Traduzione di Nidia Morra Come funziona la mindfulness. Teoria, ricerca, strumenti 8860304806, 9788860304803

Come agisce la mindfulness? Migliaia di terapeuti utilizzano trattamenti basati su di essa e sono stati direttamente tes

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Traduzione di Nidia Morra 
Come funziona la mindfulness. Teoria, ricerca, strumenti
 8860304806, 9788860304803

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COME FUNZIONA LA MINDFULNESS Teoria, ricerca, strumenti a cura di Ruth A. Baer

Edizione italiana a cura di Cesare Maffei



&gfaello CortinaEditore

www.raffaellocortina.it

Titolo originale

Assessing Mind/ulness and Acceptance Processes in Clients

© 2010 by Ruth A. Baer Originally published by New Harbinger Publications, !ne. Traduzione di Nidia Morra

ISBN 978-88-6030-480-3 © 2012 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2012

Stampato da Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese) per conto di Raffaello Cortina Editore

Ristampe

2 o 2012 2013 2014

4 2015 2016

INDICE

La mindfulness. Dalla tradizione alla ricerca empirica (Cesare Ma/fez) Introduzione. Interventi basati su mindfulness e accettazione e processi di cambiamento (Ruth A. Baer)

VII

l

Parte prima processi di cambiamento

T

Capitolo I Mindulfness e decentramento (Shannon Sauer, Ruth A. Baer)

23

Capitolo II La flessibilità psicologica nell' Acceptance an d Commitment Therapy (joseph Cia"ochi, Linda Bilich, Clair Godsell)

49

Capitolo III Comprensione, valutazione e trattamento dei processi valoriali (Kelly Wilson, Emily K. Sandoz, Maureen K. Flynn, Regan M. Slater, Troy DuFrene)

73

Capitolo IV La regolazione emozionale (Kim L. Gratz, Matthew T Tull)

103 v

Indice

Capitolo V La compassione di sé (Ruth A. Baer)

129

Capitolo VI L'impegno spirituale (Jean L. Kristeller)

149

Capitolo VII Meditazione e neuroplasticità. Usare la mindfulness per cambiare il cervello (Michael T Treadway, Sara W Lazar)

179

Capitolo VIII Cosa viene rafforzato dal training di mindfulness? La capacità di memoria di lavoro come indicatore funzionale del successo dei training (Amishi P ]ha, Elizabeth A. Stanley, Michael]. Baime)

199

Parte seconda Applicazioni in particolari ambiti e popolazioni cliniche Capitolo IX Accettazione e mindfulness come meccanismi di cambiamento negli interventi per bambini e adolescenti (Michael P Twohig, Clinton E. Field, Andrew B. Armstrong, Angie L. Dahl)

217

Capitolo X Accettazione e mindfulness come processi di cambiamento nelle popolazioni con malattie fisiche (Lance M. McCracken, Kevin E. Vowles, ]ennzfer Gregg, Priscilla Almada)

241

Capitolo XI Acceptance and Commitment Training. Promuovere la flessibilità psicologica in ambito lavorativo (Paul E. Flaxman, Frank W Bond)

269

Indice analitico

295

VI

LA MINDFULNESS DALLA TRADIZIONE ALLA RICERCA EMPIRICA

Cesare Maffei

Ciò che si usa chiamare con il termine di "mindfulness" è sempre più noto, e apparentemente familiare, sia agli specialisti che operano in ambito psicologico, sia a coloro, e sono molti, che a vario titolo nutrono un interesse per le pratiche meditative. Detto in termini molto ridutti­ vi, oggi si parla molto di mindfulness, e ciò può anche far venire il so­ spetto che si tratti, almeno in parte, di una moda. Ciò che va di moda, per definizione, è destinato a tramontare perché le mode hanno radici molto superficiali. È quindi quanto mai opportuno andare a esplorare la natura delle radici della mindfulness, per poi cercare di prevedere se esse garantiranno uno sviluppo stabile e florido nel tempo, oppure no. Le radici concettuali, inestricabilmente connesse alla pratica, sono davvero molto antiche. All'interno del canone pali, redatto dal conci­ lio della comunità buddhista in due riprese, rispettivamente nel 340 a.C. e nel 246 (o 247) a.C., si trova la sezione dei discorsi del Buddha (Suttapitaka). In essa si trova a sua volta la sezione dei discorsi lunghi (Diigha Nikiiya), tra cui il "Grande discorso sui fondamenti della pre­ senza mentale" (Mahasatipanhanasuttanta). È possibile, senza tema di smentite, ritenere che questo sia il primo trattato teorico-pratico su ciò che oggi usiamo chiamare mindfulness. Il termine intorno a cui ruota tutto il costrutto è sati, che letteralmente significa "memoria" e che ven­ ne reso da Rhys Davids nella prima traduzione, pubblicata nel 1952, con "consapevolezza". All'inizio del discorso, così si dice: "Questa è la via, o monaci, l'u­ nico sentiero per la purificazione degli esseri, per la vittoria sulla pena e sul lamento, per la distruzione del disagio e dell'angoscia" (in Gnoli, 2000, p. 337). L'importanza della via indicata appare evidente se la si connette con VII

La mind/ulness

due pilastri della dottrina buddhista. n primo riguarda le Quattro No­ bili Verità: il dolore, l'origine del dolore, la cessazione del dolore, il sen­ tiero che conduce alla cessazione del dolore. n problema del dolore è così radicale nella genesi dell'opera di Buddha da essere l'argomento portante del "Discorso della messa in moto della ruota del Dhamma" (Dhammacakkapavattanasutta), che riporta le prime parole dette dal Ri­ svegliato nella predica di Benares. Il secondo è il Nobile Ottuplice Sen­ tiero in cui vengono indicate le qualità conoscitive, morali e contempla­ tive, la cui acquisizione conduce al superamento del dolore. Le qualità conoscitive sono la retta visione e il retto pensiero, quelle morali sono la retta parola, la retta azione e il retto modo di vita, e infine le qualità contemplative sono il retto sforzo, la retta attenzione e il retto racco­ glimento. Il "Grande discorso sui fondamenti della presenza mentale", cui si faceva accenno prima, riguarda la retta attenzione come fase ini­ ziale della tecnica contemplativa. La presenza mentale viene riferita in maniera particolareggiata al corpo (respiro, posizioni del corpo, azioni e funzioni corporali, parti del corpo, elementi che lo compongono) , alle sensazioni, alla mente e agli oggetti mentali. La presenza mentale è quindi uno dei solidi ponti che la dottrina ha costruito per aiutare l'umanità a passare oltre la inevitabile realtà del dolore, elemento radicalmente insito nella natura degli esseri viventi. Se si sono addotti elementi sufficienti per far comprendere quanto le radici del concetto e della pratica siano antiche e profonde, tuttavia rimane una certa elasticità, a partire dalle traduzioni dei testi originari, circa il significato dei termini stessi. Si parla infatti di attenzione, di me­ moria, di presenza, di consapevolezza. Questa multiformità semantica, più che indice di ambiguità, è da considerarsi indicatore di una ricchez­ za concettuale che è difficile ridurre e condensare in un solo termine. Se dalle origini saltiamo all'attualità, ecco che il termine mindfulness sembra essere capace di operare una efficace sintesi. Non è così, a me­ no che non si abbia la pazienza di aprire la scatola e di verificare atten­ tamente che cosa essa contenga. Esistono molte definizioni di mindful­ ness, più o meno concordi nel definirne gli aspetti fondamentali. La più articolata, frutto di un tentativo di confronto e di integrazione, è quella fornita nel volume da Ruth Baer, che mette in evidenza il carattere ar­ ticolato, composito, complesso, del concetto e di come esso sia forma­ to da una molteplicità di azioni. Sarebbe meglio rivoltare la frase e dire così: chiamiamo con il termine di mindfulness un insieme di azioni che riguardano molteplici aspetti del funzionamento mentale e che posso­ no ricondursi tutte al loro effetto ultimo che consiste, approssimativaVIII

