La metafora in Dante


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BIBLIOTECA DELL' Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia ------- 358

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LA METAFORA IN DANTE a cura di MARCO ARIANI

LEO S. OLSCHKI EDI TORE MMIX

BIBLIOTECA DELL' >: nescit quia oblitus, nequit quia, si re­ cordatur et contentum tenet, senno tamen deficit. Multa namque per intellectum vi­ demus quibus signa vocalia desunt: quod satis Plato insinuat 3 in suis libris per assumptionem metaphorismorum; multa enim per lumen intellectuale vidit que ser­ mone proprio nequivit exprimere.4

Chiunque ne sia l'autore,5 è un passo capitale per l'esegesi del Paradiso in quanto annette il tema dell'ineffabilità ad un impiego mitopoietico della me-

rae cfr. P. RicoEUR, La meta/ora viva, trad. it., Milano, Jaca Book 1981, pp. 23 sgg.; sulla presenza della retorica classica (e, in particolare, della Rhetorica aristotelica) nella cultura medievale, dr. J.J. MUR­ PHY, La retorica nel Medioevo, trad. it., Napoli, Liguori 1983, pp. 104 sgg. Per la >) di un commentatore del De Tnnitate di Boezio citato da E. }EAUNEAU, L'usage de la notion d"integumentum' à travers !es Gloses de Guillaume de Conches, «Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age>>, XXXII, 1957, p. 64, e anche ToMMAso o' AQUINO, In Metaph. , VII n (cit. a nota 40). Sul nes­ so tra insinuatio e genus admirabile (cfr. nota 7), oltre che con obscuritas, cfr. gli esempi addotti da H. LAUSBERG, Handbuch der literarischen Rhetorik, Miinchen, Hueber 1973\ pp. 15o-151. 4 DANTE, Ep. , xm 83-84. ! Ritengo che l'Epistola sia, con probabilità altissima, di Dante (mi attengo in tal senso, oltre a G. CoNTINI, Un'idea di Dante, Torino, Einaudi 1976, p. 39 e a F. MAZZONI, L'Epistola a Cangrande, «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti. Oasse di Scienze morali, storiche e filologi­ che>>, s. VIII, vol. X, 1955, pp. 157-198, da integrare con Io., Contributi di filologia dantesca, Firenze, Sansoni 1966, pp. 7-37, a G. PADOAN, La «mirabile visione» di Dante e l'Epistola a Cangrande, in Io., Il pio Enea, l'empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale in Dante, Ravenna, Longo 1977, pp. 3o-63, a PAOLAZZI, Dante e la 'Comedia' cit., pp. 3-no, a CECCI-nNI, Introduzione a ALIGI-flERI, Epistola a Cangrande cit., pp. VIII -XXV e ultimamente, decisivo per dirimere la questione, a L. AzZETIA, Le chiose alla 'Commedia' di Andrea Lancia, !"Epistola a Cangrande' e altre questioni dantesche, «L'A­ lighieri», n.s., vol. 21, 2003, pp. 5-76): le stranezze e le tante singolarità evidenziate dagli scettici, poco consone ad un falso che invece dovrebbe creare un'illusione perfetta di autenticità, potrebbero essere da addebitare alle circostanze materiali, che ignoriamo del tutto, della stesura (a tratti frettolosa ed ec­ cessivamente sintetica, quasi in forma di appunti: in tal senso si valorizzi come merita l'espressione di 39 «omissa subtili investigatione>>, sintomatica di un procedimento cursorio), alla particolarità del dedica­ tario, non proprio un letterato raffinatissimo e sofisticato, alla maturazione della teoresi letteraria di Dante rispetto al Convivio e al De vulgari eloquentia, sempre apposti, dai denigratori dell'autenticità, come termini di confronto ad excludendum: tanti segnali accomunano invece l'esegesi dell'Epistola al coté dei Mussato e dei Guizzardo (cfr. M. PASTORE STOccr-n, Dante, Mussato e la trageàza, in Dante e la cultura veneta, a cura di V. Branca e G. Padoan, Firenze, Olschki 1966, pp. 251-262; F. FoRTI, Ma-

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I «METAPHORISMI» DI DANTE

tafora, intesa non solo come rimedio al naturale deficit linguistico, ma quale specifico strumento espressivo della visione («per intellectum videmus [ . . . ] per lumen intellectuale vidit>>). n termine > (Ep., XIII 49-52) . Si aggiunga che nell' accessus delineato all'inizio dell'Ep istola il sesto degli elementi «que in principio cuiusque doctrinalis operis in-

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MARCO ARIANI

p rio nella Rhetorica, 8 pertinente al meraviglioso, del quale la metafora è vetto­ re privilegiato.9 Comunque, Dante non ignora del tutto il lessico tecnico della translatio e allude due volte alla transumptio,ro che nella retorica medievale ha quasi sosti­ tuito il classico metaphora 11 ampliandone però la funzione tecnica '" a métapho-

quirenda snnt>> è, dopo > di chi «domandato, non sapesse de­ nudare le sue parole da cotale vesta>>.'5 Suscita invece una certa sorpresa che nel De vulgari eloquentia, là dove adduce un esempio di gradus excellentissi­ mus dello stile venustus et excelsus, non trovi modo di designare quale tran­ sumptiva quella frase («Eiecta maxima parte florum de sinu tuo, Florentia, nequicquam Trinacriam Totila secundus adivit»)'6 che è un concentrato,

sumptio, in ID., Magnanimitade cit., pp. 103-135· Cfr. anche F. TATEO, transumptio, in Enciclopedia dantesca, 6 voli., Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1970-1978 [= ED] , V, 1976, pp. 690692; I. BALDELLI, Lingua e stile: Commedia, ivi, VI, 1978, pp. 97-98; W. PuRCELL, 'Transumptio'. A Rbetorical Doctrine o/ the Thirteenth Century, , V, 1987, pp. 371-410; M. CERRONI, «Li versi strani». Forme dell'allegoria nella 'Commedia' di Dante, Pisa, ETS 2003, pp. uo-121. 'l FoRTI, Magnanimitade cit., p. u3. '4 A questa altezza il giovane Dante non sceglie ancora, per esprimere un dato tecnico di ars rhetorica, il lessico della transumptio, ma usa figura (cfr. nota 56) e colore (che caratterizza l'ornatus: CICERONE, De orat. , III 100: «orario [. .. ] ornata [ . . . ] coloribus picta [ . . ] poesis»; cfr. ALANo DI LILLA, Anticlaudianus, I 140-41, cit. a nota 2) per metafora (cfr. GEOFFROI DE VINSAUF, Poetria nova, 944 sgg.: > (IV 24 9), ma non manca la sua specifica adibizione a tecnicismo retorico: «sotto colore d'insegnare a lei come scusare la conviene, scuso quella: ed è una figura questa, quando a le cose inanimate si parla, che si chiama da li rettorici pro­ sopopeia; e usanla molto spesso li poeti>> (ID 9 2: vedi anche m 9 6 e IO 7). Come si vede, il vocabolario tecnico-retorico in fatto di translatio è in Dante piuttosto scarno. La sua relativa idiosincrasia per la terminologia retorica è forse in parte responsabile della rarità e arretratezza degli studi specifici sul suo metafori­ smo: res nullius, tutti, nella sterminata letteratura critica, quando necessita en passant vi si soffermano, ma solo di recente si è potuto acquisire un primo dossier sistematico, anche se non esaustivo, sull ' argomento.'9 Nondimeno Dante dissemina nella Commedia tasselli di discussione del mezzo linguistico e della sua tragica inopia a ridire l'indicibile: :w ma il luogo capitale, come ha ben visto Peter Dronke, 21 è la requisitoria metaletteraria di Beatrice nel IV del

come «expression périphrastique» in P.A. MEssELAAR, Le vocabulaire des idées dans le 'Tresor' de Brune! Latin, Assen, Van Gorcum 1963, p. 119, e «perifrasi» in B. LATINI, Tresor, a cura di P.G. Bel­

trami, Torino, Einaudi 2.007, p. 663: ma si tratta, piuttosto, di metafora continua). 17 ARisTOTELE, Poet. , 1458a 2.2. sgg. mette in guardia proprio contro un eccessivo accumulo di metafore che ingenera l'enigma; in Rhet. , m 2. 1405b 4 non esclude invece che anche una buona me­ tafora possa essere enigmatica (vedi anche 1412.a 2.6); in Top. , 139b 32. sgg. afferma che da un punto di vista logico ogni metafora produce oscurità; cfr. CICERONE, De orat. , m 42., 167: «est hoc magnum ornamentum orationis, in quo obscuritas fugienda est; et enim hoc fere genere fiunt ea, quae dicun­ tur aenigmata>>; QVINTILIANO, Inst. orat. , Vill 6 14: «Ut modicus autem atque opportunus eius usus inlustrat orationem, ita frequens et obscurat et taedio complet, continuus vero in allegoriam et ae­ nigmata exit>>; GEOFFROI DE VINSAUF, Poetria nova, 1061 sgg. (ed. Farai cit., p. 2.30). 18 Vedi note 56 e 85. 19 D. GmBONS, Metaphor

in Dante, Oxford, European Humanities Research Centre 2.002. (su questo libro vedi più avanti), da integrare con Io., Alimentary metaphors in Dante's 'Paradiso', «The Modern Language Review», XCVI, 2.001, pp. 693-706. w n rimando d'obbligo è ora a G. LEDDA, La guerra della lingua. Ineffabilità, retorica e na"ativa nella 'Commedia' di Dante, Ravenna, Longo 2.002.. DRONKE, Dante e le tradizioni latine medioevali cit., pp. 47 sgg. Anche Freccero mette in ri­ lievo l'impianto metaforico del discorso di Beatrice nel IV del Paradiso: cfr. J. FREccERO, Dante. La poetica della conversione, trad. it., Bologna, n Mulino 1989, pp. 2.89-2.90. 11

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I «MET APHORISMI» DI DANTE

Paradiso, dove redarguisce Dante agens sull'inettitudine dell'umano ingegno e delle sue facoltà ad apprendere ciò che trascende i sensi: De' Serafin colui che più s'india, Moisè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t'appariro, né hanno a l'esser lor più o meno anni; ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l'ettemo spiro. Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestial c'ha men salita. Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d'intelletto degno. Per questo la Scrittura condescende a vostra facultate, e piedi e mano attribuisce a Dio e altro intende; e Santa Chiesa con aspetto umano Gabriel e Miche! vi rappresenta, e l'altro che Tobia rifece sano.

(Par., IV 28-48)

Anche qui sorprende che Dante non ricorra affatto, come ci saremmo forse aspettati, ad argomentazioni di carattere retorico, ma organizzi invece il discorso intorno alla teoria della conoscenza attraverso i sensi che è il nu­ cleo funzionale del De anima aristotelico, 22 a segno della sua indifferenza ad una specifica teorizzazione letteraria della metafora in favore invece di una fondazione eminentemente filosofica 23 e teologica dei mezzi verbali sostitutivi dell'irrappresentabilità del divino. Ne sono prova non solo l'annessa discus­ sione sulla mitopoiesi astrale del Timeo platonico,24 che giustamente Dronke 11 ARisTOTELE, De anima, Ill 3 sgg. (419a 14: 'pensare è come sentire'). Per le ardue implicazioni tecnico-metaforiche del precetto aristotelico cfr. nota 134. >3 La metafora è simile al sillogismo filosofico secondo ARISTOTELE, Rhet. XI 14lla II-Il. n mae­ ' stro di Dante, Brunetto Latini, inserisce «la retorica in uno schema generale del sapere o filosofia [. . . ] che si ramifica in filosofia pratica, logica e teorica>> (BELTRAMI , Introduzione, in LATINI, Tresor cit., p. xm). La riduzione di retorica e poetica, «intese come discorsi persuasivi che possono essere usati a fini politici e morali», a parti della logica, ha contribuito a limitare l'interesse della cultura medievale per «uno studio tecnico delle metafore» (Eco, Dall'albero a/ labirinto cit., pp. uo-m ) . "" Che fosse un testo difficile per i contenuti, e non tanto per le mere parole, Dante ne trovava

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MARCO ARIANI

vede come parte integrante della riflessione sull' «altro intende» transuntivo, '5 ma la conformità dell'esempio della «conditio corporalis»'6 («piedi e mano») attribuita a Dio a quanto sostiene, a proposito della bestialis imaginatio ap­ plicata ai Dez/ormes, l'altro grande teorico della nominazione simbolica e me­ taforica del divino, lo pseudo Dionigi Areopagita.'7 Come vedremo più avan­ ti, è alla teoresi pseudodionisiana delle 'figurazioni dissimili' (dissimilia signa) , fatta propria anche da Tommaso d'Aquino,28 che occorre rifarsi per autorevole testimonianza in CICERONE, De finibus malorum et bonorum, II 2 15: sono dun­ que, specificamente, i complessi mitologemi adottati da Platone per metaforizzare l'inxpensabile, in primis la datio /ormarum operata dal Demiurgo sulla materia informe, luogo capitale che permetteva al creazionismo cristiano di annettersi Platone come allievo di Mosè (dr. T. GREGORY, Anima Mundi. LA filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Firenze, Sansoni 1955, pp. 44 sgg.). L'e­ spressione «in suis libris» potrebbe essere un automatismo di scuola, tratto da Calcidio, che lega strettamente il Timeo alla Repubblica (cfr. Commentarii in Timaeum, VI: , inserisce di diritto Dante nel tipo di esegesi elaborata, nel XII secolo, dalla Scuola di Chartres, in particolare intorno alla nozione di in­ tegumentum, che ex pro/esso incardina il vettore metaforico-verbale sui sensi profondi che deve veicolare. 29 Se ne fa interprete Beatrice nel seguito del pas­ so su citato del IV del Paradiso, adibito a chiarire il secondo como del dubbio di Dante («Ancor di dubitar ti dà cagione l parer tomarsi l'anime a le stelle, l secondo la sentenza di Platone»/0 22-24) :

nostra remaneat, nihil ultra huiusmodi Deum existimans, sed ex istis signis, rursus extendimur, secun­ dum nostram proportionem ad simplicem et unitam veritatem intelligibilium miraculorum, idest ad­ mirabilium contemplationum, quas de rebus divinis per huiusmodi signa accipimus» (dr. nota 55). Dove è notevole l'adibizione di metaphora a sinonimo dd dionisiano symbolum, a proposito dd sim­ bolo per antonomasia, la luce: «Nec est mirum si haec pluraliter dicimus de divinis personis, quia si in metaphoricis locutionibus accipiatur ipsum signatum metaphorarum , oportet singulariter praedi­ cari de divinis personis; si vero accipiantur ipsae metaphorae, possunt pluraliter praedicari; per lu­ men enim metaphorice intelligitur veritas. Possumus ergo dicere quod filius et spiritus sanctus sunt unum lumen, quia sunt una veritas; possumus etiam dicere quod sunt duo lumina, ut sit sensus quod signantur per duo lumina, idest per duos radios ab uno lumine procedentes, sicut per duos flores, quia uterque procedit a patre>> (ivi, p. 57); dr. anche ivi, p. 102 («nomen luminis solaris metaphorice Deo attribuitur>>), 197 («Dionysius [. ..] loquitur metaphorice>>), 372 ( (Summa Theologiae, I, q. LXVII, a. I). C fr. R PADELLARO DE ANGELIS, La meta/ora della luce in S. Tommaso, in EAD ., L'influenza delpensiero neoplatonico sulla metafisica di S. Tommaso d'Aquino, Roma, Abete 1981, pp. 221-235. Ricostruisce, sulla base di Conv. , III 15 6 (Dio, l'eternità e la materia prima conoscibili sull'origine astrale delle anime all'accusa di ere­ sia, ha certo incoraggiato Dante ad assolvere l' DIONIGI AREoPAGITA,

Cael. Hier. ,

II

1 (cit. a nota 27).

9 l Sulla teologia ddla dissomiglianza e la sua vasta diffusione ndla mistica medievale vedi la grande opera di R ]AVELET, Image et Ressemblance au douzième siècle de Saint Anse/me à Alain

de Lille, 2 voli., Strasbourg, Letouzey & Ané 1967, I, pp. 246 sgg. 94 MAcROBIO, In Somnium Scipionis, I 3 20; I 2 17-18 (.97 Solo a seguito della irri­ mediabile frattura, del vuoto che si spalanca fra l'oggetto della metaforizzazio­ ne (il divino che nella teologia dionisiana equivale, letteralmente, al Nulla) 98 e l'atto umano di nominazione translativa di quell'incomprensibile alterità, è

tam nudamque expositionem sui quae, sicut vulgaribus hominwn sensibus intellectum sui vario re­ rwn tegrnine operimentoque subtraxit, ita a prudentibus arcana sua voluit per fabulosa tractari>>). Cfr. note 15, 32, 48 e 100. 95 n mediatore può essere stato GIOVANNI ScoTO ERIUGENA, Expositiones super Ierarchiam Cae­ species visibilis et invisibilis creaturae, omnesque allegoriae, sive in factis, sive in dictis, per omnem sanctam utriusque Testamenti scripturam, velami­ na patemi radii sunt» (PL, CXXII , col. 136) . Ma vedi anche AGOSTINO, Tractatus in ]ohannem, XLI 3 (in PL, XXXV, col. 1694) : «velamento secreti>> (cfr. PÉPIN, La tradition de l'allégorie cit., p. 95 e nota).

lestem S. Dionysii, I 2: «Et ut breviter dicam, omnes

9 6 Va infatti ricordato che Dionigi afferma di aver ricevuto direttamente da Paolo, assieme al suo maestro Ieroteo, la rivelazione dei misteri celesti: cfr. DIONIGI AREoPAGITA, Div. nom. , III 2 ( «praeterea et iniuriam faceremus et magistro nostro et amico existenti et nos ex eius eloquiis post divinum Paulum introducti, nobilissima ipsius contemplationem et manifestationes nobis ipsis arri­ pientes»: in S. THOMAE AQUINATIS In Librum Beati Dionysii De Divinis Nominibus cit., pp. 72-73); Cael. Hier. , VI 2. Cfr. P. SCAZZOSO, I rapporti dello pseudo-Dionigi con la sacra scrittura e con S. Paolo, >. Nell'adottare il termine turpis per tradurre ai.axpoç Eriugena e gli altri interpreti hanno probabilmente tenuto conto della tradizione retorica del genus turpe e admirabile: dr. nota 7-

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MARCO ARIANI

rnile e dissimile, fra turpes /ormationes e sacrae imagines, un duplex modus che il poeta ha provveduto a mescidare in un'unica, incandescente fusione stilisti­ ca, vera e unica restitutiva sapientia in grado di sprofondarsi nel meraviglioso della discesa infernale (ad indecoras dissimilitudines mirabiliter descendit) e dell'ascesa purgatoriale-paradisiaca (purgans vere sursum /erens animae) : l'esi­ to della raffigurazione è comunque quello di un'infima dissomiglianza, perché solo in quanto tale è in grado di denunciare l'irrimediabile inattingibilità del divino (percepibile solo per ) e ne tronca, nel contempo, ogni illusione figurativa che non accetti la propria, ineluttabile metaforicità, obliqua figuratio simbolica e traslativa delle supermundialium excellentiae. Tra le assenze e le presenze calcolatissime dell 'Epistola a Cangrande non è possibile ignorare l'esito di una vera e propria retorica divina che si ottiene facendo interagire il rinvio alla Caelestis Hierarchia, il cui capitolo II è l'indi­ spensabile prodromo a ogni discorso su Dio e la sua creazione, con l'«assump­ tio metaphorismorum» quale lascito specificamente platonico atto a sanare il deficit causato dall ' in opia linguistica, quando, appunto, «signa vocalia de­ sunt», metodo che Dante trovava anche nell'esegesi di quell'altro raptus, laico ma non meno misterico, il Somnium ScipioniS.100 Per troppo tempo si è sotto­ valutato la pregnanza dei tanti segnali di teoria letteraria disseminati nell'Epi­ stola: il polisemos allegorico, il modus transumptivus, la retorica celeste di Dio­ nigi, la retorica profana del «primus tropus, metaphora [ . . ] omnium genera­ lissimus»,10' la mitopoiesi di Platone,'02 vanno tutti ricondotti, anche a norma del panmetaforismo cosmico di Boncompagno (nel quale convergono il meta­ forismo dionisiano-eriugeniano e l' integumentum dei neoplatonici di Char­ tres), allo strumento principe di una universale conversio dei corpora vilia a sublimi-infime dissomiglianze designanti la divina infigurabilità. Tale è dun­ que la squisita natura 'comica' delle metafore dantesche, anche di quelle pa­ radisiache: il basso, il turpe, il brutto, l'infimo, la domesticità degli accosta­ menti, il senno humilis messo volutamente alla portata delle «muliercule»,'03 .

100 Cfr. MAcROBIO, In Somnium Scipionis, l 2 Io e 14: «cum veritas argumento subest solaque fit narratio fabulosa, non unus reperitur modus per figmentum vera referendi [. .. ] cum de his, inquam, loquuntur sunimo deo et mente, nihil fabulosum penitus attingunt sed, siquid de his adsignare co­ nantur quae non sermonem tantunimodo sed cogitationem quoque humanam superant, ad similitu­ dines et exempla confugiunt>>. 101 Cfr. nota 56. 102 In tal senso valorizza suggestivamente i metaphorismi danteschi MAJ, Elementi di meta/oro­ logia aristotelica cit., pp. 154 sgg. 10l DANTE, Ep. , XIll 31: «Nam si ad materiam respiciamus, a principio horribilis et fetida est,

quia lnfemus, in fine prospera, desiderabilis et grata, quia Paradisus; ad modum loquendi, remissus est modus et humilis, quia locutio vulgaris in qua et muliercule comunicant>>.

I «METAPHORISMI» DI DANTE

istituiscono la scrittura della «sublimis cantica>>,104 «tractatus admirabilis» che coniuga celestia et te"estria in una mixtio linguistica di una sperimentalità ver­ tiginosa, anche nell'adibire, come accade spesso nel Paradiso, immagini vili al «sacrato poema>> che Dante vuole, sulla scorta di Orazio, come altissima sin­ tesi tragico-comica,105 di cui la metafora illustre-turpe celebra i fastigi di un'in­ ventività senza precedenti. Ma la scepsi aniconografica di Dionigi, come la na"atio fabulosa di Ma­ crobio 106 e la metaforica divina di Eriugena 107 (difficile eredità questa, ma rie­ sumata con forza proprio dalla Scuola di Chartres) ,108 illuminano anche l'uso infernale della transumptio: se il mondo dei dannati è «imagine perversa» (In! , XXV 77) della creazione divina, quel pervertimento della somiglianza originaria, l'infernale regio dissimilitudinis'09 non può che offrire al poeta or­ rende dissomiglianze o sinestesie in negativo (come «di luce muto» e «dove 'l sol tace», vere e proprie sigle apofatiche in senso dionisiano) ,"0 allusive alla sfigurata similitudo Dei, negata ai dannati. 104 Cfr. QuiNTILIANO, Inst. orat. , VIII 6 n: similitudinis non provoca alcuno scarto tecnico, essendo tutte e tre designazioni dell'unico meccanismo che tra­ sferisce (transnominatio) a Dio i sensibilia quali metafore dell'indicibile (si veda, nel seguito del ca­ pitolo, la stretta congruenza tra caligo come inel/abilitas e sermonis de/ectus: ivi, II, pp. 589-590). lo8 ar. WETHERBEE, Platonism and Poetry cit., pp. II? sgg.; STOCK, Myth and Science cit., pp. !86 sgg. I09 Cfr. FRECCERO, Dante. LA poetica della conversione cit., pp. 21 sgg. 110 Proprio l'ineffabilità della luce divina o la sua assenza (come nel Paradiso e nell'Inferno dan-

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Della lucida autocoscienza retorica e sapienziale di Dante anche nell'Infer­ no è prova la terzina metaletteraria di IX 61-63 («0 voi ch'avete li 'ntelletti sa­ ni, l mirate la dottrina che s'asconde l sotto 'l velame de li versi strani>>) , uni­ versalmente citata ma di cui ben poco si è avvertito il totale tecnicismo: come dirà nell'Epistola a Cangrande, ogni atto di decrittazione verbale è operazione intellettuale ( «'ntelletti sani>>) che non esclude l'admiratio () riposti («s'asconde») nell'involucrum () . 111 Qui ogni lemm a è tecnico e Dante lo ha tratto dal vocabolario dell'esegesi medievale neoplatonica e scolastica, che ex professo funziona come ricerca del senso pro­ fondo occultato in involucri letterari e filosofici (allegorie, integumenta, vela­ mina, cortices et cetera) fatti spesso, anche se non sempre, di traslati, proprio come i che seguono: E già venìa su per le torbide onde un fracasso d'un suon, pien di spavento, per cui tremavano amendue le sponde.

L'apparizione del Messo celeste è preparata da uno stile altamente tran­ suntivo, corredato successivamente da lunghe similitudini di potente quanto domestica icasticità carica di tensione metaforica (il vento che «fier la selva e sanz' alcun rattento» e che va «superbo» della sua polverosa violenza, e poi ancora la davanti alla quale ogni rana «s'abbica>>): tutto il resto del canto è violentemente transuntivo, e non a caso Dante lo ha posto sotto l'etichetta retorico-sapienziale del velamen,m inteso come veicolo verba-

teschi), scorciando o dilatando, contraggono fino al silenzio (sine voce) la possibilità del senno di esprimerle a superiori ad extrema: dr. DIONIGI AREOPAGITA, Myst. Theol. , II («In hac superlucenti caligine fieri nos precamur, et per non-videre et per ignorare videre et cognoscere eurn qui est super ornnem visionem et cognitionem, in ipso non videre et non cognoscere») e ID: «Etenim oportebat theologicas hypotyposes et divinorum norninurn reserationem pauciorum sermonem esse quam syrn­ bolicam theologiam: quoniam quanturn superius respicirnus tanturn sermones conspectibus intelligi­ biliurn contrahuntur. Quemadrnodurn et nunc et caliginem quae est super mentem introeuntes, non sermonurn brevitatem sed irrationabilitatem perfectam et imprudentiam inveniemus. Et ibi quidem a superiori ad extrema descendens, sermo secundurn quantitatem descensus ad proportionalem dila­ tabatur multitudinem; nunc autem ab inferioribus ad supremurn ascendens secundurn mensuram ascensionis contrahitur; et post ornnem ascensionem totus sine voce erit, totus unietur ineffabili [trad. Eriugena: «et totus adunabitur voce carenti>>]» (trad. G. Saraceno, in Dionysiaca cit., II, pp. 579 e 589-591). Sull'assurdo come segno e sintomo inequivocabile di sensus pro/undi dr. PÉPIN, L'absurdité signe de l'allégorie, in ID., La tradition de l'allégorie cit., pp. 167-186. "1 In Purg., VIII 19-21 («Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, l ché 'l velo è ora ben tanto sot­ tile, l certo che 'l trapassar dentro è leggero») la formulazione metaforica («aguzza, trapassar>>) del m

nesso paronomastico vero-velo indica semplicemente il meccanismo dell'allegoria (involucro-senso mistico), qui talmente evidente che il poeta stesso ne rileva la trasparenza con la metafora della sotti-

I «METAPHORISMI» DI DANTE

le metaforizzante di un contenuto enigmatico che il lettore competente (dota­ to di intelletto sano, che è a sua volta un'altra metafora) deve decrittare. In tal senso Dante va oltre l'esegesi allegorica in quanto la comprende nella com­ plessa fenomenologia dell'involucro, o, quantomeno, sembra riappropriarsi della definizione, risalente a Quintiliano, dell'allegoria come serie organizzata di metafore per introdurvi la tradizione dell'incongruo, dell'assurdo e del te­ ratologico che da Dionigi Areopagita e Giovanni Scoto Eriugena è giunta, «per li rami>>, a Boncompagno da Signa. Dall ' Inferno al Paradiso è dunque possibile trafilare una medesima co­ scienza tecnica dei mezzi formali: soltanto che, mentre nella prima cantica la metafora denuncia lo sfiguramento dell'originaria somiglianza divina nell '«i­ magine perversa>> della regio dissimilitudinis, nella terza è all'archetipo di tutte le similitudines che tende l'immane sforzo di ritrovare la perduta proprietas ricaricando la metafora, in sé tragicamente impropria, di una paradossale dis­ somiglianza che, maestro Dionigi Areopagita, è l'unica in grado di avvicinarsi alla radicale alterità del divino. L' «assumptio metaphorismorum» risulta per­ ciò la punta più alta di questa autocoscienza tecnico-sapienziale, fondata sugli inestricabili paradossi dell'ineffabile, ma sempre coerente, dal > l «intelletto degno» l

gliezza. La forma transuntiva dell'appello al lettore segnala comunque, per l'ennesima volta, la pro­ fonda implicazione, nella scrittura dantesca, tra metafora e significazione occulta. La mancata avver­ tenza di un livello tecnico più complesso ha impedito ai due maggiori studiosi dell'allegoria dantesca di andare oltre una generica assegnazione dei due appelli all'autoesegesi allegorica: cfr. R HoLLAN­ DER, Allegory in Dante's 'Commedia', Princeton, University Press 1969, pp. 239 sgg.; J. PÉPIN, La tra­ dition de l'allégorie cit., pp. 309 sgg. Benvenuto non esita a riferirisi all'integumentum commentando il passo in questione: cfr. BENVENUTI DE RAMBALDIS DE IMOLA Comentum super Dantis Aldigherij Co­ moediam cit., III , p. 221: «dentro, scilicet ad sententiarn quae est inclusa sub integun�ento». Dai «sancta velarnina eloquioruni» di DIONIGI, Div. Nom. , I 4, solo con i quali è possibile essere ammessi alla contemplazione degli in/igurabzlia, Tommaso ha detratto una completa semiologia del ve/amen come similitudo e metaphora: «Qualia vero sunt ista velarnina exponit subdens quod ex bonitate Dei intelligibilia circumvelantur per sensibilia, sicut cum Scripturae de Deo et Angelis sub sirnilitudine quorundarn sensibilium loquuntur [ . . . ] et sirniliter, res simpliciter supernaturalis et infigurabilis mul­ tipliciter componuntur per varietatem divisibilium signoruni, inquantum scilicet ipse Deus [ ... ] per diversa nobis manifestatur in Scripturis sive sint diversae processiones sive diversae sirnilitudines [ . . . ] Dicit ergo, primo, quod nunc, idest in praesenti vita [ . . . ] utimur, sicut nobis est possibile, propriis signis ad divina cognoscenda; quae quidem signa sunt taro perfectiones quae procedunt a Deo in creaturas, quarn et metaphorae quae a creaturis per sirnilitudinem transferuntur in Deum» (S. THO ­ MAE AQUINATIS In Librum Beati Dionysii De Divinis Nominibus cit., pp. 15 e 2o-21); cfr. anche ToM­ MASO D'AQUINO, In I Sent., d. 34, q. 3, a. 1: «Contra est quod dicit Dionysius: neque possibile est nobis aliter superlucere divinum radium, nisi varietate sirnilitudinum circumvelatum. Divinus radius autem est veritas divino=. Ergo oportet quod sub similitudinibus corporalibus, nobis divino= veritas proponatur>>. Sulla metafora del ve/amen cfr. nota 15.

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«per intellectum») che culmina nella visto platonica «per lumen intellectuale» di Ep. , XIII 84, che va dunque rivalorizzato, peraltro proprio in qualità di per­ fetta sintesi tomistico-platonica, come il punto più alto della teoresi dantesca della metafora integumentale come strumento privilegiato, sia sul versante in­ fero che su quello celeste, della scrittura oltremondana. Sotto il segno di questa coerente continuità va allora posto l'analogo dise­ gno esegetico che già si scorge nella Vita Nuova, dal capitolo XXV , dove, a proposito di un integumentum ovidiano capitale come Amore che «parla [ . . .] sì come se fosse persona umana>>, Dante equipara vesta di figura e colore rettorico "3 (> e In/ , V 28: > dissomiglianza nell'Inferno e nd Purgatorio, luogo di passaggio quest'ultimo do­ ve nuovi accorgimenti di addolcimento e transitorietà permettono a Dante di far scorrere la materia metaforica dall'abissale negatività infera all'altrettanto abissale infigurabilità paradisiaca (basti solo il progressivo sprofondare della visibilità degli angeli in insostenibili involucri di luce) . Da tutto questo potreb­ be conseguirne anche una più comprensiva concezione del 'comico' dantesco: in realtà una mixtio tragico-comica nutrita della teratologia simbolica di Dio­ nigi Areopagita come dei metaforismi platonici mediati dal vertiginoso panme­ taforismo di Boncompagno da Signa, che convogliano nella scrittura poetica tutto l'universo delle cose passibili di metaforizzazione sull'abissale scalatura basso-alto/alto-basso, che costituisce l'ossatura del cosiddetto 'realismo' dante­ sco, una nozione non da gettare, ma da riconsiderare proprio alla luce di una più approfondita disamina del metaforismo dantesco. Da quanto detto sopra consegue la necessità di mettere in rilievo un altro dato di fatto, solitamente trascurato: che Dante ama prelevare la materia per forgiare molte delle sue metafore paradisiache da testi teologici e filosofici, e questo a prescindere da un'adesione al pensiero veicolato, di volta in volta, dal testo rivisitato dalla memoria culta del poeta. Soprattutto nel Paradiso un este-

116 Sulla mentalità segnica medievale dr. CHENU, LA théologie au douzième siècle cit. , pp. 159209; P. ZuMTHOR, Semiologia e poetica medievale, trad. it. , Milano, Feltrinelli 1973, pp. 124 sgg.; Z.G. BARANSKI, Dante e i segni. Saggi per una storia intellettuale di Dante Alighieri, Napoli, Liguori 2000, in particolare pp. 41 sgg.; Eco, Dall'albero a/ labirinto cit., pp. 124 sgg. Cfr. la serniosi intellet­ tualistica derivata da Aristotele in ToMMASo o'AQUINO, Summa Theologiae, I, q. XIII , a. 1: «Secun­

durn Philosophurn, voces sunt signa intellectuurn, et intellectus sunt rerurn sirnilitudines. Et sic patet quod voces referuntur ad res significandas, mediante conceptione intellectus».

127 Cfr. BRINKMANN, Mittelalterliche Hermeneutik cit. , pp. 45-51 (vedi ora G. AGAMBEN, Signatu­ ra rerum. Sul metodo, Torino, Bollati Boringhieri 2008, pp. 45 sgg.: ma i testi da addurre sarebbero molti di più, come dimostra la dotta trattazione di Brinkrnann ) .

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so consumo di tecnicisrni filosofici, prevalentemente, ma non esclusivamente, di marcatura scolastica, provoca potenti insorgenze translative. Collettore e mediatore di tanta «matera>> metaforico-teologica è appunto Dionigi Areopa­ gita: insistere sulla sua non conoscenza da parte di Dante, 128 lascerebbe senza risposta la massiccia presenza di immagini di matrice neoplatonica nella Com­ media di cui non è facile documentare il prelievo da altri testi. In tal senso ri­ mane ancora un enorme lavoro da fare: raccogliere i tecnicisrni filosofici e le loro implicazioni metaforiche, vagliame la più remota attestazione in autori che Dante avrebbe potuto leggere se avesse voluto (e fra questi proprio Dio­ nigi, non certo ignoto in Italia) 1 29 e inseguime le occorrenze in testi che avreb­ bero potuto mediarli al poeta. Comunque, anche nel caso di attestazioni intermedie, volendo seguire un metodo di intertestualità piuttosto che una spossante quanto vana ricerca di 'fonti' dirette, il primo capostipite titolare dell'occorrenza del topos dovrebbe restare a far parte del gioco, quale antesi­ gnano di una trafila comunque inscritta nel testo dantesco. Superato il concet­ to di fonte che, applicato con cieco rigore, porta a negare a Dante tante pos­ sibili letture e a fame una sorta di geniale bestione vichiano senza libri, memoria e appunti, 130 un più sano concetto di filiera topica come parte inte-

1211 È il caso di M. CRISTIANI, Dionigi l'Areopagita, in ED, n, 1970, pp. 460-462., che, insistendo su una «radicale divergenza>> tra teologo e poeta, toglie a Dante la teologia negativa e il simbolismo che le è connesso (con conseguente lettura riduttiva di Par. , IV): il limite metodologico di una simile analisi consiste nel confronto tra due sistemi filosofici organizzati (ammesso che quello di Dante sia tale, o comunque sia paragonabile alla fortezza gnoseologica di Dionigi) , trascurando appunto la pre­ senza nel poeta di simboli e metafore così tipici da non poter escludere una approfondita conoscenza del corpus dionisiano almeno all'altezza del Paradiso: oltretutto, a rigore, anche un profondo dissenso non esclude la lettura di un testo, comunque sempre utilizzabile come repertorio di immagini da tra­ sferite nella scrittura poetica.

"9 Cfr. P. CARAMELLO, De fortuna operum Dionysii Areopagitae apud Occidentales, in S. THo. MAE AQUINATIS In Librum Beati Dionysii De Divinis Nominibus cit., pp. xvrr-xvm; DoNDAINE, Le corpus dionysien de l'Université de Paris au XIIY siècle cit., pp. 2.4, 35 nota; D. SBACCHI , La presenza di Dionigi Areopagita nel 'Paradiso' di Dante, Firenze, Olschki zoo6, pp. xv sgg. Notizie puntuali e bibliografìa sull'influenza dionisiana nel Medioevo in P. ROREM, Pseudo-Dionysius. A Commentary an the Texts and an Introduction to their Influence, New York-Oxford, Oxford University Press 1993. '3° Caso estremo e paradossale, testimoniato da Enrico Cerulli, quello di Bruno Nardi, peraltro il più grande inquisitore di fonti dantesche del Novecento: (Discussione su R PALGEN, Gli elementi plotiniani nel 'Paradiso', in Plotino e il Neoplatonismo in Oriente e in Occidente (Roma, 5-9 ottobre 1970), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei 1974, p. 52.5). Sintomatico di una opinio communis dura a morite, un lavoro serissimo sulle fonti classiche come quello di P. RENUccr, Dante disciple et juge du monde gréco-latin cit., rimasto a tutt'oggi insostituito, obbedisce alla convinzione che Dante conosca direttamente solo gli autori che cita per nome, e questo contro il metodo tipico della culrura medievale che consiste proprio nel dis­ simulare le fonti o nell'appropriarsene senza dichiararne il copyright.

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grante del testo che, in un modo o nell'altro, ne discende, agevolerà lo studio e il regesto delle metafore dantesche. Del resto, non è impossibile verificare come Dante, per forgiare le sue me­ tafore, manipoli con disinvolta praticità la delle sue letture. Proprio il 'cinismo' di Dionigi nell'ammassare turpi dissomiglianze per tentare ironica­ mente di visualizzare l'infigurabile, si pone come l'unico precedente serio e autorevole (peraltro esplicitato da Dante nell'Epistola a Cangrande) del meta­ forismo comico infernale-paradisiaco del «poema sacro». Anche Tommaso d'Aquino mostra di seguire pragmaticamente la lezione di Dionigi quando cerca di figurare l'igneitas '3' divina: Ad prirnum igitur dicendum, quod in cognitione intellectualium est duo conside­ rare; scilicet principium speculationis, et terminum. Principium quidem est ex sensi­ bilibus; sed terminus est in intelligibilibus, secundum quod in cognitione naturali ex speciebus a sensu acceptis intentiones universales accipimus per lumen intellectus agentis; et ideo dicendum est, quod quantum ad terminum speculationis principium oportet ex aliquibus sensibilibus speciebus in divina consurgere. Ad secundum dicen­ dum, quod similitudo est duplex: quaedam enim est per participationem eiusdem for­ mae; et talis similitudo non est corporalium ad divina, ut obiectio probat. Est etiam quaedam similitudo proportionalitatis, quae consistit in eadem habitudine proportio­ num, ut cum dicitur: sicut se habet octo ad quatuor, ita sex ad tria; et sicut se habet consul ad civitatem, ita se habet gubernator ad navem; et secundum talem similitudi­ nem fit transumptio ex corporalibus in divina: ut si Deus dicatur ignis ex hoc quod

sicut se habet ignis ad hoc quod lique/acta ef/luere /acit per suum calorem, ita Deus per suam bonitatem per/ectiones in omnes creaturas di/fundit, vel aliquid huiusmodi. '32 TI teologo, nonostante le affermazioni in contrario che abbiamo visto, non disdegna la densità del tessuto metaforico che dal corpus dionisiano preme, tremendamente seducente, sul rigore della tabula rasa concettuale. Se è così in Tommaso, tanto più in Dante, al quale non resta che agire da poeta: con­ frontarsi con le metafore dei teologi, elaborarne i materiali e trame nuove, inaudite, iuncturae. Lo statuto della metafora dantesca va dunque reperito in questo giro problematico costituito dalla riflessione aristotelico-scolastica sul metaforismo platonico e la sua alta cristianizzazione nell'opera dello Pseu­ do Dionigi Areopagita. Solo sullo sfondo di questo retroterra teorico, non pri­ vo di ambivalenze e contraddizioni (esemplare l'atteggiamento oscillante di Tommaso verso la nominazione tropica de divinis) , si chiarisce, credo, il senso

'l' Vedi il passo analogo a nota 'l'

65. ToMMASO n'AQUINO, In I Sent., d. 34, q. 3, a. 1.

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dell'«assumptio metaphorismorum» proclamata nell 'Epistola a Cangrande. TI neologismo metaphorismus ne denuncia l'importanza e centralità nell'accessus ad Paradisum approntato da Dante: abbinandolo alla lezione beatriciana di Par. IV se ne precisa la discendenza dall'esegesi neoplatonizzante della Scuola di Chartres, 133 arricchita dall'apporto della retorica aristotelica (più quella del De anima 134 che della Rhetorica stessa) assunta dalla teologia tomista quale 'll A sua volta dipendente dalla geniale adibizione della metafora a simbolo, operata da Scoto Eriugena sulla base della teoresi dionisiana (vedi note 40, 107): cfr. DE BRUYNE, Etudes d'esthétique médiévale cit. , I, p. 353; ROQUES, Libres sentiers cit., p. 28; BEIERWALTES, Eriugena cit. , pp. 146 sgg.; M.A. RrGONI, La lettera e la tomba. Nota su 'allegoria' e 'simbolo' nel pensiero di Giovanni Scoto Eriu­ gena, «Conoscenza religiosa>>, III , 1978, pp. 267-285, a pp. 270, 279 sgg.; ZAMBoN, 'Allegoria in verbis' cit., p. 89 nota. Tommaso era perfettamente a suo agio nell'uso della terminologia tecnico-retorica dionisiano-eriugeniana (cfr. i testi cit. a note 88 e 91): cfr. C. ERNsr, Metaphor and Ontology in Sacra Doctrina, «The Thomist>>, XXXVIII, 1974, pp. 403-425 (p. 411: «St. Thomas could make such free use of his equivalence symbolum metaphora in theology because he could rely on a generai familiarity among the thitteenth-century Paris masters with the so-called "Dionysian corpus", containing a very large number of texts from Eriugena's De div. nat. among the scholia attributed to Maximus>>; sul­ l'uso del termine metafora in Eriugena, ivi, pp. 409-410). Cfr. GIOVANNI Scoro ER!UGENA, Periphy­ seon, I 12, 13, 62 e IV s-6, rispettivamente in PL, C:xxn , coli. 453, 458 (cit. a nota so), 504, 757· =

'l4 Tutte da studiare infatti, per il loro effetto nella tradizione retorica medievale, le implicazioni sinestetiche del complesso discorso aristotelico sui colori e l'irrappresentabilità delle sensazioni, co­ me, per esempio, acuto-grave, denominabili solo come metafore: (ARISTOTELE, De anima, II 8 420a 27 sgg., in S. THOMAE AQUINATIS In Aristotelis Librum de Ani­ ma cit., p. n4; lapidaria nel suo lucido tecnicismo l'esposizione di Tommaso: «ostendit unde sumatur nomina sonorum: et dicit, quod sumuntur, secundum metaphoram a qualitatibus tangibilibus. Ma­ nifestum est enim quod acutum et grave inter qualitates tangibiles computantur>>: ivi, p. n6; impli­ cazioni sinestetiche - amaro-dolce, ruvido-liscio, sapori 'geometrici', simultaneità di sensazioni diver­ se - anche nel De sensu et sensibilibus, 442a 12 sgg., 447a 13 sgg.: appunto a proposito di colore e luce vi accenna Dante, menzionando proprio i due trattati aristotelici in Conv. , III 9 6 sgg.). Notevoli an­ che, per le evidenti risonanze dantesche, il nesso immaginazione-sensazione costitutivo della luce-vi­ sione (De anima, III 3 429a e III 5 430a 14 sgg.: luce-colori-intelletto) e le immagini sostitutive delle sensazioni (III 7-8). Ma si avverta che proprio l'impossibilità, sancita da Aristotele in De sensu et sen­ sibzlibus, 447b 20 sgg., di percepire simultaneamente oggetti riguardanti sensazioni diverse, come il 'bianco' e il 'dolce', sta probabilmente alla base del generale interdetto alle metafore sinestetiche ti­ pico della tradizione retorica classica e medievale, così incombente sulla reazione di un Boccaccio al vertiginoso simultaneismo dantesco della 'luce muta'. L'interdetto è ben presente a ToMMAso n'AQUINO, In De sensu et sensato, XVII [257] : «et huiusmodi sunt illa quae sentiuntur diversis sen­ sibus, sicut color et odor. IDa enim solum commisceri possunt, in quibus extrema sunt contraria, quia commixtio fit per quamdam alterationem; sed ea quae sentiuntur diversis sensibus, non sunt contra­ ria adinvicem, unde non possunt commisceri. Unde non fit aliquid unum ex colore albo et sono acu­ to, nisi forte per accidens, inquantum conveniunt in eodem subiecto; non autem per se, sicut sym­ phonia constituitur ex voce gravi et acuta. Et ex his concludit quod nullo modo contingit sentire sensibilia diversorum sensuum simul. Quia, si eorum motus sint aequales omnino, destruent seinvi­ cem, cum non possit unum fieri ex ipsis; si vero sint inaequales, maior motus praevalebit, et ipse so-

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modus cautelandi rispetto ai rischi di mitopoiesi irrazionale della narratio /abu­ losa platonica. n poeta non ha però bisogno delle cautele dei teologi: anzi, autorizzato da essi a farsi philomythes, fino in fondo persegue il thaumast6n dell' affabulazione sensibile dell'astratto, applicando proprio il meraviglioso aristotelico di ogni translatio al genus admirabile cui pertiene il Paradiso.135 La piena assunzione della tecnica dell'integumentum anche nell'invenzio­ ne metaforica permette a Dante di ritagliarsi un ampio spettro di autonomia rispetto al tendenziale, severo aniconismo della lezione aristotelico-tomistica, insufficiente a esaurire i fondamenti metodologici del cosmo platonico raffigu ­ rato nella terza cantica. L'esempio di un Bernardo Silvestre, di un Alano di Lilla, di un Guglielmo di Conches, comunque gli siano arrivati, indicava la strada al poeta-teologo, nel senso di una valorizzazione della fabula senza di­ smettere la base sensistica della gnoseologia aristotelica. Anzi, proprio questa geniale fusione di due tipologie esegetiche intrinsecamente conflittuali per­ mette di comprendere a pieno le formule dantesche della bella menzogna e della /ictio poita: 136 quando necessiti, la metafora può assumere lo statuto di ve/amen, involucrum, integumentum, dovendo interpretarsi menzogna e /ictio, tanto più ex pro/esso nella poesia teologica, 137 nel senso della teoresi neoplato­ nica, offerta da Macrobio alla cultura medievale, della narratio /abulosa quale unico vettore dei misteri cosmologici e teologici di cui si trama la figurazione del Paradiso. Ne consegue che un'espressione come «questo [il senso allego­ rico] è quello che si nasconde sotto 'l manto di queste favole, ed è una veri­ tade ascosa sotto bella menzogna>> ( Conv. , II 1 3) corrisponde esattamente al­ l'integumentum, che, come dice la parola stessa, è involucro, manto in cui si annida una profonda verità.138 Nel tractatus admirabilzs l'affabulazione plato-

lus sentietur>> (S. THOMAE AQUINATIS In Aristotelis Libros De Sensu et sensato De Memoria et remini­ scentia commentarium, cura et studio RM. Spiazzi, Torino, Marietti 1949, p. 74). Sul problema cfr. la fondamentale trattazione di ScHRADER , Sinne cit., pp. 56 sgg. Cfr. nota 120. 1l5 Ma andrebbe valutato attentamente anche il possibile interesse di D�mte per la difesa, da par­ te di MACROBIO, In Somnium Scipionis, I 2 4 e I n, RABusE, Der kosmische Aufbau cit., pp. 58 sgg. 1l6 Cfr. DANTE, De vulg. el. , II 4 2: «si poesim

delle pene infernali affabulate da Platone: cfr.

recte consideremus: que nichil aliud est quam fictio rhetorica musicaque poita». Vedi l'interpretazione di/ictio data da P.V. Mengaldo come «qual­ cosa di vicino se non identico alla nozione tecnicamente contenutistica trasmessa dalla tradizione agostiniana, isidoriana e tomistica [ . . . ] invenzione immaginosa di un contenuto /ictum, "quod tantum verisimile est", allusivo al vero come sua figura o, nella formulazione centrale del Convivio, "bella menzogna" che implica una "veritade ascosa"» (in ALIGHIERI, Opere minori, II, cit., p. 162) . Vedi il concetto di /icta imaginatio in ZAMBoN, 'Allegoria in verbis' cit., p. 96 nota. 1l7 Per la fondamentale equiparazione, dovuta a Scoto Eriugena, tra poetria e teologia, cfr. an­ cora ZAMBON , 'Allegoria in verbis' cit. , p. 96 nota (e supra, a nota 107). 1l8 Cfr. PÉPIN, Dante et la tradition de l'allégorie cit., pp. 66-67: «Dans cette définition de l'in­ tegumentum, on reconnait sans peine la description du sens allégorique (des poètes) selon le Convi-

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nica e il meraviglioso metaforico di ascendenza aristotelica si fondono, in con­ gruenza, del resto, col sincretismo aristotelico-neoplatonico della filosofia dantesca.'39 L'inventio metaforica provvede dunque a visualizzare sensibil­ mente l'astratto applicando correttamente la gnoseologia aristotelica (phanta­ smata a sensibus) e la mitopoiesi platonica: il poeta-theologus è tale proprio perché sembra attenersi al mestiere a lui riservato da Aristotele sulla soglia della Metafisica, quello del philomythes che non può non ricorrere a mezzi so­ stitutivi e impropri quando la lingua a disposizione si dà come carenza e pri­ vazione di proprietà. Ma non è qui il luogo di una legislazione statutaria delle diverse adibizioni transuntive nelle tre cantiche, troppo prematura in assenza di studi sistematici ed esaustivi. Basti avere segnato una possibile linea da seguire nel rintracciare i procedimenti della stupefacente metamorficità della metafora dantesca, su cui si trovano d'accordo i pochi studiosi che vi si sono soffermati: '40 il dinamismo figurale dell 'inventio dantesca è semplicemente strepitoso nel coniugare i di­ versi apporti delle fonti (scritturali, teologico-filosofiche e letterarie) in un'ine­ sauribile capacità di trasformare le res in signa vocalia, anche e soprattutto quando questi ultimi vengano a mancare. Di qui la gravità della permanenza di questo vero e proprio buco nero nella sterminata bibliografia dantesca, che si è spesso persa dietro veri o presunti enigmi quando invece il primo passo da fare sarebbe quello di studiare la natura dei vettori linguistici e retorici di que­ gli enigmi: si è dimenticato che fin da Aristotele l'enigma ha a che fare con la metafora I4I e che il divino e l'umano solo in figurazioni oblique ritrovano una loro perduta o negata proprietas originaria. Intanto ci vorrebbe un novero esaustivo delle metafore dantesche: per quanto riguarda le similitudini, alme­ no un benemerito tentativo è stato a suo tempo fatto, tanto che recentemente

II 1 3». Cfr. BERNARDO SILVESTRE, Comm. in Martian. Cape/l. , Praef.: «lntegumentum vero est orario sub fabulosa narratione verum claudens intellectwn, ut de Orpheo. Narn et [. .. ] hic fabula misterium hahet occultum» (si cita da ScoTO EluuGENA - REMIGIO DI AUXERRE - BERNARDO SILVE· STRE e ANONIMI, Tutti i commenti a Marziano Cape/la, a cura di l. Ramelli , Milano, Bompiani 2006, p. 1764). Cfr. nota 56.

vio,

'39 Basti quanto si evince dal fondamentale B. NARDI, Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia 1967.

