale ma sono molto più luminose di quest'ul­ time. Se la temperatura è la stessa, per una nota legge fisica, detta di Stephan, devono emettere la stessa quantità di radiazione per unità di superficie. In altre parole un metro quadrato della stella debole emette la stessa quantità di luce di un metro quadrato della stella brillante. Il diverso splendore tra le stelle dei due gruppi deve essere dovuto quindi unicamente a una maggiore o minore area della superficie. Si concluse che le stelle più deboli della sequenza principale dovevano essere molto più piccole e furono chiamate 'nane rosse' mentre quelle del gruppo stac­ cato, in alto, dovevano essere grandissime e furono chiamate 'giganti rosse'. Fin dai primi tempi, inoltre, risultò che sul diagramma H-R c'erano anche stelle più luminose delle giganti rosse, indicate col nome di 'super-

36

ORIGINE, VITA E. FINE DELLE STELLE

-.. .

-5

...... ·.,

!\ 10

.· .. Fl1,6 Diagramma di Hertz­ spruog-Russel, per punti. La maalor parte delle stelle si di­ spone In una striscia obUqua: dall'alto, a sinislra, In basso, a destra. A destra, sopra la se­ quenza principale, il grosso rag­ gruppamento delle giganti rosse.

..

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:·• ·, T

15

o

A

G tipo spettrale

K

M

giganti' e stelle deboli come le nane rosse ma generalmente bianche, che furono denominate ·•nane bianche'. Questi gruppi apparivano costituire una sparuta minoranza, ma c'era da domandarsi fino a che purito ognuno di essi fosse rappresentativo, cioè quanto esprimesse la reale percentuale del gruppo in seno alla totalità delle stelle esistenti nello spazio. In ef­ fetti il diagramma H-R era stato costruito prendendo tutte le stelle per le quali •si era potuto ottenere lo spettro e ricavare la distanza, che ge­ neralmente erano le più brillanti. In questo modo le stelle intrinsecamente più luminose erano state favorite. Le giganti rosse apparivano dunque, 37

MS

forse, come un gruppo cospicuo solo perché erano ben visibili anche a grandi distanze, mentre le nane bianche potevano apparire poco nume­ rose solo perché, a causa del loro debole splendore, vediamo appena le più vicine. In seguito, infatti, rimuovendo questo effetto selettivo per quanto possibile, per esempio considerando solo tutte le stelle entro una certa distanza da noi, risultò che 1'85 % delle stelle appartiene alla se­ quenza principale, il 3-6% sono nane bianche e il rimanente 10% è rappresentato da giganti, supergiganti e stelle di altri tipi. Il diagramma H-R è la chiave osservativa che ci permette di risolvere il problema dell'evoluzione stellare. Dalla similitudine della stufa abbia­ mo capito che, col passare del tempo, la temperatura e la luminosità di una stella devono cambiare. Abbiamo poi visto che ciò si manifesta con uno spostamento del punto che la rappresenta sul diagramma temperatu­ ra-luminosità, cioè in pratica sul diagramma H-R. Dunque il diagramma H-R non corrisponde a punti occupati da stelle diverse che rimangono sempre nella stessa posizione. Questo è certamente vero in un dato mo­ mento ma, dato che col passare del tempo le stelle si spostano perché per ognuna cambiano temperatura e luminosità, i diversi punti rappre­ sentativi delle stelle corrispondono anche a posizioni diverse che viene a occupare, sul diagramma H-R, una stessa stella nel corso della sua vita. Per scoprire come si evolvono le stelle bisogna trovare dunque come si muovono su questo diagramma; quali sono i punti che occupano alle di­ verse età e in quale ordine. Forse le stelle nascono giganti e poi diven­ tano nane o forse avviene il contrario. È possibile infine che ci sia qual­ che gruppo di stelle in cui la temperatura e la luminosità di ciascuna non sono le stesse di quelle delle altre per ragioni diverse da quelle evolutive e rimangono inalterate, se non per l'eternità, almeno per tempi lunghissi­ mi. Tutti questi problemi sono stati risolti soddisfacentemente solo negli ultimi anni e, risolvendoli, sono state compiute anche altre scoperte che, oltre a mostrarci come si evolvono le stelle, ci hanno rivelato come si fabbricano gli elementi, come siamo giunti al mondo attuale e come si è evoluto finora l'intero universo. FORMAZIONE DELLE STELLE

Nello spazio interstellare ci sono grandi quantità di gas e polveri, visibili come nebulose chiare se sono illuminati o eccitati da una stella vicina e come nebulose scure se nessuna stella li illumina ma si proiettano su uno sfondo ricco di stelle o su una nebulosa luminosa. Questo materiale è composto per quasi 1'80% d'idrogeno, per quasi il 20% di elio e per una piccola percentuale (quella corrispondente alla 5omma dei due 'qua­ si') da tutti gli altri elementi. È da questo gas e da queste polveri che si

38

ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLI!

formano le stelle •. Sorgono generalmente a gruppi, quando il materiale interstellare viene in qualche modo accumulato, poi fr2mmentato e infi­ ne concentrato nell'ambito di ogni frammento. Tutto questo può avveni­ re in diversi modi, ma per ora non ci fermiamo a vedere come può suc­ cedere. La cosa più importante è che abbiamo scoperto che i frammenti in contrazione esistono e sono stati osservati e, stando così le cose, pre­ feriamo vedere subito quello che succede. Con queste osservazioni che ci mostrano non la nascita delle stelle ma l'accumularsi del materiale che si sta avviando a formarle, iniziamo un'avventura nel corso della quale di­ verremo partecipi non solo dell'origine, della vita e della fine delle stelle ma anche di quelle dei pianeti e di uno dei tanti mondi, la Terra, nel qua­ le entriamo come protagonisti, temporanei ma coscienti, anche noi stessi. I globuli oscuri

Nel 1947 B.J. Bok ed E.F. Reilly osservarono e studiarono nebulose oscure rotonde e dense, da allora in poi chiamate 'globuli di Bok' o, più semplicemente, 'globuli'. Queste nebulose sono di due tipi: più piccole, visibili quando si proiettano avanti a una nebulosa luminosa (FIO. 7) e più grandi, osservabili come macchie nere rotonde sullo sfondo del cielo stellato (FIO. 8). Si è pensato che in entrambi i casi costituissero la nube di gas e polveri che, contraendosi e scaldandosi, si accende in una stella. I globuli più piccoli sono stati criticati in questo senso da G.H. Herbig. Quelli più grandi, invece, osservati in questi ultimi tempi con mezzi ot­ tici e radio, si sono rivelati per quello che si sospettava: nubi oscure e fredde in fase di collasso gravitazionale, nelle quali, cioè, tutto il materiale precipita in caduta libera verso il centro della nube, dal quale è attratto. L'osservazione di otto globuli ha permesso di scoprire che le loro tem­ perature sono bassissime, intorno a IO K, che hanno raggi compresi tra I e 3,8 anni luce, masse comprese tra I 9 e 750 volte quella del Sole e, come si è detto, che sono tutti in fase di collasso. Inoltre mentre i globuli con masse intorno a 20 volte quella del Sole possono formare una sola stella. anche se pesante, nel caso eccezionale del più grande di essi, che ha una massa 740 volte quella del Sole, si deve giungere certamente alla formazione di un gruppo di stelle. Fermiamoci al caso di una singola stella. Nella nube che collassa, l'e­ nergia dovuta al moto del materiale che cade verso il centro si trasforma in calore; la temperatura del globulo aumenta, soprattutto nella zona cen­ trale. e fa evaporare la polvere, riducendo tutto il materiale allo stato 0 Per una dcscri7ionc introduniva della nascila delle stelle e dei luoghi in cui si svolge 1-i veda Al 1/i là della L11na, ... ,,.p, V.

39

Fig.7 Nebulose oscure nella Roselte Ncbul:1. Si noli che akunc di esse sono prc-.­ soché rolonde e di piccolissime dimensioni. Si rilicnc 1..·he si tratti di 1-:lohuli 03c11ri. doè di malcri:.tle in coll:tsso gravitazionale: la rase ini:,.i:1h: di formazione di una stella.

40

OJU(.,J;',I

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l>I 111 '>11:111

Fig.8 Un globulo oscurn, B�1rn;1rd 335 (\·isihile come 11n:1 zona OSl'Ura, cioè prh·a di stelle, al centro, lcggcrmcntt: in alto), davanti a 1111 campo slcllarc. L.1 foto­ �rafia è stata eseguii.a mcdhtntc il telescopio di 2.25 mclri dell'Osservatorio Sic" .ird.

atomico. Man mano che gli atomi si avvicinano al centro della nube, an­ che la pressione cresce fino a divenire abbastanza alta da bilanciare la forza di gravità e opporsi alla caduta del materiale soprastante. A questo punto il collasso si arresta: è sorta una protostella. Questa fase è, ovviamente, relativamente rapida, almeno rispetto a tutta la vita di una stella. In quelle di massa maggiore dura qualche cen­ tinaio di migliaia di anni, nelle altre pochi milioni. Le protostelle

H collasso si è arrestato, il materiale si è acceso, anche se non vediamo nulla perché questo avviene solo nella parte interna ancora circondata da un bozzolo di polvere, ma la stella vera e propria ancora non si è for­ mata, non essendoci produzione di energia all'interno. Cosi. anche se si 41

è arrestato il collasso, l'energia continua a essere prodotta attraverso la contrazione gravitazionale che però, ora, avviene lentamente. Come ci dice un'importante relazione nota col nome di 'teorema del viriale', metà dell'energia così sviluppata viene emessa all'esterno e metà serve a scal­ dare sempre più l'interno. Col passare del tempo, quindi, la temperatu­ ra aumenta e il bozzolo di polvere si dilata e si disperde nello spazio circostante. Al dissolversi dell'involucro oscuro la protostella diviene visibile. Intanto, continuando a contrarsi, la temperatura interna aumenta sem­ pre di più finché non diviene talmente alta da provocare l'avviamento di reazioni termonucleari •. In prima approssimazione si può dire che du­ rante questa fase i due principali gruppi di reazioni sono il ciclo 'protone­ protone', che si svolge a temperature comprese tra IO milioni e 16 milio­ ni di gradi, e il ciclo 'carbonio-azoto', dominante a temperature comprese tra 16 e 30 milioni di gradi. In entrambi i casi si ha la trasformazione dell'idrogeno in elio con una perdita di massa del 7%o che si tramuta in energia secondo la celebre formula di Einstein:

E = mc:2

dove E è l'energia sviluppata dalla massa che si perde (m) e e è la velo­ cità della luce. A questo punto la produzione di enc-rgia all'interno della protostella è salita tanto da arrestare la contrazione gravitazionle e l'og­ getto assume un assetto stabile che rimane tale finché tutto l'idrogeno interno non si è trasformato in elio, cioè, a seconda dei casi, per milioni o miliardi di anni. Finalmente si può affermare che è sorta la stella. I teorici, esprimendo con calcoli e in forma quantitativa queste di­ verse fasi della formazione delle stelle, sono giunti a ricavare le tempe­ rature superficiali e le luminosità che le stelle in formazione devono ave­ re momento per momento e, quindi, come si spostano al passare del tem­ po sul diagramma temperatura-luminosità. Hanno così trovato che lo spo­ stamento è diverso a seconda della massa della protostella. Prendiamo il caso di una stella con una massa una volta e mezza quella del Sole. In principio la luminosità diminuisce perché la stella si contrae molto. ma la temperatura e l'emissione di energia, per unità di superficie, aumen­ tano poco. Poi la temperatura cresce più rapidamente, la velocità della contrazione rallenta e la stella torna ad aumentare la sua luminosità. La FIG. 9 mostra come, secondo i calcoli eseguiti da I. !ben Jr., variano temperatura e luminosità per stelle di masse comprese tra 0,5 Jll 0 e 15 JJl 0, mentre la TAB. II fornisce i tempi impiegati a percorrere i vari tratti. Da esse appare che i tempi di gestazione vanno da 155 milioni di



42

Si veda Al di là della L1111a. CAP. I, §§ Nell'interno del So/e e La /11ci11a ,/egli elementi.

ORIGINE, VITA E FINE DELLE STELLE

anni per le stelle con una massa metà di quella del Sole a 62 mila anni per quelle con massa 15 volte maggiore di quella del Sole. Ciò che caratterizza il vero e proprio momento d'inizio e la 'normale' vita della stella è la sua relativa stabilità. La fase di protostella, infatti, non è così calma e schematica come potrebbe apparire dalla descrizione che ne abbiamo fatta e dai diagrammi ricavati teoricamente. Non dimen­ tichiamo che è un periodo in cui tutto cambia continuamente e tutto si sta formando: dalla struttura della stella a un eventuale sistema di pia­ neti, ancora sotto forma di un involucro o di un disco di polvere intorno a essa. Le osservazioni lo dimostrano ampiamente. Innanzi tutto sono state scoperte stelle ancora immerse nel bozzolo di polvere e, forse, anche nella fase in cui cominciano a uscirne. A quel punto non si vede nulla perché l'involucro di polvere intercetta la luce e la radiazione ultravio­ letta emesse dalla protostella all'interno. Ma l'involucro non può annul­ lare l'energia da esso stesso assorbita, può solo trasformarla e riemetterla principalmente sotto forma di radiazione infrarossa. Infatti, già una decina di anni fa si erano cominciate a scoprire sor­ genti infrarosse in zon-: in cui si formano le stelle, come la nebulosa di Orione, e si sospettava che fossero bozzoli nei quali erano racchiuse pro­ tostelle o, addirittura, stelle ad alta temperatura. Una delle prime era stata la sorgente infrarossa di Becklin-Neugebauer, così chiamata dai nomi di coloro che la scoprirono nel I967, oggi indicata, più brevemente, come 'sorgente 8-N'. Nel 1978, effettuando osservazioni spettroscopiche infrarosse col telescopio di 4 metri di diametro di Kitt Peak, D.B. Hall e collaboratori hanno trovato che al centro della sorgente B-N c'è una stella di tipo BO o BI, cioè ad alta temperatura, circondata da una zona compatta d'idrogeno ionizzato e da una regione di polvere calda più ampia. Oltre alla stella hanno scoperto anche un'estesa nube circumstel­ lare di ossido di carbonio in espansione, soffiata via dal vento stellare che, secondo gli stessi scopritori, agirebbe da meno di 1800 anni. La sor­ gente B-N non sarebbe quindi una protostella ancora nella fase di col­ lasso gravitazionale ma una vera e propria stella, che da 1800 anni sta togliendosi di torno il bozzolo dentro al quale è sorta, il residuo del ma­ teriale con cui è stata formata, che ancora ci impedisce di vederla diret­ tamente. Un altro caso interessantissimo è quello di 11 Carinae, un oggetto stra­ ordinario, forse addirittura un gruppo di stelle in formazione, che a volte vediamo splendere attraverso il bozzolo che comincia a squarciarsi *. • Il CAP. IV de / mostri del cielo è interamente dedicato alla storia e all'interpre1azione di questo oggetto celeste eccezionah: e ancora misterioso.