La mindfulness

mente, nella capacità di stare nel presente. Approssimativamente signi­ fica che il linguaggio può solo approssimarsi all'esperienza che descrive, senza pretesa di esaustività. La definizione della mindfulness è quindi operativa, nel senso che ri­ guarda operazioni mentali, azioni che vengono compiute, e che copro­ no una molteplicità di funzioni cognitive interconnesse con altrettante funzioni riguardanti l'attivazione e la regolazione emozionale. L'osservare, innanzitutto, implica la capacità di mantenere l' attenzio­ ne focalizzata in maniera sostenuta e necessita del supporto indispen­ sabile della memoria di lavoro. Chiunque compia un esercizio basila­ re quale l'osservazione prolungata del respiro si rende conto che la sua mente, prima o poi, si distrae, vaga altrove, e che per ricondurla sul re­ spiro è necessario ricordarsi il punto di partenza, per poi ritornarvi. Se non ci si ricorda che la pratica consisteva nell'osservazione del respiro la mente vagherà indefinitamente. Già questo funzionamento, apparente­ mente semplice, rimanda a una complessità considerevole, riguardante la natura stessa del funzionamento mentale e cerebrale. In un recente lavoro (Hasenkamp et al., 2012) compiuto su meditatori esperti è stata testata con successo, da un punto di vista neurofunzionale, l'ipotesi che esistano due stati fondamentali: la mente focalizzata e la mente vagante, sostenuti dall'attivazione di strutture cerebrali diversificate. La capacità di stare in una posizione non giudicante, il che significa non attribuire positività o negatività alla realtà, è strettamente legata alla regolazione dell'attivazione emozionale e alla abilità nel distinguere tra qualità oggettive, in quanto riconoscibili e condivisibili, e immediata, ma ingenua e arbitraria, attribuzione alla realtà di qualità che sono nei pensieri, quindi nella soggettività. Le capacità di decentramento, o di de­ fusione cognitiva, per dirla con il linguaggio dell' Acceptance and Com­ mitment Therapy (ACT), sono un aspetto fondamentale della mindful­ ness che consente di stare nel qui e ora dell'esperienza, a partire dalle sue qualità sensoriali ed emozionali, evitando di reificare l'esperienza medesima dentro categorie stabili, ma irrazionali. A ognuno capita di dire che non mangerebbe un certo cibo perché "cattivo", senza render­ si conto che il problema non sta nel cibo, ma nella percentuale di gradi­ mento soggettivo rispetto a esso. Sarebbe più aderente alla realtà, infatti, dire che un certo cibo "non mi piace", nella consapevolezza che ciò che non piace a me può risultare prelibato per qualcun altro. Se poi ci sono cose che nessun essere umano mangerebbe, allora ci si può azzardare ad attribuire la qualità negativa all'oggetto. Anche se si potrebbe obiet­ tare che bisogna comunque tenere conto del contesto: è capitato che i IX

La mind/ulness

sopravvissuti a un disastro aereo in un luogo sperduto abbiano iniziato a nutrirsi dei cadaveri. È un caso estremo, ma istruttivo rispetto al fatto che non bisogna mai ragionare come se la "realtà" fosse una e immodi­ ficabile: siamo per lo più abituati a stabilità del contesto, e ciò può dare l'illusione che la realtà sia sempre la stessa. L'interazione virtuosa tra funzioni cognitive e regolazione emoziona­ le determina, infine, la possibilità di agire con consapevolezza, evitando schemi di tipo azione-reazione, o l'automatismo inconsapevole. Questo aspetto merita un'enfasi particolare, perché l'azione consapevole è fina­ lizzata al raggiungimento di obiettivi chiaramente definiti nella mente del soggetto, e gli obiettivi sono la presentificazione dei valori in gioco in ogni momento della vita. Ogni azione è connessa a valori: il lavarsi alla mattina, il fare colazione, l'andare al lavoro, l'andare al cinema, il riposarsi, e così via. La quotidianità, cogliendone il valore attimo per attimo, è il primo e indispensabile ingrediente per dare senso alla vita, per renderla degna di essere vissuta. Mangiare affrettatamente senza rendersi conto del sapore del cibo, senza ricordarsi qualche minuto do­ po che cosa si è mangiato, perché intanto la testa era piena di pensieri, è un modo per togliere un attimo di senso alla vita. Se diventa uno stile di vita, non-stare nel presente avendo sempre la mente altrove, la vita è a rischio di perdere senso. La posta in gioco, come si vede, è davvero molto importante. Sperando di avere reso conto, almeno in maniera schematica, del fat­ to che il termine mindfulness ha senso soltanto qualora se ne comprenda la complessità funzionale, rimane da trattare un ultimo punto. Coerente­ mente con le sue origini, esso riguarda la possibilità di fare i conti con il dolore insito nell'esistenza ed è in tale accezione che è entrato a far parte dell'armamentario teorico-pratico di interventi terapeutici ben definiti e riferibili, nella loro globalità, alla cosiddetta "terza generazione delle psicoterapie cognitivo-comportamentali". È soprattutto in relazione a questo aspetto che il volume curato da Ruth Baer rivela la sua origina­ lità e utilità. La questione può essere impostata in questo modo: il fatto che la suddetta terza generazione esista è controverso. Se la prima ge­ nerazione è stata rappresentata dalle psicoterapie comportamentali e la seconda dalle psicoterapie cognitive, la terza generazione si incarna in trattamenti formalizzati esplicitamente basati sulla mindfulness, come l'MBSR e l'MBCT, così come viene a far parte, in maniera fondante, di com­ plessi sistemi terapeutici come la DBT e l' ACT. La loro ambizione è di po­ tersi definire come "evidence-based", o "research based", dal momento che i loro presupposti concettuali sono empiricamente verificabili. In tal x