"�° Cfr. il bellissimo saggio di E. RAIMONDI, Ontologia della metafora dantesca, «Letture classen­ si», XV, 19 8 6 , pp. 99-109 (da confrontare con l'ontologia metaforica tomista studiata da ERNST , Me­ taphor and Ontology cit., in particolare pp. 414 sgg.), e le fini disamine di PASQUINI, Dante e le figure del vero cit., pp. 207 sgg., 240 sgg. (Va detto che nel cit. volume delle ci sono i preziosi contributi di B. Basile, A. Battistini e M. Pazzaglia, che possono considerarsi, seppur lata­ mente, indagini sulle metafore del viaggio , del libro e della musica) .

"" Cfr. HAHN, Die Allegorie in der antiken Rhetorik cit., p. 169;

66-67, 34 sgg.

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DRoNKE, Fabula cit., pp. 20-21,

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proprio alla similitudine è toccata una ripresa di interesse negli studi dante­ schi.'42 Ignorato (anche dal Gibbons) è rimasto invece un vecchio lavoro, ana­ logo, anche se non nella mole, a quello del Venturi, tentato per la metafora: intendo riproporre qui all'attenzione una tesi pubblicata in Germania presu­ mibilmente nel 1896, ma restata del tutto sconosciuta, a quanto mi risulta, agli studi danteschi. 143 L'opuscolo del Gymnasiallehrer Friedrich Beck (benemeri­ to, peraltro, negli studi sulla Vita Nuova, della quale aveva tentato un'edizione critica prima del Barbi) è, proprio alla luce della bibliografia oggi esistente sul­ l' argomento, davvero rilevante e ancora utile: infatti non solo vi si trova un primo tentativo di studio delle fonti scritturali, teologiche e letterarie delle me­ tafore dantesche, ma se ne traccia un regesto sistematico () per campi semantici reciprocamente imbricati e dinamici proprio a riscontro della revo­ lutività e metamorficità della metafora dantesca, ricondotta, nella breve ma densa Einleitung, al paradigma divino e simbolico-cosmologico che ne sostan­ zia il funzionamento.'44 La dinamica «Mannigfaltigkeit» dei «Bildergruppen» si dispone a simboleggiare, lungo l'intero poema, una «Gesamtergebnis», quella del pellegrino che desidera ricongiungersi con Dio, in modo tale che «Die Gottheit, bezw. ihre Werkzeuge werden durch die vomehmensten Er­ scheinungen eines jeden Bidercyklus symbolisiert».'45 Dalle res mondane quali �o�> Cfr. L. VENTIJRI, Le similitudini dantesche, Firenze, Sansoni 19113 (vedi ora la rist. anast., Ro­ ma, Salerno Editrice 2008) e il bel libro di ]. VARELA-PORTAS DE 0RDUNA, Introducci6n a la semrintica de la 'Divina Commedia': teoria y anrilisis del simil, Madrid, Ediciones de la Discreta 2002. Cfr. anche RH. LANSING, From Image to Idea. A Study o/ the Simile in Dante's 'Commedia', Ravenna, Longo 1977·

"13 F. BECK, Die Metapher bei Dante, ihr System, ihre Quellen («Wissenschaftliche Beilage des K. b. humanistischen Gymnasiums Neuburg a. d. D. fur das Studienjahr 1895/96») , Neuburg, Gries­ smayer s.d., pp. VIII, 82. Come dantista il Beck è noto per il prolungato lavoro intorno alla Vita Nuo­ va: cfr. Dantes Vita Nuova, Kritischer Text unter Beniitzung von 35 bekannten Handschriften, von F. Beck, Miinchen, Piloty & Loehle 1896 (recensione di M. BARBI, , IV, 1896-1897, pp. 33-43; di E. RosTAGNO, «Giornale Dantesco», VI, 4-5, 1898), ristampato con emendamenti nella , Strassburg, Heitz 1907 (anche questa edizione, co­ me l'altra, severamente criticata dal Barbi in D. ALIGHIERI, La Vita Nuova, Firenze, Società Dantesca 1907, pp. CXIII-CXIV); Das Neue Leben des Dante Alighien·, iibersetzt und mit einer kurzen Laut- und Formenlehre des Denkmals versehen von F. Beck, Miinchen, Piloty & Loehle 1903 (recensione di E.G. PARODI, , XI, 1904, p. 72); recensione all'ed. della Vita Nuova curata da M. Barbi, «Zeitschrifr fiir romanische Philologie>>, XXXII , 1908, pp. 371-384; recensione all 'edizione della Vita Nuova curata da H. Cochin, «Zeitschrifr fur romanische Philolo­ gie>>, XXXIII , 1909, pp. 493-495; F. BECK, Textkritische und grammatisch-exegetische Bemerkungen zu Dantes 'Vita Nova', ivi, XL, 1920, pp. 257-285; ID., Die riitselha/ten Worte in Dantes 'Vita Nova', ivi, XLVII, 1927, pp. 1-27 (cfr. DRONKE, Fabula cit., p. 144) .

"14 BECK, Die Metapher cit., p. VII : «in seinem Bildern verschriinkt sich di e mystisch-poetische Naturbetrachtung mit der philosophischen Spekulation zu einer Einheit, welche oft des lneinander­ greifens mehrerer Vorstellungkreise bedarf, um die reiche Mannigfaltigkeit der einander schlagen­ den Gedanken wiederzugeben». '45 lvi, p. VIII .

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manifestazioni di Dio il poeta detrae le metafore che si organizzano secondo campi semantici («Bildercyklus») estesi all'intera Commedia: vale la pena ri­ produrre le catene metaforiche individuate dal Beck come assi portanti della metamorfica permutabilità delle cose in immagini che istituisce la retorica di­ vina inventata da Dante: spada, arco, saetta Convito Via, peregrino monte, valle, sdva, torre, rocca lume, sol, fiamma, gemma, nebbia acqua, fonte, fiume, mare, nave, ghiaccia semente, pianta, albero, fiore, frutto aere, vento, spir(it)o, vapore, ali freno, sella, cavalcatore esca, amo, rete, nodo, corda, capestro cera, suggello vaso, recettacolo

Ognuno dei lemmi delle catene è a sua volta capofila delle metafore affini, ma lemmaticamente diverse, riconducibili al campo semantico di competenza: il pellegrino attraversa una 'foresta di simboli' che lo porta, nel percorso di trasmutazione da peccatore a ricettacolo della Grazia, a incidere nella scrittura poetica le cose segnate dal suggello divino, cera mondana impressa dai vestigia che divengono i signa vocalia mancanti al poeta. Certo il Beck, avendo privi­ legiato le metafore sostantivali quali vettori cosali dell' impressio divina, relega le metafore verbali e aggettivali a meri elenchi di complemento delle metafore portanti: '46 ma il regesto, sulla base dell'allotropia lessicale, è virtualmente quasi esaustivo e comunque il cospicuo apparato di fonti e/o loci paralleli con i quali correda a confronto le immagini dantesche basta da solo a com­ pensare i limiti della ricerca. Addurre, oltre a una messe di azzeccati loci scrit­ turali, Agostino, Dionigi Areopagita, Riccardo e Ugo di San Vittore, Bonaven­ tura da Bagnoregio come emissari di input metaforici (oltre ai più owi Virgilio, Cicerone, Lucano, Aristotele) , era, all'altezza del 1896, una novità che, per quanto riguarda il metaforismo dantesco, non ha purtroppo avuto seguito. Soprattutto impressiona, visti i tempi,'47 l'adibizione di Dionigi come 146 Beck non le ignora, ma le elenca in calce alle singole 'catene' quali complementi del regesto (aggiungi anche le metafore di più rara occorrenza registrate sommariamente a pp. 81-82), di modo che la sua cernita diviene, almeno formalmente, assai più ampia di quanto non risulti dallo schema generale di ordinamento del materiale metaforico. 147 Bisognerà aspettare il 1913 perché si prenda in seria considerazione la presenza di Dionigi in -

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fonte delle metafore della nube, della sorgente e del fiume, della pioggia, del soffio e delle ali-penne: sono le immagini portanti dell' ascesa che trapassa la nube della non-conoscenza per impattare con l'effusione fontale di luce che istituisce la visibilità stessa del Paradiso. TI lavoro del Beck è passato sotto silenzio, forse anche per il discredito che Michele Barbi ha gettato sul suo pluridecennale lavoro intorno alla Vita Nuo­ va: mantiene invece, ancora oggi, un'utilità che meriterebbe di essere riconsi­ derata e aggiornata per uno studio finalmente sistematico del metaforismo dantesco. Che una tale esigenza sia poi affiorata, seppur episodicamente, nella critica dantesca del Novecento fuori d'Italia, è dovuto all'interesse, tipico del­ la cultura anglosassone, per l' imagery: in tal senso, su Shakespeare sono stati prodotti lavori memorabili, che dovrebbero destare una qualche invidia pres­ so i dantisti italiani. Senza pretendere qui di tracciare un capitolo di storia del­ la critica dantesca, ma solo per individuare una linea di tendenza, peraltro piuttosto frammentaria, ci si può ancora utilmente riferire ad alcuni libri, co­ munque regolarmente snobbati dalla critica italiana (e non solo): penso ai la­ vori di tre studiose (singolare la coincidenza delle sensibilità) , due di lingua inglese e una francese, che hanno tentato, con modalità purtroppo non sem­ pre improntate al necessario rigore, una disamina, più o meno sistematica, dell'imagery o imagerie dantesca. Non è comunque inutile rileggere il grande libro di Helen Flanders Dunbar148 sulla metafora solare come nucleo produt­ tore di altre metafore affini , o quelli di Yvonne Batard '49 e Irma Brandeis '50 (il Dante: vedi il bel libro, ancora oggi fondamentale, di E.G. GARDNER, Dante and the Mystics. A Study

on the Mystical Aspect of the Divina Commedia and its Relations with some o/ its Mediaeval Sources, London, Dent & Sons 1913 (con una preziosissima Table o/ some parai/el passages in the works o/Dan­ te and the mystical writers quoted, ivi, pp. 342-348) , pp. 77-no (ce n'è una ristampa anastatica: New York, Octagon 1968).

'o!B H.F. DUNBAR, Symbolism in Medieval Thought and its Consummation in the 'Divine Come­ dy', Yaie, University Press 1929 (rist. , New York, Russell & Russell 1961): il volume, imponente (quasi 6oo pp.), nonostante il titolo è di fatto una monografia sull 'imagery solare della Commedia, ma di­

spiega una dottrina considerevole e una vasta conoscenza delle fonti, e meriterebbe maggiore atten­ zione da parte dei dantisti. 149 Y. BATARD, Dante, Minerve et Apollon. Les images de la 'Divine Comédie', Paris, Les Belles Lettres 1952: l'impostazione di questo volume di 500 pagine deve molto a Bachelard e ne condiziona la peraltro non banale attenzione al meccanismo metaforico delle images dantesche (notevole la Note sur le classement des images de la D. C. , ivi, pp. 495-500, con una tassonomia percentuale delle méta­ phores filées: 84 nell'Inferno, 237 nel Purgatono, 224 nel Paradiso), ma l'assenza di una qualsiasi ricerca di riscontri intertestuali nella tradizione ne impoverisce notevolmente la portata. '5° l. BRANQEIS, The Ladder o/ Vision. A Study o/ Dante's Comedy, New York, Doubleday & Company 1960. E, di fatto, un raffinatissimo 'study of images', di mole assai ridotta rispetto a quello della Batard, ma, in compenso, assai più consapevole della problematica connessa alla metafora dan­ tesca: ma la scarsa attenzione al retroterra culturale delle singole immagini prese in considerazione (con singolari aperture sul sufismo di lbn Arabi, per non parlare di un uso non proprio rigoroso -

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cui particolare statuto di Clizia montaliana 1 51 non sembra aver giovato molto alla fortuna del suo libro), la cui ambiziosa sistematicità, pur priva dell'indi­ spensabile ricerca nel retroterra classico, biblico, patristico e medievale del­ l'inventio dantesca (che è un po' il limite comune a tutti questi lavori) , può ancora oggi dire qualcosa per una metodologia più affinata e funzionale. Non poteva che venire dalla cultura anglosassone, 157• nutrita, assai più di quella italiana, dal grande esempio di Ernst Robert Curtius (si pensi solo al capitolo VII , intitolato Metaforica, di Letteratura europea e Medio Evo latino: ma tutto il libro è una miniera per i dantisti) , con Clive S. Lewis/53 Joseph Anthony Mazzeo/54 Giuseppe Mazzotta, 155 William Anderson, 156 Peter Dronke, 157 Pa­ trick Boyde 158 e poi, finalmente con la dovuta sistematicità, con David Gib­ bons (che però, oltre al Beck, mostra di non conoscere Dunbar e Batard) , dd Timeo di Platone, ma non vi mancano presenze appropriate, seppure estemporanee, come Ari­ stotde, Virgilio, Ovidio, Agostino, Boezio, Bernardo, Bonaventura, Tommaso), ne limita abbastanza il raggio di interesse. '51

Cfr. PASQUINI, Dante e le figure del vero cit., pp. 186-187.

'52 Come testimone di una sensibilità propria alla cultura anglosassone si legga, ad esempio, un

libro fascinoso quanto estravagante come P. WHEELWRIGHT, The Burning Fountain. A Study in the Language o/Symbolism, Bloomington, Indiana University Press 1954, che inserisce «The splendor of Dante's great synaesthetic metaphor [dove 'l sol tace]» (p. n7) in un'immensa tradizione di ): lo trasumana (Par. , I 70-72) e lo deifica (Par. , XXX 49-5I: «così mi circunfulse luce viva l e lasciommi fasciato di tal vdo l dd suo fulgor>>): ndla dimensione estatica dell'ebrietas paradisiaca (si confronti con la situa­ zione analoga dd personaggio di Phronesis in ALANo DI LILLA, Anticlaudianus, V I67 sgg.: che nutre quelle immagini: l'analisi ne risulta perciò prevalentemen­ te impressionistica (che è un po' il pericolo corso da analoghe indagini della dantistica novecentesca). Ancora di una certa utilità, invece, C. CAVEDONI, Raffronti tra gli autori biblici e sacri e la 'Divina Commedia', Città di Castello, Lapi 1896, per la ricerca, episodica quanto si vuole, di riscontri non solamente biblici. Sarebbe qui impossibile e anche improprio tentare di accennare a tutti i luoghi bibliografici danteschi in cui si parla di metafore: essendo appunto res nullius, tutti ne trattano en passant senza però che ci sia mai una ricerca sistematica sul fenomeno o su una metafora particolare o un campo metaforico da studiare come tali. Non rinuncio però a segnalare alcuni bei libri che sono di fatto, al di là dei singoli e specifici intenti, preziose indagini su metafore, attenti, soprattutto, alla ricerca delle fonti o comunque alla ricostruzione della traditio imaginum che sta dietro l'invenzione metaforica dantesca: penso a libri come quelli di R MERcURI, Semantica di Gerione. Il motivo del viaggio nella 'Commedia' di Dante, Roma, Bulzoni 1984; M. DozoN, Mythe et symbole dans la 'Divine Comédie', Firenze, Olschki 1991; J. HEIN, Enigmaticité et messianisme dans la 'Divine Comédie', Fi­ renze, Olschki 1992; P. RIGo, Memoria classica e memoria biblica in Dante, Firenze, Olschki 1994; S. PRANm, Il «diletto legno». Aridità e fioritura nella 'Commedia', Firenze, Olschki 1994; S.A. Grr.soN, Medieval Optics and Theories o/Light in the Works o/Dante, Lewiston-Queenston-Lampeter, Mellen 20oo; L. PERTILE, La punta del disio. Semantica del desiderio nella 'Commedia', Fiesole, Cadmo 2005. C'è ovviamente una marea di saggi e articoli dove si può trovare qualcosa sulle metafore dantesche: rimane agli atti, al di là della qualità, la scarsa propensione a indagini sistematiche e ad una ricostru­ zione del background rispetto al quale Dante esercita sempre la potenza inesauribile della sua vis transuntiva. Segnalo comunque, senza la minima pretesa di esaustività, alcuni recenti contributi in tale direzione: A. CoTTIGNOLI, Le meta/ore della ragione. Dante, Manzon� Tenca, Pisa, Giardini 1988, pp. 13-20; M. PreONE, Mi� meta/ore e similitudini del 'Paradiso'. Un esempio di lettura, «Studi danteschi>>, LXI , 1989, pp. 193-217; V. LuccHESI, Giustizia divina e linguaggio umano: meta/ore e po­ lisemie del contrapasso dantesco, «Studi Danteschi>>, LXITI, 1991, pp. 53-126; C. IPPOLITO, Il cibo e le sue meta/ore in Dante, «Cultura e Scuola>>, CXXIV, 1992, pp. 58-65; S. RuGGERI, Medusa, Gerione e Luci/ero: tre meta/ore dell'ordine sovvertito e della naturalità distorta, in I 'monstra' nell"In/erno' dan­ tesco: tradizione e simbologie. Atti del XXXIII Convegno storico internazionale (Todi, 13-16 ottobre 1996 ) , Spoleto, Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo 1997, pp. 205-233; G. AUTIERO, Gemma Donati e la sposa del Libano. Immagini e meta/ore matrimoniali nella 'Commedia' di Dante, «Filo­ logia Antica e Moderna>>, XXIII , 2002, pp. 35-61; A. BATTISTINI, Fede e bellezza. Il tessuto metafo­ rico del canto XXN del 'Paradiso', «L'Alighieri», n.s., vol. 24, 2004, pp. 79-92; R VANELLI CORALLI, Le meta/ore del gusto e il paradosso della 'contemplatio' mistica nel 'Paradiso', ivi, n.s., vol. 31, 2008, pp. 23-41·

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babili 'fonti' dirette, ma per ricostruire una traditio secondo i dettami, a mio parere non ancora superati né, tantomeno, attÙati, del Curtius. Per parte nostra, questo non sistematico contributo vorrebbe proporsi quale esempio metodologicamente consapevole della vertiginosa complessi­ tà-originalità della metafora dantesca, rispetto alla quale fa specie la singolare aleatorietà e casualità degli studi dedicatigli. Se è corretta l'individuazione di un retroterra latamente neoplatonico (Macrobio, Dionigi, Eriugena, Alano di Lilla, Bernardo Silvestre) dell'essenziale costituzione albertino-tomistica del metaforismo dantesco in tutta la sua abissale escursione comico-mistica, nel duplice meccanismo della dissimilis similitudo e dell'involucro fabuloso-inte­ gumentale è possibile reperire utili (anche se non esaustivi, vista proprio l'ine­ sauribile complessità e vastità della materia) strumenti di penetrazione nello stratificatissimo universo della metafora dantesca. Metafora-involucro, meta­ fora-allegoria, metafora fabulosa, figura in/igurabilis, turpis imago o sublime translatio, ma mai esornativa o meramente ecfrastica, la vis transuntiva di Dante costituisce uno dei pilastri della scrittura comica: ignorarne la possente funzione di visualizzazione dell'astratto, secondo il metodo del a «sostener la guerra [. . ] del cammino» e «della pietate». n campo metaforico della guerra e delle armi mo­ strerà ben presto la propria efficacia generativa, per via dell'animus pugnandi che il personaggio sarà costretto a dispiegare nel corso della discesa, nella qua­ le dovrà combattere battaglie morali e fisiche con vari nemici reali o creati dal­ la propria immaginazione. Per vincere la guerra dell'Inferno dovrà assogget­ tare i mostri che gli si parano davanti con l'aiuto della grazia divina, e i peccatori con la parola; e proprio la voce, la parola e l'argomentazione presen­ teranno nelle cantiche successive, assieme al motivo della milizia cristiana, il più coerente e continuo legame con il campo immaginario della battaglia e delle armi. Anche l'ingresso al Paradiso e alla sua impegnativa poesia - in un luogo segnato peraltro, nell'invocazione ad Apollo, dal parallelo tra il trionfo militare e poetico, tra l'alloro di Cesare e l'alloro del poeta - sarà de­ finito come l'entrata in un campo di battaglia, anzi, in un «aringo» (Par. , I 18: «m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso») , voce che costituisce un «apax di fortis­ sima connotazione cavalleresca».' E pure l'invocazione esordiale del Purgato.

' U. CARPI, La nobiltà di Dante, Firenze, Polistampa 2004, p. 123. -

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rio aveva presentato una metafora balistica per designare un passaggio di tono poetico, poiché il canto di Calliope, chiamata in aiuto dal poeta, è messo a te­ sto come il «colpo» inferto dalle Muse alle Piche. 2 La guerra (il conflitto, l'inimicizia, la contesa) è un campo concettuale e se­ mantico presente nell'intera Commedia. L'itinerario infernale è davvero «guerra del cammino» perché impegnativo, costellato di passaggi difficili da superare con «arte» e destrezza/ e di battaglie reali e figurate: perciò, convenientemente, Dante avrà una «scorta>>, in questo e negli altri due regni (Virgilio è «scorta>> di Dante in In/ , xn 54 , xm 130, xvm 67, xx 26, e Purg., XVI 8, «SCOrta mia saputa e fida>>; «celeste scorta>> è Beatrice in Par. , XXI 23; «scorta saggia>> di Purg., IV 39, per analogia è una definizione con cui Virgilio potrebbe prefigu­ rare Stazio); ma il motivo della battaglia, il tema della milizia terrena e cristiana, il sistema metaforico della gloria militare e l'abbondanza dei sensi creati dalle metafore legate a questo campo dell'immaginario non si limitano all'uso che il poeta ne fa nella rappresentazione dei conflitti con mostri infernali (episodi in cui pure essa assume un rilievo particolare) , né alle contese con peccatori or­ gogliosi o con la propria coscienza offesa dal mondo infero e dal dolore che vi si presenta (la guerra «de la pietate>>), né al paragone col campo di battaglia spesso usato per descrivere l'aspetto e i movimenti delle «schiere» di diavoli, peccatori o penitenti (In/, III 117, V 85, Xll 59, XV r6; Purg. , IV 24, V 42): sono questi i casi in cui la battaglia reale innesca un rapporto con quella metaforica, perché fin dall'Inferno aiuta a figurare la consistenza e la ferocia del 'nemico' (il pecca­ to, l'orgoglio, il diavolo, i demoni) . n tema si protende però nell'immaginario dantesco e nella sua espressione poetica anche per altre più recondite figurazio­ ni ideali: sotto il profilo metaletterario, proprio quando guerre e nemici reali scompariranno dalla scena - per lasciar posto a 'schiere' e 'milizie' angeliche la filiera metaforica si allargherà all'uso delle armi, che concretizzerà spesso gli astratti della parola e del discorso. Dante sarà invitato a «Scoccare l'arco del dir>>, la sua voce uscirà come freccia da una balestra, il «parlare» paradisiaco sarà rappresentato come un colpo o uno strale che va a segno. Se nell'Inferno il poeta si era battuto contro i suoi nemici con parole - spesso quelle di Virgilio capaci di ferire, domare, sottomettere, soverchiare, vincere, asservire demoni e peccatori riottosi, nel Purgatorio e nel Paradiso le parole attingeranno ad analo1 Purg., I 9-12: «e qui Caliopè alquanto surga, l seguitando il mio canto con quel suono l di cui le Piche misere sentiro l Io colpo tal, che disperar perdono». ll testo della Commedia sarà citato sulla base di D. ALIGHIERI, La Commedia secondo l'antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le Let­ tere 19941 • 3 Per esempio Purg., X ro-r2: «"Qui si conviene usare "in accostarsi l or quinci, or quindi al lato che si parte"». -

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un poco d'arte", l cominciò 'l duca mio,

METAFORE BELLICHE NEL VIAGGIO DANTESCO

go campo - e la transumptio raggiungerà il suo compimento - per 4 alla con­ cretizzazione dell'astratto 5 che funge, secondo le regole generali dello stile tran­ suntivo e del figuralismo che investe l'intera macchina poematica, da compi­ mento delle precedenti presenze e approssimazioni. 6 La guerra del cammino è allo stesso tempo una continua battaglia con una serie di nemici, e una psicomachia. La definizione dell'identità del nemico, che Dante combatte con le sue parole affilate, è duplice: in senso storico, esso è individuabile con i fiorentini che lo esiliarono, i (Par. , XXV 6), e in generale con i «principi e tiranni» contemporanei già rappresentati come >: C.S. LEWIS, Imagination and Thought in the Middle Ages, in ID., Studies in Medieval and Renaissance Literature, Cambridge, Cambridge University Press 1966, pp. 41-63, a p. 44· 18 Tra i molti impieghi neotestamentari della metafora bellica, si possono citare (dal testo della armi della guerra spirituale in 2 Cor xo, 3-4: «in carne enim ambulantes non secundum

Vulgata) le

carnem militamus, nam arma militiae nostrae non carnalia sed potentia Deo ad destructionem muni­ tionum consilia destruentes»; le armi contro il diavolo in Mt 24, 6-y: «audituri autem estis proelia et

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metafore belliche patrimonio condiviso e lessicalizza le loro associazioni se­ mantiche. Talune metafore sono a tal punto penetrate nel lessico e nell' espres­ sione quotidiana che il senso di cui esse sono portatrici risulta ormai indi­ stinguibile come traslato, anche in considerazione del fatto che il sistema concettuale della cultura è largamente metaforico, come dimostrano proprio con particolare riferimento alle metafore belliche Lakoff e Johnson nel loro Metaphors we live by.'9 Tra le metafore di uso quotidiano, quella bellica è proopiniones proeliorum videte ne turbemini oportet enim haec fieri sed nondum est fìnis , consurget enim gens in gentem et regnum in regnum et erunt pestilentiae et farnes et terraemotus per loca>>; l'armatura dd cristiano in E/ 6, n-17: ; r Ts 5, 8 per la marcia dd cristiano, l'armatura ddla fede e l'dmo ddlo spirito santo: «nos autem qui diei sumus sobrii simus induci loricarn fidei et caritatis et galeam spem salutis»; Rm 8, 7 per l'appetito carnale come 'nemico' in guerra contro Dio: «quoniarn sapientia carnis inimicitia est in Deum legi enim Dei non subicitur nec enim potest». '9 G. LAKOFF M. JoHNSON, Metaphors we live by, Chicago-London, The University of Chica­ go Press 2003' (r" ed. 1980; trad. it. Meta/ore della vita quotidiana, Milano, Bompiani 20074), pp. 12 sgg.: l'esempio iniziale dd saggio è il concetto dd!' argomentazione, sovente espresso attraverso il lin­ guaggio ddla guerra ('concetti indifendibili', 'punti deboli dd discorso', ecc.). Per la teoria generale ddla metafora si vedano tra gli altri A. HENRY, Metonimia e metafora, a cura di P.M. Bertinetto, To­ rino, Einaudi 1979; H. WEINRICH, Meta/ora e menzogna: la serenità dell'arte, trad. it., Bologna, n Mu­ lino 1989; Theorie der Metapher, hrsg. von A. Haverkamp, Darrnstadt, Wissenschaftliche Buchgesdl­ schaft 1996'"; per le recenti teorie cognitive sulle strutture concettuali ddla metafora, che ne esaltano il potenziale creativo e le finalità di conoscenza contrapponendosi alla teoria ddla metafora basata sul­ l' analogia o la sostituzione (che la definiscono un puro fatto stilistico, tropo o catacresi), E. FEDER KITIAY, Metaphor: its cognitive force and linguistic structure, Oxford, Clarendon 1987; S. BECKMANN , Die Grammatik der Metapher: eine gebrauchstheoretische Untersuchung des metaphorischen Sprechens, Tubingen, Niemeyer 2001; una sintesi in B. BIEBUYCK, Die poetische Metapher. Ein Beitrag zur Theo­ rie der Figurlichkeit, Wiirzburg, Konigshausen und Neumann 1988; per la discussione sullo statuto linguistico ddla metafora RM. WHITE, The structure o/ metaphor: the way the language o/ metaphor works, Oxford, Blackwdl 1996. La teoria cognitiva ha determinato una rilettura anche ddla storia ddla retorica e ddla poetica: la si veda in Meta/ora e conoscenza: da Aristotele al cognitivismo contem­ poraneo, a cura di A.M. Lorusso, Milano, Bompiani 2005; un riflesso indiretto ddla teoria cognitiva si ritrova ndl'interpretazione 'ontologica', conoscitiva e creatrice, ddla metafora dantesca di E. RAI­ MONDI, Ontologia della meta/ora dantesca, , XI, 1990, pp. 290-298, entrambi con riferimenti a Dante, e ID., Simbolo, meta/ora e mito, in Simbolo, meta/ora e senso nella cultura contemporanea. Atti dd convegno inter­ nazionale (Lecce, 27-29 ottobre 1994), a cura di C.A. Augieri, Lecce, Mildla 1996, pp. 61-69; R STE-

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babilmente quella impiegata con più larghezza: ne consegue un atteggiamen­ to concettuale di consuetudine con metafore che linguisticamente sono tali, ma i cui traslati hanno a tal punto aderito all'oggetto rappresentato da diven­ tare comuni. La seconda ragione è più strettamente legata alla dimensione dell'immagi­ nario contemporaneo della guerra: la nostra immaginazione poetica e di lettori - a differenza di quella di un autore del Trecento - concepisce le metafore belliche in termini prevalentemente naturalistici, o meccanici: fuoco, turbine, vortice, tempesta d'acciaio; benché quelle di ordine naturale non siano estra­ nee alla rappresentazione classica, finanche america, del combattimento, la presenza di tali metafore nel nostro immaginario e nella poesia contempora­ nea è un frutto della guerra moderna e della tecnologia distruttiva che a esse è indissolubilmente legata dalla fine del Quattrocento in poi.20 Nella metafo­ rica letteraria del medioevo, invece, invano si cercherebbe una battaglia che 's'accende', 'arde', 's'infiamma'; le immagini utilizzate sono diverse, e questa differenza deriva da ciò che costituisce il sistema di riferimento dell'immagi­ nazione, vale a dire la realtà della battaglia. A questa si deve pensare in termini di spinte, cozzi, pressione dei corpi e degli schieramenti: in termini cioè di guerra oplitica, più che di combattimento moderno; e dunque, i colpi erano di punta di lancia, di spada o di freccia, e le ferite, ferite di taglio. Andranno perciò ascritti a questo campo i termini relativi alle armi, sia nominali che ver­ bali (spada, arco, saetta, e relativi verbi denominali) , sia quelli relativi alle ope­ re sul campo di battaglia (fossati, torri, rocche) , sia quelli relativi agli effetti delle armi (ferite, tagli) , o del combattimento (cozzo, pugna, spinta ecc. ), non­ ché quel che deriva dalla poesia classica o dalla trattatistica militare volgariz­ zata, e infine i termini propri della milizia e dell'onore cavalleresco, di cui Dante fa largo uso nei canti di Cacciaguida. 21

FANELLI, La meta/ora nella comunicazione letteraria, «Critica Letteraria», XXX, 2002, pp. 913-924 (su Dante le pp. 920-921); cfr. anche A. VALLONE, Allegoria, meta/ora, simbolo in Dante da Croce a Pa­ gliara, in Simbolo, meta/ora e senso nella cultura contemporanea cit., pp. 285-292. Per gli studi sulla metafora dantesca - e la relativa bibliografia - rinvio a D. GmBONS, Metaphor in Dante, Oxford, Eu­ ropean Humanities Research Centre 2002, e al saggio di M. ARIANI, I 'metaphorismi' di Dante, in apertura di questo stesso volume, pp. 1-57.

w Sulle metafore moderne della guerra (tempeste, fenomeni atmosferici, fuoco), e sul fuoco e le tempeste come patrimonio semantico e metaforico della rappresentazione della guerra moderna, R EMIG , Krieg als Metapher im zwanzigsten Jahrhundert, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesell­ schaft 2001, p. 85, e H. VERBOVEN, Die Metapher als Ideologie. Bine kognitiv-semantische Analyse der Kriegsmetaphonk in Friihwerks Ernst Jungers, Heidelberg, Winter 2003, p. 42. " CARPI, La nobiltà di Dante cit., pp. 36 sgg. Per la cavalleria come ethos in cui erano fusi in­ sieme elementi aristocratici, militari e cristiani, M. KEEN, Chivalry, New Haven, Yaie University Press 1986', p. 16 (trad. it. La cavalleria, Napoli, Guida 1986).

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2. UN LUOGO COMUNE:

PuGNA SPIRITUALIS

E

MILITIA CHRISTI

All'inizio del cammino, Dante annette il suo iter a una generale tran­ sumptio bellica, che riguarda le immagini della battaglia spirituale; il topos che vi si dispiega è abbastanza tradizionale, poiché i sistemi metaforici, le transumptiones della retorica medievale, hanno spesso reso con i concreti di armi, guerre e assedi sia il combattimento per la fede, sia quello contro il demonio, sia la battaglia interiore per la purificazione spirituale. Opere de­ dicate a questo tema, che trattavano il conflitto interiore con le immagini della battaglia, erano di larga diffusione, e il migliore esempio è senz' altro la Psychomachia di Prudenzio. Ma anche la classicità latina, se interpretata con gli strumenti dell'allegoria medievale, forniva modelli che risolvevano il conflitto interiore in immagini di combattimenti reali. Si può dire di Dante ciò che C.S. Lewis affermava per la lettura medievale di Stazio, in cui «tutto quel che vi è di serio assume la forma di una psicomachia. TI tema dei suoi passi più nobili si potrebbe quasi descrivere [ . . . ] con literaliter bellum The­ banum; allegorice Homo». 22 Dunque, nella Commedia, literaliter guerra del cammino e della pietà, allegorice duello contro il peccato e psicomachia. D'altra parte, tra le metafore e le allegorie pagane che si erano trasmesse, per il decisivo tramite di Agostino e del suo De agone christiano,23 alla mistica medievale, quella delle rappresentazioni del conflitto interiore o contro il vi­ zio tramite le transumptiones del campo bellico era stata una delle più pre­ coci e fortunate. Oltre ai paragoni tra la pugna spiritualis ed episodi di bat­ taglia della Bibbia e della letteratura classica,24 si ricorderanno l'immagine dell'asceta come athleta o miles Christi, la caratterizzazione dell'atteggiamen­ to ascetico come «agon spiritualis» e «pugna interior», che si ritrovano in molte delle opere di apologetica cristiana dei primi secoli e di lì si trasmet­ tono al medioevo. 25 In particolare, la metafora del miles Christi ha una ster­ minata fortuna, tutt'altro che estinta ai tempi di Dante, in cui gli ordini mo­ nastici mendicanti si presentavano sotto le vesti di milites armati, beninteso 11 C.S. LEWIS, L'allegoria d'amore. Saggio sulla tradizione medievale (1936), trad. it. , Torino, Ei­ naudi 1969, p. 55· •l In PL, XL, coll. 289-310. L'opera inizia con un'esortazione «ad decertandwn christiana pugna cwn diabolo» (col. 289).

14 Per i quali F. WoLFZETIEL, Reiseberichte und mythische Struktur. Romanistische Au/siitze I983-2002, Stuttgart, Steiner 2003, p. 22, e H. RAHNER, Grieschische Mythen in christlicher Deutung, Ziirich, Rhein-Verlag 1957 (trad. it., Miti greci nell'interpretazione cristiana, Bologna, TI Mulino 198o),

pp. 281-318.

•s Per la «pugna interior sic gerenda, ut spiritus non vincatur carne», AGOSTINO, Sermones, CXXVITI 5 8, in PL, XXXVIII , col. 716. -

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cristiani, ed esprimevano una forte adesione ai valori della cultura cavallere­ sca: 26 miles Christi è Francesco nelle vite note a Dante, in particolare nella Legenda maior di Bonaventura,27 e Francesco e Domenico saranno presentati nel Paradiso secondo questa imagery, attraverso una serie di metafore guer­ resche ed eroiche. E anche la nobiltà di Cacciaguida, crociato «cinto de la sua milizia>> (Par. , XV 140) per aver combattuto per la fede8 e bellator che nobilita Dante col suo sacrificio in armi, è esemplata sul modello di tale metafora prolungata. 29 Se dunque la «guerra del cammino» è espressione che riguarda la pugna coi peccatori e i diavoli e riassume le difficoltà materiale dell'itinerario infer­ nale, il secolare commento ricorda che quella della «pietate» pertiene al ca­ rattere metaforico di una psychomachia, nella quale la contesa interiore di Dante coi propri peccati e le proprie imperfezioni lo porterà alla vittoria su di esse: è questo il senso che può essere attribuito, sul piano morale, all'e­ spressione, cioè la compassione che il poeta proverà nel vedere e registrare le pene e le afflizioni dei dannati.30 L'espressione «guerra de la pietate», che de­ signa tale psicomachia, aveva avuto ampia cittadinanza nella letteratura cri­ stiana. Quando Ambrogio spiega il salmo 'bellico' 43 («Manus tua gentes di­ sperdidit, et piantasti eos, afflixisti populos et expulisti eos») descrive la fede cristiana che combatte e vince grazie alla pietas divina, armata non di spade ma di /ides e mansuetudo; 3' nella Psychomachia di Prudenzio una Pietas per­ sonificata contende a Pudicitia il ruolo di armiere della virtù: «anne Pudici-

16 Cfr. F. CARDINI, La cavalleria mistica, in Società, istituzion� spiritualità. Studi in onore di Cin­ zia Violante, Spoleto, Centro italiano di studi sull'alto Medioevo 1994, I, pp. 163-173•1 Sulla tradizione biografica e apologetica dd 'cavalierato' cristiano di Francesco d'Assisi e i suoi risvolti per l'interpretazione datane da Dante, CARPI, La nobiltà di Dante cit., p. 120.

28 Anche il cingulum nobiliare è un attributo militare: si veda CARPI, La nobiltà di Dante cit., pp. 83, 100, m; e BERNARDO DI CHIARAvALLE, De laude novae militiae ad milites templi liber, in PL, CXXVIII , col. 922: «Caeterum cum uterque homo suo quisque gladio potenter accingitur, suo cingulo nobiliter insignitur>>. n libdlo, ricordato da CARPI, La nobiltà di Dante cit. , p. 258, si può ora leggere in BERNARDO DI CLAIRVAUX, Il libro della nuova cavalleria. De laude novae militiae, a cura di F. Cardini, Milano, Biblioteca dd Senato 2004. •9 CARPI, La nobiltà di Dante cit., p. 24· Per l'importanza dei bellatores ndla costituzione e ndla autorappresentazione giuridica ddla nobiltà, si veda R BoRDONE, La nobiltà e l'impero nello svzluppo del pensiero dantesco, in Dante e la storia medioevale, Milano, Unicopli 2008, pp. 49-84.

Jo Si veda per questa interpretazione A.M. CHIAVACCI LEONARDI, La guerra de la pietate. Saggio per una interpretazione dell"In/erno' di Dante, Napoli, Liguori 1979. l' AMBROGIO, Explanatio psalmorum )(;II, XLill 9 2, ed. M. Zelzer, in Corpus Scriptorum Eccle­ siasticorum Latinorum, Wien, Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften 1866- [= CS'EL] , LXIV, 1999, p. 266: «confirmat igitur fì.dem ecclesiae, antequam nuntiet, et victorias pietatis

eius enumerat, quae non in brachio neque in gladio suo feras expulit gentes et non certamine bdlico turmas fugavit hostiles, sed mansuetudine ac fide terras inimicorum sine ullo cruore possedit; fides enim sola pugnavit».

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tiae gelidum iecur utile bello est? l an tenerum Pietatis opus sudatur in ar­ mis?».32 Quanto alla guerra del cammino, i commenti - impegnati a spiegare alle­ goricamente l'avvio notturno del poema - interpretano l'espressione in modo piuttosto concorde, come «fatica>>.33 A proposito dell'inizio nell'«aere bruno», esso rappresenta per molti commentatori la nebbia nella quale il peccatore è stato cacciato dai suoi vizi, e dalla quale può trarsi fuori con l'aiuto della ra­ gione; in questo contesto, il soldato che si «apparecchia>>, cioè si prepara a so­ stenere la battaglia vestendo un'armatura o impugnando l'arma, è immagine non molto distante da quella dei dialoghi di Abelardo in cui per combattere la pugna spiritualis si indossa una «philosophicam armaturam» 34 e si combatte arn1ati delle sacre scritture.35 Si noterà anche che Dante non si preparava, ma si «apparecchiava>> a «sostener la guerra>>, e non solo per incremento di espres­ sività; il verbo, infatti, pur largamente usato nel suo senso più generale, ha nel­ la lingua delle origini un siginificato molto connotato sotto il profilo militare, poiché significa per lo più 'allestire', o 'armare' una spedizione bellica; molto spesso i suoi oggetti sono flotte, navi, armate, eserciti, oste, ecc.36 TI verbo è usato talvolta in modo fraseologico, nel senso di 'muovere, far guerra' .37 La forte connotazione del verbo e l'uso della comparazione sintetica, al limite dell'analogia, rendono possibile un'interpretazione del cammino dante­ sco non solo come contrasto che al poeta e pellegrino d'oltretomba avrebbero riservato gli avvenimenti penosi a venire, ma inter se, e cioè metaforicamente, come conflitto interiore, e allegoricamente, cioè extra se, come guerra contro il

3 ' PRUDENZIO, Psychomachia, 238-239 (cito dall'edizione a cura di B. Basile, Roma, Carocci 2007). 33 Così tra gli altri Boccaccio, Francesco da Buti, Guiniforte Barzizza (. 36 Tra gli esempi precedenti a Dante, ricordo almeno B. GIAMBONI, Il Libro de' Vizi e delle Vir­ tudi e Il Trattato di Virtù e Vizi, a cura di C. Segre, Torino, Einaudi 1968, p. 93: «E fece artnare e apparecchiare tutta sua gente, e venne nel campo a petto a' nimici»; Il Tristano Riccardiano,

cap. LXIII (a cura di E.G. Parodi, Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua 1896, p. 112) : «Ed alo matino si leva Tristano e ssì s' artna ed apparecchiasi e montoe a cavallo, e viene contra a valle alo castello»; il Milione toscano, cap. LXIV (Il Milione di Marco Polo. Versione toscana del Trecento, a cura di V. Ber­ tolucci Pizzorusso, Milano, Adelphi 1975, p. 87): «quando Cinghi si vide tanta gente, s'aparechiò con sua gente per andare a conquistare altre terre>>. 37 B. GIAMBONI, Delle Storie contra i Pagani di Paolo Orosio libri VII, III 23 (a cura di F. Tassi, Firenze, Baracchi 1849, p. 187): «Alessandro, suo fratello, apparecchiando contra il suo fratello batta­ glia per la sua madre vendicare>>; ivi, II 9, p. 87: «La battaglia contra i Greci, incominciata dal padre, per cinque anni apparecchiò». -

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male. Tra i commentatori, il primo a interpretare allegoricamente in questo senso l'espressione «guerra del cammino» è Benvenuto, secondo cui essa va letta come battaglia contro il peccato e l'ignoranza: «purgatorium contra vicia et ignorantiam extirpandam in se et in aliis».38 ll commento dell'imolese risul­ ta così essere il più vicino alla tradizione che l'immagine della guerra e della vita in armi aveva assunto nella letteratura allegorica medievale e in quella cri­ stiana: si tratta di un'espressione topica e di larghissima diffusione, tanto che reperime uno specifico antecedente risulta assai difficile. Molto spesso, infatti, l'immagine dell'itinerario forzato, delle marce militari costellate di combatti­ menti e assedi, è stata usata da padri e dottori della chiesa per rappresentare nel concreto il cammino dell'anima e l'idea del percorso di perfezione cristia­ na. Tra i molti esempi, vale la pena ricordare le Ena"ationes in Psalmos di Agostino, in cui l'anima sul cammino della , nella sua >) assieme allo pesudosene­ cano De Mon"bus, 34, per esprimere l'idea ddla lotta contro il vizio: «Pax autem atque concordia tua iura pertractent, ita quod nichil cum scandalo vd bdlo exigas, si comrnode hoc fieri potest. "Pacem itaque cum hominibus habeas, cum vitiis bdlum", ut quidam sapiens dixit. Nam et Apostolus in epi­ stola ad Timotheum dixit, "Non coronabitur nisi qui legittime certaverit". Ut igitur coronam et pa­ cem habeas, cum vitiis te certare oportet, et maxime cum vitio impietatis>> (ALBERTANO DA BRESCIA, De amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de/orma vitae, ed. by S.L. Hiltz, Ann Arbor, University of Michigan Press 2001) . 4 ' A u n rapido spoglio d d corpus bernardino e pseudobernardino, appare che l a guerra contro il male ha una giusta causa da cui deriva una «pugnantis intentio recta>> (in PL, CLXXXIll , col. 545); la guerra tra Babilonia e Gerusalemme (ivi, coli. 1248 sgg.) è interpretata allegoricamente (come in moltissimi altri esegeti) come lotta tra la virtù e il vizio, Cristo e il Diavolo, il bene e il male, la sal­ vezza e la dannazione; secondo Bernardo, il nemico è il demonio, che frustrato ndl'opposizione alla fede, combatte contto la carità (in PL, CLXXXIII , col. 220); la è lecita, ma dif­ ferisce da qudla secolare (ivi, coli. 546-547); gli eretici vanno combattuti . 44 lvi, col. 922: «lmpavidus profecto rniles, et omni ex parte securus , qui ut corpus ferri, sic animum fidei lorica induitur. Utrisque nimirum munitus armis nec daemonem timet, nec hOini­ nem». 4! lvi, col. 924: «Christi rnilites securi pradiantur pradia Domini sui, nequaquam metuentes aut de hostium caede peccatum, aut de sua nece periculum: quandoquidem mors pro Christo vd feren­ da, vd inferenda, et nihil habeat criminis, et plurimum gloriae mereatur>>. ,

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teo, Tommaso afferma che il miles Christi ha tre diversi nemici: il peccato, il mondo e il diavolo, gli errori; il soldato cristiano marcia però anche contro i tiranni; la sua milizia è corporale e spirituale, e il fine di quest'ultima è otte­ nere la vittoria contro i peccatori. 46 Guerra e cammino di perfezione cristiana sono spesso legati nella lettera­ tura religiosa, nell'omiletica e nella letteratura allegorica. Paolino di Nola, nel­ le Epistole, paragona le vittorie di Dio contro il male a quelle ottenute contro i nemiciY Molti autori sottolineano come la salvezza dell'anima smarrita nel peccato possa essere ottenuta solo a prezzo di marce spirituali e strenui com­ battimenti col nemico. Di questo segno è la prima parabola tra quelle ascritte a Bernardo, De pugna spirituali, che unisce il tema dell'itinerario di perfezione spirituale e la metafora bellica continuata: l'opera è intitolata De fuga et reduc­ tione /ilii prodigi e protagonista è l'uomo che, incarcerato nel peccato, ne fug­ ge con l'aiuto di Dio, che gli manda in soccorso le virtù spirituali, dopo un combattimento tra le sostanze personificate e Satana rappresentato con la transumptio della guerra e tramite una serie di allegorie e personificazioni.48 46 ToMMASO n'AQUINO, Super Epistolas S. Pauli lectura, II. Super secundam Epistolam ad Timo­ theum lectura, a cura R Cai, Torino-Roma, Marietti, I9538 , pp. 265-299, II I, p. 275: >.50 La stessa metaforica non può mancare dai manuali di predidinis ligatum». Timor non riesce a risolievarlo dalla sua condizione; giunge quindi Spes, che lo invita

a tornare alla schiera del padre: «Surge, obsecro, et vade ad patrem tuum, et dic ei: Pater, fac me sicut unum ex mercenariis tuis» (corsivo mio, come i successivi) ; è questo il primo segnale di una ge­ nerale transumptio bellica, che si sviluppa in seguito. n figlio dispera di potersi liberare dal carcere, a causa della forza e della possanza della soldataglia che lo accerchia: «vides captivorum meorum im­ manem multitudinem, fortitudinem, velocitatem, astutiam»; ma Spes Io invita a confidare in Dio, il cui esercito è più grande e munito di quello del nemico: «Ne timeas, inquit; qui nos adjuvat, mise­ ricors est; qui pro nobis pugnat, omnipotens est; pluresque sunt nobiscum, quam cum illi s»; Spes ha portato con sé il cavallo del Desiderio, sul quale , il , ed è . Sulla porta del campo della Sapienza appare un'iscrizione: «Si quis diligit Sapien­ tiam , ad me declinet, et eam inveniet; et eam cum invenerit, beatus est si tenuerit eam>>. Improvvi­ samente, il fortino della sapienza è cinto d'assedio dai nemici: Moab, Agareni, Gebal, Ammon, Ama­ lech, Assur, il diavolo sterminatore, con >,53 e compara­ zioni simili erano già presenti in forma sintetica nello pseudo Dionigi dd De ec­ clesiastica hierarchia. A volte, la rappresentazione della pugna spiritualis dipen­ deva direttamente dalla pratica bellica, e la giustificazione canonistica della guerra si basava sulla esposizione dei conflitti nell'animo umano.54 In sintesi, Dante aveva a disposizione un sistema transuntivo ampio, un campo dell'imma­ ginario condiviso, un vero e proprio mondo di subsenso cui i suoi lettori pote­ vano fare riferimento; inoltre, egli scriveva da combattente, nell'Italia in fiamme per continui focolai di guerra. Di questa generale transumptio bellica entrano a far parte perciò referenti reali non meno che letterari.