43

100000

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8

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2 3 4

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11100·�-----= ::s�=----=- s""�,--- � -' '------s-'----- ..L---....J 2 ooo 1 ooo 10 ooo 4000 300 temperatura (K)

Flg.9 Percorsi di protostelle di varie llllUle sul diagramma H-R: 11 sinistra del trac• clatl è lndlc:11111 111 massa; I numeri Indicano le posizioni della protostella alle età suc• cesslve che vengono riportate, per clucuna delle lllll5le date nel grafico, nella Tab. D.

Ma veniamo alle protostelle visibili otticamente. I loro comportamenti, strani e diversi, esprimono bene lo stato caotico e provvisorio in cui si trovano ma mostrano pure che, ·se nelle linee generali il quadro che ci siamo fatto viene confermato, nei dettagli ci sono ancora molti misteri da risolvere. E forse non si tratta solo di dettagli. Molte di esse (le cosid44

ORIGINE, VITA E FINE DELLE STELLE

TAB. Il • TEMPI TRASCORSI A PARTIRE DAL MODELLO INIZIALE PER PROTOSTELLE CON MASSE COMrRESI-.: TRA 15 E 0,5 Jll0 Posl:r:ione delle proloslelle sui tracciati di Fi1:. 9

I

2 3 4

s

6 7 8

15 ..Jllc-,

decine di anni

67 377 935 2203 2657 3984 4585 6170

9 ..Jllr.,

5 ..Jllr:-

centinaia di anni

14 15 364 699 792 1019 1915 1505

294 1069 2001 2860 3137 3880 4559 5759

j .Jlt.,,-, 2,25 ..Jll.., 1,5 ..lll.n 1,25 Jlt.r, 1,0 ..1ll, migliaia di anni

79 594 1883 2505 2818 3319 3993 5855

34 208 763 1135 1250 1465 1741 2514

Adattato da I. lbcn -Jr., in Astrophys. J., voi. 141,

pag.

decine di migliaia di anni

23 236 580 758 862 1043 1339 1821

45 396 880 1115 1404 1755 2796 2954

0,5 ..llt0 ceminaia di migliaia di anni

12 106 891 1821 2529 3418 5016

J

IH H7 309 ISSO

-

-

993 (1965).

dette stelle di tipo T Tauri) presentano spettri anomali che rivelano la presenza di involucri gassosi e un'abbondanza eccezionalmente alta del litio; molte altre cambiano irregolarmente di splendore; alcune rivelano la presenza di materiale che cade sulla protostella dall'esterno; moltissi­ me hanno guizzi luminosi fortissimi, improvvisi, che poi si estinguono in un quarto d'ora o poco più. L'ultimo dei fenomeni scoperti nelle protostelle è quello dei 'fuor'. Si tratta certamente di uno dei più sconcertanti e, secondo Herbig, potrebbe avere un ruolo molto importante nella formazione dei sistemi planetari. Fermiamoci un momento per conoscerlo meglio. Tra l'inizio del 1936 e quello del 1937 nella zona di Orione apparve una stella che negli anni successivi declinò appena di splendore, poi ri­ mase pressoché costante (FIG. 10). li nuovo astro fu chiamato in princi­ pio 'stella di Wachmann', dal nome dell'astronomo amburghese che l'a­ veva scoperto, poi fu inserito nel Catalogo Generale delle Stelle Varia­ bili con la denominazione definitiva FU Orionis. Certo era una variabile perché il suo splendore era enormemente cresciuto, ma che razza di va­ riabile, dal momento che in seguito era rimasta pressoché costante? In principio si era pensato a una nova lenta, dato che dopo un paio di anni di permanenza al massimo aveva accennato a diminuire, ma vedendo in seguito che lo splendore rimaneva costante quest'idea fu scartata. Nel frat­ tempo erano notevolmente aumentate le nostre conoscenze sull'evoluzio­ ne stellare, si era visto che l'oggetto si trovava in una zona in cui si stanno formando stelle e che mostrava uno spettro simile a quello delle T Tauri.

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1955

1960

1965

1970

1975

date {anno)

Curva di luce fotografica della stella FU Orlonis dal 1936 ai 1977. Le di• verse dimensioni dei punti stanno a indicare, in parte, che i dali provengono da astro­ nomi diversi che hanno usato strumenti diversi; i segni a 'v' significano che, alla da­ ta della fotografia, la stella era più debole della magnitudine corrispondente al segno.

Flg.10

Si pensò allora che avevamo assistito alla formazione di una T Tauri, al fatidico momento in cui il collasso gravitazionale porta all'accensione di una protostella. Intorno al 1970, però, si verificò un secondo caso, simile a quello di FU Orionis, ma seguito molto meglio. Una stella della costellazione del Cigno, chiamata poi V 1057 Cygni, aumentò di 250 volte il proprio splendore. variando di 6 magnitudini in 400 giorni (FIG. 11). Al massimo mostrò uno spettro simile a quello di FU Orionis. Ma questa volta si poté ritro­ vare uno spettro ottenuto, per una fortunata combinazione, 12 anni pri­ ma e da quello risultò che la stella era già una T Tauri. Il fenomeno non segna dunque l'accensione di una protostella ma si verifica, per qualche ragione che ci sfugge, in protostelle già accese. La cosa fu confermata nel 1974 quando si trovò un terzo caso: una stella che dal 1949 sta con­ tinuamente aumentando di splendore. Anche questa, denominata V 15 I 5 Cygni, con uno spettro simile a quello delle altre due. Ma c'è di più. In tutti e tre questi casi, con il grande aumento di splen­ dore della stella, era apparsa nelle sue vicinanze una piccola nebulosa ad arco della quale la stella non occupava il centro. Questa nebulosa non poteva essersi formata co_l materiale espulso dall'astro mentre aumentava

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLI!

di splendore. Non che la stella non lo facesse: osservazioni spettroscopi­ che di V 1057 Cygni mostrano che espulse un involucro gassoso, e forse anche più di uno, dapprima alla velocità di 500 km/s, ·poi di 300 km/s. Ma le osservazioni eseguite sulla nebulosa hanno mostrato che è ferma rispetto alla stella. Inoltre, fotografando stella e nebulosa negli anni successivi, si è visto che, man mano che la prima diminuisce di splendore, anche la nebulosa svanisce (FIG. 12). La nebulosa ad arco non si era formata, dunque, col materiale espulso dalla stella durante l'aumento di splendore ma esisteva già ed era apparsa solo perché la stella, essendo divenuta più brillante, era riuscita a illuminarla e a mo­ strarcela. Quasi certamente questa nebulosa si formò durante una prece­ dente esplosione nel corso della quale il gas espulso spazzò via la polvere che era nei dintorni della protostella e costruì l'anello rimasto, centrato sulla posizione che la stella aveva a quell'epoca. Per questo strano fenomeno l'astrofisico sovietico V. Ambartsumian propose, nel 197 1, il nome di 'fuor' tratto dalla sigla FU Orionis. A che cosa sia dovuto non si sa, ma sembra ormai sicuro che consista in un aumento di splendore sporadico, accompagnato dall'espulsione di uno o più involucri di gas ad alta velocità. t:. molto probabile che in un certo periodo della vita di una protostella si ripeta più volte. G.H. Herbig, l'astronomo che ha studiato questo tipo di fenomeni più di tutti, ha cal-

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Fla,11 Curva di luce della stella V 1057 Cygoi nell'arco di tempo che va dal 1968 al 1977. Anche qui Il simbolismo � lo stesso adottato nella figura precedente.

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Fig.12

La stella V 1057 Cygnl e la nebulosa che la circonda. La diminuzione dello splendore della variabile appare chiara dal confronto con quella della stella in alto a sinistra. Si noti come, al diminuire dello splendore della variabile, si vede sempre meno anche la nebulosa che ne riflette la luce. Le foto1rafie sono state ottenute nel• l'arco di tempo dal 1971 al 1975 con Il telescopio Crossley dell'Osservatorio di Llck.

colato che dovrebbe verificarsi una volta ogni lù mila anni. Inoltre ha trovato che altre tre variabili (EX Lupi, VY Tauri e UZ Tauri), diversa­ mente classificate in passato, sono in realtà stelle di tipo T Tauri e han­ no mostrato fenomeni luminosi simili, con aumenti di splendore minori ma molto più frequenti. Ciò fa pensare che una simile attività si verifichi in stelle T Tauri di diverse età, a un livello minore ma più frequente, come se decadesse col passar del tempo. Con la descrizione di questo fenomeno abbiamo finito di seguire le stelle nella fase di formazione. Abbiamo assistito alla loro accensione. Vediamo ora come vivono. La sequenza principale

Come si è detto gli astronomi cominciano a chiamare 'stella' un corpo celeste dal momento in cui iniziano le reazioni termonucleari e il corpo

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

è in equilibrio, cioè non cade più su se stesso e neppure si dilata, dissol­ vendosi nello spazio. Consideriamo ora una stella e supponiamo: che sia in e4uilibrio, che abbia una certa composizione chimica, che possieda una certa massa; in tal caso, come dimostrarono indipendentemente H. Vogt e N.H. Russell nel 1926, la temperatura e la luminosità devono avere, ciascuna, un ben determinato valore. In altri termini, la massa e la composizione chimica di una stella normale determinano esattamente la sua posizione nel dia­ gramma H-R. Prendiamo ora le stelle di un ammasso, anzi di un ammasso giovane come quello immerso nella nebulosa di Orione, nel 4uale molte stelle stanno ancora formandosi. Provenendo tutte dallo stesso materiale devono avere la stessa composizione chimica; quindi, s.: venissero gene­ rate anche con la stessa massa, raggiungendo l'equilibrio dopo la fase di protostella, dovrebbero avere, tutte, temperatura e luminosità uguali, cioè dovrebbero essere rappresentate, nel diagramma H-R, da un unico punto. Ciò non è vero, come risulta dal diagramma H-R costruito in base alle osservazioni, nel quale le stelle sono distribuite soprattutto in una striscia: quella che avevamo chiamato sequenza principale (FIG. 13). Dato che la composizione chimica è la stessa per tutte, la temperatura e la luminosità (cioè la posizione sul diagramma H-R) sono determinate unicamente dal­ la massa. Quindi le diverse posizioni occupate dalle varie stelle lungo la sequenza principale corrispondono a stelle di diversa massa. La FIG. 13 ci mostra, sempre più evidenti andando verso destra, nu­ merosi punti sparpagliati a ventaglio, per la maggior parte non apparte­ nenti alla sequenza principale. Quei punti rappresentano stelle che non hanno ancora raggiunto l'e4uilibrio; in altri termini corpi che non cor­ rispondono a stelle ma a protostelle. Ciò è stato dimostrato anche teori­ camente. Come risulta dalla FIG. 9 e dalla TAB. 11, più le stelle sono pesanti più arrivano rapidamente sulla sequenza principale. Una stella 15 volte più massiccia del Sole impiega appena 50 mila anni, una di 5 .Jll 0 ne impiega 500 mila, una come il Sole 34 milioni e una di 0,5 J/l 0 ad­ dirittura 155 milioni di anni. A questo punto possiamo interpretare com­ pletamente il diagramma H-R della FIG. 13. Dato che il tempo di per­ manenza delle protostelle fuori della sequenza principale è tanto più breve 4uanto maggiore è la massa, è evidente che spostandoci lungo la sequen­ za principale verso stelle di masse elevate ne troviamo sempre meno al di sopra di essa. I punti sparpagliati, a destra, corrispondono dunque alle protostelle di massa minore che, impiegando molto più tempo per arrivare alla sequenza principale, non l'hanno raggiunta e sono ancora nella fase di contrazione gravitazionale. C'è un ultimo particolare da sottolineare. In base al teorema di Vogt e Russell, le stelle considerate, avendo la stessa composizione chimica.

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Fig.13 La sequenza principale del diagramma ff.R cos1ruita per punti da M.F. Walker, con le stelle dell'associazione di Orione. La maggior parte dei punii che rap• presentano le stelle si trova al di sopra della linea di età zero (in nero), perché le stelle corrispondenti non hanno ancora ultimato la fase di contrazione 2ravHaziona­ le che precede l'innesco delle prime reazioni termonucleari. L'effetto è tanto più vistoso quanto più cl si sposta verso destra, dove si trovano le stelle rosse con mHsse inferiori a quella del Sole, conferm111ndo la previsione teorica (si veda la Fig. 9). In questa figura, e in quelle con grafici analoghi, l'indice di colore (in a.scisse) indica la temperatura delle stelle, tanfo maggiore quanto minore è il VHlore dell'indice di co­ lore al quale corrispondono i punti rappresentativi. Le indicazioni che distin"uono gli Indici di colore (qui 8-V) corrispondono alle magnitudini d11 cui sono derivutl. La magnitudine apparente (m) o assoluta (M) è riportata sull'asse delle ordinate.

dovrebbero disporsi secondo una linea e non, come avviene, secondo una fascia. In effetti nella fascia della sequenza principale ci sono anche stelle che stanno arrivando ma non hanno ancora innescato le reazioni termo­ nucleari e, come si vedrà tra breve, stelle adulte che, come tutti gli adulti, al passare di periodi di tempo relativamente lunghi mostrano solo piccole variazioni d'aspetto cioè, nel nostro caso, della temperatura e della lu­ minosità superficiali. La condizione di equilibrio postulata da Yogt e Russell si ha comunque sicuramente nel momento in cui iniziano le rea­ zioni termonucleari. Le stelle che si trovano in questa situazione si distri­ buiscono secondo una linea, chiamala appunto 'linea· di età zero', che corre lungo il lato basso della sequenza principale.