La mindfulness

senso essi si distaccano dalla tradizione che ha fondato le psicoterapie su teorie e modelli clinici non verificati, e per lo più non verificabili. Ov­ viamente, questo tipo di premessa porta con sé la naturale conseguenza della imprescindibile necessità di verifica dell'efficacia dei trattamenti, ma soprattutto della originalità dei loro modi di azione. È soprattutto su quest'ultimo punto che i sostenitori della terza generazione sperano di vincere la partita, dimostrando che i trattamenti in questione agisco­ no attraverso processi differenti da quelli delle psicoterapie di prima e seconda generazione. Dal momento che la mindfulness, ma sarebbe meglio dire la pratica della mindfulness, è considerata come l'elemento centrale del cambiamento terapeutico, e considerando come si è detto in precedenza che ci troviamo davanti a una entità che riassume in sé molteplici funzioni mentali, ne consegue che per capire come agisce bi­ sogna identificare quali siano i mediatori di azione attraverso i quali essa opera terapeuticamente. Questo volume si occupa in maniera specifica di ciò, passando in rassegna le conoscenze scientifiche, empiricamente provate, relative ai fattori di mediazione. L'argomento, poi, ha una ul­ teriore implicazione, che lo rende ancor più complesso e intrigante, re­ lativa alle relazioni che intercorrono tra i fattori di mediazione. Sarebbe più semplice poterli porre uno accanto all'altro, analizzandoli separata­ mente: ciò però non è realistico perché non solo è altamente probabi­ le che siano interconnessi, ma è anche verosimile che siano organizzati per livelli di gerarchici di realtà. Per esempio, sono già stati evidenziate le connessioni tra funzioni cognitive e regolazione emozionale, e questo potrebbe essere un modello trasversale. Quando però si passa alla fles­ sibilità psicologica sintetizzata nell'hexa/lex dell' ACT, è chiaro che essa è gerarchicamente sovraordinata ai fattori che la compongono. Infine, l'ipotesi che la spiritualità sia uno dei mediatori di azione della mindful­ ness implica l'ardua necessità di scomporre un concetto di natura gerar­ chicamente così elevata da riguardare il legame percepito dagli umani con la natura, l'universo, il trascendente. In conclusione, il merito di Ruth Baer è indubbiamente di avere rac­ colto per la prima volta una rassegna delle conoscenze scientifiche, su base empirica, riguardanti il come è fatta la mindfulness, i suoi mediatori di azione, i suoi effetti. Per i ricercatori che sono interessati a studiare le psicoterapie di terza generazione, soprattutto rispetto all'originalità dei loro processi di azione, questo volume consente di avere sott' occhio ra­ pidamente la letteratura. Per i clinici è uno strumento utile rispetto alle conoscenze scientifiche in merito alle loro pratiche terapeutiche. Per il lettore che ha voglia di farsi un'idea dell'argomento l'utilità è garantita: XI

LA mindfulness

rendersi conto che da una tradizione millenaria la scienza contempo­ ranea sta estraendo un metallo prezioso, che se ben lavorato manterrà intatto il suo valore ben al di là delle mode. D'altra parte Buddha stesso aveva intuito l'utilizzabilità scientifica della sua dottrina quando aveva affermato: "Le mie parole, o monaci, debbono essere verificate e accet­ tate dai savi così come l'oro, che viene riscaldato, spezzettato e provato, non certo per reverenza verso di me" (in Gnoli, 2000, p. XXX). Bibliografia GNOLI, R. (2000), La rivelazione del Buddha. Testi antichi. Mondadori, Milano. HASENKAMP, W. , WILSON-MENDENHALL, C.D., DUNCAN, E., BARSALOU, L.W (2012). "Mind wandering and attention focused during meditation: A fine-grained temporal analysis of fluctuating cognitive states". In Neuroimage, 59, pp. 750-760. RHYS DAVIDS, T.W., History and Literature o/Buddhism. Calcutta 1952.

XII

INTRODUZIONE INTERVENTI BASATI SU MINDFULNESS E ACCETTAZIONE E PROCESSI DI CAMBIAMENTO

Ruth A. Baer*

Gli interventi psicologici basati su mindfulness e accettazione han­ no in brevissimo tempo attirato un interesse straordinario. Il New York Times ha recentemente descritto la meditazione mindfulness come "la nuova tecnica psicoterapica forse più popolare dello scorso decennio" (Carey, 2008). Anche se la meditazione mindfulness trae origine da an­ tiche tradizioni buddhiste che si sono evolute per molti secoli, l'intro­ duzione di forme laiche di pratica mindfulness nel contesto occidentale contemporaneo è piuttosto recente. Principi e pratiche basati sulla mindfulness vengono applicati al trat­ tamento psicologico in vari modi. Alcuni terapeuti adottano una pratica personale di meditazione mindfulness per migliorare i loro stessi benes­ sere e serenità mentale e sviluppare un atteggiamento più attento, equi­ librato e compassionevole nelle sedute di terapia, ma non insegnano la mindfulness ai loro pazienti (Germer, Siegel e Fulton, 2005). Altri inse­ riscono la saggezza e i contenuti derivanti dagli insegnamenti buddhi­ sti di concetti quali l'impermanenza e l'accettazione nel confronto con i clienti, senza esplicitamente insegnare loro a impegnarsi in pratiche mindfulness (Shapiro e Carlson, 2009) . La maggior parte della lettera­ tura empirica, tuttavia, descrive trattamenti strutturati in cui pratiche di mindfulness, formale o informale, sono esplicitamente considerate un ingrediente terapeutico fondamentale. Le più conosciute di queste, che hanno ottenuto grande seguito per la loro efficacia, sono la Accep­ tance and Commitment Therapy (ACT; Hayes, Strosahl e Wilson, 1999) ; la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993 ) , la Mindfulness­ Based Cognitive Therapy (MBCT; Segai, Williams e Teasdale, 2002) e la *

University of Kentucky.

l

Introduvone

Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR; Kabat-Zinn, 1982, 1990). La ricerca su questi approcci, comprendente modifiche e adattamenti a specifici disturbi e categorie di soggetti, appare regolarmente nella lette­ ratura empirica, così come in nuovi libri per professionisti e non addet­ ti ai lavori. Sono, inoltre, sempre più disponibili training professionali miranti all'apprendimento di queste forme di intervento. Molta della letteratura a favore di questi trattamenti mette in risal­ to la riduzione dei sintomi o della sofferenza come risultato principale. Solo una quantità limitata di studi ha preso in esame i processi e i mec­ canismi attraverso i quali si ottengono risultati positivi. Per coloro che richiedono un trattamento, la riduzione dei sintomi è spesso 1'obietti­ vo principale. Tuttavia, conoscenza scientifica e pratica progrediscono meglio quando le ricerche indagano non solo se una terapia funziona, ma anche il modo nel quale ciò avviene. Se capiamo come agisce una terapia, possiamo aumentarne l'efficacia, affinando i fattori responsa­ bili del cambiamento terapeutico e sfumando o eliminando quelli che si sono rivelati inefficaci. Per esempio, si ritiene generalmente, sia nella tradizionale meditazio­ ne buddhista sia negli interventi contemporanei, che 1' addestramento alla mindfulness debba far sì che chi vi si sottopone sia maggiormente mindful delle esperienze della vita quotidiana. Questo, a sua volta, do­ vrebbe portare alla diminuzione della sofferenza e all'aumento del be­ nessere. Ma gli attuali trattamenti basati sulla mindfulness agiscono in questo modo? Chi vi si sottopone impara a essere più mindful nella quo­ tidianità? È per questo motivo che la sua salute psicologica migliora? È possibile che il miglioramento sia dovuto ad altri fattori, come il soste­ gno sociale, l'attenzione ricevuta da un terapeuta attento o un insegnan­ te, la maggior capacità di rilassarsi, la generale educazione psicologica e il confronto che avviene durante la partecipazione a un trattamento strutturato? Per rispondere a queste domande è necessaria la compren­ sione dei processi di cambiamento, e ciò richiede metodiche atte a valu­ tare quali di questi abbiano un'influenza maggiore. Senza tali metodiche, non siamo in grado di dire se coloro che prendono parte a un training di mindfulness imparano a essere più mindful nella vita quotidiana o se questo incida significativamente sui risultati positivi del training. Questo libro si propone di far luce su importanti aspetti riguardanti le modalità in cui agiscono i trattamenti basati su mindfulness e accet­ tazione. Cosa cambia quando si prende parte a questi interventi? Si di­ venta più mindful e accettanti? Se ciò avviene, questi cambiamenti sono importanti nel rendere conto del miglioramento delle funzioni psicolo2

Introduzione

giche, del benessere e della qualità della vita che tipicamente si verifica­ no in seguito a queste terapie? I capitoli seguenti affronteranno queste problematiche relativamente ad alcuni importanti processi in varie ca­ tegorie di soggetti. In questa introduzione accennerò alle basi storiche che sono all'origine dei trattamenti basati sulla mindfulness, proseguen­ do con un esame sintetico delle tipologie di soggetti e disturbi ai quali questi vengono spesso applicati e facendo una panoramica dei processi ritenuti essere al centro del loro meccanismo d'azione. ORIGINI E APPLICAZIONI DEL TRAINING DI MINDFULNESS