3 . LA POESIA DI ARMA E IL POEMA DELLA GUERRA CIVILE

n periodo dell'«endemica guerra che insanguina strade e città lungo tutto il tredicesimo e fin dentro il quattordicesimo secolo [ . . .] ispira il più gran numero m LILLA, Summa de Arte praedicatoria, in PL, CCX, coll. 109-198, part. coll. 122 e 146. FABA, Summa de Vitiis et Virtutibus, II 7 (a cura di V. Pini, «Quadrivium», I, 1956, pp. 41152). Luxuria e iracundia sono ugualmente 'nemiche' di anima e virtù. 53 CARPI, La nobiltà di Dante cit., p. 33· Lo cavalier armat di Pietro di Giovanni Olivi si legge nell'edizione curata da R MANSELLI, Les opuscules spirituels de Pierre Jean Olivi et la piété des Bé­ guins de Langue d'Oc, in La religion populaire en Languedoc du XIII siècle à la moitié du XIV siècle, Toulouse, Privat 1976; il corrispondente testo latino (Miles armatus) in R MANSELLI, Spirituali e be­ ghini in Provenza, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo 1959, pp. 287-290. H U.G. LEINSLE, Kriegser/ahrung und geistlicher KJJmpf in den Viten von Mariengaarde und der Chronik von Wittewierum (IJ ]h.), «Analecta Praemonstratensia>>, LXXXI , 2005, pp. 154-194.

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dei quadri storici danteschi»,55 soprattutto nell'Inferno, e Dante trae dalle sue partecipazioni a campagne militari (che narra da testimone con la formula «vi­ di>>) la descrizione della sua scaramuccia coi diavoli in Inferno XXI e, al suo interno la similitudine di In/ , XXI 94-96 («così vid'io già temer li fanti l ch'u­ scivan patteggiati di Caprona, l veggendo sé tra nemici cotanti>>) in cui, stretto tra i demoni che fanno ala al passaggio suo e di Virgilio si paragona ai fanti pisani che, abbandonando il castello di Caprona dopo aver pattuito la resa alla lega guelfa (agosto 1289), attraversarono i nemici schierati, che li accolsero con grida e minacce; 56 similmente, la lunga similitudine di In/ , XXII 1-12, che met­ te in scena la marcia, il combattimento, la rassegna, la ritirata, rimanda forse alla battaglia di Campaldino fra Aretini e Fiorentini del 1289: 57 Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra; quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane;

55 CARPI, La nobiltà di Dante cit., p. 671. Per le guerre dell'epoca di Dante (quella di Moroello Malaspina contro Pistoia; quella di Giovanni I marchese di Monferrato contro Alessandria; la Roma­ gna dilianiata dalle contese civili), C.T. DAVIS, L'Italia di Dante (1984), trad. it., Bologna, n Mulino 1988; G. ARNALDI, La Romagna di Dante fra presente e passato prossimo e remoto, «La Cultura>>, XXXIII, 1995, pp. 341-382; l. BALDELLI, Dante, i Guidi e i Malatesta, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa>>, s. 3", XVIII , 1988, pp. 1067-1070. 56 La rappresentazione della cavalleria è invece affidata a Chirone e ai suoi centauri in Inf, Xll 55-57: è un episodio in cui per il principio del conveniens i centauri saranno poi «scorta fida>>, Inf, Xll 100. Anche per Dante, come per altri della sua epoca, il fante era tenuto in poco conto nello sviluppo della battaglia (H.J. NICHOLSON, Medieval war/are. Theory and practice o/ War in Europe, 30o-rsoo, Houndmills -New York, Palgrave Macmillan 2004, p. 131, e Medieval war/are: a history, ed. by M. Keen, Oxford, Oxford University Press 1999, pp. 121 sgg.), riflesso, questo, della compa­ gine sociale, dominata dalla cavalleria comunale che tendeva a una chiusura dinastica nell'antica mi­ litia (cfr. R BoRDONE, I poteri laici, in Arti e storia nel Medioevo, a cura di E. Castelnuovo e G. Sergi, l. Tempi Spazi Istituzioni, Torino, Einaudi 2002, pp. 513-555) . A Campaldino Dante combatté tra i feditori a cavallo, nella prima schiera cioè della cavalleria, secondo la testimonianza di Leonardo Bru­ ni (G. PETROCCHI, Vita di Dante, Roma-Bari, Laterza 1986, p. 26) ; e l'immagine del cavaliere che esce dalla schiera per andare alla carica appare in una realistica comparazione di Purg., XXIV 94-97: «Qual esce alcuna volta di gualoppo l lo cavalier di schiera che cavalchi, l e va per farsi onor del primo intoppo, l tal si partì da noi con maggior valchi>>. Altra rappresentazione legata allla cavalleria è quella della schiera dei centauri in Inf, Xll 59-60: «e de la schiera tre si dipartiro l con archi e asticciuole prima elette>>. 57 Secondo PETROCCHI, Vita di Dante cit., pp. 25-26, il passo >, uno strumento a fiato usato per dare segnali sul campo di battaglia; afferma dunque di aver vi­ sto cavalieri , queste ultime, peraltro, circostan­ ze non del tutto belliche, ma assimilate alle devastazioni delle campagne mi­ litari) : in quelle occasioni, aveva potuto ascoltare trombe, campane (poste sul carroccio), tamburi, segnalazioni ottiche dai castelli (cfr. In/ , VIII r-6) , e vari altri strumenti; ma sostiene di non aver mai visto truppe muoversi al suono di uno strumento così strano come quello di Barbariccia. 59 Siamo qui (e nel canto precedente) di fronte al più largo e dettagliato uso della termino­ logia militare in tutta la Commedia, peraltro legato al campo semantico del suono, che coi comandi impartiti a mezzo di strumenti era parte integrante della battaglia e della giostra. 60 18 Per le caratteristiche dei diavoli danteschi è ancora utile il saggio di A. GRAF, Demonologia di Dante, in ID., Mit� leggende e superstizioni del Medio Evo (r892-r893), Milano, Bruno Mondadori 2002, pp. 257-291, ma si vedano ora G. BÀRBERI SQuAROTII , Il demonio come personaggio, in ID., Le capricciose ambagi della letteratura, Torino, Tirrenia Stampatori 1998, pp. 191-234; N. BoRSELLINO, Ludi demoniaci della 'Divina Commedia', in ID., Sipario dantesco. Sei scenari della 'Commedia', Roma, Salerno Editrice 1991, pp. 31-45; M. DozoN, Mythe et symbole dans la 'Divine Comédie', Firenze, Olschki 1991, pp. 413-479; G. PAI>OAN, «Dii gentium daemonia»: mitologia pagana e demonologia dan­ tesca, in ID., Il lungo cammino del 'poema sacro'. Studi danteschi, Firenze, Olschki 1993, pp. I4I-156; sull'episodio in questione G. CAITANEO, La trombetta di Barbariccia, in ID., Il lettore curioso, Firenze, Sansoni 1992, pp. n-17 e R HoLLANDER, Virgil and Dante as mind-readers ('Inferno' XXI and XXIII), in Dante's 'Inferno'. The Indiana cntical edition, ed. and transl. by M. Musa, Bloomington & lndia­ napolis, Indiana University Press 1995, pp. 340-352. !9 Secondo M. PicoNE, I trovatori di Dante: Bertran de Born, «Studi e problemi di critica testua­ le>>, vol. 19, 1979, pp. 8o-8r, l'esordio del canto sarebbe parodia e dissacrazione del celebre sirventese Be · m platz lo gais temps de pascor di Bertran de Boro, dal quale qui si preannunzia il distacco. 6o P. CONTAMINE, La guerre au Moyen age, Paris, Presses Universitaires de France 1992 3 , pp. r28 sgg. -

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La battaglia ha i suoi suoni: le parole infernali, gli inarticolati rumori del regno della vox unde sonum 6' e della distorsione del linguaggio, prevedono che il «parlar>> di Farinata «parea nemico» (In/ , X 123) e che le parole siano generale del Giudizio (Inf , VI 95).64 Tutta la lunga similitudine militare all'inizio del canto XXII dell'Inferno introduce la rappresentazione della zuffa tra i diavoli e i barattieri (In/ , XXII 121-141). L'episodio è presentato con un appello al lettore come un >) 'sistemare la cocca della freccia sulla corda dell'arco', ma anche, in senso figurato, 'sca­ gliare, assestare un colpo'; e poi «scunada>> 'frusta', 'correggia' (In/ , XVlli 65), «raffi» 'uncini' (In/ , XXI 52 e 100, XXII 147), e i termini della lotta: «ac­ quattarsi» (In/ , XXI 59), «aggueffarsi» (In/, XXIII 16), 'assettarsi' a far guer­ ra. In questo quadro, la metafora dantesca non riveste, come nel Paradiso, una funzione gnoseologica, ma la /ictio poita è necessaria quanto quella paradisiaca per comunicare ciò che è dato di conoscere del degradato e del demoniaco, su due livelli, uno attinente al suono e uno al significato. n contrasto espressivo tra le parole, la 'guerra' tra loro, è metafora che appare nelle definizioni del­ l' ornatus di/ficilis fornite dalla retorica medievale. In presenza di questo arduo mezzo espressivo, la 'lite' è insita negli stessi vocaboli, ma la «sententia vo­ cum», è capace di accordare questo dissonante tumulto, e l'armonia del signi­ ficato di riportare la 'pace'. 66 Le metafore infernali della guerra, il loro intenso dettaglio, non sono un puro ornamento poetico, ma una scelta espressiva nella linea di quanto affermato da Boncompagno da Signa nella Rhetorica novissi­ ma, ove egli definiva la transumptio >). Per l'influsso di Boncom­ pagno su Dante, PASQUINI, Dante e le figure del vero cit., p. 190; cfr. anche F. TATEO, Boncompagno da Signa, in ED, I, 1970, pp. 673-674; G.P. CESTARO, Dante, Boncompagno da Signa, Eberhard the Ger­ man, and the rhetoric o/ the materna! body, in The rhetoric canon, ed. by B. Deen Schildgen, Detroit, Wayne State University Press 1997, pp. 175-197; soprattutto F. FoRTI, Magnanimitade. Studi su un te­ ma dantesco, Roma, Carocci 2.006' ( I8 ed. Bologna, Pàtron 1977), pp. nB-12.7. 69 PASQUINI, Dante e le figure del vero cit., p. 76. 7o D passo >, LXV, 2000, pp. u9-152. 7J D. ALIGIDERI, De vulgari eloquentia, a cura di P. Rajna, Firenze, Società Dantesca Italiana 1960 [= De vulg. el. ] , n 2 IO; sulla presenza di Bertran de Born nel trattato linguistico, cfr. G. CIDA. RINI, Bertran de Born nel 'De vulgari ekJquentia', in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia, Modena, Mucchi 1989, n, pp. 411-419. 74 Sugli accenti macabri di questa rappresentazione, R GIGLIUCCI, Lo spettacokJ della morte. Estetica e ideokJgia del macabro nella letteratura medievale, Anzio, De Rubeis 1994, pp. 48-52.

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morte del re e le vidas del poeta, sia perché a lui era attribuita da alcuni ma­ noscritti.75 L'elenco di pianti e dolori che si adunano, dunque, era attribuibile da Dante a quel trovatore che nel Convivio era stato menzionato in modo del tutto positivo, come un nobile e generoso poeta all'interno di un gruppo di nobili combattenti, che era stato celebrato nel De vulgari eloquentia come esemplare cantore di «arma>> e «armorum probitas»,76 e che poco più avanti, nello stesso canto, apparirà tra i dannati, destinato a soffrire un orribile con­ trappasso. Sulle cause di questa degradazione infernale, risalenti probabil­ mente alle notizie riportate in alcune vidas che riguardano Bertran, molto si è scritto: 77 le vidas, pur affermando che egli fu un eccellente e nobile poeta, menzionano la sua maliziosa attività di seminatore di discordia, ricordano co­ me fosse costantemente in guerra coi vicini del suo feudo, ed evidenziano la sua voglia di mettere tutti in guerra contro tutti. Non meno importanti rispet­ to a quelle storiche, tuttavia, sembrano essere le responsabilità 'poetiche' di Bertran. Le vidas sottopongono infatti a valutazione critica anche il suo impie­ go del genere del sirventese, che Bertran usava per impedire la pace e per di­ mostrare come essa fosse poco onorevole («s'il avian patz ni treva, ades se pe­ nava e·is percassava ab sos sirventes de desfar la patz, e demostrava cum

75 Come Paris, B.N.F., fr. 152n, ff. 169v-17or; cfr. PreoNE, I trovatori di Dante cit., pp. 81 sgg. Di questo planh, attribuito anche a Peire Vidal, non è da escludere l'assegnazione a Rigaut de Berbezilh (S. GuiDA, Problemi di datazione e di identificazione di trovatori, «Quaderni di Romanica Vulgaria>>, X-XI, 1986-1987, pp. 87-126: 87-108); il testo (tra le rime di dubbia attribuzione) in R:!GAUT DE BERBE· ZILH, Liriche, a cura di A. Vàrvaro, Bari, Adriatica 1960, p. 252 sgg.: «Si tuit li dol e·il plor e·il mar­ rimen l e las dolors e · il dan e·il chautiver l c'om hanc agues en est segle dolen l fossen ensems, sem­ blaran tuit leugier l contra la mort del ioven rei engles»). 76 De vulg. el., II 2 8. n Cfr. ]. C HAN CE , 'Monstra' - naturalità distorte: Bertram dal Bornio, Ecuba, in I 'monstra' nell"In/erno' dantesco: tradizione e simbologie. Atti del XXXIII Convegno storico internazionale (Todi, 13-16 ottobre 1996), Spoleto, Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo 1997, pp. 235276. Secondo M. FUBINI, Il canto XXVIII dell"In/erno', in Lectura Dantis Scaligera, Firenze, Le Monnier 1967, pp. 7-29, Dante citerebbe Bertran come poeta rivale, e con lui marcherebbe la dif­ ferenza in quanto seminatore di pace, non di discordia. Allo stesso tempo, la punizione di Bertran è un ammonimento contro i pericoli insiti nella retorica delle armi, poiché il trovatore avrebbe de­ scritto le battaglie senza compassione: è questa l'opinione di M. SHAPIRO, The ftctionalization o/ Bertram de Borm, «Dante Studies», XCII, 1974, pp. 107-n6; secondo M. PreoNE, La poesia romanza della Salus: Bertran de Born nella 'Vita nuova', «Forum ltalicum», XV, 1981, pp. 3-10, Dante do­ vrebbe proprio a Bertran la combinazione di prosa e versi, razo e poesia adottata per il libello; si veda anche W.D. PADEN ]R., Bertran de Born in Italy, in Italian literature: roots and branches. Essays in honor o/ Thomas Goddard Bergin, ed. by G. Rimanelli and K.J. Atchity, New Haven, Yale University Press 1976, pp. 39-66, e sull'episodio in particolare D.R. SHANZER, The punishment o/ Bertrand de Born, «Yearbook of ltalian Studies», VIII , 1989, pp. 95-97; G. GouiRAN, Bertran de Born, troubadour de la violence?, in La violence dans le monde médiéval, Aix-en-Provence, CUER­ MA 1994, pp. 235-251; e soprattutto F. SUITNER, Dante e Bertran de Born (1980) , in ID ., Dante, Pe­ trarca e altra poesia antica, Fiesole, Cadmo 2005, pp. 29-46, molti dei quali concordano sulla 'pa­ linodia' dantesca della poesia delle armi nell'incontro col trovatore. -

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chascuns era desonratz en la patz») /8 aspetto solo in apparenza marginale nel ritratto che il personaggio Bertran offre di sé. Tutte le altre notizie tornano nel passo dantesco in cui Bertran - ed è proprio lui, un poeta, il nobile poeta dei magnalia, a pronunciare la parola «contrapasso» -79 si presenta a Dante nelle vesti di Achitofel, consigliere del re Davide, che istigò con perfidi incitamenti il figlio di questi, Assalonne, a ribellarsi al padre (In/ , XXVIll 136-138: «lo feci il padre e 'l figlio in sé ribelli: l Achitofèl non fé più d'Absalone l e di Davìd coi malvagi punzelli>>; cfr. 2 Re 15-17) . All'interno dell 'ardito paragone, la me­ tafora dei consigli di Achitofel, , che vale 'pungoli', 'incita­ menti', ma che è oggetto atto a ferire,so può essere utilizzata transitivamente per tratteggiare i caratteri della poesia stessa di Bertran, la cui nocività, rileva­ ta dalle vidas, entra obliquamente e per figura nel testo della Commedia. Per Dante, dunque, Bertran concepiva la poesia come un'arma, e la sua parodia e la condanna paiono rimarcare il rifiuto dantesco dell 'ideale eroico della guerra e della rappresentazione letteraria a essa legata. 8' Allusione, degradazione, sfida. La sfida di Dante con Bertran de Born, al­ luso all'esordio e materializzato - mutilato e sanguinolente - alla fine del can­ to, si gioca perciò su un doppio registro. Dante si presenta come il nuovo poe­ ta di «arma>>, ma il suo soggetto non è né esaltante, né epico, né politico. D mito dell'onore cavalleresco - incarnato da Bertran de Born - muta la perce­ zione e la rappresentazione dell'evento bellico e le sue metafore letterarie, for-

?8 Le vidas (il passo citato dalla versione A), in M. DE RIQUER, Los trovadores. Historia lzteraria y textos, Barcelona, Ariel 1982', II, p. 687-688, ricordano l'attività di seminatore di discordia di Bertran:

«Mas totz temps volia qu'ill aguesson gerra ensems lo paire e· l fills , e·ill fraire l'uns ab l'autre; e totz temps volc que ·l reis de Franssa e-l reis d'Englaterra agessen gerra ensems»; un'altra vida, la versione B, ricorda come «fes mesclar lo pair' e-l fili d'Englaterra» (Enrico Plantageneto e suo padre Enrico Il d'Inghilterra) tanto che «entro-l joves reis fo mortz d'un cairel en un castel de Bertran de Born». Secondo la CHANCE, 'Monstra' - naturalità distorte cit., p. 2.43, Bertran è decapitato perché aveva in­ vitato il giovane re alla ribellione, cioè a 'decapitare' la monarchia e l'ordine costituito, e perché as­ seriva nei propri poemi un generale istinto di ribellione contro l'autorità. Dante caratterizzerebbe come innaturale la parte che si ribella contro il tutto. Bertran subisce lo stesso destino di altri istiga­ tori di guerra civile, Scribonio Curione e Mosca dei Lamberti. 79 Mette in luce questa evenienza SHANZER, The punishment o/ Bertrand de Born cit. Bo Non ci sono attestazioni anteriori a Dante; poco più tarda l'occorrenza nel commento ano­ nimo all 'Ars ovidiana (I volgariZZIJmenti trecenteschi dell"Ars amandi' e dei 'Remedia amons', a cura di V. Lippi Bigazzi, Firenze, Accademia della Crusca 1987, Il, p. 688), che vale 'pungolo' o 'punte­ ruolo', in senso non metaforico («Mercurio mise sotto la coda di questa vacca uno pungello»). B• Per il 'pacifismo' di Dante, si veda da ultimo (con accenti mistici) K. MAuRER, Dante gegen Krieg, Kriegstreiber und Kriegsdichter, in Trotz der Schwere. Ein Optimismus: Dante Alighien· und Pe­ ter Weiss: Visionen gegen Krieg und Gewaltherrschaft. Tagung der Ev. Akademie lserlohn ( 1-3 No­ vember 1996), Iserlohn, Ev. Akademie 1996, pp. 22-29; sull'esperienza bellica di Dante a Campaldino e i suoi echi poetici, F. MAzZONI, Gli echi di Campaldino: Dante, in La Battaglia di Campaldino e la società toscana del '200, s.I. , Comitato promotore per il settimo centenario della battaglia di Campai­ dino 1994, pp. n-34. e H.L. OERTER, Campaldino, r289, «Speculum», LXIII , 1968, pp. 429-450. -

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nendone una giustificazione morale e caricando la metafora bellica di un senso di onore e rispetto legittimante, benché non del tutto coerente con la realtà del conflitto e della battaglia; di tutte le forme che nel passato hanno assunto le ideologie belliche, quella della cavalleria ha avuto il più persistente potere sull'immaginazione dei poeti: il vocabolario cavalleresco ha costituito il mezzo più sicuro per evocare la mistica dell'onore, e il più adatto per ripulire lo spor­ co mestiere delle armi collegandolo con i nobili natali e la fede cristiana. 8:!. Ciò ha contribuito a sublimare e ritualizzare alcuni aspetti della battaglia, ma li ha anche sottratti alla raffigurazione realistica, facendo sì che al campo metafori­ co bellico fossero ascritti - tramite un vocabolario specializzato e il rifiuto del­ la realtà - più spesso i termini del duello che quelli della strage, più la visione legittimante delle schiere di armati che il caos della battaglia, e che dalla sua rappresentazione letteraria fosse obliterata la realtà sanguinaria della guerra. A questa rappresentazione di comodo Dante si sottrae, così come si sottrae al­ l'ideale eroico delle battaglie dell'Eneide. Dei libri bellici del poema di Virgilio (IX-XII) , nei quali sono descritti i combattimenti più spettacolari e aspri, Dante non riprende che pochi personaggi, a differenza del resto dell'Eneide che usa con larghezza: le mischie, le prove di coraggio, e i loro aspetti figura­ tivi non lo ispirano quanto il resto del poema, e il ricordo delle prove di guerra si manifesta prevalentemente attraverso il ricorrere del tema, altamente signi­ ficativo, del sacrificio.83 Questa selezione denota una preoccupazione di ordi­ ne etico: altri eroi e altre guerre sono da combattere e cantare nel poema sa­ cro, che si pone nei confronti dei 'punzelli' del bellicoso trovatore in termini diametralmente opposti. La scena di battaglia è macabra e sozza, tanto sozza che tutto ciò che delle guerre e delle carneficine è stato narrato in precedenza, persino dall'ineguagliabile Livio, si manifesterebbe impotente e inadeguato al suo cospetto. I versi precedenti la scena, all'esordio del canto, rendono espli­ cita la sfida di Dante sul piano retorico: Chi poria mai pur con parole sciolte dicer del sangue e de le piaghe a pieno ch'i' ora vidi, per narrar più volte? Ogne lingua per certo verria meno per lo nostro sermone e per la mente c'hanno a tanto comprender poco seno.

(In/ , XXVIII I-6)

] .A. WINN, The poetry o/ war, Cambridge, Cambridge University Press :z.oo8, p. 103. DozoN, Mythe et symbole cit., pp. 2.93 sgg., con riferimento a Eurialo, Turno, Niso e Fallante; per l'eroismo epico del mondo antico e la sua contraddizione cristiana, cfr. «Dulce et decorum est pro patria mori»: la morte in combattimento nell'antichità, a cura di M. Sordi, Milano, Vita e Pensiero 1990. 81 8l

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Di fronte al sangue della nona bolgia, Dante introduce il paragone bellico non per narrare di esempi d'eroismo, non per far risuonare la tromba epica, ma per esporre quello che i recenti poeti di arma abitualmente hanno taciuto, per narrare «del sangue e de le piaghe» (e «piaga>> è altrove, come visto, me­ tafora di 'peccato'). Coi riferimenti alla attualità quasi contemporanea, in con­ tinuità con le guerre del passato, il poema di Dante si presenta, in senso sto­ rico e in prospettiva lucanea, come il resoconto tragico della guerra civile che insanguina l'Italia.84 In questo senso, nel senso della storia contemporanea, non è un caso che siano proprio i due episodi in cui Dante ha partecipato a battaglie a incorni­ ciare il più lungo combattimento figurato dell'Inferno, quello del canto XXI , né che in esso gli strumenti della poesia epica e della storia appaiano così de­ gradati. Sotto il profilo dell'espressione, inoltre, «dicere [. . . ] a pieno» del san­ gue e delle piaghe è un ostacolo concettuale quasi insormontabile per la , vol. IV, 1999] , pp. 13-43, a p. 17, individua come ciò che «costituisce forse l'aspetto dell'opera lucanea più intimamente congeniale e vicino all 'Inferno dantesco». Sul canto P. ALLEGRETTI, «Chi poria mai pur con parole sciolte» ('In/ ' XXVIII), «Tenzone. Revista de la Aso­ ciaci6n Complutense de Dantologia>>, ll, 2001, pp. 9-25.

PicoNE, I trovatori di Dante cit., pp. 84-85. Cor 10, 4-5: «arma rnilitiae nostrae non sunt camalia, sed potentia Deo ad destructio­

8 5 Questa è l'interpretazione di 86 Cfr. 2

nern munitionurn, consilia destruentes, et ornnern altitudinern extollentern se adversus scientiarn Dei>>.

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4.

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NEMICI

Quando Matteo scrive «inimicus [ . . .] est diabolus»,87 non fa altro che tra­ durre con 'ingannatore' il nome ebraico Satana (Satan), 'avversario' o 'nemico' spirituale, dando un nome e una personalità al male. In seguito a questa per­ sonificazione, le molte guerre bibliche, tra Gerusalemme e Babilonia, tra Da­ vide e Nabuccodonosor, sono state interpretate dagli esegeti come lotta tra la virtù e il vizio, tra Cristo e il diavolo, la salvezza e la dannazione, e ogni guerra del passato è stata ricollegata all'eterna lotta del bene contro il male. La rei­ ficazione del male in tutte le culture e nei racconti folclorici, e l'importanza del combattimento contro il diavolo nei vangeli e nella tradizione anche gno­ stica, 88 sono tali che si può tracciare un profilo di Satana non solo come un concetto, ma anche come un personaggio letterario, una personificazione nar­ rativa o poetica del male, caratterizzato da ostilità in armi. 89 n diavolo dante­ sco non fa eccezione; il conflitto con Satana compare molto presto nel poema, quando Dio è definito «avversario d'ogne male» in In/ , II 16,90 e i diavoli detti «nemici» di Dio In/ , m 63; il male è «antico avversaro» in Purg., XI 20 e XIV 146, e >. Un nemico sleale: della scorta dei dieci diavoli Dante non si fida. D'altra parte, il diavolo è «bu­ giardo» e infido (Inf, XXIII 144) ; e tali dovevano essere, nelle mutevoli al­ leanze dell'epoca di Dante, gli esponenti delle fazioni, che un giorno alleati, il giorno seguente potevano tradire. Di qui, da un sentimento reale, la rappre­ sentazione così accorta della diffidenza: «Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?», diss'io, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio. Se tu se' sì accorto come suoli, non vedi tu ch'e' digrignan li denti, e con le ciglia ne minaccian duoli?».

(Inf , XXI 127-132)

9• In/, XIV 43-45 «Maestro, tu che vinci l tutte le cose, fuor che ' demon duri l ch'a l'intrar de la porta incontra uscinci>>. 93 Per contrasto, è il Paradiso in Par., XXX 130. Sull'immagine di Firenze cfr. E. RAGNI, Firenze nell'opera dantesca, in ED, n. 1970, pp. 92D-927; A. lANNUCCI, Firenze, città infer­ nale, in Dante. Da Firenze all'Aldilà. Atti del terzo Seminario Dantesco Internazionale (Firenze, 9-n giugno woo), a cura di M. Picone, Firenze, Cesari 2001, pp. 217-232; E. BRILLI, Dalla 'città partita' alla 'civitas con/usionis'. Sulla tradizione e i modelli della Firenze dantesca, , n.s., m. 2006, n. I, pp. 73-III; C.E. HoNESS, From Florence to the Heavenly City. The Poetry o/ Ci­ tizenship in Dante, London, Maney 2006, e relativa bibliografia.

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Altri nemici costellano la 'guerra del cammino'; in senso storico nemici so­ no i fiorentini, i papi (che avevano come non i mori ma i cristiani: In/ , x:xvn 85-88: (causata dalle sofferenze ma anche dai dubbi che sorgono nel suo animo) del suo martirio (Purg. , XV 109-II4) ; > e le rappresentazioni poetiche dell'esilio, cfr. G. DE MAR­ co, L'espen'enza di Dante 'exul immeritus' quale autobiografia universale, «Annali d'ltalianistica>>, XX, 2002, pp. 21-54; G.P. RAFFA , Dante's poetics o/ exile, ivi, pp. 73-87; sull'esilio e le Epistole, V. Russo, Dante 'exul inmen'tus'. Variazioni compositive sul/dal tema, «Esperienze letterarie>>, XVII, 1992, 2, pp. 3-16 (poi in ID., Il romanzo teologico. Seconda serie cit., pp. 31-44); sfiora il tema della lin­ gua poetica nelle profezie dell'esilio C. KEEN, The language o/ exile in Dante, , XXVII , 2001 [= Cu"ent trends in Dante studies, ed. by C.E. Honess] , pp. 79-102. 96 Sul tema dell'esilio e l'offerta di perdono («perdonar è bel vincer di guerra>> nella chiusa di Tre donne intorno al cor mi son venute, 107, e le implicazioni metaforiche e storiche, U. CARPI, Il se­ condo congedo di 'Tre donne', in Tre donne intorno al cor mi son venute, a cura di J. Varela-Portas de Ordufia, Departamento de Filologia Italiana de la Universidad Complutense de Madrid-Asociaci6n Complutense de Dantologia 2007, pp. 15-26; E. FENZI, 'Tre donne' 73-I07: la colpa, il pentimento, il perdono, ivi, pp. 91-124. 97 Nello stesso episodio, il «parlar>> di Cacciaguida «discese -

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l inver' lo segno del nostro intel-

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che chiamano in causa colpi, frecce, armi, e delineano la figura di un eroico combattente contro il destino, che scaglia i suoi «colpi>>. Dante vi si definisce «tetragono ai colpi di ventura>> (Par. , XVll 24) , con un aggettivo derivante dal­ la figura del tetraedro e indicante la sua fermezza,98 ma che descrive anche la disposizione del quadrato manipolare romano in Vegezio, come ricorda, unico tra i commentatori, l'Ottimo: 99 disposizione d'attacco adatta, tra l'altro, a chi è superiore per numero e valore al nemico. 100 Altrove, ulteriori metafore belliche rappresentano la fermezza d'animo nell'esilio: l'animo è «torre ferma, che non crolla>> (Purg., V 14), con immagine tratta dall'architettura delle fortificazioni e dei lavori sul campo di battaglia, e la coscienza cristallina dell'esiliato è, con metafore dell'ordinamento militare e delle armi, «buona compagnia» 1 0 1 e «usbergo» (Inf , xxvrn 115-117: «coscienza m'assicura, l la buona compagnia che l'uom francheggia l sotto l'usbergo del sentirsi pura>>). Tetragono, resistente e fermo contro quella fortuna capace di ferire (la «piaga della fortuna>> di Conv. , I 3 4; e tra le azioni della fortuna nella Com-

letto» (Par. , XV 44-45), in cui 'segno' può valere 'limite della comprensione umana' ma anche 'ber­ saglio'; il ); ma il contesto dantesco rende preferibile 'unità', 'gruppo di soldati', come in GIAMBONI, Vegezio, II 9, ed. cit., p. 50: «il principe della primaia compagnia avea centuria e mezza, cioè centocinquanta uomini governava>>.

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media c'è anche quella di 'balestrare', In/. ,

XIII

98) 10� e contro la quale si era

dichiarato bellicosamente pronto a duellare, !asciandole la scelta delle armi - «come vuoi>> - nella profezia di Brunetto (In/. , XV 93: «a la Fortuna, come vuoi, son presto»), ora Dante chiede di conoscere «qual fortuna>> gli muove contro, «s'appressa>>, per riuscire a schivarla come una freccia di cui si preve­ de l'arrivo («ché saetta previsa vien più lenta>>, Par. , XVII 27, secondo una ri­ corrente metafora in armi delle insidie future); 103 il futuro stesso è un doloroso «strale l che l'arco de lo essilio pria saetta>> (i-vi, 57) ; le «'nsidie» sono «nasco­ se>> come un nemico infido; Dante deve 'armarsi' di cautele e precauzioni per­ ché il futuro, personificato quale cavaliere in carica, incalza per ferirlo («spro­ na l lo tempo verso me, per colpo darmi l tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona; l per che di provedenza è buon ch'io m'armi>> (ivi, 106-109. E anche l'immagine dell'animo pugnace che resiste se non s'abbandona ha un suo precedente metaforico di tipo bellico-filosofico in In/. , XXIV 53-54: ) . In questa generale transumptio bellica, un verbo 'armato' e bellicoso è riservato anche al poema, al cui compimento Cacciaguida invita Dante, al canto qui in­ dividuato come «grido», destinato metaforicamente a «percuotere>>: «tuo gri­ do farà come vento, l che le più alte cime più percuote» (Par. , XVII 134) .104 Dante torna a essere . 103 Dall'adagio «Nam praevisa minus laedere tda solent>>, anche in altre forme; una massima frequentemente in uso ndla cultura medievale, probabilmente derivata da una versione latina di Eso­ po, e adattata in vari modi, come «minus enim jacula feriunt quae praevidentur>> di GREGORIO MA­ GNO, Hom., XXXV I, in PL, LXXVI, col. I259. segnalato tra gli altri da M. AVERSANO, La quinta ruota_ Studi sulla 'Commedia', Torino, Tirrenia Stampatori I988, p. 27, e da G. BRUGNOLI, Studi dan­ teschi, Pisa, ETS I985, I, p. I35, che riconduce la massima alle favole ddl'Aesopus in versi ddlo ps. Gualtiero Anglico, XX IO (ben note a Dante, che cita un «Esopo poeta>> in Conv., IV 30 4; e vedi anche In/ , XXIII 4-6, e C. KRAus, Esopo (Isopo), in ED, II, I970, pp. 729-730). Nessun commen­ to, mi pare, segnala che ddla massima si è servito anche ToMMAso n'AQUINO, Catena aurea in quatuor Evangelia, Il. Expositio in Lucam, XXI 3 , cura A. Guarienti, Torino-Roma, Marietti I9532, p. 266. 104 Dante dice di sé che 'grida' ndle invettive, come in qudla contro Firenze (In/, XVI 76). TI verbo è più spesso usato per i dannati o i diavoli. 105 'Nemico' è voce usata spesso al plurale, «saldando insieme i semantemi di hostis e di inimi­ cuS>>, il nemico pubblico e qudlo privato (E. PASQUINI, nemico, nemica, in ED, IV, I973. pp. 35-36). Per questa metafora ddla concordia e ddla discordia, già presente in vari statuti comunali e additata da Boncompagno da Signa come adatta alla rappresentazione dd conflitto intestino, M. GIANSANTE, I lupi e gli agnelli. Ideologia e storia di una meta/ora, «Nuova Rivista Storica>>, LXXXIll , I999, 2, pp. 2I5-224. Bisognerà tuttavia ricordare che una metafora assai simile (peraltro di origine favolistica) -

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siderio che il «poema sacro» possa disserrare le porte della città che nella me­ moria è «bell'ovile», e nella realtà evocata dal colloquio con Cacciaguida dei canti precedenti e dall'identico sistema di rime usato per la città di Dite e l'in­ vettiva del VI del Purgatorio («serra: guerra: terra:») , una civitas diaboli, oc­ corre per l'ultima volta nel poema il binomio 'guerra l nemico' . TI nemico dia­ bolico non varca invece le soglie del Paradiso, lo «'mperador del doloroso regno» (In/ , XXXIV 28) non ha cittadinanza in quello retto dall'Imperatore celeste, e difeso da milizie angeliche ed eserciti di beati. Per descrivere la fine della guerra del cammino, e come esso abbia finalmente portato alla pace pa­ radisiaca il regno celeste è anzitutto «pace» contrapposto alla guerra del cammino -,106 Dante si serve di una comparazione caratteristica delle sue cor­ de, quella tra stati emozionali, paragonando il proprio stato d'animo a quello dei barbari giunti alle porte di Roma dopo un lungo cammino (la marcia, co­ me visto, fa parte anch'essa dell 'imagery bellica classica e cristiana): in Par. , XXXI 31-40, egli esprime la propria meraviglia di fronte alla rosa celestiale as­ similandola a quella dei barbari venuti a Roma dalle loro piaghe desolate, am­ mirati di fronte all'«ardiia opera» del Laterano.107 Siamo dunque di fronte a uno di quei momenti, così numerosi nel Paradiso, in cui anche sul piano del­ l'imagery Dante porta a compimento quella ) esegue una conversione proteggendosi dietro gli scudi, ruotan­ do con la prima squadra (quella che segue il «segno» 'insegna') , prima che ab­ bia potuto cambiare direzione con tutte le altre fino alla retroguardia: Come sotto li scudi per salvarsi volgesi schiera, e sé gira col segno, prima che possa tutta in sé mutarsi; quella milizia del celeste regno che procedeva, tutta trapassonne pria che piegasse il carro il primo legno.

(Purg., XXXII 19-24)

li comparandum è, in senso allegorico, la chiesa militante, che inizia a es­ sere tale e a muoversi dal momento della morte di Cristo («figurat [. . .] quam Ecclesia Christi se moveret, scilicet militia sua», chiosa Pietro Alighieri) : e la comparazione militare - tutta la scena della processione vive su questa ima­ gery _ m sarà funzionale a tale identificazione. È singolare però che, nell'isti­ tuire il paragone, Dante raffiguri una conversione operata dagli armati «per salvarsi>>, traslando dunque nell'immagine di un'armata in ritirata la metafora e l'antitipo della chiesa militante, già introdotta attraverso un usteron prote­ ron in Purg. , XXIX 115-120 e che sarà definitivamente rappresentata nel Para­ diso come «essercito di Cristo», prima dubbioso e >, e la glossa dello pseudo-Gre­ m

gorio Magno a questo passo, in cui appare una schiera che si muove compatta come un corpo solo.

u> Domenico è nelle parole di Bonaventura >, cioè la guerra contro l'eresia (Par. , XII 106-108). -

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[. . . ] a' nemici crudo» (nel senso proprio nella letteratura agiografica) e «Cam­ pione>> della cristiana (ivi, 61-63, 44, 41) è colui che chiese al papa «licenza di combatter>> «contro al mondo errante», e «ne li sterpi eretici per­ cosse l l'impeto suo» e vinse «in campo» aperto la sua «briga>> (ivi, 94-95, 100-101, 108). n suo ritratto è preceduto da altre metafore consone al sistema transuntivo della guerra, come il «percuoter>> delle onde sulla costa di Cala­ roga (ivi, 49), che prefigura il suo impeto contro gli eretici, e la «protezion del grande scudo», dell'arma di Castiglia sul suo borgo (ivi, 53); inoltre il canto dei beati in quel cielo, il «tripudio» (ivi, 22) che precede l'apparizione di Bo­ naventura, è un canto in cui le loro voci sono dette per metafora «tube» (ivi, 8), evidentemente epiche, il cui suono è definito in relazione alla sua superio­ rità su quello antico come «canto che tanto vince nostre muse» (ivi, 7) . A sua volta, Francesco sarà rappresentato come un eroe di poema cavalleresco in atto di combattere per l'amore della povertà («per tal donna [. .. ] in guerra [. . . ] corse», ivi, 58-59) che fece presto provare «de la sua gran sua virtute al­ cun conforto» (ivi, 57) , poderosamente, alla terra.n3 Milizia terrena la Chiesa, milizia del cielo i beati, sulla base della espres­ sione di Giobbe sopra ricordata, dalla quale si genera una filiazione metafo­ rica continua. La > di Par., IX 141, che ha avu­ to in sorte il «cimitero» di Roma. Essa rappresenta i primi martiri cristiani, ed è perifrasi (figura che in Dante tende alla metafora) 114 tratta in questo caso non dalle sacre scritture, ma dalle numerose comparazioni tra i martiri e i soldati della fede presenti nell'apologetica cristiana, fin dai primi secoli, fin da Tertul­ liano, che scriveva ad martyres definendoli , XII , 198I, pp. 3-23 (poi in ID., D'Egitto in Ierusalemme. Studi danteschi, Roma, Bulzoni 1985, pp. I57-I8o). 116 Cfr.

supra, p. 70. -

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legione. La metafora - sia essa derivata o no dalla terminologia militare, co­ me peraltro si potrebbe facilmente ritenere -,"7 e comunque di ispirazione scritturale, "8 rientra nel generale traslato della battaglia per la fede e della milizia cristiana dispiegata nel Paradiso, e anzi ne esalta la forza propositiva in rapporto all'idea provvidenziale dell'universalismo imperiale che Dante nutriva. Milizia è anche metafora della vita dell'uomo sulla terra nelle parole di Giustiniano (Par. , V 115-117: «0 bene nato a cui veder li troni l del tdunfo etternal concede grazia l prima che la milizia s'abbandoni») : in questo caso la suggestione è un passo di Giobbe (Iob, 7 1: «Militia est vita hominis super terram»; assume questo senso anche il «militar>> di Par. , XXV 57) . TI ragio­ namento implicito è che solo una milizia ben disciplinata e ordinata al suo buon fine può consentire di assistere al «tdunfo etternal», che Dante ha avu­ to in sorte di vedere nel corso della vita. L'intero Paradiso procede nella métaphore /ilée del trionfo militare intro­ dotta nel proemio alla cantica (> che punisce i peccatori

129 DIONIGI AREoPAGITA, Cael. Hier., N, in PL, CXXII col. 1048: «curn eo rnultitudo exercitus caelestis illarn valde laudabilern tradebant his, qui in terra sunt, doxologiarn». Ilo Mon. , I 4 3· 1l1 DIONIGI AREoPAGITA, Cael. Hier., I, in PL, CXXII , col. 1038: > (Purg., IX 113). In Purg. , XXIX 140 procede «con una spada lucida e aguta>> l'apostolo Paolo. Di questa spada, come di altre, è agevole ricordare gli ante­ cedenti biblici (E/ 6, 17: «gladium spiritus quod est verbum dei»; Eb 4, 12) : secondo le parole dello stesso apostolo essa rappresenta la parola di Dio, di cui egli era ritenuto portatore e difensore (ma era anche interpretata come simbolo del suo martirio) . Tagli, ferite, punture metaforiche di diversa deriva­ zione letteraria percorrono l'intero poema: alcune ferite amorose discendono dal tema elegiaco e stilnovistico della milizia d'amore e sono infatti altrettanto presenti nella lirica di Dante; '34 più importanti sono i vari 'colpi' infetti dalla luce del Paradiso agli occhi del pellegrino che ne ascende i gradi (per esempio ventante iudicio pallore notentur>>. Si veda anche Ep., V 6, in cui Enrico disperde i seguaci del ne­ mico e istituisce giustizia e pace con l'aiuto della spada: «Exsicca lacrimas et meroris vestigia dele, pulcerrima, nam prope est [ . ] qui liberabit te de carcere impiorum; qui percutiens malignantes in ore gladii perdet eos». 'll TOMMASO o' AQUINO, Summa Theologiae, 1"-II"e, q. LXXXV , a. 3: «Haec autem originalis iustitia subtracta est per peccatum primi parentis, sicut iam dictum est. Et ideo omnes vires ani­ mae remanent quodammodo destitutae proprio ordine, quo naturaliter ordinantur ad virtutem, et ipsa destitutio vulneratio naturae dicitur>>. Sulla teologia dantesca del peccato originale W.W. MARsHALL, Dante and the doctrine o/ origina! sin. A theological gloss on 'Purgatorio' XVI, 8o­ IOJ and 'Paradiso' XXVII, I2I-I4I, «Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri», III, 2oo6, pp. 21-40. 'l4 Ci si riferisce a combattimenti d'amore come quello di «Achille, l che con amore al fine com­ batteo», Inf , V 65-66 e ad altre erotomachie che qui non sono considerate, tutte derivanti dal grande palinsesto ovidiano della militia amoris, filtrato attraverso la metafora bellico-cavalleresca trobadori­ ca, che vive il rapporto amoroso come battaglia e conflitto, dall'agonistico contrasto amoroso dell'e­ sperienza poetica guittoniana, e dalle personificazioni cortesi e stilnovistiche di Amore armato d'arco, o di spada come in Così nel mio parlar voglio esser aspro, 36-37. .