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLI!

EVOLUZIONE DELLE STELLE

La stella si è formata. Si trova sulla sequenza principale, in equilibrio. e dissipa nello spazio luce e calore bruciando il suo combustibile nuclea­ re•. fò chiaro che questo stato non può durare eternamente e che, al massimo quando sarà finito il combustibile nucleare, cesseranno la pro­ duzione di energia e lo stato di equilibrio. A quel punto la stella. in qual­ che modo, dovrà finire. Le migliori prove osservative dell'evoluzione delle stelle si raccolgono attraverso i diagrammi H-R degli ammassi. Questi casi sono i più semplici perché le stelle di ogni ammasso sono un gruppo omogeneo e si può sup­ porre che abbiano la stessa composizione chimica, avendo avuto origine da uno stesso materiale. In ogni caso l'omogeneità della composizione può essere verificata spettroscopicamente ammasso per ammasso. Scartan­ do i casi che non hanno questo requisito, si possono confrontare tra loro solo i diagrammi H-R di ammassi formati da stelle con la stessa compo­ sizione chimica. Se le stelle di ogni ammasso fossero distribuite in tutti allo stesso modo anche per quanto riguarda le masse, dovremmo trovare diagrammi H-R tutti uguali. In realtà ciò non avviene. Perché? La rispo­ sta a questa domanda è la chiave per comprendere l'evoluzione stellare. Non solo ma, come vedremo molto più tardi, il confronto tra diagrammi H-R diversi, corrispondenti ad ammassi più o meno dissimili tra loro, ci fornirà anche la chiave per scoprire come si è evoluto finora l'intero universo. Le stelle degli ammassi

La FIG. 14 mostra i diagrammi H-R degli amma�si: h e x Persei, M 11. il Praesepe, e M 67. In tutti i diagrammi la parte in basso è troncata in corrispondenza delle più deboli stelle raggiungibili col telescopio con cui era stato costruito il diagramma. Inoltre ciascun diagramma è contaminato da un certo numero di stelle di campo, che appaiono proiettate sull'ammasso perché si trovano sulla sua visuale ma in effetti non ne fanno parte essendo più vicine o più lontane. Queste stelle, sul diagramma H-R dell'ammasso, vanno a collocarsi fuori posto. Nono­ stante queste due limitazioni le differenze tra i quattro diagrammi appaio­ no ugualmente notevoli ed evidenti. 11 diagramma del Praesepe mostra nettamente la sequenza principale e quattro stelle giganti; h e x Persei hanno un gruppo di giganti più co• ln effetti, come si è visto, non si tratta dì una vera e propria combustione; per que­ sto, molti astrofisici italiani indicano il fenomeno con la parola 'bruciamento' che con la sua bruttezza, ci aiuterà a ricordare che nell'interno della stella il calore viene pro­ dotto con un processo ben diverso da quello della legna che arde nel caminetto.

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massi: in a) l'ammasso aperto h e X Persei (le magnitudini riportate sono quelle assolute; la linea di età zero è in­ dicata In nero); In b) l'ammasso M li; in cl quello del Praesepe; In d) M 67.

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Adattata da I. lben Jr., in Ann. Rev. Aslron. As1rophys., voi. 5, pag. 571. Il tracciato corrispondcnte a 30 è stato pubblicato da R. Stothers, in Astrophys. J., voi. J 43, pag. 91. La linea di età zero. cioè il momento della 'nascita' della s1clla, corrisponde ai punti I. Si noti la rapidità con cui le Slelle di grande massa attraversano le 1.0ne 3-6, 4-5 e 6-11. t questo il motivo per il quale la corrispondente parte del diagramma H-R si presenta quasi completamente priva di stelle. sa è superiore a 9 ../ll,0 la temperatura d'innesco viene raggiunta nell'inter­ no del nucleo prima che il gas che lo compone degeneri. La stella rimane in equilibrio essendovi produzione di energia nel suo interno e il carbo­ nio e l'ossigeno si trasformano in modo non violento in neo, sodio, ma­ gnesio, silicio e zolfo. A temperature ancora più alte anche questi ele­ menti cominciano a subire complesse trasformazioni termonuc1eari che li conducono in brevissimo tempo a trasformarsi in ferro. :È cosi che nelle stelle di grande massa si fabbricano gli elementi più pesanti, a partire dall'idrogeno. Questo meccanismo, però, non conduce alla produzione di tutti gli elementi esistenti in natura perché, mentre per i nuclei atomici più leg­ geri di quello del ferro la loro fusione libera energia, dal ferro in poi la fusione può essere ottenuta solo fornendo energia. A questo punto, anche se la stella ha massa tale da arrivare a costruirsi un nucleo di ferro, la produzione degli elementi si arresterà in ogni caso e il suo interno sarà formato da tanti gusci di composizione chimica diversa (FIG. 19). Il quadro evolutivo dalla sequenza principale alle giganti e supergiganti rosse risulta ora completo. I calcoli sulla base dei quali siamo stati in grado di seguire l'evoluzione delle stelle delle diverse masse hanno con­ dotto, anche in questo caso, a trovare le temperature e le luminosità alla

ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

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Flg.lO Evoluzione delle stelle con masse da 30 a 0,5 Jll 0, a partire dal momento In cui nascono, raggiungendo la linea di età zero (punti 1). Le zone Indicate con let• tere corrispondono a: Hc = bruciamento dell'idrogeno vicino al centro della stella; G = contrazione gravitazionale dell'intera stella; HTS = bruciamento dell'idrogeno in uno spesso Involucro Interno; Hs = bruciamento dell'idrogeno in un involucro interno sottile, Hc = bruciamento dell'elio in prossimità del centro e dell'idrogeno in uno stnto sottile. Nella Tab. lii sono dati i tempi necessari per passare da un punto al• l'altro per stelle da 30 .J/l 0 a 1 .JJl0 e, nella nota, vengono fatte alcune considerazioni.

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superficie, che sono state riportate nel diagramma H-R della FIG. 20 •. Esaminando la FIG. 20 con l'aiuto della TAB. III, possiamo ricavare la durata della vita delle stelle di varie masse, partendo, appunto, dalla linea di età zero. In particolare vediamo che i tratti 3-6 e 4-5 per le stelle di grande massa, quindi più luminose, pur essendo lunghi vengono per­ corsi in poche decine di migliaia di anni, mentre per quelle della massa del Sole o poco superiore sono brevi ma percorsi in centinaia di milioni di anni. Si spiega così sempre meglio come mai nel diagramma H-R de­ gli ammassi, mostrato dalla FIG. 15, nella parte alta, corrispondente alle stelle di massa maggiore, c'è un ampio vuoto tra quelle della sequenza principale e le giganti rosse da essa provenienti, mentre per quelle intorno alla massa del Sole il passaggio è occupato da una successione di stelle continua: nella zona del diagramma H-R in cui le stelle permangono più a lungo è più facile trovarne. È la stessa ragione per cui andando a caso in un ufficio aperto solo un'ora al giorno lo troviamo sempre chiuso mentre un locale con otto ore di apertura continuata ci sembra sempre aperto. LA FINE

Come si è visto l'evoluzione di una stella non può procedere oltre la for­ mazione di un nucleo di ferro. Nel caso delle stelle più pesanti questa fase segna dunque l'arresto definitivo della produzione di energia termo­ nucleare all'interno della stella . .È la fine. Il materiale, non più sorretto dall'energia prodotta nelle zone più interne, collassa rapidamente verso il centro, liberando una quantità enorme di energia gravitazionale che squarcia la stella in una colossale esplosione, la polverizza e ne lancia i resti nello spazio in tutte le direzioni. Una parte di questa energia di­ sperde il materiale ma una parte serve a provocare la fusione degli ele­ menti di peso atomico inferiore a quello del ferro, cht possono trasfor­ marsi in altri di peso atomico superiore. Si formano così, in brevissimo tempo, mentre la stella si autodistrugge violentemente, la maggior parte degli clementi di peso atomico superiore al ferro, come l'argento, l'oro, il mercurio, il piombo. Quando questa immane catastrofe è visibile dalla Terra appare come la rapidissima accensione di una stella che chiamia­ mo 'supernova'. Come si è visto questa fase viene raggiunta da stelle con masse molto grandi. Ma possono esplodere anche stelle di massa inferiore, per esem0 J tracciati evolutivi sono quelli calcolati da I. lben Jr. assumendo che la composizione chimica del materiale originario fosse per il 70% di idrogeno. il 27% di elio e il 3% di allri dementi per !e stelle di 30 .Jll 0 ; per tutte le altre assumendo una composizione chi­ mica pari al 708%o di idrog,eno. 272%o di elio e 20%o degli altri elementi.

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

pio compresa tra 3-4 e 9 Jll 0, nelle quali si accende di colpo il nucleo degenere di carbonio-ossigeno. Anche in queste circostanze vengono pro­ dotti elementi più pesanti del ferro, come il nichel, il rame, lo zinco, ecc. Questa diversità di esplosione è forse alla base dell'esistenza di diverSi tipi di supernovae, provenienti certamente da stelle con masse e compo­ sizioni chimiche diverse •. Ma non tutte le stelle finiscono con un'esplosione. Vediamo dunque qual è la fine nei vari casi e ciò che resta di una stella che, anche se riesce a splendere per milioni o miliardi di anni, è ugualmente destinata a finire, come tutte le cost'. Nane nere e nane bianche

Cominceremo dalle stelle più pic::ole e meno pesanti. Jll < 0,01 Jll 0. Quando la massa è inferiore a un centesimo di quella solare il collasso e la contrazione gravitazionale non arrivano a riscaldare tanto l'interno della stella da permettere le reazioni termonucleari. L'e­ nergia viene prodotta solo attraverso la contrazione gravitazionale e tra­ sportata nell'interno della stella esclusivamente per convezione, finché la materia non degenera. Una stella di questo tipo vive solo qualche centinaio di milioni di anni, ha una temperatura superficiale bassa, ap­ pare rossa, sempre più scura, finché si raffredda e si spegne. È diven­ tata una 'nana nera' e la sua vita è finita prima ancora di cominciare. non av.:ndo mai raggiunto la sequenza principale. 0,01 Jll 0 < Jll < 0,085 J/l 0. Le stelle di masse comprese tra un cen­ tesimo e quasi un decimo di quella solare, attraverso la contrazione gra­ vitazionale riescono a raggiungere una temperatura interna di circa un milione di gradi, alla quale avviene il bruciamento dell'idrogeno pesante (deuterio) che si trasforma in elio leggero. Possono così andarsi a collo­ care su una specie di sequenza principale, emettere luce, anche se de­ bolmente, finché non esauriscono il deuterio e degenerano finendo, come quelle di massa inferiore, sotto forma di nane nere. Anche la durata della loro vita è dell'ordine di alcune centinaia di milioni di anni. Stelle come queste non sono state mai osservate. A meno di non am­ mettere che siano di questo tipo 7 corpi scoperti nei pressi di 7 stelle, in base alle perturhazioni da essi provocate sui loro moti, ma mai visti di­ rettamente. D'altra parte si pensa che dovrebbero esistere in numero enorme e la loro presenza risolverebbe, almeno in parte, il mistero delle masse occulte, rilevate anche nei dintorni del Sole.** 0 Si veda / mostri tlt>I rie/o, C"AP. 111. in partic..olare il § Lr .mprrnovne. 00 Si veda I mostri drl cielo, CAP. VII. uhime tre pagine.

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0,085 _lll 0 < .!Il < 0,2 Jll 0. Nelle stelle con masse comprese tra quasi

un decimo e 2 decimi della massa solare il calore, come abbiamo visto, viene trasportato per via convettiva in tutta la stella. Così l'idrogeno si rimescola continuamente, si trasforma tutto in elio e non resta quella piccola quantità che forma il guscio dove, bruciando per trasformarsi in elio, sviluppa l'energia necessaria per sollevare l'involucro più esterno. D'altra parte, proprio dal momento che tutto l'idrogeno della stella, ri­ mescolandosi, si è trasformato in elio, non c'è più neanche l'involucro esterno da sollevare. Così anche queste stelle non arrivano a diventare giganti. Al contrario, si contraggono leggermente e il materiale interno diviene un gas degenere di puro elio. Tuttavia la stella non finisce spe­ gnendosi rapidamente come nana rossa. Data l'elevatissima temperatura interna, che si stima superi i IO milioni di gradi, emette molta luce e ca­ lore attraverso uno strato esterno di materiale non degenere che è quasi una pellicola, ad alta temperatura, generalmente tra 5000 e 20 000 gradi. Con una temperatura così alta la stella appare bianca. Queste strane stelle, che non solo non si sono gonfiate trasformandosi in giganti ma addirittura si sono schiacciate divenendo degeneri, sono piccolissime. 'È. stato calcolato che i loro raggi non possono superare i 14 000 km, cioè poco più del doppio del raggio della Terra. Per questa ragione sono state chiamate 'nane bianche' •. Anche 4ueste dissipano il calore attingendolo dall'interno dove però, a poco a poco, si esaurisce non essendoci nessun meccanismo che lo produca. Così anche per loro arriva il momento in cui pure la temperatura superficiale incomincia a diminuire e alla fini! si arrossano e si spengono. Ma questo avviene dopo tanto tempo; è statn calcolato che quelle di massa maggiore, cioè di 0,2 J/1 0, vivono circa 2000 miliardi di anni e quelle di 0,085 _!ll 0 forse anche il doppio. Dato che l'universo ha avuto origine circa 13,5 miliardi di anni fa, anche le stelle con queste masse che si formarono allora non solo non si sono ancora estinte ma si possono considerare addirittura nella prima giovi­ nezza. La loro vita è tanto lunga che non si sa se l'universo stesso vivrà tanto; così lunga che sembra confondersi con l'eternità. Ma non è l'eter­ nità, e anche queste stelle finiranno come le altre.

0,2 Jll 0 < ./Il < 3 Jll 0. Quando la massa è compresa tra 0,2 e 3 volte

quella del Sole, come si è visto, le stelle evolvono in diversi modi ma la loro fine è sempre la stessa: una nana bianca che lentamente ma ineso­ rabilmente si spegnerà ••. Se la massa è inferiore a 0,5 Jll 0 sarà una nana • Per la storia della loro scoperta si veda Al di là della Lww, CAP. lii, § Stl'Jle c-cn•z.io­ nuli: nanr bianche. •• Non tulle lt •acile possono diventare nane bianche. Se la massa supera un certo valore dello ·Jimitc di Chandrasckhar· la nana bianca non si può formare (si veda Arr. 11).