La meditazione mindfulness trae origine in antiche tradizioni buddhiste, vecchie di circa 2500 anni. Mentre si diffondeva attraver­ so l'Asia, il Buddhismo si è evoluto in diverse tradizioni secondarie e scuole di pensiero che si differenziano nelle loro pratiche specifiche. Le tre branche principali sono descritte da Kabat-Zinn (2003 ) come la tradizione Theravada, quella Mahayana o Zen e quella Vajrayana o Ti­ betana. Gli antichi testi che spiegano la natura della mindfulness costi­ tuiscono il nucleo centrale di insegnamento per tutte queste branche e le loro suddivisioni. Questi testi descrivono la mindfulness come una modalità dell'attenzione, inserita in un contesto etico, incentrato sul non far del male a sé e agli altri. Si ritiene che praticare la mindfulness, nell'ambito di tale contesto, favorisca la consapevolezza della natura della sofferenza umana e di come alleviarla (vedi anche Gunaratana, 2002; Nhat Hanh, 1 976). Negli ultimi decenni, sono state introdotte nella cultura occidentale numerose forme di meditazione buddhista (Goldstein, 2002). Occiden­ tali che hanno studiato a lungo con maestri buddhisti nei paesi asiatici hanno fondato nel Nord America e in Europa centri di meditazione nei quali è possibile praticare ritiri di mindfulness di diversa durata. È pos­ sibile apprendere ed essere seguiti nella meditazione mindfulness an­ che in molti centri benessere e servizi di salute mentale. Numerosi libri di tipo divulgativo descrivono le pratiche di meditazione mindfulness (per esempio, Goldstein e Kornfield, 1 987 ; Gunaratana, 2002). Inoltre, come sottolineato in precedenza, molti interventi strutturati sviluppa­ tisi recentemente comprendono un training di mindfulness e un note­ vole numero di dati sperimentali, ora, avvalora la loro efficacia. Questi interventi sono qui brevemente presentati. 3

Introduzione

MBSR

L'MBSR è stata ideata da Jon Kabat-Zinn ( 1 982, 1990) e presentata per la prima volta nel 1 979 presso la Facoltà di Medicina dell'Univer­ sità del Massachusetts. Lo scopo di questo programma era quello di rendere utilizzabile e accessibile la meditazione mindfulness in un con­ testo medico occidentale, salvaguardando l'essenza degli insegnamenti buddhisti. Kabat-Zinn, avendo per anni studiato e praticato la medita­ zione mindfulness, cominciò a offrire un programma di gruppo della durata di dieci settimane destinato a pazienti che presentavano un'ampia gamma di disturbi dovuti allo stress e al dolore cronico, che venivano inviati dai loro medici curanti, dal momento che le terapie mediche a cui erano stati sottoposti non avevano avuto esito soddisfacente. L'MBSR è descritta come un programma educativo più che come una forma di psicoterapia e si basa sulla pratica intensiva di diversi tipi di meditazio­ ne mindfulness. Essa comprende anche insegnamenti sulla natura dello stress e suggerimenti su come applicare la mindfulness nell'affrontare le difficoltà quotidiane. Originariamente il programma era stato chiamato "riduzione dello stress e rilassamento" per il timore che, in un centro medico universitario, la meditazione non fosse considerata un'attività adatta ai pazienti. Ora l'MBSR, nella sua forma standard, è conosciuta come un programma di gruppo della durata di otto settimane, al quale possono partecipare fino a trenta soggetti, che presentano una grande varietà di condizioni legate allo stress. I gruppi si incontrano settima­ nalmente in sessioni di due ore e mezza, e la sesta settimana spesso com­ prende una sessione di una giornata intera. L'MBSR è stata adoperata con numerose popolazioni, in svariati con­ testi. In ambito medico, i pazienti che hanno mostrato una riduzione dei disturbi o un aumento del senso di benessere erano quelli affetti da can­ cro (Carlson, Speca, Patel e Goodey, 2003 ), malattie cardiache (Tacon, McComb, Caldera e Randolph, 2003) fibromialgia (Weissbecker et al. , 2002), altre forme di dolore cronico (Kabat-Zinn, 1982) e sindrome da affaticamento cronico (Surawy, Roberts e Silver, 2005), nonché altri sva­ riati tipi di pazienti (Reibel, Greeson, Brainard e Rosenzweig, 2001). So­ no stati riscontrati giovamenti significativi anche in soggetti sani, fra cui professionisti nel settore della salute mentale, medici e studenti (Shapiro, Astin, Bishop e Cordova, 2005 ; Shapiro, Brown e Biegel, 2007) e adulti sani stressati dal lavoro (Davidson et al. , 2003 ; Willi ams, 2006). Sono state sviluppate anche delle varianti della MBSR per altre cate­ gorie di soggetti. Per esempio il Mindfulness-Based Relationship En-

4

Introduzione

hancement (MBRE; Carson, Carson, Gil e Baucom, 2004), destinato alle coppie, ha dimostrato di apportare un significativo aumento della qua­ lità del rapporto e dell'accordo personale. li Mindfulness-Based Eating Awareness Treatment (MBEAT; Kristeller, 2003; Kristeller e Hallet, 1999) è un trattamento del binge eating che coniuga elementi della MBSR con l'assunzione consapevole di determinati alimenti, oltre a meditazioni guidate su forma fisica e peso corporeo, senso di fame e di sazietà e fat­ tori scatenanti il binge eating. Altre varianti, con almeno una qualche preliminare evidenza positiva, sono la Mindfulness-Based Art Therapy (MBAT; Monti et al., 2005), che combina elementi della MBSR con attività di tipo artistico, ed è destinata a pazienti con disturbi fisici, e la Mindful­ ness-Based Relapse Prevention for Substance Abuse (MBRP; Witkiewitz, Marlatt e Walker, 2005). Nella maggior parte degli studi pubblicati, è stato conservato il formato di otto settimane. Tuttavia, parecchi auto­ ri hanno riferito di versioni più brevi della MBSR impiegate con diverse popolazioni e i dati di esito suggeriscono che esse sono efficaci quanto la versione standard di otto settimane (Carmody e Baer, 2009). Un'ul­ teriore panoramica della letteratura relativa alla MBSR è fornita da Baer (2003); Grossman, Neimann, Schmidt e Walach (2004) e Salmon e col­ laboratori (2004). MBCT

La MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy) è un adattamen­ to della MBSR destinato a prevenire le recidive in pazienti con una sto­ ria di episodi depressivi (Segai et al., 2002 ) . È stata sviluppata con la consulenza di Kabat-Zinn e dei suoi collaboratori e comprende, oltre a numerose pratiche di mindfulness usate nella MBSR, degli esercizi di terapia cognitiva atti a distinguere i pensieri dai fatti e che non devono controllare il comportamento. Come la MBSR, la MBCT è un programma di otto sedute settimanali di gruppo, ciascuna della durata di due ore o due ore e mezza, salvo quella della sesta settimana che si protrae per tutta la giornata. I gruppi solitamente si limitano a un numero di dodici partecipanti. Benché la MBCT fosse originariamente destinata a pazien­ ti in remissione dalla depressione, ricerche recenti indicano la sua effi­ cacia anche in quelli con episodi depressivi in corso (Barnhofer et al., 2009; Kenny e Williams, 2007 ). Inoltre, stanno iniziando ad apparire preliminari elementi di supporto all'adattamento in altre categorie di pazienti. Esempi includono la MBCT nel trattamento del disturbo bipo­ lare (Williams et al., 2008), nel disturbo d'ansia generalizzato (Craigee, 5