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«l'acume ch'io soffersi l del vivo raggio» di Par. , XXXIII 76-77) . Ma il più alto grado metaforico, nel campo delle armi, è raggiunto quando a ferire sono astratti relativi alla memoria e al desiderio; rientrano in questo campo le 'pun­ ture' provocate dagli «strali>> del desiderio, in particolare dall'acuta voglia di conoscere: «acume», Par. , I 84; «strali>>, Par. , II 55, e soprattutto la «punta del disio» di Par. , XXII 25-27 («lo stava come quei che 'n sé repreme l la punta del disio, e non s'attenta l di domandar, sì del troppo si teme»), emistichio da cui Lino Pertile ha intitolato un interessantissimo saggio relativo proprio a questa metaforica, individuandone l'ascendenza nel tema della compunctio amoris gerolimiana, e nel desiderii acies dello stimulus amoris pseudobemardi­ no.'35 Ma c'è anche > (Purg. , XII 20) , e la ferita della compassione: Dante, in continuità con la «guerra de la pietate», è 'per­ cosso' dal pianto dei dannati (In/, V 27: > era stata «scudo» per Adamo ed Eva, che avevano tentato di rifugiarvisi dopo il peccato originale. Due riflessioni su questo passo: il primo, che il peccato originale è raffigurato per ben tre volte con metafore relative alle ferite e alle armi, in memoria poetica della guerra che tramite il peccato l'uomo ha scatenato contro il creatore. La seconda, è

IJ5 L. FERTILE, «La punta del disio»: storia di una meta/ora dantesca, , che funge da «scudo» contro la corruzione della donna e del carro, e che alcuni esegeti hanno voluto interpre­ tare come metafora della sua abilità verbale e dell'opera poetica con cui può «denunciare il tragico spettacolo» 136 infernale e purgatoriale.

7 . LA GUERRA DELLA LINGUA

TI cuore della metafora dantesca, che ne costituisce il carattere specifico e innovativo anche in relazione ai precedenti classici e romanzi, ha sede nella categoria che prevede la connessione di comparandum e comparatum non solo in ragione di una loro profonda analogia semantica, ma anche e soprattutto attraverso la loro identità filosofica, che trae le similitudini - estese o sintetiche dal linguaggio della prosa filosofica o religiosa. In questa categoria rientrano le comparazioni della luce, quelle metafisiche, i paragoni mitologici, le compa­ razioni con oggetti fisici e astratti, per le quali è necessaria una connessione intellettuale anziché un'analogia emozionale.137 In queste transumptiones, quando Dante «sumit ab alio», e il campo 'altro' da cui trae imm agini è il cam­ po di battaglia, la metafora bellica possiede una sua funzionalità concettuale le cui radici sono largamente riscontrabili nell'immaginario scritturale e nella sua esegesi: in particolare, è nella concretizzazione degli astratti attinenti alla sfera verbale, e nella rappresentazione attraverso le metafore belliche dei termini relativi alla precisione delle parole, alle difficoltà dell'espressione, alla fatica necessaria a esprimere o cogliere il senso di un concetto complesso, che la me­ tafora bellica trova il suo più acuto compimento di carattere semantico. Armarsi, aguzzare, colpire, trapassare: queste le azioni caratteristiche della guerra medievale, le cui metafore non comprendono le analogie naturalistiche (la tempesta, il fuoco, il turbine, il vortice) caratteristiche delle Stahlgewittem moderne, le cui armi bruciano, distruggono, strappano alla vita. Le metafore ver­ bali che Dante trae dal campo di battaglia riguardano per lo più l'uso e gli effetti delle armi da taglio, i colpi che esse impartiscono, e le ferite che causano. In al­ cuni casi esse sono combinate col campo del senso e dell'espressione verbale, e sono proprio questi i casi in cui rivelano la loro profonda ascendenza filosofica e letteraria. Metafore balistiche sono utilizzate nella Commedia per descrivere le parole e i discorsi di Dante personaggio , per delineare l'acutezza di un concetto,

136 F. BoGNINI, Per 'Purg'., XXXIIL I-JI: Dante e Giovanni di Boemia, «ltalianistica>>, XXXVTI , 2008, pp. n-48, a p. 26. 137

LEWIS, Dante's similes cit. ,

p. 72. -

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per rappresentame talvolta l'impenetrabilità, per metaforizzare le difficoltà della creazione di senso e raffigurare la battaglia con le parole che precedono l' espres­ sione poetica. Questa traslazione si ritrova anche nelle Artes dictaminis medieva­ li, in cui talvolta l'ammaestramento retorico è paragonato a quello militare, e la fase della creazione di un testo può essere definita 'battaglia compositiva'.'38 In un caso, dopo aver riconosciuto che il significato di un passo è duro a intendersi, e in qualche modo ostile, e che il lettore è osteggiato nella ricerca e nella comprensione dei sensi nascosti e inchiavardati sotto lo scudo del senso letterale, Dante lo invita con un appello ad armarsi e colpire: «Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero l ché 'l velo è ora ben tanto sottile, l certo che 'l trapassar dentro è leggero» (Purg., VIII 19-21); '39 nella lingua delle origini «aguzzare», qui detto per metafora degli occhi, è usato in senso proprio con riferimento alle armi, e ha il valore di 'rendere acuta la punta', 'appuntire', 'affilare', 'preparare le armi'.140 'Aguzzare la vista' è un traslato non molto co­ mune nella lingua delle origini e del Trecento, ed è proprio in Dante (poi ri­ preso da Boccaccio e da altri) 141 uno dei primi usi dell'aggettivo (o del verbo 'aguzzare') per denotare l'acutezza degli occhi o della vista. Questa associazio­ ne che, per la forza linguistica della Commedia, appare a noi posteri scontata e lessicalizzata, riveste invece una valenza metaforica alla fonte: è infatti rara, nella prima metà del Trecento, l'associazione tra l'aggettivo 'acuto' e la vista, mentre più comune è l'accordo con le armi.142

'l8 Si veda ad esempio ALBERICUS CASINENSIS, Flores rhetorici, I, a cura di D.M. lnguanez e H.M. Willard, Montecassino, s.e. [Roma, Sansanini] 1938 ( 14), p. 33: «Hac­ tenus verborum proludio, auditores nostros exercuimus, post proludium ad pugnam compositionum fiat transitus». 'l9 Questo passo è variamente interpretato nei commenti e nell'esegesi; mi attengo all'interpre­ tazione di FoRTI, Magnanimitade cit., p. 87 sgg. (cui rinvio per la discussione e la bibliografia pre­ gressa): «aguzza lo sguardo per cogliere il significato profondo della scena misteriosa, rinvia a un al­ tro senso oltre il velo leggero dei visibilia che lo disegnano».

L!O Per esempio A. SIMINTENDI, Metamorfosi d'Ovidio volgari:aate (1333), XV, in Cinque altri li­ bri delle Metamorfosi d'Ovidio volgarizzate da ser Arrigo Simintendi da Prato, a cura di C. Basi e

C. Guasti, Prato, per Ranieri Guasti 1848, n, p. 244 : «Voi vedete che le scellerate spade s'aguzano contro a me>>; G. BoccACCIO, Rime, pt. I, 30, 5 (nell'ed. a cura di V. Branca, Milano, Mondadori 1992, p. 31), usa metaforicamente il verbo in senso balistico-erotico: «Costei, ch'in disertarmi l aguzza le saette che passarmi l deono il cor». L4l

G. BoccACCIO, Comedia delle ninfe fiorentine, XLn 3 (a cura di A.E. Quaglia, in G.B., Tutte n, Milano, Mondadori 1964, pp. 678-835, a p. 824): «aguzzando gli occhi, con quelli s'inge­ gnava di penetrare il chiaro lume>>; FAZIO DEGLI UBERTI, Dittamondo, IV 6 52 (in Il Dittamondo e le Rime, a cura di G. Corsi, Bari, Laterza 1952, I, p. 271): «"L'occhio aguzza", Solino disse, "a questo"».

le opere,

142 Alcuni esempi: REsTORO o'AREzzo, lA Composizione del mondo colle sue casciani, n 6, pt. 3, cap. 4 (a cura di A. Morino, Firenze, Accademia della Crusca 1976, p. 157): «l'armi acute e tallienti e pognenti>>; un esempio interessante è in una redazione del Fiore di rettorica che definisce con la com­ parazione del coltello in mano d'un pazzo l'oratore privo di senno e senso di giustizia: «com'uno col-

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Dante usa altre due volte il verbo «aguzzare» in senso traslato, sempre per gli occhi, intendendo la vista a volte come organo di senso (In/ , XV 20: «e sì ver' noi aguzzavan le ciglia>>, e In/ , XXIX 134: «aguzza ver' me l'occhio») , a volte come oculi intellectus143 (Purg., XVlli 16-18: «"Drizza", disse, "ver' me l'agute luci l de lo 'ntelletto, e fieri manifesto l l'error de' ciechi che si fanno duci"») .'44 «Agute», in generale usato per armi a punta e in senso metaforico 'sottili', 'perspicaci', sono qui definiti gli occhi intellettuali, la > (immagine cui non è estraneo il tema elegiaco della militia amoris) .'47 Le ' armi ' intellettuali degli occhi acuti 'affilati' possono dunque, coerente­ mente col campo metaforico scelto, quello della battaglia intellettuale tratto pro­ babilmente da Bonaventura,Ljl! >, LIX, 1984, pp. 89-106. r69 Sulle valenze metaforiche di arco, corda, nervi, ancora utile A. PtzARD, Dante sous la pluie de /eu (Enfer, chant XV), Paris, Vrin 1950, pp. 206 sgg., soprattutto per i «nervi» che nella Commedia designano metaforicamente non quelli fisici ma le corde dell'anima, comparate implicitamente a quelle dell'arco (p. 210); si veda anche P. BoYDE, L'uomo nel cosmo. Filosofia della natura e poesia in Dante, trad. it., Bologna, TI Mulino 1984, pp. 351-352. -

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l'intenzione e il desiderio, la rapidità dell 'ascensio paradisiaca (Par. , II 230 2.4) ,17 la creazione (Par. , XXIX 22-30) , le parole che escono di bocca e l'esat­ tezza del discorso. Anche in questi casi, a diversi impieghi della metafora del­ l' arco corrispondono differenti scaturigini. L'arco rappresenta il desiderio, e in particolare il desiderio di giustizia, nelle parole di Sordello (Purg. , VI 130-131: «Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca l per non venir sanza consiglio a l'arco», in cui 'venire a l'arco' va in­ teso alla lettera come il tirare la cocca sulla corda) e nel caso di Marco Lom­ bardo, che molto amò «quel valore [ . . . ] al quale ha or ciascun disteso l'arco» (Purg., XVI 47-48, dove «disteso», con prefisso negativo, vale 'allentato', per­ ché nessuno 'tende' alla giustizia) . La stessa metafora si presta a far parte della complessa rappresentazione dell'ordine dell'universo e del giusto equilibrio che lo anima, affidato alle parole di Beatrice all'inizio del Paradiso. In Par. , I n8-120 è rappresentato con la metafora dell'arco l'istinto che indirizza ogni creatura - razionale o irrazionale - al proprio fine di felicità (.

In/,

171 Conv. , IV 22 2-3: >, XXV, 1973, pp. 461-490.

177 TOMMASO n'AQUINO, Summa Theologiae, II"-IIae, q. XLIV, a. 2 e a. 3: >.

178 BENVENUTO, Comentum cit., V, p. 94: «Et hic nota quod metaphora est propriissima ad pro­ positum: sicut enim multi sagittatores tendunt ad unum signum, et tamen pauci attingunt illud; ita omnes homines tendunt ad summum bonum, sed pauci consequuntur, quia falluntur diversis viis». 179 Lucano è il prototipo della tragedia secondo la divisione dei generi letterari medievale: ONo. RIO DI AuruN, De animae exsilio et patria, II, in PL, CLXXII , col. 1243, definisce le tragedie come poemi che trattano della guerra, prendendo a esempio Lucano, e le commedie come opere che can­ tano le nozze, prendendo a esempio Terenzio. -

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per il paragone con Lucano è sì metamorfico, ma riguarda un racconto belli ­ co, quello dei due soldati di Catone, Sabello e Nasidio, che morirono morsi da serpenti dopo una atroce trasformazione (dr. Phars. , IX 761-804) . La poesia è dunque da considerare come un atto agonistico: la disfida in ar­ mi è metafora confacente alla rappresentazione della poesia e del susseguirsi delle sue scuole, dal momento che l'epico Omero è descritto armato («colui con quella spada in mano», In/ , IV 86), che Arnaut, con combattiva metafora verbale, > che «s'arma>> (dei concetti utili ad argomentare la sua tesi) e «non parla>> (Par. , XXIV 46) fino a quando non è proposta la questione da discutere: così egli si «armava [. . . ] d'ogne ragione» (ivi, 49) dinanzi all'aposto­ lo. Tutte queste metafore militari reiterano e portano a compimento quelle re­ lative alle «armi» e alle «frecce» del dire, mal maneggiate finora da una esitan­ te recluta della fede, e ora finalmente possedute da un «buon Cristiano» (ivi, 52) . L'immagine agonistica, posta qui all'inizio dell'esame sulla fede, prean­ nuncia a sua volta quella degli evangelisti che «pugnar per accender la fede» usando le parole del Vangelo come «scudo e lance» (Par. , XXIX 113-114): me­ tafora che, alludendo alle armi di San Paolo, ricorda ancora l' introitus nella «guerra del cammino», e porta a compimento, attraverso il traslato delle armi che Dante abbraccerà, una delle più distese e strutturanti tipologie del poema sacro.

'82 C.S. LEWIS, Imagery in the fast eleven cantos o/Dante's 'Comedy', in In., Studies in Medieval and Renaissance literature cit., pp. 78-93, a p. 78: «l use the word hnagery to cover Metaphor, even

those metaphors wich lurk in a single word and of which neither poet nor reader need always be explicitly conscious, and even some which may suspected of being, in the philological sense, nearly 'dead'». '8l A. BATIISTINI, Fede e belleZZil. Il tessuto metaforico del canto XXN del 'Paradiso', >, LIV, 1958, pp. 168-172: in particolare,

Auner mostra come la simbologia passi dalla cultura greca a quella cristiana, sofferrnandosi sulla pianta come emblema mariano. Purtroppo mi è stato impossibile consultare il saggio di K. AF LINNÉ, Disputatio botanico-medica inauguralis, qua ficus, eiusque historia naturalis & medica exhibetur [Upsa­ liae, s.e. 1744] , quello di }. LEITE DE VASCONCELLOS, A Figa. Estudo de etnografia comparativa [. .. ] , Porto, Araujo & Sobrinho Suc.res 1925 e quello di B.-L . Dov, The Symbolism o/ the Fig and Primor­ dio! Sin in ]ewish Folk/ore and Legend, «Yeda-Arn. Joumal of the lsrad Folklore-Society», XXI , 1982, 49-50, pp. 71-74· 5 G. MURESU, Tra gli adepti di Sodoma, in ID., Tra gli adepti di Sodoma. Saggi di semantica dan­ tesca (terza serie), Roma, Bulzoni 2002, p. 44· Ovviamente Muresu raccoglie anche le considerazioni di AHERN, Troping the Fig cit. -

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w;

Cfr. Deut. VIII 8; I Reg. V 5; III Reg. IV 25; I Mac. XIV 12; Mich. IV 4; Zach . ill Luc. VI 44; ecc. La cosa, naturalmente, va interpretata senza eccessiva rigidità; la

Bibbia non esclude affatto che alcuni alberi da fico possano produrre frutti non com­ mestibili (cfr. , per esempio, Ier. , XXIV I sgg. ) ; e lo stesso vale per i prodotti della vite, cui nella Sacra Scrittura i fichi sono spessissimo accomunati. Un'eventualità, questa, alla quale fa esplicito riferimento anche Dante: «ond'elli avvien ch'un medesimo le­ gno, l secondo specie, meglio e peggio frutta>> (Par. XIII 70-71); ed è perciò che Bru­ netto, a scanso di equivoco, qualifica come dolce il fico di cui sta parlando. 6

Questa di Muresu, si diceva, è una delle annotazioni più analitiche e di per sé è sufficiente per cogliere il senso complessivo del passo. In maniera complementare, cercherò di aggiungere qualche altro tassello intorno alla questione. In primo luogo occorre iniziare dalla scelta della metafora vegetale. La le­ gittimazione giungeva a Dante dalla metafora dei passi giovannei «Ego sum vitis vera: et Pater meus agricola est>> (15, 1) e «Dicit ei Jesus: Mulier, quid plo­ ras? quem quaeris? IDa existimans quia hortulanus esset, dicit ei: Domine, si tu sustulisti eum, dicito mihi ubi posuisti eum, et ego eum tollam» (20, 15), metafora che, naturalmente, viene anche volgarizzata: Unde Dio va per lo paradiso, cioè fa del paradiso, cioè di questo mondo, lo quale è un verçieri et un giardino di Dio, et tutte le creature son piante di Dio ad fructifi­ care. Et fa in questo mondo come l' ortulano in del giardino, però che non vuole avere l' ortulano, se non le piante che fanno fructo in del giardino, et le rie ne cava et gitta fuora.?

E che Dante avesse contezza della metafora in questione è confermato dal noto luogo di Par. , XXVI 64-66: «Le fronde onde s'infronda tutto l'orto l de l'ortolano etterno, am' io cotanto l quanto da lui a lor di bene è porto». Prima di ogni indagine analitica, occorre premettere che Dante impiega 'sorbo' e 'fico' per metonimia: sulle piante, cioè, vengono trasferiti gli aggettivi generalmente relativi ai frutti (visto che 'sorbo' era la denominazione esatta 6 MURESU, Tra gli adepti di Sodoma cit., p. 44· 7 GIORDANO DA PisA, Sul Terzo Capitolo del 'Genesi', XV 12-13 (a cura di C. Marchioni, prefa­ zione di C. Delcomo, Firenze, Olschki 1992, pp. 12I-I22) . Si veda L. BATIAGLIA Ricci, Dall"Antico Testamento' alla 'Commedia'. Indagine su lessico e stile (1971), in EAD., Dante e la tradizione letteraria medievale. Una proposta per la 'Commedia', Pisa, Giardini 1983, pp. 208-209, dove la studiosa rinvia, oltre che al primo passo giovanneo, anche a Ecc! 2.4, 40-42: >.3' Naturalmente, nel contesto dei versi danteschi, il significato complessivo del fico va letto in evidente rapporto antitetico con il sorbo: in tale opposizio­ ne Simonetta Di Santo individua > (cfr. FAZIO DEGLI UBERTI, O pellegrina Italia, 43-45, in Poesie italiane inedite di dugenta autori dall'origine della lingua in/ino al secolo dedmosettimo, raccolte e illustrate da F. Trucchi, 4 voll., Prato, Guasti 1846-1847, TI, p. 83) e quello di Petrarca «Gentil pianta in arido ter­ reno l Par si disconvegna>> (R. v./, LXIV IO). 37 Adagio diffuso in àmbito volgare tra i Proverbio quae dicuntur super natura /eminarum, 678: (in Poeti del Duecento cit., I, p. 551) e GUITTONE n'AREz­ zo, Sonetti ascetid e morali, CLV, 10, in ID., Le rime, a cura di F. Egidi, Bari, Laterza 1940, p. 223: : cfr. C. MARGUERON, Recherches sur Guittone d'Arezzo. Sa vie, -

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simile a quello di Le 6, 44: «Neque enim de spinis colligunt ficus, neque de rubo vindemiant uvam»,38 di Gc 3, 12: «Nunquid potest, fratres mei, ficus uvas facere, aut vitis ficus? Sic neque salsa dulcem potest facere aquam», che in una forma simile giunge a Seneca (Epist., XI 87: P9 e che conosce una versione in vol­ gare: Nobile albore fa nobile frutto, e nobile fera nobile operazione, e cosa nobile cia­ scuna in ispecie sua. Come dunque orno, lo quale è sopra tutti, non sovra tutti sua segue nobilitate, e più quale tra essi nobile è più? Fico lappule fare ontoso fora e di­ snaturato in tutto e laido lui, ma più a orno far vizio, e più a' migliori. Chi menerà uve, se non la vite? e chi bon, se non boni? 40

L'ascendente è tra i più calzanti, soprattutto per la presenza del fico, an­ che se andrebbe rilevato che Dante non sta parlando di fichi che nascono dai sorbi, ma tra i sorbi. Che l'immagine non sia completamente sovrapponibile è stato notato da Singleton: «Dante's metaphor, to be sure, is different; it is un­ fitting that the sweet fig even should bear its fruit among the sour sorbs».41 son époque sa culture, Paris, Presses Universitaires de France 1966, p. 337 e N. DEL SAL, Guittone (e i guittoniani) nella 'Commedia', «Studi danteschi>>, LXI, 1989, p. 142 e nota. A livello popolare Fabio

Carboni ricorda il proverbio «Uno spino non fa siepe, né una spiga manna>> (SIMONE DE' PRODEN· ZANI, Rime, a cura di F. Carboni, 2 voll., Manziana, Vecchiarelli 2003, n, p. 3II). J8 A questa fonte rinvia A. PAGLIARO, Ulisse. Ricerche semantiche sulla 'Divina Commedia', 2 voll., Messina-Firenze, D'Anna 1966, n, p. 641 (aggiungendo: «ma certo Dante, seppure l'ha avuta presente, l'ha atteggiata in modo conseguente al proprio intendimento», ibid. e si veda ID., Commen­ to incompiuto all"Inferno' di Dante. Canti I-XXVI, a cura di G. Lombardo, presentazione di A. Val­ lone, Roma Herder Editrice e Libreria 1999, pp. 302-303) : dr. CAROZZA, The Moti/ eit., p. 64. Sull'e­ spressione dr. R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche. zo. ooo citazioni dall'antichità al Rinascimento nell'originale e in traduzione, con commento storico letterario filologico, Milano, Riz­ zoli 2003'5, II?, pp. 53-54. 39 Si veda la voce relativa al fico curata da C.H. HuNZINGER, in Grande lessico del Nuovo Te­ stamento, fondato da G. Kittel, continuato da G. Friedrich (trad. it.) , r6 voll., Brescia, Paideia !963-1992, xn, 1979, col. r4{8, dove si ricorda il modo di dire anche in PLUTARCO, De tranquillitate animi, 13 (PLUTARQUE, CEuvres morales, tome Vll , première partie, Traités de morale (27-36), texte établi et traduit par J. Dumortier avec la collaboration de J. Defradas, Paris, Les Belles Lettres 1975, p. II7: . 40 GurTTONE D'AREzzo, Lettere, XIll 17, edizione critica a cura di C. Margueron, Bologna, Com­ missione per i testi di lingua 1990, p. 143. Francesco Torraca ha ricordato il passo guittoniano per i versi danteschi in questione (D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, nuovamente commentata da F.T., seconda edizione riveduta e corretta, Roma-Milano, Albrighi, Segati & C. 1908, p. m, da cui Sapegno in ID., La Divina Commedia, a cura di N.S., Inferno, Firenze, La Nuova Italia 1970', p. 171). "' D. ALIGHIERI, The Divine Comedy, translated, with a Commentary by Ch.S. SINGLETON, 112 Inferno, Commentary, Princeton, Princeton University Press 1999, p. 264. -

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Dante, infatti, sta parlando di convenienza ('è opportuno che il fico non frutti tra gli aspri sorbi'), mentre l'antecedente evangelico ricorda piuttosto un ady­ naton. 42 Ed è pur condivisibile quanto propone Simonetta Di Santo: «nella stragrande maggioranza dei casi le griglie per la costituzione di tali coppie an­ tinominiche sono state fornite da tradizionali metafore bibliche opportuna­ mente reinterpretate e rivisitate da Dante».43 Un passo del Cantico dei Cantici, sia pure privo della metafora del fico, a suo modo può ricordare una situazione simile a quella descritta da Dante: «Ego flos campi et lilium convallium. l Sicut lilium inter spinas, sic amica mea inter filias l Sicut malus inter ligna silvarum, sic dilectus meus inter filios. l Sub umbra illius, quem desideraveram, sedi, l et /ructus eius dulcis gutturi meo» (2, 1-3; corsivo mio) ; 44 è poi interessante ricordare che al versetto 13 si legge (Id., I 132-136: per altri casi nella letteratura greca ed in quella latina si può consultare l'annotazione in Theocritus, edited witb a translation and cornrnentary by A.S.F. Gow, 2 voli., Cambridge, University Press 1965, II, p. 28). Si veda anche I proverbi greci. Le raccolte di Zenobio e Diogeniano, a cura di E. Lelli , Soveria Mannelli, Rubbettino 2006, p. 359: «Prima il mare produrrà la vite ... ; per cose impossibili>>. 43 Nel giardino di Dante cit., pp. 35-36. Su queste contrapposizioni vegetali nella Commedia si veda ivi, pp. 28-34. 44 Cfr. P.C. MAYO, The Crusaders under the Palm. Allegorica/ Plants and Cosmic Kingship in the 'Liber Flon'dus', )», e GIORDANO DA PisA, Prediche sul secondo capitolo del 'Genesi', VII 21, a cura di S. Grat­ tarola, premessa di C. Delcorno, Roma, Istituto Storico Domenicano 1999, p. 81: >/7 la morte eterna: «Vide­ tur esse leve et dulce, amare honores mundi, sequi propriam voluntatem, in voluptatibus et deliciis vitam ducere; sed fructus amarus est. lnter hos fructus discernit Apostulus, ita dicens: Stipendium enim peccati mors, gratia autem Dei vita aeterna (Rom. VI) . Amarus fructus mors aetema, dulcis fructus vita aeter­ na>>,68 oppure ancora l'imperfezione degli esseri: «Nec advertis ex his admo­ neri te, homo, ne immaturos fructus tuos dies supremus inveniat, aut plenae tempus aetatis opera imparata dedeceant. Acerbus enim fructus amarior esse consuevit; nec potest dulce esse, nisi quod ad maturitatem perfectionis adole­ verit».69 Giordano da Pisa si sofferma su quest'ultimo significato: Venezia, Aldo Manuzio 1499, p. 295: «& il tenuissimo Phylire uitici carpini, & &axini, & la hasta di Romulo floribonda, & molti mespili, & asperi sorbi>>. Una sorba aspra è protagonista dell'apologo XXXIX dell'Alberti (dr. L.B. ALBERTI, Apologhi, a cura di M. Ciccuto, Milano, Rizzoli 1989, p. 82). Caso differente per L. PuLCI, Morgante, XXV 13 6, a cura di F. Ageno, Milano-Napoli, Ric­ ciardi 1955, p. 837: «perché e' vedeva ancor la sorba acerba>>, dove 'sorba' indica invece un colpo as­ sestato. 64 n passo biblico è ricordato da D. CONSOLI, acerbo, in Enciclopedia dantesca, 6 voli., Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1970-1978 [ ED] , I, 1970, pp. 35-36. 65 Viene menzionato da J.L. FLANDRIN, Condiment� cucina e dietetica tra XIV e XVI secolo, in Storia dell'alimentazione, a cura di J.L. Flandrin e M. Montanari, Roma-Bari, Laterza 1997, p. 389. 66 In MoNTE ANDREA DA FIORENZA, Le rime, edizione critica a cura di F.F. Minetti, Firenze, Presso l'Accademia della Crusca 1979, p. 175. 67 BRUNO DI CoLONIA, Expositio in Psalmos, CIII , in PL, CLIT, col. n81. 68 AELREDUS, Sermones de tempore et de Sanctis, XIX, in PL, CXCV, col. 321. 69 AMBROGIO, Hexameron, III xn, in PL, XIV, col. 178. =

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Ego sum vitis vera, et voi palmites. Omnem palmitem in me non /erentem /ructum tolle! eum Pater, e qui /ert /ructum purgabit eum. Questa parola è del Vangelio, il quale si legge a onore di questo benedetto Apostolo, messer Santo Barnaba, ed è parola di Cristo a' suoi Apostoli; e dice: Io sono la vite, e voi siete i tralci, ogni tralce che farà in me frutto, il mio Padre, il quale è cultivatore di questa vigna, sì lo purgherà, ed avranne cura acciocché fac­ cia più frutto. E mostrasi in queste parole, a commendazione degli Apostoli e di questo prezioso messere Santo Barnaba, due cose: L'una, la condizione sua, e degli altri Apostoli in ciò che gli assimiglia al tralcio della vite. La seconda, il frutto della dignitade in ciò che sono procurati, e purgati da Dio. Prima mostra la loro condi­ zione in ciò che gli assimiglia a' tramiti della vite; e non solamente disse questa pa­ rola Cristo pur per gli Apostoli, ma per tutti i buoni uomini, per tutti gli amici di Dio; ché tutti siamo tramiti, e ramora d'una vite, cioè della vigna della Santa Eccle­ sia, tutti i Cristiani. Ma di migliori tramiti, e di più fruttuosi, ch'abbia avuto questa vite, questa vigna, sì sono stati i Santi; ma i più perfetti tramiti furo i Santi Apostoli, de' quali l'uno è Santo Barnaba, la cui festa si fa oggi. Noi troviamo che sono arbori di tre maniere; arbori sono che mai non fanno frutto nullo; altri arbori sono, i quali sono peggiori, che non solamente non fanno frutto, ma fanno frutto reo e velenoso; ed altri arbori sono che il fanno buono; ma questi si dividono in due parti, peroc­ ché sono di quelli che il fanno acerbo, non vengono a perfezione ed altri che il me­ nano a maturitade. [. .. ] La terza generazione d'arbori sono, i quali fanno frutto, che sarebbe buono, ma è acerbo, perché non viene ad effetto di maturitade. Questi ar­ bori sono quelle persone che fanno alcuni beni, ma stanno in peccato mortale. Ver­ rà l'usuriere molte volte, ed entrerà in Santo, ed udirà l'ufficio: buono è. Così altresì alcuni uomini carnali o micidiali ben faranno talora limisina, o diranno paternostri, o faranno alcuni altri beni. Questi beni in quanto e' sono beni, pur son beni; ma cotali non vegnono a maturitade; sono frutti acerbi; e però Iddio non può di questi frutti pigliare. Non ne può mangiare, ché non gli sanno buoni in neuno modo. On­ de se la persona fosse pur in uno solo peccato mortale, tutti i beni che facesse, sa­ rebbero come frutti acerbi, non piacerebber mai a Dio; ché non vagliano neente dacché non vengono a compimento di maturitade. La quarta, ed ultima generazio­ ne d'arbori, sono gli arbori buoni, e che fanno frutto soave e dolce. Questi sono i buoni uomini, le sante persone, gli amici di Dio, gli uomini perfetti, siccome fu questo Messere Santo Barnaba, il quale fece a Dio molto frutto e grande, e convertì molta gente pagana a Dio.7°

Lo stesso Dante, nel Convivio (IV 27 3), pone in relazione la perfezione del­ l'uomo con la dolcezza del frutto: «Onde, sì come all'adolescenza dato è, com'è 7o GIORDANO DA PisA, Prediche cit., I, pp. 13-14 e 18-19 (predica TI). Su questo tema dr. CARoz. ZA, The Moti/ cit., pp. 57-70. Per l'aggettivo 'acerbo' in Dante si constÙtino F. MAGGINI, Parole di Dante: acerbo, , I, 1939, pp. ro-12 e CoNSOLI, acerbo cit. -

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detto di sopra, quello per che a perfezione e a maturitade venire possa, così alla gioventute è data la perfezione, e [alla senettute] la maturitade, acciò che la dol­ cezza del suo frutto e a sé e ad altrui sia proficabile>>.71 Nella stessa opera, viene ripresa la teoria del fruttare in rapporto alla dolcezza (IV 21 14): .7' Per riprendere il discorso finora intrapreso e completare le osservazioni sui 'lazzi sorbi', possiamo impiegare le conclusioni di Davy A. Carozza: How appropriate it is, then, for Dante, to reach a bitterly ironie conclusion that the inability to reach perfection in the "mal orto" is logica! and reasonable, "ché tra li lazzi sorbi l si disconvien fruttar il dolce fico" ("because among the bitter sorbs l it is not fit for the sweet fig to fruit" , In/ 15.65-66) . Note the contrast between the adjec­ tives lazzi and dolce. The first adjective implies a harsh flavor stemming from unripe­ ness, a flavor that makes the lips curl and mouth cry. This is in direct contrast with the sweet fig that makes the mouth water.73

Le parole spese da Carozza sono preziose perché conducono su una stra­ da proficua, che può meglio aiutare a capire la scelta dei sorbi immaturi come metafora degli inurbati e che permette di leggere in modo più chiaro gli altri versi. Si può infatti aggiungere in primo luogo una relazione tra l'ultima defi­ nizione sprezzante a proposito della gente fiorentina, ossia superba, e la man­ cata maturazione, e quindi l'imperfezione,74 come negli evidenti casi di Inf , 7' D. ALIGHIERI, Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, 3 voll., Firenze, Le Lettere I995, Il, pp. 434-435· 1• lvi, p. 395· Dal momento che la profezia sul destino di Dante viene pronunciata da Brunetto, si può ipotizzare che Dante intendesse riecheggiare alcuni versi del Tesoretto, là dove il maestro scri­ ve: «che Fiorenza l froria, e fece frutto l sì ch'eli' era del tutto l la donna di Toscana» (B. LATINI, Il Tesoretto, II4-117, a cura di M. Occuto, Milano, Rizzoli I985, p. I34): cfr. F. CoLAGROSSO, La predi­ zione di Brunetto Latini, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato I896 (estr. dalla «Nuova Antolo­ gia», s. IV, LXVI, fase. I, I896), p. 7· Va ricordato che Dante impiega la metafora vegetale dell'albero che fruttifica per indicare chi si dedica al comune interesse: cfr. Monarchia, I I 2-3: «Longe nanque ab offitio se esse non dubitet qui, publicis documentis imbutus, ad rem publicam aliquid afferre non curat; non enim est lignum, quod secus decursus aquarum fructifìcat in tempore suo, sed potius per­ niciosa vorago semper ingurgitans et nunquam ingurgitata refundens. Hec igitur sepe mecum reco­ gitans, ne de infossi talenti culpa quandoque redarguar, publice utilitari non modo turgescere, qui­ nymo fructifìcare desidero, et intemptatas ab aliis ostendere veritates». Sulle metafore 'frutto' e 'fruttare' si rimanda a E. FENZI, 'Sollazzo' e 'leggiadria'. Un'interpretazione della canzone dantesca 'Poscia ch'Amor', «Studi danteschi», LXIII , I99I, pp. 233-237. 7l CAROZZA, The Moti/ cit., p. 64. 74 lvi, p. 62, a proposito di Capaneo, riporta il passo di In/, XIV 47-48: «e giace dispettoso e torto, l sì che la pioggia non par che 'l marturi?», ma con la variante «maturi», che Petrocchi respinge.

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VI 109-no: «Tutto che questa gente maladetta l in vera perfezion già mai non vada>> e di Par. XIX 46-48: «E ciò fa certo che 'l primo superbo, l che fu la somma d'ogne creatura, l per non aspettar lume, cadde acerbo» 75 (a propo­ sito di Lucifero).76 Sempre sullo stesso argomento si possono portare a esem­ pio i primi sei versi del sonetto di Fazio degli Uberti relativo alla superbia, dove il peccato si definisce acerbo (con un significato sfumato dell'aggettivo) : Io so' la mala pianta de superba che ingenerai d' onne vizio el seme; e quel cotal non ama Dio né teme, che se notrica di questa mia erba. lo sono ingrata, arrogante ed acerba, per cui el mondo tutto piagne e geme. 77

Anche altrove la superbia viene legata all'amarezza: «et pro patema dul­ cedine quanta superbiae amaritudinem recepisset»/8 «utque episcopos a cap­ tivitate liberaret, quantam suavitate rogasset et jussisset, quantamque super­ biae amaritudinem recepisset»,79 «Quale gaudium potest habere anima quae iracundiae furore succenditur, cupiditatis nigredine obscuratur, superbiae amarissimo felle repletur, invidiae veneno percutitur, luxuriae sordibus inqui­ natur?».80 Si potrebbe quindi concludere che i fiorentini inurbati siano de­ scritti, fuor di metafora, come uomini destinati all'imperfezione. Ma la scelta del lazzo sorbo sembra non essere casuale per una seconda ragione. TI frutto, con la sua durezza e la sua amarezza, non altro è che la tra-

Cfr. CAROZZA, The Moti/ cit., p. 6o e nota 9 a p. 69 dove menziona un passo della Summa contra Gentiles di Tornrnaso d'Aquino. Si noti l'associazione dei due aggettivi 'perfetto' e 'maturo' in Par., XXII 64-6T «lvi è perfetta, matura e intera l ciascuna disi:anza; in quella sola l è ogne parte là ove sernpr' era, l perché non è in loco e non s'impala>>. 75 CAROZZA, The Motz/ cit., pp. 59-61. 76 Tuttavia l'aggettivo 'acerbo' non contiene lo stesso significato nel caso di Vannni Fucci e in quello di Capaneo, dove vale per 'aspro nell'animo e inaccessibile, duro'. Le considerazioni di CA. ROZZA, The Moti/ cit., pp. 6o-61 vanno riviste alla luce di T. LEUKER, L'acerbità di Vanni Fucci. Sul contrappasso del Caco dantesco, , IV, 2003, pp. 401-405. n FAZIO DEGLI UBERTI, Sonetti dei sette peccati mortali, in ID., Il Dittamondo e le rime, a cura di G. Corsi, 2 voli., Bari, Laterza 1952, n, p. 59 · Da vedere J. REIDEMEISTER, Superbia und Narzi/5: Per­ soni/ikation und Allegorie in Miniaturen mittelalterlicher Handschri/ten, Turhout, Brepols 2006, p. 188, dove tra le Concordantiae caritatis, la pianta che corrisponde alla superbia è il cedro. Sulla superbia un punto di partenza possono essere le pagine di C. CASAGRANDE e S. VEccmo, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, con un saggio di J. Baschet, Torino, Einaudi 2ooo, pp. 3-35 (la superbia è indicata metaforicarnente come radice di ogni male). 7B BRUNO MAGDEBURGENSIS, De bello saxonico, 68, in PL, CXLVll , col. 531. 79 GREGORIO MAGNO, Concilium romanum, m, in PL, CXLvm , col. 796. ao AGOSTINO, Sermones ad populum, CCXXX , in PL, XXXIX, col. 2169. -

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sposizione metaforica vegetale del concetto poco prima espresso a proposito degli stessi fiorentini inurbati: «Ma quello ingrato popolo maligno l che disèe­ se di Fiesole ab antico, l e tiene ancor del monte e del macigno» (vv. 61-63). In primo luogo si ricordi che i sorbi «amano luoghi umidi e prossimani a' freddi, e dilettansi o nelle montagne o in luoghi prossimani a' monti>>, come scrive Pietro de' Crescenzi.8' Di più: questa allusione ai discendenti di Fiesole, come già chiosavano gli antichi commentatori, esprime selvatichezza e durezza. In particolare, nel «macigno» proporrei di leggere un attacco legittimato dai tan­ ti blasoni che circolavano intorno ai rustici e ai villani: la durities costituiva infatti una loro prerogativa: «Qui rogati non rogantur, l sed ut lapis induran­ tur»; 82 Petrarca, nel De remediis utriusque /ortunae, in particolare nel De Vil­ lico malo et superbo (II 59), scrive: «D. Villicum durum aegre fero. R. Mollem delicatumque ferres aegrius, durities rusticorum epitheton est . . . », aggiungen­ do: .83 Tornando alla superbia, di cui si parlava sopra, si veda l' incipit di un sonetto anonimo della seconda metà del Quattro­ cento Contro il villano: «Empio, crudele, di umiltà nemico».84 8' PIETRo DE' CRESCENZI, 82

Trattato, V 27 (ed. cit., II, p. n6). De natura rusticorum, 26-27, in Carmina Medii Aevi [a cura di F. Novati] , Firenze, Alla Li­

breria Dante 1883, p. 35· 8J Citato in D. MERLINI, Saggio di ricerche sulla Satira contro il villano, Reggello, FirenzeLibri 2006, pp. 2-3, nota 4· Si veda il commento ad locum in PÉTRARQUE, Les remèdes aux deux fortunes. De remediis utriusque fortune. I354-r366, Texte établi et traduit par C. Carraud, 2 voli., Grenoble, Jé­ rome Millon 2002, II, p. 525, nel quale, in modo pertinente, si ricorda il «durus arator>> di VIRGILIO, Georg., N 512. Aggiungo MARziALE, Epigr., VII 58 7-8: «Quaere aliquem Curios semper Fabiosque loquentem, l hirsutum et dura rusticitate trucem>> e, sulla scia di Virgilio, J. SANNAZARO, Elegie, II 9 29-30: «Et te (quis putet hoc?) altrix mea, durus arator l Vertet; et: Urbs, dicet, haec quoque clara fuit» (in Io. , Egloghe Elegie Odi Epigrammi, a cura di G. Castello, Milano, Carlo Signorelli 1928, p. 124). Si veda anche il proverbio riportato da MERLINI, Saggio cit., p. 171: «l contadini sono come le corna, duri e storti>>; ivi, p. 70 si legge un passo trarto dal fabliau Du Vilain qui conquist Paradis par plait, in cui un villano, incalzato da san Pietro, risponde ironicamente: . Cfr. GuiDO DA PisA, Expositiones et Glose super 'Comediam' Dantis or Commentary on Dante's 'Inferno', ed. by V. Cioffari, Albany, State University of New York Press 1974, p. 290: . Da aggiungere che lo strerto rapporto tra !"immaturità' (soprarturto spirituale) e i rustici viene evidenziato da G. ToDESCHINI, Visibilmente crudeli. Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all'età moderna, Bologna, TI Mulino 2007, pp. 22-23. 84 MERLINI, Saggio cit., p. 187. Successivamente, Aretino farà dire alla Nanna : «La superbia di -

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Oltre ad essere definiti superbi, i discendenti di Fiesole sono anche bollati come avari: a questo proposito un proverbio di ser Garzo recita: «Villano amaro l d'ogni cos'è avaro»,85 dove si noti, oltre all'avarizia, anche il riferimen­ to all'amarezza. Se si tiene conto di questa allusione ai rustici non sarà forse casuale il riferimento successivo ai vv. 95-96 del canto in questione: «però giri Fortuna la sua rota l come le piace, e 'l villan la sua marra». Proseguendo nella lettura, al v. 72, si incontra il termine becco, ovvero il caprone,86 metafora animale ribadita al v. 73, in cui si parla di «bestie fiesola­ ne». Anche per questo aspetto occorre specificare che villani e rustici molto frequentemente erano etichettati come animali: 87 Gregorio Magno li aveva apostrofati «insensata animalia».88 Infine, pure il letame, citato subito dopo al v. 75, costituiva uno dei fre­ quenti attributi dei rustici.89 Che Dante pensasse proprio ai 'villani' (pur con­ servando il termine un significato sfumato) come categoria sociale che si era impadronita del potere 90 sembrerebbe confermato dal luogo di Purg., VI una puttana avanza quella di un villano rivestito» (P. ARETINO, Ragionamento, III , in ID., Sei giornate, a cura di G. Aquilecchia, Bari, Laterza I969, p. n6) . In modo dd tutto simile il Folengo, nd Baldus (Xll 243-2.44), scrive: «Stat male nobilium sub corde superbia semper, l pessima sed culpa est villa­ nos esse superbos» (T. FOLENGO, Baldus, a cura di M. Chiesa, 2 voli., Torino, UTET 2oo6', I, p. 536 e nota ad locum con ulteriori rinvii) . Nella Sferza dei Villani, LXXIX 7-8-L:XXX 1-2, si specifica: (in MERLINI, Saggio cit., p. 2I5). 85 Si legge in F. BRAMBILLA AGENO, I 'Proverbi' di ser Garzo, «Studi petrarcheschi», n.s., I, I984, p. 34· Sull'avarizia dei villani cfr. MERLrNr, Saggio cit., pp. 86-87. Si tenga presente, in più, che in }oHN OF SALISBURY's, Entheticus Maior and Minor, ed. by J. van Laarhoven, 3 voli., Leiden, Brill I987, il v. I557 (1, p. 207) «Nam bona fama perit, si rusticus est ve! avarus» è chiosato con: «The two concepts are rightly combined>> (II, p. 396). Quanto all'invidia, infine, nell'Alfabeto contro i villani, ai vv 3-4 si dichiara: «Bontà non regna in lui, né cortesia l sol rabbia, invidia, odio, e rubbaria» (in MERLINI, Saggio cit., p. 225); in un componimento omonimo, sempre ai vv 3-4, si ribadisce il concetto: «Bontà non regna in !or, né cortesia l ma sol malignità, invidia e gdosia>> (ivi, p. 227) . 86 Cfr. A. Dr PRETA, «Ma !ungi /ia dal becco l'erba» Onf xv; 72), >. Rispuose adunque: «I' son frate Alberigo; i' son quel da le frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo».