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

bianca composta interamente di elio, altrimenti di carbonio e ossigeno. In questo secondo caso, prima di finire così, si trasformerà in uno strano corpo che fino a poco tempo fa non si sapeva come interpretare. Le nebulose planetarie

Verso la fine del Settecento il grande astronomo W. Herschel scoprì cer­ te piccole, strane nebulose alle quali, per il loro aspetto compatto e ro­ tondo che le faceva assomigliare ai pianeti, diede il nome di nebulose planetarie. La loro esistenza e ciò che rappresentano nel quadro gene­ rale dell'universo era rimasto un mistero fino a questi ultimi anni. Nel frattempo si erano scoperte molte cose sul loro conto. Era stato analiz­ zato il gas del quale sono composte, risultato della stessa natura di quello delle grandi nebulose, ionizzato e a una temperatura di circa 10 000 K; si era trovato che il disco è largo quanto il sistema solare o poco più e che la massa totale è pochi decimi di quella del Sole.• Si era anche scoperto che al centro di ogni nebulosa planetaria c'è una stella con una temperatura superficiale che può raggiungere i 100 mila gradi, una lu­ minosità 10 mila volte superiore a quella del Sole e un raggio piccolis­ simo: appena qualche decimo di quello del Sole. Strane caratteristiche, che fanno tanto somigliare il nucleo di una nebulosa planetaria a una nana bianca. Questa somiglianza è stata confermata da un altro fatto: la velocità con cui si muovono i due gruppi di stelle in seno alla Galassia. Prendendo tutte le nebulose planetarie entro un raggio di 5000 anni luce da noi, la loro velocità media è risultata di 38 km/s, quasi uguale a quel­ la delle nane bianche che è di 41 km/s. Se le nane bianche rappresentano lo stadio nel quale si evolvono in modo quiescente le giganti rosse, le nebulose planetarie, con nuclei tanto simili alle nane bianche, potrebbero rappresentare la fase di transizione. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che gli involucri gassosi delle pla­ netarie appaiono espandersi, partendo dalla stella centrale. Abbiamo vi­ sto che il materiale dei nuclei stellari può degenerare, come accade ap­ punto nelle mmc bianche, e che intanto il guscio d'idrogeno, ed even­ tualmente anche quello di elio, fanno espandere gli strati superiori. Se s'instaura un meccanismo che fa continuare l'espansione, il gas può pro­ pagarsi fino alle dimensioni di una nebulosa planetaria e, diluendosi. può divenire tanto trasparente da permettere di vedere il nucleo interno, degenere. L'espansione dell'involucro ci dice anche qualcosa di più: che, allargandosi e rarefacendosi sempre maggiormente, a un certo punto

• Per il loro a!!-pctto, l'emissione lumino:-.a e altre nolizie. si veda / mostri del cielo. CA.I", lll, § Lr 11,:bu/o.l·e [ld.l'.JU.(t'.

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deve diventare tanto tenue da scomparire. In effetti si conoscono nebu­ lose planetarie di varie dimensioni e le più grandi sono anche le più de­ boli, salvo qualche caso, come quella celebre nell'Aquario, che appare più grande del comune solo perché è molto vicina a noi. Si ritiene che l'involucro di gas duri circa 30 mila anni. L'osservazione sistematica di tutto il cielo ha permesso di scoprire oltre 2000 nebulose planetarie. Tenendo presente che vediamo solo le più vicine, si trova che, se la distribuzione è abbastanza uniforme, in tutta la Galassia ce ne devono essere, in questo momento, circa 40 000. Da questi e altri dati si è trovato che devono nascere 2-3 nebulose pla­ netarie all'anno solo nella nostra Galassia. Non dovrebbe essere dunque un'impresa disperata trovarne qualcuna che si sta formando e vedere se le cose si svolgono proprio come le ave­ vamo descritte in base a indizi più che a prove. E questo sta forse acca­ dendo. Negli ultimi vent'anni sono stati trovati più di una decina di strani oggetti che secondo molti astronomi sono proprio nebulose planetarie in formazione •. In particolare la stella V 1016 Cygni, che nel 1947 appariva essere una gigante rossa col suo spettro di tipo M avanzato, tra il 1963 e il 1968 aumentò cento volte il suo splendore e mostrò di aver trasformato lo spettro in uno simile a quello di una nebulosa planetaria. Inoltre è risul­ tata circondata da involucri, che sembra si siano formati in epoche di­ verse. In questi ultimi anni viene seguita assiduamente, soprattutto al­ l'Osservatorio di Asiago, e le osservazioni la mostrano sempre meglio come una gigante rossa che sta diventando una nebulosa planetaria sotto i nostri occhi. Fra qualche decina di migliaia di anni gli involucri si sa­ ranno forse dissolti completamente nello spazio e sarà rimasto solo il nucleo: una nana bianca. Questa scoperta significa che, tornando a!· l'esempio iniziale della sconosciuta popolazione di una città, della quale dovevamo scoprire la vita in pochi minuti di permanenza, abbiamo tro­ vato in un individuo un caso significativo di breve durata, come una spe­ cie di malattia, per esempio una paralisi, che determina anche la vita suc­ cessiva e il tipo di morte che l'aspetta. I cieli non sono immutabili come si credeva un tempo e questo lo sa­ pevamo ormai da un pezzo. Ma anche oggi si tende a credere che i cam­ biamenti, per quanto rapidi, siano troppo lenti in confronto con la nostra vita perché se ne possa cogliere almeno qualcuno. Ora vediamo che non è vero. La logica, l'osservazione, l'aiuto delle altre scienze ci stanno per• Ricordiamo le stelle: FG Sge. HD 50138. HD 45677. MWC 342. MWC 3•9. MWC 300. M 1-92. M 2-9. V 605 A4I. V 1016 Cn e HM S�c.

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ORIGINE, VITA E FINE DELLE STELLE mettendo di farci un quadro sempre più completo e dettagliato di come cambia il cosmo in quei miliardi di anni t:he non abbiamo vissuto e in quelli che non vivremo mai. Ora l'assiduità con cui scrutiamo i! cielo è stata premiata facendoci assistere a un raro fenomeno che ci fa toccare con mano il passaggio per un punto di quel grande arco evolutivo di una stella che ci sembrava persino impossibile poter scoprire nel corso di quello. ben più br�vr, della nostra vita. 1..e supemovae

Abbiamo visto che, quasi certamente, le stelle di massa piccola o media si trasformano da giganti rosse in na11e bianche attraverso la fase di ne­ bulosa planetaria. La teoria ormai ci aveva detto quasi tutto perché in fondo, dentro la gigante rossa, c'è già la nana bianca (il nucleo degenere). Ora, però, conosciamo anche diverse stelle che sembra lo stiano facendo proprio sotto i nostri occhi e le stiamo seguendo alla ricerca di prove sempre più convincenti e decisive. E questo non è il solo fenomeno evo­ lutivo che possiamo vedere, perché assistiamo continuamente a un'altra fase delle trasformazioni stellari: la morte delle stelle, per lo meno di quelle che finiscono in un certo modo. La morte è un fenomeno rapido. Ancora più rapido appare il caso della morte violenta e improvvisa, come quella dovuta a un incidente. Ebbene molte stelle finiscono proprio così e noi assistiamo ogni anno alla fine di almeno una decina di stelle che muoiono di morte violenta, attraverso un'esplosione che le disperde in frammenti, come un uomo che abbia disgraziatamente pestato una mina. La fine è di tipo distruttivo nei casi delle stelle di massa maggiore in cui i nuclei si accendono di colpo e sprigionano quasi istantaneamente un'enorme quantità di energia. Questo può avvenire per quelli di car­ bonio o di elementi più pesanti; oppure quando gli strati esterni della stella collassano perché all'interno non si produce più energia e svilup­ pano, quasi di colpo. l'energia gravitazionale che avevano, allo stato po­ tenziale, finché erano sorretti dall'energia proveniente dall'interno. Tutta questa energia serve per fabbricare gli elementi più pesanti, per disper­ dere nello spazio il materiale più esterno e per comprimere quello più interno concentrandolo in uno stadio più denso di quello della materia allo stato degenere. E:. questo il caso dell'esplosione di una supernova. I suoi effetti sono tremendi e al tempo stesso straordinari, e la loro impor­ tanza tornerà a manifestarsi più volte e in modo sempre più coinvolgente in questo nostro viaggio nel tempo. Ora la seguiremo nel momento in cui si manifesta, quando appare nel modo più impressionante se si assiste all'avvenimento da vicino. Attraverso l'energia liberata verso l'esterno la stella lancia nello spazio una gran quantità di radiazioni e di materiale

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che non si limita a disperdersi inerte in nubi sempre più rarefatte fino a svanire. Entrambi possono distruggere corpi celesti vicini, per esempio eventuali pianeti della stella e la vita, se c'è, fin su eventuali pianeti di stelle situate nei dintorni. Questi sono gli effetti catastrofici dovuti alla materia e all'energia proiettata all'esterno. Strani e meravigliosi sono in­ vece i fenomeni operati dall'energia che la stella riversa nell'interno, de­ lineati in gran parte (ma non soltanto) da ricerche teoriche. Stelle di neurroni. Come era stato previsto da F. Zwicky già dal 1933, il collasso della stella comprime la materia concentrandola in un corpo del diametro di appena una trentina di chilometri. In esso gli elettroni liberi penetrano all'interno dei nuclei e neutralizzando la carica positiva dei protoni formano neutroni. Questi sono talmente vicini tra loro che è come se la stella divenisse un unico nucleo atomico, enorme. Nelle nane bianche, per quanto la materia sia ammucchiata, rimane ancora un po' di vuoto; nelle stelle di neutroni anche questo residuo di spazio viene riempito. In altre parole le stelle di neutroni non solo sono molto più piccole delle nane bianche ma anche molto più dense. Un centimetro cubo di una delle nane bianche più massicce peserebbe sulla Terra circa 80 tonnellate, ma quello di una stella di neutroni andrebbe da centomila a un miliardo di tonnellate. Tra la scoperta delle nane bianche e quella delle stelle di neutroni c'è una differenza fondamentale. Mentre le prime furono trovate in cielo e in seguito gli astronomi e i fisici, sconcertati dalla loro stranezza, ne svilupparono la teoria, le stelle di neutroni sono state previste e calcolate teoricamente come conseguenza dell'esplosione delle supernovae, senza essere mai state osservate, cosa d'altronde pressoché impossibile a causa della loro piccolezza. Tuttavia sono stati scoperti oggetti, come le pulsar. e vari fenomeni che appaiono convalidarne l'esistenza, anche se ci siamo accorti che ci sono ancora molte cose da chiarire •. Buchi neri. Il collasso e l'esplosione di una supernova non formano sem­ pre una stella di neutroni. Ancora una volta il risultato sarà diverso a seconda della massa. E' stato calcolato che una stella di neutroni non può avere una massa superiore a circa 3 J/l 0 . Naturalmente la stella esplodente può avere massa maggiore, perché una parte del suo materiale viene proiettata nello spazio e non contribuisce a formare l'oggetto cen­ trale. Ma se il materiale che collassa ha una massa superiore a 3 J/l 0 il collasso non si arresterà mai e la stella tenderà a ridursi schematicamente

• Su queslo arJomrnto si veda Al di là J�flu Luna, CAP. IV, Le .mpt-rnt1vt1r c. soprattuno. I mostri dr/ cir/o. C-AP. lii e CAP. IV. I..e :ruprrnovoe di c-1,u.fr V.

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a un punto. In questo caso, secondo la teoria della relatività generale, la fortissima concentrazione di massa in pochissimo spazio provocherà un incurvamento dello spazio stesso tanto forte da farlo diventare una specie d'imbuto che ingoierà tutto ciò che entrerà nel suo raggio d'azione, com­ presa la luce, incapace di uscire da questa specie di trappola che. di con­ seguenza, ci apparirà nera. E non è detto che questo imbuto, ben noto col nome di 'buco nero', abbia un fondo. Forse, come ha un'entrata, ha un·uscita, ma non necessariamente nel nostro stesso spazio-tempo. Così, riuscendo a penetrare in un buco nero, si potrebbe sbucare in un altro spazio-tempo, ossia in un altro universo o in un altro luogo e in un altro tempo del nostro stesso universo o, dopo appena un attimo, in un luogo distantissimo da quello nel quale siamo entrati o, infine, nello stesso luo­ go in cui siamo stati inghiottiti ma in un'altra epoca, nel remoto passato o in un lontano futuro. Queste e altre meraviglie aprono orizzonti fantastici e persino la spe­ ranza di applicazioni pratiche•. Ma qui è meglio fermarci. Non perché i buchi neri non sarebbero di grande importanza nell'interpretare l'evo­ luzione dell'universo. Lo sviluppo della loro teoria ha rivelato che lo spazio potrebbe essere pieno di piccoli buchi neri, con massa inferiore a quella del Sole e anche di altri molto più piccoli, nati con l'universo. Si ritiene che potrebbero esserci buchi neri enormi al centro di alcuni ammassi globulari e di molte galassie, compresa la nostra, formatisi in un secondo momento o tuttora in fase di formazione e di accrescimento. Vi potrebbero essere collisioni tra corpi celesti noti e buchi neri e per­ sino, in un remoto futuro, un collasso generale dell'universo in un unico immenso buco nero, costruitosi a poco a poco da tutto, e che tutto in­ goierebbe, in un vortice senza uscita e senza fine. Tutto ciò sarebbe, più che importante, rivoluzionario nello studio dell'evoluzione dell'universo e lo vedremo in seguito. Tuttavia va ricordato che l'esistenza dei buchi neri non è stata ancora provata. Anzi, negli ultimi anni, sono cominciati ad apparire un po' meno necessari. Come si è visto, la formazione di un buco nero nell'esplosione di una supernova è determinata dal valore della massa che collassa e questo fatto ne rendeva teoricamente necessaria l'esistenza perché, come già si sapeva da tempo, esistono stelle di massa 20 o 30 volte superiore a quel­ la del Sole, cioè ben più pesanti del valore di 3 J/l 0 al di sopra del quale la massa che collassa non può trasformarsi in una stella di neutroni e deve formare un buco nero. Ma le stelle non sempre vivono esattamente come abbiamo visto. Tra

• Si veda il CAP. V dc / mastri del dr/a, inleramente dedicato a questo argomento.