Introduzione

Rees, Marsh e Nathan, 2008; Evans et al., 2008), nel binge eating (Baer, Fisher e Huss, 2005a, 2005b), nei bambini ansiosi (Semple, Lee e Miller, 2006) e negli anziani depressi e ansiosi (Smith, 2006; Smith, Graham e Senthinathan, 2006). DBT

La DBT (Dialectical Behavior Therapy) è stata sviluppata, a partire dalla fine degli anni Settanta, presso la University of Washington, da Marsha Linehan che stava lavorando con donne con comportamento suicidario e autolesive, molte delle quali rispondenti ai criteri di disturbo borderline di personalità (BPD). Le sue pazienti presentavano gravi e cro­ nici stati affettivi negativi e problemi comportamentali multipli. Benché il loro livello di sofferenza fosse molto elevato, esse spesso trovavano in­ validanti i suggerimenti di modificare il loro comportamento e reagivano con una rabbia tale da portare a elevati livelli di abbandono del tratta­ mento (Linehan, 1997). Tuttavia, se non si impegnavano per cambiare il loro modo di agire, le loro vite rimanevano caotiche e infelici. Linehan studiò i resoconti storici e biografici di vittime di torture, di soprawissuti all'olocausto e di altre persone che avevano superato grandi sofferenze e trovò che il concetto di accettazione era spesso al centro della descrizio­ ne delle loro esperienze. Sembrava che coloro che erano stati capaci di accettare la realtà di quanto era loro accaduto, senza cercare di evitarla, cancellarla o negarla, avessero maggiori probabilità di percepirla come un momento di crescita personale (Linehan, 2002). Per imparare di più sull'accettazione, che a quel tempo non era molto trattata dalla psicolo­ gia, Linehan studiò il buddhismo zen (Butler, 2001). Cominciò quindi a coniugare metodi fondati sull'accettazione, come validazione e abilità di mindfulness, con le tradizionali strategie cognitivo-comportamentali. Poiché le sue clienti non volevano o non erano in grado di dedicarsi a lungo a un'attività meditativa, essa sviluppò esercizi di comportamen­ to atti a insegnar loro le capacità di mindfulness e di accettazione senza impegnarsi in una meditazione formale. L'acquisizione di queste nuove abilità sembra rendere i clienti in grado di tollerare il dolore emozionale associato con il cambiamento dei loro comportamenti, per costruire uno stile di vita migliore e accettare gli aspetti spiacevoli del loro passato e le situazioni presenti che non possono essere modificate. La DBT è stata accolta molto favorevolmente dai quei clinici che cer­ cavano un trattamento efficace per i pazienti borderline (Scheel, 2000; Swenson, 2000). I programmi DBT sono ora ampiamente disponibili 6

Introduzione

(sebbene ne siano necessari di più) . Il trattamento DBT standard viene applicato a pazienti ambulatoriali ed è composto da una terapia indivi­ duale e un gruppo di skills training alla settimana, consultazione telefo­ nica qualora se ne presenti la necessità, e, sempre settimanalm\l'nte, un gruppo di consultazione fra i terapeuti. La durata è solitamente di un anno, anche se ne sono state sviluppate versioni più brevi. Se ne è conce­ pita e studiata l'applicazione in problemi di abuso di sostanze, disturbi alimentari, violenza domestica sul partner e altri problemi familiari, au­ tolesività adolescenziale e depressione accompagnata da disturbi di per­ sonalità negli anziani, così come versioni per pazienti psichiatrici ricove­ rati, in ambito forense, e per la pratica privata (Dimeff e Koerner, 2007; Marra, 2005; Safer, Telch e Chen, 2009; Rathus, Cavuoto e Passarelli, 2006). Rassegne recenti riguardanti la letteratura sulla DBT sono fornite da Lynch, Trost, Salsman e Linehan (2007) e Robins e Chapman (2004). ACT

L'ACT (Acceptance and Commitment Therapy), sviluppata da Ste­ ven Hayes e collaboratori alla fine degli anni Settanta, si fonda su una filosofia conosciuta come contestualismo funzionale e su una teoria del linguaggio e della conoscenza umani nota come Relational Frame Theo­ ry (RFT), che sono al di là degli scopi di questa introduzione (vedi, per maggiori dettagli, Hayes et al., 1999; Hayes, Barnes-Holmes e Roche, 2001). Nella sua forma originale, la terapia era chiamata distacco com­ prensivo (comprehensive distancing) poiché enfatizzava lo sviluppo di una particolare prospettiva riguardante i pensieri. Secondo questa pro­ spettiva, assai simile al concetto di decentramento della terapia cogni­ tiva, i pensieri sono considerati solo come tali - prodotti mentali che vanno e vengono e non riflettono necessariamente la verità, la realtà o un valore personale e non devono influenzare il comportamento. Il di­ stacco comprensivo incoraggiava i clienti a prendere atto dei propri pen­ sieri disturbanti, e a identificarli esclusivamente come tali, mantenendo un comportamento adattivo nonostante la loro esistenza, senza curarsi del loro contenuto. Il nome del trattamento è stato cambiato in Accep­ tance an d Commitment Therapy, per evidenziare l'accettazione di una vasta gamma di esperienze interiori (pensieri, emozioni, sensazioni), mantenendo contemporaneamente un comportamento potenzialmen­ te efficace e coerente con obiettivi e valori. L'ACT comprende numerosi esercizi di mindfulness per facilita;e la consapevolezza e l'accettazione di pensieri e stati d'animo.

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Introdu:r.ione

L'ACT è stata progettata per poter essere applicabile in diverse popo­ lazioni e situazioni. La letteratura recente ne descrive varianti per de­ pressione (Zettle, 2007 ), ansia (Eifert e Forsyth, 2005), rabbia (Eifert, McKay e Forsyth, 2006), tabagismo e abuso di sostanze, dolore croni­ co e altre condizioni patologiche fisiche, psicosi, autolesività in soggetti borderline, stress da ambiente di lavoro, stigma e bumout dei profes­ sionisti della salute mentale, e così via (Hayes e Strosahl, 2004). Sono state descritte anche delle varianti per bambini e adolescenti (Greco e Hayes, 2008) e per terapie di gruppo (Walser e Pistorello, 2004). Una rassegna recente sull'ACT è pubblicata da Hayes, Luoma, Bond, Masu­ da e Lillis (2006).

CHE COSA CAMBIA IN COLORO CHE SI SOTTOPONGONO A UNA TERAPIA BASATA SU MINDFULNESS E ACCETTAZIONE?