Siamo in presenza di versi piuttosto celebri - spesso eclissati dagli ende­ casillabi dedicati al conte Ugolino -, sui quali gli esegeti danteschi, illuminati dai più antichi e autorevoli commentatori, sembrano essere tutti concordi. Frate Alberigo dei Manfredi,92 in discordia con i parenti Manfredo e Alber­ ghetto dei Manfredi, fingendo una riappacificazione, invitò questi a pranzo, per poi trucidarli al segnale convenuto coi sicari, che consisteva nell'ordinare ai servitori di portare la frutta a tavola. Pur non avendo riscontrato altri casi antecedenti, la metafora 'fico', conia­ ta adeguatamente per il ricordo dell 'episodio conviviale e correlata a 'dattero', sembra essere impiegata in un contesto (peraltro inserito in un canto dove 9' Si veda A. BuFANO, villano, in ED, V, 1976, pp. 1018-1019, dove si richiama il passo di Par., XVI 52-57: «Oh quanto fora meglio esser vicine l quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo l e a Trespiano aver vostro confine, l che averle dentro a sostener lo puzzo l del villan d'Aguglion, di quel da Signa, l che già per barattare ha l'occhio aguzzo !». 9• Sulla figura di Alberigo si veda P. ZAMA, Alberigo frate gaudente, in ID., Romagna romantica, Milano, Edizioni Athena 1929, pp. 29-52; ID., La morte di/rate Alberigo nella 'Commedia' e nella cro­ naca (nota al canto XXXIII dell"In/erno'), Faenza, Fratelli Lega 1937; L. BIAGIONI, Frate Alberico dei Manfredi aus Faenza in der Romagna, >, XXXIV-XXXV, 1957, pp. 102135: m e n6-n8; A.A. TRIOLO, 'Inferno' XXXIII: Fra Alberigo in Context, «L'Alighieri>>, XI, 1970, 2, pp. 39-70 e P. ZAMA, I Manfredi, presentazione di A. Montevecchi, Faenza, Mobydick 1998, passim; parte della bibliografia pregressa si può recuperare da A. ANTONELLI, Manfred� Alberigo, in Dizio­ nario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1960-; LXVIII , 2007, p. 649. -

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spicca il campo semantico del mangiare),93 che permette di fornire una spie­ gazione letterale abbastanza piana: il «peggiore spirto di Romagna» racconta la sua condizione di dannato che, all'inferno, nel cerchio riservato ai traditori degli ospiti,94 subisce ciò che ha inflitto: una tradizione esegetica piuttosto so­ lida riconosce al dattero una qualità superiore, motivo per cui la pena del dan­ nato sarebbe più grave rispetto al tradimento di cui si è macchiato. L'aspetto, sul quale si insiste, verte principalmente - come appena detto - sulla qualità del dattero, allora più raro e più costoso,95 e che in tal senso corrisponderebbe ad una pena maggiore.96 Altri sostengono, invece, come vedremo in séguito, che la pena inflitta è maggiore in virtù della dolcezza del dattero, superiore a quella del fico. I versi e il personaggio in questione hanno conosciuto una rapida diffusio­ ne,97 ma l'espressione 'riprendere dattero per fico' ha riscosso una fortuna di certo più ampia.98 Tuttavia sugli endecasillabi, negli studi e nei commenti dan93 E. PASQUINI,

Il canto XXXIII dell"In/erno', «Letture classensi», IX-X, 1982, p. 196. The Politica! Vision o/ the 'Divine Comedy', Princeton, Princeton University Press 1984, p. 192 e nota 81, nella quale ri ricordano i passi di Gv 13, 27 e Sal 54, 16. 94 Si veda J.M. FERRANTE ,

95 Che però nella Toscana del tardo Duecento i datteri circolassero viene testimoniato da Fol­ gore da San Gimignano, nei Sonetti dei «mesi» (Di giugno), 9-11: «Aranci e cedri, dattili e lumie l e tutte l'altre frutte savorose l impergolate sieno per le vie» (in ID., Sonetti, a cura di G. Caravaggi, Torino, Einaudi 1965, p. 51). 96 Cfr., ad es., ALIGHIERI, La Divina Commedia, a cura di N. Sapegno cit., I, p. 369, ID., La Di­ vina Commedia, con pagine critiche a cura di U. Bosco e G. Reggio, Inferno, Firenze, Le Monnier 19905, p. 497: «Poiché il dattero è più pregiato del fico (figo), vorrà dire che la pena è più grave della già grave colpa>> e ID., La Divina Commedia. Inferno, commento di A.M. Chiavacci Leonardi, Mila­ no, Mondadori 20052, p. 998. Si veda pure DI SANTO, Nel giardino di Dante cit., p. 33: «per cui se il "dolce fico" di Inf, XV, 66 vive un'opposizione con i "lazzi sorbi" (v. 65), è pur vero che figura, in uno squisito contrappasso verbale, anche come termine inferiore di una contrapposizione meno as­ soluta, ma non per questo meno significativa con dattero». 97 Come testimonia la ballata risalente intorno al 1320-1321 Deh Contin, torna in campagna, 11-12: «Se ci stai, havrai del fructo l D'Alberigo di Romagna>> (in Miscellanea di letteratura del medio evo, l. Rime antiche senesi trovate da E. Molteni e illustrate da V. de Bartholomreis, In Roma, Presso la Società [Filologica Romana] 1902, p. 19). L'assenza di poligenesi è ipotizzata da Guido Mazzoni nella recensione del volume ( (dr. FAZIO DEGLI UBERTI, O pellegrina Italia, 193-194, in Poesie italiane inedite di dugenta autori dall'origine della lingua in/ino al secolo decimosettimo cit., II, p. 89). Altra testimonianza trecentesca in F. SACCHETTI, Il Trecentonovelle, CXCIII 9 (a cura di D. Puccini, Torino, UTET 2004): «ma almeno me l'aveste voi date alle frutte, che serebbono state migliori che quelle di frate Alberigo» e nota 15 dove il curatore segnala un richiamo simile in una lettera dello stesso Sacchetti. Più tarda quella in A.F. GRAZZINI (IL LASCA), Le Cene, II 7 19 (a cura di R Bruscagli, Roma, Salerno Editrice 1976, p. 276): (Benché si dica nel volgar parlare, 9-13, in Lirid toscani del Quattrocento, a cura di A. Lanza, 2 voli., Roma, Bulzoni 1973-1975, l, p. 349· 99 J. HEIN, Enigmatidté et messianisme dans la 'Divine Comédie', Firenze, Olschki 1992, p. 403, nota 583, con rinvio a Is 38, 21: e a 2 Re 20, 7: «Dixitque Isaias: Adferte massam ficorum. Quam cum attulissent et posuissent super ulcus eius, curatus est>>, da confrontare con quanto prescritto nel Regimen Sani­ tatis Salernitanum, XLIV: «Scrofa, tumor, glandes, ficus cataplasmati cednnt>>. 100 M. FIORILLA, «Et descendant in in/ernum viventes»: 'In/' XXXI,II I09-57 e il Salmo 54, . Si veda, ad es. , A. CroTTI, Il canto XXXIII dell"In/erno' (Lec­ tura Dantis Romana), Torino, Società Editrice Internazionale 1965, pp. 41-42: «il peccatore dichiara -

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che ragionevolmente appare calzante per i nostri versi, permette così di esclu­ dere, in un primo momento, che Dante possa riferirsi al maggiore pregio dd dattero. Si può aggiungere che la lettura del passo dei Maccabei andrebbe comple­ tata tenendo conto anche del versetto 17, dove si specifica: «et fecit deceptio­ nem magnam in Israel et reddidit mala pro bonis».' 03 Anche quest'ultima espressione è, a suo modo, responsabile dell'origine del verso 120, con la dif­ ferenza che nel testo di riferimento è chiara la distinzione tra ciò che si rende (mala) in cambio di ciò che si è ricevuto (pro bonis): ma nel passo biblico si sta parlando di una situazione ancora terrena (luogo che potrebbe essere valido per l'episodio del tradimento di Alberigo) . Nel caso dantesco, l'espressione, piegata ad esigenze comiche, slitta nel contesto dell'oltretomba e, acquistando un senso quasi passivo («riprendo») , viene plasmata in virtù del contrappasso e del giudizio divino. Naturalmente nel verso dantesco riecheggia anche l'altro celebre passo vetero-testamentario: «Sin autem mors eius fuerit subsecuta, reddet animam pro anima, oculum pro oculo, dentem pro dente, manum pro manu, pedem pro pede, adustionem pro adustione, vulnus pro vulnere, livorem pro livore» (Es 21, 23-25) ,104 ove è palese il rapporto di uguaglianza tra ciò che si è dato e ciò che si è reso.105 Cercherò di mettere a fuoco questi primi dati sulla base di elementi successivi.

che egli qui nell'Inferno raccoglie un frutto ancora più cattivo in proporzione del suo peccato. L'i­ dea è espressa attraverso una figurazione fisico-spirituale tipicamente consona al motivo iniziale della frutta. n dattero è più dolce del fico e quindi al frutto del peccato corrisponde una ricom­ pensa negativa, cioè una pena che in eterno esclude l'anima da Dio e conseguentemente accresce senza proporzioni e misure l'effetto del male compiuto con l'azione del tradimento», M. SANSONE, Il canto XXXIII dell"In/erno', in Nuove letture dantesche (Casa di Dante di Roma) , ID, Firenze, Le Monnier 1969, p. 183: «Dattero per figo: un frutto più dolce di quello che io offrii quando tradii il Inio ospite» e B. ANDRIANI, Aspetti della scien'l.tl in Dante, presentazione di L. Lombardo Radice, Firenze, Le Monnier 1981, p. 227: «Altrove fa [scii. Dante] ricorso al parallelo con la frutta per af­ fermare che come il dattero è più dolce del fico, così la pena è superiore al delitto». Che del resto si trattasse di questione di dolcezza parrebbe suggerito anche dai versi di PuLCI, Morgante, XXV 72 3-5, ed. cit., p. 854: «che paressi deposto ogni odio antico, l e il tributo ricevere: il qual fia / le frutte amare di frate Alberico». Da segnalare la spiegazione sincretica sul dattero, «ritenuto frutto più dolce e pregiato del fico», fornita da E. MALATo, La 'morte' della pietà: «e se non piangi, di che pianger suoli?». Lettura del canto XXXIII dell"In/erno', in Io., Studi su Dante, Cittadella, Berton­ cello 2005, p. 170. •oJ Cfr. TruoLO , 'Inferno' XXXIII cit., p. 50 e Sal 34. 12: «retribuebant mihi mala pro bonis, ste­ rilitatem animae meae». '04 Si veda anche AGOSTINO, De Gratia et Libero Arbitrio, XXIll 45, in PL, XLN, col. 9n: «Reddet omnino Deus et mala pro malis, quoniam justus est; et bona pro malis, quoniam bonus est; et bona pro bonis, quoniam bonus et justus est». •os Ciò naturalmente non sta a significare che il contrappasso risenta di questo rapporto: cfr. V. LuccHESI, Giustizia divina e linguaggio umano. Meta/ore e polisemie del contrappasso dantesco, «Studi danteschi», LXIll , 1991, pp. 53-126 (in part. pp. 53-57 ) .

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Tuttavia a queste considerazioni se ne possono aggiungere altre, muoven­ do da una preziosissima annotazione di Benvenuto da Imola che mi sembra sia stata fino ad ora tralasciata e che getta luce meridiana sul verso. Nel com­ mento si precisa: «quasi dicat: dedi malum fructum, nunc recipio peiorem. Loquitur enim ironice. Nam ficus dulcis fructus solet dari amico, et iste dedit tam amarum fructum mortis amicis: nunc ergo merito recipit amariorem».106 Anche Benvenuto insiste sulla qualità superiore del dattero, ma, in realtà, qui interessa il rilievo inerente al fatto che il fico veniva donato ad una persona amica. Stimolati da questo appunto si possono scorrere alcuni repertori pare­ miologici che potrebbero confermare quanto detto. Benvenuto avrebbe potu­ to riferirsi al proverbio largamente attestato: , del quale l'esempio più antico risulta cinquecentesco.108 Alberigo, insomma, di­ chiara «ironice» di aver offerto un gesto di amicizia (il fico), del quale è stato ripagato poi, nello stesso modo, all'inferno. Tuttavia si può ipotizzare che il proverbio appena ricordato non sia che l'esito vulgato, e per certi aspetti lievemente mutato, di un'antica usanza a cui Benvenuto alludeva. Esiste infatti una folta tradizione che racconta del fico come dono, come sorta di augurio di dolcezza, di concordia e di pace: 109 ne fa menzione già Ovidio: «"quid volt palma sibi rugosaque carica" dixi, l "et data sub niveo candida mella cado? ". l "Omen", ait, "causa est, ut res sapor ille

1o6 BENVENUTI DE RAMBALDIS DE IMoLA Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, a cura di G.F. Lacaita, � voli. , Firenze, Barbèra 1887, II, p. �40. 107 Le dieci tavole dei proverbi, LXXX (ed. a cura di M. Cortelazzo, Vicenza, Neri Pozza 1995, p. 21). Per il versante parerniografico nella Commedia si parta da FERRAZZI, Manuale dantesco cit., III , pp. 18-22, G. PITRÈ, Appunti su le tradizioni popolari nella 'Divina Commedia', «Nuovi Quaderni del Meridione», III , 196�, n. 9, pp. 196-199 e G.B. BRONZINI, Nota sulla 'popolarità' deiproverbi della 'Di­ vina Commedia', > (B. CASTIGLIONE, Il Cortegiano, II 9 114, a cura di A. Quondam, 2 voli., Milano, Mondadori 2002, I, p. 193). Per il fico come albero di Giuda dr. A. De GuBERNATIS, Mythologie des plantes ou les légendes du règne végétal, 2 tt., Milano, Arché 1976', I (Botanique générale), p. 193, BROSSE, Mitologia degli alberi cit., pp. 252-253 e G.L. BECCARIA, I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e le parole per­ dute. Nuova edizione riveduta, Torino, Einaudi 2000, p. 281, nota 22 con ulteriore bibliografia. A livello popolare, in proverbi e modi di dire, il legno di fico è definito «traditore>>, mentre la locuzione 'far fico' significa 'ingannare' (0. LURATI, Dizionario dei modi di dire, Milano, Garzanti 2001, pp. 306307) . Di rilievo anche il passo dell'Aretino nel quale si dichiara: «Comare: Fattogli intorno capannella, nel riconoscer Adamo ed Eva, ecco una che dice: "Maladetto sia quel fico traditore e questo serpe ladro, il qual tentò la donna che è qui"» (P. ARETINO, Dialogo, III , in ID., Sei giornate, cit. , pp. 316317). Non è da escludere che proprio il fico sia stato identificato come la pianta dell'impiccagione di Giuda in virtù della maledizione scagliata da Gesù contro l'albero, episodio riportato dai vangeli apocrifi e dai sinottici (si vedano almeno Mc n, 12-14 e Mt 21-18-22). 11 5 Ne fa menzione CATIABIANI,

Florario cit., p. 634 e nota 5 a p. 716. -

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Dell'espressione dantesca non sono riuscito a snidare antecedenti volgari o latini totalmente sovrapponibili. Se però volessimo rintracciare una locuziò­ ne classica sulla quale 'riprendere dattero per fico' si struttura (ne sia o no Dante il coniatore) , si può presentare qualche soluzione interessante. Uno dei modi di dire più calzante sembra essere quello riportato da Plinio il giovane, ovvero «Dedi malum et accepi>> (Ep. m 9 3) ,n6 sebbene conservi una certa consonanza anche l'espressione con cui Donato chiosa Terenzio, os­ sia «quod dedit, recepit».n7 Bisognerebbe tener conto, poi, del passo di Sene­ ca, tratto dal De bene/iciis, m 31 5: «Deinde, ut nihil aliut dicam quam bonis artibus me studuisse vel cursum ad rectum iter vitae direxisse, in ipso bene­ ficio tuo maius, quam quod dederas, recepisti>>.ns Nella prima metà del Settecento, l'erudito Sebastiano Pauli, commentan­ do una serie di espressioni, tra le quali figurava anche quella dantesca, per "6 Cfr. PLINIO CECILIO SECONDO, Opere, a cura di F. Trisoglio, 2 voli., Torino, UTET 1973, I, p. 374: > (in Chronicles and Memorials o/ the Reign o/ Ri­ chard I, ed. by W. Stubbs, 2 voli., London, Longman 1864-1865, I, p. 108) e ALBERTUS STADENSIS, Troilus, III 499-500, editus a T. Merzdorf, Lipsiae, Teubneri 1875, p. 87: > dixi, «et data sub niveo candida mella cado?». «Omen», ait, «causa est, ut res sapor ille sequatur (Fasti, I 185-188) et peragat coeptum dulcis ut annus iter».

Nel Medioevo latino permane l'accostamento: «Et ecce subito angeli missi a Deo detulerunt ei panes pulcherrimos, quibus similes in tota Egypti provin­ tia nunquam visi fuerunt; portaverunt etiam dactillos, ficus recentes et uvas et multa alia utilia>>.131 Neanche il Medioevo volgare trascura di ricordare il binomio: si leggano i vv. 431-432 della Battaglia di Quaresima e Carnevale: >.13 8 '34 CHRÉTIEN DE TROYES, Le Roman de Perceval ou Le Conte du Graal, édition critique d'après tous le manuscrits par K. Busby, Tiibingen, Niemeyer 1993, vv. 332o-3325 (p. 141). Si veda anche ID., Der Percevalroman (Li Contes del Graal), herausg. von A. Hilka, Halle, Niemeyer 1932, p. 688 che, ad locum, indica, oltre al passo del Perceval in prosa, anche RoBERT VON BLOIS, L'Enseignement des Prin­ ces, 1044-1046: > (G. BoccACCIO, Trattate/lo in laude di Dante, I red., 192, a cura di P.G. Ricci, in ID., Tutte le opere, a cura di V. Branca, m, Milano, Mondadori 1974, pp. 423-538 e 848-9u). Lo stesso Dante nella lettera ai cardinali italiani scriveva: «Nam etiam in "ore lac­ tentiurn et infantiurn" sonuit iarn placita veritas», Ep. XI 5 (a cura di A. Frugoni, G. Brugnoli, in D. ALIGHIERI, Opere minori, n. Milano-Napoli, Ricciardi 1979. pp. 505-643); probabili fonti del passo sono in questo caso Sal 8, 3 e Mt 21, 16. 8 Su questo stesso filone si possono inquadrare i brani di Quintiliano, Alano di Lilla e Bono Giarnboni riponati più avanti (che hanno per argomento, rispettivamente, la formazione retorica de­ gli studiosi principianti, l'allattamento della Grammatica e della Filosofia). 9 È possibile farsi un'idea delle numerose occorrenze e dei vari sviluppi della metafora esami­ nando le occorrenze di lac.. nella versione digitale della Patrologia latina Database e del Cetedoc Li­ brary o/ Christian Latin Texts. n lane poteva simboleggiare anche la stessa grazia divina che, come spiega Agostino commentando un versetto del Salmo CXLill , è data da Dio 'gratuitamente', così come ogni madre dona il lane al proprio figlio: «Caritas, inquit, Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum sanctum, qui datus est nobis. Quia ergo gratia fecit impleri legern, significatur autern gra­ tia lacte; hoc enirn est in carne gratuiturn, ubi mater non quaerit accipere, sed satagit dare; hoc mater

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dd V canto dd Paradiso esaminati sopra l'immagine (molto diffus a nd Medio­ evo) delle due mammelle con cui si allude al Vecchio e al Nuovo Testamento. Bastino qui di seguito i rimandi ad Ambrogio, Agostino, Isidoro e Aimone di Halberstadt, in cui la Vergine (in Ambrogio e Isidoro) o la Chiesa (in Agosti­ no e Aimone) allattano gli apostoli e il popolo cristiano con le loro mammelle (raffiguranti i due Testamenti) : Ubera vel duo testamenta dixit, quorum altero adnuntiatus est, altero demonstra­ tus - et bene ubera, quoniam velut quodam nos spiritali lacte nutritos educavit et op­ tulit deo filius - vel Mariae dicit ubera, quae vere benedicta erant, quibus sancta virgo populo domini potum lactis inmulsit. 10 Est autem mater Ecclesia; et ubera eius duo Testamenta Scripturarum divinarum. Hinc sugatur lac omnium sacramentorum temporaliter pro aetema salute nostra ge­ storum, ut nutritus atque roboratus perveniat ad manducandum cibum [. ] ." ..

Benedictionibus uberum, sive duorum Testamentorum, quorum altero nuntiatus est, altero demonstratus, sive benedictionibus uberum Mariae, quae vere benedicta erat, quia eadem sancta virgo Domino potum lactis immulsit. 12 Per lac autem, quod praecipitur ut sugant ipsi apostoli, et mulgeant, debemus intelligere fidem simplicem credentium et bona opera illorum, in quibus delectati sunt apostoli. Per duo autem ubera duo Testamenta intelliguntur, ex quibus trahi­ tur lac, hoc est simplex et dulcis doctrina Spiritus sancti, quae convenire possit sim­ plicibus. 13

Nell'XI canto dd Paradiso, per bocca di Tommaso d'Aquino, Dante rivol­ ge un duro rimprovero ai frati domenicani per aver deviato dal retto cammino indicato dal loro fondatore. La degenerazione dell'Ordine è resa metaforica­ mente con l'immagine di un gregge che, attratto da altri cibi, si disperde per

gratis dat, et contristatur si desit qui accipiat: quomodo ergo ostendit David legem sine gratia operari non posse, nisi cum illos lapides quinque, quibus significabatur lex in libris quinque, coninngere vo­ lens gratiae, posuit in vase pastorali, quo lac mulgere consueverat?» (AGOSTINO, Ena"ationes in Psal­ mos, XLVITI 2, ed. D.E. Dekkers e l. Fraipoint, in Corpus Christianorum. Series Latina, Turnhout, Brepols 1953- [= CCSL] , XL, 1956, p. 2074). 10 AMBROGIO, De patriarchis, XI 51, ed. C. Schenkl, in Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Lati­ norum, Wien, Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften 1866- [= CSEL] , XXXIIh, 1987, p. 152. u AGOSTINO, In epistolam ]oannis ad Parthos tractatus decem, III 1, in Patrologia Latina, edidit J.P. Migne, 221 voli., Paris, Migne 1844-1865 [= PL] , XXXV, col. 1998. 12 lsiDORO, Misticorum expositiones sacramentorum seu Questiones in Vetus Testamentum (sen­ sum moralis totius scripturae), Expos. in Gen. , LVII , in PL, LXXXIII, col. 285. 'l .AIMONE DI RALBERSTADT, Commentariorum in Isaiam libri tres, in PL, CXVI, col. 1079. -

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LA METAFORA DEL LATTE IN DANTE

pascoli remoti (allontanandosi dal suo pastore) 14 e, quando torna all'ovile, è privo di latte: Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote

che per diversi salti non si spanda; e quanto le sue pecore remote e vagabunde più da esso vanno. più tornano a l'ovil di latte vòte.

(Par. , XI 124-129)

La del v. 124 potrebbe anche coincidere con i beni terreni ma, più probabilmente - come intendono i primi commentatori -, sarà da identificare negli studi profani; 15 il ai versi successivi («0 quanta è l'ubertà che si soffocle l in quelle arche ricchissime [. . . ] », Par. , XXIII 130-131), lessema che, come ha sottolineato Lino Fertile riesaminando con attenzione il sistema semantico del canto, sembra riverberarsi in modo si­ gnificativo sulla similitudine, contribuendo a ricondurla nell'ambito di una precisa memoria biblica.'9

18 n tema (su cui tornerò più avanti con particolare riferimento alla lactatio di san Bernardo) ebbe particolare fortuna, a partire dall'XI secolo, diffondendosi in modo significativo anche nel culto popolare, in cui le presunte reliquie del lane di Maria divennero così frequenti che Franco Sacchetti in una novella racconta: , rispuose il duca mio, «siam con quel Greco che le Muse lattar più ch'altri mai, nel primo cinghio del carcere cieco; spesse fiate ragioniam del monte che ha sempre le nutrice nostre seco. [. .. ]

(Purg. , XXII 100-105)

La stessa immagine ritorna nel XXIII canto del Paradiso, dove ad un certo punto Dante afferma che, anche se gli venissero in aiuto tutte le lingue dei poeti (quelle che Polimnia e le altre Muse fecero più ricche nutrendole con il loro latte) , non si raggiungerebbe un milionesimo del vero, descrivendo in versi il santo riso di Beatrice: Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polirnnla con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue,

mella', da cui deriva, come Dante certo avvertiva. Non si vuoi dire che una tale derivazione debba essere esplicita nella mente del poeta allorché fa uso del lessema; certo, se ne può presupporre la presenza nella sua memoria involontaria. Un passo del Cantico dei Cantici (IV 10), così affine a que­ sto canto anche per altri aspetti, potrebbe esserne la fonte: "Quam pulchrae sunt mammae tuae, so­ ror mea sponsa! l Pulcra sunt ubera tua vino". Solo qualche verso prima Dante aveva scritto, sempre a proposito dei beati: "E come fantolin che 'ver' la mamma l tende le braccia, poi che 'l latte prese" (vv. 121-122). In questi versi mamma era simultaneamente il latino mamma e uber, e l'emergere quasi immediato dalla memoria di Dante della parola "ubertà" (v. 130) sembra esserne prova perentoria>> (L. PERrn..E , La punta del disio. Semantica del desiderio nella 'Commedia', Fiesole, Cadmo 2005, pp. 204-205). w Sulla valenza evangelica dell'immagine cfr. CmAVACCI LEONARDI, III , pp. 836-837. -

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MAURIZIO FIORILLA

per aiutarmi, al millesimo del vero non si verria, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero.

(Par. , XXIII 55-60)

TI movimento retorico iniziale, come già segnalato più volte, trae le mosse da versi di Virgilio («Non, rnihi si linguae centum sint oraque centum», Aen. , VI 625) e Ovidio («Non rnihi si centum deus ora sonantia linguis l ingenium capax totumque Elicona dedisset>>, Met. , VIII 533-534) ,2' mentre non sembre­ rebbe avere alcuna tradizione prima di Dante l'immagine delle Muse che al­ lattano. 22 L'esegesi antica non fornisce indicazioni risolutive al riguardo. 23 I

21 Cfr. almeno M. PreoNE, Mit� meta/ore e similitudini nel 'Paradiso'. Un esempio di lettura, «Studi danteschi>>, LXI , 1989 [ma 1994] , pp. 193-218, a p. 201; CHIAVACCI LEONARDI, III , p. 637. Per la rappresentazione delle Muse nella tradizione cfr. almeno O. NAVARRE , Musae, in Dic­ tionnaire des Antiquités grecques et romaines, sous la direction de C. Daremberg [et alit] , Paris, Li­ braire Hachette I873-1912, IIIh , 1899, pp. 2059-2070; H. KEEs , Musai, in Paulys-Realencyclopadie der classischen Altertumswissenscha/t, herausg. von W. Kroli, XVI , Stuttgart, Metzlerscher 1933, coli. 68o757; CuRTIUS, Letteratura europea cit. , pp. 255-273; M. WEGNER, Muse, in Enciclopedia dell'arte antica, 7 voli., Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1958-1966, V, 1963, pp. 286-297; A. KAMBYLIS, Die Dichterweihe und ihre Symbolik, Heidelberg, Winter 1965; M. T. CAMILLONI, Le Muse, Roma, Editori Riuniti 1998 (con ulteriore bibliografia) . 23 H o compiuto verifiche sui principali chiosatori attivi tra il Trecento e il Cinquecento il cui commento si estenda fino ai canti del Purgatorio e del Paradiso in cui sono contenuti i versi in que­ stione (AnoniniO Latino, Iacopo della Lana, l'Ottim o, Pietro Alighieri, Andrea Lancia, Alberico da Rosciate, Chiose Ambrosiane, Chiose Filippine, Benvenuto da Imola, Falso Boccaccio, Anonimo Fio­ rentino, Francesco da Buti, Giovanni Bertoldi da Serravalle, Cristoforo Landino, Matteo Chiromo­ no, Alessandro Vellutello, Bernardino Daniello, Trifon Gabriele). Ringrazio Luca Azzetta per avermi fornito il testo delle inedite chiose di Andrea Lancia (tratte dal ms. II I 39 della Biblioteca Nazionale di Firenze) ; per Alberico da Rosciate mi sono basato sul ms. Cass. 6. 1 (Delta 9· r6) della Biblioteca Civica «Angelo Mai» di Bergamo; per Benvenuto da Imola ho preso come riferimento l'edizione ci­ tata qui alla nota 16, mentre per gli altri commenti ho consultato: V. CIOFFARI, Anonymus Latin Com­ mentary on Dante's 'Commedia'. Reconstructed Text, Spoleto, Centro di Studi Italiani sull'Alto Me­ dioevo 1989; 'Comedia' di Dante degli Allagherii col commento di Jacopo della Lana Bolognese, a cura di L. Scarabelli, 3 voli., Bologna, Tipografia Regia 1866-1867; L'Ottimo commento della 'Divina Com­ media'. Testo inedito d'un contemporaneo di Dante, a cura di A. Torri, 3 voli., Pisa, Capurro 1827-1829 (rist. anast. con pref. di F. Mazzoni, Sala Bolognese, Forni 1995); PETRI ALLEGHERII super Dantis u

ipsius genitoris 'Comediam' commentarium nunc primum in luce editum consilio et sumptibus G.]. Bar. Vernon, curante V. Nannucci, Firenze, Piatti 1845; PIETRO ALIGHIERI, Comentum . super poema 'Comedie' Dantis (A Critica! Edition o/ the Third and Fina! Dra/t o/ Pietro's Alighien 's Commentary on Dante's The 'Divine Comedy'), ed. by M. Chiamenti, Tempe, Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies 2002; Le Chiose Ambrosiane alla 'Commedia', edizione e saggio di commento a cura di L. C. Rossi, Pisa, Scuola Normale Superiore 1990; Chiose Filippine. Ms. Cf 2 della Bibl. Ora­ toriana dei Girolamini di Napoli, a cura di A. Mazzucchi, 2 voli., Roma, Salerno Editrice 2002; [Falso Boccaccio] , Chiose sopra Dante, testo inedito ora per la prima volta pubblicato [a cura di G.J. War­ ren Vernon] , Firenze, Piatti 1846; Commento alla 'Divina Commedia' d'Anonimo Fiorentino del secolo XIV, a cura di P. Fanfani, 3 voli., Bologna, Gaetano Romagnoli 1866-1874; Commento di Francesco da Buti sopra la Divina Commedia di Dante Allighieri, a cura di C. Giannini, 3 voli., Pisa, Fratelli Nistri 1858-1862 (rist. anast. Pisa, Nistri-Lischi 1989); IOHANNIS DE SERRAVALLE, Translatio et comentum to­ tius libris Dantis Aldighierii cum texto italico, a cura di M. Ranise da Civezza e T. Domenichelli, Prati, ex Officina Libraria Giachetti Filii et Soc. 1891 (rist. anast. S. Marino, Cassa di Risparmio di S. Ma­ rino 1986); C. LANDINO, Comento sopra la 'Commedia', a cura di P. Procaccioli, 4 voli., Roma, Salerno Editrice 2001; M. CHIROMONO, Chiose alla 'Commedia', a cura di A. Mazzucchi, 2 voli., Roma, Saler-

LA METAFORA DEL LATTE IN DANTE

commenti moderni (fino ai più recenti) si limitano per lo più a parafrasare i due riferimenti al "latte" delle Muse senza sottolineare lo scarto dantesco ri­ spetto alla tradizione precedente.24 Fa eccezione il commento ottocentesco di Tommaseo, il quale, dopo aver chiosato il ; lituris viene invece chiosato con «idest licteris»Y Al v. 31 Dante parlerà di > (in Poeti del Duecento cit. , n, p. 48o) . Sull'impiego dd verbo 'ferire-fedire', seppur concentrato ai soli rapporti con la teoria stilnovistica d'amore dr. S.A. Gn.soN , Medieval Optics and Theories o/Light in the Works o/Dante, Lewiston-Queenston-Lampeter, Mellen 2000, pp. 33-47· 38 Cfr. nota 30. Peraltro l'analogia tra propagazione della luce e dd fuoco si ha anche negli esempi della poesia duecentesca dencati in precedenza. Ma sul tema si legga anche questo passo di BoNAVENTIIRA DA BAGNOREGIO, In II Sententiarum, d. 13, a. 3, q. I: «ltem quod potest generare corpus est corpus; sed lumen in medio diffusum potest generare corpus, scilicet ignem, per sui mul­ tiplicationem: ergo lumen in medio est corpus» (ed. cit., n, p. 324). Per le somiglianze cromatiche (albedo) tra stelle e fuoco cfr. anche ALBERTO MAGNO, Meteora, I 4 Io, nd quale in ogni caso non si ritrovano le implicazioni metaforiche bonaventuriane e grossatestiane, o la presenza significativa della nozione di aggregatio-multiplicatio lucis.

SILVIA FINAZZI

Questa terzina è stata generalmente inserita dai commentatori in un filone metaforico consolidato nella tradizione poetica fin da Omero: il Sole come Apollo arciere, e rientra pertanto nell'ampio novero delle perifrasi mitologiche del Purgatorio dantesco.39 Se considerata però da un altro punto di vista, che non è neppure il mero significato astronomico del passo,40 assume una valenza paradigmatica per quanto riguarda il sistema di verbi tecnici ipotizzato nella Commedia. Qui infatti Dante vuole indicare una diffusione radiale della luce solare sulla superficie terrestre («da tutte parti»), e l'immagine di saette sca­ gliate contemporaneamente può descrivere con efficacia quest'azione, sugge­ rendo al contempo la particolare intensità dei raggi. Non sono specificati né la natura, né i confini spaziali della materia su cui il Sole agisce, ma a sostegno di una possibile scelta tecnica del verbo è utile passare in rassegna altri luoghi principali in cui Dante ricorre ad espressioni analoghe, o del medesimo campo semantico, 41 per indicare la propagazione radiale di un elemento: In/ , XIV 526o: «Se Giove stanchi 'l suo fabbro da cui l crucciato prese la folgore aguta l onde l'ultimo dì percosso fui; l o s'elli stanchi li altri a muta a muta l in Mon­ gibello a la focina negra, l chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta ! ", l sì com' el fece a la pugna di Flegra, l e me saetti con tutta sua forza: l non ne potreb­ be aver vendetta allegra>>; In/ , XVI 16-17: . In tutti i casi elencati si hanno raggi luminosi non riconducibili né alla luce solare né ad un'unica fonte, e che sono costituiti dal fuoco. Non a caso nel­ la meteorologia medievale i fulmini erano comunemente definiti «vapori

39 Tra i primi Tasso nelle sue Postille: cfr. T. TAsso, Opere, a cura di G. Rosini, 33 voli., Pisa, Capurro, 182I-I832, XXX, 1831, p. 57· Citata spesso come antecedente un'espressione di LucREZIO, I 146-148: . Ripetuta in più luoghi (II 59-61; III 91-93; VI 39-41) non è tuttavia presente tra quelle citate da Macrobio, importante tramite dell'opera lucreziana. ""' Come noto si trana dell'indicazione delle sei e mezzo antimeridiane, per i dettagli astrono­ mici si rimanda a GIZZI, L'astronomia nel poema sacro cit. , II, pp. 181-183. La costellazione del Capri­ como è letteralmente 'spostata' oltre lo zenit del meridiano dalla salita del Sole, appena sorto. Questa battaglia tra il Sole, armato delle «saette conte>>, e il Capricorno si inserisce in un contesto prenamen­ te scientifico al tempo di Dante, comune era infatti la tendenza figurativa nei trattati astronomici e cosmologici (Restoro d'Arezzo su tutti). Sull'idea di ornatus caeli cfr. qui nota 6. "" L'immagine dell'arco che scaglia frecce, come rilevato da P. BoYDE, L'uomo nel cosmo cit. , pp. 351-352, è presente in diverse metafore e similitudini, ma ha utilizzi particolari anche in relazione a concetti astratti. La velocità (ad esempio Par. , II 23-24, con presenza di hysteron proteron), la crea­ zione divina (tra gli altri Par. , I n8-n9, e specialmente Par. , XXIX 22-30, che vede collegati arco, saet­ te e raggi luminosi) , o il raggiungimento di un obiettivo (come in Par. , VIII 103-105, Par. , XXVI 24). A questi si può aggiungere anche la sofferenza del poeta per la rivelazione di Cacciaguida sull 'esilio (Par. , XVII 27 e Par. , XVII 55-57) .

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LA METAFORA SCIENTIFICA E LA RAPPRESENTAZIONE DELLA

CORPOREITAS

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ignei>>.42 L'episodio dei Giganti colpiti con folgori da Giove è peraltro collo­ cato nello stesso canto della pioggia di «dilatate falde» infuocate (In/ , XIV 2839) che, a suo modo, rappresenta una diversa tipologia di diffusione dell'ele­ mento sul suolo. Un duplice 'saettare', verso il basso e l'alto, è invece descritto nel secondo esempio citato, dove la > del poeta dopo il rimprovero di Beatrice (Purg. , XXXI x6). Si noti poi la presenza dell'inirnagine delle balestre in CEcco n'AscoLI, L'Acerba, N 7, 4129-4134: «"Perché tremano l'ombre nell'estremo? " l Guarda lo Sole che vien per finestre. l Del gran Maestro due ragioni averno: l Trema la sfera dello Sol movendo, l O l'aria muove il Sol con sue balestre? l La prima e la seconda qui commendo»; si cita da F. STABILI (CEcco n'AscoLI) , L'Acerba, a cura di A. Crespi, Ascoli Piceno, Cesari 1927, p. 368. Questi versi sono inseriti nel capitolo dedicato a luce e ombra e spiegano l'azione incrociata delle vibrazioni solari e dell'aria, peraltro in relazione alla particolare impressione suscitata dalle ombre prodotte dal Sole, ovvero quella di tremare. 44 Non è questa la sede per approfondire il discorso sulla metafora specchio - visus . Vale però la pena sottolineare come questo motivo fosse molto ricorrente nella scienza medievale, oltre che dif-

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vere l'azione diretta della luce sul visus: 45 In/ , X 69: «non fiere li occhi suoi lo dolce lume?»; Purg. , XV 7-n: «E i raggi ne ferien per mezzo 'l naso, l perché per noi girato era sì 'l monte, l che già dritti andavamo inver' l'occaso, l quan­ d'io senti' a me gravar la fronte l a lo splendore assai più che di prima>>; Purg. , XVll 40-45: «Come si frange il sonno ove di butto l nova luce percuote il viso chiuso, l che fratto guizza pria che muoia tutto; l così l'imaginar mio cadde giuso l tosto che lume il volto mi percosse, l maggior assai che quel ch'è in nostro uso»; Purg. , XXXII 10-12: «e la disposizion ch'a veder èe l ne li occhi pur testé dal sol percossi, l sanza la vista alquanto esser mi fée». A questi loci andranno aggiunti quelli in cui il raggio non è diretto agli occhi, o agisce su superfici che danno l'impressione di potenziame la luminosità: Purg. , IV 55-

fuso tra chi intendeva opporsi alla teoria platonica dell'emissione di raggi visivi dagli occhi (non man­ ca, in ogni caso, nei trattati di ottica di diversa impostazione) . Vetri, specchi e cristalli abbondano quindi nelle descrizioni dell'occhio, tra gli altri si vedano: IsiDORO, Etym. , XI I 20; RABANo MAURO, De universo, VI I, in PL, CXI, col. I43; ALHAZEN, Opticae Thesaurus cit., pp. 4 sgg.; come per Alha­ zen, anche la Pars quinta dell ' Opus maius di Ruggero Bacone andrà letta ampiamente: cfr. ROGER BACON, The Opus Majus, ed. with introduction and analytical table by J.H. Bridges, n, Oxford, Oa­ rendon I897, pp. 4-I66; cfr. inoltre TOMMASO DI CANTIMPRÉ, Liber de natura rerum, I 6; ALESSANDRO DI NECKAM, De naturis rerum, n I54· Si ripete tuttavia ciò che è accaduto con la corporeitas luminosa: Dante assimila le nozioni per poi riutilizzarle in modo autonomo, e alla celebre descrizione del «vetro piombato» in Conv. , Ill 9 8-10 corrisponde nella Commedia un uso assai circoscritto dell'immagine dello specchio in relazione al visus. Infatti, vengono chiamati direttamente «specchi» (o «spegli>>) so­ lo gli occhi potenziati del Dante agens nella parte conclusiva del poema (Par., XXI I6-I8; Par., XXX 85-87) . n filone metaforico dell 'oculus corporalis-spiritualis (sul tema cfr. ToMMASO n'AQUINO, Quae­ stiones disputatae de Veritate, q. IO, a. 9, con la triplice distinzione di Ugo di S. Vittore: oculus intel­ ligentiae, rationis e carnis, in S. THOMAE AQUINATIS Quaestiones Disputatae, cura et studio RM. Spiaz­ zi, Torino-Roma, Marietti I953, I, p. m; In IV Sententiarum, d. 49, q. 2, a. 2; Quaestiones disputatae de Malo, q. I6, a. I2; In de Trinitate, Prooem ., q. I, a. I, nell'ultimo luogo menzionato si aggiunge il tema del sol materialis-invisibilis: cfr. S. THOMAE AQUINATIS In librum Boetii De Trinitate expositio, cura et studio M. Calcaterra, in Opuscula theologica, Torino-Roma, Marietti I954. n, pp. 3I8-32I) si andrà al­ lora inevitabilmente a intrecciare con quello della luce corporale-immateriale percepita dal visus stes­ so. In proposito si consideri Par., XXVIll 4-2I (l'immagine della >, n.s., vol. 29, 2007, pp. 143-154. Tuttavia il legame, stabilito con criteri scientifici, tra la natura del suono e qudla ddla luce è esplicitamente riferito ai fenomeni dd!'arcobaleno e ddl'eco da Roberto Grossatesta. Per il discorso sulla struttura radiale dei due dementi, e sulla reciproca capacità di riflessione, si veda ROBERTO GROSSA TESTA, In Posteriorum Analyticorum, II 4: «Verbi gratia, echo et yris et apparentia ydolorum in speculis sunt sicut species opposite sub uno genere analogo, quod est repercussio [. .. ] Est autem echo soni repercussio ad obstaculum, sicut apparentia ydoli est repercussio radii visualis ad superfi­ ciem speculi, et sicut yris est repercussio vd fractio radiorum solis in nube concava aquosa. Lux nam­ que diffundens se secundum incessum rectum, cum petvenit ad obstaculum prohibens eius progres­ sionem, colligitur in loco incidentie super obstaculum, et quia eius natura est se diffundere et generare secundum incessum rectum, cum non possit se generare directe progredendo, necessario generat se revertendo solum, si obstaculum sit corpus obs curum [. .. ] Radius namque visualis est lu­ men digrediens a spiritu visibili luminoso usque ad obstaculum, quia non perficitur visus in sola re­ ceptione forme sensibilis sine materia, sed perficitur in receptione dieta et radiositate egrediente ab oculo. Substantia autem soni est lux incorporata in subtilissimo aere, et cum percutitur sonativum violenter necesse est partes eius egredi a situ suo naturali quem habent in toto sonativo [. .. ] Hic ita­ que motus extensionis et constrictionis in eodem secundum diversos diametros, cum petvenit ad na­ turam luminis incorporati in subtilissimo aere quod est in sonativo, sonatio est. Omne namque cor­ pus naturale habet in se naturam celestem luminosam et igneum luminosum, et eius prima incorporatio est in aere subtilissimo» (ed. cit., pp. 384-387). In effetti Aristotde aveva già ricondotto il fenomeno ddla riflessione sonora (appunto l'eco) all'assenza di perspicuità, proprio come accade per la luce (ARISTOTELE, De anima, II 8, 419b 27-33), ma senza tutte le implicazioni grossatestiane, ben più adatte a farsi origine di metafore. 49 Per un'ampia illustrazione ddle opere di Alkindi, anzitutto i contenuti relativi alle scienze ottiche, dr. FEDERICI VESCOVINI, Le teorie della luce cit. , pp. 45-72. In questo testo si sostiene anche una derivazione quasi diretta ddla prospettiva di Bacone dalle teorie di Alkindi, ivi, p. 73: «Un le­ game di fondo, sia esso diretto o indiretto, esiste tra la dottrina ddl'impressione di Alkindi e l'idea fondamentale dd pensiero di Ruggero Bacone [. .. ] In particolare [. .. ] si può stabilire un accostamen­ to tra la filosofia di Alkindi e la dottrina ddla moltiplicazione ddle specie. Ai problemi ddla perspec­ tiva Bacone dedica la parte quinta ddl'Opus Maius. In questa opera egli elabora una dottrina gno­ seologica connessa con il principio ddl' attività ddla sostanza, che produce virtus o specie o raggi. Ndl'daborare questa teoria Bacone fonde la problematica di Alkindi con qudla di altri filosofi, greci e arabi, tra cui Avicenna e Alhazen». -

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LA METAFORA SCIENTIFICA E LA RAPPRESENTAZIONE DELLA

CORPOREITAS

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tera machina mundana.50 Dunque secondo Alkindi, che univa oltretutto ad un'impostazione neoplatonica le teorie stoiche sul visus, tutta la realtà gerarchi­ camente descritta, sublunare e celeste, è caratterizzata da una struttura comune, le cui uniche divergenze stanno nella nobiltà della materia costitutiva. Una no­ biltà che è detenninata dalla presenza più o meno significativa della luce, e ov­ viamente non soltanto nell'opinione di chi la considerava corpo .s' In conclusione, il nesso corporeitas luminosa- 'bianchezza' -aggregatio lucis e l'applicazione, attraverso l'impiego sistematico di verbi tecnici, di quel concet5o ALKINDI, De radiis, V: > che, all'atto del mistico potus, si trasforma in candida rosa. La fluidità della luce divina si rivela anche in questa sua suprema metamorficità: bere l'acqua di luce significa scoprire la vera forma del Paradiso, come se pro­ prio in quella sinestesia visivo-gustativa fosse riposto il mistero della multifor­ me fotofania ammirata fino a quel punto dal pellegrino. La luce gli appare «fluvida>>,3 una fluentia alla quale può attingere: metafora assoluta 4 dell'inef­ fabilità della visione, il degli occhi, ma non per questo viene meno l'inesprimi­ bile tattilità della luce liquida, gustata nella suprema tensione di tutti i sensi 1 Cfr. Revelationes Gertrudianae ac Mechtildianae, cura et opera Solesmensiurn O.S.B. Mona­ chorurn, 2 voli., Poitiers-Paris, Oudin 1875-1877 (se ne veda la trad. it. MECHTHILD VON MAGDEBURG, La luce fluente della divinità, a cura di P. Schulze Belli , Firenze, Giunti 1991) . La metafora del titolo potrebbe ispirarsi a Bernardo Silvestre: dr. a nota 31. 2 Basti in tÙtimo il rinvio a O. RANALLI, Il Purgatorio nella tradizione medievale e nella 'Comme­ dia' di Dante. Matelda e le Matildi, , IV, 2007, pp. 9-31. l Ho difeso la variante >; q. XLV, a. I, ad I: ), tali da permettere poi un'adesione di fatto allo schema emanzionistico di matrice neoplatonica. Cfr. ancora ToMMASO D'AQUINO, In Phys. , VIII 2 [974] («Et quia omnis motus indiget subiecto, ut hic Aristoteles probat et rei veritas habet, sequitur quod productio universalis entis a Deo non sit motus nec mutatio, sed sit quaedam simplex emanatio»); In II Sent. , Prol.; In II Sent. , d. I8, q. I, a. 2: >). La metafora del 'penetrare' si coniuga con la luce pervasiva in AGOSTINO, Con/ , VII r 2: «Ita etiam te, vita vitae meae, grandem per infinita spatia undique cogitabam penetrare totam mundi molem, et extra eam quaquaversum per immensa .

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condizionata dalla gerarchia delle dignità imposta dal tomismo all' emanazio­ nismo neoplatonico: 47 «penetra e risplende l in una parte più e meno altrove» sine termino; ut haberet te terra, haberet coelurn, haberent ornnia , et illa finirentur in te, tu autem nusquam. Sicut autem luci solis non obsisteret corpus aeris huius qui supra terram est, quorninus per eurn traiiceretur penetrans eum, non dirumpendo aut concidendo, sed implendo eum totum: sic tibi putabam non solurn coeli et aeris et maris, sed etiam terrae corpus perviurn, et ex omnibus maximis minimisque partibus penetrabile ad capiendam praesentiam tuam, occulta inspiratione intrinsecus et extrinsecus adrninistrantem omnia quae creasti. lta suspicabar, quia cogitare aliud non poteram; nam falsurn erat. ilio enim modo maior pars terrae maiorem tui partem haberet, et rninorem minor: atque ita te piena essent omnia, ut amplius tui caperet elephanti corpus quam passeris, quo esset isto gran­ dius, grandioremque occuparet locum; atque ita frustatim partibus mundi, magnis magnas, brevibus breves partes tuas praesentes faceres. Non es autem ita. Sed nondurn illurninaveras tenebras meas» (cito da AGOSTINO, Confessioni, a cura di G. Madec, L.F. Pizzolato, M. Simonetti, Milano, Fonda­ zione Lorenzo Valla-Mondadori 1994, m, pp. 8-IO) e in DIONIGI AREoPAGITA, Div. Nom. , IV 4: (trad lat. di llduino, in Dionysiaca cit., I, pp. 161-163). ll penetrat è solo di llduino, mentre Tommaso usa la traduzione di Giovanni Saraceno (che adopra transit, mentre pervenit e pertransit hanno rispettivamente Giovanni Scoto Eriugena e Roberto Gros­ satesta: che Dante abbia avuto sotto mano la versione di llduino? Ma vedi a nota 57 l'impiego dan­ tesco di superillustrans, che è un hapax della traduzione grossatestiana) e chiosa perciò «quamvis per omnia transeat tradendo similitudinem suam rebus, adhuc tamen super omnes est, per suae substan­ tiae singularitatem>> (si cita da S. THOMAE AQUINATIS In Ubrum Beati Dionysii De Divinis Nominibus cit., p. 102): dove è notevole come col «super omnes>> Tommaso si affretti a evitare ogni sospetto di panteismo materialistico, particolarmente insidioso quanto seducente nella formulazione di Avice­ bron (dr. FABRO , Partecipazione e causalità cit., pp. 418 sgg.). llduino traduce ancora penetra! in un altro passo capitale di DIONIGI AREOPAGITA, Cael. Hier. , Xlll 3: (Dionysiaca cit., m, pp. 946-948). Mediatore alla filosofia medie­ vale di certe metafore dionisiane è Eriugena: dr. GIOVANNI ScoTo ERIUGENA, Periphyseon, IV n: «sicut Deus per omnia quae sunt diffun ditur et a nullo eorum potest comprehendi, ita anima totum sui corporis organurn penetrai» (in PL, CXXII , col. 788); Expositiones in Ier. coel. , XIll 3 (in PL, CXXII , col. 236): . La metafora ritorna in AL. BERTO MAGNO, In De causis, I 4 1: «lnter omnia autem quae principiorum habent nomen et rationem, praecipue sic /luit intellectus agens, qui lumine, quod sibi essentia est, de se sic semper formas ema­ nat, quibus constituit ea quae agit [ . . . ] Hic autem emanatio a primo /onte intellectualis et simplex est tam secundurn essentiam quam secundurn esse [ . . . ] Primurn enim [. .. ] propter suam nimiam simpli­ citatem penetrat omnia; et nihil est, cui desit ubique et semper existens>> (ed. cit. , p. 196; la formula ritorna anche I 4 3, ivi, pp. 204 e 206), e in TOMMASO D 'AQUINO, Summa contra Genti/es, IV 41 [38oo] : «Et licet Verburn Dei sua virtute penetret omnia, utpote omnia con­ servans et portans, creaturis tamen intellectualibus, quae proprie Verbo perfrui possunt et eius par-

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(Par. , I 2- 3, da leggere col complemento di Par., XXXI 22- 23: >) e 44-45 («quoniam doctrinam quasi antducanum illumino omnibus [. .. ] Penetrabo omnes inferiores partes terrae [. .. ] et illuminabo omnes sperantes in Domino»). 47 Sulle fonti dd «più e meno altrove», enunciato comunque a chiare lettere anche ndla formu­ la proportionaliter superlucet di Dionigi (vedi nota 32) e nd De causis, XX (r57) (vedilo cit. a nota 53), già a suo tempo sancito da Dante stesso in Conv. , m 7 3-5, dr. E. MooRE, Studies in Dante. First Series, Oxford, Clarendon 1896, pp. uo-m (rinvia soprattutto al De Mundo pseudoaristotelico: vedi nota 46). 4B Cara a Dante, che ndle poche occorrenze ne varia sottilmente le potenzialità: vedi Par. , XXXI 22-23: «ché la luce divina è penetrante l per l'universo secondo ch'è degno», che riprende l'in­ cipit ddla cantica (dr. nota 46) e Par , XXXII 142-144 («e drizzeremo li occhi al primo amore, l sì che, guardando verso lui, penetri l quant'è possibil per lo suo fulgore>>), dove la metafora riguarda la ca­ pacità ascensivo-penetrativa di Dante agens ndla luce divina. 49 È, come virtus auctiva, tra i simboli ddla cosmica perfusione ddla vittù divina per DIONIGI AREoPAGITA, Ep. , IX [m2] : «Humidam [esca] autem per/use simul et in omnia provenire festinantis virtutis, et adhuc per varia et multa et partita, in simplam et non tremulantem divinam cognitionem nutritos familiares ipsis bonitate manuducentis. Propter quod et rore, et aqua, divina et invisibilia doquia, et lacte et vino, et mdle adirnaginantur, propter vitae fecundam eorum, ut in aqua, virtutem; et auctivam, ut in lacte: et revivificativam, ut in vino [. .. ] Haec enirn divina sapientia donat prove­ nientibus copiose eis, et non deficientibus epulis a/fluentia largiente et supermanante>> (trad. Eriuge­ na, in PL, CXXII , coli. II9I-II92) : dove è straordinaria proprio la connessione tra la liquidità dd cibo sapienziale e l'affluente supermanatio ddla virtus divina. Con intuito pioneristico aveva rinviato a questo luogo dionisiano, in rdazione alle immagini ddla pioggia e ddlo stillare, F. BECK, Die Meta­ pher in Dante, ihr System, ihre Quellen, Neuburg, Griessmayer [r896] , p. 47· Per il simbolo ddla ru­ giada vedi nota 74· so Anche questa metafora ha un retroterra scritturale, ma assai meno ricco di 'distillare' (vedi .