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l'altro c'è un fenomeno molto importante che complica molto le cose e potrebbe indurci a concludere che, per quanto sia grande la massa iniziale, una stella potrebbe non finire come un buco nero. È il teno­ r.iene della perdita di massa, che passiamo subito a considerare. STELLE COMPLICATE

Seguendo le stelle nel corso delia loro evoluzione abbiamo tacitamen­ te ammesso che la massa restasse sempre la stessa (a parte la piccola frazione che si trasforma in energia) e che fossero sempre stelle sin­ gole. In realtà sappiamo bene che almeno la metà delle stelle sono dop­ pie o addirittura multiple e ci sono ormai prove sempre più evidenti che nel corso della vita molte stelle perdono una parte della massa. Natural­ mente quanto si è detto finora non viene a crollare, non solo perché vale per tutte le stelle singole e per tutte quelle che perdono massa in misura irrilevante, ma anche perché costituisce, in ogni caso, il punto di partenza per arrivare a conoscere l'evoluzione delle stelle anche sotto questi nuovi aspetti. Certo questo secondo passo è più complesso del primo ed è stato affrontato radicalmente solo negli ultimi anni, per cui non si sono ancora raggiunte conclusioni generali così ampie come quelle precedenti. Qui ci limiteremo a qualche scorcio rapido ma sufficiente a dimostrarci che le stelle reali superano enormemente quelle che ci eravamo rappresentate con le nostre teorie non solo per le loro caratteristiche, passando dall'una all'altra, ma anche per le loro trasformazioni nel tempo. La perdita di ma�llii,H

Che le stelle, almeno in certi casi, disperdano una parte della loro massa nello spazio si è già visto. Se non altro attraverso le esplosioni delle novae e delle supernovae, per le quali, dopo un certo tempo, !"involucro espulso diventa quasi sempre ben visibile. Ma ci sono anche casi non catastrofici, in cui una stella disperde parte del suo materiale in modo continuo e quiescente. Il fatto è che una stella non è li;nitata da una superficie ben definita: i suoi strati più esterni sfumano gradatamen:p nello spazio in nubi o veli di gas e polveri che la forza di gravità trattiene tanto meno quanto più sono distanti e che alcune forze, originate essenzialmente dall'energia prodotta nell'interno, tendono a soffiar via. Prendiamo, per esempio, il Sole. È stato trovato che attraverso il co­ siddetto vento solare perde ogni anno almeno I O " _!ll 0. Ciò significa che ogni milione di anni perde un centomilionesimo della sua massa to­ tale. È ben poca cosa. Ma il Sole è una stella piccola e il gas che ne compone l'atmosfera non è tanto rarefatto, come in una gigante rossa dove è oltre IO milioni di volte meno denso, si estende fino a distanze dal centro 500 o addirittura I 000 volte superiori e la forza di gravità

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che lo può trattenere è da 25 000 a un milione di volte più debole. Per queste ragioni una gigante rossa. come era già noto da tempo, perde ogni anno da 10-• a I o-, J/L 0 • cioè. nel solito milione di anni. da un centesimo della massa solare a una massa uguale a quella del Sole. La maggior parte di questi ri�11ltati sono stati ottenuti spettroscopicamcntc. ma per diverse stelle il materiale sfuggito nello spazio è stato anche fo­ tografato, specialmente dopo che si è allontanato abbastanza da non essere nascosto dalla preponderante luce della stella (FIG. 21 ). Natu­ ralmente non è detto che questa perdita duri a lungo. La perdita di massa si verifica anche nelle stelle molto giovani, anzi è proprio su queste che sono state fatte recentemente le scoperte pi,, sconvolgenti. Innanzi tutto c'è il fenomeno delle stelle Be. Così sono state chiamate stelle di tipo B con righe spettrali in emissione. allargate e complesse, dalle quali si è potuto scoprire che sono corpi ruotanti su se stessi ad altissima velocità: fino a 500 km/s contro i 4 km/s delle stelle come il Sole. A causa di questo rapidissimo moto rotatorio si schiac­ ciano, sviluppando nel piano dell'equatore un disco o un anello dal quale sfugge una parte del materiale. La massa che fuoriesce ogni anno attra­ verso questa girandola vertiginosa può andare da un decimilionesimo a un miliardesimo di quella del Sole. Le stelle giovani. anzi le protostelle.

Fi2.21 Materiale espulso d;1 una slella in fase cvolutiv,1 molto avan.tata: la nebulosa è noia co­ m� NGC 6888. La stella è mal riconoscibile poiché si trova die­ tro al filamento centrnlc. Foto­ grafia oltenuta dall'Aulorc col telescopio di 60 cm dell'Os­ servatorio di Loiano (Bologna).

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hanno mostrato un altro modo di perdere massa: quello dei fuor, già visto. Ma il caso più spettacolare è senza dubbio quello delle stelle gio­ vanissime di grande massa e alta luminosità, situate nella parte più alta della sequenza principale, cioè le stelle O e quelle B dei primi sottotipi spettrali. Questa scoperta, dovuta all'uso dei satelliti artificiali che osser­ vano da fuori dell'atmosfera terrestre, è stata compiuta negli ultimi anni ed è giunta inattesa. Come è noto le stelle O sono le più calde (30 000 K) e le più luminose (oltre 100 000 volte più del Sole). Emettendo essenzialmente nell'ultra­ violetto, il loro studio è progredito notevolmente solo nell'ultima decina di anni, attraverso le osservazioni dallo spazio mediante i satelliti arti­ ficiali. La radiazione ultravioletta viene emessa dagli strati più esterni dell'atmosfera mentre quella che percepiamo come luce emerge da strati più profondi. Lo studio dei primi, effettuato dallo spazio, ha mostrato un effetto P Cygni• causato da involucri che abbandonano queste stelle a velocità comprese tra 1000 e 2000 km/s. Attraverso lo studio di tutto lo spettro elettromagnetico (visibile, infrarosso e radio) si è potuto cal­ colare il valore totale della massa che abbandona la stella. La prima ana­ lisi completa fu effettuata per i;. Puppis, che rivelò una perdita di 7 masse solari per ogni milione di anni. Tutte le stelle O con temperature super­ ficiali maggiori di 30 000 K mostrano profili P Cygni in righe dell'ossi­ geno ionizzato 5 volte e dell'azoto ionizzato 4 volte; ciò significa che il vento stellare negli strati più esterni ha una temperatura superiore a 100 000 K. La temperatura dunque cresce andando verso l'esterno della stella. Il meccanismo fisico che provoca questo aumento è sconosciuto, ma questo per ora ci interessa meno. un fatto che la materia della stella per un certo tempo viene soffiata via e il problema importante è cono­ scere per quanto tempo una stella come i;. Puppis perde massa. Ammet­ tendo che la massa iniziale sia di 60-100 Jll 0, che la perdita di massa si verifichi per tutto il tempo durante il quale viene bruciato idrogeno nel nucleo e considerando che la lunghezza di questo periodo dipende a sua volta dalla massa, è risultato che la durata della perdita di massa dovrebbe essere di 3 milioni di anni, durante i quali verrebbero quindi perdute 21 .J/l 0. I modelli evolutivi per le stelle che perdono massa sono stati sviluppati solo recentemente e tra i primi risultati si è trovato, tra l'altro, che se c'è perdita di massa il ritmo dell'evoluzione rallenta e il tempo in cui brucia l'idrogeno nel nucleo si allunga.

e

• Questo cffello spcuroscopic,, permette di scoprire involucri in c�oRn�ione inlorno nllc stelle. Per la sua spiegazione- si veda / muj·/ri del dt!/o, CAI', IV, alla fine del § LI! 1w1•ai­ lr11tr.

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ORIGINE. VJT A E FINE OF.LLF. STELLE

Perdite di massa così grandi non sono stare scoperte solo nella stella ç Puppis ma anche in alcune altre stelle. Per ora queste osservazioni sono solo agli inizi ma già una cosa sembra ormai sicura: che le stelle che perdono ma�sa a un ritmo impressionante sono quelle più brillanti che, come sappiamo, sono anche le più pesanti. Sembra dunque che in cielo ci sia un po' più di giustizia che sulla Terra e chi più ha più paga. D"altra parte per la stella questo fatto potrebbe essere una fortuna. Infatti, gra­ zie alla perdita di massa, la stella potrebbe giungere all'ultima fase, quella del collasso, quando la massa è già scesa al di sotto del limite in cui il collasso diverrebbe inarrestabile. In altri termini, attraverso la perdita di massa, le stelle potrebbero non arrivare mai a diventare buchi neri. Se;, questa conclusione avesse un carattere generale non sarebbe più neces­ saria l'esistenza d.:i buchi neri per spiegare la fine delle stelle con masse elevate. Ma, a parte questo, le grandi perdite di massa scoperte recente­ mente sono molto importanti perché cambiano, se non la sostanza, al­ meno il ritmo dell'evoluzione stellare, soprattutto nelle stelle più massicce. E la situazione si complica ancora di più quando la massa che sfugge da una stella va a cadere su un'altra, vicina, cosa che può avvenire nelle stelle doppie. Le stelle doppie

I sistemi binari, consistenti m due stelle che ruotano intorno a un bari­ centro comune, si presentano essenzialmente sotto due aspetti: larghi e stretti. Sono larghi quelli in cui le due componenti sono distanti tra loro fino a 1000-2000 volte la distanza Terra-Sole, che è di 149,6 milioni di chilometri ed è chiamata unità astronomica (il simbolo è UA): stretti. quelli nei quali le due stelle sono tanto vicine che le rispettive superfici possono arrivare addirittura a toccarsi •. Nei sistemi larghi le due orbite. che possono essere più o meno ellittiche, vengono percorse lentamente in decine o centinaia di anni; in quelli stretti le orbite sono pressoché circolari, naturalmente molto più piccole, e vengono percorse a velocità vertiginose, in pochi giorni o addirittura in poche ore. Le stelle doppie sono un mistero fin dalla loro nascita. Per le stelle singole, come avevamo visto, all'origine c'è una nube di gas e polvere che a un certo momento si contrae, collassa e si accende. Per le stelle doppie sono state proposte tre teorie ma alla fine sembra che la giusta sia legata a quella dell'origine delle stelle singole. Secondo una delle tre, un sistema doppio si formerebbe dall'incon­ tro casuale di due stelle che, passando molto vicine l'una all'altra. si • Si v�d3 Al di là ,ld/u Luna. CAP. 111. § U' stelle ,loppir e CAP. IV. § Ec/i.ui di stt>llt:.

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verrebbero a catturare reciprocamente, legandosi fisicamente attraverso la forza di attrazione. Incontri di questo genere sono però estremamente improbabili data l'immensa vastità degli spazi cosmici che li rendono rarissimi. Una tale rarità è in pieno disaccorc!o con l'elevato numero di doppie esistenti. Evidentemente dunque i sistemi binari non si formano in questo modo o lo fanno solo eccezionalmente. Un'altra teoria afferma che le stelle doppie potrebbero formarsi dalla rottura di una stel:a che ruoti ad alta velocità. Anche questa non appare in buon accordo con le osservazioni. In realtà esistono stelle che ruotano su se stesse molto velocement.::, come le Be che abbiamo appena incon­ trato. Nelle Be, però, l'alta velocità di rotazione produce un disco o un anello ma non spezza la stella. Inoltre un meccanismo di questo genere spiegherebbe l'origine delle doppie strette e non di quelle larghe. Anche questa teoria non può essere accettata in blocco, pur se non è da esclu­ dere che in alcuni casi potrebbe funzionare. Veniamo ora alla terza teoria. abbozzata già da Laplace quasi due secoli fa, che rimane la più generale e, in fondo, quasi paradossalmente. la più moderna. La forma nella quale appare molto convincente è quella in cui è stata avviata nel 1960 da un'idea di C.M. Varsavsky, sviluppata qualitativamente da P. Giannone e M.A. Giannuzzi. Si parte da un agglo­ merato di materia oscura, per esempio da un globulo di Bok. Ciò è molto ragionevole se si pensa che alcuni di essi hanno masse decine o centinaia di volte quella del Sole e devono quindi formare veri e propri gruppi di stelle cioè, con molta probabilità, anche coppie o sistemi di tre-quattro stelle. Limitandosi al caso più semplice, che tuttavia non esclude gli altri, Varsavsky suppose che una nube di materia in contrazione gravitazionale si possa spezzare in due e vada ad accrescere due nuclei ben distinti che possono distare, l'uno dall'altro, da qualche frazione ad alcune centinaia di unità astronomiche. L'orbita di ciascuna delle due condensazioni può avere una qualsiasi eccentricità. Se è maggiore o uguale a I le orbite sono iperboliche o paraboliche, le due stelle si separano e si allontanano per sempre, diventano stelle singole e come tali si evolvono. Se invece l'eccen­ tricità è minore di I le due protostelle si muovono entrambe su orbite ellittiche, sono fisicamente legate e circolano intorno al baricentro co­ mune viaggiando in mezzo al residuo del materiale sparso che le ha for­ mate. Questo materiale ha l'effetto di frenarle e, a poco a poco, tende a far diventare circolari le orbite. Un processo di questo genere sarà tanto più efficace quanto più erano vicini i due nuclei all'epoca dell"origine. Anzi possiamo considerare addirittura i due casi estremi cambiando solo la distanza iniziale tra le due stelle. Se questa era grande anche le orbite risultano ampie, vengono percorse lentamente e il materiale sparso c.:he dovrebbe frenare le stelle, avvicinarle e renderne circolari le orbite si