Ricercatori e clinici stanno studiando alcuni interessanti processi psi­ cologici che possono aiutare a spiegare perché le terapie che si fondano su mindfulness e accettazione tendono a ridurre i disturbi e a incremen­ tare la sensazione di benessere. Ciascuno di questi verrà dettagliatamen­ te discusso in uno dei capitoli di questo libro. Di seguito ne anticipiamo una breve panoramica. soggetti che si sottopongono ai trattamenti appena de­ scritti dedicano una rilevante quantità di tempo e sforzo nella pratica delle abilità di mindfulness. Nella MBSR e nella MBCT viene chiesto ai par­ tecipanti di impegnarsi in una vera e propria meditazione mindfulness quarantacinque minuti al giorno, sei giorni alla settimana, e di praticare la mindfulness in maniera non formale anche mentre svolgono le loro nor­ mali attività quotidiane. È ragionevole ritenere che impegnarsi in simili pratiche produca nel tempo la capacità di vivere le esperienze quotidia­ ne con una maggiore capacità di mindfulness, portando di conseguenza alla riduzione della sofferenza e all'aumento del benessere psicologico. Fino a tempi recenti, non è stato possibile verificare questa affermazio­ ne, dal momento che non esistevano metodi per misurare la tendenza a essere mindful nella vita quotidiana. Negli ultimi anni, invece, sono di­ venuti utilizzabili strumenti atti a effettuare tale valutazione. Sviluppa­ re queste misure ha richiesto la definizione di cosa significasse, in reali termini di comportamento, essere mindful e del perché dovrebbe essere vantaggioso adottare un tale atteggiamento riguardo all'esperienza nel Mindfulness. I

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Introduzione

suo avvicendarsi. Anche se restano molti interrogativi, la letteratura re­ cente sull'argomento ha fatto positivamente i conti con questi argomenti e sta contribuendo a gettare luce sulla natura della mindfulness, su quali siano i mutamenti che avvengono nelle persone che la praticano e su co­ me questi contribuiscano a ridurre i sintomi e ad aumentare il benesse­ re (Baer, Smith, Krietemeyer, Hopkins e Toney, 2006; Baer et al., 2008). Decentramento. Agli esordi della terapia cognitiva, il decentramento è

stato descritto come un particolare modo di rapportarsi con i pensieri, che vengono osservati come fenomeni mentali transitori, non necessa­ riamente veri o importanti, privi di relazione con il valore della perso­ na, e non richiedenti particolari comportamenti come risposta (Hollon e Beck, 1979). Una relazione decentrata con un determinato pensiero (per esempio "io sono uno stupido") comporta il fatto di accorgersi del pensiero non appena si manifesta, di identificarlo come tale, non come un fatto, e di riconoscere che si tratta di un'entità separata dalla persona che l'ha avuto. n decentramento è strettamente connesso alla mindful­ ness e si ritiene che abbia un ruolo centrale nel rendere conto dei risul­ tati dell'addestramento alla mindfulness stessa. Recenti progressi nel­ la valutazione del decentramento hanno reso possibile studiare questo processo e le sua relazione con la sofferenza psicologica nelle persone sottoposte a interventi basati sulla mindfulness (Fresco et al., 2007). Flessibilità psicologica. Nell'ACT, il principale obiettivo terapeutico consiste nell'aiutare il cliente a sviluppare la flessibilità psicologica, un termine che racchiude l'accettazione e l'impegno, processi che si riflet­ tono nel nome stesso di questa terapia. La flessibilità psicologica inclu­ de la consapevolezza mindful del momento presente e la disponibilità a sperimentare stimoli interni spiacevoli o indesiderati (pensieri, sen­ sazioni, emozioni), contemporaneamente cambiando, o mantenendo, un comportamento esplicito funzionale a importanti obiettivi e valori. Lavori recenti sulla valutazione della flessibilità psicologica hanno fatto notevolmente progredire la nostra comprensione dei cambiamenti che si verificano durante l'ACT e di come quest'ultima porti al miglioramento dei problemi che sono la causa della richiesta di terapia. La letteratura suggerisce che l'aumento della flessibilità psicologica sia un importante fattore di cambiamento terapeutico (Hayes et al., 2006).

elemento della flessibilità psicologica è il chiari­ mento dei valori personali. Chi si sottopone all'ACT viene incoraggiato a riflettere su quali siano per lui le cose più importanti nella vita (come Valori. Un importante

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Introduzione

essere un buon coniuge o genitore, o svolgere un lavoro che appare si­ gnificativo e fonte di soddisfaziqne) e identificare quali siano i compor­ tamenti atti a indirizzare la sua vita in quella direzione. Benché l'identi­ ficazione dei valori sia un elemento della flessibilità psicologica, essa ha ricevuto in letteratura meno attenzione di quanto meritasse e, per questo motivo, le viene dedicato un intero capitolo in questo libro. Ricerche re­ centi sulla valutazione dei valori forniscono interessanti conoscenze su come cambiamenti nell'ampiezza del comportamento in armonia con i propri valori siano connessi con cambiamenti in altre aree del funzio­ namento psicologico (Wilson e DuFrene, 2008). Regolazione emozionale. L'attuale letteratura fornisce numerose defi­ nizioni di regolazione emozionale. Alcune di queste sottolineano il con­ trollo e la riduzione delle emozioni negative. Queste definizioni non so­ no compatibili con le terapie basate su mindfulness e accettazione, che enfatizzano la consapevolezza e l'accettazione di tutte le emozioni co­ me esse si presentano e il controllo del comportamento in presenza di emozioni negative, inibendo l'impulso ad agire in modo disfunzionale e impegnandosi nel contempo a mettere in atto comportamenti finaliz­ zati a uno scopo. Recenti ricerche sulla valutazione della regolazione emozionale, definita in questo modo, suggeriscono che le terapie fon­ date sull'accettazione promuovono l'aumento delle modalità positive di risposta alle emozioni e che questi cambiamenti sono correlati ad altri miglioramenti nel funzionamento psicologico (Gratz e Roemer, 2004; Gratz e Gunderson, 2006) . Compassione di sé. Gli antichi testi buddhisti contengono molti inse­ gnamenti sulla compassione verso se stessi e gli altri. Lo sviluppo del­ la compassione è descritto come uno dei principali effetti della pratica regolare della meditazione mindfulness. La compassione di sé, concet­ to relativamente poco familiare nella letteratura psicologica occidenta­ le, consiste nel trattare se stessi benevolmente invece di giudicarsi, nel riconoscere che le emozioni dolorose e le avversità fanno parte dell'e­ sperienza umana, e nel mantenere una consapevolezza mind/ul delle esperienze difficili invece di cercare di evitarle o di farsene coinvolgere eccessivamente. Uno strumento di misurazione della compassione di sé sviluppato di recente ha dato il via a interessanti ricerche e incrementato l'evidenza che trattare se stessi con benevolenza è associato a numerosi aspetti del funzionamento psicologicamente sano (Neff, 2009). Si è an­ che riscontrato che chi si è sottoposto a terapie fondate sulla mindful­ ness ha mostrato un aumento della compassione di sé.

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Introduzione

Spiritualità. Sebbene la meditazione mindfulness origini nella tradizione

spirituale, i trattamenti basati su mindfulness e accettazione sono volu­ tamente laici. Tuttavia, numerosi autori hanno sostenuto che la spiritua­ lità è un'importante dimensione del funzionamento umano e che capire la psicologia dell'esperienza spirituale può contribuire alla conoscenza di come le terapie basate sulla mindfulness raggiungano i loro benefici risultati. La spiritualità è diffi cile sia da definire sia da misurare. Non­ dimeno, recenti ricerche suggeriscono che la pratica della mindfulness può incrementare la spiritualità e ciò è associato a miglioramenti in mol­ ti aspetti del funzionamento psicologico (Carmody, Reed, Kristeller e Merriam, 2008). Cambiamenti cerebrali. Recenti progressi nelle tecnologie di imaging hanno consentito di studiare gli effetti della meditazione mindfulness sul cervello. È sempre più evidente che la pratica della mindfulness induce cambiamenti nella struttura e nelle funzioni cerebrali e che questi sono associati a giovamenti cognitivi ed emozionali. Nei primi studi effettuati erano stati confrontati soggetti che praticavano la meditazione da lungo tempo con altri che non lo facevano, risultando impossibile stabilire se le differenze osservate fossero riconducibili alla meditazione oppure a fattori diversi legati a essa, come l'apertura mentale o le diversità nella dieta. Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato significativi mutamenti nell'encefalo di soggetti che, privi di precedenti esperienze di medita­ zione, avevano portato a termine un programma di MBSR. Questi cam­ biamenti sembrano essere correlati al funzionamento psicologico sano (Davidson et al., 2003 ).