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sibile fonte, vista da Pier Damiani come un' «essenza>> che dal suo misterioso e insondabile principio si spande e «s'appunta>> nelle creature: quest'ultima me­ tafora 5' denuncia l'altissima temperatura retorica di tutto il passo. Finemente Chiavacci Leonardi parafrasa il v. 87 con altre metafore emanative: «la supre­ ma essenza divina dalla quale essa proviene (è munta: si distilla, deriva)»/2 a segno che le metafore assolute come queste non hanno altro scampo esegetico che la tautologia, per cui 'mungere' rinvia a un implicito 'distillare', che a sua volta non può che rimbalzare semanticamente su 'derivare', metafore queste ultime impiegate da Dante, come vedremo presto, in altri luoghi sensibili al­ l'azione del campo metaforico della luce fluente. L'oltranza dell'invenzione metaforica, sanzionata da quel terribile e sublime neologismo «m'inventro» (che rima significativamente: «fece il lume centro l l'amor che v'era dentro») e dall'appuntarsi, ancora come di una materia fisicamente e iconicamente pla­ smabile, della , coniuga la vile familiarità di nell'alto mi­ stero dell'illuminazione e della visione paradisiaca. La potente marcatura dio­ nisiana di simili immagini 'turpi' sembra legare intimamente queste metafore di scorrimento 53 di una virtus che riempie il cosmo: i «raggi de la mente l di nota I9): cfr. Gb IO, IO («Nonne sicut lac mulsisti me, et sicut caseurn me coagulasti?»); Is 66, n, qui in relazione metaforica con gloria (> che, «ardendo in sé», «dispiega le bel­ lezze etteme» distillandole poi «sanza mezzo» sui mondi celeste e terrestre. n metaforico «dispiega>> va collocato nella serie dei «deriva>> (vedi più avanti) e dei «diffuse» come specializzati verba emanationis (in quanto traducono i vari processio e procedit del vocabolario neoplatonico-tomistico) con i quali Dante tenta di 'figurare' l'impensabile, la fuoriuscita cioè della divina largitas dall'in­ sondabile origo. A ennesima riprova della stretta solidarietà, anche lessicale, che regola questo campo semantico anche prima del Paradiso, Purg. , XXXIII verso (> (In/ , VII 100- 105); «Se 'l presente rigagno l si diriva così dal nostro mondo» (In/ , XIV 121- 122). Nel Purgatorio non poteva mancare di caratterizzare uno dei due fiumicelli (Purg. , XXXIll 127: «Ma vedi Eunoè che là diriva>>, da connettere, l'abbiamo visto sopra, col «dispiega>> del v. 116), ma nel Paradiso la prima occorrenza è già metaforica e non può non segnare lo scorrere della luce divina attraverso i cieli: (Par. , II 142144). Qui il nesso strettissimo tra i verbi, deriva-luce, obbliga a una percezione metaforico-emanazionista di «deriva>>: la e Par. , XXX 86-87: «chinandomi a l'onda l che si deriva perché vi s'immegli>>), la potente solidarietà semantica del campo meta­ forico getta una cruda luce radente su quella nera palude e sul quel rigagnolo infernale, 'immagini perverse' (In/ , XXV 77), oscene prefigurazioni della flu­ vida rivera di luce che «deriva>>, si allarga e si spande dal/ons lucis per farsi poi, a un'abissale distanza, onda bigia nel regno del male assoluto. TI lessico infernale («deriva>>, «onde») è fungibile anche nel Paradiso, dove l'adibizione da orren­ damente descrittiva e paesistica diviene metaforica e sublimemente infigurabi­ le, a segno di un percorso vertiginoso che pure non ottunde del tutto la fun­ zione turpemente inversa, ma prefigurativa, delle immagini infernali rispetto ai loro eccelsi adempimenti nella terza cantica. L' «acqua buia>> scorre, deriva co­ me un orrido 'umbrifero prefazio' del geroglifico fontale-emanazionistico verso il quale ascende il pellegrino: il tasso di ineffabilità è il medesimo, ma è la me­ tafora a soccorrerlo per rendere percorribile il tragitto della scrittura dall'In­ ferno al Paradiso. Qui la lezione dionisiana delle dissimiles similitudines73 eser­ cita tutta la sua potenza organizzativa del testo: il ricorrere dei lemmi connette sottilmente, per vertiginose dissonanze, i luoghi infernali e paradisiaci. Come si sa la Commedia è ricchissima di tali assi metaforici, più o meno segretamente inscritti nell'ardua complessità della lettera: la sinestesia della lu.,. Su cui vedi NARDI, Saggi di filosofia dantesca cit. , pp. 14 sgg. Per le quali rinvio al mio saggio in questo volUIIIe , I «metaphorismi» di Dante.

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ce fluente accompagna il viator dalle nere bassure delle acque infere alle altez­ ze abissali della «prima onda>>, da cui tutte le acque, materiali e spirituali, sgorgano scorrendo nel cosmo che vivificano. TI procedimento dantesco è, in tal senso, di una coerenza ancora una volta impressionante: anche nell'Inferno l'immagine della 'pioggia' è onnipresente, prevalentemente con senso descrit­ tivo e materiale, ma lo straordinario In/ , XIV 29 («piovean di foco dilatate falde») già incide la metafora di una nera luce ignea che spessa piove sui dan­ nati, mentre la «pioggia de l'aspro martirio» (In/ , XVI 6) ricicla una metafora, come la precedente, di ascendenza lirica, spostandone però la funzione da ma­ teriale-descrittiva a spirituale-metaforica e preparando l'impressionante riva­ lutazione della fonte cavalcantiana in quell'inopinata pioggia di immagini nel­ l'alta fantasia di Purg. , XVll 25- 26 («Poi piovve dentro a l'alta fantasia l un crocifisso»), che è il vero prodromo della complessa sublimazione dell'imma­ gine piovana a filosofema dell'emanazionismo paradisiaco. Anche distillare ha due occorrenze dolorosamente materiali in In/ , XXIII 97- 98 («Ma voi chi sie­ te, a cui tanto distilla l quant'i' veggio dolor giù per le guance?») e Purg. , XV 94- 95 («Indi m'apparve un'altra con quell'acque l giù per le gote che 'l dolor distilla>>), ma la puntualità della rima (nei due casi villa: distilla: sfavilla l di­ stilla: villa: disfavilla) dà un particolare valore di formularità allo stillicidio emanazionista di Par. VII 65- 69 (sfavilla:distilla:sigilla) e all'estrema interruzio­ ne della filiera metaforica nella suprema distillazione visionaria di Pa r. , XXXIII 61- 63 («ché quasi tutta cessa l mia visione, e ancor mi distilla l nel core il dolce che nacque da essa»), dove il motivo dell'effusione equorea è ora del tutto secolarizzato nella derelizione della memoria che tenta di recuperare qualche 'stilla-favilla' della cessata visione (vv. 71- 72: «ch'una favilla sol de la tua gloria l possa lasciare a la futura gente», dove la luce gloriosa dell'incipit paradisiaco mantiene, per attrazione semantica e fonica, la liquidità dello stil­ licidio del v. 62): e infatti il sistema rimico è del tutto revolutivo (disigilla:Si­ billa:) rispetto alla cadenzalità delle occorrenze precedenti (si ricordi la catena, vera e propria climax sinestetica, di Par. , XXIV 143-147 sigilla.favilla:scintilla:) . La fluida metamorficità della metafora dantesca agevola un'amplissima scala­ tura semantica che consente ad un medesimo vettore metaforico di attraver­ sare le tre cantiche con immutata forza espressiva, soltanto, di volta in volta, messa alla prova del diverso contesto iconico-filosofico in cui viene a trovarsi. Questo sottile quanto fitto sistema di richiami e consonanze metaforiche è il background testuale indispensabile per valorizzare in tutta la sua esplosiva novità 74 il nucleo, davvero simbolico in senso dionisiano, ancor prima che me74 L'unico precedente raffrontabile, ma che non esaurisce affatto le potenzialità sinestetiche del-

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EMANAZIONISMO E SINESTESIE DELLA LUCE FLUENTE

taforico, delle 'palpebre che bevono l'acqua del fiume fluvido di fulgore' di Par. , XXX 61- 90. n pellegrino è già stato trasumanato in 'uomo di luce' secon­ do una scrittura metaforica («così mi circunfulse luce viva l e lasciommi/ascia­ to di tal velo del suo fulgor, che nulla m'appariva>>, vv. 49- 51) che incenerisce ogni residuo odisseico (Ulisse che, in In/ , XXVI 48, «si /ascia di quel ch'elli è inceso», orrido alter-ego del pellegrino) nell'archetipo paolino dell'illumina­ zione estatica, e può finalmente 'bere l'acqua di luce' che gli scorre davanti «in forma di rivera>>. Qui la sinestesia della luce fluente va presa alla lettera: i sensi spirituali funzionano come quelli corporali nell'attingere alla luce equo­ rea che scaturisce direttamente dalla fonte divina. È come se a questo luogo apicale dell'estasi, apex mentzs75 in cui si riversa come un fiume la luce divina, puntasse tutto il sistema metaforico della emanatio lucis: qui finalmente si adempie il duplice movimento del viator verso la fonte e dell'acqua di luce che ne sgorga verso di lui per dissetarlo. n metaforismo discensivo della divina di/lusia sui, che costituisce l'architettura metaforico-emanativa del Paradzso, trova il suo supremo punto di incontro con il desiderio ascensivo del pellegri­ no nell'inesprimibile sinestesia della luce attinta con le palpebre,76 'metafora assoluta' per eccellenza, luogo sensuale quanto ineffabile di appercezione del divino attingibile solo con l'ennesima metafora domestica, qui l'umile cor­ poreitas del pellegrino, con quell'immagine della «gronda>> che, ancora una volta, immette, nell'attimo supremo, l'avvertimento dionisiano dell'ineluttabi­ lità di una nominazione infima dell'inesprimibile.

l'immagine, detratte dal solo Dante, è la straordinaria metafora scritturale ros lucis di Is 26, 19: «Vi­ vent mortui tui, interfecti mei resurgent. Expergisciniini, et laudate, qui habitatis in pulvere, quia ros lucis ros tuus, et terram gigantum detral!es in ruinam»: ma è come se Dante approfittasse soltanto del puro e semplice sinolo metaforico 'elemento liquido-luce', rinunciando significativamente, a ennesi­ ma prova della scontrosa novità del suo metaforismo, a riproporre una possibile metafora 'rugiada di luce' sia nelle quattro occorrenze, tutte purgatoriali e non metaforiche, di 'rugiada', che nel luogo supremo di abbeveramento alla luce divina, Par. , XXX 88, dove comunque si annida forse segreta­ mente, ex silentio, la valenza battesimale e rigenerativa (resurgent) del biblico ros lucis. Per altre con­ nessioni metaforiche, interessanti per Dante, rugiada-stilla-pioggia vedi Dt 32, 2, Mi 5, 7, Pr 3, 20. Da tenere presente una possibile mediazione dionisiana: abbiamo infatti visto sopra (cfr. nota 49) che per Dionigi Areopagita la rugiada è uno dei simboli della divina per/usio luminis. 75 Non si dimentichi che l'apex mentis nel linguaggio mistico medievale è denominato come «scintilla»: cfr. BoNAVENTURA DA BAGNOREGIO, Itinerarium mentis in Deum, I 6: «apex mentis seu synderesis scintilla>>, con palese implicazione della metafora della luce effusa all'apice dell'estasi mi­ stica. Cfr. , anche per le complesse radici stoiche della metafora, O. LornN, Psychologie et morale aux XII" et XIII• siècles, Louvain-Gembloux, Duculot 1948, llh, pp. 103-350; J. STELZENBERGER, Syneidesis Conscientia Gewissen, Paderbom, Schoningh 1963, in particolare pp. 81 sgg.; E. VON IvANKA, Plato­ nismo cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo nella Patristica, trad. it. , Milano, Vita e Pensiero 1992, pp. 246 sgg. 76 Metafora dionisiana, come ho tentato di dimostrare, testi alla mano, in AiuANI,

lei bevve la gronda l de le palpebre mie» ('Par. ' XXX 88) cit., pp. 14I-I42. -

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LA MAGNANIMITÀ METAFORICA DI DANTE E I PRIMI COMMENTATORI DELLA 'COMMEDIA' *

Non si dice nulla di nuovo se si rileva che, nel dipanarsi del secolare di­ battito critico, alla vena metaforica del poeta della Commedia non è stata ri­ servata l'attenzione che avrebbe meritato in sede di bilancio stilistico. Si ag­ giunga che la critica moderna ha affrontato desultoriamente l'indagine dell'impareggiabile inventio metaforica di Dante. Certo, non mancano, su sin­ goli campioni, glosse e notazioni di notevole dottrina e finezza; inoltre, negli ultimi decenni la dantistica ha prodotto studi di rilievo su aspetti fondanti del­ la complessa /acies retorica del poema; 1 ciò di cui si sente tuttora la mancanza * n titolo parafrasa quello dell'importante e ineludibile studio di F. FORTI, La magnanimità verbale. La transumptio, in ID., Magnanimitade. Studi su un tema dantesco, Roma, Carocci 2006

(x• ed. Bologna, Patron 1977), pp. 103-135· Con i preziosi suggerimenti del Prof. Marco Ariani, che vivamente ringrazio, quel saggio costituisce uno dei punti di partenza di questa ricerca. Per le citazioni dalla Commedia si è seguita l'edizione del Petrocchi (DANTE ALIGHIERI, La 'Commedia' secondo l'antica vulgata, 4 voli. , Milano, Mondadori 1966-1967) . Mio il corsivo che individua le sin­ gole metafore. 1 Si dà conto di alcuni dei titoli più significativi sulla retorica e sulla metafora nella Commedia apparsi negli ultimi decenni: A. PAGLIARO, Ulisse. Ricerche semantiche sulla 'Divina Commedia', 2 voli. , Messina-Firenze, D'Anna 1967, n. pp. 585-697; F. TATEO , meta/ora, in Enciclopedia dantesca, 6 voli., Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana 1970-1978 [= ED] , lli, 1971, pp. 926-932; ID., tran­ sumptio, in ED, V, 1976, pp. 69o-692; l. BALDELLI, Lingua e stile delle opere volgari di Dante, in ED, VI, 1978, pp. 93 sgg . ; FoRTI, La magnanimità verbale cit., passim; P. BoYDE, Retorica e stile nella lirica di Dante, Napoli, Liguori 1979, pp. 175-202; E. BIGI, Caratteri e funzioni della retorica nella 'Di­ vina Commedia', in ID., Forme e significati nella 'Divina Commedia', Bologna, Cappelli 1981, pp. 11-32; L. BATIAGLIA Ricci, Teoria retorica e prassi poetica: dal 'De vulgari eloquentia' alla 'Commedia' in EAD. , Dante e la tradizione letteraria medievale. Una proposta per la 'Commedia', Pisa, Giardini 1983, pp. 9-63; G. NENCIONI, Dante e la retorica, in ID., Tra grammatica e retorica, Torino, Einaudi 1983, pp. 108-131; E. RAlMONDI, Ontologia della meta/ora dantesca, «Letture Classensi>>, XV, 1986, pp. 99-109; E. PASQUJNI, Le metafore della visione nella 'Commedia', «Letture Classensi>>, XVI, 1987, pp. 129-151; P. DRONKE, Dante e le tradizioni latine medievali, trad. it. , Bologna, n Mulino 1990, pp. 33-44; R MERcuRI, 'Comedìa' di Dante Alighieri, in Letteratura Italiana, Le opere, I, Dalle origini al Cinquecento, Torino, Einaudi 1992, pp. 295-298; M. CoRTI, Analogia e invenzione, in EAD . , Percorsi dell'invenzione. Il linguaggio poetico di Dante, Torino, Einaudi 1993, p p . 51-74; E. LANDONI,

La grammatica come storia della poesia. Un nuovo disegno storiogra/ico per la letteratura italiana delle

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è un regesto che riunisca e inquadri criticamente i disiecta membra dell 'esegesi puntuale delle metafore della Commedia. Non si vuole certo in questa sede ripercorrere le tappe che hanno portato a questa impasse nella ricerca, quanto piuttosto, e più modestamente, osserva­ re la questione da una specola ridotta: come, cioè, i lettori più colti e avvertiti dei primi secoli recepivano e valutavano la cifra stilistica e la varietà tipologica delle metafore dantesche. Per compilare un dossier sufficientemente nutrito di dati attendibili e probanti, ci è parso opportuno interrogare i documenti che possono consentire, con sufficiente approssimazione, di enucleare delle rispo­ ste ai quesiti indicati: s'intende parlare dei commenti al poema dei secoli XIV­ XVI , precedenti allo iato che il 'secolo senza Dante', il XVII , ha creato tra an­ tica e moderna esegesi della Commedia. 2 Anche in questo settore marginale della ricerca si può contare su un certo numero di contributi che hanno chia­ rito le modalità di ricezione e interpretazione delle metafore dantesche da par­ te di alcuni tra gli antichi commentatori, in primis Benvenuto da Imola; 3 a origini attraverso grammatica, retorica e semantica, Roma, Bulzoni 1997, pp. 314-32.6; E. PASQUINI, Il do­ minio metaforico, in ID., Dante e le figure del vero. LA fabbrica della 'Commedia', Milano, Bruno Mon­ dadori 2.001, pp. 179-2.17; D. GIBBONS, Metaphor in Dante, Oxford, Legenda (European Humanities

Research Centre) 2.002. (nonostante il titolo questa monografia riguarda in special modo le metafore del Paradiso; delle caratteristiche delle metafore nelle altre due cantiche si parla in termini cursori); M. CERRONI, «Li versi strani». Forme dell'allegoria nella 'Commedia' di Dante, Pisa, ETS 2.003, pp. no­ m . J.A. Scorr, Understanding Dante, Notre Dan!e, University of Notte Dan!e Press 2.004, pp. 2.8o-2.86. 1 Per un quadro generale della fortuna di Dante nei primi secoli si rimanda a E. MALATO, Il

mito di Dante dal Tre al Novecento, in "Per co"er miglior acque. . . ". Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del Convegno (Verona-Ravenna, 2.5-2.9 ottobre 1999) , 2.

voli., Roma, Salerno Editrice 2.001, I, pp. 3-39, a p. 19 e sgg. Per una discussione sull'utilità dei com­ menti antichi per la moderna esegesi dantesca D. PARKER, Interpreting the commentary tradition to the 'Comedy', in Dante. Contemporary perspectives, ed. by A.A. Iannucci, Toronto, University of To­ ronto Press 1997, pp. 2.40-2.58. Un utile inquadramento generale sulle caratteristiche esegetiche dei primi commenti alla Commedia in S. BELLOMO, Dizionano dei commentatori danteschi. L'esegesi della 'Commedia' da Iacopo Alighieri a Nidcbeato, Firenze, Olschki 2.004, pp. 1-49; ID., L'interpretazione di Dante nel Tre e nel Quattrocento, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, XI, LA cri­ tica letteraria dal Due al Novecento, Roma, Salerno Editrice 2.003, pp. 13I-I69; ID., LA critica dantesca nel Cinquecento, ivi, pp. 3II-32.3. Si veda inoltre R ABARDO, I commenti danteschi: i commenti letterari, in Intorno al testo. Tipologie del co"edc esegetico e soluzioni editoriali. Atti del Convegno (Urbino, 1-3 ottobre 2.001), Roma, Salerno Editrice 2.003, pp. 32.1-376. Una panoramica sull'esegesi dantesca del Cinquecento in A. VALLONE, L'interpretazione di Dante nel Cinquecento. Studi e ricerche, Firenze, Olschki 19691• Per il Trecento e il Quattrocento Dante nel pensiero e nell'esegesi dei secoli XIV e XV. Atti del III Congresso Nazionale di Studi Danteschi (Melfi, 2.7 settembre-2 ottobre 1970), Fi­ renze, Olschki 1975. Saggi di grande interesse sull'esegesi trecentesca in Z.G. BARANSKI, «Chiosar con altro testo». Leggere Dante nel Trecento, Fiesole, Cadmo 2.001. Inoltre C. PAOLAZZI, Dante e la 'Comedia' nel Trecento, Milano, Vita e Pensiero 1989. l GIBBONS, Metaphor in Dante cit. , pp. 134-154, ha dedicato un capitolo del suo studio alla va­ lutazione delle metafore nei commenti trecenteschi; tuttavia lo studioso esamina solo alcuni aspetti dell'esegesi di Benvenuto da Imola e del Boccaccio. Su Benvenuto e le metafore del poema sono stati scritti studi di grande interesse: C. PAOLAZZI, Benvenuto e Dante 'poeta per/ectissimus' (a norma della

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quanto è dato di sapere, tuttavia, non si è mai esperita l'escussione dell'intero corpus dei commenti integrali alla Commedia redatti in questo arco temporale (e anche di alcuni parziali ma di sicuro interesse documentario). È ciò che s i è inteso fare con il presente studio: passare al vaglio le glosse dei commentatori su un numero cospicuo di occorrenze metaforiche del poema, con l'intento di fare emergere costanti ed eventuali variabili nella prassi esegetica, e di verificare quanto le concrezioni di una secolare tradi­ zione retorico-grammaticale di matrice classica abbiano ostacolato l'obietti­ va valutazione dello statuto espressivo delle metafore del poema. Non è que­ stione di poco momento, quando si rifletta sul retaggio esegetico e critico affluito nella dantistica moderna da questi immissari insostituibili, non fosse altro che per la vicinanza cronologica e culturale alla composizione della Commedia. Prima di procedere all'esame delle reazioni dei commentatori al cospetto del profluvio metaforico del poema, ci sia consentito un rapido excursus di na­ tura lessicale. Non ci si deve attendere, in seno alla vocabolario tecnico dei commenti, l'utilizzo di una terminologia consolidata e univoca per esprimere la nozione di metafora. li quadro del lessico retorico a disposizione dei com­ mentatori è a dir poco magmatico: il lessema 'metafora' (o metaphora) , risalen­ te alla trattazione aristotelica, fondativa dell'intera tradizione di studi retorici, subisce la concorrenza della voce della tradizione retorica latina 'translatione' (o translatio).4 Nei commenti recenziori, dal Landino in poi per intendersi, 'translatione' diventa di uso comune, mentre con 'metafora', come si vedrà più avanti, si preferisce indicare sensu !attore la figura retorica della metafora continuata o permutatio. Non è raro peraltro imbattersi, in tutto l'arco tempopoetica di Aristotele), in Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni. Atti del Convegno In­

ternazionale (Imola, 26 e 27 maggio 1989), Ravenna, Longo 1991, pp. 21-54, fondamentale per l'indivi­ duazione dell'humus aristotelica su cui si innesta la riflessione retorica del commentatore; A. Com. GNOLI, Realismo 'creatura/e' e 'comparatio domestica' nel commento dantesco di Benvenuto, ivi, pp. 205213; M. PAZZAGLIA, Benvenuto da Imola lettore della 'Commedia', ivi, pp. 251-275, alle pp. 266-27o. ln ge­ nerale sul Comentum di Benvenuto F. MAZzoNr, Benvenuto da Imola, in ED, I, 1970, pp. 593-596; C. Dro. Nrsorn, Lettura del commento di Benvenuto da Imola, in Atti del Convegno Internazionale di Studi Dan­ teschi (Ravenna, 1o-n settembre 1971), Ravenna, Longo 1979, pp. 203-215; G.C. ALESSIO, Sul 'Comentum' di Benvenuto da Imola, , XXVIII, 1999, pp. 73-94, alle pp. 91 sgg.; P. PASQUINO, Ben­ venuto da Imola: una lettura del viaggio dantesco in chiave 'letteraria', «Studi (e testi) italiani>>, 4, 1999, pp. 135-143· Una voce completa con ricca bibliografia in BELLOMO, Dizionano cit., pp. 142-162.

4 La tradizione del terniine retorico !IE'tacjlopa parte da Aristotele (Poetica, 20-21 e Rhet. , 1405a). Per il corrispettivo latino translatio Rhet. Ad Her. , IV 34: «Translatio est, curn verburn in quandarn rern transferetur ex alia re, quod propter sinillitudinern recte videbitur posse tranferri. Ea surnitur rei ante oculos ponendae causa>>. Nello stesso paragrafo si accenna alla questione decisiva ai nostri fini della convenientia come caratteristica nobilitante della metafora: «Translationern pudentern dicunt esse oportet, ut curn ratione in consirnilern rem transeat, ne sine dilectu temere et cupide videatur in dissirnilern transcurrisse». Vedi inoltre QurNTILIANO, Inst. orat. , VIII 6 4· -

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rale esaminato, nella forma 'transunzione' (oppure transumptio) , viva nella tra­ dizione retorica delle artes medievali.5 Non va infine taciuto un dato di primaria importanza in ordine al vocabo­ lario retorico dei commentatori: l'accezione corrente di 'metafora' in alcuni commenti trecenteschi pertiene a una sfera semantica ben più articolata e plu­ rivoca rispetto alla normativa della manualistica retorica moderna. 6 Sovente con 'metafora' questi primissimi chiosatori intendono fare riferimento tout court alle figurazioni polisemiche e allegoriche che innervano la rappresenta­ zione della realtà morale e fisica dell'oltremondo dantesco.? TI commentatore l Sulla terminologia medievale concernente la metafora DRONKE, Dante e le tradizioni latine me­ dievali cit., p. 33, e sulla transumptio pp. 37 sgg. Sul concetto di transumptio si veda lo studio di FoRTI, La magnanimità verbale cit. , passim. , e in part. sulla fondamentale trattazione di Boncompagno da Signa nella RhetorictJ novissima, pp. n8 sgg. 6 Si veda H. LAUSBERG , Elementi di retorictJ, trad. it. , Bologna, il Mulino 1969, pp. 127-128. 7 Ci limitiamo a riportare alcuni esempi: 'Comedia' di Dante degli Allagherii col commento di Jacopo della Lana bolognese, a cura di L. Scarabelli, 3 voli., Bologna, Tipografia Regia, 1866-1867,

(«Collezione di opere inedite e rare della Commissione per i testi di lingua») [= IAcoPo DELLA LANA] , l, p. r8r, a proposito della descrizione delle torri che intervallano le mura della città di Dite: . Su Iacopo della Lana vedi la voce corrispondente in BELLOMO, Dizionario cit., pp. 281-303. Inoltre F. MAzzoNI, Lana Iacopo della, in ED, III, 1971, pp. 563-565, e A. CornGNOLI, Per il Laneo, in ID., Le meta/ore della ragione. Dante Manzoni Tenca, Pisa, Giardini 1988, pp. 52-64. Per l'uso sensu latiore di 'metafora' anche L'Ottimo commento della 'Divina Commedia'. Testo inedito d'un contemporaneo di Dante, a cura di A. Torri, 3 voli., Pisa, Capurro 1827-1829, rist. anast. con pref. di F. Mazzoni, Sala Bolognese, Forni 1995 [= OrnMo] , III, p. 17, a proposito della descriptio temporis in Par., I 38-39, tramite l'immagine dei quattro cerchi e delle tre croci: . Nell 'accessus al suo commento Pietro Alighieri, (Il 'Commentarium' di Pie­ tro Alighieri nelle redazioni ashburnhamiana e ottoboniana, a cura di R della Vedova e M. T. Silvotti, nota introduttiva di E. Guidubaldi, Firenze, Olschki 1978, p. 5), scrive: «Quarto uditur alio sensu, qui dicitur metaphoricus, qui dicitur a meta quod est extra, et /ora naturam, unde metaphora, quasi sermo, �ive orario extra naturam: ut cum auctor fingit lignum loqui, prout facit in XIII Capitulo In­ ferni>>. E evidente che qui Pietro confonde la metafora con il senso allegorico. Sul Commentarium di Pietro Alighieri BELLOMO, Dizionario cit., pp. 78-91. In Commento alla 'Divina Commedia' di Ano­ nimo Fiorentino del sec. XN, a cura di P. Fanfani, 3 voli., Bologna, Gaetano Romagnoli 1866-1874 [= ANoNIMO FIORENTINO] , I, p. ro, viene ripresa la chiosa di Pietro: «TI quarto senso è metaforico. Metafora è uno detto quasi fuori natura, come quando l'autore finge uno legno parlare: siccome nel XIII canto d'Inferno». Sempre l'ANONIMO FiORENTINO, II, p. 139, a proposito del serpente, , nella valletta dei principi al sopraggiungere degli «astor celestiali» in Purg. , VIII 106-108: «Questo è da intendere sotto questa metafora, che, dove il demonio trova grazia di Dio negli uomini, però che vede quivi che le sue operazioni sarebbero indamo, si fugge». Sull'Anonimo Fio­ rentino si veda BELLOMO, Dizionario cit., pp. 97-101. Inoltre F. MAzzoNI, Anonimo Fiorentino, in ED, I, 1970, pp. 291-292. Sulla indistinzione in epoca medievale tra metafora e altre figure retoriche come -

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che, nel tardo XIV secolo, per primo adopera 'propriamente' il lessema meta­ phora è Benvenuto da Imola, ma occorre avvertire preliminarmente che l'Imo­ lese se ne serve solo qualora ritenga la figura consona ai propri canoni estetici e retorici; in questi casi accanto a metaphora viene collocata un'aggettivazione che tende a far risaltare l'apprezzamento incondizionato (la metafora sarà pro­ pria, propriissima, propriissima ad propositum, pulcra, pulcerrima, conveniens, optima etc.).8 Gli antichi commentatori della Commedia, nel valutare lo statuto delle fi­ gure retoriche, aderivano pedissequamente ai dettami della tradizione norma­ tiva retorico-grammaticale. In particolare, la metafora, in quanto elemento al­ lotrio nella locutio propria (aKupov), è un vitium che va 'giustificato' sulla base della necessitas (quando, cioè, la mancanza di un termine proprio, l'inopia ver­ borum, consenta l'adozione di un traslato) o ai fini artistici dell'ornatus. Basti qui allegare la testimonianza di Quintiliano: Copiam quoque sermonis auget [scii. la metafora] permutando aut mutuando quae non habet, quodque est difficillimum, praestat ne ulli rei nomen deesse videatur. Transfertur ergo nomen aut verbum ex eo loco in quo proprium est in eum in quo aut proprium deest aut traslatum proprio melius est. Id facimus aut quia necesse est aut quia significatius est, ut dixi, quia decentius. Ubi nihil horum praestabit quod trans­ feretur, improprium erit.9

l'allegoria vedi S. BRIOSI, Metafora e realtà: alcuni momenti della riflessione sulla meta/ora in Italia tra Trecento e Settecento, «Rivista di Studi Italiani>>, II, 1984, pp. 16-31, alle pp. 16-17. 8 Per un quadro dettagliato dell'uso di

metaphora nel commento di Benvenuto si rimanda a Dante 'poeta per/ectissimus' cit., pp. 37-41. Non è infrequente che i com­ mentatori adoperino similitudo per indicare una metafora: BENVENUTI DE RAMBALDIS DE IMOLA Co­ mentum super Dantis Aldighenj Comoediam, a cura di G.F. Lacaita, 5 voli., Firenze, Barbèra 1887 [= BENVENUTO DA IMOLA] , IV, p. 373 chiosa a Par., ID 86 (Dio è «quel mare al qual tutto si move») : PAOLAZZI, Benvenuto

e

«Et hic nota quantum similitudo maris sit propria: sicut enim omnes aquae habent hortum a mari, et revertuntur ad illum et mare non redundat: ita omnia tam creata quam generata sunt a Deo, et ad ipsum inclinantur diversimode, sicut patuit primo capitulo huius Paradisi, et ideo nihil accre­ scit>>. Giovanni Bertoldi da Serravalle (Fratris IOHANNIS DE SERRAVALLE Translatio et comentum to­ tius libri Dantis Aldighierii, 3 voli., Prato, Giacchetti 1891, rist. anast. , San Marino, Cassa di Rispar­ mio di San Marino 1986 [= GIOVANNI DA SERRAVALLE] , I, p. 91, chiosa a Inf , VI 49-50 («Ed elli a me: "La tua città, ch'è piena l d'invidia sì che gia trabocca il sacco"») : >. E un giu­ dizio che spiega ampiamente il motivo per cui l'Imolese è silente quando il poeta rompe il canone della convenientia per adottare l' ornatus audacior, quando non audacissimus. Si veda anche GIBBONS, Metaphor in Dante cit. , pp. 144-150.

LAUSBERG, Elementi di retorica cit., p. 128. In ossequio alla rigida normativa retorico-grammaticale antica, il Boccaccio più volte pre­

15 Cfr. 16

sume di dover 'scusare' il poeta per il suo 'improprio parlare'. Per alcune 'acirologie' dantesche cen­ surate e quindi 'scusate' dal Certaldese leggiamo ad esempio la chiosa a In/ , I 100 ( (lnf , I 55-57) . Si ricorda en passant che nello stesso contesto si colloca un'altra probabile sinestesia, quella del fioco, al centro per secoli di una vexata quaestio («Chi per lungo silenzio parea fioco» , Inf, I 63) Si veda l'analisi dell'intera tradizione esegetica su Inf , I, 63 in R HoLLANDER, Inferno I, 63: «Chi per lungo silenzio parea fioco» e la tradizione esegetica, in ID., Il Virgilio dantesco: tragedia nella 'Comme­ dia', Firenze, Olschki 1983, pp. 22-79. Inoltre F. MAzzoNI , Saggio di un nuovo commento alla 'Divina Commedia'. Inferno-canti I-III, Firenze, Sansoni 1967, pp. n4-II5. Da tenere in considerazione anche le conclusioni a cui giunge E. MALATO, Inf , I, 63: «Chi per lungo silenzio pareafioco», in ID., Lo fedele consiglio de la ragione. Studi e ricerche di letteratura, Roma, Salerno Editrice 1989, pp. 229-257. Utili indicazioni anche in S. AGLIANÒ, fioco, in ED, II, 1971, pp. 892-893. Importanti notazioni anche in A. PAGLIARO, Ulisse cit., I, pp. 25-43, e G. GoRNI, Dante nella selva. Il primo canto della 'Commedia', 20

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Tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi 'ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace.

(In/ , I 58-6o)

In un contesto di rilevante spessore allegorico - si ricordi che il Sole che 'veste le spalle' del colle ha una palese connotazione teofanica - il poeta esi­ bisce una preziosa figura metaforico-sinestetica, �� in cui vengono fatte collide­ re sensazioni di tipo visivo e sensazioni di tipo uditivo ('un sole che tace') .22 L'apparente irrazionalità del corto circuito sinestetico ha provocato uno choc palpabile tra i commentatori,�3 alcuni dei quali tacciono del tutto sulla meta­ fora, 24 mentre altri ci consegnano l'anodina esplicazione dell'humus allegorica sottesa alla superficie del testo. Tra questi vanno ricordati i primissimi com­ mentatori trecenteschi che agivano secondo l'urgenza ermeneutica che carat­ terizza questa fase aurorale della critica dantesca: ciò che conta è far rilevare che il poeta sta delineando il profilo morale del momento topico della sua esi­ stenza. La luce e le tenebre sono in tutte le culture i vettori metaforici dell ' e­ temo conflitto interiore tra il bene e il male. Graziolo dei Bambaglioli scrive: �5 «ac istam lupa eundem auctorem remittebat et retrudebat ad Iaea infima, idest villa et vitiosa, in quibus sol tacet». Sul medesimo coté esegetico si pone anche Iacopo della Lana:

Cioè in vita scura e tenebrosa. E qui figura la vita beata illuminata dal sole, cioè da Dio; sicché dove lo detto sole non illumina lì viene oscurità e silenzio di bene. �6

Firenze, Cesari 2002, pp. 54-56. Una recentissima messa a punto in E. MALATO, Saggio di una nuova edizione commentata delle opere di Dante. Il primo canto dell"Inferno', «Rivista di Studi Danteschi>>, vn, r, 2007, pp. 36-39. :u

Cfr. TATEO, metafora cit. , p. 927.

" Sui significati traslati del verbo 'tacere' nell'opera dantesca si veda la corrispondente voce in ED, V, 1976, pp. 504-506, a cura di A. Piccoli. Cfr. inoltre HOLLANDER, Inferno I, 63 cit., pp. 66 sgg. D. CoFANO , La retorica del silenzio nella 'Divina Commedia', Bari, Palomar 2003, p. n4, ha raccolto le sinestesie del poema basate sulle 'figure' del silenzio (vengono segnalate, tra le altre, quelle presenti in Inf , V 94-96; Par., V 88-89; Par., XIII 31; Par., XXI 44; Par. , XXI 49) . In generale sulle sinestesie nella Commedia G. CAMBON , Synaesthesia in the 'Divine Comedy', «Dante studies», LXXXVIII , 1970, pp. I-16. •l Sull'irrazionalità di questa figura vedi

ferno' I, I-63, «Letture Oassensi», '"'�

T. WLASSICS, L'onirismo dell"incipit': appunti su 'In­

XVIII, 1989, pp.

36-37.

Jacopo Alighieri, Pietro Alighieri, l'Ottimo , Guglielmo Maramauro e Castelvetro passano sotto silenzio la metafora, evitando anche solo di esplicare il significato allegorico.

• s GRAZIOLO BAMBAGLIOLI, Commento all"Inferno' di Dante, a cura di L. C. Rossi, Pisa, Scuola Normale Superiore 1998 [= BAMBAGLIOLI] , p. 14. Su Graziolo dei Bambaglioli vedi BELLOMO, Dizio­ nario cit., pp. m-124. Inoltre F. MAzzoNI, Bambaglioli Graziolo de', in ED, I, 1970, pp. 506-507.

'6

IAcopo DELLA LANA, I, p.

m.

Si dà conto di seguito delle chiose degli altri commentatori che -

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Alessandro Vellutello, due secoli più tardi, ripropone questa lettura vulgata di impronta allegorico-morale. L'oscurità della selva rappresenta 'l'habito del vitio', il luogo in cui non vige la grazia illuminante di Dio: E venendomi in contro, mi ripingeva a poco a poco ne la oscurità de la selva, ne l'habito del vitio, là dove tace, là in quel luogo nel quale non risplende, il sole, che veduto havea sul colle, e moralmente, là dove è spento ogni lume de la divina et il­ luminante gratia, figurata per esso sole.27

Benvenuto da Imola, in virtù del suo culto della proprietas e della conve­ nientia, tace sulla sinestesia e si limita a chiosare: non si discostano da questa interpretazione. GUIDO DA PrsA, Expositio et glose super comediam Dantis or commentary on Dante's Inferno, edited with notes and an introduction by V. Cioffari, Albany New York, State University of New York press 1974 [= GuiDO DA PrsA] , p. 14, si limita a chiosare: . Su Guido da Pisa, BELLOMO, Dizionano cit., pp. 268-2.80. Le Chiose Ambrosiane (Chiose Ambrosiane alla 'Commedia', edizione e saggio di commento a cura di L.C. Rossi, Pisa, Scuola Normale Superiore 1990 [= CHIOSE AMBROSIANE] , p. 6) riportano: . Sulle Chiose Ambrosiane BELLOMO, Dizionario cit. , pp. 209-211, con bi­ bliografia precedente. Inoltre Commento di Francesco da Buti sopra la 'Divina Commedia' di Dante Allighieri, a cura di C. Giannini, 3 voli., Pisa, Fratelli Nistri 1858-1862, rist. anast. , Pisa, Nistri Lischi 1989 [= FRANCESCO DA Bun], I, p. 35: , n.s., vol. 27, 2006, pp. 41-70 alle pp. 52-53. Sempre utile la lettura di VALLONE, L'in­ terpretazione di Dante nel Cinquecento cit., pp. 125-129. ll bersaglio polemico principale del com­ mento del Vellutello, attento soprattutto alla scoperta del senso del testo, è costituito dai commenti che fanno del poema soprattutto un pretesto per digressioni e prolisse disquisizioni teoriche, in pri­ mis quello del Landino. Cfr. PROCACCIOLI, La 'Nova esposizzone' di Alessandro Vellutello cit., passim.

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Et ecce quomodo fecit me talem, ché, idest qui, venendomi incontro mi ripingeva là dove il sol tace: scilicet ad vallem, ubi sol non lucet, sicut in monte. 28

È troppo poco se lo si commisura all'elogio appassionato riservato alla contigua similitudine del mercante (In/ , I 55-57), definita «comparationem pulcram et propriam mercatoris». 29 n primo a interessarsi all'aspetto tecnico-retorico della sinestesia e a rile­ vare l'affinità con la figura di In/ , V 28 («lo venni in luogo d'ogni luce mu­ to»P0 è il Boccaccio. Per 'scusare' le apparenti incongruenze del testo («Ma questo modo di parlare si scusa per una figura la quale si chiama acirologia») e porre rimedio all'improprietà ('improprio parlare' in quanto il sole non può tacere: tacere e parlare sono caratteristiche 'propiamente dell'uomo'), il Cer­ taldese si vede costretto a prelevare dalla tradizione retorico-grammaticale il tecnicismo 'acirologia', un hapax nei commentaria antichi alla Commedia, se si esclude la ripresa che negli anni immediatamente successivi ne farà Filippo Villani .3' Come ulteriore 'giustificazione' il Boccaccio allega il precedente di una auctoritas scritturale: 32 28 BENVENUTO DA IMOLA, l, p. 42. GIOVANNI DA SERRAVALLE, l, p. 3I, ripropone la chiosa ben­ venutiana iscrivendola nel suo contesto morale: ). Senza ricorrere a tecnicismi retorici, precisa che si tratta di una licenza usuale se si pensa a lo­ cuzioni poetiche come 'il prato ride' . Anche questo si presenta come un esca­ motage, sia pure implicito, per 'giustificare' la scelta stilistica dantesca attra­ verso l'allegazione del reperto della tradizione poetica; in ogni caso ciò che importa è quel che il poeta 'moralmente vuol dire' : Ove il sol tace. Qui per figura loquitur improprie, cioè parla non propriamente, ché dice essere sospinto dove il Sole tace, cioè non luce; et è questo modo di parlare che in molti luoghi usano i Poeti quando dicono, il prato rzde. Et moralmente vuoi dire ch'era sospinto nella selva, nella valle d'onde era uscito, ove dice essere spento ogni razzo di virtù e d'ogni bene. 34

L'unico tra i commentatori ad apprezzare la bellezza e l'espressività della sinestesia è Trifon Gabriele: il veneto parla di 'bella translatione' in cui sensa­ zioni della vista vengono trasferite all'udito («tolta da l'orecchia a l'occhio»). S i tratta di un unicum nella prassi esegetica del Gabriele il quale di solito de­ plora seccamente ogni 'indebito' sconfinamento del poeta nelle improprietà dello stile metaforico. Anch'egli, peraltro, sente di dover aggiungere che 'simi­ le translatione' compare nella tradizione letteraria già in epoca classica, e più

«In verbis quoque cavenda sunt vitia, ut non impropria verba ponantur, quae Greci Acyrologian vo­ cant. Amanda est ergo proprietas, sic tarnen ut aliquando propter humilitatem sordidi aut spurci vocabuli translatis nominibus sit utendum, non tarnen longe accitis, sed ut veris proxima et co­ gnata videantur>>. Sul concetto di proprium in retorica si veda LAUSBERG, Elementi di retorica cit., pp. 102-106. l2 La citazione evangelica è tratta da ll

Mt 9, 32-33.

BoccACCIO, p. 28. Va sottolineato che nella tradizione retorica l'acirologia non era una figura

ma un vitium. l4

ANONIMO FIORENTINO, I,

p. r8.

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precisamente in Plinio. Questa aggiunta, già rilevata nel Boccaccio e nell'Ano­ nimo Fiorentino, svolge l'evidente funzione di attenuare la novitas dell'imma­ gine dantesca e di avallare la scelta del poeta: Mi ripigneva là dove il sol sol tace: bella translatione certo, tolta dalla orecchia a l'occhio: ivi tace il sole ove non luce, cioè nella selva, che disse sopra, e nel vitio. Si­ mile translatione usa spesso Plinio, che, mentre ch'egli vuol dire che alcuna cosa sia da fare o non fare, quando la luna non luce et è in coito, dice silente luna.35

Per rimanere nell'ambito delle sinestesie del poema, ci sembra opportuno accompagnare il poeta mentre descrive una delle prime e palpitanti manifesta­ zioni dell' excessus mentis determinato dalla visione divina. Dante 'beve' la luce divina con la 'gronda delle palpebre'. È una delle numerosissime metafore del gusto che nella terza cantica esprimono l'esperienza ineffabile della visione di Dio, testimonianza della >,45 non poteva non lasciare interdetti i commentatori antichi, e in parte sor-

"" Si riportano le altre chiose. GIOVANNI DA SERRAVALLE, III , p. n73: . VELLUTELLO, III , p. 1688: > (Inf , XVII 57). 46 La Chiavacci Leonardi (DANTE ALIGHIERI, Commedia, con il commento di A.M. Chiavacci Leonardi, I, Inferno, Milano, Mondadori 1991, pp. 521-522) scrive: «Il corso (curro è deverbale da cur­ rere) [ . . . ] Altri intende carro, cocchio, come latinismo dal lat. Currus. Si tratta nei due casi di voce rara, richiesta dalla difficile rima in -urro. Preferiamo la prima più semplice ipotesi, sembrandoci ina­ deguata al contesto la troppo impottante metafora 'cocchio dello sguardo'». B. CORDATI MARTI­ NELLI, curro, in ED, II, 1970, p. 290, rincara la dose: «Bisogna però dire che questa del 'carro dello sguardo' è un fatto isolato e piuttosto goffo; mentre la navicella del Purgatorio è assai più agile ed espressiva, e troverà soprattutto uno sviluppo notevole nella terza cantica>>. Il Torraca (DANTE ALI. GHIERI, La Divina Commedia, commentata da F. Torraca, Firenze, Società Editrice Dante Alighieri 1915, p. 128), primo tra i moderni interpreti, accetta la lettura 'carro dello sguardo', sulla scotta di sintagmi come 'navicella de lo 'ngegno' e 'la stiva della mente'. Alla proposta del Torraca si allinea anche il Sapegno nel suo commento (DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, a cura di N. Sapegno, Milano-Napoli, Ricciardi 1957, p. 2oo). 47 BENVENUTO DA IMoLA, I, p. 572. GIOVANNI DA SERRAVALLE, I, p. 220, segue la chiosa di Ben­ venuto: . Tacciono del tutto sulla metafora Jacopo Alighieri, il Bambaglioli, Jacopo della Lana, Pie­ tro Alighieri, Guido da Pisa, l'Ottimo, Guglielmo Maramauro e Bernardino Daniello.

48 CmosE AMBROSIANE, p. 50. L'ANoNIMO FIORENTINO, I, p. 392, laconicamente: «Poi proce­

dendo. Parla qui metaforice».