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disperde prima che tutto ciò avvenga. Le orbite possono essere molto ellittiche, le stelle le percorrono rimanendo sempre molto distanti l'una dall'altra e si ha una doppia larga. Se invece la distanza iniziale tra i due nuclei era piccola, a causa dell'attrito col materiale sparso, che agisce per un grandissimo numero di rivoluzioni, le stelle si avvicinano sempre più, le orbite diventano circolari, sono percorse sempre più rapidamente e si forma un sistema binario stretto. Questa teoria, che ha il pregio di spiegare l'origine dei sistemi sia larghi che stretti con un unico meccanismo, è avvalorata dal fatto che son,, state scoperte protostelle già doppie e spesso molto distanti l'una dal­ l'altra, cosa che non potrebbe avvenire secondo le altre due teorie rna normalissima se si ammette, come in questo caso, che le due stelle co­ stituenti la coppia siano nate da una medesima nube di materiale. Ora che il sistema binario è nato vediamo come si sviluppa. Nelle doppie larghe le due stelle sono generalmente così lontane l'una dall"al­ tra da non influenzarsi reciprocamente e si evolvono come normali stelle singole. Per quelle strette le cose vanno in modo ben diver.-o. Per capirlo dovremo fermarci un momento su alcuni risultati di fisica matematica che la maggior parte dell'umanità ignora continuando a vivere benissimo ma che una volta afferrati ci apriranno una finestra su mondi stranissimi dei quali non avremmo mai sospettato l'esistenza. Supponiamo (FIG. 22) di avere una stella singola e sferica e che dalla sua superficie si stacchi una particella che viaggi verso l'esterno con una certa velocità v. A causa della forza di attrazione della stella, la sua ve­ locità diminuirà continuamente e a un certo punto la particella si fermerà

Fig.22 Casi in cui una parti­ cella che si staccM dalla superfi­ cie di una stella sin,=ola può ri­ cadere sulla superficie, restare in­ definih1menle a una distanu de­ terminata o disperdersi nello spa­ zio a seconda che abbia una \'c­ locità ,, minore, uguale o mag­ giore rispetti"amente a quella di rugM ,·.,. Il disegno rappresenh1 la stella secondo la sezione con un piano passante per il centro.

superficie di velocità zero (timite)

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e ricadrà verso la stella. Essendo la stella sferica tutte le particelle che possono partire alla stessa velocità si comportano allo stesso modo di quella che abbiamo seguito, arrestandosi alla stessa distanza e tornando poi indietro. Questa distanza, uguale per tutte, viene a definire una su­ perficie sferica. ovviamente ideale, in corrispondenza della quale le par­ ticelle partite in tutte le direzioni con la stessa velocità hanno un attimo di arresto. Per questa ragione tale superficie viene chiamata 'superficie di velocità zero'. Naturalmente esistono tante superfici di velocità zero, tutte concentriche, quante sono le velocità che possono assumere le par­ ticelle. Ma c'è un limite in tutte le cose. In questo caso il limite è costituito dalla velocità di fuga che indicheremo con v0 • Con questa denominazione si indica quel valore della velocità che non può essere superato se si vuole che un oggetto (un sasso o una particella) lanciato dalla superficie di un corpo celeste vi ricada invece di fuggire nello spazio per sempre. La ve­ locità di fuga dipende naturalmente dalla forza di attrazione del corpo dal quale il sasso o la particella vengono lanciati, cioè dalla sua massa e dalla distanza dal centro alla quale si trova chi lo lancia. Per la Terra. a livello del mare, è di 11,2 km/s; per la Luna, di massa minore. di 2,38 km/s e per il Sole, di massa assai superior.!, di 617 ,7 km/s. Tornando alla nostra stella le particelle che si allontanano dalla sua superficie con una velocità pari alla velocità di fuga non ritorneranno più indietro ma potranno muoversi, in qualunque direzione, su una 'superfi­ cie di velocità zero' che sarà la più esterna di tutte e segnerà un limite. Infatti, tutte le particelle che raggiungeranno questa superficie con una velocità uguale a quella di fuga potranno restare a scivolare tranquilla­ mente con qualsiasi percorso sulla superficie di velocità zero. Ma quelle con velocità più grandi la supereranno e si disperderanno nello spazio. Questo caso è molto semplice. In quello di due stelle vicine le cose s1 complicano ma ciò non deve preoccuparci; il calcolo delle corrispondenti superfici è stato già fatto da molto tempo e noi vedremo direttamente i risultati. La FIG. 23 mostra le intersezioni delle due superfici più significative, indicate con le lettere A e B, col piano dell'orbita delle due stelle. La stella di destra è più grande e di massa maggiore (primaria) mentre quella di sinistra è più piccola e di massa minore (secondaria). Qui la superficie di velocità zero (A), come d'altronde le altre non indicate, non può essere formata da due sfere intorno alle rispettive stelle (perché si ha una com­ binazione degli effetti di due attrazioni) ma da due specie di pere, chia­ mate 'lobi di Roche'. Il punto L, in cui i due lobi di Roche si collegano si chiama 'punto di Lagrange interno'. Se una particella viaggia con una velocità inferiore a quella limite relativa alla superficie A indicata con

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

v,., rimane all'interno del lobo che contiene la stella. Se viaggia a una velocità pari a v0, arriva sulla superficie A e viene ad appartenere a en­ trambe le stelle muovendosi intorno a tutt'e due senza staccarsi più da A. Nel caso che viaggi con una velocità compresa tra v,. e v08 va a col­ locarsi e muoversi in una zona intermedia, appartenendo al sistema ma a nessuna delle due stelle in particolare. Infine, se la velocità è uguale a quella v08 necessaria per raggiungere la superficie B, scorre lungo questa finché raggiunge il 'punto di Lagrange esterno' L, attraverso il quale sfug­ ge nello spazio. Naturalmente, a più forte ragione, qualsiasi corpo sfugge al sistema se raggiunge la superficie B con una velocità superiore a v08 • Potrebbe sembrare che tutte le possibilità siano state esaminate. Invece ce n'è ancora una molto importante: quella di una particella che si stac-

stella secondaria

stella primaria

Flg.23 Superfici di velocità ••· ro • punti di Lagrang• L, od L,

nel caso di una binaria stretta. .________________________.

chi dalla stella di destra con una velocità superiore a v,, secondo parti­ colari direzioni. In tal caso, attraversato il punto L,, viene catturata dalla stella di sinistra e può cadere direttamente sulla stella o entrare in orbita intorno a essa. Se questo si verifica per un alto numero di particelle si viene a fòrmare un anello. Ora che abbiamo costruito lo schema con le varie possibilità vediamo cosa succede mettendoci dentro stelle vere con masse, raggi e distanze reali, come s'incontrano osservando il cielo. Gli aspetti fondamentali che possono assumere i sistemi di stelle doppie strette, come fu schematizzato da Z. Kopal all'inizio degli anni Cinquanta, si possono ridurre a otto. Questi aspetti sono molto interessanti non solo perché delineano corpi 83

doppie larghe stella primaria

stella secondaria

doppie strette stella primaria

stella secondaria

Fig.24 Stelle doppie: otto tipi esemplificati da Z. Kopal. In tutti questi casi la massa della stella secondaria (a destra) è i 2/ 3 della stella primaria (a sinislra).

strani che esistono per davvero ma anche e soprattutto perché non sem­ pre rappresentano situazioni permanenti relative a doppie di vari tipi, ma spesso fasi diverse attraversate dallo stesso sistema binario nel corso di un processo di continue trasformazioni. La FIG. 24 li mostra tutti e otto. Le sezioni dei lobi di Roche e il punto di Lagrange L, sono rappresentati nell'ipotesi che la stella di sinistra sia la primaria, di massa maggiore, e quella di destra, secondaria, abbia una massa pari a 2/3 di quella della primaria. Il caso a) è quello di una doppia larga in cui non c'è interazione né

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLI!

scambio di massa tra le due componenti, che si evolvono in modo indi­ pendente l'una dall'altra. Nel caso b) si suppone che la stella di ma,sa maggiore abbia un involucro che riempie il suo lobo di Roche· se una parte del suo materiale si muove con velocità superiore a v0A, va a finire dalla parte della stella di massa minore attraverso L, e può accumularsi in un anello che viene così a circondarla. Il caso c) è esattamente l'in­ verso del precedente, mentre in quello d) entrambe le stelle hanno invo­ lucri 'leggeri' in cui le particelle si muovono a velocità non tanto alte da sfuggire a entrambe le stelle ma abbastanza elevate da passare dall'una all'altra. Il caso e) si ha quando la stella di massa maggiore è diventata una gigante rossa dalla quale la massa sfugge verso la secondaria; un esempio è fornito dalla stella UX Monocerotis. Quello f) è l'inverso del precedente e corrisponde a una secondaria gigante rossa che invia mate­ riale sulla primaria: anche qui non mancano esempi celebri, come U Cephei, U Sagittae e altri. Infine vi sono casi, come quello g), in cui en­ trambe le stelle riempiono i lobi di Roche, e altri, (come il caso h), in cui l'espansione procede ulteriormente e le due stelle assumono com­ plessivamente l'aspetto di un manubrio da ginnastica. In questi ultimi due quadri le coppie sono a contatto, lo scambio di massa è notevole e una parte del materiale si disperde anche intorno al sistema formando dischi o spire che si svolgono dalla coppia, s'indeboliscono al crescere della distanza e si dissolvono nello spazio. Quest'ultimo caso, special­ mente supponendo che la fase h) sia anteriore a quella g), sembra proprio un bellissimo esempio di sdoppiamento per scissione di una stella origi­ nariamente unica. In questo senso nel 1975 fu avanzata da V.G. Gor­ batsky una teoria per spiegare l'origine delle stelle del tipo W Ursae Majoris che però ha urtato contro risultati osservativi che ancora una volta hanno mostrato quanto bisogna essere cauti nel formare teorie, an­ che quando sono perfettamente logiche e matematicamente ineccepibili•. Evoluzione delle stelle doppie

Abbiamo fatto ipotesi su come possono avere origine le stelle doppie; ci siamo fermati a scorrerne una specie di campionario; abbiamo visto che

• Secondo la leoria di Gorbatsky le stelle del tipo W Ursae Majoris nascerebbero da una stella singola in cui l'idrogeno del nucleo si è già trasformato in elio e la stella ha raggiunto la fase di gigante rossa evoluta. A questo punto il nucleo di elio denso. tuuo alla stessa temperatura e in rapidissima rotazione, si spezzerebbe dando appunto origine a due stelle allaccale runa all'altra. Ma anche questa teoria ha dei punti deboli. Sono stale trovate stelle W Ursae Majoris in associazioni giovani e sono quindi esse stesse presumibilmente non più vecchie di qualche decina di milioni di anni. In tal caso non avrebbero avuto a dispo• sizione i miliardi di anni necessari per formare il nucleo di elio. La cosa sarebbe potuta andare molto più celermente nel caso di stelle molto pesanti ma l'osservazione mostra che non è possibile per le stelle W Ursae Majoris, che hanno masse intorno a 1·2 ..lii. e:- ·

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in quelle strette la materia può passare dall'una all'altra e quali vie per­ corre, ma ancora non sappiamo come si trasformano nel tempo. Insom­ ma abbiamo intuito che ci devono essere differenze tra la loro evoluzione e quella delle stelle singole ma ancora non vediamo bene in che cosa con­ sistano. Niente di strano. Quello che avveniva per le stelle singole, che non seguono un percorso evolutivo uguale per tutte, a più forte ragione av­ viene per le doppie strette dove la presenza di ciascuna componente mo­ difica la vita dell'altra. Ma ora che le abbiamo conosciute nella loro va­ rietà, ora che sappiamo con quali metodi, oltre a quelli applicati alle stelle singole, gli astrofisici teorici riescono a seguire il loro comporta­ mento, possiamo ricostruire la loro vita. Naturalmente dovremo farlo caso per caso. Prendiamone quindi uno tra i tanti, già studiato dagli astronomi. Non staremo a rifare i loro calcoli, ma in base ai risultati da essi ot­ tenuti andremo alla ricerca di una doppia con certe caratteristiche e ci fermeremo nello spazio non lontani da essa, a una distanza non troppo grande, in modo da poterla seguire bene. In realtà sarebbe impossibile rimanere vivi restando alla stessa distanza nel corso delle trasformazioni delle due stelle, ma noi ci avvicineremo solo col pensiero. D'altra parte dobbiamo staccarci dalla realtà anche in un altro senso: immaginando che tutte le trasformazioni si svolgano in un tempo raccorciato, in modo da vedere in pochi minuti ciò che in realtà si svolge nel corso di milioni di anni. Avviciniamoci dunque a una doppia stretta appena formata, com­ posta da una stella della massa del Sole e da un'altra IO volte più pe­ sante. Al solito chiameremo primaria quella di massa maggiore e se­ condaria l'altra, e conserveremo questa denominazione fino alla fine anche quando, a causa delle stranezze evolutive alle quali assistere­ mo, la secondaria potrebbe essere diventata più massiccia della pri­ maria. Le due componenti si sono formate contemporaneamente e, siccome nella prima fase ognuna delle due si evolve entro la zona circoscritta dal suo lobo di Roche, le due stelle vivono la loro vita ognuna per proprio conto, come se fossero singole. Ma quella di massa maggiore si evolve molto più rapidamente dell'altra e diventa gigante rossa in un tempo relativamente breve, durante il quale la secondaria è rimasta praticamente invariata. Diventando gigante rossa riempie e poi supera il suo lobo di Roche che viene, in un certo senso, visualizzato. I nostri occhi guardano stupiti la stella, diventata una specie di enorme pera rossa dalla cui estremità (il punto L 1 ) comincia a uscire materia che va a cadere sulla secondaria. Quest'ultima, originariamente di massa inferiore, aumenta a poco a poco la sua massa sottraendola alla primaria, e a un certo momento la vediamo gonfiarsi fino a diventare enorme e