Scoperte re­ centi suggeriscono anche che la pratica della mindfulness sia associata a cambiamenti nella capacità di attenzione e della memoria di lavoro. In qualche modo, non c'è da stupirsi. Il dirigere la propria attenzio­ ne in modi particolari è fondamentale nella pratica della mindfulness. Sembra perciò plausibile che una pratica ripetuta possa apportare mu­ tamenti generalizzati nelle capacità di attenzione, che sono strettamen­ te correlate con la capacità della memoria di lavoro. Progressi nella possibilità di misurare tali cambiamenti, attraverso test di attenzione e memoria di lavoro, oggettivi e computerizzati, hanno cominciato a far luce sulla natura di questi mutamenti, che ora possono essere correlati ai benefici risultati della pratica della mindfulness (Jha, Krompinger e Baime, 2007 ). Cambiamenti nell'attenzione e nella memoria di lavoro.

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lntroduztone

COME È POSSIBILE SAPERE SE IL CAMBIAMENTO IN UN DETERMINATO PROCESSO È RESPONSABILE DELL'AUMENTO DEL BENESSERE?

Nelle ricerche in campo psicologico si studia la mediazione per de­ terminare se il cambiamento in un particolare processo è responsabile dell'accrescimento del benessere. Un mediatore è una variabile respon­ sabile dell'effetto che una variabile indipendente (come un trattamento psicologico) esercita su una variabile dipendente (come l'intensità dei sintomi psicologici o del benessere). Una gran quantità di letteratura scientifica sui risultati delle terapie basate su mindfulness e accettazio­ ne evidenzia in modo sostanziale che questi interventi hanno un signi­ ficativo impatto terapeutico sull'intensità dei sintomi e del benessere di coloro che vi sono sottoposti. Di conseguenza, la relazione fra la varia­ bile indipendente (la terapia basata sulla mindfulness) e quella dipen­ dente (l'incremento della salute psicologica) è chiaramente stabilita. Il principale intento di questo libro è di esaminare i meccanismi attra­ verso i quali si verificano questi effetti positivi. L'ipotesi di fondo nella maggior parte dei capitoli che seguono è che i cambiamenti riscontrati in un determinato processo (mindfulness, decentramento, regolazione emozionale, compassione di sé e così via . . . ) fungano da mediatore per l'incremento del benessere che deriva dal trattamento. Come è possibile testare questa ipotesi? Sono necessarie numerose tappe. Come già sottolineato, bisogna innanzitutto dimostrare che l'ad­ destramente alla mindfulness porta a risultati positivi. L'evidenza di ciò è assodata. Si deve anche indagare se esso favorisca l'aumento dei po­ tenziali mediatori. Come verrà dettagliatamente spiegato nei prossimi capitoli, vi sono evidenze consistenti, o almeno probabili, per quanto riguarda i processi considerati in questo libro. Gli studi dimostrano che soggetti sottoposti a terapie basate sulla mindfulness, o che praticano la meditazione mindfulness da lungo tempo, riportano un punteggio più elevato nelle misure di decentramento, flessibilità psicologica, compas­ sione di sé e altri potenziali meccanismi di cambiamento. Pertanto, la pratica della mindfulness sembra favorire tali processi. Un'altra tappa importante è stabilire se le potenziali variabili di mediazione siano cor­ relate con l'entità dei sintomi e del benessere. È chiaramente evidente, ancora una volta, che i processi presi in esame in questo libro mostra­ no la correlazione che ci si aspettava. I soggetti con punteggi più eleva­ ti nelle valutazioni autoriferite riguardanti mindfulness, decentramen­ to, compassione di sé e altri processi presentano, in modo significativo, 12

Jntroauzwne

un'entità di sintomi patologici più bassa e un maggior grado di benesse­ re. Infine, bisogna che il mediatore potenziale predica, su base statisti­ ca, i risultati psicologici derivanti dal trattamento. Questo vuol dire che altri aspetti del trattamento, come il supporto sociale o la componente psicoeducazionale, non sono responsabili dei miglioramenti osservati. Ciò è stato dimostrato per molti dei processi di cambiamento descritti in queste pagine. Sebbene i dati ottenuti da recenti ricerche siano incoraggianti, con­ durre dei test decisivi sulla mediazione non è cosa facile. La prima diffi­ coltà consiste nello stabilire se il mediatore determini l'esito o viceversa. Per esempio, sarebbe auspicabile avere la certezza che l'aumento nel­ le abilità di mindfulness aiuti a migliorare la salute psicologica, ma bi­ sogna riconoscere che può essere vero anche il contrario. Un proficuo esempio di studio della mediazione, che affronta proprio questo pro­ blema, è stato condotto da Carmody e Baer (2008). I partecipanti a un programma di MBSR hanno preso nota del tempo (in minuti) dedicato, a casa loro, a praticare esercizi di meditazione mindfulness durante le otto settimane di corso. Essi hanno anche compilato questionari di va­ lutazione di mindfulness, sintomi psicologici e benessere all'inizio e al­ la fine del trattamento. I risultati hanno mostrato una correlazione po­ sitiva tra il tempo dedicato alla meditazione e i miglioramenti ottenuti nella capacità di essere mindful nella vita quotidiana, nella sintomato­ logia e nel benessere. L'analisi statistica ha dimostrato che l'incremento della mindfulness nella vita quotidiana è predittivo dei cambiamenti di salute psicologica, una volta controllata la quantità di tempo dedicata alla pratica. L'interpretazione dei risultati fa ritenere che la pratica della meditazione mindfulness favorisca l'incremento della capacità di essere mindful nella quotidianità e che questo a sua volta faccia migliorare la salute psicologica. Cioè, l'aumento della mindfulness nella vita quoti­ diana è stato descritto come il mediatore, o come il meccanismo attra­ verso il quale si è verificato il miglioramento della salute psicologica. Ciò ha significato dal punto di vista teorico, ed è coerente con la tradizione buddhista, che descrive i potenziali vantaggi della pratica mindfulness nello stesso modo. Tuttavia, poiché mindfulness e salute psicologica sono state misura­ te negli stessi due momenti (prima e dopo l'MBSR), non possiamo essere certi della direzione della causalità. È possibile che praticare la mindful­ ness abbia condotto direttamente a migliorare la salute psicologica e che questo a sua volta abbia aumentato la capacità di essere mindful nella quotidianità. Cioè, forse è più facile essere mindful una volta che ci si 13

Introduzione

sente meglio. Secondo le analisi statistiche effettuate, che vanno oltre gli scopi di questa introduzione, le scoperte di Carmody e Baer (2008) sono scarsamente in accordo con questa seconda possibilità. Tuttavia, per decidere definitivamente in merito bisognerebbe misurare tutte le variabili rilevanti in tre diversi momenti. Se si può dimostrare che, nel corso del tempo, il training nella mindfulness induce mutamenti nel me­ diatore preso in esame (come mindfulness o decentramento), che suc­ cessivamente modifica la salute psicologica (sintomi o benessere) , si può essere maggiormente sicuri che il mediatore studiato sia veramente un meccanismo di cambiamento e non il risultato di un miglioramento della salute psicologica. Finora pochissimi studi hanno usato questa metodo­ logia. La maggior parte di questi è riportata nella letteratura sulla ACT ed è descritta nel secondo capitolo di questa pubblicazione. I metodi statistici impiegati per valutare la mediazione vanno oltre gli scopi di questo libro. Chi fosse interessato può fare riferimento a Baron e Kenny (1986), i cui metodi, fondati sull'analisi della regressione, sono stati ampiamente usati. Sono stati proposti successivi miglioramenti di questi metodi e metodiche alternative. Ulteriori e utili fonti citano Mac­ Kinnon, Lockwood, Hoffman, West e Sheets (2002) e Kraemer, Wilson, Fairburn e Agras (2002) . I PROCESSI DI CAMBIAMENTO SONO REALMENTE DISTINTI?