49 FRANCESCO DA BuTI, I, p. 456. so Basta scorrere le chiose dei commentatori moderni presenti nel database del

Darthmouth

LA MAGNANIMITÀ METAFORICA DI DANTE

idiosincrasie dei commentatori antichi hanno condizionato lo svolgersi della secolare interpretazione di singoli loci della Commedia. n Landino da parte sua sembra voler concilare le due letture: «Poi procedendo di mio guardo el curro: quasi un trascorrimento. Imperoché l'occhio procede continuando di chosa in chosa chome el carro procede nel suo viaggio».5' Trifon Gabriele, corifeo di un classicismo franco e tagliente, sentenzia che la 'traslatione' è 'dura'; riesce solo in parte a 'scusare' il poeta perché l'aver detto 'procedendo' attenua l'improprietas dell'immagine del 'curro'; l'idea del movimento orizzontale può in qualche modo aver suggerito al poeta la metafora del carro. È questo l'unico uhpEUIJ.a in grado di attenuare il severo giudizio: «Il curro, idest il carro: è dura traslatione ma fello avendo detto pro­ cedendo». 52 Ancor più duro è il giudizio di Lodovico Castelvetro. n commentatore, irritato dall" enormità' della metafora di locomozione, si lascia andare al sarca­ smo più sprezzante. Lo sguardo del poeta doveva pur usare un qualche mezzo di trasporto, fosse un cavallo, un carro o una carretta, una lettiga etc. Niente di strano, quindi, se tra i tanti ne ha scelto uno. L'intransigente habitus razio­ nalista del Castelvetro non fa sconti alle 'bizzarrie' stilistiche di Dante: Poz; procedendo di mio guardo il curro. Se il guardo andava avanti, bisognava che an­ dasse co' piedi, o a cavallo, o in carro o in carretta, o in lettica o in nave, o con l'ali. Ora il guardo di Dante andava in curro e perciò dice: procedendo il curro del mio guardo.H

Dante Project per rendersi conto di come questa esegesi sia stata resistente nei secoli, pur in presenza di interpretazioni diverse tra i primi commentatori. 5! LANDINO, Il, p. 726.

51 TRIFON GABRIELE , p. 70. VELLUTELLO, I, p. 482, riprendendo la chiosa del Landino: >. 54 L'OrnMo, II, p. 29, riprende alla lettera la chiosa dd Lana. Ancora oggi la questione dd si­ gnificato da attribuire a 'scoglio' è sub iudice. L'ipotesi prevalente è qudla che per 'scoglio' intende l'involucro di pdle simile a qudlo che i serpenti dismettono dopo la muta. L'origine dd termine an­ drebbe cercata nd latino spolium che significa, appunto, 'pdle'. Cfr. D. CoNSOLI, scoglio, in ED, V, 1976, pp. 81-82. Sta di fatto che in tutte le occorrenze dd termine ndla Commedia 'scoglio' indica o le strutture rocciose che formano il paesaggio di tanti luoghi infernali, oppure indica lo 'scoglio' nd senso che ancora oggi la parola conserva, e cioè di roccia marina eminente (dal lat. scopulum). G. MuRESU, L'inno e il canto d'amore (Purgatorio m, in ID., Tra gli adepti di Sodoma. Saggi di seman­ tica dantesca (teruz serie), Roma, Bulzoni 2002, pp. 171-237, alle pp. 194-200, ha sostenuto che lo 'sco­ glio' in questione è metafora tipicamente marina, considerata l'importanza dd mare nei primi due canti dd Purgatorio. Questa interpretazione, che aumenta il grado di arditezza ddla metafora dante­ sca, ci pare tutto considerato convincente. Dd resto si sa che la simbolica nautica aveva rivestito un ruolo primario ndla ecclesiologia cristiana. TI mare, ndla sua realtà mutevole e minacciosa, è simbolo dd vita terrena e dd peccato. Si rimanda per una ampia documentazione a riguardo a H. RAHNER, Il

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Benvenuto si allinea a questa esegesi moralizzante: il saxum, come onus che schiaccia l'anima di ogni peccatore; l'Imolese sembra non ravvisare la difficol­ tà di coniugare l'atto dello spogliarsi con la insolita metafora minerale (tradu­ ce 'a spogliarvi' col banale deponendum) :

Ergo correte al monte, scilicet purgatorii, a spogliarvi lo scoglio, idest deponen­ dum saxum et onus vitiorum, quod pergravat animarn ad ima; ideo dicit: ch'esser non lascia a voi Dio manz/esto; ad quem itur per istum montem altum. 55 TI Buti legge 'macchia', ripianando così l'estrema asperità del testo: Correte al monte, cioè del purgatorio e de la penitenza, che è faticosa et alta come 'l monte, a spogliarvi lo scoglio, cioè la macchia del vizio e del peccato, la quale si spol­ lia co la penitenza, ch'esser non fassa a voi Dio manifesto: la macchia del peccato ab­ ballia sì lo nostro intelletto, che non può conoscere, né intendere Dio se prima non si purga co la penitenza.56

mare del mondo, in ID., Simboli della Chiesa. L'ecclesiologia deipadri, Milano, San Paolo 1971, pp. 455509. Al contrario vi è chi sostiene l'ascendenza biblica della metafora della pelle di cui l'uomo si deve liberare per riacquistare la libertà dal peccato e dal male. n testo di riferimento è Gen 3, 21 in cui si parla delle tunicae pelliceae di cui furono rivestiti Adamo ed Eva dopo il peccato originale e da allora simbolo del peccato da cui l'uomo nuovo si deve liberare. In secondo luogo viene PAOLO, Col, 3, 9-10: «Nolite mentiti invicem, expoliantes vos veterem hominem cum actibus suis, et induentes novum eum, qui renovatur in agnitionem secundum imaginem eius qui creavit illum». Per una ampia discus­ sione di tutte le fonti bibliche e patristiche a favore dell'interpretazione dello 'scoglio' dantesco come riferimento alle tunicae pelliceae della Genesi si rimanda a L. PERmE, Dante, la scoglio e la vesta, in Da una riva all'altra. Studi in onore di Antonio D'Andrea, Firenze, Cadmo 1995, pp. 85-101. Inoltre P. RIGO, Memoria classica e memoria biblica in Dante, Firenze, Olschki 1994. pp. 93-94. Da ultimo si veda M. PicoNE, Canto II, in Lectura Dantis Turicensis. Purgatorio, a cura di G. Giintert e M. Picone, Firenze, Cesari 2001, pp. 40-41. n Picone propende per l'interpretazione dello 'scoglio' connessa al­ l' area semantica marina e in particolare al mito delle Sirene, intese come simboli della tentazione e del peccato. Non va dimenticato che, secondo l'opinione del Wlassics, spesso è Dante stesso che lascia volutamente ambiguo il significato di un termine, aumentandone così l'irradiazione semantica. Cfr. il fondamentale studio di WLASSICS, Ambivalenze dantesche, in ID., Dante na"atore cit., pp. 7-34. In ogni caso ciò che più interessa in questa sede è che alcuni commentatori (Benvenuto, il Gabriele e il Castelvetro) accolgono senza esitazioni l'interpretazione più imbarazzante, evidenziando reazioni conformi al loro habitus critico. 55 BENVENUTO DA !MOLA, III , pp. 77-78. GIOVANNI DA SERRAVALLE, II, p. 453, replica la chiosa di Benvenuto: «Currite ad montem ad expoliandum scorium, lolium, idest pondus, vel sarcinam, pec­ catorum, idest ad purgandum vos de peccatis vestris, quae privant vos de cognitione Dei, vel visione, quod esse non permittit vobis Deum manifestum>>. VELLUTELLO, II, 795: «Co"ete al monte, signifi­ cato per la contemplazione, a spogliarvi la scoglio, ciò è, a torvi l'impedimento, che non vi lascia essere manifesto Dio, e questo è il vitio, del qual bisogna purgarsi, chi lo vuoi, quanto può essere in lui, conoscere e vedere. Perché sì come lo scoglio impedisce l'occhio, che oltre di quello non può vedere, così impedisce il vitio l'intelletto, che non può intender né conoscer Dio>>. DANIELLO, p. 247, si limita a parlare di 'ostaculo': >.

LA MAGNANIMITÀ METAFORICA DI DANTE

Qualche decennio più tardi, nd pieno dd classicismo cinquecentesco, Tri­ fon Gabride è ancor più perentorio nell'identificare la metafora con lo 'stare nella presa metafora'. TI meccanismo metaforico in verbis singulis non viene preso in considerazione, mentre il discrimen tra le tre 'spetie' di metafore è segnato dall'uscire o meno dal reticolo transuntivo (in retorica si parla di tota allegoria e di mixta allegoria), come fa Dante dicendo >.84 Si danno casi di canti paradisiaci costituiti da un fitta trama transun­ tiva: il canto duodecimo del Paradiso, ad esempio, è strutturato proprio su una ossatura evidentissima di transumptiones appartenenti a svariati campi se­ mantici; l'agiografia di Domenico si dipana lungo serie metaforiche che scan­ discono l'iter della vicenda terrena del santo 'adeta' (immagini militari cui se­ guono metafore agricole e sponsali di derivazione biblica etc.) .85 Tra i più convinti estimatori delle transumptiones della Commedia possia­ mo annoverare Benvenuto da Imola, il quale, in virtù della proprietas intrin­ seca di queste immagini, ne esalta la pulchritudo. L'interesse per la struttura metaforica del poema si risveglia e l'Imolese ha agio di lodare l'inventiva dantesca. Sulla medesima linea, ma non per evidenziare la bellezza delle tran­ sumptiones, quanto per giustificare l'uso di un linguaggio improprio, si collo­ cano i commentatori cinquecenteschi. Un Gabriele, ad esempio, non perde occasione per 'giustificare' l'uso dantesco del linguaggio metaforico solo sulla base di una 'corretta' e 'propria' connessione analogica tra i membri che co-

(RAIMONDI, Ontologia della meta/ora dantesca cit., passim). Sui sistemi transuntivi nella Commedia vedi PASQUINI, Il dominio metaforico cit., p. 190 e sgg. Suggestiva e degna di essere sviluppata è la proposta dello studioso che suggerisce di estendere l'analisi delle transumptiones dal loro contesto alle ricorrenze intratestuali (si pensi solo alle metafore nautiche). Cfr. inoltre ID., Le meta/ore della visione nella 'Commedia' cit., pp. 135-136, e BIGI, Caratteri e funzioni della retorica nella 'Divina Com­ media' cit., p. 15 e sgg. Sempre utile il quadro d'insieme in TATEO, transumptio cit., passim. 84 PASQUINI, Il dominio metaforico cit., pp. 208-209. Si veda inoltre GIBBONS, Metaphor in Dante cit., pp. 60-65. Vedi anche PAGLIARO, Ulisse cit., II, p. 644. Pagine importanti anche nell'introduzione a DANTE ALIGHIERI, Commedia, a cura di E. Pasquini e A. Quaglie, III , Paradiso, Milano, Garzanti 1986, pp. XXXIII-XXXVI . B s Sul canto XII dd Paradiso e in particolare sulla sua struttura metaforica si veda G. LEDDA, Osservazioni sul panegirico di Domenico (Par. XII, JI-II4), «L'Alighieri», n.s., vol. 27, 2006, pp. 105-125. ll Ledda sottolinea la relazione tra l'uso massiccio delle transumptiones nella terza cantica e il topos dell'ineffabilità. Su questo tema cfr. ID., La guerra della lingua. Ine/fabilità, retorica e nar­ rativa nella 'Commedia' di Dante, Ravenna, Longo 2002, passim. Sul canto XII e sulla sua struttura transuntiva anche M. Scorn, In margine al canto di San Domenico, in ID., Il Dante di Ozanam e altri saggi, Firenze, Olschki 2002, pp. II5-144: 133. Sulle fonti scritturali ddla serie metaforica che percorre buona parte dd canto cfr. G. PAPARELLI, Il canto XII del 'Paradiso', in ID., Ideologia e poesia di Dante, Firenze, Olschki 1975, pp. 289-304. Su suggestive consonanze tra le metafore adoperate dal poeta nella descrizione ddla vita dd santo e l'omiletica domenicana cfr. C. DELCORNO, Cadenze e figure della predicazione nel viaggio dantesco, «Letture Classensi>>, XV, 1986, pp. 42-60, alle pp. 50 sgg.

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stituiscono la transumptio. Si propone un ragionamento del tipo: 'avendo det­ to così, può dire' etc. TI caso limite è quello in cui il Gabriele giustifica a di­ stanza la 'dura' metafora della spada usata da Beatrice in Purg., XXX 57 con la medesima immagine usata ad apertura del canto seguente. 86 Vediamo ora qualche caso concreto. Una delle catene transuntive più complesse («una formidabile transumptio») 87 della prima cantica viene messa in bocca alla 'bestia' Vanni Fucci il quale, per provocare l'amarezza di Dante («E detto l'ho perché doler ti debbia ! », Inf, XXIV 151), rilascia una tenebrosa profezia sul destino della parte Bianca.88 Tutti gli agenti atmosferici vengono convocati per figurare, nel linguaggio immaginifico e biblico della profezia, l'addensarsi e l'esplodere della tragedia sul capo dei Bianchi. 89 86 Si trana di due momenti della dura requisitoria di Beatrice nei confronti di DANTE, Purg., XXX 57: >.VELLUTELLO, I, p. 631: «Calar le vele e raccoglier le sarte, ciò è pentirsi de' passati errori, e distrarsi da quelli, non essendo questa nostra vita altro che una navigatione, de la qual la vecchiezza è il porto in che ciascun dovrebbe posarsi, e senza più tentar Cariddi e Scilla prepararsi al fine». DANIELLO, p. q8: . Nella terza redazione di PIETRO ALIGHIERI, Comentum super poema 'Comedie' .

Dantis. A Criticai edition o/ the third and /inal dra/t o/ Pietro's Alighieri on Dante's The 'Divine Co­ medy', ed. by M. Chiaroenti, Tempe, Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies 2002, p. 525, leggiamo: >) e la sua proprietas 'dottissima': O voi che sete: non ha voluto dir altro, se non quello che la virgiliana Sibilla nel VI disse: Procu4 o procul este pro/ani. Sta dottissimamente nella metafora [. . ] Legno, avendo detto barca, e per longo spatio andrà nella metafora. 113 .

Benedetto Varchi adopera la categoria dell'allegoria e definisce 'meravi­ gliosissima' la figura, facendo seguire a ogni immagine la 'sentenza' del testo:

E perché si ricordava che se bene il subbietto suo era teologico, nondimeno egli lo trattava poeticamente, usa una metafora o più tosto allegoria meravigliosissima [. . . ] Cantando, scrivendo poeticamente, ed in questa parola abbandonò l'allegoria per me­ glio dichiararsi. Onde è da sapere che alcuna volta si lascia la metafora del tutto senza più ripigliarla; alcuna volta si lascia ma vi si ritorna; alcuna volta non s'abbandona mai [. . .] Tornate a riveder gli vostri liti; seguita la traslazione, e non significa altro in sen­ tenza se non, ritomatevi indietro donde partiste [. . ] L'acqua ch'io prendo, stando pu­ re nella traslazione, ciò è la materia che io scrivo [. .. ] Spira, soffia e mi dà i venti prop­ izi e favoreggianti, perseverando nella traslazione, che non è altro a dire, se non che la Filosofia gli dà materia, secondo il precetto di Orazio [. . .] Nove muse mi dimostran l'Orse: seguita meravigliosamente la presa metafora perciocché come ciascuna nave ha bisogno a salvamente giugnere in porto, dei venti favorevoli che la spingano, d'un .

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LANDINO, IV, pp. 1584-1585. TRIFON GABRIELE, p. 265. DANIELLO, p. 494: «Dice adunque, o voi che sete seguiti, cioè che sete venuti seguitando in piccioletta barca, rispetto al suo legno che varca, passa cantando, rassomi­ gliando il mare, alla materia profonda di Teologia; il legno, al suo ingegno [. .. ] Conciosia che la ma­ teria che egli trattar intende, non fosse mai da niuno altro trattata; ma dice acqua, per dimorare nella cominciata metafora dd mare>>. !IJ

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piloto che la regga e governi, e di chi ne dimostri l'Orse, ciò è il Polo, mediante il quale si naviga oggi; così ciascun poeta ha bisogno di tre cose principalmente, della invenzione o vero subbietto, della disposizione, o vero ordine, dell'elocuzione o vero ornato parlare. 114 Si potrebbe continuare a lungo con la registrazione delle chiose dei com­ mentatori alle transumptiones della Commedia e in particolare di quelle del Pa­ radiso. La terza cantica è un'autentica miniera di metafore continuate che si configurano come lo strumento stilistico privilegiato dal poeta per rendere palpabile la vertiginosa materia paradisiaca. In ogni caso la reazione dei com­ mentatori si rivela costante: sempre vivo è l'apprezzamento di questa figura dell' ornatus, a discapito delle metafore singole che, specie se particolarmente audaci, comportano il rischio inaccettabile dell'improprietas. Ciò che si spera, modestamente, è di aver messo in luce, almeno in parte, l'ottica specifica dei commentatori dei primi secoli riguardo alla complessa partitura metafori­ ca della Commedia. Allora, e per alcuni versi ancora oggi, il genio dantesco appariva difficilmente imprigionabile in schemi e categorie validi una volta per tutte.

114 La chiosa ad loc. del Varchi è stata reperita nel database del Darthmouth Dante Project (sito web http//Dante. Dattmouth. edu) Vediamo infine la chiosa del VELLUTELLO, m, p. 1276: «Adunque, sì come al legno che si mette in mare sono necessarie tre cose principali, se si dè condur a porto, ciò è, il vento prospero che spiri in lui, il conduttor che stia al temone et indirizzi la prora per la sua via, e la bussola che dinrostri la tramontana, a ciò che secondo quella si comandi al legno, e che ultima­ mente si conduce a porto, così tre cose principali sono necessarie al poeta che s'assumme di voler poetando trattar d'alcuna materia. Prima la scientia appropriata a tal materia, e questa nel suo inge­ gno spira et infonde Minerva. Lo stile col poetico furore, e questo l'ha da Apolline, che col suo in­ gegno governa e regge et indirizzalo per la sua via. Terzo et ultimo il soave e dolce canto, e questo l'ha da le nove Muse».

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Abardo, Rudy: 17711, 222n. Abelardo, Pietro: 13n, 68 e n. Abele: 14711. Achille: 98n, 103n. Achitofel (consigliere di Davide) : 81. Achtemeier, Paul J.: 143n. Adamo: 62 e n, 99, 139n, 146n, 14711, 239n. Adorno, Francesco: 109n. Adrien, Marcus: I24fi. Aelredo di Rievaulx: H9n, 126n. Agag (re degli Amaleciti) : 86 e n. Agamben, Giorgio: 44fi . Ageno, Franca vedi Brambilla Ageno, Franca Aglianò, Sebastiano: 15on, 15711, 229n. Agostino, Aurelio (vescovo d'lppona): 3, mn, 34fi, 51, 53n, 6m, 62 e n, 66 e n, 69 e n, 94fi, 106 e n, 109n, 123n, 128, 129n, 136n, 15m, 152 e n, 163n, 19711, 198 e n, 205n, 2o6n, 209n. Ahem, John: H3n, II4fi, H6 e n, II711, 12on. Aimone di Halberstadt: 12on, 152 e n. Alano di Auxerre: 16on. Alano di Lilla: m, 5n, 24fi, 2711, 30n, 31 e n, 35n, 48, 54fi.J 57, 73 e n, 15m, 158 e n, 199 e n, 212. Alardo (Erart di Valéry) : 79· Alberico da Rosciate: 156n. Alberico di Montecassino senior (Albericus Casinensis): 1om. Albertano da Brescia: 69n, 70n, 72 e n. Alberti, Leon Battista: 126n. Alberto di Stade: 14ffi . Alberto Magno: 12n, 13n, 15 e n, 21 e n, 23n, 25 e n, 28n, 33n, 172, 174fi, 178n, 185n, 194, 195fi, 196, 200 e n, 2om, 204, 2o6n, 209n, 21on, 21m, 243n. Albrile, Ezio: 19m. Alessandro di Neckam: 169n, 17on, 188n. Alessi: 162. Alessio, Gian Carlo: m, 4fi, 20n, 158n, 223n, 24711· Alfano, Giancarlo: 23711.

Alfano, Giulio: 109n. Alfragano: 18m. AJhazen: 174, 175n, 176n, 188n, 19on. Alighieri, Jacopo: 23on, 236n, 244fi 253 e n, 256n. Alighieri, Pietro: 20n, 42n, 43n, 63 e n, 91, 156n, 224fi, 23on, 235n, 236n, 24ffi 244fi 246n, 256n, 259n. Alkindi: 174fi, 190 e n, 191 e n. Allard, Guy-H. : 33n. Allegretti, Paola: 83n, 258n, 259n. Allen, Don C.: 16n. Allm and, Christopher: 8711. Almansi, Guido: 25m. Amalech (nemico di Israele): 72n, 86 e n. Ambrogio di Milano: 67 e n, 126n, 146n, 152 e n, 17on, I74fi· Ammiano Marcellino: 14on. Anassagora: 19711. Anceschi, Freya: 234fi· Anconetani, Raffaella: 13m. Anderson, William : 53 e n. Andriani, Beniamino: 136n, 178n. Angiolieri, Cecco: 12m, I24fi. Anonimo Fiorentino: 42n, 156n, 224fi, 233 e n, 234, 236n, 24m, 24711, 253n, 256n. Anonimo Latino: 156n. Antonelli, Armando: 13m. Antonelli, Roberto: 4fi, 14711, 15on, 24ffi Anzulewicz, Henryk: 2om. Apollo: 59, 186, 258, 261, 262. Apuleio di Madaura: 145, 203n, 205n. Aquilecchia, Giovanni: 13m. Aretino, Pietro: 13on, 13m, 139n. Argenti, Filippo: 245n. Ariani, Marco: v, 2m, 23n, 4ffi , 4m, 54fi, 63, 65n, 96n, 123n, I64fi, 168n, 17on, 176n, 17711, 18on, 182n, I84fi, 193n, I94fi, 19711, 20m, 202fi, 205n, 213n, 216n, 219n, 22m, 234fi· Aristofane: 145n. ,

,

,

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Aristotde: m, 3, 411, 6n, 711, 1411, 15n, 24, 25D, 26 e n, 27 e n, 28 e n, 29n, 33, 4ffi , 4411 4711, 49, 51, 53n, 108n, 128, 167 e n, 168 e n, 169n, 173n, 17411, 17711, 178n, 190n, 195n, 223n, 228n, 23m, 258. Aristotde (pseudo): 205n, 209n, 213n. Annour, Peter: 53n. Arnaldi, Girolamo: 63n, 7411 · Arnaldo di Bonneval: 16on. Arnaut Danid: m, 214 e n. Arthaber, Augusto: I4ffi . Asin Palacios, Migud: 215n. Assalonne (figlio di Davide): 81. Atchity, Kenneth John: 8on. Ateneo di Naucrati: 12411, 14m. Attila (re degli Unni): 98, 164. Auerbach, Erich: 24ffi Augieri, Carlo Alberto: 6411. Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano (imperatore) : 163. Auner, Michad: II4I1. Aurora: 179n. Autiero, Giuseppe: 56n. Avalle, Giuseppe: 103n. Averroè: 173n, 22711. Aversano, Mario: 7on, 88n. Avicebron: 2oon, 2om, 205n, 2o6n. Avicenna: 144, 19on, Azzetta, Luca: m, 156n. ,

.

Bacchdli, Franco: 137n. Bacci, Orazio: II3n. Bacco: 138n. Bachdard, Gaston: 5m. Baeurnker, Clemens: 19m, 2oon, 205n. Baldan, Paolo: 243n. Balddli, Ignazio: 5n, 7411, 22m. Bambaglioli, Graziolo: 230 e n, 236n, 24411 , 25m, 256n. Bambeck, Manfred: 54 e n, 55· Banchi, Luciano: 76n. Bara6.ski, Zygmunt G.: 4411 22m, 226n, 25on, 252D. Barbariccia: 75, 85, 97· Bàrberi Squarotti, Giorgio: 75n, 13411. Barbi, Michde: 50 e n, 52. Bàrchiesi, Marino: 243n. Barnaba: 127. Baroffio Dahnk, Giacomo: II8n. Barré, Henri: 16on. ,

Barsanti, Leopoldo: II3n. Bartolomeo da Bologna: 3m, 3411, 176n, 18on, 18m, 185, 200n. Bartolomeo da Colle: 260 e n. Barzizza, Guiniforte: 68n. Baschet, Jérome: 129n. Basi, Casimiro: 1om. Basile, Bruno: 49n, 68n, 23m. Basilio di Cesarea: 17411. Bassermann, Alfredo: 13on. Batard, Yvonne: 52 e n, 53· Battaglia di Quaresima e Carnevale: 143 e n. Battaglia Ricci, Lucia: 4m, 96n, II5n, 123n, 19711, 22m, 226n, 24ffi 258n. Battaglia, Salvatore: 55n, 13411. Battistini, Andrea: 49n, 56n, 6411, II2n, I63n, 226n. Bauci: 143· Baudy, Dorothea: 13711, 138n. Baur, Ludwig: 17on, 17m, 173n, 17411, 18on. Beatrice: 6 e n, 9, II, 12, 18, 25, 40, 6o, 9m, 94, 104, 105, 106, 107, 108, III, 150, 155, 182 e n, 18411, 18711, 24m, 252 e n. Beccaria, Gian Luigi: 139n. Beck, Friedrich: v, 50 e n, 51 e n, 52, 53, n3n, 20711, 2o8n, 21m, 21411. Beckmann , Susanne : 6411. Beda il Venerabile: 19n, 2on, n9n, 153 e n. Béguinot, Augusto: 120 e n. Beierwaltes, Walter: 1411, 2411, 4711, 198n, 2oon. Bellini, Enzo: 3411· Bellomo, Saverio: 15m, 15711, 216n, 222n, 223n, 22411 , 225n, 226n, 228n, 229n, 230n, 23m, 23m, 25m, 253n, 26on. Beltrami, Pietro G.: 6n, 711, 4ffi , 79n. Bemrose, Stephen: 89n, 95n. Bene da Firenze: m, 411, 5n, I4D. I5n, 20n, 4ffi , Benedetto da Norcia: 143n, 18m. Benedetto XI (papa): 138. Benuccio da Orvieto: 145n. Benvenuto da Imola: 5n, 39n, 69 e n, 109n, no e n, 137 e n, 14on, 146, 153 e n, 156n, 17711, 222 e n, 225 e n, 226n, 227 e n, 231, 23m, 235 e n, 236 e n, 239 e n, 242 e n, 244 e n, 245n, 246 e n, 248 e n, 251, 254 e n, 256 e n, 257, 258, 259n. Berg, George Olaf: 196n. Bergin, Thomas G.: 53n. Berlioz, Jacques: 159 e n. ,

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Bernardo di Chiaravalle (pseudo): 70n. Bernardo di Chiaravalle: 3, 53n, 67fl, 70 e n, 71, 93, 15411, 159, 160 e n, 197fl· Bernardo Silvestre: 12n, 16n, 48, 49n, 57, 193n, 199 e n, 204 e n. Bertagni, Renzo: 178n. Bertin, Emiliano: 78n. Bertinetto, Pier Marco: 6411. Bertini, Ferruccio: 14ffi . Bettola, Francesco: 15411. Bertoldi, Giovanni: 1om, 156n, 225n, 23m, 235n, 236n, 239n, 24m, 24411 , 246n, 25411, 257 e n, 259n, 26on. Bertolucci Pizzorusso, Valeria: 68n. Bertran de Born: 75n, 79 e n, So e n, 81 e n, 83. Biagioni, Luigi: 13m. Bianchi, Brunone: 146n. Bianchi, Enzo: 143n. Bianchini, Edoardo: n8n. Bidez, Joseph: 123n. Biebuyck, Benjainin: 6411. Bigazzi, Vanna vedi Lippi Bigazzi, Vanna Bigi, Emilio: 411, 22m, 228n, 229n, 23m, 23m, 237fl, 25m. Billanovich, Giuseppe: 15m. Binduccio dello Scelto: 76n. Blangez, Gerard: 159 e n. Blasucci, Luigi: 63n. Blwnenberg, Hans: m, 5411, 55n, 169n, 193n. Boccaccio (Falso): 156n. Boccaccio, Giovanni: 2on, 41, 42 e n, 47fl, 68n, 101 e n, 1om, 125n, 14m, 15m, 15411, 161 e n, 162, 22m, 227 e n, 228n, 232 e n, 233n, 234. Boezio, Anicio Manlio Torquato Severino: m, 1m, 1m, 13n, 15n, 53n, 157 e n, 158, 161, 196 e n, 205n, 213n. Bognini, Filippo: won. Boiardo, Matteo Maria: 13411. Boitani, Piero: 255n. Boldrini, Sandro: 153n. Bolton Holloway, Julia: 4lll · Bomer, Franz: 138n. Bonaventura da Bagnoregio: 18n, 51, 53n, 62, 67, 91, 92, 102 e n, 169n, 17on, 183 e n, 185n, 21m, 213n, 219n. Boncompagno da Signa: 29, 30 e n, 31 e n, 32 e n, 34, 36, 39, 44, 76n, 77 e n, 78n, 88n, 224Jl, 245n. Bonifacio VIII : 255. Bordone, Renato: 7411·

Borghezio, Gino: 13411. Borghi Cedrini, Luciana: 13m. Borgnet, Auguste: 15n, 17411, 2oon. Borsellino, Nino: 75n. Bosco, Umberto: VI , 9411, 133n, 153n, 157fl· Bossuat, Robert: 30n, 35n, 158n, 199n. Boyde, Patrick: 53 e n, IO?fl, 168n, 176n, 186n, 22m. Bracciolini, Poggio: 138. Brambilla Ageno, Franca: 6m, 126n, 128n, 13m, 13411· Branca, Vittore: 2n, 1om, 15m, 227fl. Brandeis, Irma: 52 e n. Breschi, Giancarlo: 89n. Bridges, John Henry: 188n. Brilli, Elisa: 85n, 13m. Brinkmann , Hennig: 5n, 9n, 13n, 4411 · Briosi, Sandro: 6411, 225n, 228n. Bronzini, Giovanni Battista: 137n. Brosse, Jacques: 139n. Brownlee, Kevin: 157fl· Brugnoli, Giorgio: 1411, 88n, 15m, 163n. Brunetto Latini vedi Latini, Brunetto Bruni, Leonardo: 7411 · Bruno di Colonia: 126n. Brunone di Magdeburgo: 129n. Bruscagli, Riccardo: 133n, 240n. Bufano, Antonietta: 13m. Burger, Maria: 2om. Busby, Keith: 14411 . Busnelli, Giovanni: 17411 . Buti, Giovanni: 178n. Cacciaguida: 65, 67, 70, 86 e n, 87fl, 88, 89, 96n, no, 181, 186n. Caccianemico, Venedico: 243· Cai, Raffaele: 7m. Caino: 147fl· Calcaterra, Mannis: 188n. Calcidio: Sn, 1on, n e n, 13n, 16n, 196n, 2om. Calderoni, Anselmo: 13411. Cambon, Glauco: 4m, 230n. Camerino, Giuseppe A.: 24ffi . Caniilo l ni, Maria Teresa: 156n. Cammelli, Antonio (detto il Pistoia): 138, 139n. Campani, Romeo: 18m. Camporesi, Piero: 12m, 13m. Canfora, Luciano: 12411 . Capaneo: 128n, 129n. Capelli, Piero: 143n.

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Cappi, Davide: 138n. Capponi, Gino: 13711. Caramello, Pietro: 1on, 45n, 17m. Caravaggi, Giovanni: mn. Carbonaro, Margherita: 92n. Carbone, Domenico: 10m. Carboni, Fabio: um. Cardini, Franco: 6711, 16on. Caretti, Lanfranco: 243n. Carlo I d'Angiò: 78. Carlo II d'Angiò: 6m. Carlo Martello: 109. Carminati, Attilio: 144fi . Carozza, Davy A.: 113n, 12m, 12711 , 128 e n, 129n, 146n, 14711. Carpi, Umberto: 59n, 63n, 6sn, 6711, 73 e n, 74fi, 86n, 9m, 95n, 96n. Carraud, Christophe: 13on. Casagrande, Carla: 76n, 84fi, 129n, 246n. Casagrande, Gino: 4m. Casella (musico): 238. Casevitz, Michel: 138n. Castello, Giorgio: 130n. Castelnuovo, Enrico: 74ll· Castelvetro, Lodovico: 120 e n, 228, 230n, 237 e n, 239n, 240 e n, 244 e n, 253n, 258 e n. Castiglione, Baldassarre: 139n. Catalano, Michele: 9m. Cathala, M. Raimondo: 13n. Catone, Marco Porcio Uticense: m, 238, 239n. Cattabiani, Alfredo: u6n, 139n, 14m. Cattaneo, Giulio: 75n. Cavalcanti, Cavalcante: 228n. Cavalcanti, Guido: 184fi, 214 e n. Cavallo, Guglielmo: 158n. Cavallo, Marco A.: 63n. Cave Wright, Wilmer: 123n. Cavedoni, Celestino: s6n, 123n. Cecchini, Enzo: m, m, 14fi, 154fi, 162n, 178n. Cecco d'Ascoli vedi Stabili, Francesco Celletti, Maria Chiara: 159n, 16on. Cenne de la Chitarra: 125. Cerboni Baiardi, Giorgio: 2m, 123n, 194fi· Cerroni, Monica: sn, 22m. Cerulli, Enrico: 45n. Cestaro, Gary P. : 78n. Chamoux, François: 138n. Chance, Jane: 16n, 8on, 8m. Chenu, Marie-Dominique: 9n, 1m, 44fi. Cherchi, Paolo: 113n. -

Chevalier, Jean: u6n. Chevallier, Philippe : 8n, 199n. Cheyne, Thomas Kelly: 149n. Chiamenti, Massimiliano: 43n, 156n, 259n. Chiara d'Assisi: 154fi· Chiarini, Eugenio: 163n. Chiarini, Gioachino: 14ffi. Chiarini, Giorgio: 79n. Chiavacci Leonardi, Anna Maria: 6711, mn, 15on, 153n, 15sn, 15711, 208 e n, 236n, 24on. Chiesa, Mario: 13m. Chimenz, Siro Amedeo: 14ffi. Chiose Ambrosiane: 156n, 23m, 235n, 236 e n, 24ffi , 244fi , 246n, 253n, 256n. Chiose Filippine: 156n. Chiose Se/miane: 103n. Chiromono, Matteo: 156n. Chirone: 74fi, m. Chistoni, Paride: 113n. Chrétien de Troyes: 144fi. Chydenius, Johan: 2on. Ciccuto, Marcello: 126n, 128n. Cicerone (pseudo): 4fi, 14fi, 19n, 3m, 250. Cicerone, Marco Tullio : m, m, 3n, 4fi, sn, 6n, 8n, wn, 14fi, 15n, 19n, 24, 28n, 4ffi, 51, 108n, 169 e n, 17on, 202n, 203n, 2osn, 250. Cino da Pistoia: 4fi, 184fi. Cioffari, Vincenzo: 13on, 156n, 23m. Ciotti, Andrea: 135n. Cocagnac, Maurice: 245n. Cocchiara, Giuseppe: 12m. Cochin, Henry: son. Cofano, Domenico: 23on. Cogan, Mare: 95n. Colagrosso, Francesco: u8n. Colker, Marvin L.: usn. Colonna, Francesco: 125fi. Commento all'Ars amatoria: 8m. Commodo, Lucio Elio Aurelio (imperatore): 138n. Compagni, Dino: 76n, 138n. Conklin Akbari, Suzanne: 189n. Consoli, Domenico: 63n, 126n, 12711, 238n. Consolino, Franca Ela: 123n. Contamine, Philippe: 75n. Contini, Gianfranco: m, 56 e n, 87n, 89n, u8n, 184fi, 185n. Cordati Martinelli, Bruna: 236n. Cornish, Alison: 53n, 176n. Corrado di Eberbach: 16on.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Corsi, Giuseppe: 1om, 129n. Cortdazzo, Manlio: 13711. Corti, Maria: 55n, 22m. Costamagna, Stefania: 250n. Cotes, Rosemary A.: n3n. Cottignoli, Alfredo: 56n, 103n, 223n, 22411, 232ll, 255n. Craveri, Marcello: 14711· Cremonesi, Chiara: 149n. Crescenzi, Pietro de': 12411 , 130 e n. Crespi, Achille: 18711. Cristiani, Marta: 1m, 45n. Croce, Giulio Cesare: 13711. Cser, Laszl6: n6n. Cumont, Franz: 215n. Cunizza da Romano: 84. Curtius, Ernst Robert: 4fi, 41 e n, 53, 54fi, 57, 15on, 156n, 158n, 163n, 24ffi , 245n. d'Alverny, Marie-Thérèse: 2411 , 3m. D'Ancona Costa, Cristina: 176n, 2oon. Dafni: 12m. Dahan, Gilbert: 2411 · Dal Pra, Laura: I54fi, 159n, 16on. Danese, Roberto M.: 149n. Daniello, Bernardino: 156n, 177n, 18on, 228 e n, 229n, 234fi, 235n, 236n, 239n, 242 e n, 244fi , 247 e n, 249n, 25on, 255n, 256n, 26m. Danthine, Hélène: 138n, 142n, 146n, 14711. Daremberg, Charles: 156n. Davide (re di Israde): 63 e n, 81, 84, 15m, 163n. Davis, Charles Till: 2on, 74fi, 8711. De Agostini, Danida: 149n. de Angdis, Violetta: nm. de Bartholomrei.s, Vincenzo: 133n. De Bonfils Templer, Margherita: 12n. De Bruyne, Edgar: 1m, 4711· De Gubernatis, Angdo: 139n. De Libera, Alain: 2411 · De Lubac, Henri: 9n, 2on. De Marco, Giuseppe: 86n. De Marignac, Aloys : 196n. De Petris, Alfonso: 23m. de Riquer, Martin: 8m. De Robertis, Domenico: 5n, 13n, 63n, 12411 , 174fi, 228n. de Vaux, Roland: 2oon. De Ventura, Paolo: 243n. de' Prodenzani, Simone: 12m. de' Rossi, Bastiano : 12411 .

Deen Schildgen, Brenda: 78n. Defradas, Jean: 12m. degli Uberti, Farinata: 75· degli Uberti, Fazio: 10m, 103n, 12on, 129 e n, l33n, l34fi, l45n. dei Lamberti, Mosca: 8m. dei Manfredi, Alberghetto: 132, 135. dei Manfredi, Alberigo: 132, 135. dei Manfredi, Manfredo: 132, 135. dei Pazzi di Valdarno, Rinieri: 164. Dekkers, Eligius: 152n. Dd Lungo, lsidoro: 76n. Dd Sal, Nievo: 12m. Ddcorno, Carlo: ll5n, ll9n, l23n, 228n, 25ID. Delia: 12411 . Della Cotte, Federico: 125n. della Faggiuola, Uguccione: 15m. della Gherardesca, Ugolino: 6m, 132. Della Rocca, Nicola: 158. Della Vedova, Roberto: 2on, 22411 . Ddorme, Jean: 149n. Demats, Faule: 16n. Demetra: 138n. Deproost, Paul-Augustin: n6n. Di Berardino, Angdo: 149n. di Mirafiore, Gastone: n3n, 120 e n, I4ffi. Di Pasquale Barbanti, Maria: 196n. Di Preta, Antonio: 13m. Di Santo, Simonetta: n3 e n, 120 e n, 122 e n, 133n. Didone: 160. Dieci tavole dei proverbi: 13711. Dieterich, Albrecht: 215n. Dionigi Areopagita: v, 8 e n, 9n, I4fi, 19n, 2m, 23, 2411 , 25 e n, 26, 28 e n, 3m, 32n, 33 e n, 34fi, 35 e n, 36, 37 e n, 38n, 39 e n, 43 e n, 44, 45 e n, 46, 51 e n, 54fi, 57, 73, 89n, 95 e n, 96 e n, 97 e n, 188n, 194, 195, 196, 197 e n, 199 e n, 201 e n, 202 e n, 204, 2o6n, 20711, 209n, 210 e n, 21m, 21m, 213n, 2I4fi, 2I9n, 234fi· Dionisotti, Carlo: 223n, 23m. Dt't du mercier: 144 e n. Domenichdli, Teofilo: 156n. Domenico di Guzman: 67, 91 e n, 251. Donati, Forese: 245n. Donati, Silvia: 2om. Donato, Elio: 16n, 19n, 28n, 41n, 140, 232n. Dondaine, Hyacinthe François: 33n, 45n. Doria, Branca: 135.

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

I>osi, llntornetta: 143n. I>ov, Ben-Laish: 1l4fl. I>ozon, Marthe: s6n, 7sn, 8:z.n, 155. I>ronke, Peter: m, 6 e n, 7, 9n, 1on, 1:z.n, 13n, 14fl, 33n, 37D, 49n, 5on, 53 e n, 77fl, 199n, w:z.n, 1l4fl, 11m, 114fl, 145n, 15sn, 158n. I>uhem, Pierre: 103n. I>umortier, Jean: 11m. I>unbar, Helen F. : 5:z.n, 53. I>uran, Rafael M.: 159n. I>urand, Gilbert: 142ll · I>urling, Robert M.: 33n. Eco, Umberto: 4fl, ?fi, 9n, I4fi , 19n, 3m, 44fl , 64D, 116n, 117fl. Egidi, Francesco: 11on, 18sn. Egidio di Parigi: 115 e n. Elamrarn-Jamal, Abdelali: 14fl. Eliseo (profeta) : 96n. Emig, Rainer: 6sn. Empedocle: 168n, 169n. Enea: 160. Ennio, Quinto: 169n, 1o:z.n. Enrico II d'Inghilterra: 8m. Enrico Plantageneto: 79, 8m. Enrico VII di Lussemburgo (imperatore del Sacro Romano Impero): 98n. Epicuro: 105n. Erberto di Chiaravalle: 16on. Eriugena, Giovanni Scoto: :z.n, 8n, 13n, I4fi , 16 e n, 19n, 3m, 33, 34fl, 35fl, 37 e n, 38n, 39, 43n, 47n, 48n, 49n, 57, 89n, 9 5 e n, 1 96, 199n, 100 e n, 1o:z.n, w6n, 107fl, 109n, 11on, 112ll , 113n. Ernst, Cornelius: 47fl, 49n. Erodoto di Alicamasso: 141· Erveo di Bourg-I>ieu: 113n. Esiodo: 14ID· Esopo: 88n, 142.I1. Esposito, Enzo: 14ffi . Eurialo: 8:z.n. Eustazio: 14l· Eutropio: 78n. Eva: 6:z.n, 98, 99, 139n, 147D, 139n. Ezechia (re di Giuda): n7. Ezechiele: 3· Ezzelino da Romano: 84. Fabro, Cornelio: 194D, w6n. Fachechi, Grazia Maria: 154fl· -

Fanfani, Pietro: 156n, 114fl. Faral, Edmond: m, 4fl, 5n, 6n, 14fl. Fasarn, Remo: 155n. Fatti di Cesare: 76n. Favati, Guido: 63n. Fedeli, Paolo: 158n. Feder Kittay, Eva: 64fl. Federici VescovirU, Graziella: 174D , 176n, 18on, 183n, 190n, 19m. Federigo m d'Aragona (re di Sicilia): 6m. Fedro: I4I e n. Felten, Hans: 107fl. Fenzi, Enrico: 86n, 118n. Ferrnot, Jean: 145n. Ferrante, Joan M.: 133n. Ferraù, Giacomo: 118n. Ferrazzi , Giuseppe Jacopo: 11on, I37fl, 14ID· Ferreiro, Alberto: 84fl. Ferrucci, Franco: 155fl· Ferwerda, Rein: 176n, 196n. Fialte: 187fl. Filargirio, Giurno: 161 e n, 163. Fillire : 116n. Fiorentino, Luigi: 140n. Fiorilla, Maurizio: 134 e n, 135. Fitalo: 138n. Flandrin, Jean-Louis: 116n, 143n. Foà, Simona: 83n. Folchetto di Marsiglia: 189. Folena, Gianfranco: 4ffi , 145n. Folengo, Teofilo: 13m. Folgore da San Gimignano: 133n. Foresti, Fabio: 137fl· Forsyth, Nei!: 84fl. Fortenbaugh, William W.: 114fl. Forti, Fiorenzo : :z.n, 4fl, sn, 19n, 43n, ssn, 78n, 10m, 11m, 114fl, 134D, 147D, 15on. Fraccaroli, Giuseppe: 1m. Fraipoint, Johannes: 15:z.n. Franceschi, Giulio: 137fl· Francesco Cieco: I34fl· Francesco d'Assisi (Francesco di Bernardo­ ne): 67 e n, 91 e n, 91 e n, n8, 154fl· Francesco da Buti: 68n, 156n, I77fl, 13m, 135n, 136n, 139n, 142.I1, 144fl , 146n, 15on, 154D, 157D, 16on. Frati, Lodovico: 147D· Fraticelli, Pietro: 146n. Freccero, John: 6n, 1m, 1:z.n, 37D, 53n, n6n. Friedrich, Gerhard: 11m.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Frugoni, Arsenio: 1411, 15m. Frugoni, Chiara: 153n, 15411. Fubini, Mario: 8on. Fucci, Vanni: 129n, 252 e n. Fumagalli, Edoardo: 25m. Fumagalli, Stefano: 19m. Furche, Brigitte: 103n. Gabriele, Trifone: 156n, 157fl, 159 e n, 160, 177fl, 228 e n, 229n, 233, 23411 , 235n, 237 e n, 238n, 240 e n, 24m, 24411 , 246n, 249 e n, 25m, 255 e n, 256n, 261 e n. Gallo, Ernest: 77n. Galonnier, Alain: 2411 · Gano: 13411 . Gardner, Edmund G.: sm. Garin, Eugenio: 1m. Garzo dell'Incisa: 131. Gaudenzi, Augusto: 30n, 76n. Gellio, Aulo: 160 e n. Gentili, Sonia: 83n. Gérard-Zai, Marie-Claire: 103n. Geremia: 117. Gerhoh di Reichersberg: 118n. Geri, Lorenzo: 16411. Gerione: w8n. Gersh, Stephen: 1411 , 195 e n, 197fl, 198n. Gesù Cristo: 2on, 61, 62 e n, 63 e n, 66, 67, 69 e n, 70 e n, 71 e n, 73, 84, 86, 90, 91, 92, 93n, 94 e n, 95, 96, 97, 106, 115, 118, 124, 127, 139, 178, 2oon, 2om, 23m. Geymonat, Mario: 16m. Gheerbrant, Alain: 116n. Ghisalberti, Alessandro: 89n, 23m. Giacchi, Pirro: 142n. Giacomo (apostolo): 178n. Giacomo da Lentini: 147fl· Giamboni, Bono: 68n, 87fl, 9411, wm, 105n, 15m, 157 e n. Giannini , Crescentino: 156n, 23m. Giano: 138n. Giansante, Massimo: 88n. Giardina, Andrea: 158n. Gibbons, David: 6n, so, 53, 5411, 55 e n, 6sn, 2o8n, 212n, 21411, 22m, 227fl, 25m, 253n. Gigli, Ottavio: 147fl· Giglio, Raffaele: 243n. Gigliucc� Roberto: 79n, 237fl· Gilson, Etienne: 2411 · Gilson, Simon A.: s6n, 18sn, 19411 ·

Giobbe: 92, 94· Giordano da Pisa: 96n, 115n, 119 e n, 123n, 126, 127fl, 144 e n, 145 e n, 147fl· Giovanni (Battista): 7· Giovanni (Evangelista) : 7, 5411, no. Giovanni da Serravalle vedi Bertoldi, Giovanni Giovanni del Virgilio: 149, 161 e n, 162. Giovanni di Garlandia: 125 e n. Giovanni di Pedrino: 13411. Giovanni di Salisbury: 13m. Giovanni I (marchese di Monferrato): 7411 · Giovanni l'Eremita: 16on. Giovanni Saraceno: 28n, 35, 37fl, 38n, 2o6n, 213n. Giove: 25n, 169n, 186, 187. Girolamo, Sofronio Eusebio: 12411, 159 e n. Giuda (figlio di Simone): 117, 135. Giuda Iscariota: 139 e n. Giuliano (pseudo): 138n, 145n. Giuliano, Flavio Claudio (imperatore): 123 e n. Giunone: 25n. Giusti, Giuseppe: 137fl· Giustiniano, Flavio Pietro Sabbazio (imperatore): 94· Gizzi, Corrado: 178n, 186n. Gmelin, Hermann: 13n. Gode, Parshuram Krishna: 116n. Goetz, Oswald: 113n, 147fl· Goffredo di Auxerre: 16on. Goffredo di Vinsauf: m, 411, sn, 6n, 1411, 15n, 4ffi , 77fl· Goldin, Daniela: 33n, 6m. Golia: 63 e n. Gori, Federica: 15411, 159n, 16on. Gorni, Guglielmo: 229n, 235n, 25m. Gouiran, Gérard: 8on. Gow, Andrew Sydenham Farrar: 122n. Gozzi, Maria: 76n. Graf, Arturo: 75n, 215n. Grattarola, Serena: 123n. Grazzini, Anton Francesco (detto il Lasca): 133n. Green, Steven J.: 138n. Gregorio Magno (Gregorio I papa): 88n, 129n, 131, 197fl· Gregorio Magno (pseudo): 9m. Gregory, Tullio: 8n, 1m. Gresti, Paolo: 103n. Gualtiero Anglico (pseudo): 88n, 13411.