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ORIGINE. VITA E FINE DELLE STELLE

rossa. Come mai? Non è difficile spiegarlo. La materia che arrivava dalla gigante ha fatto aumentare notevolmente la massa della secondaria e questa, seguendo il meccanismo già noto, per il quale più massa ha la stella più si evolve rapidamente, è diventata una gigante rossa, affrettan­ do i tempi. Il passaggio delle masse dalruno all"altro corpo modifica il periodo di rivoluzione (per la 111 legge di Keplero), le due stelle si avvicinano sempre di più e quando giungono ad avere masse uguali arrivano alla minima distanza tra loro e circolano intorno al baricentro con la massi­ ma velocità. A questo punto assistiamo a qualcosa di veramente para­ dossale: la primaria, originariamente più massiccia e ora diventata più leggera, continua a cedere materia alla secondaria, ora più pesante, e non può evitare di farlo finché continua a essere tanto grande da sbordare fuori del suo lobo di Roche. Ma non perdiamo di vista la secondaria. Catturando massa dall'altra ha accelerato la propria evoluzione e a un certo momento la vediamo espandersi a un punto tale da riempire anch'essa il proprio lobo di Ro­ che. Allora la materia torna a fluire dalla secondaria alla primaria che si riprende, almeno in parte, la massa perduta. Ma quest'ultima, mentre la secondaria continuava a crescere, a sue spese, di massa e di volume, stava già declinando da gran tempo. Aveva abbandonato la fase di gi­ gante rossa, finendo in una nana bianca sulla quale va ora a cadere il materiale proveniente dalla secondaria •. La nana bianca, ultimo resto della stella di maggior massa evolutasi troppo rapidamente, ci appare circondata da un tenue anello, o disco, di gas che le circola intorno, rifornito e accresciuto continuamente dal materiale proveniente dalla compagna rossa, di debole splendore che, riempiendo il suo lobo di Ro­ che, continua a perdere materia verso la primaria attraverso il solito pas­ saggio: il punto L 1 • La primaria, benché ridotta a una piccola nana bian­ ca, attrae questo materiale tanto più quanto più le si avvicina, accele­ randolo sempre maggiormente finché non entra in collisione con il disco gassoso. L'urto lo riscalda e forma sul disco una zona più brillante, ad alta temperatura, chiamata comunemente 'macchia calda' (FIG. 25). 11 materiale che arriva, non solo forma la macchia calda, ma, a poco a poco, aumenta la massa del disco, generando uno squilibrio che si ac­ centua progressivamente fino a provocare un'esplosione, dopo la quale l'equilibrio si ristabilisce e la stella appare nuovamente quieta fino a quando la massa che continua ad arrivare dalla secondaria non provo­ cherà un nuovo squilibrio e una nuova esplosione. 0 Durante il prcccdc-ntc- pa!. Tuttavia quella riunione fu un punto decisivo nello studio delle galassie, perché poté emergere finalmente quanto poco sappiamo ancora su di esse, cosa si sa di certo e ciò che si può fare per saperne di più. Tanto per cominciare una cosa è certa: le galassie non sono sempre

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esistite ma si formarono a partire da una certa fase evolutiva dell'uni­ verso. Eravamo già andati incontro a quel momento risalendo indietro nel tempo fino alla formazione delle prime stelle di Popolazione li. e ora lo abbiamo raggiunto avanzando dal lato opposto, cioè seguendo le trasformazioni dell'universo dal momento dell'origine, da un'era in cui non solo non c'erano le galassi� ma neppure la materia che avreb­ be dovuto formarle. Inoltre si può ormai affermare che il processo con cui si formarono le galassie, qualunque sia stato. dovette essere molto efficiente perché per fabbricarle utilizzò quasi tutta la materia disponi­ bile nell'universo. Ci fermeremo un momento su qualche prova di que­ sta affermazione. Oggi conosciamo sia galassie isolate (poche) sia ammassi di galassie. Fin dalle prime osservazioni del cielo in raggi X attraverso il satellite artificiale Uhuru, si scoprì che negli spazi tra le galassie degli ammassi. ritenuti vuoti, c'era invece materia allo stato gassoso, che avrebbe po­ tuto essere un residuo del gas primordiale dal quale si erano formate le galassie dell'ammasso. Per di più, oltre allo spazio tra le diverse ga­ lassie dei vari ammassi c'era da esplorare quello tra un ammasso e l'altro. Anche per far questo si trovò un sistema. Come è noto i quasar sono gli oggetti celesti più luminosi e possono essere visti fino a grandissime distanze. La loro luce, quindi, prima di giungere fino a noi, percorre spazi sterminati e, se attraversa nubi anche estremamente rarefatte ma estese in volumi immensi, la presenza degli elementi che le compongono deve essere rivelata dalle righe corrispondenti, in assorbimento. negli spettri dei quasar. Molti quasar hanno mostrato righe del genere, con spostamenti verso il rosso notevolmente inferiori a quelli delle righe in emissione che hanno sicuramente origine nel quasar, rivelando così che provengono da materia interposta tra il quas�r e noi, perché corrispon­ dono a parti dell'universo che si espandono con velocità minori. L'esi­ stenza di gas intergalattico è stata dunque sicuramente accertata. Le righe spettrali hanno mostrato anche a quali elementi erano dovute e qual era la loro abbondanza. e risultato in entrambi i casi che la quan­ tità è trascurabilissima e, in ogni modo, sono presenti, per la mag)!ior parte, elementi pesanti. Deve perciò trattarsi di materiale elaborato nelle galassie, non di un residuo di quello originale formato pressoché esclu­ sivamente da idrogeno ed elio. Quest'ultimo, se c'è, è pochissimo. Dunque le galassie non nacquero insieme all'universo: si formarono dopo e senza spreco di materia. Ma come? Per ricostruire questo mec­ canismo sono state tentate due strade. In tutt·e due si sta cercando di scoprire come dovevano essere le galassie intorno all'epoca in cui si formarono e quali furono le loro prime trasformazioni. Il primo metodo parte da una semplice riflessione che ha già dato tanti

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DAL BIG•BANG ALLE GALASSIE

frutti. Osservando galassie con fortissimi spostamenti verso il rosso vediamo galassie distantissime. Ora, se il big-bang avvenne 15 miliardi di anni fa e le galassie si formarono I0-20 milioni di anni più tardi. osservando galassie che distano, per esempio, 14.9 miliardi di anni luce. le vediamo com'erano meno di 100 milioni di anni dopo la loro for­ mazione. E se possiamo coglierne alcune a distanze ancora maggiori possiamo osservarle addirittura nei momenti in cui si formarono o per lo meno a partire da quando cominciarono a emettere abbastanza luce da divenire visibili. li metodo è buono e, disponendo di telescopi suffi­ cientemente potenti, è attuabile. Ma c'è una difficoltà. Come ricono­ scerle? li miglior sistema sarebbe di usare il grande spostamento verso il rosso delle righe nei loro spettri. Ma a una tale distanza, anche se fossero molto più grandi della nostra Galassia o di quella di Andro­ meda, apparirebbero certamente come deboli punti luminosi, del tutto simili alle miriadi di stelle deboli del fondo del cielo, con le quali si confondono. E sarebbe semplicemente pazzesco ottenere spettri di cen­ tinaia di stelline normalissime impiegando per migliaia di ore i più grandi telescopi del mondo con la speranza di trovare quello di una galassia appena formata. Il criterio da seguire è quindi un altro: cercare di selezionare questi oggetti prevedendo l'aspetto che dovrebbero avere. Ci sono già stati diversi tentativi di questo genere. E.E. Salpeter ha calcolato che, risalendo nel tempo da una generazione di stelle alla pre­ cedente, a causa dell'aumento del contributo di luce dato da stelle di massa maggiore, anche se di vita più breve, le galassie devono apparire più luminose. Anche secondo risultati comunicati nel 1979 da J .E. Tohline, le prime stelle furono di grande massa e quindi molto lumi­ nose. R.B. Larson ha elaborato al calcolatore tre modelli di galassie: sferiche, ellittiche e a disco. Con modelli di questo tipo egli è giunto a concludere che la maggior parte delle galassie si formò da 100 mi­ lioni a qualche miliardo di anni dopo il big-bang. Inoltre nelle galassie primordiali di questi tipi il nucleo dovrebbe essere più luminoso ddle regioni esterne in proporzione molto maggiore di quanto avviene nelle galassie normali. Queste galassie allo stato primordiale, situate a gran­ dissime distanze, dovrebbero apparirci più simili alle stelle e ai quasar che alle galassie normali, cosa che, come abbiamo visto, renderebbe la loro scoperta quasi impossibile. Naturalmente potrebbe darsi che galassie in formazione siano state già trovate senza essere state riconosciute come tali. Si conoscono già oggetti intrinsecamente molto luminosi che mostrano fortissimi sposta­ menti verso il rosso e sono quindi molto lontani e molto antichi. Sono i quasar, che in un primo momento erano stati considerati, proprio per queste caratteristiche, i progenitori delle galassie. Tuttavia allri astro-

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Fig.76 NGC 6166, una grande galassia D al centro di un ammasso, fotograf:tl:t col telescopio Schmidt di m 1,26 di Monte Palomar. Si ritiene che questa gala:-.· sia stia progressivamente inglobando le altre fino a fagocitare l'intero ammas�o.

fisici, che hanno provato a prevedere le caratteristiche delle protoga­ lassie e l'aspetto dello spettro che dovrebbero mostrare, hanno concluso che, molto probabilmente, questo non è vero. Le caratteristiche degli spettri previsti per le galassie appena formate e quelle degli spettri dei quasar raccolti al telescopio sono differenti. I quasar non sono dunque né protogalassie né genitori di galassie. Ma forse costituiscono una ca­ ratteristica strutturale di galassie appena formate: un nucleo brillan­ tissimo di una galassia ancora molto estesa e molto debole che rimane invisibile. Il modello teorico calcolato da Larson ce lo fa pensare e d'altra parte questa conclusione appare confermata dalla presenza degli oggetti BL Lacertae, dai nuclei delle galassie di Seyfert e da altre ga­ lassie peculiari •. Secondo D.L. Meier e R.A. Sunyaev i nuclei di que­ ste galassie, meno luminosi dei quasar ma simili a essi nelle caratteri­ stiche, potrebbero essere i casi meno vistosi e più vicini mentre a più (I;

Si veda / mo.viri del cielo, CAP. VI.

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DAL BIG-8,\KG ,\LU: GAL\SSIE

Fig.77 La zona ccnlralc di NGC 6166, fotografala in modo d;.1 risullarc ingrandi­ ta e dislinta, evidcnzi:rndo così i nuclei che la costituiscono, i quali, quasi certamcn­ lc, sono i residui di maggior massa di galassie che la NGC 6166 ha fagocilafo.

grandi distanze vi sarebbero quelli più luminosi, perché più giovani, nei quali la galassia circostante, data la grande distanza, diviene invisibile.

Una prova di questa ipotesi è stata fornita dalla scoperta di debolissi­

me galassie intorno ad altrettanti quasar, accertata in diversi casi con tecniche raffinate. Meier e Sunyaev, insieme a molti altri, ritengono in­ somma che i quasar non siano galassie primordiali ma l'elevato numero

di quasar a distanze appena inferiori a quelle che ci aspettiamo per le galassie primordiali, cioè appena meno giovani di quelle giovanissime, indica che forse essi si svilupparono nella regione centrale di tutte o di molte galassie subito dopo la loro formazione. Questo metodo, in cui osservazioni di oggeni molto antichi e previ­ sioni teoriche sulla loro formazione e il loro aspetto si sostengono a vicenda, sta già dando ottimi risultati e forse tra non molto ci rivelerà

con chiarezza come e quando sono nate le galassie. Passiamo ora al secondo metodo. Esso consiste nell'osservare come sono attualmente le galassie. misurare certe grandezze che non dovreb317

300�-----------� calcolata secondo Gott

distanza dal centro

Fhr:. 7S Curva della velocità di roh1zione della galassia NGC 4697 ollenuta osservativamentc da F. Bertola, confrontata con le curve oreviste in base ai mo­ delli di 1:R. Gott e di R.B. Lar­ son. Le distanze dal centro so­ no espresse assumendo come u• nità di misura il raggio del nu• eleo. cioè la distanza 11111a qua­ le l'intensità luminosa scende al­ la metà del suo valore centrale.

bero cambiare col passare del tempo e risalire poi dalle caratteristiche e dall'aspetto attuali a quelli iniziali. Le grandezze ritenute fisse erano �ssenzialmente due: la massa e il momento angolare. Si è sempre pensato e si pensa tuttora che, al con­ densarsi del gas in stelle, col formarsi degli ammassi, col variare della distribuzione di stelle. gas e polveri. una galassia debba cambiare di aspetto e di struttura. Tuttavia, essendo un aggregato di materia iso­ lato, si supponeva che la massa e l'energia globale di rotazione restas­ sero le stesse. Con tale condizione, attraverso le strutture attuali, si po­ teva risalire a quelle iniziali e scoprire come si erano formate dal gas iniziale le galassie dei vari tipi e come poi si erano evolute. Purtroppo le scoperte di questi ultimi anni hanno sollevato molte difficoltà. Prima di tutto si è scoperto che non conosciamo bene neppure le galassie vicine delle quali vediamo l'aspetto attuale, neanche la no­ stra, quella in cui abitiamo. La massa di una galassia e la sua distribu­ zione al crescere della distanza dal centro vengono ricavate dallo studio della velocità di rotazione. In moltissimi casi. arrivando fino al bordo visibile di una galassia, cioè fino al limite in cui possono essere com­ piute le osservazioni, la massa non appare convergere su un valore che

.1 18

0,\f. Bl­ sia circondata da un anello di polvere, visibile solo parzialmen­ te nella figura. Secondo una proposla di F. Rcrtola. tjllcSl:1 galassia, che potcv:i essere 1..·011sidcrnta d.1ssic11menle cllilli,.-a. polrehbe essere in rcallà 11011 schiacci.,ta come una lcnlc, m:1 di form;1 allungat:1, coslilucnclo ·insieme ad nllrc simili umi d:.1s­ s1: di �al;tssic a form:1 di siJ.,!.iro.