Un'analisi approfondita dei processi di cambiamento discussi in que­ sto libro suggerisce che molti di essi sono fortemente sovrapposti. Come sottolineato nel primo capitolo, le definizioni di mindfulness e decentra­ mento sono molto simili. Nel contesto delle terapie basate sulla mindful­ ness, entrambi implicano un'osservazione non giudicante e l' accettazio­ ne di pensieri e stati d'animo. La flessibilità psicologica, argomento del secondo capitolo, è composta da sei processi, quattro dei quali vengono identificati come appartenenti a mindfulness e accettazione: fra questi, l'essere in contatto col momento presente, la defusione, assai simile al decentramento, e il riconoscimento di sé come contesto nel quale si ve­ rificano pensieri e sentimenti (piuttosto che l'identificazione di sé con pensieri e stati d'animo che continuamente si succedono) . La flessibilità psicologica comprende anche la chiarezza riguardo ai valori personali (argomento del terzo capitolo) e l'impegno in un comportamento coe­ rente con questi anche in presenza di esperienze interne sgradevoli. Allo stesso modo, la regolazione emozionale, definita e discussa nel quarto 14

Introduzione

capitolo di questo libro, comprende la consapevolezza e l'accettazione delle emozioni, unitamente alla disponibilità a tenere un comportamen­ to finalizzato ai propri obiettivi anche quando si provano emozioni ne­ gative. Una importante definizione della compassione di sé, trattata nel quinto capitolo, presenta la mindfulness come componente principale. La spiritualità, argomento del sesto capitolo, è definita in vari modi, ma può senz'altro comprendere la compassione e un senso di significato su­ periore. Quest'ultimo potrebbe essere coerente con i propri valori, co­ me concettualizzato dall'ACT. La spiritualità, definita come trascendenza del sé, potrebbe anche essere coerente col "sé come contesto", elemento della flessibilità psicologica (vedi Hayes, 1984). Sono necessarie ulteriori ricerche per meglio chiarire similitudini e differenze di questi processi. E GLI ALTRI PROCESSI?

La letteratura recente riporta numerosi altri processi che possono essere importanti in varie forme psicopatologiche. Se ne può trovare un'eccellente descrizione nel libro di Harvey, Watkins, Mansel e Shafran (2004), che identifica numerosi processi che sembrano essere transdia­ gnostici, cioè essere comuni a diversi disturbi, come fattori scatenanti o di mantenimento. Fra gli esempi citati: l'attenzione selettiva, la memo­ ria generalizzante, la soppressione dei pensieri e la ruminazione. Questi processi non saranno specificamente trattati in questo libro dal momento che essi vengono ritenuti come esiti intermedi fra i processi che qui ven­ gono descritti e il miglioramento del funzionamento psicologico. Cioè, l'acquisizione di capacità di mindfulness, di decentramento, di flessibili­ tà psicologica, di regolazione emozionale basata sull'accettazione, e così via, dovrebbe incrementare la flessibilità dell'attenzione, la facoltà osser­ vativa di riconoscere un pensiero come tale piuttosto che una rumina­ zione, e la disponibilità a vivere pensieri, ricordi ed emozioni sgradevo­ li come essi compaiono, piuttosto che cercare di evitarli o sopprimerli. CONCLUSIONI l

processi di cambiamento presi in esame in questo libro sono entu­ siasmanti poiché relativamente nuovi per la letteratura, e hanno ricevu­ to poca o nessuna attenzione negli approcci al trattamento basati sul­ la ricerca empirica (Hayes, Follette e Linehan, 2004). Anche lo studio 15

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della mediazione è relativamente nuovo. Fino a tempi piuttosto recenti la letteratura sui risultati dei trattamenti raramente riportava l'analisi della mediazione. Ora gli studi sulla mediazione nelle terapie basate su mindfulness e accettazione costituiscono un sostanziale contributo alla comprensione di come queste agiscono. Evidenze empiriche suggeri­ scono che queste terapie funzionano in accordo con i processi presi in esame e agiscono in maniera diversa dai tradizionali trattamenti cogni­ tivo-comportamentali (Zetde, Rains e Hayes, 201 1). I capitoli contenu­ ti nella prima parte di questo libro tratteranno dei processi presentati nell'introduzione. Benché siano considerati separatamente, è impor­ tante ricordare che molti di essi sono ampiamente sovrapponibili e che future ricerche ne potranno chiarire similitudini e differenze. I capitoli della seconda parte del libro trattano i processi di cambiamento in spe­ cifiche categorie di soggetti, quali bambini e adolescenti, soggetti con patologie fisiche e adulti in ambito lavorativo. BIBLIOGRAFIA BAER, R.A. (2003), "Mindfulness training as a clinica! intervention: A conceptual and empirica! review" . In Clinica! Psychology: Science and Practice, 10, pp. 125-143. BAER, R.A., FISCHER, S., Huss, D.B (2005a), "Mindfulness-based cognitive therapy applied to binge eating: A case study". In Cognitive and Behavioral Practice, 12, pp. 35 1-358. BAER, R.A., FrscHER, S., Huss, D .B. (2005b), "Mindfulness and acceptance in the treatment of disordered eating". In Journal o/Rational Emotive and Cognitive Be­ havioral Therapy, 23, pp. 281 -300. BAER, R.A., SMITH, G.T., KRIETEMEYER, }., HOPKINS,}., TONEY, L. (2006), "Using self­ report assessment methods to explore facets of mindfulness" . In Assessment, 13, pp. 27-45. BAER, R.A., SMrTH, G.T., LYKINs, E., BurroN, D., KRIETEMEYER, ]., SAUER, S. ET AL. (2008), "Construct validity of the Five Facet Mindfulness Questionnaire in medita­ ting and nonrneditating samples". ln Assessment, 15, pp. 329-342. BARNHOFER, T., CRANE, C., HARGUS, E., MYANTHI, A., WINDER, R, WILLIAMS, }.M.G. ET AL. (2009) , "Mindfulness-based cognitive therapy as a treatment for chronic de­ pression: A preliminary study'' . In Behaviour Research and Therapy, 47, pp. 366-373. BARON, R, KENNY, D .A. (1986), "The moderator-mediator variable distinction in so­ cial psychological research: Conceptual, strategie, and statistica! considerations" . In Journal o/Personality Social Psychology, 5 1 , pp. 194-198. BUTI.ER, K. (2001), "Revolution on the horizon: DBT challenges the borderline diagno­ sis". In Psychotherapy Networker, 25, pp. 26-39. CAREY, B. (2008, May 27), "Lotus therapy". ln New York Times, 27 maggio. CARMODY,]., BAER, RA. (2008), "Relationships between mindfulness practice and levels of mindfulness, medicai and psychological symptoms and wellbeing in a mindful­ ness-based stress reduction program" . In ]ournal o/ Behavioral Medicine, 3 1 , pp. 23-33. .

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