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Guarienti, Angelico: 88n. Guasti, Cesare: 1om. Guerrini, Roberto: 15411 . Guglielmo di Concbes: 8n, 11 e n, 12n, 13 e n, 48. Guglielmo di Saint-Thieny: 16on. Guida, Saverio: 8on. Guido da Montefdtro: 255, 257, 258. Guido da Pisa: 1om, 13on, 135n, 23m, 236n, 24411 , 253, 256n. Guido dd Duca: 103, 240, 242fi. Guido Faba: 73 e n, 157 e n. Guidubaldi, Egidio: 3411, 18on, 19m, 22411. Guinizzelli, Guido: 18411, I85fi. Guittone d'Arezzo: 87fi, 11on, 111, 12on, 12m, I47fi, 185n. Guizzardo da Bologna: m, 29. Haase, Wolfgang: 213n. Hadot, Pierre: 198n. Hagen, Herrnann : 16m. Habn, Reinhart: 2on, 49n. Harwood-Gordon, Sharon: 109n. Hathor: 14m. Haverkamp, Anselm: 6411. Haye, Thomas: 125n. Hein, Jean: 56n, 134 e n. Henle, Robert John: 1on. Henry, Albert: 6411. Henry, Paul: 198n. Hicks, Eric: 14411 . Hilberg, Isidor: 159n. Hilka, Alfons: 14411 . Hiltz, Sharon Lynne: 7on. Hine, Harry M.: 179n. Hoffmann, Tobias: 109n. Hollander, Robert: 3n, 1m, 39n, 42 e n, 75n, 76n, 79n, I57fi, 229n, 23on. Honess, Claire E.: 85n, 86n. Huillard-Breholles, Jean Louis Alphonse: 158n. Hunzinger, Claus-Hunno: 12m. Hurst, David: 153n. Iacopo ddla Lana: 90n, 156n, 22411, 230 e n, 235n, 236n, 238 e n, 24m, 246n, 25m, 256n, 259 e n. Iacopone (pseudo): 118. lacopone da Todi: 118 e n, I47fi· Iannucci, Amilcare A.: 85n, 11m, 22m. Ibn Arabi: 5m. -

leroteo (maestro di Paolo): 3411· Ilario di Poitiers: 72 e n. Ilaro (frate): 15m, 216n. lldegarda di Bingen: I25fi. llduino (vescovo di Parigi): 37fi, 2o6n, 213n. lmait: J42n. Indizio, Giuseppe: 15m, 216n. lnferigno ('Nferigno) vedi de' Rossi, Bastiano Inglese, Giorgio: 120 e n, 252n. lnguanez, Mauro: 1om. lppolito, dara: 56n. Isaia: 13411. lsidoro di Siviglia: 411, 1411, 15n, 19n, 2on, 30n, 4ffi , 4m, 152 e n, 169n, 170n, 178n, 18on, 183n, I87fi, 188n, 23m. Jackson, Eve: 142n. Jacob, Christian: I24fi. Jacomuzzi, Angdo: 1o6n. Jacopo da Varazze: 16on. Javdet, Robert: 33n. Jean de Meun: 9411· Jeauneau, Edouard: m, 8n, 9n, 1m, 14fi, 16n. Jeconia (figlio di Joakim): 117. Joakim (re di Giuda): 117. Johnson, Mark: 64 e n. Jones, Elizabeth F.: 16n. Jones, Julian W.: 16n. Joret, Charles: 145n. Kambylis, Athanasios: 156n. Kamptner, Margit: 7m. Karsten, Herrnan Thomas: 14on. Kay, Richard: 176n. Keen, Catherine: 86n. Keen, Maurice: 65n, 7411· Kees, Herrnann: 156n. Keil, Heinricb: 19n, 4ffi . Kennedy, Archibald Robert Stirling: 149n. Kirkpatrick, Robin: 53n, 2o8n. Kittd, Gerhard: 12m. Kraus, dara: 88n. Kremer, Klaus: 19411 , 213n. Kroll, Wilhelm: 156n. Kuhns, Oscar L.: 113n. LA Spagna: 9m.

Lacaita, Giacomo Filippo: 5n, 69n, 137fi, I53n, I77fi, 225n. Lakoff, George: 64 e n.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Lampe, Geoffrey W.H.: 37fl· Lanci, Antonio: 130n. Lancia, Andrea: 156n. Lanciotti, Settio ini : 149n. Landino, Cristoforo: 156n, 223, 23m, 235 e n, 237 e n, 240 e n, 24m, 244fl, 245n, 247 e n, 248 e n, 249 e n, 254 e n, 257, 258n, 260, 26m. Landoni, Elena: 22m. Lansing, Richard H.: 50n. Lanza, Antonio: 12m, 134fl, 139n. Larcher, Chrysostome: 205n. Latini, Brunetto: 5fl, 6n, 7f1, 4ffi, 86, 88, non, 114, 115, 122fl, 128n, 170n, 187fl, 249n. Lattanzio, Lucio Celio Firmiano: 203n. Lausberg, Heinrich: 2n, 4fl, 2on, 23n, 4ffi, 224fl, 226n, 227fl, 228n, 233n. Le Goff, Jacques: 145n. Le Saux, Françoise: 87fl. Lecco, Margherita: 143n. Lederq, Jean: 16on. Ledda, Giuseppe: 6n, w6n, 25m. Leinsle, Ulrich G.: 73n. Lelli, Emanuele: 12m. Leon-Dufour, Xavier: 149n. Lesètre, Henri: 149n. Leuker, Tobias: 129n. Lewis, Clive Staples: 53 e n, 63n, 66 e n, 89n, won, 112 e n. Liber de Causis: 3m, 33, 175n, 194fl, 200 e n, 201, 207fl, 2o8n, 209n, 21on. Linné , Karl af: 114fl. Lippi Bigazzi, Vanna: 8m, n8n. Livio, Tito: 78 e n, 79, 82, 94fl, 159 e n, 203n. Lombardi, Elena: 76n. Lombardo Radice, Lucio: 136n. Lombardo, Giovanni: 12m. Lommatzsch, Erhard: 144fl . Longo, Oddone: 14ffi, 149n. Lorenzo da Brindisi: 147fl· Lorusso, Anna Maria: 64fl. Lottin, Odon: 219n. Louis, Pierre: 196n. Lozzi, Carlo: 137t1, 139 e n. Lucano, Marco Anneo: 51, 78, no e n, 111 e n, 202n. Lucchesi, Valerio: 56n, 136n. Lucchetta, Giulio A.: 54fl, 203n. Lucentini, Paolo: 24fl. Lucifero: 6m, 84 e n, 129. -

Lucrezio, Tito Caro: 179n, 186n, 2om. Lurati, Ottavio: 139n. Luri di Vassano, Pico vedi Passarini, Ludovico Luzi, Mario: 144fl. Macrobio, Ambrosio Teodosio: m, 5n, 1on, 1m, 13n, 16n, 33 e n, 36n, 37, 48 e n, 57, 160, 16m, 178n, 179n, 186n, 199 e n, 2om. Madec, Goulven: 2o6n. Maggini, Francesco: 5n, 127fl. Maggiòlo, Mariano: 27fl. Maggioni, Giovanni Paolo: 16on. Magone Barca: 78n. Maj, Barnaba: 29n, 36n, 107n, 169n. Malaspina, Moroello: 74fl, 25m, 254 e n, 255. Malato, Enrico: 63n, 136n, 163n, 22m, 229n, 230n. Malpigli, Nicolò: 147fl· Mancini, Franco: n8n, 125n. Mandel'stam, Osip: 25on. Manselli, Raoul: 73n. Manuzio, Paolo: 140n. Maramauro, Guglielmo: 23on, 236n, 244fl , 25m, 256 e n. Mare, Pierre: 1on. Marcello, Marco Claudio: 132. Marchioni, Cristina: 115n. Marcozzi, Luca: VI . Margueron, Claude: non, 12on, 12m. Maria (madre di Gesù): 7, 62, 98, 147fl, 152, 153, 154 e n, 159, 16on, 161, 183. Mario Prisco (proconsole d'Asia): 14on. Mario Vittorino, Gaio: 198 e n. Markus, Robett A.: 6m. Marshall, Wallace W.: 98n. Mattellotti, Guido: 163n. Marti, Mario: 125fl, 157t1, 184fl, Martinelli , Bortolo: 25m. Martinez, Ronald L.: 33n. Martinez-Pinna, }orge: n6n. Marucci, Valerio: 14ffi, 157t1, 18on. Marziale, Marco Valerio: 13on, 138n. Marziano Capella: m, 19n, 199 e n. Marzot, Giulio: 56n, 119n, 2o8n. Mastrobuono, Antonio C.: 113n. Matatia (figlio di Simone): 135. Matelda: 193. Matteo (evangelista) : 84. Matteo (pseudo): 147fl· Matteo di Vendome: 4fl, 14fl, 4ffi.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Maurer, Karl: 8m. Mayo, Pendope C.: I22fi. Mazzeo, Joseph Anthony: L4J1, 2on, 2711, 43n, 53 e n. Mazzoni, Francesco: m, 55n, 8m, 8711, Io5n, I56n, 223n, 224fl, 229n, 230n. Mazzoni, Guido: 133n. Mazzotta, Giuseppe: 2on, 53 e n, 76n, I09n. Mazzucchi, Andrea: I56n, I57fl, 246n. McCollough, Ernest J.: I96n. McEvoy, James: I4fl. Mechtild di Magdeburgo: I93 e n. Mellone, Attilio: I94fl, 258n. Ménard, Philippe: I44fl. Mengaldo, Pier Vincenzo: 4Bn, I34fl, I73n, 245fl· Mercuri, Roberto: 56n, 6m, 22m. Mercurio: 8m. Merlini, Domenico: I3on, I3m. Merzdorf, Theodor: I4Jfl. Meslin, Michd: I38n. Messalla Corvino, Marco Valerio: I24fl. Messdaar, Peter A.: 6n. Meurant, Alain: n6n. Meyer, Ruth: 2om. Migne, Jacques-Paul: I4fl, 6m, n9n, I52fi, I70n, I97fl· Milione toscano: 68n. Minetti, Francesco Filippo: I26n. Minio-Paluello, Lorenzo: m. Minnis , Alastair J.: I4fl. Minosse: 88n. Moevs, Christian: I94fl, I96n, I98n. Mohle, Hannes : 2om. Molteni, Enrico: I33n. Montanari, Massimo: 126n, I43n. Monte Andrea: 126n. Montevecchi, Alessandro: I32fi. Moore, Edward: Im, I2fi, 20711. Mopso vedi Giovanni dd Virgilio Moreschini, Oaudio: 8n, Ion, I96n. Moretti, Marina: 76n. Morino, Alberto: 10m, I69n. Moroni, Omelia: VI . Morpurgo-Tagliabue, Guido: 4fl, I5n, I69n. Mosetti Casaretto, Francesco: 7711· Miihlethaler, Jean-Oaude: I44fl. Munari, Franco: 4fl. Munari, Rocco: I23n. Muresu, Gabride: I03n, I14 e n, II5 e n, II7fl, 238n, 240n, 24ffi , 255n. -

Murphy, James J.: m. Musa, Mark: 75n. Mussato, Albertino: m. Mynors, Roger Aubrey Baskerville: I25n. Nabuccodonosor (re di Babilonia): 84, n7. Naldini, Mario: I74fl· Nanna (personaggio aretiniano): I3on. Nannucci, Vincenzo: 63n, I56n. Nardi, Bruno: 9n, I2fi, I9n, 29n, 45n, 49n, I7m, I77fl, I94fl, I95n, 200n, 202fi, 203n, 2I7fl. Nasidio (soldato di Catone): no, m. Naumann , Walter: 2o8n. Navarre, Octave: I56n. Nembrot: I87fl. Nencioni, Giovanni: 30n, 4ffi , 54fl, 22m. Neri, Ferdinando: I44fl. Niccoli, Alessandro: I64fl. Niccolò da Poggibonsi: I39n. Niccolò da Prato: I07. Nicholson, Hden J.: 74fl· Nicolas, Marie-Joseph: 2I3n. Nisbet, Robert George Murdoch: I25n. Niso: 8m. Nolli, Gianfranco: I49n. Nosarti, Lorenzo: 203n. Novati, Francesco: I3on, I4on. Nut: I42fi. O'Rourke, Fran: 2I3n. Oerter, Herbert L.: 8m. Ohly, Friedrich: 32n. Oltramare, Paul: I79n. Omero: 53n, III, n6, I55, I6I, I86. Onder, Lucia: 63n. Onorio di Autun: 24fl, non. Orazio, Quinto Fiacco: 37 e n, I24fl, 249 e n, 261. Orosio, Paolo: 78 e n, 94fl, 243n. Oroz Reta, }osé: 62n. Orvieto, Paolo: I39n. Oster-Stierle, Patricia: Iom. Ottimo commento: 87 e n, I56n, 224fl, 23on, 235fl, 236n, 238n, 24ffi , 244fl , 246n, 252n, 256n, 259, 26on. Otto, August: 140n. Ovidio, Publio Nasone: 6, 2on, 53n, 62 e n, 105n, no, III e n, I37, IJ8n, 143, I56, 202n, 203n.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Padellaro De Angelis, Rosa: 9n, 3411 , 1940. Paden, William D. Jr. : 8on. Padoan, Giorgio: 20, 120, 2on, 7511, 2040, 216n, 2270, 228n. Pagliaro, Antonino: 55 e n, 1210, 22m, 229n, 243n, 25m. Palgen, Rudolf: 33n, 4511, 198n. Pallade: 161. Palladio, Rutilio Tauro Emiliano: 124, 125n. Fallante: 820. Pallavillani, Schiatta: 126. Palma di Cesnola, Maurizio: 253n. Pampaloni, Geno: 1470· Paolazzi, Carlo: 20, 40, 2220, 22511, 2270, 2320. Paolino di Nola: 71 e n. Paolo (apostolo) vedi Saulo di Tarso Paolucci, Pompilio: 21511. Paparelli, Gioacchino: 25m. Parker, Deborah: 2220. Parodi, Ernesto Giacomo: 5on, 68n, 245n. Parronchi, Alessandro: 235n. Parroni, Piergiorgio: 179n. Pascoli, Giovanni: 6m. Pasini, Adamo: 13411. Pasini, Gian Franco: 89n. Pasqualigo, Cristoforo: 1370. Pasquazi, Silvio: 93n. Pasquini, Emilio: 2m, 43n, 49n, 53n, 55, 6m, 63n, 78n, 870, 88n, 89n, 93n, 133n, 1570, 216n, 22m, 2220, 251 e n, 2520, 253n. Pasquino, Paolo: 223n. Passarini, Ludovico: 1420. Pastore Stocchi, Manlio: 20. Pauli, Sebastiano: 140, 14ID. Pausania: 138n. Pazzaglia, Mario: 49n, 76n, 223n. Peghaire, Julien: 213n. Peire Vidal: 8on. Pelaez, Mario: 13411. Peleo: 103n. Pellegrini, Flaminio: 145n, 1470 · Pépin, Jean: 20, 5n, 16n, 20n, 33n, 340. 38n, 39n, 48n, 205n. Pera, Ceslao: 8n, 1on, 33n, 176n, 2om. Peraldo, Guglielmo: 73Pèrcopo, Erasmo: 139n. Perri, Sonia: 1030. Perry, Ben Edwin: n70. Persio, Aulo Fiacco: 155. -

Fertile, Lino: 56n, 9m, 99 e n, 154, I55n. 1570, 16m, 163n, 208n, 228n, 229n, 239n. Perugi, Maurizio: 21411. Petrarca, Francesco: 104, 12on, 130 e n, 159, 2.42. 249. 255n, 258. Petrocchi, Giorgio: VI , 6on, 7411, n3n, x28n, 15on, 216n, 22m, 246n. Pézard, André: 4ID, 1070. Pianezzola, Emilio: 620. Picone, Michelangelo: 20n, 56n, 75n. 8on, 830, 85n, 103n, nm, 156n, 236n, 239n, 2470· Piemonte, Gustavo A.: 2oon. Pier delle Vigne: 158. Pietro (apostolo): 93, 9411, n2, 13on, 209n. Pietro di Alvernia: 145 e n. Pietro di Giovanni Olivi: 73 e n. Pietro di Poitiers: 2on. Pini, Virgilio: 73n. Pinio, Giovanni: x6on. Pi.rotta, Angelo Maria: 270, 169n, 2om. Pirovano, Donato: 103n, 1570, 23m. Pirro: 164. Pistelli, Ermenegildo: 86n. Pitrè, Giuseppe: 137n. Pizzolato, Luigi F.: 2o6n. Pizzorno, Francesco: 9411· Platone: 2, 3, 40, 8n, 9 e n, 1on, II e n, 12, 13 e n, 14 e n, 15, 16 e n, 19n, 2511, 26, 27 e n, 36, 40, 48n, 53n, 106, III, 196 e n. Flauto, Tito Maccio: 141 e n. Plinio, Gaio Cecilio Secondo (iuniore) : 140 e n. Plinio, Gaio Secondo (seniore): 12411 , 12511, 1540. 234. 2420. Plotino: 175n, 176n, 196 e n, 198 e n, 199n, 201, 202. Plouvier, Liliane: 145n. Plutarco: 12m. Plutone: 84. Polimnia: 155. Poortman, Evert Lubbertus Jacobus: 145n. Porta, Giuseppe: 138n. Pouilloux, Jean: 138n. Prandi, Stefano: 56n, II3 e n. Préchac, François: 140n. Procaccioli, Paolo: 68n, 156n, 23m. Proclo, Licio Diadoco: 175n, 200. Prodi, Paolo: 93n. Proverbio quae dicuntur super natura /emina­

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rum:

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n8, 12on.

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Prudenzio, Oemente Aurelio: 66, 67, 68n, I05fl. Publilio Siro: 14D1. Pucci, Antonio: 103n, 125n. Puccini, Davide: 133n, 15411. Pulci, Luigi: 126n, 133n, 136n. Purcell, William: 5n. Quadlbauer, Franz: 411· Quaglio, Antonio Enzo: 87fl, 1om, 125n, 157fl, 16m, 25m, 252n. Quartieri, Franco: 225n. Quintiliano, Marco Fabio: m, 411, 6n, 13n, 14f1, 15n, 19n, 23n, 25n, 37fl, 39, 4lll , 15m, 157, 158n, 159n, 169n, 223n, 225 e n, 23m, 2.48 e n, 249n. Quondam, Amedeo: 139n. Rabano Mauro: 32n, 122, 170n, 18Òn, 18411, 187fl, 188n. Rabuse, Georg: mn, 48n, 55n. Raffa , Guy P.: 86n. Raffaelli, Renato: 149n, 15411 . Ragni, Eugenio: 5411 , 85n. Rahner, Hugo: 16n, 66n, 238n, 256n. Raimondi, Ezio: 49n, 55 e n, 6411, 22m, 226n, 243n, 25on, 25m, 258n. Rajna, Pio: 79n. Rambaldi, Benvenuto vedi Benvenuto da Imola Ramelli, Daria: 49n, 199n. Ranalli, Omerita: 193n. Ranise, Marcellino: 156n. Rati, Giancarlo: 123n. Reale, Luigi Maria: 125n. Reese, James M.: 205n. Reggio, Giovanni : 9411, 133n, 153n, 157fl · Regimen Sanitatis Salernitanum: 13411. Reidemeister, Johann: 129n. Remigio di Auxerre: 49n. Renucci, Paul: 1m, 45n, 78n. Restoro d'Arezzo: mm, 169n, 186n, 187fl, 188n, 19m. Riccardo della Santa Trinità: 14D1. Riccardo di San Vittore: 51, 197fl· Riccati, Carlo: 2oon. Ricci, Pier Giorgio: 87fl, 15m. Ricklin, Thomas: m, 3n, 411, 14fl, 27fl, 29n. Ricoeur, Paul: m, 5411· Ridolfo da Pedemonte: 125. Rigaut de Berbezilh: 8on. Rigo, Paola: 56n, 87fl, 239n.

Rimanelli, Giose: 8on. Rinieri da Cometo: 164. Risner, Friedrich: 175fl. Ritz, Andreas: 14on. Robert di Blois: 14411 . Robert, Ulysse: 9411· Roberto Grossatesta: 28n, 37n, 167n, 17on, l?ffi , 172, 173 e n, 17411, 176n, 18on, 183 e n, 190n, 206n, 210n, 213n. Roberto il Guiscardo (Roberto d'Altavilla): 78, 79· Roddewig, Marcella: 225n. Rohde, Erwin: 215n. Rollinson, Philip: 2on. Romeo di Villanova: 18m. Romolo: 126n. Roncaccia, Alberto: 237fl, 240n. Ronchetti, Ferdinando: 146n. Roques, René: 1411, 33n, 47fl· Rorem, Paul: 45n. Rosier-Catach, Irène: 24fl. Rosini, Giovanni: 186n. Rossi, Albert L.: 21m. Rossi, Luca Carlo: 15m, 156n, 216n, 23on, 23m. Rossi, Pietro: 167fl. Rossignoli, Claudia: 237fl· Rostagno, Enrico: 50n. Rouch, Monique: 137fl· Ruggeri di Lauria: 138n. Ruggeri, Sidonia: 56n. Ruggero Bacone: 17411, 188n, 190 e n. Ruggieri, Ruggero M.: 63n. Russell, Jeffrey Burton: 8411. Russo, Vittorio: 76n, 86n, 176n. Sabello (soldato di Catone): 110, 111. Sacchetti, Franco: 125n, 133n, I47fl, 15411. Salimbene de Adam: 14D1, 143n. Salomone: 107, 124, 181, 257, 259. Sandal, Ennio: 23n, 16411, 213n, 228n. Sanguineti, Federico: 216n. Sannazaro, Jacopo: 13on. Sansone, Mario: 136n. Santini, Carlo: 8411. Sapegno, Natalino: 108, 12m, 133n, 157fl, 236n. Sarolli, Gian Roberto: 2on. Sarpi, Paolo: 149n. Sarteschi, Selene: 123n. Satana: 71, 84, 86.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Saulo di Tarso: 3, 21, 22 e n, 29, 34 e n, 43, 54fi, 70, 98, II2, 205fi, 239n. Saunders, Corinne: 87fi. Sbacchi, Diego: 45n, 95n, 188n, 21m. Sbrana Vernaccini, Laura: n6n. Scaglione, Aldo: 53n. Scalia, Giuseppe: 14lfi. Scarabelli, Luciano: 90n, 156n, 224fi. Scarcia, Riccardo: 163n. Scarpat, Giuseppe: n3n. Scarpi, Paolo: 14lfi. Scartazzini, Giovanni Andrea: n6n, 216n. Scazzoso, Pietro: 34fi, 43n. Schedler, Matthaeus: wn. Schenkl, Cari: 152n. Schiaffini , Alfredo: 55n. Schnapp, Jeffrey: 157fi· Schneider, Bernard: 4fi. Schnell, François: 143n. Schonberger, Rolf: 175n, 2oon. Schonfeld, Andreas: 175n, 2oon. Schrader, Ludwig: 42n, 48n. Schurr, Claudia Elisabeth: 76n. Scoto Eriugena, Giovanni vedi Eriugena, Giovanni Scoto Scott, Alexander Brian: 14fi. Scott, John Alfred: 22m, 255n. Scotti, Mario: 25m. Scribonio Curione: 8m. Sedecia (re di Giuda): n7. Segre, Cesare: 68n, 69n, 157fi· Seneca (pseudo): 70n. Seneca, Lucio Anneo: m, 121, 138n, 140 e n, 178, 179 e n, 18m, 197fi, 199n, 202 e n, 203n, 205n, 209n, 242n. Serdon, Valérie: 84fi. Sergi, Giuseppe: 74fi· Servio, Mario Onorato: 16n, 163 e n, 2om. Sesto, Pompeo Magno Pio: 164. Seznec, Jean: 16n. Sferza dei Villani: 130n, 13m. Shakespeare, William : 52, 245n. Shanzer, Danuta R: Bon, 8m. Shapiro, Marianne : 53n, 8on. Sidonio Apollinare: 94fi· Silverstein, Theodor: 12n. Silvestre, Hubert: wn. Silvotti, Maria Teresa: 2on, 224fi. Simintendi, Arrigo: 10m. -

Simone (suocero di Tolomeo) : 135. Simonetti, Manlio: 2o6n. Simonide: 25n. Singleton, Charles Southward: 121 e n. Solimano, Giannina : 14lfi. Solino, Gaio Giulio: wm, 154fi· Sordello da Goito: 108. Sordi, Marta: 8m. Sorella, Antonio: 125n. Spanneut, Michel: 205n. Speroni, Giambattista: 102n. Spiazzi, Raimondo Maria: 25n, 48n, 168n, 188n, 2om. Squadrani, Ireneo: 32n, 18on, 2oon. Stabile, Giorgio: 252n, 258n. Stabili, Francesco: 13m, 187fi. Stazio, Publio Papinio: 6o, 66, 203n. Stefanelli, Ruggiero: 65n. Stefano (protomartire): 86. Stelzenberger, Johannes : 219n. Stock, Brian: 9n, 13n, 16n, 27fi, 37fi· Stojkovic Mazzariol, Emma: 144fi. Storey, H. Wayne: I04fi. Stubbs, William: 14lfi. Suitner, Franco: 8on, 245n. Sundby, Thor: 72n. Sutherland Black, John: 149n. Tacito, Cornelio: 125n. Tarud Bettini, Simone: 19on. Tasso, Torquato: 186n. Tateo, Francesco: v, 5n, 55 e n, 6m, 78n, w6n, 22tn, 230n, 242n, 243n, 247fi, 25 tn . Teocrito: 12m. Teofrasto: 124 e n. Terenzio, Publio Mro: non, 140. Tertulliano, Quinto Settimio Fiorente: 93 e n, 124fi. Thilo, Georg: 163n. Thomas, Nei!: 87fi. Tibullo, Albio: 124fi. Timoteo (vescovo di Efeso): 70 e n. Titone: 178n. Tobler, Adolf: 144fi . Todeschini, Giacomo: 13on. Toja, Gianluigi: 214fi. Tollemache, Federigo: 173n. Tolomeo (governatore della provincia di Ge­ rico): 135. Tolomeo, Claudio: 169n.

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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Tomrnaseo, Niccolò: 107, J:4Ul 157 e n, r8on. Tomrnaso Cistercense: 146n. Tomrnaso d'Aquino: v, 211, 8 e n, 9n, ron, 13n, 14fl, r8n, 19n, 2.on, 2.1 e n, 2.211, 2.3 e n, 24 e n, 2.5 e n, 2.6 e n, 2.7 e n, 2.8n, 3211, 33n, 34D, 370, 39n, 4411 , 450, 46 e n, 470, 48n, 53n, 54D , 70, 71 e n, 870, 88n, 98 e n, 10211, 107 e n, 108 e n, 109 e n, no e n, 12.9n, 152., r68n, 169n, 171 e n, 172., 1750, 176n, 178n, 1870, r88n, 194, 1950, 196 e n, wo, wm, 2.04, 2.05n, 2.o6n, 2.10n, 2.I3n, 2.14fl. Tomrnaso di Cantimpré: 178n, r88n. Tonelli, Natascia: 95n. Torraca, Francesco: mn, 12m, 133n, 1770, 2.36n. Torri, Alessandro: 870, rs6n. Tosi, Renzo: msn, 12m, 12.3n, 14on, J:4Ul Toussaint-Samat, Maguelonne: 1450, 146n. Traglia, Antonio: 2.0211. Trifon Gabriele vedi Gabriele, Trifone Triolo, Alfred A.: 13211, 136n. Trisoglio, Francesco: 140n. Tristano Riccardiano: 68n. Tristano: 68n. Trolli, Domizia: 14211. Troncarelli , Marcellina: 139n. Trovato, Paolo: 12.5n. Trucchi, Ernesto: rnn. Trucchi, Francesco: 12.on. Turno: 8211. ,

.

Ugo di San Vittore: 51, 12.on, r88n, 1970. Uguccione da Pisa: 178n. Ulrich, Jacob: I44fl. Umbro (personaggio di Marziale) : 138n. Valente, Vincenzo: 63n, 2.34ll· Valerio Massimo: I54ll· Vallone, Aldo: 6sn, 12m, 2.2.211, u8n, 2.2.9n, 23m. van Laarhoven, Jan: 13m. Vandelli, Giuseppe: 174D, 2.16n. Vanelli Coralli, Rossana: s6n, 194D, 234ll· Varchi, Benedetto: 12.5n, 2.61, 2.6211. Varela-Portas de Orduiia , Juan: son, 86n. Varrone, Marco Terenzio: 1240. Vàrvaro, Alberto: 8on. Vasconcelos, José Leite de: Il4fl. Vasiliu, Anca: I74ll· Vasoli, Cesare: 13n, 89n, 174D, u8n, 23m, 2.58n. Vattasso, Marco: I34ll· Vazzan a , Steno: msn.

Vecchio, Silvana: 84D, 12.9n, 246n. Vegezio, Flavio Renato: 87 e n, 90 e n, 94D, 104 e n. Vellutello, Alessandro: I03n, rs6n, 1570. 1770. 2.31 e n, 2.350, 2.370, 2.39n, 2.42., 243n, 2440 , 246n, 2.55 e n, 2.56n, 2.6211. Venturi, Gianni: VI. Venturi, Luigi: so e n, 55· Verbeke, Gérard: 2.03n. Verboven, Hans: 6sn. Vermeulen, Anton J.: 2.04lJ.. Vernay, Philippe: 103n. Vernon, William Warren : rs6n. Vicinelli, Augusto: 6m. Vickers, Nancy: 1570· Vigouroux, Fulcran: 149n. Villa, Claudia: 158 e n, r6o, 16m, 163n. Villani , Filippo: 4211 , 2.32. e n. Villani, Giovanni: 138n, 1470· Villon, François: 144 e n. Vincenzo Maria di Santa Caterina: 139. Viola, Giovanni: 149n. Virgilio, Publio Marone: 6, 1211 , r6n, 42., 51, 530, 59, 6o, 6m, 74. 82., 85, 104. m, 12.50, 13on, 156, 162., 163, 179n, 180, 2.030, 2.240 , 2.2.8n, 2.34lJ., 2.450· von Ivanka, Endre: 2.19n. Vulcano: 186. Weisheipl, James A.: 196n. Walafrido Strabone: 146 e n. Walther, Hans: 140n. Wandalberto di Priim : 145· Wegner, Max: rs6n. Weinrich, Harald: 64lJ.. Wetherbee, Winthrop: 9n, rm, 370· Wheelwright, Philip: 530· White, Roger M.: 64lJ.. Willard, Henry M.: rom. Willems, Raddobus: 12.3n. Wilson, Robert: 2.53n. Winn, James Anderson: 8211. Witelo (pseudo): 19m, 2.oon. Witke, Edward C.: 2.1211. Wlassics, Tibor: 2.3on, 2.35n, 2.39n. Wolfzettel, Friedrich: 66n. Wyss, Karl: 149n. Zaccaria, Vittorio: 16m. Zaganelli, Gioia: 149n.

INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME

Zama, Piero: 132n. Zambon, Francesco: 33n, 4711 , 48n, 106n. Zanche, Michele: 135. Zelzer, Michaela: 6711 .

Zenari, Massimo: 103n. Zenone: 203n. Zerbi, Piero: 159n, 16on. Zumthor, Paul: 44fl .

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INDICE DEI LUOGHI DANTESCHI

Vita Nuova XIX 12: 185n; XXIII 23: 189n; XXV: 40; XXV 8: 5; XU-XUI: 40. Rime Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra, 2: 173; Amor, che movi tua vertù da cielo, 1617: 185n; Così nel mio parlar voglio esser aspro, 36-37: 98n; La dispietata mente, che pur mira, 62: 63n. Tre donne intorno al cor mi son venute, 94-95, 107: 86 e n. Convivio I 3 4: 87; I II 3-4: 10m; II I 3: 15n, 17, 48 e n; II 2 3: 63n; II 5 I2: 204fl; II I3 Ir. 18m; II I4 I-8: 178n; III 2 r;: 1m; III 3 I2-I). 17; III 7 2-y. 2o8n; III 7 3: 174fl, 21m; III 7 3-J. 2o7fl; III 7 6: 194fl; III 8 Io: 4fl; III 8 I). 26n; III 9 2: 6; III 9 6: 6, 47fl; III 9 8-Io: 188n; III 9 I4IJ. 18m; III Io ;: 6; III IO 7-8: 6m; III I2 6T- 18, 176n; III I4 y. 2oon; III I5 ). 2om; III I5 6: 9n, 54fl; III I5 II-I2: 202n; III I5 I6: 203n; IV 5 19: 78n; IV 6 10: 86; IV 6 20: 6m; IV I2 14-15: 109n; IV I3 12: 76n; IV 2I 2: I2fl, I3n; IV 2I 14 = 128; IV 22 2-3: 108n; IV 22 16-17: 17m; IV 23 12-14: 17on; IV 27 3: 127; IV 28 3: 258n; IV 28 7-8: 258n; IV 29 9-10: 17m; IV 30 4: 88n. De vulgari eloquentia

I

2 ;: IO:

6, 20n; I I6 2: 172n, 173n; II 2 8: 8on; II 2 79n; II 4 2: 48n; II 4 Io: 6; II 6 4-y. 5n.

Commedia Inferno

I

J.

I90n, 232fl; I 6:;. 4fi, 42. 190n, 229n; I IOO: 227fl; II I-6: 69n; II 4-J. 61; II I6: 84; II 9fT. 84fl; II I27-I2fl. 178n; III 28: 76; III 63: 84; III II5-II6: 146n; III IIT- 6o; IV Ir. 213n; IV 86: m; IV I38: 8n; V 27- 99; V 28: 4fi, 19on, 232; V 28-30: 227fl; V 65-66: 98n; V By. 6o; V 94-96: 23on; VI 49-50: 225n; VI 83-84: 123; VI 9). 76; VI I09-IIO: 129; VI II). 84; VII I2: 228n; VII IOO-IOJ. 217; VIII I-6: 75; VIII 50: 245n; VIII 5I-5J: 245n; VIII 9r. 228n; VIII 64-66: 189n; VIII 6fT. 85; VIII 76: 85; VIII I22-I23: 85; IX ;: 85; IX 6I-63: 38; IX 63: 3on, 39; IX Io6: 85; X 58-5fT. 228n; X 6fT. 188; X I23: 76; XII 54: 6o; XII 55-57- 74fl; XII 5fl. 6o; XII 59-60: 74fl; XII 77-78: nm; XII IOO: 74fl; XII I33-I34= 98; XII I33 -I38: 164; XII I35-I36: 2o8; XIII 6: 123n; XIII 94-98: 88n; XIII 98: 88, 187fl; XIII I30: 6o; XIV 28-3fT. 187; XIV 2fT. 218; XIV 43-4). 85n; XIV 4748: 128n; XIV p-6o: 186; XIV I2I-I22: 217; XV I6: 6o; XV 20: 102; XV 6I-63: 130; XV 6I-78: II4; XV 64: 86, 122fl; XV 6). 133n; XV 66: 114, mn; XV 93: 88; XV 95-96: 131; XVI 6: 218; XVI I6-I;: 186; XVI 50: 6m; XVI 6I62: 123; XVI 76: 88n; XVII 57- 236n; XVII 6r. 235; XVII I36: 108n; XVIII 50-5r. 243; XVIII 6y. 77; XVIII 6;: 6o; XX 26: 6o; XXI 52: 77; XXI 5fl. 77; XXI 94-96: 74; XXI IOO: 77; XXI I02: 77; XXI I27-I32: 85; XXII I-I2: 74; XXII 3). 77; XXII 9J: 245; XXII I2I-I4r. 76; XXII I4T- 77; XXIII 4-6: 88n; XXIII I6: 77; XXIII 97-98: 218; XXIII I2J: 146n; XXIII I44: 85; XXIV fl. 173; XXIV 43-4). 164; XXIV 53-54= 88; XXIV II4: 77; XXIV I45-I50: 253; XXIV I5r. 252; XXV 77- 37, 217; XXV 9496: no; XXVI 48: 219; XXVII 79-Br. 255; XXVII 85-88: 86; XXVIII: 78; XXVIII I-6: 82; XXVIII 7-2r. 79; XXVIII 37- 77; XXVIII 38: 77; XXVIII Io8: 146n; XXVIII II5-IIT- 87; XXVIII I36-I38: 81; XXIX 43-44= 99, 104; XXIX 43-4). 189n; XXIX I34: 102; XXXI 8:;. 187fl; XXXIII 7-8: 134; XXXIII 7). 62; 6o:

123; I ;: 123; I 55-57- 229n, 232; I 58-6o: 23o; I

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INDICE DEI LUOGHI DANTESCHI

XXXIII 109-157- 134; XXXIII 115-12(1'; 132.; XXXIII r2u. 134, 136, J44.11 ; XXXN 28: 89, 92.. Purgatorio

I I-3= 2.48; I 9-12: 6on; II 55-56: nm; II 55-JT- 185; II 122-123: 2.38; N 24: 6o; N 39= 6o; N 55-5r. 189; V 14: 87; V 37-38: x8o e n; V 42: 6o; VI 83-84: 85; VI 91-99= 6m; VI 124-126: 132.; VI I30-rp: 108; VIII 19-2r. 38n, 101; VIII 22: 90; VIII 25-27- 96; VIII 9S: 84; VIII ro6-ro8: 2.2.4-fl; VIII rru. 84; IX r-r. 178n; IX 58-6u. 2.2.4-fl; IX 85-86: 98; IX 113: 98; X ro-r2: 6on; X 2). 2.38n; X 72: 173; X 9S: 57; X n8: 24on; X 122: 102.; XI 2u. 84; XII 2u. 99; XII 88-9u. x8x; XIII 52-57- 164; XIII 53-54: 99; XN 22: xo3; XN 22-24: 2.41; XN 67-69= 2.41; XN 146: 84; XV: 177; xv 7-Ir. !88; xv 22-23: 189; xv 39= 76; xv 94-9). 2.18; xv 109-114: 86; xv 131-132: 2.12.," xv 132: 2.12.; XVI: I8I; XVI 4-7- 177n; XVI 8: 6o; XVI 13= 177n; XVI 2y. 177n; XVI 47-48: 108; XVI 75-78: 109; XVI 93: 109; XVI 142-144: 177; XVI 144: I77fl, x8x; XVII 1-9= 178n; XVII 9= 178n; XVII 25-26: 2.18; XVII 40-4). 188, 189n; XVII 52-57- 18m; XVIII r6-r8: 102.; XX 43= 146n; XXII roo-roy. 155; XXII ro2: 157, 159; XXII 136-138: 2.03n; XXN r6-r8: 164; XXN 94-9774fl; XXN 145-147- 178n; XXV 17-18: m; XXV II2-II4: 186; XXVI 4 - 6: 178n, 189; XXVI rr8-119= m; XXVI 126: m; XXVIII 124: 2.12.; XXIX 64-66: 183; XXIX 73-7s: x8on; XXIX 79= 90; XXIX 115-12U. 91; XXIX r4u. 98; xxx 40-42: x84fl; xxx 55-5r. xo4; XXX 57- 2.51, 25m; XXX ror. 104; XXX I03I4J. 104; XXX II2: 2.09n; XXX II2-II4: 146n; XXX rr8-r2u. 146n; XXXI 1-3: 2.52.n; XXXI 1-4: 104; XXXI r6: m, I87fl; XXXI r6-2r. 105, no; XXXI 25-26: 106; XXXI 5556: 106; XXXI 59= 106; XXXI 73: xo6; XXXI 139= x8m; XXXII ro-12: 188, 189n; XXXII IT- 90; XXXII 19-24: 91; XXXII 22: 90; XXXII I5I-IJ3: 2.2.4-fl; XXXII 15). 99; XXXII 158-r6u. 99; XXXIII 67-68: 24m; XXXIII 112: 2.09n; XXXIII 115-IIT- 2.16; XXXIII II6: 2.17; XXXIII 127- 2.17. Paradiso

I I-2: 2.05n; I I-3= 184; I 2: 2.07fl, 2.09n; I 2-3= 207; I I). 94; I 18: 59, 94; I 29= 94; I 38-39= 2.2.4-fl; I 43-

178n; I 70-72: 2.9, 54fl; I 84: 99; I rr8-119= x86n; I n8-r2u. xo8; I 125-126: 102., 108; I 134: I87fl; II 1-18: 259n; II 23-24: 108, nm, x86n; II 31-36: 189; II 34-36: 18m; II 5S: 99; II II2: 2.17; II nB: 44; II 142-144: 2.17; III 85-8r. 2.2.5n; N 22-24: 9; N 24: 39; N 28-48: 7; N 4S: 31; N 49-63: xo, xm, 13n; N 5u. 2.7; N 59-6u. m; N II5-II6: 2.12., 2.17; N n6: 2.12.; N 12(1'; 94; V 73-84: 150; V 88-89= 2.30n; V 115IIT- 94; VI 127-128: 18m; VII 8-12: 2.1on; VII 12: I97fl; VII 64: 44, 2.15; VII 64-7). 2.10; VII 65-69= 2.18; VII 67- 2.15; VII 69= 2.15; VII 7u. 2.14fl, 2.15; VII 7S: m; VII 79-8r. 182.; VIII 83: 96n; VIII 103-ros: 109, x86n; IX 29-3u. 84; IX 69= 189; IX I4I. 93; XI 3S: 91; XI 124-129= 153; XII: 19on; XII 7- 92; XII 8: 92.; XII 22: 92.; XII 3S: 91; XII 37- 6x; XII 38-4u. 91; XII 4u. 92.; XII 4r. 92.; XII 42: 91; XII 44: 91, 92.; XII 49= 92.; XII 53: 92.; XII 57- 92; XII 58-59= 92.; XII 61-63= 92.; XII 94-9S: 92.; XII roo-ror. 92.; XII ro6-ro8: 9m; XII ro8: 92.; XII n8-rzu. I47fl; XIII 3r. 2.3on; XIII J2: 44; XIII 55-56: 18m; XIII 103-IO). 107; XN: 178, 181; XN 27- 197fl; XN J3: 183 e n; XN 97-102: 177; XN 103: 6m; XN ro8: 178; XN 114: 181; XN 122-123: 97; XN r2y. 76; XV: x8x; XV 13-24: x8o; XV 14-IJ. 2.o8n; XV 43-48: 86; XV 44-4s: 87fl; XV 14u. 67, 96n; XVI 52-57132.n; XVI 13u. 96n; XVII 24: 87; XVII 34: 87fl; XVII 27- 88, x86n; XVII 55-57- x86n; XVII 57- 88; XVII ro6-ro9= 88; XVII rr2: 123n; XVII 134: 88; XVIII 67-69= 183; XVIII 124: 6x, 92.; XVIII 127-129= 92.; XIX 46-48: 12.9; XIX 5354= 2.09; xx 55-57- 147fl; xx II8-I2(J'; 2.13, 2.16, 2.18; xx 119= 197fl, 2.12.; xx 12(1'; 2.11, 2.16 2.18 · XXI r6-r8: x88n; XXI 23= 6o; XXI 31-3 2.13 XXI 44: 2.3on; XXI 49= 2.3on; XXI 83-87164, 2.07; XXI 87- 2.o8; XXII r6-r8: 98; XXII 25-27- 99; XXII 28-29= x8m; XXII 64-67129n; XXII 107- 94; XXII II2-IIJ. 2.07; XXII 13r. 94; XXIII: 161 e n; XXIII 19-2u. 94; XXIII 31-32: x8m; XXIII 4u. 187fl; XXIII 42: 187fl; XXIII 55-6u. 156; XXIII 57- 157; XXIII 61-63= 28n; XXIII 7r. 147; XXIII 78: xo6; XXIII II2-II4: 2.46; XXIII 121-122: 155n; XXIII 121126: 154; XXIII 124-126: 133; XXIII 13u. 155n; XXIII I30-I3I. 154; XXN 27- 2.14; XXN 46: xu; XXN 49= xu; XXN 52: 112.; XXN 59= 93; XXN 91-92: 2.13, 2.15; XXN 92: 2.I4fl; XXN 143-147- 218; XXN 145-147- 2.11; xxv 4S:

- 280 -

;

;

INDICE DEI LUOGHI DANTESCHI

6r, 88; XXV 29-3u: 209n; XXV J7. 94; XXV 19711; XXVI 7-8: no; XXVI 24: no, r86n; XXVI 64-66: n5; XXVI I09-IIr. 147; XXVI IIT- 102; XXVIII 4-2r. r88n; XXVIII I6: 2n; XXVIII 4NJ. 99; XXVIII I26: 76; XXIX 20-2r. 2o8n; XXIX 22-3u: ro8, r86n; XXIX 24: nm; XXIX I09-II4: 95; XXIX IIJ-II4: 99, II2; XXX IU: 76, 94; XXX 22: 106; XXX 39-4u: r8m; XXX 43-44: 90; XXX 49-5r. 54fi, 219; XXX 6r. 216; XXX 6I-f1U: 219; XXX 62: 2r6n; XXX 68: 193; XXX 82-87155; XXX By. 216; XXX 85-87- r88n; XXX 86-87- 217; XXX 88: 219n; XXX 88-8fT. 54fi; XXX 88-9u: 234; XXX 98: 95; XXX IJU: 85n; XXXI 2: 92; XXXI 3= 92; XXXI I9-2'J'. 183184; XXXI 22-25- 207 e n; XXXI 28-2fT. 184; XXXI JI-4U: 89; XXXI 46: r8m; XXXI 93'212; XXXII 4: 62; XXXII 4-6: 98; XXXII I42-I44: 20711; XXXIII 6I-6J: 218; XXXIII 67-7). 95; XXXII I 7I-72: 2r8; XXXIII 76-7799; XXXIII S'f. 213n; XXXIII I40-I� r89n. 6:

76:

Monarchia

I I 2-3: 128n; I I 6: 209n; I 4 3: 9711, 2o6n; II 9 3: 8711; III IJ 15: 209fi. Epistole

I

10711; III 4: 4Q; V 6: 98n; VI 4: 9711; VI I2: 90; VII Ifl. 86n; XI f. 94fi; XIII: r, n, 21, 22, 33, 36, 38, 40, 46, 47, 6m, 204; XIII 2u: 3m; XIII 27- 4Q; XIII 3u: 3711; XIII 3r. 36n; XIII 3fT. m; XIII 49-52: m, 3n; XIII 5u: 29n; XIII 6I-64: wsn; XIII 62: 20711; XIII 64: 204; XIII 79-Bu: 3n; XIII 82: 2r4fi; XIII 83-84: m, I4fi, 15, 196; XIII 84: rm, 2711, 40, ro6; XIII 89: rm.

6:

Egloghe II I-2: r62; II 3r. 162; II JI-33= r6m; II 58-62: 162;

II 63-64: r63.

- 281 -

INDICE

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.

v

. . . . . . . . . . . . . . .

»

l

meta/ore belliche nel viaggio dantesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

59

Una meta/ora vegetale: il fico ('In/ ' , XV 66 e XXXIII I20) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

1 13

meta/ora del latte in Dante tra tradizione classica e cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

149

meta/ora scientifica e la rappresentazione della corporeitas luminosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

167

'Meta/ore assolute': emanazionismo e sinestesie della luce fluente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

1 93

magnanimità meta/orica di Dante e i primi commentatori della 'Commedia' . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

22 1

Indice dei nomi e delle opere anonime . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

263

Indice dei luoghi danteschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

279

MARco AruA.Nr,

I «metaphorismi» di Dante .

LucA MARcozzr, La guerra del cammino: GIUSEPPE CRIMI,

MAuruzro FroRILLA, La SrLVIA FrNAZZI, La MARco AruA.Nr,

MARio PAOLO TASSONE, La



TI BERGRAPH

CITIÀ DI FINITO

DI

CASTELLO

STAMPARE NEL



PG

MESE DI DICEMBRE 2008