dovrebbe essere. appunto. quello globale. Il valore trovato per la massa. dunque, è solo un limile inferiore e non si può sapere qmrnto l! pili piccolo di quello reale. Né si sa sollo quale forma sia presente la massa in più. Forse il materiale corrispondente è costituito da nane bi,rnche o nane nere in numero stcrmim1to. forse da buchi neri o forse sempli­ cemente d(I stelle debolissime. distribuite tulle intorno alla galassia in un alone invisibile a caUS(I della SLW debole luminosità. Ma siamo appcrrn all"inizio delle ditticoltii. Già da tempo si conosce­ vano galassie interagenti. vicine. a c.:oppie o a gruppi. Negli anni Cin­ quanta venivano spesso chiamale ·galassie in collisione'; si pensava che s'incontrassero per caso e che. date le grandi distanze delle stelle di ognuna di esse tra loro. si attraversassero con poco o nessun danno. Recenti ricostruzioni al calcolalOre di molci di questi casi hanno mo­ strato invece che. quando due galassie uguali s'incontrano. si fondono formandone una sola. nuova. con caratteristiche diverse da qucll..: ddle prime due. Se poi una o più galassie minori vengono a trovarsi nelle vicinanze di una molto più grande sono fagocitale. Insomma si C:: sco­ perto che esiste una specie di ·cannibalismo galattico·. Un caso imponente di tale cannihalismo si verifica forse negli amJJ\)

massi di galassie. Quasi sempre al centro di un ammasso c'è una galas­ sia gigante, radioemittente, con un nucleo ellissoidico e un ampio invo­ lucro esterno (FIG. 76). Quando è presente, è la galassia più grande dell'ammasso. Si riteneva che fosse così dall'origine o addirittura che rappresentasse il residuo di una enorme condensazione dalla quale sa­ rebbe sorto l'intero ammasso. Oggi si pensa che possa essere avvenuto esattamente il contrario: la galassia centrale era una galassia un po' più grande delle altre, che cominciò con l'incorporare quelle più piccole e vicine (FIG. 77) e sta successivamente ingoiandone altre sempre più grandi e lontane, finché un giorno, forse, tutto l'ammasso sarà ridotto a quella sola galassia, immensa e con una massa enorme. E c'è ancora un'altra grossa novità. Fino a poco tempo fa si pensava che le galassie cosiddette ellittiche fossero o sferiche o schiacciate come una lente a causa della forte velocità di rotazione intorno all'asse po­ lare. Già nel 1972, però, F. Bertola ricavando per la prima volta la curva della velocità di rotazione di una galassia ellittica (NGC 4697) fin nelle regioni esterne più deboli, trovò valori molto bassi: quattro volte più bassi di quelli previsti dai modelli di J.R. Goti e di R.B. Larson (FIG. 78). A partire dal 1977 G. Illingworth, ottenendo le curve di ro­ tazione per altre galassie ellittiche, trovò velocità ugualmente scarse, mostrando che la bassa velocità di rotazione non era un'eccezione ma una caratteristica abbastanza usuale delle galassie con questa forma. Lo schiacciamento poteva non essere dovuto, dunque, alla rotazione delle protogalassi_e dalle quali si erano formate. In realtà lavori teorici e osservativi hanno mostrato che le galassie che ci appaiono ellittiche possono essere, nella loro struttura tridimen­ sionale, schiacciate non come una lente ma come una mandorla o al­ lungate come un sigaro (FIG. 79), insomma a tre assi. Naturalmente sa­ rebbe facile scoprire se una galassia ellittica è a tre assi andandola a guardare da tre diversi punti dello spazio, ma questo ci è materialmente impossibile. Ciò nonostante si è trovato un metodo per scoprire se una galassia è triassica anche da una sola fotografia, ottenuta dalla Terra, nostro unico punto d'osservazione. Infatti, anche in questo caso, noi la vediamo secondo una sezione e la FIG. 80 ci mostra in qual modo varia il suo aspetto a seconda di come la galassia triassica è orientata rispet­ to a noi. Così è stato scoperto che esistono anche galassie di questo tipo. Esse non possono avere assunto questa forma direttamente dalla galassia primeva, per effetto della rotazione. Deve essere accaduto, successiva­ mente, qualcosa d'altro, come la caduta di materiale intergalattico sulla galassia o la cattura di una galassia minore, che hanno alterato la forma originale o l'hanno addirittura distrutta.

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DAL BIG-BANG ALLE GALASSIE

Fig.80 I quattro diversi modi in cui possiamo vedere, proiettata sul cielo, una galassia triassica rappresentata nella figura quasi al centro, parzialmente spaccata.

Non è infine da escludere che esistano fenomeni opposti a quelli ora descrilli, come materia che viene espulsa dal centro di galassie allive e va a formare galassie minori, che spesso diventano satelliti della pri­ ma. Meccanismi del genere furono proposti già qualche decina di anni fa da V.A. Ambartsumian e non sono stati mai dimostrati infondati. Anzi H. Arp continua a scoprire e a segnalare un sempre maggior nu­ mero di casi di galassie o gruppi di galassie strani, che potrebbero es­ sere spiegati in questo o in altri modi ancora più sconvolgenti. Da tulio ciò appare chiaro che le galassie, nel corso della loro vita, possono cambiare notevolmente per l'aspello, la forma, le dimensioni, la massa e il modo di ruotare su se stesse. Galassie nate insieme all'inizio dell'era della materia possono oggi non esistere più, perché successiva­ mente si fusero in una sola o sono state ingoiate da altre galassie mag­ giori, pur esse nate alla stessa epoca. Anche quelle maggiori si sono 321

trasformate per effetto delle galassie minori che hanno incorporato. È dunque molto difficile, forse impossibile, risalire dalle galassie attuali a quelle primitive. Ma queste scope, te, per gran parte in corso. ci stanno ugualmente svelando qualcosa di molto importante: che anche variando soltanto pochissimo una o due grandezze, per esempio massa e dimensioni, da quegli aggruppamenti originali di gas, quasi certamente simili tra loro. con i quali s'iniziò l'era della materia, si ottennero forme nuove che in seguito si diversificarono sempre più. In altri termini anche tra le ga• tassie deve esserci stato quel processo di trasformazione dal più sem­ plice e uniforme al più complesso e variato che abbiamo scoperto ovunque e in tutti i tempi. Non sappiamo esattamente quando e come sia cominciato, ma abbiamo visto che ci fu un"epoca in cui in tutto l'universo c'erano solo tanti mattoni uguali, e oggi vediamo lo spazio ricchissimo di metropoli. città, villaggi e case isolate, costruite con le strutture più diverse, che vivono e si trasformano, rinnovandosi conti• nuamente, come le nostre città .

.l22

lX Quale universo?

Finora, in tutti i nostri viaggi nel tempo, eravamo risaliti verso epoche sempre più remote e solo per la Terra e il Sole ci eravamo avventurati verso il futuro alla scoperta del loro destino. Ma il sistema solare è una parte infinitesima dell"universo; e questo avanza nella sua totalità verso un suo futuro, del quale il nostro fa parte appena come un pomeriggio nella vita di un uomo. È giunto ora il momento di chiederci qual è il futuro dell'universo, globalmente e nelle sue parti, di cercare di sco­ prire se, come ha avuto un principio, avrà anche una fine e, in tal caso, quando avverrà e come. Per rispondere a queste domande dobbiamo sapere, prima di tutto, in quale universo viviamo. Ciò non significa che esistano realmente tanti universi differenti e che dobbiamo scoprire qual è quello in cui siamo capitati. Tuttavia, almeno sulla carta, c'è un numero enorme di modelli di universo costruiti dai teorici. Ciò che dobbiamo cercare di scoprire è se uno di essi corrisponde a quello vero e unico esistente, vedendo, teoricamente, com 'è fatto e come funziona nel tempo. Se tutto ciò che riguarda il presente e il passato corrisponderà all"universo reale. siamo autorizzati a pensare che anche il suo futuro si svolgerà come è previsto in quello teorico. Ciò che abbiamo scoperto sul passato ci ha svelato, totalmente o parzialmente, come l'universo ha funzionato finora e di cosa è compo­ sto. Non ci siamo mai preoccupati di sapere, però, come è fatto. per esempio da un punto di vista geometrico. Invece è importante. perché si possono avere differenti sviluppi, cioè futuri diversi, proprio a seconda della geometria.

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UNIVERSI POSSIBILI

Come si è accennato il numero di modelli di universo costruibili teori­ camente è pressoché illimitato. In pratica ne sono stati elaborati molti e se ne producono tuttora in continuazione. Non possiamo esaminarli tutti, ma sarà sufficiente considerare le soluzioni che spiegano nel modo migliore i principali fatti fondamentali osservati, cioè: l'espansione del­ l'universo, il modo di espandersi, l'esistenza e l'isotropia della radia­ zione di fondo, la distribuzione delle galassie e altri che vedremo. Le soluzioni di Fridman

Partiremo da una teoria della gravitazione (la forza principale che go­ verna l'universo alle grandi distanze), ormai sufficientemente collauda­ ta: quella della relatività generale. Il primo ad applicarla a tutto l'uni­ verso fu lo stesso Einstein, nel 19 I 6. Risolvendo le sue equazioni trovò che l'universo, finito o infinito, doveva contrarsi o espandersi. Se la teoria della relatività era valida non c'erano altre soluzioni: l'universo non poteva essere statico. Era un risultato sconvolgente, allora ritenuto inac­ cettabile e anche Einstein, che lo aveva trovato, lo rifiutò. Pensò che esistesse una forza cosmica capace di neutralizzare questo effetto della gravità e introdusse nelle sue equazioni una costante che rimetteva le cose a posto rendendo l'universo statico, come voleva la buona tradizione. Nel 1922, però, A.A. Fridman, uno scienziato russo che aveva già mostrato il suo valore nello studio della fisica dell'atmosfera ma non si era ancora occupato di cosmologia, risolse nuovamente le equazioni di Einstein. Fridman fece l'ipotesi che la materia dell'universo fosse diffusa in modo omogeneo, anticipando in pratica il principio cosmo­ logico, e ignorò la 'costante cosmologica' introdotta da Einstein. Trovò così che l'universo poteva essere aperto o chiuso e che nel primo caso si sarebbe dovuto espandere per sempre mentre nel secondo, dopo es­ sersi dilatato fino a un massimo, avrebbe dovuto contrarsi. Questi risultati furono pubblicati in una nota scientifica breve, che non ebbe risonanza. Ma nel 1929 E.P. Hubble, ricavando le distanze di diverse galassie e correlandole con le velocità radiali ottenute dai loro spettri, scoprì che apparivano allontanarsi dalla nostra Galassia con ve­ locità tanto maggiori quanto più erano distanti da noi. Ciò dimostrava • che l'universo è in espansione, proprio come aveva affermato Fridman sette anni prima. Einstein ebbe l'amarezza di essersi lasciata sfuggire una gande occasione, e da allora in poi ricordò l'introduzione della costante cosmologica come il più grosso granchio che aveva preso nella vita. • Si veda Al di là della Lu,ia, cosmica.

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CAP.

X, inizio del § Le ga/assi� si muovono e § Visionr

QUALE UNIVERSO?

Fridman non ebbe la soddisfazione che meritava perché quattro anni prima della scoperta dell'espansione dell'universo era morto di tifo, a soli 37 anni. Ma nella sua breve nota ci aveva lasciato una grossa ere­ dità perché, come si è detto, non uno ma ben tre sono i modelli di uni­ verso possibili secondo Fridman. Ed è quasi certamente uno di questi tre che corrisponde all'universo reale. Sta ora a noi scoprire quale. Tre universi possibili

La legge di Hubble, che mostra come cresce la velocità di allontanamen­ to delle galassie da noi con l'aumentare della distanza, si esprime con la semplice formula V = Hr, dove V è la velocità, r la distanza e H una costante detta, appunto, costante di Hubble. Questa costante ci dice come si dilata l'universo, attraverso un numero che esprime la velocità di dilatazione in chilometri al secondo per ogni megaparsec di distanza (I megaparsec = 1 milione di parsec = 3,262 milioni di anni luce).· Il suo valore si calcola attraverso galassie per le quali sono state ricavate, dalle osservazioni, le velocità di allontanamento e le distanze. In teoria basterebbe una sola galassia ma in pratica se ne usano molte perché la velocità che cerchiamo è quella con cui si dilata l'universo, ossia lo spazio che ospita le galassie. Esse funzionano quindi come indicatori di una velocità dello spazio, né più né meno come i punti dipinti su un pallon­ cino che si sta gonfiando indicano, col loro reciproco allontanarsi, come cresce il volume del palloncino. Nel caso del palloncino tutto va bene perché i punti sono dipinti e quindi ognuno resta fermo nel luogo in cui è stato segnato. Ma le galassie si muovono, a gruppi e, individual­ mente, in seno a ciascun gruppo. Prendendo quindi una sola galassia ri­ schieremmo di misurare la velocità risultante dalla composizione di quel­ la della dilatazione dell'universo con quella della galassia nello spazio. Per avere un buon valore della costante di Hubble è necessario, dun­ que, ricavarlo dal maggior numero possibile di galassie situate a varie distanze da noi. E anche questo, purtroppo, non basta, proprio perché non conosciamo bene l'effetto dovuto ai moti delle galassie, compresa la nostra, in seno all'universo. Così diversi autori sono giunti a risultati notevolmente diversi e il valore esatto della costante di Hubble è, par­ ticolarmente in questi ultimi tempi, molto controverso. La cosa è grave perché dalla costante di Hubble si ricava, tra l'altro, l'età dell'universo. Il metodo è semplice. Supponiamo che l'universo si sia dilatato fin dall'origine e si dilaterà in futuro sempre alla stessa ve­ locità con cui vediamo che si espande oggi. Indichiamo con R la distan­ za tra due galassie qualsiasi in questo momento. "È ovvio che, a causa dell'espansione, in futuro la distanza tra le stesse due galassie aumen­ terà sempre mentre in passato sarà stata sempre più piccola, fino al 325

(3)

presente

Fi1,t.8l Come si dilah11 l'unh·crso al pi,ssarc del lcmpo. Nel diagramma sono ri­ porh1te le tre soluzioni trovare da Fridman: dell'universo chiuso (I). ,,pcrto (2), e piatto (J ), Come appare dalla figura, nel primo caso la distanza R tra due suoi 1mnti prefissHti, per esempio tra due galassie, dopo aver rnJ,tJ,tiunto un massimo, lorncr:ì a diminuire e l'unin�rso finirà in un punto come era ,:ominchtto; nel secondo e nel ferzo, in,·ecc, 1u1menterà sempre e l'espansione � deslinaht a non avcn umi termine.

momento dell'origine in cui dovette ridursi a zero. Se rappresentiamo in un grafico l'aumento di .R, cioè della distanza tra le due galassie. al crescere del tempo, ammettendo che l'universo si sia dilatato sempre. alla stessa velocità, il fenomeno sarà rappresentato da una retta (FIG. li I) che sarà più o meno inclinata rispetto all'asse delle ascisse, a seconda che l'universo si espanda più o meno velocemente. li valore R è chia­ mato dai cosmologi fallor